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Full text of "Innocenzo X Pamfili e la sua corte: storia di Roma dal 1644 al 1655 : da nuovi documenti"

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INNOCENZO X PAMFILI 



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LA SITA CORTE. 



Proprietà letteraria. 



INNOCENZO X A PAMFILI 

E LA SUA CORTE 



STORIA DI ROMA DAL 1644 AL 1655 



DA NUOVI DOCUMENTI 



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IGNAZIO CIAMPI. 

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ROMA, 1878. 



COI TIPI DEI GALEATI 



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«. 1. 1. 



AVVERTENZA. 



L'importanza dell'argomento e i limiti di tempo e 
di luogo, dentro i quali si aggira, appaiono chiaramente 
dal titolo del libro. Come Paolo III, un secolo innanzi, 
segnò il fine dell'epoca del Rinascimento e col concilio 
di Trento dette principio al periodo storico che vien detto 
Riforma cattolica ; così Innocenzo X accennò al termine 
di questa, che si chiuse veramente con la pace di West- 
falia, e all'ultima luce d'una cultura, che sebbene ac- 
comodata all' edifizio teocratico , non fu meno osservabile 
e singolare. Non oltrepassa la presente storia il nu- 
mero di undici anni e non si estende fuori di Roma se 
non in quanto gli avvenimenti esterni in lei si riflet- 
tono. Nella prima parte son racchiuse le notizie del Go- 
verno d' Innocenzo ; nella seconda la vita del palazzo ove 
si cercano gl'intimi e segreti impulsi dell'esterna po- 
litica; nella terza si dà un quadro della cultura scien- 
tifica, letteraria, artistica di Roma. E perche il nomo 



VI • AVVERTENZA. 

d'Innocenzo non suole scompagnarsi oramai d;i quello di 
Olimpia Pamfili, s'indaga da ultimo la giusto misura 
della potenza di questa donna sul vecchio pontefice e il 
male e il bene ch'ella veramente abbia fatto. Le fre- 
quenti note a pie di pagina danno notizia delle numerose 
fonti, inedite la maggior parte (come può anche vedersi 
dal novero che se ne fa, dopo nuovissimi documenti, in 
fine del libro), sopra cui la narrazione ha fondamento. 
Trattandosi di un tempo ch'ebbe allora sì grande ab- 
bondanza di satire e libelli e da cui in appresso s' ispi- 
rarono tante fole romanzesche, la maggior fatica, per 
delinearlo e colorirlo con esattezza , è stata quella di sce- 
verare, tra affermazioni e negative contradittorie, il vero 
dal falso, di attenersi piuttosto a pochi ma certi fatti 
che abbracciarne moltissimi ma destituiti di buone prove, 
di non aggravare lo scandalo che piace al volgo, di non 
cedere alla smania odierna d'impossibili riabilitazioni, 
di dar forma storica a una congerie di confuse e spar- 
pagliate notizie. 

Roma, 20 decembre 1877. 

I. C. 



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PARTE PRIMA. 



IL GOVERNO D'INNOCENZO X. 



Capitolo I. 

Morte d' Urbano Vili. — Umori Sei conclave. — La fami- 
glia Pamphyli, Pamphilj o Pamfili. — Donna Olimpia 
Maidalchini nei Pamfili. — Elezione d'Innocenzo X. 



A dì 29 luglio 1644 avvenne e fu resa pubblica la morte 
del pontefice Urbano Vili. Suonarono le campane del Cam- 
pidoglio. I caporioni , coi tamburi innanzi e i soldati del 
Campidoglio chiamati capotori , si recarono sul celebre 
monte. I Conservatori lo aveano intanto munito di soldate- 
sca composta di vassalli del contestabile Colonna e armata di 
picche e moschetti non senza qualche pezzo d' artiglieria. 
Le porte del palazzo erano serrate e munite di stanghe 
perchè si temeva che il popolo lo assalisse per fare a 
pezzi la statua di Urbano. Intanto era guardato anche 
il Foro, ossia Campo Vaccino, da una compagnia di ca- 
valli, mentre monsignor Cesarini , una specie di chierico 
demagogo, concionava la plebe e l'aizzava a finirla una 
volta per sempre coi prepotenti Barberini. 

Nel Consiglio .del Campidoglio era eletto capitano 

Ciampi. — Innocenzo X e la sua Corte. 1 



2 PARTE PRIMA. 

del popolo romano Lodovico Casale: i Conservatori 
mandavano fuori un bando concernente il governo di 
Roma. Ma il Collegio dei cardinali vilipendeva , come al 
solito, la già scaduta autorità del Senato, e con altro 
bando gridava aver ben provvisto al governo di Ro- 
ma in tempo di Sede vacante e perciò stimare suo de- 
bito revocare i bandi che aveano mandati o sarebbero 
per mandare gl'inutili Conservatori. 

Invece di darne colpa al tempo che sempre più precipi- 
tava a tirannide , il popolo e i Conservatori, lamentando lo 
sfregio ad ogni autorità civica fatto dai cardinali, rivolgeva- 
no il loro cruccio contro un certo Angelo Giardino , fiscale 
del Campidoglio, assai ben visto dai cardinali e dal go- 
vernatore di Roma. A dì 10 d'agosto, in una con- 
gregazione tumultuaria tenuta in Campidoglio coi capo- 
rioni e quaranta nobili deputati, poco mancò che l' og- 
getto dell'ira comune non fosse gittate dalla finestra. 
Prevalsero consigli più miti; e a protestare contro le 
soverchierie del Collegio cardinalizio, furono mandati in 
deputazione quattro signori , cioè il cavaliere Allo, Bar- 
tolomeo Capranica, Virginio Cenci e Jacomo Benzone 
insieme coi Conservatori e i priori dei caporioni al Con- 
clave innanzi ai cardinali che sì chiamavano capi d'or- 
dine. Altre mortificazioni però s' aggiunsero all' ingiuria. 
Si stentò per ottenere Y udienza , e , avutala, non se ne 
cavarono altro che buone parole e fatti pochi. I capo- 
rioni e i deputati diceano che alla guardia della città 
sarebbe bastata l'autorità cittadina; e i cardinali, non 
volendo dare ai cittadini romani nemmeno il diritto 
di tutelare da sé medesimi le cose loro, rispondeano 
che, ogni notte, dopo le ronde dei caporioni, non sa- 
rebbero mancati il bargello e i birri a rivedere il fatto 
e a spazzar meglio le strade pericolose. 



CAPITOLO I. Ó 

I Romani, non potendo altro, se la sfogavano in- 
tanto con satire mordaci contro Urbano e i Barberini. ! 

Nel conclave adunato si contrastavano il passo le 

tre grandi fazioni dei Barberini , di Francia e di Spagna. 

» Il cardinale Francesco Barberini teàea lo scettro 

della propria fazione : il cardinale Antonio era protettore 

della corona di Francia. 

GÌ' interessi d' ambedue doveano visibilmente tendere 
allo scopo di creare un papa che fosso favorevole alla 
Francia, a cui tanto doveano, e nello stesso tempo avesse 
grande affezione alla lor casa. Sapeano pur troppo di es- 
sere cordialmente odiati dal popolo , memore delle prepo- 
tenze commesse da loro sotto l'ombra d'Urbano , per non 
essere persuasi d' aver bisogno di tale che li difendesse 
e li mantenesse e li assicurasse nei gradi e nelle ric- 
chezze più male che bene acquistate. Non è chiaro co- 
ni' è sempre avvenuto in quei tenebrosi conciliaboli , * per 

1 <c .... EgF è impossibile reprimere lo lingue e le penne contro 
il passato Governo, e si fanno serenate con musiche ed instru- 
monti tutta notte con quantità di carozzo cantanti la saionata 
Papa gabella, la quale ogni giorno cresce di strofa.... » 



Pauca haec Urbani sint verba incisa sepulcro : 
Quam bene pavit apes tam male pavit oves; 

e la traduttione vulgare: 

Questo d'Urban si scriva al monimento : 
Ingrassò Tapi e scorticò L'armento. 

(Diario del Deone. 1644). 

2 « Malagevole impresa a dismisura riesce senza dubbio la spie- 
gatura di sì intricato affare in ordine alla necessità di speculare 
ed apporsi alla precisa intentiono do gli elettori e del Cardinale 
Barberino sovrano regolatore di quei maneggi, i Cui sensi ripo- 
sti e sepolti no' più cupi pelaghi della lor mento sono di più oscu- 
ra dichiarationo che gli enigmi della Sfinge mentre lo apparenze 
contradicovano alla realtà do' fini. Il Mercurio overo Bistorta 



4 PARTE PRIMA. 

quali ragioni, dopo escluso il Sacchetti dall'Austria e 
dalla Spagna, i Barberini volgessero i loro voti a prò 
d' un uomo che avea pur voce à J essere avverso alla co- 
rona francese. È assai probabile che, dopo molti dubbi, 
scegliessero di curare anzitutto i propri interessi , met- 
tendo da canto gli altrui, e che, allettati da insidiose 
parole , si promettessero di trovare nel Pamfili lo scudo 
della loro famiglia contro tanto impeto di nemici. 

Questa congettura trova appoggio dal racconto d'un 
contemporaneo molto addentro nei segreti della corte 
pontificia. In una vita che à' Innocenzo X lasciò ma- 
noscritta Teodoro più conosciuto col nome latinizza- 
to di Amidenio, * è narrato che il Sacchetti da qual- 
che tempo aspirava al papato, e che anzi, vista nel 
cardinal Pamfili l 7 ambizione medesima , si studiava di 
cercare occasione di renderlo spregevole o almeno ri- 
dicolo agli occhi del pubblico ; e ciò gli veniva fatto a 
Viterbo, dove stando insieme col Pamfili, lo spinse a 
danzare come un giovinetto , non senza altre appa- 
renze offensive alla dignità cardinalizia. * 

de' correnti tempi di Vittorio Siri. (Tomo IV. Parte 2. In 
Casale, 1655, pag. 573). — L'esclusione del Sacchetti è at- 
tribuita principalmente al Granduca di Toscana che non volea 
sudditi più grandi di lui tanto più che gli davano a intendere 
che, come Urbano Vili nel principio del suo pontificato, così il 
Sacchetti avrebbe voluto rimettere la Toscana nello stato in cui 
era prima di Clemente VII. Era possibile ? (V. Relazione del Con- 
clave in cui fu eletto Innocenzo X. Ms. Capitolino). » 

1 Sembra che il nome suo fosse veramente o Ameyden o Amay- 
den. Ma fu chiamato in cento guise: Àmideno, Meiden, Amaijn- 
den, Amydan, Amynden ecc. In latino oltre ad Amidenius an- 
che Amaydenus. Ed egli è anche Beone hor temi Dio. Di lui 
e de' suoi scritti si vegga la prefazione e la terza parte di que- 
sta istoria. 

* Racconta che in carnevale il Sacchetti e il Pamfili stavano a 
Viterbo, ove« Antonius omnesadegitadchoreagetsaltationcscum 



. CAPITOLO I. 5 

Il contestabile Colonna, tornato che fu il Sacchetti 
a Roma, gli disse: Tu hai fatto saltar il Pamfili: ma 
bada eh' egli a sua volta non ti faccia menar danze 
a te e alla tua casa indecorose. E il Sacchetti : Io gli 
ho dato ali a volare perchè si rendesse degno di sprezzo. ' 

Aggiunge V Amidenio che i Barberini voleano il Sac- 
chetti, ma che il cardinale Albornoz, nel conclave, lo esclu- 
se dicendo che non piaceva a Spagna. Intanto però il cardi- 
nale Antonio Barberini avea in animo di far papa il Pamfili 
perchè avea già avuto promessa che il nipote del Parafili 
medesimo, Camillo, avrebbe sposato Lucrezia Barberini fi- 
glia di Taddeo, la quale invece più tardi ( 1 654) sposò Fran- 
cesco d'Este duca di Modena. Ciò non impediva che Anto- 
nio dissimulasse ancora e fingesse altresì di favoreggiare il 
Sacchetti, mentre, nello stringere, uscìa sempre in qualche 
nuova difficoltà. Intanto entrò nel conclave il cardinal 
Panciroli , e allora Antonio gli disse : « Da te dipende 
che il Pamfili sia papa se tu lo vuoi. La Francia lo 
esclude? E tu non escludendolo, sarai cagione che la 
Francia , la quale ascolta i tuoi consigli , parimente non 
gli faccia più ostacolo. » 

Checché sia di ciò , il cardinal Giambattista Pamfili 

mulieribus iunioribns, praesertim Pamphilium, cai, ut festivior vi- 
deatur,pileum cardinali tium cocleari ligno perforat cripta militaris 
instar; nec nisi lassus finem saltandi fecit. » Theodori Amidenii 
Elogia ecc. Ms. Casanatensé. — La pessima lezione delle ultime 
linee deve, secondo me, corregersi così: «...pileum cardinali- 
tium cockleari ligneo perforat cristae militaris instar.... » 
1 « Erat quippe cardinalis Boccius consobrinus uxoris meae. » 
(Amid. Elogia cit.). Il nominato cardinale informò del fatto FA- 
midenio: e perciò questi adduce una specie di parentela come 
ragione e verità delia confidenza. Quanto al tu che si danno i 
personaggi, è la traduzione del modo latino del testo dell' Ami- 
denio. Senza dubbio il cerimoniale di quel tempo non permette- 
va nei colloqui dei cortigiani maniere di tanta familiarità. 



6 PARTE PRIMA. 

nel 15 settembre 1644, con quarantotto voti, fu eletto 
pontefice, e assunse il nome d'Innocenzo X. 

La famiglia dei Pamfili o Pamphyli come si scrissero 
per lupgo tempo, forse per attestare la favolosa pro- 
venienza greca ; l non fu , anche prima che avesse un 
papa, certamente oscura. Ma da una mediocre nobiltà 
alle spropositate genealogie degli adulatori corre un gran 
tratto. Allorché il nipote d' Innocenzo , il figlio di Pam- 
filio e d' Olimpia, Camillo, fu fatto cardinale, Nicola 
Angelo Caferri non si vergognò di pubblicare un di- 
scorso in cui con molta gravità raccontava che i Pam- 
fili discendeano da Numa non più Pompilio ma Pam- 
philio, il quale a sua volta discendea dalla famiglia 
Pamphilia di Sparta fondata da Pamphilio re dei Dorici 
trecencinquant 7 anni prima della edificazione di Roma , 
e tutto ciò cavato da irrefragabili documenti storici! 2 

Meno bislacche relazioni dicono che la famiglia ve- 
nisse in Italia dalla Francia orientale, provincia allora 
di Germania, con Carlo Magno imperatore, e che un 
Amanzio nobile conte franco-germano fissò per primo la 
sua sede in Gubbio. 3 



1 Ora essi si scrivono Pamphilj. Io, non volendo adulare le 
sciocche ambizioni genealogiche, m'attengo semplicemente alle 
regole dell' ortografìa italiana. 

2 II Cancellieri asserisce che tale Discorso fu pubblicato e 
diretto al Cav. Girolamo Brusoni (Il mercato, il lago ecc. Eo- 
ma 1811) pag. 107 nota 7. — Ma è meno esagerata la narrazione 
della genealogia pamfìliana che fu messa dal Caferri medesimo 
nel corpo d' un' opera che ha il pregio di notar molte date im- 
portanti, ma non tutte sicure. Questa è intitolata: Nicolai An- 
geli Caferrii Synthema vetustatis, sive flores historiarum 
ab orbe condito ex illustrium scriptorum documenti^ horis 
subsecivis excerpti ecc. (Romae 1670). 

3 Caperei cit. pag. 7. — L' Amidenio nelle Famiglie roma- 
ne nobili (Ms. Casanatense) , non trovando in Eugubbio appi- 



CAPITOLO I. 7 

Ad ogni modo è certo che la casa fu antica. Nel- 
T Umbria , d' onde venne a Roma , correa voce eh' ella 
avesse partecipato alla riedificazione di Gubbio. Nel seno 
di lei erano vecchie tradizioni di pellegrini crociati, di 
santi, di cavalieri valorosi, di conti del sacro romano 
Impero. l 

Al tempo di Sisto IV la famiglia si divise in due 
rami : V uno rimase in Gubbio , e da esso discesero vari 
che anche in Roma fiorirono, come un Cristoforo che 
fu capo di certe milizie (excubitorum militum) a tempo 
d' Innocenzo X suo parente. L' altro ramo rappresentato 
da Antonio marito di Giulia de' Bentivogli, fece capo a 
Roma verso il 1471 ; ove Antonio adoperato da Sisto IV, 
che guerreggiava contro Ferdinando di Napoli , a mano a 
mano salì in riputazione collegandosi con isposalizi alle ca- 
se dei Della Valle , dei Porcari , dèi Mattei. 2 Lo stemma 



glio al vocabolo greco, conclude che la .famiglia Pamphilia veniva 
« .... dalla Pamphilia provincia ricca e deliziosa ne l'Asia, (f. 197. t.) 
E aggiunge in margine: Il primo di nome Pamphilio in Eu- 
gubbio fu del 1150 come apparisce nelF Archivio di detta città ecc. 
Andrea di Mantia (?) discendente del d. Paphilio fu famoso me- 
dico stipendiato da Ludovico Re d' Ungheria nel 1345 come ap- 
parisce dal medesimo Archivio, e Federico 3 Imperatore concesse 
un nobilissimo privilegio ad Anton Pamphilio del 1461. » 

1 Vincenzo Armano da Gubbio, Catalogo degli uomini il- 
lustri della sua patria. — Bagatta, Vita d* Innocenzo X. — 
Gamberti, Compendio dello Specchio della Verità. — Carlo 
Cartario, Sillabo degli Avvocati concistoriali. — Gualdo, Tea- 
tro degli uomini illustri. — Girolamo Brusoni, Supplemento 
alle storie italiche. — Lodovico Iacobilli,. Vite de' Santi e 
beati delV Umbria e di quelli i corpi de* quali riposano in 
essa provincia, tomi 3. (Foligno 1647, 1656, 1651). Vita del Beato 
Ludolfo vescovo di Gubbio. 

2 Siri, Il Mercurio overo Historie de 9 correnti tempi ecc. 
t. IV. p. 2. (Casale 1655), pag. 686. 



8 PARTE PRIMA. 

della famiglia era una colomba con l 1 ulivo in bocca, e, 
nella parte superiore dello scudo, tre gìgli <T oro in cam- 
po azzurro traversati da bande rosse. 

Antonio Pamfili ebbe per figlio Angelo Benedetto. Da 
questo e da Emilia di Mario Mellini , Pamfilio , maritato a 
Orazia di Ciriaco Mattei , morto nel 1560 l da cui nacque- 
ro Camillo detto seniore e Girolamo fatto cardinale * 
per intercessione specialmente di Filippo Neri poi Santo , 
di cui era amicissimo ; onde la devozione dei ' Pamfili a 
quella chiesa. 3 Morì nel 1610. 4 



1 Nelle Famiglie romane nobili dell' Amidenio (Ms. Corsi- 
niano e Casanatense) si legge (Cod. Casanatense a foglio 70 t.) 
« Il Coleine nel Diario così scrive: A dì 25 settembre 1559 Udì 
di Natale.... fu creato papa il Card. Medichino , si chiamò Pio IV. 
era conservatore Achille Taro, Pamfilio Pamfili, Gì: Batta Cec- 
chini, Francesco Colaianni priore. > 

* Concordano in ciò il Caferri e T Amidenio nel suo scritto: 
Famiglie romane nobili ecc. Ms. Casanatense. 

Dal Galletti (Inscript. rom. t. III. CL. XVII. n. 109 p. CC) 
abbiamo P iscrizione che si leggeva a S. Lorenzo in Damaso nella 
cappella della famiglia Mainardi dedicata alla Vergine (Fonskca, 
De basilica S. Laurentii in Damaso, p. 203): iscrizione rela- 
tiva a un Angelo Pamfili. 

Angelo Pamphilio eq. rom. omnibus viri — probi officiis domi 
forisque absolutis — vixit. an. XXXII. MDXCVI — Porciae Sab- 
bae Porciiconjugi optimo d. — filii tres impuberes patri r. m. p. 

3 « Giovedì mattina tenne la cappella con la benedizione et 
alla tardi andò a visitare la Chiesa Nuova per la festa di San 
Filippo Neri, dalla quale viene tutta la sua grandezza, come che 
Monsignor Gerolamo Pamfilio Auditor di Rota fu fatto cardina- 
le da papa Clemente per essere stato amico intrinseco del Santo. » 
Diario del Deone. Maggio 1650. 

4 Ecco P iscrizione che si legge nel suo sepolcro in S. Maria 
in Vallicella: D. 0. M. — Hieronimo. card. Pamphilio. rom. — 
a Gregorio XIII — inter. auditores. rom. rotae. adlecto — et. 
ex. ejusdem. tribnnalis. decano — ac. poenitentariae. regente — 
a. Clemente. VIII. olim. rotae. collega. — in. procuratorum. col- 



CAPITOLO I. 9 

Quanto a Camillo , che fu detto seniore , egli si di- 
lettò di lettere, e scrisse le vite dei pontefici da San 
Pietro a Clemente V. Morì di settant' anni nel 1580 : ebbe 
dalla sua moglie . Flaminia Cancellieri del Bufalo più 
figli: Pamfilio , Giovambattista (Innocenzo X), Angelo 
Benedetto , Alessandro , Prudenzia e Agata , ' alle quali 
deve aggiungersi un' altra, di nome Porzia, comunemen- 
te, eh* io sappia, non mentovata. Alessandro , Angelo e 
Benedetto morirono giovanissimi, Porzia non visse ol- 
tre il 1539. 2 Prudenzia ed Agata, secondo l'uso invalso 



legio. adscripto — et. a. Paulo. V. ad. vicarii. munus. quod. 
ipse — proxime. gesserat. assumpto — gratulante, sibi. virtute. 
cui. dabatur — quidquid. conforebatur. in. viruin — qui. incor- 
rupta. integritate — intìmaq. legum. scienti a — honores. et. me- 
ritus. praevenerat — et. par. administrabat — obiit. an. Dom. 
MDCX. aet. suae. LXVI — in. sacello, s. Philippi. quem vivum — 
coluerat. tumulatus — Iohannes. Baptista. Pamphilius — ab. Ur- 
bano. Vili. card, creatus — et Pamphilius. fratris. filli — mo- 
nuraentum. posuere. (Si trova anche nel Forcella, Iscrizioni ecc. 
t. IV. pag. 155.) 

1 Un'altra sorella di Pamiìlio e Giambattista è designata da 
alcuni per Antonina che fu maritata a Paolo Gualtieri o Gual- 
terio zio. di Donna Olimpia. Infatti il veneto Alvise Contarini 
nella sua Relazione, ciò asserisce senza pronunciare il nome di 
questa sorella: il quale è dato dal Marchesi Galleria dell'onore. 
Si crede però che questa donna fosse sorella cugina anzichò ger- 
mana di Pamfilio e Giambattista poi Innocenzo. La parentela 
più o meno stretta fra i Pamfili e i Gualterio, oltre a ciò che si 
è detto, è attestata anche dal Brusoni, che attribuisce anzi il 
principio dell' inimicizia fra i Barberini e Giambattista cardinal 
Pamfili (poi Innocenzo) alla uccisione del giovane Gualterio ni- 
pote del cardinale Pamfilio, che serviva alla camera il car- 
dinal Antonio Barberini: morte" di cui fu incolpato lo stesso car- 
dinale. Della historiad' Italia di Girolamo Brusoni libri XII, 
riveduta dal medesimo autore, accresciuta e coni innata dal- 
l' anno. Ì625 fino al 1676 (In Venetia 1676). Lib. XII, 
pag. 407. E vedi. testo nostro in appresso. 

2 Questa era la iscrizione sulla sua tomba. «e D. 0. M. — Por- 



10 PARTE PRIMA. 

nelle grandi case per risparmiare le doti convenienti ai 
grandi parentadi, furono monache. Agata, oblata di Tor 
de' Specchi, riapparirà nel pontificato d'Innocenzo suo 
fratello , ora fomite di discordie , ora, nelle familiari di- 
scordie , paciera. Innocenzo si diletterà vederla per con- 
solarsi della florida vecchiaia di lei. f 

11 primo dei figli di Camillo, cioè Pamfilio, si ma- 
ritò a Olimpia Maidalchini o Maldachini. Ecco "le no- 
tizie che si hanno circa l'origine di questa casa. Da 
tre o quattro generazioni innanzi al tempo, di cui è 
parola, un tale di nome o di soprannome Maidalchini 
venne ad abitare in Acquapendente. L' orgoglio dei di- 
scendenti montati in alto lo fece poi derivare dalla no- 
bile famiglia Salinucci di Perugia e ne dette per sicuro 
indizio l' arma o lo stemma stesso che ne portavano. In 
tre rami si divisero i Maidalchini ; e quello, da cui de- 
rivò Olimpia , fu menato dal suo padre a Viterbo , ove 
con mediocre facoltà prese stanza. Ivi, essendo appal- 
tatore delle dogane del Patrimonio Giulio Gualterio o 
Gualtieri gentiluomo orvietano , il Maidalchini fu addet- 
to all'azienda come ministro, e a mano a mano ingra- 
ziatosi il padrone, ebbe anche la sua parte dei larghi 
guadagni. Mortagli la moglie orvietana di casa Febei, 
dalla quale avea avuto Andrea Maidalchini che fu poi 
marchese , ottenne a seconda moglie la figlia dello stesso 
Gualterio 2 onde derivò l'errore di alcuni cronisti che 

ti a. — e nobili Pamphilior. genere — spectabilis femina — Hie- 
ronymi s. r. e. cardinalis — urbis vicarii neptis ac Ioannis-Bap- 
tistae cardinalis soror — non minus propria quain maiorum — 
pietato conspicua — corpori hoc sepulchrum — animae coelum 
elegit — obiit die XIX deceinbris — MDCCCXXXIX. (Galletti 
Iscriz. rom. t. I. — Forcella, Iscrizioni Vili. 268). 

1 Prudenzia morì nel 1653, Agata nel 1656. 

2 Relazione di Alvise Contarini. Ms. Chig. e Casanatense. 



CAPITOLO I. 11 

chiamarono' Olimpia , nata da questo matrimonio , col 
casato di quella famiglia. 

Chi disse Olimpia nata a Viterbo , chi a Roma. Non 
vi è neppure accordo circa l 1 anno della sua nascita, poi- 
ché altri nota il 1594, altri il 1593. Ma le migliori te- 
stimonianze dei contemporanei ci fanno tenere per certo 
eh' ella vedesse la luce a Viterbo nel 26 maggio 1594. 
I contemporanei in fatti la dicono viterbese: l e il Ca- 
ferri pure affermandola di Viterbo, segna persino l' ora 
della sua nascita : il che dà a credere eh' egli ne avesse 
visto la fede di battesimo. * 

Oltre il fratello Andrea, nato dalla prima moglie 
del padre suo , abbiam di sicuro che Olimpia ebbe del- 
le sorelle non so se nate dalla medesima madre sua 
o da quella di Andrea. Due sorelle in fatti sono desi- 
gnate nel suo testamento del 28 gennaio 1654 col nome 
di suor Orsola e di suor Maria Vittoria, monache in San 
Domenico di Viterbo, che le sopravvissero. s 

Quanto ad Andrea Maidalchini , egli , odiatissimo dal 
popolo viterbese per 1* incetta che facea de' grani sino a 
cagionar sommosse, morì nella sua patria il 29 luglio 
1649. 4 

Raccontano che Olimpia , fosse anche rinchiusa nel 
monastero ov' erano già monache le sue parenti col 
proposito deliberato di farle cingere il velo. La giovi- 

1 <c Maggio 1646.... La medesima mattina partì per Viterbo 
sua patria la signora D. Olimpia forse per trasferirsi di colà 
a Loreto. » (Deone). 

2 « Nata, Viterbii anno 1594, die 26 inaji, hora 3 post. mer. » 
(Op. cit. pag. 276). 

3 Atti Simoncelli — Testamento et donationes a. 1654 
foglio 574 e seg. (Archivio di Stato a Roma). 

4 Giacinto Gigli, Diario ecc. 



12 PARTE PRIMA. 

netta però era così risoluta del contrario; che, non 
potendo in altra guisa levarsi d'attorno un confessore 
che la stringea perchè si monacasse, lo accusò di turpi 
sollecitazioni. Aggiungono che il mal capitato ebbe con- 
danna dall' Inquisizione di parecchi anni di carcere, ma che 
poi Olimpia, venuta in potenza, lo compensò facendo- 
lo a dirittura vescovo. Ma di questa e d'altre novel- 
le notate dal maligno Gualdi o Leti ! non terremo gran 
conto , restringendoci , con giusta bilancia, al certo e al 
provato nelle cose di sostanza, e, nelle indifferenti, alme- 
no al probabilissimo. 

Olimpia si maritò con mediocre dote a Paolo Nini da 
Viterbo e gli dette un figlio che in tenera età seguì il 
padre nella tomba. L' eredità del Nini rimase dunque 
alla madre, che così ebbe una ragguardevole dote da 
offrire a qualche illustre marito. Si deve mettere tra le 
favole il racconto romanzesco onde si dice che Olimpia , 
facendo con la sua famiglia viaggio per Loreto , s' incon- 
trasse per la via con Pamfìlio Pamfili, che da privato, con 
un solo servo, facea lo stesso divoto pellegrinaggio , e che 
da quella frequenza di compagnia nascesse lo scambie- 
vole amore e il seguente matrimonio. 

E vero piuttosto che lo zio di Olimpia, Paolo Guaite- 
rio figlio di Giulio , già imparentato coi Pamfili, 2 volle far 



1 Vita di donna Olimpia col nome di Abbate Antonio Gual- 
di. V. Prefazione. 

* Qui il Contarmi dice che Paolo avoa per moglie una sorel- 
la di Pamfìlio e di Giambattista poi Innocenzo X. E invero nel passo 
relativo a queste nozze fa confusione di persone e di tempi. Ma 
in fondo v'è la verità. « Con la quale heredità (del figlio,) havendo 
(Olimpia) formato una riguardevole dote procurò Pavólo Gual- 
tieri di lei zio, per esser figlio di Giulio, che si maritasse come 
seguì in Pamfìlio Pamfili fratello di Sua Santità de' quali era 



CAPITOLO I. 13 

cosa grata a questi e alla nipote con il contracambio di 
una ricca dote e d' un* antica nobiltà. 

Il marito di Olimpia , Pamfilio , avea servito nella 
corte di Ferdinando II granduca di Toscana. Dicono 
esercitasse anche le magistrature del Campidoglio, ma 
io non ne ho trovato memorie autentiche. ' Poco si sa 
del suo carattere, e bisogna andar cauti prima di credere 
alle affermazioni del Leti , il quale nello stesso tempo 
dice e disdice. Racconta egli che Pamfìlio teneva assai 
bassa la moglie e non la metteva in alcuna confidenza, 
onde tra per questo, tra per l'amore concepito pel suo 
cognato, Olimpia lo avvelenò. Ma ciò, se non inven- 
tato a dirittura dal Leti , fu un rumore sorto dalV odio 
popolare, mentre non sappiamo che Pamfìlio fosse di 
tempra così dura e feroce da indurre la moglie, per di- 
sperazione , a tal passo. In fatti lo stesso Leti in fretta 
in fretta soggiunge che la maggior parte degli uomini 
non credeva a queste ciancie maligne. 

Lasciando tali baie , lo storico non può dire con cor-* 
tezza se non che Pamfìlio, morendo nel 29 agosto 1639 
di circa 75 anni, lasciò tre figli , cioè due femine e un 
maschio. Le femine furono Maria maritata, prima che 
Giambattista fosse papa, al principe Andrea Giustiniani 

erignato essendo legato in matrimonio con una loro sorella, cho 
perciò alla sopradetta signora Olimpia dichiarasi il Pontefice 
molto obbligato e per la ricca dote portata in casa Pamfìlio e 
per havere sovvenuto con essa i suoi bisogni.» Relazione cit. 
pag. 415. t. 

1 Nel 1643 si trova registrato nei Fasti capitolini fra i Con- 
servatori un Camillo Parafili. Porse o senza forse fu il figlio di 
Olimpia benché toccasse appena ventun' anno (Palazzo dei 
Conservatori : prima camera dei fasti moderni). Veggo an- 
che un Giulio Pamfìli nel 1585 tra i Conservatori (Pompili Oli- 
vieri, Il Senato romano nelle sette epoche di svariato gover- 
no da Romolo fino a noi, Roma 1840. pag. 323). 



14 PARTE PRIMA. 

povero cavaliere, fatto erede dal vecchio marchese Giusti- 
niani, e Costanza Camilla sposatasi in appresso al prin- 
cipe Nicolò Ludovisio. ' 11 maschio, che fu Camillo, nac- 
que nella città di Napoli il 21 febbraio 1622 nel tempo 
che monsignor Giambattista era nunzio a Napoli e avea 
per compagnia il fratello e la sua famiglia : * cardinale da 
prima , poi non più , e marito dell' Aldobrandini : di che 
parleremo a suo luogo. 

Olimpia restò donna e madonna della casa Pamfili , 
e, quel che fu meglio per lei, in istrette confidenze con 
Giovambattista fratello del defunto Camillo ornai sali- 
to in ecclesiastiche dignità e in isperanza ogni giorno 
di meglio. Quando Olimpia entrò nella casa Pamfili il 
cognato non era che abbate, e perchè venuto al mondo 
nel 7 maggio 1574, la precedea di circa venti anni. 
Era di corpo alto e robusto: fronte ampia e rugosa, 
barba rara, carnagione olivastra, complessione san- 
guigna. 3 Brutto insomma, ma severo e maestoso, pie- 
no d'acume e d'ingegno. Non tardò egli ad accor- 
gersi delle belle qualità della donna, e perciò a mo- 
strare di stimarla moltissimo, a chiedere e a valersi 
de' suoi consigli, a riverirla grandemente. Olimpia dal- 



» «.... 1644.... Fu conchiuso il parentado tra il principe Lu- 
dovico e la signora Donna Costanza Pamfilia con dote di scudi 
contornila... Si pubblicò anche il parentado tra il fratello del Car- 
dinal Costaguti e la nipote della signora Donna Olimpia figlia 
del Sig. Andrea Madalchino suo fratello, e danno al giovano ti- 
tolo di Duca sopra un castello comperato dagli Baglioni... » 

2 Gualdo Priorato, Scena d' Uomini illustri (In Veneti a 
1659). Lei C. nella breve vita del d. Camillo. 

3 « La sua statura è alta et asciutta, V occhio piccolo, il piede 
grande, la barba rada, il colore olivastro, la complessione adu- 
sta, la testa calva et insomma ben complesso di ossatura e ner- 
vi, ecc. » Contakino, Relazione. 



capitolo i. 15 

l'altro lato, siccome accorta e sagace, fondò sul co- 
gnato le sue vaste idee di fortuna, né perdonò a fatica 
e a industria perchè colui, che dovea trasportarla in alto, 
sempre più fortificasse l'ala per giungere alla cima, l 

Non v' ha dubbio che la donna non avrebbe rag- 
giunto nulla se il soggetto , che ella volea promuovere 
col sussidio anche delle sue scaltrezze , non fosse stato 
fornito di molti meriti. Giovambattista Pamfili, non era 
uomo di pregi comuni. Operoso, leale con gli amici, 
astuto e scaltro nei pubblici negozi, irreprensibile, te- 
nace e costante. 

A dire il vero però sul principio egli non avea mo- 
strato molta inclinazione allo stato ecclesiastico. Nella 
prima gioventù , valentissimo nelP arme , era vago di 
girar la notte facendo le prodezze che allora usavano 
i nobili giovinastri. 2 Ci è detto che monsignor Girola- 
mo suo zio si lamentasse che il nipote , benché avesse 
una certa attitudine alle lettere, pur non volesse ap- 
plicarvisi di proposito e invece menasse una vita da spa- 
daccino e da scioperato: onde i curiali ad esortare il giova- 



i Notiamo sulle" relazioni di Olimpia e del cardinale Giam- 
battista il seguente passo dell' Amidenio (Elogia). « ... Fami- 
liaritatem cum cognata cardinalem tantam habere ut nulla 
major: imo vicini ipsius audacter affirmant sepe (saepe) vidisso 

cardinalem Olympiae suavium inferrentem, et haec quidem pa- 

lam ferebantur absque ulla verecundia. » — Avverto ora per sem- 
pre che i codici Casanatense e Corsiniano di questi Elogia sono 
sì scorretti da far disperare talvolta di cavarne il senso. Tale 
è il periodo appresso a quello che ho riportato e che perciò tra- 
lascio. . 

2 « et aliquando noctu Philippum Clumnensem Come- 

$tabilem obviam habens in magnas conjecit angusti as ut ipse 

Philippus pluribus circumstantiis mihi edixit » Amidenio, 

Elogia. 



16 PARTE PRIMA. 

ne che almeno mutasse il saio nella toga per compiacere 
allo zio. Vinto dalle loro preghiere, Giovambattista, men- 
tre lo zio villeggiava a Frascati insieme con l'amicissimo 
suo cardinal Cusano , gli si fece innanzi air improvviso 
in veste talare o lunga, segno di buone intenzioni. Tutto 
lieto Girolamo lo fece ascrivere nel numero degli avvo- 
cati, e, fatto poi cardinale, gli ottenne la carica d' Udi- 
tore di Rota , ove dice il biografo valse più per giudizio 
che per iscienza. 

Da allora in poi la sua carriera non patì più fer- 
mata o regresso: ogni passo lo portò innanzi e più in- 
nanzi. Clemente Vili lo creò avvocato concistoriale e 
Uditore di Rota: l Gregorio XV, il Ludovisi, amico del 
cardinal Girolamo e suo, lo inviò nunzio a Napoli e così 
gli dette modo di raccogliere non mediocre quantità di 
danaro. Urbano Vili lo richiamò da Napoli per darlo 
compagno in qualità di datario al nipote cardinal Fran- 
cesco nella legazione in Francia e Spagna. * 

Nominatolo poi patriarca d'Antiochia in partibus 
lo mandò nunzio apostolico a Madrid nella corte di Fi- 
lippo IV. Che più ? Lo creò cardinal prete del titolo di 
Sant' Eusebio nel 30 agosto 1627, lo pubblicò, assente, 
nel 19 novembre dello stesso anno, e gli dette il cappello 



1 Dicesi cho 750 decisioni di lui in tre grossi volumi si con- 
servino in casa Doria. Stieno pur lì : io certo non li toccherò. Del 
resto T opera sarebbe ponderosa se fosse del Painfili. Ma si sa 
bene (e ancora non n' è spenta la memoria) che dello decisioni 
rotali il nome era del prelato ma la fatica era tutta di vecchi 
avvocati chiamati ajutanti e di giovani chiamati segreti ne- 
gli Studi rotali. Io già, come segreto, ne feci esperienza. 

2 I cardinali legati apostolici e legati a latere aveano estese 
facoltà , e perciò conduceano un tribunale di Dataria col Datario 
per mezzo del quale esercitavano la loro giurisdizione nella col- 
lazione dei Benefizi. Questi soleva essere un Uditore di Rota, 



CAPITOLO I. 17 

rosso nel 6 luglio del 1630 ! quando lo accolse di ritorno 
dalla Spagna e dalla legazione di Germania. Nella Spa- 
gna il Pamfilio avea più ingrossato la sua borsa , 2 ed 
ora non mirava che a guadagnare in Roma nuove e co- 
spicue cariche. E n'ebbe in abbondanza. Fu prefetto della 
congregazione delle Immunità ecclesiastiche , prefetto di 
quella del Concilio , segretario di Sant' Uffizio , protet- 
tore del regno di Polonia. Se non si sapesse come il 
colore violaceo o rosso dessero nella cprte di Roma 
ogni capacità più diversa a chi l' indossava, non cre- 
deremmo affatto che un uomo potesse, non che com- 
piere, ma appena delibare tante cose e così dispara- 
te. Ma di questi miracoli ne abbiamo visti anche a 
tempi nostri e quasi ci crediamo. 

E da notare poi che in tutto questo salire del cardi- 
nal Pamfilio i Barberini gli furono favorevolissimi ; onde 
Urbano solea dire ch'essi riscaldavano nel lor seno il 
serpente. 3 

I libellisti raffermano, ma per me è solamente 
molto probabile, che nella sequela di fortunati incarichi 
e d'onorificenze conseguite dal cognato, Olimpia met- 
tesse molto della sua opera sagace e di quelle feminili 
accortezze che sfuggono alla storia , ma che pur troppo 
hanno gran potere in qualunque grado della società; in 
ogni tempo, più nelle corti, e assai più in una corte 
di celibi. Neil' esaltazione al papato d' Innocenzo ella 
avea già attinto per lo meno cinquant' anni ; e se avesse 

1 Caferri cit. pag. 248. — Il Gigli ricorda la bella cavalca- 
ta che il Pamfili fece in questa occasione. Diario, luglio 1630. 

2 U Amidenio da cui abbiamo tratto alcuni particolari, dico 
che tornò a Roma « cum gazis Hispania congestis (fuit enim 
pecuniarum quovis tempore avidissimus) » Elogia. 

3 « fovore serpentem in sinu. » (Amidenio Elogia). 

Ciampi. — Innocenzo X e la sua Corte, 2 



18 PARTE PRIMA. 

cominciato in questa età già tarda a dedicarsi tutta quan- 
ta a cose gravi , non le si potrebbe dar merito di aver 
fatto alla cura degl' interessi gran sagrificio di gioventù 
e di spassi donneschi. Ma sin da quando le morì lo sposo 
Pamfilio , benché giovane e bella , avea rinunciato a ogni 
piacere del suo sesso. Non frequentava balli, festini e 
veglie se non raramente, e ciò non tanto per esser- 
ne schiva, quanto per la noia che provava in abbi- 
gliarsi, e anche per avarizia, non volendo le cortesie ri- 
cambiare, com'era conveniente, con altre cortesie di- 
spendiose. E .a questo proposito solea dire che le donne son 
fatte per accumulare e non per gittare. ' Sdegnava anzi il suo 
sesso medesimo e rifuggiva dallo spender con le donne molte 
parole col dire sovente che non avea tempo da perde- 
re. Più dei feminili passatempi si compiacea dei diletti 
propri degli uomini, come quello della caccia, a cui si 
recava accompagnata da altre signore che il Deone , per 
esser maritate, chiama più Caliste che ninfe. 2 Si compia- 
ceva moltissimo di gravi colloqui con personaggi politici 
ai quali pareva arca di scienza : imperocché con molta 
franchezza esprimesse profondi concetti, che, uditi da altri 
anche una volta sola e ritenuti nella memoria tenace, pa- 
reano nati allora allora nella sua testa ed esposti come 
fossero cosa sua. A queste doti dell 7 ingegno non colto, ma 

1 Non si hanno tracce di amori di Olimpia. Qualche voce di 
matrimonio. 11 Deone nel 24 dee. 1644, dice: «Venerdì mattina 
l'anticamera portava due nuove affatto improbabili: la prima, 
matrimonio fra la Signora Olimpia Pamfili e '1 Sig. Mario Fran- 
gipane; la seconda non solo improbabile, ma empia, che i fran- 
cesi fanno scrivere sopra la nullità dell' elettione del papa. » 

2 Deone 1648 « Sabato passato la Signora Olimpia andò 

a caccia di quaglie con ducendo seco una quantità di damo ami- 
che più Caliste che Ninfe sendo accasate tutte. » — È nota la 
favola di Calisto o Callisto, ninfa di Diana, sedotta da Giove, 



CAPITOLO I. 19 

pronto, s'aggiungea un carattere risolutissimo, per cui, fat- 
to un proposito, lo ponea senza indugio in pratica. Al che 
contribuiva anche la persuasione, eh' era in lei, di non poter 
pensare che bene : e tanto era in questo il suo presumere, 
che mentre non udiva consigli da alcuno, li dava altrui vo- 
lentieri e si mostrava crucciata se altri non li seguisse. Nello 
stesso tempo poi che operava a suo prò , non si smarriva 
per opposizioni, nò per satire, nò per maledizioni, nò per 
la furibonda voce del popolo che, quando ella fu in 
grand' auge , ogni tanto le dava segni del suo cruccio fe- 
roce. Domandata una volta da una signora come stesse 
di salute , ella rispose alteramente e col suo parlar roma- 
nesco: Io sto. come un cavallo biastimato. 1 Il roma- 
nesco biaslimare per bestemmiare vive tuttora e si ap- 
plica dal popolo non solamente per le imprecazioni ai 
celesti, ma anche per quelle che riguardano gli uomini. 
Il popolo dice per proverbio : A cavallo biastimato gli 
luce er pelo. E se mai vi fu cavallo bestemmiato con 
più lucente pelo fu questa Olimpia. 

La quale al carattere pensoso, malinconico e perciò 
dubbio e alcuna volta infingardo cV Innocenzo , 2 dovette 
esser correttivo e compimento, s' egli è vero che un ami- 



i Diario di Giacinto Gigli, Decembre 1649. 

2 « Parla per l'ordinario poco o rare volte di matorie di lettere 
diffondendosi per lo più i suoi discorsi in cose economiche. 11 tem- 
peramento tira al malenconico; e se talvolta burla o trascorro 
in qualche facetia; non vi ha molta gratia: onde si vede che in 
ciò contrafà la sua naturale disposinone. Sbandisce da so, quanto 
più si può, ogni pensiero che possi in qualsivoglia maniera in- 
quietarlo: onde quando pure gli si para avanti qualche accidente 
travaglioso, che l'obbliga ad affissarvisi, ne rimette la discus- 
sione.... » Eelaziono di Giovanni Giustiniani. Ms. Corsiniano o Ca- 
sanatense. 



20 CAPITOLO I. 

co o una donna son necessari a un uomo por essere in- 
tiero. ! 

Per verità b da notare come non vi sia traccia in 
diari o storie accreditate che Olimpia per fungere al fine 
de' suoi alti desideri ricorresse alle scienze occulte. Ep- 
pure donne che si trovarono nelle condizioni quasi simili 
alle sue non si fecero scrupolo di ciò. Nò per arricchirsi , 
come ella ardentemente desiderava, adoprò V alchimia 
della quale pur fece strumento alle sue idee la stessa 
Maria Cristina, che, oltre a sfamare molti impostori 
di quest' arte , s' affannava a far decifrare e illustrare 
le misteriose lettere che si leggono nella porta della 
villa Palombara siili' Esquilino. Sembra che la Mai- 
dalchini fosse dotata di carattere poco fantastico e che 
s'attenesse ai mezzi procacciatile dalla mento per ac- 
crescere le sue fortune senza ricorrere alle ubbìe del 
tempo , alle quali probabilmente (benché il Leti ne fac- 
cia un fuggevole cenno) essa non prestava fede né pun- 
to nò poco. 

Non mancarono però auguri al pontificato di Giam- 
battista Pamfili. Una figlia della nipote del papa, Olim- 
pia, figlia di Maria di donna Olimpia maritata al prin- 
cipe Andrea Giustiniani, che avea allora tre anni, 
amata ed educata dall'ava in sua casa, menata nella 
camera ove dormiva il cardinale , vide entrar per la fi- 
nestra una colomba e le corse dietro con ansietà fan- 
ciullesca, finché l'uccello, dopo alquanti giri e svolaz- 

1 1646, 9 giugno.... « .... La Signora D. Olimpia e guardigna 
della saluto del papa.... » 

28 nov. 1646, « per l'authorità che ha, appresso Sua San- 
tità acquistata con longa osservanza di servitù è conosciuta per 
dama di valore, ondo non è meraviglia che ottiene del papa ciò 
che vuole. » (Deone). 



PARTE PRIMA. 21 

zi, si posò stanco sul letto del cardinale. La colomba 
era V arme dei Pamfili. La giovane fu ritenuta per buona 
auguratrice e n' ebbe ricompensa ; poiché in appresso, 
di dodici anni, fu maritata a Maffeo Barberini con dote 
a cui contribuì con settantamila scudi la stessa Olimpia. 

11 Pamfili fu dunque eletto pontefice , malgrado che 
molti elettori agitassero in mente quei dubbi che sono 
svelati dalla relazione del Giustiniani in tal modo: «... Si 
offendevano alcuni di quell'aspetto tetrico e saturnino, 
riputato ritratto d' un animo contumace e restto , ed in 
esso ravvisavano costumi mal adattati alla placidità , che 
doverebbe esser propria di chi porta il nome di padre 
universale. Altri si avvedevano che il pontificato sa- 
rebbe stato soggetto a un' impotenza donnesca per V af- 
fetto sviscerato che il cardinale dimostrava alla cognata, 
arbitra assoluta di tutti gli affari più gravi ; che con- 
cernevano gì' interessi eli sua casa , non senza opinione 
che il detto affetto havesse fatte altissime radici con 
più che platonica simpathia, il che era punto impor- 
tantissimo considerati gli spiriti vehementi di quella si- 
gnora , che si son poi dati nell' atto prattico largamente 
a conóscere.... » 

Né Olimpia fu estranea agi' intrighi del conclave. 
Non mi varrò , per provar questo , dei libelli , ma sì 
dei detti di un buono storico eh' è il Galluzzi, il quale 
narra che Innocenzo fu poi irritato contro i Barberini 
perchè dubitando «...che venissero a luce i documenti delle 
pratiche tenute per la sua esaltazione , gli avea richiesti 
con grande insistenza al cardinal Antonio che gli de- 
negava costantemente. Forse questa negativa era la cau- 
sa principale per cui il papa si era alienato da loro.... » 
E appresso : « La parzialità che Innocenzo X mostrava 
per gli Spagnuoli e per i principi della Lega , la prò- 



22 PARTE PRIMA. 

mozione fatta di due cardinali addetti alla Spagna, e 
la negativa data del cappello al frate Mazzarini fra- 
tello del cardinale, aveano irritato talmente quell' accorto 
ministro che già si minacciava la pubblicazione dalli in- 
trighi del conclave e un parere di molti teologi che 
T elezione del papa non fosse canonica. I biglietti scritti 
^dal cardinale Antonio all'ambasciatore contenevano dei 
fatti che interessavano l'onore di Donna Olimpia e la 
quiete di Sua Santità.- » ! 

Quando accadde il lieto evento, nell 1 impeto della 
gioia un muratore, disfacendo la cella del conclave, gridò: 
Viva Papa Innocenzo ! Il popolo scambiò il nome d' In- 
nooenzio (come si diceva) in quello di Crescenzio, e corse a 
furia nel palazzo Crescenzi alla Rotonda per dar segno della 
sua soddisfazione col saccheggio del palazzo stesso. Chia- 
rito però dell' equivoco , volse i suoi passi verso il palazzo 
Pamfili, in cui si disponeva a dare il poco gentil segno 
del suo contento. La stessa donna Olimpia fu quella che 
aprì le porte al popolo. Ma, accorta com'era, aveva già tra- 
fugato il più bello e il più prezioso degli arredi, e lasciò che 
la plebe si sbizzarrisse a suo grado sopra il rimanente. 

Intanto ella uscì quasi subito dal riguardo che ave- 
va usato fino allora di mostrarsi molto umile e pia: 

■ 

tanto che Pasquino disse che Olimpia era stata Pia ed 
ora s'era fatta Im-Pia, e che Innocenzo piuttosto che 
1' Olimpo guardava Olimpia. Nel giorno del possesso si 
recò la dama in Campidoglio a vedere la festa nel palazzo 
dei Conservatori in cui avea ordinato un banchetto per otto 
persone, a cui invitò venticinque signore. Ma quando fu ora 
di sedervisi, ella ne chiamò solamente otto, lasciando le al- 



1 Istoria del Granducato di Toscana sotto il governo di 
Casa Medici. Ed. IL Tomo VI, pag. 205, 206. (Livorno 1781). 



CAPITOLO I. 23 

tre alla finestra, come è ben da credere, assai mortifi- 
cate. l Era il preludio della superbia con cui avrebbe 
visto cardinali e magnati stare innanzi a lei a capo 
scoperto quando sarebbe scesa dalla lettiga per entra- 
re, baldanzosa, negli ospizi, nelle sale dei nobili, nei 
palazzi degli ambasciadori. 2 

Furono piuttosto tristi i presagi elio si fecero sul 
governo del nuovo pontefice. E il Giustiniani appunto ci 
dice che « interrogato un cardinale d 1 invecchiata pru- 
denza che giuditio si potesse fare del cardinale Panfìlio 
quando arrivasse ad esser papa, senza pensarci molto 
rispose che sarebbe stato un ottimo pontificato da Pon- 
temolle in qua (stava egli in Roma): volendosi inferire 
che per quel che toccava a mantener la città abondante 
<hì abbellirla d'edificii, a non gravarla di nuovi tributi 
ot a promovere i comodi della nobiltà romana si sa- 
rebbe fatto conoscere buon papa, ma per interessarsi 
profittevolmente nell'interessi del mondo e per promo- 
vere con la debita premura il servitio commune della 
Christianità, si sarebbero incontrate difficoltà, et il pub- 
] >lico ne haverebbe sperimentato notabil detrimento. 3 » 

Un anagramma fatto da un letterato paziente col 
nome del Pamfili asseriva a dirittura che egli avrebbe 
avuto un pontificato pieno di spine. 4 



1 Gigli Giacinto. Viario. 

2 Amidenio. Elogia cit. 
:j Relazione cit. 

4 Joannes Baptista Pamphylius — Altis in spiuis papataiii 
liabeo (Andreae Taurelli, De novissima electione Innocentìi X 
poni. opt. max. liber singularis (Bononiae 1644) pasf. 32. 



24 



Capitolo II. 



Incoronazione e Possesso. — Iscrizioni veneziane. — Per- 
secuzioni e vicende dei Barberini. — Rivoluzione di Na- 
poli. — Politica d'Innocenzo. — 11 duca di Guisa. 



1/ anagramma del Taurelli (altis in spini s papatum 
habeo) fu arguto forse, ma non fondato sulla verità: 
poichft se Innocenzo ebbe spine in ciò che riguarda lo 
relazioni con la famiglia , si può dire che fosse felice in 
quasi tutte le vicende del suo pontificato. E quanto ai 
commodi della cristianità , eh' egli , secondo i pronostici 
del Giustiniani, avrebbe messi da parte, non fu viltà ze- 
larli poco, o meno di prima; ma cauta prudenza consi- 
gliata dal cambiamento di tutta la politica dogli Stati 
europei. Ma di ciò faremo più largo ragionamento in 
appresso. 

Nel 4 ottobre del 1644 Innocenzo fu incoronato nella 
Basilica vaticana dal cardinal Carlo de' Medici decano del 
sacro Collegio , e volle che nel diploma apostolico fosso 
inserito il motto: Dà al tuo servo cuor docile perdio 
possa giudicare il tuo popolo. T 

Assistevano alla solenne cerimonia gli ambasciadori 
stranieri e in due grandi palchi le dame , fra le quali 
splendea donna Olimpia con una sua figlia. Venuta la 
notte, la città fu piena di feste e di fuochi di gioia. 

1 Da sono tuo cor ducilo nt populum tuuni jndicare possit. 



CAPITOLO II. 25 

Neil' une e negli altri si distinse la nazione spagnuola. 
Il palazzo dell'Ambasciata fu ornato di un doppio or- 
dine di torcic di cera. Innanzi alla chiesa nazionale di 
San Giacomo in piazza Navona suoni di trombe e di 
tamburi e una gran macchina che rappresentava l'arca 
di Noè nella cui cima era una colomba col suo ramo d'o- 
livo in bocca, arma di papa Innocenzo. Fu incendiata 
la macchina piena di razzi, e con gran piacere e me- 
raviglia dei riguardanti la colomba, fra tante fiamme, ri- 
mase intatta. Prodigiosa colomba ! - 1 

Nel 23 novembre dell' anno stesso Innocenzo prese il 
solenne possesso dell'episcopato di Roma in Laterano. Gran 
corteggio; feste grandi; suntuosi apparati, archi trionfali, 
iscrizioni di lode esagerata. Parve però un' ironia quella 
che dicea non dover lui che a se stesso tanta sublime al- 
tezza: nulla all'altrui virtù o consiglio o alla Fortuna. 2 

Tra le feste, ove non fecero difetto o le torcie di 



1 Deoxe, Diari 1644. — Egli motto V incoronazione (V limo- 
coir/o nei giorno 11 ottobro. 

2 «....qui romani sanguinis, romani consilii , sui nihil incre- 
mento alienae virtuti debet, nihilquo fortuna» ecc. » 

Sulle cerimonie fatto per il possesso (T Innocenzo X molte de- 
scrizioni. Veggasi specialmente Fulvio Servanzio cerimoniere. Gat- 
ti co Ada Caerem. p. 412. V. Cancellieri. Storia de' solenni 
possessi de' sommi pontefici Roma 1802. pag. 208. Nota 1 <* 
2, e pag. 244, note. Notevole è il passo da lui portato dal libro 
Laurent ii Banck Norcopensis Gothi: Roma triumphans seu 
Arcus Inaiigaratiomim et Coronationtim Ponti ficum Roma- 
norum et in specie Innocentii X. P. M. brevis descriptio. 
Accessit in fine appendix de quarumdam Rom-Pont. Cu e- 
remoniarum origine. Franekerae 1645, et 2 ed. 1656. — Uno 
«lei più copiosi cataloghi di ciò che fu fatto e pubblicato per l' in- 
iezione e il possesso d' Innocenzo X veggasi in Giuseppe De No- 
vaes. Elementi della storia de 9 sommi pontefici, tomo X. (Ro- 
ma 1822) pag. 8. n. a; pag. 9. n. e: pag. 10. n. b. 



"•> 



KG l'ARTK PIUMA. 

rora bianca e le botti abbruciate e i razzi capricciosi , 
vuoisi rammentare il vino che fluiva dalle bocche dei leo- 
ni di porfido in Campidoglio ! e la statua di Pasquino , 
che, rifatta delle membra che le mancano, figurava un 
Nettuno con la sua corona, il suo tridente e la sua conca 
tirata da due cavalli marini. Ne mi par da tacere In 
vaga tradizione che dice appunto per reiezione d' Inno- 
cenzo illuminata per la prima volta la cupola vaticana. 
Una delle prime cose, che fece il nuovo papa, deve 
esser posta fra le più lodevoli. Quantunque i Veneziani, 
dopo T interdetto di Paolo A' , fossero stati rimessi in 
grazia della Santa sede ; pure non avoano avuto intiera 
pace: poiché ora pel titolo dei cardinali, ora per la 
navigazione del Golfo, si bisticciarono anche con Ur- 
bano Vili. Questi, nel bollore del suo sdegno, avea 
latto levare nella sala regia del Vaticano, da sotto 
l'affresco del Salviati, che rappresenta l'obbedienza 
di Federico Barbarossa ad Alessandro III, la iscrizio- 
no che v'era stata fatta porre da Pio IV in lode 
dei Veneziani, * ne più ve la rimise: tanto che parve 
opera assai giusta e graziosa quella d' Innocenzo , per- 
la quale, di suo moto, nel luogo stesso fece porre 
una nuova iscrizione sebbene molto più semplice e as- 
sai men larga di espressioni riconoscenti verso Venezia 



1 xVntonio Gerakdi: Ceremonie fatte per V incoronazione di 
papa Innocentio X. 

s II testo della iscrizione era questo: — Alexander papa ter- 
tius — Federici primi imperatoris iram et impotum fugiens — 
ahdit se Venetiis — cognitum et a Senatu porhonorifice susce- 
ptum — Ottone imperatoris filio navali proelio — a Venetis vi- 
eto captoque — Federicus pace facta supplex adorat — fldem <*t 
nhbedientiam pollicitus — ita pontifici sua dignitas venetae roi- 
puhlicae — beneficio restitnta -- MOLXXVII. (Novaes cit.) 



CAPITOLO H. 27 

che non fosse stata la prima (9 novembre 1644). l Al- 
trettanto però non piacquero alcune parole che ricorda- 
vano, appresso alla nuova iscrizione, il fatto di* Urbano 
e quello d'Innocenzo su questo proposito; e^ non so se 
vivente il Pàmfili o dopo la sua morte, vennero cancel- 
late. ■* . *■ '■■ 

Con tutto ciò, se non fu avaro ai Veneziani di qual- 
che onore, Innocenzo mancò di propositi e di costanza 
nelF aiutarli per la guerra di Candia, in cui essi furono 
involti dal 1644 ai 1669, óltre il presente pontificato. 3 
È vero che al papa si dette lode di avere indotto Napoli 
ossia Spagna, il Granduca di Toscana e Malta a unire 



i « La notte del sabato alla domenica passata", il papa fece uma- 
zione che fu molto plaudita, perchè fece rimettere V iscrizione nella 
sala regia, cui il defunto papa aveva fatto cancellare, senza aspet- 
tare di esserne pregato dai Veneziani » (Carteggio di Saint Chau- 
mont ambasciatore di Francia a Roma. Ms. della Bft)l. del 
Be, n. 1099. 7S7. Lettera al sig. di Brienne dei 14 novembre 1644. 
cit. da Dabu, Storia della Republica di Venezia (Capolago) 
t. VII pag. 174. 

La nuova iscrizione fu la seguente, di cui si disse autore Fe- 
lice Contelori. — Fridericus. imperator. Alexandrum. III. ponti- 
ficem. quera. diu. insectatus, fuerat, post, constitutas. cum.eo.pa- 
cis. conditiones. et. damnatum. schisma,. Venetiis. supplex. adorat. 
(Caferri cit. pag. 318). 

2 Vi furono su ciò , al solito, anche delle satire. « Si discorse 
sopra T impertinenza delle parole trovate in Sala Eegia sotto quel- 
la mutata e dopo cancellata inscrittione Veneta da papa Urbano. 
Le parole dicevano: Formulam quam Urbanus urbane dele- 
vit Innocentius innocenter reposuit. Pensa alcuno che il de- 
linquente T habbia fatto per insospettire li Barberini... » (Deonb, 
Diari gennaro 1645). 

3 Fu narrata questa celebre guerra da Giambattista Nani, 
Storia della Republica di Venezia, da Andrea Vauer, Gual- 
do Priorato, Vittorio Siri, Alessandro Maria Vinnoli, Gio- 
vanni Oraziani ecc. 



28 PARTE PRIMA. 

lo loro galere alle poche sue, tanto da formarne uno 
stuolo di ventitré , sotto il comando del principe Ludo- 
visio marito di Costanza sua nipote. Ma la flotta fece 
vela troppo tardi ; non impedì che la Canea cadesse in 
mano dei Turchi , e nel tempo seguente non intraprese 
più nulla anche di poca importanza. Poco giovarono a 
Venezia le decime concessele pure dal papa sull'entrata 
del suo clero e duemila fanti in Dalmazia nel 1G47. Il fatto 
ò che rimase sola a contrastare ai Turchi Candia, Stan- 
dìa e altre isolette, uniche spoglie rimastele della sua 
potenza in Oriente. L'Imperatore non se ne curò; nò 
se ne curò la Francia, alleata anzi della Porta. Sola- 
mente il cardinal Mazzarini, fra i tumulti della Fronda, 
quasi di nascosto, dette di suo un sussidio ai Veneziani 
di centomila scudi, tre navi incendiarie e nove vascelli. l 
Pei voti dati a Innocenzo, la Francia intanto non era 
contenta dei Barberini. 2 Né andò molto che dette sfogo 
al suo sdegno togliendo al cardinale Antonio la qua- 
lifica di protettore della corona e richiamando l'am- 
basciadore Saint Chaumont che non avea saputo tute- 
lare i suoi interessi. 



1 Vedasi Giustiniani Michele, Raccolta di lettere. 

2 « Vedendo il cardinal Barberino che li voti per Cennino cre- 
scevano, dubitando che il Ponteficato uscisse dalle sue creature, 
la sera instituì la prattica per il cardinal Pamfilio la quale fu 
conclusa, e la mattina del Giovedì fu pubblicato papa con 48 
voti, e si dice che in questa prattica fu circonvenuto il cardinal 
Antonio. Viddi il papa la mattina a letto, et al tardi calò in 
San Pietro. La fattione spagnola credè d' aver ottenuto un sog- 
getto favorevole, e così ò stimato. » (Deone. 1644). — Conclave 
e successi nella Sede vacante di Urbano Vili colla felice 
assunzione al pontificato del cardinal Pamfilio che si è no- 
minato Innocenzo X. Ms. tradotto dallo spagnuolo. IJibl. di Sie- 
na. K. IV. 5. 



CAPITOLO II. 29 

Il nuovo settuagenario pontefice fece mostra, allora, 
di benevolenza verso i Barberini per la cui opra era 
stato messo sui trono. l Ma non si fecero buoni auguri 
per loro quando a Taddeo fu tolta la dignità di Gene- 
rale della Chiesa e messagli anche in pericolo quella 
di Prefetto di Roma. 2 Esplose poi la tempesta a di- 
rittura sulla formidabile casa non solamente perchè i nemi- 
ci di lei tra il popolo e nella corte fecero udire aperta- 
mente i loro richiami, ma anche perchè gli Spagnuoli 
vollero vendetta delle contrarietà avute da essa sotto 
il precedente pontificato per favorire la parte francese. 
E naturale che appunto per questa inimicizia degli Spa- 
gnuoli la corte di Francia rimettesse in sua grazia i 
Barberini e aprisse nuovamente loro le braccia, tanto 
più che il Mazzarini era sdegnato contro Innocenzo che 
non avesse fatto cardinale il suo fratello Michele dome- 
nicano, arcivescovo d'Aix, come glie ne avea fatto ri- 
chiesta, opponendogli che una certa bolla vietava che 
due fratelli fossero ascritti insieme al sacro Collegio, men- 
tre era recente l'esempio dei due Richelieu. Il cardinale 
Francesco Barberini, a dir vero, non avea di che temere 
sulla sua persona non essendo stimato uomo facinoroso : 
non così il cardinale Antonio, che, come camerlengo del- 
la Chiesa e amministratore dei beni camerali, avea co- 
scienza di molte ruberìe, delle quali gli si stava per 
domandar conto col discarico della sua lunga e ingorda 
amministrazione. 3 

1 Nei Saggi di Storia Italiana (Berlino 1853-57 voi. 6 n. 8.) 
(Beitràge zur itàlienischen Geschichte) A. Eeumont. voi. V. 
parla della famiglia Barberini! 

2 Chi vuol saziarsi di pettegolezzi legga nel Siri la narrazione 
e i documenti circa alla questione della preminenza del Prefetto 
o degli ambasciatori. (Mercurio cit. t. IV. p. 2, pag. 716 e seg.) 

3 Gli si apponevano varie mancanze. 11 Deone (19 dee 1644) così 



30 PARTE PRIMA. 

Sul cardinale Antonio pesava poi sempre il sospetto, 
che sin da quando il papa era cardinale, egli avesse fatto 
uccidere il giovanetto Gualtieri o Gualterio nipote o stret- 
to parente dei Pamfili, che lo servìa alla camera « al- 
lora che i principali soggetti della corte romana si at- 
tribuivano a ventura il servirlo l » e avesse così prima- 
mente cagionato la scissura delle due famiglie. E perciò so 
ne stava in guardia : cosicché visti alcuni suoi servitori in 
prigione, impensieritosi del suo grave rischio, pensò bene 



dico :... « Colla occasione della cappella di Domenica mattina la Corto 
congregata discorreva che il cardinal Antonio si fosse preso volon- 
tario esilio da Roma e si renovavano lo querelo contro di lui por lo 
monache rapite in Bologna: nel qual fatto ho voluto sapere il 
netto , et è che fu vero che duo monache furono rapite et ò an- 
che vero cho il cardinal Antonio in questo ratto non ha colpa: 
e per vero non si sa so le monache dopo siano stato ucciso o 
no: la colpa del cardinal Antonio consisto in questo elio per au- 
torità sua siano fuggiti i rattori: poiché Monsignor Rinaldi Vi- 
cario per il cardinal Colonna Arcivescovo haveva appostato d'ha- 
vere in mano senza contrasto i ratti et i rapiti e dal Vice legato 
del Cardinal Antonio fu inibito. » 

1 Dice il Brusoni che origine della inimicizia fra i Barberini 
e Pamfili fosse che fu ucciso Gualtieri nipote del cardinal Pam- 
filio che serviva alla camera il cardinal Antonio « allora che i 
principali soggetti della Corte Romana si attribuivano a ventura 
il servirlo, e no venisse incolpato il medesimo Cardinale, quasi che 
avesse voluto castigare in quel giovine cavaliere un trascorso di 
libera gioventù poco riverente in rispettare anche nelle vanità 
giovinili la persona del suo Signore. » Lib. XII. pag. 407. 

Della historia d' Italia di Girolamo Brusoni lib. XL, ri- 
veduta dal medesimo autore, accresciuta e continuata dal- 
l'anno 1625 fino al 1676. In Venetia MDCLXXVI. — Por cu- 
riosità si sfogli la noiosissima scrittura intitolata: Prima vi- 
sita familiare fatta da Pasquino a Marforio dopo la feli- 
cissima assontione di pp. Innocentio decimo. Questa è in lo- 
do del papa. V ò poi la Seconda visita in biasimo dei Barbe- 
rini. Ms. nella Bibliot. Corsiniana (Cod. 235) di pag. 400 ! Cho 
secolo chiaccherono ! 



CAPITOLO II. 31 

di darsi alla fuga : e , segretamente in fatti se ne partì 
da Roma, raggiunse Genova e, imbarcatosi, si ricoverò 
in Francia (settembre 1645. *) dove pur giunsero sul 
principio dell'anno seguente Francesco e Taddeo. In 
Roma sequestri di tutte V entrate godute nello Stato ec- 
clesiastico dal cardinale; distribuite le sue cariche ad 
altri cardinali ; deputato un valente fiscale a rivedere 
i conti della sua amministrazione ; pubblicato un editto 
con cui gli si minacciava di togliergli tutto tutto e an- 
che il cappello ove dentro sei mesi non comparisse in- 
nanzi alla giustizia : e perchè i Barberini fecero dire al 
papa di esser francesi e quindi ordinarono si alzassero 
alle porte dei loro palazzi gli stemmi di Francia , un' al- 
tra bolla (21 febbraro 1646) in cui si dichiaravano deca- 
duti dal diritto d' intervenire nel conclave tutti i cardi- 
nali che, senza permesso del pontefice, fossero assenti da 
Roma. Così si colpivano a un tempo il Mazzarini e i 
Barberini. A Parigi, dove il Mazzarini temeva di essere 
incluso nella prescrizione di stare a Roma e d'essere 
perciò impedito dall' amministrare il regno di Francia, 
clero , Parlamento, Sorbona protestare contro la bolla , 
dichiararla viziosa nella forma e nella sostanza, appel- 
larsi da essa con la formola accettata d J abuso , proibire 
di mandar a Roma denaro per la spedizione delle bolle, 
minacciare di prendere Avignone, prepararsi all'azione 
delle armi quando le ragioni o ; cavilli non potessero 
altrimenti raggiungere l'effetto desiderato. 2 



1 V. in Gualdo Priorato, Scena d'huomini illustri (Ve- 
nezia 1659) lett. A. i particolari della fuga del cardinale An- 
tonio. 

2 Chi voglia saziar la curiosità di tale controversia consulti 
nella Bibl. Chig. I. III. 87 i seguenti manoscritti : 



32 PARTE PRIMA. 

Così la Francia e la Spagna, in una controversia 
di persone, si combattevano anche in Roma, come si 
combattevano da per tutto, mentre il Turco assaliva 
Tisola di Candia, i Veneziani difendevano a mala pe- 
na la Canòa, e la flotta delle ventitré galere di Napoli 
del Gran Duca, di Malta, di Genova e del pontefice, sfer- 
ratasi troppo tardi dai porti, come ho accomiato già so- 
pra, non potò impedire Y eccidio dell' isola. 

E maestrevolmente dipinta la condizione relativa del 
papa e del Mazzarini nella scrittura dell' ambasciatore 
veneto Giovambattista Nani a Luigi XIV. 

« ... Sin in privata fortuna tra il cardinal pontificio 
e Mazzarini passarono gare e inimicizie scoperte; Il pon- 
tificato nell' uno, il ministerio nell' altro non hanno valso 
a sopirle ; anzi a tanto più fomentarle , cimentandosi quasi 
la forza e l' istessa potenza. Pancirolo in favore del pa- 
pa, emulo antico di Mazzarini, è concorso ad aumentarlo 
d' avvantaggio. Ma siccome Y avarizia e la trascuratezza 
nel papa lo hanno divertito come doveva e poteva dal 
parlare della pace, dall' opporsi alla guerra d 1 Italia, dal- 
l' impedire con la voce medesima le novità e le tragedie 
in questa provincia infelice a distruzione di lei ed a fo- 
mento del Turco, così Mazzarini immerso negl' impegni 
esterni ed interni non ha voluto tirarsi addosso il cielo 
e la terra. Non ha però lasciato di colpirlo obliquamente 



Memoriale a N. S. Papa Innocentio X contro la casa 
Barberina (pag. 362). 

La mal consigliata fuga del Card. Antonio (pag. 370). 

Discorso di Frano. Mantovano sopra le cose de* Barberi- 
ni (pag. 382). 

Il Chirografo d'Innoc. contro il Card. Antonio (pag. 410). 

Lettera ai Cardinali lasciata dal Barberino nella sua 
partita di Roma a 16 Gen. 1646 e sua risposta finta (pag. 456). 



CAPITOLO II. 33 

e per fianco, comparendo in Italia con la forza e con 
Y armi, minacciando ogni anno le coste e i confini, in- 
traprendendo su' feudi ed a' fianchi di Roma, scacciando 
dagli Stati un nipote, riconciliando i Barberini alla Fran- 
cia, formando partiti, estorquendo il cardinalato al fra- 
tello, fomentando in fine Don Camillo contro il zio e 
la madre, nell' istessa casa del papa fomentando la di- 
visione ed i partiti. Non ci sarà per tanto mai tra loro 
buon sangue, il papa affettando di rovinare Mazzarini, 
e questo risoluto air incontro di sostenere appunto in cor- 
te di Roma il lustro e la stima del nome. l » 

Perchè tanta ira contro i Barberini finisse con ri- 
ceverli a mano a mano in grazia , * non fu senza ac- 
cortezza consigliata da grave necessità. La potenza spa- 
gnuola declinava; veniva in auge la potenza francese. 
E questa, rappresentata dal Mazzarini , prese pretesto 
di mostrare i denti dalla cacciata dei nipoti d'Urba- 
no Vili. Durava la lunga guerra tra la Francia e la 
casa austriaca ne' due rami in più campi d' Europa. Uno 
di questi era il Piemonte, ove il principe Tommaso di 
Savoia avea condotto molte volte alla vittoria le armi 
francesi. Era naturale che la guerra fosse combattuta 
più caldamente colà, ai confini del Milanese posseduto 



1 Relazione di Francia di Giovanni Battista Nani am- 
basciadore ordinario a Luigi XIV dall'anno 1644 al 1649: 
nelle Relazioni degli Stati europei lette al Senato dagli 
ambasciadori veneti nel secolo XVII ', raccolte ed annotate 
da Nicolò Barozzi e da Guglielmo Berchet. Serie IL (Fran- 
cia) Voi. IL (Venezia 1860) pag. 463. 

2 Anzi il Motuproprio <T Innocenzo, con cui dichiarò innocenti 
i Barberini, poco fu distanto dal tempo della disgrazia. Esso fu 
del 12 sett. 1646. (Gigli, Diario.) — Il cardinal Antonio Bar- 
berini tornò a Roma nel luglio 1653. (Id. id.) 

Ciampi. — Innocenzo X e la sua Corte, 3 



34 PARTE PRIMA. 

dalla Spagna, che non verso il regno delle Due Sicilie. 
Ma non era un uscire dalla linea d' azione mandan- 
do un' armata nelle acque di Toscana, che indirettamente 
punisse il papa col minacciare Piombino appartenente al 
suo nipote Ludovisio e nello stesso tempo s'impadro- 
nisse delle fortezze spagnuole (chiamate presidi) nelle 
maremme di Siena , che fossero scala al regno di Na- 
poli. Sebbene ò vero che l'astuto Mazzarini, pur mirando 
al napolitano, facea correr voce , a calmare l'invidia 
delle altre Potenze, che Napoli era per esser data a 
Tommaso di Savoia che avea colà assai partigiani. La 
flotta francese venuta appunto lungo le maremme di 
Siena, s'impadroniva del Forte delle Saline di Tala- 
mone, di Santo Stefano, e cingeva Orbetello: ma as- 
salita dall'armata siciliana o spagnuola, mandata dal 
viceré di Napoli, al quale competeva la difesa di quei 
Forti, i Francesi, dopo varie vicende, dovettero ritirarsi. 
Se non che il Mazzarini allestiva altra flotta, e ben presto 
potè sapere che Piombino e l'Elba erano in mano della 
Francia, (1646) che così riprendea l'onore dell'armi e 
si assicurava un porto sull' acque italiane , d' onde potea 
mirare al napolitano e turbarlo per via d'incoraggia- 
menti ai baroni malcontenti- e al popolo oppresso. l Gli 
Spagnuoli n'ebbero sgomento, ma intanto non cessava- 
no dal far mostra del loro orgoglio nella stessa città di 
Roma, dove venuto l'almirante di Castiglia, ambascia- 
dorè del re cattolico, alle prese col cardinale Rinaldo 

1 I particolari delle fazioni guerresche occorso nei lidi e nol- 
T acque toscane sono narrati dal conte Gualdo Priorato Histo- 
rie. Parte IV* nella quale si contengono tutte le cose uni- 
versalmente occorse dall' anno 1645 sino all' anno 1649. (In 
Venetia 1651.) pag. 31 e seg. — e anche diffusamente dal Siri, 
. Mercurio ecc. tomo Vili, 



CAPITOLO II. 35 

d' Este fratello di Francesco I duca di Modena, per mez- 
zo de' suoi bravi fece man bassa sul popolo, che mo- 
strò a visiera calata la sua avversione contro quella al- 
tera oramai e caduta nazione. (164G). 

Innocenzo mise forse in bilancia le due nazioni e 
vide di poter esser più sicuro con quella che mostrava e 
avea certo in quel momento più forza. l Gli dispiacea di 
Piombino venuto in mano de' Francesi anche perchò ap- 
parteneva al principe Ludovisio suo nipote. Volea riaverlo; 
e quindi cedette a più miti consigli tanto sul negozio del 
cappello, eh' egli finalmente concesse a Michele Mazza- 
rini col titolo di Santa Cecilia, quanto in ciò che riguar- 
dava i Barberini protetti dalla Francia minacciosa. Fece 
sospendere i processi criminali ; ordinò che il rendimento 
dei conti si facesse innanzi al Foro civile ; concesse che 
venissero loro restituite le cariche purché venissero a 
soggiornare in Avignone come ponte verso Roma da loro 
agognata (Motupropio del 18 sett. 1647). 

Nondimeno essi non ebbero per allora grazia intera : 
che gravi e inaspettati avvenimenti volsero altrove i pen- 
sieri e le cure dei reggitori di Roma. E questi furono la 
sollevazione di Napoli, la pace di Westfalia, la guerra di 
Castro. 

Nel 1647 furono le celebri sollevazioni di Palermo 
e di Napoli contro l'efferata signoria spagnuola, la quale, 
data ai viceré la responsabilità di mantenere alla corona 

1 « Sbigottita dunque la corte di Eoma dalla vicinanza di 
questi nuovi hospiti i quali facevano correr anche qualche con- 
cetto mordace contro i consultori del papa, furono non solo gra- 
dito T interpositioni del Re di Francia per l'aggiustamento dei 
fratelli Barberini; ma vennero chiusi gli occhi alle attioni di al- 
cuni Signori, che senz' alcun rispetto, nella medesima Roma, as- 
soldavano gente per mandarla sotto Orbitello. » (Gualdo Prio- 
rato, Hist. cit. p. IV. pag. 33). 



?f> PARTE PRIMA. 

quelle province, li costringeva, per far armi in presenza 
dei Francesi, ari aggravar la mano sul popolo con nnove 
e obliose gabelle. È vero anche che i popoli di quella 
sorrisa dal cielo, rna sventurata parte d' Italia furono mos- 
si dagli esempi della Catalogna e del Portogallo contro la 
monarchia spagnuola, e li seguirono, ma non con pari fé - 
licita. A Palermo prima Antonio Pilosa, pDi il discenden- 
te degli antichi Normanni, col pericoloso nome di re, Fran- 
cesco Ventimiglia, ria ultimo il battiloro Giuseppe Alesi o 
])a J^esi, furono i capi sfortunati delle sollevazioni che fi- 
nirono col sangue e i supplizi. 

I tumulti di Palermo non durarono oltre Tanno 1647 
e furono domati dalla mente e dalla prudenza del cardinal 
Teodoro Trivulzio, il quale piacque pure a quel popolo 
perche vicerò italiano. A Napoli però si protrassero più in 
là del detto anno in quanto che la rivoluzione ebbe diverse 
fasi. Da prima essa ebbe per capo il celebre Masaniello 
o Tommaso Aniello d'Amalfi, di cui non faremo la storia 
pcrchfc conosciutissima e in questi ultimi tempi narrata 
appieno con quanti documenti poteano bastarvi. T Per ciò 

1 Fra i più reconti scrittori devono nominarsi con molta lodo 
Alfredo Reumont che noli' Opera / Caraffa di Maddaloni sotto 
il dominio spagnuolo (Die Caraffa von Maddaloni. Neapel 
unter xpanischer Ilerrschaft, Berlino 1851), dedica il 2 volu- 
me intitolato: Napoli verso la metà del decimosettimo secolo 
alla limitazione di Masaniello traendo notizie dalle più auten- 
tiche fonti stampate e manoscritte — e Angelo Saavedra duca 
di Ilivas, ambasciadore di Spagna a Napoli, che puro scrisse la 
Htoria della detta sommossa tradotta in francese da L. Hervev 
dk St. Denis e in tedesco. Der Aufstand in Neapel 1647. (Lip- 
sia 1850.) —Si sa che lo Memorie contemporanee più accreditate 
sono quelle del De Turri , di Tommaso De Santts o la Partenope 
liberata del dottor Donzelli gran partigiano di Masaniello. An- 
che il conto di Modòno, francese, compagno del Guisa, scrisse 
Memorie ristampate nel 1826 a Parigi dal Marchese Fortia con 
un catalogo ragionato clejlo opero scritto su questo argomento. 



CAPITOLO II. 37 

che concerne la nostra narrazione è sufficiente il dire che 
morto Masaniello e fatto capitano generale del popolo doja 
Francesco Toralto principe di Massa della casa d' Arago- 
na, questi venne in sospetto alla plebe napolitana special- 
mente quando don Giovanni d'Austria venuto a Napoli 
con la flotta spagnuola, mancò ad ogni promessa di pace, 
e assalì d' improvviso il popolo senza poter vincere, mal- 
grado V armi migliori e la miglior disciplina. Fu proces- 
sato il Toraltò ed ebbe tronco il capo (22 ottobre). Ad 
esso fu sostituito Gennaro Annese. Allora, veduto che non 
si poteano superare i gravi pericoli senza qualche valido 
soccorso, si pensò ricorrere alla corona di Francia e al 
Guisa che in quel tempo stava appunto a Roma. 

Sin dal principio delle turbolenze il papa, sovrano no- 
minale del Regno, era divenuto centro di molti intrighi. 
L'ambaseiadore di Spagna a Roma, don Inigo Velez conte 
d'Ognate, avea quasi subito implorato da Innocenzo l'uso 
delle armi spirituali contro i ribelli. Il Marchese di Fon- 
tenay-Merueil non solamente lo dissuadeva e lo pregava a 
non far uso delle folgori oramai men temute, ma facea di 
tutto perdio i pensieri del pontefice si volgessero a prò 
della Francia contro la monarchia spagnuola. Ed era be- 
ne per la Francia che, mentre era in guerra con la Spagna, 
questa fosse imbarazzata in un movimento che tendeva a 
toglierle una delle più belle gemme della sua corona. 

Quel che pensassero Innocenzo e i suoi consiglieri è 
assai difficile dire con sicurezza. I documenti diplomatici 
non ci danno e non ci darebbero chiara luce sopra cose così 
gelose, e tutt' al più si potrebbe cogliere il vero in quei si 
crede e si dice delle Memorie del tempo ; che rivelano 
talvolta il segreto dei Governi più d'ogni altra carta 
ufficiale. Ma nel nostro caso non ci riesce afferrare qual- 
che cosa di preciso. 



3S PARTE PAI MA. 

Se lo parole fossero le più certe manifestazioni del- 
l' intimo pensiero, bisognerebbe dire che Innocenzo era 
tutto per la Spagna. In fatti fu udito dire talvolta che 
ogni guadagno del Francese era una perdita per la 
Chiesa di Roma, la cui fermezza dipendeva dalla mo- 
narchia di Spagna. Aggiungea che, cadendo Spagna, 
Roma cadrebbe : e se così dovea essere, non v* era al- 
tro rimedio che chinare il cai>o ai disegni di Dio. 1 

Ma d'altra parte era pure ovvio che il papa pen- 
sasse come il giogo della Spagna fusse cosi pesante da 
non dover trascurare una buona occasione per allegge- 
rirlo. Egli ben sapeva che Spagna tanto amava e pro- 
teggeva i pontefici quanto meglio adoravano la sua su- 
perhia e quanto più, nelle cose spirituali e nel dominio d'I- 
talia e del mondo, se fosse stato possibile, la favorivano con 
tutte le forze. Contro Spagna aizzavano il papa non so- 
lamente i Francesi , che in quei frangenti mettevan ésca 
al fuoco, ma anche il popolo di Roma avverso in ge- 
nerale alla orgogliosa monarchia. 2 

Senza dubbio i suoi pensieri sarebbero stati più ri- 



1 € .... 23 Nov. 1647.... La medesima matina il papa stava al- 
quanto risentito.... e s^irca fallo le coso di Napoli non gli pos- 
sono piacere, poiché, come egli disse altre volte, tutto quello che 
guadagna il francese perde la Chiesa di Roma, la cui fermezza 
p *ndo dalla Monarchia di Spagna, la quale se cade, cadorà Ro- 
ma parimenti : al che non provedendo gli huomini, convien dire 
che il fato, cioè l'autor suo Iddio ha detcrminato in questa gui- 
sa. » (Dkone). 

2 « .... 9 Novembre 1647... Fanno casa del diavolo li francesi 
in queste contingenze di Napoli usando diaboliche inventioni per 
tenor sollevato quel popolo, e tutte queste persuasioni escono da 
Roma ove il comuni) è tutto francese merco che da Spagna non 
riceve come soleva utile alcuno ma forsi qualche danno , e non 
ha provato il governo francese... » (Deone). 



CAPITOLO IL 39 

soluti se avesse sperato che Napoli, come già Ferrara, 
Urbino e Castro in appresso, potesse aggiungersi ai do- 
mini papali senza contrasto delle altre potenze, o che 
il darlo alla Francia non avesse posto la sua indipen- 
denza a pericolo di maggiori mortificazioni di quelle che 
già subiva dalla Spagna. Forse anche era inquieto de- 
gli spiriti di libertà che soffiavano già per tutto il mondo, 
e concludea che per lo meglio fossero da comprimersi 
ad ogni modo o per via di Francesi o di Spagnuoli o 
d' altri , quali si fossero , acciocché non guastassero in 
tanta vicinanza le proprie province. 

Il fluttuare della politica papale si scorge pienamente 
dalla corrispondenza ch'ebbe in quel tempo il nunzio 
di Napoli, Emilio Bonaventura Altieri, col cardinal Pan- 
ciroli Segretario di Stato e col cardinal Giovambattista 
e il cavalier Marzio Altieri suoi fratelli e che si rin- 
viene ancora negli archivi di quella famiglia. Il dabben 
uomo era veramente sulle spine, in mezzo a mille ambagi 
e pericoli. Quando i popolani imploravano l'opera e i consigli 
del rappresentante del papa e si diceano vassalli della Santa 
Sede e pronti a riconoscerne il dominio, egli dovea rifiutar 
l'una e gli altri perchè da Roma gli s'ingiungea che 
dovesse sostenere le vacillanti sorti di Spagna. Quando 
respirava a pieni polmoni, contento di ricevere le con- 
gratulazioni di don Giovanni d'Austria e del conte di 
Ognate del suo modo di essersi comportato finché visse 
il povero e tradito pescatore ; eccolo nuovamente in so- 
spetto agli Spagnuoli e sorvegliato perchè gli Altieri 
erano amici dei Barberini, perchè i Barberini erano par- 
tigiani di Francia , e perchè , essendo egli degli Altieri, 
era credibile che pendesse dalla parte della Francia e 
dei Barberini. l Basti il dire che il malarrivato nunzio 

1 Anche prima di questi moti una volta gli Spagnuoli entra- 



40 PARTE PRIMA. 

fu tanto infastidito della sua carica, in cui si volle te- 
nerlo sino all' ultimo ; che appena potò sbarazzarsene (e 
fu dopo i supplizi feroci che terminarono, alla guisa 
spagnuola, il dramma napolitano) nemmen volle veder 
la sua Roma, e si ritrasse, tutto cruccioso, nel suo ve- 
scovado di Camerino. 

Intanto il papa , sempre fedele all' ambigua condotta, 
ricusava da un lato la proposta del popolo napolitano 
che si facesse mediatore del perdono poiché la corte 
dicea non essere « la gente bassa materia atta per 
V interposizione dell 7 autorità del pontefice , » e dal- 
l' altro lato biasimò acremente gli Spagnuoli che, abu- 
sando della forza avuta con la flotta di don Giovanni 
d'Austria, avessero usato tanto rigore da far prolun- 
gare una tempesta che con più cauti e clementi par- 
titi si sarebbe da se stessa calmata. 1 



rono a forza noi palazzo del nunzio per cercarvi un tale perse- 
guitato dalla Giustizia, il quale se V era già scainpolata uscendo 
da una porta di dietro. Il nunzio scomunicò i violatori. A Roma 
si adunò il concistoro per provvedere. Fu un chiasso. Si diceva che 
gli Spagnuoli aveano fatto ciò perchè il papa avea rimesso in 
grazia i Barberini. (Gualdo Priorato, Historia cit. dal 1645 
al 1649, pag. 149). 

1 « 9 Nov. 1647.... Si disse nella materia di Napoli il negotio 
dipendeva dalla sicurezza del perdono universale, nella quale 
quel popolo voleva interessare il papa, che egli prendesse la si- 
curezza sopra di sé, sopra il che per parte di Palazzo si fa qual- 
che difficoltà come che il perdono non concerne il popolo di Na- 
poli universale, et il più nobile, ma la gente bassa la quale non 
pare materia atta per l' interpositione dell' autorità del pontefice. 

« L' audienza del Conte ambasciatore sabbato mattina fu di 
due hore intiere. La corte non oscuramento argomentò che era 
per gV interessi di Napoli: havendolo servito io al mio solito, men- 
tre mi trattengo in anticamera, Paolo Maccarani il complimentario 
qui del Card. Mazzarini e che molto priva (?) col papa mi disse 
che il giorno avanti fu col papa in lungo tratto di tempo in di- 



CAPITOLO II. 41 

E probabile che l' animo del papa stando in questa 
disposizione poco benigna agli Spagnuoli, fosse più in- 
chinevole alle insinuazioni, alle proposte del francese 
ambasciadore Fontenay-Mareuil. Questi prometteva al 
papa grandi vantaggi se dava il suo appoggio alla Fran- 
cia, che preparava da Tolone V invio d' una flotta sulle 
coste napolitane. Sembra che donna Olimpia fosse gua- 
dagnata alla causa francese e che qualche cosa vera- 
mente avversa agli Spagnuoli si tramasse nei segreti 
consigli del pontefice. Ma il vero non trapelò al mondo 
che per un confuso rumore di voci , di battibecchi , di 
catastrofi di corte che narreremo più sotto. Dietro la 
scena s'agitavano cupidigie, passioni, ambizioni indovi- 
nate dal pubblico, ma non viste o distinte, mentre un 
altro avvenimento , spiegatosi agli occhi dell' universale , 
veniva non so se a salvare dai pericoli o a privare di 
buoni guadagni il papa, non so se impedimento salutare 
a una impresa arrischiata od ostacolo dispettoso a una 
buona conquista. Certo è che per esso i meditati divi- 
samenti, quali si fossero, parvero posti in abbandono e 
affidati alle mani d' un inesperto, anzi messi alla balìa 
del caso. 

Il duca di Guisa stava in quel tempo a Roma. En- 
rico li di Lorena, quinto duca di Guisa, principe di 
Joinville e conte d'Eu, nato nel 1614, sin dalla sua 
fanciullezza fu destinato alla carriera ecclesiastica. No- 
bili che volean farsi preti eran presto provveduti di 
larghi benefizi. A quindici anni Enrico possedeva nove 
abbazie ed era arcivescovo di Reims! Morì però ben 

scorso sopra questi incidenti e che il papa disse che l'ultimo 
rigore usato dal V. Re non si può scusare, ove se si fosse ri- 
masto nel termine della clemenza con la sopragiunta dell'ar- 
mata il tutto s' appianava da so medesimo.... » (Deone). 



42 PARTE PRIMA. 

presto il principe di Joinville suo fratello maggiore e il 
padre in appresso. Queste due luttuose morti furono per 
lui seme di bene : che , detestando l' abito , di cui V a- 
veano vestito , fu in grado di far a meno delle rendite 
ecclesiastiche e perciò fu presto a rinunciarvi. La sua 
vita secolaresca parve una protesta continua alla con- 
tinenza, che aveano tentato d' imporgli se non in so- 
stanza, almeno in apparenza, in perpetuo. Si gittò in 
avventure amorose, a cui lo incitavano il bollente carat- 
tere non senza un grano di follia e spianavano la via 
la bellezza della persona e un certo furore cavalleresco 
e da paladino che più è grato alle donne. 

Benché amato da Anna di Gonzaga figlia del duca di 
Mantova, sorella della regina di Polonia, egli T avea abban- 
donata d'improvviso, e seguendo il suo umore irrequieto, si 
gittò nel partito del conte di Soissons contro il Richelieu. 
Andata a monte la cospirazione, il Guisa dovè fuggire, esu- 
le, dal suolo francese. Ricoveratosi a Brusselles, sposò nel 
1641 Onorata di Glimes figlia di Geoffroy conte di Grimbert 
e vedova di Alberto Massimiliano di Hennin conte di Bos- 
sut. La pena capitale inflittagli dal Parlamento lo fece 
trattenere in Alemagna. Morto Luigi XIII e in broncio 
colla moglie a cui avea dissipato tutte le sostanze, s' era 
ricondotto in Francia: dove, innamoratosi di madami- 
gella di Pons dama d' onore della regina ; come se non 
fosse ammogliato, discorreva a dirittura di farla sua 
sposa , e mesceva alle galanti imprese le imprese guer- 
resche combattendo, come volontario, con temerità sen- 
za vero costrutto nelle campagne del 1644 e 1645, in 
Fiandra. 

Finalmente, sempre più innamorato della giovinetta, 
si decise di far rompere l'increscioso matrimonio e ne 
introdusse la causa a Roma innanzi alla Rota: la quale, 



CAPITOLO II. 43 

parte per antica consuetudine, parte per vera dubbiezza, 
strascinava a lungo la faccenda. L'impaziente cavaliere 
non vide miglior provvedimento che sollecitare e pro- 
muovere con la propria presenza la favorevole decisione , 
e se ne venne a dirittura a Roma, dove fu invitato 
all' impresa napolitana, che gli dette speranza di cuo- 
prire di gloria le sue avventure o sventure amorose 
ancorché andasse a male, e, dove riuscisse, di dettar 
leggi ai tribunali e alla corte di Roma e forse di poter 
offerire alla sua amata , oltre la mano , anco una bel- 
la corona. 

Al suo parere, la corona di Napoli per dritto era 
sua anziché del re di Francia e molto meno di quello 
eli Spagna* La primogenita Iolanda di Renato, ultimo 
degli Angioini, sposando ducent' anni prima uno della 
casa di Lorena suo antenato, gli avea trasmesso i di- 
ritti del suo sangue e primieramente quello sul regno 
di Napoli. La casa reale di Francia avrebbe forse po- 
tuto trar fuori delle pretensioni non destituite di valore 
quante volte la casa di Lorena fosse estinta e le avesse 
virtualmente trasmesso i diritti della sua eredità. Ma 
finché vivea un Lorena la casa di Francia non avea 
che il debito di aiutarlo a ricuperare il suo anche per 
gloria del nome francese. 

Queste idee però, poco ragionevoli, del paladino rimase- 
ro intanto confuse se non segrete e non si manifestarono 
veramente, se non allora che stando poi a Napoli , incaricò 
il duca di Brancas di sposar per procura la Pons con let- 
tera sottoscritta: Enrico ; per grazia di Dio, re di 
Napoli, e venne a cozzo con lo stesso duca di Riche- 
lieu comandante della flotta francese che dovea soste- 
nerlo, almeno per quanto se ne sa. Adesso il duca di 
Guisa si mostrava inclinato a esser docile strumento 



44 PARTE PRIMA. 

del popolo napolitano per conto della Francia che colà 
lo mandava o davagli licenza d'andarvi. Egli rappre- 
sentava al Fontenay-Marouil che V impresa , che da lui 
fosse per assumersi , sarebbe riuscita a prò della Francia 
assai meglio che se in proprio nome l'avesse fatta il 
re Cristianissimo , anche per aver più favore dal popolo 
napolitano che si sarebbe forse adombrato della troppa 
potenza del re francese non meno temibile per lui di 
quella della Spagna. Al papa poi facea intendere di- 
scretamente che in tutti i casi, se egli diventasse re di 
Napoli, sarebbe slato un re nazionale e più utile al- 
l' Italia e a lui men pericoloso vicino di quello che fos- 
sero gli Spagnuoli e i Francesi, che disponeano di tan- 
te e sì poderose forze. 

Non sembra che il papa e l'ambasciadore accoglies- 
sero festosamente le proposte del Guisa ; ma siccome in 
esse era pur qualche cosa di plausibile , non le rifiuta- 
rono a dirittura se non altro perchè l' ardito venturiero 
potea cagionare alla Spagna nuovi imbarazzi. Ma il Guisa 
ebbe a dirittura dalla sua il cardinal fra Michele Maz- 
zarino Questi al celebre ministro suo fratello scrisse calo- 
rosamente esagerando gli effetti probabili dell'impresa. 
Presagì al cardinal Giulio , che allora si trovava in 
guai, nientemeno che la tiara papale che l' avrebbe un 
giorno consolato di non essere più ministro d' un gran 
re nel caso che il comando gli sfuggisse di mano, co- 
me se ne vedevano i segni. In questi negozi fra Mi- 
chele si mostrò dunque più fanatico che avveduto, e 
apparve poi del tutto inetto quando, dal suo fratello 
mandato viceré in Catalogna, abbandonò all' improvviso, 
senza licenza, il suo ufficio e tornò a Parigi e a Roma 
beffeggiato da ognuno. l 

1 Morì sul finire del 1648. La sua tomba a Roma è in S. Ma- 
ria sopra Minerva. 



CAPITOLO II. 45 

Avvenne intanto, come accennammo, l'arrivo a Na- 
poli della flotta spagnuola sotto il comando del bastardo 
di Filippo IV, e la violazione delle promesse, e il com- 
battimento accanito fra il popolo e i soldati di Spagna. 
Il movimento perde il carattere di sommossa popolare 
contro il viceré don Rodrigo Ponce di Leon duca d' Arcos, 
e si cangiò a dirittura in ribellione contro la monarchia. 
Non s'udiva più il grido: Viva il re di Spagna, nò 
il ritratto di Filippo IV era esposto con venerazione nei 
canti della città. S'alternavano invece i gridi di viva 
il popolo ! viva San Pietro ! e talvolta viva il re Cri- 
stianissimo ! ovvero ancora viva la repubblica ! 

Gennaro Annose, successo al Toralto , ben vide che 
oramai il dado era tratto e che non si potea più resi- 
stere da soli contro gli Spagnuoli assetati di vendetta- 
Benchò egli pendesse più verso il popolo minuto o i 
lazzaroni , che sognavano una repubblica napolitana in- 
dipendente a modo dell' Olanda ; pure per una certa pro- 
pria persuasione e anche per non discostarsi del tutto 
dalle cappe nere o dalla borghesia timorosa dell'asso- 
luta prevalenza della plebe, vedeva la necessità di rin- 
venire una qualche valevole protezione. 

Allora fu che un deputato napolitano venne a Ro- 
ma. Il duca di Guisa da qualche tempo, per procacciarsi 
nome e favore, accoglieva con festa e convitava magni- 
ficamente quanti napolitani venivano a lui. l Ora egli , 
insieme con 1' ambasciadore francese, accolse l'inviato 
deputato Niccolò Mannara giovane operoso e di ardito 
spirito * e fece mostra di grande affabilità , mentre il 
Fontenay-Mareuil, come conveniva al suo grado e al 

i « .... giornalmente fa tavole sontuose e magnifiche a' Napo- 
litani che giornalmente lo corteggiano. » (DeoNe). 
2 Siri, Mercurio, t- X, pag. 476. 



iC) PARTE PIUMA. 

suo carattere, stava in riservato contegno. E naturalo 
che al Mannara piacesse più lo graziosita del Guisa che 
la fredda burbanza del diplomatico. Tornato a Napoli , 
non rifinì di lodare il cavaliere di Lorena e la sua cor- 
tesia , e non sostenne gran fatica per far persuasi Gen- 
naro Annese e i suoi consiglieri che era meglio aver 
qualche debito di riconoscenza a un semplice principe 
che a un potente sovrano di Francia, e che mentre pc- 
teano conservare col primo una specie d'indipendenza, 
non per questo perdeano l'aiuto dell'altro troppo desi- 
deroso di recar nocumento, in qual modo si fosse, alla 
Spagna nemica. 

Dopo ciò un secondo ambasciadore fu inviato con 
una bella lettera in cui s'invitava il Guisa a recarsi a 
Napoli come capitano generale della repubblica reale. 
L' ambasciadore era pregato di lasciarlo partire e di 
sollecitare l' arrivo della squadra che si stava apprestan- 
do a Tolone. Furono presenti al colloquio e partecipi 
di questi maneggi il cardinal Michele Mazzarini sem- 
pre fecondo di promesse e due o tre altri cardinali ad- 
detti alla potenza francese. 

Tanto il papa quanto l' ambasciadore francese ri- 
masero perplessi. Questi non osava promettere al ser- 
vigio d' un' ambizione particolare le armi della sua na- 
zione. Innocenzo non volea, mostrandosi benigno al Guisa, 
provocar l'odio e le vendette di Spagna, né attirare sulla 
sua famiglia, le sventure dei Caraffa x tanto più dispia- 
cevoli quanto meno aveano compenso di sufficienti gua- 
dagni. E perciò ricevette talora l'avventuriero conte- 
nendosi in termini generali senza approvare nò disap- 
provare la sua gita: e mentì il Guisa, a testimonianza 

i Siri, Mercurio, voi. X. 



CAPITOLO II. 47 

del Siri, quando nelle sue Memorie mise in bocca al 
papa parole che non avea mai proferite. l Nò volle dar 
il buon viaggio al Guisa : anzi la voce della corte attri- 
buì il suo stare in letto non ad una verace malattia, 
ma ad un pretesto per esentarsi da tale cerimonia che 
dai nemici si sarebbe tratta indubbiamente a pessimo 
significato. * 

Il Guisa però, impaziente compera, non credea che 
la cosa dovesse oramai patire più indugio, e deliberò, 
ad onta di dubbi degli amici e di minacce dei nemici, 
di tentar la fortuna. La sua partenza da Roma fu ese- 
guita pubblicamente. Un giorno di novembre, dopo de- 
sinare, montò, insieme con l' ambasciadore di Francia, 
in una carrozza tirata da sei cavalli. Girò per la città; 
e andato prima a Santa Maria Maggiore , volse poi per 
San Giovanni Laterano : di lì a San Gregorio , e da 
San Gregorio a San Paolo. Non dice il cronista se in 
queste chiese entrasse per far preghiere. A San Paolo 
il Guisa trovò ad attenderlo una comitiva di gente a 



1 È bellissimo a questo proposito il passo del Siri. « Si con- 
tenne il papa ne' termini generali senza approvare nò riprovare 
la sua gita, benché mendacemente in differente sentimento il 
Duca ne parlò in certe sue voluminose memorie, che compilò a 
mia instanza e per giovarmene nella testura di questo thema : 
confessandomi ingenuamente d' avere in quel luogo rappresentato 
il papa parlante come un profeta ancorch'egli non uscisse mai 
a cosa particolare. » {Mercurio. Voi. X. 520). 

2 6 Nov. 1647. « Il papa di nuovo si mese in lotto ove mer- 
cordì diede audienza all' officiali per un poco di flussione di po- 
dagra. Li francesi pubblicano cose da ridere , cioè che il star 
in letto del papa non sia per altro che per fuggire di dare audien- 
za al duca di Ghisa come che voglia partire per Napoli chia- 
mato da quel popolo. Cosa ridicolosa veramente, ma più assai 
che egli giornalmente fa tavole sontuose e magnifiche ^Napo- 
letani che giornalmente lo corteggiano. » (Dkone). 



48 PARTE PRIMA. 

cavallo e circa quaranta persone a piedi, munite, di 
cinque bocche da fuoco per ciascuna. Fra esse erano 
cinque o sei fuorusciti napolitani e un frate carmeli- 
tano parente di Masaniello scappato dalle carceri del suo 
convento e qui rifugiato, tutto armato dalla testa ai piedi. 
Ivi il duca smontò dalla carrozza e salutò l' ambascia- 
dorè che tornò indietro. Poi entrò nella chiesa e fece 
veramente orazione. ' 

La stessa sera col suo piccolo seguito cavalcò a 
Fiumicino. 11 13 di novembre 1047, con diecimila scudi, 
con piccola provvisione di polvere e coi suoi seguaci sopra 
un certo numero 'di feluche, (chi dice dodici , chi persino 
venf iclue,) 2 salpò, e malgrado la squadra spagnuola che 
bloccava la rada di Napoli, potò, aiutato da favorevole brez- 
za, sbarcar sulla piazza del Carmelo, ed entrare nella com- 
mossa città. 3 11 suo ardimento fu a Roma generalmente 

1 Nov. 1647. « Mercordì doppo desinare il duca di Ghisa in 
carrozza a sei con V Arabasciadore di Francia si partì di Roma 
in questa guisa. Andò a Santa Maria Maggiore, di là a S. Gio. 
Laterano , poi tornò indietro a S. Gregorio, e di là andò a San 
Pavolo, ov' erano aspettandoli alcuni a cavallo, e tra quelli che 
erano a piedi potevano essere da 40 persone tra quali erano cin- 
que o sei fuorusciti napolitani e tra essi un frate Carmelitano 
parente di Masaniello fuggito qui dalle carceri del Convento. Que- 
sti erano armati grandemente havendo cinque bocche di fuoco 
per ciascheduno. 11 duca smontò alla Chiesa e fece oratione. L' Am- 
basciadore tornò indietro senza smontare. Cavalcarono la mede- 
sima sera a Fiumicino dov'orano aspettandolo 22 (sic) feluche 
venute da Palo luogo del duca di Braciano. Si saprà il suo viag- 
gio. Questo si sa che molti qui in Roma si sono offerti d* andare 
al suo soldo, ma egli risposo che rilaverebbe accettati fuori di 
Roma. » (Deone). 

2 II Siri dice composto il navilio di tre brigantini e otto fe- 
luche e nomina le persone che accompagnavano il Guisa. (Mer- 
curio, X, 590). 

3 Le idee del popolo napolitano all'arrivo del Guisa sono mo- 
strate anche da un sonetto, in istampa volante che ho veduto 



CAPITOLO 11. 49 

chiamato pazzo. I più discreti cortigiani diceano che 
uno Spagnuolo non avrebbe mai fatto cosa simile, un Ita- 
liano ci avrebbe pensato e solamente un Francese 
avrebbe potuto farla senza pensare. l Ma certo se mai 
Roma ebbe inclinazione per qualche momento a favori - 



nella Bibl. Chigiana Gr. VII. 201. — Si noti che so il sonetto 
si compiace che Napoli serva perchè è libera, ciò rispondeva al 
nome impossibile di Republica reale che' Napoli ave a assunto. 
Il Guisa in fatti no' suoi manifesti si sottoscriveva così: Henri- 
co di Lorena, duca di Guisa, conte d'Eù, Pari di Francia, di- 
fensore della libertà, duce della Serenissima e Real republica 
di Napoli e generalissimo dello sue armi. (Voi. Chig. G. VII. 201). 
Ecco il sonetto con la sua originale ortografia. 

LA SIRENA FESTANTE. 
all'aspettato arrivo del serenissimo signore 

duca di guisa. 

Non mai spuntò dalla siderea Mole 
Più lieto raggio a fecondarmi il seno, 
Né mai viddi scherzar nel mio Tyrreno 
Con muti applausi la squamosa Prole. 

La caggion* lo richiede, e più ne vuole 
Giusto dover' hor che n* è scioltq il fre no , 
E s'è più del usato il Ciel sereno 
Sempre il Gallo stimai nuncio del Sole. 

Ben venga il Franco Eroe, né più quaP era 
Misera schiava in servitù tenace 
Piegare la Cervice a destra Ibera. 

Sciolta da Franca man godrò Ja pace, 
Riconosco il mio Re regnando altera, 
Hor che libera son servir mi piace. 

Sirena. 
Di V. A. Sereniss. 

Indegniss. Servitore 

11 stampatore del Fideliss. Popolo 

Secondino Roncagliolo. 

1 23 Nov. 1647.... « Un spagnuolo non l'avrebbe fatto, un ita- 
liano ci havrebbe pensato, un francese solamente può farlo sen- 
za pensare.... » (Deone). 

Ciampi — Innocenzo X e la sua Corte. 4 



50 PARTE PRIMA. 

re il Lorenese, do\h ben presto correggersi e ritrarsi 
quando i portamenti di lui si svelarono poco o nulla 
proporzionati alla gran bisogna : chò, desideroso di farsi 
re assoluto, non seppe, come tentò, deludere nobiltà e po- 
polo, i quali lo voleano, a mo' dell' Oranges in Olanda, 
protettore cT una repubblica, e ben presto perde il loro 
favore, e dalla Francia stessa fu abbandonato non senza 
strane vicende che non sono del mio proposito e che, 
oltre agli storici infiniti che ne parlano, possono meglio 
riscontrarsi nelle sue Memorie. l 

I « Memoires de feu M. le due de Guisa contenants son 
entraprise sur le royaume de Naplcs jusr/à sa prison. » 
Paris, 16(58 in 4°. — Furono pubblicate da Saint-Yon suo segre- 
tario. 

Sono da ricordarsi lo scritture che si trovano nella Casana- 
tonse di Koma appartenenti già al Casanate che si trovò a Na- 
poli durante la celebre rivoluzione. (Ms. X. IV. 15.) Il manifesto 
di Gennaro Anneso dato dal palazzo del Re al forte del Carmine 
a dì 26 novembre 1647 dice, tra le altre cose, che la Francia ha 
preso la protezione della Repubblica. « Per tanto si fa intendere 
a tutti li titulati Baroni, officiali maggiori e minori di Giustizia 
e di Governo di d. fid. Popolo di Napoli che da hoggi in avanti 
non ardischino di ubbidire al Re di Spagna, suo figlio e Viceré 
et altri officiali e suoi ministri sotto pena di ribellione al d. fid. 
Popolo e della (alla) Corona di Francia avertendo che P armata 
francese e (di) cinquanta vascelli d' alto bordo e di 24 galere et 
soccorso d' un milione p. il fed. Popolo ecc. » 

II fanatico Cardinal Michele Mazzarini con lettera da Roma 
1. novembre 1647 ai Serenissimi Signori della serenissima 
repubblica di Napoli, assicura la protezione del re coi seguenti 
patti : — Si approva che il fedelissimo popolo viva in Repub- 
blica: — lega offensiva e difensiva perpetua tra S. M. il re e la 
repubblica: — gli officiali si dieno e si dichiarino dalla repub- 
blica e con patenti di lei : — S. M. il re ratificherà quanto da 
lui e dall' ambasciadore Fontenay era stato promesso: — Circa 
la ricognizione annua da darsi a S. M. per V impegno dalla sua 
protezione e assistenza dell' armata, se no scriverà al re e anche 
gli si spediranno ambasciadori come la serenissima repubblica 
avea dichiarato di voler fare ecc. 



CAPITOLO II. 51 

Nel tutt' insieme il papa era stato amico più degli Spa- 
gnuoli che dei Francesi; ma quelli non glie ne profes- 
sarono obbligo alcuno. Ce ne fa fede un passo della 
Relazione di Girolamo Giustinian ambasciadore vene- 
ziano presso Filippo IV. « Col papa non passa il re di Spa- 
gna intera confidenza perchè presumendo gli Spagnuoli che 
Innocenzo X deve alla casa d' Austria il pontificato, in molte 
occasioni, come fu quella dell'ultima promozione, lo tassano 
d' ingrato, e mi sovviene d'esser uscito di bocca a un 
ministro grande, in quell'occasione della promozione, con- 
cetto tale che bisognava comprar i papi fatti, piuttosto 
che farli, col danaro di Spagna. Affermano gli Spagnuoli 
che i Francesi con lo minacce di propalar le forme della 
creazione di questo papa, l'abbiano intimorito sin da prin- 
cipio, e se l'abbiano, per così dir, soggettato; onde se 
bene il pontefice nell* occorrenze delle rivoluzioni di Na- 
poli ha cooperato assai ai vantaggi del re di Spagna, 
gli Spagnuoli nondimeno non glie n'hanno avuto gran 
grazia, e l'han attribuito piuttosto al non voler il papa 
vicini i Francesi, che al voler egli ben a' Spagnuoli. In- 
fine, quando la Spagna non abbi un pontefice tutto suo 
e ch'adori la sua superbia, non starà bene intieramente 
con Roma. l » 

Del rimanente la ripugnanza del papa di far qualche 
atto che potesse vieppiù incoraggiare la sollevazione na- 
politana, proveniva anche dalla paura che il cattivo 
esempio generasse torbidi popolari dentro il suo Stato 



1 Relazione di Spagna di Girolamo Giustinian ambasciato- 
re a Filippo IV dall' anno 1643 al 1649. Fra le Relazioni de- 
gli Stati europei lette al Senato dagli ambasciatori veneti 
nel secolo XVII raccolte e annotato da Nicolò Barozzi o da 
Guglielmo Berchet, Serie I. Spagna. Voi. 2, e ultimo. (Venezia 
1862, pag. 182). 



52 PARTE PRIMA. 

medesimo. Nel che però il suo Governo non fu tanto 
previdente da impedire il tumulto di Fermo che inco- 
minciato con ispargimento di sangue bisognò soffocare 
nel sangue. Apparente motivo di quello fu l'estrazione 
dei grani superflui comandata da Roma per approvi- 
gionare gli Spagnuoli ed eseguita, coni' era suo debito, 
dal governatore di Fermo monsignore Uberto Maria 
Visconti. Eccitata da alcuni della nobiltà la cittadinanza 
e la plebe, il 6 luglio 1648, a tamburo battente e a 
bandiere spiegate si recò dentro il palazzo del gover- 
natore e uccise il povero prelato insieme col suo amico 
Baratti e il maestro di casa che gli stavano a fianco. 
Nò di ciò contenti, strascinarono il suo cadavere ignudo 
per la piazza e lo lasciarono lì abbandonato durante 
tutta la notte. Accorse subito il cardinal Montalto e si 
adoperò così accortamente che impedì il crescere del 
tumulto e dette tempo a monsignore Imperiali, seguito 
da milleducento fanti e trecento cavalli sotto il coman- 
do del conte David Vidman, di sopraggiungere sul luogo. 
Molta parte del popolo si dette alla fuga. Intanto i più 
colpevoli furono presi e giudicati. Marco Paccaroni no- 
bil uomo e sei altri furono messi a morte il 30 ottobre : 
altri sollevati ebbero condanna d' esilio. Le case de' rei 
tutte quante, secondo il barbaro uso non tralasciato dal 
Medio evo in poi, furono rase al suolo. l 

1 Questa sollevazione ò narrata con molti particolari dal Gual- 
do Priorato, Historia cit. pag. 149. Chi voglia poi averne an- 
che più minute notizie consulti il processo rubricato col titolo: 
Sedizione con uccisione del Governatore Uberto Visconti ar- 
ciprete di Milano nelle Carte di San Girolamo della Carità, 
Archivio di Stato a Koma, protocollo 420, an. 1648 — V. anche 
« Memoriale presentato alla S. di N. S. papa Innocenzo X 
dai deputati della città di Fermo per il tumulto in seguito 
alli 6 di luglio 1648. » 



53 



Capitolo III. 



Pace di Westfalia. — Fabio Chigi. — Guerra di Castro. 
Distruzione della città di Castro. — Anno santo. — 



La guerra dei Trent' anni , dopo essersi dalla Boemia 
estesa a tanta parte d'Europa, terminava nel luogo me- 
desimo dov' era incominciata , cioè mentre gli Svedesi as- 
sediavano Praga e già muoveano a liberarla ottomila im- 
periali. I messaggeri di pace impedirono questa nuova 
fazione di guerra. Essa avrebbe aggiunto un altro ster- 
minio a quelli che già aveano fatto perdere alla Germa- 
nia la metà della sua popolazione. 

I plenipotenziari dell'Impero, della Francia, della 
Spagna e dei principi cattolici s'erano già raccolti a Mun- 
ster sotto la mediazione del papa, ed altri plenipotenziari 
dell'Impero e quelli della Svezia e dei principi prote- 
stanti ad Osnabrtick con la interposizione del re di Da- 
nimarca. Le due assemblee, considerate come un solo 
congresso, aveano cominciato le loro discussioni sin dal 
settembre del 1643, mentre non cessavano le ostilità di 
fatto e continuavano i combattimenti come se non si 
fosse mai pronunciata una sola parola pacifica. Ma, dopo 
avere per tre anni discusso, finalmente, nel 24 ottobre 
1648, conclusero la pace eh' è conosciuta dalla storia 
col titolo di Westfalia: pace che da alcuni fu detta un 
arco trionfale sotto cui passarono le nazioni moderne. 

E per vero, lasciando quelle grandi conseguenze il 



54 PARTE PREMA. 

cui discorso appartiene alla storia generale d'Earopa, 
rio che più importa alla nostra si è che la celebre pa- 
co fu trattata e stabilita con intento meramente politico 
senza tener gran conti) degli interessi religiosi, i quali, 
per mezzo del papa, avrebbero ancora voluto essere a 
capo d' ogni umana faccenda. La Francia, che dal tempo 
del Richelieu in poi, alleandosi coi protestanti , pareva 
che avesse dimenticato il titolo di cristianissima, fu im- 
pinguata dell'Alsazia e per soprappiù ebbe Pinerolo in 
Piemonte. L T eretica Svezia tu pagata de* suoi servigi in 
denaro e in terre e in tre voci nella Dieta dell* Impero, on- 
de Gustavo Adolfo trionfo nel suo sepolcro. La pertinace 
( Manda e la libera Svizzera furono riconosciute in diritto, 
come già erano di fatto, indipendenti. La cattolicissima 
autorità imperiale nelT Alemagna diventò quasi effimera 
per via del mutamento onde i principi furono padroni 
assoluti dei loro Stati in una confederazione che appe- 
na avea immagine e legame nella Dieta permanente o 
debolissima di Ratisbona. La pace d'Augusta si estese 
anche ai calvinisti per cui i voti degli Stati accattolici 
e nelle Diete e nel Consiglio aulico bilanciarono quelli 
dei cattolici stessi. 

Questa era senza dubbio una gran percossa alla gerar- 
chia pontificia: ma ciò che più le dispiacque si fu che, 
per compensare principi, si secolarizzarono beni eccle- 
siastici o almeno in maggior quantità di quello che tor- 
se ella stessa era disposta a concedere. 

Fabio Chigi, monsignore, poi cardinale e pontefice, 
fu quegli che rappresentò il papa nel celebre congresso 
come nunzio apostolico. Egli vi fu mandato sin dal tem- 
po di Urbano Vili , ' e , ad Urbano successo Innocenzo , 

1 II Ornai andò a Mnnster nel mese di marzo del 16M« Fi- 
ta Fabii Chisii episcopi neritini posteci Alexandri VII Pont. 



CAPITOLO III. 55 

non venne meno allo zelo che avea mostrato sin da 
quando avea accettato lo spinoso incarico sebbene non 
fosse, come si vede dalle sue lettere, tanto riverente al 
nuovo papa, quanto era stato al defunto. 1 

Bisognava protestare risolutamente contro la pa- 
ce. E si protestò. Ma fu molto dibattuta la forma con 
cui dovea esser fatta la protesta medesima e il tempo 
di mandarla fuori. Il Chigi ci dà in qualcuna delle sue 
lettere testimonianza de' suoi dubbi, degli ordini contra- 
clittorì, de' suoi consigli sul momento opportuno di man- 
dar fuori un atto così importante. Scrivendo da Mun- 
ster sin dal 15 di decembre 1645 al cardinale Pam- 
fili (Camillo) egli dice « Havevo già formato la prima 
bozza, di cui mando copia a V. Em. per una dichia- 
ratane contro ogni pregiuditio .della Religione Cattolica 
ad esempio di una che ho trovato esser stata fatta dal 
Card., d' Augusta nel 1555, quando mi comparisce la 
copia della lettera del Sig. Card. Mattei sopra l'amni- 
stia di Ratisbona insieme al comandamento di N. S. 
Il tempo di darla fuori parmi che sia opportuno quello 
dello stipularsi i capitoli, se Dio faccia la gratia che ci 
si deva venire, e me ne sono aperto fin col Sig. Am- 
basciadore di Venetia che ha lodato molto il pensiero 
et ha oiferto di coadjuvarlo.... 2 » 

Checché sia di queste ambagi, che si protrassero per 
qualche anno sin che fu mestieri risolversi a qualche 

Max. a Petro Pollidori scripta, nunc prìmum luci reddita 
ex Ms. codice publicae Bibliotecae Ecclesiae Neritinae cum 
nonnullis additamentis Io: Bernardi Tafurri » (Nuova rac- 
colta d' Opuscoli del Calogerà, Venezia 1758, tom. IV). 

1 Uno studio sopra l'epistolario inedito di Fabio CniGi, che 
sto facendo, darà prova di ciò die dico. 

2 Lettere di Fabio Chigi (Ms. Biblioteca Chigiana. Voi. A. I. 
1, pag. 255). 



56 PARTE PRIMA. 

cosa, certo è che, oltre alle proteste più riservate del 
nunzio seguì la solenne d' Innocenzo , la quale però , 
com' è noto , non fu potuta, stante il divieto fattone, pub- 
blicare in Germania. l In questa bolla del 20 novembre 
1648 è detto che nella pace conclusa il 6 agosto 1648 
tra l'imperatore Ferdinando e la Svezia e loro confe- 
derati a Osnabriick e nell'altra soscritta il 24 ottobre 
tra Ferdinando e Luigi re di Francia e loro confede- 
rati, erario state sancite delle cose pregiudizievoli alla 
religione cattolica, al culto divino, alle Sede apostolica 
e romana e ad altre inferiori chiese, all' ordine ecclesia- 
stico, alle giurisdizioni, autorità, immunità, libertà, esen- 
zioni, privilegi, beni, dritti e va discorrendo. S'enume- 
rano poi tutti questi danni, di cui son principali e l'oc- 
cupazione fatta da eretici di beni ecclesiastici, e il pieno 
esercizio concesso agli eretici della Confessione d'Au- 
gusta in più luoghi e il diritto dato loro di edificar tem- 
pli e di occupare offici ecclesiastici come ai cattolici. Si 
annoverano fra i gravami le annate, i dritti di palazzo, 
conferme, mesi papali e altri simili dritti e riserve esclusi 
dai beni ecclesiastici della detta Confessione d' Augusta : 
conferme di elezioni o di postulazioni degli arcivescovi, 
vescovi e prelati eretici attribuite alla podestà secolare : 

1 Constitut. 19. 26 nov. 1648. Bullarium Romanum y toni. VI. 
pag. 269. — Tra le molte opere pubblicate sopra la pace di We- 
stfalia non posso a meno di ricordare quella del gesuita Bouge- 
ant, Storia del trattato di Westfalia (Parigi, Manette, 1744) 
tanto ammirata dal principe Eugenio, a cui pareva impossibile che 
un frate parlasse così bene di guerra e di politica. — Nel Re- 
gistro di lettere del Chigi (Biblioteca Chigiana Ms. Voi. A. 1. 22) 
si trovano le proteste del Chigi (la prima del 26 ottobre 1645) 
pag. 262, 263, 264; e così a pag. 261 il Breve d' Innocenzo con- 
tro la pace di Munster. — Il Pallavicini nella Vita di Ales- 
sandro VII (Prato 1839, t. 1. pag. 138) dà una traduzione d'u- 
na delle proteste del Chigi. 



capitolo ni. 57 

più arcivescovadi, vescovadi, monasteri, prepositure, ba- 
liaggi, commende, canonicati e altri beni e benefici ec- 
clesiastici dati a principi secolari sublata denominata- 
ne ecclesiastica: e quel eh* è peggio, non ammessa, te- 
nuta di nessun valore contro la pace fatta o contro qualcu- 
no de'suoi articoli qualsiasi disposizione di dritto canonico 
o civile, commune o speciale, decreti di Concili, regole 
d' Ordini religiosi, giuramenti o Concordati con papi, sta- 
tuti politici o ecclesiastici , decreti , dispense , assoluzioni 
od altre simili eccezioni; da ultimo si fa lamento che 
gli Elettori già dalla Santa Sede limitati al numero di 
sette, ora senza beneplacito di essa e del papa erano 
stati accresciuti, e l'ottavo elettorato instituito a favore 
di Carlo Ludovico conte Palatino del Reno, eretico, sen- 
za dire di altre cose che (secondo l'espressione della 
bolla) sarebbe stato vergogna ripetere. * 

Si sfoga il Chigi nelle citate lettere sulle funeste con- 
seguenze anche politiche di questa pace. « Del resto 
(egli dice) gli autori dell' infausta pace di Germania si 
avvedran, credo, d' aver donato più con essa agli Svez- 
zesi X (dieci) volte tanto di quel che non potevano ha- 
vere con la guerra. Cavano tutto V oro, svernano gras- 
samente, tengono rem et pretium, padroni delle città, 
delle fortezze e de' frutti della campagna... 2 » E si sfoga 
poi in amare parole quando finalmente gli è dato usci- 
re da Munster. « Escii di Munster avanti giorno, pro- 
ibendo e prevenendo lo sparo ed il porsi della bor- 



* Bolla: Zelus domvs Dei Bullarium (Augusta© Taurino- 
rum) tomo XV, pag. 603 e seg. 

2 Da Munstor 29 nov. 1649. « Registro di lettere di Mons. 
Chigi nuntio apostolico in Colonia e in Munster scritte a 
Mons. Albizzi assessore del Sant' Uffizio dal 1639 al Ì651. » 
(Bibliot. Chigiana. Ms. Voi. A. I. 22). 



58 PARTE PRIMA. 

ghesia in arme, non i>er denigrar queir infelice stanza 
mia, ma per escirc lugubre nell'esterno come ero la 
di dentro attesi i danni fattivi alla Religione Cattolica. 
11 primo giorno si ribaltò in acqua un carro e si dimo- 
rò per due bore. Vesti, panni, parati, scritture, registri 
si durarono gbiacciati fin qui, et bora per le stufe si 
cerca di qualcbe misero avanzo. Fanghi che vollero 12 
cavalli per lasciarci andare, alberghi ove disputava il 
freddo et il fumo senza cedersi un punto, ghiacci che 
non bastavan fermare il piede e mille altre delitie. V. 
S. lllma vedrà nel l'Itinerario che fo copiare, fatto al 
solito col lapis per iscemare il tedio della lettiga. Qua 
attorno ho trovato deserti i villaggi totalmente per ti- 
more de' Lorenesi che appunto eran passati la Mosa ; 
però le due ultime giornate ho usato sessanta dragoni 
di Giuliers. Dentro la città ho posato da' Canonici Re- 
gulari, in aria, che al solo vederla mi ricrea, e dopo 
X anni ho trovato un poco di acqua buona.... l » 

Sembra però che Innocenzo e i suoi consiglieri, per 
quanto fossero dispiacenti delle cose ecclesiastiche pre- 
terite nel più gran congresso dell' Europa moderna, pu- 
re, non potendo ristaurarle, cercassero consolarsi con 
qualche accrescimento di temporale dominio. Infatti non 
molto dopo la pace di Westfalia occorse una ridicola 
guerra, quale fu quella di Castro. Per altro essa ebbe 
la conseguenza di costituire lo Stato pontificio a quel 
modo in cui s'è mantenuto sino agli ultimi tempi. 

La famiglia Farnese era giunta ad alto grado e po- 
tenza con ismisurate ricchezze e col possesso d' un prin- 
cipato. Nel bel mezzo dello Stato della Chiesa, con ter- 
re e castella fiorenti e buone, fu dato da Paolo III a 

1 Da Aquisgrano a 24 di decembro 1649. — (Reg. cit. A. I. 
22. pag. 166. t.) 



CAPITOLO III. 59 

Pier Luigi suo figlio e a'primogeniti della casa Farnese 
il ducato detto di Castro dalla sua capitale (a. 1537). 
Al ducato di Castro fu poi unita la contèa di Ronei- 
glione. Questo Stato subì varie vicende, ma tolto e ri- 
dato ai Farnesi, non cessò di appartener loro ancorché 
fossero investiti come feudatari del papa dell' altro più 
ricco e desiderabile ducato di Parma e Piacenza. 

• Venuto il ducato di Castro a mano di Odoardo fi- 
glio di Ranuccio I, cominciarono le gare fra lui e i papi 
sì per passioni private, sì per le difficoltà sorte dalla 
condizione medesima d' una sovranità che si esercitava 
dentro un'altra più forte che la circondava. 

Ben è vero che il duca Odoardo, venuto nel 1639 
a Roma, ebbe accoglienza fiorita di grandi onori. Ma- 
gnifica dimora, servizio di gentiluomini, aiuti ne' suoi 
affari economici, donativi suntuosi di quadri e cavalli. 
Ma il suo orgoglio era ferito alla vista della dignità di Pre- 
fetto di Roma, della quale era fregiato Taddeo Barberini. 
Le feste date in suo onore dalla famiglia dei Barberini non 
valsero a placarlo. Secondo il vezzo del tempo fece del- 
le frivole questioni di cerimoniali aspri litigi. Si disputò 
dell' onoranze che gli si sarebbero dovute nel suo par- 
tire dalla città. Egli pretendea di esser trattato nò più 
né meno del Granduca di Toscana. Alla fine si decise 
che il nipote regnante, il cardinal Francesco Barberini, 
l'avrebbe accompagnato onorevolmente. Non se ne fece 
nulla perchè egli si ricusò di fare una visita d'addio 
nel Vaticano al cardinale come era cortesia ed obbligo 
d' etichetta. Uscì da Roma dopo breve congedo preso 
dal papa e senza nemmeno darsi l' incomodo di salutare 
Francesco Barberini • 

I Barberini, che di superbia gareggiavano col Far- 
nese, vollero vendicarsi di lui anche perchè non avea 



60 PERTE PRIMA. 

voluto acconsentire a cedere il ducato di Castro e di 
Ronciglione, feudo della Chiesa romana con cui faceano 
all' amore, nò col venderlo a loro, né col dare a uno dei 
Barberini per isposa la figlia che avrebte dovuto portare 
il ducato in dote. Cominciarono dunque a creargli mille dif- 
ficoltà, soprattutto rispetto a'suoi interessi pecuniari, x con 
tali molesti provvedimenti, che il Monte istituito in Ro- 
ma dai Farnesi per assicurare ai creditori il pagamento 
dei frutti con V ipoteca sul ducato di Castro e di Ron- 
ciglione non potò più mantenere i suoi impegni. Di che 
tante furono le lagnanze dei creditori romani, che il pa- 
pa, ad assicurarli, stabilì di prender possesso dei luo- 
ghi medesimi ipotecati. 

La misera guerra fu fatta. 2 Le truppe papali s'im- 
padronirono di Castro il 13 ottobre 1641. Nell'anno se- 
guente fu scomunicato il Farnese con decreto di devolu- 
zione di tutti i suoi Stati alla Camera apostolica. Si mirava 
a Parma e a Piacenza. Gli altri Stati d' Italia si com- 
mossero per gì' ingrandimenti successivi dello Stato pon- 
tificio. Parma e Piacenza non dovea essere inghiottita 
sì facilmente come Ferrara ed Urbino : Urbano Vili par- 
tigiano dei Francesi non doveva accrescere con la sua 
la potenza di questi a danno della riputazione spagnuola. 
I Veneziani, il Granduca di Toscana e il duca di Mo- 



1 Veggasi : Vera e sincera Relazione delle ragioni del duca 
di Parma contro la presente occupazione del ducato di Ca- 
stro. Ediz. in foglio senza data. Ve no sono altro in vari sesti. 
Il duca di Parma, diffondendo lo scritto, voleva muovere la pub- 
blica opinione. 

2 Chi voglia addentrarsi in queste meschino gare dee ricor- 
rere alla Biblioteca barberiniana ove sono molti documenti rela- 
tivi ad essa. In altre biblioteche pure ve n'è copia. Nella Chi- 
giana veggasi « Relatione dello Stato di Castro scritta al 
Principe Prefetto. » (G. Vili. 244, pag. 281). 



CAPITOLO III. 01 

dena fecero tra loro e col Farnese una lega difensiva. 
L' esercito pontificio raccoltosi nel bolognese non potè 
avere il passo pel ducato di Modena, e mentre ivi si 
baloccava, fu assalito improvvisamente da Odoardo Far- 
nese, che senza permesso dei collegati, spinto dalla di- 
sperazione , nella speranza di ricuperare la sua Castro, 
era passato per le terre di Modena contese agli eccle- 
siastici. Giungere con tremila cavalli soli senza fanti e 
artiglieria e veder dissipata V accozzaglia papalina fu 
un punto solo. Anzi propriamente il Farnese non li 
vide quei famosi soldati. Avanti a' suoi occhi tutto era 
solitudine. Taddeo Barberini, prefetto di Ronìa e Ge- 
nerale di Santa Chiesa, non si tenne sicuro che den- 
tro la munita Ferrara ! Odoardo passò rasente Bologna, 
entrò in Imola che gli aperse le porte, poi venne a Faenza 
e a Forlì, varcò le montagne, entrò in Toscana, rien- 
trò nello Stato della Chiesa, prese Castiglione del Lago 
e Città della Pieve. Dicea di aver preso le armi non con- 
tro Roma od Urbano Vili, ma contro i nipoti di questo : 
portava il gonfalone della Chiesa con le immagini di San 
Pietro e San Paolo come per mostrare rispetto alla Chie- 
sa stessa. 

Se Odoardo marciava risolutamente su Roma avrebbe 
ottenuto i patti più vantaggiosi. Qui si udìa mormorare il 
nome temuto del Borbone : si ricordava il sacco del 1 527 : 
il vecchio pontefice se la sfogava coi nipoti che Taveano 
messo in sì gravi imbarazzi. Ma Odoardo, che non era 
poi un gran guerriero, si stette fermo qualche tempo 
porgendo orecchio a trattati che andettero in fumo. Rifi- 
nito di denaro e di soldati, che disertavano, tornossene in 
Parma col solo vanto di questa inutile spavalderìa (1642). 

Ho voluto raccontare la parte più caratteristica di que- 
sta guerra, la quale, avendo il pontefice rifette le sue for- 



62 PARTE PRIMA. 

ze, si continuò tra questo e il Farnese e i suoi collegati con 
varia fortuna e fiacche fazioni. Non era così che si tratta- 
va in quel tempo medesimo la guerra in Alemagna ove 
recentemente aveano fiorito le virtù del Waldstein e di 
Gustavo Adolfo! E nondimeno si andò innanzi senza de- 
cisivi risultati per due anni ancora. Alfine piuttosto la 
enorme spesa che lo spargimento del sangue consigliò i 
belligeranti alla pace. Mediatrice e garante delle condi- 
v zioni pattuite fu la Francia. Odoardo Farnese fu assolto; 
gli fu restituito Castro (1044). E ciò dicesi addolorasse 
tanto il pontefice da morirne fra breve (29 luglio). 

Parca che nel pontificato d' Innocenzo le cose doves- 
sero proceder pacifiche. Fu fatta festa dal Farnese , in 
Roma e fuori, alla esaltazione di lui. Il duca licenziò le mi- 
lizie e scrisse lettera di sudditanza al papa, che lo rielesse 
gonfaloniere di Santa Chiesa (9 feb. 1648). Il fratello del 
duca Odoardo, Francesco Maria, l fu nel 4 decembre 1645, 
eletto cardinale insieme con Camillo Pamfili. Morto però 
Odoardo 1' 11 settembre 1646, nella fresca età di trenta- 
quattro anni e succedutogli Ranuccio II, rinacquero e 
crebbero le querele dei montisti per la pervicacia del 
Farnese di non pagare i frutti pattuiti. Ma fra liti , mi- 
nacce e rumori, le faccende, mediatrice la Toscana, avreb- 
bero preso miglior piega o almeno non sarebbero venute 
a finale rottura se un atto feroce dei ministri del duca 
non avesse dischiuso le porte alla guerra. 

Era stato fatto dal papa vescovo di Castro monsignore 
Cristoforo, che da alcuni è chiamato Ciarda o Gardi o 
Ghiarda, mentre non è dubbio che debba nominarsi Giarda 
come si vede in qualche lettera da lui diretta a monsignor 

i II Cafre ri dico Francesco Maria figlio di Odoardo o di Mar- 
gherita Aldobrandino II Lttta lo dico fratello di Odoardo. Noi 
abbiamo seguito il Litta. 



CAPITOLO III. 63 

Fabio Chigi a Munster. x E da queste lettere si rileva che 
il pover'uomo fosse divotissimo di Francesco di Sales 
e si adoperasse a tutt' uomo per la sua canonizzazione. 
Del resto la sua vita non ebbe lustro che dalla mise- 
ra fine. 

Creato egli dunque, per sua sventura, vescovo di Ca- 
stro e dovendo condursi alla sua residenza, ebbe vari 
viglietti in cui gli si dicea che non s' incamminasse a 
quella volta, o male glie ne verrebbe. No.n mancò egli di 
farne partecipe il papa , il quale, dicono alcuni , che gli 
comandò ricisamente di obbedire. Altri però narrano 
che Innocenzo s'impensierisse alquanto, ma che, inter- 
petrando le minacciose lettere per una esclusione asso- 
luta dalla città di Castro e non già dal suo territorio , 
comandasse al nuovo vescovo di condursi in Acquapen- 
dente luogo alquanto discosto e quivi esercitasse le sue 
funzioni episcopali come se stesse nella sua vera resi- 
denza. 2 II Giarda chinò la testa e partì benché a ma- 

i Bibl. Chigiana A. I. 34. Lettera di D. Cristoforo Giarda 
chierico regolare di S. Paolo (Roma 21 decembro 1647) al Chi- 
gi, ove gli parla di S. Francesco di Sales. — E il Chigi in una 
lettera al Sig. Calanio della Caia a Roma così ne parla. <c Al Si- 
gnor Calanio della Caia a 2 d' Aprile. Roma. Sono già presso a 
due anni che venendo notitia non so come al P. Giarda che poi 
fu vescovo di Castro della mia dovotione per 30 anni già verso 
Mons. Francosco di Sales Vescovo di Genevra, e le sue opero, a 
questo solo conto prese commertio meco per lettere e mi ebbe 
per compagno in procurarne la sua canonizzazione, coir impetrare, 
se possibile era, da N. Signore che l'intervallo do' 50 anni richie- 
sto dalla Bolla d'Urbano VITI S. M. si riducesse all'altro giu- 
bileo più lieve di XXV. Scrissi in quel tempo più lettere ad al- 
cuni Em. Sig. Cardinali et ad alcuni Prelati, et ho sperato di 
veder mettere sul candelabro la vita d'un Prelato do' nostri tempi, 
che può servire per esempio e per regola ad ogni uno, ecc. » 
(Bibliot. Chig. A. 1. 7. pag. 37 tergo). 

2 Siri, Il Mercurio Polit ico, tomo XIV (Firenze 1682) pag. 150. 



64 PARTE PRIMA. 

lincuore. Fatto circa quindici miglia, inoltro per la via 
un uomo che gli disse le strade assai cattive, e V esortò 
a tornare indietro. 

Quasi certo della morte il miserello forse preferì di 
affrontar questa piuttosto che il volto irato d' Innocenzo 
se mai dovesse ricondurglisi innanzi. E di fatti, oltre- 
passato di poco Monte Rosi, un' ora dopo l' avviso del- 
l' incognito, per archibugiate fu spento. (1# marzo 1649). 

Giunta a Roma la notizia dell'assassinio e tornate 
in fmttuose le ricerche dei colpevoli, fu nel 23 aprile 
affisso nei luoghi pubblici della città un bando del Go- 
vernatore « con 3000 scudi e remissione di un capo- 
hanllito e due altri banditi contro li sacrilegi (sacrileghi) che 
alli 18 passato uccisero di archibugiate vicino a Monterosi 
monsignor Cristoforo Giarda vescovo di Castro mentre 
se ne passava a quella sua residenza. — Anche nel 
medesimo giorno fu affissa una bolla di scomunica mag- 
giore fulminata dalla S. di N. S. contro li suddetti sa- 
crilegi e loro fautori, ricettatori ed altri che fossero stati 
partecipi del medesimo delitto, dal quale non possono 
essere assoluti se non dal Sommo Pontefice non ostante 
qualsivoglia giubilleo, anno santo o crociata. l » 

Seguono poi gli stessi avvisi: « 24 aprile. Lunedì nel- 
la Chiesa de' Catinari furono fatti solenni funerali al de- 
fonto monsignor Giarda vescovo di Castro. — 1 maggio. 
E uscita proroga e taglia di questo ìllmo. Monsignor 
Governatore nella quale accresce 2000 scudi a quella 
delli 3000 pubblicati li giorni addietro da darsi a chi 
consegnerà in mano della Corte quei che uccisero il de- 

1 Avvisi di Roma dal 1629 al 1652. (Dosiderantur 1640, 1644, 
Uilly, 1650, 1651). Bibl. Casanatenso in fol. X. III. — 40 ad 48. 
-- .Bolla Cum sicut non s ine gravi, 24 marzo 1649. Bullar. 
cit. Tomo XV, pag. 626. 



CAPITOLO III. 65 

fonto vescovo di Castro, e 2000 solamente con la no- 
% mina di due banditi in primo capite e nel secondo, e 
4 a chi li notificasse, rilevasse o sapesse dove si tro- 
vano. f » 

Si disse autore principale del delitto Sansone Asi- 
nelli, che, capitato fra gli Svizzeri del duca, si facea 
chiamare Alessandro Bossi, mandante dell'uccisione il 
marchese Godefroi (detto dagl'italiani Goffredo o Gau- 
frido) primo ministro dello stesso Ranuccio. * 

Codesto Gaufrido, di bassa condizione, era venuto 
di Provenza a tentar fortuna. Non era privo d' ingegno, 
e scrisse varie operette magnificate dall' Achillini, il fa- 
migerato poeta dei fuochi sudanti, suo amico. Acca- 
demico degl' Incogniti di Venezia e della Notte di Bo- 
logna, ivi avea dato scuola di lingua francese, di cui 
divenne maestro al duca Odoardo. E il duca lo prese 
in amore: lo fece suo intimo segretario e lo elevò ad 
alti gradi. Nel 1643 insieme col marchesato di Castel- 
guelfo gli dette per moglie una donna della famiglia 
Anguissola. Naturalmente il Gaufrido, come francese, 
parteggiava per Francia e tirava alla sua parte il du- 
ca, mentre un altro consigliere di questo, il conte Fran- 
cesco Serafini, lucchese, cercava volgerlo in favore di 
Spagna. Eterna tenzone in Italia in quel tempo ! Ora il 
marchese alzatosi in superbia, fomentò le ire che cagio- 
narono la guerra di Castro, volle anche farla da capitano 
d'arme e condusse le schiere di Ranuccio contro quel- 
le del papa, che in fretta in fretta erano andate ad assediar 
Castro sotto la condotta del conte David Vidman e Gi- 



1 Avvisi cit. 1648, 1649. Bibl. il. X. III. 47. 

2 Lettere diverse di M. Francesco Boccapaduli raccolte 
dal Bicci nelle notizie di quella famiglia» 

CiA&fPi. — Innocenzo £ e ta sito, Corte. 5 



fif) PARTE PRIMA. 

rolamo Gabrielli, essendo commissario generale monsignor 
Marcello Santacroce poi cardinale. ! Per raggiunger Ca- 
stro si dovea passare pel bolognese, e così fu fatto dal 
condottiero improvvisato co' suoi tremila soldati. Se non 
che quivi, e proprio a San Pietro in Casale, s'incontrò 
col marchese Luigi Mai tei che comandava alcune schie- 
re pontifìcie, ed ebbe sì piena rotta con settecento uo- 
mini uccisi e il resto in fuga (18 aposto 1640), da do- 
ver rifugiarsi subito a Parma in cui l'aspettavano in- 
fortuni peggiori. Poichò il Farnese, o scuoprisse che 
autore dell' ammazzamento del vescovo fosse lui, o bra- 
masse impinguarsi de' suoi beni, o volesse placare con 
una vittima l' ira del pontefice, lo fece carcerare e sot- 
toporre a rigoroso processo. Forse il duca, che non 
cessava d' amare il Gaufrido benché sconfitto, si sarebbe 
piegato a più miti consigli, se la madre, Margherita, 
ch'era dei Medici, stirpe vendicativa, non l'avesse spro- 
nato e persuaso al rigore. Comunque sia, ce.rto ò che 
non molto dopo la condanna il misero Gaufrido, vesti- 
tosi con un abito scarlatto ricamato d'oro, in mezzo a due 
gesuiti che lo confortavano, sul rivellino a fronte del ca- 
stello di Parma, ebbe mozza la testa. 

Ma il papa non si placò per questo. Già i feudi far- 
ncsiani sparsi pel Patrimonio erano stati messi all'asta, 
e non presentandosi compratori disposti a pagare sei 
milioni, prezzo a cui erano valutati, furono aggiudicati al 
papa per un milione e settecentomila scudi, e aggiunti 
da esso alla Camera pontificale. E Castro anche dovea 
cadere. La corte era tutta intenta alle novelle della 
guerra. I Romani parte la prendean sul serio, parte la 

ì Lettera di Ranuccio del agosto 1649 ai Priori, an- 
tiarti e Consiglio generale di Piacenza, (Ms. Bibliot. Chigi 
G. Vili 244, pag. 544). 



CAPITOLO III. 67 

satireggiavano secondo Tumore e le fazioni. Non era 
la città di Castro sì male munita da non fare una re- 
sistenza forse imprevista alle truppe papali. Gli Avvisi 
di Roma * notano i rinforzi che vi si mandavano e con 
diligenza i mali e i buoni successi. « Mercoldì matti- 
na (giugno 1649) s'inviarono da questo Castello San- 
t' Angelo verso Montalto per acqua quattro grossi pezzi 
d'artiglieria per servire all'assedio della città di Castro. » 
— « Di Toscanella avvisano che ivi si era radunata gran 
quantità di munizioni sì da bocca, come da guerra, quali 
s'inviavano in servizio dell'esercito ecclesiastico sotto 
Castro e che il Barone Vidman avesse preso un con- 
voglio di bestiami che passava a Castro, ed avesse oc- 
cupato tutti li passi per dove poteva uscire quel presi- 
dio per danneggiare le raccolte. » 

Si muoveva pure il Savelli, il maresciallo del con- 
clave, che ancora avea sotto i suoi ordini le corazze. 
« 26 giugno. Di questa settimana è partita verso Castro 
la compagnia di corazze del Sig. Duca Savelli. » — « Di 
Toscanella, delli 23 stante, scrivono che essendosi il 
Barone Vidman e Conte Gabrielli avanzati con le loro 
genti vicino le fortificazioni esteriori di Castro, la notte 
delli 21, dopo qualche contrasto, si fossero impadroniti 
di un fortino, per il cui acquisto si era levato a quei 
di dentro il commercio della cava di Castro.» — «3 luglio. 
Sono di qua stati inviati verso il campo pontificio da- 
nari e munizioni per servizio di quella soldatesca. » — 
« Luglio. Frattanto, continuandosi l'assedio sotto Castro, 
si sono inviate di qua e del continuo s' inviano soldatesche 
e munizioni, ed in particolare Domenica partirono a quel- 
la volta alcune compagnie di Corsi, e si mandarono an- 

1 Avvisi cit. 



fJ8 PARTE PRIMA. 

che quantità di palle d' artiglieria , e di pia s'intende 
che il Conte Vidman essendo con mille cavalli passato 
il fiume Elpida per impedire ogni soccorso che vi po- 
tesse essere introdotto o dalla parte di Pitigliano o al- 
trove,... vi avesse dato principio a fare due forti. » 
— «24 luglio. Partì di qui martedì notte di ritorno al 
campo pontificio sotto Castro il conte Gabrielli con al- 
cuni buoni ordini per servizio di quell'assedio. » — « 31 lu- 
glio. Scrivono da Firenze che fosse partito da quella 
città con quaranta officiali il principe Mattia de' Medici 
alla volta di Pistoia e Pescia, dove si erano radunate 
molte soldatesche di leva e milizia per impedire da quel- 
la parte il passo al duca di Parma in ogni caso volesse 
tentare di venire al soccorso di Castro. » Da ciò si vede 
che i Medici stavano pel papa. 

D'altra parte il duca di Parma, anche se avesse 
voluto con la migliore intenzione soccorrere Castro, non 
potea farlo perchè era allo stremo di tutto. Avea chiesto 
una grossa somma di denaro ai Piacentini, e questi aveano 
risposto che se il denaro dovea servire a pagare i Monti, 
lo avrebbero dato, ma se per la guerra, non ne voleano 
sapere. E domandato a quei della Valle dei Cavalieri e 
ad altre terre, muli e cavalli per condurre le munizioni 
al campo, gli fu risposto di no : né i riottosi furono potuti 
mettere alla ragione per via della forza, anzi disfecero due 
compagnie di dragoni ch'erano state mandate a gastigarli. 1 

Intanto proseguiva l'assedio: e gli Avvisi di Roma 
ci ricordano, al 7 agosto, che partirono «...Domenica, al- 
tre due compagnie di fanteria assoldate in questa città 
alla volta di Castro »; che si assoldavano « con gran 
sollecitudine un terzo di fanteria ed alcune compagnie 
di cavalleria per spingerle in rinforzo dell'assedio»; e 

1 Avvi$i di Roma, 31 luglio. 



CAPITOLO HI. 69 

ancora che il marchese Cesi « dopo avere fatto una 
scelta delle milizie a piedi ed a cavallo dell' Umbria ed 
altri luoghi » le avviava al rinforzo dell'esercito. 

Né le difficoltà erano superate. Udiamo ancora gli Av- 
visi. « 7 agosto. Con lettera del campo sotto Castro delli 3 
stante si è avuto avviso che la soldatesca pontificia dalla 
parte della Cava dove comanda il Conte Gabrielli si fosse 
avanzata all'acquisto dei molini, i quali dopo qualche con- 
trasto erano stati presi con alcune fortificazioni che li 
guardavano, essendovi rimasti morti alcuni soldati per 
parte, non ostante che il comandante della piazza aves- 
se fatto sortire alcune squadre di soldati per difendere 
quel posto, dove era stato ferito di moschettata in una 
spalla il Sig. Maurelli Generale della cavalleria, il quale 
poi era passato a Viterbo per curarsi ; e che giornal- 
mente vi arrivavano soldatesche da diverse parti in rin- 
forzo di queir assedio, aspettandovisi in breve il cannone 
con altri 1500 soldati di Viterbo. » — « 14. di agosto. Sa- 
bato partirono di qua due compagnie di fanteria assol- 
date in questa città alla volta di Castro in rinforzo di quel- 
l' assedio, verso dove anche la medesima notte si portò 
il Marchese Cesi per comandare la cavalleria in vece 
del Maurelli che si trova a curarsi in Viterbo della scritta 
ferita ricevuta nell' acquisto fatto dai pontificii de' molini 
della piazza di Castro. » — « E venuto avviso della morte 
del Sig. Maurelli commissario generale della cavalleria 
pontificia sotto Castro seguita alle 1 1 stante della scritta 
ferita nel luogo di Nepi dove si era fatto trasportare come 
luogo di buon' aria per curarsi, e per tal morte vacano 
alla Camera Apostolica da 10 mila scudi e luoghi di Monti 
vacàbili che aveva in testa sua. » — «Con diverse staffette 
giunte qua dal campo sotto Castro si è avuto avviso che 
sendovi giunti da Roma 12 cannoni con un mortaro e 



70 PARTE PRIMA. 

rinforzo di 1500 soldati, erano state erette due batterie con 
le quali veniva ora travagliata quella piazza, e particolar- 
mente con le bombe le quali dannificavano le case di quel- 
la città. » — «4 settembre. Partì di qua nel fine della pas- 
sata notte verso il campo ecclesiastico sotto Castro il 
Sig. Lodovico Piccardi stato dichiarato dal Sig. Duca Sa- 
velli suo luogo tenente. » 

Finalmente la vittoria coronava tanti sforzi d' un in- 
tiero Stato contro una piccola città. « lettere del Campo 
sotto Castro delli 31 passato (agosto) danno avviso che 
avendo li pontificii levato tutte le difese a quegli assediati 
e preso la mezza luna della porta del Torrione e co- 
minciato a fabbricare alcuni fornelli per venire poi all' as- 
salto, li Sig. Baron Vidman e Conte Gabrielli avessero 
fatto fare la chiamata a quel comandante Sansone Asirielli 
(quale non avendo più di 370 soldati per difendersi e tra 
essi molti ammalati) a dover rendere quella piazza al- 
l'armi di S. S. , dopo di. che il detto comandante aveva la 
medesima sera delli 31, a due ore di notte, mandato fuori 
un officiale a trattare con li medesimi signori la resa di 
detta piazza a patti di buona guerra, e però si spera fra 
due giorni la caduta di essa. l » 

Castro dunque, premuto anche dalla fame, cedette ; e 
il 2 settembre 1649 fu sottoscritta la capitolazione dai 
detti capitani pontifici e da Sansone Asinelli colonnello 
generale degli Stati di Castro e Ronciglione e governa- 
tore della città di Castro. Le condizioni furono che i vin- 
citori entrassero da porta Farnese e intanto i vinti uscissero 
da quella di Montalto a tamburo battente e a spiegate 

1 II Siri nel Mercurio politico, toni. XIV (Firenze 1682) dà 
più particolari sulla guerra e sulla distruzione di Castro. V. gli 
Avvisi di Roma cit. e specialmente dal 1648 al 1649. Bibl. Ca- 
sanatense in fol. X. III. 47. 



CAPITOLO III. 71 

bandiere: che i Castrensi non fossero menomamente mole- 
stati. Ma , entrati i pontifici in Castro , fu subito la sedia 
episcopale trasferita in Acquapendente , e se ne dette per 
ragione l'aria stemperata, l'angustia del luogo, la poca 
popolazione di Castro , ombra di città, per cui i vescovi 
la maggior parte dell'anno doveano dimorar fuori di 
essa con molto detrimento della salute dell'anime. 1 In- 
tanto fortezza, chiese, case furono distrutte :. costretti i 
vinti medesimi a distruggere dalle fondamenta la patria 
loro e girsene limosinando pei prossimi castelli. Una sor 
ditaria. colonna additò il sito della città con la iscrizione: 
Qui fa Castro. Mi dimenticava di dire che con molta 
cura furono poste croci nei luoghi ov'eran già chiese 
e cimiteri : ironica riverenza ! 2 Anzi è curioso il notare 
che alla caduta di Castro si dette quasi aspetto di cosa 
religiosa. Nella galleria Doria (ottava sala) è un qua- 
dro, a me pare dei più cattivi, del Borgognone, in cui 
è rappresentata la catastrofe. Vi si vede gente che fug- 
ge ed è inseguita da cavalieri con corazze, larghe fa- 
sce al fianco, calzoni rossi e gonfi sino al ginocchio e 
grandi stivaloni con i rivolti. 11 paese non presenta per 
sicuro bei monumenti, e se dalla pittura del Borgo- 
gnone dovessimo far giudizio, diremmo che l' Architet- 
tura non isparse gran pianto per la distruzione di Ca- 
stro. Intanto su nel cielo si vedono e la Religione con 
la spada sguainata e angeli che suonan le trombe come al 
dì del Giudizio, e ve n' h uno persino che ha sulle braccia 
una colonna, quella senza dubbio che dovea esser pianta- 



1 Bolla della soppressione della città di Castro e dell'erezione 
del vescovado di Acquapendente « In supremo militantis ec- 
clesiae. » 13 settembre 1649. Bullar. cit. t. XV. pag. 641. 

2 Ciacconii, Vitae et res gestae ponti ficum cum notis 01- 
doini. (Roinae 1677) Voi. IV, col. 646. 



72 PARTE PRIMA. 

ta sulla città rasa al suolo, A eseguire le figure cele- 
sti fu incaricato Carlo Maratta, che le appose con tutto 
diverso stile e colore sui bruno fondo del Borgognone. 

Castro era già stato fiorente al tempo dei primi Far- 
nesi e lieta di giostre, di torneamene, di combattimenti 
di tori, di concorso di principi. Quando i Farnesi furono 
fatti duchi di Parma e Piacenza essa decadde dall' antica 
prosperità. Un tal Benedetto Zucchi in una Memoria o 
cronaca inedita della sua patria scritta nel 1630 afferma 
che oramai non v' erano « venti persone di progenie an- 
tica e quelli di poco valore e male uniti insieme. »• Inol- 
tre che « si sono perse in detta città le lettere e non vi 
sono che uomini ignoranti. » Nondimeno afferma che il 
sito della città era forte, con muraglie fatte dalla natura 
di tufo, con una cava e il fiume da lui chiamato Olpita 
che vieppiù le rendea valide, con molti pezzi d'arti- 
glieria e -altro. ' 



1 « .... al dì d' oggi non vi sono più di sessanta o settanta 
uomini arrolati per pigliar armi la maggior parte forastieri... Non 
arrivano a 800 anime, né fa 200 fuochi... Il sito della città forte : 
muraglie fatte dalla natura di tuffo (tufo). Vi è una cava che le rende 
di maggior fortezza. Vi passa sotto il fiume chiamato Olpita... 
Vi sono molti pezzi d' artiglierie. V'è la monizione da guerra con 
il suo monizioniero che ne ha la cura, Jl Castellano, quale esig- 
ue tutti gli affari di V. A. S... Vi sono state sempre famiglie di 
Ebrei e vi hanno tenuto spesse volte il banco, quali non posso- 
no stare in altri luoghi dello Stato sotto gravi pene... Si fanno tut- 
tavia guardia alle porte. Si sono perse in detta città le lettere e non 
vi .sono che uomini ignoranti... Vi sono due capitani, tino di soldati 
a piedi e F altro de soldati a cavallo con oltre dodici cavalloggeri 
casacche nere... Questa città sebbene pare che sia scaduta è dotata 
di molte prerogative e grazie, e non ha bisogno se non d'abitatori 
e di trafico, e, quel che più importa, di buon governo... Onde la po- 
vera città non deve essere abbandonata da V. A. per essere questo 
Stato di Castro una gioia sulle porte di Roma, di Siena, di Or- 
betello e di Portercolo presidj del Re cattolico, in riputazione di 



CAPITOLO III. 73 

E appuuto perchè era forte fu rasa al suolo. Unica 
scusa, se pur è, di questa distruzione ci dà il Galluzzi: il 
quale, dopo aver detto che Olimpia per la facile vittdtìa 
mostrava più iattanza, e dopo aver imprecato alla rab- 
bia papale, aggiunge che veramente Castro così vicina 
a Roma « imponeva con le sue fortificazioni alla sicurezza 
dei papi, x » 

Reliquia della piccioletta Ninive o Babilonia , furono 
le campane : le quali secondo alcuni dondolano nei campa- 
nili della nuova chiesa di Sant' Agnese, secondo altri (il 
Nibby specialmente) suonano ancora nella chiesa di San- 
t' Eustachio. Castro confiscata a favore della Santa Sede 



casa Farnese. » Qui finisce il Cap. I del Zucchi: che poi segue 
a parlare delle altre terre appartenenti al ducato di Castro, cioè 
Arlena, Bisenzo, Borghetto, Canino, Capodimonte, Cellari, Gradoli 
Grotte, Isola Bisentina, Isola Martana, Marta, Montalto, Musi- 
gnano, Pianiano, Pianzano, Bocca del Ponte, Tessennano, Va- 
lentano. E son curiosi i nomi che impose il cardinale Alessan- 
dro agli abitatori di quei paesi: Galli (i Castresi), Mori bianchi 
(i Montalte8Ì), Spadaccini (Caninesi), Favoriti (Cellaresi), Roto- 
lasassi (Pianianesi) Culdidies (Tessanesi), Meschinelli (Arlenesi), 
Volantini (Valentanesi),Cannaruti (Ischiani), Pescatori (Martani), 
Cortegiani (Capimontani), Poveretti (Bisenzani), Cipollai (Gra- 
dolesi), Favai (Grottani). — Informazioni e cronica della città 
di Castro e di tutto lo Stato suo, terra per terra e castello 
per castello, delle qualità di luoghi, costumi persone e ric- 
chezze, fatta da me Benedetto Zucchi cittadino di Castro et 
al presente Podestà di Capodimonte d* ordine espresso del- 
l' Illmo. Sig. Cavaglier Rovanello bo: memi già consigliere 
di Stato e di quel di Ronciglione, eletto sopraintendente, 
inviata poi ali Illmo. Signor Cav. Cavandino. — Ms. dipag. 83. 
In ultimo v' è un breve di p. Eugenio IV del 1440 — Ms. addi- 
tatomi dal Com. Miraglia direttore dell' Archivio di Stato. — D'o- 
pere stampatele ne sono molte : e veggasi il Moroni (Dizionario 
pcc. art. Castro). 

1 Istoria del Granducato di Toscana anno 1649. 



74 PARTE PRIMA. 

in sicurezza dei crediti, fu finalmente nel 1061 da Alessan- 
dro VII, per non aver ricevuto pagamento, incamerato. 
Dai seguenti trattati fu tenuto per valido il possesso. 

Con Castro si compiva lo Stato della Chiesa. Ma con- 
tribuirono a dargli più consistenza l' estinzione della fa- 
miglia Malatesta (1040), di quella della Cornia e dei Ma- 
latesta Baglioni: onde furono incorporati alla Camera apo- 
stolica i loro beni feudali. * 

L' acquisto del territorio di Castro fatto con armi tut- 
t' altro che spirituali non intiepidì la divozione dei rimasti 
fedeli al pontefice, che poco appresso, nel 24 decembre 
del 1 049, aprì la porta santa nel Vaticano pubblicando il 
giubileo per Tanno seguente. 2 Nello stesso giorno e alla 
stessa ora il cardinal Lante apriva la porta di San Paolo, 
il Cardinal Colonna quella di San Giovanni e il semplice di 
spirito cardinal Maidalchini martellava, come arciprete, 
quella di Santa Maria Maggiore. 

Le relazioni di quel tempo ci mostrano che gli spetta- 
coli devoti oltre a ritenere la sostanza medioevale, aveano 
preso una scorza più fastosa e più conforme al secolo dei 
collari e dei cartocci. E quindi nell' anno santo del 1650 
fu bello il vedere nei giorni di domenica, quando le chie- 
se erano più affollate, entrare in esse a pregare i cardinali 
venuti a piedi per dare esempi buoni, mentre i prelati non 
cessavano negli altri giorni di far le visite in carrozza e 
perciò le evitavano la domenica per non arrossire incontran- 
do le pedestri Eminenze. 3 E bello fu vedere le diverse con- 



1 De Novaes* Elementi dell' Istoria de 9 Sommi pontefici 
(Ed. Roma 1788. tomo V.) 

2 Sin dal 4 maggio 1649 era stato indetto il Giubileo per Tan- 
no santo 1650 (Bull. cit. t. XV pag. 628.) 

3 12 gennaro 1650. « Seguono i Signori Cardinali a dare esem- 
pio agli altri di visitare le Chiese a piedi, le quali visitano nel 



CAPITOLO III. 75 

fraternitè venute da varie città d' Italia, tra le quali fu no- 
tata quella di Firenze, ma riscosse più plauso una di Or- 
vieto , mista di uomini e donne , che , nobili com' erano , 
con le scarpe all' apostolica e il bordone da pellegrino, cu- 
ravano di far iscorgere la loro nascita gentilesca per via 
delle scarpe bianche e dei guanti dello stesso colore. l 
V'erano villici, che sotto i sacchi o bianchi o rossi e coi 
bastoni inargentati nelle mani s' insuperbivano maledet- 
tamente, e guai a chi volea passare per mezzo la lor 
processione, o pedone o carrozza che fosse, che i santi 
pellegrini diventavano nuovamente villani e tiravan giù 
botte da orbi. E v' erano di quando in quando miracoli 
tenuti per veri e miracoli scoperti per falsi in guisa da 
procurare ai loro autori un bel laccio al collo per ordine 
dell'autorità. E poi la confusione e le morti anche cagio- 
nate dalla calca che si facea nel cortile del Palazzo alle 
benedizion ipapali. E poi le liti fra le superbe confratèrnite 
e i testardi visitanti sino a venir alle mani e a sparger 
sangue nelle chiese stesse, come avverine a San Giovanni, 
ove fu mestieri ribenedire il tempio e costringer la con- 
fraternita della Riccia a recarsi dal papa con la corda 
al collo e i piedi scalzi per l' assoluzione ! * 

giorno della Domenica quando la visita è più piena per dar mag- 
giore essempio, cagione che i Prelati che per lo più vanno in 
carrozza non vogliono incontrare i Cardinali a piedi e perciò 
prendono altre giornate della settimana. » (Deone). 

1 4 maggio 1650 « Domenica sera entrò processionalmente in 
Roma una Confraternita di Fiorenza di molta nobiltà: non ginn- 
se però al decoro di quella d' Orvieto, che con ordine e divotiono 
grandissima, con le scarpe all' Apostolica, diede maraviglia gran- 
de; e non era minor numero delle donno di quello degli huomini. 
Le donne erano tutte in iscarpe bianche, e doppo ogni sei cop- 
pie andava una Gentildonna sola come Caporala; tutti con li 
bordoni in mano e guanti bianchi. Di tutte le altre che gior- 
nalmente entrano, questa è stata la cospicua. •» (Deone). 

2 Deone, Giugno 1650. 



70 PARTE PRIMA. 

Molti furono i personaggi ragguardevoli che accor- 
sero qui per respirare a pieni polmoni l' aria santissima. 
Nel Noviziato de' Gesuiti ebbe stanza il duca della Mi- 
randola : in abito umile e dimesso si vedean visitare le 
chiese i due principi di Toscana Mattia e Leopoldo 
fratelli di Ferdinando IL La principessa Maria di Sa- 
voia, la terza delle cinque figlie di Emanuele II e di 
Caterina d'Austria, monaca del terzo ordine di San Fran- 
cesco, in nobilissimo equipaggio, accompagnata da mol- 
te dame e cavalieri, ebbe onorevole albergo nel mona- 
stero di Tor de Specchi, Ella andava per Roma e an- 
che all'udienza del papa vestita da pellegrina con un 
cappello di paglia in capo e seguita da altre sue dame 
in simile acconciamento. Sordastra com' era portava se- 
co una piccola tromba d'argento per applicarla all'o- 
recchio quando altrui le parlava. l E lascio altri pelle- 
grini illustri. 

Nobili poi e plebei tanto cercarono saziare la loro 
divozione nella visita dei luoghi santi, quanto soddi- 
sfare la lor curiosità di vedere donna Olimpia, la cui 
fama anche esagerata di bellezza, d' accortezza, di bontà 
e di malvagità insieme e al certo d'onnipotenza s'era 
sparsa per tutto il mondo. Essa divise col papa, con 
le tombe dei martiri, con le sacre cerimonie la loro at- 
tenzione. E non si può negare d'altra parte ch'ella, cre- 
dendosene in dovere come principale signora della città, 
non facesse abbastanza bene gli onori di casa special- 
mente nell' ospedale della Trinità dei Pellegrini. In que- 
sto luogo, sino agli ultimi tempi, abbiam visto gara di 
bellezze orgogliose coperte dell' umile zinale delle suore, 
compiacenza di prelati, pellegrini della Campagna ro- 

4 Deonr, maggio 1650. Gigli, Diario. 



CAPITOLO III. 77 

mana, carità senza dispendio e fatica. Ma la priora del- 
l'ospedale, qual era allora Donna Olimpia, sapea almeno 
far denari se non li dava del proprio. Scelse quaran- 
tadue dame che in tutto Tanno elemosinassero, e con lar- 
ga messe provvide al sostentamento temporaneo di con- 
valescenti e pellegrini per tutto quel periodo di tempo. ! 

1 Queste dame seppero fare 16,582 scudi per albergare per 
tre giorni 226,711 uomini e 81,822 donne oltre a 25,902 convale- 
scenti sostentati anche per 3 giorni. Sì noti però che al numero 
suddetto porta i pellegrini Boggiero Cataneo; ma il Marini nel- 
r Istoria degli anni santi dice che furono in tutto 334,443. Gita 
ambidue il Novaes, Stor. cit. tomo X. pag. 36. — Il conto poi 
dei denari incassati e spesi si particolareggia così: Avuti in do- 
nativo dalle confraternite ammesse 5629 scudi e aggiunti a' sud- 
detti 16, 582 formarono insieme 22211 — Spesi 28,808 scudi — di 
modo che l'ospedale mise delle sue rendite 6597 scudi. — Am- 
messe le due partite di rendita e di spesa, il Novaes erra nel- 
la somma e nella sottrazione ch'io correggo. 



78 



Capitolo IV. 



11 cardinal di Ketz. — I Barberini. — Soppressione dei 
piccoli conventi. — Condanna delle proposizioni del Gian- 
senio. — Il papato meuo aggressivo e ragioni di ciò. — 
Innocenzo restringe le ambizioni pontificie. — 



E noto cho la lotta fra il governo assoluto e la li- 
bertà in Francia si manifestò da prima nel movimento 
frivolo in apparenza, ma non meno fecondo in sostanza 
di conseguenze politiche, il quale fu chiamato della Fron- 
da in francese e in italiano dovrebbe dirsi della from- 
bola o fionda, poiché appunto trasse il suo nome da 
questo giuoco fanciullesco. Francesco Paolo di Gondi, 
arcivescovo in partibus di Corinto e coadiutore del suo 
zio nell'arcivescovado di Parigi, ferito nell'orgoglio dal 
cardinal Mazzarini, era stato uno dei principali e più 
accaniti frombolieri. Cionondimeno, mentre la reggente 
Anna d'Austria e il ministro cardinal Mazzarini passa- 
rono per quelle traversie che qui non è luogo di rac- 
contare, il Gondi fu molto accarezzato ed empiuto di 
promesse per farlo amico o almeno men terribile ne- 
mico alla corte. Fra le altre vi fu quella del cappello 
cardinalizio: e veramente, valendosi dell'antico diritto 
delle corone cattoliche chiamato di presentazione, la re- 
gina, per tenere a bada il Gondi, in palese fece istanza 
al papa del cappello per lui, ma di soppiatto si valso 
dell'appendice al dritto nominato, cioè della rivocàzio- 



CAPITOLO IV. 79 

ne, ordinando al suo ambasciadorc di disdire la pro- 
posta 'proprio nel momento precedente alla nomina dei 
cardinali. Innocenzo però come aveva volentieri accon- 
sentito alla domanda, non si mostrò del pari disposto 
a recedere dalla presa determinazione o perchè non si 
volesse far docile strumento delle passioni altrui, o per- 
chè, come è più probabile, volesse fare dispetto al Maz- 
zarini suo antico avversario ed ora più che mai caduto 
dalla sua grazia per la politica da lui seguita, sulle 
traccie del Richelieu, sempre avversa alla supremazia 
pontificia. E così avendo l' ambasciadore francese do- 
mandato udienza per la mattina del 18 febbraio 1652, 
giorno del concistoro, appunto per eseguire gli ordini 
avuti; Innocenzo glie la concesse, ma nella notte pre- 
cedente, adunati i cardinali, proclamò venti nuovi mem- 
bri del sacro collegio e tra i primi il Gondi: cosicché 
T ambasciadore ebbe a so d' innanzi la sentenza del Mo- 
sca : cosa fatta capo ha. 

Ad onta che il Gondi, che allora si chiamò cardi- 
nale di Retz, paresse tutelato da sì cospicua dignità , 

■ 

non potè salvarsi dall'ira di Anna e del Mazzarino quan- 
do per forza d'armi essi rientrarono a Parigi. D'altra 
parte la sua potenza popolare e la sua alterigia non 
gli poteva essere perdonata. Avvenne perciò che avuta, 
nel palazzo reale, graziosa accoglienza, e presa sicurtà 
di ritornarvi, quest'ultima volta non ne potè uscire a 
pie libero : che il capitano delle guardie gli pose le ma- 
ni addosso e lo condusse prigioniero a Vincennes. Stan- 
do chiuso nel carcere, avvenuta la morte del suo zio arci- 
vescovo di Parigi , egli nominò subito un procuratore per 
torre con tutte le debite solennità il possesso dell'ar- 
civescovado, la cui successione gli spettava per dritto. 
11 . Capitolo riconobbe lui per arcivescovo e per legit • 



80 PARTK PRIMA. 

timi i suoi vicari, i quali prescrissero pubbliche preghie- 
re a implorarne dal cielo la prossima liberazione. 11 
Mazzarini che sosteneva essere l'arcivescovado vacante 
l>erchò il Gondi non avea prestato giuramento di fe- 
deltà, si trevo dunque a fronte d'una specie di com- 
movimento del clero e del popolo parigino appena al- 
lora ridotto alla quiete. 

Laonde e per gittare in Parigi acqua sul fuoco e 
anche per non urtar troppo il papa trattandosi adesso 
d'un cardinale ; preferì di scendere a trattative col Gon- 
di, e gli promise sette badìe, la libertà, la carica d'am- 
basciadore in Roma purché rinunciasse all'arcivescovado. 
Pauroso di peggio, il Gondi acconsentì sotto condizio- 
ne che la rinuncia fosse approvata dal papa. Tradotto 
dunque nel castello di Nantes sotto custodia per ^spettar 
l' assenso del pontefice, ebbe da questo una risposta con- 
traria : per cui mulinò di scappare da Nantes, mostrarsi 
improvviso a Parigi, ritrattar la rinunzia come estortagli 
a dirittura, col favore dei parrochi e dei cittadini prender 
possesso della sua chiesa, presentarsi al Parlamento o 
alla Camera dei conti a prestar giuramento. 

La storia ci ha lasciato fedel ritratto degli ardimenti 
del Gondi, e però non sembrerà incredibile ch'egli alle 
cinque pomeridiane del giorno otto di agosto 1654 si 
facesse calare con una corda da un bastione alto qua- 
ranta braccia, montasse a cavallo insieme con quattro 
suoi fidati gentiluomini che l'attendevano e sfuggisse 
per via del suo spirito pronto e del suo coraggio dal 
pericolo delle sentinelle che volevano fargli fuoco ad- 
dosso. Se non che caduto dal cavallo ombroso, e rotta- 
segli la spalla manca, fra dolori atroci dovè star na- 
scosto per qualche tempo, e così perdere l' occasione pro- 
pizia di entrare a Parigi mentre il re e il Mazzarini 



CAPITOLO IV. 81 

n'erano assenti e vicini all' esercito che fronteggiava gli 
Spagnuoli. Non gli rimase che l'asilo di Roma; e a 
questa si volse. Passando per paesi stranieri vi si con- 
dusse di fatti; vi fu accolto da Innocenzo con piacere 
e ricolmato di grandi onori. 

Nel che io non saprei se lodare o biasimare il ponte- 
fice. Certamente non sarebbe stato bene, che, dopo avere 
acconsentito di far cardinale il Gondi , non gli avesse 
poi più dato il cappello per secondare il capriccio della 
corte francese che pure glie ne avea fatto richiesta. Per- 
severando nel primo proposito Innocenzo potea forse far 
credere che egli non soleva prendere una risoluzione 
senza prima averla maturata e che come non era stato 
complice d' una bugia politica nel far la promessa, così 
rifuggiva dal prestarsi a una vera soverchieria quando 
avesse mancato alla data parola. 

Ma, secondo me, il papa non fece male a mante- 
ner la parola, ma bensì a darla: che l'uomo propo- 
stogli non era tale da meritare sì gran dignità. 11 Gon- 
di fu prete per isbaglio, turbolento e congiuratore senza 
alti propositi, sempre pieno di debiti, saccente, millantato- 
re, temerario. Parve grande perchè visse tra piccoli: suoi 
mezzi per innalzarsi furono la mancanza d'ogni fede, 
l'audacia insigne. Innocenzo dunque, dando il cardi- 
nalato ad uomo immeritevole, si trovò poi costretto a 
sostenerlo per amore del grado ecclesiastico di cui era 
insignito, quantunque le azioni di lui fossero tutt' altro 
che lodevoli. E perciò il veneto Corraro, non potè te- 
nersi dall' esclamare che era « troppo ardita la preten- 
sone degli ecclesiastici che a' principi grandi non sia 
lecito reprimere la potenza d' un cardinale quando ten- 
de ad inquietar il riposo dello Stato. l » 

1 Relatione di Roma del cavi. Corrano. Nel libro intitolato : 

Ciampi. — Innocenzo X e la sua Corte. 6 



82 PARTE PRIMA. 

Nell'anno stesso, in cui il Gondi fu creato cardinale 
(1652), Innocenzo pubblicò la costituzione che sopprime- 
va i piccoli conventi. Avea egli già da prima dato se- 
gno di essere assai malcontento della condizione di mol- 
te fraterie ora ordinando che i frati in Italia e nelle 
isole adiacenti fossero tanti, quanti le rendite dei diversi 
conventi potessero mantenere e non più , ora sopprimen- 
do a dirittura l'ordine di San Basilio degli Armeni, la 
congregazione dei preti regolari del Buon Gesù a Ra- 
venna e quattro conventi di Genova, Milano, Pavia e 
Tortona in cui i buoni claustrali s' eran visti così discipli- 
nati da finire con ammazzarsi e avvelenarsi tra loro. l Ad 
onta di queste parziali estinzioni rimaneva ancora tanta 
materia di disordine, che una misura più radicale diventa- 
va assolutamente necessaria. Il minor male era forse la 
povertà di alcuni conventi per manco di rendite e di ele- 
mosine: il peggio si era che alcuni di essi, posti in luoghi 
discosti e solitari, eran diventati asilo di facinorosi, di con- 
tumaci , di banditi, sentine di vizio e di delitti. In tutti 
quanti poi era difetto delle tre essenziali condizioni della 
vita claustrale: silenzio, clausura, vita comune. Il silenzio 
era fuggito allo strepito dell'orgie e dei litigi, e certamen- 
te non sarebbe stato rinvenuto in quei pressi dall' angelo 



Li tesori della Corte romana in varie Relationi fatte in 
Pregadi d' alcuni ambasciadori veneti ani residenti in Ro- 
ma sotto differenti pontefici e delV Almaden Ambasciador 
Francese (!) (Brussolles 1672) pag. 258. V. su questo Almadon 
parte terza. Egli è FAmidenfo. 

1 Costitutio circa statum regularium in Italia et insulis 
adiacentibus. Inter cetera etc. 17 dee. 1649. — Suppressio or- 
dinis S. Basilii de Armenis. Commissa nobis etc. 29 ott. 1650. 
Suppressio congregationis regularis presbyterorum Boni 
Jesu. Cum sicut nobis innotuit etc. 22 giugno 1651. (Bull. 
cit. tom. XV, pag. 648, 670, 676.) 



CAPITOLO IV. 83 

dell'Ariosto: la vita comune s' era dissipata nei negozi se- 
colareschi : la clausura era scappata dalle porte aperte a 
ogni intrigante, ad ogni facinoroso, a donne di mal affa- 
re. Lamentati questi mali nella costituzione del 15 otto- 
bre 1652 ! , Innocenzo la conclude col sopprimere e ri- 
durre a stato secolare tutti i conventi ove per il poco 
numero dei religiosi non si potesse osservare una re- 
golare disciplina, e, applicando ad usi speciali i beni dei 
soppressi conventi , proibire che nuovi se ne erigessero 
in Italia e nelle sue isole. Santissima disposizione! Ma 
non fu eseguita con quel rigore che si dovea : e in fat- 
ti se molti piccoli conventi sparirono, altri rimasero 
in vita , e ciò (dice il buon Muratori) « contro la mente 
del papa che a maraviglia intendeva di quanta corrut- 
tela degli Ordini religiosi fossero luoghi tali dove or- 
dinariamente si perde tutto lo- spirito religioso. * » 

Quanto a questi conventi rimasti contro la mente del 
papa se ne dà colpa all'avidità di donna Olimpia, che per 
consiglio del cieco Fagnani si prese l' assunto di farli man- 
tenere in vita purché ciascun d' essi pagasse trecento dop- 
pie, di guisa che, con tal destra operazione, ne mise in ta- 
sca cinquantamila. Potrei dubitare della cosa (ma non 
ne dubito davvero), e non già scusarne Innocenzo come 
fa il Novaes: il quale, dando per origine del racconto 
la solita scrittura del Leti, aggiunge: « se questo 6 
vero , come si pretende in detta storia , nulla ha che 
fare coli' avidità di quella donna il buon pontefice. 3 » 
Come scusarne il papa ? Non ne sapea nulla ? Ma co- 
me non aver sentore di tanto scandalo in una corte così 

1 Costituzione: Instaurandae regularis disciplinae etc. 15 
ott. 1652. (Bull. cit. V. 696.) 

2 Annali, an. 1652. 

3 Novaes, Op. cit. t. X. p. 26. 



84 > PARTE PRIMA. 

ciarliera ? Nò si trottava d'un latto solo, ma cruna suc- 
cessione di piccoli fatti <», per la natura della faccenda, 
accaduti in diversi tempi, tanto che non si può presu- 
mere che uno almeno di essi non venisse alle orecchio 
del papa e non lo svegliasse dal suo torpore. Ad ogni modo 
queste son cose che rimarrai! sempre buie e solamente 
se ne potranno l'are più ragionevoli congetture quando 
solleveremo il velo della vita del palazzo. Intanto, ad onta 
della tassa di redenzione trovata da donna Olimpia, a 
Roma furono soppressi i Crociferi, i monaci Silvestrini, 
i Gesuati e gli Eremiti di San Girolamo a Sant'Alessio. l 

Mentre ciò accadeva, i Barberini, assicurati da pri- 
ma della futura grazia, ne furono a dirittura posti in 
possesso. Già il cardinale Francesco, savio ed accorto , 
avea saputo sì bene maneggiare il favore guadagnatosi 
fra i principi e in ispecie col Granduca di Toscana e 
quello non mai mancatogli del Sacro Collegio , che avea 
potato tornare in tutta sicurtà a Roma. Rimasto in Fran- 
cia il cardinale Antonio avea avuto dal Mazzarini pin- 
gui abbazie, vescovadi e il grado di elemosiniere di 
quella corona. Taddeo, terzo fratello, prefetto di Roma 
eia morto in Francia 2 lasciando due figli, cioè Carlo 
e Maffeo, i quali ebbero da Venezia l'insigne onore di 
essere aggregati alla nobiltà della repubblica in com- 
penso di averle rilasciate tutte le rendite sequestrate dei 
loro benefizi e di più donato dodicimila scudi d' oro per 
la guerra del Turco. 

Tornarono dunque in Roma, a raggiunger France- 
sco, Antonio, Carlo e Maffeo. Furono stabilite le nozze 
di Maffeo con la piccola Olimpia Giustiniani pronipote 

1 Gigli, Diari 1652. 

2 Taddeo muri a Parigi nel 1647. 11 suo corpo fu trasportato 
a Palostrina ov'ebbe sepolcro. 



I 

/ 



CAPITOLO [V. 85 

del papa. Carlo figlio di Taddeo ebbe la porpora (23 
giugno 1633). Così i Barberini furono più potenti che 
mai. Aveano con Francesco e Antonio fratelli e con 
Carlo nipote, tre cardinali nel Sacro Collegio. 

Per quanto infiacchito fosse lo spirito della Chiesa, 
non potea più a lungo differirsi una decisione che agi- 
tava sommamente gli spiriti francesi e minacciava di 
scalzare a dirittura le basi della supremazia pontificia. 
Le divisioni nel seno stesso della cattolicità s' erano mo- 
strate in più modi ; né forse vanno tra le men fiere quel- 
le degli Ordini religiosi , ossia gesuiti', ossia domenicani, 
ossia francescani e cappuccini tra loro. Ma la più forte 
e pericolosa fu quella che provenne dalle dottrine di 
Cornelio Giansenio (Iansenius) d' Olanda professore poi 
a Lovanio e vescovo d'Ipri (Ypres). Egli avea fatto un 
libro intitolato Atigustinus dove sviluppava le dottrine 
di Sant'Agostino circa la grazia. l Suo compagno e di- 
scepolo fu Giovanni Duvergier di Guascogna che, dive- 
nuto abbate di Saint-Cyran, metteva in pratica le dot- 
trine del suo amico e maestro. Benché perseguitati in 
vita e già morti, la loro scuola fé' grandi frutti nella 
solitudine o convento di Porto Reale (Port Royal des 
champs), ove uomini e donne si dettero con fuoco e 
austerità a pratiche di devozione e a scriver libri che 
miravano al biasimo della facile e rilasciata dottrina de' 
gesuiti. * Il Pascal, il Racine, il Tillemont furono loro 
compagni e discepoli. Risparmiandoci di entrare nella 

1 Morì Giansenio nel 1638. Nel testamento si protestò devoto 
alla Chiesa cattolica. Leggasene il testo nel Caferri, Op. cit. 
pag. 152. 

2 Già neiril gennaro 1647 Innocenzo avea condannato l'o- 
pinione d'un anonimo francese sull'uguaglianza di S. Pietro e 
di S. Paolo sul reggimento della Chiesa universale. V. Cafkrri 
cit. pag. 10, con le proprie parole della condanna. 



80 PARTE PRIMA. 

natura assai sdrucciolevole della questione religiosa, ci li- 
miteremo a dire che le dottrine dei giansenisti, non 
so se dedotte rigorosamente dal Vescovo d' Ippona , dif- 
ferivano poco da quello di Calvino, e che congiungea- 
no austere credenze a fervoroso zelo per V emenda dei 
costumi. Parca che eglino continuassero il moto ardente 
degli spiriti, dal quale scaturì il protestantesimo: se non 
che non voleano uscir fuori della Chiesa, ma bensì com- 
piere l'opra riformatrice dentro la Chiesa medesima. 
Era ben chiaro che studiando a mano a mano le cause 
di codesto scadere dei costumi nella Chiesa cattolica, si 
credesse vederle anche nella ragione dell' organismo di 
lei e che si volesse mutarlo e offendere con ciò tutta 
la gerarchia stabilita da secoli. In fatti si dicea che per 
raggiungere lo scopo della vera religione adesso tra- 
viata, bisognava risvegliare 1' antica aristocrazia dei ve- 
scovi e la democrazia antica dei parrochi che dalla corte 
di Roma erano stati spogli de' loro inviolabili diritti. Era 
logico che la rivoluzione, che si volea fare nella Chiesa , 
s'estendesse anche allo Stato politico della cristianità 
e specialmente della Francia. I nemici del dispotismo 
di Roma non poteano essere partigiani del dispotismo 
della corte o per dir meglio del cardinal Richelieu, il 
quale però, mettendo in carcere il Saint-Cyran, non fece 
altro che accrescere l' entusiasmo per lui de' suoi disce- 
poli. Quando morto il Richelieu, il Saint-Cyran fu libero, 
sebbene godesse per poco tempo la libertà (morì nelF 1 1 
ottobre 1643), fu da vivo riguardato come un San Giovan- 
ni Battista e, quando si spense, adorato come un martire 
santo. In favore della libertà della Francia insieme col 
Parlamento parteggiarono i giansenisti nella guerra del- 
la Fionda, e quindi non poteano aspettarsi che condanna 
e distruzione quando la Fionda fu vinta e si stabilì il 



CAPITOLO IV. 87 

principio monarchico assoluto. Non solamente i gesuiti , 
fautori dell'assolutismo nella Chiesa e nello Stato, ma 
anche vescovi e parte del clero francese si sollevarono 
contro i solitari di Porto Reale. Nel 1649 erano deferite 
alla Facoltà teologica di Parigi dal Sindaco di essa al- 
cune proposizioni del Giansenio : nel 1 650 1' Habert ve- 
scovo di Vabres denunciò al papa cinque di esse co- 
me a dirittura ereticali. Ottantacinque vescovi di Fran- 
cia nel 1651 ne chiesero a Innocenzo l' esame e la con- 
danna. ■ 

Lungamente fu pensata la sentenza: la quale non 
si pronunciò che vari anni dopo non senza avere uditi 
a Roma gl'inviati dei giansenisti, come il Saint-Amour 
e altri dottori, sia per averne veraci schiarimenti, sia per 
dar lustre alla pubblica opinione. Innocenzo, a dir vero, 
non era molto inclinato alle sottigliezze teologiche e d'al- 
tra parte era per lui una grande spina il vedere divisi 
in varie opinioni coloro che avea chiamato all'esame 
della controversia. Dettero il tratto alla bilancia la ri- 
soluzione del cardinal Chigi, allora segretario di Stato 
e in appresso Alessandro VII, e per di più la persua- 
sione che in quelle dottrine fosse messa in discredito la 
infallibilità pontificia. Il 31 maggio 1653 Innocenzo pub- 
blicò la bolla, con cui condannò le cinque proposizioni. 2 
Quel che segui non è nostro assunto discorrere. I gian- 

1 <c Collectio historica Bullarum et Constitutionum, Bre- 
vium, Decretorum et aliorum Actorum spectantium ad er~ 
rores hujus ultimi saeculi tam in materia fidei quam mo- 

>ww,pag. 69 ex edit. Moritemi apud Gaspard Mìgeat 1098.» 

2 Bolla Cum occasione impress ionis etc. 31 maggio 1653. 
Bull. cit. t. XV, pag. 720. — Bulle d 1 lnnocent X où sont de- 
finies et de termine es cinq propositions en matière de foi, 
avec la declaration de S. M. pour V execution de la Bulle. 
1663 in 4. 



I 
88 PARTE PRIMA. 

senisti ammisero la giustizia della condanna a quelle pro- 
posizioni , ma negarono che il Giansenio le avesse mai 
proferite. Intanto motivi più di gerarchia ecclesiastica 
che di fede , più pressioni politiche che religiose persua- 
sero l'anatema che d'altra parte non pose una diga 
alla rivolta della ragione contro l'autorità. Luigi XIV 
con lettere patenti del 4 luglio avea autorizzato il ri- 
cevimento della bolla in Francia. I vescovi presenti a 
Parigi l'accettarono concordemente e stesero il formu- 
lario d'accettazione che fu mandato a tutti i prelati 
del regno. l 

Tali furono i fatti più importanti di questo ponti- 
ficato: il quale, se si guardi nell' insieme, si troverà non 
grandioso forse , non proporzionato alle colossali pretese 
insino allora mostrate dalla Sante Sede, ma ristretto 
alle cure del Governo, mite nella politica cogli Stati 

1 II terzo libro della Storia polemica del Giansenismo del 
gesuita Lucchesini contiene i documenti sulla sua condanna, dalla 
petizione degli ottantacinque vescovi francesi (1651) alle costitu- 
zioni di Clemente XI. Ioannis Laurenth Lucchesini, Polemica 
historia Iansenismi. (Nel tomo II delle opere del suddetto. Ko- 
mae MDCCXV.) — V. Novaes, Op. cit. — Oldoino, Note al Ciac- 
conio — Nuzzi, Storia della bolla Unigenitus etc. — Infini- 
te poi sono le Storie e Memorie su questa materia. Veggansi 
Bossuet, Pascal etc. — Ellies Du Pin, Histf eccl. du XVII 
siede, — G. Gerberon, Hist. du lansenisme, Amsterdam 1703. 

— Leyderker, Hist. du lansenisme — Mémoires pour ser- 
vir à Vhistoire du Port-Royal, Utrecht 1742. — Dom. Clémen- 
cet, Hist. generale du Port-Royal. — Herman Beuchlin, Sto- 
ria di Porto Reale etc. (tedesco) Lipsia 1839. — Saint-Beuve, 
Port-Royal, Parigi 1840 etc. — L'opera più avversa al Gian- 
senismo è la storia del Cristianesimo di Berault Bercastkl. 

— Si consulti anche per la parte ch'ebbe Fabio Chigi nella Bol- 
la di condanna il Pallavicino, Della vita di Alessandro VII etc. 
(Prato 1839.) Voi. I. pag. 179 e seg. 



CAPITOLO IV. 89 

europei, sostenitore della propria dignità senza troppa 
audacia, risoluto nelle cose ecclesiastiche per ciò che era 
domandato dall'assoluta necessità e dall' immobilità del 
dogma. Sarebbe invero indulgenza attribuire questa sa- 
via condotta a spontanea volontà della Curia e del pon- 
tefice. Quando anche un papa o per carattere o per ispe- 
ciali circostanze avesse voluto desistere dalla politica ag- 
gressiva de' suoi antecessori, sarebbe stato nondimeno 
costretto dalla ostinata Curia, anche suo malgrado, a 
seguirla se a ciò il tempo fosse stato, favorevole e op- 
portuno. 

Adesso però i tempi non volgevano appunto propi- 
zi alla piena autorità pontificia. 

La reazione energica del cattolicesimo contro la Ri- 
forma avea proceduto per un pezzo con sicuri trionfi. 
Al ristauro della potenza papale e della fede cattolica 
s' erano già diretti la dottrina rigenerata, i privilegi eccle- 
siastici accentrati più fortemente, le strette alleanze coi 
principi, gli antichi Ordini religiosi ringiovaniti e i nuovi 
Ordini fondati, lo spirito della corte romana riformato, le 
forze materiali dello Stato pontificio in gran parte rivolte 
al servigio della Chiesa. Il papato nella vittoriosa lotta 
s' era fatto ogni giorno più formidabile ; e se fino all' ul- 
timo fossero procedute le sue cose così felicemente , non 
solo avrebbe portato la Chiesa a una sovranità assolu- 
ta, ma dominato pure come padrone nella politica inte- 
riore degli Stati cristiani. 

E se le conquiste fossero state fatte per via della for- 
za morale , non è dubbio che non vi sarebbe stato, per 
così dire, termine alcuno alla lor forza espansiva. Ma 
tutti sanno che non già la persuasione e le dottrine, ma 
bensì la preponderanza politica e militare facea conse- 
guir le vittorie e assicurarle. La propaganda seguiva j>li 



90 PARTE PRIMA. 

eserciti : nei terreni acquistati piantava le tende F effe- 
rata Inquisizione. 

Il papa di fatti era strettamente legato alla Spagna, 
e con questa conducea le potenze cattoliche verso un 
solo scopo , cioè a stramazzare tutti i dissidenti e a farsi 
arbitro assoluto di tutta la cristianità. Le cose procedettero 
felicemente sino al primo quarto del secolo XVII. I catto- 
lici allora rappresentavano una vasta e forte unità diretta 
dagli stessi principi monarchici, con una suprema autorità 
eccitatrice e moderatrice, mentre i protestanti divisi in 
sette nemiche religiose e politiche, non aveano, special- 
mente dopo la morte di Elisabetta d'Inghilterra e durante 
il regno di Giacomo I, un centro intorno a cui colle- 
garsi. Il cattolicesimo, seguendo il suo cammino sangui- 
noso e trionfale, guardava già F Inghilterra come sua 
preda anelata e sicura. T 

1 Di ciò ha dato un bel quadro il Kanke. — Il vero titolo 
dell'opera di Leopoldo Ranke è Fursten und Vólker von Sud- 
Europa im sechzehnten und siebzehnten Jahrhundert. Vor- 
nehmlìch aus ungedruckten Gesandtschaftsberichten. (Prin- 
cipi e popoli dell'Europa meridionale nei secoli XVI e XVII. 
Opera composta coir aiuto di carte diplomatiche inedite) 4 voi. 
in 8.° Amburgo (Berlino) 1827 e seg. (Voi. 1 , 2 ediz. Berlino 1837 

— voi. II — IV, 4 a ediz. 1857.) — I voi. 2 4 portano anche il 
titolo Die rómischen Pàpste, ihre Kirche und ihr Staat im 
16 und 17 Jahrhundert (I romani pontefici, la loro Chiesa 
e il loro governo nei secoli XVI e XVII.) Molti dei documenti 
sono ora inutili per la raccolta dell' Alberi, Relazioni venete ec. 

— Fra le note e dissertazioni critiche ve n' ha una sopra Innocen- 
zo X e Olimpia Maidalchini: ma è cosa di poco momento. — La 
traduzione francese è scorretta e infedele, ed è intitolata: Hi- 
stoire de la papauté pendant le XVI et le XVII siede, tra- 
duite par I. B. Haibeb, précédée d'une introduction par A. 
De. St. Cheeon (Parigi 1838. 4. voi.) .Ranke se ne lagnò, ciò che 
non impedì la 2 a edizione del 1848. (V. Reumont Alfredo, Bi- 
bliografia dei lavori pubblicati in Germania sulla storia 
d 9 Italia. Berlino 1863, pag. 205. Art. Ranke.) 



CAPITOLO IV. 91 

La discordia però scoppiò nello stesso suo campo. 
La Spagna era superba di ricchezze e di domini smi- 
surati. La casa d'Austria, dominando a Vienna e a 
Madrid, mirava a fare un formidabile impero germa- 
nico: minacciava di predominare in Europa. E però la 
Francia, guidata da Enrico IV e poi dal genio ardito 
del Richelieu, si oppose a tali immensi concetti. Il car- 
dinale di Santa Chiesa, mosso da politici intendimenti, 
non ebbe ripugnanza di stender la mano al più formida- 
bile dei capi eretici, all'eroico Gustavo Adolfo di Svezia. 
11 sentimento della nazionalità si sollevò contro le asso- 
lute pretensioni oltramontane. La Chiesa di Francia volle 
rimaner cattolica, ma cattolica libera da soggezione pa- 
pale. Si cominciarono a discutere articoli di fede, di do- 
minio temporale, d'abusi, di nepotismo. Scissure col 
pontefice e scissure fra le grandi potenze della cattolicità 
misero impedimento al trionfo che con perfetta unione 
sarebbe stato, forse, alla fine conseguito. 

Oltracciò, com' è di tutte le cose umane, che giunte 
ad alto punto, si mettono per l'abbrivo della decadenza, 
gli spiriti erano ornai stanchi della lotta spirituale. Il 
raziocinio e la riflessione prendeano il luogo del fana- 
tismo. Guerre e trattati aveano acquistato e guaren- 
tito e assicurato a ogni diversa nazione l'esercizio della 
sua religione. Visto che non era, come non è più possibi- 
le, elevare una confessione a supremazia universale, di- 
minuì e cessò a mano a mano lo zelo eccessivo per esse, 
e fu dato il mondo alla dominazione esclusiva degl'in- 
teressi politici. Gli Stati cattolici vollero scuotere la tu- 
tela di Roma, e muoversi a loro grado nel cerchio dei 
loro interni negozi. Gli stessi papi misero da parte i su- 
premi interessi del potere spirituale, presero partito con- 
tro quelli che non aveano pugnato che pel ristabilimen- 



S)2 PARTE PRIMA. 

to del cattolicesimo, secondarono (e Urbano Vili no 
dette l'esempio) le mire della Francia contro la Spagna, 
restrinsero la loro operosità air ingrandimento dello Sta- 
to, ne rivolsero le rendite ad arricchire i nipoti, a van- 
taggi del temporale dominio. E così somme grandi fu- 
rono impiegate da Clemente Vili pei' la conquista di 
Ferrara, da Paolo V per i preparativi di guerra contro 
Venezia, da Urbano Vili nella guerra coi Farnesi. 

Quando montò sul trono, Innocenzo X trovò appunto 
il fervore della reazione cattolica assai declinante. La 
guerra stessa detta dei Trentanni, che ancora si com- 
batteva, nata per caso della sollevazione della Boemia 
e mutatasi in guerra religiosa, ora avea preso a dirit- 
tura aspetto politico. 

Volea forse Innocenzo sul principio riallacciarsi stret- 
tamente alla Spagna, che in verità , % avendolo favorito 
nel conclave, sperava molto da lui. Ma se anche il 
pontefice avesse proseguito in tale idea, non avrebbe 
per questo ristaurato la fortuna politica della Spagna 
stessa nò tornato i tempi a quella beatitudine che s' era 
verificala sotto il potente e sanguinosamente ortodosso 
Filippo II. A moderar dunque i suoi pensieri sopravvenne 
la pace di Westfalia, le cui conclusioni (come vedem- 
mo) furono assai poco favorevoli alla supremazia pon- 
tificia. La cattolica Spagna dovè lasciare in preda del- 
l'eresia e, quel che più le dispiacque, riconoscere l'in- 
dipendenza delle Province Unite ossia dell'Olanda: la 
Svezia luterana acquistò terre nella Germania e tre voci 
nella Dieta: beni ecclesiastici furono secolarizzati per 
compensare i principi alemanni di quelli che nelle agi- 
tazioni religiose aveano perduto. Il papa, che per via 
de' suoi Nunzi , parea volesse essere arbitro delle con- 
clusioni, disperato della riuscita, si ritirò, non sottoscris- 



CAPITOLO IV. 93 

se la pace, protestò vanamente. In conclusione la poli- 
tica ottenne sulla gerarchia romana una vittoria che i 
più valorosi e deliberati imperatori non aveano potuto 
mai conseguire. 

In tale stato di cose, continuando ancora la guerra 
della Francia colla Spagna (che, non potuta assopire nql 
trattato di Westfalia, ebbe termine solamente dopo la 
morte d'Innocenzo X con la pace de' Pirenei nel 1659) 
non bisognaya tanto pensare alla preminenza politi- 
coreligiosa ornai compromessa se non disperata, quan- 
to a provvedere all'indipendenza, alla sicurezza propria 
fra le due nazioni combattenti e che stendevano le loro 
operazioni guerresche dentro l' Italia, ove la Spagna avea 
suoi domini sin presso le porte dello Stato pontificio. 
Verso la Spagna correva naturalmente il cuore dei pon- 
tefici : la cattolica Spagna, più zelante degli stessi papi, 
più intollerante della corte di Roma, più inquisitrice 
della stessa Inquisizione romana! Ma la Spagna era 
spossata, e, mentre non pò tea dar più di braccio ai 
pontefici, li annoiava con la pretensione di volerli servi 
de' suoi interessi in merito della sua fede. Volea avere 
aiuto, e si sdegnava se non l' era dato senza aver più 
la forza di porgerlo al bisogno, in guiderdone dei pas- 
sati servigi. 

Dall'altra parte la Francia era quella, da cui era 
partito il primo esempio della insubordinazione all'ar- 
bitrio dei papi, la prima ribellione all' alleanza catto- 
lica con le sue federazioni cogli eretici, e perciò non po- 
teva essere ai papi molto simpatica. Avea però la Fran- 
cia , a petto della Spagna già vecchia , l' aura e la forza 
d'una specie di gioventù e il desiderio di valersi del- 
le vittorie guerresche e delle vittorie pacifiche di We- 
stfalia per estendere il suo dominio in Italia e scalzarne 



94 PARTE PRIMA. 

la Spagna. So come amica era mal fida, non cessava 
per questo di essere una nemica assai pericolosa. 

Messo fra queste due contrarie forze, Innocenzo flut- 
tuò per un pezzo ; finche malgrado l' osteggiar continuo 
che fu tra lui e il Mazzarini , esecutore del testamento 
del Richelieu \ sul fine della sua vita si può dire che 
fòsse più francese che spagnuolo e potesse quindi sal- 
varsi dalle umiliazioni, a cui furono sottoposti i suoi suc- 
cessori dall'orgoglio di Luigi XIV. 

Fra tali strettezze non era dunque da pensare per 
allora a grandi cose. Come più ostinarsi, per esempio, 
a estendere le religiose conquiste e il dominio papale 
in Inghilterra, quando Carlo I, sebbene attaccato nel 
fondo dell' anima ai dogmi protestanti, dovè, fra le al- 
tre cagioni^ della sua caduta, annoverare anche quella 
di aver mostrato verso i cattolici qualche piccolo segno 
di deferenza? Il regno d'Innocenzo fu testimonio di tutti 
quegli avvenimenti che fecero disperato ogni ravvicina- 
mento dell'Inghilterra con Roma: le vittorie dei pre- 
sbiteriani, la guerra civile, la morte sul patibolo di Car- 
lo I; l'impero d'Oliviero Cromwell protettore di tutte 
le chiese riformate sparse pei paesi cattolici, dagli Ugo- 
notti di Francia ai pastori delle Alpi, minacciante lo 
stesso Castel Sant'Angelo se alla persecuzione di essi 
non si fosse sostituita una pacifica tolleranza. 

Fu mandato, è vero, verso il maggio del 1645 mon- 
signor Giambattista Rinuccini arcivescovo di Fermo co- 
me Nunzio apostolico ai confederati irlandesi. Portò egli 
molto denaro e assai volontà di adoperarsi ; e riuscì pure 



1 V. lettera del Richelieu al Mazzarini pubblicata dai Ms. 
della Bibl. imperialo dallo Chèeuel nello noto alle Memorie di 
Saint-Simon. 



CAPITOLO IV. 95 

a mandare al papa alcune bandiere tolte in battaglia 
agli Scozzesi, le quali furono appese nella basilica Vati- 
cana come trofeo di vittoria. l Ma fuori di molti tentativi 
e di piccole vittorie e di grandi disfatte, tra la difficoltà 
naturale della cosa e anche tra le discordie intestine di 
quei paesi, il Nunzio fu spettacolo quasi ridevole di as- 
soluta impotenza. 2 

Bisognò dunque fare di necessità virtù e rassegnarsi 
a intenti più modesti, e consolarsi in qualche modo che 
se il predominio papale non trionfava politicamente, al- 
meno la religione cattolica conseguiva ancora certe pal- 
me non ingloriose. Benché Alessandro VII ne guada- 
gnasse il plauso, pure è vero che, regnando Innocenzo, 
Cristina di Svezia, nel 1652, per mezzo del gesuita An- 
tonio Macedo confessore dell' ambasciadore portoghese 
Pinto Pereira, fatti chiamare due gesuiti d'Italia, conferì 
occultamente con essi sui misteri della religione e si ri- 
solvè di rinunciare alla corona regale tramandatale dal 
valoroso Gustavo Adolfo suo padre, il fervido capo dei 
protestanti ! Regnando Innocenzo, nella notte del Natale 
del 1653 abiurò la setta luterana in Brusselles innanzi 
all'arciduca Leopoldo Guglielmo, al conte generale Fuen- 
saldagna, al conte Pimentel ambasciadore di Spagna, 



1 II Caferri dice che Camillo Pamfili contribuì a dar denaro 
al Nunzio «.... jussit.... Rinuccino Pontificio ad illos legato po- 
cunias dare, quibus (adiutore Deo) per opportuna in Utonia par- 
ta est Victoria, prostratis una acie Scotorum quinque millibus, 
quorum signa in Vaticana Basilica appendi, facti monumentum, 
curavit. » (Op. cit. pag. 353). 

2 V. Lingard , Storia d' Inghilterra (Roma 1835. Voi. XI 
pag. 32. e seg.) Ma nella tomba della chiesa arcivescovilo di 
Formo del Rinuccini morto il 13 decembro 1653 si leggeva (non 
so se si legga ora) « ad faederatos Catholicos Hiberniao ponti- 
ficia legatione strenue f aneto. » — Caferri, Op. cit. pag. 149. 



f .M5 l'ARTK PRIMA. 

al eonte general Monleeuccoli o Agostino Navarro se- 
gretario di Stalo dell'arciduca. Regnando Innocenzo, il 
Ri piugno l(h)l, con le proprie mani si tolse dal capo 
la corona e , ultima della stiqx) dei Wasa, rinunciò al 
glorioso regno degli avi. 

E così altre conversioni dettero qualche sollievo a 
Innocenzo. In Germania Odoardo conte Palatino, Odcrico 
duca di Wittemberg, il duca d'Alsazia Liineburgo, Erne- 
sto ed Eleonora landgravi d'Assia, Wolfango Federico 
di Hotfman barone di Moravia, Erardo conte di Truchses 
e altri. ! Ma era piccola messe a paragono del bisogno, 
come piccole pesche erano ornai quelle degli Ordini men- 
dicanti e dei gesuiti nell'America meridionale, nelle Indie 
orientali, nella China e nel Giappone a paragone delle 
grandissime che sapea lare la portentosa carità di Fran- 
cesco Saverio. E così fu destituita di grandi effetti la let- 
tera che scrisse a Innocenzo, chiedendogli benedizioni e 
predicanti., Elena vedova imperatrice della China già bat- 
tezzata con Maria sua madre, Anna moglie dell'Impera- 
tore e Costantino primogenito di questo. * Il gesuita 
Alessandro De Rhodes dopo trentanni di soggiorno in 
Oriente dedicava a Innocenzo nel 1C>5() la sua Relazione 
de' bei successi della fede in Tunchino. 3 

1 Giovanni Kkans in Exemplis conversionum ad catholi- 
cam /idem. 

2 Novaes, t. X. pag. 34. 

3 « Relaziono do" felici successi dulia Santa Fede predicata 
da' padri della Compagnia di Gesù nel regno di Tunchino alla 
Santità di N. S. PP. Innocenzo decimo, di Alessandro Do Rhodes 
avignonese della medesima compagnia e missionario apostolico 
della Sacra Congregazione do Propaganda Fide. » (Roma 1650.) 
— Di alcuno proposte a prò della religione cattolica, cho velava 
intenti politici, fatte dal celebro Grati Maestro o Maggiordomo 
Ulpeldt per la Danimarca, veggasi la Memoria sull'Epistola- 
rio di Fabio Chigi da me lotta nella seduta del 17 Giugno 1877 
nella R. Accademia dei Lincei. 



97 



Capitolo V. 



Governo dello Stato ecclesiastico — Finanze — La Magi- 
stratura del Campidoglio — Senatori — Giustizia. 



Con l'acume che gli era proprio, Innocenzo ben vide 
che non era più tempo di sperare conquiste e che non 
occorrea dibattersi in parole ed azioni, le quali alla fin 
fine non avrebbero mostrato che irrimediabile debolez- 
za. Restrinse egli dunque le sue cure dentro lo Stato: 
adoperò le rendite, che Gregorio XIV, Paolo V, Grego- 
rio XV, Urbano Vili aveano speso per alimentare con 
eserciti le guerre civili di Francia, per sussidiare le case 
d'Austria e di Baviera, e per guerreggiare i Turchi 1 a 
fini meno gloriosi, ma, secondo lui, più proficui. L'u- 
nica guerra che fece, fu quella di Castro, che non si 
estendeva oltre i confini delle terre ecclesiastiche e di- 
struggeva V inconveniente d' un Governo dentro un al- 
tro Governo, intollerabile in ogni Stato anche mediocre- 
mente costituito. 

» 

Questa anzi si può dire che fosse l'ultima delle 
opere necessarie per costituire sopra più salde basi il 

» La maggior parte dei Monti furono istituiti da questi o da 
altri papi per alimentare lo guerre di religione fuori d'Italia. 
Pio IV fondò il Monte Pio per soccorrere Carlo TX: Paolo V quel- 
lo della Religione per sovvenire V Imperatore nella guerra dei 
Trent' anni. Per le guerre contro i Turchi il Monte della tega 
fu eretto da Pio V e quello d' Ungheria da Clemente Vili ecc. 

Ciampi. — Innocenzo X e la sua Corte. 7 



08 PARTE PRIMA. 

poterò temporale pontificio. Fu una specie di suggello 
materiale alla costituzione di Pio V (21) mar/o 1307) 
sottoscritta da trentanove cardinali e seguita da altre 
di Gregorio XIII, Sisto V, dei lor successori e d'In- 
nocenzo medesimo \ con le quali era messo un argine 
alla libidine dei papi d' infeudare ai parenti le terre e i 
luoghi della Chiesa. 

Ma fuori di quest'impresa non mi pare che Inno- 
cenzo possa mettersi fra quelli che con qualche nuo- 
vo provvedimento mutarono in meglio le condizioni del 
Governo pontificio. Si può dire che tranne l'economia 
in certe spese e non in tutte e tranne l' osservanza più 
rigorosa della giustizia egli non si brigasse in opere che 
gli meritassero la fama d'innovatore. 

E per vero seguitando l' indirizzo datogli da' suoi 
predecessori nel Governo, lo lasciò alla sua morte più 
o meno tal quale gli era stato trasmesso. Aveano i 
papi terre felicissime, abbondanti di naturali ricchezze; 
eppure pei cattivi ordinamenti economici era impedito 
lo sviluppo del commercio e dell' industria. Uomini ro- 
busti, coraggiosi, atti alla milizia erano in queste terre; 
e pure non se ne traea profitto, o si ricorreva a merce- 
nari soldati, onde a mano a mano fu avvilito il nome 
delle truppe papali. 2 Molti denari si traeano anche dal 

1 In supremo apostolico ecc. 16 dee. 1644 — Conferma lo 
costituzioni di Pio V e de' suoi successori, con lo quali è vietato 
di alienare e infeudare terre e luoghi della Chiesa. (Bull. cit. 
t. XV, pag. 333.) 

2 « .... si potrìa in breve tempo fare quanta fanteria si volesse 
e qualche numero, ma non molto grande, di cavalleria leggiera, 
nò vi mancarìano capi di valore perchè paro che quoste Provin- 
cie no abbondino quanto qualsivoglia altra parto d'Italia.... » 
Relatione di Roma in tempo di Pio IV e Pio V di Paolo 
Tiepolo ambasciador veneto: (Li tesori della Corte roma- 
na ecc. cit. pag. 18.) 



CAPITOLO IV. 90 

di fuori dello Stato, e pur qui ve n'era sempre distretta ; 
e, mentre essi non mancavano per impinguar famiglie 
di parentela e per costruire ambiziosi edifizi , ve n' era 
sempre scarsezza o mancanza assoluta pei bisogni più 
sentiti e più urgenti dei popoli. 

Ciò nondimeno, se si guardi alla condizione delle 
finanze pontificie dalla morte di Urbano Vili a quella 
d'Innocenzo, non si può negare che esse non fossero, 
al tempo di questo, migliorate in gran parte. 

Per poter misurare il vantaggio ritratto dalla nuova 
amministrazione bisogna ricordare che nelle rendite dello 
Stato non si comprendevano le entrate libere e particola- 
ri del papa, le quali consistevano in ciò che si ritraeva 
dalla Dateria e dagli uffizi vacabili. La nomina dei Be- 
nefizi, sebbene in Francia e in Germania fosse riser- 
vata ai re ed ai capitoli, era rimasta in Ispagna e in 
Italia un dritto papale lucrosissimo, come gran sorgente 
di lucri erano al pontefice i regali che ancora gli ve- 
nivano da ogni parte del mondo lautissimi. Potevano 
dunque Urbano e Innocenzo alimentare, se non saziare 
T ingordigia dei parenti col loro denaro senza toccar 
quelli dello Stato. L'uno trascorse a dirittura i limiti 
del suo potere: l'altro li rasentò con molta cautela. 

Ora, tolto il danaro particolare del papa, lo Stato 
non potea contare che su circa due milioni d'oro di 
rendita. l Urbano avea tanto speso che, morendo, oltre 
alle gabelle, di cui era gravato il popolo, lasciò la Ca- 
mera indebitata di otto milioni : sicché della rendita to- 

1 Variano i computi: né credo che alcuno sia esatto. Una sto- 
ria speciale delle finanze d'uno Stato è sempre molto difficile: 
molto più quolla dello Stato pontificio por mancanza di sicuri do- 
cumenti. V. Leti, Italia regnante voi. II ecc. — Siri, Mercu- 
rio politico, tomo IX pag. 551. 



100 PARTE PRIMA. 

tale un milione o trecentomila scudi servivano a pagar 
gì' interessi, e solamente scttecentomila doveano bastare 
ai bisogni dello Stato. A questi si suppliva con nuove 
gabelle e con fondar nuovi Monti l che accrescevano il 
debito. Dicesi che do: miloni fatti custodire in Castel San- 
t'Angelo da Sisto V, Trbano ne togliesse uno per soppe- 
rire alle spese della guerra di Castro. 8 

Innocenzo cominciò dal confermare lo costituzioni di 
Sisto V e di (lomento Vili circa la conservazione dei 
denari deposti nel Castel Sant'Angelo e prescrisse che 
non vi si attingesse salvo alcuni casi già preveduti e 
servate certe formo. 3 E cercando sempre più di prov- 
vedere alle minate finanze, istituì una congregazione di 
cardinali a questo scopo ; e tanto nel corso del suo re- 
gno studiò e lesinò, benché largisse strabocchevole licènza 
di far denari ad Olimpia, che alla sua morte venivasi 
ad avanzare annualmente una buona parte dell'esigue 
entrate rimaste libere. 4 Anzi con esempio singolare, 
egli lasciò settecentomila scudi non soggetti alla Bolla 
di Sisto V per le spese del conclave e della futura ele- 



zione. 5 



1 II parlaro (lolla istituzione dei Monti e luoghi di Monti 
(porzione di Monti o cumuli di denaro) appartiene a una storia 
generale dello finanze pontifìcie. Qui basti ricordare la definizio- 
ne che no detto la Rota romana: Locorum Montium indole s 
nihil piane aliud est, quam simplex jus percipiendi red- 
ditum super public is vectigalibus a Principe atti Principis 
auctoritate constitutus. Roma. Arostegni dee. 87. — Si veda 
Evangelista, De locis Montium, e le moltissimo costituzioni 
pontificie. 

2 Brusonl... loc. cit. XXIII. 

3 Inter varias et multiplices 16 decembre 1644. (Bull. cit. 
t. XV, pag. 335.) 

4 Siri, Mercurio etc. t. IX, 551. 

5 Brusoni, cit. XXIII, pag. 644- 



CAPITOLO V. 101 

L'intento però a cui miravano sì lunganimi e osti- 
nati i pontefici e a cui giunsero a poco a poco, era 
presso che raggiunto. E questo era un maggiore ac- 
centramento del potere o vogliam dire un dispotismo, 
che dovea nella Chiesa assomigliarsi a quello, a cui 
miravano i principi nell'interno dei loro Stati e a cui 
la Chiesa stessa li aiutava, non prevedendo che un 
giorno i principi, non più animati dallo zelo religio- 
so, avrebbero esercitato la loro dispotica autorità anche 
contro la Chiesa medesima. Le costituzioni provinciali 
non esistevano più ; e anche corpi privilegiati , come 
nobili, cittadini, municipalità, (le quali ultime faceano 
valere specialmente le vecchie stipulate franchigie) <#a- 
no a mano a mano mortificati e sotto qualunque pre- 
testo, diminuiti o spogliati dei loro diritti. Nello stesso 
tempo il Governo pontificio diventò più clericale; nò 
solamente, com'era giusto e opportuno, mantenne gli 
ecclesiastici negli alti uffici della Chiesa, ma estese a 
ecclesiastiche persone anche gli uffici temporali del Go- 
verno dello Stato con quella tenacità di privilegio che 
a mano a mano lo portò al ridicolo e che fu non ul- 
tima cagione della sua caduta. 

Ma lasciando ciò che converrebbe piuttosto a una 
storia generale che a quella d' un periodo ristretto come 
è il nostro ; io dico che Innocenzo seguitò l' abbrivo già 
dato, e fra la rovina dei privilegi e dèlie franchigie co- 
munali con larve di Consigli, di Magistrati, di statuti, 
volle solamente non so se rilevare o irridere l'abie- 
zione del Senato romano, già ridotto al nulla, col rin- 
novar l' uso della prerogativa dei Conservatori di sedere 
a destra del terzo gradino del soglio pontificio. (24 de- 
cembre 1649. l ) Concesse pure la corona allo stemma 

1 Un'iscrizione in Campidoglio (riportata dal Ciacconio, cit. 



102 PARTE PRIMA. 

gentilizio del Senatore, i fiocchi neri ai cavalli della 
sua carrozza come usavano i magnati, e, suprema de- 
gnazione ! anche ai Conservatori, le bardature ai cavalli 
come appunto costumavano i magnati medesimi (prò- 
cedere equis phaleratisj! 

Il Senatore era, secondo Fuso oramai antico, eletto 
dal papa. Ma per Y abiezione in cui era caduta questa 
dignità, come prima era ambita dalle primarie famiglie, 
così adesso era poco meno che sdegnata , in quanto che 
vi si vedeano ammessi uomini bassi e nuovi per artifi- 
cio del Governo che ritenea per questo di star più sicuro. 
Ciò non togliea che di quando in quando la desiderassero 
e la chiedessero alcuni gentiluomini eli nobiltà antica, ma 
non mai di quella che chiamavasi titolare. l 

Al Senatore erano aggiunti tre Conservatori e i Ca- 
porioni o capi di regione o del rione, i quali erano quattor- 
dici, quanti appunto erano i rioni della città. Codeste 
erano cariche delle quali erano rivestiti uomini eletti 
per suffragio popolare. Il modo dell'elezione ci è nar- 
rato da un contemporaneo in questa guisa : « La città 
di Roma è divisa in 14 rioni e al tempo di Natale un 
imbussolatore di ciascun rione imbussola alcuni soggetti 
chi per Conservatore, chi per Caporione o Capo di Rio- 
ne conforme la qualità delle persone* Ed essendo il Ma- 
gistrato degli uni e dell' altro trimestrale, a capo d' ogni 

t. IV col. 647) ricorda Y elevazione del portico a destra (1624) o 
la concessione di sedere sui gradini del soglio. Miracolo non abbia 
parlato de' fiocchi concessi ai cavalli ! 

1 « Anticamente questo Magistrato era ambito dalle primo 
famiglie et oggi lo sdegnano venendo ammessi huomini bassi et 
nuovi, et ciò per artificio di Governo, che si trova con sì basso 
più sicuro. Non resta però che no lo chiedano Grentil-huomini an- 
che della nobiltà antica non però titolare... » Aimaden, (Amtde- 
xio) Relatione cit. noi Tesori ecc. pag. 155. 



CAPITOLO V. 103 

tre mesi si cava dalle bussole avanti il Cardinal Ca- 
merlengo il nuovo magistrato : che air entrar della ca- 
rica presta al papa il giuramento di fedeltà. ! » 

Né era da sperarsi che riuscissero eletti uomini in- 
dipendenti. Non si sa come avvenisse la cosa , ma è 
certo che uscìan fuori sempre cortigiani. «.... e benché 
l'imbussolatore ponga nell'uno i nomi de' migliori citta- 
dini non n' escono però se non coloro che sono richie- 
sti da Palazzo. 2 » 

Ai Conservatori veniva aggiunto con pari podestà 
il Priore de' Caporioni « eletto tra di loro con grandissime 
prattiche ; e nell' ombre delle grandezze passate si scri- 
vono Consoli come surrogati ai Consoli antichi. 3 » 

Quanto al potere che senatori e conservatori e ca- 
porioni e popolo aveano, lascio che parli il Tiepolo ve- 
neziano , il quale scrisse il veduto , acciocché non sem- 
bri eh' io giudichi le cose passate con le idee moder- 
ne... « Creano i Romani i loro Conservatori, caporioni et 
altri Ministri, et il papa dà loro anche secondo l'uso 
antico il Senatore , il quale insieme con li Conservatori 
rende ragione in Campidoglio dove ancora il popolo si 
riduce per fare il suo Consiglio e dove medesimamente 
si tengono musici e trombetti , ma tutte cose che ser- 
vono più tosto per apparenza che per esistenza di Go- 
verno , perchè i loro giuditii sono solo di differenze tra 
Romani e di cose di minore importanza, dove l'altre 
di più importanza sono riportate al papa o suoi mini- 
stri Vicario, Governatore et Auditore della Camera, e 
le deliberationi del Consiglio dipendono in tutto dalla vo- 

1 Relatione di Roma dell' Aimaden ( Tesori della Corte ro- 
mana cit. pag. 154.) 

2 Id. id. 

3 Relat. rit. dell' Aimaden, pag. 154. 



104 PARTE PRIMA. 

lontà del papa, il quale ogni giorno abbatte più V ordine 
del popolo e dei Haroni ed ^ fatto assoluto padrone del- 
la Città. l » 

In compenso dell' autorità perduta il Magistrato non 
più nelle rozze rocche dei tribuni del Medio evo, ma di- 
morava in suntuoso palazzo. «Questi hanno un palazzo 
bellissimo in Campidoglio adornato di statue e pitture 
nobilissime, ove convengono insieme a dare udienza, et 
in quel giorno mangiano insieme facendo bandiera a 
suon di tromba, fanno tavola sontuosa alla quale gior- 
nalmente invitano amici, e sono serviti da ministri del 
Magistrato, scalco, trinciante, staffieri, cuochi et ciò che 
fa di mestiere. Possiedono tre o quattro terre grosse e 
di buona rendita che consumano in queste spese. * » 

Del resto i senatori che si successero a tempo d' In- 
nocenzo furono i seguenti. Primo fu Stefano Campidoro 3 
da Faenza successo a Orazio Albano da Urbino , morto nel 
giugno 1G46, pieno di debiti sino a non trovar chi 
desse cera per accompagnare il suo cadavere. 4 Neil' in- 
tervallo esercitarono l'ufficio del Senatore tre Conser- 
vatori, Camillo del Bufalo dei Cancellieri, Lelio Allio, 
Urbano Millini. 5 

L' altro fu Dino Sardino da Lucca entrato nelT uffizio 

1 Relazione del Tiepolo, Tesori della Corte cit. pag. 11, 12. 

2 Relaz. dell' Atmaden, cit. p. 154. 

3 II Vendettini lo chiama Capidoro. Serie cronologica dei 
Senatori di Roma ecc. (Roma 1778.) 

4 Trovo negli Avvisi di Roma del 16 giugno 1646 (Bibl. Ca- 
sanatense, X. Ili 42.) « Essendo il Sig. Stefano Campidoro Sonat. 
di Roma peggiorato nel suo male di febbre maligna, sabbato matt. a 
doppo ricevuti tutti li sacramenti della Chiesa e beneditt.™ Pon- 
tificia rese lo spo al suo creatore in età di 60 anni et havendo 
fatto testamento fu il suo cadavero sepellito privatami nella chie- 
sa parrochiale del Campidoglio. » 

5 Vitale. 



CAPITOLO V. 105 

senza pompa e morto nel 27 maggio 1647, Esercitarono 
il suo ufficio intanto i Conservatori Vincenzo Rubeus, 
Stefano Allio , Francesco Cecchi. ' 

Ultimo fu Giovanni Inghirami cittadino fiorentino, 
nato a Prato, * favorito da Olimpia, che gli era coma- 
re , tra molti concorrenti. Questi si decise a fare spesa 
di qualche pompa perchè parea che chi non entrasse in 
possesso con qualche magnificenza non fosse degno di 
viver molto nella dignità acquistata. Per far le cose con 
magnificenza antica bisognavano 3000 scudi e l' Inghira- 
mi non ne avea. Finalmente, con un poco di lesina, 
fece la cavalcata che dal Quirinale con lungo giro an- 
dò al Campidoglio, V erano i soldati de' rioni di Roma 
con ispade , moschetti e picche coi pennoni e tamburi dei 
caporioni. V era Y insegna rossa de' soldati de' rioni. Fu- 
ron cosa nova i pennoni de' caporioni. Poi venivano ven- 
toso muli con some ornate e mulattieri vestiti di rosso; 
poi muli senza soma , chinee del papa, cavalli menati a 
mano, cavalleggieri della guardia del papa, cavalcata dei 
notari di Campidoglio ; altri curiali, gentiluomini, signori 
romani e poi trombe, altri tamburi, stendardi portati a 
cavallo, dodici paggi a piedi che portavan targhe di- 
pinte e un paggio a cavallo con lo stocco e il cappello 
del Senatore, Appresso cavalcavano i due figliuoli del 
Senatore e quindi egli stesso col paludamento di broccato 
e cinto di curiali a cavallo. Poi carrozze, e ai cavalli della 
carrozza del Senatore erano appiccati i celebri fiocchi 
neri ! Fu criticato Y ordine e la miseria di certi partico- 
lari. Col tener seduta pubblica in abito senatorio nel tri- 
bunale e far suonar le campane per l' udienza parve ri- 



1 VlTALK, loCCÌt. 

2 Crescimbeni, Vitale. 



100 PARTE PRIMA. 

pristinata qualche cosa mentre s'era perduto tutto. 1 L'In- 
ghirami funzionò sino al 3 luglio 1655. Fu fatto capi- 
tano dell' appellazione, e gli successe Fausto Gallucci. 2 
Ho detto eh' erano perdute tutte le libertà. Aggiungo 
che si cercava far credere con vane mostre che al popolo 
rimanesse ancora qualche diritto. Nella Sede vacante al 
Senato e al popolo romano si concedea che cercasse di ri- 
prendere una certa autorità, ben inteso che la Congregazio- 
ne dei cardinali, veri padroni, li richiamava a servile mode- 
stia. Il Senato e il popolo romano eran chiamati a consiglio 
quando si trattava di coprire col manto del loro consenso 
qualche misura che potesse sembrare odiosa, o a metter 
tasse, o a discutere su spese a cui il Goveroo non avea al- 
cuna intenzione di sobbarcarsi. E così, quando il papa l'ac- 
coccava ai Barberini occupando i loro palazzi, distribuendo 
i loro impieghi, sequestrando i loro luoghi di Monte (1646), 
furono assembrati i notabili romani in Campidoglio per 
discutere se fosse opportuno d'abolire l'imposta d'Ur- 
bano Vili sul macinato. I Barberini, i quali capivano 
su chi la tempesta sarebbe scoppiata e temevano a ra- 
gione che i loro beni avrebbero servito a pagare i cre- 
diti fondati su questa imposta, accorsero in Campidoglio ; 
e Anna Colonna , moglie di Taddeo , fece leggere da Ce- 
sare Colonna , sedente sullo sgabello nel mezzo della sala 
assegnato agli oratori , uno scritto , in cui si rammenta- 
vano i servigi resi da Urbano alla città e si concludeva 
che non era conveniente protestare contro le imposte 
legali messe da un papa tanto benemerito del paese. 3 
Ad onta di ciò, la proposta dell'abolizione fu adottata, 

1 Gigli, cit. 

2 Diario di Giacinto Gigli. 1 agosto 1647. 

3 Lettera della Signora D. Anna Colonna alli Sig. Con- 
servatori di Campidoglio e sua risposta. Bibl. Chig. Ms. I. 
III. 87. pag. 531. — Gigli. Diario 20 feb. 1G45. 



CAPITOLO V. 107 

e quindi il papa statuì che il vuoto lasciato da questa 
soppressione dovesse essere riempiuto dai beni di don 
Taddeo. E parimente, nel 1649, in fretta e in furia fu 
convocato il popolo a discutere sui mezzi di trovar de- 
nari per un grande lavoro. Si trattava di assicurar Ro- 
ma dalle inondazioni del Tevere per V imminente anno 
santo ! l Oh quante inutili grida per questo immenso la- 
voro si son fatte anche adesso! 

Mentre però si chiamava il popolo a trovar denari 
pel Tevere, si era avari di darne al Campidoglio an- 
che per le fabbriche che finalmente tornavano ad onore 
rìol papa. E a tal proposito ci racconta il Gigli che per 
fare il portico al Campidoglio non furono assegnati quat- 
trini, ma bensì, per farne, levate le provvisioni a molti 
che aveano diversi uffizi come a custodi delle statue o 
delle fabbriche antiche e ad altri che li aveano compe- 
rati coi propri denari. Furono annullati offici di pacieri, 
(li sindici , di riformatori dello Studio e simili altri , e 
specialmente i marescialli. Restarono solo i Conserva- 
tori e i caporioni. 

E più chiaramente dopo : « Furono dismessi gli offi- 
ci delli Marescialli, Giudici , Pacieri , Riformatori di stu- 
dio, e fu scemata la provvisione delli lettori della Sa- 
pienza, e levato affatto il Salario di scudi 30 Tanno 
che il P. R. dava a ciascun maestro di scuola, ch'e- 
rano 14, i quali erano obbligati d'insegnare le prime 

1 Aprile 1649... « Stamane il popolo romano ha tenuto con- 
siglio publico in Campidoglio per trovar danari per racconciar 
lo chiavi del Tevere per assicurar Roma dall' inondationi per Tan- 
no santo e siano le strade sicure per li christiani che verranno 
a questa devotione, e perchè non si potrà trovar questo denaro 
senza qualche nuova gravezza, fu diputato il cavalier Caffarelli 
si ritrovi e proponga partito. Dubito che in questa carica non 
potrà dare sodisfattane alla Città et al palazzo insieme.» (Deone.) 



108 PARTE PRIMA. 

lettere con la prammatica alli poveri senza alcun paga- 
mento. Così furon levati gli emolumenti a molti genti- 
luomini romani per diversi offici comperati o donati , co- 
ni' orano diversi custodi delle statue , dell' antichità, delle 
fonti, tuhatori , suonatori della campana et altri molti. * » I 
quali per un pezzo se ne dolsero e lamentarono. I cam- 
panari poi a dirittura ebbero vendetta perchè, mancando 
loro la solita provvisione, le campane del Campidoglio 
non suonarono per qualche tempo. 

Ad onta di questo dispotismo e di queste lesinerie 
non si può negare che Innocenzo alla fierezza solitaria 
di Urbano sostituendo il buon umore e la pratica delle 
genti (finch(> le malattie e la vecchiaia non lo sover- 
chiarono) non prendesse a cuore l' ordine e la tranquil- 
lità interna di Roma. Mise freno alle soverchierie dei 
grandi contro i piccoli e costrinse i baroni a pagare i 
loro debiti: cosa che più delle altre era difficile: tanto 
era radicato l' uso presso costoro di valersi dell' alta con- 
dizione e dei privilegi per violare le più consuete re- 
gole dell'onestà e della giustizia! 

E a tutelar questa maggiormente Innocenzo costruì le 
career-i, come diremo, e fece altri opportuni provvedimenti, 
tra i quali fc molto lodevole quello di togliere a tutte le 
confraternite la facoltà che aveano di liberar condannati a 
morte: facoltà non meno nociva degli asili medesimi. 2 
Ed era pur troppo mestieri di forte compressione. I bra- 
vi eran tenuti a soldo dai nobili e persino dai cardinali. 
Il cardinal Francesco Barberini ne avea dei famosi che 
chiamavansi Scocciaferro, Zingarino, Zoffio, e li pagava 
ognuno venti o trenta doble il mese. Fu necessario un 



> Diario an. 1655. 

2 Gasparo Alverl Roma in ogni stato, (Koma 1GG4) Parto» 2. 



CAPITOLO V. 109 

ordine della Giustizia perchè li licenziasse. * Ma i ban- 
diti, se uscirono da Roma, non per questo mancarono 
di ricettò nei luoghi della giurisdizione di quella casa , 
tanto che un contemporaneo esclamava, a proposito del 
cardinal Barberini: « non si sa intendere che un huomo 
che fa lo spirituale, sia amico de' masnadieri. 2 » Né il 
Governatore stesso di Roma era sicuro dagli assalti dei 
malandrini e dovea guardarsene. Monsignor Lomellino 
Tesoriere, già Governatore di Roma, fu una volta a 
pericolo di essere ammazzato di terzaruolo. Udiamone 
il racconto da un contemporaneo. 

« Sabbato passato, tra le due e le tre hore di notte, 
ritirandosi a casa Mons. Lomellino tesoriere già Gove. 
di Roma , hebbe un grand 7 incontro, e fu che smontando 
di carrozza nell'andito della casa dove sta alloggiato 
col chierico Imperiali suo cugino, gli fu sparato un ter- 
zaruolo in petto, et che al d. delinquente tremasse la 
mano o che il Tesoriere si movesse, il colpo non colse 
la persona ma forò le vesti , e gridò egli al traditore. In 
questo un suo servitore buttò a terra la torcia e prese 
per i capelli il delinquente, e questi sparò un altro ter- 
zaruolo e passò la coscia al d. servitore. Corsero gli altri 
servitori del Prelato per fermare il delinquente che sta- 
va con la faccia coperta e nel medesimo istante furono 
tirate due altre archibugiate , onde ogn'uno si salvò. 3 » 

1 « Ottobre 1644. Fu fatto intendere al cardinal Francesco ch«> 
licentiasse fra Paolo Scocciaferro, Zingarino, il Zoflio et altri mi- 
cidiali trattenuti da lui in Roma con 20 o 30 doble al mese poi- 
ciascheduno : cosa non mai per avanti veduta in Roma. » (Deone). 

2 Deone, gennaro 1650. — Chi voglia aver particolari dei de- 
litti allora più in voga, consulti il libro « Notabilia in banni- 
mentis generalibus ditionis ecclesiasticae authore (sic) bon. 
mem. Sylvestro Bonfinio ecc. quibus in hac tertia editione 
accesserunt suppletiones ecc. Frano i sci Antonìi Bonfuui, to- 
mi 2 (Lucae 1714.) 

3 1)eong, dee. 1647. 



110 PARTB PRIMA. 

Furono creduti sotto gli assassini, ina non si trovo 
mai nessuno, sobl>eno, por un fatto ridicolo e anche de- 
littuoso, si credesse di poterli avere nelle mani. Anche 
qui parli il Dconer.chò, tradotto il caso, non riesce più 

arguto: « Li frati di San Martino de Monti, che sono 

carmelitani , fecero in detta Chiesa un presepio di figu- 
rine, come si suole nelle case private. Vi era un poco 
di steccato attorno, che haveva la sua porta. Angelo 
Paluzzi cavaliere dell' abito di San Giacomo nipote del 
marchese Paluzzi, volendo entrare, fu risospinto da un 
frate, e dallo parole vennero a pugni. Concorsero tutti li 
frati e trattarono molto male Angelo. Egli, affrontato, 
ritornò con diece huomini armati e battè tutti li frati 
in Chiesa, dove fu soperchiato, e si ritirò in casa del 
cardinal Mazzarini. Le spie che vanno in volta per 
il delitto contro il Lomellino, mercordì sera avvisarono 
il Bargello di Roma che la mattina seguente avanti 
giorno dovea partire una carozza a sei. Furono mandati 
due poste lontane da Roma 150 sbirri e 200 Corsi con 
supposto che in quella carozza dovesse esser il delin- 
quente del Lomellino, et in vece sua trovarono il detto 
Paluzzi, che con grandissimo strapazzo fu condotto pri- 
gione in Roma alle quattro di notte, et il cardinal Maz- 
zarini salta terribilmente. l » 

Rigorosi provvedimenti furono presi contro banditi 
e assassini che osavano entrare in Roma per farsi as- 
solvere dei loro peccati e contro il portar commune delle 
armi , sino a far caso di morte il tenere una pistola a 
casa. Esempi di terribile giustizia furono dati. Camillo 
Zaccagni romano, oratore, poeta, riverito fra gli Umoristi, 
per aver solamente minacciato monsignor Pallavicini pre- 

1 Deone , gennaru 1648. 



CAPITOLO V. Ili 

ietto dell' Annona, che indebitamento sosteneva in car- 
cere un suo nipote per non so quale contravvenzione, fu 
nel 4 gennaro 1649 senza misericordia decapitato. ' 11 
Mascambruni, di cui farem parola a suo luogo, ebbe 
pena forse sproporzionata a' suoi delitti : ma il suo sup- 
plizio fu a terrore dei falsari che pullulavano com' erbe 
maligne. E così deve dirsi di altri benché non si giun- 
gesse, malgrado gli spettacoli della Giustizia, a pufgar 
Roma e lo Stato da incessanti delitti. - 

Se la severità della giustizia non era capace da re- 
primere gli -eccessi dei minori delinquenti; molto meno 
potea raggiungere il suo scopo quando avea da fare con 
la nobiltà prepotente tanto di antica quanto di nuova 
razza. Basti un esempio solo. Il conte Beroaldo, bologne- 
se, a Napoli avea sparato un archibugio contro il prin- 
cipe di Caserta. Fugge , crede star sicuro a Roma, na- 
scosto in una sua casa a Montecitorio. Ma non è così. 
Il principe di Caserta viene incognito a Roma insieme 
con otto uomini armati. Entra nella casa del conte, lo 
finisce a stilettate, fugge co' suoi. Tutti, passando in 
mezzo a Roma, da porta San Giovanni escono su' celeri 
cavalli, incolumi e salvi. 3 

Il vero baronaggio era circoscritto in poche famiglie, 4 
ma alla pari dei baroni s' eran poste le famiglie papali 
e costituivano vere potenze incontro ai papi medesimi. 
Se il gran nepotismo era terminato, si può dire, con 

1 Gigli, Diari 1649 

2 L'arresto in Koma fatto noi 1653 d'Ippolito Pastena o d'al- 
tri ribelli napoletani, ha fatto metter questa causa tra le celebri 
riguardanti il diritto delle genti nell'opera di Charles db Mar- 
tens, Causes célèbres du droit des gens. Lipsia 1827, e 2 a 
ediz. jiccrosciuta 1858-1861. 5 voi. in 8.° 

3 Gigli, Diari 1652. 

4 Deonk. 



112 PARTE PRIMA. 

la cacciata dei Carafìcschi, era pure stato sostituito da 
un piccolo nepotismo non meno pernicioso allo Stato e 
alla Chiesa. Se i Riario, i Borgia, i Della Rovere, i 
Farnese non aveano più terre in feudo, né principati e 
dentro e fuori del territorio papale; i Montai to, gli Al- 
dobrandino i Borghesi, i Ludovisi, i Barberini aveano 
cavato dai papi tante ricchezze, quante ne potea adu- 
nai^ un'avidità sterminata congiunta a incredibile auda- 
cia. Ben ò vero che i nipoti d'adesso non erano più 
della infernale, ma potente generazione dei Borgia e dei 
Farnesi. Il carattere infiacchito dogi' Italiani si rileva an- 
che in costoro. Urbano Vili si lagnava in fatti di aver 
quattro parenti che nulla valevano: uno era santo e 
non faceva miracoli (il cardinal Francesco) ; l' altro era 
frate e non avea pazienza (il cardinale Antonio) : il ter- 
zo era oratole e non sapea parlare (cardinal Antonio 
juniore): e finalmente 1' ultimo (don Taddeo) era gene- 
rale e non sapea maneggiar la spada. l L' esempio d' un 
papa incoraggiava il successore ; che, perseguitando la fa- 
miglia che più immediatamente era stata arricchita , non 
cessava di elevare la propria, e lottando quasi a corpo 
a corpo con essa, preparava al suo successore la lotta 
medesima. Innocenzo X lottò coi Barberini sebbene più 
tardi si riconciliasse con loro, ma nello stesso tempo an- 
ch' egli volle fondare una famiglia, come tutti i papi pri- 
ma di lui avean fatto scusando loro stessi con 1' affe- 
zione del sangue , col naturai desiderio di perpetuare il 
lor nome, e dandosi anche a credere che nulla facean 
di male , anzi che erano nel lor diritto allorché, proprie- 
tari dell'eccedente dei prodotti ecclesiastici, ne gratifi- 
cavano i propri parenti. Ma essi non pensavano o dissi- 

» Gigli, cit. 



CAPITOLO V. 113 

mutavano a se stessi che, dato il potere a qualcuno, ò 
difficile, se non impossibile, mantener costui così dentro 
i limiti dell' onesto e del giusto che, sicuro della fiducia 
e della impunità, non li trascorra a sua voglia e non abu- 
si della sua padronanza. Di ciò s' accorse per avventura 
Innocenzo, e non volle lasciar le briglie troppo tempo in 
mano ad alcuno. Cadde però, così facendo, in un incon- 
veniente peggiore; poiché, mantenendo il costume in- 
valso del Cardinal nipote o, a uso spagnolesco, del Car- 
dinal padrone, ed ora vestendo di tal dignità un con- 
giunto, ora un estraneo, e scacciandoli allorché gli ve- 
nivano in sospetto, finì col non fidarsi di nessuno fuori 
di quella donna che, più astuta di tutti, avea saputo con 
rovina degli altri guadagnare intieramente la sua con- 
fidenza. 



-#-► 



Ciampi. — Innocenzo X e la sua Corte. 



Of 1 



PARTE SECONDA. 



VITA DI PALAZZO. 



Capitolo L 

Famiglia (T Innocenzo. — 11 Segretario di Stato. — Il cardi- 
nale Panciroli. — Don Camillo Pamfili. — E fatto cardinal 
nipote. — Si spoglia della porpora. — Sposa la principessa 
di Rossano. 



Dietro la mostra di vera o apparente prosperità po- 
litica nel Governo d'Innocenzo, si svolgeva il dramma 
intimo e familiare che noi ci studieremo di narrare schiet- 
tamente , escludendo i fatti non accertati, le calunnioso 
supposizioni, le manifeste malignità. 

Nel principio del suo pontificato Innocenzo, oltre ch'era 
amorevole a donna Olimpia, spasimava per la sua fami- 
glia. E così nel giorno che si facea la cavalcata del Posses- 
so, passando egli innanzi alla casa paterna dei Pamfili, im- 
memore quasi della sua dignità, fece fermare la lettiga, 
in cui era condotto , ed alzando il viso e le mani bene- 
disse ripetutamente una sua nipotina che in braccio alla 
balia, inconsapevole dell' importanza di tanto affetto, era 



Ufi PARTE SECONDA. 

stata condotta alla finestra, da cui si vcdoa stilare il 
corteggio. ' 

Spesso i Diari 2 l'egistrano le visite che al papa Iacea 
Donna Olimpia nel palazzo pontificio e quelle che dal suo 
canto egli le rendeva o nella casa Pamfìli o in altri luoghi 
di lor pertinenza. Parca che la donna scaltra fosse parte 
necessaria della grandezza d'Innocenzo. Ora, dopo aver 
visitato un santuario o esaurita qualche importante ce- 
rimonia della sua alta rappresentanza, il papa si riposava 
neir avito palazzo e sedeva a familiare e lieto convito ; ora 
con Donna Olimpia si recava a diporto in un giardino 
od in una villa ; ora con essa andava a vedere le opere 
degli artisti più famosi da lui ordinate o compiute du- 
rante il suo pontificato. Scopertosi il monumento eretto 
a Urbano Vili, opera del Bernini, in San Pietro, egli 
dopo vedutolo , si riposò e pranzò con la cognata in casa 
Pamtìli (13 febbraio 1647). Non sapea per certo che 
il Bernini, dettogli da non so chi che le api stavano 
troppo disperse sulla tomba di Urbano , avesse risposto 
che le api eran là per riunirsi subito al suono d'un cam- 
panario, alludendo al campanone di Campidoglio che 
solea suonare nella morte cU un pontefice. Se ciò fosse 
venuto a sua notizia, senza dubbio non avrebbe mai 
più perdonato al grande artista che per amore dei Bar- 
berini avesse desiderata e predetta vicina la sua morte. 

Tutte le porte anche riservate erano aperte a Olim- 

1 « 19 novembre 1644... Il mercoledì lilialmente si fece la ca- 
valcata del possesso, la quale non fu molto numerosa come elio 
al mio giudici o non passasse di 400 cavalli. Era però nobile et 
anche bene ordinata Il papa stava molto gioviale, et pas- 
sando avanti alla sua casa Pamfìli a fermò alquanto la lettica 
dando mille benedittioni, et affacciossi alla finestra la balia con 
una nepotina in braccio scopò di tante benedittioni. » (Deone). 

2 V. Diario del Gigli passim. 



CAPITOLO I. 117 

pia; ed è strano ch'ella, donna, avesse permissione di 
visitare con le sue amiche anche i conventi dei preti , 
ov' era ospitata con lautissime colezioni. l 

Non dobbiamo però credere che il prevalere di donna 
Olimpia sull'animo del pontefice fosse senza contrasto. 
E presumibile, stante la sua arditezza, eh' ella pensasse 
sin d' allora di esser nei consigli del papa quello che 
nei pontificati precedenti erano stati i cardinali nipoti. 
Nello stesso tempo però era troppo esperta per non ve- 
dere T indecenza che una donna in una corte ecclesiastica 
maneggiasse le faccende, e in cuor suo già pensava forse 
come creare presso il papa un potere fittizio che riscuo- 
tesse l'approvazione pubblica e nello stesso tempo la- 
sciasse jn sua mano le redini del potere. 

Intanto non potè impedire che appunto sotto Inno- 
cenzo pigliasse consistenza e stabile forma una carica 
ch'era destinata a mozzare alquanto le ali alla prepo- 
tenza del nepotismo. Prima di questo tempo il Cardinal 
padrone o nipote era tutto. Egli era investito quasi sem- 
pre della legazione d'Avignone e del principato di Fermo. 
Amministrava la prima per mezzo d' un vicelegato ; reg- 
geva l'altro pervia d'un governatore. Entrava da per so 
o per i suoi, legittimamente, in ogni materia amministra- 
tiva, politica, religiosa. V'era sì un Segretario di Stato; 
ma questi non era cinto della porpora, e, semplice pre- 
lato, stava agli ordini del Cardinal padrone, sebbene, 
quante volte avesse avuto ingegno e scaltrezza , potesse 



1 « ... Il papa ha conceduto alla Sig. a D. Olimpia che pòssa 
entrare insieme con le sue compagne a vedere tutti i conventi de 
Pti che sono dentro Roma e già ha visitato quello di S. Pietro 
in Vincola e dei Pri Griesuiti ricevendo colationi lautissime. » 
Avvisi di Roma, 5 agosto 1645. Ardi. Segreto Capitolino, Cred. 
XIV, tomo 9, pag. 127. 



118 PARTE SECONDA. 

valersi della fiducia dol papa a suo prò o contro gl'in- 
teressi dei nipoti. l 

Innocenzo fu il primo che elesse a Segretario di 
Stato un cardinale. A lui furono affidati gli affari di 
Stato civili ed ecclesiastici. Egli rispondea direttamente 
pel papa (oggi direbbesi organo ufficiale) ai Nunzi , ai 
legati apostolici all' estero, ai presidi e governatori delle 
Provincie al di dentro. Di più era segretario della Con- 
gregazione di Stato istituita da Urbano Vili, nella quale 
si ventilavano le risoluzioni dei più gravi generali ne- 
gozi. Poca o niuna importanza ebbe questa ne' suoi pri- 
mordi ; ma sotto il pontificato del Pamfili acquistò fer- 
mezza e riputazione. 2 

Secondo me il Ranke esagera dicendo che il Panci- 
roli fatto Segretario di Stato , fu quegli che rese impos- 
sibile la durata al potere dei nipoti d' Innocenzo. I 
cardinali padroni non ressero perchè inetti e perchè mi- 
nati dagli altri parenti o non parenti e da Olimpia, che 
molte volte se la intendea col Panciroli medesimo. Co- 
munque sia, questi se non fece molto bene, qualche male 



1 Uno sguardo generale alle successive mutazioni del Governo 
pontificio si trova nell' articolo di Pomponio Leto (Vitellkschi) 
inserito nella Nuova Antologia (Voi. X; gennaro 1869 — Voi. XI, 
maggio 1869). Per esso è intelligibile un complicato meccanismo 
che vorrebbe volumi. 

2 « Una congregazione di Stato era stata istituita vivendo 
Urbano Vili, nella quale si dovea deliberare sugli affari gene- 
rali più gravi. Essa aveva a questa epoca poca importanza. Sotto 
Innocenzo X «Ila ne acquistò molta. Pancirolo, segretario di det- 
ta congregazione, il primo che si distinse nell'esercizio di que- 
sta funzione, prese più gran parte nel Governo d' Innocenzo X ; e 
a lui sopratutto si attribuisce V impossibilità per alcuno dei ni- 
poti dol papa, di mantenersi al potere. (Rankk — Op. cit. Ediz. 
fran. t. Ili, pag. 229). 



CAPITOLO I. 119 

impedì, e forse avrebbe reso maggiori servigi se non ne 
fosse stato impedito dalla cagionevole salute. 

Giovanni Giacomo Panciroli, chiamalo anche Panzi- 
roli, deve lodarsi che anche nella grandezza non si ver- 
gognò della sua bassa origine. Egli era nato a Roma da 
un certo Virginio o Virgilio, che nell' esercitare il mestiere 
del sarto avea alquanto avvantaggiato la sua condizione, 
e volle nel suo stemma fosse un centone o farsetto l per ri- 
cordare a se stesso e agli altri di d' ond' era venuto. Il 
suo giovane ingegno fu encomiato dal poeta Marini. 
Frequentò lo studio di Giovambattista Parafili quand' era 
Uditore di Rota, e benché già stesse nell' esercizio del- 
l' avvocherìa, volle seguire il suo prelato, come uditore, 
nella nunziatura di Napoli e di Spagna. Tornato a Roma 
ove il vento tirava a favore dei Barberini , si mise nella 
lor grazia. E allora gli piovvero sul capo successiva- 
mente le cariche come era uso della corte romana: ca- 
meriere d' onore d' Urbano ; sopraintendente della casa 
del cardinal Francesco Barberini : Nunzio per la paco 
ci' Italia ai ministri del re Cattolico in Milano , al duca 
di Savoia e ad altri principi d' Italia : Uditore di Rota ; 
Nunzio di Spagna e patriarca di Costantinopoli: e fi- 
nalmente nel 13 luglio 1643 cardinal prete di Santo 
Stefano al Monte Celio. 2 

Morto Urbano, era voce comune che nel conclave 
il Panciroli avrebbe favorito il Pamfili : onde il popolo 
disse, vedutolo a Roma: 

È giunto il figlio di mastro Virgilio 
Per voler papa il cardinal Pamfilio. 

1 Amidenio. « centonein sive thoracem.... » Vita 121. Elo- 
gia cit. 

2 Ciàcconio. Op. cit. t. IV, col. 617. — Lorenzo Cardella. Me- 



120 PARTE SECONDA. 

Nondimeno egli favoreggiò prima il Sacchetti, e poi, 
vista la impossibilita che fosso eletto, si voltò al Pam- 
fili con tutto le forzo. N'ebbe in rimerito la carica di 
Segretario di Stato, nella quale ebbe molti affanni e più 
vituperi che glorie sino al 1051 in cui, stanco e affranto 
da malori, se ne morì. 

Un Segretario di Stato con la porpora cardinalizia 
a fianco del pontefice, metteva donna Olimpia nella ne- 
cessità di contrapporgli un nipote, un parente o chi si 
fosse tutto suo, munito della stessa dignità e di non 
minore potenza. Se ella avesse avuto due figli maschi, 
la cosa era beli 7 e accomodata: il primogenito, ammo- 
gliandosi, avrebbe continuato la discendenza della casa ; 
T altro, persuaso ad abbracciare lo stato ecclesiastico, 
cardinale, colmo d'onori e di ricchezze avrebbe cre- 
sciuto lustro alla casa medesima e fattala erede d' im- 
mense ricchezze. Ma il matrimonio di Olimpia con Pam- 
fìlio non era stato fecondo che di due femine e d' un 
maschio solo, e parea poco conveniente che fosse con- 
dannato a esser celibe colui che per dritto naturale 
dovea perpetuare il nome della famiglia. 

La scaltra donna non si smarrì per questo. Prima 
di tutto il papa, prima d' esser papa, non avea mostra- 
to gran dolore che il matrimonio di suo fratello non 
fosse stato sul principio fecondo, e avea alcuna volta 
manifestato l'idea d'essere indifferente che uno o un 
altro parente succedesse nella famiglia purché portasse 
il suo nome. l E perciò ella , eh' era di questo stesso 

morie storiche de' cardinali di Santa Romana Chiesa. To- 
mo VII. (Roma 1793). Il Moroni nel suo Dizionario ecc. copia 
il Cardella. 

i « 20 novembre 1644... La dotta Sig. a Olimpia maritata già 
nel Signor Pamfilio Pamfili stette un tempo prima di far figlioli ; 



CAPITOLO I. 121 

parere, non temeva contrasto da parte del papa se, de- 
dicando il suo unico figlio maschio alla Chiesa, provve- 
deva poi d'altra parte alla discendenza del nome di 
Pamfili o con un figlio della figlia sua nei Giustiniani , 
(la quale già ne avea uno ed era di nuovo incinta), 
ovvero con un altro suo nipote Maidalchini a cui avreb- 
be fatto sposare una figlia pure della Giustiniani, la pre- 
diletta Olimpiuccia. Ava, comare anzi seconda madre 
di questa , essa la teneva presso di sé, in sua casa, e 
soleva dirle : Olimpiuccia , fatti valere che tu sei padro- 
na d' ogni cosa ! l Metodo di educazione che nelle case 
magnatizie non s'è forse ancora dismesso. 

Alla peggio ella o forse anche il papa pensavano 
che Camillo, essendo giovane, ove non fosse assicurata 
la successione dei Pamfili per via delle figlie di Olim- 
pia maritate al Giustiniani e al Ludovisi , o in altra 
maniera, avrebbe potuto, dopo acquistate ricchezze per 
via del cappello, rinunciare alla porpora e rimaritarsi a 
suo grado. * 

oncT io un giorno dicendo a Monsignor Pamfilio oggi Papa In- 
nocentio eh' averei voluto vedere nipoti, mi rispose come per beffa: 
Veramente importa molto! Sarà la mia la casa d' Austria dalla 
coi successione dipendo la quiete pubblica? Ne ho qui ano tanto 
bello et allevato ! additando il q. m Gualtreri suo nipote di sorella 
amato da lui teneramente. » (Deone). 

1 V. passi del Deone del 6 ottobre 1646: pag. seg. 128, nota 1. 

2 « 15 ottobre 1644. « Lo novità dell' anticamera furono discor- 
si... che lunedì prossimo sarebbe promotione per il signor don Ca- 
millo per assicurare la sua partita: poiché si bene Sua Santità 
ò sana, non di meno la morte e commune a tutti, et in tal caso 
rimarrebbe huomo ordinario: ove, fatto cardinale, non rimarrebbe 
senza splendore , e che frattanto possono nascere figli al mar- 
chese Giustiniani che siano bastanti per l' una e per V altra fa- 
miglia sendone già nato uno e la marchesa di nuovo è gravida : 
il che non succedendo, potrà Don Camillo haver acquistato ric- 
chezze e dal cappello passare alle nozze, sendo giovanetto assai. » 
(Deone). 



122 PARTR SECONDA. 

Il figlio di Olimpia, Camillo, nato a Napoli mentre 
Innocenzo da cardinale ora Nunzio colà, nel 21 febbraio 
1(322, malgrado lo lodi che gli fa il Gualdo Priorato, 1 
non era giovane di alti spiriti. 11 Pallavicino anzi lo dice 
« uomo tanto inferiore alla mediocrità degli altri, quanto 
la moglie (l' Aldobrandino superava la mediocrità delle 
altre donne. » Questo giudizio però <> troppo severo: peri- 
elio per veiità Camillo non era privo di alcune buone 
qualità , le quali lo rendevano molto gradito all' alto ce- 
to di Roma e forse non odioso del tutto al popolo. Ama- 
va la poesia e le arti : si dilettava di piantar ville e giar- 
dini. Naturalmente nel salir dello zio non gli mancarono 
alte cariche. Dicesi che meditava di andare in Germa- 
nia, ma poi si limitò alla guerra di Castro. Fu fatto 
Generale dell' esercito pontificio , ed ebbe encomio dai 
contemporanei che fosse il primo a introdurre a Civi- 
tavecchia T uso di fabbricar le galere. 2 Ma v' ha me- 
moria che di queste galere fabbricate non tutte riuscirono 
a bene, ed una anzi ve ne fu che posta in acqua alla 
presenza di donna Olimpia e con una certa pompa, do- 
vette rimandarsi ai cantieri per essere rassettata, e cre- 
do fosse poi lasciata per inutile. 3 

1 Scena d* huomini illustri ecc. del co: Galeazzo Gualdo 
Priorato, ([n Venezia 1659). Lo fa eroo buono per le armi e pol- 
la Chiesa. Ma è pretta adulazione. — E così il Caferri. 

2 « Centumcellis usum construendarum triremium primus 

induxit. » Così il Caferri, seguito dal Cardella Stor. cit. tom. VII, 
pag. 21. Non so so così la penserà il Guglielmotti. — Secondo 
il Mandosi (Bibl. Eom. Cent. III. 67) Camillo scrisse anche dram- 
mi e versi rimasti però inediti. 

3 « Quella galea che fu posta in acqua sotto gli occhi di D. 
Olimpia e del Card. 10 Pamfilio è riuscita inutile totalm. e elio però 
il P. pe di Piombino è stato costretto di Rimandarla a Civitavec- 
chia. » Avvisi di Roma 5 agosto 1645. Archivio Secreto Campi- 
doglio. Cred. XlV,*tomo 95, pag. 130 



CAPITOLO I. 123 

Benché così ben provvisto e onorato, non potea egli 
non essere allettato dall' idea di diventare cardinale di Santa 
Chiesa, e per di più Cardinal nipote, e, come allora di- 
ceasi, capo di fazione : il che valea meglio eh' esser ba- 
rone di cui i re e i ministri dei re non teneano conto 
alcuno , senza dire dei tesori che il colore della porpora 
tirava come per prodigio verso colui che n'era coper- 
to. Possiamo anche pensare che il piacere d'un amore 
legittimo non si offerisse ancora a' suoi occhi mollo de- 
siderabile perchè ancora non s' era impersonato in una 
bella figura di donna come avvenne dappoi. 

Del resto non facciamo romanzi , e solamente n' è 
dato dire, che quali si fossero i motivi per cui Camil- 
lo aderì, egli è certo che nel 14 novembre 1644 si la- 
sciò pubblicar cardinale insieme col principe Giovan Carlo 
de' Medici creato in ricompensa dello zelo mostrato dal- 
l'altro vecchio cardinale de' Medici, protettore di Spagna, 
nell' elezione d' Innocenzo. 

I cortigiani del tempo inarcarono per ammirazione 
le ciglia nel veder la modestia che usò Innocenzo nel 
nominare prima il Medici e poi il nipote, contro V uso 
dei pontefici anteriori. Altresì notarono la sua grande com- 
mozione nel proferire il nome di Camillo. S' alterò tutto ; 
parve che non potesse più parlare ; e, ripreso a stento 
il discorso, mormorò parole non bene intese sull'argo- 
mento dell' affezione del sangue. * Volle poi che Camillo 



i « .:. 20 novembre 1644.... Fu osservato che il Papa proponendo 
primo loco il Sig. Pr.p e Gio: Carlo lo disse tutto allegro, o ve- 
nendo poi al Sig. Don Camillo il nepote, tutto s' alberò parendo 
che non potesse parlare, et ripigliando la favella disse alcune pa- 
role concernenti l'affetto del sangue non altrimenti (come io giu- 
dico da discorsi passati) intorpretato conforme la mente sua. Fu 
notato parimenti la modestia di Sua Santità che prima pubblicò 



124 PARTR SECONDA. 

non pigliasse il nome pomposo di Cardinal padrone, ma 
quello più modesto di Cardinal nipote. T 

Ebbe il nuovo Cardinal nipote la sopraintendenza a 
tutto lo Stato ecclesiastico. Fu legato iY Avignone e poi 
priore di Capua. La Spagna gli conferì Y arcidiaconato 
della metropolitana di Toledo: la Francia gli assegnò 
l'abbazia di Corbia: la Repubblica veneta lo annoverò 
coi discendenti fra i membri della sua nobiltà. 

E certo però che Camillo nel trattar gli affari non era 
quale si sarebbe desiderato dallo zio. La mollezza del suo 
carattere e la poca attitudine del suo ingegno non rispon- 
devano a ciò che avrebbe voluto Innocenzo. Il quale, 
sebbene, desideroso di scaltrirlo, gli desse segno di molta 
fiducia communicandogli tutti gli importanti negozi dello 
Stato ; pure si disperava di trovarlo privo di memoria , 
inclinato al riposo e ai passatempi meglio che alle gravi 
cure della carica assunta. E perciò rompeva spesso in atti 
di grande impazienza e si doleva acerbamente di non avere 
alcuno a cui appoggiarsi : anzi talvolta, capitandogli in- 
nanzi il nipote, lo svillaneggiava a dirittura e gli ne- 
gava ogni grazia che mai avesse chiesto. Camillo al- 
lora, visto di non aver presso il papa la benevolenza 
che agognava, trafitto nel suo orgogliuzzo senza aver 
la forza di spoltrirsi, non trovava altro rimedio che sen- 
tirsi male e di chiudersi nelle sue stanze e porsi a* letto 
per ricominciar da capo con la .stessa indolenza da parte 
sua contro la vivace impazienza dello zio a sentire rim- 



il Principe Gio. Carlo et appresso il Sig. Don Camillo sondo clu» 
i pontefici passati hanno sempre voluto nominare prima il ne- 
pot«\ » (Deone). 

» Bilancio overo giusta astadera (stadera) de porporati 
dove ancor si tratta della loronatura e costumi, Ms. IJibl. Chig*. 
N. Ili, 88, pag. 43. 



CAPITOLO I. 125 

proveri e ingiurie e a coricarsi. 1 E perciò deve chiamarsi 
adulazione quella con cui un contemporaneo lo chiama 
giovane d' anni e canuto di senno e alieno da frivoli spas- 
si. 2 Ma diremo, a suo sgravio, che non cessava intanto di 
occuparsi d'armi, di sceglier capitani e ammassar mili- 
zie secondo le varie occorrenze. 3 

Erano passati appena due anni che Camillo godeva 
il suo cardinalato, quando, dopo aver mosso cielo e terra 
per conseguirlo, si mostrò risoluto a rinunciarlo per bat- 
tere tutt' altra via. Le ragioni eh' egli adducea erano 
buone, caste e pie. Prima di tutto , mostrando la gran- 
dezza e gli utili del grado , eh' egli occupava , a fronte 
di uno stato pur di nobile e barone, volea persuadere 
agli altri che in fin dei conti non facea buon negozio 
volgendo le spalle a una carriera sì splendida e che vi 

1 « Vorrebbe assolutamente S. B. che Panfilio si habilitasse et 
che si facesse atto per sollevarlo. Per questo li fa comunicaro 
tutti li negozi; ma accorgendosi che non applica, che non ha me- 
moria, et che solamente inclina al riposo, alli gusti et alli pas- 
satempi, si despera et si duole di non bavere a chi appoggiarsi 
o capitandoli avanti il Card, li dà ferite mortali villaneggiandolo 
et negandoli tutto le grazie che li dimanda. » 

« Panfilio che vorrebbe esser tenuto nel bombace, e che pretende" 
di esser V occhio dritto di S. B. ne si affanna per gli incontri che 
riceve dal zio e tal volta si metto in letto indisposto, et appunto 
due settimane sono stette ritirato alcuni giorni nelle sue stanzio. » 
Avvisi di Roma, 16 agosto 1645. Arch. Seg. Capitolino. Cred. XIV, 
tom. 95, pag. 148, t. 

* « Pamphilio è di età di anni 21 incirca, unico nipote d' In- 
nocenzo X regnante da parte fraterna e figliuolo di D. Olimpia 
Gualtieri viterbese Questo signore è di buoni costumi, ama- 
bile et spiritoso , e quanto è giovane d' anni tanto è canuto di 
senno, né è curioso di spassi, e del papato non ne gode altro che 
T aura di essere nipote di papa e V entrate che li pervengono. » 
(Bilancio overo yiusta astadero, ecc. citat. pag. 47). 

3 Gualdo Galeazzo Priorato, Scena degli uomini illustri, 
pag. 137. 



12(> PARTE SECONDA. 

doveano ossero ben forti ragioni por abbandonarla. E 
lo ragioni v'orano. Avoa rapito ohe non ora quella la 
sua vocazione: stimava molto la castità, ma vodea bene 
che difficilmente , senza moglie , avrebbe potuto serbarla. 
Le. anime pie , che potoano scandalizzarsi del gran ri- 
fiuto, erano così rassicurate. l Ciò nonostante non parve 
a Camillo essere al coperto del biasimo altrui so non aves- 
se con una scrittura pubblica addotto le ragioni del gran 
rifiuto. 2 . 

Ma in verità le ragioni furono men di scrupolo re- 
ligioso che di utilità mondana. Era sopravvenuta un'oc- 
casione , per la quale Camillo , per via d' un bel ma- 
ritaggio con una ricca vedova, poteva provvedere alla 
successione diretta di casa Pamfili e nello stesso tempo 
aggiungere, al suo un altro ricchissimo patrimonio. 3 



1 « 2 gennaio 1647 Il card. Panfilio nella sua risolutione dà 

per raggiono che con tutto che conosca essere una sciocchezza 
moralmente parlando lasciare il cappello di qualsivoglia cardinale 
per uno stato di Barone, e molto più di Card. le nepoto di Papa, 
capo di fattione, stimato dalle corone, egli però conosce non es- 
ser sua vocazione, stimando la castità in supremo, la quale du- 
bita di poter conservare senza moglie, e prima vuol morire che 
commettere un peccato mortale, et in vero di lui non si dice gio- 
ventù alcuna, la quale se ci fosse, non potrebbe star nascosta. » 
(Deone). 

2 Manifesto dell' eminentissimo sig. Cardinale Pam fido 
nel quale adduce la causa per la quale abbandona la por- 
pora per prender moglie. Ms. Bibl. Chig. N. Ili, 69. pag. 305. 

3 Destìnti avvenimenti delle nozze et dello amore seguito 
tra. V ecc. mi Sig. D. Camillo Pamfilio et D. Olimpia Aldo- 
brandini. Ms. Bibl. Chigiana. N. Ili, 69. (Discorsi politici, 
relationi et altro successo sul principato d' Tnnocentio X) y 
pag. 305. — È una specie d' idillio amoroso, che comincia così: 
Già il biondo figliolo di Latona lasciato d'indorare col pen- 
nello de* suoi raggi le preciose lane del celeste montone, ecc. 
e così di sèguito. -— Gli fa riscontro un altro scritto : Relatione 



CAPITOLO I. 127 

Con la morte del cardinale Ippolito Aldobrandini nel 
11) luglio del 1638 era terminata la discendenza ma- 
scolina degli Aldobrandini di Roma. Ippolito, a perpe- 
tuare il nome degli Aldobrandini, stabilì un fedecommesso 
di cui dovesse godere il secondogenito di donna Olimpia 
Aldobrandini sua nipote ed erede, assumendo il nome della 
casa. Maritata al principe Paolo Borghese, morto nel 24 
giugno 1646 di ventiquattro anni, né avendo avuto con lui 
che un maschio , * ella portava alla nuova casa , con cui 
avrebbe potuto legarsi, la speranza o quasi la certezza 
del godimento del fedecommesso Aldobrandini: poiché 
il primogenito che ne sarebbe nato sarebbe stato ap- 
punto il secondogenito suo , favorito dall' istitutore del 
fedecommesso. La principessa poi di Rossano (così chia- 
mavasi la nuova Olimpia) nata da Giovan Giorgio fra- 
tello del cardinal Ippolito il 20 aprile 1623 era bella, 
ingegnosa, piena d' amabilità , di spirito, di graziosa lo- 
quela, e. malgrado alcune debolezze feminili, fornita 
delle doti che poteano assicurare la felicità domestica. 
Avea poi grandi e cospicue parentele in Roma e fuori , 
tra le quali, quantunque per verità più feconda d'im- 
barazzi che d' utili , quella del duca di Parma. 

Dicono che il cuore di Don Camillo battesse con 
violenza anche sotto la sacra porpora ogni volta che 
gli occorrea di vedere la bella vedova. E può essere 
eh' egli ne fosse innamorato. Ancorché però fosse stato 
altrimenti, non mancavano altre buone ragioni per non 
lasciare sfuggire una sì graziosa offerta della Fortuna. 

dell'accasamento del sig. Principe Pamfilio con la princi- 
pessa di Rosano e dell' esiglio delli nuovi sposi da Roma, 
eli' è una ben debole difesa dolla Maildachini. (Id. id. pag. 375 
e seg.) 

1 Giovambattista principe di Sulmona o una femina, Virginia, 
poi imparentata a casa Chigi. (Caferiu, pag. 107). 



128 l'AKTK SECONDA. 

Sfuggevoli e tronche frasi dei contemporanei ci dan- 
no piuttosto a indovinare che a vedere le diverse pas- 
sioni dei parenti di Camillo a questo proposito. Innocen- 
zo stava tra l' esigenze del suo grado che non gli per- 
metteva di approvare apertamente la rinuncia a una 
sacra dignità , e la volontà e il piacere d' istituire su 
salde basi la famiglia, di procacciare al nipote una il- 
lustre parentela. Donna Olimpia combattea tra il de- 
siderio di aver nipoti del suo figlio, di sostituire al figlio 
cardinal nipote un tìglio di un suo fratello, e tra la 
paura di aver nuora in casa che le impedisse la sua 
padronanza e il sospetto che l' Aldobrandini , divenuta 
nipote del papa, glie ne rapisse il predominio e il fa- 
vore. l Ad ogni modo se un matrimonio avea da farsi, 
le parca molto più conveniente quello, eh' essa avrebbe 
voluto, di Camillo con Lucrezia Barberini. * A parer suo, 

1 « .... 6 ottobre 1646... L' anticamera fermò che il papa ha de- 
terminato di dar moglie al Card. le nepote e che le nozze si fa- 
ranno a Natale prossimo; che D. Olimpia concorro in questo parere 
per suo interesse; uno per vedere nepoti del figlio, l'altro por sur- 
rogare in luogo suo un figlio di fratello che sarà il Card. le nepote. 
Io però credo che la risolutione sia totalmente del papa e lei non 
si cura di prender nuòra cioè padrona in casa , anzi in presenza 
mia ha detto più volte ad una nipotina figlia del Giustiniani nata 
alle sue braccia, della quale non solamente è avola, ma anche com- 
mare e porta il nome suo et hoggi la tiene in casa sua non ha- 
vendola mai resa al padre, gli dico bene spesso in mia presenza 
e d'altri: Olimpiuccia, fatti valere: tu sei padrona d'ogni cosa: 
onde stimai che il nepote figlio del fratello lo voglia dare per 
marito a questa nepoti uà e dargli insieme il nomo Pamfilio e se- 
guitare nel comando e che perciò il pensiero delle nozze sia re- 
solutione del papa: tuttavia paro che i generi siano disgustati 
con lei sendosi il Ludovisio molti giorni sono ritirato nella sua 
propria villa di Frascati : altri dicono pel disgusto dell' aggiu- 
stamento con li Barberini nel quale stimano che leihabbia havutu 
gran parte. » (Deone). 

2 II Siri dice che Camillo amava ardentemente la Rossano: 



CAPITOLO I. 129 

un matrimonio con una parente dei Farnesi avrebbe 
impedito il farla finita una volta con quella casa sempre 
ostile ai papi regnanti e posseditrice di tante terre nel 
bel mezzo dello Stato pontificio. E poi era necessaria 
una compiuta riconciliazione coi Barberini, e non era 
male tirarla con una fiorita catena di nozze. 

Finalmente, dopo essersene assai parlato nella corte 
e nella città, il 21 gennaio 1647 l Camillo Pamfili, da- 
tane procura a monsignore Anguisciola piacentino, pro- 
tonotario apostolico, rinunciò al cappello cardinalizio. 
Il papa nell'atto solenne pianse di tenerezza e mostrò 
maggior sensibilità che non ne avesse pur mostrato quan- 
do elevò il nipote alla dignità cardinalizia. 2 



che il papa internamente si vedea volentieri supplicato e astretto 
a consentire. « D. Olimpia sua madre in contrario operava oltre 
sua possa a sconcio di questo accasamento: proponendo elio mentre 
suo figlio risolvesse di maritarsi, non approverebbe che si facesse 
con altri che con Donna Lucretia Barberini: poiché in questo 
modo volendosi formare una casa si veniva insieme a stabilire 
sodamente col cemento dell' arnicitia et unione de' Barberini. » 
(Mercurio politico, Vili. 553). 

1 11 Siri ci dà il 10 febraio 1647. (Mercurio politico. Vili. 
505). 

2 « 26 gennaro 1647 Finalmente nel Concistoro di lunedì 

passato fu fatta la rinuntia del cappello Cardinalitio dal Card. 
Pamfilio per mandato di procura in persona di Mons. Anguisciola 
piacentino come Protonotario Apostolico e fatto tale da questo 
papa. Sua Santità pianse di tenerezza e mostrò molto maggior 
senso in questa occasiono che quando il fece cardinale. Si crede 
però che il tutto sia non solo di consenso, rna di moto della San- 
tità sua, nel quale combatte la degnità che si lascia con V amore 
della successione che si spera. Si tiene per certo che tutto il nego- 
tioda principio sino al fine sia tramato e trattato dal Pre Nicolò 
Kidolfi già Generale delli Domenicani.. » (Deone). — Questi era 
stato perseguitato assai dai Barberini per aver combinato il ma- 
trimonio dell' Aldobrandini col Borghese, ed ora no combinava un 
altro. Il Gigli ne parla a lungo. (Diari: 1644). 

Ciampi. — Innocenzo X e la sua Corte. 9 



loO PARTK SKCONDA. 

Le Nozze furon fatte a Torre Nova il IO iebbraio 
Ki47. l II Vicoperonte lo benedisse: che il papa, an- 
corché* ciò desiderasse, non credft politico l' intervenirvi. 
Quanto a donna Olimpia, ossa non volle. 

Merita qui luogo un brano dogli Avvisi di Roma 
ove sono alcuni particolari di queste nozze eli' io non 
voglio guastare con la mia traduzione, tanto mi paiono 
spirare l'aura del tempo « 1(5 febr.° 1(547. Domenica 
mattina la Sig/ Prencipessa di Rossano sul principio del 
giorno si partì dalla casa del Sig. Principe di Sulmona 
in habito lugubre et fu accompagnata alla carrozza dal 
medesimo, il quale si dipartì da quella con varii sin- 
gulti e pianto. 2 Entrarono in carrozza con essa il Sig. 
Prencipe di Piombino, il Sig. Principe di Nerula e la 
Sig. 1 Prencipessa sua consorte, li quali recorno la Sig/ 
Principessa sposa fino al Giardino di Monte Magnana- 
poli, ove S. Eccellenza si pose in habito di sposa, e di 
là fu dalli medesimi accompagnata fino a Torre Nuo- 
va, di dove poco lontano fu incontrata dal Sig. Don Ca- 
millo, che a vista di quella scese di carrozza e nel vo- 
ler complire seco, sopraffatto dall'eccessività dell'ardore, 
s'istupidì; ma finalmente inanimato da quei Principi, 
abbracciata l'amata, le offrì per caparra de tributi un 
bacio, al quale il timore non gli lasciò passare i con- 
tini del collo. Rimasti li sposi coi suddetti ed il Resi- 
dente Toccioli col Lampugnani che nella seconda car- 
rozza li seguitava; Mons. Vicegerente celebrò la messa 
e fece lo sposalizio a nome di Sua Beatitudine, e dopo 
si posero a tavola che suntuosamentc era ripiena. » 3 

1 Siri, loc. cit. Vili. 505. 

2 Era il suo tìglio nato noi 14 ottobro 1(539 e por conseguenza 
avea adesso 8 anni. 

3 Così l'abate Bisciari al cardinal do' Medici. (Filza Medicea 



CAPITOLO I. 131 

Lascio altre procaci parole che mal suonerebbero al- 
l'orecchio nostro più delicato. 

Camillo e l' Aldobrandino appena sposati, si ritirarono 
a Caprarola con maraviglia di tutta Roma. Un gran 
discorrere se ne fece. Chi dicea che il papa avesse ciò 
voluto per paura che fra suocera e nuora nascessero 
litigi. Chi affermava che egli fosse disgustato del ni- 
pote che avesse rinunciato al cappello dopo aver tanto 
maneggiato per averlo, mentre d'altra parte era nota 
la volontà del papa di aver dirotta successione e la par- 
te occulta ch'egli ebbe al matrimonio di Camillo col- 
l' Aldobrandino Né altri mancava di attribuire con cer- 
tezza a donna Olimpia l' idea di aver bramato piuttosto 
un parentado coi Barberini e di pingerla sì crucciosa 
del fallitole disegno, da sfogare il suo dispiacere con l'e- 
silio degli sposi. * 

Secondo me, il giudizio più giusto è che il papa, riu- 

4017. Archivio di Stato a Firenze.) — Passo communicatonri gen- 
tilmente dal sig. Ademollo, che però l'ha pubblicato a pag.121. 
Op. cit. Giacinto Gigli ed i suoi Diari, 

1 « p.° giugno 1647.... il giorno seguente D. Olimpia si ritirò 
alla vigna, ove si trattiene anche di presente, sendosi prima ab- 
boccata con li signori sposi, figlio e nuora; che la domenica mat- 
tina si trasferirono a Caprarola, ove si vede si tratterranno tutta 
quest' estate , con meraviglia grande di Eoma , senza baciare li 
piedi al papa. Io so che Sua Santità ama il nepote teneramente, 
ma vedendo che la Sig. D. Olimpia non ha havuto sodisfatene 
di questo parentado, e dubitando che tra suocera e nuora possino 
passar disgusti, egli corno prudente vuol divertire li discorsi del 
volgo, e tanto più eh' è fama costante che D. Olimpia non ri- 
prova questo matrimonio per odio che porta alla nuora, ma per- 
chè voleva il parentado con Barberini,^ dicono quelli di casa che 
D. Camillo doveva prima guadagnare la madre. Nel papa senza 
fallo ò qualche disgusto verso la persona del nipote che gli mise 
sottosopra il mondo per esser cardinale e poi con disgusto di lui 
ha lasciato il cappello.... » (Deone). 



132 PARTE SKCOMiA. 

scilo il matrimonio, volesse da un lato, con allontanargli 
sposi da Roma, dar pubblico e apparento segno ch'egli 
non l'avesse approvatole dall'altro dar gusto a donna 
Olimpia gelosissima di chi facesse ombra alla sua au- 
torità, e impedire in tal guisa donneschi rumori. 






133 



Capitolo IL 



Donna Olimpia e il cardinal Maidalchini. — Gare fra donna 
Olimpia e la principessa di Eossano. — Le monache di 
Tor de' Specchi. — Satire. — Disgrazia di donna Olimpia. 



In mozzo a ciò avvenne che Olimpia, ben persuasa che 
far da nipote femina non potea piacere al pubblico, 
pensò di far creare cardinale qualcuno che potesse sal- 
var l'apparenza mantenendo in sostanza nelle mam di 
lei il potere. Quindi accadde la stupenda creazione d' li- 
no sciocco nipote d' Olimpia a cardinale della Chiesa. 

11 7 ottobre 1647 furono creati sei cardinali. Tra 
questi fra Michele Mazzarini fratello del celebre Giulio 
e che dal Sismondi fu chiamato frate scemo. l La scelta 
del papa cadde anche sopra un giovanetto di diciassette an- 
ni (era nato nel 1630), ch'era appunto Francesco Maidal- 
chini da Viterbo figlio del fratello di Olimpia, già (si 
noti) abbate di S. Martino e canonico di San Pietro. 
Ora prese titolo di cardinale diacono di Sant'Adriano 
che poi cangiò in quello di Santa Maria in Via Lata. 

Si dissero cose risibili della sua bruttezza e scioc- 
cheria. E vero però che coli' andar del tempo e spe- 
cialmente quando la memoria della zia s'andava dile- 
guando, egli seppe farsi perdonare la imbecillità dell' in- 

1 Storia dei Francesi C. XVII. 



131 PARTE SECONDA. 

gegno con ischiettezza di carattere e animo generoso. 
Però ò sempre vere che fu cnorniezza vestir della por- 
pora un fanciullo senza che si potesse cuoprirla con 
l'interesse di Slato o col favore da rendersi a qualche 
monarca, essendo tropi*) palese la ragione di siffatta 
eccezionale misura. l 

Olimpia così volle sostituire al tiglio, che avea ri- 
nunciato al cappello, un Cardinal padrone, che non le 
uscisse di casa, anzi stesse nel palazzo Pamfili sotto il 
suo dominio e la sua sorveglianza. 

In fatti « non volse che andasse a stare in Palazzo 
appresso al Papa, ma se lo ritirò in casa sua per non 
perder Ella il dominio et acciocché i Prelati et il re- 
stante della Corte, i quali senza dubbio sarebbero an- 
dati neir anticamera di questo, come il cardinal Padro- 
ne, non abbandonassero, come forsi traverebbero fatto, 
la sua anticamera. 2 

Non potea reggere a lungo un nipote o Cardinal 
nipote di tal fatta. Era troppo inetto per conciliarsi 
la stima delle pedone eminenti con cui dovea negoziare. 
Non solamente gli ambasciadori stranieri, ma anche i 
cardinali e gli officiali dello Stato sdegnavano conferir 
con lui. Saudiano lamentanze continue: erano sospesi 
gli affari: visibilmente non v'era alcuna ragione che tra 
il papa ed essi vi fosse costui, il quale non potea, nh 
sapea spedire nessuna di quelle occorrenze per cui era sta- 
to messo a quel posto. Questo fantoccio di cardinal ni- 
pote fu presto messo da parte. 

La principessa di Rossano intanto e il suo marito 
non cessavano di strepitare per il loro richiamo. Ora 

1 Morì di 70 anni nel 1700 e fn sepolto in S. Maria in Gradi 
a Viterbo. 
? Gioli. 



CAPITOLO IL 135 

la principessa interponeva la sorella del papa, monaca 
a Tor de' Specchi , suor' Agata , lamentandosi del fred- 
do clima della montagna di Caprarola nociva alla sua 
salute più che mai bisognosa di riguardi a motivo 
della gravidanza. l Ora Don Camillo venia di sfuggita 
a Roma e quasi di furto si ritirava alla villa e facea 
chiedere udienza al papa, che nemmeno a preghiera 
del cardinal Michele Mazzarini glie l'accordava, anzi 
a chi intercedea pel nipote rispondea bruscamente che 
attendesse a governar le sue cose senza impacciarsi 
dei fatti altrui. 2 

Non pare possibile, ma pur quando oscuramente ci vien 
detto dal Deone che la principessa dichiarò poi d' esser 
venuta a Roma acciocché non le fosse fatta opposizione 
circa la verità del parto, dobbiam credere che la ma- 
ligna accusa venisse da tale alta sorgente da non dover 
trascurarsi ogni rimedio per isventarla. 3 

1 « 30 novembre 1647 Mi vien detto che la Sig.™ Pri. ,,e9ia 

di Rossano ha scritto alla sorella del papa monaca di Tor di Spec- 
chi con molto senso eh' ella è gravida e che i luoghi di Capra- 
rola come montagna è freddissima, e perciò patisce molto senza 
haver commesso errore , che la monaca sopra di questo fu col 
papa e gli habbia dato qualche sussidio. » (Deone). 

2 « Decembre 1649 Sabbato... orinò (il papa) onde la mattina 

della Domenica si stava allegramente. Venne a Roma D. Camillo 
et alloggiò alla sua vigna in campagna. Dimandò di poter ve- 
dere il papa e gli fu negato e detto che tornasse fuori, onde lu- 
nedì mattina doveva partire : ma vidi il gentil huomo suo servitore 
quella medesima mattina , e mi disse che era sopraggionto altro. 
Non seppi per alPhora quello che ne seguisse. Sin hora il papa 
al card. Sforza e Mazzarino et altri che hanno voluto parlare per 
lui, il papa risponde che non glie ne parlino e che attendino a 
governare le cose loro: onde se il Card. Panzirolo ne parla male 
(è) secondo il genio del papa. » (Deone). 

3 « La principessa dice di esser venuta a Roma acciò non gli 
sia fatta oppositione circa la verità del parto... » (Deone, marzo 
1648). 



130 PARTE SECONDA. 

Era però destinato che fra le due donne vincesse 
per allora la più avvenente e la più giovane. In quel 
labirinto d' intrighi ò difficile, se non impossibile, veder 
la parte che ciascuno dei personaggi faceva. Il Pancia 
roli , debole com' era, studiava l' umore del papa e si 
governava alla meglio cercando però di cogliere le oc- 
casioni opportune per gittare a terra donna Olimpia 
senza compromettersi. L' Aldobrandini avea a suo soc- 
corso la legittima sua condizione , la simpatia che nutri- 
vano per lei tutti coloro che soglion vedere nei di- 
sgraziati in corte la somma delle virtù , l' operosità di 
altri astuti (come il Muscambruni , di cui parleremo) che 
per mezzo della principessa volean minare il terreno 
sotto a' piedi del Panciroli, di donna Olimpia, di chi 
stava in alto per montare sulla loro rovina. Inoltre ru- 
moreggiava già sul capo della Maildachini una tempe- 
sta, che, mossa da tutte le parti del mondo , minacciava 
di scoppiare fra poco. 

La principessa di Rossano , o con occulto beneplacito 
dei papa, o arditamente senza il suo assenso, venne 
all' improvviso da Frascati, ultima sua residenza, a Roma. 
Non fu ammessa al bacio del sacro piede, dicono i 
cronisti. Ad ogni modo non fu cacciata, e, quasi a 
trovare un asilo sicuro, si raccolse nel palazzo Far- 
nese, onde si disse ch'ella s'era posta sotto la prote- 
zione della Francia, o piuttosto del duca di Parma, Ra- 
nuccio Farnese, il quale mal consigliato dal Gaufrido, non 
vedea che, cozzando con Olimpia, preparava la propria ro- 
vina. Ella di rimando facea spargere la voce che s'era ivi 
condotta per non andare nella casa Aldobrandina data da 
lei in dote al marito, l quasi non volesse essere obbli- 
gata anche d'un ricovero ai Pamfìli. 

1 « 14 marzo 1648 Tutti li discorsi di Roma sono sopra la 



capitolo ir. 137 

La sua venuta fu avvenimento salutato con segni 
cV allegrezza. Metto pegno però che questa non nacque 
tanto per l'importanza della sua persona, quanto per 
T importanza di donna Olimpia a cui ella facea contrap- 
posto e dispetto. Se ne parlò anche da lontano : e mon- 
signor Fabio Chigi da Munster scriveva a un suo amico, 
che colà se n' avea tanto gusto, quanto del ritorno del car- 
dinal Barberini che appunto allora avveniva. l 

Si può ben pensare se gli umori di Donna Olimpia 
fossero alterati da questo avvenimento. Ad ogni modo 
quando nel 24 giugno 1648 la principessa di Rossano 
dette a luce un figlio che fu Giovambattista duca di 
Carpinete, 2 anche Olimpia intervenne con altre signore 
quasi a veder co' propri occhi la verità del fatto. Se 
ne fecero pubbliche allegrezze. Il palazzo del duca di 
Parma, parente della Rossano, fu illuminato con torce 
di cera bianca. Strepito di mortaretti, di trombe e tam- 
buri: corrieri spediti a Firenze e a Parma per recare 
la lieta novella. 3 Quanto al papa, quando egli seppe 



venuta della principessa di Rossano non altrimenti ammessa al 
bacio del piede. Il suo alloggiare in casa Farnese ha dato occa- 
sione di dire che sia sotto la protettione di Francia.... » 

« La principessa dico esser venuta a Roma acciò non gli sia 
fatta oppositione circa la verità del parto, e che non è andata alla 
casa Aldobrandina havendola data in dote al marito... » (Deone). 

1 « Munster 3 aprile 1648... Del resto che tocca alle nuove il 
ritorno dell' Emm. wo Barberino e quello dell' Ecc. ma Pri.p rssa di 
Rossano sono ricevuti con applauso, 1' uno come invitato, l'altro 
corno approvato dalla benignità e prudenza di N. r S. rt * » (Bibl. 
Chig. Cod. A. 1. 22, carte 143.) 

2 Gli altri figli della Rossano furono Flaminia (n. 5 gennaro 
1651), Anna (12 febraro 1652), Benedetto (25 aprile 1653), Teresa 
(14 ottobre 1654). (Caferri pag. 107). 

3 Avvisi di Roma li 27 giugno 1648. « La mattina della festa 
della natività 'di S. Gio. Bat.ta su le 14 ore l' Ecc.™ Sig. ra Prin- 



138 PARTE SF.ruNf>A. 

che il nuovo nato era maschio, non potè contenere la 
sua allegrezza innanzi al Yieegerente Rivaldi che glie 
ne dette Y anunzio; ma poi , quasi pentito di essersi sco- 
perto, in aria di compunzione, diss^ : Dio sia lodato ! E 
tornando a dissimulare quasi avesse paura di Olimpia, 
non volle che Camillo venisse alla sua presenza, e non 
consentì che ambasciadori e cardinali gli facessero offici 
di congratulazione. f 

Ma quanto più Olimpia era costretta a lasciar luogo 
all' influenza delle altre persone, tanto più aumentava la 
propria vigilanza e raffinava i mezzi per non perdere 
del tutto la sua autorità. E però i libellisti e gli sto- 
rici affermano che se tra donna Olimpia e la nuora 
fu sempre guerra pel contrasto che si faceano del fa- 
vore (V Innocenzo ; dopo il parto di quest' ultima, che la 
facea più gradita al papa zio, le battaglie diventarono 
a dirittura accanite. Se non che la giovane Olimpia, 
sebbene fiorente di bellezza e piena della grazia e dello 
spirito, con cui sapea cuoprire i suoi difetti, ottenea 
sempre minori grazie dell'altra Olimpia più attempata, 



cipessa di Rossano moglie dell' Ecc. mo Sig. Don Camillo Pamfìli 
partorì felicemente un figliuolo maschio , essendovi intervenute 
r Ecc. ,ue Sig. D. Olimpia Pamfìli, l'Ambasciatrice di Firenze, 
Principessa Ludovisia et principessa di Nerola madre della Sig. 
Principessa infantata con altre signore. Ne fu subito spedito cor- 
nerò a Firenze e a Parma. » 

« Molti affezionati et seruitori alle casate Pamfilia et Aldo- 
brandi n a ne hanno fatto allegrezze con fuochi et luminarie come 
anco è stato fatto nel palazzo del Ser. rao di Parma, tenendo alle 
finestre torcie accese di cera bianca con strepito de mortaletti, 
trombe e tamburi. » — Il Gigli dà il parto della Rossano nel 
24 giugno 1647. Gli Avvisi di Roma lo contradicono. E poi se 
la Rossano s'era maritata nel febbraio 1647, come potea parto- 
rire legittimamente nel giugno dell'anno stesso? 

i Siri, Mercurio politico, tom. XI, pag. 648. 



CAPITOLO H. 139 

ma più scaltra e più difesa dalle memorie di antica con- 
suetudine. A petto delle ricchezze ottenute da questa era 
ben poca cosa il cappello a Francesco Paolo di Gondi : 
cappello che dicesi da lui ottenuto per le istanze appun- 
to della leggiadra nipote del papa. 

Del rimanente non si creda che la Rossano fosse 
un'arca di cortesie. Sbollita un poco la passione del po- 
polo a suo favore per far dispetto ad Olimpia, si vi- 
dero anche le sue debolezze e si registrarono dai con- 
temporanei nelle loro scritture 1 : né certo contribuirono 
a metterla dalla parte della ragione le canzonette che 
ella componea a sfregio della sua nemica e i velenosi 
epigrammi in cui la dipingea come un mulo vestito di 
paramenti pontifici, e « non leggermente toccandola 
sulla sua onestà. » * 

Occorrono in questo periodo di tempo appunto molti 
piccoli fatti che danno chiaro significato della stizza che 
intercedea fra le due donne, anzi fra le due famiglie: 
poiché Y ira della Rossano non potea non comprendere 



i « Come che il Sig. Dio resiste alle persone superbe, così la 
principessa di Rossano si trova mortificata nella sommità degli 
honori e delle grandezze. Ha fatto varie comparse nel theatro di 
Roma: adesso però ne sta dietro alla scena, compatita solamente 
da certi huomini malinconici Romaneschi, che non si contentando 
mai delle cose presenti, vanno speculando indiscretamente su le 
passate o in quelle avvenire. Io per me tralasciando che non la 
stimo ne Laura Terracina, né Vittoria Colonna come alcuni me 
Thavevano descritta, non credo che sia gran male né per la Chiesa 
né per la casa, che questa Dama contenga la sua ambitione ne 
limiti angusti di poche camere più tosto che ostentare visibil- 
mente per le piazze e_per i passeggi. » Instruttione del Sig. 
Bali di Valeria) Ambre XTimo al suo successore, Ms. Bibl. 
Chig. N. Ili, 88, pag. 245 e seg. del Codice. 

2 Bib. Chig. Ms. Relattone dell 9 accasamento, ecc. N. Ili, 69, 
pag. 397 del Codice. 



1 IO PARTE SKCONDA. 

tutti i famigliari d'Olimpia, e la bizza di questa si sten- 
deva naturalmente anche al marito della Rossano, al 
suo figlio. Fu notato nel carnevale del 1649 che pas- 
sando Olimpia con la sua carrozza pel Corso, il figlio 
e la nuora si ritrassero, per nno salutarla, dalla fine- 
stra dol loro palazzo. l Un'altra volta la carrozza in cui 
ora Olimpia, s'incontrò con quella che conduceva il ni- 
potino. L'uso di formarsi all'incontro di qualche atti- 
nente, o eguale o superiore in grado, era un cerimoniale 
adottato con tanto scrupolo , che guai chi lo violasse ! 
I cocchieri dunque delle due carrozze in questa occasione 
si attennero all'uso , e si fermarono. Ma Olimpia, alterata, 
domandò al suo perdio si fosse fermato, e così ognuna ri- 
prese il suo cammino. Il papa saputo il fatto, ne sgridò 
Olimpia ; ed ella dette del mentitore al cocchiere o a 
chiunque altro avesse fatto la spia de' suoi portamenti 
all' augusto cognato. 2 

Non per questo cessarono i favori del papa alla 
donna. E parve straordinario, mostruoso anzi, uno che 
glie ne fece nel marzo del 1649. Olimpia spasimava 
della voglia di avere a San Martino, nella chiesa del 
suo prediletto castello, qualche insigne reliquia. Si pre- 
sentò l' occasione di appagarla, quando , ricorrendo nel 



1 « 9 febbraro 1649 Il Giovedì favorì lo maschere col bel 

tempo : orano molte , ma senza inventiono o spesa. La signora 
Donna Olimpia passò per longo il Corso due volte davanti la casa 
del figlio, il quale insieme colla moglie si levò dalla finestra al- 
l' apparire della carrozza della madre : notato da tutti. » (Deonk). 

2 « Settembre 1649... Si dice che sondo condotto a diporto per 
Roma il suo nepotino , figlio di Don Camillo , incontrasse la si- 
gnora Donna Olimpia, e che, fermata la carrozza del bambino, la 
sua si fermasse altresì ; ma che appresso gridasse al carrozziere 
perchè si fosse fermato; il che saputo dal papa se ne sia offeso, 
et ella iscusossi negando il detto del carrozziere. » (Deone). 



CAPITOLO II. 141 

9 marzo la festa di Santa Francesca Romana, la figlia 
eli Paolo Buzi ; moglie di Lorenzo de' Ponziani , morta 
appunto del 9 marzo del 1440 e ascritta fra i santi 
da Paolo V nel 29 maggio 1608, fondatrice delle oblate, 
di Tor de' Specchi ; il suo corpo già scoperto in Santa 
Maria Nova nel 1038 dovea collocarsi in più bella sepol- 
tura nella, chiesa medesima. ' Ma bisognava far V ope- 
razione con certo garbo e con certa segretezza perchè 
non ne menassero rumore le monache di Tor de' Spec- 
chi che aveano il diritto che la lor santa non fosse 
smembrata. Monsignor Vicegerente incaricato dal papa 
e della traslocazione del corpo e della recisione del pezzo 
che dovea servir di preziosa reliquia a donna Olimpia, 
era molto imbarazzato a trovar l' espediente, quando le 
monache stesse glie n' offersero il destro. Chiamate esse 
ad assistere alla cerimonia della detta traslocazione ; os- 
sia che uscissero dal monastero più tardi dell' ora de- 
bita, ossia che s'indugiassero per la strada, il fatto è 
eh' ora buio ed esse camminavano ancora con torce accese, 
tanto che giunsero a Santa Maria Nova a un'ora di 
notte. In questo mezzo il Vicegerente fu lesto a far suo 
prò della tardanza delle monache, e zitto e cheto tolse 
dal corpo di Santa Francesca una spalla, compì l'ope- 
razione del cangiamento di sepultura e issofatto im- 
piombò la cassa. Giunte le monache, furono indignatis- 

1 V. le diverso vite di essa nel Cancellieri , Le due nuove 
campane di Campidoglio. (Roma 1 806) pag. 112. La miglioro di 
tutte è quella di Filippo Landi: Storia di S. Francesca roma- 
na ec. Lucca 1771. — L'urna di bronzo, in cui il corpo dilei funuo- 
vamento rinchiuso, fu fatta a cura di Suor' Agata Painfili e recava 
l'iscrizione: S. Franciscae — romanae — Àgata Pampliilia — In- 
nocentii decimi pont. max. — germana soror. sub ipsius Sanctae 
instituto monialis — pii cultus monumentimi 1). D. — anno do- 
mini MDCXLV1II. (Cafekri cit. pag. 59). 



14^ PARTE SECONDA. 

siine che fòsse stata tolta a' loi occhi la dolcezza di 
contemplare il corpo della lor santa fondatrice e che 
si fosse violato il lor diritto, anzi ogni convenienza e cor- 
tesia dovuta a religiose e a donne. Ne fecero gran chiasso 
e molto più quando si sparse voce della spalla rapita 
e donata ad .Olimpia. La sorella del papa, suor' Agata, 
assordò le orecchie del papa co' suoi lamenti. Ma non 
vi fu più rimedio. La spalla di Santa Francesca fu con- 
dotta, come trofeo, nel castello di San Martino. 

E naturale che sin dalla venuta della Rossano cre- 
scesse T animo ai nemici della Maidalchini , i quali ben- 
ché raddoppiassero i loro sforzi, non venivano però a 
capo dei loro disegni. Ma ora alcune pompe dell* anno 
santo da lei presiedute con fastosa albagia , Y invidia 
eccitatane , Y ammirazione e i parlari dei forastieri , lo 
scandalo mostrato dai divoti pellegrini, la prontezza e V a- 
stuzia dei contrari vigilanti e pronti a cogliere le occa- 
sioni propizie, fecero sì che la tempesta, la quale da 
gran tempo rumoreggiava, si scaricasse (e mi affretto 
a dire più in apparenza che in sostanza) sul capo del- 
la femina strapotente. 

Ella era odiata dal popolo romano. Ogni* male che 
infieriva Y accagionavano a lei. Mancava il pane ? ed 
era Olimpia che n' era la causa. Il suo palazzo era guar- 
dato dalla plebaglia con occhio avido , come da iena af- 
famata che vede il cadavere con cui potrebbe sfamarsi. * 
Una volta per isfuggire il saccheggio bisognò gittare 
sulla folla dalle finestre manate di scudi. 

Trasportandosi i pezzi dell' aguglia da Capo di Bove 

1 « Novembre 1647... Questi giorni passati e per V indisposi - 
tione del papa e per il mancamento del pane, la casa della Sig. a 
D. a Olimpia è stata guardata con le sentinelle o compagnia doi 
Corsi. » (Deone). 



CAPITOLO li. 143 

a Roma, si trovarono attaccati poi muri diversi motti, 

e tra gli altri uno che dicea: 

* 

Noi volemo altro clic guglie e fontane 
Pane volemo, pane, pane, pane. 

Altre volte dietro il corteggio pontifìcio si gridava: 

Santo Padre non più p.... 
Pane, pane, pane, pane. 

Inseguita dal popolo essa si trovò talora in sì duro 
frangente da cercare scampo alla sua vita dentro l'a- 
silo d' una chiesa. 

Si vide un dì attaccata a un muro una tela in cui 
era dipinta la porta della casa di donna Olimpia. Un 
cameriere respingea con una mano un prete che volea en- 
trare con una borsa vuota, mentre con l'altra facea 
premuroso invito a un altro prete con borsa assai pin- 
gue. Sotto al primo era scritto: Ite maledicti in ignem 
aeternvm: sotto il secondo: Venite, benedicti patria 
mei. Olimpia a una finestra del palazzo dicea: Io non 
accetto ingrati. Perchè molestarmi? 

La satira era di certo di qualche prete malcontento. 
Odora di sagristia. 

Più spiritosa un' altra. Pasquino domandava a Mar- 
Iorio: Dov'è la porta di donna Olimpia? E Marforio: 
Chi porta vede la porta, chi non porta non vede la porta. 

Sei mesi prima che morisse il papa si trovarono 
cangiati i nomi dell'iscrizione in Laterano: Innocen- 
this Xpont. max. Si trovò invece : Olimpia ponti/ex 
maximus. E in altri luoghi a dirittura: Olimpia prima, 
papessa] e giravano biglietti con questo motto, ovvero 
con la variante: Olimpia prima, pontefice non mas- 
simo. 



1 il l'ARTR SECONDA. 

No si trovavano inai frli autori o jrli spargitori delle 
satiro solvono vi si adoperassero tutti i mezzi e che 
persone del barcollo si mescolassero alla folla vestite di 
seta per parer gentiluomini. 

Più di altre pasquinate, fu sanguinosa la satira creata 
per via d' una voce che si fece spargere per Roma. Si 
disse che a Londra, alla presenza dello stesso Cromwell, 
si fosse recitata una commedia intitolata: The marriage 
of the pope (il matrimonio del papa). Il papa s' offeriva 
per marito ad Olimpia: questa ricusava dicendo non 
volere accompagnarsi a sì brutto ceffo: e il papa al- 
lora, per inj: iniziarsela, gli offeriva una chiave. E del- 
l'inferno o del paradiso? — Del paradiso. — Voglio 
anche l'altra: perdio quando voi foste sazio di me, i 
diavoli da voi commandati mi porterebbero via. — Avute 
Olimpia ambedue le chiavi, acconsentiva alle nozze. E que- 
ste erano festeggiate con un ballo di frati e di mona- 
che, tutti lieti di potersi un dì o l' altro maritare. Sembra 
che la commedia non fosse recitata veramente a Lon- 
dra, quantunque non fosse impossibile. Certo è che, ve- 
rità o invenzione, fu uno degli argomenti adoperati, i 
quali fecero più breccia nell'animo del papa. 

I gazzettanti poi di Roma gareggiavano a chi le 
dicesse più forti. Lettere o avvisi o gazzette raddop- 
piarono e triplicarono la dose del fiele. Ne muovea la- 
menti Fabio Chigi sin da Munster. Ma credo ch'egli 
adoperasse una certa ironia quando chiamava santis- 
simo quel pontificato. E forse , stigmatizzando in appa- 
renza i gazzettanti che facean danno alla religione cat- 
tolica più dei predicanti calvinisti e luterani e che par- 
lavan di cenciarìe, di sposi, di cappelli a prezzo, di 
papesse mentre il mondo ardeva; volesse piuttosto di 



\ . 



CAPITOLO II. 145 

sbieco pungere la corte di Roma. l A uno spirito ar- 
guto come il suo non poteva sfuggire il pensiero che 
senza i fatti non vi sarebbero state le parole. E chi ben 
guardi , i gazzettieri poteano esagerare, non inventare di 
pianta gli avvenimenti e i costumi. 

E che i gazzettieri non fossero i soli che diffon- 
dessero male voci Y abbiamo anche da più gravi con- 
temporanei, i quali ci dicono che « sopravanzan- 
do sempre più gli scherzi ridicoli perla corte, e mot- 
teggiandosi per ogni cantone sopra questa nuova forma 
di governare, al Papa o rimanevano celati o si dis- 
simulava, non bene ancora in se stesso (il papa) risoluto 
qual ripiego dovesse prendere per frenar le lingue et i ri- 
chiami non di Roma solo ma di tutta la Christianità, et in 
particolare delle parti settentrionali , ove i Protestanti, 
prendendosi gioco di questa forse dal papa non ben co- 
nosciuta libertà donnesca, non solo licentiosamente mot- 
teggiavano , ma con figure sprezzevoli della maestà di 
tanto grado, ben mostravano di esser largamente infor- 
mati di quel che passava in Roma intorno alle correnti 
dicerìe. » 2 

Raccontano che la gocciola d'acqua onde il vaso 
traboccò, fosse un discorso fatto dall' Imperatore al Nun- 

1 « Di Munster 16 agosto 1647 Di una cosa che più volte 

accennai al palazzo mi arrischio di dare un cenno alla V. S. 
111."' 8 et è della libertà de Gazzettanti di Eoma che con sfaccia- 
tissime menzogne e calunnie il sant. mo et innocentiss." 10 Pontifi- 
cato presento lacerano in modo tale, che più danno loro fanno alla 
S. a Keligione Cattolica di quel che facciano tutti i predicanti cal- 
vinisti o luterani i quali so ne vagliono por evang. È possibile 
cho non vi si possi rimediare ? Mentre che arde il mondo , e la 
religione sta in pericolo di perdersi, non parlano altro cho di cen- 
ciarie, degli sposi, di dar cappelli a prezzo, di papisse e di mille 
sacrileghe infamità... » (Bib. Chig. Cod. A. 1. 22. pag. 131). 

2 Relazione di Giovanni Giustiniani, fol. 122. 

Ciampi. — Innocenzo X e la sua Corte, 10 



146 * PARTE SECONDA. 

zio c riferito al papa. Il Nunzio Melzi residente a Vienna 
si lamentò con Ferdinando III che avesse fatto sfregio 
a Roma conchiudendo la pace con gli Svedesi senza 
provvedere ai vantaggi della religione cattolica. Al che 
T Imperatore rispose con parole temperate nella forma , 
ma acerbe nella sostanza , allusive , con rimprovero , alla 
prevalenza d' una donna nei consigli del pontefice. Di che 
questi fu altamente commosso pensando a ragione che 
ben più acri e pungenti doveano essere i giudizi dei 
dissidenti , quando principi cattolici , come gli austriaci, 
ne faceano così severi. « Ma qual fosse veramente l' im- 
pulso (son le proprie parole della Relazione più volte 
citata) che conducesse il papa ad interdire alla Signora 
T accesso a Palazzo , diverse furono le opinioni. Corse 
fama che un parlar sensato che fece l' imperatore al 
nunzio Melzi residente a Vienna mentre si doleva della 
pontura datagli a Roma per aver conchiusa la pace con 
i Svedesi senza tutti li riguardi al commodo della re- 
ligione cattolica, fusse causa che il papa aprisse gli oc- 
chi e cominciasse a riflettere a sé stesso che se i rim- 
proveri venivano da principi tanto cattolici quanto sono 
gli austriaci di Germania, molto più acri e pungenti 
sarebbero di quelli che hanno aborrimento dei dogmi 
di Roma. » l 

Ma Y ambasciadore aggiunge che poi ebbe notizia 
come Y Imperatore non recasse innanzi che oneste do- 
glianze, e che tutto il merito dello sfratto (apparente 
però) di donna Olimpia dal palazzo si dovesse agi' in- 
trighi e all' ambizione del cardinale Panciroli, segreta- 
rio di Stato. 

Per corto il Panciroli in questi garbugli non sarà 

1 Rei. Giustiniani cit. 



CAPITOLO II. 147 

stato ozioso. Ma, fra i nemici aperti ed occulti della 
donna, uno dei più formidabili e forse più efficace per- 
suasore d' Innocenzo fu un austero cardinale , il Maculano , 
tanto più udito, quanto meno creduto capace di nutrire di- 
segni di personali ambizioni. Era nato Vincenzo Maculano 
in Firenzuola di Lombardia, da un povero muratore. 
Faticò nello stesso mestiere finché non vestì Y abito di 
San Domenico a Pavia. L'essere esperto nelle scienze 
teologiche, l'esercitare le cariche di Commissario del 
Sant' Uffizio e di Maestro del Sacro Palazzo, il vesti- 
re la porpora cardinalizia (1641) e il pallio arcivesco- 
vile di Benevento , non lo distolsero dagli studi di geo- 
metria pratica e dalla passione dell' architettare e del- 
l' edificare contratta sin dalla prima giovinezza. Per 
questo anzi fu celeberrimo. A lui s'attribuisce il disegno 
e la direzione del quarto recinto di mura che, serpeggiando 
per otto miglia dalla Lanterna alla valle del Bisagno 
su per le creste dei monti (opera immensa e lodata, 
compiuta con diecimila operai e con ispesa di dieci milioni), 
assicurò Genova dalla paura dei cupidi assalti dei du- 
chi di Savoia (1631). * A Malta vegliò sulle fortifica- 
zioni erette contro i Turchi : in Italia munì il Forte Ur- 
bano e Castel Sant' Angelo. * 

Austero, parco, disinteressato, schietto, inviso ai 
grandi e agli adulatori , dicesi non dissimulasse il suo 
pensiero a Innocenzo : 3 che finalmente , benché a ma- 

1 Cantù, Storta degli Italiani, (Torino 1858) tom. Ili, pag. 
587. 

2 Nell'iscrizione del suo sepolcro a Santa Sabina si leggo: 
« .... architecttira militari praestans — molem Hadrianam Va- 
ticanum Ianiculum — arcem Urbanam prope Bononiain — inul- 
tas in Àomilia tirbes — et Melitam munivit... » 

3 « .... Persuaso (Innocenzo) di allontanare dal pontificio pa- 
lazzo Donna Olimpia Pamfili, femina che pretondea intrigarsi in 



148 PARTE SECONDA. 

lincuorc, allontanò Olimpia da so e dalla corte. l 

Andò tant' oltre la verità o. 1' apparenza di questo 
disgusto, che il papa giunse anche a chieder la lista 
di quei di palazzo che dipendeano da Olimpia , sino a 
far credere che li avrebbe tutti licenziati. * 

Io non credo che, allontanata apertamente dal pa- 
lazzo, Olimpia per questo cessasse dal visitare occulta- 
mente il papa e dal vigilare attentamente i propri inte- 
ressi. 



ciò elio non le spettava. » Cardella cit. tomo VII, pag. 10. — No- 
tizie più circostanziato d<4 Maculano V. nel Ciacconio, odiz. cit. 
tomo IV, col. 607. — Egli nato noli' 11 settembre 1578 mori noi 15 
febraro 1667. — Il veneto cavaliere Corraro dà il rovescio della 
medaglia sulle qualità del Maculano. Dice che senza merito fu 
portato alla porpora, che non ebbe nessuna pratica di materio 
di Stato, che fu un fraticello avaro e amante sviscerato di ni- 
poti di costumi corrotti. (Relatione delia corte romana del ca- 
valiere Corraro. Li tesori della Corte romana cit. pag. 264.) 

1 II Leti dice noli' anno santo. 

2 Deone, ottobre 1650. 



•4oe- 



149 



Capitolo III. 

Il cardinale Astalli fatto Cardinal padrone. — Morte del 
Panciroli. — Fabio Chigi segretario di Stato. — Il Ma- 
scambruni. — Camillo Pamfili presenta la chinea di Na- 
poli al papa. — 



La vigilanza d' Olimpia intanto non la difese contro 
un colpo preparatole da' suoi nemici e specialmente dal 
F^anciroli. Chiamò a sé l' attenzione della corte un gio- 
vane che forse era stato presentato al papa da Olimpia 
medesima. Era quasi suo parente: poiché una sua ni- 
pote, Caterina Maidalchini, era maritata al marchese 
Tiberio fratello di lui. l Questi era Camillo Astalli figlio 
di Fulvio Astalli e di Caterina Pinelli. La madre, ri- 
masta vedova, si rimaritò al marchese Patrizi e, morto 
questo, a Urbano Mellini. 

La nascita altri la pone all'anno 1616, altri al 
.1619. La sua famiglia era nobile e antica di Roma. 
Giovanissimo fu annoverato fra gli avvocati concistoriali , 
poi tra i chierici di Camera con la presidenza delle car- 
ceri. Innocenzo sentìa, nel vederlo, un violento moto 
nel cuore: tanto gli era grato il suo volto. 

Mentre il vóto comune era, che fosse finalmente 
proscritto il vero nepotismo , parea adesso che, non vo- 

1 li 21 novembre 1648. È arrivata in Roma da Viterbo la 

signora Maidalchini nepote dell' Ec. uia Sig. ra donna Olimpia Pam- 
fìlii sposa- del fratello di Mons. Astalli Chierico di Camera. (Av- 
visi di Roma.) — Gigli, an. 1650. 



150 PARTE SECONDA. 

lendosi adoperare un nipote vero, vi fosse assoluto bi- 
sogno di creare qualcuno come fittizio nipote, il quale 
presso il soglio, col titolo spagnuolesco di Cardinal pa- 
drone , avesse V aria di potere quanto e più del ponte- 
fice stesso. Ed b perciò che all' improvviso , ai 1 9 set- 
tembre 1 jToO , Innocenzo creò prete cardinale 1* Astalli, 
che aveva appena trentanni, col titolo di san Pietro in 
Montorio : né lo rivestì solamente della porpora , ma lo 
dichiarò suo nipote, conferendogli il cognome e Tarma 
sua e il governo della città di Fermo e la legazione 
ci' Avignone come si soleano dare ai nipoti. Primo tra 
tutti i cardinali, immediata potenza dopo il papa, do- 
vea risiedere nel palazzo. Ebbe dono, durante la sua 
vita, del palazzo Pamfili con tutto ciò che v'era den- 
tro, e della villa fuori di porta San Pancrazio: trentamila 
scudi d'entrata, un presente di diecimila scudi. x 

11 nuovo Cardinal padrone giovava al Panciroli per 
porre una diga alla strabocchevole potenza feminile nella 
casa del papa. Ma non bastò , imperocché 1' Astalli si mo- 
strasse molto da meno di quel concetto che se n' era fatto 



1 « A ? 19 settembre 1650, lunedì avanti le quattro tempora, 
creò un solo Cardinale, il quale fu Camillo Astalli Bomano, Chie- 
rico di Camera, giovane di età di 30 anni in circa, et non lo 
fece solamente cardinale, ma dichiarò, che lo faceva suo nipote, 
dandogli il Cognome, et Tarme sua, et lo fece, come dicono, Car- 
dinal Padrone, al quale, immediatamente dopo il Papa, dovessero 
tutti gli altri cardinali conferire le cose occorrenti; et però, vi- 
vente esso Pontefice, dovesse risedere in Palazzo nelF habitatione 
destinata alli nepoti del Papa. Gli donò in vita sua il palazzo 
di Piazza Navona, con tutti li mobili, argenteria, ed addobba- 
menti, che vi erano; gli donò anco la sua vigna, posta fuori di 
porta S. Pancrazio, et gli assegnò per allora trentamila scudi 
di entrata, et di presente un regalo di dieci mila scudi. Questo 
nel medesimo giorno andò ad habitare nel Palazzo de' Pamfilii 
in Piazza Navona, dove stette sino al Giovedì seguente. » (Gigli.) 



CAPITOLO III. 151 

il papà e lo stesso Panciroli. II quale poi fu dolente che 
il giovane cardinale, gonfio di sì inaspettata grandezza 
e' deificato dalle adulazioni dei cortigiani , cominciasse 
ad aborrire la sua autorità e gli contendesse persino 
la grazia del papa. In questa lotta egli più vecchio e 
men brioso, tenuto lontano dai frequenti colloqui col 
pontefice pe'suoi acciacchi di salute, perde a mano a 
mano terreno e finalmente lo lasciò libero all'avver- 
sario partendo , con sommo dolore della sua disgrazia , 
da questa vita nel 3 di settembre del 1651. E sepolto 
in San Silvestro al Quirinale. l 

Non vediamo nondimeno, subito dopo la morte del 
Panciroli, riconciliarsi il papa con donna Olimpia. Forse 
costei fu tenuta lontana dal nuovo Segretario di Stato 
il cardinal Fabio Chigi di Siena, che fu poi Alessan- 
dro VII, chiamato perciò a bella posta dalla Germa- 
nia, da cui si partì sul principio d'ottobre del 1651. 2 
Questi, stando pur lontano, non avea trascurato di te- 
nersi in grazia della famiglia Pamfili e anche di donna 
Olimpia con lettere graziose e con procurare di renderle 
servigio ad ogni richiesta. 3 Ed ora, benché in grandez- 
za, dava dimostrazione di molta umiltà e di singolare 
divozione. Avea nel palazzo stanza modesta : non volea 
donne appresso di sé, né parenti : digiunava, teneva ai 
fianchi il cilizio, si dicea dormisso sulle nude tavole. Gli 



1 V. Una diatriba contro il Panciroli si leggo nelle Memorie 
del Cecchini. ( Vita e successi del cardinale Cecchini fatta da 
lui medemo.) Bibl. Chigiana M. I. 10, da carta 274 alla 478. 
Un' altra copia è alla Barberiniana. 

2 Le pratiche fatte, le opposizioni e altre coso appartenenti 
a questa nomina si leggono nel Pallavicino Vita d' Alessandro 
VII, cit. Voi. I pag. 154 e seg. 

3 V. Documenti. 



152 PARTE SECONDA. 

piaceva avere innanzi agli occhi V immagine della morte : 
beveva in una tazza d' argento ove nel mezzo era scol- 
pito un teschio : fatto papa poi comandò che piatti *c 
scodelle in luogo del suo stemma fossero dipinte col 
lugubre emblema. l Fra le fazioni del cardinal Pamfili 
(Astalli) e della principessa di Rossano, che cercavano 
di trarlo al loro partito , egli navigò per il mezzo e sì 
accortamente , che giunse in breve a vestir la porpora 
(19 febbraio 1052) col titolo di Santa Maria del Popolo 
(la chiesa ornata dalla sua famiglia) ; e impiegato nelle 
congregazioni del Sant' Uffizio , di Propaganda , de' Ve- 
scovi , in quella dei cardinali introdotta da Urbano Vili , 
rese buoni servigi allo Stato e alla Chiesa , e fu quegli 
che più contribuì alla condanna delle dottrine del Gian- 
senio. 

Ma gli acciacchi della vecchiaia, la diffidenza na- 
turale e più ingigantita cogli anni , ritornarono il papa 
all' idea di aver presso di sé la cognata , unica a cui , 
secondo il suo concetto , poteva affidare la sicurezza della 
sua vita. Codesto umore sospettoso fu poi accresciuto da 
uno spaventevole caso. 

La Dateria , gran fonte di ricchezze , è la cassa par- 
ticolare del papa. Essa da un lato riceve a suo pro- 
fitto tutti i benefici, che vacano, e tutte le rendite pro- 
venienti da indulti, dispense, facoltà e simili che sono 
devolute in suo favore; rende dair altro in nomine di be- 
nefici, prebende e pensioni d'ogni genere. * La carica 
gelosa di Datario fu sul principio di questo regno con- 

1 Gigli, aprile 1655. 

2 A tempo <T Innocenzo, e dedicato a lui, Teodoro Amidenio, 
avvocato della romana Curia, scrisse il Tractatus de officio et 
jurisdictione Datarli et de stylo Datar iae. Venezia, 1654. V. 
Parte terza. 



CAPITOLO III. 153 

ferita subito a monsignore Domenico Cecchini nato in 
Roma da Domizio e Fausta Capizucchi nel 1589. l Fat- 
to poi cardinale nel marzo del 1645, in merito d'es- 
sersi adoperato molto nel conclave a favore d'Innocen- 
zo, 2 fu chiamato , com' era di rito , Prodatario. Ma sic- 
come le rendite della Dateria eran quelle con cui donna 
Olimpia solea alimentare la sua ingordigia; così ben 
presto il Cecchini fu guardato da quella con occhio ge- 
loso, tanto più che anche il Cecchini avea una cognata, 
Clemenzia, per la quale si potea dare appiglio a ca- 
lunnie. 3 Le orecchie d' Innocenzo erano di continuo mo- 
lestate da accuse contro il Cecchini, da pitture orrende 
dello stato della Dateria , entro la quale , . si dicea , era 
tutto messo a ruba ed a sacco. 

Se il papa avesse dato grande ascolto alle insinuazioni 
e alle aperte accuse non avrebbe forse, per quanto dub- 
bioso , indugiato a cacciare il Cecchini. Ma non sembra che 
fosse persuaso di tanto male ; e si limitò per allora a 
porre a guardia del cardinale un subalterno nello stesso 

1 Secondo Y Amidenio (Famiglie ecc. cap. 71 ) la famiglia 
Cecchini si chiamava prima de Caranzonibus e usava sempre il 
cognome di Cecchini de Caranzonibus. 

2 «... fui sin dal principio sempre nutrito con buone spe- 
ranze per T elettione di esso ancorché da tutti fusse riputata per 
impossibile, et il giorno e notte seguente, che precessero imme- 
diate all' elettione, fui talmente avisato d'ogni successo, che / ri- 
cevei più di cinque messi con 1' aiuto (notizia?) del buon pro- 
gresso della prattica, mediante li quali la sera di notte e la mat- 
tina avante giorno diedi alla signora d. Olimpia e signor D. Camillo 
Pamfilij avisi di molto loro gusto. » (Cecchini, Vita e successi ec. 
cit. pag. 432.) 

3 Fu cominciato a perseguitare da donna Olimpia e dal Pan- 
ciroli. Olimpia dicea al papa che il Cecchini avea gran quantità 
di denari. Era gelosa « .... della cognata Clementia, che die», gli 
togliea i prosenti che sarìano andati alla sua casa (carte 438)...» 
« .... che in Dateria si vendeva tutto... » ecc. (Cecchini cit.) 



154 PARTE SECONDA. 

ufficio. Cosa sempre immorale ; il più delle volte feconda 
di pessime conseguenze. 

Il subalterno incaricato a spiare il suo capo fu Fran- 
cesco Canonici detto Mascambruni. Egli era nato di 
bassa stirpe in Apiro terra della Marca. Venuto a Ro- 
ma ed entrato in qualità di servo e poi di factotum 
nella casa o Studio di Giancamillo Mascabruno o Ma- 
scambruni da Benevento, insigne avvocato concistoriale, 
tanto seppe ben fare, che alla morte del padrone ne 
conseguì l'eredita della libreria e la facoltà di adope- 
rarne il cognome. Fu prete e canonico chi dice di San- 
ta Maria Maggiore, chi di San Pietro: l forse di tutt'e 
due le chiese. Benché la sua faccia fosse livida, le guan- 
ce scarne, le labbra incollate ai denti, gli occhi spaven- 
tati e spaventevoli, di moto sollecito, di andar sospet- 
toso, in somma mostrasse tutt' altro che bella apparenza ; 
pure un parlar soave e ingegnoso e una mostra di pro- 
bità lo insinuavano nelle grazie altrui. 

Di fatti fu caro da prima al principe Andrea Giu- 
stiniani, e per mezzo di questo allo zio della sposa del 
Giustiniani, cioè al cardinal Pamfili. Il quale, sebbene 
poco proclive agli uomini ingegnosi , 2 si compiacque del- 

1 II Novaes dice: « Così finì un prelato, un Sotto- datario, un 
Uditore del papa, un canonico di San Pietro e il maggior favo- 
rito del principe ! » — Aggiungono che Innocenzo gli ave a de- 
stinato il cappello nella vicina promozione come appariva da qual- 
che lista scritta di mano del papa e ritrovata dopo la sua morte. 
(Pallavicino, Vita d' Ales. VII, cit. I. 186). 

2 Così nota il Rinalducci. « Prosperità infelici di Fran- 
cesco Canonici detto Mascambruno sotto-datario et auditore 
di papa Innocenzo X composte dall' Abbate Gio: Batta Kr- 
nalducci da Pesaro. Ms. Bibl. Casanatense, X. VII. 46. 

La vita del Mascambruni ms. che si trova nelP Arch. Segret. 
Capitol. Cred. XIV, tomo 61 pag. 23 e seg. è una compilazione 
su quella del Rinaldttcci ; od A anche mancante del fine. 



CAPITOLO III. 155 

l'uomo presentatogli, e fatto papa, lo creò Sottodatario 
e poi suo Uditore. Le mire del Mascambruni erano la 
ricchezza prima di tutto, e poi salir su alto alto quand'an- 
che avesse dovuto passare sul corpo de' suoi amici e be- 
nefattori. Le sue vele erano pronte a voltar sempre 
dalla parte ove spirasse un vento propizio. S'adoperò 
pel papa a sfogliar Bolle apostoliche per le opportune 
dottrine ad aguzzar l' armi contro i Barberini. l Una vol- 
ta fu tutto, anima e corpo, per donna Olimpia. Si bri- 
gò pel matrimonio di don Camillo con la Rossano e 
poi fece il suo potere perchè più lungamente stessero 
in esilio. Quando i due sposi tornarono, egli, accolto 
sempre con molta festa dalla Rossano, si gittò intiero 
dalla parte loro minando donna Olimpia, il Panciroli 
il cardinale Astalli , il Cecchini, quanti faceano ostacolo 
al suo cammino. - 

Morto il Panciroli, di cuiavea qualche soggezione, e va- 
cata la segreteria de'Brevi, egli la chiese al papa, ma non 
T ottenne, o che Innocenzo travedesse l' ambizione di lui o 
che si fosse raffreddato, com' era suo carattere, nel favore 
largitogli. Fuori di questo rifiuto , del rimanente egli acco- 
gliea sempre il Mascambruni con un certo piacere, e dato- 
gli, come ho detto di sopra, Y incarico di sopravvegliare 
il Cecchini, ne udìa volentieri le calunniose relazioni. 
Anzi le cose giunsero a tal punto che il cardinale Pro- 
datario non avea udienza e il Sottodatario spesso stava in 
continue confabulazioni col papa. 

La malvagità del Mascambruni si esercitava intanto 

Ne' Miscellanei di varia letteratura, tomo V (Lucca 17G5) 
si legge stampata la Vita di Francesco Canonici detto Mascam- 
bruni sotto-datario e auditore di Papa Innocenzo X — Con 
alcune varianti è la medesima del Rinalducci : ma A anonima. 
1 Relazione cit. del Contarint. 



156 PARTE SECONDA. 

nella Dateria con delitti anche peggiori di quelli che 
apponeva ad altri. Vendendo* grazie e falsificando Bolle, 
benché per la sua carica non avesse di provvista che 
sei o settecento scudi annuali, in due anni si beò d'un 
capitale di centottantamila scudi e d'una rendita di 
ottomila annuali in tanti benefizi semplici '. 

Non era sazio ; e la sicurezza e l'impunità del mal- 
fare lo resero temerario. Gran mèsse raccolse nel tempo 
della disgrazia di Olimpia e nell'estate e autunno del 
1651, nel qual tempo il papa era infermo di podagra e il 
Cecchini non era ricevuto a udienza sotto pretesto che non 
si potea un cardinale, per decoro della porpora , farsi at- 
tendere lungo tempo in anticamera. 

11 mezzo che il Masoambruni adoperava per le sue 
falsificazioni è raccontato in due modi: ma può essere 
ch'egli adoperasse ora Y uno, ora l' altro. Secondo alcuni * 
egli metteva in cima a un foglio grande il titolo e il som- 
mario della supplica, e quelli eran tali che non poteano non 
avere l'approvazione del papa. Veniva appresso uno 
spazio di carta bianca. Quindi era stesa la supplica che 
premeva ai Mascambruno e che non sarebbe stata ac- 
colta dal papa se V avesse letta. Appresso alla supplica 
il papa, che si contentava di leggerne il titolo e il som- 
mario, facea la sua sottoscrizione. Il Mascambruni, tor- 
nato a casa, tagliava il titolo e il sommario; metteva 
nello spazio bianco il titolo e il sommario che rispondeva 
proprio alla supplica scritta, e con la brava sottoscri- 
zione vera, genuina del papa la facea spedire senza 
contrasto per tutti gli uffizi. E se il papa qualche volta, 



1 Moroni, Dizionario ecc. tomo 19. Art. Dataria (Venezia, 
1843.) 

2 NOVAES CÌt. 



CAPITOLO III. 157 

letto il titolo e il sommario, accennava di voler leggere 
appresso, il Mascambruni col pretesto di essersi sbagliato, 
rapidamente gli togliea di mano la carta. 

Al contrario vogliono altri che nella carta lasciasse 
poco spazio in principio, e facesse scrivere una supplica 
innocentissima. Il papa, sottoscrivendo, lasciava gran 
margine tra il suo nome e il testo della supplica. Il 
Mascambruni tagliava la supplica, e sul margine lasciato 
bianco dal papa stendeva lo scritto che più gli piacea. l 

Secondo me il primo espediente era più pericoloso , 
ma più probabile. Il secondo non ha i caratteri della 
verità, poiché non si può credere che il papa lasciasse 
fra la supplica e il proprio nome tanto spazio da po- 
tervi scrivere un' altra supplica. Ma, ripeto, può essere 
che il Mascambruni adoperasse l' uno o l' altro metodo 
secondo le varie occasioni. E n' ebbe delle felicissime, 



1 « Faceva esso scrivere in un foglio di carta alla Genovese 
lasciando poco margine nel principio ad effetto die tra il fine 
della supplica e la sottoscrizione del papa vi restasse un largo 
campo di bianco : segnata che era, tagliava lo scritto e nel mar- 
gine che ci restava, faceva stendere la supplica della grazia che 
lui voleva, sì che la sudetta supplica veniva veramente segnata 
e passata con la mano del papa. » (Prosperità infelici ecc.) 
— Moglio il Pallavicino (Op. cit. tomo I, pag. 186) così dice: 
« .... narrano che portava al papa lo suppliche da segnarsi con 
questo artificio. Contenevano esse concedimenti sconvenevoli, per 
cui raccoglieva l' iniquo prezzo di gran danaro, ma essendo lun- 
ghe e di carattere francese (com'è restato in usanza della date- 
ria dappoiché la sedia fu in Avignone) il papa leggeva sola- 
mente il titolo della grazia scritto in cima ed un sommario di 
essa notato in piede, V uno e V altro di materia lecita e però di- 
verso da ciò che spone vasi in corpo. Or egli usava carte sì gran- 
di, che dopo la sottoscrizione del papa ne potesse tagliare e da 
capo il titolo e in fondo il sommario con supporre altri corri- 
spondenti al vero tenore e valevoli a cuoprire la fraudo nei tem- 
pi futuri. » 



158 PARTE SECONDA. 

da poter mettere insieme un bel mucchio d'oro: venne 
però il pessimo giorno in cui egli pagò la pena e delle 
Bolle spedite e di cui non si sa il numero, e delle set- 
tanta che gli furono rinvenute a casa, non mandate an- 
cora a chi le attendeva per non averne affrettato 1* arrivo 
con l'invio della relativa pecunia. 

A perdere il Mascambruni conveniva che un signore 
portoghese la facesse assai grossa. Un signore , che 
ho trovalo essere stato il conte di Villafranca , l avea 
commesso il peccato che per la sua orridezza è chia- 
mato nefando. 2 Ora nel Portogallo era legge papale che 
il processo di simile peccato non potesse esser fatto che 
dalla sola Inquisizione. Il conte, che non volea possi- 
bilmente aver che farvi e sapea ch'era inutile chieder- 
ne la dispensa per le vie rette, pensò di rivolgersi al 
Mascambruni promettendogli dodicimila doppie d' oro 
se gli ottenesse di essere sottoposto a un giudizio di 
laici anziché a quello del terribile tribunale. Pensate se 
il Mascambruni non se n' occupò con tutto zelo ! La 
grazia fu fatta nel senso che la causa, non sottratta 
dall'Inquisizione, fosse rimessa a un vescovo parente 
del conte 3 : ma la Bolla non era ancora spedita, quando 
il rumore di una grazia così cospicua, eccezionale, si 
sparse da Roma al Portogallo, dal Portogallo a Roma. 
L'assistente di quel paese, il Brandano gesuita, corse 
trafelato al Chigi e dal Chigi al papa per sentire se il 
mostruoso caso era vero. Un monsignor Mendoza , por- 



1 Rinalducci, Prosperità infelici ecc. — Vita del Mascam- 
bruni. Miscellanei cit. pag. 156. 

2 II Gigli ci dice a dirittura che il conto avea fatto vestire 
da fanciulla un ragazzo e sposatolo per mano d' un parrocchiano. 

3 Gigli. E il Gigli ci dice pure che V Astalli fu quegli che 
svelò al papa la grazia fatta al Portoghese. 



CAPITOLO III. 159 

toghese, si presentò con la stessa domanda a Inno- 
cenzo, che negava assolutamente di aver sottoscritto 
codesta concessione e protestava che la cosa non potea 
esistere nemmeno per ombra. Nondimeno chiamò questa 
volta il Cecchini , e gì' impose di far le ricerche ne- 
cessarie, di prender cognizione in somma della causa. 
Dopo molte diligenze si trovò che la Bolla non era pas- 
sata per la Dateria, ma per l'ufficio delle contradette 
in cancelleria per mezzo di Giuseppe Brignardelli ge- 
novese e di Niccolò Gouz suo sostituto, ministri del 
detto uffizio, 11 Brignardelli era stato spedizioniere, il 
Gouz scrittore. Con faccia di bronzo il Mascambruni 
disse in faccia ad essi che aveano falsificato tutto, escla- 
mando : E vero com' è vero Iddio che questa non è la 
mano del papa! 1 Poi disse all'improvviso: Bisogna. che 
la bolla non vada via. E preso seco in carrozza il Bri- 
gnardelli, andò in casa di don Diego Souza canonico 
portoghese, e quivi trovò la Bolla e la prese. Avea lungo la 
via persuaso il Brignardelli a fuggire, e intanto con la 
Bolla in mano schiamazzava contro i rei e giurava che 
sarebbe andato insino al fondo di quella scelleraggine. 
Infatti assunse la parte d'istigatore del Fisco nel- 
l'inquisizione de'rei, e fece sì che la causa fosse com- 
messa al più efferato tra i processanti, cioè a un certo 
Marco Rugoli luogotenente criminale del Governatore, 
mentre fu fatta assumere la parte di procuratore fi- 
scale a un Bastiano Ciucci da Montefiascone. Ma tanto 
il boia che la tigre (così volgarmente e poco gentilmen- 
te venìan chiamati il Rugoli e il Ciucci) eran legati 
a fil doppio col Mascambruni, e in mano loro la ma- 
tassa, invece di sciogliersi, minacciava di più avvilupparsi. 

1 Prosperità infelici ecc. Kinalducci. 



1W) PARTE SECONDA. 

Essi anzi cercarono di sviare a dirittura il procosso dal 
suo dritto cammino tenendo per nulla i più stringenti 
ed esagerando il valore de' pift deboli o assurdi indizi. 
La moglie del Brignardelli (fuggito) non seppe tacere che 
il marito, tre giorni prima di partire, avea consegnato 
al nipote tremila scudi come datigli dal Mascambruni. 
Certamente questa era una circostanza da coltivarsi per 
trovare la verità: ma il Rugoli, che appunto non vo- 
lea trovarla, si ricusava d'accogliere il deposto della 
mal cauta donna, e invece, fatta perquisire la casa di 
un certo Brunozzi spedizioniere di già fuggito, e trova- 
tovi un certo negrofumo con pomice, volea stabilire che 
con quello era stata eseguita la falsificazione delle firme. 
Il puerile conato dette sospetto della parzialità del Ru- 
goli. Il Governatore di Roma tagliò di netto la que- 
stióne dicendo (fosse o non fosse vero) di aver lui stes- 
so portata colà quella roba. Intanto levò a dirittura il 
Rugoli dall' ufficio e poco dopo anche il Ciucci. Il Ru- 
goli fu bandito: il Ciucci morì nelle carceri di Tordi- 
nona (1G52). 

Surrogato al Rugoli un tal Brusciotti, questi seguì 
la via indicata dalla moglie del Brignardelli e giunse 
alla meta. Fu chiara come la luce del Sole la reità del 
Mascambruni e de' suoi molti complici. l 

Il Mascambruni credeva a tal risultato ? Non si sa. 



1 Molte circostanze ho tolto dalla narrazione ms. del Rinàl- 
ducci. Poco giovamento ho avuto da un altro ms. della Casana- 
tonse intitolato : Ristretto del processo contro Francesco Ca- 
nonici alias Mascambruni (X. VII. 5.) Non ò compiuto. Se no 
trae intanto che il Mascambruni mutava anche e cassava nei 
registri e nelle suppliche dei papi passati. — Si vegga pure la 
« Scrittura contro Mons. Mascambruno con la quale s* in- 
tende che s' instruisca il processo contro il medesimo ecc. Ms. 
Bibl. Chig. N. 111. 69, pag. 570. » 



CAPITOLO III. 161 

Certo, è che non tentò di fuggire, ne forse l'avrebbe 
potuto poiché era circondato da spie. Stava un giorno 
all' udienza del papa, quando questi gli rimproverò acer- 
bamente le sue colpe. Il reo gli si gittò ai piedi. E il 
papa: Pregate dalla misericordia di Dio quel perdono 
che noi non possiamo per giustizia concedervi. ] Nel 22 
gennaro 1 652 si tepne concistoro. Dopo due ore e mezzo 
di parlamento fu conchiusa la prigionia del Mascam- 
bruni. 

Fu egli imprigionato proprio nelle stanze della Da- 
teria e condòtto in abito di prelato , cui non volle smet- 
tere, nelle carceri di Tordinona (22 gennaro 1652), 
mentre, frugata la sua casa a Sant'Ignazio de' gesuiti, 
ih trovata piena di argenterie lavorate, di gemme pre- 
ziose, di pezze di velluto e di più con quattordicimila 
belli scudi d'oro riposti per metterli a frutto. Ho già 
accennato il calcolo che si facea della somma dei gua- 
dagni in tante ruberìe. 

Negl'interrogatori il Mascambruni fece con la sua accor- 
tezza sudare i ministri del Fisco. Guizzava sotto le loro ma- 
ni come un pesce. Alle interrogazioni rispondea: Diman- 

1 II Novaes dà notizia che il Mascambruni non capì i segni 
del papa elio gli dicea di andarsene. Da ciò si avrebbe per con- 
seguenza che Innocenzo era proprio innamorato di quella brutta 
faccia, o che era un imbecille. — 11 Novaes ha tratto la notizia 
dalla vita stampata (Miscellanei cit. ecc.) pag. 179 ove appun- 
to s' afferma « il papa stesso parve che lo bramasse fugastro o 
cosi fece credere a tanti indizi, che ne diede forse, per levarsi 
d'impegno di dover manomettere criminalmente un Ministro di 
quel carattere... E veramente, tolto il dirglisi da Innocenzo ca- 
tegoricamente che se ne andasse, li parlò di maniera contan- 
te sorte di cenni, che dal non avergli egli solo intesi, mentre 
erano intelligibili a tutti gli altri , bisogna francamente conclu- 
derò che fossero giunti a segno i suoi peccati da rendere irrepa- 
rabile la sua rovina. » 

Ciampi. — Innocenzo X e la sua Corte. 11 



162 PARTE SECONDA. 

datene a donna Olimpia; a don Camillo; al principe 
Giustiniani; portatemi innanzi al papa e lo saprete. Tanto 
andò lungi nelle sue negative, che bisognò fondare la 
sentenza sulla sola cosa provatissima qual era 1* altera- 
zione dei registri d' Urbano Vili di carattere suo pro- 
prio: cosa intervenuta senza prezzo, nò corruzione, nò 
intenzione di pregiudicare altrui, e già saputa da Inno- 
cenzo che lo avea esortato a farsi spedir Brevi per l'as- 
soluzione del fatto. E perciò i difensori Boncompagni 
e Pasqualoni deputati dal papa, e specialmente il pri- 
mo, non trovavano ragione di condanna a morte e di 
confisca di beni, ma di qualunque altra pena. ' Ad onta 
di ciò, i giudici conclusero che il miserabile fosse me- 
nato per le strade più frequenti, avesse tagliata la de- 
stra avanti al palazzo della Dateria, in Campo di Fiori 
fosse strozzato, ovvero, datogli della mazzuola sul capo, 
appiccato per un piede, il corpo brugiato, gittate le ce- 
neri a fiume. 

Il papa, a intercessione di Camillo e dei canonici 
di San Pietro , volle fosse temperata la pena : * onde 
fu più mite la finale sentenza. Essa è brevissima. Chia- 
mando reo il Mascambruni di molte falsità commes- 
se nelle suppliche delle dispense matrimoniali e di al- 
tre grazie e spedizioni di qualsivoglia genere come anche 
nei libri dei registri delle suppliche della felice memoria 
di Urbano Vili e in diversi mandati da spedirsi gratis 
ecc. e di altre frodi, lo condanna, dopo la degradazione , 
al taglio della testa nelle carceri di Tordinona e ad 

1 Anche il Gigli ci dico che il Mascambruni non meritava 
la morto por questo delitto, ma che Dio lo punì forse per altri 
peccati, e più specialmente per avere una volta buttato por le 
scale la propria madre. 

2 Gigli. 



CAPITOLO III. 163 

essere esposto sopra un feretro nella piazza di ponte 
Sant' Angelo. l 

Nel 14 aprile 1652, giorno di Domenica, il reo fu 
condotto a San Salvatore in Lauro ove da monsignor 
sacrista, fra gran folla di popolo, fu degradato. Ricon- 
dotto alle carceri, ebbe alle quattro ore di notte T in- 
timazione della sentenza e fu consegnato ai fratelli della 
compagnia della Misericordia. Spuntato il giorno 15 
aprile, alle undici ore, sopra una loggia delle carceri, 2 
a vista del popolo, confortato dal Caravita, ebbe tronca 
la testa dalla mannaia. Il cadavere fu condotto, tutto 
scoperto in un cataletto, sulla piazza di ponte Sant' An- 
gelo con vicino due torce accese, e ivi stette sino alle 
sedici ore. Poi fu portato al Consolato dei Fiorentini 
e alle due di notte a San Giovanni decollato ov'ebbe 
sepoltura. 

Il Gouz, preso a Milano e il Brignardelli nel ge- 
novesato, furono impiccati sulla piazza di Ponte e poi 
abbrugiati. Diego di Souza ebbe dieci anni di galera. 
Un nipote del Mascambruni, Guido Canonici, fu con- 
dannato alla galera per cinque anni. Un canonico della 
Rotonda, Alessandro Brandano, si gittò da una finestra 
mentre i birri veniano a carcerarlo per sospetto di com- 
plicità col Mascambruni. 3 

1 II testo della sentenza può leggersi nei Diari di Roma 
per V istoria del secolo XVIL Archiv. Capitol. tomo 9. pag. 254. 
Cred. XIV — e meglio nella vita del Mascambruni stampata 
Miscellanei cit. pag. 218. 

2 II Novaes dice dentro il cortile delle carceri di Tordinona. 
Io ho seguito il Rinalducci. 

3 Gigli, Diar io, maggio 1652. — Anche il cardinal Cecchini 
perde intieramente la grazia del papa, e fu bandito dal palazzo, 
e dalla Dateria (agosto 1652 secondo il Gigli), privato della pro- 
visione di cardinal povero, sottoposto a processo, la cui tessi- 
tura rimase imperfetta per assoluta mancanza di materia a con- 



164 PARTE SECONDA. 

« Assaissimi altri (dico il Pallavicino) eziandio pre- 
lati, ufficiali della dateria furono puniti chi con ga- 
lera , chi con esilio , chi con mannaia , chi con re- 
legazione e tutti con multe e con privazione d'uffici o 
come partecipi della fraudo, o come difettosi nella de- 
bita vigilanza, tanto che la quantità o la qualità de' con- 
dannati empiè la corte d'orrore: e con alcuni di loro 
la pena fu reputata eccessiva, o perchè lo zelo dei giu- 
dici contro una scelleraggine perniciosa fa talora che 
il supposto s' abbia per prova e l' inavvertenza leggera 
per delitto grave, o perchè il gran numero de' condan- 
nati sempre ha gran numero di parziali che difendono 
ò scusano, ed uno de vizi assai comuni dell' uomo è 
l'indebita compassione. » 

Troppo lungo e poco piacevole episodio sarà que- 
sto sembrato a chi legge. Ma anche i delitti son se- 
gni dei tempi, e un esempio di tanta corruzione me- 
ritava di essere segnalato. Certo è che eretici costretti 
ad abiurare nella chiesa della Minerva o tratti a sup- 
plizio, donne impiccate come avvelenatrici a Campo di 
Fiore, monache murate per delitti carnali, uomini tena- 
gliati per ispietati omicidi non cagionarono tanta impres- 
sione a Roma, quanto il supplizio di costui. Parea che 
un demone lo avesse aiutato a salire per procacciarsi 
il gusto di vederlo all' improvviso precipitare dall' alto. 

Intanto se l'anno 1652 ebbe il suo lato funebre per 
il processo e la morte del Mascambruni, ebbe un altro 
lato festevole e grazioso alla famiglia del p'apa e al pa- 
pa medesimo nella scelta che fece il re Cattolico di 

tinnarlo o condurlo a fine. Mori nel 1656 o fu sepolto in S. Ma- 
ria in Trastevere. Gaspare Alveri, suo nipote per parte di sorel- 
la, pubblicò nella sua Roma in ogni stato un lungo epitaffio 
in sua lode. 



CAPITOLO III. 165 

don Camillo per suo ambasciadore nella solenne ceri- 
monia del presentar la chinea, ossia il pagamento pel 
feudo del regno di Napoli, nel 27 giugno del detto an- 
no. « Questa funzione (dice il Gualdo Priorato) seguì 
con pompa e grandezza senz'esempio. Egli (Camillo) 
comparve con un abito al più sublime segno arricchito 
e T arnese del cavallo tutto d' oro massiccio, con più di 
200 mila scudi di diamanti attorno. Era servito da 20 
paggi e 60 palafrenieri con ricca e bizzarra livrea, otto 
carrozze a sei della sua stalla, tre però fatte in quel- 
V occasione, non più vedute le più nobili e ricche. Egli 
nel reggere il cavallo facevasi ammirare per la destrez- 
za con la quale lo moveva e per il valore col quale 
altre volte haveva domati pure ferocissimi destrieri, che 
hanno poi goduta la prerogativa di servire la propria 
persona di Ferdinando Terzo che gratiosamente li ri- 
cevette in dono dal medesimo principe : qual fu servito 
nella suddetta cavalcata da tutta la nobiltà e Baronag- 
gio Romano con intiera sodisfattione della Maestà Cat- 
tolica che ringratiò poi il Principe d'essere stata ben 
servita. l » 

1 Galeazzo Gualdo Priorato, Scena (V huomini illustri 
occ. cit. (Venezia 1659) pag. 137 o seg. 



lfifi 



Capitolo IV. 



Donna Olimpia trionfante. — I Barberini. — Rovina dell* A- 
stalli. — Malattia e morte (V Innocenzo. 



Il vedersi circondato da tante insidie, l'esser tra- 
dito da coloro in cui avea po§to più affezione, oltre 
ai tormenti della vecchiaia pivi bisognevole di conforti, 
fecero a Innocenzo parer più che mai necessaria la com- 
pagnia e la custodia d' un' antica amicizia. Ne domandò 
consiglio al Chigi : ma questi con avvedutezza cercò dis- 
suadere il papa dalla nuova dittatura della femina ac- 
corta. Innocenzo l'udì poco o nulla, e accolse con pia- 
cere e riconoscenza gli uffici della sorella suor' Agata, 
che, placata evidentemente dell'ira concepita a pro- 
posito della spalla di Santa Francesca, nell' 11 mar- 
zo 1653 menò seco al palazzo donna Olimpia e fu in- 
termediaria della riconciliazione. La pace fu festeggiata 
il 25 marzo con un gran convito nel palazzo Pana- 
tili, in cui anche il papa intervenne. l E poco dopo, ai 
15 giugno, fu la fanciulla della colomba auguratrice, 
Olimpiuccia Giustiniani, la pronipote del papa, di do- 



1 « A dì 11 marzo 1653 Suor' Agata Pamfili, sorella del papa, 
andò a Palazzo et menò seco D. Olimpia Maidalchini sua cogna- 
ta, la quale, come ho detto, da che fu fatto il novo cardinale 
Pamfilio (V Astalli) fu privata della sua autorità, et in questo 
giorno si riconciliarono insieme. » (Gigli.) 



CAPITOLO IV. 167 

dici anni, maritata a Maffeo Barberini principe di Pa- 
lestina. Il papa benedisse le nozze nella cappella del 
Vaticano. 

Non giovò all' Astalli il banchetto larghissimo che 
imbandì nel palazzo Pamfili agli sposi e ai parenti e 
amici loro nel giorno stesso dello sposalizio. l La ricon- 
ciliazione del papa con Olimpia non potea non portare 
la ruina dell' Astalli. Contro esso erano dirette tutte le 
frecce dei parenti del papa e degli ambiziosi che ne 
voleano il favore. 4 

E a fare oscillar maggiormente la sua autorità già 
minata, si aggiunse la venuta dei Barberini che abbiam 
narrato e la loro alleanza con donna Olimpia. I Bar- 
berini ritornavano potenti nei loro uffici, e mentre erano 
riveriti dall' Astalli che volea propiziarseli ed essi lo ri- 
cambiavano di apparenti dimostrazioni d'onore, appa- 
recchiavano anche di soppiatto la sua rovina. 

Curiosa intanto era la condizione di questo cardinale 
che col titolo di padrone non avea più chi gli obbedis- 
se. Gli ambasciadori non voleano perdere il tempo a 
negoziar con lui sapendo che il papa non l'udiva e che 
invece si confidava coi Barberini. Donna Olimpia lo spiava 
perchè non facesse denari, che li volea tutti per lei. 
Ci dice il Gualdi, a confidenza del cardinale stesso , che 
avendo questi una volta tirato certi denari da un be- 
neficio vacante, Olimpia se ne lagnò al papa e si fece 
restituire quelle somme immediatamente. 

Secondo me bastavano le insidie di tanti consumati cor- 
tigiani per gittare a terra altro colosso che non fosse l' Astal- 
li. Racconta il Gualdi che vi fa più potente ragione della 
sua disgrazia. E questa fu che i Barberini eran dolenti 

1 Gigli. 



168 PARTE SECONDA. 

di non avere nella loro potenza conseguito principati li- 
beri come i nipoti di Sisto IV , Alessandro VI, Clemen- 
te VII, Paolo III, di essersi veduto sfuggire di mano 
Urbino e di aver insidiato vanamente Lucca. Adesso 
volean valersi della nuova preponderanza per acquistar 
qualche cosa nel regno di Napoli. E rimproverato al 
pontefice che non si fosse valso dell'occasione della ri- 
volta di Masaniello, ora lo persuasero insieme con don- 
na Olimpia, che naturalmente sperava aver la sua parte 
pei nipoti e figliuoli, a pigliarsi a dirittura il regno. Sa- 
lerno sarebbe stato sovranità dei Barberini. Essi a que- 
st'uopo prometteano un esercito di 12,000 uomini a 
loro spese. 

Dicesi che l' Astalli, tenuto fuori della macchinazione, 
ne desse di nascosto contezza agli Spagnuoli i quali 
presero i loro provvedimenti. *Di che smarriti il papa, 
Olimpia, i Barberini, pensarono che un traditore vi fosse 
stato, e, sospettando dell' Astalli, incaricarono monsignor 
Azzolini di cavarne il vero. L'Azzolini fece il suo uf- 
ficio con astuzia e buon successo. L'Azzolini ebbe il cap- 
pello. V Astalli precipitò. l 

Ma di queste oscure mene non v'ha certezza sto- 
rica : grande probabilità. 2 

1 II Galluzzi dice che il papa scoperse V Astalli d'inclinazio- 
ne spagnuola, (1654.) — Il Gigli (Diario 1654.) « .... dicono che 
si era accordato con li Spagnuoli contro il voler del papa.... » 

2 II Brusoni (Stor. cit.) pag. 631, (libro XXII) dice a dirittura 
che il papa lo licenziò « per avere scoperto la sua poca abilità nei 
maneggi politici, V avversione che mostrava a' più congiunti della 
sua casa e le continue tramo di leghe e di occulte intelligenze 
che tesseva e nudriva con principi stranieri e massime con gli 
Spagnuoli e col granduca di Toscana. Gli Spagnuoli veramente, 
vedendo che il papa non camminava più con la solita confidenza 
con essi, procurarono di guadagnare (e riuscì loro) il cardinale 
al proprio partito, ciò per venire col suo mezo in cognizione d*i 



CAPITOLO IV. 1G9 

Comunque sia, malgrado che i cardinali Barberini 
e Chigi s'interponessero a suo favore, Y Astalli nel 3 
febraio 1654 fu espulso dal palazzo con ingiunzione che 
non sì chiamasse più cardinal Pamfili, ma semplicemente 
col suo titolo di San Pietro Montorio, e che si ritirasse 
nel suo castello di Sambuci. l Infermo per passione , sen- 
za più le ricche sue robe vendute, patì lo sfregio fat- 
togli di un cursore venuto appositamente da Roma col- 
la solenne intimazione che non dovesse più chiamarsi 
cardinal Pamfili: e quivi fu lasciato senza amichevoli 
conforti fuori di quelli d'un tal Giuseppe Rocchi, che 
non si dileguò con la sua disgrazia. 

Diremo, per finirla coir Astalli, che, secondo alcuni, 
mandatogli da Innocenzo quasi agonizzante un Breve as- 
solutorio, egli non volle accettarlo poiché pretendeva 
di essere reintegrato anche delle entrate che prima go- 
deva. Il che non essendo stato fatto ; recatatosi a Roma 
subito dopo la morte d'Innocenzo, fu visitato dall'am- 
basciatore di Toscana, dal principe Ludovisio e dal car- 
dinal Maidalchini, che per dar segno della sua stizza 
contro alla zia donna Olimpia gli assegnò l'entrata di 
millecinquecento scudi del suo. E perchè l'odio appa- 
risse anche oltre il sepolcro, 1' Astalli si presentò al- 
l' esequie del papa col rocchetto smerlettato, anziché con 



segreti del papa che andava allora unito con la casa Barberina, 
impegnata con la Francia, come per averlo dal canto loro con 
la fazione Pamfìlia, di cui era capo, nelle occorenze del futuro 
Conclave. » 

1 11 Gigli ne' suoi Diari (1654 febraio) dà minute partico- 
larità che poco importano alla storia. Fra queste merita menzione 
che i rigorosi processi non iscuoprirono neir Astalli che legge- 
rezze giovanili. La più grave (e al papa parve gravissima) si fu 
che era stata segretamente aperta nella stanza del suo maggior- 
domo una porta che metteva fuori del palazzo pontificio. 



ITO PARTE SECONDA. 

quello (li lutto, o non accompagni con le sue le rive- 
renze e le lxmedizioni che prodigavano gli altri cardinali 
al cadavere pontificio. l 

Intervenne al conclave in cui fu eletto Alessandro VII. 
Ebbe in seguito onori da Filippo IV re di Spagna: fu 
creato protettore del regno di Napoli e di Sicilia: poi 
vescovo di Catania, ove nel 21 decembre 1662 morì: e 
giace nella cattedrale in un avello di marmo. * 

Ad ogni modo, senza grave fallo il povero cardinale 
non sarebbe stato perseguitato così accanitamente. La 
maledizione contro di lui andò tant' oltre 1 che in una 
delle disposizioni di primogenitura e donazione fatta nel 
20 luglio 1654 da Innocenzo a favore di donna Olimpia 
e a quelli che ad essa piacerà di sostituire, si dice 
espressamente così : « Dichiarandosi però che s' ella in 
qualsivoglia tempo non havesse fatta la detta sostitu- 
tione con particolare sua disposinone ; vogliamo che nel 
sopradetto caso sia a lei sostituito il sopradetto D. Ca- 
millo suo figliuolo e successivamente poi tutti gli altri 
chiamati nelle d e nostre lettere spedite il 1 aprile 1651 
con l' osservanza della primogenitura in esse eretta e 
con tutte le altre prohibitioni e conditioni, clausole e 
forme in queste espresse havendole qui per inserte e 
repetite, alle quali inoltre aggiungiamo che se il d° Don 



1 Relazione di quel che successe dopo la morte d 9 Inno- 
cenzo X, ma senza titolo, nell'Arch. Segreto Capitolino , Cred. 
XIV, toni. 9, pag. 262. 

2 Vedasi il Cabdella cit. tomo VII, a pag. 82 la discussione 
sulla sua età. — Ho seguito per la data della sua morte il Ca- 
frrri. Op. cit; pag. 450. — Il Mandosi (Bibl. romana ec. Cent. 
III. 19) afferma che mori nel 1663. Aggiunge d' avere avuto per 
le mani molto sue lettere, alcune delle quali edite dal Giustinia- 
ni. Inoltre ci dà notizia di aver visto « .... narrationem suae vi- 
tao quotidiano sermone dilucide explicatam a seipso.... » 



CAPITOLO IV. 171 

Camillo o alcuno dei chiamati in esse ammetterà o per- 
metterà in qualsivoglia modo che il cardinale Camillo 
Astalli si servi et usi del nome di Card. Pamphilio e 
dell' arme della nostra famiglia o d' altre prerogative o 
facoltà da noi già dateli e poi revocateli e che ogni di- 
sposinone da noi fatta sopra le dette revacationi impu- 
gnerà o in altro modo non approverà; in ciascheduno 
dei detti casi, ipso iure et ipso facto, cada e s'intenda 
decaduto dal ius che, in vigore della detta nostra do- 
natione e questa nostra presente dispositione, gli possa 
competere come se non fosse stato in esse chiamato o 
sostituito, et immediatamente s' acquisti al successore che 
non contraverrà , di maniera tale che l' inosservante 
decaduto non possa ingerirsi né di detti beni , né anche 
col titolo di patria potestà, legit. ma , adminis. ne , preten. 6 
di poterne conseguire Y usufrutto o la commodità della 
perct. ne de' frutti... » (Dal nostro palazzo di Monteca- 
vallo, li 20 di luglio 1654. Innocentius papa X. l ) 

Né altrimenti donna Olimpia nell' atto del 22 luglio 
1 054. « In oltre aggiungo alla predetta mia dispositione 
contenuta nel pred. t0 mio testamento che se il Sig. Princ. 
D. Camillo o alcuno de' chiamati in esso ammetterà o 
permetterà in qualsivoglia modo che il Card. Camillo 
Astalli si serva et usi del nome di Card. Pamphilio e 
dell'arme dell' Ecc. ma Casa Pamphilia, o d'altre prero- 
gative e facoltà già da N. S. dateli e poi revocateli, 
e che ogni dispositione da S. Santità fatta sopra le 
dette revocationi impugnerà o in altro qualunque modo 



1 Atti Simoneelli. Archivio di Stato a Roma. — In un fo- 
glio appresso alla donazione si legge : Io Olimpia Maid. ni Pam- 
phily accetto la retroscritta donnone, e mi riservo pigliare il 
possesso de beni donati a mio commodo, questo dì 23 luglio 1054. » 
— V. Documenti. 



172 PARTE SECONDA. 

non approverà ; in ciascheduno dei detti casi, ipso jurè 
et ipso facto, cada e s'intenda, dal jus che in vigore 
della detta mia dispositene contenuta nel d.° altro mio 
testamento, o di questa presente gli possa competere 
come se non fosse stato mai da me istituito o sostituito , 
et ity mediatamente s' acquisti al successore che non con- 
travverrà, di maniera tale che l'inosservante decaduto 
non possa ingerirsi ne' miei beni , né anche col titolo 
di patria potestà, legitima, administratione, pretensione 
di poterne conseguire l' usufrutto o la commodità della 
I>ercettione de' frutti. ! » 

La salute del papa intanto declinava rapidamente. 
Ed egli la credea insidiata dagli Spagnuoli, di modo 
che non sapea a chi meglio affidarne la cura che alla 
sua cognata. Ella in palazzo, ella, sempre a' suoi fianchi, 
lo assoggettava a regime rigoroso, assisteva a tutti i 
pasti, né lasciava entrare alcuno iu cucina né aprir la 
credenza se ella non fosse stata presente. Innocenzo si 
ribellava talvolta alle prescrizioni di lei e aggravava i 
suoi mali col disprezzarli. Ma l' inesorabile vecchiaia lo 
domava e allora egli sfogava la sua irritazione sopra i 
suoi familiari e parenti. Un dì il piccolo Giambattista 
(il figlio di don Camillo, il pronipote del papa) che sta- 
va allora fra i sei e i sette anni, fu interrogato da In- 
nocenzo se fosse molto tempo che non avea visto la fab- 
brica di Sant' Agnese. Il fanciullo rispose : Io Vho vi- 
sta, ma, se non sollecitate, voi non la vedrete finita. — 
E chi te V ha detto ? riprese il papa. E il fanciullo, zitto. 
Né valse che il vecchio, conducendolo in un'altra ca- 
mera e clonandogli di belle cose, lo stimolasse con ri- 
petute domande a svelare il segreto. Alla fine, impa- 

1 Atto Simoncelli. — Archivio di Stato. V. Documenti. 



CAPITOLO IV. 173 

zientito il papa, gli dette uno schiaffo, lo cacciò via dal- 
la sua presenza e per più di tre mesi non volle che più 
gli comparisse innanzi. l Altre volte Innocenzo vitupe- 
rava il nipote e i mariti delle sue nipoti dicendoli partigiani 
degli Spagnuoli nella differenza eh' egli avéa con essi per 
aver ricevuto l'ambasciadore di Portogallo. Tolse al principe 
Camillo il supremo generalato e ordinò alle guardie che 
lo respingessero se si presentava nell'anticamera. An- 
che al principe Ludovisi tolse il generalato delle galere 
con un Breve in cui lo accusava d' ingratitudine. Tor- 
nato poi a più miti pensieri, anche per interposizione 
della istancabile Suor' Agata, rimetteva ambedue in sua 
grazia. (27 agosto 1654. 2 ) 

Nel settembre dello stesso anno corse voce che 
per il papa non v'era probabilità che di qualche ora 
di vita. E già v'erano quelli che sollecitavano gli of- 
fici di caporioni e Conservatori, quando a' 5 di ottobre 
Innocenzo fu visto uscire in sedia dal Vaticano e recarsi al 
palazzo Parafili. Olimpia meritava qualche consolazione. 
Alcune gioie preziose (e tra le altre una croce d' oro 
col legno della croce donatale dall'Imperatore e un anel- 
lo regalatole del Granduca) l'erano state testé rubate, 
e mentre un povero paggio inutilmente sostenea la tor- 
tura, l'audace ladro le scrivea una lettera esortandola 
a ringraziarlo che non glie le avesse rubate tutte. In- 
nocenzo dette all'addolorata Olimpia trentamila scudi 
in compenso della perdita fatta. Ritiratosi il pontefice 



- 1 Gigli, febraro 1654. 

2 Gigli, 1654. — Il poco progio in cui teneva il papa i suoi 
parenti si vede anche da ciò che ci dice nel Mercurio politico 
il Siri (IX. 549) cioè eh' egli stimava il Ludovisi ripieno di pri- 
vati odi e inclinato alla fazione spagnuola o il Giustiniani ca- 
pace di maneggi economici, ma non di affari di principi, 



174 PARTE SECONDA. 

nella sua reggia, e sparsasi nuovamente la voce della 
sua morte vicina, il popolo, ululando, si gittò -sop*a il 
palazzo Pamfili e volea saccheggiarlo. Ne fii placata la 
furia con un centinaio di scudi gittati dalla finestra e 
con un milione di promesse. ! 

L'ultima volta che fu visto il papa fuori del Vati- 
cano fu il 14 decembre 1054, nel qual giorno si fece 
trasportare in lettiga nel giardino di Donna Olimpia in 
Trastevere. 1)' allora in poi rimase come imbecillito. Già 
da prima gli ambasciadori aveano brevissime udienze : che 
Olimpia, la quale facea da sovrana, le troncava, addu- 
cendo per iscusa che il papa non avea dormito la notte. 
Ora nessun estraneo più entrava da lui. Il principe Ca- 
millo s' insediò al palazzo e ricevea gli ambasciadori. 
Donne sollecite, premurose, gelose fra loro s'aggira- 
vano per le magnifiche sale : la Giustiniani, la Ludovisi, 
la Rossano, Olimpia. Di che Pasquino facea e facea fa- 
re le più grasse risate. 

Olimpia sin dal principio della sua permanente di- 
mora nel palazzo avea fatto bottino. La notte chiudea 
la camera, ove dormiva il pontefice, a chiave, e con 
la lettiga sempre pesante per oro si facea condurre a 
casa a depositarlo. Adesso poi facea man bassa in ven- 
dite e compre di benefici ecclesiastici, in far prelati, in 
ordire negozi simoniaci. Dicono che nel breve tempo di 
dieci giorni guadagnasse mezzo milione. 

Non volea che al papa si svelasse che oramai la 
morte gli era sopra. Ma i cardinali Chigi e Azzolini 
sostennero che gli si dovesse dire una volta il vero. Il 
padre Oliva, Generale de'gesuiti, prese allora il comman- 
do: interdisse a Olimpia l'ingresso della stanza, e dal 

1 Gigli, Diario, an. 1654. 



CAPITOLO IV. 175 

risensato moribondo ricevette la confessione col donativo 
di tremila scudi d'oro. Innocenzo regalò pure al suo 
medico Parisio (che già gli avea fermato de' flussi con 
la polvere di corallo !) pensioni e benefici, si riconciliò 
coi parenti di nuovo e coi cardinali Cecchini e Sforza, 
ma non già coli' Astalli. Volea da ultimo far cardinale 
il piccolo Giambattista, forse in compenso dello schiaffo 
datogli, ma non ne fece nulla quando gli fu rappresentato 
non esservi esempio che un fanciullo di sette anni fosse 
stato mai assunto a tal dignità. Si diffuse nelle lodi 
del Chigi dicendolo giovane di anni, ma vecchio di bon- 
tà, sapere e prudenza. l 

Morì a' 7 di gennaro del 1655, di ottantanni e otto 
mesi; dieci anni, tre mesi e ventidue giorni dopo la sua 
assunzione al pontificato. s Il volgo diceva essersi avve- 
rata la profezia onde s' era predetto che Innocenzo avreb- 
be conseguito il pontificato con frode, con gemiti sareb- 
be morto. 3 



1 Io. Georg. Estor. De cardinali impubere diatribae. (Io- 
n ao 1743) — Gigli, Diario, an. 1685. 

2 II già citato Mancini, Compendio della vita e delle azio- 
ni di papa Innocenzo X ecc. e « Relatione dell' ultima ma- 
lati a e della morte della felice e santa memoria del papa 
Innocentio decimo tradotta dal latino di Germano Alitino 
?ieir italiana favellada Domenico Moneta romano (Roma 1655.) 
Sono sette pagine in 4, e dietro la settima pagina un informo 
disegno che forse ò il catafalco del funerale d* Innocenzo. 

3 Fraudolenter Entrasti, gemens morie ris. 



J7fi 



Capitolo V. 

Sorti del cadavere d' Innocenzo. — Sua sepultura. — Nuovo 
conclave. — Alessandro VII. — Maria Cristina. — Olim- 
pia cacciata da Roma. — Suoi testamenti. — Sua morte. 



Tremendo è- a narrarsi rio che accadde intorno al 
cadavere d'Innocenzo. 

Abbiam detto che la cognata, durante la malattia di 
lui, fu vista ogni sera recarsi al palazzo in lettiga e 
ritornarsene a casa con gran peso di denaro. Ricon- 
dottasi poi in fretta nella stanza pontificia, avea tratto 
da sotto il letto, ancor caldo del papa testé defunto, 
due casse piene d 1 oro e le avea trafugate. Ora ella , 
richiestane, non volle trar fuori di tasca un soldo solo, 
anche per un modesto funerale. Che cosa potea fare 
per gli onori funebri da rendersi a un gran pontefice 
una povera vedova ? Questa fu la sua ironica scusa ac- 
colta con più disprezzo che meraviglia. 

Intanto il corpo d' Innocenzo giacea ravvolto in una 
coperta grossolana con accanto un candeliere di legno, 
in cui era stato cangiato quello d'ottone anche prima 
che il papa spirasse. I familiari erano fuggiti via , non 
si sa se per odio del morto o per paura di dover ren- 
dere conto del rubato. 

Il Collegio dei Cardinali avea già sostituito il Ro- 
spigliosi a monsignor Ariberti governatore di Roma. Ed 
ora certi beffardi fermavano la carrozza di questo a Piaz- 
za Scossaca valli e, domandatogli se dava loro licenza di 



CAPITOLO V. 177 

portare armi e lanterna proibita, lo lasciavano poi andar 
via, facendo con la bocca suoni assai sconvenienti. l In- 
oltre la plebe tagliava le orecchie e le code dei suoi ca- 
valli, gridando « Ari-berto! » come si fa agli asini. Per 
altro non si sa bene se a lui più dolessero o la morte 
d' Innocenzo , per cui era privo del lucroso impiego o gli 
oltraggi ricevuti dal popolo, o, quel che più importava, 
l'aver dato in prestito a donna Olimpia dodicimila scudi , 
che certamente non gli sarebbero stati restituiti mai più. 
La sera dello stesso giorno Innocenzo fu dal palazzo 
di Montecavallo portato a San Pietro. Precedeano le co- 
razze a cavallo con due pezzi d' artiglieria su carrette ; 
poi palafrenieri e famiglia a piedi con torce accese ; quindi 
la lettiga che portava il corpo del papa con i piedi che 
lisciano fuor della coltre e coperti solamente da un velo 
sottile. Intorno erano i penitenzieri di San Pietro sal- 
meggiando a bassa voce. E da ultimo i cavalleggieri con 
altri tre pezzi d'artiglieria. Una tempesta d'acqua con 
fulmini si scaricò sopra il- corteo. 2 Ma un biografo d' In- 
nocenzo, il tuon cavalier Bagatta, ci rassicura sulla sorte 
della salma, dicendoci che non fu tocca da una gocciola 
d'acqua, come altresì che, malgrado i turbini e i venti, 
non s' estinse intorno ad essa una fiaccola sola! 3 



1 « quando fu a S. Jacomo Scossacavalli se gli fecero 

avanti alcuni, dicendoli che li passasse una licenza di portar ar- 
me et la lanterna prohibita, et h avendo ciò detto gli fecero una 
grande se... beffandolo. » Gigli, Diario, gennaio 1655. 

2 Gigli, loc. cit. 

3 Le Vite d 9 Innocentio X e d'Alessandro VII, regnante, 
ce. scritte dal cavalier Antonio Bagatta, si trovano appresso 
alle Vite dei pontefici del Platina e del Panvinio. (Venezia. 
1744, parte li.) Eccone le precise parole : « Osservossi per effet- 
to prodigioso dopo la di lui morte che il suo corpo portato da 
Monte Cavallo al Vaticano in lettica fuori della quale si sten- 

Ciampi. — Innocenzo X e la sua Corte. 12 



178 PARTE SECONDA. 

Tre giorni slette esposto il cadavere nella chiesa di 
San Pietro, senza che alcuno pensasse di farlo onora- 
tamente seppellire. Olimpia ripetè le sue proteste di me- 
schina vedovella. Ne altro nipote o parente si mosse. 
l 'ortato il corpo n^lla stanza abietta, ove i muratori te- 
neano i loro arnesi o materiali (che a Roma chiamasi 
con proprietà munizione), uno degli operai pose una can- 
dela di sevo vicino air augusto capo. Vi fu anche chi, per 
carità, fece la guardia al cadavere, perchè noi rodessero 
i sorci. Tua cassa d'albiiccio fatta fabbricare da un mon- 
signore , il maggiordomo Scotti, racchiuse la salma molto 
umilmente. E un altro monsignore, Segni , canonico di 
San Pietro, scordò V ingiuria di essere stato spogliato da 
Innocenzo della carica di maggiordomo e scacciato come 
un ladro, e spese cinque scudi del suo per far seppel- 
lire il suo infelice signore. 

Quando non bastassero le testimonianze di Giacinto 
(iigli e di altri unanimi cronisti, valga a provare re- 
norme fatto il passo d'una relazione contemporanea, che 
io credo inedita , la quale ci dà altre caratteristiche cir- 
costanze. 

Stimo che possa piacere il leggerla com' è scritta 
neir originale , anche perchè non si sospetti che tradu- 
cendola a mio modo io ammorzi o scaldi le tinte del 
quadro: « Domenica a sera, essendo concorsi alla Basi- 



dovano i piedi coperti di sottil velo, in tempo che dal cielo di- 
luviava una densissima pioggia, non fossero offesi né il velo né 
le vesti ne par da una gocciola d'acqua: come altresì le faci, 
elio l' accompagnavano, mai s' estinsero fra i venti e i turbini che 
le contrariavano. » II Baoatta ha tolto la miracolosa notizia 
dall' Alitino cit. Relatione dell 1 ultima malatia ecc. Non pare 
che parli del corpo di qualche martire un innocente scrittore dei 
primi secoli della Chiosa? 



CAPITOLO V. 170 

lica Vaticana più cardinali, creature del morto ponte- 
fice, e gli principi Pamfilj, Ludovisio e Giustiniani per 
intervenire all' ultimo atto di pietà che dovea esercitarsi 
verso il morto pontefice, che era la sepoltura, se ne tor- 
narono fraudati della loro intenzione : poiché non si diede 
sepoltura al maestoso cadavere per non essere stata pre- 
parata la cassa per deporvelo dentro, non trovandosi 
chi ne avesse voluto fare la spesa, ancorché monsignor 
Sacrista, alla presenza di tutti quei principi, attestasse 
d' haverne più volte fatto istanza et avvertita la signora 
donna Olimpia. Quindi non fu maraviglia che il giorno 
seguente moltiplicassero le imprecationi del volgo con- 
tro V avarizia, di questa casa, che abboniva la spesa di 
un centinaio di scudi per custodire le ossa di quel pon- 
tefice che havea sviscerato l' erario della Chiesa per ar- 
ricchire ciascheduno di loro, trovandosi nei libri came- 
rali un debito di otto milioni, oltre a 600 mila scudi 
contratto dalla Camera Apostolica nel corso del suo pon- 
tificato. l Credevano alcuni amorevoli di questa casa di 
cancellare la macchia causata da sordidezza tanto pa- 
tente col specioso pretesto che simile spesa si dovesse 
fare dalla Camera Apostolica e dal medesimo Capitolo 
della Basilica del principe degli Apostoli. » — « Nac- 
que da questo accidente un disordine maggiore , poiché 
non convenendo che oltre al consueto de' soliti tre gior- 
ni rimanesse quel sacro cadavere esposto agli occhi di 
tutti, negando di dargli luogo in una delle loro sacre- 
stie quei canonici ; bisognò conservarlo nella stanza detta 
la Guardarobba della Fabbrica, nella quale si conser- 
vano funi, ferri et legnami et altri materiali per fab- 
bricare. » — «E voce comune che in loco così abietto 

1 Ciò è poco esatto. 



180 PARTE SECONDA. 

fosse veduto il, cadavere pontificio dal fratello del re di 
Svezia e da un figlio del re di Danimarca (principi che 
poco prima erano giunti incogniti a Roma) con senti- 
mento x grandissimo de' buoni cattolici che si persuado- 
no schernita, fra tale sordidezza, la dignità dell' aposto- 
lato di San Pietro. 2 » 

E chiaro da questo passo che, se Olimpia e i pa- 
renti si mostrarono sordidi e ingrati, non furono degni 
di minor biasimo i pingui canonici, che per non cavar 
fuori un obolo di tasca misero in gogna, con una lite 
sterile di competenza, la lor dignità e quella più im- 
portante della Chiesa, di cui doveano mostrarsi teneri 
e per obbligo e per riconoscenza. 

Del rimanente a ciò non pensò il cardinal Pallavi- 
cino : il quale, persuaso che la colpa dovesse ascriversi 
tutta ai Pamfilj ; dopo narrato brevemente 1' enorme ab- 
bandono, rompe in parole molto severe circa gli effetti 
dell' amore disordinato di alcuni pontefici verso i parenti 
in questa guisa : « Il suo corpo, dopo di essere stato 
esposto il solito spazio 3 in San Pietro, rimase per un 
altro giorno in una vilissima stanza soggetta all' ingiu- 
rie dell'umidità e degl'immondi animali per non tro- 
varsi chi '1 provvedesse di cassa.. Grande insegnamento 
a' pontefici qual corrispondenza d' affetto possono aspet- 
tare da parenti, per cui talora pongono a rischio la co- 
scienza e l' onore. 4 » 

Il sepolcro d'Innocenzo fu da Camillo Pamfilj suo 



1 Vaio risentimento o dispiacere- 

2 Archivio segreto del Campidoglio. Crod. XIV, tomo IX, 
pag. 264 o segg. senza titolo. 

•< Credo che qui inanellino nell'edizione le parole di tempo. 
4 Della Vita d 1 Alessandro VII, cit. voi. I , pag. 213, Pra- 
to, 1831). 



CAPITOLO V. 181 

nipote fatto disegnare a Giambattista Maini e incomin- 
ciato sin iV allora. Ma non ebbe termine che più tardi 
e per cura di Giambattista figlio di Camillo, quello stes- 
so, che, onorato da uno schiaffo del papa, potea, ben- 
ché impubere, esser fatto cardinale se alle idee del mo- 
ribondo Innocenzo non si fossero opposti pift savi con- 
siglieri. Per verità lo scultore lombardo Ercole Ferrata, 
che già in Sant'Agnese avea scolpito quella santa nel 
suo martirio, avea modellato una grande statua d'In- 
nocenzo e Y avea offerta al Pamfilj come degna d' un 
sepolcro papale. Ma essi non vollero affidargliene l'e- 
secuzione col pretesto che l' artefice fosse sì vecchio da 
non poter finire il lavoro. Io credo, al solito, non vo- 
lessero spendere gran denaro : che il Ferrata era uomo, 
benché inoltrato negli anni, assai robusto; e détte poi 
prova della sua vitalità e forza nel compiere la colos- 
sale figura di Clemente X. L& tomba infatti che in San- 
t' Agnese fu eretta a Innocenzo dagl'ingrati Pamfilj é 
assai miserella, e appena appena si vede nel tempio, 
conficcata com' è in un vano sopra la porta d' ingresso. 
Pare che si vergogni di star lì dentro, oscura e povera 
fra tanta ricchezza di colonne e di sculture. Essa é di 
marmo bianco: sull'urna sta il papa col piviale e il 
triregno in atto di benedire. La piccola Religione a de- 
stra e la mingherlina Giustizia a sinistra siedono sulle 
due estremità dell' urna medesima e, quantunque vi si 
provino con certi atteggiamenti grotteschi, non riesco- 
no a chiamar su loro l'attenzione di alcuno. l 

Che donna Olimpia cercasse di valersi nel conclave 

• 

1 Le ceneri d' Innocenzo furono trasportate a Sant* Agnese 
nel 1677. Ne abbiamo la Relazione da Fulvio Servanzio ripor- 
tata dal P. Gattico negli Atti cerimoniali. — I precordi ri* 
masero a S. Anastasio a Trovi rome parocchia pontificia. 



182 PARTE SECONDA. 

dei partigiani per ottenere una elezione favorevole a' suoi 
interessi, nessuno, io credo, metterà in dubbio. E per 
vero abbiamo che vi si fece una squadra detta volante, 
risoluta a non far papa altri che un amorevole a casa 
Pamfilj. l II conclave non apparve tanto parziale a Fran- 
cia o a Spagna, quanto amico spasimato da una parte, 
e dall' altra nemico irreconciliabile di Olimpia. I più fa- 
vorevoli a lei erano i tre Barberini, V Azzolini, il Che- 
rubini, il Gualtieri. A dirittura contrari i cardinali Sfor- 
za, Savelli, Astalli, Lomellino, Imperiale,, Borromeo, Pio, 
Ludovisio, Aldobrandino Anzi lo stesso nipote di Olim- 
pia, il Maidalchini, strepitava contro di lei. I cardinali 
ridevano nel vedere la stupidaggine di lui animata dal 
soffio ardente dell' odio. E Olimpia intanto dicea : « Vo- 
ce d' asino non giunge in cielo. 2 » E s' ingannò. 

Non uno ma tre mesi stettero i cardinali dentro il 
conclave. 3 Escluso per rispetto d' Olimpia fu da prima 

1 Grosso volume senza numerazione: « Diarium eorum quae 
a morte Innoc, X. tam intra quarti extra Conclave contige- 
runt usque ad electionem summi Pontificia Aleooandri VII, 
qui antea Fabius cardinalis Chisius nuncupabatur. (Casa- 
natense, XX, III, 22.) 

2 Del resto, non si faceano più misteri sugF intrighi del Con- 
clave. Leggesi in due grossi volumi dell'Archivio segreto capi- 
tolino un « Apparato alli Conclavi dei sommi pontefici, <c ovvero 
« Istruzione di quello che si pratica nell' eleggere il Papa o delli 
strattagemmi che si usano tanto dagli Elettori, quanto da chi 
pretende esser eletto per giungere al suo fine, col modo di pra- 
ticarli e colle riflessioni sopra alcuni Conclavi. » (Cred. XIV, to- 
mo 96 e 97.) 

3 Kegistro qui la curiosa notizia che in tempo di questo Con- 
clave il duca di Bracciano communicava a Giovan Carlo de' Me- 
dici il disegno di fare del dominio temporale un Vicariato laico. 
L'Imperatore dovea esser padrone, e Vicario dell'Impero il Gran- 
duca Ferdinando. « Carte del regno di Ferdinando IL Archiv. 
Medie. Legaz. di Koraa, app. filza 189, Canestrini. » Giudizi 
degli statisti italiani intorno al dominio temporale de 9 papi. 
Nuova Antologia, Marzo 1866, pag. 435. 



CAPITOLO V. 183 

il Palotta da lei offeso. Appresso fu escluso il Macu- 
lano cardinale di San Clemente, che vivea ritirato come 
romito non avendo mai deposto la regola di San Do- 
menico al cui ordine apparteneva. 

Innocenzo lo avea odiato, e Olimpia temea le ven- 
dette che dalle contrarietà provate potea prendersi , fatto 
papa, il San Clemente. Ma i partigiani di lei non tro- 
varono altro espediente per rimuoverlo che il dire con 
astuzia come il Maculano per esser suddito del duca 
di Parma sì stretto parente della Rossano, non avreb- 
be potuto perseguitare nemmeno donna Olimpia , poiché 
dovendosi costei punir nei beni, si sarebbe involta nella 
punizione la stessa nuora che ne dovea godere : dal che 
avrebbe rifuggito il frate cardinale. Riuscirono così nel- 
T intento : ma donna Olimpia andò sulle furie che della 
sua salvezza dovesse esser obbligata alla Rossano. 

Parimente fu escluso il Cecchini già fatto processa- 
re insieme col Mascambruni e privato della Dateria e 
della presenza del papa. 

Se riuscì Olimpia nell' allontanare dal triregno i ne- 
mici, non potè però fare eleggere i suoi aderenti: non 
Francesco Barberini, non il Cherubini, non altri. Anzi, 
scopertosi che un tal Francesco RavizZa, il quale era 
nel conclave in servigio del cardinal Gualtieri commu- 
nicava ad Olimpia i maneggi dei cardinali per mezzo di 
viglietti, fu per la via del corridore di Alessandro VI 
mandato a dirittura in Castello. l Con istravagante con- 

1 Gigli, Diario Marzo 1659. « A dì 8 di Marzo fu mandato 
prigione in Castello S. Angelo dal Conclave per il Corritore Fran- 
cesco Ravizza, il quale stava in Conclave pel servitio del Car- 
dinal Gualtieri, et fu scoperto che da un certo luogo mandava 
giù biglietti li quali erano portati a I). Olimpia, nelli quali ma- 
nifestava ciò che si trattava in Conclave sopra la croationo del 
Papa. » 



184 PARTE. SECONDA. 

cordia si riunirono i voti sulla persona di Fabio Chigi. 
Al Chigi valsero Y ingegno mostrato al congresso di 
Munster , la carica di Segretario di Stato , dopo il Pan - 
ciroli , tenuta con lode , i servigi fatti alla casa d' Au- 
stria coi Medici di cui era suddito , benché sospetto 
a Francia , i suoi maneggi in favore dei Barberini e 
d'Olimpia nelle frequenti loro discordie con papa In- 
nocenzo. 

Alessandro VII fatto papa con inattesa concordia 
dei cardinali, da principio dissimulò il suo rancore ver- 
so donna Olimpia e la casa Pamfili. 

Accolse con amorevolezza apparente dou Camillo re- 
catosi a ossequiarlo. Olimpia, non osando andarvi in per- 
sona, mandò per congratularsi il suo maggiordomo, poi 
il cardinale Azzolini a spiare specialmente le intenzioni 
del papa. Questi rispose con molta indifferenza; né lur 
singato da carezzevoli ed esagerate lodi, fece palese il 
suo pensiero. Ma ben presto dette segno di volere usa- 
re severità per via di certi provvedimenti, eh' erano di- 
retti a colpire la prepotenza di Olimpia. I venditori che 
aveano già dovuto sgombrare la piazza Navona per or- 
dine di lei, ebbero nuovamente (benché per poco tempo) 
il permesso d' accamparvisi per dar esito alle loro der- 
rate. x Oltracciò fu ordinato che dalla stessa piazza si 
traessero fuori i travertini che servivano alla fabbrica 
eli Sant' Agnese e che quivi stavano a comodo dei fab- 
bricieri. Poco prima ancora era stato prescritto che in 
breve termine si compiesse la detta chiesa. * 

Con somma diligenza intanto si preparavano rac- 
colte di documenti e s'iniziavano processi segreti por 



1 Gigli, Diario, ottobre 1655. 

2 Gigli, loc. cit., agosto 1655. 



^ CAPITOLO V. 185 

mettere a luce le arti, onde questa femmina s' era tanto 
arricchita :. tanto che v' era chi la consigliava a ritirarsi 
da Roma, mentre altri la confortava a rimanere per non 
dare ansa a' suoi avversari di colpirla, e per colorare, 
con la sua presenza non timida innanzi al nembo, la 
sicurezza d'animo sulla propria innocenza. 

V astuta donna cercò invano d' ingraziarsi Alessan- 
dro. Mortificò la propria abituale avarizia con mandargli 
in dono dei vasi d' oro, pregandolo anche le permettes- 
se d' andargli a baciare il piede. Il papa ricusò, riman- 
dò indietro i presenti, e rispose seccamente che il Va- 
ticano non era luogo opportuno per donne. ! 

Ma il peggio si fu che un palatino, come chiamano 
gli uomini addetti al palazzo pontificio, si presentò ben 
presto a donna Olimpia, intimandole per parte del papa 
che in termine di tre giorni uscisse di Roma e dentro 
una settimana si recasse in Orvjeto, d' onde non doves- 
se mai uscire senza un permesso speciale. Per mezzo 
del cardinale Francesco Barberini la donna fece quanto 
potè per cangiare o per rendere men dura la sua sorte. 

Ma tutto fu inutile. Narrano che il papa dicesse al 
Barberini : — Noi saremo più clementi verso donna Olim- 
pia di quello eh 7 essa sia stata verso la vostra casa. — 
Noi le abbiamo perdonato, rispose il cardinale : — E il 
papa di rimando: — Con vostro profitto. A noi, alla 
nostra coscienza, il perdono sarebbe di danno. — 

Olimpia certo stava in Roma, quando vi venne Ma- 
ria Cristina. 

Questa donna singolare, figlia di Gustavo Adolfo, ri- 
nunciato che ebbe lo scettro a Carlo Gustavo suo zio 
paterno, allontanatasi da' suoi Stati e abiurata nel 1053 

1 Gigli, loc. cit., aprilo 1655. 



180 PVRTR SECONDA. 

a Bruxelles la fede luterana (abiura resa più solenne 
nel 4 novembre del 1055 nella cattedrale d'Inspruck 
innanzi agli inviati del papa , x ) bramò venire nella città 
che più di tutte le altre le avrebbe tenuto conto del 
gran rifiuto. Ricevuta sin nei confini dello Stato pon- 
tificio con molto onore, entrò in Roma per la porta 
Pertusa, aperta appositamente per tale occasione. * Ma 
questo fu nulla a petto dell'ingresso solenne che ella 
fece dalla porta del Popolo , dove la iscrizione che an- 
cora vi si legge, scolpita in grandi lettere, ricorda la gio- 
ia del pontefice, il fasto del secolo e la gloria dell' ar- 
chitetto Bernini. 8 Accompagnata da principi, da titolati 
della corte , applaudita, inoltrandosi la notte, per le vie 
risplendenti di lumi, si recò nel palazzo Farnese, da 
cui cominciò quella vita che a noi non appartiene nar- 
rare, perocché si svolse più tardi con tutte le grandezze 
e le bizzarrìe di regina spodestata , di erudita , di reli- 
giosa e di superstiziosa nelle accademie, nei convegni, 
negli studi, nei gabinetti dedicati air alchimia. 

Nel breve soggiorno che ella fece la prima volta 
in Roma , 4 non fu notevole il suo operare che per lo 



1 Samuele Puffendorff, Commentar iorurn de rebus Sveci- 
cis lib. XXVI ab expeditione Gustavi Adolfi regis in Ger- 
maniam ad abdicai ionem usque Christinae. 

2 Porta ora chiusa. — Giacinto Gigli. 

3 Felici faustoque ingressui, che si logge ancora sopra la 
porta del Popolo dalla parte della città : iscrizione che alcuni 
storici francesi hanno attribuito nientemeno che al Valadier per 
T ingresso di Pio VII ! 

4 Non dispiacerà di avere il ritratto descritto da un contem- 
poraneo con molta vivacità quand' ella, già vecchia, dimorava 
in Roma: 

« .... Elle est àgée de plus de soixante ans, fort petite, fort 
grosse et fort grasse. Elle a le teint, la voix et le visage màflé.s 
(maffld, paffuto, carn accinto), le nez> grand, les yeux grands et 



CAPITOLO V. 187 

sdegno mostrato verso gli Spagnuoli , i quali formavano 
la sua guardia, perchè i loro compatriotti avevano dato 
aiuto ai Polacchi contro il re di Svezia suo fratello. 
Quindi li licenziò, e in loro vece prese a servizio dei 
Perugini, a cui détte abiti, calzoni e calze rosse e nere, 
come poi tennero i bassi uffiziali della guardia del papa. 
Non soffrirono gli Spagnuoli, come era costume della 
loro nazione,' questa ingiuria con pazienza, e si raccon- 
ta che, eccitati specialmente da Adriano Velli, maestro 
di camera dell' ambasciatore di Spagna, tramarono una 
congiura, con cui si trattava nientemeno che di dar 
fuoco a tutti i fienili, di saccheggiar Roma, di far pri- 
gione Alessandro VII insieme con la regina di Svezia. 
Probabilmente era una delle solite spavalderie degli Spa- 
gnuoli, ed era difficile, se non improbabile, che tali idee 
fossero" poste ad effetto. Ma proprio in quel tempo (1656) 
la peste faceva strage in Roma e l' aveva messa quasi 
in un'anarchia. Alessandro VII, scopertasi per mezzo 
ci* impuniti la congiura, tremò ; e allora i pontefici tre- 
mavano anche per meno. Le misure opportune allonta- 



bleus, le sourcil blond; un doublé menton parsemé de quelques 
longs poils de barbe; la lèvre de dessous un peu avancee ; les che- 
veux chatain-clair longs comme le travers de la main , poudrez et 
hérisseZjSanscoiffure en teste naissante; un air riant,desmanières 
toutes obligeantes. Figurez-vous pour rhabilleraent un justau- 
corps d'homme, de satin noir, tombant sur le genou et boutonné 
jusqu'aubas; une jupe noire fort courte qui découvre un soulier 
d'homme ; un fort gros noeud de ruban noir au lieu de eravate ; 
une ce inture par dessus le justaucorps, laquelle bride le bas du 
ventre et en fait amplement paroistre la rondeur. » (Nouveau 
voyage d* Italie avec un Memo ire contenant des avis utiles 
à ceux qui voudront faire le mesme voyage. Cinquiòme édi- 
tion, plus ampie et plus correcte que les précédentes, et «nrichie 
de nouvelles figures. Tome second. A Utrecht, etc, MDCCXXII, 
pag. 142. Lettre XXV. — A Rome ce 11 avril 1688.) 



188 PARTR SECONDA. 

narono il pericolo; ma Maria Cristina per adesso non 
volle più saperne di Roma, e di notte, ai 20 luglio, se 
ne partì quasi di nascosto per la Francia, d' onde non 
ritornò che molti anni dopo, bruttata di sangue per Y as- 
sassinio del povero Monaldeschi. x Chi sa se queste due 
donne singolari, Olimpia e Maria Cristina, s'incontra- 
rono anche per un sol momento ? Due grandezze cadute : 
T una volontariamente ; l' altra per la Nemesi che inse- 
gue ogni prepotenza. Senza dubbio la fantasia d' un ro- 
manziere avrebbe potuto sbizzarrirsi in questa proba- 
bilità meglio che con le invenzioni di pugnali, di veleni 
o di trabocchetti. 

Intanto Olimpia piegò il capo, e mestamente, quasi 
presaga della sua fine, volse le spalle a Roma. Non si 
sa bene s' ella andasse direttamente in Orvieto. V ha 
chi vuole che sin da principio ella ottenesse di " avere 
per suo luogo di esilio, invece di Orvieto, la città di 
Viterbo ; 2 e v'ha anche chi ritiene, che stata alcun poco 
in Orvieto, potesse poi ricettarsi in forzato ritiro nel 
suo paese nativo. I diari, che, quando era in potenza, 
registravano le sue minime azioni, adesso, nella disgra- 
zia, la dimenticano affatto. Sembra però che due anni 
dopo la morte d' Innocenzo, pochi mesi dopo la sua par- 
tenza da Roma, nel 1657 ella si trovasse in Viterbo. 
Ivi possedeva il palazzo della nobile famiglia dei Nini, 
ereditato dal suo primo marito Paolo Nini. 

E assai verisimile che uscisse ben presto da Viterbo 
per paura della peste bubbonica, di cui si dissero autori 

1 Relation de la morì du Marquis de Monaldeschi, grand- 
esouyer de Chrestine de Suede, par le P. Le Bel Mathukin, 
dans le Recueil des diverses pièces curìeuses , pour servir 
à Vhìstoire. Cologne du Castel, 1GG4. 12. 

2 (tUaldt, Bussi, cit. 



CAPITOLO V. 189 

gli Spaglinoli (tanto erano amati !) a punire il papa d'a- 
ver ricevuto gli ambasciatori del sollevato Portogallo. 
La peste, io dico, entrò nella città' malgrado che con 
milizie a pie e a cavallo si fosse cercato vietarle l' in- 
gresso dalla parte di Montefiascone . d' onde si credea 
potesse provenire. Il morbo non ebbe rispetto degl' inu- 
tili guerrieri, e traforatosi dentro, menò Serissima stra- 
ge. Gli ordini per impedire lo spandersi del malore fu- 
rono rigorosi, quali usavano a quei tempi. I cittadini 
doveano star chiusi nelle case in quarantena sino a nuo- 
vo bando, sotto pena di vita. Una povera fanciulla per- 
ciò uscita alla sbadata di casa per correr dietro a una 
gallina fuggente, fu con rigore spietato appesa per la 
gola. 

Olimpia, ritiratasi a San Martino, sembra che ivi 
morisse, sovrappresa dalla pesto, abbandonata da tutti, 
disperatamente. Si disputa sul giorno preciso della sua 
morte. Si rinviene negli atti del notaio Simoncelli una 
sua procura da San Martino del 7 agosto 1657, con 
cui autorizza a Roma certi pagamenti pel giardino di 
Ripagrande, i quali furono effettuati nel 12 settembre 
seguente. In questo giorno dunque può essere che fosse 
viva, sebbene il notaio per le comunicazioni interrotte 
fra Viterbo e Roma, a causa della peste, potesse non 
aver avuto novella della morte di lei. Certo ò che la 
presa di possesso del palazzo Pamfìli fu nel 29 settem- 
bre: tanto che si può dire che in questo giorno si aves- 
se certezza della sua fine. 

Il Caferri poi a dirittura ci dice che Olimpia vivere 
desiit il 26 settembre 1657, a ore cinque e minuti cin- 
que, neir anno sessantesimoterzo della sua età. x Esat- 

1 0\). cit. pag. 276. 



190 PARTE SECONDA. 

tozza di dato da far credere che lo scrittore le abbia 
uotate sopra una fede mortuaria. 

L'apertura del testamento avvenne nel 2 ottobre 
dell'anno medesimo. l 

Olimpia avea prescritto di esser sepolta nella tom- 
ba già da lei lattasi nella chiesa di San Martino den- 
tro la terra di questo nome. Se morì in quella terra 
medesima, era facile deporre il suo corpo nella sepoltura 
da lei ordinata. Nò avremmo argomento che le Sue pre- 
scrizioni non fossero state* adempite, se il Gualdi o Leti 
nella Vita della famosa donna non ci dicesse che, la- 
sciato il cadavere insepolto per qualche tempo dai bec- 
chini, i quali badavano piuttosto a svaligiar la casa, 
fu posto in luogo provvisorio, da cui fu tratto per or- 
dine del figlio. Questi, secondo il citato libellista, venu- 
to il tempo opportuno, fece trasportare la salma segre- 
tamente a Roma e deporre nella chiesa di Sant'Agnese, 
non senza suntuose pompe funebri e il solito elogio d' un 
predicatore, che volse, con riso dei Romani, tutti i vizi 
della defunta a spiegazione di sfolgoranti virtù. 



1 Aperìtio testamentorum bon. mem. Ex*»* Dhe Principisi 
se Olimpie Maidalchine Pamphiliae, die 2 octobris 1657. — 
Avanti ad Azone Arosto nobile bolognese e avanti il luogotenente 
dell' A. C. In esso si legge ' Dnus Antonius Plutinus L U. D. 
mihi noto cognitus uti procurator lllmi et Exmi Dai Don 
Camilli Pamphily Prpìs ad haec specialiter cahstus prout 
constat mandato procurae in actis meis etc. ab hodierno die 
seu etc. rogato ad ququod etc. deduxit ad notitiam ipsius 
D. Judicis Diebus Proxime elapsis obysse Illmam AC Excam 
D. Don. Olimpiam Maidalchìna Pamphiliam Matrem eius, etc. 
(Simoncelu; Instr.) — li inventario fu cominciato nel 12 set- 
tembre, e si trova fra gY Instrumenli del Simoncelli [medesimo 
di queir anno. L'ultima sessione è nel giugno 1658 a Viterbo, 
perchè la peste avea impedito un più brevo termine. (Archivio 
di Stato.) V. Documenti. 



CAPITOLO V. 191 

Aveva già provveduto Olimpia a' suoi interessi nel ca- 
so di morte. Lasciando altri atti, che potrebbero solamen- 
te eccitare la curiosità d' un leguleio anziché d' uno sto- 
rico, diremo che sin dal 27 giugno del 1649 essa avea 
latto testamento, e chiuso e sigillato avealo consegnato 
al notaio, ma che il 28 gennaio del 1654 se lo fece 
restituire. l 

L'ultimo testamento fu del 28 gennaio 1654, Esso 
si ritrova negli atti Simoncelli del 1654 tutto in un 
gruppo con altri atti. In uno di essi del 22 luglio 1654 
ella dice che, non volendo morire con 1' istituzione del- 
l' erede consegnata agli atti del Simoncelli notaio dell' A. 
C. nel 28 gennaio prossimo passato, dispone della terra 
di San Martino a favore d'Innocenzo non come pontefice, 
ma come persona privata, e lo fa anche universale erede 
con libertà di poter disporre dell' eredità a suo talento, so- 
lamente pregandolo di tener fermi i legati eh' ella avea 
fatti nel precedente testamento e specialmente pei beni 
a sé spettanti a Viterbo prima di entrare nella casa Pam- 
fili, a favore di Don Camillo. 2 In un altro poi del 22 lu- 
glio 1 655 dichiara Camillo Pamfili donatario d' Innocen- 
zo X suo universale successore, riservando a sé V usufrut- 
to sua vita naturale durante, e obbligando l' erede a sod- 
disfare i legati istituiti nel testamento del 28 gennaio 
1654. 3 A questi sono uniti alcuni altri atti d'Innocenzo 
relativi alla costituzione del patrimonio Pamfili, cioè a di- 
ro un chirografo del 20 giugno 1650 e relativo Breve del 



1 II testamento Y è restituito nel palazzo Pamfili innanzi 
a' testimoni. Ella si sottoscrivo Olimpia Maid. ni Pamphily. 
Atti Simoncelli. Testamenta et donationes ab anno 1635 
usque ad annum 1654. {Archivio di Stato.) 

2 Atti Simoncelli, ecc. 

3 Atti Simoncelli, ecc. 



192 PARTE SECONDA. 

17 aprilo 1(551, con cui il papa dichiara che tutto ciò che 
ha Olimpia acquistato o acquisterà, vada a profitto della 
sua discendenza, e un chirografo del 26 settembre 1644 
con Breve del 1 aprile 1651, onde parimenti si sancisce 
che le concessioni ad Olimpia di offici o Luoghi di Monte 
si debbano intender date con l'obbligo di venderli e rin- 
vestirli a favore dei discendenti di Olimpia stessa e del 
suo marito Pamfilio. T 

Nel testamento del 2N gennaio 1654, dopo disposto 
della sua sepultura, di duemila messe per la sua anima, 
di sette doti e sette vesti a donzelle povere che si mari- 
tassero a forastieri venuti ad abitare nella terra di San 
Martino ad elezione delle due sorelle monache, e fatti al- 
tri legati in favore de' suoi congiunti e familiari, istituisce 
erede il principe don Camillo suo figlio , sostituendovi i 
primogeniti discendenti con tutte le solite prescrizioni che 
si usavano nei fedecommessi. E ciò dico per quelli, che 
non vorranno leggere il testo del documento. Esso mi pa- 
re abbastanza originale da non doversi lasciare nell' oscu- 
rità degli archivi. Se non altro ci ricorda molte persone 
che nel corso della narrazione son venute in iscena e al- 
tre ancora; e per questo solo titolo, se non ne avesse al- 
tri, meriterebbe la luce. 2 

Si crede che Olimpia lasciasse, oltre a inestimabili 
beni stabili e mobili, circa due milioni di scudi d'oro in 
contanti, di cui furono lasciati i suoi eredi e donatari fi- 
nalmente in pacifico possesso. Questo parve però da pri- 
ma che volesse esser turbato ; imperocché Alessandro VII, 
come ho già detto, avesse deputato segreti inquisitori tan- 
to per Roma che per lo Stato, i quali dovessero ricercare 



1 Atti Simuncelli, ucc. 

2 V. Documenti. 



CAPITOLO V. liW 

quel ohe avea l'atto donna Olimpia in danno della Chiesa, 
con manifesta intenzione di farle restituire tutto il dana- 
ro malamente percetto. A confortarlo in tale idea non 
mancarono incitamenti di nemici della casa Pamfili, de- 
nuncie segrete e tutte le passioni che esplodono sopra il 
capo dei potenti in disgrazia* E fu incominciato il pro- 
cesso con l'udizione dei testimoni e intimato con let- 
tere a donna Olimpia, di già partita , che rispondesse dei 
ì>eneficì ecclesiastici venduti o delle simonie , del denaro 
preso dalla Dateria, delle rendite dei benefici vacanti da 
lei percetti, del grano fatto uscire dallo Stato e special- 
mente di quello mandato a Napoli in tempo della rivolu- 
zione di Masaniello, della riscossione d' imposte, tasse e 
gabelle, delle gemme tolte ai tesori delle chiese in Roma 
e fuori, e più nel Vaticano. Può essere che queste accuse 
fossero esagerate ; ma e anche vero che danno un' imma- 
gine di quel che fu e la certezza di quel che si credea co- 
munemente delle fatte rapine. Rispondeva ella di non es- 
sersi mai ingerita nel Governo e di aver consegnato ciò 
cheterà venuto nelle sue mani, fedelmente, a Innocenzo. 
1 parenti, che temevano di perdere la pingue eredità, 
mettevano in moto tutte le macchine di difesa, di rac- 
comandazioni , d' impegni per salvarsi dalla rovina. La 
peste interruppe tutto questo tramestìo ; e finita la peste, 
soccorse forse ai pericolanti Pamfili la considerazione nel 
pontefice e negli altri nemici di essi, che se, dopo ogni 
pontificato, si dovesse far restituire la roba presa indebi- 
mente dai parenti dei papi o da chi stette in favore, mez- 
za Roma sarebbe devoluta al Fisco. Il maligno Leti ag- 
giunge che ad Alessandro MI parve bene tacere dopo 
avere percepito un milione. Io non credo a tale infamia. 
Ad ogni modo non si parlò più di processo, di restituzione 
e d'altre malinconie. I Pamfili respirarono, e godettero 

Ciampi. — Innocenzo X e la sua Corte. 13 



194 PARTE SECONDA. 

della loro beata opulenza, finché la eredità avita, per l'e- 
stinzione della linea maschile, non allietò altra nobile fa- 
miglia. Infatti nel 17G0 essi finirono con don Camillo. 
Ereditarono la primogenitura i Doria Landi: la secondo- 
genitura, ebbero i secondogeniti dei Borghesi Aldobran- 
dino a cui ritornò la deliziosa villa di Frascati fondata dal 
più possente nipote dei papi. 



195 



Capitolo VI. 



Le Ville romane. — Villa Pamtili. — Ritratto eli Olimpia e 
d'Innocenzo X. — Giardino di donna Olimpia in Tra- 
stevere. — La chiocciola del Bernini. — Terra di San 
Martino. 



La magnificenza classica, l'indispensabile arredo, di- 
rei, d'una famiglia nobile romana era la villa: la villa 
che dovea stendersi per molto spazio di terreno, cuo- 
prirsi di ombre, suonar d' acque, ridere di giardini, splen- 
dere di palagi dove prima era l'umile vigneto più pro- 
ficuo al villano e all' u uiversale che non fosse la deli- 
zia parasita dei nuovi signori. Non potea bastare un 
boschetto a difendere dai raggi ardenti del Sole una pic- 
cola comitiva, ma era mestieri una larga sala o una 
lunghissima via di folti alberi a raccogliere le schiere 
di magnati, di porporati, di dame, che o doveano pas- 
seggiarvi, o raccogliervisi a colloqui or gravi or rumo- 
rosi, o esilararsi nei giuochi frivoli e concettosi del tem- 
po. La fiera nobiltà della campagna romana era scaduta 
dopo avere nel Medio evo tinto di sangue i castelli ba- 
ronali o dentro Roma stessa i muniti palazzi appoggiati 
alle antiche rovine, erano in quasi povertà molte del- 
le vecchie famiglie che avean fatto risuonare il mondo 
della fama di dissolutezze e di stragi familiari, alla cui 
compressione e punizione non avea bastato la mano se- 
vera e spietata di vSisto V. Ora cresceano nuove làmi- 



UHI PARTE SECONDA. 

glie, allo quali non più la torre e il bosco del selvaggio 
castello, ma piacevano le strade coperte di alteri gi- 
ganteschi, le valli con gli alti pini, i laberinti custodi 
di arcani amorosi, le fontane zampillanti, gl'ippodromi 
per le corse dei cavalli, i tempietti consecrati a Diana 
e a Cerere, gli aquidotti, i laghi, i giuochi d'acqua, i 
padiglioni d' edera , Y olezzo dei fiori , i bizzarri palagi 
nelle ville architettate da Giacomo della Porta, dal Lom- 
bardo e dal Le Xótre, decorate dalle pitture dello Zuc- 
cheri, del Guerrino, del Domenichino , abbellite dagli 
avanzi diruti, dalle iscrizioni, dalle statue stupende della 
venerata antichità. l 

Non v' era nuova casa che non ne volesse una da 
superare tutte le altre esistenti. La villa Madama, a 
cui die mauo Giulio Pippi per ordine di Clemente VII , 
la villa che il cardinal Montalto, poi Sisto V, avea fat- 
to piantare, ed altre ancora, doveano essere oscurate 
dalla grandezza e magnificenza delle nuove ville. 

Subitanea era stata la fortuna della famiglia Sac- 
chetti. Un Lorenzo Fabrini, prima Coppi, di Firenze, 
venne a Roma circa il 1530, e trafficando in questa cit- 
tà, dette la cassa in mano a Giovati Battista Sacchetti. Da 
cosa nasce cosa ; e il cardinal Giulio Sacchetti, oriundo del 
cassiere, potè nel 24 luglio 1641 regalare a Urbano Vili 
venti cavalli, trenta paia di bufole e 7000 scudi in contanti : 
tanto che il popolo, il quale dopo la morte di Urbano Vili 
udì esser probabile che fosse fatto papa il Sacchetti , 
gridava nel suo rozzo verso : Non fate papa Sacchet- 
ti, perchè Roma andrà a pezzetti. Non dovea man- 



1 Valgano ad esempio del gusto erudito le iscrizioni triopee 
di Erode Attico, fatto incidere nel tempio diruto di Cerere a 



Villa Borghese, 



CAPITOLO VI. 197 

care al Sacchetti una villa, a cui toccò in sorte (V es- 
sere descritta e lodata per via della stampa. * 

Palazzo del sale fu chiamato quello della famiglia 
Borghese. Esso fu innalzato mediante i prodotti dell' au- 
mento di un solo quattrino per libbra sul dazio del sale. 
E questa famiglia potè, per le munificenze gittate sopra 
lei dai pontefici, fabbricare la villa che fu tanto lodata 
dai contemporanei, e nella quale il cardinal Scipione Bor- 
ghese dava, sotto i tempietti di marmo coperti da arazzi 
e da muschi, nei tempi estivi, le larghe cene alla no- 
biltà vecchia e nuova di Roma. 2 

Lascio la villa Altieri e la villa Ludovisi, e ricordo 
solamente come lassù, nell'alto colle che pende sopra 
Frascati, il cardinal Pietro Aldobrandini, che fu chia- 
mato il più possente nipote dei papi, fece da Giacomo 
Della Porta disegnare ed eseguire la villa, in cui speso 
somme enormi, trapassando i termini della propria gran- 
dezza. 3 D'opere d'arte l'adornarono Domenico Zampieri, 

1 Gigli noi suo Diario. Fin dal 1630 s' illustrava la villa 
Sacchetti, come risulta dall' opera Joh. Tornaci Martiavitii vii la 
Sacchetti Ostiensi.?, cosmographicis tabulis, oc notis illu- 
strata, rusticanis legibus, officiorumque inscriptionibus ad- 
notata: Romae apud Lud. Grignanum, 1630. 

2 Le delizio di Villa Borghese furono dapprima descritte da 
Lui). Leporeo, Villa Borghese: Roma 1620, 12; da Giac. Manil- 
io, Villa Borghese, fuori di Porta Pinciana: Roma, 1640 e 
1650, e in latino, Studio Sigeberti Uavercampi in 1\ VII/. 
Thes. Burmanni. Ant. et Hist, itaL, da Dom. Montelatici, Vii- 
la Borghese, fuori di Porta Pinciana : Roma 1700, 8. — Vedi, 
Poetica descript io Villae Burghesiae, vulgo Pincianae, An- 
dreae Brigentii : Romao, 1716, 8. — Vedi anche altri libri no- 
tati dal Cancellieri nei Possessi, ec, pag. 168, e Valesio. 

3 Nò bastarono i denari dell' Aldobrandini. Per condurvi Y ac- 
qua coi disegni di Giovanni Fontana, bisognò spendervi denari 
della Camera apostolica, di cui Clemente Vili fece donazione 
al suo diletto nipote. (Chirografo 5 ottobre 1605, carte 1125, Pro- 
tocollo d' istrnmonti 1605, Atti Bulgarini, poi Gregori, oggi Apol- 
loni.) 



198 PARTE SECONDA. 

Giuseppe Cesari ed altri. Pompose iscrizioni sulla fronte 
dell' edifizio incontro al palazzo, sopra i gruppi di statue 
che siedono siili' acque o sono fonte di esse con istrane 
invenzioni, ricordano Ferrara acquistata, la pace resti- 
tuita alla repubblica cristiana, la quiete cercata dal fon- 
datore nel luogo delizioso, lungi dalle cure cittadinesche. 

Invano si cercherei >bero tracce e memorie di donna 
Olimpia nel superbo palazzo Pamfili, nella chiesa dì 
Sant' Agnese e negli altri monumenti di piazza Navona 
oggi Agonale. 11 popolo vi racconta della statua del 
Moro, che vale tant'oro quanto pesa, e della signora bri- 
tanna che morì di cruccio perchè non gliela vollero ven- 
dere a prezzo sì caro. Vi dirà che la figura d'uno dei 
fiumi della lontana dell' obelisco, sta con le mani in aria 
quasi pronta a riparar la caduta imminente della fac- 
ciata della chiesa: satira del Perniili contro il suo ri- 
vale Porromini. Vi dirà tante altre cose: ma nulla di 
donna Olimpia, che pure abitò in quella' piazza durante 
tutta la sua vita e che nella storia degli stupendi edi- 
lizi quivi innalzati non può scompagnarsi dal papa che 
li ordinò. 

Al contrario ella ò viva ancora nelle ville e nei giar- 
dini o da lei stessa fabbricati o da 1 suoi parenti. Iscri- 
zioni, busti la ricordano ancora. 

La villa eretta dalla casa Pamfili superò tutte quante, 
se non in gusto, certo in ampiezza o magnificenza. Era 
chiamata villa di Bel respiro. Altri afferma che Inno- 
cenzo, quand'era cardinale, si compiacque aumentarla e 
abbellirla; altri che Camillo, il nipote d'Innocenzo, a 
dirittura la eresse. Il Venuti la dice disegnata da Giam- 
battista Falda bolognese, il Nicolai la chiama opera di 
due insigni ingegneri Francesco Polognesi e Alessandro 
Algardi. Il Melchiorri attribuisce lo scompartimento dei 



CAPITOLO VI. 199 

viali, giardini e fontane al francese Le Nótre e l'ar- 
chitettura del palazzo all' Algardi. Tutto all'Algardi at- 
tribuisce il Milizia. Io credo che essendo una villa com- 
posta di opere varie, molti contribuissero a edificarla. 
Vedemmo già che Camillo vi adoperò anche Giovan 
Francesco Grimaldi. Nò son lontano dal ritenere per vero 
che l' Algardi si giovasse al suo scopo dei disegni ri- 
masti di Raffaele e di Giulio, studiasse le relique della 
villa Adriana, imitasse pel palazzo una pianta del Pal- 
ladio. T 

La villa Pamfili ricorda donna Olimpia ne' suoi mo- 
numenti. Certo che le vesti, gli ornamenti, i quadri, i 
busti ed altro ad essa appartenente fu portato via da 
gran tempo e deposto in luogo più sicuro nella casa Do- 
ri a che successe ai Pamfili. 2 

E così non vi son più ne il ritratto in porfido con 
la testa di bronzo d'Innocenzo, uè i busti di Pamfilio 
Pamfili e di donna Olimpia, di cui fan menzione il viag- 
giatore francese La Lande, 3 il Venuti 4 e lo stesso Ranke 5 
e altri. 



1 II Baldinucci scrivo : « Dipoi l' Algardi per Don Camillo Pam- 
filio prese 1' assunto della fabbrica della sua bella villa di Bel 
respiro a San Pancrazio, co' bellissimi ornamenti di fonti e d'al- 
tro: valendosi però d'una pianta del Palladio; e negli stucchi 
del pianterreno focosi conoscere meraviglioso, essendosi per avan- 
ti portato a tale effetto apposta a Tivoli per disegnarvi qualche 
reliquia dello cose della Adriana villa. » 

2 Vedi Villa Pamphylia ejasque palatìum cura sitis ^)ro- 
spectibus ; statuae, fontes, vìvaria, Romae, fol. 

3 Voyage d'un Francois cri Italie^ fait clans les années 
1765 et 1766, etc. A Veniso ; et se trouve a Paris chez Desaint, 
1769. Tomo V, pag. 283. 

4 Roma moderna. 

5 Histoire de la papauté pendant le seixième et dioc-sep- 
t tèrne sìMes, otc. Paris, tomo III. pag. 223. 



200 l'ARTK SECONDA. 

Questi ritratti sono stati loHi dalla villa e portati 
nella galleria Doria. Vi ho veduto il busto d' Innocenzo . 
di marmo con la testa di bronzo modellata dal Bernini ; 
e ivi parimente il ritratto di Pamfilio Pamfìli dell' Al- 
gardi, di gran naturalezza, col suo costume del secento: 
gran^ collare a cartocci: baffi e pizzo alla spagnuola: 
beli' uomo, di aspetto nobile e sincero. Ma la sua mo- 
glie Olimpia scolpita dall' Algardi non pli sta più vicino, 
nò Olimpia sta pure più presso a Innocenzo. Ella fc in 
fronte d' un gabinetto piccolo ed elegante, ed a' suoi fian- 
chi ha il celebre Andrea Doria e il principe Filippo te- 
stò morto. Non ò più giovane ; ma ò bella senza esser 
molto piacente. L' occhio acuto ; ciglia arcuate ; naso un 
poco all' insù , e , visto di faccia , assai diritto ; labbra 
sporgenti e chiuse : nel tutto insieme non so che d' im- 
perioso, di risoluto, di forte. Forse ò migliore in pietra 
che in pittura. In fatti nella stessa galleria v' è un al- 
tro suo ritratto in pittura, d' autore incognito, ove il co- 
lorito rossastro le dà meno simpatia, sebbene apparenza 
di più benignità. Oltracciò quel velo che, appiccato in 
fronte, fa angolo e poi si gonfia dietro la testa come 
un' aureola, mentre ò bizzarro, e dà in iscultura anche 
l'allettamento ci' una certa novità e della industria dello 
scarpello nella finezza dell' esecuzione ; in pittura, tutto 
nero, fa forse risaltare il colore del viso, ma dà pure 
l'idea piuttosto d'una priora di monache che d'una prin- 
cipessa. 

Quanto a Innocenzo , ho confrontato insieme nella 
stessa galleria la testa di bronzo del Bernini, che ho 
accennata, con un ritratto in marmo del Bernini mede- 
simo e un altro stupendo, dipinto da Diego Velasquez, 
e vi ho ammirato gli occhi vivi e la guardatura pene- 
trane, non senza notarvi non so che di rozzo, di ma- 



CAPITOLO VI. 201 

feriale, di triviale e un' aura di passioni provenienti da 
complessione sanguigna. 

Ma tornando alla villa Parafili, non voglio trala- 
sciare di far cenno di alcune fantastiche, ridicole e san- 

i 

guinose storie avvenute in essa. 

La morte d J Innocenzo dicono vi fosse annunziata , 
secondo la superstizione della fantasia romanesca, da 
un cavallo di fuoco, che comparve là nella notte dell' 1 1 
aprile 1655. Corse a furia per tutta la vigna, e mancò 
poco non facesse morire di spavento il figlio del vigna- 
iuolo, che oggi chiamerebbesi giardiniere. « Si era spi- 
ritato (dicono i Diari) et lo menavano per tutte le chie- 
se. l » È inutile il dire che la paurosa visione disegnata 
dal fanciullo o giovanetto in un cavallo fu forse un fe- 
nomeno di elettricità in notte tempestosa. 

La storia ridicola fc poi la seguente, ch'io voglio 

riferire con le stesse parole dell'arguto contemporaneo 

che ne fu testimonio. Il principe Pamfili, di cui egli parla, 

& da credere fosse il figlio di Camillo, Giambattista, il 

quale nel 1671 sposò Violante Facchinetti, pronipote 

d'Innocenzo IX. - 

« Il principe Pamfili essendo ancora molto giovane 

ebbe sollecitazione dei gesuiti perchè entrasse nella lor 

società. In verità egli avea qualche disposizione a far 



» Gigli, Diario, aprile 1655. 

2 11 figlio di Camillo, Giovambattista, principe di Carpineta, 
sposò nel 1671 Violante Facchinetti pronipote d' Innocenzo IX. 
L' altro figlio di Camillo, Benedetto, fu fatto cardinale nel 1G8L 
da Innocenzo XI e morì nel 1730. — D. Olimpia Aldobrandino 
la principessa di Rossano, morì nel 1681. — Figlio di Giambat- 
tista fu Girolamo di' ebbe per moglie, prima Isabella Conti o 
poi Olimpia Cantarelli. — Da Girolamo nacque Benedetto che 
sposò nel 1726 Teresa Olimpia Borghese — da Benedetto nacque 
Camillo, che nel 1760 dette termine alla famiglia. 



202 PARTE SECONDA. 

ciò, e gì' interessati non trascurarono nulla per pigliarlo 
dal lato della religione, a cui lo sapeano molto sensi- 
bile. Fra le altre cose, essi pensarono di declamare con- 
tro l'indecente nudità dei marmi che il principe avea 
nel suo palazzo. Lo delicate coscienze di codesti severi 
casisti T obbligarono infine a far coprire diverse parti 
di quelle nudità. Il povero principe fece dunque mettere 
delle camicie di un certo smalto a tutto il suo popolo 
di marmo; uomini, donne e fanciulletti. Tale riforma 
détte dolore ad alcuni e soprattutto a pittori, scultori, 
antiquari: ma nessuna umana considerazione fu buona 
a stornare il pio disegno di nascondere tante coserelle 
' che si pretendeano tentatrici e sediziose. Tutto fa mar- 
tellato e impiastrato l senza misericordia, ad eccezione 
d' un piccolo Pacco che scappò non so come , a guisa 
del signor De la Force nella strage di San Bartolomeo. 
Una povera Venere, uno dei capolavori del famoso Ca- 
racci, fu imbrattata dalla testa ai piedi e cangiata ih 
non so quante cose che riempiono adesso il lato del qua- 
dro, di cui essa occupava la più bella parte. Alla fine 
giunse il momento che il principe mutò pensiero , ed es- 
sendosi risoluto di preferire la società della principessa, 
alla società della Società, gli prese l'estro di rimettere 
il suo popolo com'era nel suo principio. Fece dunque 
togliere tutto quel goffo smalto, di cui Y aveano coperto : 
ma per mala sorte gli artigiani aveano spesso grattu- 
giato il marmo perchè il cemento vi si attaccasse me- 
glio, e perciò la maggior parte di queste belle opere 
rimase assai danneggiata. » * 

1 Da questa parola si arguisce che V opera pudica si estese an- 
che alle pitture. E infatti poco appresso si parla d' una Venere 
del Caracci. 

2 Misson, Voyage d'Italie, etc, tomo II, pag. 272 e s^g. 
Lettera da "Roma dell' 11 aprile 1688. 



CAPITOLO vi. 203 

Ma i marmi delle statue, i boschi di quercie, di pla- 
tani, di pini, le piante di tutti i climi, le acque cristal- 
line, i prati smaltati di fiori furono nel 1849 tinti di 
sangue nostro e straniero. Ivi cozzarono i Francesi e 
le schiere di Garibaldi nel trenta aprile: ivi fu ferito 
mortalmente il Manara: non lunge da essa i casini dei 
Quattro Venti e del Vascello attestarono con le rovine 
una guerra combattuta da eroi. principe Filippo Doria, 
ben volesti provvedere con magnifica tomba ai Francesi 
morti. E sta tene: anch' essi appartengono all' umanità: 
ma non erano uomini anche gì' Italiani ? e non erano 
ossi della tua terra e della tua lingua e del tuo sangue ? 

Più cara e speciale cura ebbe donna Olimpia del 
giardino fabbricato, direi , con le sue mani stesse , vicino 
alla chies^ di Santa Maria in Cappella. 

La piccola chiesa di Santa. Maria in Cappella, a cui 
si va per la solitaria via dei Vascellari , ebbe anch' essa 
la sua storia. Sin dal 1090 esisteva ed era dedicata al 
Salvatore. Francesca Romana, poi Santa Francesca, elio 
dicesi avesse poco lontano la sua casa, vi fece intorno 
un piccolo spedale dedicato alla Vergine, nel quale ella 
stessa assisteva gì' infermi. E però la chiesa fu chiamata 
di Santa Maria. Fu poi detta in Cuppella, quando nel 
1540 l'ebbero i barilai, a cui la concessero le monache 
di Tor de 1 Specchi eredi della lor fondatrice Francesca. 
E corrottamente poi venne chiamata in Cappella. 

Vicino a questo monumento che ricorda la carità e 
la dolcezza d'una pia donna, la fastosa Olimpia volle 
farvi un delizioso giardino. Un'antica Guida di Roma 
lo ricorda forse la prima volta nel 1004; « ... Prendete 
il cammino verso Ripagrande, dove si sbarcano le merci 
che si conducono dal mare e dove tra il già Ponte Su- 
blicio e Ponte Rotto, a Santa Maria in Cappella fu prin- 



204 PARTE SECONDA. 

apiato a fabbricar*-» <» piantare un vapo giardino da don- 
na Olimpia, principessa di San Martino, lasciato imper- 
fetto per la morte d' Innocenzo X, suo cognato. ! » Ora 
non è che un orto, senza nulla che ricordi il suo pri- 
mitivo splendore, tranne alcuni ruderi in riva al Te- 
vere che sono popolarmente chiamati i bagni di donna 
Olimpia. Ed anch'esso b additato col nome di Olimpia 
dai buoni popolani di quei dintorni più somiglianti a 
villaggio campestre che a parte di una grande città. 

11 giardino non ^ ora che un nome, e nulla valse 
che il cognato, per concorrere al compimento delle de- 
lizie di Olimpia, non trascurasse di farle donativi a quo- 
st' uopo. E singolare il documento che ci mostra come, 
fatta levare dalla fontana di Piazza Navona posta in- 
contro alla chiesa di San Giacomo degli Spagnuoli una 
lumaca o chiocciola che vi avea posto il Bernini , In- 
nocenzo ne facesse dono ad Olimpia per un' altra fonte 
ch'ella pensava di fare in un suo giardino (15 giugno 
1653). Non si dice veramente nel Breve qual giardino 
dovesse essere ornato dalla chiocciola : ma è molto pro- 
babile che fosse questo, di cui h parola. Ad ogni modo 
h da notare che due bei casi concorsero alla creazione 
della statua del Moro cotanto ammirata: la piccolezza 
della chiocciola che si vide disadatta all' ornamento dei- 
vasca e il desiderio di far cosa gradita ad Olimpia, che 
allora appunto avea bisogno di qualche ornamento per 
la fonte della sua cara villeggiatura. 2 

1 Roma ricercata nelsuosito. ecc. da Pioravante Martinel- 
li: quarta impressiono. In Vonetia, MDCLX1V, giornata II, 
pag. 29. 

2 Comincia il Breve così: « Monsignor Giacomo Transone, 
chierico della nostra Camera Apostolica, Havondovi Noi ordi- 
nato che facessi levare dalla fontana di Piazza Navona posta 
incontro alla Chiesa di San Giacomo de Spagnuoli qnella luma- 



CAPITOLO VI. 205 

Un' altra gemma della Maidalchini era la villa alle 
falde dei monti Cimini, a un miglio dalla città di Vi- 
terbo, e ritenuta per la più bella dopo la celebre di 
Cagnaia. L' avea fabbricata il marchese Andrea Maidal- 
chini, seniore, patrizio romano e viterbese, nel 1625. 
Adesso il luogo ha perduta la sua freschezza. Vi sono 
però ancora avanzi di magnificenza. Neil' unico piano 
superiore del casino la vasta sala d'ingresso è ornata 
nel soffitto di figure mitologiche a fresco di buon pen- 
nello del tempo, e le due camere vicine, tra il finire 
delle pareti e il cominciar della vòlta, son coronate an- 
che di affreschi rappresentanti storie del Vecchio Te- 
slamento, alcune delle quali per guasti sono appena ri- 
conoscibili. 

Questa villa è piena di memorie d' Innocenzo. Nella 
sala a pianterreno si vede la lapide infìssavi da un po- 
stero marchese Andrea Maidalchini , la quale ricorda 
l' anno, in cui Andrea seniore avea fondato la villa, e 
con palese ambizione vi si aggiunge la notizia che ciò 
fu innanzi che la sorella di lui, Olimpia, fosse maritata 
all' innamorato fratello del nominato Innocenzo X pon- 
tefice massimo (ante nuptam sororem suam Olympiam 

ca overo chiocciola elio por ornamento di essa fontana di Nostro 
Ordine vi haveva fatta il cav. Bernino, come che sia riuscita po- 
co adequata all' ornamento di essa per la sua picciolozza, con 
ordine di far porre una statua in tutto come in un altro Nostro 
Chirografo segnato sotto li 2 maggio del presento anno; e po- 
tendo detta lumaca servire per una fontana che pensa di fare 
in un suo giardino D. Olimpia Pamphilj, Principessa di S. Mar- 
tino Nostra cognata, ed avendo perciò Noi risoluto di donar- 
gliela, vi ordiniamo che facciate consegnare ai Ministri della me- 
desima la lumaca donandola Noi ad essa in virtù del presente 
Chirografo per sé, Don Gio. Batta Pamphilio e suoi eredi suc- 
cessori per pura, viva e perpetua et irrevocabile donati ono che 
sia Inter vivos, ec. » V. Documenti. 



i()C> PARTE SECONDA. 

— cum Innocenti i X. P. M. germano fratre.) Nella 
chiesetta della villa, in una nicchia a destra dell'altare, 
«» mi ìm"*1 busto iti marino del pontefice , e sotto vi si 
legge la latina iscrizione che rammenta il soggiorno da 
lui fattovi nel ir>5;{, portandovi la maestà pontifìcia e 
quasi un lume divino (instar divinae claritatis :) e per- 
chè non parca giusto che il nome d' Innocenzo fosse scom- 
pagnato da quello di Olimpia, così si aggiunse che la 
memoria eterna era stata posta dal figlio del fratello 
di donna Olimpia medesima. l 

Nò mancavano vaghi ricordi. In quella villa Inno- 
cenzo X esilarò l'animo affaticato nell'esame della dot- 
trina dei Giansenisti, ch'ebbero appunto nell'anno del 
suo soggiorno a Viterbo la loro condanna. E alla mesta 
Olimpia, allorché negli ultimi della sua vita vi si ridus- 
se, venne forse alla memoria quel giorno, in cui il volto 
del papa si compose a lieto riso, quando fatto cuocere 
alcune castagne e rappiccarle agli alberi coi lor facci, 
potè immaginarsi che gli Svizzeri della sua guardia cre- 
dessero che veramente l'albero le producesse così beli' e 
cotte a comodo del loro appetito. 

Anche in altri luoghi della città e del territorio vi- 
terbese si leggono iscrizioni che ricordano Innocenzo ed 
Olimpia. Nella villa di Bagnaia ve n'ha una fattavi 
porre da Ottavio Acquaviva, allora governatore di Vi- 
terbo e pòi cardinale, tutta piena di gonfiezza e di con- 
cetti arcadici, con la quale si viene a dire che l'acqua, 
all'arrivo del pontefice, ardendo d'amore spiccia in fonti, 
vaga, esulta, bolle e con devoto mormorio, lambendo 
i sacri piedi, porge ossequio al nume terreno (concepto 

1 Quoste iscrizioni sono riportate dal Bussi Istoria della 
città di Viterbo, pag. 332 Roma, 1742. Egli dice però che la 
prima stava sotto il portico. 



CAPITOLO IV. 207 

flagran 8 amore, ermnpit in fonles, vagatiti' } exultat, 
atque, devoto murmure, terreno prcebet obsequia nu- 
mini.) Un'altra a San Domenico di Viterbo ci fa sa- 
pere che nel 1(553 Innocenzo visitò quelle monache, e 
profuse denaro al monastero in considerazione della prin- 
cipessa di San Martino e delle sue sorelle monache in 
osso : onde la lapide che attestasse la riconoscenza della 
priora Francesca Pia Bonella, pronipote di Pio V, e 
di tutte le monache al papa e alla principessa e alle 
sue sorelle. T 

Ma anche nei monasteri, che avrebbero dovuto es- 
sere pieni d' umiltà, entravano sfacciatamente aristocra- 
zia e privilegi. Innocenzo , a' prieghi di Olimpia , fece 
fabbricare nel claustro di San Domenico un magnifico 
appartamento, e con un suo Breve stabilì che dovesse 
servire a qualche signora della famiglia Maidalchini che 
per avventura prendesse il velo in quel luogo, e se non 
ve ne fosse alcuna, l'appartamento rimanesse chiuso o 
le chiavi stessero in custodia della famiglia. 

Ci dice il Deone (ossia l'Amidenio al 15 dicembre 
1646) che donna Olimpia avea acquistato allora allora 
un territorio grande attorno ad un castello mezzo di- 
strutto chiamato San Martino, « comprato da lei dal 
Qtpitolo di San Pietro in Roma 2 volendolo ridurre a 
grande habitatione: al che cooperano molti prelati di 
Roma che ci fabricano una casa per renderlo populato : 
compra parimenti in quel medesimo territorio il castello 
di Vitorchiano spettante al popolo romano. » San Mar- 



1 Bussi, Stor. Vit. riporta anche questo iscrizioni : pag. 838 
ft 331. 

2 11 papa con Chirografo del 7 ottobre 1645 (Bui. Basii. 
Vat. tomo III, pag. 260) autorizzò il Capitolo all' alienazione 
di quel castello. 



JOS 



l'AUTK SECONDA. 



fino in Moliti', e |>er industria tY Olimpici, e \*ev danari 
d" Innocenzo e di altri, fu ridotto a bel castello, cre- 
sciuto di |jo]k>Io, oi'iiato di cas* 1 , rigato da fonti, mu- 
nito di mura. T Kbbe privilegi e grazie, e persino fu di- 
chiarato abbazia di niuua diocesi , cioè indipendente da 
vescovadi. Fu eretto anche a principato, e fregiò del 
titolo di principessa donna Olimpia: la quale non mancò 
di provvedere all'incremento della terra, disponendo nelle 
sue ultime volontà a lavoro della Collegiata, dei poveri 
e delle zitelle oneste che si maritassero coi forestieri 
venuti ad abitarvi. 

Anzi, ]Mjrchè non mancasse alla sua prediletta terra 
anche uria protezione sovrannaturale e nello stesso tem- 
jh> palpabile, sepj>e (come dicemmo) iarsi donare di furto 
dal papa la spalla del corpo di Santa Francesca Romana 
con grave cordoglio delle monache di Tor de' Specchi 
fraudate d'un jkjzzo della lor cara reliquia. 

Nel palazzo di San Martino fu tenuta per maravi- 
gliosa la scala, che, vasta e larga e agevole, potea far- 
si in carrozza. Miseramente essa in appresso ruinò: ma 
dicono quei villici che Olimpia non cessa di girarvisi 
intorno nelle ore notturne, allo stesso modo che qual- 
che feminetta romana all'erma che, allo scocco della 
mezzanotte, dentro bruna carrozza la famosa donna tra- 
gitta il vecchio ponte Sisto per recarsi nel suo diletto 
giardino in Trastevere a bagnarsi nel fiume. 



1 Così T iscrizioni.* nulla Chiesa. Bussi, loc. cit., pagr. &&. . 



PARTE TERZA. 



C ri, TUR A. 



Capitolo I. 

Fasto delle grandi famiglie. — Fierezza del popolo. — 
Spettacoli. — Feste. — Liti di precedenza. — Costumi. 

E trita sentenza, ina non inutile a ripeterei , eh 1 ò 
impossibile intender bene le manifestazioni d'una civiltà, 
d' un$t cultura nelle scienze, nelle arti, nelle lettere sen- 
za avere idea della vita pubblica, dei costumi, dello 
abitudini del tempo, ossia del campo in cui esse germo- 
gliarono, crebbero e presero certe lor forme, (osi l'in- 
tento del grandioso, del magnifico, del fastoso, a cui 
miravano in generale gli artefici e gli scrittori, consuo- 
nava perfettamente con lo- orgogliose apparenze nello 
fabbriche, negli spettacoli, nelle pompe civili e religioso 
del secolo X VII in tutta l'Italia, (omo queste erano 
quasi un manto di porpora e d'oro gittate sovra un 
corpo schifoso per luride piaghe; così le parole suonanti 
e le metafore, le vaste mura, le popolose tele, le te- 
merarie statue cercavano di cuoprire i miseri concetti, 

Ciampi. — Innocenzo X e la sua Corte. 14 



210 PARTE TERZA. 

la povertà (lolle idee, la disperata, impotenza. Da un 
lato senza grandezza di pensiero si accatastavano poemi 
su poemi, senza potenti ispirazioni si foggiavano liriche, 
senza studio di costumi s' annaspa van commedie, senza 
soffio di carità si recitavano prediche; dall'altro, tra lo 
miserie dei popoli che gemevano per ispietati balzelli 
ed erano orribilmente diradati da pesti e carestie, prin- 
cipi, vescovi, signori muravano smisurati palazzi, vesti- 
vano la religione di pompe teatrali, eran prodighi di 
leste solenni. 

Non è dubbio che a Roma era il medesimo che in 
tutto il resto d' Italia. Ma qualche cosa di maggiore vi- 
talità e di energia si manifestava in essa per il continuo 
movimento delle famiglie papali, che, fattesi opulente 
nella successione dei diversi pontificati, contendeano tra 
loro, pel primato o per 1' apparenza di esso, colle gran- 
dezze e col fasto. Nel Medio evo esse si sarebbero guer- 
reggiate o dentro Roma o nella campagna, e avrebbero 
speso denaro immenso neh' innalzare altissime torri o 
muniti castelli. Nel seicento, mutati i costumi, si acca- 
neggiavano con le calunnie e gl'intrighi, e cercavano 
l'uno e l'altre mortificarsi con ispiegare , . in qualsiasi 
modo di fabbricare e di festeggiare, le più splendide pom- 
pe. Da questa emulazione nasceva grandissimo vantaggio 
per gli artefici di ogni sorta e molto giro di denaro per 
la città, sebbene, parlando con la scienza economica, il 
profitto pubblico non era proporzionato alle spese enor- 
missime. E noto in fatti che talvolta per quei magnati 
era diletto e albagia costruire odifizì coi mezzi più co- 
stosi appunto perdio erano tali. A congegnare i palchi 
del palazzo Farnese, per esempio, fu fatto venire il le- 
gname da Caprarola , e per il maraviglioso palazzo di 
Caprarola, furono costruiti i solai a volta. Il segreto dei- 



CAPITOLO I. 211 

la differenza di tali edificazioni si era che costava me- 
no la pietra a Roma e meno a Caprarola il legname: 
costava più condurre a Roma il legname e più costava 
portare a Caprarola la pietra. Parve grandezza fare al- 
l' inverso di ciò ch'ò raccomandato dai più semplici det- 
tami dell'economia. 

Tali erano le idee delle nuove famiglie, tutte quante, 
dai Farnese ai Borghese, dai Ludovisi ai Barberini, da 
questi ai Pamfili non escluse le altre di minor conto, 
come già i Sacchetti, i Mattei, i Falconieri e altri pur 
potenti di nuove ricchezze. Esse si sostituivano alle an- 
tiche, le quali, oppresse da debiti, scadevano, e aliena- 
vano i lor feudi in cambio dei Luoghi di Monte, che 
a poco a poco si consumavano, lasciando i beni terri- 
toriali in mano ai nipoti dei papi. I Savelli erano di- 
ventati poveri: i Frangipane aveano poca importanza: 
i beni dei Conti di Segni erano stati comperati dagli 
Sforza di Santa Fiora che pur balenavano. Rimanevano 
ancor saldi solamente, con pochi altri, i Gaetani, i Co- 
lonna e gli Orsini, ma ornai, non più considerati questi 
due ultimi come potenze, a dirittura esclusi dal campo 
politico. l 

L' antica e robusta popolazione di Roma , poco 
amante del reggimento sacerdotale e della quiete, ve- 
dea con dolore sparire le vecchie famiglie, che in di- 



1 L'ultima volta in cui i Colonna o gli Orsini furono tenuti 
come potentati fu nella pace di Vervins del 1598 tra la Fran- 
cia e la Spagna. — Ora poi aveano perduto ogni saldezza di 
propositi politici. Nel Diario ras. del Deone si legge a' 17 ago- 
sto 1647. « Quando io venni a Koina D. Virginio Orsino era spa- 
glinolo et haveva sopra la casa Tarmi di Spagna. Dopo la 
morte sua il figlio si fece francese, poco appresso si fece spa- 
linolo, et ora si è fatto francese por quanto tempo io non lo so. » 



212 PARTE TERZA. 

fetto del Senato ridotto a una larva, erano state per 
lei una bandiera non si sa bene se di libertà o di 
schiavitù, se di guerra o di pace, ma una bandiera 
qualsiasi. Nella sua tradizione erano vivi ancora i ri- 
cordi delle famiglie ghibelline che l'avoano condotta a 
guerra contro le milizie mercenarie papali, delle fami- 
glie guelfe che l'aveano portata contro gl'imperatori 
tedeschi a bagnar di sangue proprio e straniero i ponti 
e le acque del Tevere. Lasciata senza industria, senza 
agricoltura, nella sua quasi silvestre barbarie, sfogava Tu- 
more torbido e guerresco in quei fieri divertimenti che 
sin nella nostra fanciullezza hanno durato, come le sas- 
saiolate in Campo Vaccino ; l mentre chiamate dai papi 
e dai loro congiunti, venivano da ogni parte d'Italia 
nuove genti, nuove famiglie assetate di prebende e di 
lucri e costituivano con pochi, che galleggiavano dal ceto 
popolesco, il mezzo ceto di Roma. 2 

Se a questo popolo nobile e plebeo, che sommaria- 
mente abbiamo accennato, si aggiungano la corte, il 
ceto ecclesiastico secolare, gli ordini monastici d'ambo 
i sessi, e si richiamino alla mente i costumi del se- 
colo in tutto il mondo europeo qui rappresentati in- 



1 Andrea Cainassei pittore ebbe in via Felice una ferita nella 
schiena da una pietra mentr' ogli guardava il bel giuoco del 
far a sassi «.... costume molto usato quasi ogni dì da fan- 
ciulli, da giovani e anche da uomini di età alquanto avanzata, 
tra' quali ben spesso si appiccavano tali battaglie, che poi fi- 
nivano coli' armi alla mano » (Baldinucci, Notizie de* Profes- 
sori ecc.) 

2 Sotto Sisto V vennero da 45,000 a centomila persone: gente 
d' ogni nazione il cui vestire dava bizzarra vista. — Per cono- 
scero la quantità di abitanti venuti da tutte le parti d' Italia, 
basta metter rocchio sulle iscrizioni sepolcrali delle chiese di 
Roma. Roma è più di tutte le altre città d'Italia la città italiana. 



CAPITOLO I. 213 

sieme con quello ch'era speciale a una città sede d'un 
papa e d'un re, di negozi mondiali e di frivole ambi- 
zioni, di grandezze e di miseria, di venerevoli riti .e di 
feroci superstizioni; non potrà non uscirne un quadro 
pieno di curiosità, di varietà, di sorprendente strava- 
ganza. Non fr mio assunto delinearlo e colorirlo: ma 
bensì tra le molte cose che già son conosciute ne ricor- 
derò alcune men comuni e ne registrerò altre nuove 
spigolate con somma pazienza nelle farraginose Memo- 
rie manoscritte di quel secolo chiaccherono. Dal fondo 
del quadro spiccheranno poi le figure di molti uomini 
rappresentanti una cultura, che sebbene accomodata a 
un regime teocratico, non è per certo men notevole 
e singolare. Tra questi si vedranno fiorire molti Romani: 
anzi ò curioso l'osservare che in un periodo ristretto 
di tempo mentre il Mazzarini (checché se ne dica, ro- 
mano, come dimostreremo in altra occasione) reggeva 
la Francia e Innocenzo X stava sulla sedia pontificia, 
(lui si distinguessero insieme il Zacchia, il fondatore 
della medicina legale, nella scienza medica, nella sacra 
eloquenza il Segneri, nelle storie il Pallavicino e Fa- 
lciano Strada, in materia di viaggi e di filologia Pietro 
della Valle, nelle scritture biografiche Gian Vittorio 
Rossi (Janus Nicius ErythreusJ, nelle belle arti i due 
Raimondi, il Dughet che volle chiamarsi l bissino, Mar- 
tino Longhi, il Sorìa, il Cerquozzi o Michelangelo delle 
battaglie e molti altri minori. 

Il fasto che si spiegava e nelle grandi occasioni e 
giornalmente dalla corte, dai ministri, dagli ambasciatori, 
dai nobili e anche dai privati, è troppo dipinto in più 
libri perché io ne debba far materia a discorso. Il nu- 
mero delle carrozze, quando si trattava di grande rap- 
presentanza e cerimonia, oltrepassava non dico un cen- 



214 l'AKTK TKRZA. 

linaio, ma talvolta le due o lo ire centinaia, e ciascuno 
volea superar ]' altro nel numero e nella splendidezza di 
esse. L'ambasciatore francese si recò a un' udienza con 
centotrenta tia carrozza, e non bastandogli, fece correr 
voce che fossero state centoquaranta per pareggiare il 
numero di quelle che già avea portato il Savelli amba- 
sciatore Cesareo. l Nell'anno santo 1650 i pellegrini vi- 
dero il duca dell' Infantado, ambasciatore di Filippo IV, 
condursi alla prima udienza con seguito di trecento car- 
rozze, delle quali cento ne mandò il principe Ludovisi , 
ottanta il Contestabile, sessanta il principe di Gallicano, 
venticinque la principessa di Boterà. 

Circa poi la forma e il lusso di queste carrozze, é 
granosissimo un passo di una lettera di monsignor Fa- 
bio Chigi che scrivea da Munster l'ultimo di novembre 
1644 a monsignor Albizzi assessore del Sant' Offizio. Egli 
descrive una carrozza che s' avea fatto costruire in Ger- 
mania. La dice positiva, ossia modesta. Dalla modestia 
di questa carrozza, si può misurare l' orgoglio delle altre. 
« Ho fatto qua una carrozza, dove né pur son fatte le treg- 
ge, evi ho consumati quattro mesi, benché positiva, divel- 
luto nero, da potersi condurre anco per viaggi con lo 
scemarsi delle colonne, che si fa per certa giunta mes- 
savi con ferri a vite, la quale ho intitolata dalle ultime 
tre parole del Cantico di Zaccaria (però nel mio cuo- 
re) che sono le prime dell' Itinerario, tanto per tornar- 
mene in Italia, quanto per la dimora che mi tocchi a 
far qui. Ne 4 canti sopra ho fatti gettare 4 vasi di 
bronzo ripieni di frutti come sorgenti da un cestello , 
tramezzati di spighe e di fiori, ed in mezzo sorge una 
croce dritta, pura, che esce da due serpenti a modo di 
caduceo, che questa é veramente la vera verga di pace 

1 Deonk, an. 1H44. 



CAPITOLO I. 215 

diritta o liscia per la intentiono , per la purità , tonda 
per la perfetione, senza alcun angolo d' imperfettione 
che solo può separare e spartire i contrasti de' dragoni 
e do' serpenti. l » Non b egli ingegnosa (e anche ridi- 
cola) l'applicazione e il significato di emblemi a pro- 
posito d' una carrozza ? 2 

E l' uso delle carrozze fastose era pure adottato dal- 
le cortigiane, che in manto, come le grandi signore, e 
con servi vi andavano a spasso. Se non che, sotto In- 
nocenzo, si rinnovarono bandi che proibivano ad esse 
e codazzo di servi e ornamento di manti e lusso di car- 
rozze. 3 

E vero però che questo divieto avea di quando in 
quando la sua eccezione specialmente se qualcuna di co- 
deste cortigiane sapea trovar modo di commuovere donna 
Olimpia. E perdio si sapea che ella non si commuovea 
che per l'oro; così fu detto malignamente che la proi- 
bizione era stata fatta per cavar emolumenti da quelle 
che avessero desiderato di essere eccettuate dal divie- 
to medesimo. A questo proposito foce rumore il caso 
di certe cognominate Corte, le quali furono poste da 
donna Olimpia sotto il suo manto, ed ebbero licenza di 
alzar Tarma sua sulla porta della lor casa e di pas- 



1 Bibl. Chig. ms. A. I. 22. pag. 89. Registro di lettere di 
monsignor Chigi nunzio apostolico in Colonia e in Munster 
a monsignor Albizzi ecc. ecc. 

- Alessandro VII donò a Maria Cristina una nobilissima car- 
rozza con figurine d'argento misteriose disegnate dal Bernini. 

3 « Havendo le meritaci nel pontificato d' Urbano tenuta in 
Roma una sbardellata licenza di carrozze et servitori in maniera 
che da forastieri non potevano esser distinte dalle dame hono- 
rate, Sua Santità ha rinnovato li bandi de Pontefici passati contro 
questo eccesso proibendo alle corteggiane la carrozza e il man- 
to. » Deonk 1644. 



216 PARTE TERZA. 

seggiare in carrozza come fossero persone onoratìssime. 
Già s'intende che la voce pubblica attribuì queste con- 
cessioni graziose a denaro da osse sborsato a Sua Ec- 
cellenza. E sembra che avessero molta pecunia, come 
quelle che non mancavano di numerosi» clientela in 
corte. l 

Dietro alle carrozze recavano talvolta i signori dei 
cavalli bardati condotti da servi e pur anche Mori. Quan- 
do morì Innocenzo, ( amillo Pamfili fu confermato, ben- 
ché con quattordici vóti contrari, Generale di Santa Chie- 
sa, ma gli fu dato per luogotenente generale Innocenzo 
('orti « Nora si fa vedere Sua Eccellenza per Roma 
con dui cavalli dietro la carrozza insellati e bardati, 
condotti da dui mori, da che pigliano materia gli ma- 
ledici di tacciarlo di molta leggerezza e di soverchia 
ambizione. * » # 

I conviti che solevano darsi dai grandi erano pieni 
di magnificenza. Vub aversene un' idea compiuta dalla 
descrizione di quello che ih dato nel gennaro 1687 dal 
cardinale Tarlo Barberini nel suo regio palazzo all' am- 



1 « La Corto eh**, sono donno assai diffamate e pubbliche in 
questa Corte compariscono in carrozza nello solennità maggiori 
porche la Signora D. Olimpia dopo esser stata regalata dalle 
medesime, si è contentata di prenderle sotto la sua protettione, 
le ha permesso che mettano Y arme di S. Ecc. sopra la sua porta 
•*t le ha conceduto che vadino in carrozza senza risgnardo al- 
cuno come se fossero honorate. » 

« E perchè quando fu fatta la proibizione delle carrozze alle 
donne cattive fu creduto che ci fosso fine di cavarne grossi emo- 
lumenti, il caso delle Corte verifica tutto questo et insegna alle 
altre quello che devono fare per godere tanta commodità et ho- 
norevolezza, » (Avvisi di Roma del 30 agosto 1645. Ardi. Seg. 
Capitol. Cred. XIV, tomo 95.) 

? Relazione di ciò che avvenne dopo la morte d* Innocen- 
zo X. Senza titolo. Àrch. Segr. Capitol. Cred. XIV. toni. 9rp. 262. 



CAPITOLO I. 217 

basciatore di Giacomo II d' Inghilterra conte di Castel- 
maine. Esso appartiene in vero a un tempo più lontano 
da quello eh' è nostro tèma, ma non fc da credere che 
molto fosse cangiato nella fine del secolo dal costume 
della metà del secolo stesso. l Senza dubbio però sa- 
rebbe più al caso nostro la descrizione d' una cena data 
neir8 febbraio Ì6^ò da donna Olimpia all'ambasciatore 
Cattolico, dove si trova nella lista delle vivande « una 
testa di porco salvatica salpresa e poi cotta in vino 
e aceto } regalata con fette di salciccioni e prosciutto 
sfilato attorno con verdura sotto » ed anche « un pol- 
pettone alV inglese informa di rosa, fiorito con scorza 
di cedro candito e pignuoli. 2 » Ma poco gioverebbe 
alle conoscenze storiche, e tutt' al più servirebbe ai cul- 
tori dell'arte di Galeno per paragonare il potente sto- 
maco degli avi nostri col nostro misero stomacuzzo. 

Un avanzo di costumi cavallereschi si osservava nella 
corsa del Saracino, giuoco che sebbene rincantucciato 
nella campagna romana, si poteva dire anche in fiore 
a tempo degli avi nostri. 

Il Beone ci dice così: « Avanti il Palazzo della Ecc. ,ua 
Sig. ra Donna Olimpia Pamfìli alla Fontana de Trevi lu- 
nedì sera fu corso il Saracino dalli Sigg. Conti Ranucci, 
Barbazza, Tanaro, Macorelli, Bevilacqua, Giacomo Rag- 
gi, Giacinto del Bufalo e Cav. Giorni, che tutti com- 
parvero mascherati con belle livree, essendo mantenitore 



1 Lettera familiare d'un Letterato Romano nella quale 
ad un Cavaliere suo amico dà compito ragguaglio d'un so- 
lenne e curioso convito apprestato dal Card. Carlo Barbe- 
rino all' Eccellentissimo signor Conte di Castelmaine Am- 
basciatore straordinario di Giacomo li Re della gran Bret- 
tagna. Roma p^r Dom. Ani Horcolo 1687 in 4. 

2 Ms. Ardi. Horia. 



•^18 PARTK TKKZA. 

il marchese Cesi, e giudici li Principi Ludouisio e Sa- 
velli, hauendo guadagnato li premi li Sigg. Giacomo 
Raggi, Conti Barbazza e Tanaro e Cav. Giorni: il tutto 
con l'intervento di personaggi, principi e dame. l » 

Ma molto più arguto fc un altro passo del diarista 
medesimo, che, descrivendo la festa, morde con parole 
alquanto crude il costume poco corretto. « .... Lunedì 
mattina con numerosissima cavalcata fu parimente (il 
papa) a visitare l' oration delle quarant' ore alla Chiesa 
del Giesù, e la sera avanti la casa della Signora Donna 
Olimpia si corse al Saraceno da Gentilhomini romani; 
e vi era il bello delle dame le quali furono regalate 
dalli Cavalieri de' premi a loro toccanti , e con questo 
saranno anche* finiti li festini e balli delle dame tra- 
lasciati in Roma molti anni sono per il detto del Boc- 
caloni interpretando l'impresa di Vespasiano festina lente 
per un ricordo che desse queir Imperatore a Roma in- 
festina lente, cioè fate di rado festini , poiché in Roma 
sono gran quantità di animali bellissimi di due gambe 
et altra quantità di cani di odorato perfettissimo , li 
quali si trovano benché nascosti et appiattati, e per 
esser di natura fera fiunt occupantis, di modo che il 
far festini a Roma ò una professione di andar a cac- 
cia corna e portarne pieno il carniero. Questa usanza 
si è ripresa questo carnevale, ma più dalle forestiere 
che dalle romane.... 2 » 

Il popolo si compiacea stupendamente di queste quin- 
tane, ove i signori si facevano strumenti del suo pia- 
cere, ma più godea di altre feste straordinarie, per 
grandi occasioni. A lui piaceva in piazza Navona il 



1 Deone, cit. 29 di febbrai*. lf>48. 
* Deone, cit. fobb. 1648. 



CAPITOLO I. 219 

loro che ,' pieno di razzi , 1' ambasciador ( attolico sca- 
gliava nella piazza a spavento e fuga della moltitudine. l 
Le ordinarie feste del carnevale, ormai da troppi de- 
scritte, in cui correano Giudei, vecchi, giovani, putti e, 
per bàrberi, asini e bufole, gli procacciavano godi- 
menti; ma meglio era sodisfatto se il principe di Pa- 
lestrina, don Maffeo Barberini, fattosi istrione, nel 
carnevale del 1654, si mascherava nientemeno che da 
Sole , e , tenendo le redini di quattro superbi cavalli , 
ora preceduto dalle quattro stagioni pure a cavallo cir- 
condate da molti servi vestiti di tela d' oro , i quali 
sul far della notte accendevano le torcie di candida cera 
a immagine degli splendori di Febo. Gli dispiacque che 
la cuccagna, che si solca fare in Campidoglio e anchn 
nel cortile papale , fosse a mano a mano dismessa ; 2 
ma erano a lui di largo compenso altre rappresentanze 
in cui potea vedere azzuffamenti ed esercitare anch' es- 
so le sue inclinazioni manesche. 

Uno dei fenomeni , in fatti , più curioso di quel se- 
colo, non solo a Roma e in Italia, ma in tutta l'Eu- 
ropa specialmente meridionale , era la smania di titoli e 
di precedenza d' individui , di corporazioni , di classi in 



1 « L' ambasci adore cattolico fece comparire un toro con su- 
pravvesta tutta piena di razzi che andavano a fuoco e si Iacea 
far piazza da per tutto con gran gusto del popolo. » GrE bardi. 
Trionfai possesso della S. di N. S. P. Innocenzo X alla Sa- 
cros. Bas. Lat. seguito il 23 nov. 1044, ecc. (Roma: Lodo- 
vico Grignani, 8°). 

£ 11 Gigli ci dice che nel 1 di maggio si soleva in Campido- 
glio piantare un albero, sul cui tronco liscio e insaponato doveano 
arrampicarsi i popolani per guadagnare il premio delle cose ma- 
gnatizie che vi erano appiccate in cima. Ma la festa non fu fatta 
nel 1652, e così a mano a mano fu disusata. Altrettanto si fa- 
cea nel cortile pontifìcio. 



220 PARTE TERZA. 

opni luogo, in ogni cerimonia, in ogni pubblico o pri- 
vato convegno. Esso poro dava a Roma , che tanto dis- 
somigliava dallo altre città del mondo per la sua corte 
ecclesiastica, por il numero degli ambasciatori stranieri, 
pei* la, sua nobiltà sì altiera, por il suo popolo orgo- 
glioso, por le cerimonie e per le pompe religiose, i più 
nuovi e più curiosi spettacoli. Giovanni Casimiro prin- 
cipe reale di Polonia, gesuita prima, poi cardinale, 
quindi re od ammogliato, finalmente abbate mitrato della 
ricca abbazia di San (1 ormano, T pretendeva quand'era 
porporato, il titolo di Altezza e d' Illustrissimo , non 
( uià cP Eminenza, e aver facoltà di porre sopra Tarme 
la corona. 2 Ma ciò era contrario alla regola , onde i 
cardinali non potevano usar titoli di principi secolari, 3 

1 Dopo la morto di Wladislao (H>48) contrastò il regno al 
suo fratello Carlo. Prevalse al suo competitore e fu eletto re, e 
sposò Luisa di Nivers seconda moglie e vedova di Wladislao. 
Rinunciò poi alla corona. Si trova nel 16(>8 una sua lettera a 
Piemonte IX in cui gli dice che vuol tornare alla vita ascetica 
iLuxig, IÀterae procerum Europae t. 2, pag. 507). Mons. Gio- 
vanni Torres romano, arcivescovo di Adrianopoli in partibns in- 
fidelium, elotto poi da Innocenzo X vescovo di Palermo, si trovò 
in Polonia in tempo dell'elezione di Gio. Casimiro (Bibliografia 
critica ecc. di Sei*. Ciampi, t. II, 78). 

2 La copia d'una lotterà ch'egli scrisse a Innocenzo X si rin- 
viene nella Biblioteca doli' Università di Varsavia. Sebastiano 
Ciampi (op. cit ) ne dà il sunto. Tra gli argomenti che Giovanni 
Casimiro teneva per so favorevoli, era l'esempio di Ferdinando 
di Toscana che per qualche tempo fu cardinale e granduca. Ma 
gli si rispondea che il Medici non avea voti religiosi. Altre let- 
tere di lui a Innocenzo si leggono fra lo Lettere memorabili 
ecc. del Giustiniani. 

3 Costituzione d'Innocenzo X « Militanti a Eccfesiae » ecc. 
sopra il titolo o le insegne dei cardinali (19 dee. 1644, Bull. Aug. 
Taur. tomo XV pag. 338). Sono concessi i titoli di Eminenza 
reverendissima , Eminentissimo. Reverendissimo senz'altro 
titolo secolare. Proibito il titolo di Celsitudo. Le armi sieno or- 
nnte del solo cappello rosso e non della corona. 



CAPITOLO I. 221 

e per conseguenza si negava a Casimiro la domandata 
concessione. Tra queste contese, dovendo il cardinale 
venire a Roma pel concistoro senza che ancora fosse 
aggiustata la cosa, si ricorse a un mezzo (oggi si di- 
rebbe ntòdus vivendi) che per allora salvasse le con- 
venienze cY ambe le parti. 11 mezzo fu teatrale corno 
tutto si facea teatralmente. Si convenne che il cardi- 
nale non fosse incontrato da alcuno , non facesse la so- 
lita cavalcata, fosse alloggiato in Palazzo per due giorni, 
ricevesse dal papa quel titolo che al papa piacesse, non 
visitasse alcuno eccetto donna Olimpia: e così era evi- 
tato che le orecchie del cardinale fossero turbate da ti- 
toli che l'offendessero. l 

Ma ciò era nulla incontro alle rumorose risse a 
causa di tali insulse cerimonie. Vescovi e ambasciatori 
non si vergognavano, per le loro varie pretese di spar- 
ger sangue nelle pubbliche vie. Venne a Roma Tani- 
basciadore di Portogallo che s' era sottratto dalla ser- 
vitù della Spagna , ed era il vescovo di Lamego. Il 
marchese di Los Velez , ambasciatore di Spagna , pre- 
tendea che il papa non ricevesse l' inviato della ribelle 
provincia. Ma non ebbe ascolto : il Portoghese ebbe 
udienza in Vaticano. Ad evitare ulteriori conflitti la corte 
pontificia però, con sublime accorgimento, prescrisse che 



1 Questo particolarità non note ci sono dato dal Dkoke {Diar. 
Ms. 12 agosto 1646) « La medesima mattina (mercoldì) verni»* a 
Roma il Car. di Polonia per havero il concistoro pubblico il giorno 
seguente. Si sono aggiustate le cose nel modo seguente: non 
sarà incontrato da nessuno; non farà cavalcata; sarà alloggiato 
in Palazzo per due giorni ; riceverà dal Papa quel titolo che gli 
vorrà dare, e non visiterà nessun Cardinali?, né altri occettochè 
la Sig. D. Olimpia, e questo per fuggire le differenze del titolo; le 
quali cose tutte insieme, al mio giudizio, non soddisfanno alla Bolla 
la quale egli giura di osservare e di dare e di ricevere Eminenza.» 



222 l'AKTK TKltZA. 

se il Portoghese incontrasse lo Spagnuolo, ealasse, in 
segno di rispetto , le cortine della sua carrozza. Il mar- 
chese di Los Velez, impaziente di vedere questo vano 
attestato di sommissione, saputo che il Lamego ora a 
visita dell' ambasciadore francese Fontenav, Cùbito si 
recò in (pici dintorni; raccòlse armi, le distribuì a' suoi 
commandando che se nell' incontrarsi delle due carrozze , 
il Portoghese non calasse le cortine, fossero tagliati i 
garetti ai cavalli che lo portavano. Spie fecero motto 
al vescovo dei minacciosi preparativi; e il vescovo in- 
contanente si cinse d' armati. 1/ incontro fu una vera 
battaglia con morti e feriti: alla pazza baruffa presero 
parte volentieri i Romani a dritta o a manca , metten- 
dosi in mezzo con le armi secondo la loro fazione. Bi- 
sognò che i soldati del papa dividessero a forza i com- 
battenti. 

Ci narra lo stosso Deone che la qualità e il titolo 
di barone era inerente ai capi della casa Orsini, Co- 
lonna, Savelli e Conti e subito dopo ai Cesi ed ai Ce- 
sarmi e non si estendeva più oltre , nemmeno ai Fran- 
gipani. Non è qui luogo di discorrere sopra l'esattezza 
di tale notizia : basti averne fatto cenno per dare spie- 
gazione della lite che mossero appunto i Frangipani : i 
quali, pretendendo il detto titolo, voleauo soprastare 
agli Uditori di Rota mentre questi non voleano cedere 
il passo ai baroni. Per la ruggine della questione è giu- 
sto che sieno date le stesse rugginose parole del cro- 
nista. « Domenica mattina , ultimo del passato , il papa 
fece la sua cavalcata solenne nell' Annuntiata differita 
a quel giorno , nella quale intervenne una cosa notabile, 
e fu che nacque differenza tra li Baroni romani et Au- 
ditori di Rota sopra la precedenza in maniera, che po- 
sti a cavallo, nessuno voleva marciare allegando pi' Au- 



CAPITOLO 1. 223 

ditori di Rota il loro possesso e li Baroni la ragione. 
Il negotio andò avanti tanto che il papa raguagliato 
delle pretenzioni , disse : Se essi non vogliono andare , 
anderemo noi: e così confusamente cavalcò sino alla 
Minerva restando li Baroni superiori nella pretenzione. 
Passò neir anticamera tra di loro discorso sopra questo 
fatto dicendo: Hora che Imbuiamo un papa romano, 
conviene che ricuperiamo la nostra ragione e possesso. 
( ìuesta ragione è fondata in un breve di Sisto V con- 
cedente la prelatione alli Baroni: però di quel temjK) non 
vi erano altri Baroni che fossero compresi sotto questo 
titolo che li capi di Casa Orsina e Colonna, alli quali 
poscia furono uguagliati Savelli e Conti , e dopo alla qua- 
lità baronale, e non in quanto al rimanente, la casa Cesi 
e Cesarina, a quali al più poteva competere questa preten- 
sione, e non altrimenti alli usati (?) dopo e non uguagliati 
a questa classe, tra quali anche soleva annoverarsi il 
Frangipane, per il quale si crede che gli Auditori di 
Rota particolarmente si movessero e forse anche per 
r abbate Savelli e fratello suo che non sono capi di 
casa e furono fomentati tutti dal Duca Federico Savelli 
Ambasciadore Cesareo et ivi presente. E l' Auditori di 
Rota , oltre il possesso , allegano che da Gregorio XV 
ottennero Y uso del rocchetto , e che gli altri Prelati , 
ohe l'usano, come Protonotari, Governatori di Roma, 
Tesoriere , Auditore della Camera et altri hanno la pro- 
cedenza sopra li Baroni.... » l 

Per siffatte liti di precedenza e per altri puntigli 
cavallereschi si scriveano libelli, anzi volumi in fòlio, in 
tutta l'Italia e più a Napoli e a Milano ove trovavano 
maggiore seguito i costumi spagnoleschi. Lasciando di 

1 Diar. oit. 6 Aprilo lti47. 



224 PARTE TERZA. 

menzionar libri che scritti e pubblicati anche a Roma, 
passarono inosservati : non voglio dimenticare quello che 
s'intitolò: // Cavalier compito, Dialogo nel quale si 
discorre d'ogni scienza, di ragione di Stato i di me- 
dicina, di meteore, di dubbj cavallereschi e del mo- 
do novo d 1 imparare a scftermire con spada bianca 
e a difendersi senz 9 arma. La curiosità pubblica fu svo- 
gliata non solamente dal titolo grottesco del libro, ma 
anche dal nome dell'autore, conosciutissinio nella so- 
cietà di Roma di quel tempo. Egli era Torquato I)e 
Alessandri romano, spadaccino di professione, tutto pieno 
di sé, della sua scienza, della sua forza, del suo valore. 
11 suo soprannome, datogli da altri o imposto da se 
medesimo agli altri, era nientemeno che Braccio forte ! 
Ma egli voleva esser tenuto non solamente forte di brac- 
cio, ma anche di mente: il che cercò pruovare con 
T opera mentovata. Disgraziatamente essa produsse un 
effetto contrario. Per le sfacciate lodi , che l' autore pro- 
digava a se medesimo, suscitò nel pubblico una gran- 
dissima ilarità. 

Né il popolo , anzi la plebe , stava al di sotto degli 
ecclesiastici , dei nobili , degli ambasciadori nelle mostre 
di superbia, specialmente, quando riunita in confrater- 
nita, sentiva lo spirito di corporazione, e sotto l' egida 
religiosa una specie di forza. A prova di ciò basti ri- 
cordare le vere battaglie, di cui facemmo cenno, com- 
battute nell'anno santo per le vie e nelle chiese dai 
pellegrini. 

Circa poi il vestire commune , alle altre notizie che 
si hanno si aggiunga il seguente arguto passo inedito 
di Giacinto Gigli: « .... Gli uomini si lasciano crescere 
i capelli et portano le zazzere come le donne, et al cap- 
pello nero, che portano in testa, hanno aggiunto un 



CAPITOLO .1. ZiSo 

fiocco di fettuccia di seta colorata di quel colore che 
più a ciascuno piace , legata al cordone del cappello. 
Le donne portano la zazzera simile agli uomini et i 
collari calati giù per le spalle , talché dalla testa di un 
uomo giovane et di una donna non vi è differenza. Por- 
tano di più le donne il guardinfante, che sono alcuni 
cerchi con fettuccie che si legano alla cintura et gli al- 
zano la veste intorno al corpo. Le vesti son tonde da 
piede e par che abbiano sotto un crino da pulcini , che 
per la sua larghezza le fa parer piccole: con tutto elio 
ad esse gli par d'essere più belle. ! » 

1 Diario, l(i-ll> 



-- <r ow -a — 



Ciampi. — Innocenzo X e la sua Corte. 15 






Capitolo IL 



biblioteca Vaticana. — Inquisizione sospettosa della scienza. 
— Scienze tìsiche e naturali. — Studi ed eloquenza sa- 
cra. — Filologia. — Mondo orientale. — Storia. 



Quasi pago dell' ultimo più grande accrescimento , 
che la biblioteca Vaticana avea avuto per le spoglio di 
quella di Santo Spirito d' Ileidelberga concesse da Mas- 
similiano I di Uaviera a Gregorio XV , l Innocenzo X 
non si curò di dar altro a queir immane deposito di 
tesori inesplorati ancora in gran parte. Del resto non 
sembra di' egli si occupasse molto di libri letterari e 
scientifici sebbene da cardinale possedesse in sua casa 
una copiosa biblioteca, ch'ebbe pur l'onore di essere 
ricordata dal Mabillon. 2 

Curò per altro che custodi della Vaticana fossero 



1 Le controversie su questa celebre donazione che si destarono 
in Germania dall' opuscolo del Theineb « Schenkung der Heidel- 
beger Bibliothek durch Maxirailian 1 Herzog und Churfursten von 
Bajern an Papst Gregor XV und ihre Versendung nach Rom. Mit 
Originalhandschriften. » (Donazione della biblioteca di Hei~ 
delberga fatta' da Massimiliano I duca ed elettore di Ba- 
viera a papa Gregorio XV e traslocazione della medesima 
a Roma: con documenti originali) (Monaco, 1841), sono rias- 
sunte dal Reumont, Notizie bibliografiche dei lavori pubbli- 
cati in Germania sulla Storia d' Italia. (Berlino, art.Theiner e 
Wilken). 

2 Iter italicum, L. C. p. 54. V. 



capitolo ir. -27 

uomini degni, non guardando se avessero sortito il na- 
tale in Italia o fuori , purché adatti all' uopo. Il titolo 
di Bibliotecario spettava ai cardinali; ma era cosa più 
onorifica che onerosa , mentre le cariche di Custode pri- 
mario e d' altri addetti che venivano appresso , aveano 
ed hanno il peso, la responsabilità , il merito dell' offi- 
cio. Dimorava da molto tempo in Roma il celebre Luca 
Olstenio d' Amburgo. Era passato dalla Francia a Roma 
per opera del cardinale Francesco Barberini e seguitava 
pacificamente i suoi studi sotto il manto di canonico di 
San Pietro. 

Fu fatto nel 1653 Custode primario della biblioteca 
Vaticana, ove sopravvisse a Innocenzo per dar luogo 
poi, morendo nel 1661, l al vecchio Leone Allacci,. al 
$rreco di Ohio, trasportato noverine nella Calabria, dive- 
nuto italiano. Egli fu che da Gregorio XV ebbe l'incarico 
di ricevere in consegna la detta biblioteca Palatina. * 
Si sa che egli fu scrittore fecondissimo di opere teolo- 
giche e liturgiche e di sacra erudizione indirizzate spe- 
cialmente a convertire i greci scismatici, di una crono- 
logia (De mensuru tetnporutn antìquorumj, della prima 
statistica drammatica che si abbia avuto (Dramma- 
tttryiaj, di poesie greche e latine dimenticate e dell' Api 
Urbane (Apes TJrbanae) in cui volle dar merito al pa- 
pa Urbano Vili degli uomini dotti che s'aggirarono in- 
torno al suo trono. 3 

1 L'iscrizione sul suo sepolcro a Santa Maria dell'Anima di- 
ce: obiit IV. non. febr. an. MDCLXI. 

2 F. Vilkek che scrisse la storia della biblioteca Palatina 
(Heidelberg» 1817) importantissima per le vicende delle lettere 
<; delle scienze della Germania meridionale, dette a luce anche una 
Memoria sull* istruzione data a Leone Allacci incaricato da 
papa Gregorio XV di ricevere la consegna della biblioteca 
Palatina. 

3 L'Olstenio era stato erotico. L' Allacci, successogli, ora gre- 



228 PARTE TCUKA. 

Fuori del merito d'aver dato TOlsteirio alla Vati- 
cana, non mi pare che il Pamtìli facesse altro a prò 
delle scienze e delle lettere per cui debba lodarsi gran 
fatto. Nemmeno si curò molto della medicina, poiché 
sappiamo che poco stimava i cultori di essa e non 
osservava i loro precetti. Nondimeno ebbe in sorte di 
aver qualche volta a fianco per medico il romano Pao- 
lo Zacchia, morto poi nel 1659, di settantacinque an- 
ni. Questi fu valentissimo nella sua professione oltre non 
essere stato ultimo fra i contemporanei nell'erudizione, 
nella pittura , nella musica , nell' eloquenza. Molte sono 
le sue opere e furono tutte lodatissime: tra le altre 
quelle sul Vitto quadragesimale e sui Mali ipocon- 
driaci. Ma famosissime sono ancora le Questioni me- 
dico-legali. l Per via di quest' opera solenne, il Zacchia , 
benché preceduto in qualche parte da Fortunato Fedeli 
siciliano, che avea pubblicato nel 1602 a Palermo il 
suo piccolo, ma di dottrina vastissimo, libro delle Re- 
lazioni; deve dirsi il fondatore della medicina legale, 
se fondatore di una scienza è quegli che raccoglie le 



co di Scio. 1/ Asscmaiuii successo all' Allacci ora del Monte Li- 
bano.* Onde un epigrammista, guardando più la loro nazionalità 
che la loro cattolica religione, scrisse: 

Praefuit Haereticus, post hunc Hchismaticns ; at nunc 
Turca praeest. Petri bibliotheca, vale! 

1 Mandosi, voi. I. p. 102 ec. Bibl. rom. e L" Allacci in Apìbus 
Urbanis fanno il catalogo dello sue opere. — Ebbero varie edi- 
zioni le Questioni ec. Più celebre è quella di Francfort 1688 in 
tre voi. in fol. — Il Portal ne fa un elogio sterminato I, e. 
p. 429. 

La mia edizione è : Pauli Zacchiae medici romani et to- 
tius Status ecclesiastici protomedici generali* quaestionum 
medico legalium. — In due tomi. Lugduni 1661. È dedicata ad 
Alessandro VII da Lanfranco Zacchia nipote di Paolo. 



capitolo il. 229 

sparse nozioni d' una data disciplina, le svolge, le ordina, 
le interpreta, ne vede le relazioni, ne mostra i fini, 
ne ricava dottrine, ne stabilisce canoni, spiana la via 
ai cultori avvenire. l II Zacchia però non fu encomiato 
da' suoi contemporanei per alcuna felice operazione onde 
il papa fosse guarito da pessime malattie. Ebbe lode 
bensì Giovan Giacomo Baldino, archiatro, per aver libe- 
rato Innocenzo da una ritenzione di orina, nel decem- 
bre del 1 647 , senza però conseguire una larga gratitu- 
dine dal suo illustre cliente. Anzi , quando , nel settembre 
del 1654, proibì al papa di recarsi a San Martino sotto 
pena di recrudescenza dei malori che V aggravavano , 
ebbe per premio di essere a dirittura scacciato per far 
luogo all'altro medico Matteo Parisio. Questi fermò, i* 
vero, un flusso a Innocenzo, diceano, mediante la pol- 
vere di coralli (uno dei rimedi ciarlataneschi allora in 
voga), ma non potò impedire che poco appresso il suo 
salvato morisse. 

E giacché si parla di medici, non vuoisi dimen- 
ticare il romano Pietro Castelli celebre in quella parte 
di medicina che riguarda i Semplici. Egli la insegnò 
nella romana Università insieme con la logica, e con 
questo insegnamento e con la pubblicazione di opere si 
acquistò tanta fama da esser chiamato a Messina ove 
con maggior soldo che a Roma non avea, insegnò in 

1 (t. Maggioiuni, Rettificazione d* un errore di storia in- 
torno i primordi della medicina legale. (Roma 1863. Tomo 
XIX. Nuova Serio Giornale Arcadico.) — Ristabilisco la veri- 
tà falsata sui fondatori della scienza medico-legale da Gr. Totjr- 
des, De V enseignement de la médecine legale d la facultè 
de médecine de Strasbourg (Strasbourg 1852.) — V. lo stes- 
so Maggiorasi, Prolegomeni allo studio della medicina po- 
litico-legale. (Roma 1854.) | De Renzt, Storia della medicina 
legale. 



2."W PAfiTR TKRZA. 

queir Ateneo chimica e anatomia o quivi fondò anche 
l'orto dei Semplici. E notevole che in tempo, in cui 
era oraria di flebotomi, scrivesse contro l'abuso della 
flebotomia e volgesse l' attenzione agi' insetti dandone le 
immagini in un suo libro, e che altresì, con pietoso 
zelo, studiasse le malattie dei fanciulli e pubblicasse le 
sue osservazioni su questa materia. T 

Del resto le altre scienze fìsiche e naturali , per 
quanto lo comportassero le condizioni d'uno Stato ec- 
clesiastico ombroso di troppi progressi, andarono innanzi 
con una certa vita lor propria : cW* , dopo lo smisurato 
impulso dato ad esse da Galileo , nessuna forza umana 
potea più del tutto arrestarle. A Roma quando il Pana- 
tili era cardinale, avea insegnato matematica nella Sa- 
pienza Benedetto Castelli che applicò la geometria al 
moto delle acque, e annoverò fra i suoi discepoli Evangeli- 
sta Torricelli e Gianfrancesco Borelli in appresso celebrati 
non meno del loro maestro. Sin dal 1630 era morto Fe- 
derigo Cesi il fondatore dell'accademia de' Lincei. * L'o- 
pera dell'illustre uomo già preparata, cioè la storia na- 
turale del Messico di cui curarono e illustrarono l'edizione 
il Terrenzio (Schreck) prima, poi Fabio Colonna, Gio- 
vanni Fabri, lo Stellioni, il Rvcquio, uscì, regnando 
Innocenzo, nel 1(551. 3 



1 Carlo Cartari nelT Ateneo romano dà V indice delle sne 
opere. Stava a Messina anche nel 1637 come si vede da una sua 
opera « Relatio de qualitatibus frumenti cujusdam Messa- 
zi am delati, anno 1637 . » 

2 Alla stampa del Fitobasanos di Fabio Colonna fu premessa 
una Storia dell' Accademia de' Lincei da Giovanni Bianchi noto 
sotto il nome di Giano Planco. « Jani Planci Lynceorum no- 
tìtia: Firenze, Viviani. 1744, in 4. V. Francesco Cancellieri, Me- 
morie dei Lincei. 

3 TI vasto concetto doli' Accademia do' Lincei era stato de- 



CAPITOLO II. 231 

E naturale però ohe ih un paese, dove era viva la 
ricordanza del processo fatto al gran filosofo di Pisa e 
vigilava con mille occhi de' suoi frati e delle sue spie 
il Satìtf Uffizio, le menti, quantunque lucidissime, fossero 
impacciate, paurose di cadere nell'eresia o di esserne 
accusate che tornava il medesimo, e quindi mettessero 
freno a qualunque investigazione che paresse o fosse 
nuova e<J ardita. Ogni sorta di scienze e di lettere vuole , 
per fiorire, una ragionevole libertà o almeno un tempo di 
passioni e di movimenti politici , che qualche volta ne fa 
le veci; Quando non si avverano siffatte condizioni, £ 
probabile che , in un paese specialmente ove gì' ingegni 
sienó per natura feraci, uomini singolari si levino ad 
alte cose e, manifestandole, si espongano coraggiosamen- 
te ai pericoli ed anche alla morte ; ma non si avrà mai 
quel concorso di anime e di menti di sommi, di me- 
diocri , d' infimi , che , attori insieme e spettatori attenti 
e commossi , danno il loro tributo di pensieri , di osser- 
vazioni , d' incitamenti , di biasimi , di plausi a una data 
scienza, e l'aiutano, come spinta da mille mani, al suo 
trionfale cammino! Dirò anche un' altra cosa che pu<\ 
sembrar paradosso e nondimeno è verissima. Talvolta 
fc più feconda di buoni effetti una persecuzione accanita 
che un sistema di vigilanza minuta , di gelosia masche- 
rata d' indifferenza e di spregio, di fastidiosi sospetti. 
La natura umana, contro l'ingiusta aggressione, par 
che senta maggiormente la sua grandezza , e si rileva , 
e reagisce ; è , come un guerriero che combatte alla luce 
del sole in campo aperto. Sembra al contrario che s'in- 
scritto dal Cesi in un libro intitolato il Linceografò. Fatto nel 
1605, riveduto da' suoi colleghi, non fu pnbblicatoT II Linceo- 
grafo si conserva in un volume ms. dall' Accademia de' Lincei 
(fogrli 242). 



t 
2X2 PARTE TRRZA. 

vilisca o si senta da meno di se stessa, quasi soldato 
assalito neir ombre della notte, quando sappia d'esser 
-vegliata continuamente, riceva ogni ora, ogni minato 
un colpo di sbieco, sia minacciata sempre da oscuri 
pericoli. 

L' Inquisizione di Roma ebbe le sue carceri , le sue 
torture, i suoi roghi; ma incontro a quella di Spagna 
fu un giuoco da nulla. Eppure, come fluido invisibile, 
entrava in ogni più riposto angolo della città e dello 
Stato , e con minore barbarie riusciva al medesimo ef- 
fetto di mortificare gì' ingegni. Essa era giunta al punto 
che non avrebbe più tollerato l'operosità scientifica del 
Cesalpino (1519-1603), né l' insegnamento alla Sapienza 
di Francesco Patrizi (1529-1597). L'egida di Cle- 
mente Vili, di cui il Cesalpino era medico, non lo 
avrebbe salvato dal dover render ragione del suo ari- 
stotelismo che tanto si discosta da quello di San Tom- 
maso, né proteste ambigue ed alti patrocini sarebbero 
bastati al Patrizi, avversario d'Aristotile, ardente ri- 
stauratore del neoplatonismo, per vivere in pace. x E 
. così non era valso all' accademia de' Lincei l'essersi messa 
sotto la protezione d' un santo qual fu Giovanni , F a- 
postolo delle arcane visioni , nò consacrare quasi con la 
religione ogni sua tornata recitando in principio di esse 
un salmo davidico. L' avere i Lincei escluso dalla lor 
società i Regolari , il corrispondere fra loro di cose in- 
nocentissime in cifra, il chiamarsi fratelli giurati y la 
famigliarità del Cesi barone romano giovanissimo con 
r Eckio olandese benché cattolico , avevano svegliato i 
sospetti e le ire della stessa famiglia del duca , la quale 

1 Si vegga F. Ferri, Sulle vicende della filosofia in Ro- 
ma. (Annuario della R. Università degli studi di Roma per l' an- 
no scolastico 1876-77. Roma: Civelli, 1877.) 



CAPITOLO II. 2.YA 

.non si vergognò di fare accuse e denunzie contro Y ac- 

i 

cademia nascente al governatore di Roma , al Sant' Uf- 
fìzio , al cardinal Vicario, Che se dopo le prime persecu- 
zioni V accademia potè costituirsi con una certa saldezza 
nel 1609 e annoverare fra i suoi, due anni dopo , an- 
che il divino Galileo; l non è men vero che la condanna 
di questo e la morte del Cesi la recarono quasi ago- 
nizzante ai tempi di cui facciamo parola, e se mostri) 
qualche filo eli vita, ciò fu per opera specialmente di 
Cassiano Dal Pozzo che ne conservò con pietoso amore 
le memorie e gli scritti. 2 



1 Chi voglia aver peregrine notizie su quest' accademia, oltre 
il Cancellieri vegga lo scritto del Carutti: Di Giovanni Echio 
e della instituzione dell' accademia de 1 Lincei con alcune 
note intorno a Galileo — comunicazione di Domenico Carutti. 
B. Accademia dei Lincei, anno CCLXXIV. (1876-77) Serie 3. Me- 
morie della Classe di Scienze morali, storiche e filologiche. VoL I. 
Seduta del 21 Gennaio 1877. 

2 Carutti. Di un nostro maggiore, ossia Cassiano Dal Poz- 
zo il Giovane. Atti della R. Accademiadei Lincei, anno CCLXXIII 
1875 — Serie seconda, voi. Ili, parte terza pag. 17 e seg. 

Dai tempi d'Innocenzo X e d' Urbano Vili risalendo col pen- 
siero più indietro, troviamo che il sistema del Copernico, onde Ga- 
lileo fu perseguitato, avea trovato favore nello stesso palazzo pon- 
tificio. Clemente VII udiva volentieri dai dotti la spiegazione del 
nuovo sistema. Ce ne fa testimonianza una preziosa nota del Ma- 
rini al suo libro Degli archiatri pontifici (Roma 1784). Ag- 
giunte e correzioni, tomo II, pag. 351. In una operetta (egli di- 
ce) del canonico Steingeberg stampata a Monaco, la quale s' inti- 
tola Saggio istorico e letterario della origine e progresso della 
t Elettoral Biblioteca di Monaco, a pag. 19, si narrano varie 
cose del celebratissimo Alberto Vidmanstadio, e fra le altre que- 
sta, che nel 1533 diedesi a spiegare il sistema di Copernico al 
papa, da cui n' ebbe in regalo V opera De sensu et sensibili di 
Alessandro Afrodiseo, il che ha notato egli stesso al principio 
del Codice: « Clemens VII P. M. hunc Codicem mini dono dedit 
A. 1583 Romae postquam ei, praesentibus Fr. Ursino, Jo. Sal- 
via to Cardinalibus, Jo. Potrò Episcopo Viterbese et Matthaeo 



234 PARTR TERZA. 

Ogni più piccolo fenomeno intellettuale, ogni appa- 
renza che si discostasse Hai comune andamento ' delle 
cose umane , svegliava un febbrile sospetto , si riteneva 
per cenno d'un fuoco diabolico che bisognasse soffocare 
con tutto lo sforzo. Basti un esempio solo. Oi racconta 
con molta candidezza il Deone l che un frate servita, 
scorgendo in un fanciullo molto lume d' ingegno , prese 
à insegnargli filosofia, teologia, legge, medicina sino 
al punto di fargli sostenere su tali discipline delle pub- 
bliche conclusioni henohJ* lo scolaretto non oltrepassasse 
otto anni della sua età. Lo stupore che nacque nel pub- 
blico dalla prodigiosa memoria del fanciullo, mosse il 
San t' Uffizio a voler vedere addentro in questa cosa se 
mai non fosse effetto dell' arti del demonio e delle stre- 
gherie. E che favola non sia ciò eh* fc raccontato dal 
Deone , ci vien dimostrato da altre memorie del tem- 
po. Non dubito infatti che il portentoso fanciullo non 
fosse quello Iacopo Martino Modenesi , figlio d' un facchi- 
no, che capitato in Racano nella diocesi d'Adria innanzi a 
Giambattista Meietti servita (1639), fu da questo, a 
dispetto del padre, istruito in modo da sostenere a 
Roma discussioni su quasi tutte le scienze, con folla 
di cardinali e prelati che andavano a udirlo. Tornato 

Cnrtio, Medico Physico, in Hortis Vaticanis Cape micia nani de 
motu Terrae sententiam explicavi. .Toh. Albertus Widmanstadius, 
cognomento Lncretins . 55. D. N. S^cretarins domesticus et fa- 
rniliaris. » 

1 4 in aggio 1647 « .... Un tal frate servita vedendo un putto 
di tre anni e mezzo, figlio de] suo vignarolo, di molto spirito, lo 
prese appresso di sA, e gli ha insegnato filosofia, tipologia, leggo 
e medicina, et al presente non gionge anche a otto anni e tie- 
ne publiche conclusioni in tutte queste facoltà. Parendo questa 
cosa soprannaturale è stato esaminato dalli Ministri del 8. Uffizio, 
e finalmente non si A trovato se non riabilita naturale. Ho vo- 
luto provarlo, e trovo che il tutto procede da forza di memoria.» 



CAPITOLO li. 235 

a Budrio suo paese natale e mancatogli il maestro elio 
morì nel 1648, non dette più scintille d'ingegno, e 
-nel collegio di Cardarola nella Marca , ov' era stato 
messo dal cardinal Palotta, dopo altri due anni (1650), 
se ne morì. Quanto al Meietti, la poca vita che gli ri- 
mase dopo la sua venuta a Roma, fu tormentata da 
accuse di stregherie , per isventare le quali fu bisogno 
che animi pietosi dessero mano a lunghe apologie. l 

Non so se per questa o per altra ragione avvenne 
che gli studi sacri , i quali pareano ragionevolmente do- 
ver crescere con rigoglio in un paese ove tutto dovea 
parer santo , non dessero frutti corrispondenti air univer- 
sale aspettazione. Innumerevoli senza dubbio furono in 
Roma e in Italia gli scrittori di teologia morale , gì' in- 
terpetri e i commentatori del Maestro delle sentenze, 
di San Tommaso, dello Scoto e di altri teologi scola- 
stici. Ma nessuno si levò con opere classiche al di so- 
pra della mediocrità. Si ripeteva in generale noiosamente 
ciò eh' era stato detto dagli altri , e se vi si aggiungea 
qualche cosa, egli era in certe sottigliezze che davano 
nel falso o per lo meno erano affatto inutili. Qualche 
cosa di più sodo vi era stato nelle dispute con Vene- 
zia , le quali , versando molto sulla politica , toccavano più 
da vicino e pungevano l'animo della Curia. Il Baronio e 
il Bellarmino vennero a cozzo col Sarpi e l'uno e gli altri 
colsero alcune palme sebbene tutti e tre, secondo il mio 
parere, sieno inferiori ai polemisti stranieri e special- 
mente ai francesi. Qualche minore avean fatto, ma vano 

1 Jani Nicii, Erythrei Pinacotheca, P. III. LXXV. — Ti- 
uaboschi, Storia della letteratura ecc. dall' anno 1600 al 
1700. Lib. Ili, e. IH, § XVIII. — Il Padre Maria Cardi reg- 
giano difese il povero Mentii con una apologia che si legge nella 
Miscellanea di varie operette. Tom. VII.p. I, ediz. Venezia 1743. 



236 PARTE TERZA. 

nimore , coloro (lolla Curia che a Marcantonio De Do- 
minis, già arcivescovo di Spalatro, editore in Inghil- 
terra della storia del concilio di Trento del Sarpi, ri- 
sposero al suo libro De repnblica ecclesiastica, in cui 
negava il primato del romano pontefice. La controver- 
sia (sia detto di passaggio) finì anziché per ragioni, per 
vie di fatto ; poiché , venuto a Roma lo sventurato De 
Dominis a scusarsi, purgò il suo fallo dentro il ca9tel 
Sant'Angelo, dove morì di naturale malattia, dicono, 
ma nondimeno ebbe il corpo bruciato come conveniva 
ad eretico (1625). Al lempo d'Innocenzo però la Curia 
romana non si cinse (V altri allori benché dubbi ; e so- 
lamente fra i suoi più famosi ora dimenticati polemisti 
annoverò il romano gesuita Silvestro Pietrasanta che 
nel 1644 pubblicò un libro contro la perfidia delle sètte , 
le quali sembra che lo lasciassero vociare al deserto. l 
Nella stessa guisa T eloquenza del pulpito, di cui le 
vie di Roma poteano essere allagate, non assumeva 
T aspetto di dignità , di unzione , di devozione che le 
dovea convenire. Più che predicatori quei sacerdoti e 
quei frati erano istrioni, contenti se alle loro goffe di- 
sposizioni di discorso, alle loro metafore gonfie e tri- 
viali, alle loro grida, alle loro sbracciate il popolo o 
piuttosto la plebe s'affollasse nelle chiese e nelle piazze, 
e mostrasse anche coi battimani d' essersi più che com- 
mossa, divertita di quei gridori. 2 E che le prediche 

1 Thaumatia vera Religionis contra perfidiam sectarum — 
L'Eritreo dice meraviglie dell'ingegno del Pietrasanta (Pina- 
coth. P. Ili, n. LXXIII.) 

2 Una vera d33criziom dei modo go ffo di predicare a Roma 
nn poco più verso la fine del secento ci è data nel viaggio del 
Misson. Voyage <T Italie de Monsieur Misson avec un Me- 
mo ire contenant des avis utiles à ceux qui voudront fair e 
le mOme voyage. Cinqui ème e'ditioa ecc. augmentée d'un qua- 



CAPITOLO II. £ài 

l'ossero più ima specie di sollazzo che una vera ascol- 
1 azione della parola di Dio, 6 dimostrato dalle Memo- 
rie del tempo , in cui son nominato fra gli spassi o come 
proprio e vero divertimento , anche nelle sale dei grandi 
I»alazzi , tra lo sfoggio di ricchezze , di bellezze , di pet- 
tegolezzi, d'intrighi. 11 Deone si bea d'avere nella chiesa 
di S. Maria dell' Anima un predicatore il quale avrà il 
vanto medesimo eh' ebbe nel carnevale una propria com- 
media. Donna Olimpia, per averla propizia , era invitata 
a una predica come a un convito: essa stessa in sua 
casa Iacea sermoneggiare il gesuita Oliva (poi Generale 
del suo Ordine) e chiamava a udirlo cavalieri e dame 
in gran numero. Il concorso era grande, non già pel 
predicatore, ma pel luogo in cui predicava. l Ma forse 
sin da quel tempo pensava all' emendamento , alla ri- 
forma della sacra predicazione, un giovane, che si può 
dir romano perchè nato nel Lazio, vicino al mare, nella 
selvaggia Nettuno. Attirato, com'era sorte degl'inge- 
gni che prometteano maggior frutto, dai gesuiti, egli, 

trième volume t raduti de VAnglois et conte nant leu Remar- 
ques que Monsieur àudisson a faites dans son ooyage d'I- 
talie. A Utrecht, 1722, tomo IT, pag. 250. (Lettera, marzo 1688.) 

1 « .... 1646 .... Di carnevale diodi commedia elio portò il van- 
to: di quaresima nella nostra chiesa nazionale di S. Maria del- 
l' Anima, stimo parimenti d* aver deputato predicatore che porterà 
il vanto sopra gli altri.... » (Deone). 

Invitò il Deone una volta donna Olimpia nel 1645 alla pre- 
dica all' Anima e aggiunge « .... del che (cioè dell'invito) non 
mi ritrovo malcontento staute eh' ella al dì d' oggi può il tutto 
come che sia mezzo efficacissimo per tutte le disgratie. Vero è 
che non s'impaccia nel governamento nò punto *nò poco , o come 
dama di molto giuditio, non abusa della sua autorità. (!) » 

« 13 aprile 1647.... Sta sera la Signora D. Olimpia tiene ser 
mono a casa sua. Il sermoneggi ante è il P. Oliva della compa- 
gnia di (lesù. 11 concorso » grande conforme al favore del luo- 
ir,o. » (Deunb). 



^38 PARTE TERZA. 

nato noi 1(124, sul finire del regno d' Innocenzo già ne 
vestìa l'abito. Nella compagnia del Battoli e del Palla- 
vicino imparava l'orse a inorridire della goffa tempesta 
del maggior numero dei sermonanti, e quando poi fu 
chiamato a predicare , ne schivò il ridicolo metodo e i 
più brutti difetti. Non si potò però spogliare del tutto 
dal secentismo neir artificio delle figure rettoriche e nel- 
T atteggiamento pretenzioso di certe sue argomentazioni. 
Ma sebbene non attingesse la vera eloquenza, egli ri- 
marrà sempre stupendo per lo stile, che, secondo il 
Leopardi, il quale se ne iutendea, arieggia del greco. 
Del rimanente se quando predicò non potè mai supe- 
rare nel pubblico favore i Tornielli , i Fornara , i Pie- 
trasanta; ora, nel tempo di che parliamo, entro la ru- 
morosa Roma viveva a dirittura ignorato. ! 

Quantunque però in Roma e in Italia gli studi sacri 
eia sacra eloquenza non dovessero rallegrarsi della propria 
vita; non si può dire che il grande movimento catto- 
lico non riuscisse ad utilità di altri studi. L' idea di 
spargere per tutto il mondo la religione cattolica sotto 
la supremazia di Roma, sebbene in fatto rimanesse a 
mezzo, ebbe però in qualche parte il premio della sua 
arditezza. Fu per essa e per Propaganda Fide che si 
promossero gli studi delle lingue orientali a detrimento 
anche delle lingue classiche e specialmente della greca 
non coltivata più, come nel secolo precedente, con gran- 
dissimo ardore. Quasi tutti i cultori delle lingue asiati- 
che faceano capo a Roma. 2 Nel periodo però di cui ci 

1 La prima edizione del Quaresimale, dedicata a Cosimo II, 
porta la data di Firenze, 1679. 

2 Non voglio lasciare di far memoria, fra gli altri, di Paolo 
Pieromalli domenicano che nel 1639 presentò a Urbano Vili il 

suo gran Lessico armeno-latino di 35,000 voci, miseramente per- 
duto. V. Mauri Michelanuiolo, Memorie (storico-critiche in 



CAPITOLO II. 239 

occupiamo , nqii vi furono molte pubblicazioni. Per quel 
chMp :iie sappia, ira le più importanti furono la gram- 
matica della lingua arabica di Filippo Guadagnoli uscita 
aHa luce nel 1642 e la Conciliazione della chiesa 
d' Armenia colla latina sidle testimonianze de } Padri 
e dei Dottori Armeni divulgata per. le stampe in due 
tomi nel 1 650 da Clemente Galani teatino. Questi , dopo 
soggiornato più anni iti Armenia, reduce a Roma, com- 
prese con questo titolo una pregevole raccolta di atti scritti 
appunto in lingua armena, tradotti in latino e accom- 
pagnati da teologiche e storiche osservazioni. 

Lo spirito però assolutamente pratico della chiesa 
romana non riguardava gli studi delle lingue orientali 
se. non come mezzo utile per rendere agevoli le com- 
municazioni dei missionari coi natii di quelle regioni, 
far più numerose e sicure le conversioni, diffondere il 
nome e confermare la potenza di Roma. 

Non deve far dunque meraviglia che le relazioni d'un 
atleta fra i missionari quale fu il gesuita Roberto dei 
Nobili l che in questo tempo vivea e faticava nel Ma- 
labar, rimanessero inosservate e infeconde dal lato della 
scienza. 

Egli era andato nell'India sin dal 1606. Quivi tro- 
vò community cristiane già fondate a Madura e in 
altri luoghi , composte però la maggior parte di uo- 
mini di basso stato e non forbiti da buona educazio- 

• 

tonto alla vita e alle opere di Monsig. frate Paolo Piero- 
malli Domenicano arcivescovo di Naxivan aggiuntavi la 
Szdernografia. (Napoli 1824). 

1 II Cantù dice il Nobili romano (Storia degli Italiani, 
voi.. II, e. 125. pag. 1113 (Torino 1858.) K detto però da altri di 
Montepulciano di nobile ma povera famiglia: Mobehi, Hacker ecc. 
Il Caferki io dice Robertus de Nobilibus romanus (Syntherna 
vetmtalis, sioe flores kistoriarum otc. Roinae '16700 



2i0 t'AKTK TKKZA. 

ne. Tra questi non era alcuno della casta privilegiata 
dei Bracmani. Per guadagnarseli era necessario en- 
trar nella cognizione e nello spirito della lor sacra let- 
teratura, in somma del sanscrito: cosa che per quanto 
si sappia , non si era ancora tentato da alcuno effica- 
cemente. i E se b fama che cii*ca il 1559 certi missio- 
nari disputassero appunto pubblicamente con dei Brac- 
mani sulla letteratura teologica e filosofica del paese, 
non sembra che il Bracmano convertito, da cui si dice 
che avessero imparato, l'osse della pura casta dell' alta 
classe, ma bensì di altra classe inferiore non iniziata 
nei misteri della letteratura religiosa. Il Nobili vide la 
necessità di insinuarsi dentro quella misteriosa società: 
concepì uno strano, ma ardito disegno, e lo mise ad 
effetto con incredibile costanza. Per anni ed anni si ten- 
ne nascosto agli occhi del mondo. Imparò il tamiligo, il 
telugo e il sanscrito : con paziente, indefesso studio s'im- 
padronì della lingua e della letteratura dei Bracmani. 
Giunse ai punto di conoscere a menadito non solamente 
i libri più ovvi, ma pur quelli che anche adesso sono 
noti soltanto ai più dotti in questa disciplina. * Poi ar- 
mato di scienza e vestito alla guisa dei Bracmani , con 
la loro corda e il lor segno frontale, uscì in pubblico, 
parato a combattere. S'accostò alla superbia di quei 
.grandi elevandosi tino a loro: fece più umile l'orgo- 
gliosa loro sapienza mostrandosene anch' esso pienamente 
fornito. Si sottopose al regime dei Bracmani e alle re- 
gole complicate della lor casta. Ben addentro nei punti 
forti e deboli del sistema che si accingeva ad atterrare, 

1 È noto che Filippo bassetti nella lettera a Pier Vettori da 
S. Croce di Cocchio. 17 gennaio 1583, parlò del sanscrito. 

2 Max-Mullkk, Letture sopra la scienza del linguaggio (Mi- 
lano 1864) pag. 154. 



CAPITOLO 11. 211 

egli per render care le verità del cristianesimo , dicea di 
voler predicare un nuovo, un quarto Veda, con che volea 
preparar gli animi alla cognizione della scienza cristiana. l 

Checché fosse dell'efficacia dei mezzi adoperati dal 
Nobili , egli è certo che i suoi compagni si spaventarono 
della sua audacia. Ordini religiosi rivali accusarono la 
rilassatezza dei gesuiti: rumori di biasimo se ne spar- 
sero pel mondo: fu viva a Roma la controversia che 
fu chiamata della conciliazione, cioè se fosse lecito ve- 
lare il cristianesimo, anche per buon fine, con rito ma- 
labarico, con barbariche superstizioni. Il Nobili fu co- 
stretto a giustificarsi, e i suoi scritti mandati a Roma 
per questo scopo , se furono creduti degni d' esame per 
ciò che riguardava la difesa dell' idolatria appostagli , 
non parvero tali da dover richiamare 1' attenzione dei 
dotti nella parte men personale ma più importante, in 
cui, trattando della religione e dei costumi dei Bracmani, 
rivelava al mondo un' intiera letteratura. 11 giorno del 
sanscrito (dice il Max Miìlìer) non era venuto ancora. 
11 Nobili, assai vecchio, e cieco, morì nel 16 gennarò 
1656 in Mailapore. 

Roberto de' Nobili ebbe la colpa di avere otfeso gli 
scrupoli religiosi , di non aver trovato il terreno dispo- 
sto a' suoi scientifici trovati , e soprattutto di star lon- 



1 Un Commentario dei Vudàs intitolato V Ezur-Veda, in ver.si 
sanscriti, sullo stile dei Purani, con mescolanza di dottrine in- 
diane e cristiane, fu prima creduto antichissimo. (V. Prefazione 
del Voltaire all' Ezour Vedam traduit du Samaritani par 
un Brame. Yverdun, 1778 , 2 voi, in 12.) Poi fu attribuito a Ro- 
berto de' Nobili (V. Trota, Storia d' Italia nel medio evo. 
voi. I, parte 3. (Napoli 1839) pag. 1328 e voi. I, parte 4, pag. 586 
e seg.) — Max Muller lo crede non del Nobili, ma di qualcuno 
de' suoi èonvertiti, tanto più che non è posto nel catalogo dello 
sue opere. (Letture cit. pag. 154 nota 1.) V. Backer. 
Ciampi. — Innocenzo X a la sua Corte. 16 



242 PMITK TtiKZA. 

tano. Intanto avea lodi per la sua relazione, che fra 
i primi dette del Congo, il capuccino Francesco Roma- 
no o Giovanni Francesco da Roma, l e un altro nobile 
viaggiatore romano ritornato in patria, riscuoteva allora 
T ammirazione universale non tanto per le osservazioni 
scientifiche fatte lungo le sue peregrinazioni , quanto per 
il carattere ardito, le impetuose e generose passioni e 
le singolari avventure. 

Sin dal 28 marzo del 102(5 Pietro della Valle il 
Pellegrino era tornato da' suoi lunghi viaggi in Oriente, - 
L'epopea meravigliosa della sua vita col suo rimpatriare 
non s'era chiusa. Fatte le solenni esequie al corpo della sua 
bella moglie Sitti Maani giorgiana, condotto seco da 
tanta distanza , avea sposato una donna amata dalla de- 
funta, una tenera fanciulla Maria Tinatin di Ziba, giorgiana 
anch' essa, chiamata vezzosamente Mariuccia, da cui ebbe 
numerosa figliolanza. Avea tentato intanto di tornare 
a vita il genere enermonico e cromatico dell' antica mu- 
sica, toccato la cetra nell'accademia degli Umoristi, ac- 
colto nel suo palazzo il fuggitivo Campanella. Regnando 
ancora Urbano, mentre sulla piazza del Quirinale, nella 
sua carrozza fermata, guardava una processione di pel- 
legrini, tratto da impetuosa ira, ne scese e passò con 
la spada da pai-te a parte un domestico di Palazzo che 

1 Relatione del successo della missione dei frati cappuc- 
cini del Serafico P. S. Francesco al Congo 1849 in 4. — Tor- 
nò il coraggioso cappuccino a Roma nel 1655, e, assistendo gli ap- 
pestati, morì anch' egli del contagio neir anno seguente. 

2 Vita di Pietro della Valle il Pellegrino airill.ino Sig. 
mio Signor Padron Colmo il signor Parisot Signore di San Lo- 
renzo consigliere del Se Cristianesimo ne' suoi cousigli, introdut- 
tore de' Principi stranieri e Ambasciadori appresso il Sig. Duca 
d' Angiò fratello unico di Sua Maestà ecc. di (rio. Pibtbo Bell obi 
(di Roma il 15 ottobre 1662) ristampata noli' ediziono <*. Gancia, 
1843, (Brichton). 



CAPITOLO II. 243 

insieme con altri compagni avea fatto insulto ai suoi 
servi indiani strappando loro di mano le armi. Il luogo 
e il tempo davano colore più fosco al delitto. Pietro trovò 
rifugio nel castello di Paliano dei Colonnesi e poi a Na- 
poli: d'onde per intercessione del cardinal Francesco 
Barberini era tornato a Roma. Ora , l' età più avanzata 
e riflessiva, che affiacchisce per solito le nature men 
ricche, risecando, per così dire, il rigoglioso del suo ca- 
rattere, T avea ridotto per ogni maniera di virtù quasi 
perfetto. Avea esteso la narrazione de' suoi viaggi in tre 
parti, ! cioè la Turchia, la Persia e l' India. Non potè 
però, vivendo, pubblicare che la prima parte, a Roma, 
nel 1650. Morì di settantasei anni nel 21 aprile 1652 
e volle esser sepolto nella chiesa d' Aracoeli nella cap- 
pella familiare, accanto alla sua Sitti Maani. 2 

I figliuoli ereditarono la parte men nobile del ca- 
rattere paterno, cioè l'impeto e l'alterigia, ma non le 
sue virtù. Pei loro disordini, anzi pei loro vizi furono 
cacciati da Roma. Né qui anche chiuse gli occhi la lor 
buona madre. Morì a Urbino , dove s' era ritirata quasi 
a cercare un porto tranquillo di vita. Eppure in qual- 

1 Via&ffi di Pietro della Valle il Pellegrino — con minu- 
to ragguaglio di tutte le cose notabili osservate in essi — de- 
scritti da lui medesimo in 54 lettere familiari — da diversi luo- 
ghi della intrapresa peregrinatione — mandato in Napoli all'e- 
rudito e fra' più cari di molti anni suo amico — Mario Sciupa- 
no — divisi in tre parti, cioè: — la Turchia, la Persia e l'India, 
le quali havran per aggiunta — se Dio gli darà vita la quarta 
parte — che conterrà le figure di molte cose memorabili sparse 

— per tutta l'opera e la loro esplicatone — (segue stemma) 

— In Stima, appresso Vitale Mascardi MDOL. ecc. 

* fio in altro luogo espresso il sospetto che la tomba addita- 
ta in Aracoeli come quella di Pietro, non sia veramente la sua. 
(Viaggiatori Romani [men noti.) Ma su Pietro Della Valto 
tornerò in altro scritto. 



244 l'AKTti TERZA. 

che parto Valerio, Erasmo, Francesco e Paolo (cosi si 
chiamavano i figli di Pietro) son degni di lode: chb 
non lasciarono nell'oblio gli scritti del padre, e nel 1659 
fecero pubblicare da Biagio Diversino libraio francese 
la Persia già cominciata a stampare vivente il padre, 
dedicandola ad Alessandro VII, e nello stesso anno V In- 
dia offerta con gonfia lettera a monsignor Fabio Chigi 
nipote e omonimo del papa stesso. 

I viaggi di Pietro della Valle, benché non iscevri 
di fanatismo religioso, rivelano ai curiosi e ai dotti il 
inondo orientale. In quel mondo però s'eran gittati 
altri uomini cruna operosità instancabile, d'un inten- 
so volere d' impadronirsi d' ogni arte e d' ogni scien- 
za per farne istrumento d' una religione che d'ora in- 
nanzi dovea prender cenno e colore da essi. Le ge- 
sta dei missionari gesuiti raccolte nelle loro Relazioni 
aspettavano negli archivi della Compagnia, chi desse 
loro la vita della storia. A questo assunto fu chiamato 
nel 1050 Daniele Bartoli. Egli venne in quell'anno a 
Roma e si mise volenteroso all' opera, la quale in gran 
parte venne a luce dopo la morte d'Innocenzo: ma è 
vero che i primi libri dell' Asia, che più procacciarono 
lode all' autore, furono cominciati a pubblicare in Roma 
nei 1650 e 1653, e proseguiti in appresso. 

E parimente, mentre il Bartoli preparava i suoi vo- 
lumi, un altro gesuita romano destinato a eccelsi gradi 
e a gran celebrità, Sforza Pallavicino, era intento alla 
storia del Concilio di Trento. I materiali della detta 
storia erano stati raccolti da Terenzio Alciati per con- 
futare il Sarpi, col titolo: Historiae Concila Triden- 
tini a veritatis hostibus evalgatae: elenehus. Morì nel 
1651 mentre, quasi sopraffatto dall'immensa materia, 
non avea ne elaborato, nò coordinato i suoi documenti. 



CAPITOLO II. 245 

11 Generale de' gesuiti Goswin Nickel scelse il Pallavi- 
cino, già notato dal pubblico per alcune sue produzioni 
letterarie, a metter mano in tanta mole. Come questi 
pubblicando la storia nel 165G ne uscisse con lode quasi 
universale tra i cattolici, e con biasijno dei dissidenti, 
è troppo noto. Voglio solamente osservare che accurati 
studi e "confronti delle due opere del Sarpi e del Pal- 
lavicini, mostrano che, fornite ambedue di pregi diversi 
e di contrari difetti, non hanno escluso la necessità di 
tentare un'altra volta quell' ardua storia con più estesi, 
sicuri, imparziali criteri se il mondo odierno fosse meno 
avverso a questioni teologiche. 

Il Pallavicini e il Bartoli lavoravano per la luce e 
la fama futura. Uscivano intanto al pubblico altre opere 
storiche approvate allora e non dimenticate, in mezzo 
a tanto lavorìo, anche oggidì. Odorico Rinaldi trivigiano 
della congregazione dell' Oratorio seguitò la grande ope- 
ra degli Annali del Baronio con testo men pregiato, 
ma con non meno importanti documenti, portandola dal 
1198 sino al 1564. La pubblicazione incominciata sotto 
il pontificato d'Innocenzo nel 1046, si estese a dieci 
volumi venuti a luce a mano a mano sino al 1677. Il 
fiorentino Ferdinando Ughelli abbate cisterciense dal 1642 
al 1648 in nove tomi in folio, dette non solamente la 
serie dei vescovi d' Italia, ma anche la storia di ciascu- 
na chiesa ov'essi sedettero coi monumenti già serbati 
nei loro archivi. i 

Fu tra gli antesignani del Muratori Camillo Pel- 
legrini, che in questo tempo, visitando a Roma gli ar- 

1 11 Tiraboschi osserva contro le protensioni francesi di prio- 
riotà che la Gallio, Christiana dei Sammabtani venne la prima 
volta in luce nel 1656 (Stor. letter. dal 1600 al 1700. L. I, ci, 
8 -12.) 



240 PARTE TERZA. 

fhivi e le biblioteche, ebbe la felice idea eli raccoglier 
cronache e monumenti dei bassi tempi specialmente del- 
la sua patria Oapua e del regno di Napoli. Pubblicò 
infatti nel suo paese l' Apparato dell' antichità di Ca- 
pita e V Hi stori a principum longobardorum con molti 
materiali e poca critica. 1 Si racconta che, assalito da 
pericolosa malattia, ordinasse a una sua domestica che 
ove non vi fosse più speranza di vita, desse pur fuoco 
al cumulo immenso delle carte in tanti anni da lui rac- 
colte. Parea dovesse morire di certo, e la domestica 
credè suo dovere di obbedire al cenno del padrone. Il 
quale, riavutosi, pensate se fu dolente di aver riscosso 
troppo pronta obbedienza ! Morì a Napoli nel 6 novem- 
bre 1663. s Appena poi « N degno di menzione il romano 
Giacomo Monti, che nel 1653 pubblicò una storia lo- 
datissima allora ed oggi dimenticata, nella quale volle 
narrare la vita di Ludovico Sforza dando al suo libro 
il titolo teatrale: U Ambizioso politico infelice, cioè 
la vita di Lodovico Sforza settimo duca di Milano. 3 
Uno storico veramente ragguardevole fiorì e pubblicò 
nel periodo presente V ultima parte d'un' opera che sarà 
sempre consultata con profitto, lo dico di Famiano Strada 
il quale era nato a Roma nel 1572. Entrato giovanis- 
simo nei gesuiti, fu professore d'eloquenza e riputato 
oratore. Avrebbe potuto da Urbano Vili conseguire splen- 
didi onori, ma credè suo meglio starsene tranquillo nelle 

1 Pubblicò la Cronaca cHF Anonimo Salernitano e dette una 
altra volta alla luce quattro antichi Cronologi pubblicati pochi 
anni avanti dal P. Antonio Caraccioli teatino. V. Burmanno, Mu- 
ratori. Fu T opera del Pellegrini con aggiunte illustrata da Fran- 
cesco Maria Pratilli e ristampata in Napoli con la vita del Pel- 
legrini stesso nel 1749. 

* Tirab. Op. cit. L. III. 

3 Massosi. Bibl. rorn. C^nt. I, 9(5. 



CAPITOLO II. 247 

occupazioni letterarie di cui però non disdegnava la glo- 
ria. Anch' egli incensò al gusto del secolo, che in ogni 
cosa amava l' ardimento e lo sforzo, cercando in diverse 
poesie latine imitar lo stile di ognuno de' più famosi 
poeti antichi come Virgilio e Lucano, Lucrezio e Ovi- 
dio, Glaudiano e Stazio. Forse in una lingua morta il 
miglior partito è appigliarsi all' imitazione, prendere uno 
stile beli' e fatto di qualche grande senza ostinarsi a 
trovare l'impossibile, ossia l'originalità. Ma voler ve- 
stirsi a volta a volta della pelle di tutti, o buoni o cat- 
tivi, era un'impresa stravagante e nella sua puerilità 
così gigantesca da far cadere chi la intraprendeva sotto 
il suo peso. E così fu, sebbene i contemporanei inar- 
cassero le ciglia a tanta audacia, secondo loro, riusci- 
tissima. Non sarebbe allo Strada bastato il plauso avuto 
per queste poesie e per le orazioni accademiche l a 
far passare il suo nome ai posteri , se non avesse meglio 
provveduto alla sua fama con le storie di Fiandra. Era- 
no venute nelle sue mani molte lettere e memorie di 
coloro che aveano avuto parte principalissima in quelle 
memorabili guerre. La Società a cui lo Strada appar- 
teneva, avea mezzi amplissimi per raccogliere relazioni, 
e potea offrirgli infinite notizie. L'opera intrapresa gli 
costò trent' anni di ostinato lavóro. Essa è divisa in 
due Decadi, e ciascuna Decade contiene dieci libri. La 

1 Orationis tres de Passione Domini, nella raccolta inti- 
tolata Societatis Jesu Orationes, Komae 1641. — Prolusione^ 
et paradigmata eloquentiae. Esamina il carattere dei princi- 
pali storici dell'antichità. E censura Tacito. Kynaston rispose: 
« De impietate C. Cornelio Tacito falso obiectata* — Oratio 
in novendiali funere Gregorii XV, ivi 1623. — Oratiuncula 
qua Urbanum Vili Collegium romanum invisentem eatcepit 
Vilna 1624. — Eloquentia bipartita^ Onda 1654 nella quale 
son dati i sa£gi dei diversi stili. 



248 PARTE TKRZA. 

prima Decado, che comprende {ili avvenimenti dalla 
morte di Carlo V sino al 1575 fu stampata in Ro- 
ma nel 1G32. Nell'anno 1647 venne a luce la secon- 
da Decade cha giunge alla resa di Rhiusherg cioè al 
30 gennaro del 1590. l 

11 periodo trattato dallo Strada comprende dunque i 
governi della duchessa di Parma Margherita d'Austria 
sorella di Carlo V, del duca d'Alba, del Requenses e 
di Alessandro Farnese. Era naturale che un Italiano , 
benché gesuita, fosse ammiratore più che dell'Alba o del 
Requenses , di Margherita e d' Alessandro , che d' altra 
parte rappresentavano le idee di compressione e di giu- 
stizia da lui propugnate contro i Fiamminghi rivoluzio- 
nari ed eretici al tempo medesimo. Alla fin fine anche 
gli storici moderni , senza dire della sapienza guerresca 
del Farnese posta fuori d' ogni eccezione , giudicano que<- 
sto e la sua madre ben più mitemente degli altri san- 
guinari percussori del generoso paese. Allo Strada però 
questa ammirazione fu apposta quasi a colpa, e fu ri- 
petuto eh' egli avesse voluto esaltare quei personaggi in 
adulazione e servigio della casa Farnese. Può essere, che 
tal rumore fosse cagionato dai nemici di quella casa e 
specialmente dai Barberini e loro partigiani. Comechessia 
è notevole che gli eroi della casa Farnese ricevettero 
lustro dalla storia mentre la loro stella s'ecclissava e 
che la Decade, in cui erano per essi più ampie lodi, 
uscì solamente due anni prima che il loro Stato di 
Castro fosse aggiunto al patrimonio della Chiesa e di- 
struttane la città capitale. Catastrofe di cui fu testìmo- 

1 V. ediz. De bello belgico decades duo, Romae 1632, 47. 
2 voi. in f. con figaro intagliate dal Baur, da Giovanni Miei o 
altri rinomati artefici. 

A Magonza nel 1651 ristampata l' opera, e Y anno innanzi a 
Parigi tradotta in francese dal P. Dttryer. 



CAPITOLO II, 240 

aio, poco prima di morire, che fu nel settembre 1649, 
lo stesso scrittore. 

Fu accolta la storia dello Strada con gran plauso 
in tutta l'Europa e tradotta quasi subito dal latino in 
italiano, spagnuolo, inglese, francese, olandese, benché 
avesse un acre censore , ma cortese nella forma , nel car- 
dinal Guido Bentivoglio. Questi ch'avea vissuto molto 
tempo nei luoghi di Fiandra (nelle cui guerre il suo 
fratello e il suo nipote perirono) e avuto parte nei ma- 
neggi politici; sicuro della sua esperienza, non poteva 
ammettere che un frate, ritirato nella sua cella, potesse 
dar pittura verace di cose , di faccende , di avvenimenti 
discosti. E siccome egli scriveva e stava per pubblicare 
la storia medesima , così volle preparar gli animi ad ac- 
coglierla con molto favore , e cercò spianarsi la via cen- 
surando il modo con cui Y aveva trattata il rivale d'ar- 
gomento. Nelle sue Memorie uscite alla luce nell' inter- 
vallo fra la prima e la seconda Decade dello Strada, 
facendo menzione degli uomini più illustri da lui cono- 
sciuti in Roma , parlò anche di lui e del suo libro. Lo 
encomiò in quella parte che non potea venire a suo con- 
fronto , poiché egli scelse la lingua viva mentre l' altro 
una morta. Disse che lo stile latino dello storico Strada 
era della stessa tempra di quello del Maffei: e in questo 
esagerò, mentre il Maffei sta di gran lunga al di sopra 
dello Strada per sobrietà , facilità ed eleganza. Per com- 
penso tirò giù con diplomatiche frasi a biasimarlo per 
inosservanza di precetti storici , per lunghe digressioni, 
per aver dato importanza a minime cose e taciuto o 
detto poco di cose importanti, di essersi steso in biogra- 
fìe, di esser parziale alla casa Farnese, di aver dato 
scarsa e superficiale notizia dei negoziati dei gabinetti 
come quelli che son parte necessaria da spiegarsi con 



250 PARTE TERZA. 

somma cura anche in mezzo alle vicende guerresche. T 
La posterità non ha dato intiero suggello al parziale 
giudizio del Hentivoglio. Non nega che questi mostri nella 
sua storia più esperienza diplomatica, più vivacità e veri- 
tà nella descrizione dei paesi, dei costumi e dello spirito 
della nazione fiamminga e soprattutto si faccia leggere 
più volentieri per la buona e viva lingua da lui adoperata. 
Allo Strada per?) concede larga parte di lode per la copia 
e autenticità dei fatti anche minutissimi da lui dati, per 
lo scrupolo con cui li vaglia e li sceglie, per la profonda 
persuasione di avere per le mani uno de' più importanti 
argomenti storici, trattandosi in esso della lotta fra liber- 
tà e dispotismo e del dominio d' Europa. Al Bentivoglio 
concede la palma dell'arte: ma lo giudica superficiale, 
leggieri, immite agli oppressi, scrittore di esercizio retto- 
rico. Dice dello Strada, che, quantunque gesuita, seppe 
preservarsi da esagerati giudizi di fazione, parte per one- 
stà ingenita, parte, perchè cercando imitare gli antichi, si 
accostò loro non solamente nello stile, ma anche nel giu- 
sto criterio delle opinioni e dei fatti. 

1 Memorie del cardinal Guido Bentivoglio con correzioni 
e varianti all' edizione di Amsterdam del 1648. (Milano, 
Daolli e corap. 1864) pagina 108 e seg". 



251 



Capitolo III. 



Censura, — Avvisi di Roma. — Diaristi. — Storia artistica. 



Del rimanente, in fatto di storie, diventava ogni gior- 
no più difficile il dire la verità: poiché a Roma non 
solamente bisognava osservare la discrezione per ciò che 
concérnea lo Stato, ma anche una moltitudine di rispetti 
per soggezioni e relazioni internazionali. E curioso il fatto 
successo al polacco domenicano Abramo Bzovio (Bzowski). 
Questi, poco prima dei nostri tempi , avendo seguitato 
gli Annali del Baronie T dovè subire insistenze e pres- 
sioni dall'Elettore di Baviera per ciò che avea scritto 
su Lodovico il Bavaro, e fu obbligato anche con mi- 
nacce di pugnalate, a doversi disdire e a togliere dal- 
l' opera tutto ciò che a lui non piaceva, e parimente per 
paura di peggio, dovè accomodarsi con la casa Medici, 
che s ; era adombrata di ciò che s'accingeva ascrivere 
sui pontefici e cardinali di quella famiglia. Che potenti 
volessero le cose a lor modo, non fa meraviglia : è da 
stupire piuttosto che la stessa Censura di Roma s'in- 
dustriasse ad aiutarli. Il Ridolfi, Maestro de' palazzi apo- 
stolici, fu quegli che delle intenzioni del Bzovio avea fatto 

1 Annales ecclesiastici post Caesarem Baronium ecc. Do- 
dici tomi ne furono stampati in Colonia per Giovanni Munick 
ed uno postumo in Roma (1672) per Michele d' Ercole col titolo : 
Pius V. P. M. sive Annalium Ecclesiasticorum auctore R. 
P. M. F. Abrahamo Bzovio ecc. Tomus posthumus et ultimus 
fol. — Il tempo descritto dal Bzovio va del 1198 al 1572. 






PARTE TKIttA. 



spia ad un tal Francesco Niccolini commissario de' gran- 
duchi di Toscana, e costui dette premuroso avviso al 
segretario Curzio Pichena di ciò che avea udito del Bzo- 
vio, cioè che di Lorenzo de' Medici, di Clemente VII , 
di Cosimo I non si accingesse a parlar molto bene. Quin- 
di tanto fu fatto con interposte persone, con minacce, 
con insinuazioni e con donativi di denaro da ridurre 
il Bzovio a scrivere a lode e gloria della famiglia me- 
dicea. x 

I viaggi di Pietro della Valle furono mutilati di quei 
passi che si riferivano alla politica esterna e specialmente 
agli vSpagnuoli e ai Turchi. 



1 Lo lotterò dol Niccolini sono nella Bibliografia critica ecc. 
di Seb. Ciampi Tomo I, (Firenze 1834) pag. 50 e seg. A pruova 
di quel che ho dotto ne darò alcuni passi. A proposito dell* E^ 
lettor di Baviera e di Ludovico il Bavaro. « ha tenuto (l'E- 
lettore) qua, un huomo a posta dagli ultimi anni di papa Paolo 
in qua, et che non potette ottenere nò da papa Paolo né da papa 
Gregorio mai che egli si disdicessi o che quella parte mutilassi, 
perché così come Lodovico era stato persecutor della chiesa, così 
anco pareva per i papi si facessi che egli fussi dichiarato simo- 
niaco et non imperatore legittimo: et che il Duca più volte mi- 
nacciò di farli dar delle pugnalate et di cacciar la Eeligione Do- 
menicana de* suoi stati, fin che assunto al pontificato il presento 
pontefice, fu finalmente comandato al Zovio da Sua Santità che 
nel fine dei libri mandati in luce vi si aggiungessi una dichia- 
ratone dell' Autore, mediante la quale egli va mitigando et cor- 
reggendo in qualche parte il detto da lui, et da vautaggio fu 
ordinato che dovendosi ristampare i medesimi libri si abolissi et 
levassi interamente dalla stampa tutto quel eh' egli dice di male 
del medesimo Lodovico (lettera del 29 ottobre 1624). — E circa 
i Medici, per conoscere di che si trattava, basti questo brano: 
« .... ho pregato il padre Niccolò Ridolfi maestro del Sacro Pa- 
lazzo e che m' ha detto che questo Padre ha un poco la penna 
lubrica, di vigilare quel ch'egli scrive in questi propositi, che 
ha mostrato d' havor per molta ventura di poter servire a cote- 
sta serenissima casa ecc. » (Leti di Roma 3 dicembre 1624). 



y 



CARTOLO 111. 2r>»> 

Ma se la Censura era tutt' occhi e tutta rispetti pei 
libri che si stampavano, non potea per altro giungere 
a soffocare la libertà né degli scrittori de' Diari, parte 
dei quali sono a noi pervenuti, non destinati a pubbli- 
cazione, né quella dei gazzettanti, avvisatori, fogliettanti, 
novellisti , detti anche menanti , (voce di provenienza 
ignota benché vi si sieno studiati attorno gli etimologi- 
sti) che spargeano manoscritti fogli di novelle a privati, 
a gabinetti, a corti, a principi. Sin verso la metà del 
secolo XVI, principalmente a Venezia e a Roma e poi 
a mano a mano nelle altre città, s'introdusse il costu- 
me di questi Avvisi. Esso era fomentato dal guadagno 
che ne traevano i redattori, il quale proveniva dalla cu- 
riosità pubblica e dall'interesse che aveano i gabinetti 
esteri di saper che cosa si maneggiava negli altri paesi. 
E naturale poi che la Spagna, per esempio, pagasse Av- 
visi di Roma e di Venezia, ma non tollerasse che se 
ne facessero circa a' suoi affari ne' suoi domini, e che 
viceversa i Veneziani fossero avidi di saper segreti di 
Roma e di Firenze, ma vigilassero che non ne uscissero 
dalle loro lagune, e va discorrendo. Ognuno volea il 
male T in casa altrui, e non lo volea in casa propria : 
cosicché spesso accadea che menanti perseguitati in un 
paese, si rifugiassero in un altro mutando indirizzo alle 
lettere, ma esercitando sempre lo stesso mestiere. Roma 
si trovava in una condizione che poteva senza suo danno 

• 

» E non era sempre male. Anzi talvolta gli scrittori (T Avvisi 
diceano grandi verità. Così mentre a Napoli infieriva la peste 
e si mandavano a morte innocenti, accusati di spargere la pol- 
vere venefica in complicità degli Spaglinoli, una Relazione ma- 
ledice con forza Y assurda opinione che il malore potesse inocu- 
larsi e propagarsi artificiosamente. (Relatione dello stato del- 
la città di Napoli in tempo della peste del 1659, — Ms. 
Bibl. Casan. X. V. pag. 2<J). 



L'i") 1 PARTE TKKZA. 

c con tutta apparenza di giustizia perseguitare i menanti. 
Volendo anch'essa sapere i fatti altrui, avea mezzi di 
contentare il suo desiderio per via della gerarchia ec- 
clesiastica a \oi leprata e per via di tanti frati dissemi- 
nati pel mondo, senza aver bisogno di ricorrere a ve- 
nali e non sempre fidi scrittori. Potea dunque far cre- 
dere agli altri che, non usando in casa altrui quegli stru- 
menti, era in maggior diritto di maledirli e spezzarti 
quando li trovasse in casa propria. E poi, maneggian- 
dosi in Roma interessi immensi, e politici e religiosi, 
era naturale che al numero, alla qualità, all' audacia di 
chi li spiava e li propagava, si opponesse più energico, 
ma inutile sforzo di difesa. 

Per vero si osserva che anche sul primo uscir fuori 
di queste lettere a Venezia e a Roma, i fogli romani 
furono più critici, più violenti, e talvolta presero aspetto 
di libelli, ritennero in somma del maligno e del taglien- 
te di Pasquino. Ciò non iscusa, ma spiega per altro la 
severità che si usava contro quelli che si trovarono o 
si tennero per autori di essi. Non è in verisimile che, 
sotto Pio V, Niccolò Franco fosse messo a morte per 
avere sparso i suoi libelli a forma d'Avvisi. Sembra an- 
cora che prima di por mano a più solenni rimedi si 
tentasse di metter freno ai novellanti per via di bandi 
rigorosi dei Governatori di Roma. l Ma finalmente il 



1 « Il Papa (Pio V) ha mandato fuori un editto che proi* 
bisce a tutti li novellanti il potere più scrivere nove; oltreché 
ne ha fatti prendere tre o quattro, et si dubita non gli faccia 
impiccare. Si dice perchè scrivevano delle cose che non istava- 
no bene. » 

Cosimo Bartoli, legato del Granduca in Venezia, così gli scri- 
voa in data di Roma 23 fobraio 1571. (Avvisi di Venezia, Roma 
23 febbraio 1571. Collezione Medicea filza 3081). 



CAPITOLO III. 255 

17 marzo 1572 Pio V segnava la Bolla Romani pon- 
iifiei8 pravidentia ecc. intitolata: Constitutio cantra 
scribentes, exemplantes } et dictantes monita, vulgo 
avvisi di Roma, e Gregorio XIII seguitava i rigori di 
Pio V, e anch'esso il 1° settembre del detto anno sot- 
toscrivea la Bolla: Ea est ec% Cantra famigerantes et 
menantes. Brevemente, i menanti , scrivessero comeches- 
sia,avean pena di bollo e galera : convinti di libello famoso, 
eran sottoposti a una pena arbitraria da potersi esten- 
dere sino alla morte. I bandi dei Governatori di tanto 
in tanto ricordavano le Bolle di Pio V e Gregorio XIII 
e spiegavano meglio le qualità del delitto e delle pene. 
Quello del 1586 contra li calunniatori et detrattori 
della fama et honor d'altri in lettere d'avvisi e altri- 
menti, li disse degni d' essere estirpati come gli omici- 
diari, i ladroni e i sicari. Furono minacciati della morte, 
della confisca dei beni e di perpetua infamia coloro che 
con colorate figure, con iscritture in qualunque lingua 
o stesamente o in cifra o in altro modo qual si fosse, 
mordessero, satireggiassero, calunniassero le persone ono- 
rate e massimamente i principi. Era dichiarato anche 
che si sarebbe usata ogni più efficace procedura come 
inquisizione, denuncie segrete, intercettazione di lettere, 
per iscuoprire a ogni modo gli scellerati. l Né. questi 
erano spauracchi j ma prescrizioni date con tutta la buo- 
na voglia di eseguire appuntino quan t'era comminato 
contro a quelli che non obbedissero. Sei seppe Anni- 
bale Cappello, prete, che rivelati segreti della corte 
romana alla regina Elisabetta d'Inghilterra (accusato- 
ri Maria Stuarda e lord Aruhdell poco prima del loro 



1 Bando de Governatori di Roma doli' U ottobre 158G (Bibl. 
Casanatcnse, Raccolta dei bandi, II, 37) 



250 l'AUTIS TEKZA. 

supplizio) ebbe mozza la mano, tagliata la lingua e rot- 
to il collo dal capestro, sguancio Sisto V , sulla piazza 
di Ponte, 

Ad onta di ciò si seguitavano a scrivere Avvisi, parte 
conio oggi si dice, alla macchia e parte in palese : che, 
tanto il costume, forse per la necessità del vivere pub- 
blico, era invalso, che non si poteano o non si osavano 
proibire gli Avvisi o gazzette dette innocenti o prudenti, 
a cui apposero i loro nomi un Guido Gualtieri, un Gio- 
vanni Poli, Orazio Fenzi ed altri. Ma di che sapore, in- 
contro agli Avvisi innocenti, fossero gli altri, è chiaro 
da ciò che intervenne a donna Olimpia e a Innocenzo 
lacerati a torto o a ragione da mille ferri taglienti piut- 
tosto che penne. l 

Intanto è da notare, che nel tempo in cui appunto 
le lettere d' avviso manoscritte facevano il peggior ser- 
vigio alla corte romana , si permise a Roma la stam- 
pa delle prime regolari gazzette, che già prima in paesi 
stranieri e poi in altre città italiane era stata permessa. 
Non si sa bene se un tale Ippolito Valentini che faceva 
il gazzettiere, ma poco amico agli Spagnuoli , a Milano, 
e che ne fu bandito nel 1640, mettesse in atto, nel ri- 
fugiarsi che lece a Roma, il proposito di non mandar 
più a mano gli Avvisi, ma di farli a stampa come in 
Francia si usava. s Certo è che alla line di quell'anno 



1 Non valse quel che si disse nel Bando generale concernente 
il Governo di Roma e suo distretto nel 1648. « § 29. Che nes- 
suno ardisca o presuma scrivere, far scrivere o copiare o ritenere 
lettere d' avvisi e Gazzette o trasmettere a qualsivoglia persona, 
sotto alcun pretesto, senza licenza in scripti s di Sua Signoria II- 
lustriss. sotto pena di tre tratti di corda e cento scudi, o della 
galera per sett' anni e altre pene contenute nella Bolla di Pio V 
fel. mem. la cui osservanza si riduce a memoria. >► 

2 Scritture del May. Segr. di Lucca an. 1640. Lettera del 



CAPITOLO III. 257 

medesimo s'incominciò a stampare a Roma una gaz- 
zetta, detta ora pubblica, ora ordinaria , della quale 
era autore un Gioacchino Bellini. Seguitò egli sotto il 
pontificato d'Innocenzo sino al 1648 in cui morì. Gli 
successe il fratello Giovanni, che mancato ai vivi nel 
giugno 1649, ebbe un continuatore in Cammillo Rosa- 
leoni: la quale gazzetta ebbe forse la sua discendenza 
nell'innocuo Cracas, che fu scosso dal sonno quan- 
do la rivoluzione francese si mostrò a Roma nella figu- 
ra del trucidato Basville e negli stati pontifici col pal- 
lido Napoleone. l 

E oramai dimostrato che fra gli scrittori di Avvisi 
fu uno dei più operosi e costanti quegli che da noi e 
conosciuto generalmente col nome di Amidenio : che al- 
tro non è che una collezione di Avvisi il Diario della 
città e corte di Roma, che dal 1640 giunge al 1650, 
da lui raccolto sotto il nome di Beone hora temi Dio. 
Il Ranko * conobbe questo Diario, ma (lasciando che 
non iscuoprr sotto il nome di Deone l' Amidenio) se ne 
valse ben poco e, a me pare, nei soli passi eh' erano già 
stati nelle varie sue opere, in qua e in là, riferiti dal 
Cancellieri. Della sua vita e de' suoi scritti ha dato 
ultimamente , con lodevole cura e minuta diligenza , 



13 rossano da Milano, 4 luglio, e di Gio. Pesaroni da Koma, 6, 
detto mese. 

1 È da desiderarsi una compiuta storia della stampa perio- 
dica in Italia. Hautin, Vaudin. Deschiens scrissero quella di 
Francia; Wabzék quella del Belgio; Prutz quella della Germa- 
nia; Andrews quella d' Inghilterra ecc. Esprimendo pur questo 
desiderio Salvatore Bongi ci ha dato un pregevolissimo scritto: 
Le prime gazzette <T Italia. (Nuova Antologia, Voi. XI Fase. 
IV, Giugno 1869) a cui dobbiamo molte delle date notizie. 

2 Die ròmischen Pdpste in den letzten vicr Iahrhunderter 
(Leipzig 1874). 

Ciampi. — Innocenzo X e la sua Corte. 17 



2.V* 



l'AKTh TKUZA. 



fiioltLssduio notizii* Ak a ssaiidro Ariemollo: 1 della sua au- 
ionia storica ho detto quanto basta nella prefazione di 
questo scritto, l'asti ora dunque , ripetendo alcune poche 
notizie già sapute , aggiungere alcune nuove avverten- 
ze. Vii fiammingo e si chiamò veramente Ameyden:* 
ma h chiamato in mille modi , cioè Meiden , Amaijn- 
don, Amaydan , Ainynden , Amideno , Amidenio , Ami- 
deuius. Ma che si chiamasse Amevden £ confermato 
dall'anagramma ch'egli foce traendo appunto da Theo- 
doro Ameiden (sostituito Y i alTy) il pseudonimo di 
Ueone hora temi Dio , che mise in fronte al suo Dia- 
rio. In una dedica che egli fa degli Elogi dei sommi 
pontefici e cardinali a suo tìglio, ci là sapere clic, 
cacciato dal 1 frigio [>ei tumulti di guerra, trovò rico- 
vero a Roma dominante , ove prese domicilio e mo- 
glie e procreò tigli di cui un solo e il più piccolo (ed 
e questi a cui dedica il libro) gli rimase tra molti. 3 E 

1 Ha parlato di Ini nell'articolo / Diari e diaristi romani 
(Rivista Europea, An. \ll. 10 Feb. 1877 Firenze) — in una 
nota all' altro articolo; Uno scritture di aneddoti romani del 
secolo decimosettimo. (Xuova Antologia* Febbraro 1877, nota 
a pag. 284) — e promotte ancora di parlarli*» in un lavoro sugli 
Avvisi di Roma e suoi scrittori. 

2 Un altro Anieyden prima di lui tu in Homa: e di quosto 
meno importante fiammingo ci dà solamente notizia la Biogra- 
phie nat tonale publiée par V Acaddmie rogale des sciences, 
des lettres et des beaux-arts de Belgique (Bruxelles 1866) 
tomo I. Cristiano Van Araeyden fu compositore di musica al 
tempo di Pio IV: fu amministratore dell' ospizio di Santa Maria 
iu Campo Santo. Del nostro dettero poche notizie e fecero elo- 
gio il Mazzucchelli, il Tommasini (Parnassus Euganeus) Vit- 
torblli (ih Recensione) Allacci (Apes Urbanae) ecc. 

3 ... « quando quidem belli tumultibus e Belgii natali solo eie- 
ctum me Roma snscepit et in urbe domina domicilium et neces- 
situdines contraxi. Uxorem duxi, filios procreavi, quorum te, ai- 
tate minimum et quem^olum ex multis superstitem Libitina vo- 
luit. » 



'•;■* 



Il 



CAPITOLO III. 2^9 

corto pure ch'egli venne a Roma in età fanciullesca, 
poiché in altro luogo, cioè dove nel libro delle Fami- 
glie nobili romane parla dei Pamfili, racconta che fu 
allevato da putto nel Collegio di cui era visitatore il 
cardinal Girolamo Pamfili : col quale, andando talvolta 
il nipote Giambattista (poi papa), contrasse con questo 
e in appresso con Camillo Pamfili una grande familia- 
rità. Anzi per discreti e caldi consigli dell' ultimo prese 
risoluzione d'accasarsi. Le sue proprie parole son le se- 
guenti : « La mia buona fortuna volle che da putto ha- 
vessi familiarità in questa fortunata e fortunante casa. 
L' occasione fu per essere io posto nel seminario ove 
il Card. Girolamo Pamtìlio di ree. niem. come Vis. del 
papa e protettor del luogo, veniva alcune fiate, se non 
per altro, per visitarlo, et in compagnia sua Mons. Gio. 
Batta Pamfilio suo nipote all' bora Auditor di Rota, 
lioggi padre de viventi : e qui contrassi conoscenza de 
T uno e de l' altro : et indi a poco familiarità con Cam- 
mino Pamfilio (la cui memoria riverisco sempre e be- 
nedico) la quale fu tanta, che l'autorità sua mi ritenne 
in Roma e casommi con ragionevole persuasiva. l » 

Ma non gli bastò accasarsi una volta: che, mortagli 
la prima, prese una seconda moglie; onde una nume- 
rosa figliuolanza , sin diciassette figli , dei quali , meno 
uno, tutti perirono; e l'ultimo, che gli rimase, fu sì 
poco costumato da meritare che il misero padre cassas- 
se il nome di lui dalla dedica fattagli degli Elogi già 
mentovati e vi sostituisse quella d'un nipote. Fu l'A- 
meyden avvocato e sembra di molta vaglia: assessore 
nelle cause sommarie nel tribunale dei Conservatori: s 

1 Pag. 197. 

2 Lo dice egli stesso nella Relazione della Corte di Roma, 
clic si trova nel libro : Li Tesori della Corte romana (Bruxel- 



200 PARTE TERZA. 

adoperato in molti pravi negozi specialmente dal re Cat- 
tolico. l Nulla si sa della sua fine. 

C'erto è ch'egli visse oltre il pontificato d' Innocenzo X: 
poiché, cacciato dallo stato pontificio per aver senza li- 
cenza dato un libro alle stampe, si sa ch'ebbe grazia 
sotto il regno del successore d'Innocenzo medesimo. 

Assai opere e di svariato genere egli scrisse: molte 
stampate, e le più importanti inedite. Commedie origi- 
nali, traduzioni di commedie dallo spagnuolo, relazioni 
di teste sacre, panegirici a papi, un libro della natura 
del vino e del ber caldo, sulla Pietà (carità) romana, 
sull'officio e la giurisdizione del Datario e sullo stile 
della Dateria. 2 

Ics 1672) a pag. 155. Quivi vion detto Y Almaden o Aimaden ain- 
basciatoro francese^! 

1 Si raccoglie che negatici Mediolani prò Catholica Mole- 
state agebat dal titolo del suo libro: Oratio in funere Eli- 
sabethae Borboniae Hispaniarum reginae Theodori Amay- 
den in romana Curia advocati et negotia Mediolani prò 
Catholica Ma j estate agentis ecc. Roinae 1645. 

2 Se no vegga la nota nel Mazzucchelli e nell'ÀDEifOLLo. 
Qui citiamo quelli che si riferiscono a storia. « De pietate ro- 
mana » (Romae, typis Jacobi Mascardi 1625.) — Panegyricus 
in Urbanum Vili Pont. Max. (Lugd. apud Ambrosium Tra- 
versarium 1625.) — Tractatus de officio et jurisdictione Da- 
tarii et de stilo Datariae in fol. (Venetiis, Turrini 1634 e Co- 
loniae Agrippinae 1701.) È dedicato con pomposo elogio a Inno- 
cenzo X. Fu quello per cui fu bandito da Roma. — Elogio d'In- 
nocenzo X Ms. — Degli altri mss. diciamo appresso. — Ma nei 
cataloghi detti è dimenticata un'altra operetta, benché di tra- 
duzione, dell' Ameyden. Nel Catalogo dei mss. ora posseduti da 
D. Baldassare Boncompagni compilato da Enrico Nardueci (Ro- 
ma 1862) a pag. 115 si legge, a proposito del ms. 257 attribuito 
al Magalotti. « U Apocalisse d' Olanda dalla lingua fiammin- 
ga voltata nelV italiana con una lettera autografa sotto il 
finto nome di Teodoro Amydenio. » Ma il Rezzi, che riuni que- 
sto codice di lettere, confessa di aver errato, e in una nota sulla 
copertina del ms. dico che la traduzione e la lettera son veramen- 
te di Teodoro Amidenio olandese. 



CAPITOLO HI. 201 

Le opere stampate rivelavano per così dire il pensie- 
ro apparente dell' Ameydeu, mentre egli sfogava senza 
ritegno l'animo suo in altri scritti che non erano de- 
stinati alla luce o che tutt' al più sarebbero stati pub- 
blicati dopo mature correzioni. Tra questi deve anno- 
verarsi prima di tutto il Diario, di cui abbiam fatto 
cenno poc'anzi, composto della riunione delle lettere d'av- 
visi ch'egli scrivea ogni quattordici giorni non diretta- 
mente al re di Spagna, com'è spesso ripetuto, ma al 
Ministro o a qualche altro potente, per cui mezzo le 
sue relazioni erano portate al re (se questi avea voglia 
d' occuparsene) : il che ci si fa chiaro per le sue stesse 
parole in più passi, ma segnatamente in quello ove dice 
che per mancanza di copista scriverà di sua mano, ag- 
giungendo « .... sarà anche più conveniente che di quel- 
lo, che ragguaglio per mezzo di Vossignoria il re no- 
stro (Dio lo conservi), sia scritto di proprio pugno. l » 
Le sorgenti, a cui V avvocato attingeva le sue informa- 
zioni, erano più volentieri le ciarle dei cortigiani, che 
si adunavano nell'anticamera del Cardinal padrone, ove 
egli sembra che si recasse con diligenza ogni giorno. 
Notizie d'ogni sorta ivi s'accumulavano: verità, sup- 
posizioni, calunnie, segreti scoperti, indovinati segreti, 
pettegolezzi politici e domestici ; in somma una vera gaz- 
zetta giornaliera con tutti i vantaggi e gl'inconvenienti 
di questa e per di più colla licenza di chi non ha qual- 
che ritegno almeno dalla pubblica discrezione. Non già 
storia (Dio ci liberi da siffatte storie !), ma bensì ma- 
teriale assai grezzo di storia da usarsi con molto giu- 
dizio. Che se per ogni scrittore di storie dee tenersi 
gran conto della sua vita e delle sue opinioni per và- 

1 Diario, 1650 gennaro. 



26Ì PARTE TERZA. 

lutare il crollilo da «larglisi: molto più bisogna adope- 
rare siffatta cautela intorno a un uomo, che scrivendo 
a ministri spagnuoli per il re di Spagna, dovea natu- 
ralmente adulare, anche nelle relazioni dei fatti mate- 
riali, la permalosa Monarchia. l 

E appunto nel vederlo così sommesso e ammirato 
della santa Monarchia, il Ranke giudicò che l'Ameydeu 
tosse spagnuolo. Ma bastava, per disingannarsi, che aves- 
se posto gli occhi al semplice indice dei manoscritti della 
Casanatense, ove si legge (V un' altra sua opera « Ma- 
Hìiscritto delle famiglie romane nobili originale del 
sig. Teodoro Amayden fiamingo da Bolduc dottor 
di leggi et avvocato di Roma. 2 Come si vede da que- 
sto titolo il manoscritto sulle famiglie nobili romane ( N 
originale, e perciò ò pieno di cassature e correzioni. L' eru- 
dizione nel testo non t scelta, ma può dare utili indi- 
cazioni per mettere gli studiosi su qualche via. Ivi £ 
Y elogio dei Pamfili ed è attestata la riconoscenza e T af- 
fezione che avea per essi TAmeyden: riconoscenza e 
affezione pomposamente ripetuta nella dedica a Inno- 
cenzo X del libro sulla Dateria e nell'Elogio specia- 
le fatto a questo pontefice. 

1 II ms. eh' io ho svolto è quello della Casanatense così in- 
titolato: Diario della città e corte di Roma notato da Deove 
Hora Temi Dio. La copia è di tre grossi volumi senza riumera- 
zione. Il primo comincia dal 25 agosto 1640 e giunge a tutto il 
1643. (XX. III. 19) — il secondo dal 1644 al 1647 (XX, III, 20) 
— il terzo dal 1648 al 1649 (XX, III, 21.) — Nella detta Casa- 
natense manca il 1650: ma io l'ho potuto consultare per cortesia 
del eh. sig. Ademollo che V ha fatto copiare dalla Biblioteca Na- 
zionale di Napoli ove si trova. — Un ms. compendiato del Dia- 
rio sta fra i ms. della Biblioteca Capponi; e uno intiero a Ber- 
lino in quattro tomi, che dicesi copiato dall'originale. 

2 Sotto la rubrica Famiglie romane. — L'unico esemplare 
<> diviso fra la Casanatense e la Barberiniana. 



CAPITOLO III. 263 

Il veleno però era nascosto, e se ne hanno i certi 
segni in più passi e in tutta la vita d'Innocenzo, che 
si trova nell'altra opera degli Elogi dei sommi pon- 
tefici e dei cardinali morti al suo tempo : opera che 
V autore protesta non voler dare alla luce. l La vita d' In- 
nocenzo che si trova verso la fine del libro, più che 
una satira, è un libello, 2 n£ vi sono risparmiati altri 
cardinali. Narrata una vita non molto buona di Miche- 
le Mazzarini, 1' autore finisce coli' affermare che colui 
morì per mutamento dell' aria e per troppa e intempe- 
stiva Venere: 3 di Giovan Giacomo Panciroli loda le 
caste mani e lo spregio delle ricchezze, ma aggiunge 
che morì in fama di malefico anziché di benefico in 
quanto che non fece mai bene ad alcuno. 4 

De'due diaristi romani Marc' Antonio Valena e Giacin- 
to Gigli, che fiorirono in questo tempo, poco o nulla m'è dato 
aggiungere (come ho fatto dell' Ameyden) a ciò che il sul- 

1 « ... non extra parietes prodibit. — Ne ho veduto duo Mss. 
Il primo nella Casanatense (Cod. E. Ili, 12.) « Theodor i Ami- 
demi elogia summorum pont. et S. R. E. Cardd. suo aevo 
defunctorum ad Urbanum fllium. — L' altro nella Corsinia- 
na (Cod. 238) « Theodori Amidenii Summorum Pontificum 
et R. E. Cardinalium omnium suo aevo defunctorum elogia 
cum suo indice sub pagina 1035 et praefat ione ad Philip- 
pum fllium in fronte voluminis. Bel codice cartaceo con dop- 
pio indice: tutto di pag. 1088. — Sbaglia però l' intestazione nel 
dire che Filippo è figlio dell' Ameyden. Filippo era nipote men- 
tre il figlio era Urbano. — La ragione per cui il Ms. Casanatonso 
porta la dedica a Urbano e il Corsiniano a Filippo, l' abbiamo già 
detta. Credesi che il figlio finisse in galera. 

2 Nel Ms. Corsiniano è a pag. 990, e concorda anche nei pas- 
si spropositati e dubbi in tutto e per tutto col Casanatense. 

3 « propter aeris mutationem et nimiam et intem- 

pestivam Venerem. 

4 Cart. 121. — Nella Barberiniana si trovano dell' Ameyden 
altro opere minori mss. 



264 PARTK TRItZA. 

lodato Ademollo ha scritto copiosamente nelle speciali 
monografie già citate. l Dirò soltanto del primo , che , 
giungendo le sue Memorie sino al 1650 poco hanno 
giovato a questo mio lavoro. * Circa Giacinto Gigli (1594- 
1671) mi preme dine due cose: la prima che il codice, 
il quale contiene il suo Diario, quello stesso di cui ha 
latto uso T Ademollo, fu con isquisita cortesia anche a 
me communicato dal signor conte Alessandro Moroni 
che n'ò il possessore; onde gli rendo grazie infinite: 3 
T altra che il buon diarista, sebbene creda alla potenza 
delle statue di cera incantate e all'efficacia delle be- 
nedizioni per la fuga delle cavallette e ad altro simile; 4 
in ciò che ha veduto veramente è assai degno di fede 



1 Uno scrittore di aneddoti romani nel secolo decimoset- 
timo cit. — Un libro a parto di pag. 151 contiene le notizie su 
Giacinto Gigli. Giacinto Gigli e i suoi diarii del secolo XVII, 
Firenze 1877. 

2 Cose notabili occorse in Roma dall' anno MDLXXIV 
sin ali 1 anno MDCXLVIIII (Arch. Seg. Capit. Cred. XI, t. 9). 
Fa parte della collezione dei codici Valesio. 

3 «. Memoria di Giacinto Gigli di alcune cose giornalmente 
accadute nel suo tempo, cominciando dall' anno della sua 
età XIII che era V anno del Signore MDCVIII del ponti- 
ficato di Papa Paolo V, V anno II L » Comincia: Si come 
suole ad un vecchio molte volte esser caro rammentarsi di 
varie cose ecc. Finisce: Ottobre 1857 ecc. Fu cantato il Te 
Deum per la vittoria ottenuta contro i Turchi :e d'altro ca- 
rattere: Questo codice è molto raro e da tenersi in gran sti- 
ma per essere originale del autore e perchè contiene cose 
annedote, Roma, novembre 1657. Nel tergo della copertina in 
cartapecora, in principio, ò scritto d'alieno carattere regalato 
da Francesco Cancellieri a Felice Profili. È un grosso volu- 
me di pag. 1072. 

4 « Le cavallette infestavano la campagna di Roma e alle sup- 
pliche avute il papa mandava tre vescovi che le scomunicassero 
e comandassero loro di andare al mare. E quelle correvano al Te- 
vere che diventò negro come inchiostro. » (Diario, maggio 1653). 



CAPITOLO III. 205 

o dotato di giudizio discreto, come si prova col passo 
seguente: « In questi giorni fu stampata et pubblicata 
una relatione della morte di Papa Innocentio Decimo 
ad effetto di superare la publica fama pur troppo vera 
di molte cose, che erano avvenute, come bugie pubbli- 
cate per odio e non per la verità, ma sopra tutto (il 
che fu ben fatto) acciò che gli heretici et nemici della 
Sede Apostolica non dichino male, nò si ridino de ca- 
ttolici. In questa Relatione molte cose da me notate 
di sopra sono riferite alquanto diversamente per farlo 
comparire in lode del Pontefice, ma sopra tutto col 
condannare come falsa la voce che egli morisse con gli 
occhi aperti e con la faccia spaventata et in grandis- 
sima povertà, rubbato di ogni cosa : il che fu pur trop- 
po il vero. Ma fu però ben fatta tal relatione più* non 
dar materia agli heretici. » l 

Non meno utile dei nominati diaristi ci riesce Giam- 
battista Passeri (1610-1679) per le memorie che ci ha 
lasciato degli artisti, suoi contemporanei, da lui dipinti 
con somma schiettezza. 2 Fu pittore, poeta , musicista : 
architetto: accademico Infecondo, Intrecciato, Umorista, 
Sterile: e anche negli ultimi anni della sua vita prin- 
cipe dell'accademia di San Luca. Non si può far giu- 
dizio del suo vero merito poichò non ci lasciò nelle arti 
da lui coltivate alcun' opera d' importanza. E però certo 
che sarebbe morto in gravi necessità se, già vecchio, 
nel 1795, non avesse recitato, nell' occasione dell'Ac- 
cademia pei premi artistici in Campidoglio, un sonetto, 



1 Anno 1655. 

* Vite de' pittori scultori ed architetti che anno lavorato 
in Roma morti dal ÌG41 fino al 1073 di Giambattista Pas- 
seri pittore e poeta, prima edizione. In Roma 1772. (finsep- 
po Passeri sno nipoto no fn 1' cditoiv. 



200 l'ARTB TKRZA. 

in cui, bisticciando sul suo nomo, si assomigliò al pas- 
sero che , sebbene vile e disprezzato uccelletto , può le- 
vaci con l'ali sin fra le nubi. La poetica composizione, 
miserella come si vede, parve però una cosa incompa- 
rabile al cardinale Altieri, che non si limitò a una ste- 
rile ammirazione, ma volle provvedere alle misere con- 
dizioni del poeta ottenendogli dal papa un beneficio co- 
rale in Santa Maria Lata. L'artista ne fu assai lieto; 
e come Lope de Voga e il Oalderon assunsero il sa- 
cerdozio senza lasciare di scriver commedie, così egli, 
senza mettere da lato la cetra e il pennello , si ordi- 
nò prete e disse mossa. Poco però il povero Passeri 
godo della tranquilla agiatezza del nuovo stato: poi- 
che circa quattro anni dopo, per soverchio buon cuore 
angustiatosi del pericolo di morte d' un giovane suo ami- 
co, di sessantanove anni morì. Stimo superfluo fermarmi 
sopra la sua opera sì nota e sì letta almeno da quelli 
che studiano la storia delle arti. Mi piace però notare 
che appunto per la troppo nuda verità delle cose narrate 
dal Passeri le sue Vite giacquero inedite per molto tem- 
po e che , sebbene rimaneggiato dall' editore, il suo stile, 
conservando sempre una ruvida naturalezza, s'accom- 
pagna talvolta a qualche prova di magniloquenza sì che 
ne nasce una strana eppure non dispiacevole mescolanza. 
Egli ò poi a dirittura romanesco nel carattere, nelle 
idee , nell' orgogliuzzo innocente della patria : tanto che 
sembra udire qualcuno dei nostri , che non si scomodano 
punto per promuovere ad esaltare almeno i propri con- 
cittadini (salvo che non sieno artisti di teatro) e poi si 
lamentano che altri non ne faccia il conto che si me- 
ritano, quando a proposito di un' opera d' Andrea Sacchi 
pittore egli dice : « Se Andrea non fosse stato romano 
si sarebbe inteso per quest'opera lo strepito e il rim- 



CAPITOLO III. 2f>7 

lx>mbo dol suo nomo volare allo stello ; ma perchè nes- 
suno profetizza per la propria patria, e i>erchft Roma 
£ la schiava dell'Universo benché abbia nome di Re- 
gina del mondo , se ne fece appena caso per la giusti- 
zia, ma non ebbe un'oncia di grazia nella lodo e nel- 
l'applauso. » 



>(>* 



Capitolo IV. 



Antiquari. — Bollo lottoro. — Scrittori di opere teatrali. 



Lo studio delle antichità, come in naturale terreno, 
non cessava a Roma , lanche non si possano in questo 
periodo di tempo annoverare uomini di gran levatura 
che veramente le illustrassero. lasciando coloro che re- 
gistrarono utili ricordi di scoperte in qua e là anche 
nei Diari; ricorderò Gaspare Alveri che scrisse la Ro- 
ma in ogni Staio (1654), Famiano Nardini che pub- 
blico la Roma antica , Alessandro Donati e Francesco 
Angeloni da Terni che si fecero nome, l 7 uno con la Ro- 
ma vetus et recens , V altro con la Istoria Angusta 
da Giulio Cesare a Costantino il Magno illustrata 
con la verità delle antiche medaglie. L' Angeloni fu 
segretario del cardinale Ippolito Aldobrandini , Protono- 
tario apostolico, e morì in Roma nel 1652. E già fio- 
riva il nipote dell' Angeloni Giampietro Bellori romano 
che fu poi antiquario di Maria Cristina , laboriosissimo. ! 
E a Roma anche il gesuita di Fulda Atanasio Kircher 
col suo libro V Aedipus aegyptiacus , 2 riallacciandola 



1 Difese il suo zio contro le accuse fattegli dal Tristano an- 
tiquario francese con l'opera: 7/ Bonino, ovvero avvertimenti 
storici al Tristano. 

2 Aedipus aegyptiacus , (Romao 1652-1655). Più tardi stam- 
pò ad Amsterdam: China monumentis illustrata (1667). Illu- 
strò l'obelisco Pamfiliano: Obeliscas Pamphilius. 



CAPITOLO IV. 269 

• 

tradizione interrotta da Clemente Alessandrino in poi 
degli studi egiziani, si provò di spiegare i geroglifici 
dandoli per inventati dai sacerdoti a tener nascoste le 
loro dottrine. Per la sicurezza , con cui li dichiara , 
potrebbe essere il Kircher tacciato di ciurmatore: in 
qualunque modo è da ringraziarlo che egli abbia per 
primo tra i moderni chiamato l' attenzione dei dotti a 
questi importantissimi studi. Dicesi fondatore nel Colle- 
gio Romano del museo che ha nome da lui (Kirche- 
rianoj } sebbene altri voglia che meglio di lui meritas- 
sero d' esserne chiamati fondatori Filippo Bonanni e 
Contuccio Contucci. ì Raffaele Fabro tti di Urbino, nato 
nel 1619, già dimorava in Roma poiché v'era venuto 
di diciotto anni, ma non dovea venire in gran riputa- 
zione che nel pontificato di Alessandro VII quando del 
pari fu lodato per destro diplomatico , oculato ammini- 
stratore, coscienzioso impiegato, dotto in ogni sorta d'an- 
tichità. Fra gli antiquari poi potrebbe annoverarsi il 
piemontese Cassiano Dal Pozzo, la cui fama fu mag- 
giore delle sue opere. Egli si dicea preso dall' amore 
dell' antichità , ma fuori del Memoriale intorno a di- 
verse anticaglie trovate in Roma a' suoi dì e tratte da 
note e brani di lettere ordinate dal Lumbroso, non si 
ha di lui cosa che valga molto. * 

La bella letteratura si compiacea di qualche soppor- 
tabile produzione , non già nella lingua del sì, ma nella 
latina, a maneggiar la quale fu tenuto nientemeno che 
per ciceroniano 3 Gian Vittorio Rossi, conosciuto gene- 



1 Ciò argomentano dall' iscrizione del Morcrlli nella secondi! 
sala del museo stesso. 

* Caruttt, cit. pag. 37. 

3 Cosi Gian Cristiano Ffschrr, che ne scrisse la vita pre- 
messa air edizione delle lettore. Colonia 1739. 



270 PARTK TKIIZA. 

ralmente col nome <li Giano Nicio Eritreo, celebrato 
in quel tempo come teologo, legista, oratore, poeta 
e grecista per giunta. I*a sua Pinacotheca in cui ha 
lasciato ricordi di contemporanei , sebbene non sia sce- 
vra di molti difetti o nel darci per chiarissimi uomini 
che sono oscuri o nel confondere stranamente le date, 
riesce nondimeno ancora utilissima. Quanto alla faina 
di eccellente latinista, ch'egli ebbe in vita, non è dubbio 
che siasi coli' andar del tempo molto e molto diminuita. 
Era nato in Roma nel 1577, e poco fortunato nell'e- 
sercizio dell' avvoeheria, s' era gittato a tutt' uomo nelle 
belle lettere. Fu fervido accademico Umorista, e, dopo 
varie vicende, segretario del cardinal Peretti per lo spa- 
zio di circa vent' anni. La sua vita letteraria toccò il 
più alto punto nell' operosità e nella fama sotto il pon- 
tificato di Urbano Vili. Morto nel 1538 il cardinal Pe- 
retti, il Rossi, che precipitava a vecchiezza, cominciò a 
vivere ritirato dalla corte, e sul principio del regno d' In- 
nocenzo stava come nascosto in una sua villetta, non 
cessando però mai di comporre sino alla sua morte che 
avvenne nel 1647. Aveva vòlto" la sua penna alquanto 
maledica, come si vede nella Pinacotheca e più nel 
satirico libro dell' Eudemia, a cose gravi e religiose , 
cioè a scrivere tragedie sacre e le sue confessioni alla 
maniera di Sant' Agostino. l 

Del rimanente le belle lettere aveano sfogo di can- 
zoni, di pastorali, d'odi italiane e latine nelle accade- 
mie che si chiamavano degli Umoristi, Ordinati, Par-' 

1 Nella sua villa in Monto Mario edificò la piccola chiesa de- 
dicata a S. Maria della Febre. Ciò attesta anche un 1 iscrizione: Io- 
anni Victorio Roscio — Iani Nicii Erythrcei nomine — apud cx- 
teros notissimo — hujus domus et ecclesiao — mnnificentissimo 
ftmdatori. 



CAPITOLO IV. 271 

toni, Malinconici, Intricati, Uniformi, Delfici, Fantastici, 1 
Negletti, Assetati, Infecondi. Né deve far meraviglia che 
le accademie letterarie prendessero nomi stravaganti 
quando persino in quella dei Lincei intesa « a procu- 
rare di penetrare l } interno delle cose per conoscere 
le loro cause et operationi della natura che interior- 
mente lavora » i quattro primi fondatori vollero chia- 
marsi il Celivago (Cesi), il Tardigrado (Stelluti) , 1' Ec- 
clissato (De Filiis) , l' Illuminato (Eckio) , quantunque 
consimili nomi accademici, con più maturo consiglio, non 
si assumessero dagli altri soci in appresso. Non è inu- 
tile però il dire che allora le accademie letterarie non 
lisciano dalla riga di un piacevole passatempo e che le 
loro leggiere produzioni pareano cedere modestamente 
il passo a' più gravi lavori. 11 principio del seicento fu 
decadenza, 6 vero ; ma sembrò un' età luminosa incon- 
tro alla stupidità e alle frivolezze che invasero il campo 
letterario dall' altra metà di quello sino a circa la metà 
«lei secolo seguente. Lasciando dunque i fiori j>oetici, io 
credo di dover piuttosto segnalare una specie di furore per 
le composizioni sceniche, 'o sacri oratori o tragedie o com- 
medie o drammi musicali che fossero, che si recitava- 
no nelle case dei signori, raramente nei teatri, o sem- 
plicemente si pubblicavano con la stampa. La commedia 
dell' arte che aveva attori di gran vaglia e di grandis- 
sima fama non solamente in Italia ma in tutta l' Europa, 
si atteggiava in Roma specialmente dagli artisti , che 
per essa trovavano sfogo allo loro particolari, o buono 

1 I Faptastici aveano sede nel convento dei Santi Apostoli. La 
loro insegna era una tavola pittorica con V epigrafe : Quidlibet 
audendi. — Dello sedi, delle insegne, dello vicende di tutte quel- 
lo accademie si potrebbe fare una storia di molti volumi. Ma non 
sarebbe, io credo, una storia deliziosa. 



272 PARTE TERZA. 

o malvada», passioni. E noto che Salvator Rosa per 
chiamare a s<* l'attenzione dei Romani volle apparire 
in pubblico sotto la maschera di Pascariello, e, facen- 
dosi chiamare Formica, si diede a recitare coi lazzi e 
il rìde volo dialetto della piota napolitano- E poi ch'ebbe 
radunato un buon numero eli giovani di bel tempo, re- 
citava insieme con essi air improvviso sopra un palco 
eretto nello spazzo } ch'era al primo ingresso della villa 
Mignanelli fuori di |>orta del Popolo. Un Niccolò Musso, 
prete al certo poiché il Passeri lo dice « celebre per le 
prediche fatte in più quaresime a Roma, » era direttore 
di queste farse: le quali più somiglianti alle mordaci 
commedie ateniesi che alle urbane di Terenzio, s' aggi- 
ravano intorno ad avvenimenti e costumi del giorno, 
o davan la baia a uomini conosciuti e autorevoli, anzi 
li sferzavano a sangue. Erano dal Rosa presi di mira 
specialmente il Bernini e Ottaviano Castelli, che faceano 
recitare le lor commedie nel cortile del palazzo Sforza 
a man sinistra per andare a San Pietro. Ma mentre 
la satira del Rosa si aggirava intorno all'arte comica 
o con qualche discretezza toccava le persone; non fu 
così da parte del Castelli, il quale, montato in furia per 
i biasimi avuti, fece nel palco di Borgo un Prologo in 
cui fìnse un chiromante e fìsonomista che sulla mano 
e sulla fronte d' un personaggio chiamato appunto For- 
mica leggeva la vita passata di lui e apertamente di- 
ceva infamie del Rosa. Si può ben pensare quali fossero 
lo conseguenze di queste ingiurie reciproche : che se fra 
il Castelli e il Rosa non si venne al sangue , non fu 
così fra altri men celebri artisti. Tommaso Donnino pit- 
tore, detto il Caravaggino, feriva un altro pittore Giam- 
battista Greppi genovese ; e nel processo fattone risultò 
che la causa del ferimento era stata l' ira concepita dal 






CAPITOLO IV. 273 

Donnino per aver il Greppi in una sua commedia morso 
lui, ma piti crudamente un suo amico pur pittore chia- 
mato Benedetto Castiglione beffandolo sullo spesso di- 
pingere, che questi faceva, i viaggi di Giacobbe. l 

Specialmente il Bernini si dilettava di comporre 
commedie, e vi recitava egli stesso col suo fratello Luigi. 
Erano dette communemente dilettevoli e meravigliose 
per la novità del caprìccio, per l'arguzie, per i sali, 
per la vaghezza delle scene e per la curiosità delle rap- 
presentazioni , benché mordaci e pungenti. Con buona 
maniera e vivezza vi solea fare la parte di Trappolino 
bergamasco lo scultore Abbatini. Si prestava anche il 
Bernini a mettere il suo ingegno e la sua mano nelle 
scene e nei meccanismi di rappresentazioni suntuose 
nelle case dei grandi. Fu celebre nel 1634 la rappre- 
sentazione o T Istoria di Sant' Alessio fatta fare nel suo 
palazzo dal cardinale Antonio Barberini in occasione 
della venuta a Roma del fratello del re di Polonia, prin- 
cipe Alessandro Carlo « da musici eccellentissimi et con 
scene maravigliose ideate et eseguite dal Bernini, le 
quali si mutarono più volte, comparendo palazzi, giar- 
dini, selve, inferno, angeli che, parlando, volavano per 
aria, et finalmente si vedde una gran nuvola calare a 
basso, che, aprendosi, mostrò la gloria del Paradiso. » * 



1 A. Iìkrtolotti, Artisti subalpini in Roma nei secoli XV, 
XVI e XVII (Torino 1877) pag.53. — Il fatto avvenne nel 1635. 

2 Gigli, Diario. — « Nequo enim theatralib'tis in ludis Roma 
quidquam laudaret illustrius, quam nuper aut peregrinum Aloxium , 
aut Theodoram a liberatore dimissam. Inchoat fabulara perficit- 
que concentus. Modos Musici romani, hoc est Musicorum reges 
aguni Machinamenta et automata plusquam regia: usitatnm quippe 
ibi transvolare cum levi nube, cum igne orumpere , cum pegmate 
ovanescere: maria terris enasci, valles ascendere, montes subsi- 
doro, aliuin in orbem momento transmigraro: sensu porjucundo 

Ciampi. — Innocenzo X e la sua Corte. 18 



274 PARTE TfiUZA. 

Ho già dotto delle commedie alternate alle predi- 
che. Ma non voglio metter da parte altri piccoli ricordi, 
ove si vede il Deone (Ameyden) compiacersi dqllo me 
composiziopi r i cardinali accorrere alle rappresentazio- 
ni comiche, nobili assumer l' abito d' istrioni per .adulare 
la Dqa onnipotente , Olimpia, ' «.... La sera del bus 
desimo giorno si fece per la terza volta la : mia .com- 
media.... Il giorno seguente il signor card; d'Esto inr 
vitò a casa sua a vedere il Corso la sig. ra Domtó* Olim- 
pia, e con questa occasione con ogni istaoaa dimandò 
che la, commedia fosse latta in casa sua , alla quals in* 
tervenne detta sig. ra Donna Olimpia colle sue figliole , 
ambe \q. prencipessp Borghesi, la principessa .di Gallio 
cano, la prencipessa di Carbognano et altre dame tito- 
late in gran numero et quasi tutti li titolati di Roma 
e nove cardinali, cioè Cornaro, Rocci, Grimaldi , Costa- 
guta , Colonna , Orsino , Panfilio, Medici et esse Ppe di 
casa che fece scena superbissima et una colatione di con- 
fetteria di Genova e Napoli la più sontuosa che si sia 
veduta in Roma come che la spesa eccedesse di, 20tìjQ 
scudi, la, quale fu divisa e spartita fra le. Dame;... In* 
fine ci era tutto il tuono 2 di Roma. 3 » E ih altro pas- 
so lo stesso Deone ; « Giovedì sera la signora donna Olìm- 
pia fece commedia, alla quale intervennero le Dame Ro 

sequi triumphantes Divos ac caoluin curru suleantés. Nani cho- 
ros, saltationes, syrmata personarum et reliquurn Choragii appa- 
ratimi haud facile sit animo aestimare; tanta sunt quae viden- 
tur... » Alex. Donatus, Roma vetus ac recens cit. (Roma 1639) 
pag. 401. 

1 Ciò. che scandalizzava l' Ameyden e il Gigli a me dà indizio" 
che i nobili almeno avean superato il pregiudizio dell' infamia cUf 
commedianti. 

2 Si noti tuono per don ton già invalso nel parlar familiare. 

3 Diario cit. an. 1645. 



CAPITOLO IV. Ì75 

mano amiche suo e buona parte del Sacro Collegio. iV » E 
il Grigli ci dice che nel febraro 1649 fece Olimpia reci- 
tare nel suo palazzo varie commedie, e ima ne fu recitata 
tetta : dar marchesi o duchi « i quali si compiacquero,' 
per' darli gusto, di diventar histriòni. e » Anche nella 
casa del reduce- -viaggiatore Pietro Della Vallò feiVeci- 
tavatìo commedie e si eseguivano musiche. Una com- 
media-deli 7 Ameyden vi fu rappresentata. 3 " 

' Coautori drammatici poi pullulavano in quel secolo 
senza ohe una sola produzione sia rimasta in riiemoria 
della posterità. Tutti d'ogni classe e d'ogni professione 
componevano opere sceniche. Chi voglia racimolare 1 còse 
inutili vegga l'Allacci e il Màndosi. Nobili e plebei , dòtti 



1 Diario cit. fqb. 1648. . . •: 

5 Diario. 

3 « 1/ avvocato Meidèn fa rapprèsoli taro una commedia noli a" 
oasa-dél sig. Pietro Della Valle, ove Giovedì v 1 intervennero U ! 
cardinali Colonna e Cesi et V ambasciatore di Spagna.» {Arohi- 
vip (fi Stato a Firenze. — Avvisi della filza 4pi$ T 23 feb. 
Ìo7Vjr Passo communicatomi dal sig. Ademollo. — Giova ripor- 
tare qui mi brano sulla vita di Pietro della Valle del Bellori per 
ri chiamare alla mente dei lottori le inclinazioni artistiche del gran 1 
viaggiatore. « E perchè sin da giovane fu inclinatissimo, e ditettossi- 
deir arte della musica, congiuntosi in istudio col signor Giovanni 
Battista DbmjhuofflO di fama nelle lettere, adoperato nella Corte - 
romana, et il quale primo insegnò e scrisse libri della musica an- 
tica circa, .la Theorica di tuoni armonici , con questa occasione. , 
anch' egli si diede alle speculationi , e giunse a mettere in pratica, 
compónendo varie maniere di melodie , e di modulationL Fabri- . 
cossi due nuovi' strumenti; un Cembalo. Hessàrmonico e un Vip.v 
Iorio Pànarmonlco, e fecesi udire una sera de 1 Venerdì sacri di. 
passione all'Oratorio di San Marcello; dove da cinque do' mi- 
gliori cantori furono cantati versi sopra la storia di Ester da , 
esso composti e modulati ih varii tuoni con 1' accompagnamento 
di quelli strumenti. » (Vita di Pietro Della Valle,, il pelle- 
gr ih® jìef (ttoì PÌétro Bellori*, premessa al tomo III de* Viag- 
gi, ediz. di Roma 1643). 



'£l*i l'AKTfi TKRZA. 

e indotti, scienziati, letterati, artirti, persino frati e mona- 
che si gittavano nell'agone. \ oleto uomini ohe già tate 
Uvan lo armi, piccoli re nelle loro vaste possessione te- 
muti ancora da seni e vassalli ? Eccovi Virginio Omini 
duca di Uracciajio, FiUjipo ( aetamduca di Serraonetsiv Le- 
lio Orsini principe di Vico varo, iin altro duca di Bncxàa* 
no Flavio Orsini, il marchese Giuseppe Teodoli; aondfe- 
inìco Incognito e principe degli T 'moristi, che compongono 
commedie, drammi musicali od opera regie per niùsica, 
sacri oratorì. ' Volete uomini gravi , giureconsulti, :&cca<- 
domita ìf.FA eccovi Carlo Sigismondo Capici dottore in 
leggìi, accademico Fecondo o Intrecciato, Benedetto Mei- 
lini scrittore di sane storio, (riuaeppe livaWini avvocato 
dello causo del Sacro l 'alazzo, Paolo Mancini T istitutore 
dell' accaflnipia degli Umoristi, Marco Antonio Pino "ac- 
cademico Infecondo, Fabrizio Al veri Umorista, Francesco 
OueiTiui accademico Infocato e cento altri. 2 Non vi maa- 
cheremno gli artisti come 'Matteo Pagatao, -accademico 
Unico, pittore, cjhe scribacchiò commedie boscareoce > /feh 
volc pastorali, tragicommedie, commedie, opere sabrè, 
tragedie spirituali. E da ultimo anche fra le meditazióni 
e le preghiere dei chiostri le monacello immaginavano 
caratteri, intrecci drammatici, e ne clava esempio i jpér- 
shio un' abhadessa di San Cosma e Damiano ,■ Flavia Deh 
mitilla dalla Porta, ma con sacre rappresentazioni ; men- 
tre Maria Porzia , Vignola , pur monaca, celebrata poe- 
tessa (allora), metteva il piede nel terreno profano coi 
drammi per musica Gli amori del Panaro e Lt quattro 
stagioni, ^a .« mescolanza del profano e del sacro neiic 

• <; x Xl.l'vopobt «uroposo una tragedia sul soggetto del falso Do- 
Uiotfjio <Ji, Ej^sia col titolo II . Demetrio Moscovita, _- - ■.*•■!-»- 

, ? Son titoli esilaranti La Costanza delle donne dol Mbllini 
e n Pazzo* sàvio e il Savio pazzo dolPALVfcRi. 



. CAPITOLO !V. 277 

idee e nelle loro Manifestazioni: è data Tira dagli ar- 
gomenti scelticela Ottavio TronsareBi, acc&déarièb Umo- 
mta.eiOr(finato, poeta fecondo, che scrisse 1 affla pài^e 
alla < confusa il Fetonte e La creatimi dèi WóUdó^fl 
giudizi* di Vènere e La figlia di Jefte y Il ritòrnód x An- 
geliva* nétV India e lì Martirio dèi Santi AWfidió , 
A&u&datrtie ecc. Im vittoria d % Amore e' L l èskèqme 
di Griffa ' ; : : 

..< Jl i marchese Andrea Maidalchin^ 1 ftatéllo di'dtìtina 
Gtìimpiaj.i tenace accumulatore di pecunia collie appunto 
la sna isorelk, iloa era, a <juel che sembra,- ^chive di 
àeééttare ; i'doni della Musa comica ò tràgica: laviamo 
». fatti --che il dottor Giovanni Angelo Perozzi daiPApi- 
riterrà 'awtichiééima -àbito Marca gli dedicò* una &ta 
commedia La Vedova-Cernita (Macerata 1 Ì646), 1 e ; tìie 
mat caiW)riico della cattedrale di Viterbo ^tovàff'Dotóè^ 
iitcoPuoittó gli offrì la. -Botò Ghtiniwàt&iMà tra- 
gicomico. Il Tribunale d f Amore era il titolò 'd'urna 
feovpla boscarecoia che 1' abbate Pietro Parma ! bòk>gnesb 
dedicata alla principessa di Rossano donna Olitiàpia 'Pani- 
philii (Roma 1653), come Loreto Vittorio da Spoleto', 
le; offriva, il suo dramma sacro La pellegrina costante 
( l647-)w f «Giovambattista Giràrdelli fafcea recitare Una mh 
titìgediai in prosa, 1- Ottone, nel Collegio Caprànicà e nel 
palazzo idei, principe Camillo Parafili, e la stampava de- 
dicandola : d quest'ultimo (Roma 1652) , felice che la 
sua bene 'avventurata tragedia facesse sotto gli atispfài 
di Sua Eccellenza risonar le scene italiane de' ettoilk- 
Menti ! A Camillo* dedicava ancona tm-De-Lucd) S^Wfìi 
romano la sua tragicommedia VArmelindo (Roma 1654). 
• i Come Camillo- Parafili fu cultore^ protettore delle 
lettere, t così nella' famiglia Màidàlchini Vi Ut 1 tìti lette- 
rato è ùnpbe|a dran^jmatico. Que^tj. fy^FrAn^esco^Mai- 



276 



PARTE TERZA. 



clalchini tìglio di Andrea, fratello del cardinale dello 
stesso nome, il quale, benchò frate domenicano, non 
rifuggì dalla conversazione delle Muse, e scrisse e stam- 
pò (Orvieto 1029) il Rinaldo prigioniero favola bo- 
scareccia e anche la tragicommedia Ij Innocente 'prin- 
cipessa (1627). Sperava la porpora che poi fu data al 
suo fratello. Ma la morte sopravvòniitàgli in. etk 1 'hiìcofo 
giovanile troncò le sue, speranze, l 

Nò mancarono al pronipote d'Innocenzo X Gio- 
vambattista Pamfili le offerte poetiche. // Martirio di 
Sé.. Giorgia. èva. a lui dedicato dal dottor Giorgiói Mar- 
ra {cosentino. (Roma 1650) f e dall' arcidiacono; iSaviaro 
di Mileto molto più tardi 1'. opera scenica. VHonorato 
imprudente. (Bracciano 1866). Ma più credo piacesh 
se a. lui e alla sua famiglia la commedia di Emilio Meli 
con V intermezzi dello stesso, intitolata La fontana 
Pqmjìlia, in cui si lodava la grandiosa opera d'Inno* 
cenzo e del ; Bernini. 



Scriptores Ord. Praedicatorum ecc. II. 357. 



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Capitolo V. 



I 1. 



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Belle arti, — l barocchi! — I paesisti, .— Convegsp.d' artisti 
di tutte le nazioni. — Usanze artistiche. -— Artisti di 
passaggio o morti in Koma. — Artisti lontani dalla Scorte. 

■ i • / ' ■ ' ■ . ' 



■. . • ■ v ■ . v ■ 



.-.-] ■ Era caduta ned deliri dei barocchi Y arte di Raffaele 
e di Michelangelo. I barocchi fiorirono nel tfegno <f In- 
nocenzo Vvil qual regno non sarebbe stato nella -quantità 
di produzioni artistiche men glorioso dei tem^f- di Giulio 
e di Leone, se in luogo dei palazzi smisurati, delle chie- 
se-fastose, delle spettacolose statue e delle gigantesche 
fontane avesse potuto mostrare portenti di elegtttoa è 
di sublimità i quali s' avvicinassero,' alméno : un pòco, 
alla Farnesina , al Mosè , alle Stanze , alla cappella Si- 
stina. Ma ben si sa che non è dato ai regnanti o a 
qualunque capo di repubblica , ancorché voglia spender 
molto, condurre le arti al buon gusto , imperocché esse 
vivano di vita propria e consentanea alle condizioni del 
popolo tra cui si coltivano. 

Troppo s' è parlato di quello che con vocabolo strano 
si chiama barocchismo o barocco. Io credo però che 
se un vero filosofo si desse a studiarlo profondamente, 
troverebbe qualche cosa da dichiarare, se non da ag- 
giungere, a ciò eh' è stato detto sovr'esso da ingegni 
argutissimi. A me, per esempio, intimamente persuaso 
che non v* ha storia politica , letteraria , artistica che 
s'assomigli, non basta per ispiegare codesto fenomeno 
la solita dicerìa che l'arte giunta ad una certa altezza 



280 PARTR -TERZA'. 

le bisogna discendere, e che i secentisti , perduta V ispi- 
razione <e l'entusiasmo, s'appigliarono alla materialità 
dei -mestiere, e va discorrendo. Tali ragioni persuadono 
sino ad un < certo punto, e restai -sempre il dubbia m 
grand' ingegni o taluni anche privilegiati non ■ avessero 
realmente: colmato qualche vuoto noli' arte precedente 1 e 
peccato solamente nel voler raggiungere una impossibile 
perfeziono. Per me l'arte barocca fa l l esagerariéne»idtìl 
bello. Il contrasto degli affetti, dei colori, delle mohrenae 
nelle figure è un principio assolutamente estàtico t^ncH 
vita d' invenzione e studio di particolari è da riehibderei 
in ogni opera d'arte: il movimento è più artktreo della 
quiete: ideale e verità congiunte in sì&ne danno. Fieecel- 
lenza. Convinti di ciò 7 gli artisti cercar ono r studiarono 
clie nelle. loro opere fosse pienezza di quelle- doti :< gui^ 
ctafeilpiù dalla testa ebe dal cuore, volleix) che p&r «forfaa 
entrassero in oppi invenzione^ e per la conseguenza defilò 
sforzo medesimo- esagerarono .nell'esecuzione anche»! 
plausibili principi. Contrasto di affetti, di setubianti^di 
movimjenti, di colori ? Ed ecco accanto alla « Vergine^ 
mirabile per gioviale beltà, monaci quasi spiratiti iJ per 
incredibili penitenze : carnefici ben pasciuti *e mbèdondi 
vicino a esili e pallidissime- donzelle o a magri giovinetti, o 
a macilenti vecchiardi: figure rilevate da luce smagliai 
te in mezzo ad altre, quasi dissi, invisibili- per- ombre fit-^ 
tissime. Novità d'invenzione? Ed eccovi \m San Guy- 
vanni che bacia i piedi di Cristo mentre gjfó apostoli 
fanno i lor convenevoli alla Vergine come ad una gran 
dama, la quale, sodisfatta dei complimenti , asciuga ;te 
lagnane dei : buoni cortigiani. :Se volete movimento,, naii 
ratelo .niella strage degl'innocenti, tèma favorito^ tra** 
tato» >e variata ■ in mille guise con gruppi animati," fughe; 
intenzioni , lotte , spasimi , ferocie ; nelle statue le cui 



CAPITOLO V. Jfcl 

vepti JsetnbittHp . mosse da ■ veoto furioso-}* perain nei ri- 
ti^ i&tfttijia^ gli ooofai^i lai boeea; le 
gote i£Ìltojtya iinsidme sembrai agitato Ida co avulsioni. Idean- 
te esagerato nelle madonne mpite^'^ei frati; oh e vanno 
m>amy; negli aageli in atto di daflaasulleum^oleL'-se*- 
citai jsjtòetafcaj Belle tìontorsioni degl ? indetaoniati^ neinsan-' 
gUóinab^nspiocia daètei&nte dei martÌFÌ T nei riechi i torsi 
Mteidofiaie ignrtde^ nei colossali santi ehtì per. la loro 
smnivtaj ; midi tà. faglio spavento. Convenevole è l'ornar 
tìamitOs-vdkea •!• Architetterà ; e> però; ne sovraccaricava 
gli >bdifiaiy elianto andava più lodata quanto più ne va- 
riavia i le» i&irmeh perchè^. diesa la Scultura, &cpi potrò io 
Fltggiungei»/ gli effetti detta^ >mia , emula ? E in questo 
intento^ cercava ariosamente guizzi di luce f risalto d'eoi- 
birej e : persino , , se' fosse stato . possibile,; il contrasto dei 
mlsài 'pdroprio della pittura. .• Non più. , con tó isévere ; leggi 
dèlio statuaria,, l'artnooia nel giusto equilibrio dette -li* 
neeiìe le forme ve^é; degli oggetti;, ma. beasi rillusioiie 
delia prospettiva, il chiaroscuro cercato con* i& vdrfe euuih 
yeaae^ con le profonde pieghe» delle vesti e ooi potenti 
muscoli- dciUe statue tormentata 
i» r Ia : mezzo a ciò chi dicesse che in altre epoche il 
gcandiosQ ja ciò che dicesi decorazione fosse arrivato 
ai punto in «ai giunse in questa, s' ingannerebbe: a par- 
tito. Tutto hbìò che potea piacere fidi' occhio men deli- 
cato», ma: più avido di spettacolosa magnificenza era 
spiegato ali' intorno da Éabbriche innumerevoli di chiese, 
di palazzi, di nausei, di gallerie, che papi, cardinali, prin- 
cipi innalzavano ai gara quasi per creare una; nuova 
Rama. E questa nuova Roma che, lasciando i -pressi 
del ponteSant' Angela edi Campo di Fiori si ! stestì più 
yei^ la. parte del' 'Canapo Marzio, fa inaurar, le •ciglia 
anch'oggi: aila'ibomnne degli uomini piti che noi fec^ 



283 PARTE TERZA. 

ciano il palazzo della Cancelleria, la Farnesina dei Baril- 
lari, la casetta del Governo Vecchio, il palazzo Ciccia- 
porci, il Ranco Santo Spirito, l'Immagine di Ponte ed 
altri edifizi del cinquecento. Malgrado però i difetti di 
tai colossali edifizi, non si può negar loro un' abbaglian- 
te grandezza, che risponde alquanto al gusto romàno 
smanioso del magnifico sì nell'antico sì nel teriipò fno- 
derno. Certo b pure che per quanto si vogliano lodare 
gli architetti del cinquecento, essi non giunsero alla bel- 
lezza delle gallerie e delle ville del seicento, rielle quali 
l'arte decorativa fece le sue ultime prove. 

È strano che mentre il grandioso, il magnificò, il 
sorprendente era ricercato con ansietà dalla maggior 
parte degli artisti; vi fosse come una contradizione-, una 
protesta b altro di simile in un genere di pitture, che 
ispirandosi per altro alla natura , cercava di essa 51 
lato mén nobile col ritrarre pecore, cani, cavalli , don- 
nicciuole, marmaglia, bagordi, vignate, e prendessero 
vóga le bambocciate, in cullo studio dal vero non dava coiti- 1 
penso di quello che della grand* arte del quattrocento è del 
cinquecento s* era sventuratamente perduto. Fu questa però 
1' età dell' oro del paesaggio non solamente in Roma e in 
Italia, ma in tutta V Europa. Bastano fra gli stranieri i 
nomi del Rubens, di Filippo di Champaigrie, Alberto 
Cuyp, Giovanni Both, Niccola Berghem, Giovanni Wì- 
nants, Adriano Van de Velde , Carlo Dujardin, Claudio 
Lorenese, dei Swanevelt, Ruysdael, Mindòrhoot, Hob- 
bema. In Italia Niccola Poussin, contemplando la cam- 
pagna romana, dava al paesaggio il carattere storico. 
Fra -gì' Italiani, il Domenichino, Salvator Rosa, Gaspare 
Dnghet o Poussin coglieano i frutti del seme gittato da 
Antonello di Messina, dal Ghirlandaio, dal Tiziano.. 

Ogni maniera di artisti italiani o stranieri veniva a 



CAPITOLO v. 283 

t^ftatfsi pocp o .mo)to nell'oceano di bellezze che occu- 
pa e .circonda Roma. Francesi, Olandesi., Piammin- 
ghi, più . spesso riuniti in geniali convegni, accoglievano 
up .iwayo venuto della, lor patria con suntuosi conviti 
che,tr;a : il mangiare e il bere copioso si : protraevano al- 
meno per ye#ti<juattr' ore continue* Battesimo $i. chia- 
mava ( questa, geniale e rumorosa cerimonia: e in fatti 
al auovo. venuto, che chiamavasi novizio, battezzato col 

".ili ì ■ / 

vinp, era messo un nome nuovo che si cavava special- 
mente *il^^ dalla fisonomia, dal portamento. Così 
Pietro Wander gobbo, mal disposto, di sconcertala pro« : 
por7Ìope. f ,fu chiamato in uno di quei profani battesimi 
il Bamboccio:, e parve fatalità, poiché egli non, dipinse 
in, appresso altro che bambocciate con sommo ingegno 
p$rò e con industriosa e paziente imitazione della, na- 
tura. l 

Era eccitata la. emulazione degli artisti; dai concorsi 
banditi dall'accademia di San Luca ,in temi proposti 
da, persone letterate. Li aveano messi in uso i Caracci; 
^ (Pietro da Cortona ne avea seguito T esempio. Se non, 
che,, interrotti per la nuova fabbrica dell'Accademia, fu- 
rono ripresi poi sotto il pontificato di Alessandro VII. 
Ma . non cessarono le pubbliche esposizioni, anch' esse fe- 
conde di emuli sforzi, nelle occasioni di feste o alla Ro - 
tonda quando la congregazione elei Virtuosi celebrava 
in quella chiesa la festa di San Giuseppe, o nel cor- 
tile di San Bartolomeo dei Bergamaschi, o nel chiostro 



1 Morì nel 1642. I suoi quadri (dice il Passeri) pareano una 
finestra aperta da cui si vedessero le cose e i fatti veri senza di- ''■■ 
vario e alterazione. « Vite de' pittori scultori ed architetti che ■ 
anno lavorato in Roma morti dal 1641 al 1673 di Giam- 
battista Passeri pittore e poeta. Prima edizione. In Roma 
MDCCLXXII ec. » ' 



2$4 l'ARTK TRRZA. 

di San Giovaani Decollato ai tempi profissi, dove ai 
quadri più degni si appiccavano elogi stampati in vera 
o in prosa, mentre amici zelanti li esaltavano , nemici 
focosi li deprimevano, o. poco meno che tra gli ujni e 
gli altri non si veniva alle mani. In queir aggrupparsi 
di artisti per giudicare della lode e del biasimo da com- 
partirsi ai più o meno fortunati espositori , era curioso 
spettacolo vederla varietà degli abiti onde si manifestava: 
no le diverse nazionalità o le diverse tendenze politiche, e 
meglio ancora le differenze dei caratteri espressi dagli 
esterni portamenti con ischieltezza che oggidì parreb- 
be semplicità o fanciullaggine. Michelangelo delle Bat- 
taglie , beneficata in sua fanciullezza da non so quale 
spagnuolo, volle mostrare per lungo tempo la sua giratiti^ 
dine vestendosi alla foggia di quella nazione: il che non imr 
pedi elio mostrasse il suo entusiasmo per la rivoluzione 
di Masaniello ritraendola in pittura. Alla fiamminga i 
Fiamminghi, alla francese vestivano i Francesi : ma Niccolò 
Poussin messo una volta a pericolo di vita, appunto pel slip 
abito alla francese, in uno di quei tumulti sì frequentigli? 
fazioni , preferì in appresso, con prudente consiglio , per 
non più trovarsi in simili strette, la foggia italiana, 
11 Borromini (dice il Passeri) fu « di buona presenza, 
ma si rese sempre una figura da esser particolarmente 
osservata , perchè volle del continuo comparire col me- 
desimo portamento e abito antico senza voler seguire 
le usanze come si pratica giornalmente. Usò la randi- 
glia alla spagnuola o le rose tonde alle scarpe e nella 
medesima foggia le legacce alle gambe. » 

L' orgoglio giustificato forse dall' ardito ingegno e 
dalle opere ardite si mostrava nell'Algardi coli' andar 
per le vie e nei convegni portando sul petto e sul 
mantello la croce di Cristo di cui era stato fatto' cava- 



1 ' I 



CAPITOLÒ v. 285 

Iterò 'dà! paf>!a; inentnó la superbia di Agostino Tassi 
di Pèròtgia (1566-1644), che usava andare a Cavallo con 
titìa tenga spada, una grati collana d'oro a traverso la 
persona ^ un servo alla staffe, non ora proporzidtìata 
sdlé' ! stté o^ere, a' suoi scarsi guadagni, ài suoi dissoluti 
cófcttiitìi: l ' •;'" '" : ' '"'' ' 

'Alcuni artisti' furorió solamente di passaggio 1 ih Ro- 
itià, altri' vennero Solamente a morirvi. Frahcesèb Fu- 
ririi attere fiorentino" nel 1647 visitava Roma. Còl prin- 
cipé ' cardinale Giovali' Carlo di Toscana giungeva fra 
noi Atitónlo Novelli di Castelfranco (1600-1682), scul- 
torei, dhé contemplando le nuove meraviglie, esclamava 
dóletìte: Bagnava venirvi prima ! L'età matura ora- 
mài non gli permetteva più di cambiar la sua maniera 
innanzi ai grandi modelli. E anche col Medici tornava 
CWustó Subtermans d' Anversa, V amicò del : Rttbòrtè " è 
idei ■ Van Dyck , il celebre ritrattista, 1 quegli che ci' làscio 
più vére le nobili sembianze di' Galileo. 1 Egli segnò il 
Sub passaggio in Roma coi ritratti d'Innocenzo X é di 
'dolina : Olimpia e suoi figliuoli con tutta là casa Pani- 



i • ;• 



1 II Tassi era in continue risse per i suoi sfrenati amorazzi. 
Una volta, assalito da molti a piazza Borghese, fu creduto uii>rto: 
si rialzò b spaventò con le gTida i nemici. Avea bisogno per tu- 
telarsi ài aver qualche salvaguardia, e ottcnea dai cardinali di 
alzar la loro ,anua sulla sua casa. Il cardinal Maurizio di Savoia 
glie la colesse, poi glie la tolse ; ma il Tassi non si dette per 
vinto, e alzò l' arma del papa facendosi credere Palatino o a ser- 
vigio del palalza con certe sue astuzie. Mori fra le sue Taidi nel 
1644. Ad onta di- ciò avea una certa onestà nell'arte. Innocenzo 
dicea che da tutti ora stato ingannato meno che da lui. l)i<que 
stupirono i cortigiani Ma il papa aggiunse: € abbiamo tenuto 
sempre in cattivo concetto molti di questa professione, nìa con 
arorli praticati, ci sono riusciti onorati e di buono qualità; ed 
ayendo sempre tenuto, por. uno sciagurato Agostino, .ci ò- $emprp 
iii ogni esperienza riuscito tale, e costi non ci siamo ingannati 
nel pensar di lui. » (Bellori, cit. pag. 112) . 



280 l'AKTE TERZA. 

filia. l Insieme col giovane Siro Meus fiammingo velino- 
vi anche per poco Stefano Della Bella, intagliatore in 
rame, il seguace della maniera del Callot, famoso per 
la sua avventura a Parigi: dove, in uno dei tumulti 
della Fionda, minacciato di morte perdio italiano e quin- 
di creduto fautore del Mazzarini, la scampò netta per 
T avvertimento di un tale che disse: Ignoranti! Co- 
stui non è italiano, ma fiorentino ! 

Qui morivano, fra i più notevoli, il parmigiano Lui- 
gi Lanfranco e il lucchese Pietro Testa. Il Lanfranco 
(1580-1647) era stato nemico di queir anima altissima 
che fu il Domenichino. Finita la cupola di Sant'Andrea 
della Valle tolta al pennello del rivale tanto più gran- 
de di "lui, se ne stava, nel primo regnare d'Innocenzo, 
a Napoli, dove, pittate a terra le pitture del Domeni- 
chino nella cupola' della cappella del Tesoro, vi aveà 
eseguito le sue. Mostratosi in queste inferiore anemie a 
se stesso , era tornato in Roma nel 1646, e dipinse a San 
Carlo* dei Catinari. * Nel 29 novembre del 1647 morì 
e fu sepolto a Santa Maria in Trastevere. Intanto la 1 
plebe sollevata a Napoli rovinava molte delle sue Òpere 
pittoriche e tra le altre la galleria eh' egli avea dipinto 
per il duca di Maddaloni. Furono i devastatori condotti 
da qualche occulto o aperto rivale del Lanfranco? O 
vollero essi vendicare il povero Domenichino e render 
la pariglia al suo fiero nemico ? 

Il Lanfranco però , per quanto odioso, morì nel suo 

J « ... e dipinse Donna Olimpia <?' suoi figliuoli con tutta 
la caéa Pam filia. Baldintjcci, Notizie di professori del dì- 
segno mg, Sècolo V, dal 16 iO al 1670 (Firenze 1728) pag. 181. 

* Il P. Cristoforo Giarda, l'infelice vescovo di Castro, fu il" 
protettore del Lanfranco perchè di Parma, e quindi suo compa- \ 
triotta. Il Lanfranco fu famoso perchè adattò nuova decorazióne 
pittorica alle grandi vòlte e alle grandi cupole. v . 



CAPITOLO \\ 3ft7 

letto , mentre miseramente moriva annegato , non ancor 
quarantenne, il buon Pietro Testa di Lucca (1@1 1-1650). 
E^li, dipingendo poco per mancanza di commissioni 7 $i 
dette a. intagliare ad acqua forte, .Sebbene mal pagati, 
erano però ayidaraente cercati e raccolti dai forestieri 
i suoi r?uni ove solca in grande spazio rappre^ntare . 
concetti ^idealL e. poetici. L'ultimo suo lavoro però era 
storico: da che avea pubblicato quattro stampe della 
vita, di Catone Uticense che si prefiggo^ di seguitare. 
In mepzq ,a ciò coltivava le scienze meteorologiche $ si 
sprofondava nella filosofia di Platone, in cui ,era forse 
incomp/repsiyie e, senza dubbio, incompreso. Fantastico 
molto, si compiacea di ritrarre anticaglie e si; studiava 
imitar nello pitture i tempi notturni e le varie muta- 
zioni diaria e del cielo. E però cercava. Luogo, e prò 
oppprtune a studiare il vero. Il primo, giprno ; .di qua-, 
resima dell'anno santo 1650, s'era condotto suljq rive , 
del ^Tevere, e veduti certi belli e curiosi riflessi, ch.e vi 
facea l'iride, osservandoli jntent^mente li disegnava,, 
quando, o sdrucciolato per il molle del . terrenp : o fuor 
d equilibrio per qualche rapido moto, cadde nell'acque, 
ove j non potendo da so nuotare ne esser soccorso da 
alcupq, perì. Altri disse che. volontariamente s' annegò 
perche annoiato del mondo in cui non era riconosciuto 
il suo vero valore nelle discipline filosofiche e lo si la- 
sciava languire in miseria. Quanto a me se un poeta 
ini rappresentasse il Testa, che rapito alla contompla- 

1 Così erode il Belloki che dice anche; « ... fu trovato af- 
fogato nel Tevere dalla parte della Lungara, vicino. alla chiesa 
de' SS. Romualdo e Leonardo de 1 Camaldolesi, quasi sulla riva, ma 
del tutto vestito col mantello, addosso. » E : sui .carattere :de} Te- 
sta « ... ebbe sventura della- sua troppa fastosa. presunzione unii . 
ta ad una semplice naturalezza che veniva battezzata per roz- 
zezza. » i 



'ìtffi PARTE TKRZA. 

zionp del bollo, vi s'immerge, sino a scordare la vita:/ 
mi farebbe cosa che rivela la nobiltà dell' uomo meglio 
delle favole di romiti lussuriosi o di cavalieri -adenti 
che spiccalo un salto noir onde e vi si perdona per 9.W 
bracciare la vaporosa e ignuda beltà apparsa e sparita 

sotto $, osse! 

. ■ ■ * 

Aqchq il romano Giovambattista Sorìa at^hitetto^JlSWl - 
1(351) autore della làcciata di Santa Maria dpH# Vit- 
toria, <li quella di San Carlo a Catinari e dei portici e 
della facciata di San Gregorio, così acremente .biasimata 
dal Milizia, moriva nel 1651: e nel 1(553 Angelo .Ca- 
roselli pur romano, pittore di gran finitezza, che, amo- 
roso per tutta la vita, non sapea lavorare se non avea 
la vista di donno leggiadre. x , . 

Tra i moltissimi artisti che occuparono tutto il re- 
gno d'Innocenzo, altri vissero, si può dire nella corte 
e np trassero ordinazioni di opere pubbliche, altri si ag- 
girarono in ,un cerchio appartato lavorando rammento 
per : la corte, pontificia, moltissimo per privati o per corti 
straniere. Tutti insieme però formavano la società, rebe 
abbiamo descritta, non priva di gare, d' invidie e di al- 
tre male passioni , ma viva, elegante, immaginosa quale 
può vedersi e si vedrà anche in Roma, con vegno d* ar- 
tisti d'ogni più lontano paese. 

Stranieri famosi eran tra gli altri il tfltfemaert , il 
Poussin, Claudio. Lorenese, il Borgognone. Chiamato a 

T Noi 1639 moriva a Venezia, mentre s'accingeva a rimpa- 
triare, mòriaieur Àrmanno di nazione fiammingo, pittore di pac- 
sagj^. $rdls£tost<> di 'Roma pcrchò : era stato tenuto in carcere 
prima al Sant' Ufficio, poi alla Minerva per aver mangiato carne 
iiQi gierjiv^ v tempi. proibiti. (1) Stando alla Minerva dipinse nella 
Sagres.Ua due paesi a fresca * uno sopra la porta, ma nella parte 
di 4oitfji$,j 1' .fclfto alT incontro, della grandezza mwltesima. » (Bel- 
lori). 



CAPITOLO V. 



$Ù 



Rohm dal marchese Giustiniani per intagliare le iàmòse 
saettatile il Bfóòmàert -, incisore in rame, ViVéà voleri- 
tieri : sotto il 'nostro cielo, ma ritirato ed oscurò quasi 
patàrostf dè& raggi della gloria. Irinaraoirato dèìPttàTia per 
le : àrdenti ; patólè del poeta cavalier* 'Mariti, (Jui pVtfrhós- 
so da Cassiano Del Pozzo, il francese Niccolò ' Passino 
o 'Pòiisfeiil di^Aùdéty)' dòpo un breve ritorno in pèìliria, 
rivedeva 1 Sloraa :i fier tittri abbandonarla mai più sino al- 
la 'mòrte. 'Né so dire? se questa fosse là sua seconda pa- 
tria/o -aòh -piuttosto la vera e la £rinia: : poidiè da due 
italiani >&bbe aperte le fonti della poesia e dell' erudizio- 
ne, e fra nò! ebbe l'ispirazione all'arte, la dimora, il 
sepolcro y la gloria. Un suo compatriotta però, Andrea 
Félibien, fu quegli che ci dette della'sua vità'urià schietta 
narrazione noni sorpassata dai seguenti scrittori pei* im- 
plicita ed esattezza e soprattutto per giudizi cihè fasci-' 
rono dalla 1 bocca- dello Stesso artista/ Il ^libieri' ili fatti, ' 
impiegato presso il marchese di Fòntenay àmbàsci&'dòfe, 
ebbe scampo di frequentare per lungo ■ téihpoi migliori ■ 
artisti» rendenti a Rorna^ e più s ? intratteneacdl suÒ'ktiii- 
co : «anbbeper amore di patria, e facea tesoro d* ogni èuo' 
atto' p d'ogni sua parola. ! La casa del Poussin sul Mon- 
te Pincfcy -accanto a -quella di Salvator Ròsa;, àvèà di 
prospetto quelle degli Zuccheri e d'unaltr'o francese Claiù- 
rlio Gelleè'it'Lotfenese, il pittore degli effetti di luce e 
dei lootatìii'tapdrosi, il quale sin dal 1627, tentato* a 
Roma, non volle più dipartirsene. Jacopo Cortesi di Bor- 
gogna, cono^diiitt)'col nòttf e di Borgognóne,' pittore di, 
l>attàgliecliej portagli la.jtnogli^ finì gesuita senza, la- 



i ■ . ■ ■■ * » «^ « . ■ ■ » ' 

• i i,. ■ ■:.■ ... .■ , . i. • ■;. " ■ ■ *■■ > 



, ' Andké PÉLiBiM^ij'ewr <de$ Abaux et delaWerói/ fu a Soma 
dal 1647 al 1649. Scrisse »-F* opera: Entretìens sur tes viés et 
les Qtovna&es tles plus eapceUejUs péintres. Trovoùx, 1725 f , 6, 
voi. in 12. 

Ciampi. — Innocenzo X e la sua Corte. 19 



2iX) PARTE TERZA. 

sciar di dipingere ; era stato tirato fuori dell' oscurità., 
in cui giacca, dalle lodi imparziali di Michelangelo Cer- 
quozzi romano. 

Questi (1000-1(500), tiglio d'un mercante di rcuoia 
o vaccinaro nel rione Regola, di carattere libero, schiet- 
to, generoso benché popolesco, si levò ad alta fama nel- 
la pittura delle battaglie e poi delle bambocciate, e fu 
chiamato successivamente Michelangelo delle Battaglie 
e dei Bambocci. Poro è conosciuto dalla posterità, col 
primo soprannome. Fu valente nella zoografia o pittu*- 
ra d' animali , i quali prima ritrasse in nobili forpie e 
montati da arditi cavalieri, poi storpi, spolpati e carichi 
di guidaleschi. Ebbe a compagno nello studio degli ani- 
mali Antonio Amorosi noto assai più nel Piceno pei suoi 
quadri comici, in cui, fuorché nel colore, può dirsi fian> 
mingo. E un altro pittore d'animali, ma d'animali pic- 
coli e morti come lepri e uccellame, alla maniera del 
Coning e del Tyt, ebbe fama allora : e fu Arcangelo Re- 
sani, il quale contornò di simili bestie anche ilsuo.rir 
tratto che fu posto nella galleria Medicea. Benché il 
Cerquozzi fosse amorevole verso la nazione spagnuoja sino 
a vestire con affettazione alla moda spagnuolesca : ; pure, 
uomo uscito dal popolo, fu trasportato anch' esso dalla poesia 
popolare che spirava dalla rivoluzione di M^sa^iello , e nel 
palazzo del bah Spada dipinse la celebre sollevazione con 
infinite figure, ritraendo, senza aver mai visto Napoli, 
con verità meravigliosa le arie delle, teste, i movimenti, 
gli atti di quella plebe per sola forza d'immaginazione. } 

Come il popolare Cerquozzi non fu molto cercato 
dalla corte, così molto meno fa meraviglia che non, vi 
venisse chiamato V altro romano Martino Longhi, uomo 

1 La sepoltura del Cerquozzi ù a S. Maria in Àquire. 



CAPITOLO V. 2$1 

di concetti fra strani e ardimentosi come mostrano la chiesa 
di Sant'Antonino dei Portoghesi, quella di San Vincenzo e 
Anastasio a Trevi sulla cui fronte si legge il nome di Giu- 
lio Maszarini e la più celebrata sua òpera della scala nel 
palazzo Gaetani, oggi Ruspoli, al Corso. Egli fu d'una 
fierézza indomàbile con istupende còntradiziòhS. Méntre, 
secóndo la frase volgare , a chi dava e a chi promet- 
teva, si 'lasciava poi battete dalla madre come un fan- 
ciullo, contentandosi di dire: Signora madre, 7n* ave- 
te fatto "sano ed ora volete storpiarmi? Per le sue 
dissolutezze fu una volta arrestato. Frugatolo nelle vesti, 
gli si trovarono scritti e ricordi de' suoi peccati; Fra que- 
sti v'era la confessione di aver detto male di P. P. 
Domandatogli chi fosse costui, egli rispose esser Pietro 
Peparelli suo emulo in arte, o, se si volesse, anche un 
padre Peparelli domenicano. Gli esaminatori non si con- 
tentarono di questa spiegazione, e, col fare dei òrimi- 
nafisti di quell'epoca, voleano per forza che lo sciagu- 
rato avesse detto male del papa, e ci volle del buono 
è dèi bello a dissuaderli. Mancatagli la madre, il Lon- 
ghi so ne partì da Roma chiamato a Milano per là fab- 
brica del duomo. Parte pel suo stravagante carattere, 
parte per invidia mal visto e contrariato, ben presto vi 
morì (1604-1657). 

Era ÈioHb giovane allora l'architetto Giovanni An- 
tonio De-Róssi (1616-1695) della terrra di Brembato 
nel bergamasco. Se poi egli si fece onore col palazzo 
Altieri al Gesù e con altre opere, non alzò certo il suo 
nome con la bisbetica chiesa della Maddalena. Fiori- 
vano anche in quel tempo con discreta fama i romani 
pittori Giovanni Angelo Canini (-+- 1666) Giovanni Ba- 
glione (1573-1680), e gli scultori pur romani' Jacopo 
Antonio Fancelli (1619-1671), Paolo Naldinr (1614- 



■ ^ ■ « 

202 PARTE TERZA. 

168?4) e Giuseppe Peroni ■"(+ 1663), Questi 1 érà più 
nominato per i suoi stravaganti viaggi (tra i quali _<Jifelió 
di Svezia insième con Girolamo Zenti cimbalarò per di- 
vertir^ là regina Caterina e farle il ritratto a Stotf&h&lin) 
che. per ' mediocre eccellenza' che avesse attinto nelì'&rte 
sua. Giambattista ' Passeri , di cui lodànimo gir scritti , 
appena èra notato come pittore;' ma Caterina ' trinhàsi 
della famiglia antica dei Ginnasi, òiide si'chTatBà'tìna 
via di' Roma,, avea una certa onoranza, perdio' 'dì 1 ' no- 
bile stirpe, s* era messa all'arte, e, incoraggiàfóLSài'^itò 
zio cardinal Giovanni Ginnasi, avea fatto cjitàdri nella 
chiesa di santa Lucia rifabbricata dallo stèssb ! : S'ella qùàl 
chiesa^ ella inorfà di éettarif anni nel 1660, ebbe' 'sé- 
polcro. 

In disparte dalla corte, ma famósissimi , erano ad- 
ditati : Andrea Sacchi di Nettuno (1600-Ì66I) 1 : è s "Sal- 
vatore Ròsa (1615-1672). Il' primo però, còme' atterrito 
della grandezza' dell'afte, entusiasta di Raffaele sitìó a 
contemplar' qualche stia ópèifà per ore ed ore chiatilslà 3 - 
dólo angelo del cielo, non adoperava oramai pm il ^éi!i- 
nellò; e lasciava che la chiesa di San Luigi dei Fran- 
cesi fosse ingómbra del palco, su cui dovea oWiài^'là 
vòlta ordinatagli dal cardinale Antonio Bartlérinr per 
mostrarsi riconoscènte alla Francia, seniia eh' egli mai 
vi salisse : e ciò con molto stupóre degli emùfiche gì 1 Invi- 
diavano Y onore ch^ egli d' altra jìartè pàf*é$ npii curasse. 
Quanto al Rosa, veduto à Róma là prima vòlta di ven- 
tidùe anni, tornatovi nel' 1635 ^ e lasciatala per anda- 
re qol cardinal Brancacqi a Viterbo e poi, solo, a Na- 
jfiAb y vi pp$e dìmpirvgtie ^òveyft^ssere stabile, nel 163#- 
La rivoluzione di Napoli intanto lo chiamò a sé; ed egli Je- 
ce parte della compagnia della Morte composta per 'lo più 
d'artefici, massime pittori, di cui era capo il suo maestro 



CAPITOLO V. 293 



» •( I» 



A niello Falcone. Rifugiatosi di nuovo a Roma col Fal- 
cone, che seguitò il cammino per Francia, parve che 
sili 4' allora volesse prendere la, nostra per sua patria 
adqttiya. , Checché sia del tempo in cui soggiorni) in To- 
scana,, certo è che nel 1052 e nel 16o4 stava in Roma, 
CQpxe si può veder dalle sue lettera pubblicate dal' Rot- 
taq. : ; Jl suo vivace spirito, il suo orgoglio, benché ben 
fpndato, e la sua irascibilità lo faceano meno adatto a 
cortigianerie o almeno a quei modi che si voleano per 
guadagnarsi la benevolenza dei grandi. I» sue . satire 
poi lo rendevano a dirittura spaventevole : e certamente, 
a contrastargli il cammino della reggia : , furono da' suoi 
contrari ripetute e fatte notissime le parole eh' egli pro- 
nunziò a San Giovanni Decollato additando una pittura 

esposta : — Questa è opera d' un pittore che l' accademia 

■■■■■■ ■ * . ' 1 1 

di£an Lucfi non vuole: sarebbe bene ohe l'an^mettes- 
* . . ' * * * ' ' • 

sero: sa di chirurgia, e rassetterebbe leloro storpiature. — 

Non gli fu perdonata la satira mai più : e in verità era 
tremenda. Non ebbe commissioni di opere pubbliche se 
Qon se assai tardi: tanto che in una lettera dell'otto- 
bre 1669 egli esclama: « Sonate le campane che fi- 
nalmente dopo trentanni di stanza in Roma e di una 
strascinata speranza ripiena di continovaté lamentazioni 
e co' cieli e cogli uomini, s' è pure spuntato uoa volta 
di mettere al pubblico una tavola d' altare : 2 » cioè nel- 
la chiesa di San Giovanni dei Fiorentini entro la cap- 
pella Nerli. Del resto Salvator Rosa non ebbe bisogno, 
per acquistar fama e ricchezze, dell' aiuto di Mecenati. 

1 Raccolta di lettere sulla pittura, scultura ed architet- 
tura. Roma dal 1754 al 1773. Ristampate con aggiunte a' Milano 
■18224825. :.-... ■' ■.■...■:;•.];:■■■.■■•: .. . . 

2 Boxtari cit. , .,,.!.' ; . _, .:>>!. ...... 



204 



f . i* !•■ • 



Capitolo VI. 

Artisti in grazia della corto. — Fabbriche tT Innocenzo. i — 
Piazza Navona: palazzo PAmfili: fontane. *— S. Gitivaami 
Latcrnno. — S. Pietro. — Mura. — Ravenna.. rr. Cam- 
pidoglio. — Carceri Nuovo. , !ii / i ,- 

Artisti però, che non tanto andavano peir foli mag- 
giore, quanto sapean meglio procacciarsi i fasori» dei 
parenti del papa, di donna Olimpia, dei. cardinali pa- 
droni e del pontefice stesso, furono da questo adoperati 
nelle grandi fabbriche di Roma. Alcuni riuscivano cop 
molti sforzi a raccoglier solamente i bricioli della* ^ran 
mensa. Pietro Francesco Mola di Milano (1012-1068) 
appena giunse a dipingere qualche stanza per don Ca- 
millo nel palazzo di Val Montone: pitture, cherppi, 
per alcune liti suscitatesi, furono fatte gittare a tepra 
dallo stesso principe. Giovanni Angelo Canini (.-**. 166lS) 
fu dal marchese Astalli adoperato pel suo. castello r. di 
Sambuci presso Tivoli. E il Lanfranco, quantunque per 
mezzo di donna Olimpia negoziasse il lavoro della log- 
gia, della benedizione a San Pietro , di cui àvegl già fatto 
i disegni al tempo di Paolo V, non giunse al}$ mèta del 
suo desiderio: poiché il papa fu consigliato,. a. non im- 
pacciarsi in lavoro sì lungo, e toccandolo nel suo gelido 
taccagno, a lasciar la loggia, con poco stucco e imbian- 
catura, pulita e liscia. 

Innocenzo, in fatti, non amava molto lo spendere; e 
crédo che a fregiare la piazza più popolare in Roma dì pa- 
lazzi, di fontane, di chiese, fosse tratto moltp più.idall'^- 
fezione o piuttosto ambizione di famiglia, che da veramu- 



CAPITOLO VI. £95 

nificenza. Ad ogni modo, non iscrutando le sue intenzioni, 
io gli dò lode per il buon effetto , e mi rallegro che ad 
innalzare i nuovi edifizi, fuori dell'obelisco portato da 
Capo di Bove e posto in più onorevole vista, non avesse 
minato . qualche anticp monumento coinè pei suoi giar- 
dini e. pel suo palazzo avea i 'fatto Paolo V $ellQ terme 
di" Costantino,' come per Santa Maria Maggiore Urba- 
no Vili della colonna che reggea la volta del tempio 
della Pace, come in appresso si fece, per nuove fabbri- 
che^ del bronzo del Pantheon e delle pietre del sepolcro 
di Cecilia Metella. 

Nell'antico circo, chiamato nei bassi tempi Campus 
agonie e, per corruzione facile a intendersi, détto in ap- 
presso piazza Narvria, l era 'già un palazzo appartenente 
ai Pamfili. Ma esso era ben poca cosa rispetto alla nuo- 
va' grandezza della casa, e j facea meschina figura incon- 
tro alla veneranda vecchiaia del palazzo Orsini 2 (ove 
oggi sorge quello del Braschi), alle case dei Cibo prin- 
cipi di Massa, sue vicino, e molto pai alT elegante casa 
'chfc'alla faimiglia Torres di Malaga nel regno di Gra- 

- nata (a cui successero i Lancellotti 3 ) edificava Pirro 

■ ■■•■■ ■ ■ ■ . .. 

1 Checchò faccia il Municipio archeologo scrivendo noi canti 
Piazza Agonale, essa sarà sempre chiamata popolarmente Na- 
vona. Era divenuta nell'epoca del Binaschnento il Circo Mas- 
simo dei ròftìant: chò ivi si davano giuochi carnevaleschi , cacce, 
tornei, rappresentazioni sconiche ecc. Sisto IV vi avea traspor- 
tato dal Campidoglio il mercato. 

2 Vi stava allora Ferdinando Orsini figlio di Virginio. Più so- 
vente dimorava in Bracciano con fasto romanesco. — Abitò in 
quel palazzo Oliviero Caraffa per cui grazia si conservò la famo- 
sa statua di Pasquino come è chiaro dalla iscrizione postavi e 
conservata fra i monumenti di Lorenzo Schradero: Ap Pasquil- 
lum — Oliverii Caraffa — Beneficio Hic Sum — Anno Sa- 

Ìjjtis M. D. I. 

3 Lafamiglia Torres vonira a Roma al tempo di Filippo II. 



1W\ l'ARTB TERZA. 

Ligorio. Bisognava dunque un palazzo veramente degno 
e del pnido e del nome dei Parafili : e ben presto, com- 
perate le case contiguo dei Mellini, dei Gotth'redi e dei 
detti Cibo, la rv^ia, ornata di statue antiche; decorata 
delle pitturo doi migliori pennelli, fu compita nel giro-di 
un solo decennio. 11 romano Girolamo Ramateli (1570- 
1655) ne S\x Turchi tetto. l Discepolo del Fontana, egH-fera 
celebrato j>er molte opere, tra cui s'annoveravano come 
migliori la chiana di Montalto per commissione di- Si* 
sto Y, il porto di Fano, la casa professa de? gesiiiti a 
Koma, il loro collegio di Santa Lucia in Bologna, il casi- 
no della villa Taverna a Frascati, l'altare della cappella 
Paolina in Santa Maria Maggiore, il ponte di Terni ili un 
solo arco sopra la Nera. Dipinsero nel palazzo Giovan 
Francesco Romanelli che coi Barberini avea diviso il ma- 
jrniiico esilio in Francia e con essi era tornato, Giro Ferri} 
scolare di Pietro da Cortona, il Geminiani di Pistoia, 1 
e quel pittore romano Gaspare Dughet (Ì613-1675)che, 
maritala la sorella al celebro pittoro Gaspare Poussin 
ne prese il cogjioine e quasi un riflesso di gloria. ' Quatti*» 
to ad Andrea (.amassei da Revagna (1602-1649) & da' 
ricordare, un bizzarro caso per cui fu adoperato anèVe- 
gli nelle pitture del palazzo Famfili. àScolare del Do-« 
menichino e posto, in ricompensa di alcune sue opere, 
dai Barberini come custode della cappella in • Vaticano ; 



Rimase ai Mellini la parto ov' ora la torre, che, fabbricata sullo 
Stadium di Domiziano, ancora esiste, come esiste la torre dei 
Sanguigni pure fabbricata sullo Stadium medesimo. 

1 Del Rainaldi dice il Passeri. « Per la stretta famigliarità 
con cui il nuovo pontifico avea da cardinale trattato il Rainaldi, 
lo fece ritornare in Roma da Parma e lo dichiarò suo architi- . 
to, ma non della fabbrica di S. Pietro corno fu sospettato. .Diede-, 
gli la cura (VI suo palazzo in piazza Navone » (Pag. 221). 



CAPITOLO Vf. 2#7 

ridesti tolta* quando Innocenzo assottigliò le-speèe, attché 
\% sua» >proyvisào(ne. Di che dolentissimo, ritornò Art pa- 
tria • ey. bisbetico, qual era, ' cadde in nn fallò ; del "tèsto 
umanissimo allora, di far bastonare u» suo nettAcò. Ri* 
fagiatosii & Roma^ fn messo in carene : ma* Sè ; là <?à\tò 
coff dina, breve .'prigionia: 1 e ciò dovè all& &ua ; vatantià 
artisifaa fy< pia che alttoy alte protezione di dóhtiM OHm- 
pia* 'Chi?: svuole' che costei, acutissima wel ■ ftir roba, lo 
facesse scarcerare col • patto che egfr le dipingesse aÌètr-> 
ni aJfeesehi j . altri afferma che, sporitaheo, volesse dar 
segno i dalla sua* riconoscenza dipingendo il tfrtegio 1 ' còn : 
iatOtfielle inatte dalle Metamorfosi di Ovidio.- Ma' qvl egli, 
che,, (secondo . i gridi d' ammiratone di' quél 4 teitif)#, ! ebbe ! 
la* palma sopra gli altri pittori néiradornametìtio dèi 
grandioso palazzo, fu Pietro Berrettini daOérfwnà^ehe 1 
mai rion;, avrebbe immaginato, quando, bella ikiblà ,I tìèl 
Baccifera, per la sua inettezza appaiente ■ cliiaitaato dai 
suoi • Compagni ' Testa d'asino, un giorno avrebbe gtià-* 
dagnato, il glorioso soprannome di' GòYona de' fitttòrt 
co»; -purissimo anagramma che si fece da-Pietro di' Cor- ■' 
toha^ J: fatti principali narrati da Virgilio ■ néW Eneide 
in, sette scompartimenti nella galleria, oltre i 'casi di 
Enea leiDidone effigiati in una stanza attigua, furono 
sommamente . lodati con prose gonfie e bislacchi versi*, 
e persino/ copiati da buoni artefici , mandati in Fiandra 
perchè servissero di modello a tessere arazzi. 2 Ma fu 



'I 



] Il Bellori -peto dice che il Camassei fu Carcerato per dis-^ 
sapori con la Tamii gli a d'una donna ch'egli avrebbe dqyuto' spo- 
sare.' — Morì poverissimo. 

/* Il cardinal Ignazio Crivelli, inviato' Nùnzio in diandra,, ii. 
portò a Bruxelles in sei grandi quadri in tela a qùést' ottetto. Ma . 
furwttd por Sa Itti riportati *a : Roma é li possedè sìio nìpò'te car- 
dinal Carlo >-'Aà tiltimo li' ebbe la raccolta del Duca Marino Tor- 



208 PARTE TERZA. 

buono, a mio credere, che non si raggiungesse lo scopo , 
acciocché il molto men degno Cortonese non .fosse pari- 
ficato negli onori al sommo Urbinate. 

Non si puh lasciare il palazzo Pamfili senza* ricci*- 
dare il pittore Agostino Tassi, di cui pure abbìam parl- 
iate. Egli avea dipinto : , quando Innocenzo era car- 
dinale^ alcune stanze sì di fregi, sì di soffitti. Pàirvero 
belle a segno che il papa (secondo il Bellori) non volle 
ingrandire da quella parte r edifìzio per non gittare a 
basso le pitture, delle quali era tanto invaghito; 

11 palazzo era oramai in buona via per esser compiu- 
to. Efeso però non bastava. Era necessario per com- 
modo del palazzo stesso, per grandezza della famiglia, 
una chiesa e un collegio sotto la ' protezione- della casa 
Pamfilia. Ed anche a questi due edifizi si pose mano; La 
chiesa di Sant' Agnese era contigua alla casa : la vecchia 
chiesa* di Sant'Agnese che sorgeva nel luogo ove già 
s' bratto' svolti i òasi della vergine romana narrati così 
poeticamente dalla sacra leggenda. Nulla di meglio che 
farne' una nuova adatta al fasto spiegato anche nell ? W- 
namento della piazza. ! N'ebbe incarico il romano Cariò 
Rainaldi (1611-1691) figlio e discepolo di Girolamo;-' ciré 
si raccomanda alla posterità per molte opere fatte pri- 
ma e dopo di questo tempo, tra le quali le piti ménio- 



lonia. (Lettere e memorie autografe ed inedite di artisti trat- 
te dai manoscritti della Corsiniana pubblicate ed annotate 
da Francesco Cerroti bibliotecario.'Roma, 1860, pag. 10 notai.) 
Ivi son varie lettore relative ai lavori di piazaa Navona, ma po- 
co importanti. ; 

1 Per questo si soppresse il titolo di cardinalato della chiesa 
di S. Agnese in Agone e fu eretto un simile titolo nella chiesa 
di-'S. Agnese fuori delle mura, extra. moenia urbis, (Bull. Rom. 
Augustae Taurinorum ..) Tomo XV, pag. 773. Const- 5 <tòt. 1654. 
Hodie in consistorio ecc. ■ ■ • ! .-. -, 



.capitolo vi. 399 

rabUi furono le due chiose gemelle a Santa Maria del 
Popolo, .la facciata di Sant' Andrea della Valle, la parte 
esterna di Santa Maggiore che riguarda l'obelisco, la 
maggior parte dei giardini di Mondragone e di.vill^Pin- 
ciana. Adesso tracciò la pianta di Sant' Agnese a croce 
greca (tormentata, al dir del Milizia, coi pilastri ìh risalto 
che. fanno confusione di basi e di capitelli) e condusse la 
fabbrica alquanto innanzi. Giunto però al cornicione dovi* 
lasciar luogo a un altro architetto che fu il violento Bor- 
romini, a cui si debbono la vòlta, la cupola e la .facciata 
della chiesa. 1 I bassirilievi degli altari della chiesa e del 
sotterraneo -furono scolpiti dai valorosi scultori Ercole 
Ferrata da Pel setto nel Milanese (1 01 4-1 682} ^ed Ales- 
sandro Algardi (1602-1654). Questi, scolare cjei Ca- 
rocci, di presenza gratissima, venne tardi in fortuna ; ma 
favorito dai Ludo visi suoi compatriot ti, fece a mano a 
mano conoscere il suo valore. Il bassorilievo dell'At- 
tila lo rese celebre. 2 Fu amato dai. : Panifili. Don Ca- 
millo lo visitò mentr'era agonizzante: Innocenzo ,■ alla 
nuòva della sua morte, versò lagrime di sincero dolore. 
Fu sepolto T Algardi in San Giovanni de' Bolognesi (poi 
Santi Giovanni e Petronio ) con deposito e iscrizione , 
che adesso non vi si veggono più. 

I ricordi degli affetti e dell' ire familiari d' Innocenzo 
a de' suoi congiunti aleggiano intorno a questo monu- 
mento. Il vecchio pontefice , nel 15 agosto 1652, bene- 



1 Circa laparte che sulla chiesa di Sant* Agnese ebbero Gi- 
rolamo e Carlo Rainaldi v'han notevoli differenze tra le afferma- 
zioni del Pascoli, del Milizia, del Cancellieri, del (JiaLt: Io ho 
seguito il Cancellieri. 

2 II modello in gesso donato da Alessandro VII a raons. Vir- 
gilio Spada si conserva nel ripiano della scala grande che con 
duceva alla libreria della Vallicolla ed ora ai Tribunali. 



\ty) PARTE TKK/A. 

disse la terra da cui dovea sorgere la chiosa, ma quasi 
guidò la debole mano del suo amato pronipote fanciullo, 
del tìglio di don Camillo, del principino Giambattista 
Parafili, quando questi ebbe l'onore di gittar la prima 
pietra nei fondamenti. Fu per ira del papa, il quale ipal 
tollerava Carlo Rainaldi troppo obbediente a Cambio , 
che quegli fu rimosso dalla direzione della fabbrica e 
a lui sostituito il liorromini. La oscura tomba d' Inno- 
cenzo. mostra la ingratitudine dei parenti troppo, da lui 
beneficati. . -.. 

La conca o tazza circolare nel mezzo della, piazza 
Navona era stata posta da Gregorio XIII. Ma Inno- 
cenzo vagheggiava qualche cosa di spettacoloso, e pen- 
sava di ornar la fontana con .l' aguglia di Caracallg, qhf> 
era stata un tempo sepolta noi circo Castrense, dstÈo 
Capo, di Pove per l'effigie di questi animali scolpita' n&\ 
fregio del sepolcro di Cecilia Metella. Furono chiesti di- 
segni' a vari artefici escluso il Bernini : il quale però* gq*i 
là protezione del principe Ludovisi, marito di Costatola 
Parafili, trovò modo di far porre il suo modello in ti£a 
stanza del palazzo Pamfili per ove il papa, andatovi un 
giottio, dovea passare uscendo dal luogo del convito. Di 
ciò deve essere stata per necessità partecipe e complice 
Olimpia medesima. Ella , se non le fosse andato a genio 
il grande artista, non avrebbe permesso che, a favorirlo, 
si facesse uso della sua casa medesima. Né era cosa che 
potesse farsi a sua insaputa: è verosimile in fatti che 
il modello /osse grande, né facile a trasportarsi e a met- 
tersi al posto conveniente. Nulla si facea nel palazzo che 
potesse sfuggire alla vigilanza della wscaltrissima donna. 

Son troppo piene le storie artistiche e non artistiche 
di quei tempi della sorpresa fatta a Innocenzo quando 



•'■■ ■ -, T 



CAPITOLO Vi. "501 

I r opera fu finita. l Entrato dentro la tenda che celava 
al folto 'pòpolo bardito scoglio, le immani (statue j é : il 
trionfale óbelisèó, egli si dòlea che mancassero le àc- 
qué che', sgorgando" dai giganteschi flutti ^tffèsefetéfcèrò 
il'\leoiiè, : la palma, il cavallo, il tatft'.'E già dava le 
spalle j all' òpera ammirata!, quando ff iniiriote ' dèTF onda 
che ppatùrìà più copiósa é' veemente quanto piti -étti stata 
compressa, gli fece rattenerie il piede e vòlgfeté la fac- 
cia 'à'ttdiita e contenta al nuovo é desiderato spettaèblò: * 
Mandò all'istante al palazzo Pamfìli perchè Olimpia distri- 
buisse duecènto doppie, gratissiiho dòlio ai plaudènti operai. 

■"li -■»/. :!!-. ■■■.■. ■ '■ -- ■■ . ' ;- ;■■■> -.::, , / 

1 L' obelisco fu trasportato nel Vi giugno loSi.—'to stàtue 
fUròri" ' tutto disegnata <(al Bernini e scolpite da vari: 11 -Nilo/da 
Jaoòpo. Antonio Fancelli, .Gange daMonsù A<ìaW? il Danubio 
jda Andrea detto il Lombardo, il. Rio della Piata da- Francesco 
Baratta. In questo e sul Gange si adoperò anche il" feerhiriii " 

2 Non posso rattenermi dal dare un sonetto" 1 -che •" fi* sfitto 
allora (Ms. Oors» 169. pag. 21) e olia avrebba dato gran yiftter.Mì 
.di: ridere so vi fosse stata la Jfwstq.fàlJfiAy&TTiQ il. j y qnfullQ> 
Cl c i f i sa quanto sarà stato lodato in quei teùipì questo spropositò ! 
li fortunato autore fu Lodovico Lepóreo. ! • -ì;.. i 
i;; ' é Si descrive la fontaaia statue ed agtiglia di Navona. erotta 
«d! ordina idi N. S. Papa Innocenzo Decimo, opera del. Cavaliero 

Lorenzo tornino. — Leporeando alfabetico sirailitudinario — an- 
dò, ondo, indo, ondo. » 



Innocenzo inclitissimo imperando 
1 ■ ■' ' ,J ' ■ • ' Ammirò altro Archimede archìpendendo 
. ■;•;.. Situar, sovra scoglio stabilendo 

Antonina Agonale aguglia alzando. 
Nilo nascosto nàsce naufragando , 
> All'alveo argeótfìo Americo accorrendo 
Frigide fonti fan fluir fuggendo 
Vene vitali vergini versando. 

Istro influisce irriguo, inaino in ludo., 
Gange gorgoglia gelido giocondo:. 
Per Panfilia platea postergo Pindo. 

Placido parrai pèlago? profondo . ' ■■;" 
Moversi mareggiar Mare Mei indo: 
Meraviglia maggior mirasti Mondo ! 



i: . 



li 



y 



3U2 PARTE TERZA. 

Ebbe il lamini per premio della sola elevazione del- 
l' obelisco cinquemila scudi, il conferimento d'un cano- 
nicato di San Pietro a prò di Pierfilippo suo figlio, 
la carica della prefettura dell' acqua Felice ritenuta da 
lui sino al pontificato di Clemente IX e rinunciata poi 
a Luigi suo fratello. l 

La rubine, la stizza, anzi l'odio aperto che cor- 
ica fra il Borromini e il Bernini, si mostrava in curiose 
immagini ed emblemi ora che le loro opere in piazza 
Navona stavano a fronte. Cria il Horromini, invidioso 
del favore goduto dal Bernini sotto Paolo V, Gregorio XV, 
Urbano Vili, (piando, sul principio del suo regno, Inno- 
cenzo radunò una congregazione d'architetti per trovar 
le ragioni delle crepature rilevatesi sulla facciata di San 
Pietro, le attribuì al peso del campanile, che, già fab- 
bricato con architettura del Bernini e con enorme spesa 

1 « 11 cav. (liaiiluri-'iizi) liernino per aver levato la guglia ài 
più pozzi in piazza Navona, ebbe da papa Innocenzo X per ri- 
munerazione di questa pura e sola operazione scudi cinque inìla 
moneta con la grazia del canonicato di S. Pietro conferito libero 
Dilla persona di Pierfilippo suo figliuolo; ed ottenne unitamente 
la carica che vacava p<*r morte del Malfai cavalier romano dolla 
prefettura dall'acqua felice con provvisione di scudi dieci il mese, 
come benefìcio semplice, la qual carica ritenne molti anni, o poi 
sotto il pontificato di Clemente IX la rinunciò a Luigi Bernino 
suo fratello. » Passo cV un Catalogo ms. delle rimunerazioni 
e cariche accordate da vari papi a vari artisti. Saggiatore, 
Giornale romano, 15 decembre 1844. N. 12, pag. 383, n. I. — Cir- 
ca le fabbriche di piazza Navona sono da esaminarsi i Cod. Corsi- 
niani 1(57, 168 , 1$), tre volumi col titolo: Scritture e memorie 
diverse sopra la fuor tea della Chiesa di S. Agnese a piaz- 
za Navona, del Palazzo Panfili e fontane di detta piazza 
fatte fare dalla San. mem. di papa Innocenzo X. — Vi sono 
contratti, note di prezzi, memorie d'espropriazioni» ecc. Vi sonò 
i conti di dio: Lorenzo Bernini, gli ordini del Borromini. — ■ Noto 
cho fu comperata parto della casa del cav. Giulio Ornano còrso. 



CAPITOLO VI. 303 

sul!' angolo estremo a destra della facciata stessa, dovca 
averne un altro corrispondente all'altro lato. Sostenne 
il suo assunto in faccia al Bernini stesso, e promosse e 
sottoscrisse il decreto pel quale la sfortunata torre fu gitta- 
ta a terra. Dicesi che il Bernini se la sfogasse subito subito 
contro l'economo di San Pietro, che, a suo erodere, era, stato 
il primo, a muover questa macchina, dandogli uno schiaf- 
fo solenne. l Ma la stizza fu più tenace contro il Borromini 
a cui. non sapea perdonare l'insulto. Fu popolare in fat- 
to 1; opinione che il Nilo nella gran fontana di piazza 
Nayona> che si cuopre il capo a .significare il mistero 
della; sua origine, fosse così atteggiato dal Bernini, per 
fare intendere che sino le statue coprivansi il capo per 
non veder gli errori della facciata della chiesa di §ant' A- 
gnese architettata dal Borromini. Questi alzando red- 
ditìzio di Propaganda , nel cantone che guarda la , .casa 
del Bernini, in luogo di cartocci ponea due orecchie d'a- 
sino, e di rimando il Bernini, nell' angolo della sua casa 
che guardava il collegio di Propaganda, dette la forma 
ci 1 un Priapo a un modiglione che sosteneva una loggia. 
• E così, avendo i nemici del Bernini fatto correr 
voce che T aguglia di piazza Navona stava per cadere, 
egli accorse, e sceso dalla sua carrozza, s' avvicinò con 
riguardo,, chiese scale e funi, e unitele, fece legare quat- 
tro deboli spaghi dove T aguglia posa nel piedistallo, e 
fattili assicurare con chiodi alle quattro case vicine , 
tutto lieto si partì come avesse fatto opera che piena- 

1 V. Ampie notizie di tutti questi avvenimenti nel Cancel- 
lieri, Le due nu&ve campane del Campidoglio ecc. (Roma 1806), 
« Fu disfatto totalmente il campanile di San Pietro ch'era ri- 
inasto senza la sua piramide in cima. » Gigli, Diar. 1646. -^- 
Martino Longhj, il romano, pubblicò nel 1645 un « Discorso delle 
cagioni delle ruine della facciata e campanile del famoso 
tempio di San Pietro in Vaticano e delti suoi rimedi. » 



oO-l PARTE TERZA. 

mente lo rassicurasse. Maniere più teatrali che artisti- 
che: eppure ebbero plauso infinito. 

La fontana dei Tritoni, incontro alla chiesa degli 
Spagnuoli, fu fatta anche porre da Gregorio XIII. I Tri- 
toni, che ora furono rifatti dall'Amici, erano opera di Go- 
liardo da Sarzana, Flaminio Vacca romano, Siila Longoda 
Vigiit nel milanese, Taddeo Landini. Innocenzo fu que- 
gli che ordinò- al Bernini la statua detta del Moro , la 
quale fii sostituita ad una conchiglia donata a donna 
Olimpia pel suo diletto giardino in Trastevere. x Ma se 
il modello della statua del Moro fu veramente del Ber- 
nini, 2 non fu così veramente della statua stessa, che, 
sebbene si sia detta ripetutamente di mano del grande 
artista, 3 documento irrefragabile ce la dimostra di al- 
tra mano. 

Il documento è una lettera dello stesso Bernini con 
cui autorizza monsignor Tesoriere a pagar certe som- 
me a Giannantonio Mari scultore per quel che ha fat- 

1 V. sopra pag. 204 e Documenti. — Non voglio tralasciar que- 
sta materia di piazza Navona senza osservare che la memoria più 
antica dell'allagamento o lago della piazza stessa, che si continuò 
sino a pochi anni prima del 1870, si trova nel Diario del Gigli. « A 
23 di giugno del 1652 in piazza Navona a piò della guglia e dol- 
io fontane fu aggiustata 1' acqua, che a beneplacito formava un 
Lago sopra la terra et serviva per spasso delle carrozze che vi 
passavano sopra. » 

2 Un modelletto della statua del Moro si conserva nella bi- 
blioteca Chigiana. 

3 II Cassio (Corso dell'acque p. I pag. 290) ci dice che « il 
Moro però, che si vedo nel centro presso al Delfino, vi fu fatto ag- 
giugncre molto dopo da Innocenzo X per far vedere in confronto 
de' passati scultori la maestria dello scarpello di Lorenzo Ber- 
nini. » Il Baldinucci afferma che Lorenzo condusse di tutta sua 
mano la statua del Tritone. Né altrimenti, e ciò fa più mera- 
viglia, lo stesso Domenico Bernini nella Vita da lui scritta di 
Lorenzo suo padre. Appresso a questi seguirono scrittori infiniti. 



CAPITOLO VI. 303 

to nella statua del Tritone pesce e lumacone (egli non 
la chiamava il Moro come si dice popolarmente) secondò 
il proprio modello. ! Il Mari era (come afferma il Zani) ro- 
mano e avea un fratello, anche scultore, di nome Fran- 
cesco. Non per questo, a me sembra che sia scaduto 
il merito della statua. è brutta e non la fa bella là 
riputazione del Bernini ; o è bella, ed allora dobbiamo 
rallegrarci che, oltre al Bernini, vi fosse un altro artista 
che ne sapea tradurre in marmo gli arditi pensieri. 

La basilica dedicata a Cristo sul Celio sotto il titolo 
del Salvatore, poi detta nel secolo VI di San Giovanni, nel- 
le case dell' antica famiglia dei Laterani , edificata da Co- 
stantino, come suona la fama, la basilica aurea, la ma- 
dre chiesa della cristianità , crollata nel 896, riedificata 
da Sergio III a quel che pare dalle fondamenta e colle 
dimensioni antiche, incendiatasi nel 1308, ristaurata da 
Nicolò III, arsa dal fuoco un'altra volta nel 1360, ristali- 
rata da Urbano V e abbellita da altri pontefici, avea 

1 A Monsig. Tesoriere Gnle. 

lllmo e Rev. Sig. e Pno Colmo. 

Piacendo a V. S. Illina potrà far pagare al signor Giananto- 
nio Mari scultore se. trenta Dita che con altri dugento settanta 
auti fanno la somma di se. trecento, e questi in conformità dello 
strumento fatto sono per prezzo saldo et intiero pagamento di 
tutto quello che detto (Via)fatto nella statua del tritono poscie et 
lumacone conforme il modello fatto da me quale statua oggi o 
già situata nel mezzo della fonte che e in testa a piazza naona» 

E più se. dieci se li danno per un festone di marmo quale 
e stato necessario farlo per ricoprire il condotto di piombo che 
dd(dà)\aqas, (V acqua) al pescie detto di sopra et questo non 
ora nel modello, ma e(é)fatto di più. Fo Rcvza a V. S. Illiua. 
Di chasa li 18 Luglio 1655. 
Di V. S. Illma 

V. D. é O. S, 
Gio: Lonzo Bernini. 
Cod. 167 Corsiniana. Cerroti cit. 

Ciampi.- — Innocenzo X e la sua Corte. 20 



'JOfi PÀRTK TERZA. 

bisogno , per la sua vecchiezza, di grandi riparazioni. l 
A notizia di quel che vi fece Innocenzo (IG50) adopperò 
le parole d'un contemporaneo. « ... Neil' istesao tempo 
fece con bella e nuova architettura rifare la nave dalla 
traversa in giù di San Giovanni Laterano che minac- 
ciava rovina, havendo avuto riguardo al conservo del- 
l'antica struttura delle cinque navi fatte da Costantino 
Magno, havendo fatto alzare nel massimo del muro tra 
li dieci archi della nave di mezzo e tra la porta gran- 
de doi grandi pilastri tra ciascun arco con base attorno 
di marmo bigio et, in mezzo a questi, dodici taberna- 
coli posti tra due colonne di verde antico. 2 » 

Il papa fu così contento di questo lavoro che volle 

1 V è F antichissima descrizione della Chiesa Lateranonse 
dettata da Giovanni canonico di quella. Iohannis Diaconi, liber 
de ecclesia Lateranensi Mabillon. Mus, Ital. IT. 560. Vi fura- 
no aggiunte alcune appendici sino al soc XIII. Han gran pregio 
per la storia del Laterano, specialmente dopo la riedificazione fat- 
tane da Sergio III. 

2 Compendio della vita et gloriose attioni del sommo pon- 
tefice Innocentio decimo con il racconto della sua uitima 
infermità e morte, spiegato il tutto ^Francesco Fklich Manci- 
ni romano. Opusc. senza data di anno e di luogo, in 4, pag. & .-+•- 
Giacinto Gigli ci ricorda che nel ri stauro del Laterano. furono 
levati dalle navi minori alcuni depositi e memorie di diversa- per- 
sone o fra gli altri furono scoperte lo sepolture di Benedetto (qua- 
le ?) o di papa Silvestro II, il corpo dei quali stava intero , ma 
nel toccarlo andò in cenere, e che furono portate in sagrestia. •*- 
Furono rimosse alcune memorie della passione di Cristo, cioè la sua 
misura, lo pietre che si spezzarono, la colonna sopra cui il gallo 
cantò ecc. Fu disfatto anche il ritratto di papa Martino V di- 
pinto dietro un ciborio. — Giuseppe Maria Soresino, prete beneficia- 
to della Basilica, molte cose scrisse di essa e fra le altre: DeStatu 
Lateranensis Ecclesiae ante Innocenti i X reaedi fteationern. 
Si deve ricordar l'opera di Cesare Rasponi:. De Basilica et 
Patriarchio Lateranensi: libri quatuor, Romao 1656, con fron- 
tespizio figurato e (lodici tavole inciso da buoni artisti. 



CAPITOLO VI. 307 

ornare di sua mano il Borromini della croce di cavaliere 
(26 luglio 1652. l ) 

Nella basilica Vaticana Innocenzo (1648-49) corre- 
dò il pavimento, sotto la direzione del Bernini, di pre- 
ziosi marmi; ornò le navi laterali di elegante incrosta- 
tura, di colonne, di bassirilievi. Gli angeli con le pal- 
me son del francese Niccola Sale. Il papa restituì al 
pavimento la rota di porfido (porphyreticam) di cui si 
ha menzione nei cerimoniali quando si tratta dell'inco- 
ronazione degl'imperatori: poiché sopra quella stava il 
coronando, che, dopo ripetute dal vescovo cardinale le 
preci, solennemente era condotto al luogo dell'aposto- 
lica Confessione. Le iscrizioni sopra e in mezzo alla por- 
ta maggiore furono fatte da Famiano Strada. 2 

Volle anche Innocenzo continuare a sostituire i mu- 
saici alle pitture, che nel tempio Vaticano per cagione 
dell' umidità si guastavano, e ne dette ordine a Giovan 
Battista Calandra di Vercelli musaicista , il quale già per 
Urbano Vili avea lavorato alcuni quadri degli altari. 

1 Oggi V attenzione degli archeologi e degli artisti è volta 
nuovamente su questa celebre chiesa. Si sono fatti degli scavi e 
testé uscì una tavola topografica delle scoperto fatte nella ba- 
silica. N'ò autore il Busiri architetto. Si prepara un lavoro su 
tutte le memorie o gli scavi che riguardano l'antica casa dei 
Laterani. 

. 2 V. Bonakni, Templi Vaticani historia ; Numismata sum- 
morum Pontìficum templi Vaticani fabricam indicantia ecc. 
(lioma 1696, 1700) pag. 136. — La basilica Vaticana fu in que- 
sto tempo illustrata per via della pubblicazione, fatta nel 1646, 
dal cauon. Paolo De Àngelis col libro: Basiliche Veteris Va- 
ticanae descriptio Auctore Ramano ejusdem Basilicae ca- 
nonico. È la descrizione fatta dal canonico Pietro Mallio nella 
seconda metà del secolo XI l e dedicata a papa Alessandro IH 
col titolo: Historia Basilicae antiq. s. Petri. Fu poi pubbli- 
cata più correttamente dai Bollandisti. — 11 Ms. A nel Vaticano 
Cod. 3627. 



308 PARTE TERZA. 

Ma V opera per allora fa interrotta anche per la morte 
dello stesso Calandra. « Creato Innocenzo X,.. rinacque 
Y ordine intrapreso delli mosaici per compire le capolette 
e gli angoli di quelle nel rimanente della Chiesa, e. lo 
stesso Calandra ne ebbe con suo gran piacere la cinta; 
Si diede principio nella cappella del Ss. Sacramenta ed 
in quella air incontro della Pietà nella quale officiano 
li signori Canonici e Chierici Beneficiati, e ne fecero li 
cartoni Nicolò Tornioli Senese e Giovanni Antonio Spa- 
darino romano; ma per la poca soddisfazione che ne 
ricevo il Pontefice e li signori cardinali della Fabbrica, 
se ne tenne sospesa l'operazione per qualche tempo. 
Intanto essendosi il Calandra invecchiato, o sopraggiunto 
da una gravo infermità, morì l'anno 1648 che era il 
quarto del pontificato d' Innocenzo, e mancò il Maestro 
pratico del mosaico. l » 

La pulizia della stessa basilica fu a cuore del papa , 
e perciò, con vana contradizione a un gusto invadèn- 
te, vietò sotto ' pena di scomunica di prendervi tabacco. 2 
Già Urbano Vili l'avea proibito nelle chiese di Sivi- 
glia: onde Pasquino ripetè il passo di Giobbe: Contro 
una foglia, die il vento rapisce, mostri la ina ^pìén- 
za e perseguiti una paglia secca. 3 ,,....., 

L'arma d'Innocenzo X sulla porta Portese potrebbe 

far credere che questa fosse fatta da lui fabbricare. T\fci 

in verità , demolita la Portuense sin dal 1043, 4 . la nuo- 

« 

1 Bellori cit. pag. 168. 

2 Consti febbraio 1650. Bull. Vat. t. III. 265. 

3 « Contrafolium, quod vento rapitur, ostendis potentiam.tuam 
et stipulata siccam persequeris. » — La proibizione d'Urbano è 
del 30 gen. 1642. — li 16 gennaro del 1725 Benedetto XII E abolì 
la costituzione Innocenziana. 

4 La Portuense, come si riconosce dalla pianta del Nolli, ©si- * 
steva al tonnine dell'alberata nella così detta Bvfaìara cima 



CAPITOLO VI. 309 

va porta fu . incominciata sin nelT anno "seguente con ar- 
chitettura . di Marcantonio De Rossi , e perciò la detta 
arma non indica altro che sotto il governo d'Innocenzo 
la ; porta .fu terminata. Né questo pontefice trascurò il 
ristauro: delle mura della città, a cui dette opera luogo 
il. SUO:. regno, prescrivendo anche con una costituzioni 
apposita le norme onci' esse fossero sgombre da edilìzi che 
i .privati per avventura volessero addossarvi , e ciò por 
av#pe una via libera al di fuori e al di dentro. l 

, I*ensò Innocenzo anche a Ravenna, ove aiutò il le* 
gato. della provincia Flaminia, il cardinal Donghi, a sca- 
vare: un canale che , ricevendo le acque del fiume vi- 
cino * congiungesse la città al mare. L'opera fu supe- 
rata dalla lode dell' iscrizione , in cui il papa è asso- 
migliato alla colomba e a Colombo per la sua colomba 
nello stemma e per la sua munificenza. * 

* ■ "i ' .■'•'■ • ■ 

1700. piedi fuori dell'attuale porta. La memoria della sua forma 
ci fu conservata dal Nardini, Roma antica, lib. I, cap. IX. 

1 Nibby, Roma nel 1838. (Parte 1 , antica, pag. 134.) — 
Cdnstf. Ad curam nostram ecc. 4 marzo 1645 (Bull. cit. XV; 
pag. 364) Circa moenia et propugnacula Urbis recens ex- 
trucia? eorymque pomeria. — È prescritto che « moenia et 
propugnacula sarta teda conserventur, et ita a privatorum 
structuris distent ut tam tntrorsum quàm eoctrorsum eom- 
mo\de\ obiri valeant. E dispone anche che dalla porta « equitum 
levis armaturae (Cavalleggieri) » sino al Tevere le mura nuova- 
mente costrutte abbiano , dentro e fuori, i detti spazi. 

5 Inriocentio X pont. max. — Columba novum mare — Colum- 
bus novam terram — - Invenit — ' Neptunus Cereri — Naves sue- 
cedunt aratro — Ubi olim — Neptunus Cereri — Naves ces- 
serunt aratro. È ripetuta dal Cucconio. Del resto chi vuol ve- 
dere- le iscrizioni e le medaglie coniate al tempo d'Innocenzo in 
lòde delle sue opere consulti Filippo Bonanni nel libro: Numi- 
smata ponti ficum romanorum quae a tempore Martini IV 
usque ad annum M. DC. XCIX vel auctoritate publica vel 
privata gemo :*i hicem prodiere ecc. toni. II, pag. 615, e s«\2r. 
(Romae 1699). 



310 



PARTE TERZA. 



Un palazzo senatorio in forma di ròcca già fu fatto 
fabbricare da Bonifazio IX in Campidoglio sull'antico Ta- 
bulano dopo aver fatto col Senato romano in Asisi , Y8 
agosto 1393, la famosa concordia. Sisto IV vi fece ristali ri: 
Niccolò lo rinnovò quasi del tutto, insieme col palazzo dei 
Conservatori, con un portico a colonne. Michelangelo, che, 
neir ingresso di Carlo V a Roma, lasciando l' antico eli- 
VHS, fece voltare la salita del Campidoglio dalla banda 
del (zampo Marzio , fece i disegni del palazzo senatorio 
e dei palazzi laterali coi portici per ordine di Paolo III, 
ma non eseguì che la doppia scala del senatorio, lacuale, 
portando ad un ripiano , introduce alla sala di mezzo, e vi 
mise sotto le colossali statue del Nilo e del Tevere. Giacomo 
della Porta continuò la fabbrica secondo i disegni di Mi- 
chelangelo e la condusse sino al primo ordine di fine&tre. 
Girolamo Rainaldi la compì. Il campanile fu eretto per 
ordine di Gregorio XIII nel 1579 con disegno di Mar- 
tino Longhi il lombardo. La Roma armata, che inal- 
bera in luogo d'asta il vessillo della croce, conveniva 
al tempo dell'armata reazione cattolica. Giacomo del 
Duca compì l'uno dei palazzi gemelli, cioè quello dei 
Conservatori, sotto Clemente Vili. Rimaneva incompiuto 
T altro di cui però erano già gittate le fondamenta. l 
Innocenzo X (1644-1650) lo fece compire sempre se- 
condo i disegni di Michelangelo, a cui non perdonò l'a- 
cre Milizia il capitello ionico a campanacci da lui chia- 
mato capriccio dei capricci. 2 

I Romani per quest'opera decretarono a Innocenzo 



1 V. Casimiro da Roma, Memorie d* Aracoeli ecc.. Cancellie- 
ri. Campane cit. pag. 44. — Roma vetns ac recene, utriusque ae- 
clificiis ad eruditain cognitionem expositis, auctore Alexàndro Do- 
nato Senensi e Societato Jesu. (Romae 1639) pag. 383. 

2 Roma delle belle arti. pag. 156. 



CAPITOLO VI. 311 

una statua nel Campidoglio stesso. E la statua alzata 
sopra un piedistallo di mattoni incontro a quella di Ur- 
bano ftt scolpita da Alessandro Algardi. l 

Quindi non si saprebbe conciliare questo fatto con 
una notizia dataci dall' Amevden che fosse tratta dallo 
stalle del Campidoglio, ove stava sotterrata, una statua 
senza testa e senza mani di Paolo IV buttata giù dal po- 
polo come soleva quasi a ogni morte di papa. Il torso , 
egli dice, era bellissimo perchè fatto da uno scolare di 
Michelangelo. Le furono fatte mani e testa nuova, e ribat- 
tezzata per Innocenzo. 2 Se non che forse questa statua, 
posta nel 1645, fu provvisoria, e nel 1652 fu sostituita 
da quella delP Algardi. 3 In vero V Algardi non sì mo- 
strò in questa occasione molto delicato nella scelta dei 
mezzi per aver lavoro. Egli tolse con astuzia a Fran- 
cesco Mochi di Montevarchi (1580-1646) la commis- 
sione che già avea avuto della statua stessa : tanto che 
l'artista così offeso disse gastigo di Dio il triste caso 
per cui la prima fusione in brónzo fatta dall' Algardi 



1 II Gigli scrive : « .... a' 9 Marzo 1650 Innocenzo X... salì in 
Campidoglio a vodere il Portico Novo, che era quasi finito, dalla 
banda delPÀracoeli. La sua statua fu alzata sopra un Piede- 
stallo ; di mattoni, incontro a quello di Urbano. » 

2 $... 1645 ... Il popolo romano ha decretato una statua di 
marmo al papa per porla nella nuova fabrica di Campidoglio, et 
a questo effetto hanno cavata di sotterra la statua di Paolo IV 
che alla di lui morto fu buttata giù dal popolo e sotterrata nelle 
stallo del Campidoglio: la quale è senza testa e mani por esser 
quel torso bellissimo fatto da un discepolo di Buona Kuota alla 
quale rifaranno il capo e le mani rappresentante il moderno pon- 
tefice. » (Deone). 

3 Nota il Deone (1650) che v' era stato un Senatusconsulto 
con cui si decretò che ai papi viventi non si dovessero innalzare 
statue. Ma il papa Urbano lo reso nullo dicendo che ciò non si 
dovoa intendere pei pontefici suoi pari. 



312 PARTE TKRZA. 

nella fonderia Vaticana della statua andò dispersa col 
distruggimento della forma e con una perdita conside- 
revole di denaro , e allorché per premio ebbe il suo ri* 
vale la croce dell' ordino di Cristo , esclamò <c che avea 
saputo le croci essere state anticamente il patibolo dei 
ladroni, ma che adesso incominciava ad imparare' che 
lo croci orano cangiate in loro onorevolezza. - 1 » • • '■< 

Ma più d'ogni altra cosa Innocenzo deve lodarsi pei* 
aver fabbricato le carceri con un sistema più conforme 
all' umanità e quasi analogo al cellulare svoltosi e pro- 
pagatosi poi nel mondo civile. 

I capi della famiglia Savelli, benemerita degli anti* 
chi e primi conclavi , non solamente erano marescialli 
di santa romana Chiesa e custodi perpetui del conclave ; 2 
ma anche aveano la custodia di Corte Savella e co- 
gnizione dei delitti leggieri in cui non si fosse sparso 
sangue. Codeste carceri erano anguste, infette, malsi- 
cure, condotte con irregolarità e prepotenza. Innocenzo 
soppresse e abolì il tribunale della Corto Savella che 

1 Bellori cit. — Nil sub sole novum. Il concotto del Moclii 
fu messo in versi al tempo dei vergognosi litigi tra il Foscolo e 
il Monti. — Il Moclii fa autore delle due statue di San"' Pietro 
e Paolo a porta del Popolo. Morendo le lasciò cornante. La f sm- 
inigli a era povera. Girolamo Farnese , poi cardinale , prelato e 
maggiordomo di Alessandro VII, consigliò questo a comperare 
per mille scudi quelle due statue come fossero gioie preziose ! ' 

2 Portava il difensore del conclave una borsa di seta o di 
velluto, paonazzo con la chiave della porta esterna del conclave 
stesso. Quando Bernardino Savelli duca della Riccia, morto In- 
nocenzo, riebbe po' suoi stridi dai cardinali la toltagli dignità, 
comparve in Roma coi tipi del Cavalli un libercolo di . un tal 
Romei intitolato: Ragguaglio della dignità perpetua di Ma* 
resciallo del Conclave posseduto dalla casa Savelli e della 
guardia di cinquecento fanti assoldati ecc. Figuratevi cine 
mascalzoni questi 500 fanti assoldati ! V. Amidewo, De pietà- 
te Romano. 



CAPITOLO VI. 31 o 

era annesso al maresciallato e ne formava la precipua 
rendita. Avocò anche a sé il maresciallato di Roma. E 
ordinò la edificazione delle Carceri Nuove in via Giulia, 
ampie^ comode, in cui fti congiunta la^ tutela della giu- 
stizia alle leggi deir umanità. l 

Si disputa ove proprio sorgessero le carceri di Corte 
Savella. E più probabile che stessero sulla via che da 
San Girolamo conduce a Monserrato. 2 Certo è che fu- 
rono spianate nel 1647, e in luogo di esse, edificate del- 
le case. 

A me però non dispiace tanto il non poter dire di 
certo ove fosse l' impura cloaca di Corte Savella, quanto 
l' ignorare il nome del benemerito che architettò le Car- 
ceri Nuove. Esse furono le prime in Europa che segnas- 
sero un progresso nell' ordinamento delle carceri e des- 
sero esemplare della separata reclusione per via di cel- 
le, germe del sistema penitenziario tanto discusso fra 
le genti, quanto variamente applicato. E proprio lagri- 
mevole che spesso si possa indicare per l'appunto chi 
ha eretto un' aguglia o un campanile barocco, e si per- 
da miseramente il nome di quello che con l'esecuzione 
di pensamenti generosi ha beneficato gli uomini. Nel 
nostro caso si pronuncia, è vero , il ;nome di un Anto- 
nio Dèi Grande, ma subito si soggiunge eh' egli potea 
àvéi; proseguito Y opera architettata da altri, mentre non 

i L' iscrizione stilla porta dello carceri dice : Institiuu et cle- 
raentiae — secariori ac mitfori reorum ctistodiae — novum car- 
cerem — Innocentius X pont. max. — posnit — anno domini — 
MDCLV. 

2 FANucct, Opere pie di Roma. — Si disputa ancora so ia 
Corte fosse prossima a piazza Padella. — Gigli, Diario cit. ci 
dice che le Carceri furono fatto a piazza Padella e che fu distrut- 
ta la Corte Savella vicino al collegio Inglese, annessa al mare- 
sciallato del duca Giulio Savelli. 

20* 



Mi PARTE TERZA. 

è probabile che ne l'osse dato incarico a un artista 'oscu- 
ro in un tempo che i Bernini, i Rainaldi, i Borromini 
e altri celebrati architetti fiorivano. Io però sarei incli- 
nato a credere che autore delle carceri fosse veramente 
il Del Grande, Oltre alla pruova del documento che ne 
lo chiama a chiare lettere architetto, in me vive la con- 
vinzione che i celebrati artisti poco si curassero d'un 
lavoro che non poteva aggiunger glpria al lor nome, e 
quindi lo lasciassero altrui senza contrasto. E che s' ap- 
ponessero in ciò che concerne la gloria, non è dubbio 
alcuno. Il Del Grande o chiunque altro fosse, che co- 
struì l'asilo ove la giustizia esercita i suoi diritti, non 
fu nominato né allora né poi, mentre si magnificarono 
sempre gli autori delle fontane , delle chiese , dei su- 
perbi colonnati. Ma se a coloro che stan nelle case dei 
morti vale la gloria postuma, noi ne sarem larghi ades- 
so a costui, che gittò semi , i quali , per fato maligno a 
Roma, qui non germogliarono proporzionati frutti. f 

1 11 documonto accennato è un ordine di pagamento (tonto 
188, pag. 475. Archivio dell' archiconfraternita di S. Girolamo 
della Carità ora noli* Archivio di Stato). « IUust. signori provveda 
« tori della Pietà di Roma si compiaceranno sui danari della R.. C, 
« Apostolica posti a mia dispositione per spenderli ìiella fàbbrica 
« dolio nuove carceri, passare ad Antonio del arando architetto 
« di detta fabbrica scudi cento di moneta, quali gli si fannorpa- 
« gare a buon conto della mercede , che gli si dove per la stim$ 
« delle case vecchio' fatta per detta fabbrica, che con sua rice- 
« vuta saranno ben pagati. Questo dì 12 giugno 1653. » È datò 
dal Moroni Dizionario di erudizione storico-ecclesitetiea ee. 
Voi. IX (Venezia 1841) pag. 267. ; 



I ! ■ . ■'•■■' t | 



CONCLUSIONE. 



I | • r 



Itelazipni. fra donna Olimpia e Innocenzo. — Giudizi di 
autorevoli scrittori sul loro carattere. — Giusta misura 
delle lodi e dei biasimi dovuti ad ambedue. 

• 

La felicità dei regno cV Innocenzo e la potenza che 
su lui ebbe una. donna con, gravissimi turbamenti do- 
mestici y han prodotto i giudizi più strani e più diversi. 
Alcuni haiirio guardato la parte politica ed ecclesiastica, e 
trovandola commendevole, hanno detto del papa un bene 
infinito còme se egli non avesse mai mostrato alcuna de- 
bbiala, per la cognata, ! Altri non han visto, che quest'ul- 
timq lato brutto del quadro, e han coperto il vecchio pon- 
tefice di vituperi. Pochi o nessuno v r è stato che, tenuto il 
debito, conto della vita pubblica e della vita privata, ab- 
bia diviso. X una dall' altra, e conformato il giudizio per 
ambedue alla pura verità. 

Il Leti ha visto confusamente i due lati, ma invece 
di scinderli, li ha con maniera secentistica e con giuo- 

1 E il non plus ultra dell'adulazione la vita scrittane dal cav. 
Antonio Bagatta. Si trova appresso alle Vite dei pontefici del 
Platina, del Panvinio ecc. (Parte 2, Venezia 1744). 



310 CONCLUSIONE. 

chetti di parole e metafore intrecciati in questo modo : 
€ La Chiesa non ha l' occasione di lamentarsi di lui 
(Innocenzo) come lui, ma si lamenta in lui di donna 
Olimpia. S'egli havesse fatto vivere donna Olimpia in 
lui e non lui in donna Olimpia, certo che le sue ceneri, 
meritarebbono il sepolcro dell' eternità e non dell'obli- 
vione, dove bisogna sepellirle per non rinnovare la me- 
moria della cognata. Egli non fu innocente perchè don- 
na Olimpia fu Innocentio; ma se donna Olimpia fosse 
stata innocente, egli meritarebbe il vero nome d' Inno- 
centio. » } 

Spogliata la dicitura delle antitesi fanciullesche e 
delle fioriture, il discorso del Leti viene a concludere 
che Innocenzo non può aver altro biasimo che d* aver 
sofferto il dominio di donna Olimpia : in quanto al re- 
sto dunque fu pontefice lodevolissimo. ' 

Ma per giudicare Innocenzo è mestieri di altra pon- 
derazione che non sia un fraseggiare che a quei tempi 
potea parere ingegnoso. 

A mio parere, bisogna prima di tutto tògliere là re- 
sponsabilità a Innocenzo, tanto per il bene, quanto- 1 per 
il male, di tutto ciò che non dipese da lui, tòa bendi 
dall'andamento del mondo, dalle consuetudini dell# 'Cu- 
ria ecclesiastica, dalle necessità politiche, in somtìià da, 
tutto ciò che un uomo solo non può cangiare per quaatd 
sia potente d' opere o di volontà e che un regnante' an* 
corchò grandissimo deve subire come qualunque altro 
infimo mortale. E così, per esempio, non a luisideVd 
la lode o il biasimo, secondo che le cose san giudicate 
dai fanatici o dagli spiriti moderati, che la Chiesa" la- 
sciasse i modi aggressivi restringendosi a più modesti in- 

1 (tiult)I, Vita di donna Olimpia oit. pag. 485. 



conclusione. 31 7 

tenti, ina bensì alle nuove coadizioni create nel mondo 
civile "da più matura intelligenza, le quali mettevano un 
fine alle guerce religiose. 

.. A lui si dovranno parole d'encomio o di vituperio 
per .quello ohe fece e potea fare di suo moto. E in 
ciò* a dir vero, si son fatti per lui piuttosto benevoli 
giudizi. Il Siri per esempio così dice d' Innocenzo : 
«Amico della giustizia, ma non sanguinario. Buon 
economo per augumentare e conservare l'erario; ma 
inimico d' aggravare i populi per estraherne denaro. Se 
non amava gì' ingegni vivaci come superiori al suo, al- 
meno li temeva. Se non era grato verso gli amici, non 
sapeva offendere gl'inimici. Se parlava poco, prestava 
le orecchie volentieri. Se tardo nel risolvere , non era 
infelice nello scegliere. Se negava le gratie a Principi., 
le condiva sovente di buone parole favellando honorifi- 
camente di loro e rendendogli sicuri di non ricevere 
giamai disgusti positivi. l » 

Né men disposto a indulgenza è il Ranke nelle bre- 
vissime pagine (come volea V indole del suo lavoro) le 
quali dedica a questo papa. Ne abbiamo fatto cenno al- 
tra volta; ma non sarà discaro averle qui sott' occhio: 
« Innocenzo era uomo di non communi qualità. Negl' in- 
carichi avuti prima d' essere innalzato alla Santa sede, 
nella Rota, come Nunzio, come cardinale , egli s'era mo- 
strato operoso, irriprensibile e leale : divenuto papa, con- 
servò questa riputazione. Il suo zelo si tenne in tanto 
più. straordinario, in quanto egli toccava già i settanta- 
due .anni quando fu eletto. Ad onta di ciò il lavoro, di- 
ceasi, non lo stancava: dopo il lavoro era così libero e 
fresco com' era per lo innanzi : parlava con piacere alla 



1 Mercurio politico. Vili, 551. 



318 CONCLUSIONE. 

gente e lasciava che ognuno spiegasse innanzi a lui il 
suo pensiero. Di facile accesso, fece contrasto ; coi suo 
umore gaio alla fierezza e alla vita ritirata cT Urbano Vili. 
Pose ogni sua ambizione a far osservare il rispetto 
alla proprietà e alle persone di giorno e di notte, a non 
permettere cattivi trattamenti che potessero fare supe- 
riori contro inferiori, potenti contro deboli* Costrinse i 
baroni a pagare i lor debiti... » Narrati poi in succin- 
to le vicende della sua casa, conclude: «11 suo.pon* 
tificato che fu dei più felici , ha pur lasciato di sé una 
mala riputazione per causa degl' imbarazzi di famiglia 
e dell' interno del palazzo. Questi tormenti fecero sì che 
Innocenzo X diventasse ancora più capriccioso, più ver- 
satile, più ostinato, più di peso a sé medesimo. Ne' suoi 
ultimi giorni lo vediamo ancora spogliare e allontanare 
di nuovo i parenti che gli restavano...» 

Lodi poi non mancarono ad Innocenzo d' incorrotta 
religione. Basti ricordare l' Ameyden, il quale disse che 
per la famigliarità grandissima che egli ebbe col papa, 
non poteva non confessare altamente come egli fosse un 
pio ecclesiastico e un amico della giustizia. l Per iscolparlo 
poi delle accuse che gli furono fatte rispetto alle .tenerezze 
per la cognata, molti adducono 1' età sua avanzata di 
settantun' anni quando fu creato papa e di ottantuno 
quando egli morì: né si ristanno dal dire che troppo 
era deforme Innocenzo per esser grato a una donna- 
A tal proposito raccontano che il celebre Guido Reni per 
vendicarsi di lui che, mentre era cardinale, lo criticò, 
fece il suo vivo ritratto nel Lucifero che sta sotto i pie 



1 « ... proea familiaritate, qttam cum ipso habm, non pos- 
simi non fatevi euui frisse ecclesiasticum et piuui et iastitìae 
amicnm. » 



CONCLUSIONE. 319 

di San Michele nel famoso quadro di questo nome, ! 
: Il Muratori ce lo dà per uomo dotto in leggi, e 
benché d'aspetto rùvido e brutto, pure non privo di mae- 
stà. Attenua la colpa della persecuzione da lui mossa 
ai Barberini benché Y avessero aiutato a montare in 
tro&o. Ne dà cagione all' odio suscitato contro di essi 
dalla corte stessa , dagli Spagnoli mal soddisfatti , e 
principalmente alla invidia cagionata meritamente dalle 
sformate ricchezze che essi avevano potuto aumen- 
tare a danno dei popoli. Si diceva che a non meno di 
quattrocento mila scudi romani ascendeva la loro ren- 
dita annua. Lamenta che le lagrime d' Innocenzo X so- 
pra gli aggravi de' suoi sudditi cagionati dal nepotismo 
de' Barberini, finissero solamente in vana mostra d'inu- 
tile compianto. Non cela il suo rammarico nel vedere 
come il papa, in luogo di soccorrere i Veneziani as- 
saliti dai Turchi in Candia, spendesse la sua energia 
nel far guerra a Ranuccio duca di Castro e di Ronci- 
glione e ad incidere sulla colonna, eretta sul terreno 
dove fu Castro, la memoria dell'inglorioso trionfo. Lo 
dipinge parco, anzi avaro. Ciononostante lo loda moltq 
per la soppressione di quei conventi dove non abitava 
certamente lo spirito religioso; per la condanna delle 
proposizioni di Cornelio Giansenio, e gli dà titolo di 
savio, circospetto, tardo a risolvere, tantoché, quan- 
do era prelato Datario , fu decorato del titolo di Mon- 



1 .WiNKELif ànn. — Ed ò curioso ciò che dice il Laxande ( Va* 
yage en Italie ecc. t. V. pag. 140) a proposito del giuoco delle 
minchiate o tarocchi. « Ce jou a été inventé à Sienne par Michel- 
Ange, à ce qu'on prétend, pour apprendre aux enfans a coinpter 
de toutes sortes de manières, mais il J>ar6it qu'il n'a óté en vogue 
à Rome, qu'au temps du pape Innocent X Pamfili , car le pape 
des minchiate rassemble asscz aux portraits d' Innocent X. » 



320 CONCLUSIONE. 

signor non si può. Lo scusa del poco ingerirsi che fece 
nelle cose del mondo (e pur allora vi fu a Napoli la 
rivoluzione di Masaniello e in Inghilterra la decapita- 
zione di Carlo Stuardo) per aver trovata esausta la Ca- 
mera apostolica: lo esalta per i provvedimenti fatti in 
tempo di carestia a prò del popolo romano, per le fab- 
briche nella basilica Lateranense e Vaticana, nel Cam- 
pidoglio ed in altri luoghi moltissimi. E poi irritissimo 
il suo giudizio in ciò che riguarda donna Olimpia. « Quel 
solo, che ecclissò alquanto la gloria di Innocenzo X, fu 
l'aver avuto per cognata, cioè per moglie del defunto 
suo fratello Panfilio Panfili donna Olimpia Maidalchini, 
donna di gran senno bensì e di non minore onestà or- 
nata, ma insieme soggetta alle vertigini dell' ambizione 
e dell'interesse. Ancorché non avesse ella che un fi- 
glio, cioè don Camillo Panfilio atto a propagare la sua 
casa, pure per dominare sotto la di lui ombra a Pa- 
lazzo, gli fece conferir la porpora e il titolo allora usci- 
to di Cardinal padrone. Innamoratosi poi questi della 
principessa di Rossano, deposta la porpora, passò alle 
nozze; per la qual risoluzione non approvata dalla ma- 
dre e neppure dal papa, restò poi escluso dalla corte 
ed anche da Roma. Trovandosi allora il vecchio ponte- 
fice bisognoso di chi V aiutasse a portare la pesante so- 
ma del governo; donna Olimpia ebbe campo, siccome 
donna virile, d'ingerirsi in tutti gli affari; di maniera 
che a lei faceano capo anche gli ambasciatori, e per 
mezzo di lei si ottenevano le grazie: per le quali vie 
giunse ella ad accumular tesori. Ora al vedere nel sa- 
cro Palazzo un tal despotismo, vie più improprio per- 
chè di donna, tanti in fine furono gli schiamazzi, che 
avvedutosi il buon pontefice, che ne pativa la riputa- 
zione sua, rimosse non solo dai pubblici affari, ma an- 



CONCLUSIONE. 321 

che dal Palazzo l'ambiziosa cognata. Effetto fu della 
sua saviézza una tal risoluzione, ma effetto similmente 
della sua debolezza Y aver di poi rimessa alquanto nella 
sua* confidenza essa donna Olimpia, la cui fortuna si so- 
stenne da lì innanzi, finché visse il papa e provò poi 
anche dei balzi sotto il di lui successore. l » È chiaro 
che ii buono storico non è per Innocenzo , circa le rela- 
zioni con la cognata, così severo come si 'mostrò per lo 
debolezze di altri pontefici. Ma ciò si deve forse attri- 
buire alla poca distanza di tempo che era corso da In- 
nocenzo al Muratori, e al rispetto che si dovea avere 
per una casa ancora potente e ad altri consimili motivi 
cho sono sempre un forte ostacolo a una compiuta se- 
renità di giudizio. Per altro le parole del celebre an- 
nalista sono nell'insieme abbastanza imparziali: ed io 
sarei disposto ad accoglierle come le più giuste, quante 
volte però non si dia a Innocenzo tutta la lode del bene 
fatto e tutto il biasimo del male alla sua consigliera, 
e si ripartisca pure fra tutt'e due l'infamia della po- 
tenza-, concessa a una donna e delle ricchezze con male 
arti spremute dai popoli e adoperate non a pubblico be- 
neficio y ma a commodo, a fasto, a orgóglio d'una casa 
privata. 

Come però è molto facile far piena giustizia su questo 
secondo punto, cqsì è assai scabroso vedere e giudicare 
e dare a ciascuno il premio o la pena che merita, ri- 
spetto al primo: in quanto che né storie contempora- 
nee, né diari, né lettere, documenti in somma, ci pos- 
sano chiaramente informare di quel che non si scrivea 
certamente) ma si confebulava nelle stanze segrete e si 
raccontava al di fuori per congetture diverse a seconda 

1 Annali, arni. 1655. 

Ciampi. — Innocenzo X e la sua Corte. 21 



322 CONCLUSIONE. 

delle varie passioni. E cosa ridicola affermare che Olim- 
pia non si limitasse che a far denaro lasciando nelle 
cose di Governo che il papa o altri facesse: e se il 
Deone ciò disse nel suo Diario , * non mancò di farne 
ammenda nella satirica vita che lasciò d' Innocenzo. Ma 
è vero ancora che questi, secondo tutte le testimonian- 
ze storiche, era uomo che il più delle volte operava 
secondo la sua mente e non si lasciava sì facilmente 
subordinare dagli altrui consigli. Avea, tra le buone parti 
della sua indole, anche del tenace, del duro, del riottoso. 
« La franchezza (ci dice il Giustiniani) con che il papa 
rigetta per lo più le giuste istanze de 7 Prencipi , qualcuno 
direbbe che fusse effetto d' una grandezza d'animo spaz- 
zatrice di tutto ciò che repugna al proprio genio : ma io, 
bilanciati gli accidenti occorsi in tempo della mia amba-r 
scerìa, son di parere che questa spazzatrice franchézza 
habbia più tosto origine da una certa buona fortuna * 
che ha, si può dire, accompagnato la serie del suo Pon- 
tificato. Mi sovviene che in tempo che era incerto qual 
esito fosse per havere il sortire che fece in campagna 
la gente del duca di Parma sotto la condotta di Gau- 
frido suo capitano, il papa si rendeva più facile alle^gra- 
tie, e con tutti usava maniere in eccesso cortQsi. Mi 
sovviene parimenti che in tempo che i Francesi s'im- 
padronirono di Portolongone e ne rimasero in possesso, 
se haveva negative , erano scusate e colorite da pre- 
testi di grande honestà. Ma dopo che il Duca rimase 
perdente e Longone in man de 7 Spagnoli ; sciolto il freno 
ad ogni rispetto, le negative comparivan svelate et alle 
repliche si chiudevan prestamente l' orecchie : il che in- 

1 « 1645 ... Vero è che non s' impaccia nel govcrnamento né 
ponto né poco, e come dama di molto giuditio, non abusa della 
sua autorità. » 



CONCLUSIONE. 323 

terpreto per indicio che l'andar le faccende a modo del 
papa et il riconoscer di non haver bisogno di nessuno, 
ò quello che l' indurisce e non la rigidezza della pro- 
pria natura.... » E poi ancora: « Nissuna cosa vuole 
che si avochino di fare i nipoti et i ministri senza sua 
saputa et in particolare a quelli attinenti al Governo 
di Roma et alla distributione di cariche della Corte e 
de' Benefìtii ecclesiastici. Onde il Datario, che in altri 
tempi hebbe l'assoluto arbitrio di conferire i benefìtii 
di rendita sino una certa somma, rimane adesso sem- 
plice esecutore di ciò che li viene ordinato etiandio in 
cose di leggier momento... » 

Oltracciò il papa era assai diffidente. E sicura prova 
di questo il cacciar che facea spesso dalla sua presenza 
o favoriti e parenti. Sospettosissimo fu verso i letterati, 
e sei seppe monsignor Felice Contelori che dovè patire 
il sequestro e la restituzione dei manoscritti copiati dal- 
l' archivio segreto Vaticano, sotto il pretesto che avea 
fatto l'iscrizione contro i Veneziani a tempo d'Urba- 
no Vili; ma in verità per paura che fossero rivelati 
fatti biasimevoli nella storia del pontificato romano. l 

Non avea alcuna fiducia nei medici «... ò ben vero 
che egli stima pochissimo i pareri de' medici e si ride 



1 Valena, Diar. cit. (Ardi. Seg. Capit. pag. 121, ari. 1644). 
« Furono fatti corcare o pigliare tutti gli manuscritti di Mons. 
Contelori. » — Gigli Diar. cit. a. 1644. «... patì del sequestro 
delle scritturo perche avea fatto V iscrizione contro li Venezia- 
ni. » — Gio: Camillo Peresio , Vita di Monsignor Felice Con- 
telori ecc. (Roma 1634). Opusc. di pag. 28. — Il Contelori morì, 
ò vero, al tempo d'Innocenzo ed è sepolto in S. Maria Madda- 
lena: ma fiorì sotto Urbano Vili, e la sua vita letteraria appar- 
tiene a quel regno. Dicesi che nel Vaticano vi sieno di lui mss. 
Historia Cameralis e De electione regis Romanorum in im- 
peratorem. 



324 CONCLUSIONE. 

della loro arte come di professione fantastica, e se bene 
osserva lo stile ordinario de gì' altri di mangiare con 
l'assistenza di quello che possiede la qualità della sua 
complessione, lo fa più per grandezza e per non lasciare 
il costume consueto, che perchè v'abbia alcuna fede... 1 » 

Ad onta poi della sua eccezionale pieghevolezza per 
Olimpia, dicono i contemporanei che alla fin fine egli 
volea sempre rimaner padrone. * 

Dato dunque questo carattere, quest? abitudine alla 
diffidenza, che si rivela in tutte le vicende del Governo 
e della vita privata d' Innocenzo, sarebbe temerità l'af- 
fermare che tutto ciò ch'egli fece, lo facesse per impulso 
d'Olimpia, come anche, visto il dominio che su lui sen- 
za dubbio ebbe la donna, si negasse ricisamente che que- 
sta non avesse molto potere in qualche pur grave de- 
liberazione- del pontefice in cose di Stato. Ma nell' im- 
possibilità di distinguere quel che Innocenzo operò di 
suo moto e quel che fece per conscio o persuasione 
della cognata, il meglio è non dividerne la responsabilità 
e distribuirò la lode e il biasimo a parti eguali. 

Aggiungerò inoltre che certe colpe: speciali attribuite 
ad Olimpia poteano sembrar tali allora, ma non adesso 
che il tempo trascorso ci può far giudicare gli avveni- 
menti con più imparzialità. 

Lasciando in fatti altre più lievi o più assurde ri- 
velazioni, le accuse più gravi che si fanno a Olimpia, 
consigliatrice d'Innocenzo, sono che lo persuadesse a 
soverchia neutralità nelle contese dei principi, cosidchè 



1 Relazione del Giustiniani. 

2 « 28 agosto 1649.... La signora donna Olimpia ò risanata 
affatto. Vogliono che ricevesse qualche disgusto dal Palazzo, qvo 
mancò di andare per alcuni giorni, e sendo chiamata, passò l'in- 
dispositione. Certa cosa è che il papa le vuol far gratia poro usque 
ad aras, et egli vuol essere padrone. » (Deone). 



CONCLUSIONI!. 325 

non ebbe più fra le mani i più importanti affari della 
cristianità ; che lo facesse poco parziale alla corona spa- 
gnuola, di cui non fu promossa più la grandezza come 
s' era fatto sotto i pontefici precedenti ; che lo riduces- 
se troppo caldo di certi e troppo fiacco amico di altri 
principati italiani ; che nella rivoluzione di Napoli lo te- 
nesse in una ambiguità senza profitto, lo istigasse alla 
guerra e alla distruzione di Castro, lo riconciliasse coi 
Barberini. Ma dal racconto, che noi abbiam fatto, emerge 

la lode o la scusa d'Olimpia quante volte si dovesse 
ritenere che l'avveramento di tutte queste cose si do- 
vesse a lei. Fu prudenza , se non assoluta necessità , non 
mescolarsi più tanto nelle contese dei principi cristiani 
in quanto che oramai essi meno voleano provvedere a- 
gl' interessi religiosi che ai politici (e fu bene) come si 
vide nella pace di Westfalia, e perciò sarebbe stato spre- 
care inutilmente il denaro e le forze della Chiesa e del- 
lo Stato pontificio. Pruomuo vere gì' interessi della Spagna 
finchò la Spagna erft stata potentissima potea aver gio- 
vato ai pontefici, ma, essendo essa caduta in tanto di- 
scredito, il sostenerla a spada tratta potea poco adesso 
giovare ai papi ed esporli nello stesso tempo a gravi 
pericoli. La calda amicizia mostrata ai Veneziani col re- 
stituir nelle sale Vaticane il loro elogio, era alla fin fine 
un omaggio a quella repubblica, che, malgrado la sua 
fiera resistenza alle pretese dei pontefici, era stata ed 
era ancora il baluardo della cristianità contro i Turchi. 

1 due interessi opposti della Spagna e della Francia nei 
moti di Napoli erano tali da metter pensiero , mentre 
non si sapea che cosa fosse da preferire o il manteni- 
mento in Italia d'una potenza scadente come la spagnuola 
o l' introduzione d'una potenza come la francese, che ogni 
giorno pigliava sopravvento in Europa. E perciò fu lode- 



326 CONCLUSIONE. 

vole che il papa per pia grandi interessi silurasse l'odio 
contro il Mazzarini, e si limitasse solamente, in meno 
importanti affari, di pungerlo, come avvenne nel cardi- 
nalato del Gondù l Se la guerra di Castro fu ridicola 
nella sua rappresentazione e crudele nel suo esito, era 
nondimeno una necessità storica il levar di mezzo uno 
Stato dentro un altro Stato costituito. E se tutto ciò 
che fece il papa e contro e prò dei Barberini, fu con- 
siglio di Olimpia, le buone ragioni di tali fatti sono dati 
da uno storico circospetto che pure le diceva con l'in- 
tento di biasimarla. « Donna Olimpia guadagnata dal- 
l' oro dei Barberini poneva in considerazione a quel vec- 
chio, che Tessere egli in età di 73 anni dovea farli 
conoscere che non conveniva più azzardare la quiete del 
Pontificato e lo stabilimento della famiglia ; che la morte 
del Duca di Parma accaduta recentemente, la circospe- 
zione del Gran Duca e l' impotenza delli Spagnuoli lo 
ponevano nella necessità d'accomodarsi con la Francia 
con dignità, prima che la forza lo costringesse a rice- 
vere condizioni umilianti. » 2 

Aggiunge da ultimo il Sismondi l' accusa che Olim- 
pia facesse ottenere a' gesuiti la condanna dei gianse- 
nisti in contraccambio di molti doni largitile.. Ma è cre- 

1 Nella sua albagia il cardinal di Retz ci dice: « La dispo- 
sinoli où le Pape était pour moi, laquelle alloit jusqu'au point 
de penser à m'adotter pour son neveu, et l'indisposition crucile 
qtfil avoit contrele cardinal Mazarin, eussent apparemmenfc don- 
ne dans peu d'autres scènes, s'il ne fu tombe malade trois jours 
après de la maladie de laquelle il mourut au bont do cinq semai- 
nes ecc. (Memoìres du cardinal De Retz écrits par lui mé- 
me à madame De*** Collection Petttot, Paris 1825, tomo XLVL 

2 G-alluzzi, Storia cit. — Dopo il ritorno dei Barberini le due 
grandi fazioni da un lato degli Orsini, Cesarmi , Borghesi, Al- 
dobrandino Giustiniani, Pamfili e dall' altro dei Colonna e dei 
Barberini, si fusero insieme : si fece un'alleanza generale che ab- 



CONCLUSIONE. 327 

dibile che ella prendesse i doni. Quanto al resto, erano 
le massime della Curia che doveano portare questa con- 
seguenza senza bisogno dell' intervento di Olimpia, 

Ella indirettamente contribuì alla magnificenza della 
piazza popolare di Roma. Avaro per natura Innocenzo, 
a lui ripugnava di togliere persino i balzelli e le tasse 
odiose messe dal suo predecessore sebbene la loro abo- 
lizione gli avrebbe fatto acquistare una grande popolari- 
tà, Avea stabilito, per esempio, che fosse abolita la tassa 
del macinato e che il vuoto lasciato dalla soppressione 
di- essa fosse riempito dai beni di Taddeo Barberini: ! 
ma in verità non fece nulla di quest'ultimo decreto, 
e lasciò che la tassa fosse sempre mantenuta in appresso. 2 
Avea qualche inclinazione di spendere per l' arti, non per 
esse, ma per la sua gloria: vedemmo nel corso della 
narrazione le sue molte lesinerie quando pure s'era 
messo in impegno di edificare. 

r Al contrario per piazza Navona nulla fu risparmiato. 
E che donna Olimpia fosse giudicata quasi autrice di 

braqciò tutto le grandi famiglie romane. — La persecuzione dei 
Barberini fu secondo le tradizioni del pontificato romano. Pio II, 
vèduttf dopo la morte di Bonifacio IX, Martino V, Niccoiò V quanto 
età successo, scrivea a Pietro de Noxeto consolandolo (lett. 188) 
che dovea esser contento d' esser uscito sano e salvo dal palazzo 
e d'aver raccolto sareinas suas, e segue :« Hoc beneficimn tan- 
to majus est, quanto rarius acridi t. Etenim quot memorantur qui 
potentes in Palatio post obitum Pontificia in maximas calamita- 
tes inciderint! Ita mos inolevit: odio habetur successori quisquis 
antecessori acceptus fuit. » E fu profeta pei suoi. Dopo la sua 
morte furono perseguitati i suoi familiari o il nome sanese (V. 
Papiense, lett. LVII). — Ma la riconciliazione coi Barberini usci 
da tutte le regole tradizionali. 

1 V. sopra pag. 107. 

2 AoKMOLi.0, //. maculato a Roma nel secolo XVII. (Rivi- 
sta Europea, Au. VIII. Nuova Serie. Voi, II, fase. Ili, 16 mag- 
gio 1877). 



328 CONCLUSIONI!. 

queste magnificenze, se ne piglia argomento dalle satire, 
che contro lei si scagliavano , accusandola che per le 
fontane facesse mancare al popolo il nutrimento. ■ 

Biasimo, anzi infamia intiera si deve a tutt'e due 
per le sperticate ricchezze che V uno largì e l'altra adu* 
nò senza ritegno e senza vergogna. Non ripeterò i fatti, 
che ho già narrati, né molto meno mi vaTrò in questo 
materia dei libelli e delle dicerie che potrebbero a qual- 
che scrupoloso sembrare bugiarde o esagerate. La prova 
scaturirà dalle parole assennate dei veneti amhasciadori, 
che poteano ingannai-si su qualche fatto nascosto a' loro 
ocelli o aver meno sincero il giudizio nelle cose che si 
riferivano al bene o al male della loro repubblica, ma 
non già esporre diversamente da quel che succedeano gli 
avvenimenti che si svolgeano alla vista del pubblico, 
« Non ci è affittuario (il Contarmi ci dice) offitiale.e 
ministro della Sede Apostolica benché minimo che non 
sia necessitato o per conseguire V offitio o per mante- 
nersi in esso o per vantaggiarsi a maggior carica di 
corrisponderli con annua et antecedente stabilita pen- 
sione o pure con frequenti regali, e, quel, che più de- 
nigra il pontificato, non impetra gratia dai Papa- che 
non la venda a rigoroso e talhora pattuito prezzo a quelli 
che V ambivano, avanzando a quest 7 effetto un' infinità di 
Turcimanni che le fanno assiduamente intorno ignonii- . 
niosa corona. » E il Giustiniani. « Hebbe (Olimaia) le 
mani in ogni cosa, e tutto si fece lecito. Se vacavano 
ufficii nella Corte, nulla si deliberava senza* il benepla- 
cito di lei : se venivano benefitii da distribuire, li ■ mi- 
nistri di Dataria tenevano ordine di trattenere ogni etipe- 
ditione sinché da tali notitie della, qualità delle vacanze- ; 
scegliesse a sua dispositione ciò che più le tornava di 
gusto. Se v'era Chiesa Episcopale da provvedersi, ad 



CONCLUSIONE. 329 

èssa ricorrevano i concorrenti, e, quel che rendeva nau- 
sea a tutti gli huomini honorati, era il vedere che nelle 
gratie eran preferiti quei che più allargavano la mano 
a donativi. E passò tant'oltre il fasto di questa moder- 
na Agrippina, che non solo estorse dall' indulgenza del 
Papa il Cardinalato per un suo nipote giovanetto di nes- 
suna capacità, né aspettatone, come più a basso si dice ; 
ma pretese inoltre che nelle promotioni il suo visto 
fosse atteso in tal modo, che senz'osso non si stabilisse 
alcutìa risoìutione come pure in gran parte le riuscì : e 
da quest' opinione di poter cose grandi, ne nasceva, che 
tutti gli officiali della Corte, o temendo, o sperando da 
lei, frequentavano i limitari della sua habitatione, né 
venivano in alcuna deliberatione senza darne parte a 
lei in quella forma, che in altri tempi si costumava di 
communicare il tutto con Cardinali nepoti ; tanto che l'i- 
stesso Cardinale Panairolo, vessato non meno dalle Ur- 
genti occupazioni del suo carico, che dalle continue in- 
dispositioni, per secondare il genio della donna si sen- 
tiva obligato d'andare ben spesso in persona a confe- 
rirgli quel che di più cupo passava fra gli arcani della 
sua segreteria: et ella di tanto in tanto con maestoso 
sossieguo portandosi a Palazzo con un fascio di memo- 
riali la maggior parte già decretati da lei, si tratteneva 
le hore intiere con sua Santità a maturare le materie, 
che cadevano in discussioni frequenti, ed altrettanto pie- v 
canti: e perciò erano gli aculei degl'ingegni procaci della 
Corte feconda fuor d'ogni credere d'arguzie in toccar 
le convenienze di chi comanda...» 

'Non. terrò gran conto delle parole dell' Ameyden che 
potrebbero sembrar maligne , l ma ricorderò quelle di 

1 « Illa tradux erat omnium grati arum civilinm et ecclesia- 
sticarura... nullus erat, neque Curiae, neque Palatii officialis, qui 



330 CONCLUSIONE. 

Sforza Pallavicino, testimonio non sospetto, che chiamò 
il predominio di Olimpia sul papà « mostruoso potere 
cT una femmina in Vaticano. x » . ■ ■ . - 

Gli stessi Francesi, più parziali ad Olimpia, lodan- 
dola per certe sue qualità, biasimarono la sua avarizia, 
la sua smania d'accumulare, la sua indole vendicativa. 
Neil 7 istruzione dell' ambasciatore Valengay al suo suc- 
cessore, si legge: « D. Olimpia ne viene adesso, né si 
può negare che non sia una gran donna. Grande, per- 
chè ha saputo avanzarsi, absentarsi e rimettersi nella 
gratia del papa con tanta prudenzia, che ne stupisce la 
Corte di Roma per altro avvezza alle meraviglie. Che 
poi sia donna, comparisce nella volontà dell'accumulare 
con troppa industria, nel dilettarsi della vendetta e fi- 
nalmente nel far più conto dell' apparenza che della re- 
altà del suo predominio. Pure torno a dire che è una 
gran donna, e se chi finse che una femina ottenesse il 
papato ne tempi scorsi, l' havesse saputa descrivere sa- 
gace, accorta e provida come questa, certo che lave- 
rebbe potuto passare per istoria. Procuri • V. E. di gua- 
dagnarne V affetto, e ciò non dovrà riuscirli molto dif- 

i 

quotarli sui muoeris ipsi non penderet. » — Dice che P allonta- 
namento di Olimpia, la sua momentanea disgrazia in somma, fu 
una finzione. « Inventum commentum satis lepidmn Olimpiam 
nempe Palatio arceri, ingressum ad Pontificein ei interdici, de- 
li ique exulem et a Papae gratia exclusam esse. Verum qui rem 
uti erat noscebant, figmenta ista ridebant, et mento sciebant in 
eodem loco esse et prope diem comparituram majore auctoritate, 
potontia et fastu quam nunquara fuerat : et successus ratiocinimn 
comprobavit. » — Descrive i cardinali col capo scoperto innanzi 
ad Olimpia e lo sdegno che ne concepì il Chigi, poi Alessandro VII, 
che esclamò « EÈmi Dni. inquit, in concursu tanti pòpuli scitote 
adesse plures Germanos et Gallos et fortassis hereticos: proinde 
rationem habitote dignitatis vestrae ne nos subsannent. » 
1 Vita d' Alessandro VII, cit. t. 1, pag. 192. . 



CONCLUSIONE. 331 

ficile essendo ella di genio più tosto adattato a voler 
bene alla Francia che a compiacersi delli Spagnuoli, mas- 
sime doppo che per causa degli Austriaci di Germania 
gli convenne rimettersi nel volere del cognato, che fe- 
ce prova della sua costanza, esiliandola (com* io non 
dubito) apparentemente dalla suagratia. x » 

Nel novero delle male arti onde Olimpia s'arricchì, 
si mette ancora la complicità col Mascambruni: il che 
certo non dovè scaturire dal processo, ma dal segreto 
oon cui fu fatto, dal segreto con cui si tiene ancora 2 
e dalla pubblica voce proclive ad aggravare sempre piti 
le colpe della donna odiata. 3 Certo è che a lei , così 
buona massaia, piaceva tanto il largo mietere quanto 
lo spigolare : e perciò non isdegnava di avere dal palazzo 
assegnamenti mensili, e anche salari per piccoli servigi 
come quelli dell' imbiancatura de' panni. 4 Una nobil ' 
donna ! la principessa di San Martino ! 



" Ms. Bibl. Chig. N. Ili, 88, pag. 245 e seg. 
8 V. Nota delle fonti in fine. 

3 M. R. Chantelauze nello scritto Le cardinal de Retz et 
V affaire du chapeau ecc. (Revue des dexix mondes 1 agosto 
1877) si occupa un poco della complicità di Olimpia col Ma- 
scambruni basandosi anche sulla corrispondenza del Valen^ay e 
su quella d' un certo Gueflier agente francese, che risiedeva al- 
lora in Roma, e dal quale tolse le sue Memorie il gesuita Ra- 
pili. — Ma ciarle di corrispondenti non son prove. L 1 Ameydon non 
avrebbe taciuto. Della condanna del Mascambruni dà tutta l'odio- 
sità a Innocenzo «... hunc capite damnavit, quia semel corrcxerat 
rogestum Urbani in re modica et quod de sua natura corrigi fas 
erat: alios duos, quod Bullas Àptcas vel confecissent illi, vel fal- 
sas obtulissent, vivos excussit. » 

4 Dal libro della Depositeria secreta di papa Innocentio 
decimo dell'anno 1646 (Archivio di Stato) si apprende (pag. 1), 
che Olimpia, avea un assegnamento mensile di scudi 250. « A 
di d.° e fu sino li 24 sett. re scudi mille mta per Chirog. di Nos. Sig. 
pagasi all' Ecc." 11 Sig. ra Prinpnssa A. Olimpia Pamphilji e d'or- 



332 CONCLUSIONE. 

Anche in questo però la colpa maggioro del papa 
fu d'aver dato licenza di accumulare per la famiglia 
piuttosto a una donna che a un uomo : poiché, se ben 
si guardi, quel che dette Innocenzo e quel che Olimpia 
ricevette, non fu forse più né meno di quello che det- 
tero gli zii e ricevettero i nipoti degli altri papi, non 
escluso Alessandro VII che seguì poi l'esempio d'In- 
nocenzo quantunque prima di esser papa e per qualche 
tempo dopo fatto papa, lo avesse biasimato aspramente. 
Un curioso fece il calcolo che Taddeo Barberini, in ven- 
tun'anni durante il pontificato dello zio, avea guadagnato 
quarantuno milioni e 750, 000 scudi e che ventinove 
milioni, durante il tempo medesimo, aveva imborsato il 
cardinal Francesco. ! Come già fecero i suoi predeces- 

dine di S. B. a noi med. ml suoi depositarj per Y assegno dovutole 
a ragione di se 250 il mese, e questi por 4 mesi a tutto settembre 
prossimo in conformità di d.° Chirografo se. 1000. — (pag. 13). 
A dì 26 detto (marzo) MDCXXXVII se mille cinquecento mta e 
i med. imi posti a credito dell' Ecc.™* Sig. r * d. Olimpia Prinpessa 
di S. Martino per il solito assegnamento di sei mesi a t.° marzo 
cor. 1e a rag. di se. 250 il mese in conformità del chirografo di 
S. B. se. 1500. — E così sino al 1650. 

Vi si legge ancora che per 1' imbiancatura dei panni dì palaz- 
zo Olimpia avea diciotto scudi al mese (pag. 50). « Addì 27 febbra- 
ro se. trentasei m. ta per tanti posti in cred.° ali'Eccma Sig. a d. 
Olimpia sud. per imbiancature di panni di Palazzo per 2 mesi 
a t.° feb.° pross. mo a se. 18 il mese. 

E altre dello stesso tenore. — 1/ assegnamento solito, malgra- 
do le tempeste di Palazzo, fu sempre dato come si vede dal Li- 
bro della Tesoreria secreta ecc. per l'anni 165 i, Ì652, 1653. 
(Archivio di Stato). 

1 Archivio Segreto Capitol. Diari di Roma per l'Istoria del 
secolo XVII. Cred. XI tom. 9 pag. 231. « Nota degli avanzi fatti 
da' Barberini. — Ristretto delli avanzi fatti da D. Taddeo Bar- 
berini calcolati nello spazio di anni 21 durante il pontificato del 
zio. » — Il calcolo per Taddeo è fatto così: 

« Il Papa ha l'entrate sue ascendenti a 800 mila scudi, de quali 



CONCLUSIONE. 333 

Sori Innocenzo, donando a donna Olimpia, in tendea fon- 
dare anche la famiglia e però sempre avea cura di sta- 
bilire il principio che tutto dovesse servire a questo sco- 
po; E così nel chirografo del 20 giugno 1650 dichia- 
rava che detratta la sua dote e ragioni dotali, tutto ciò 
che ella « per sé e interposta persona havesse acqui- 
stato e moltiplicato e particolarmente durante il nostro 
Pontificato et si troverà che haverà acquistato e mol- 
tiplicato in tempo della sua morte, tutto si acquisti con 
li suoi miglioramenti alli discendenti della raed. d. Olim- 
pia et bo. m. di Panfilio Panfili nostro fratello confor- 
me la primogenitura clausule, conditioni e modi che da 
Noi in essa si fosso ordinato, riservando il solo uso e 
rispettivamente usufrutto alla detta donna Olimpia sua 
vita durante ad effetto di poter mantenere sé e sua 
famiglia. ! » E nomina espressamente il castello di San 
Martino con tutto ciò che gli appartiene in immobi- 
lio, mobili e semoventi, e il palazzo comperato dai 
Comari vicino a Fontana di Trevi, e il podere o ca- 
saletto della Pisana e tutto, anche argenti, gioie, offici, 
Luoghi di monte, censi, sieno, salvo il solo uso alla don- 
na, dei discendenti di essa. 2 Nò il papa si mostrava 

ne appare haverne date al Ppe D. Taddeo 800 mila Fanno e più; 
importano più di inillioni cinque. 

« Dato al med-° di vacanze d'offitii , luoghi di Monte vacabili, 
cavalierati, tesaurierati et auditorati et il tutto appare per chi- 
rografi ascendenti ad 8 milioni poiché l' oificii minori per pruova 
si è visto fruttare 500 mila scudi 1' anno Tun per l'altro; sono 
diece millioni. 

Seguono confiscazioni, pene, condanne in pecunia od esilio co- 
mò si vede dai libri della depositcria e altre mangerìe e frodi sino 
alla somma di 41 milioni e 500 mila scudi. 

' Atti Simoncelli, Testamenta et donationes ab anno 1658 
ad annum 1658. (Archivio di Stato) V. Documenti. 

* «Ordinò con suo Breve, che lasciò nelle mani del Cardinal Chi- 



334 CONCLUSIONE. 

mono premuroso di stabilire il principio dell' ingrandi- 
mento della famiglia anche nei donativi che si poteano 
dir piccoli rispetto alle altre profusioni. J 

La famiglia poi di donna Olimpia non costituì una 
di quelle, che, alzatasi per mano d' un papa, fosse ca- 
gione di pericoli o di turbolenze allo Stato. Lascio il 
gran nepotismo che, cominciato con Sisto IV e termi- 
nato con Paolo IV, consistea nel dare ai Riari, ai 
Borgia, ai Medici, ai Farnese, ai Caraffa a dirittura 
signorie nelle altre provincie d' Italia o negli Stati 
della Chiesa sino a minacciare d' assorbire la stessa so- 
vranità papale. Ma venendo al piccolo nepotismo comin- 
ciato con Gregorio XIII, che consistea nell' arricchire 
strabocchevolmente i nipoti coi denari pubblici e della 
Chiesa, certo è che là famiglia fondata da Innocenzo o 
da donna Olimpia non dette da fare ai successori pon- 
tefici quanto, per esempio, i Barberini d'Urbano Vili, che 
trassero il papa Innocenzo a guerreggiar con la Fran- 
cia e per mezzo di questa lo costrinsero a restituir loro . 
gli antichi onori e le smisurate ricchezze. 

gi suo successore nel Pontificato, elio tutto le compre e gli ac- 
quisti fatti daossa Olimpia durante il suo Governo ricadessero do- 
po la morte di lei al principe Don Camillo unico erede e capo della 
sua Casa » Brusoni cit. pag. 644 lib. XXIII. — «Dicembre 1648 
Donna Olimpia compra la tenuta di Maccarese la migliore e più 
grande che sia nella Campagna di Roma, e la migliore che hab- 
biano li Mattei per la primogenitura della casa Panfilia. (Deone). 
1 «... scudi sessantamila monete in virtù di Chirografo di N. 
S. delli 14 ott. e pross.° pagati all' Ecc. u,a Sig. 11 d. Olimpia Mai- 
dalchini Pamphilj e per sua Ecc. depositati nel sac. Monto di 
Pietà a suo cred.° ad effetto di farne un investimento con un 
multiplo a favore delli discendenti di essa*Ecc. ma Sig. a e della 
fel. ra. a del Sor Pamphilio Pamphilj suo consorte ecc. ecc. {Libro 
della dìpositeria secreta cit. pag. 18). 



DOCUMENTI. 



I. 



Chirografo d'Innocenzo X del 26 settembre 1644 con 
cui dichiara che le concessioni a d. Olimpia di Offi- 
cii e Luoghi di Monte si debbano intendere con l' ob- 
bligo di venderli e rinvestirli ec. a favore dei discen- 
denti di d. Olimpia e di Pamfilio. 

Inserito nel testamento di d. Olimpia (Atti: Jacobus Si- 
moncelli: Testamenta et donationes ab anno 1653 
usque ad annum 1658. Archivio di Stato a Roma) 

INNOCENTIUS PR X. 

Ad perpetuarti rei Memoriam. 

Nuper a nobis emanavit Chyrographum manu nostra sub- 
scriptum tenoris subsequentis, videlicet : Havendo Noi inten- 
tione di concedere alcuni offitii vacanti, come anche succes- 
sivamente altri offitii, che vacaranno, et luoghi de Monti pa- 
rimenti vacati et da vacare a d. Olimpia Maidalchini Pamfilij 
già moglie della bo. me. di Pamfilio Pamfilij nostro fratello con 
che però debbano andare in utile de' suoi descendenti, e non 
intendendo esprimere l'intiera nostra volontà nelli Motuproprii 
o Chirografi delle concessioni di detti Officii e luochi de Monti, 
benché più volte l'habbiamo espressa a bocca alla med. d. 
Olimpia la quale ci ha promesso di osservarla puntualmente : 
però acciò non si possa mai dubitare della nostra volontà , e 
quella anco apparisca in scriptis , di nostro Motuproprio, certa 
scienza, e pienezza della nostra assoluta autorità apostolica di- 
chiariamo, et espressamente attestiamo che sebbene le spe- 

Ciampi. — Innocenzo X e la sua Corte. 22 



338 DOCUMENTI. 

ditioni di detti Officii, che Noi concederemo alla detta donna 
Olimpia, si faranno libere a sua dispositene, et con donatio- 
ne irrevocabile inter vivos di detti Officii, et luoghi dei Monti 
et prezzi di essi, et con qualsivoglia clausule e parole etiain 
amplissime anco in Chirografo a parte ; nulladimeno la nostra 
intentione et espressa et determinata volontà è stata, et è 
di concedere detti Officii di qualunque sorte si siano, ed a 
qualsivoglia somma di loro prezzi arrivino, et luoghi dei Monti, 
acciochè, quanto prima verrà occasione, si debbano da detta 
d. Olimpia, o da chi da noi si ordinerà vendere ad effetto di 
investirsi l'intiero prezzo in luoghi de' Monti non vacabili Ca- 
merali o stabili anche giurisditionali nel Stato Eccles. co per li 
descendenti di essa donna Olimpia et di d. t0 Pamfilio Pamfili 
nostro fratello, conforme la primogenitura et clausule, condi- 
tioni et modi che da noi in essa si ordinarà : et acciochè q.t* no- 
stra determinata, et espressa volontà habbia il suo totale, et 
pieno effetto, ordiniamo et espressamente comandiamo al no- 
stro Datario, Sottodatario et Prefetto delle nostre Componen- 
do, Tesoriere gfile, Segretarij de'Monti ed altri officiali, ai quali 
respettivamente spetta, che quando siano ricercati, senza però 
registrare il presente Chirografo, né lasciarne o pigliarne copia 
di esso, debbano annotare et fare annotare in margine dei 
Registri li detti Motuproprii, et Bolle, o altri libri, dove sia 
di bisogno, et patenti dei Monti, et registri di esse, sommaria- 
mente questa nostra espressa volontà, acciò quando li detti Of- 
ficii et luoghi dei Monti si vendaranno, il prezzo di quelli si 
debba depositare nel monte della Pietà per investirli come s< 
pra, volendo et decretando che il presente nostro Chirografo coi 
la sola semplice iitra sottoscrittione vagli et habbi il suo pi< 
no effetto, essecutione et vigore senza altra insinuatione da- 
ta della nostra Dataria, et di altri officiali nostri, et ancorché 
mai sia ammesso et registrato in Camera et nelli suoi libri efc^ 
senza osservanza di qualsivoglia solennità legali, Statutarie^- 
et altre etiam sostantiali et formali che in ciò si ricercasse — 
ro ; et nondimeno il presente Chirografo possa ancora fuori del 
termine assegnato per la Constitutione di Pio IV nostro pre- 
decessore de registrandis, et ogni volta che a qualsivoglia che 
vi habbia interesse parerà et piacerà presentarsi et farsi am- 
mettere et registrare in detta hostra Camera ; et se anco non 




DOCUMENTI. ol)D 

Rosse mai ammesso né registrato resti Del suo vigore come se 
nel debito tempo, modo et forma fosse stato portato, ammesso 
e registrato, et che per tale ammissione, registratione et cose 
predette non possano o debbano detti interessati per alcun 
tempo mai essere sopra di ciò, per qualsivoglia causa, mo- 
lestati : decernendo in oltre che da hora il presente Chirografo 
sottoscritto di nostra mano habbia la medesima forza, virtù 
e vigore come se qualsivoglia instrumento d'insinuatione, di- 
chiaratione , ammissione , registratione , et cose suddette, e 
qualsivoglia altra cosa necessaria, et opportuna fossero pie- 
namente e sofficientemente intervenuti : ordinando parimente 
che quelli che saranno dichiarati nella detta Primogenitura, 
non siano in qualsivoglia tempo tenuti a verificare la causa 
della presente dichiaratione, la quale dichiariamo fave di no- 
stro vero Motuproprio, certa scienza, e pienezza della nostra 
potestà. Volendo di più et decretando che il presente nostro 
Chirografo non possa ne debba in alcun tempo essere impu- 
gnato di subrettione, obrettione, nullità, difetto della nostra vo- 
lontà et intentione e di qualsivoglia altri ancorché sostantiali 
et formali, a' quali tutti pienamente suppliamo anco in ogni 
altro miglior modo in virtù del presente Chirografo. E questa 
dichiaratione vogliamo che non sia mai compresa sotto qual- 
sivoglia revocatione generale o particolare, ancorché fosse 
fatta con Motuproprio anco concistorialmente , et per via di 
ordini, o leggi generali, et per qualsivoglia causa; anzi vo- 
gliamo che sempre sii valida, et resti nel suo vigore, et sor- 
tisca il suo pieno effetto, né possa essere rivocata , né mode- 
rata o altrimenti controversa per qualsivoglia capo, ragione 
et causa quantosivoglia giuridica, et non espressa etiam ine- 
scogitata ancorché fosse in corpore Juris inserta, né si possa 
contro essa ammettere instanza alcuna et ex officio, né qual- 
sivoglia prova in contrario; e che così et non altrimenti sem- 
pre sia interpretato giudicato, osservato, et diffinito da qual- 
sivoglia Giudice ordinario, Commissario et delegato, ancorché 
fossero Cardinali di Santa Chiesa et legati de latere et anco 
dal Cardinal Camerlengo, Auditori della Camera, e di Eota, 
Tesoriero, Chierici, Presidenti et altri Ministri et offiziali della 
nostra Camera apostolica che al presente sono, et protem- 
pore saranno, levandoli noi ogni potestà d'interpretare et giù- 



340 DOCUMENTI. 

dicare in contrario : decernendo nulla, irrita et di nessun va- 
lore qualsivoglia cosa che mai fosse scientemente o ignorante- 
mente fatta in contrario : non ostante la Bolla di Pio IV nostro 
predecessore de registrandis et la nostra regola di Cancellaria 
de iure quaesito non tollendo, Constitutioni et ordinationi, 
Apostoliche leggi et imperiali di non revuocare le donationi 
fatte, la Constitutione di Simmaco, Paolo II, Paolo III, Paolo 
IIII et di altri Romani Pontefici palamenti nostri predecessori 
de rebus Ecclesiae et Camerae apostolicae non alienandis et a- 
lienatis recuperandis , privilegii apostolici ancorché reiterati 
e più volte confermati et esseguiti, et qualsivoglia altre cose 
che ostassero al presente nostro Chirografo, ancorché fossero 
tali che contenessero decreti irritanti et clausule insolite an- 
co derogatorie di derogatorie, et ricercassero che di esse se 
ne facesse individua et special mentione. Alle quali tutte et 
singule, havendo li loro tenori qui per sofficientemente espressi 
et inserti anco di parola in parola, per questa volta sola- 
mente et a questo effetto espressamente deroghiamo. — Dat: 
nel nostro Palazzo Apostolico in Vaticano questo di XXVI 
di Settembre 1644. 

IKNOCENTIUS PP. X. 

(Segue Breve ilei 1 aprile 1651, che si tralascia.) 



II. 



Chirografo d' Innocenzo del 20 giugno 1650 con cui di- 
chiara che tutto ciò che Olimpia ha acquistato o ac- 
quisterà sia per la discendenza ec. (Inserita nel testam 
di d. Olimpia e. s. Atti Simokcelli). 

hNNOCENTlUS PP. X. 

Ad perpetuarti rei memoriam. 

Nuper a nobis emanavit Chirographum manu nostra sub- 
scriptum tenoris subsequentis, videlicet : Se bene per Chirogra- 
fo di mano nostra signato dal principio del nostro Pontificato 



DOCUMENTI. 34 1 

sotto li 6 Ottobre 1644 habbiamo dichiarato che, detratta la 
sua dote e raggioni dotali, tutto quello che donna Olimpia 
Maidalchina Pamphili , moglie della bo. me. di Pamfilio Pam- 
fili nostro fratello, per sé e interposta persona hàvesse ac- 
quistato e moltiplicato particolarmente durante il nostro Pon- 
tificato, e si troverà che bavera acquistato e moltiplicato 
in tempo della sua morte, tutto si acquisti con li suoi mi- 
glioramenti alli descendenti della med. d. Olimpia et bo. me. 
di Pamfilio Pamfili nostro fratello, conforme la primogenitura 
e clausule, conditioni, e modi che da Noi in essa si fosse or- 
dinato, riservando il solo uso, e rispettivamente usufrutto alla 
detta d. Olimpia sua vita durante, ad effetto di poter man- 
tenere sé, e sua famiglia, come più ampiamente si contiene 
in detto Chirografo, il tenore del quale vogliamo haver qui 
per espresso, e di parola in parola inserto in ogni modo, per- 
chè questa è nostra intentione, e deliberata volontà precisa 
essendo informati, che detta d. Olimpia nel tempo del nostro 
pontificato ha fatto alcuni acquisti. Di nostro Motuproprio, 
certa scienza e pienezza della nostra autorità apostolica, di- 
chiariamo e vogliamo che il detto Castello di San Martino 
Nullius Diocesis, con tutto il suo territorio, palazzi, case, po- 
deri, vigne, miglioramenti, aggiunte, et altri, con tutti li mobili 
semoventi, e qualsivoglia pertinenze, Juspatronati de Canoni- 
cati, Dignità, Beneficiati, Capellanie, et altri benefizii ecclesia- 
stici etiam amovibili fondati o da fondarsi da detta d. Olimpia, 
il palazzo che ha comprato dalli Comari vicino alla fontana 
de Trevi, et altre case e siti tanto adiacenti quanto anco lon- 
tani da esso palazzo, e li loro e ciascuno de' loro migliora- 
menti, il Podere , o Casaletto della Pisana e suoi migliora- 
menti, con li mobili semoventi et altre pertinenze di essi 
et altre cose esistenti in Eoma tanto acquistati , quanto an- 
co che * acquisterà , e si troverà che haverà acquistato, e 
moltiplicato in stabili, mobili semoventi, argenti, gioie, Offi- 
cii, luochi de' monti, censi o altro detratto il solo uso, e ri- 
spettivamente usufrutto; intieramente e in tutto, e per tutto, 
e senza detrattione alcuna di legitima, falcidia, trebellianica, 
legati pii, doti, o altri legati a favore di qualsivoglia causa 
privilegiata etiam di redentione de captivi, prestatione di ali- 
menti, spettino, e si intendano e siano acquistati alli descedenti 



M2 DOCUMENTI. 

della medesima d. Olimpia e bo. me. di Pamfilio Pamfili; no- 
stro fratello conforme la primogenitura è clausule, e condi- 
tioni e modi che da Noi in essa saranno ordinati , e così vo- 
gliamo et espressamente commandiamo che si osservi, e vo- 
gliamo che li chiamati in detta primogenitura, et amministratori 
di essa possino di tutti e singoli sopradetti beni pigliarne 
possesso, e farli descrivere et inventare come spettanti e pro- 
prii di detta Primogenitura, e che seguita la morte di d. 
Olimpia possino detti beni avocarli dalle mani di qualsivo- 
glia persona, senza che alcuno sotto qualsivoglia pretesto, o 
di donatione, o legato, o titolo hereditario o altro possa pre- 
tendere di esser legitimo contradutore e di esser mantenuto 
in possesso etiam summarijssimo : volendo e decretando che 
il presente nostro Chirografo con la nostra semplice sotto- 
scrittione vaglia, et habbia il suo pieno effetto, essecutione 
e vigore, ancorché non se ne stipoli instrumento, e senza al- 
tra insinuatione data dalla nostra Dateria e di altri Officiali 
nostri, ancorché mai sia ammesso, e registrato in Camera e 
nelli suoi libri, e senza osservanza di qualsivoglia solennità 
legali, statutarie, et altre, etiam sostantiali e formali che in 
ciò si ricercassero , e nondimeno qualsivoglia interessati pos 
sano anco fuori del termine assegnato per la Costituzion 
di Pio 4 nostro predecessore de registrandis et ogni volta eh 
a loro parrà e piacerà, presentare e far ammettere e regi 
strare il presente nostro Chirografo in detta nostra Camera 
e se anche non fosse mai ammesso, né registrato, resti ne 
suo vigore, come se nel debito tempo, modo e forma foss 
stato presentato, ammesso e registrato, e che per tale am 
missione e amministratione e cose predette, detti interessat 
non possano o debbano in alcun tempo mai essere sopra d 
ciò per qualsivoglia causa molestati : decernendo inoltre eh 
da bora il presente Chirografo sottoscritto di nostra mancr* 
habbia la medesima forza, virtù, e vigore, come se rinstro— 
mento di insinuatione, ammissione, registratane, e cose sud- 
dette e qualsivoglia altra cosa necessaria et opportuna fos- 
sero pienamente, e sofficientemente intervenuti: ordinando 
parimente che detti interessati non siano in qualsivoglia tem- 
po tenuti a verificare le cause della presente nostra dichia- 
ra tione, la quale dichiariamo fare di nostro vero Moto proprio, 





DOCUMENTI. 343 

certa scienza e pienezza della nostra potestà, e perchè così 
ci piace di fare, volendo di più e decernendo che il presente 
nostro Chirografo non possa, né debba in alcun tempo essere 
impugnato di sorrettione, obrettione, nullità, difetto della no- 
stra volontà et intentione, e di qualsivoglia altri ancorché 
sostantiali e formali, a' quali tutti pienamente suppliamo anco 
in ogni altro miglior modo in virtù del presente Chirografo, 
e che così, e non altrimente sempre sia interpretato, giudi- 
cato, osservato e diffinito da qualsivoglia giudice ordinario, 
Commissario e delegato ancorché fossero Cardinali di Santa 
Chiesa e legati di latere, et anco dal Cardinale Camerlengo, 
Auditori della Camera e di Eota, Thesoriere, Chierici, Pre- 
sidenti et altri ministri et officiali della nostra Camera apo- 
stolica che al presente e prò tempore saranno, e da qualsi- 
voglia Congregazione, levando noi ogni potestà di interpretare, 
e giudicare in contrario, decernendo nulla, irrita, e di nessun 
valore qualsivoglia cosa che mai fosse scientemente, o igno- 
rantemente, fatta in contrario non ostante le cose sodette, la 
Costi tutione sodetta di Pio IV nostro predecessore de regi- 
strandis e quanto ostassero le regole nostre di Cancellaria 
et in particolare quelle de non tollendo iure quaesito, la Co- 
stitutione di Simmaco, di Paolo II, Paolo III, Paolo IV e di 
altri Romani Pontefici nostri predecessori, le leggi di poter 
liberamente disporre delle cose sue, la facoltà di poter te- 
stare di quelle, li privilegii della fabbrica di San Pietro, rag- 
giorni di legitima che compete alli figli, privilegii ampli an- 
corché reiterati, e più volte confirmati, et essequiti, e qual- 
sivoglia altra cosa che ostasse al presente nostro Chirografo 
e qualsivoglia altre Costitutioni, apostoliche, leggi, statuti an- 
corché giurati, e più volte confermati, riforme, facoltà, privi- 
legii et indulti, decreti anco Concistoriali, e Camerali, Motu 
propri, usi, stili, consuetudini ancorché immemorabili, dispo- 
sitioni di qualsivoglia sorte, et in ogni altra cosa che in qual- 
sivoglia modo facesse, o potesse mai per alcun tempo far in 
contrario, ancorché fossero tali che contenessero decreti ir- 
ritanti, e clausule insolute anco derogatorie di derogatorie, e 
ricercassero che se ne facesse individua e special mentione, 
o vero qualsivoglia altra precisa forma, e non bastasse farla 
con de generali, alle quali tutte e singole, havendo li loro 



344 DOCUMENTI. 

tenori qui per sofficienteinente espressi et inserti anco di pa- 
rola in parola, per questa volta solamente, et a questo effetto 
espressamente e per maggior validità del presente Chirografo 
in tutto e per tutto in ogni miglior modo, e nella più am- 
pia forma che sia possibile, pienamente deroghiamo. 

Dato nel nostro Palazzo Apostolico di Montecavallo que- 
sto dì XX Giugno MDCL. 

Innocentius Papa Decimus. 

(Sepie ttreve del 17 aprile 1051 che si omette.) 



ni. 



Richiamando una donazione fatta con creazione di pri- 
mogenitura a favore eie' suoi discendenti nel 1 aprile 
1651, Innocenzo fa donazione a d. Olimpia anche dei 
beni donati da lui e anche acquistati del proprio da 
D. Camillo durante il suo pontificato, con facoltà a d. 
Olimpia di sostituzione. 20 luglio 1644. (Atti Simon- 
celli cit. pag. 423). 

DONATIO PRO ILL. ,na ET ECC raa 

I). DONNA OLIMPIA MAIDALCHINI DE PAMPHILIIS. 

Die decima ottava octobris MDCLVI. 

Ecc. n,us et Rev. mus D. Laurentius S. E. E. Cardinalis Impe- 
rialis nuncupatus per me cognitus, suis praemanibus habens 
donationem a Sancta memo: Innocentii Papae X per speciale 
Chirographum manu Sanctitatis suae sub datum Romae ex: 
Palatio Quirinale vigesima Julii 1654 signatum ad favorem II- 
lu. mao ed Ecc mae D. Donnae Olimpiae Pamphiliae Principissae 
San : Martini factam, ab eademque Ex. ma D. Principessa diebus 
23 eiusdem mensis Julii, et 24 Augusti 1654 acceptatam, prout 
a tergo dicti Chirographi, illam mihi Notario et coram Te- 



DOCUMENTI. 345 

stìbus infrascriptis, ad effectum eam in actìs mei et conser- 
vando et in Protocollo donationum alligandi, consignavit te- 
noris et petens etc. et super quibus etc. 

Actum Romae in Palatio solitae Eesidentiae d. Diri. Car- 
dinalis posito in via qua itur ab Urso ad Scrufam, praesenti- 
bus M DD. Attilio fiiio etc. Severi Antonini Seneca et Octavio 
fil. q Thomae Dino de Corneto Testibus. 

Essendo che nella donatione da noi tra vivi fatta con 
erettione di Primogenitura a favore dei discendenti della no- 
stra casa come per nostre lettere spedite in forma di breve 
sotto il 1 d'Aprile 1651 alle quali poi ci riservassimo durante 
la mia vita una piena e libera facoltà di potere a nostro solo 
piacere, non servata nessuna solennità necessaria, revocare 
detta nostra donatione , e quella annullare senza alcuna cau- 
sa, occasione e pretesto, e senza il consenso degli interessati 
liberamente di nuovo a modo nostro disporre dei beni in qual- 
sivoglia maniera compresi in d. donatione e primogenitura; 
e volendo bora valerci di detta facoltà, e d'ogni altra reser- 
vataci in altre nostre donationi, primogeniture e qualunque 
altra scrittura, e che in ogni e qualsivoglia miglior modo ci 
può competere ; di nostro Motuproprio, certa scienza, matura 
deliberatione, e pienezza della nostra apostolica potestà con 
il presente nostro Chirografo, il quale vogliamo che vaglia 
et habbia vigore di donatione inter vivos senza alcun' altra 
solennità che con la sola nostra sottoscrizione, revocando pri- 
mieramente agli effetti e fini infrascritti solamente et in quella 
parte, nella quale questa nostra presente dispositione gli è 
contraria, la sopradetta nostra dispositione di primogenitura 
e donatione fatte nelle sopradette lettere, doniamo per do- 
natione inter vivos a d. Olimpia Pamphili nostra cognata re- 
lieta della b. m. di Pamphilio Pamphili, Principessa di San 
Martino tutti e singuli beni stabili, etiam giurisditionali, mo- 
bili e semoventi, giuri et attinenze d'ogni sorte, gioie, ori et 
argenti, et ognaltra cosa di qualsisia sorte e valore non solo 
specificate in altre nostre donationi e nelle sopradette nostre 
lettere, et altre sotto diversi tempi spedite in forma di breve, 
ma ancora li non specificati e che tanto da noi in diversi 
tempi sono stati donati a Don Camillo Pamphilio nostro ni- 
pote o ad altri per esso e per la detta primogenitura, quanto 



:J40 DOCUMENTA 

gli acquistati dalli medesimi per qualsivoglia titolo ancorché 
di contratto parimente per loro, e per detta primogenitura 
con denari donati da noi, et anche gli altri acquistati dal 
detto Don Camillo con denari proprii durante il nostro pon- 
tificato e che sarà per acquistare conforme alla dichiaratione 
fatta da noi per nostre lettere in forma di breve sotto li 26 
marzo 1653 e finalmente tutti gli altri che in qualsivoglia 
modo possano provenire della sopradetta e qualunque altra 
donatione da noi fatta ad intuito della detta primogenitura 
della nostra casa, o che perciò o per altro titolo alla detta 
primogenitura spettino, o in qualsivoglia modo per l'avvenire 
spettaranno o apparteranno, quali beni et altre cose soprad- 
dette doniamo nel medesimo modo a quello o quella, quelli 
o quelle che ad essa d. Olimpia più parerà di sostituire no- 
minatamente a se stessa con quei pesi o vincoli, fedecomissi, 
primogeniture et ogni altra forma che a lei parerà, dichiaran- 
dosi però che s' ella in qualsivoglia tempo morendo non ha- 
vesse fatta la detta sostitutione con particolare sua disposi- 
tene, vogliamo che nel sopradetto caso sia a lei sostituito il 
sopradetto D. Camillo suo figliuolo e successivamente poi tutti 
gli altri chiamati nelle dette nostre lettere spedite il primo 
Aprile 1651 con l'osservanza della primogenitura in esse eret- 
ta, e con tutte le altre prohibitioni e conditioni, clausule e 
forme in queste espresse, havendole qui per inserte e repe- 
tite, alle quali inoltre aggiungiamo che se il detto D. Camillo 
o alcuno dei chiamati in esse ammetterà o permetterà in 
qualsivoglia modo che il Cardinale Camillo Astalli si servi 
et usi del nome di Card. Pamphilio, e dell'arme della nostra 
fameglia, o d' altre prerogative e facoltà da noi già dateli e 
poi revocateli, e che ogni disposi tione da noi fatta sopra le 
dette revocationi impugnarà, o in altro modo non approverà, 
in ciascheduno dei detti casi ipso iure et ipso fatto cada, e 
s'intenda decaduto dal ius che, in vigore della detta nostra 
donatione o questa nostra presente dispositione, gli possa com- 
petere come se non fosse stato in esse chiamato, o sostituito, 
et immediatamente s' acquisti al successore che non contrav- 
verrà: di maniera tale che l'inosservante decaduto non possa 
ingerirsi né di detti beni, né anche col titolo di patria po- 
testà legit a adminis ne pretensione di poterne conseguire l'usu- 



DOCUMENTI. 347 

frutto o la commodità della percettione de' frutti. E però ri- 
servandoci la medesima facoltà di liberamente revocare, an- 
nullare et alterare la presente nostra dispositione tante volte 
quanto ci parerà, conforme ce la riservassimo nelle dette let- 
tere, in guisa che tutte le clausole in queste espresse intorno 
alla reserva di detta facoltà di variare o revocare la nostra 
dispositione s' intendano qui repetite e non altrimente né in 
altra maniera facciauo la pre sente nostra dispositione a fa- 
vore della D. donna Olimpia e degli altri da sostituirsi da 
lei come sopra. Volendo inoltre e decretando che la presente 
nostra dispositione habbia il suo pieno effetto, benché il det- 
to Don Camillo et con nostra autorità, et in vigore di qua- 
lunque titolo benché di contratto e pp. stipulatione, sia e fosse 
nel tempo della nostra morte nell'attuale possesso dei detti 
l)eni e di loro ne prendesse o n'havesse presi i frutti per 
qualsivoglia lunghezza di tempo ; perchè, non ostante il detto 
possesso e tal percettione de' frutti , vogliamo che detta Sig. a 
Olimpia possa, senza vista d' attentati e di spoglio, di pp. au- 
torità, senza licenza di Giudice, occupare sempre che le parrà 
il possesso de tutti detti beni , et ancorché né d. Don Camil- 
lo, né gli altri da noi chiamati nella detta primogenitura, né 
altri per loro siano stati a questo effetto chiamati et uditi 
da Noi che habbiamo voluto liberamente valerci delle dette 
nostre facoltà in più luochi riservateci, e d'ogni altra ragione 
et autorità che in qualunque modo a noi ci compete e può 
competere sopra li detti beni. E però vogliamo e decretiamo 
ancora che in qualunque cosa contenuta in questo nostro Chi- 
rografo non si possa dare de subrep ne obrept ne nullità, de- 
fletto della nostra intentione e di qualsisia altro benché gran- 
de, inescogitabile e sustantialissimo e tale che richiedesse in- 
dividua mentione, ma che sempre et in qualsivoglia tempo 
vaglia et habbia il suo più pieno effetto etc. 

Seguono le solite clausole, e in fine si aggiunge: 
Per maggiore esecutione della nostra volontà, in luoco de- 
gli esecutori nominati nelle dette lettere della detta primo- 
genitura, deputiamo li Cardinali Francesco et Antonio Bar- 
berini, il Cardinal Maidalchino, il Cardinal di S. Cesareo et 
il Cardinal Gualtieri ai quali et a ciascheduno di loro diamo 
libera facoltà di eseguire la nostra volontà quando non fosse 



:*48 DOCUMENTI. 

stata effettuata in vita nostra. — Dato nel nostro Palazzo di 
Montecavallo li 20 di luglio 1654. 

Innocektius Papa X. 

E in altro foglio v'è scritto di carattere d'Olimpia: 
Io Olimpia Maidalcliini Pamphili accetto la retroscritta 
donatione e ne ringratio sua SS. e mi riservo pigliare il pos- 
sesso da beni donati a mio commodo questo di 23 luglio 1654. 

Segue Notaro che sottos. 



IV. 



Chirografo d'Innocenzo X del 15 giugno 1053 con cui fa 
dono a Olimpia della Chiocciola del Bernini già esi- 
stente nella fontana di Piazza Navona incontro alla 
Chiesa degli Spagnuoli ecc. 

Il 29 luglio 1653 il d. Chirografo è riportato negli Atti 
Simoncelli. (Aiti Spioncelli cit. f. 14 riportato nel 
29 luglio 1653). 

Mons. Giacomo Fransone chierico della nostra Camera Apo- 
stolica, havendovi Noi ordinato, che facessi levare dalla fonta- 
na di Piazza Navona posta incontro alla chiesa di S. Giacomo 
di Spagnoli quella Lumaca , o vero Chiocciola , che per orna- 
mento di essa fontana di nostro ordine ci haveva fatta il 
Cav. Bernino, come che sia riuscita poco adeguata all'or- 
namento di essa per la sua piccolezza, con ordine di far 
porre una statua in tutto come con un altro nostro Chiro- 
grafo segnato sotto li 2 di Maggio del presente anno ; e po- 
tendo detta Lumaca servire per una fontana che pensa di 
fare in un suo giardino D. Olimpia Pamphili Principessa di 
S. Martino nostra Cognata et havendo perciò Noi risoluto di 
donargliela , vi ordiniamo e comandiamo, che facciate conse- 
gnare ai ministri della medesima la Lumaca, donandola noi 
ad essa in virtù del presente Chirografo per se, Don Gio. 



DOCUMENTI. 340 

Catta Pamphilio, e di lui heredi e successori per pura , viva, 
perpetua et irrevocabile donatione. Che sia inter vivos , per- 
chè così ci piace di fare, ancorché sia di qualche valore, 
ancorché notabile, notabilissima, ed ancorché possa dirsi de- 
stinata al publico servitio , dandovi perciò facoltà di farvi a 
suo favore pubblico instrumento con le solite clausole, e pro- 
messe, et obligare p. osservanza la medesima nostra Camera 
e qualomque suoi beni , e raggioni nella più ampia forma di 
essa , o di spedirgliene patente , o altra dichiaratione , coni' a 
Lei più piacerà, e di fare intorno a ciò qualsivoglia altra cosa 
necessaria, et opportuna, dichiarando niente di meno, che 
per il presente nostro Chirografo intendiamo che la presente 
donatione sortisca il suo pieno effetto, vigore ed essecutione, 
ancorché non se ne celebrasse instromento di donatione e 
senza altra insinuatione requisita tanto dalle leggi, corno 
dagli statuti, ed in caso che se ne facessino instromento, 
patenti , o altre speditioni, vogliamo parimente che vagliano 
perpetuamente, et habbiano piena essecutione, ancorché in 
essi non s'osservi solennità legali, o statutaria o altra di 
qualunque sorte che vi dovesse intervenire , ancorché fosse 
sostantiale e formale , non volendo , che mai si possa contro 
il presente Chirografo opporre di sorettione et obrettione o 
di difetto, di dare intimatione in qualsivoglia altra nullità . 
vitio e difetto anco di causa, e per capo di lesioni , ancorché 
enormissime , o vero perchè sia di cosa destinata già ad or- 
namento della città, o per altro qualunque capo, et abben- 
chè non sia stata intesa la Sacra Camera o suo Comissario 
o qualsivoglia altra persona che dovesse essere intesa , o ci 
havesse interesse, supplendo Noi a qualsivoglia difetto tanto 
formale quanto sostantiale, volendo che vaglia la presente 
donatione non solo in questo, ma anche in qualsivoglia altro 
miglior modo, e così, e non altrimenti vogliamo che si 
debba giudicare ed esseguire da qualsivoglia tanto diligato , 
quanto ordinario , et anco dal tribunale della nostra Camera 
e della Euota e del Cardinale Carmelingo et altri Cardinali 
et legati di latere, togliendogli la facoltà di interpretare, 
e dichiarare altrimente, decretando noi irrito e nullo tutto 
quello che scientemente o ignorantemente si facesse o at- 
tentasse in contrario, non ostanti lo costituzioni di Pio 4° 



1550 DOCUMENTI. 

de registraudis e V altre del medesimo Pontefice , e di Sim- 
maco, Paolo 2°, Paolo 3°, Paolo 5° et altri sommi pontefici , 
de rebus Eccl. non alienandis, non nisi cum certa solemni- 
tate alienandis , et alienatis recuperandis , e qualsivoglia al- 
tre Bolle, Privilegi Apostolici reiterati, e più volte confir- 
mati et esseguiti, la nostra Regola di jure quaesito non 
solvendo, e qualunque stile, consuetudini, e statuti ancorché 
giurati, e più volte confirmati, riforme, facoltà, indulti, de- 
creti anche concistoriali, Mutuproprii, usi, stili, et altre cose 
che in quasivoglia modo facessero in contrario, ancorché 
contenessero decreti e clausole e derogatorie delle deroga- 
torie insolite, anco in futuro, e che richiedessero speciale, et 
individua mentione e forma predetta, alle quali tutte e sin- 
gole, avendo il loro tenore qui per espresso, et inserto di ver- 
bo in verbum, per questa volta sola e per questo effetto, in 
ogni miglior modo e nella più ampia forma deroghiamo. — 
Dato nel nostro Palazzo Apostolico di Montecavallo questo 
dì 15 Giugno 1053. 

Ixxocextius Papa X. 



v. 



Testamento eli D. Olimpia del 28 gennaro 1(554 (Atti 

SlMONCELLI cit. foglio 574.) 



In Nome della San.'"* Trinità Padre Figliuolo, e Spirito 
Santo, e della Glorios." 14 Vergine Maria. 

Io Olimpia Maidalchini de' Pamphilii Moglie già della chia- 
ra me. del s. Pamphilio Pamphilii, fratello carnale della Sant. 
di N. S. Innocentio X. sana di mente e di corpo per gratia 
del S. Iddio, e sapendo esser mortale, e quanto sia incerta 
Thora della morte, né volendo morire col testamento fatto 
da me alli 27 di Giugno 1649 per gli atti del Simoncelli No- 
tano dell'A. C. ma con altro simile, ho perciò risoluto cas- 



DOCUMENTI. 351 

sare et irrtar quello , e far di nuovo questo presente mio nun- 
cupativo testamento qual di raggione si dice senza scrittura, 
e chiuso acciochè sia secreto sino al tempo della mia morte. 
nelV infrascritto modo , cioè : 

Principalmente raccomando con tutto il cuore al S. Id- 
dio l'anima mia, acciocché con la sua infinita misericordia 
perdonandomi i miei peccati per i meriti della Sua San raa 
Passione, si degni accettarla nell'Eterna Beatitudine per la 
quale l'ha creata, e prego la gloriosissima Vergine Maria 
ch'interceda per me nel punto della mia morte. Protestan- 
domi che come sempre son vissuta nella S. fede cattolica 
sotto l'obbedienza del sommo Pontefice Romano, così in essa 
voglio morire sotto la protezione di d. Beat. ma Vergine Maria, 
di S. Orsola, di S. Francesco d'Assisi, di S. Francesco di 
Paola e di San Filippo Neri miei protettori. 

Il mio corpo voglio che (seguita la mia morte) dalle mie 
proprie donne sia posto nella cassa, dentro la quale dovrà 
esser portato alla sepoltura già da me fatta et eletta nella 
Chiesa di S. Martino nella mia terra del medesimo nome. 

Lascio che per salute dell'anima mia l'infrascritto mio 
lierede universale, et esecutori, subito seguita d. mia morte, 
quanto prima si potrà faccino dire qui in Roma et in Vi- 
terbo in altari Privilegiati due milia messe in tutto, e la mag- 
gior quantità alli Cappuccini, et alli minori riformati di San 
Francesco. 

In oltre lascio per salute dell'anima mia che l'infrascrit- 
to mio herede universale, e gli infrascritti miei esecutori, 
in caso che la Colleggiata eretta a San Martino non ha- 
vesse hauto in qualsivoglia modo il compimento dell' entra- 
ta, con la quale ogni Canonico habbia cento scudi l'anno, 
e la sagrestia scudi cinquanta; debbiano quanto prima pos- 
sano, seguita la mia morte, assegnare a detta Colleggiata 
tanti beni stabili posti nel territorio di Viterbo, o tanti 
canoni che si riscuotano nella terra e territorio di S. Mar- 
tino ad elettione del mio herede, da quali si cavi nel tempo 
della detta assegna tanto frutto che basti, con quello che 
da me o in qualsivoglia modo da altri le fosse stato dato , per 
il compimento dell'entrata detta di sopra; quali beni asse- 
gnati che saranno , non voglio che detta Colleggiata per al- 



352 DOCUMENTI. 

cun tempo da venire possa sotto qualsivoglia pretesto, anche 
per mancamento della detta entrata né per ciò che da me gli 
fosso stato dato o promesso in vita mia, pretendere altro della 
mia heredità. E questo legato lo faccio in contemplazione 
del Juspatronato reservato a me e miei heredi sopra detta 
colleggiata né altrimente né in altra maniera , et in riguardo 
dei pesi imposti a detta Colleggiata, in guisa che se mai 
per alcun tempo mancasse à me, e miei heredi detto Jus- 
patronato prima della detta assegna, voglio che questo le- 
gato non liabbia luoco, e se mancasse doppo la detta con- 
segna voglio che sia lecito a' miei heredi di propria autorità 
recuperare e prendere il possesso de' detti beni, come se mai 
non fossero stati consegnati, lasciando questo legato con que- 
sta conditione , con la quale , e con tutte le clausole e riserve , 
cho per maggior cautela d' essa conditione pareranno , e pia- 
ceranno al mio herede, voglio che si stipuli e non altrimente 
la detta consegna. 

Di più lascio che subito seguita la mia morte 1' infrascritto 
mio herede universale e gli infrascritti esecutori per una sol 
volta debbiano maritare sette zitelle povere di detta terra a 
forastieri che venghino ad habitare in essa, desiderando 
quanto sia possibile che ivi ancora o nel territorio di essa 
o in altri beni emphiteotici della mia proprietà esistenti nella 
campagna del territorio di Viterbo vicino a quello di S. Mar- 
tino, investino la dote quale dovrà essere di scudi cinquanta 
di moneta per ciascheduna ed altri scudi cinque simili per 
una veste et il tutto per una sol volta. 

Et ad altre sette povere donne di d. terra di S. Marti- 
no da eleggersi ogni anno come qui di sotto, voglio che per 
vent' anni continovi dal giorno della mia morte, per la festa 
di S. Orsola, si dia una veste di saia per ciascheduna che 
non ecceda il valore di cinque scudi l'una. 

Quali sette doti, e sette vesti si dovranno dare, e rispet- 
tivamente distribuire ad elettione della Sig. D. Suor Orsola , 
e D. Suor Margherita Vittoria mie sorelle Monache in S. 
Domenico di Viterbo, e di ciascheduna di esse in caso di 
morte dell'altra, et essendo morte tutte e due, della Madre 
Priora prò tempore del d. Monastero. 

Di più a* Poveri di San Martino ad arbitrio dell' Arcipre- 



DOCUMENTI. 35 b. 

te di, quella chiesa lascio che per una sol volta si distribui- 
schino scudi cinquanta moneta da pagarsi dal mio herede su- 
bito seguita la mia morte nel giorno che arriverà il mio ca,- 
davero in d. terra. 

Et anche che, subito seguita la mia morte, li miei Heredi 
et esecutori debbiano dare per elemosina qui in Roma alle 
Zitelle di S. Eufemia scudi duecento di moneta per una sol 
volta. Alle monache e Zitelle di S. Quattro ristesso. Ma alle 
povere di S. Filippo Neri scudi cento solamente. 

Alle sopradette nostre Suor Orsola e Suor Margherita Vit- 
toria mie sorelle, lascio scudi cento di moneta V anno per cia- 
scheduna in vita loro da darsele prontamente ogni anno di 
sei in sei mesi anticipatamente degli infrascritti miei heredi 
e successori. — Avvertendo che doppo la morte di esse mi 
sono obbligata di dare al loro Monastero di S. Domenico scudi 
duecento di moneta per concordia fatta per causa della vi- 
gna delle Sette Sale, onde mi dichiaro che il sopradetto le- 
gato annuo, che fo alle mie sorelle, non si debbia imputare 
in detto obligo fatto verso il Monastero , al quale, quand' io 
non gli l'avessi dati anticipatamente in vita mia, voglio che 
subito gli siano sborsati. 

A D. Olimpia, mia Nipote, e moglie del Sig. D. Maffeo 
Barberino Principe di Palestrina, e figliuola del Sig. D. An- 
drea Giustiniano Principe di Bassano e della Sig. D. Maria 
Pamphilia sua moglie e mia figlia, per averla io allevata ap- 
presso di me lascio uno de' miei horologgi coperto de' dia^ 
manti ad elettione de' Signori miei esecutori, nel qual legato 
et in quel di più che le ho dato in vita, e particorlarmente 
neir occasioue del suo matrimonio l'istituisco, e nomino mia 
herede, e voglio che sia per tutto ciò che in qualsivoglia mo- 
do potesse pretendere, o della mia eredità o da qualunque 
altra persona della Casa Pamphilia. 

Et all' altra d. Olimpia mia Nipote e figliola del Principe 
di Piombino e di Venosa D. Nicolò Ludovisio e della Si- 
gnora d. Costanza Pamphili.sua Moglie e mia figlia, in se- 
gno del mio affetto le lascio una corona alla quale si tro- 
verà in piedi attaccata l' Immagine della Santissima Annun- 
ziata di Firenze circondata e coperta de diamanti, qual 
legato voglio che s' eseguisca ancorché alla mia morte le ha- 

Ciampi. — Innocenzo X e la sita Corte. 23 



;{54 DOCUMENTI. 

vessi dato qualsivoglia altra cosa particolarmente nell'occa- 
sione di suo matrimonio. 
. Alla sopradetta Signora Principessa d. Maria mia figlia la- 
scio scudi mille a sua elettione o in denaro o in tanti ar- 
genti della mia heredità, ne' quali l'istituisco, e nomino mia 
herede, volendo che non possa pretendere altro de detta mia. 
heredità e beni né per raggione di legitima né per qualsi- 
voglia altra cosa, ma che d'essi e dell' augumento di dote da 
me datoli quando si maritò, e delle susseguenti sostituzioni 
a favor suo e de' suoi figliuoli debbia esser contenta e sod- 
disfatta. 

Et alla sopradetta Signora Principessa Gostanza altra 
mia dilettissima figlia lascio parimente scudi mille a sua 
elettione o in denari o in argenti della mia heredità, ne' quali 
l'istituisco e nomino mia herede, volendo che non possa pre- 
tendere altro da detta mia eredità, e beni , né per raggione 
di legitima, né per qualsivoglia altra cosa, ma che d'essi e 
del datole da me quando si maritò e delle susseguenti so- 
stituzioni a favor suo e de' suoi figliuoli debbia esser con- 
tenta e soddisfatta. 

Al mio dilettissimo Nipote D. 6. Battista Pamphili figliolo 
primogenito del Signor Principe D. Camillo mio figlio lascio 
il giardinetto, granaro e grotte da me comprati per lui vi- 
cino a.S. Maria in Cappella in Trastevere con tutti i loro 
annessi, e pertinenze di qualsivoglia sorte, e con tutte le 
statue e mobbili di qualsivoglia sorte tanto nel detto Giar- 
dinetto quanto nel Casino che vi fabricarò piacendo a Dio. 
Et in oltre gli lascio il mio casale chiamato Selce, che è uno 
delli tre comprati da me da i SS. Mattei; qual casale come 
anche il giardinetto et altro detto di sopra io gli sottopongo 
alla Primogenitura dell'Ecc. ma Casa Pamphilia eretta dalla 
Santità di N. S. e però al d. S. D. Giovanni Batta sostitui- 
sco in essi tutti e singoli chiamati in quella con tutti gli obli- 
ghi e prohibitioni e conditioni in essa contenute. Né voglio 
che il d. S. D. Giovanni Batta possa pretendere altro della 
mia heredità poiché nelT usufrutto delle sopradette cose la- 
sciateli come sopra l' istituisco e nomino mio herede in que- 
sto et in ogni altro miglior modo. 

Al Sig. Card. Francesco Maidalchino mio nipote figlio 



DOCUMENTI. 355 

della b. m. del Marchese Andrea Maidalchino mio fratello, 
lascio scudi cinquecento o in moneta o in tanti argenti della 
mia heredità ad elettione del mio herede; et in oltre se alla 
mia morte lasciare nella mia heredità la mia casa a fontana 
di Trevi, l e S. Eminenza in quel tempo v'habitarà, li lascio 
l' abitatione di d. Casa in quel modo, e per quella parte che 
la goderà nel tempo della mia morte senza che sia obligato 
a pagarne pigione alcuna , ma per cinqu' anni solamente dal 
giorno della mia morte, e con dichiaratione che detta habi- 
tatione debbia essere senza paramenti et altri mobili di sor- 
ta alcuna. 

Al Marchese Domenico Maidalchino altro figliuolo del d. 
mio fratello lascio parimente scudi cinquecento di moneta o 
in tanti piatti d'argento o in contanti ad elettione del mio 
herede. 

Alla mia famiglia di casa che sarà arrolata nella lista 
della dispensa, e si troverà al mio servitio nel tempo della 
mia morte lascio la solita quarantena, e di più scudi cinque- 
cento moneta per una sol volta solamente da distribuirsi fra 
tutti ad arbitrio delli infrascritti miei esecutori dichiarando 
che in essa non vi sian comprese le donne. Circa le quali 
particolarmente disponendo, lascio alla Signora Leonida, An- 
na, Francesca, se si troveranno al mio servitio nel tempo 
della mia morte, se non a quelle che si troveranno all' hora 
sobintrate in luoco loro, tutte le mie vesti che lasciare alla 
mia morte et in oltre scudi cinque il mese per ciascheduna 
durante la sua vita da pagarsi loro anticipatamente mese 
per mese. — A Flaminia poi lascio scudi cento di moneta 
soltanto per una sol volta, et a tutte le altre Donne che sa- 
ranno e serviranno in d. tempo in mia Casa lascio scudi ven- 
ticinque per ciascheduna e per una volta solamente ; e tutti 
li sopradetti legati fatti a tutte le mie Donne come sopra 
s'intendano oltre gli habiti di scoruccio che, conforme alla 

1 Roma ricercata nel suo sito et nella scuola di tutti gli antiquari j di 
Fioravante Marxinelli romano. Quarta impressione, in Venetia MDCLXIV, 
Giornata Vili pag. 115. «Inviatovi verso la Madonna di Costantinopoli ; e la 
Chiesa dell'Angelo custode: più oltre al palazzo del Signor Cardinal Cornaro 
venduto oltimamente a d. Olimpia Panfili; poi per la piazza della fontana di 
Trevi a! convento e chiesa de' Santi Vincenzo et Anastasio. » 



\ 



350 DOCUMENTI. 

conditione di ciascheduna, voglio che dal mio herede si fac- 
cino loro per la mia morte. Al quale mio herede richiedo 
che per uua cortesia si compiaci a di tener protettione ed 
haver per raccomandati nelle loro occorrenze tutti della mia 
famiglia. 

Circa poi il resto della mia heredità ordino e dispongo 
che tutti i mobili, che si troveranno destinati per servitio 
del palazzo di San Martino, della casa di Viterbo, della vi- 
gna di Eoma fuori della porta di San Pancratio, e della casa 
a fontana di Trevi si debbiano conservare dal mio herede 
ne* med. luoghi per servitio suo, e degli altri chiamati con 
farne inventario distinto di luoco per luoco. Tolendo che que- 
sta mia dispositione s'intenda anche per i mobili, che potes- 
sero trovarsi destinati come sopra per servitio d'altre case 
poste in altri luochi giurisditionali, che piacendo a Dio po- 
tessi comprare prima della mia morte. 

E perchè potreb' essere che nel tempo della mia morte 
lasciassi luoghi de' monti vacabili, et offitii parimenti vaca- 
bili in testa d'altre persone, per tanto ordino che T infra- 
scritto mio herede tra due mesi dopo Seguita la mia morte 
venda tutti detti luoghi de* monti et offitii vacabili et il prezzo 
loro l'investisca o in altri luochi de' monti non vacabili, o 
bene stabili nello stato Ecclesiastico con espressa dichiarà- 
tione che siano sottoposti alli fideicomissi , primogeniture , e 
prohibitioni infrascritte come tutto il resto dell' heredità, e 
non facendolo il mio herede, voglio che lo debbiano fare i 
Deputati di San Girolamo della Carità, a' quali perciò, fa- 
cendolo, lascio il frutto de' due anni di quei luochi de' monti 
non vacabili e altri stabili, ne' quali come sopra si sarà re- 
investito il sopradetto prezzo, acciocché impieghino il d. frutto 
in opere pie a loro arbitrio. 

In oltre voglio che il mio herede generale debba fra tre 
mesi dal giorno della mia morte far un inventario distinto 
non solo de' mobili detti di sopra, ma anche di tutti gli altri 
de' quali non ne ho fatti legati a favore di alcuno, e de' luo- 
chi dei monti non vacabili , tanto quei che si troveranno alla 
mia morte, quanto gli altri che si comprassero col prezzo dei 
vacabili, et ancora di tutti li stabili, et ogni altra cosa spet- 
tante alla mia heredità, con che in d. inventario si noti, e si 



DOCUMENTI. 357 

specifichi ogni più minuta demonstrazionc che si può di cia- 
schedun corpo et effetto de' miei beni: quale inventario voglio 
che si faccia per istromento publico per rogito del Simon- 
celli Notario dell' A. C. o suo successore, e di d. istromento 
se n'esibisca copia autentica all'Archivio Urbano, insieme 
con questo mio Testamento, quando questo non vi fosse esi- 
bito. E se il mio herede mancasse di fare questo inventario 
o di farne 1' esibitione sopradetta nel d. Archivio, in tal caso 
prego i Sig. deputati di S. Girolamo della Carità ad eseguir 
essi questa mia volontà, dando loro ogni facoltà opportuna, 
e necessaria, et eseguendo come sopra, dispongo, lascio ad 
essi oltre le spese necessarie per d. confettione, et esibitione, 
altri scudi mille da impiegarsi in opere pie a loro arbitrio. 

Et ancora dispongo che non solo il sopradetto mio primo 
successore, ma anche tutti e singoli altri chiamati debbiano 
fra il termine di tremesi dal giorno che haveranno saputo es- 
sergli devoluta l'infrascritta mia successione, accettare espres- 
samente per rogito di Notaio publico tutte le predette e in- 
frascritte dispositioni con tutte e singole prohibitioni, fidei- 
comissi, oblighi et altri pesi, e quelle promettere d'osservare 
con obligatione in forma della Camera Apostolica, quale ac- 
cettazione non facendosi, s'intenda per repudiata la mia ere- 
dità e successione, o se quello che non farà detta accetta- 
zione proseguirà ad ogni modo a godere i miei beni, in tal 
caso voglio, che sia obligato a restituire non solo tutta la 
mia heredità, ma ancora i frutti percetti da essa benché as- 
sumpti, a quello che gli succederà di grado in grado nel mo- 
do infrascritto. Quali frutti dovranno augumentare et accre- 
scere la mia heredità, e perciò si doveranno investire e l'in- 
vestimento rimanere soggetto a tutte le dispositioni di que- 
sto mio testamento come tutta l' altra mia heredità, eccetto 
però in caso che quello che non accettasse come sopra que- 
sta mia dispositione, havesse di raggione ad haver qualche 
cosa dalla mia eredità, poiché in tal caso gli lascio in ogni 
miglior modo che posso li detti frutti che havesse percetti 
acciochè in essi imputi la sua pretensione. 

Nella mia Terra poi di S. Martino in Monte col titolo di 
Prencipato per essa concedutomi dalla benignità di N. S. col 
Uiuspatronato a me reseruato sopra la Colleggiata di quella 



'158 DOCUMENTC. 

Chiesa, e con tutte le giurisditioni , privileggi, raggioni, et 
ogn' altra cosa ad essa appartenenti, e negli altri luochi 
giurisditionali, e tutti e singoli altri miei beni, così mobili 
come stabili, et altri tutti di qualsivoglia sorte de' quali di 
sopra non ho disposto, attioni, raggioni d'ogni sorte pre- 
senti e future et ogni altra e singola cosa a me in qualsi- 
voglia modo spettante, et appartenente, e che potrà spet- 
tare et appartenere, nomino, faccio et instituisco mio he- 
rede universale con la benedizione del S. Iddio, e mia il Sig. 
D. Camillo Pamphilio Principe di Valmontone e di Rossano 
mio unico e dilettissimo figliuolo mentre viverà, e doppo la 
di lui morte in qualsivoglia tempo che segua, gli sostituisco 
in tutti li sopradetti miei beni, vulgarmente per fideicomisso, 
et in ogni altro miglior modo il Sig. Don Benedetto suo fi- 
gliuolo secondogenito e mio caro Nepote, al quale come so- 
pra sostituisco il di lui figliuolo primogenito maschio legit- 
timo e naturale, e nato di legittimo matrimonio, e, successi- 
vamente tutti gli altri discendenti del d. D. Benedetto maschi, 
e nati da maschi, e di legittimo matrimonio, ma però di pri- 
mogenito in primogenito e conservato sempre ne' detti de- 
scendenti maschi di D. Benedetto il grado, l' ordine e la serie 
della primogenitura anche oltre il centesimo, e qualsivoglia 
altro più remoto grado sempre et in perpetuo sin che durerà 
la detta discendenza mascolina, e nata da maschi dal d. Don 
Benedetto; di modo che, essa durante, debbia sempre succe- 
dere quel Maschio descendente da lui per linea mascolina, 
che conforme all' ordine de' gradi e la serie delle linee della 
primogenitura, sarà il primogenito nella d. discendenza ma- 
schile del d. D. Benedetto volendo che il nepote escluda il 
Zio, e le femmine sempre siano incapaci della mia succes- 
sione, ma solamente quelle che nasceranno da D. Benedetto 
siano convenientemente dotate conforme allo stato che pren- 
deranno. 

Ma morendo d. Sig. Principe Don Camillo mio figliuolo 
senza l'esistenza di d. Sig. Don Benedetto, o de' descendenti 
maschi da lui come sopra sostituiti, o pure morendo d. Don 
Benedetto senza di loro, o, pure in qualsivoglia tempo estin- 
guendosi la detta descendenza mascolina di d. Don Benedetto, 
in ciascheduno de detti casi sostituisco, nomino e voglio che 



DOCUMENTI. 359 

sia mio herede universale quello, al quale in quel tempo spet- 
terà la mia primogenitura dell' Eccellentissima Casa Pam- 
philia, eretta e stabilita dalla Santità di N. S. ordinando 
perciò e disponendo, che in ciascheduno di detti casi la suc- 
cessione nella mia heredità si devolga et intieramente per- 
venga per raggione d'institutione, sostitutione, fideicomisso, 
primogenitura et in ogni altro miglior modo, alli chiamati, 
e compresi nella detta primogenitura, come se qui di nuovo 
fossero da me ad uao ad uno chiamati, nel modo però e forma 
che in essa primogenitura si dispone, come se qui in tutto e 
per tutto fosse intieramente espressa, e repetita la disposi- 
zione di Sua Santità, alla qual dispositione, mancando detto 
d.° Don Benedetto e la detta sua descendenza mascolina, io 
da adesso per all' ora sottopongo tutta la mia heredità, et a 
quella voglio che sempre et in perpetuo stia sottoposta. 

Aggiungendo solamente che in caso che Y ultimo succes- 
sore di d. Primogetura della casa Pamphilia non havesse 
nominato alcun maschio secondo o altro posteriore genito de- 
scendente da maschio da alcuna delle mie d. figliuole, o la 
Prencipessa Costanza Ludovisia, o la Principessa Maria Giu- 
stiniana, di modo che o per non essere seguita detta nomina- 
tione conforme ha disposto Sua Santità, o per altro caso per 
il quale, anche seguita detta nominatione, mancasse la pri- 
mogenitura della Casa Pamphilia, e cessasse affatto la di- 
spositione fatta da Sua Santità, e mancasse anco la descen- 
denza mascolina di detto nominato dall'ultimo degli espressi 
indetta primogenitura; in ciascheduno dei detti casi solamen- 
te sostituisco a tutti li chiamati in detta primogenitura di 
casa Pamphilia et al detto nominato e suoi descendenti ma- 
schi come sopra successivamente di primogenito in primoge- 
nito da succedere, e nomino mie heredi universali in detti 
casi, se fossero vive, le dette mie figliuole femmine Principes- 
sa Maria Giustiniana e Principessa Costanza Ludovisia per 
egual portione et a ciascheduna di loro nella sua portione 
sostituisco il figliuolo maschio secondo o altro posterior ge- 
nito che da sua madre sarà nominato, e li discendenti ma- 
schi nati di legitimo matrimonio dal d. nominato sempre et 
in perpetuo successivamente di primogenito in primogenito, 
conservato sempre l'ordine e la serie della primogenitura 
nella descendenza mascolina del detto nominato. 



:j60 IjuCUMENTÌ. 

Ma non ritrovandosi viva alcuna di esse, o por morendo 
alcuna di loro senza haver fatto dette nomine, sostituisco nella 
]iortione spettante a ciascheduna di esse il d. suo figliuolo 
maschio, o altro descendente parimente maschio, che sia se- 
condogenito o altro posteriore, e quello non essendovi i di 
lui descendenti maschi lecitimi, e naturali di primogenito in 
primogenito, però successivamente in infinito come sopra. 

E se tra i descendenti d' alcuna di dette mie figliuole non 
vi fosse secondo genito, o altro posterior maschio come so- 
pra, in tal caso sostituisco in tutta l'heredità quel secondo 
genito maschio, che si troverà nella descendenza mascolina 
dell'altra, et i di lui descendenti maschi nati di legitimo 
matrimonio in infinito di primogenito in primogenito come 
sopra. 

Ma se accadesse che non vi fosse alcun descendente ma- 
schio di alcuna di dette mie figliuole che fosse secondo o 
altro posterior genito, e che in qualsivoglia tempo mancas- 
sero le linee mascoline legitime come sopra di detti posteriori 
geniti di tutte e due le dette mie figliuole; in ciascheduno 
di detti casi, e sempre che avverranno, escludendoli per sem- 
pre fuor di questi casi, sostituisco per egual portione li due 
primogeniti maschi descendenti da maschi di ciascheduna di 
loro, et a ciascheduno d' essi primogeniti sostituisco il N secondo 
suo genito, o non essendovi V altro posterior figliuolo et i di 
lui descendenti maschi in infinito nati legitimamente come 
sopra successivamente di primogenito in primogenito. 

E caso che alcuno di detti primogeniti morisse senza se- 
condo genito, sostituisco in tutta l' heredità il secondo genito 
dell'altro, et i discendenti maschi di esso secondo o altro 
posterior genito ma di primogenito in primogenito. 

E mi dichiaro che i primogeniti che succederanno ne' casi 
detti di sopra non debbiano aspettare la loro morte per re- 
stituire li miei beni a' loro secondogeniti, ma ogni volta che 
ciascheduno d' essi haverà un suo proprio figliuolo secondo- 
genito che pigli moglie, debbia nell' atto del matrimonio re- 
stituirgli i miei beni, né in essi pretendere usufrutto o com- 
modità alcuna. 

Parimenti mi dichiaro che se mancasse la linea masco- 
lina d'alcuna delle detle Principesse mie figliuole, esistenti 



DOCUMENTI. 361 

anche la linea mascolina dell' altra, in tal caso nella portio- 
ne, o in tutto l'intiero che conforme alle precedenti sostitu- 
tioni fosse spettata all'estinta, reciprocameate una linea so- 
stituisco all' altra sempre et in perpetuo, nel modo però e for- 
ma come sopra s' è disposto. 

E voglio che tutti e singoli sopradetti secondogeniti et 
altri posteriori figliuoli, e loro descendenti maschi legitimi e 
naturali, e nati da maschi, e da legittimo matrimonio, chia- 
mati e sostituiti come sopra , siano tenuti ed obligati di p*r 
gliare il cognome et arme dell' Eccellentissima famiglia e ca- 
sa Pamphilia, e di quelli servirsi, e ritenerli in perpetuo senza 
alcuna mistura, in guisa che s' alcuno di essi non osservas- 
se questa mia dispositione , li sostituisco quello che succes- 
sivamente doppo di lui, conforme l'ordine detto di sopra, 
dovrebbe succedere et osserverà questo peso e questa mia 
dispositione. , 

E perchè intendo di concorrere con questa mia heredità 
alle conservatione della famiglia Pamphilia voglio, e dispongo 
che tutti i miei beni si debbiano perpetuamente conservare 
senza alcune diininutione nei sopradetti chiamati sino che ve 
ne saranno come di sopra s'è disposto, e per tanto prohibi- 
sco ogni pensiero d' alienarli, obligarli, hipotecarli ancorché 
generalmente, e per qualsivoglia causa ancorché d'alimenti, 
dote o qualsiasi altra più pia cagione, e caso che alcuno dei 
sopradetti miei heredi et altri sostituiti, benché fosse l'istes- 
so Principe D. Camillo mio figliuolo, alienasse o obligasse 
detti miei beni ancorché in minima parte, in tal caso l'alie- 
nante o l'obbligante sia ipsofatto che ha pensato d' alienare, 
et obligare, privo della, mia heredità e successione e loro 
comodità, di modo che ralieriatione o l'obligatione habbia 
per prova di detto pensiero prohibito et egli, prima d'alie- 
nare, come privato della mia heredità, habbia perduto il do- 
minio utile de' miei beni tutti, e s' intenda e si reputi il pos- 
sesso, che ne terrà nel tempo dell' alienatione, per usurpatione 
e spoglio fatto agli altri cmamati successivamente, i quali 
nel caso di detto pensiero d' alienare et obligare sostituisco 
all' alienante et obligante, come seguirebbe giusta le sopra- 
dette sostitutioni nel caso che l' alienante e l' obligante fosse 
morto. 

23" 



lìd'i DOCUMENTI. 

In oltre per la medesima ragione prohibisco al Prencipe 
don Camillo mio figlio, et agli altri tutti miei heredi insti- 
tuiti e sostituiti come sopra, ogni detrattione di trebellianica, 
falcidia, dote, meglioramenti ancorché necessari! et anche della 
medesima legitima, e dispongo che se il detto Sig. Principe 
I). Camillo mio figliuolo e gli altri sopradetti istituiti , e so- 
stituiti a' quali in qualsivoglia modo potesse spettare il jus 
della legitima ne' miei beni et eredità, non si contentassero 
di questa mia dispositione (con la quale intendo che cefla 
in luoco della loro legitima Y usufrutto cosi pingue di tutta 
la mia heredità), in tal caso il sopradetto Sig. Principe Don 
Camillo, o altro de' suoi descendenti a' quali è sorte compe- 
tesse il detto jus della legitima, istituisco e nomino herede 
in dieci luochi dei monti non vacabili a sua elettione , e que- 
sti gli lascio liberamente per sua legitima, e per tutto ciò 
che potesse pretendere da detta mja eredità in questo e in 
ogni altro miglior modo : e se accadesse che, doppo haver usu- 
fruttuato qualche tempo la mia heredità, potesse e volesse 
detrarre la detta legitima; in tal caso il detrahente sia obli- 
gato a restituire agli altri miei chiamati tutti li frutti an- 
corché consumpti del resto della mia heredità come se dal 
primo giorno della sua successione havesse fatto la detrat- 
tione della legitima; quali frutti in tal caso si debbiano re- 
investire in beni stabili per reintegrare la detta mia here- 
dità : come anco se accadesse che il detto detraente , doppo 
fatta la detrattione, potesse o per raggion d' usufrutto o per 
commodità , o altro qualsivoglia titolo, godere de' frutti della 
detta mia heredità, o quelli in qualsivoglia modo pigliare, 
voglio in tal caso che sia obligato parimente a restituire tutti 
li frutti che piglierà, e quelli si debbiano reinvestire ad uti- 
lità degli altri chiamati parimenti per reintegrare la detta 
mia heredità. 

Similmente per la medesima raggione della conservatione 
dell' Eccelentissima casa Pamphilia e non altrimente né in 
altra maniera, escludo per sempre dalla mia successione tutti 
quei che nel tempo, che quella si devolverà a loro favore, si 
trovassero ordinati d'ordini sacri, o professi di qualsivoglia 
religione che non sia capace di matrimonio, o pure che dop- 
po si ordinassero, o facessero la d. professione, tanto che gli 



DOCUMENTI. 363 

dichiaro affatto incapaci di succedermi, né voglio di essi o 
loro monasterii possono mai pretendere cosa alcuna nella 
mia heredità come se non fossero stati mai chiamati, sosti- 
tuendo in luoco loro l'altro chiamato, al quale per morte 
d'essi spettarebbe come sopra la successione. 

Dichiarando però che non intendo di comprendere sotto 
questa esclusione il S. D. Benedetto quando si ordini in sa- 
cris in habito però solamente di chierico secolare ; ma se di- 
ventasse professo come sopra, in tal caso sia compreso come 
gli altpi sulla sopradetta esclusione. 

Et ancora per la medesima caggione della detta conser- 
vatione dell'Eccellentissima casa Pamphilia, la quale sem- 
pre più fiorirà nelle persone timorate della giustitia et os- 
servanti le leggi, costitutioni Apostoliche, et altri editti publi- 
ci né altrimente né in altra maniera, prohibisco al detto mio 
herede, et a tutti gli altri miei successori come di sopra chia- 
mati il commetter deliti e l'inosservanza delle leggi, e con- 
stitutioni predette, di modo che se alcuno di essi commettesse 
mai, che Dio non voglia, qualsisia delitto per il quale entras- 
se o de jure, o per arbitrio del Giudice la confiscatione in 
tutto, o in parte de' suoi beni, o qualsisia benché minima 
pena pecuniaria, per la qual confiscatione o pena venissero 
molestati i miei beni tanto nella proprietà, come ne' frutti; 
in tal caso lo dichiaro escluso e privo per quindici giorni 
innanzi della mia heredità, e suo usufrutto e comodità, et 
a lui sostituisco, in tal caso, quello che succederebbe in caso 
della di lui morte giusta le precedenti sostitutioni , con di- 
chiaratione però, che se il delinquente venisse mai restituito 
alla gratia del prencipe, venga anche nel medesimo tempo 
senz' altra dichiaratione, fatto di Giudice, o altro atto, ipso 
jure revestito parimente al possesso de' beni dai quali fosse 
stato, per il delitto, escluso. 

Et essendo io sempre vissuta ossequiosa et obbedientis- 
sima alla Santità di N. S. Innocentio X, voglio, ordino, e di- 
spongo che tutta questa mia ultima dispositione sia subor- 
dinata alla somma prudenza di Sua Santità, di modo che se 
a quella paresse aggiungere, scemare, dichiarare, o mutare 
cosa alcuna, si degni farlo liberamente, come disponesse di 
cosa propria, volendo et ordinando che tutto ciò disponesse 



364 DOCUMENTI. 

Sua Santità doppo la mia morto s'intenda espresso in que- 
sto mio testamento come se da me fosse stato in esso par- 
ticolarmente disposto, supplicando perciò 1' immensa benigni- 
tà di Sua Santità a degnarsi d' accettare questa piccola di- 
mostratane d'ossequio in segno delle grandi et infinite obli- 
gationi, che devo a i molti beneficii, coi quali s'è degnata 
di risguardare la servitù da me fatta alla sua casa. 

Supplico anche sua Beatitudine a restar servita di co- 
mandare che quest'ultima mia volontà, in quel modo che da 
Sua Santità sarà approvata, sia puntualmente eseguita, e per 
tal effetto nominare, e deputare per esecutori di questa mia 
volontà quei signori Cardinali sue Creature, che più. a Sua 
Santità piaceranno : ma quando dalla persona di Sua Beatitu- 
dine non si deputassero, deputo io li SS. Cardinali Camillo 
Pamphilio e cardinale Lorenzo Raggi e li SS. Deputati della- 
venerabile Congregazione di S. Girolamo della Carità di Ro — 
ma, a' quali miei esecutori do ogni più ampia e libera facol — 
tà. Et acciochè detti Sig. Deputati debbino accettare quest 
peso, ordino che tutti li sopradetti miei heredi instituiti & 
sostituiti debbiano, co' frutti della mia heredità, dare due doti 
T anno di venticinque scudi di moneta l' una a due zitelle 
nominate da detti Signori Deputati. 

E questo dico e voglio che sia il mio ultimo testamento 
e la mia ultima volontà, quale voglio che vaglia per raggione 
di testamento, donatione, causa mortis, legato, codicillo, o qual- 
sivoglia altra disposinone in ogni e qualunque miglior modo 
che si può, o deve, cassando et annullando per tanto l' altro 
testamento che feci alli dicisette di Giugno 1649 et ogni al- 
tra dispositìone che per il passato havessi fatto , et in fede 
di ciò ho sottoscritto il presente mio ultimo testamento di 
mia propria mano in Roma questo giorno di 28 l Gennaro 1654. 

Olimpia Maid. dì Pamphilii 

Testo dispongo quanto di sopra M. PP. 

Die 31 8bris 1654. 

Collat. in Archivio generali Urbano Almae Urbis 
Concordat: Salvo ecc. In fìdem ecc. 

Pro D. Ant. de Nobilibus Arch. 
Rodulphus Florpxlus. 

1 La data è veramente in bianco: ma dal documento seguente si vede 
che fu il 28. 



DOCUMENTI. 305 



VI. 



Olimpia non volendo morire con l' istituzione dell'erede 
fatta nel testamento del 28, Gennaro 1054 (A. Sì- 
moncelli Not. dell' A. CJ ) fa nel 22 luglio 1054 un 
altro testamento nuncupativo con cui lega a Innocenzo 
la villa di S. Martino, e in tutti i beni a sé appar- 
tenenti lo nomina erede non come pontefice, ma come 
persona privata, lasciandogli facoltà di sostituire chi 
vuole, confermando i legati fatti nel testamento pre- 
cedente e pregando S. S. a voler far sì che dei beni 
posseduti da lei nella città e territorio di Viterbo prima 
che S. S. fosse assunto al pontificato sia erede D. 
Camillo suo figlio. Il quale decaderà da ogni dritto se 
permetterà che il card. Astalli assuma il nome di 
casa Pamfili etc. (Inserito nel testamento di Donna Olim- 
pia. Atti SlMONCELLI Cit.) 

Ter nome della San.™ Tkinità Padre Figl. 10 e Spirito Santo, 

E DELLA GL0Rl0S. ma VERGINE MARIA. 

Io Olimpia Maidalchina de' Pamphilii moglie già della 
chiara memoria del Sig. Pamphilio Pamphili fratello della 
Santità di N. S. Innocenzio X, sana di mente e di corpo per 
gratia del S. Iddio, né volendo morire con l' institutione dello 
herede fatta da me nel testamento consegnato negli atti del 
Simoncelli Notaio dell' A. C. alli 28 di Gennaro prossimo 
passato, ho perciò risoluto in detta parte cassar quello e fare 
quest'altro mio nuncupativo testamento qual di raggione si 
dice senza scrittura, e chiuso, acciocché sia secreto sino al 
tempo della mia morte, nell' infrascritto modo cioè: 

Che ritrovandomi carica di infinite obligationi verso la 
somma beneficenza di N. S. Innocenzio X° con la quale Sua 
Santità con un gran numero di grazie e benefizii s' è degnata 
di risguardare la servitù da me prestata alla Ecc." 11 sua Casa, 



3()(> DOCUMENTI. 

e l'ossequiosa obbedienza ch'io ho professata e professare 
sempre ai suoi riveriti sentimenti, mi riconosco tenuta di 
porgere ai suoi santi piedi le più vive dimostrationi che posso 
della mia obligata osservanza, onde prego, con la maggiore 
huniiltà che devo, l'immensa sua benignità a degnarsi di vo- 
ler accettare dopo la mia vita a libera dispositene della 
sua persona la mia terra di San Martino da Sua Santità 
nobilitata non solo con moltissime grazie, ma anche con la 
sua stessa presenza, e tutti gli altri e singoli miei beni di 
qualsivoglia sorte et in qualunque luogo posti,. $.. tutte e 
singole raggioni che in qualsivoglia modo spettano e spet- 
teranno à me et à tutta la mia heredità , poiché io in tutti 
e singoli sopradetti miei beni e raggioni instituisco , nomino 
e voglio che sia mio herede universale la Santità Sua non 
come Pontefice, ma come persona privata, con libera et as- 
soluta facoltà di disporre pienamente di tutta la mia here- 
dità a favore di chi più gli parerà e piacerà, sostituendo io 
pertanto a sua Santità quella o quelle persone o luochi pii 
che con particolare dispositione di questa mia heredità più 
le piacerà di sostituire con quei pesi, prohibitioni , vincoli, 
fidei comissi, primogeniture, et ogni altra forma e condi- 
tione che le piacerà d' apporvi. E facendomi sua Santità gra- 
zia d ? accettare questa piccola dimostratione del mio ossequio 
e della mia obligazione, la prego humilmente a degnarsi 
d'ordinare che s'adempischino et eseguischino tutti i legati et 
altre dispositioni particolari espresse da me nel detto mio ul- 
timo testamento fatto li 28 di Gennaro del presente anno, al 
quale in ciò pienamente mi riferisco, e particolarmente quelle 
che ho fatto a favore delle principesse mie figliuole Maria Giu- 
stiniana e Costanza Ludovisia, le quali di nuovo, in ciò che 
ad esse ho lasciato, instituisco e nomino mie heredi in que- 
sto et in ogni altro miglior modo, pregando divotamente Sua 
Santità a compartire così ad esse, come all'altro mio fi- 
gliuolo Prencipe Don Camillo Pamphilio gli effetti della sua 
protetione, e perciò a degnarsi d' ordinare che al d. Principe 
Don Camillo si diano tutti e singoli beni che da me erano 
posseduti nella Città e territorio di Viterbo prima che Sua 
Santità fosse assonta al Ponteficato et anche diecimilia scudi 
ne" quali instituisco e nomino e chiamo mio herede il detto 



DOCUMENTI. 367 

IPrencipe Don Camillo mìo dilett. mo figlio in questo et in ogni 
filtro miglior modo. 

Ma se accadesse che N. S. non accettasse d. mia heredità , 
o accettandola non facesse di essa particolare dispositione 
a favore d' alcuno , opure, che Dio non voglia, premorisse a 
me; in ciasceduno de' detti modi voglio ch'abbia luoco anche 
tutto il resto del disposto da me nel precedente testamento , 
come se nel presente fosse espressa ; volendo che respettiva- 
tiiente o per titolo d' instituzione o substituzione o in altro 
miglióif modo che si richiedesse, in ciascheduno dei detti casi 
habbia il fetfd effetto ; aggiungendovi però inoltre che in qua- 
hfaque de' predetti casi pervenendo al Prencipe D. Camillo 
la mia heredità, debbia esso e sia tenuto sottoporre tutto il 
conseguito e da conseguirsi in qualsivoglia modo per raggion 
di legitima da i miei beni alle substitutioni , fidei comissi e 
primogeniture da me fatte in detto testamento, quali tutti 
confermo in evento d' alcuno dei detti tre casi , altrimenti 
s'intenda e sia egli solamente instituito nella detta sola sua 
legitima come in essa a tale effetto 1' «istituisco e di nuovo 
lo nomino mio herede , et il remanente tutto interamente var- 
da ai chiamati successivamente, in guisa tale che il d. Pren- 
cipe Don Camillo, non sottoponendo detta sua legitima come 
sopra , non possa havere alcun altro jus nel resto della mia 
heredità nel modo e forma che ho disposto nel detto mio 
testamento circa alla prohibitione di detrarre la legitima, 
liavendo qui per repetito tutto il disposto circa ad essa. 

In oltre aggiungo alla predetta mia dispositione conte- 
nuta nel predetto altro mio testamento, che se il detto Pren- 
cipe D. Camillo, o alcuno dei chiamati in esso ammetterà 
o permétterà in qualsivoglia modo che il Cardinale Camillo 
Astalli si servi et usi del nome di Cardinale Pamphilio e 
dell' arme dell' Eccellentissima Casa Pamphilia , o d' altre 
prerogative e facoltà già da N. S. dateli, e poi revocateli, 
e che ogni dispositione da S. Santità fatta sopra le dette 
revocationi impugnarà o in altro qualunque modo non ap- 
proverà ; in ciascheduno dei detti casi, ipso jure et ipso facto 
cada, e s'intenda decaduto dal jus che in vigore della detta 
mia dispositione contenuta nel detto altro mio testamento 
o di questa presente gli possa competere come se non fosse 



:W58 DOHJMKNTI. 

stato mai da me o istituito o sostituito , et immediatamente 
s'acquisti al successore che non contravverrà; di maniera 
tale che l'inosservante decaduto non possa ingerirsi ne' miei 
beni, ne anche col titolo di patria potestà, legitima admini- 
stratione , pretensione di poterne conseguire V usufrutto , o 
la commodità della percettione de' frutti. 

Parimente aggiungo c'havendo nel detto mio testamento 
eletti per esecutori della mia volontà li Cardinali Astalli al- 
lora Pamphilio e Raggi, revocando hora quella del Signor 
Cardinale Astalli, dichiaro e voglio che gli esecutori della 
detta mia dispositione contenuta nel predetto testamento sia- 
no li Signori l oltre gli Ill. mi Deputati della Venerabile 

Congregazione di San Girolamo della Carità di Roma con- 
forme ho in quello disposto, dando a ciasceduno di detti 
111.'" 1 Cardinali et a detti Deputati ogni più libera e piena 
autorità. 

E questo dico e voglio che sia il mio ultimo testamento, 
che voglio che vaglia per ragion di testamento nuncupativo, 
donat. causa mortis, legato codicillo o qualsiasi altra di- 
spositione, et in ogni e qualunque miglior modo che si può o 
deve, lasciando per tanto et annullando, in quella parte però 
solamente ^he è cQntraria a questo, l'altro mio testamento 
che feci alli 28 di Gennaro del presente anno 1644, et in fe- 
de di ciò ho sottoscritto la presente di mia propria mano in 
Roma il giorno 22 luglio 1054. 

Io Olimpia Maip. 1 " Pamphilii 

testo e dispongo come sopra M. VP. 

Die 31 8bris 1657. 

Collat. in Archivio Generali Urbano Almae Urbis 
Concordat Salvo ecc. In fileni ecc. 

Pro D. Ant. de Nobili bus Arch. 
Hodulphus Florellus. 

1 In bianco. 



DOCUMENTI. - 369 



VII. 



Olimpia con atto inter vivos del 22 luglio 1656 dichia- 
ra Camillo Pamfìli donatario d' Innocenzo X suo uni- 
versale successore, riservando a sé l'usufrutto sua vi- 

"li" 

ta naturale durante, obbligando l' erede a sodisfare i 
legati fatti da lei nel testamento in Atti Simoncelli. 
Sottoscrivono Olimpia e Camillo. 
(Quesf atto b inserito nel testamento del 28 gennaio 1 654. 
Atti Simoncelli cit. pag. 576). 



Addì 22 luglio 1G55. 



L' Ill. ,ua et Ecc. ,na S. Donna Olimpia Pamfilii principessa 
di S. Martino valendosi d' ogni facoltà concessale dalla S. Me- 
moria d'Innocenzo X, et in particolarmente et specialmente 
valendosi di tutta V autorità contenutasi nel Chirografo di es- 
so Innocenzio sotto la data dei 20 di Luglio 1G54, et d' ogni 
altra che in qualsivoglia modo le può competere in tutta la 
roba Pamfilia, e propr. di sostituire chi e come a lei pare- 
rà e piacerà ; dichiara di adesso e per donatione o altro atto 
inter vivos , et per via e contratto irrevocabile sostituisce a 
se stessa liberamente, et senza alcuna riserva l*Ill. ino D. Ca- 
millo Pamfilii suo dilettissimo figliolo, donatario della S. Me- 
moria di Innocentio X e suo universal successore, colle fa- 
coltà, autorità, anteriorità, e con ogni altra special forma, 
che per corroboratione di tal' atto vi occorresse ; dandoli fa- 
coltà, che possa egli per sua cautela, et indubitata validità 
di questa libera sostitutione, aggiungere in qualsivoglia hora, 
sénz' altro consenso, o notitia di S. E. et in qualsivoglia tem- 
po, qualsivoglia clausula a suo favore, etiam senza solennità 
alcuna et ancorché incogitabile per validità del presente at- 
to, da adesso, con le riserve e conditioni e patti da dirsi ap- 

Ciampi. — Innocenzo X e la sua Corte. 24 



370 DOCUMENTI. 

presso, correspettivamente a favore di detta Signora e di detto 
Signor D. Camillo : e con conditione che accettando esso Sig. 
la fabbrica di S. Agnese, et accettando sopra la robba che 
gode della primogenitura Pamfilia il peso di pagar le spese 
di essa non pagate e da pagarsi con riportarne a suo favore 
libera cessione di raggione per rivalersene in tutti e singoli 
beni inventariati per detta primogenitura a sua libera dispo- 
si tione, e di accollarsi di pagare il frutto del monte Pamfilio, 
per ricompensa del quale detta Signora gli darà il frutto di 
tre casali che detta Signora possiede in Campagna jli Boma 
come si dirà di sotto, et osservando le altre infraàctitte con- 
ditioni, e così respettivamente a queste cose predette, e non 
altrimente, né in altra maniera, in vigore della soprannominata 
facoltà et in ogni altro miglior modo lo nomina, lo sostitui- 
sce, lo vuole, et con ogni autorità lo dichiara Donatario della 
detta S. M. d'Innocentio X, e suo universal successore in 
tutti e singoli beni, havendoli qui per espressi, et anco can- 
tanti * et attinenti a detta Signora Principessa, quanto nomi- 
natamente alla Primogenitura Pamfilia, e per quanto occor- 
resse, per la detta dispositione di detto Innocentio X, al so- 
pradetto D. Camillo benché cantanti come suoi liberi, se non 
in tanto, quanto fossero da lui accettate le dette dispositioni 
o che in altra maniera sotto di esse fossero compresi benché 
egli si sia sempre inteso di poterne liberamente disporre, e 
senz'alcun' altra immaginabile riserva fuori che l'infrascritte, 2 
colle seguenti formalità, particolarità, modi, autorità, condi- 
tioni e pesi, cioè: 

I. Vuole detta Signora Principessa godere tutto quello 
che presentamente gode liberamente e senz' alcuna riserva, 
tanto nell'usufrutto libero e pieno, quanto in esservi asso- 
luta padrona, così nella giurisditione, quanto in ogni altra 
cosa per tutto il tempo della sua vita, e che mai sotto alcun 
pretesto le possa alcuno, in vigore della presente dispositio- 



1 La frase di beni cantanti a favore di ecc. era usata allora nello etile 
curialesco, né ancora adesso è andata totalmente in disuso. 

2 II garbuglio di queste premesse è tale che a fatica se ne può cogliere 
il senso: ma per quanto TE. si sia aiutato con V interpuuzione, non ha po- 
tuto render netto e chiaro ciò che nel testo è sì confuso ed oscuro. 



DOCUMENTI. 371 

ne, apportarle una minima contrarietà, ma debba sempre ognuno 
restar muto, e quieto ancorché per sua colpa deteriorasse al- 
cuna cosa, e questa, et in ogni altro miglior modo ecc. 

II. Che detto S. D. Camillo da adesso goda tutto il ri- 
manente che può cadere sotto la dispositione di detto Chi- 
rografo de' 20 di luglio 1654. 

III. Che di quello è inventariato nella primogenitura Pam- 
filia possa il detto Signor D. Camillo et di propria autorità 
in ogni miglior modo, per vigore della sopra facoltà del det- 
to Chirografo, disponere a suo beneplacito e rivalersi libe- 
ramente deìli centoquarantacinque mila scudi sborsati del 
suo proprio per il prezzo della Bottaccia , e delli centoses- 
santa mila scudi che del suo proprio concorse nel prezzo dello 
Stato di Valmontone, et ogni altra somma incorporata in detta 
Primogenitura, tanto per prima compra, quanto per boni- 
ficamento sì di presente come per l'avvenire, corroborando 
et validandosi per quanto vi fosse di bisogno colla sopra- 
detta autorità, ogni protesta etiam in voce fatta dal detto Sig. 
Don Camillo di potere liberamente disporre di dette somme , 
poiché in esse et in detti altri suoi crediti, quanto sia di bi- 
sogno, lo sostituisce liberamente con sola conditione, che non 
disponendone, restino incorporati in quella dispositione che 
dovrà fare il detto S. Don Camillo a favore d'un suo de- 
scendente come si dirà, e non havendola fatta alla sua mor- 
te, o facendo egli alcun delitto per il quale incorresse pe- 
na di confiscatione, o altra pecuniaria, resti nel suo vigo- 
re la dispositione della S. M. di Papa Innocentio sopra la 
primogenitura Pamfilia, anche respetto di dette somme e 
crediti. 

IV. Che di quello canta a favore di d. S. D. Camillo come 
suo proprio e che si possa pretendere sottoposto alla dispo- 
sitione di detto Chirografo delli 20 di luglio 1654, quando 
vi occorra, in vigore della facoltà del medesimo, vuole detta 
Signora che esso Signor D. Camillo li sia sostituito libero, 
et indubitato possessore (padrone), e rimangano tutti gli suoi 
acquisti , jura , raggioni, et attioni senza nessuna soggezione, 
come se mai stata non vi fosse, fuori che in caso ch'egli 
alla sua morte non ne habbia disposto, o pure in caso di 
delitto per il quale egli incorresse in pene di confiscatione 



372 DOCUMENTI. 

o altra pena pecuniaria , che sino non sarà reintegrato, ri- 
spetto alle dette pene, in gratia del Prencipe, dove saranno 
esistenti d. beni etiam rispetto all' usufrutto e commodità dei 
frutti, quali si doveranno moltiplicare in quel tempo per 
detta Primogenitura fuorché in caso che dovessero servire 
per alimento e decoro de' suoi descendenti, ne doveranno 
per quel tempo star vive le leggi di detta Primogenitura, co- 
me anche nell' altro caso che detto Signore D. Camillo non 
ne havesse disposto. l 

V. Che tanto del Palazzo di Piazza Navona, quanto dei 
suoi membri e pertinenze, detta Signora si riserbi per sua 
habitatione e sua famiglia tutta quella parte, che li piacerà, 
et il resto servi di habitatione di detto Signor D. Camillo e 
sua famiglia. 

VI. Che di tutti e singoli beni sopradetti tanto inventa- 
riati per la Primogenitura, non comprese però mai quelle 
somme che appartengono a detto Signor D. Camillo, quanto 
di tutti quelli che gode detta Signora Principessa, sia obli- 
gato il detto Signor D. Camillo di disporre a favore de* suoi 
descendenti, e di sostituire in quelli nei modi e forme, che 
a lui piaceranno, e piaceranno etiam in titolo di Primoge- 
nitura, mutando, scemando, ampliando et accrescendo, e 
ciò facendolo tante volte quante egli vorrà, li parerà e li 
piacerà: e non disponendone, e per quel tempo, che non si 
harà disposto, resti nel suo primo vigore la sopranominata 
Primogenitura conforme alla dispositione della S. M. di 
Papa Innocentio X. 

VII. Che nella fabrica di S. Agnese stando su gli con- 
torni già approvati dalla detta S. Memoria , possa detto Si- 
gnor D. Camillo mutare architetto, variar pietre, materiali 
et ornamenti secondo eh' egli giudicherà meglio, e proseguire 
con suo commodo et avvantaggio detta fabrica , rimanendosi 
dell' intutto a lui, reintegrandolo come se V havesse prose- 
guita da che V incominciò , et in vigore del soprannominato 
Chirografo, pagare gli artefici, che hanno lavorato e lavore- 
ranno , et altri creditori di quegli effetti, che li parerà della 



1 Per dichiarar meglio questa idea o almeno renderla più semplice fu 
necessaria una postilla che si legge in fine, prima delle sottoscrizioni. 



DOCUMENTI. 373 

jprimogenitura Pamfilia , e questo precisamente , perchè detta 
Signora lo sostituisce con detta facoltà, a fine anche li pos- 
sa suffragare la cessione delle ragioni , che a' suo favore ac- 
quisterà per tale effetto. 

Vili. Che debba detto Signor D. Camillo, in caso pessi- 
:mo che Dio mai non voglia, sodisfare intieramente alli legati 
che detta Signora ha disposto nel testamento rogato dal Si- 
zmoncelli , e gli altri che sarà per fare, eccettuato però quello 
fatto a favore del Signor Cardinale Maidalchino rispetto alla 
commodità dell' habitatione del Palazzo della Fontana di Trevi, 
revocandolo in questa parte, e confermandolo nel resto, et 
eccettuando ancora il legato fatto del casale di Selce al detto 
Signor D. Giovanni Battista suo carissimo nipote, quale vuole, 
che si comprenda nelle dispositioni da farsi dal detto Signor 
D. Camillo a suo piacere : qual testamento come sopra fatto, 
respetto agli altri legati qui non revocati, et ancora alla sola 
institutione dell' herede universale in persona di detto Si- 
gnor D. Camillo, conferma, approva, e vuole che habbia il 
suo vigore, revocando, annullando e cassando tutti e singoli 
altri pesi, sostitutioni, prohibitioni, fideicomissi et altre dispo- 
sitioni tutte, come se mai state fatte non fossero, havendo 
qui per espresso le clausule derogatorie e le derogatorie delle 
derogatorie in esso testé contenute, et ogni altra forma, clau- 
sula e dispositione necessaria per renderle abolite e nulle 
et ogni altra la quale si potrà qui aggiungere et ogni voglie 
di detto Signor D. Camillo , anco senza notitia di S. Eccel- 
lentia ad ogni hora , et in più volte , e senza veruna solen- 
nità per loro maggiore revocatione. 

IX. Che alla presente scrittura non si possa mai opporre 
vitio alcuno sotto titolo che non siano osservate le Solennità 
che vogliono le leggi con le Donne, credendo detta Signora 
non esservi altro necessario che la propria firma, la quale 
farà alla presenza del Cardinal Gualtieri e di Monsignor Ve- 
scovo di Sutri e Nepi, promettendo di ratificarla ad ogni 
richiesta di detto Signor D. Camillo con sanare quello vi 
mancasse. 

X. Che venendo il caso , che i creditori delle fabriche or- 
dinate della S. Memoria d'Innocenzo, et in specie quella di 
S. Agnese, per la loro sodisfatione eseguissero nella robba 



374 DOCUMENTI. 

della primogenitura, non s* intenda mai il Signor D. Camillo 
per questo contratto tenuto ad altra soddisfattone a favore 
di essa primogenitura sotto qualsivoglia pretesto, titolo, o 
forma, né a renderne alcun conto: poiché in vigore del sopra- 
scritto Chirografo ed ogni altra autorità che detta Signora 
habbia, aggiunge alla dispositene di detta Primogenitura 
questa sua come se così fosse stato ordinato dalla suddetta 
S. Memoria di Papa Innocentio: anzi di più dispone, che non 
si possa mai pretendere da alcuno . che le raggioni, che ac- 
quistasse detto Signor D. Camillo per quello tutto che del 
suo proprio pagherà per le spese di detta fabrica'tanto fatte 
quanto da farsi, habbino a star sottoposte a vincolo d'alcuna 
sorte; tanto che detta Signora vuole ch'egli, senza nessuna 
lite, possa di propria autorità, e senza licenza di Giudice. 
rivalersene sopra qualsivoglia corpo di tutti e singoli beni 
che cadono sotto la dispositene di detto Chirografo delli 
20 di luglio , purché non siano di quelli , che gode detta Si- 
gnora durante la sua vita, essendo convenevole che quegli 
usufrutti , che hora gode il detto Signor D. Camillo, impie- 
gandoli per decoro della sua famiglia , in proseguimento della 
gloria di detta S. Memoria di Papa Innocenzo, debbano es- 
sere sempre liberi a suo favore per servirsene volendo do- 
tare le sue figliole feraine non proviste da essa S. Memoria 
o in altra occorrenza. 

XI. Che nella presente Scrittura essendo d' accordo tanto 
detta Signora Principessa, quanto detto Signor Principe suo 
figliolo, si possa aggiungere, levare, sminuire, mutare et alte- 
rare la sostanza in tutto quello vorranno le parti senza al- 
cuna immaginabil riserva , tante volte , quante si vorrà d' ac- 
cordo, etiam per lettera; e tutto ciò che sarà variato, alte- 
rato , o aggiunto , o levato s' intenda di adesso per qui inserto 
o non apposto. 

XII. Che per osservanza delle cose sopradette la Signora 
Principessa produrrà, ove il detto Signor D. Camillo ordinerà, 
tutte le scritture necessarie a ciò: dove, per cooperare il detto 
Signor D. Camillo a levar hora detta Signora dalle molestie 
de' creditori, dal fastidio et assistenza della dispendiosa fabri- 
ca e della sodisfattone de'Montisti, resta sotto tanti pesi, ne 
riceva almeno il commodo delle generalissime e libere sosti- 



DOCUMENTI. 375 

tutioni soprascritte, e non habbia a veder mai li soprascritti 
suoi usufrutti posti in controversia. 

XIII. Consegnerà detta Signora D. Olimpia al detto Si- 
gnor D. Camillo marmi, ferri, piombi e tutti li travertini 
cose lavorati, gome non lavorati, e tutte le altre e singole 
materie preparate, e comprate per servitio della detta fabrica 
di S. Agnese. 

XIV. Promette detta Signora Principessa che saranno os- 
servati tutte le cose predette al detto Signor D. Camillo , et 
in caso d' inosservanza di ciascuna di esse, vuol essere obli- 
gata in fórma Camerae Apostolicae con dichiaratione però che 
detto suo obligo non si possa esseguire contro di lei, e suoi 
beni durante la sua vita se non per dato, e fatto suo pro- 
prio, immediato: ma dopo la sua morte anche per dato e 
fatto di ciascheduno altro. 

XV. Che detta Signora donna Olimpia consegni al detto 
Signor Don Camillo, persino che durerà detto Monte, le ren- 
dite dei Casali di Selce, S. Cecilia, e Castel Malnome, ac- 
ciocché con esse possa sodisfare al Monte Pamfilio sino hora 
venduto, e di adesso lo costituisce Procuratore irrevocabile 
di ripigliarsele di propria auttorità, o affittandole senza al- 
cun consenso di detta Signora o in qualunque altro modo, pro- 
mettendo et obligandosi il detto Signor Don Camillo in for- 
ma della E. Cam. Apostolica che per detto Monte non rice- 
verà molestia alcuna, e di sodisfare i Montisti che già sono 
creditori, ancorché le sudette rendite in alcun modo non ba- 
stassero, e di rilassare li frutti di detti Casali ogni volta, che 
detto Monte sarà finito, o ciascheduno di detti Casali prò 
rata. 

XVI. Che dell'osservanza delle sopradette cose da ese- 
guirsi da detto Signor Don Camillo non gli se ne possa do- 
mandar conto dalla detta Principessa sua madre in sua vita, 
et in fede delle cose sopradette sarà la presente sottoscritta 
da ambo le parti. 

Che sino non sarà reintegrato respetto, alle dette pene, 
in gratta del Principe, dove saranno essistenti detti beni 
etiam respetto all'usufrutto, e commodità de' frutti, quali 
si doveranno moltiplicare in quel tempo per detta primoge- 



37() DOCUMENTI. 

nitrirà, fuorché in caso clic dovessero servir per alimento e 
decoro de' suoi descendenti. ! 

Olimpia Maid. oì Pamphilii afferma. 
Camillo Pamphilii afferma. 
Carlo Card. Gualterio fui presente. 
Marcello Vesc. di Sutri e Nepi fui presente. 
Giulio Gualterio fui presente. 

1 Questa postilla si riferisce al § IV. ..,«.: 



vin. 

Innocenzo X toglie al cardinale Camillo Astalli il nome 
dei Parnfili e revoca (utte le disposizioni a suo favo- 
re. (Casanatense X, /. 20, num. XX[II). 

INNOCENT1US PAPA X. 

Ad futuram rei memoriam. Alias quando dilectum filium 
nostrum Camillum tituli S. Petri in Monte aureo Presbyte- 
rum Cardinalem Astallium nuncupatum in Sacrum S. R. E. 
cardinalium Collegium cooptavimus; Nos illum nobili et an- 
tiquae familiae nostrae de Pamphiljis aggregavimus , illique 
cognomen eiusdem familiae, ita ut Camillus Cardinalis Pam- 
philius vocari, et scribi, ac eiusdem familiae insignibus uti 
possetconcessimus.Praeterea, pernostras in simili forma Brevis 
die 5 octobris 1650 expeditas literas, eundem Camillum Car- 
dinalem negotiorum Eeipublicae Christianae ex omnibus mun- 
di partibus ad Nos et Romanam Sedem confluentium, quae 
nostro, et Sanctae Sedis nomine et auctoritate tramanda et 
terminanda forent, et aliorum quorumcumque tam secularium, 
quam ecclesiasticorum etiam principalium negotiorum nostro 
et dictae Sedis nomine generalem gerendorum et specialem su- 
perintendentiam, cum facultatibus et provisione ibidem expres- 
sis, constituimus et deputavimus, noe non in aliis nostris pa- 



DOCUMENTI. 377 

in simili fbnna Brevis die 7 februarii 1652 expeditis 
literis eundem Camillum Cardinalem Ecclesiae novae San- 
<3tae Agnetis in Agone, illiusque fabricae et Sacristiae, re- 
^mm, honorum et iurium quoromlibet protectorem, defen- 
sorem et iudicem irrevocabilem cum certis tunc expressis 
^Facultatibus et prerogativis similiter constìtuimus et deputa- 
-rimus, et alias, prout in predictis literis nostris, quarum te- 
nores etiam veriores praesentibus prò expressis haberi vo- 
lumus, uberius continetur. Nunc autem certis ex causis ani- 
mum nostrum ad id moventibus, et quia nobis ita placet, 
Motu proprio, ac ex certa scientia, et matura deliberatione, 
nostris deque Apostolica^ potestatis plenitudine , factam per 
nos eiusdem familiae nostrae praedictae aggregationem , et 
facultatem nomine et insignibus eiusdem familiae nostrae 
utendi, concessionem huiusmodi nec non eius familiae Cardi- 
nalem in negociorum Reipublicae Christianae ex omnibus mun- 
di partibus ad Nos et Komanam sedem confluentium Nostro 
et Apostolicae Sedis Nomine et auctoritate tractandorum, vel 
aliorum quorumcumque tam secularium quam Ecclesiastico- 
rum etiam specialium Nostro et dictae Sedis nomine gerendo- 
rum generalem et specialemsuperintendentiam cum facultati- 
bus et procuratione praedictis ; constitutionem et deputationem 
per dictas literas nostras cum omnibus et singulis in eo conten- 
da, et quomodolibet comprehensis, ac propterea deputationem 
et constitutionem ipsius Camilli Cardinalis in Ecclesia Nova 
Sanctae Agnetis praedictae, illiusque fabricae et Sacristiae ac 
cappellanorum in ea institutorum, aliorumque illius ministro- 
rum et personarum, ac eiusdem fabricae et Sacristiae rerum, 
bonorum, et iurium quorumlibet protectorem, defensorem, ac 
judicem irrevocabilem, et quaruncumque facultatum et prae- 
rogativarum in dictis nostris literis ipsi Camillo Cardinali 
quomodolibet attributarum concessiones, tenore praesentium 
revocamus, cassamus, irritamus et annullamus, viribusque 
et effectu penitus evacuamus, et ex^nunc revocatas, cassas, 
irritas et annullatas, viribusque et effectu prorsus vacuas esse, et 
perpetuo foredecernimus et declaramus in omnibus et per omnia 
perinde ac si nunquam emanassent ; ipsique Camillo Cardinali ne 
de caetero oognomine et insignibus euisdem familiae nostrae 
de Pamphiliis uti, vel se Cardinalem Pamphilium scribere aut 



378 DOCUMENTI. 

vocare, seu scribi aut vocari facere vel permitfcere, aut sese 
in quibuscumque Nostris et Sedis Apostolicae negotiis tam- 
quam illorum superintendentem huiusmodi, vel quibusvis ad 
dictam Ecclesiam S. Agnetis illiusque fabricam et Sacrìstiam, 
ac illorum bona, res, et iura quaecumque, nec non Cappellanos 
aliosque Ministros et personas eiusdem Ecclesiae pertinenti- 
bus de caetero ingerere, vel immiscere, aut provisioneni prae- 
fatam petere vel recipere audeat quoinodolibet vel praesu- 
mat sub indignationis nostrae et gravioribus, arbitrio nostro, 
paenis, motu, scientia, deliberatione ac potestatis plenitudine 
et tenore praefatis districte prohibemus et interdieàmus: prae- 
sentes quoque literas etiam, ex eo quod dictus Camillus Car- 
dinalis aut alii quicumque in praemissis forsan interesse ha- 
bentes, seu habere quomodolibet praetendentes, illis non con- 
senserint aut ad ea vocati, et auditi, seu causae propter 
quas eaedem praesentes emanarunt verificatae ac iustificatae 
non fuerint, aut alia et quaviscausa, colore, praetextu et Capi- 
te etiam in corpore iuris clauso etiam enormis, enormissimae et 
totalis laesionis, nullo unquam tempore de subreptionis vel obre- 
ptionis aut nullitatis vitìo vel intentionis nostrae aut praedicti 
Camilli Cardinalis et aliorum quorumvis interesse habentium 
consensus, vel alio quamvis substautiali defectu notari, im- 
pugnari, invalidari, in ius, vel controversiam revocari, ad 
terminos iuris reduci, aut adversus quodcumgue iuris, facti , 
vel gratiae remedium impetrari, aut etiam Motu Simili con- 
cesso quem (?) sententia in iudicio, vel extra illud uti vel sese 
iuvare posse, sed easdem praesentes semper firmas, validas 
et efficaces existere, et fore, et suos plenarios et integros ef- 
fectus sortiri, et obtinere, sicque et non alias in praemissis 
per quoscumque iudices ordinarios et delegatos etiam Cau- 
sarum palatii Apostolici Auditores, ac quosvis Camerae Apo- 
stolicae Officiales et Ministros nec non S. K. E. Camerarium 
et alios Cardinales etiam de Latere Legatos , et alios quos- 
libet quavis auctoritate et potestate fungentes et functuros , 
sublata eis et eorum quibuslibet quavis aliter judicandi et in- 
terpretandi facultate et auctoritate, iudicari et definiri "de- 
bere, irritumque et inane quidquid contra praesentium dispo- 
sitionem praedictum Cardinalem aut alium quemlibet quavis 
auctoritate , scienter, vel ignoranter, contigerit attentari;simi- 



DOCUMENTI. 379 

liter decernimus et declaramus, non obstantibus literis nostris 
nec non de iure quaesito non tollendo, et quatenus concer- 
nentibus in ea praesentandis et registrandis, ita ut praesen- 
tes literas- in eadem Cam: praesentari et registrari nun- 
quam necesse sit, aliisque Constitutionibus et Ordinationibus 
Apostolicis, legibus quoque Imperialibus et municipalibus, ac 
quibusvis iuramento, confinnatione Apostolica, vel quavis fir- 
mitate alia roboratis, statutis et consuetudinibus, caeterisque 
contrariis quibuscumque. Datuni Eomae, apud S. Mariani Ma- 
iorem,sub anulo Piscatori s, die 4 februarii 1654. Pontìficatus 
Nostri armo X: loco +J* Anuli Piscatoris. 

0. GUALTEKIUS. 



IX. 



Il principe Niccola Ludo visi ft privato da Innocenzo X 
del grado di Capitano generale della flotta eco. (Ca- 
sanatense XX, I. 20, num. 22). 

Dilecte filli salutera , et Apostolicam benedictionem. Alias 
per nostras in simili forma Brevis literas dilectum fìlium 
Nobilem Virum Nicolaum Ludovisium Plumbini et Venusij 
Principem Classis nostrae Pontificiae et Triremium nostra- 
rum Capitaneum Generalem, et nostrarum Arcium, sive For- 
tilitiorum maritimorum, ac Turrium ad Littora maris tam 
Adriatici, quam Tirrenij existentium, SuperintendentemGene- 
ralem ad nostrum et Sedis Apostolicae beneplacitum consti- 
tuimus et deputavimus ; ipseque Nicolaus Princeps de muneri- 
bus huiusmodi recte et fideliter exercendis debitum praestitit 
iuramentum. Ac subinde cum Nobis innotuisset eidem Ni- 
colao Principi imputari, seu eum insimulari, quod aliquos 
excessus et delieta tunc expressa sub Clypeo forsan , seu oc- 
casione munerum Capitanei et Superintendentis Generalis 
huiusmodi commisisset ; Nos eundem Nicolaum Principem nul- 
lam propterea poenam incurrisse dici, praesumi, aut prae- 



o80 DOCUMENTI. 

tendi, nec propterea contra illuni procedi posse decrevimus, 
declaravimus et defini vimus, et quatenus eum in aliquas 
poenas propterea incidisse dici, vel praesumi posset, illum 
ab imputationibus, excessibus et delictis huiusmodi , eorum- 
que culpis, et reatibus, ac a quibuscumque poenis spiritua- 
libus et temporalibus, quas ob praeniissa incurrerat, seu in- 
currisse dici, praesumi vel allegari posset, totaliter et ple- 
narie absolvimus et liberavimus, et alias prout in praedictis 
nostris literis, quarum praesentibus liaberi volumus prò ex- 
pressis uberius continetur. Ut igitur eidem Nicolao Principi 
deinceps causa peccandi forsan sub Clypeo, vel occasione 
Munerum Capitanei, vel Superintendentis generalis huiusmo- 
di contra Nostrum et Sedis Apostolicae Servitium tollatur, 
et omnis occasio illum propterea alicuius excessus, seu de- 
lieti insimulandi, vel arguendi submoveatur, ac etiam ob eius- 
dem Nicolai Principis erga Nos ingratitudinem, aliisque iu- 
stis ex causis animum nostrum ad id moventibus opportune 
providere volentes, motu proprio, et ex certa scientia, et ma- 
tura deliberatione, Nostris deque Apostolicae potestatis ple- 
nitudine, deputationem dicti Nicolai Principis in Capitaneum 
generalem Classis Pontificiae, et Triremium nostrarum prae- 
dictarum, nec non in Superintendentem generalem Arcium, 
fortellitiorum, ac Turrium, et Triremium praefatarum, ac su- 
per deputatione huiusmodi expèditas nostras literas tenore 
praesentium revocamus, cassamus, et irritamus, ac ex nunc 
revocatas, cassas, et iritas esse et fore decernimus et decla- 
ramus; Teque in Commissarium Classis et Triremium ac 
Arcium, fortellitiorum et Turrium huiusmodi, ad Nostrum et 
Sedis praedictae beneplacitum, facimus, constituimus et de- 
putamus, mandantes propterea dilectis filiis eiusdem Classis 
et Triremium, Locumtenenti Generali, et Capitaneis, caeteri- 
sque officialibus, etmilitibus quibuscumque, nec non Arcium, 
et fortellitiorum, ac Turrium huiusmodi Praefectis, Guberna- 
toribus, Custodibus, et militibus, caeterisque ad quos spec- 
tat quomodolibet, ne de coetero praedictum Nicolaum Prin- 
cipem prò Capitaneo, et Superintendenti generali huiusmodi 
habeant, aut agnoscant, neque eius mandatis, et iussibus in 
aliquo pareant, sed te in Commissarium Generalem iuxta te- 
norem earundem per praesentium recipientes, et agnoscentes, 



DOCUMENTI. 381 

tibi in omnibus ad praedictum Officium (Jommissarii Gene- 
ralis pertinentibus prompte* obediant, et ea, quae illius tam- 
quam Commissarius generalis lmiusmodi prò nostro et dictae 
sedis servitio mandata et imperata censueris, sine tergiversa- 
tione exequatur, non obstantibus his nostris praedictis, ac 
omnibus illis, quae in eisdem voluimus non obstare, caeteris- 
que contrariis quibuscumque. Datum apud Sanctam Mariam 
Maiorem sub Anulo Piscatoris die 16 Julii 1654. Pontificatus 
nostri anno decimo. 

G. GUALTERIUS. 

Loco signi Anuli Piscatoris. 



x. 



Alcune lettere di Mons. Fabio Chigi. (Dai Mss. della 
Biblioteca Chigìanà). 

Nicio l 10 Martii. — Perge ut facis folia tua mittere ad 
me; ea statim ad Niliusium dirigo, qui non deerit officio suo 
ac sincerae in te benevolenti ae quod videbis ex adjunctis. Vel- 
let omittere in Gregorio de Valentia quaedam, quae tum Do- 
minicanorum, tum Clementis Vili reputationem aliquomodo 
tangere videntur. Aperias illi, quaeso te, mentem tuam. Qua- 
lis pingatur hic Innocentius X si petis, aspice illum; eccum 
tibi. Vale die X Martii MDCXLV. 



(Cod. A. I. 45. pag. 24. t.) 



All'Ecc.™ Signora Donna Costanza Pamphilii a 6 di gennaro 
del 1645. 

E piaciuto alla somma benignità dell' Ecc." 10 Signor Car- 
dinale Padrone fratello di V. E. di darmi parte del felice 

1 Ossia Iano Nicio Erythreo (a Giovan Vittorio Rossi). 



382 DOCUMENTI. 

accasamento di Lei coir Ecc.™ Sig. Principe di Piombino, e 
poiché l'affetto particolare dell'incomparabile mia diyozione 
yerso l' Ecc." 1 ' Casa di V. E. si trova interessato in ogni avve- 
nimento di essa, sente in questo particolarissima contentezza 
e m'obbliga a comunicarla all'umanissima gentilezza di V. 
E. colla quale più vivissimamente mi congratulo di questo 
prospero successo, e prego il Signor Dio che lo feliciti con 
tutte le sue beneditioni, mentre le attesto più singolarmente 
l'ossequio mio, ed a V. E. umilmente m'inchino. Di Munster.i 

(Cod. A. L (J.) 



Alla Signora Donna Olimpia Pamphilii li 29 detto (Maggio 
1648.) 

Ho tardato a render gratie a V. E. dell' honore che mi 
conferì un mese facon sua benignissima lettera de' 7 di Mar- 
zo: perciocché ho desiderato di godere prima l' altro di adem- 
pire in parte il comandamento che si degnava di farmi per- 
chè io procurassi che il Sig. Pavolo Fisen (o Fiten) fosse provve- 
duto di un Canonicato nelle Collegiate di Liegi sua patria. Egli 
ne sarà proveduto se non del primo che vacarà per essere 
stato promesso, almeno del secondo, che pure tanto avvenne 
al Sig. Van der Gaes Cameriero di S. S. quando d'ordine 
della medesima ne fu richiesto il Signor Elettore di Colonia 
come Vescovo di Liegi. Il Sig. Barone di Holbringhoven pri- 
miero consigliero di Sua Altezza mi promette di voler essere 
diligente esecutore del tutto. Con che offerendomi di nuovo 
ad ogni comandamento di V. E. mi raccomando humilmente 
nella sua protettione, e le fo divotissima riverenza. Munster. 

(Cod. A. I, 6, pag. 199.) 



DOCUMENTI. 383 

Alla Signora Donna Olimpia Pamphilia il 1 di gennaro 1050 
a Roma. 

Ricevei la settimana passata Thonore eh' è piaciuto a V. 
E. di farmi con la sua lettera de' 23 di novembre in racco- 
mandar di nuovo la provisione di un Canonicato nella Col- 
legiata di Liegi per la persona del Sig. Paolo Fisen. Io ne v 
ho subbito reiterata ogni efficace instanza con chi è il Di- 
rettore di questi affari appresso il Sig. Elettore di Colonia, 
vescovo di questa città, anzi per suo et per altrui mezzo 
con S. A. medesima, dalla quale ne riporto ogni buona in- 
tentione e promessa come a V. E. potrà riferire a bocca il 
Sig. Stefano Ugalini. Non cessarò mai co' miei offitii finché 
non veda compiaciuto il Sig. Fisen nel modo stesso, che con 
suo foglio addita, e qui raccomandandomi humilmente in gra- 
tia et alla protettione di V. E. e supplicandola dell' honor 
de' suoi comandi le fo divotissima riverenza. Di Aquisgrana. 

(Cod A. 1. 7, pciff. IV t) 



XI. 

Altro lettere di Fabio Chigi relative alla pace di We- 
stfalia e alle proposte del Gran Maestro Ulfeldt di 
Danimarca per un rivolgimento contro il re Federi- 
co III in favore anche della religione cattolica, fatte 
al pontefice. (Estratto da una Memoria dell' Autore, in- 
titolata: L'epistolario inedito di Fabio Chigi poi fa- 
pa Alessandro VII, letta e inserita negli Atti del- 
l'Accademia dei Lincei. Classe di scienze morali ecc. 
Voi. I Serie 3). 

Si sa che la Curia romana, visti nelle trattative della pace 
di Westfalia messi in non cale i suoi interessi, anzi a di- 
rittura danneggiati, volea operare anche con più violenza di 



384 DOCUMENTI. 

«lucilo che poi non facesse con la Bolla la quale nou fu po- 
tuta pubblicare in Germania. Ora il Chigi fu quegli che avea 
persuaso maggior mitezza e fatto diverse bozze di protesta, 
le quali sembra che non fossero dalla Curia accettate. Se 
non altro egli potè ottenere con la sua destrezza qualche co- 
sa di inen crudo nelle forme diplomatiche delle trattative, 
come si vede da una lettera scritta al cardinal Parafili, che 
era allora il nipote d'Innocenzo X don Camillo, che poi git- 
tò la porpora per maritarsi con la bella Aldobrandini. 

Al Card. Panfilio. 

Havevo già formata la prima bozza, di cui mando copia a V. Em. 
por una dichiarationc contro ogni pregiuditio della Religione Cat- 
tolica ad esempio di mia che ho trovato esser stata fatta dal Card, 
d' Augusta nel 1555, quando mi comparisce la copia della lettera del 
Sig. Card. Mattei sopra 1' amnistia di Batisbona insieme al coman- 
damento di N. S. Il tempo di darla fuori parmi che sia opportuno 
quello dello stipularsi i Capitoli, se Dio faccia la gratia che ci si 
deva venire, e me ne sono aporto fin col Sig. Ambasciadore di Ver 
netia che ha lodato molto il pensiero et ha asserto di coadj avario. 
Ne' Capitoli , se vi vorranno il nome di N. S. e della Santa Sede 
come senza diflicultà potranno fare le due Corone Cattoliche in quelli 
che si stendano fra di loro, et anco in quelli che faccia V Impera- 
tore col re di Francia; così mischiandovi quelli gli Olandesi, quelli 
i Protestanti, verrebbero ad escludere la sua Mediatione, e per con- 
seguenza anco il suo nomo. Fino ad hora sono tutti questi Ministri 
sì discreti in questo punto e sì persuasi del Ministerio Apostolico, 
che separano le materie da sé stessi e mutano le forme quando 
meco parlano che poi reassumono con 1' Ambasciadore di Venetia 
e con gli altri Ministri senza questo rispetto. Onde mi persuado che 
tanto più lo doveranno faro in carta, che si trasmette a' posteri ; 
sopra di che non lassarò di stare oculato, e di mano in mano di 
accennare tutto quello, che possi anticipatamente servire (?) di luce 
e di notizia mentre starò attendendo le scritture e istruttioni per 
la voce Elettorale del Duca di Baviera. Di Munster 15 di Dicembre 
1615 (in cifra) (Bibl. Chig. Ms. Voi. A. I. 1. pag. 255). l 

Fatta la pace il Chigi non dissimula il suo malumore. 
Del resto egli dice all'Albizzi: 

Bicevei la cortesissima lettera di V. S. Illùìa do' 16 del mese 
1 Si veda qui appresso la Nota delle Fonte inedite ecc. Chigi Fabio. 



DOCUMENTI. 385 

«issato quando invece di incaininarmi ad Aqnisgrana, corno vorrei. 
aro hora tra xv giorni so continovo a rihavermi, una diarrea ha- 
eva presa la fuga per portarmi a Volterra. Sit nomen Domini 
enedictum. Pare a questi medici che io deva tener più cura dolio 
bomaco che non faceva beno il suo offitio, che delle reni, le quali 
lì al mente non ammazzano; ma vi ho anco la testa che si altera ad 
gni voltar di vento, tanto e fatta debole. A questo spero il ristoro 
ci fuggire la Westfalia, aria infelicissima, cambiandola con quella 
i Aqnisgrana quando anche non usassi delle acque. Del resto gli 
utori dell' infausta pace di Germania si avvedran, credo, di aver 
orlato più con ossa agli S vezzosi x volte tanto di quel che non 
otevano havere con la guorra. Cavano tutto V oro, svernano gram- 
amente, tengono ren et pretium, padroni delle città, delle fortezze 
do' frutti della campagna.... ». Munster 29 nov. 1649 (A. I. 22 
>ag. 165. t.). 

Per lui era infausto il paese ove V edifizio teocratico, avea 
patito tanta ruina, ed è contento di poterne fuggire. E seri- 
ire allo stesso Albizzi : 

Per varios casus, per tot discrimina rerum, dicova colui, tondi- 
nus in Latinm, o così so no consolava. Io che ogni giorno più mo 
io allontano, altra consolatione non ho che di fare la volontà al- 
imi e di riverire qnolla del cielo ne' comandamenti di S. B. 

A pena hebbi la licenza di mutar V aria di Munster tanto con- 
traria a me e tanto abbonita quanto si sia stata V infausta nego- 
tiatione di Germania; che più malattie e poi le pioggia m'impedi- 
rono T usarla, e mi cacciarono nei giorni più brevi, più oscuri, più 
liorridi dell' anno. Dubbitai grandemente di movermi, et a pena i 
medici lo assentivano, quando uno spiraglio di sole, un rinfranca- 
mento di sanità, et una lettera del re di Francia mi fecero risol- 
vere: e fu la matina di S. Lucia che per Ludinchusen, Haltern , 
Dorsten, Mulem, Keiserwort, Elzen, Giuliers, venni qua la vigilia 
di S. Tommaso per aspettar qui di toccar col doto P aggiustamento 
o di abboccarsi o di trattare altramente le Corone .la pace, prima 
di pensare a muovermi: che fin hora per quanto si fosse persuaso 
il Signor Contarmi, il luogo per la Mediatione sta negli spazi ima- 
ginari, nò io so vederlo in alcun modo. 

E aggiunge: 

Escii di Munster avanti giorno, prohibendo o prevenendo lo sparo 
ed il porsi della Borghesia in arme, non per denigrar queir infelice 
stanza mia, ma per essere lugubre nell'esterno come ero al di den- 
tro attesi i danni fattivi alla Religione Cattolica. Il primo giorno 

Ciampi. — Innocenzo X e ìa sita Corte. 25 



38fi DOCUMENTI. 

si ribalfò in acqua un carro e vi dimorò per due bore. Vesti, panni, 
parati, scrittore, registri ecc. si durarono ghiacciati sin qui. et bora 
per le stufe si cerca di qnalche misero avanzo : fanghi che vollero 
12 cavalli per lasciarci andare , alberghi ove disputava il freddo 
et il fumo senza cedersi un punto, ghiacci che non bastavan fer- 
mare il piede e mille altre delitie. V. S. Illma vedrà nell'Itinerario, 
che fo copiare, fatto al solito col lapis per isoemare il tedio della 
lettiga. Qua attorno ho trovati deserti i villaggi totalmente per 
timore de' Lorenesi che a punto eran passati la Mosa; però le due 
ultime giornate ho usato sessanta dragoni di Giuliers. Dentro la 
città ho posato da' Canonici Regulari in aria che al solo vederla 
mi ricrea, e dopo x anni ho trovato un poco di acqua buona. Non 
mi risolvo a tentar lo Terme, e certamente non lo farò se sto bene, 
godendo infinitamente d' havere P approbatione del senso di V. 8. 
Illma in haver fuggito Liegi e quelie teste carbonarìe, inquiete più 
che mai , benché se la rodano fra denti e dentro al gozzo. Et ec- 
comi in nuovo paese ad attendere i comandamenti di V. S. IH in a 
alla quale conservando io sempre una divotione et obbligatone di 
animo tutto sincero , prego per fine ogni felicità , e fo fine. Da 
Aquisgrana a 24 di decembre 1649 (A. 1. 22, pag. 166. t.) 

Quantunque però egli fosse sì fervido della religione, non 
dissimula i danni che a lei venivano dai cattivi ministri. Cir- 
ca certi missionari, che voleano catechizzare l'Olanda, egli 
scrive : 

A monsignor Francesco Ingoli Segretario della Congregarono 
di Propaganda Fide. 

N Mi sono sopraggiunte di poi altro informationi sopra il Padre 
Domenicano che voleva la missione in Amsterdam o nell'Aia. V. S. 
R.ma vedrà quanto questi buòni Eegolari chièdono loro, e che fug- 
gendo il Ciaustro non scelgono i deserti, ma le più delitiose città. 
Mi creda che si può sempre temere; e quanto più quieta stesse l'O- 
landa in questi tempi turbolenti da quesrte dissentioni e pretensioni 
de' Missionarii, tanto meglio sarebbe perla Religione Cattolica ? 
con che a V. S. R.ma bacio affettuosamente le mani. Di Munster 
li 24 di marzo 1645 (A. 2. 27. pag. 307). 

E intorno a un cattivo servo di Dio: 

Sono due anni che io ho pessime relationi del P. Domenico Celsi 
di Spalatro, ignorante, vagabondo, licentioso, stato soldato più che 
cappellano di soldati, e che per tornare a suoi conventuali corca et 
ha cercato di farsi far prete secolare. Se questi suggetti possono es- 
ser buoni per missionarii lasso giudicare a V. S. Illma, oltre il non 



DOCUMENTI. 387 

liaver la lingua uè olandese, nò francese, e Dio sa com' ò la latina. 
^Monsignor mio la mi creda eh' ogni frate, a coi puzza il chiostro, 
se ne viene costà e dice che vuol andare al martirio, e chiede mis- 
sione. In Olanda poi stanno in delitie, e scandalizzano quei citta- 
dini che ci sono. V. S. B.ma mi haverà veduto parlare sempro di 
questo linguaggio già 6 anni , cioè dopo liavere per due continovi 
tastato per tutto e prese lo informationi etc. Munster 21 di settem- 
bre 1646 (A 2. 27. pag. 308). 

E in "un' altra: 

Mi valerò dell'avviso di V. S. Rev.ma de' 29 del passato per con- 
solarne il signor Stricerio; e quanto al tentativo d'introdurre gli 
80 padri della Compagnia in Holanda, è al mio parere il più pre- 
giuditialo che possi essere alla Religione Cattolica e sterminio della 
Compagnia o degli altri Missionarii ancora, in queste congionturo*, 
Costà non sanno che si fa solamente per buscar limosine, per sca- 
ricar di spese i Collegi i di Fiandra corno confossa il Memoriale dei 
medesimi Padri dell'anno passato: e che non stanno mai insieme 
questi compagni, e che son più lontani i nostri Pievani di Villa per 
andarsi a reconciliar l'un T altro, che non sono] Missionarii d' Ho- 
landa. PGrchè non vanno in Inghilterra? Perchè non sotto la mia 
Nuntiatura in tanti luoghi deserti e non in Holanda ove no sono a 
sufficienza? lo certamente mi scandalizzo: il tutto confidentemente 
con V. S. etc. Munster, li 18 di settembre 1648. 

Non si creda però che il Chigi nella sua disinvoltura da 
uomo di mondo, non possedesse l'avidità di conquiste che 
era proprio carattere della Curia romana. 

Una lettera a monsignor Panciroli ci dà luce su certi fatti 
che avrebbero apprestato al Kanke, per la sua storia de' pon- 
tefici del secolo XVI e XVII e per la viva pittura eh' egli £i 
dei modi con cui il papato cercava di riconquistare il terre^ 
no perduto dopo la Riforma, una solennissima pagina. 

Trattandosi di storia poco alla mano, mi par conveniente 
ricordare alcuni pochi avvenimenti per rendere più interes- 
sante o intelligibile il documento. 

Cristiano IV, re di Danimarca e Norvegia , ad onta che 
per le doti del suo intelletto, del suo animo e de' suoi eroici 
fatti in guerra e in pace, fosse tale da imporre riverenza e 
timore agli uomini più riottosi, non potè mai, durante il suo 
splendido regno che fu pure di sessanta anni (1586-1648) , 
sottrarsi dalla soggezione dell'aristocrazia rappresentata spe- 



388 DOCUMENTI. 

cialmente dal Senato o Consiglio dei nobili. Questo, quando 
Cristiano di undici anni alla morte del padre montò sul tro- 
no, negò Mia madre di lui Sofia di Mecklembourg l'antico 
diritto della reggenza e l'arrogò a se medesimo scegliendo 
dal suo seno quattro membri (N. Kaas, P. Munk, J. Rosen- 
krands e Cristoforo "Walkendorph) che la esercitassero sino 
alla maggiorità del re fissata a vent' anni. Nel periodo della 
guerra dei Trent' anni, chiamato danese appunto perchè Cri- 
stiano fu chiamato dai principi alemanni protestanti alla lor 
testa, l' aristocrazia fii quella che lo costrinse a concludere 
nel 22 maggio 1620 a Lubecca (Lubeck) con l'Imperatore la 
pace. Essa, allorché la borghesia delle città dello Jutland, 
spinta dalla disperazione, osò per la prima volta, in una sup- 
plica aire, lamentarsi dell'oppressione dei nobili, strappò, si 
può dire, dalle mani di quello un* ordinanza con la quale 
era proibito a borghesi e villici di chieder mai nulla al re 
senza il beneplacito del bailo, il che volea dire senza il pre- 
ciso consenso dei nobili, fra cui era sempre scelto quell'alto 
funzionario. Tentò più d' una volta Cristiano diminuire le pre- 
rogative dei nobOi, migliorare la condizione dei villici, abo- 
lire la servitù, sottrarre dalle mani aristocratiche l'autorità 
di disporre dei domini della corona. Ma la sua tenace vo- 
lontà si franse incontro ad ostacoli potentissimi: anzi, sul fi- 
nire del suo regno, egli, anziché guadagnare, dovè coji grave 
suo dolore accettare condizioni da vinto: poiché, mentre pri- 
ma i ventitré membri del Senato, nominati a vita, erano, tran- 
ne l'arcivescovo e i vescovi, eletti per la sola indicazione del 
re : fu nel 1645 stabilito che il re non potesse nominare nel 
seggio vacante che uno fra sei od otto candidati che il Senato 
gli avrebbe proposto. In tal modo il privilegio reale veniva 
diviso col Senato medesimo. l 

In mezzo a tali contrasti, pei quali, dicesi, fosse affret- 
tata la sua morte, egli non potè altro ottenere che qualche 
voce favorevole dentro il Senato, e ciò non senza un qualche 
artificio. 



1 Niel Stange, Kong Christ. IV Histoive revisée et'eorrigée par Hans 
Gram,'Copenh. 1740, in Ibi., cn allemand par I. H. Schlegel. Copenh. et Leipz. 
1750-1771. — Caroli Ogeri, Iter Daniciìm 1634. Lut Par. 1&56. 



DOCUMENTI. 389 

Egli avea, dopo la morte della regina Anna Caterina, spo- 
sato nel 1615 (morganaticamente) una nobile danese, Cristina 
Munk, dell'antica famiglia di questo nome {benché poi la 
ripudiasse con iscandalo pubblico), la quale gli avea dato 
molti figli. Ora maritò le femine a nobili deV paese, per mez- 
zo dei quali, facendoli entrare nel Seijato, sì procacciò qual-r 
che appoggio nel seno di esso. La più ammirata delle figlie 
di Cristiano, per doti d' ingegno e di cuore, era Eleonora Cri- 
stina, e questa fu data in isposa nel 1637 a Corfits tQfeldt, 
che fu poi il celebre maggiordomo o Gran Maqstrò. 

Di quest'ultimo si tratta appunto nella lettera elei Chigi. 

Non sembra che, fatto senatore per regio favóre, il Wle- 
feldt come lo chiama il Chigi e da altri detio tHefeld o Uhl- 
feld e più generalmente Ulfeldt, sentisse meno l' importanza 
e l'autorità del corpo a cui apparteneva, e che, se anche;, 
vivendo Cristiano, si ricordò un poco del motivo per cui stava 
in quel seggio, morto il suo benefattore non se ne dimenti- 
casse per tener soggetto il figlio di lui. 

Infatti si sa che, due mesi dopo la morte di Cristiano IV ? 
eletto dagli Stati Generali il suo figlio Federico III; il Se- 
nato privò questo anche del diritto di scegliere i membri del 
Senato stesso fra i candidati propostigli e si tenne fermo in 
ciò finché dodici anni dopo, cioè nel 1660, per la Rivoluzione 
o colpo di Stato, onde la monarchia, danese diventò eredita- 
ria e Y orgoglio della nobiltà fu abbattuto, qon solamente do- 
vè lasciar questa presa, ma tutte le altre che da secoli te- 
nea per dritto o avea guadagnato con prepotenza. La nuova 
legge reale (Konge-Lov) fu fondamento della costituzione po- 
litica. 

Nello spazio che corse tra il 1648 e il 1651 (anno in cui 
il maggiordomo fuggì dalla Danimarca) 1* Ulfeldt fu tra quelli 
che più ristrinsero la regia autorità a vantaggio 3ei nobili 
e a proprio vantaggio. Egli con tré altri senatori formò il 
Consiglio di reggenza l e per via d'una dura, capitolazióne 

i « La Noblesse Danoise, à qui 1* on pouvoit justement reprocher les 
malheurs occasionnés par les deux dernières guerres, n'eri soutint pas moins 
Ja fierté de ses prétentions, en voulant exclure du tróne, encore éJectif alors, 
Frédéric III, ri le ainé de Christiern IV. .. . Mais n'ayant point réussi. Jane 
le projet de couronner Waldemar, (Vére de Frédéric, elle réduisit Jes préro- 



:J90 DOCUMENTI. 

-costrinse Federico a dividere il potere reale coi senatori, a 
non poter disporre dell' alte cariche dello Stato, a non bat- 
ter moneta, a non far guerra, a non viaggiare fuori del pro- 
prio paese senza il consenso di essi. Col titolo di maggior- 
domo o, come lo chiama il Chigi, di Gran Maestro (Maestro 
di corte, gremì maitre) assunse un potere quasi regale. Man- 
dato in Olanda concluse un doppio trattato con gli Stati Ge- 
nerali. Il primo regolava le condizioni d'alleanza difensiva 
ira i due Stati: con l'altro gli Olandesi erano affrancati dal 
pagamento dei dritti del Sund mediante alcune somme. 

Ma il suo potere era continuamente minato. La regina 
Sofia Amelia (figlia del duca di Brunswick-Lunebourg) lo av- 
versava e affettava disprezzo per Caterina Munk. Si dicea 
che nei trattati con l'Olanda egli avesse sagrificato gl'inte- 
ressi del re. Accuse e tremende accuse lo mettevano in pe- 
ricolo anche della vita. * 

Si ritirò dunque dal Governo: ma quel che tramasse nel 
suo ritiro ci è svelato dalla lettera del Chigi, che, lasciati 
ulteriori commenti, io darò non senza avvertire ch'essa si 
trova nel Registro di lettere di Monsignor Fabio Chigi V. Le- 

gatives royales dansdes bornes si éiroites, que ce Prince n'eùt que le ti tre 
de Roi. » (Histoire univer&lle etc. d'àprès l'anglois , tome XL1II , Am- 
sterdam et Leipzig, 1772 pag. 210: Histoire du royaume de Danne- 
marck). — « A l'avénement de son successeti!* Frédéric IH, le sónat ne mau- 
qua paa de reaouveler se» attorti pour obtenir la confìrmation de ses anciens 
et excessi fo priviléges. Il comrnenca par daférer la régeoce aux quatre gronda 
. olfìciers de la. couronae. Mais parali eux était le raajordome Corfitz Ulfeld, 
gendre de Christian IV, habile et brillant, et qu'on soupeonnait d'aspirer 
méme au tróne.... » A. Geoffroy , Histoire des états scandinaves (Suède , 
Norvège, Danemarck). Paris 1851, pag. 252. 

1 « Il jrtgea, bien des lors que le Roi ne chercherait qu'une occasion pour 
le perdre. »' (Histoire de Dannemarck avant et depuis t* ctablissernerlt de 
la monarchie etc. par De Roches. Paris 1732 t. VII, pag. 228). — « Ule- 
feld, Ambassadeur de Dannemarck auprès les Ètats-Généraux des Provinces- 
tJnies, conclut cette année (1649) les traités d'alliance et de rédemption qu'il 
nègocioit depuìs longtemps. Par ces traités, blàmés également par les Mini - 
stres et les négocians Danois, tous les vaisseux marchands Hòllandois avoient 
le privilègi de passer le Sund sans ètre visités. Les États avoient méme le 
droit d*y envoyer quatre vaisseux de guerre sans en avertir le Roi. II est 
vrai qu'ils étoient obligés de saluer le chàteau de Cronenbourg de deux coups 
de canon et d'àbaisser la voile supérieure du gran màt. » (Histoire univer- 
selle cit.) 



DOCUMENTI. 391 

gaio di Ferrara, vescovo di Nardo, Inquisitore a Molta e Nm- 
tio apostolico al Beno, a diversi, dal 1640 al 1642 (A; II. ,29), 
e che questa è fra le dirette a mons. Panairolo Patriarca di 
Costantinopoli Nunzio di N. S. in Spagna (da carta 184; a 
carte -202^ e si legge a carte 198 e seg. »/ 

TI sig. "Wlefeldt Gran Maestro di Danimarca 'ha Compre ' cortti- 
nttato a tenermi in speranza d'ella propagazione duella fttàe Cattolica 
in quelle parti, et h avendomi alle settimane passate scritto carne 
si era ritirato dal governo alla quiete e che se la : Sr Seda prò ve- 
desse do ! mezzi *perarebbo per altro modo condurre quel nagotio a 
fine, et havendo io risposto di non intendere questo parlare cfte era 
in un proscritto £i. altrui mano., mi ha mancato fin qua,, a, posto 
Othone Sperling suo medico per supplire in voce cpn una lettera 
credentiale. 

Quésto Othofìè è di Hamburg, studiò a "Padova è vi conversò 
come fosse Cattolico: di poi ha presa moglie in Danimarca et ha 
fatta robba per 50 m (mila) d*. Huomo erudito, curittéo/tfàrla Italiano 
et a me si è mostrato dì essere nel' stro ctfolre Cattolico: Questo 
dunque mi ha informato 1 che il ritirarsi déLsig. Gran 'Maestro dal 
governo è venuto perchè il re si pose in braccia totalmente del 
Cancellerò, applicandosi solo al cercar segreti o rimsdjj all!Àlche- 
mia e cose simili, l e discreditandosi sempre più appo i suoi popoli. 
Che essi per certe gabelle si erano anco maggiormente alienati dal 
Re, benché per mezzo del Sig. Gran Maestro quelle fossero state mo- 
derate, quando ricorrendo a lui come per farlo Capo, egli declinò 
e si ingerì presso il Re. ■ *• ■ 

Che il popolo è tutto rivolto al Gran Maestro e contrario al pre- 
sente governo, e la nobiltà, angariando anco essa i suoi sùdditi, 
resta senza il loro appoggio, oltre che non arriva al numero di 300 
famiglie. Che gli Svezzesi aprendo rocchio a ciò,' par che vóglian 
fare del resto in conquistare quel regno, se non fosse la Regina 
vecchia (la quale è sempre affetta a' Danesi appresso i quali si ritirò 
e da quelli ne ritrasse ogni assistenza quando fu cacciata di Svezia) 



1 È rimproverata a Federico la credulità che mostrò verso V alchimista 
italiano Francesco Giuseppe Borro. Gentis Bnrrorum Notitia f Argent. 1660 
4. e( in Eier. Aug. — Groschuffii , Nova lito*Qrwn ; Var forum Pòllect. 
Halae 17Q9 4.° fase. I, 243; IV. 377. — Relatio fidsì s actionum ,ac YUae 
. Jìurrhianqe 1670 8.° — Paralipomma ad Jffistoriam pr.. Jq ? Burrhi.pi 
G. B. Struvii Actis Litter* li. fase, I, 9. — Atiaìecta ad Hist. Fr. JTo. Bur- 
rhi in Schelbomii Amoen; litter. V , 141 , e la, Relatione della vita del 
Éorro ecc. Colonia per il Martello 1681. 12. 



;W2 DOCUMENTI. 

non no divertisse* la pratica. Che il Cancelliere di Danimarca Mi- 
nistro di età di 56 anni, il quale al tempo del altro Re secondava 
il Gran Maestro ancora nell'adniettere i Cattolici per popolar il Re- 
gno e per riaver il loro appoggio, si è bora col presente scoperto 
contrariò ti per esser fervido Luterano, sì anco per tenersela co' pre- 
dicanti, e per dare a dosso al gran Maestro, contro il quale ha fatto 
affigero cartelli , accusandolo per Papista. Che attese tutte queste 
cose, essendo il Gran Maestro in età di 45 anni, di gran presenza, 
di maggior riputatane di prudenza, marito della sorella del Re, che, 
come scrissi, fu dichiarata legittima e saccessibile; se il regno si 
habbia a perdere, egli lo può conquistare in un subbito , essendo 
molto denaroso , et havendo il governo del mare , e solo deve pen- 
sare al mantener visi * : per il che se havesse per sé la Santa Sede 
con un milione e mezzo di denaro, sarebbe il negotio in securo, et 
in un solo anno potrebbe la Santa Sede ricavar da quei Regni quella 
somma, e veder le suo Chiese da per tutto, poiché egli comincia- 
rebbe con questa libertà, e dichiarandosi egli Cattolico e vivendo 
da tale, sperarebbo ben presto vedervi ridotti i popoli, trovandosi 
appresso di essi, e particolarmente presso quelli di Norvegia gran 
quantità, che ritengono nel cuore la Religione antica costantemente, 
benché non la possino coltivare co' Sacramenti *. Che per concertar 
ciò passerebbe in queste parti con la scusa di riparare alla sanità 
attesi certi catarri che gli offendono i denti, et incognito si porta- 
rebbe a 4 piedi di Sua Santità, ma prima di far questo ha voluto con 
tutto il segreto spedirmi questo huomo , il quale arrivato da Cop- 
penhagen in 14 giorni, in altrettanti se ne ritornarà colà, essendo 
spedito da m$ in uno. 

La proposta era audace, ma non priva di qualche pro- 
trile riuscita e rispondente anche ai metodi sin allora se- 
guiti (e forse ancora) dalla corte di Roma per le sue con- 



1 « Les sénateurs étaient maitre» dea principale provinces ou des chft- 
teaux forts. Les pouvoirs du majordomi du royaume formaient uue sorte 
eie vice-royauté qui soutenait l'autorité de la noblesse : ce haut dignimire , 
chef de la maison du roi et de la flotte, disposait des fouds qui arrivaient 
au trésor, de peurque le roi ne s*en servit pour raccoraplissemezit de ses 
dessèins. » (Gèoffroy, Stor. cit. pag. 249). 

* Prima anche che Federigo fosse eletto, TUlfeWt aveva fatto spargere un 
foglio hveui-si affermava il dritto che avrebbe avuto la Norvegia di sepa- 
rarsi dalla» Daqiqmirca, il che fece sin d'allora supporre ch'egli aspirasse a 
u^ode'dne, regni*. Eyriés, Danemark neWUnivers: histoire et description 
de toìte les peiiples. Paris, Didot 1846*. 



DOCUMENTI. 393 

quiste. Il Chigi però sapea bene come le forme corrette do- 
vessero inorpellare talvolta anche le cose che putìano di 
soverchieria e anche d' un po' di scelleraggine. Ad ogni modo 
non si doveano disgustare gli zelanti, sebbene ognuno cono- 
scesse che lo zelo di religione era la maschera di fini molto, 
molto mondani. Si vegga quindi l'arte con cui il diploma- 
tico s'atteggia ad austerità col messo, mentre al Panciroli, 
a cui scrive, insinua la bontà del disegno èia sua possibile 
esecuzione. Così egli prosegue: 

La risposta mia è stata, dopo i compimenti di civiltà per temer 
attaccato il filo della propagatone della Santa, fede, che questa si 
propaga dalla Santa Sede con rimostranze e non con violenza d'ar- 
me; e che eoi denaro ho solamente veduto o essere- assistiti i Cat- 
tolici contro la forza altrui, o redimere essi le vessazioni, e com- 
prare r esercizio della Santa tede: che l'occupare un regaQ ad uno 
eletto legittimamente pareva che contenesse bruttezza tale da non 
potervi io pure applicare non che farne proposi (-ione o persuaderlo, 
massime che la Santa Sede opera con tutta la giustizia nelle sue 
attioni, e sapendo che Iddio assiste alla sua causa, si governa oo 
suoi documenti in comunicare i doni , e non con le politiche inon- 
dane. Con tutto ciò già che prometteva di trovar ripiego (?) a tutte 
queste mie riflessioni, che io lodavo il suo zelo et anco la prudenza 
in non si essere mosso, e che ne haverei scritto con le prime a per- 
sonaggio di gran prudenza e di confidenza appresso <N. Si perche 
se gli paresse, ne parlasse a S. Santità: et in altro caso mi rispon- 
desse il suo sentimento, dal quale poteva poi il Signor Gran Mae- 
stro fare la risolntione di muoversi o di non si muovere per Italia 
questa estate come disegnava. Se il Sig: Graii Maestro hòn havessè 
concetto di uno de' più potenti huomini che siéno tanto colà, quàhto 
in Vienna, in Parigi, in Holanda, ove è stato Ambasciatore; io ha- 
verei creduto che fosse una impatientia sul disprezzo di non gover- 
nare il Ee presente, come governava il defunto, al tempo del quale 
so che, quando hebbe qualche autorità, pensò ricoverarsi in Italia 
o metter casa nello Stato di Santa Chiesa, è che però teneva in 
gioie fino di allora sopra 200 n . scudi, oltre gran quàptità {li oro. e 
di argento in altre piazze: ma parte per la opinione delia sua pru- 
denza, parte per fomentare la sua buona intentione verso, i Catto- 
lici, ho preso tempo senza alcuno impegno, et iL tutto ho voluto ri- 
portare a V. Eminenza per governarmi nel dargli risposta, che gii 
ho promessa verso Pasqua come parerà al Signore e a V. Emi- 
nenza, senza che io gli nomini n<* l*unà, né l'altra, potendolo io 



394 DOCUMENTI. 

fare por qualche concotto che egli ha di me , il quale ha , con tal 
segreto, confidato il di sopra, che né meno l'ha partecipato al Sig. 
Giuseppe Guglielmi, che già alcuni mesi ò qua appresso di me, (e 
che) benché, tanto suo intimo sia stato il mezzano di attaccar meco 
la pratica per la propagarono de' nostri Cattolici in quei Regni. 
Egli ha grande amicizia con gjj Stati di Holanda, e questi gli fanno 
sapere segretamente , che il Rè f>irW (tiratovi dal Cancelliero suo 
nemico) cerca di non staro alle capitolazioni che ristesso Gran Mae- 
stef fia (fatto ypf co a/vanti c*n esji: ha anca altre adbprfnze, > e con 
Tassognamento sopradetto si armarebbe talrn. 6 di soldati, e tra essi 
do' Cattolici, che si confida di potersi mantenere per quanto mi ha 
fatto rappresentare, come meglio dimostrerebbe in voce venendo a 
Roma. Di Aquisgrana a' 18 di febbro 1651. In Cf. 

Si noti che la lettera era stata da prima scritta in cifra 
come conveniva a gelosissima faccenda. 

A fronte di questo importantissimo documento, che mette 
a luce un intrigo non so se ancora ben conosciuto nelle sto- 
rie danesi, mi sembra che vieppiù diventi colpevole il cele- 
bre Gran Maestro. E se noi non sapessimo che, uscito^ poi (Ji 
Danimarca e rifugiatosi in Isvezia, apertamente stimolò gli 
Svedesi à muovere guerra al suo paese; appena, crederem- 
mo ch'egli fosse stato capace di trame sì inique. 1 Non cre- 
do ctìé T inchièsta che si fece dopo la foga dell' TJlfeld ria- 
scisse a scuoprire, fra le sue colpe, anche questa che abbiam 
dimosto&tà: > 

1 (JJ*est au retour de cette missioti que Corfìtz Ulfeld fut renversé par un 
Vòhìplbi àes grands. Pouf échapper à ses ennemis^ il se réfùgia en Sttède , 
<bu e*4 qualitós briUautesMui acquirent une in0uenoe doni il voulut se servir 
pour exciter une guerre contre le Danemark. Le traité qu'il avait conclu en 
1G49 fut bientót annulé (Oeoffroy, Stor. cit. pag. 253). — « Tandis que les 
Còxirs de Suède et' db Dannetimrck s'occupoient de négotiations infructueuses, 
broderie fit> Con noi tre a Oiristioe cambicn te Qrand-maitre Ulefeld étoit in- 
digno de la protection qu'elle lui accordoit dans ses États: ce Prince lui 
dévoila toute la conduite de ce rebelle, et surtout la bassesse qu"il avoit eue 
W rutèni* vmgf-qiftltre mille rìxdahlers destinès par f réderic à soulager le 
Roi "d'Angleterre réfugió en Hol lande daos sa malheureuse eiUiatioB. La Rei- 
.nq de Suède, ne rougjt point de répondre: « Ulefeld est honnéste honame: je 
« le connois très bien: il n)est pàs capa ble de Taire une làchetè. S*il dlt qu'il a 
« payé vingt-quatre mille ; mdalheft au RòT d'Àngleterre, yè le £K>Èè^'et si 
V Je, ftoi 4' 1 AngWerrte dk le contraire, il en a menti; et quanddou-xtì &dìs 
« cpmme^e Rqi d'AngJeterr$, le soutiendroient, je dirois qu'ils en ont tous 
« *Ie ! dòuxe menti. » (De Roches, Stor. cit. pag. 211). — Òli ulteriori casi del 
Gran Maestro possono attingersi dallo stesso storico t. VII, p. 409: t. Vili, 
p. 55, 57 e seg. 



' I I 



NOTA 



DELLE PRINCIPALI FONTI INEDITE 



ADOPERATE IN QUESTA STORIA. 



ANONIMI. ■ ••■'•/.. 



1/ 

Relalione del Conclave dell'anno 1655 dove fu elètto 
. pontefice Alessandro Settimo. (Cibi. Corsiniaria. jÒoit 

1411, pag. 97.) ; ; 

Testamenla et donationes. (Archivio di StatQ-,.Atti Simqrv 

celli a. 1654») ....,,,, , . 

Che non disconviene al papa promuovere a dignità. #&* 

clesiastiche i parenti. (Ms. Bibl. Casanatense. X. V. 25.) 
Conclave tenuto per V elezione di Alessandro VII con 

una lettera del re di Francia per Innocenzo X. (Bibl. 

di Siena. K. IV. 4.) 
Il libro della Depositeria. secreta di papa Innocenzo der 

cimo dall'anno 1646 e 1651, 52, 53. (Archivio di 

Stato.) 
Conclave e successi mila Sede vacante di Urbano YÌU 

colla felice assunzione al pontificato del cardinal Pam- 

filio che si è nominato Innocenzo X. (Ms. tradotto dallo 

Spagnuolo. Bibl. di Siena K.. IV. 5.) v 
Relazione del Conclave in cui fu eletto Innocenzo X. 

(Arch. Segreto Capitolino, Cred. XIV, tomo 95, pag. 

116 e seg.) 



1 



3Ufl NOTA DELLE PRINCIPALI PONTI INEDITE 

Prima visita familiare fatta da Pasquino a Mar/brio 
dopo la felicissima assontione di pp. Innocentio de- 
cimo* — Seconda visita ecc. (Ms. nella Biblioteca Cor- 
siuiana, Cod. 235 di pag. 400.) 
Memoriale ti N. S. Papa Innocentio X contro la casa 

Barberini. (Biblioteca Chigiana. I. III. 87.) 
La mal consigliata fuga del Cai*d. Antonio, (id.) 
Il Chirografo tTInnoc. contro il Card. Antonio, (id.) 
Lettera ai Cardinali lasciata dal Barberino nella sua 
partita da Roma a 10 Gen: 1046 e sua risposta finta. 

od.) 

Sedizione con V uccisione del Governatore Uberto Vi- 
sconti arciprete di Milano. (Catte di San Girolamo della 
Carità, Archivio di Stato, Protocollo 420, an. 1648.) 

Memoriale presentato alla S. di N. S. papa Innocenzo X 
dai deputali della città di Fermo per il tumulto ivi 
seguilo alli 6 di luglio 1648. 

Iielatione dello Stato di Castro scritta al Principe Pre- 
fetto. (Bibl. Chigiana. G. Vili. 244.) 

Avvisi di Roma dal 1629 al 1653. (Desiderantur 1640, 
1644, 1&45, 1650, 1651. Bibl. Casanatense. X. III. 40 
ad 48L)«, 

Avvisi e. s. (Archivio Segreto Capitolino. Cred. XIV. t. 95.) 

Bilancio o vero giusta astadera de porporati dove ancor 
si tratta della loro natura e costumi. (Bibl. Chig. 
N. III. 88.) È opera di Pietro Bruni. V. Bruni. * 

Desiinti avvenimenti delle nozze et dello amore seguilo 

■■■: tra V ecc.™ Sig. D. Camillo Pam/ilio et D. Olimpia 
Aldobrandino (Bibl. Chigiana N. III. 69.) 

Relazione dell'accasamento del Sig. Principe Pam fido 
con la principessa di Rosano e delVesiglio delti nuovi 
4 sposi da Roma. (id. id.) 

Vita del Mascambruni. (Arch. Segret Capii Cred. XIV, 
tomo 61.) È una compilazione su quella del Rinalducci 
e maùca del fine. 

Rispetto del processo contro Francesco Canonici alias 



ADOPERATE IN QUESTA STORIA. 397 

Alascambruni. (Casanatense. X. VII. 5.) Non compiuto. 

Scrittura contro Mons. Mascambruno con la quale s'in- 
tende che s'instruisca il processo contro il medesimo 
ecc. (Bibl. Chig. N. Ili, 69.) r. > i -, ...^ 

Diari di Rama per V istoria del secolo XVII. (Archila 
Segr. Capitolino, Cred. XI. t 9.) ! ;• 

Relazione di quel che successe dopo la worle d' Inno* 
cenzo Xy ma senza titolo. (Archivio Segreto Capitolina 
Cred. XIV, tomo 9, pag. 262 e seg.) * ■■■ ; -\ 

Diarium eorum quae a morte Innoc. X tam mira quam 
extra Conclave contigerunt usque ad cleclionem sum- 
mi Ponti ficis Alexandri VII qui anteu Eabms cardi* 
nalis Chisius nuncupabalur. (BibL Casanatense XX, 

III, 22.) ■:■ r. :-';.0 

Conclave fatto per la Sede vacante di papa Urbana aiu- 
tavo nel quale fu assunto al pontificalo* il-Qard^io: 
Battista Pamphilj detto IrinocerUio Decimo* (B\\À. Gor- 
siniana. Cod. 225, pag. 26L) . :*. .«AVA 

De Sacri Romani Imparii pacificatone Weslphaìic.a, 
libri duo. (BibL Corsiniana, -Cod. 290»&91\) <.Nel4omQ 
2° cari 47, si legge: « Nuntii Apostolici protefiftatìo» cen- 
tra Osnabrugensem conventionem. 14 nov. 1Q48. *■; — 
A cart 48: « Nuncii apostolici ^ia protestarlo contila 
Paris Gertoaniae articulos Monasterii snbscriptos.A26 
nov. 1649. » ~ :A cart. 49: « Nuntii . Apostolici prote- 
stationis instrumentum centra quondam pactó Gàllicatiae 
, articulos. 19 ièb. 1649. » — A cart. 52, t . « Innocenti! 
papae Decimi declaratio nullitatis articulorum nuperae 
pacis Gerraaniae religioni Catholicae Sedi ApostaUoae .Ec- 
clesia aliisq. locis piis ac personis ot juribiis eecìesiaV 
sticis quomodolibet praejudicialium. .26 * nov. 1 649* » 

Relatione dello stalo della città di Napoli. Hi tempo della 
peste 1659. (Bibl. Gasanat. X. V. pagv 29-) vò y\s i 

Cose notabili occorse in Roma dall'anno MDLXXIVsin 
all'anno MDCXLVIIII. (Archiv. Capi*. GirecL :»iJU#ifc.9.) 

Scrittura e memorie diverse sopra la feibrita di S*Av 



308 NOTA DELLE PRINCIPALI FONTI INEDITE 

gnese e Piazza Navona, del Palazzo PanfUi e fon- 
tane di detta piazza fatte fare dalla San. Mem. di 
Papa Innocenzo X. (Bibl. Corsia. Cod. 167, 168, 169.) 



Ameyden. — Si vegga sull* Ameyden e sopra i suoi scrìtti 
tatto il capitolo III, parte III della presente storia. 

Anne8B Gennaro. — Manifesto. (Bibl. Casanatense, X, 
IV, 15.) 

Davjera (Duca di) — Lettera del duca di Baviera per 
Barberini. (Bibl. Casanatense XV, 27.) 

Bruni Pietro. — Ricorso di Pasquino ad Apollo contro 
D. Olimpia e la correzione d'Apollo fatta al Papa. 
(Bibliot Casanat. Suppl. lit B. — E sono di lui a stampa : 
La giusta staterà de 9 Porporati (Ginevra 1656). — Il Par- 
latorio delle Monache (Stamperia di Pasquino 1656). — 
Le carte parlanti, Dialogo. (Venezia 1651). 

Colonna Anna. — Lettera della Signora D. Anna Co- 
lonna aUi Sig. Conservatori di Campidoglio e sua ri- 
sposta. {BM. Chigiana I, III, 87.) 

Cecchini Domenico — Vita e successi del cardinal Cec- 
chini fatta da lui medèmo. (Bibl. Chigiana M. I, 10.) 

Contadini Alvise. — *• Relalione dell'ambasciatore veneto 
Alvise Contarmi fatta al Senato dopo il ritorno della 
sua ambasceria appresso Innocenzo X. 

La copia da me consultata è quella della Chigiana col 
titolo: «Relatione fatta da N. Contarino tornato dal- 
l'ambasceria di Roma Tanno 1647.» N. 11 , 88, pag. 440 
e seg. del codice. 

Ve ne . ha un* altra copia nella Casanatense col titolo 
stesso e lo stesso anno 1647. (Cod. X, V, 29, pag. 337 e 
seg.) — e un'altra, nella Corsiniana* (Cod. 488, pag. 643 
e seg.) col titolo: « Relatione fatta da N. Contarmi tor- 
nato dall' Arab. rU di Roma l'anno 164». 

11 vero è (ad onta delle differenti date assegnate nei 



ADOPERATE IN QUESTA STORIA. 399 

Mss.) che la relazione di ser Alvise Contarini fu letta 
nel Senato il 28 luglio 1648. (Busta 21, Relfetz. degli 
Ambasciatori, in Cancelleria Secreta, Archivio dì $tàto 
a Venezia.) — Ora è in corso di stampa , e , forse nel 
pubblicarsi di questo mio volume, sarà già, venuta alla 
luce. 
Chigi Fabio. —^(Biblioteca Chigian^) ., ■ ' -■< ' ■■ «. f •' -«' / 
Voi. A. I. 22. Registra di lettera di Monsignor '^higi 
nuntio apostolico m Colonia è in Mttnstér sófàtèw à 
Monsignor Albizzi Assessore del Santo Offi&io, 'dal 
1639 al 1651. (Sono carte 235). -* Questo, voltiti** <è 
interessantissimo. •' « !■.!■; ì> ,;v',^v;.v. 

a. I. 44* Registro di- lettere di Moks. Ve$& di Nùffld 
Nunlio Apostolico al Reno dal t639 d'agosto tfiriò al 
Iddi marzo del 1644 date ih Colonia e poi sifvìiàto 
il Xbre del detto anno date di Munstèr dìWeàtfaUa. 

a. I. 45. Registro di lettere a divèrsi (tritine»' fran- 
cesi, italiane) dal 24 marzo 1642 ai IO- decembre 1S49 

A. I. 6. « Registro di lettere volgari a diversi doih $2 
dee. 1644 al 26 otL 1649; (Sono tartèf 300,) Vi «ono 
lettere scritte all' Allacci, all' ambaseiàtòofre^ veneto Con- 
tarmi, ai cardinali Francesco e «Antonio:» OBtób^rittìvvia) 
cardinal Cecchini , al Gòndi Segretario dai flSnfriducày ai 
cardinali Mazzarini e Panciroliv-La maggiofr fmrte ipsrO 
è d'offici e complimenti. •- . ' ;\ ^ .'■■• ■•■'■<i , '> ■> wv^h 

a. I. 34. Pars pmmaye^stalaxumw^ 
mus ac Ret>k Doifoinus B. Fabius (Jhmus^Bpisèopus 
Neritonensis ad ùràctt/s Rhmìéc. AplicuùtNuntiteèipo- 
stea:$. R. E. Cardinali^ : nuric Alexander >V'Hn\pdnt. 
opt. max. Colonia^ Monaslerio^ Aquisgraiiù^Romavc. 
per VI annos manti propria dedfà ad PAFmnciscwn 
Vanden Veker. Epistolae datàe Cotonine ab *aftn&4$42, 
15 oclób:*ad annum 1644* eo&ennteMmHio. —4- -Sono 
carte £93 ecc. V'è ii Breve d'Innocantó è 1e preteste 
del Chigi a pag; 261 , 262* 263, f 264. *a Sòdo Intere 
originali. : . - r > v. ■ ì r < o':t>f il. 



400 NOTA DELLE PRINCIPALI FONTI INEDITE. 

a. I. 35. Pars altera. 

A. I. 1. Registro di lettere scritte da Mons. Chigi 
Vescovo di Nardo, Nuncio straordinario di Munster 
per la pace generale. (Sono carte 369.) — Vi sono let- 
tere al Sacro Collegio dopo la morte di Urbano Vili 
dal 29 agosto 1044. — A papa Innocenzo X (e. 10). — 
Al Pancirolo (e. 40), — Al Card. Panfilio nipote di S. S. 
(da e 48 alla fine. L'ultima è del 9 dee. 1644.) 

a. I. 46. Registri di lettere latine di Mons. Chigi 
Vescovo di Nardo — al padre Roberti Giesnita (sic) di 
Liegi — al sig. Pietro Valenburg et al sig. Hadriano suo 
fratello — al signor Jacomo Della Torre Arcivescovo 
d'Efeso coadiutore e 'poi Vicario Apostolico in Olanda 
— al Pre Francesco Vander Vecker giesuita teologo in 
Colonia. 

A. I. 1. Lettere italiane dal 16 dee. 1649 à tutto 
il 31 dee. 1650. 

A. II. 27. Registro di lettere al Card. Sacchetti, Card. 
Pallotta, Card. Durazzo Tesoriere di S. Chiesa, al secre- 
tano della Còngregatione di Prop. Fide, al Card. Cap- 
poni capo della medesima, a Suor Prudentia Pamphilij. 

E cosi V armadio Let. q. contiene almeno venticinque 
volumi sulla pace di Westfalia. 

Il Voi. a. I. 42. contiene materie relative alla detta 
pace col titolo : Alex. VII. Memorie, note e polizze della 
piace di Munster dal 1644 al 1649. 

L'altro volume A. I. 2 è formato di Memorie, note 
e polizze ciroa i trattati della pace di Munster dal 
,1644 al 1649. 
Deone. — V. Ameyden. 

Farnese Ranuccio. — - Lettura di Ranuccio del 6 agosto 
1649 ai Priori, antiani e Consiglio generale di Pia- 
cenza. (Bibl. Chig. G. Vili. 244.) 
Giustiniani Giovanni. — Relalione di Roma del Signor 
Gio. Critistiniani ambasciatore veneto presso la S. di 
N. Sig. Innocentio X. 



ADOPERATE IN QUESTA STORIA. 401 

Con questo titolo è nella Bibl. Casanatense, mentre 
nella Corsiniana (Cod. 219. Col 38. B. I.) si trova ano- 
nima col titolo: Kelatione in forma di lettera sopra il 
pontificato d'Innocenzo X e li cardinali viventi* ,-—. E poi 
ve n'ha un'altra copia col titolo: « Relation^ della Cor- 
te di Roma di Giovanni Giustiniani Ambasciatore Ve- 
neto appresso la Santità di N. S, Papa Innocenzo De- 
cimo. » (Cod. .488, pag. 221 e seg.) Comincia : Dopo si 
lunga pdlegrinatione di anni 17 consumati ecc. 

Il Ranke dice che la relazione di Zuan Giustiniani 
non è da cercarsi nell'Archivio Veneziano, e che nella 
Magliabecchiana ve ne sono due copie difformi. Ma egli 
s'inganna: poi che essa esiste nell'Archivio di Stato a 
Venezia, Busta 21 delle Relazioni ecc. in Cancelleria 

* 

Secreta. E del 1652. Ve ne sono due copie: e comincia: 
Doppo un lungo pellegrinaggio di anni . decisette ecc. 
e finisce: ardente e sviscerato desiderio che ho sem- 
pre mantenuto nel mio petto di degnamente et accu- 
ratamente servire a Vostra Serenità. 

Ivi pure esistono due copie di altra relazione del Giu- 
stiniani letta al Senato il 26 aprile 1652 relativa alle 
quattro legazioni sostenute da lui in Ispagoa, Inghil- 
terra, Germania e Roma, la quale incomincia::^ giu- 
dicato sempre da politici ecc. e finisce; maggior'; bene 
della patria. 
Gualdi o Leti. — La vita di Donna Olimpia scritte da 
Gregorio Leti sotto il nome di Abbate Antonio Gualdi 
è stata più volte ristampata. Ed essa è più o. meno ri- 
petuta con qualche variante o abbreviatura nehdiversi 
manoscritti delle biblioteche. 

Quella che abbiamo avuto sotta gli occhi è : Vita di 
donna Olimpia Maidalchini che governò la chiesa du- 
rante il pontificato d 1 Innocenzo X dopo V anno 1644 
sino all'anno 1655 ì switta dalV abbate Antonio Gualdi 
nuovamente ristampata con un'aggiunta considerabile. 
Ragusa, appresso Giulio Giuli MDCLXVIL 

Ciampi. — Innocenzo X e la sua Corte. 26 



4(12 NOTA DELLE PRINCIPALI FONTI INEDITE 

Citano i bibliografi la stessa con la data di Cosmopoli 
e in Leyda in francese nel 1666 — Amsterdam 1666 — 
un' altra con la falsa data di Ragusa del 1670. — Al- 
tra a Ginevra e a Parigi 1670. Altra col titolo: Vita 
di D. Olimpia Maidalchina Pam/ìli principessa di 
S. Martino cognata d' Innocenzo X sommo pontefice, 
senza data di luogo, ma a Firenze nel 1781. — Una 
traduzione tedesca pubblicata nel 1783. 

Ed è la medesima, salvo forse qualche piccola e pes- 
sima variante La vita della celebre d. Olimpia Mai- 
dalchini in Pamfili cognata d' Innocenzo X, da cai 
ebbe illimitato potere nel governo della S. Sede du- 
rante il di lui pontificalo. — Storia del secolo XVII 
fedelmente copiata dal manoscritto di un contempo- 
raneo esistente nella libreria del Vaticano. Roma 1 849. 
Cattiva stampa di pag. 147. 

Innumerevoli sono i Mss. Nella Corsiniana Cod. 1411, 
pag. 49. (Miscellanea di diverse scritture isteriche po- 
litiche e filologiche). Nella Casanatense, Misceli in fol. 
tomo 58, X, VN, 66. — Arch.Seg. Capitolino Cred. XI V, 
94. — Nella Magliabecchiana (Nazionale) il Bisdosso ove- 
ro Diario di Francesco Bonazzini contiene la vita di D. 
Olimpia compendiata evidentemente da quella del Leti. 
XXV 42, pag. 112 e seg. — E così altre mille. 

Gigli Giacinto. — V. su' suoi Diari, Parte III, Cap. Ili 
di questa storia. 

Mantovano Francesco. — Discorso sopra le cose dei 
Barberini. (Ms. Bibl. Chig. I, III, 87). 

Mazzarino Michele Cardinale. — Lettera da Roma ai 
Serenissimi SignmH della Serenissima repubblica di 
Napoli. (1 novembre 1647. Bibl. Casanatense Ms. X. 
IV, 15.) — Lettera del Card. Mazzarini al bali di 
Valenza. (Bibl. Chig. Ili, 88). 

Pamfili Camillo. — Manifesto dell* eminentissimo sig. 
Cardinale Pamfilio nel quale adduce la causa per la 
quale abbandona la porpora per prender moglie. (Bibl. 
Chigiana, N. Ili, 69.) 



ADOPERATE IN QUESTA STORIA. 403 

Pamfili G. B. — Lettera del 16 luglio 1622 da Napoli. 
(Magliabecchiana (Nazionale) XXIV, 6, 58.) - 

Rinalducci. — Prosperità infelici di Francesco Cano- 
nici detto Mascambruno sotto~datario et auditore di 
papa Innocenzo X composte dall'Abbate Gio. Batta 
Rinalducci da Pesaro. (Ms. Bibl. Casanatense). 

Si trova stampata ne' Miscellanei di varia lettera- 
tura, tomo V. Lucca 1765; con varianti, ma anonima. 

Valencay. — Istruzione delV ambasciadore Francese Va- 
lerne al suo successore. (Bibl. Chigiana. N. Ili, 88, 
pag. 245 e seg.) 

Zucchi Benedetto. — Informazioni e cronica della cit- 
tà di Castro e di tutto lo Stato suo, terra per terra 
e castello per castello, delle qualità di luoghi, costumi, 
persone e ricchezze fatte da me Benedetto Zucchi 
cittadino di Castro et al presente Podestà di Capodi- 
monte & ordine espresso delVlllmo Sig. Cavaglier Ro- 
vanello ho: mem: già consigliere di Slato e di quel 
di Ronciglione, eletto sopr aintendente, inviata poi al- 
l' lllmo Sig. Cav. Cavandino. (Ms. di pag. 83. Archivio 
di Stato). 



L' Archivio della casa Doria-Pamfili, quando fosse or- 
dinato e aperto al pubblico erudito, potrebbe dare qual- 
che curiosa notizia rispetto alla vita privata di donna Olim- 
pia, sebbene non sia sperabile che contenga rivelazioni di 
alti segreti di Stato! Ma esso si trova presentemente in 
via di formazione e incapace di dar agio a qualunque sorta 
di ricerche e di studi. Speriamo che presto sieno ordinate 
le numerose carte fatte venire in Roma dal defunto prin- 
cipe Filippo Doria da Genova, da Napoli e da San Mar- 
tino, e soprattutto, coir agevolare ai dotti le ricerche sto- 
riche . sia dato esempio della cortesia e della liberalità 



404 NOTA DELLE PRINCIPALI FONTI INEDITE. 

che più convengono ai tempi nostri. — Intanto rendo qui 
grazie al sig. dott. Eligio Arbasino, ora insegnante a Vo- 
ghera, che già studente nell'Università di Roma, mi aiutò 
alla ricerca e alla copia di alcuni documenti inseriti nel- 
T appendice. 



Fine. 



INDICE. 



Avvertenza Pag. v 

PARTE PRIMA. 

IL GOVERNO D' INNOCENZO X. 

Capitolo I. 

Morte d'Urbano Vili. — Umori del conclave. —La famiglia Pamphyli , 
Pamphilj o Pamfili. — Donna Olimpia Maidalchini nei Pamfili. — Ele- 
zione d'Innocenzo X 1 

Capitolo lì. 

Incoronazione e Possesso. — Iscrizioni veneziane. — Persecuzioni e vi- 
cende dei Barberini. — Rivoluzione di Napoli. — Politica d'Innocen- 
zo. — Il duca di Guisa. . .* . . 24 

Capitolo III. 

Pace di Westfalia. — Fabio Chigi. — Guerra di Castro. — Distruzione 
della città di Castro. — Anno santo 53 

Capitolo IV. 

« 

Il cardinal di Retz. — I Barberini. — Soppressione dei piccoli conventi. — 
Condanna delle proposizioni del Giansenio. — Il papato meno aggressi- 
vo e ragioni di ciò. — Innocenzo restringe le ambizioni pontificie. . 78 

Capitolo V. 

Governo dello Stato Ecclesiastico. — Finanze. — La Magistratura del Cam- 
pidoglio. — Senatori. — Giustizia • 97 



400 INDICE. 

PAKTE SECONDA. 

VITA DI PALAZZO 

Capitolo I. 

Famiglia d'Innocenzo. — Il Segretario ili Stato. — Il cardinale Panci- 
roli. — Don Cannilo Pamfili. — È fatto cardinal nipote. — Si spoglia del- 
la porpora. — Sposa la principessa di Rossano Pag. 115 

# 

Capitolo II. 

Donna Olimpia e il cardinal Maidalchini. — Gare fra donna Olimpia e la 
}>rincii>es£a di Rossano. — I^e monache di Tor de" Specchi. — Satire. — 
Disgrazia di donna Olimpia 133 

Capitolo HI. 

Il cardinale Astalli fatto Cardinal padrone. — Morte del Pancfroli. — 
Fabio Chigi segretario di Stato. — Il Mascambruni. — Camillo Pani- 
fili presenta la chinea di Napoli al papa 149 

Capitolo IV. 

Donna Olimpia trionfante. — I Barberini. — Rovina dell* Astalli. — Ma- 
lattia e morte d'Innocenzo 166 

Capitolo V. 

Sorti del cadavere d' Innocenzo. — Sua sepoltura. — Nuovo conclave. — 
Alessandro VII. — Maria Cristina. — Olimpia cacciata da Roma. — 
Suoi testamenti. — Sua morte . 176 

Capitolo VI. 

I,e Ville romane. — Villa Pamfili. — Ritratto di Olimpia e d'Innocen- 
zo X. — Giardino di donna Olimpia in Trastevere. — La chiocciola del 
Hernini. — Terra di S. Martino 195 

PARTE TERZA. 

CULTURA. 

Capitolo I. 

Fasto* delle grandi famiglie. — Fierezza del popolo. — Spettacoli. — Fe- 
ste. — Liti di precedenza. — Costumi 209 



k 



INDICE. 4U7 

Capitolo IL 

Biblioteca Vaticana. — Inquisizione sospettosa della scienza. — Scienze fì- 
siche e naturali. — Studi ed eloquenza sacra. — Filologia. — Mondo 
orientale. — Storia Pag. 226 

Capitolo III. 
Censura. — Avvisi di Roma. — Diaristi. — Storia artistica. .... 251 

Capitolo IV. 
Antiquari. — Belle lettere. — Scrittori di opere teatrali 268 

Capitolo V. 

Belle arti. — I barocchi. — I paesisti. — Convegno d'artisti di tutte lo 
nazioni. — Usanze artistiche. — Artisti di passaggio o morti in Ro- 
ma. — Artisti lontani dalla corte 279 

Capitolo VI. 

Artisti in grazia della corte. — Fabbriche d'Innocenzo. — Piazza Navoni» : 
palazzo Pamfili: fontane. — S. Giovanni luterano. — S. Pietro — Mu- 
ra. — Ravenna. — Campidoglio. — Carceri Nuove . 294 

CONCLUSIONE. 

Relazione fra donna Olimpia e Innocenzo. — Giudizi di autorevoli scrittori 
sul loro carattere. — Giusi a misura delle lodi e dei biasimi dovuti ad 
ambedue 315 

DOCUMENTI. 
I. 

Chirografo d'Innocenzo X del 26 settembre 1(344 con cui dichiara che le 
concessioni a d. Olimpia di Officii e Luoghi di Monte si debbano inten- 
dere con l'obbligo di venderli e rinvestirli ec. a favore dei discendenti 
di d. Olimpia e di Pamfilio. — Inserito nel testamento di d. Olimpia 
{Atti Jacobus Spioncelli : Testamento, et donationes ab anno 1 653 
usque ad annum 1658. Archivio di Stato a Roma) 337 

IL 

Chirografo d'Innocenzo del 20 di giugno 1650 con cui dichiara che tutto 
ciò che Olimpia ha acquistato o acquisterà sia per la discendenza ecc. 
(Inserito nel testam. di d. Olimpia e. s. Atti Spioncelli.) 340 



408 IMUCK. 

HI. 

Richiamando una donazione fatta con creazione di primogenitura a favo- 
re de* suoi discendenti nel 1 aprile 1651, Innocenzo fa donazione a d. 
Olimpia anche dei beni donati da lui e anche acquistati del proprio da 
D. Camillo durante il suo pontificato, con facoltà a d. Olimpia di sosti- 
tuzione. 20 luglio 1644. (Atti Simoncelli cit. pag. 423). . . . Pag. 344 

IV. 

Chirografo d'Innocenzo X del 15 giugno 1653 con cui fa dono a Olimpia 
della Chiocciola del Bernini già esistente nella fontana di Piazza Navona 
incontro alla Chiesa degli Spagnuoli ecc. — Il 29 luglio 1653 il d. Chi- 
rografo è riportato negli Atti Simoncelli. (Atti Simoncelli cit. f. 14 
riportato nel 29 luglio 1653) 348 

V. 

Testamento di d. Olimpia del 28 gennaro 1654. (Atti Simoncelli cit. fo- 
glio 574) 350 

VI. 

Olimpia non volendo morire con r ^istituzione dell'erede fatta nel testa- 
mento del 28 Gennaro 1654 (A. Simoncelli Not. dell' A. C), fa nel\22 
luglio 1654 un altro testamento nuncupativo con cui lega a Innocenzo la 
villa di S. Martino, e in tutti i beni a sé appartenenti lo nomina erede 
non come pontefice, ma come persona privata, lasciandogli facoltà di 
sostituire chi vuole, confermando i legati fatti nel testamento precedente 
e pregando S. S. a voler far sì che dei beni posseduti da lei nella città 
e territorio di Viterbo prima che S. S. fosse assunto al pontificato, sia 
- erede D. Camillo suo figlio. Il quale decaderà da ogni dritto se permet- 
terà che il card. Astalli assuma il nome di casa Pamfili etc. (Inserito 
nel testamento di donua Olimpia. Atti Simoncelli cit.) 365 

VII. 

Olimpia con atto xnter vivos del 22 luglio 1655 dichiara Camillo Para- 
tili, donatario d'Innocenzo X, suo universale successore, riservando a sé 
T usufrutto sua vita naturale durante, obbligando V erede a sodisfare i 
legati fatti da lei nel testamento in Atti Simoncelli. Sottoscrivono Olim- 
pia e Camillo. — (Quest'atto è inserito nel testamento del 28 gennaio 
1654. Atti Simoncelli cit. pag. 576.) ... * 369 

VIII. 

Innocenzo X toglie al cardinale Camillo Astalli il nome dei Pamfili e re- 
voca tutte le disposizioni a suo favore. (Casanatense X, 1 20 nume- 
ro 23.) . 376 



INDICE. 409 

IX. 

Il principe Nicoola Ludovisi è privato da Innocenzo X del grado di Ca- 
pitano generale della flotta ecc. (Càsanatensk XX, 120, nura. 22). Pag. 379 

r. 

Alcune lettere di Mons. Fabio Chigi. (Dai Mss. della Biblioteca Chi- 
giana.) 381 

XI. 

Altre lettere di Fabio Chigi relative alla pace di West fai ia e alle propo- 
ste, del Gran Maestro Ulfeldt di Danimarca per un rivolgimento contro 
il re Federico III in favore anche della religione cattolica, fatte al pon- 
tefice. (Estratto da una memoria dell'Autore, intitolata: L'epistolario 
inedito di Fabio Chigi poi papa Alessandro VII, letta e inserita ne- 
gli Atti dell* Accademia dei Lincei. Classe di scienze morali ecc Voi. I. 
Serie 3) 383 

Nota delle principali ponti inedite adoperate in qi.esta storia. 3P5 



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per non «aiutarla. 

rri-.ito»! a Koinu. 

Relazione di Fulvio S»tv.itizh- 

nel 1«7."». 

inferito. 



VARIANTI. 



TKSTU. 



VARIANTE. 



1 ai: 4 Ini. 3.1 «i vegga la prefazioni- e la 
terza parte ili questa isteria. 

J.Ys . !•:: della Mia autorità «lorica lio 
•letto quanto ba«t* nella pre- 
lazione di i|iif«to ■•eritt». 

'.'Mi l'i la trlori.1. 



■<i \et;i;a la terza parte di ijuestii »t«n.i. 

•Iella «na autorità Monca ho detto .• il;r>i pi., 
volte nel corno di «jue-tc- «■ ritto. 

la lama.