Skip to main content

Full text of "I nobili e il clero di Sevenico nes 1449 per la fabbrica della cattedrale"

See other formats


Digitized  by  the  Internet  Archive 

in  2011  with  funding  from 

University  of  Toronto 


http://www.archive.org/details/inobilieilclerodOOmiag 


I  NOBILI  E  IL  CLERO  DI  SEBENICO 


NEL  1449 


PER    LA    FABBRICA    DELLA   CATTEDRALE 


DOCUMENTI 

EDITI  E  ANNOTATI 
DA 

VINCENZO    MIAGOSTOVIGH 


SEBENICO 

Consorzio  Tipografico  Ugo  Fosco  &  Ci 

1910. 


n 


A  MONSIGNORE 

ILLUSTRISSIMO  E  REVERENDISSIMO 

GIAMBATTISTA  SISGOREO 

DECANO  DEL  CAPITOLO 

DELLA    BASILICA    CATTEDRALE 

DI  SEBENICO 

CAMERIERE  SEGRETO   DI   S.  S.   PIO   X 

IL  GIORNO  XVIII  NOVEMBRE  MCMX 
GIUBILARE   DEL   SUO   SACERDOZIO 


À  te,  concittadino  ed  amico,  i  documenti  qui  raccolti,  nuovi 
adesso,  sconosciuti  agli  storici  nostri,  Importanti  alla  cronaca  del- 
r  edificazione  del  Duomo,  che,  maraviglia  de W  arte,  è  a  noi  monu- 
mento splendidissimo  della  civiltà  degli  avi  e  della  loro  pietà. 

In  questo  Duomo,  chiesa  del  tuo  battesimo,  tu  celebri  oggi, 
dopo  clnquanf  anni  di  sacerdozio  benemerito,  la  Messa  novella. 
Alla  solennità  non  potevo  rimanermi  estraneo,  e  pensai  sarebbe 
riuscito  non  Inopportuno  II  mio  omaggio  affidato  a  tale  patrio 
cimelio.  TI  piaccia  gradirlo. 

Il  fatto,  che  vi  si  desume,  è  una  gara  di  generosità  tra  II  ceto 
patrizio  e  l'ecclesiastico  a  proseguire,  Interrotta  allora  per  defi- 
cienza de'  mezzi  pecuniari,  la  grande  opera  della  Cattedrale  ;  gara 
non  scevra  affatto  di  umana  passione,  ma  che  gli  emuli  da  pari  loro 
Impegnarono,  seguirono  e  chiusero,  destri  ed  aperti,  risoluti  e  digni- 
tosi, probi  sopratutto  ed  altamente  Inspirati,  come  scorgesl  da  queste 
carte,  atti  pubblici,  che  riferisco  nella  loro  Intlerezza,  senza  com- 
menti, e  qua  e  là  soltanto  con  taluna  nota  dichiarativa.  VI  spiccano 
due  tuoi  Illustri  antenati  :  Radicchio,  oblatore  In  capo  de'  nobili  e 
da  ben  cinque  anni  Innanzi,  con  la  tacita  eloquenza  dell'  offerta  sua 
e  dell'  esemplo  ;  Giorgio,  Il  vescovo,  con  l' eloquenza  altresì  della  pa- 
rola. L  episodio  cittadino  si  collega  a'  fasti  gloriosi  del  tuo  casato. 

Della  magnanima  gara  sopravviveva  ne'  giorni  della  mia 
fanciullezza  una  tradizione,  della  quale  è  oramai  scomparsa  ogni 
traccia.  Narravano  come,  per  essersi  consumati  tutti  l  danari  es- 
sendo forza  sospendere  la  fabbrica  vagheggiata,  vi  provvedessero 
l  nobili  della  città  col  raccogliere  tra  loro  una  somma,  a  che  di 
rimando  II  clero  volle  contribuire  col  doppio.  Era  cosi,  quanto  a* 
nobili  ;  era  cosi  In  una  delle  proposte  del  clero  :  testimonio  questi 
documenti.  La  voce  della  tradizione  lo  la  ricevetti  dalle  labbra  del 
padre  mio,  che  primo  e  sopra  ogni  altro  m'  Inspirò  /'  amore  delle 
patrie  memorie. 


Al  vescovo  Giorgio^  il  più  benemerito  tra  gli  ecclesiastici  nella 
costruzione  del  Duomo  quando  la  dirigeva  l'  Orsini,  e  di  cui,  di- 
stesa sul  sepolcro,  vedesi  l'  effigie  nella  cappella  fatta  erigere  da 
Radicchio,  il  padre  tuo  pose  una  lapide  col  nome,  che  ci  mancava, 
in  veneratione  tanti  majoris,  come  dice  la  scritta.  La  notizia  da 
questi  documenti  recata  della  parte  eh'  ebbero  nel  memorabile  fatto 
cittadino  que'  tuoi  due  primi,  ti  farà  ancora  più  cari  i  domestici 
e  civili  sensi  paterni  da  quella  pietra  spiranti,  certo  non  meno  di 
quanto  sia  caro  a  me,  che  di  una  tradizione  patria,  confermata  ora 
dalla  storia,  custode  amoroso  e  trasmettitore  unico  fosse  mio  padre. 
Antichi  amici  sinceri  gli  ottimi  nostri  genitori,  nel  ricordo  dell' ami- 
cizia loro  ci  giova  riconfortare  la  nostra.  Ed  ecco  un  altro  motivo 
perchè  òggi  intitolo  a  te  queste  pagine. 

Memoria  di  famiglia  e  pegno  d'  amicizia,  cosi  mi  fosse  dato 
anche  di  poter  offerirtele  speranza  di  bene  alla  città  nostra  diletta, 
se  pur  un'  idea,  se  pur  un  palpito  tuttavia  v'  avanzi  della  Sebenico 
d  un  tempo.  Valga  frattanto  che  le  sono  d'  onore.  E  dove  per  av^ 
ventura  qualcuno  un  giorno  le  legga,  sappia  egli  almeno,  che,  con- 
turbata spesse  volte  ed  in  lotte  intestine  la  patria,  mai  non  lo  fu 
per  distruggere,  fu  sempre  per  rassettare  il  presente  continuando 
li  passato,  imperocché  una  patria  vi  era  e  la  si  sentiva  ed  amava, 
e  che  questa  volta,  intendo  dire  nel  fatto  qui  documentato  de'  su- 
premi ordini  sociali  riv aleggianti,  fu  in  essi,  non  cupida,  insidiosa, 
desolatrice  partigianeria,  sì  emulazione  sapiente,  degna  di  ripren- 
dere e  perfezionare,  loro  unica  mira,  /'  edificazione  di  un  monu- 
mento cittadino,  tempio  di  Dio. 

Nella  tua  Messa  novella  prega  anche  per  me. 

Il  dev."io  tuo 
Vincenzo  Miagostovich. 


-»5-x  i    :<» 


I 


„ ...  la  povera  cittadetta  di  Sebenico 
può  nel  suo  tempio  mostrare  raccolte 
le  più  belle  memorie   della  sua  vita". 
N.  Tommaseo. 


1  cinque  documenti  che  seguono,  li  traggo  da  un  codice 
cartaceo,  in  quaderno  di  pagine  81  scritte  e  numerate,  di  carat- 
tere piuttosto  fitto  del  secolo  decimosesto  e  di  poc'  oltre,  di  più 
mani  e  contenente  apografi  di  atti  pubblici  di  Sebenico,  altri  editi 
ed  altri  no.  A  quanto  pare  dal  nome  che  si  legge  sulla  faccia 
posteriore  della  coperta,  pergamena  di  antico  evangelistario,  il 
quaderno  doveva  essere  di  casa  Difnico,  ed  è  segnato  in  testa 
col  N.^  356.  Venuto  già  air  avvocato  Antonio  Fontana,  che  pro- 
babilmente lo  destinava  al  Gabinetto  di  lettura  da  lui  ideato  ed 
instituito  per  la  Società  del  Casino,  ora  è  presso  di  me,  dona- 
tomi dal  nipote  di  lui,  il  cav.  dott.  Giambattista  Fontana  di 
Valsalina. 

Rinvengonsi  questi  documenti  alle  pagine  da  41  a  47,  e 
delle  cose  che  riferiscono  sono  gli  unici  rimasti  oggidì.  Ne  di 
quelle  ci  era  notizia  altrove  o  cenno  comunque.  Ricercai  nell'Illy- 
ricum  sacrum  del  Farlati,  negli  studi  di  mons.  Fosco  sul  Duomo, 
negli  scritti  inediti  di  storia  patria  del  dott.  Galvani  e  tra  gli  atti 
del  vescovo  Sisgoreo  nell'archivio  della  curia  vescovile.  Indarno. 
E  molto  proficui  mi  sarebbero  stati  originali  od  altri  autorevoli 
esemplari  di  tali  documenti,  per  riscontrarli  con  questi  che  ho 
sott'  occhio,  dove  non  è  rado  rintoppare  lacune,  difficoltà  di 
scrittura  o  di  senso,  interpunzioni  fallaci.  Segno  con  puntolini  le 
lacune,  e  per  il  resto  procuro  aiutarmi  del  mio  meglio,  lasciando, 
ben  s'  intende,  intatto  gelosamente  il  testo  anche  nelle  sue  irre- 
golarità ortografiche,  grammaticali  e  simili. 

Uno  de'  documenti  ed  assai  a  proposito  per  l'uopo  mio 
di  certificare  con  prove  storiche  indubitabili  la  gara  tra  i  nobili 
ed  il  clero  nel  soccorrere  la  fabbrica  del  Duomo  perchè  interrotta 
la  si  proseguisse,  il  documento  cioè,  che  si  porge  l'  elenco  degli 
oblatori  de'  nobili  a  capo  Radicchio  Sisgoreo,  io  lo  pubblicai  nel 
Nuovo  Cronista  dì  Sebenico  ^).  Per  non  ripetere  e  perchè  esso 
cade  un  quinquennio  avanti  il  tempo  a  cui  spettano  i  documenti 
del  fatto  editi  ora,  rimando  il  lettore  à  quella  pubblicazione.  E 
del  pari  ometto  di  trascriverne  un  altro  del  fatto  medesimo,  seb- 
bene de'  2  marzo  1449,  proprio  il  giorno  da  cui  data  il  primo 
di  questi   documenti,    che  non  vanno  oltre  il    termine  di  quattro 


^)  An.o  11.  1894,  pag.  73.  Trieste,  tip.  Giovanni  Balestra. 


mesi  e  poco  più  ;  imperocché  gli  è  noto  agli  storici  nostri,  lo  ha 
lo  Statuto  civico  al  capo  247  nel  Libro  delle  Riformazioni  ed  è 
il  decreto  del  Consiglio,  che  ordinava  doversi  erogare  alla  fab- 
brica del  Duomo  una  parte  de'  beni  di  chi  morisse  intestato. 

A  chiarezza  e  per  invogliare  alla  lettura  de'  documenti  pre- 
senti, non  ne  sarà  inutile  un  breve  riassunto.  Ma  innanzi  tratto 
conviene  rammentare  quanto  del  tempio  era  stato  costruito  insino 
allora  ed  in  quali  condizioni  della  città. 

Deliberato  dal  Consiglio  de'  nobili  li  7  aprile  1402  di  edi- 
ficare la  nuova  cattedrale  aggrandendo  l' antica  troppo  angusta 
e  indecorosa,  ed  assegnata  la  dote  per  la  fabbrica,  trascorsero 
ben  ventotto  anni  prima  che  la  s'incominciasse;  ragione  precipua 
dell'  indugio,  non  tanto  i  rivolgimenti  politici  in  questo  mezzo 
seguiti,  che  Sebenico  nel  1412  con  volontaria  dedizione  era  tor- 
nata alla  Repubblica  Veneta,  quanto  piuttosto  gì'  interni  dissidi 
de'  cittadini  per  la  scelta  del  luogo.  Alle  cose  belle  non  mancano 
mai  gì' invidi  e  i  contradittori.  Un  partito  v'era,  comecché  de' meno, 
che  voleva  il  Duomo  a  Santa  Trinità,  ed  a'  23  aprile  1428  una 
sentenza  del  rettore  gli  dava  ragione.  Arbitraria  sentenza  per  lo 
meno,  il  Consiglio  de'  nobili  addì  4  giugno  1430  1'  annulla  e 
delega  il  vescovo  Bogdano  Pulsich,  il  conte  Moisé  Grimani  con 
la  sua  curia  ed  una  commissione  a  ciò  di  dieci  patrizi,  perchè 
un'  altra  volta  stabiliscano  del  luogo  dove  la  cattedrale  avesse 
da  sorgere  e  del  modo  d'  edificarla.  Sorgerà  dov'  era  1'  antica  : 
quod  Ecclesia  Cathedralis  Comunis  Sibenicensis  f andari  et  aedi/icari 
debeat  in  Plathea  Comunis  iuxta  Episcopatum  in  loco  ubi  ad  prae- 
sens  est  Ecclesia  Cathedralis. 

Ne  incominciò  la  fabbrica  addì  9  agosto  del  1431  maestra 
Antonio  di  Pierpaolo,  lapicida  di  Venezia,  molto  ragionevolmente 
creduto  de'  Massegna,  famiglia  d'  artisti  ^).  Concepitala  nello  stile 
archiacuto  appreso  alla  scuola  del  padre  e  dominante  ancora  in 
Venezia,  la  condusse  egli  in  quello  stile,  movendo  dalla  facciata' 
principale  verso  il  fianco  della  Piazza  de'  Signori,  in  un'  area  dì 
non  due  terzi  del  vaso  presente,  cioè  insino  là  dov'  é  adesso  la 
gradinata  semicircolare  per  salire  al  presbitero,  e,  ne'  dieci  anni 
che  la  diresse,  ne  stavano  le  ardue  fondamenta,  erano  in  piedi 
le  colonne  da  sostentar  le  navate,  era  murato  quel  fianco  setten- 
trionale e  qualcosa  della  ornamentazione  apparecchiavasi  o  com- 
pariva sulla  porta  minore.  Il  giorno  23  aprile  1441  si  sospese  la 
fabbrica  :  molti  errori  e  mancanze  erano  stati  commessi  e  molte 
somme  eransi  spese,  quasi  sprecate,  come  dicevasi  allora-).  Fu  licen- 


1)  11  dott.  F.  A.  Galvani  ed  il  prof.  G.  Graus  ne  diedero  primi,  quegli 
il  nome,  questi  la  congettura  del  cognome. 

-')  Ma  esagerando.  E  m'  è  caro  assai  di  poter  qui  allegare  1'  assennata 
riflessione  del  prof.  Graus.  „Ció  che  i  committenti  di  Sebenico  avevano 
trovato  di  riprovevole  nel  lavoro  di  Antonio  delle  Massegne,    non  era  per 


9 


ziato  il  maestro,  e  tre  mesi  dopo,  venne  da  Venezia  Giorgio  di  Mat- 
teo Dalmatico  di  Zara,  degli  Orsini  di  Monte  Rotondo  ^).  La  storia 
dell'arte  lo  appella  Giorgio  di  Sebenico  :  del  Duomo,  la  più  in- 
signe opera  sua,  egli  doveva  essere  il  creatore.  Idea  sua  eh'  ella 
fosse  0  de' committenti  quella  di  prolungare  1' edifizio  meglio  che 
d'  una  terza  parte,  certo  si  è  che,  quali  riuscirono  nel  prolunga- 
mento, sono  opera  tutta  sua  la  crociera  col  presbitero  nel  centro 
e  le  tre  absidi  ;  sono  la  prediletta  opera  sua  ;  la  parte  da  lui 
scelta  per  lasciarci  scritto  il  suo  nome,  come  lo  lasciò,  e  fu 
quivi  r  unico  luogo,  mirabilmente  conciliando  verità  e  modestia 
e  cognominandosi  soltanto  dal  padre  e  dalla  nazione.  Hoc  opus 
cuvarum  fecit  magisier  Georgius  Mathei  Dalmaticns,  leggesi  sul 
primo  pilone  ad  oriente  lunghesso  la  cornicetta  su  cui  posano 
que'  due  angioli  reggenti  la  pergamena,  che  rammenta  il  vescovo 
e  il  rettore  nel  1443,  dominante  il  Veneto  Senato  e  proteggente 
la  città  Michele,  armigero  e  portiere  del  Re  de'  cieli  ^).  Né  sol- 
tanto neir  ambiente  nuovo,  riservato  a  lui  solo,  apparve  il  suo 
genio,  sì  e  più  ancora  nel  ripigliar  che  fece  l' imperfetta  opera 
del  Massegna  :  imperocché,  classico  prima  de'  Lombardi  di  Ve- 
nezia, egli,  senza  punto  distruggere,  genio  rinnovatore  davvero, 
richiamò,  disposò  al  proprio  1'  altrui  stile  diverso,  un'  armonia 
componendo  semplice  e  varia,  vigorosa  e  soave,  che  rapisce  i 
visitatori,  ammiranti  in  preludio  di  rinascimento  classico  un  sin- 
golare, incomparabile  rinascimento. 

Nel  periodo  Orsiniano  cade  il  fatto  a  cui  si  riferiscono  i 
documenti  che  m'  importa  chiarire.  E  non  di  meno  siami  lecito 
risalire  ancora  un  istante  al  periodo  dei  Massegna,  perché  alle 
notizie  storiche  fin  qui  accennate   e  che  attinsi   agli  autorevoli  e 


fermo  lo  stile  —  che  la  distinta  sua  maniera  gotica  non  avea  avuto  fino 
allora  competitori  né  a  Venezia,  né  nei  paesi  da  essa  dipendenti  —  ma 
piuttosto  taluni  difetti  tecnici.  Può  anche  darsi  per  avventura  che  all'  orgo- 
glio edilizio  di  quei  signori  fossero  sembrate  troppo  esigue  le  dimensioni 
dell'ampiezza  e  dell'altezza". 

^)  Ne  scoperse  il  casato  il  dott.  F.  A.  Galvani  e  mons.  A.  G.  Fosco 
fu  il  primo  a  tracciarne  la  vita,  la  quale  si  chiuse  a  Sebenico,  e,  com'  egli 
raccolse  da  un  atto  notarile,  nel  novemure  del  1475.  L'  annotazione,  da  me 
non  ha  guari  incontrata  in  un  fascicolo  di  Valverde  (Vacchetta  N.o  7,  carte  132), 
della  Messa  anniversaria,  che  per  1'  anima  di  lui  faceva  celebrare  in  quella 
chiesa  suo  figlio  Paolo,  stabilisce  anche  il  giorno  :  Giorgio  Orsini  morì  li 
10  novembre  1475. 

^)  È  storicamente  e  letterariamente  inesatto  1'  opus  cuvarum  interpre- 
tare e  tradurre,  come  altri  fece,  lavoro  delle  cupole.  Nel  nostro  Duomo  la 
cupola  è  una  sola,  e  la  chiuse  Niccolo  Fiorentino.  Qui  devonsi  intendere  le 
tre  absidi  e  nuli'  altro.  A  proposito  di  questa  iscrizione  ci  nota  il  prof.  G. 
Graus,  che  nel  latino  medievale  cuva  valeva  anche  abside  di  chiesa  e  che 
egli  medesimo  in  memorie  edilizie  di  Gemona  ne  trovò  conferma  di  scritto. 

8 


IO 


pregiati  scritti  di  mons.  Fosco  e  del  prof.  Graus  ^),  voglionsi 
aggiungere  due  altre,  che  mancano  in  quelli,  meglio  distinguono 
le  opere  dell'  Orsini  ed  empiono  un  vuoto  nella  storia  edilizia 
del  nostro  Duomo. 

È  un  preconcetto  che  l'Orsini  fosse  autore  di  dieci  cappelle. 
Ne  doveva  essere  di  nove.  Basti  leggere  il  contratto  co'  nobili, 
dove  specificatamente  le  si  annoverano  e  dove  pure  è  nominata 
preesistente  quella  costruitavisi  la  prima  per  commissione  degli 
eredi  di  Dessa  di  Giacomo.  Né  quelle  nove  le  potè  tutte  ese- 
guire. Non  è  da  molto,  che  della  cappella  preesistente  si  co- 
nosce oggi  anche  1'  autore.  Abbiamo  il  contratto  addi  3  no- 
vembre 1435  da  lui  stipulato  per  costruirla.  Egli  è  Lorenzo  Pin- 
cino,  artista  di  vaglia,  dimorato  in  Sebenico  quattordici  anni  per 
lo  meno,  a  quanto  si  computa,  ed  operante  in  Duomo  sotto  il 
Massegna  e  sotto  T  Orsini  -). 

Di  simil  modo,  cosa  certa  fu  detto  essere  dell'  Orsini  gli 
ornati  della  Porta  de'  Leoni,  e  ciò  perchè  da'  tre  stemmi  sovra- 
stanti la  si  doveva  desumere  compiuta  nel  1454.  Compiuta,  non 
v'  ha  dubbio,  allora  ;  però,  ben  prima,  taluno  degli  ornati  già  in 
pronto  ed  a  luogo.  E  così  parve  anche  al  ch.^o  T.  G,  Jackson, 
argomentando  dallo  stile  ^).  Ma  v'  abbiamo  prova  visibile  più 
sicura,  di  fresco  trovata.  Nel  mezzo  dell'architrave,  un  angioletto 
con  r  ali  spiegate  e  con  le  braccia  aperte  regge  uno  scudo,  che 
nel  campo  ha  una  fascia;  e  sotto  la  graziosa  figurina,  tra  i  fregi 
della  cornice,  in  caratteri  gotici,  da  un  lato  J.  A.  dall'  altro  G.  A. 
È  l'arme  di  Jacopo  Gabriel  il  maggior,  rettore  di  Sebenico  dal 
1432  al  1434  :    le  lettere  ce  ne  danno  il  nome  e  il  cognome,  in 


1)  Antonio  Gius.  Fosco.  La  cattedrale  di  Sebenico  e  il  suo  architetto 
Giorgio  Dalmatico.  Zara  tip.  Demarchi-Rougier  1873  e  //  edizione  (Giorgio 
Orsini  detto  Dalmatico)  accresciuta  ed  illustrata.  Sebenico,  tip.  Curia  Vesco- 
vile 1893.  —  Documenti  inediti  per  la  storia  della  fabbrica,  ecc.  Sebenico. 
Curia  Vesc.  1891. 

Giovanni  Graus.  //  Duomo  di  Sebenico,  studio.  Versione  dal  tedesco 
del  prof.  Francesco  Rastrello  nel  Nuovo  Cronista  di  Sebenico.  An.o  V-VI. 
Trieste,  Balestra  1897-98. 

2)  Rinvenni  il  contratto  in  un  codice  (N.o  349,  pag.  302)  dell'  archivio 
di  casa  Difnico  e  lo  feci  pubblico,  con  qualche  annotazione  dichiarativa,  nel 
periodico  Rivista  Dalmatica.  An.o  iv,  fasc.o  I,  pag.  11.  Zara,  tip.  Artale  1907. 

3)  .,Abbenchè  questa  porta  riconoscasi  dallo  stile  essere  parte  de'  la- 
vori di  Antonio  (Massegna),  pure  da'  tre  stemmi  appostivi  sopra  ed  espri- 
menti la  data  del  1454  apprendesi,  che  la  parete  eseguita  giusta  i  disegni  di 
lui,  non  è  opera  sua,  dappoiché  a  quel  tempo  egli  non  era  più  1'  architetto". 
Cosi  il  Jackson  nella  sua  Dalmatia  the  Quarnero  and  Istria,  ecc.  Voi.  III. 
Oxford,  tip.  Clarendon  1887. 


à 


sillaba  iniziale  ^).  Molto  probabilmente  sono  del  tempo  del  Mas- 
segna  anche  le  statue  di  Adamo  ed  Eva,  non  comparabili  alle 
bellissime  de'  santi  Pietro  e  Paolo,  fattura  dell'  Orsini.  Al  quale 
del  resto,  sottraendo  que'  lavori,  non  che  scemarsi,  è  fatta  viep- 
più risaltare  la  gloria  di  questa  porta  da  lui  compiuta,  sublime  nel 
concetto: —  la  forza  di  Cristo  che  sostiene  e  conduce  l'umanità, 
originaria  e  ristaurata,  una  in  Lui  e  trionfante,  —  e  tale  nel- 
r  esecuzione,  che,  come  scrive  il  nostro  Tommaseo,  „non  so 
quante  basiliche  abbiano  porte  minori  di  così  fino  lavoro"  -). 

La  gara  tra  i  nobili  e  gli  ecclesiastici  s'  inizia  nel  1444, 
latente  tuttavia  :  lo  indicano  la  promessa  di  oblazioni  fatta  quel- 
r  anno  da'  nobili  ed,  ultimo  de'  nostri  documenti,  il  decreto  del 
Consiglio,  che  decide  su  quella  dopo  una  risposta  del  vescovo. 
Intanto,  architetto,  scultore,  protomaestro,  V  Orsini  è  al  Duomo 
da  più  di  tre  anni,  obbligatosi  a  sei  nel  primo  contratto.  Sono 
alle  sue  dipendenze  molti  e  valenti:  attesta  del  numero,  la  molta 
opera  in  breve  fornita;  del  valore,  l'opera  che  loda  l'artefice. 
Di  loro  sopravvivono  pochi  nomi,  né  per  l'appunto  si  sa  di 
ognuno,  come  neanco  de'  posteriori,  a  quale  parte  dell'  edifizio 
addetti,  né  in  quale  grado  d'  incombenze  e  di  merito.  Ma  un 
prodigio  é  T  Orsini  se  si  pensino  di  quanta  mole  e  quali  le  cose 


^)  Sovente  mi  torturavano  il  pensiero  quelle  lettere  enigmatiche,  quando 
il  dott.  Dagoberto  Frey  mi  rese  avvertito,  che  dalle  mani  dell'  angioletto 
pendeva,  non  già  un  cartellino  quale  sembravami,  sì  veramente  uno  stemma. 
Ci  recammo  tosto  a  consultare  insieme  le  preziose  memorie  araldiche  la- 
sciate dal  dott.  F.  A.  Galvani  nel  Re  d'Armi  di  Sebenico  ed  in  un'altra  sua 
opera  inedita,  dalia  quale  nel  Nuovo  Cronista  di  Sebenico  (Ano  V-VI.  1897-98, 
pag.  22)  io  avevo  dato  in  luce  la  Serie  cronologica  de'  Conti  o  Rettori  della 
Città.  E  difatto  in  cotesta  serie,  documentata  e  recante  la  descrizione  degli 
stemmi  di  ciascun  rettore,  ci  fu  dato  di  riconoscere  stemma  dell'  angioletto 
il  terzo  fra  i  quattro  stemmi  dei  Gabriel  :  Campo  d'  oro  con  una  fascia  az- 
zurra. E  balzò  evidente  a'  lati  dell'angioletto,  qui  incominciato  il  nome,  li 
il  cognome  di  Jacopo  Gabriel.  Il  dott.  Frey,  egregio  architetto  viennese,  che 
ha  già  in  pronto  un  assai  bel  volume  illustrato  su  Arbe,  ne  va  apparec- 
chiando un  altro  sulla  nostra  basilica  da  lui  con  assidua  cura  e  con  intenso 
amore  studiata  sia  dal  riguardo  tecnico,  sia  dallo  storico-artistico.  Gli  rendo 
grazie  anche  da  questa  nota  e  con  fervidi  auguri. 

2)  La  Cattedrale  di  Sebenico  e  Giorgio  Dalmatico  suo  architetto.  Os- 
servazioni di  N.  Tommaseo.  Zara,  tip.  Woditzka  1874.  —  Moltissime  sono 
le  antiche  chiese  cristiane  co'  leoni  nel  pronao.  Il  leone  è  simbolo  di  Cristo 
in  entrambi  i  Testamenti,  e  forse  per  questo  ve  ne  sono  due  all'  ingresso 
del  nostro  Duomo.  Si  rammenti  il  profetato  dal  moribondo  Giacobbe  e  quello 
che  nella  visione  di  Giovanni  apre  1'  arcano  volume  dai  sette  suggelli.  Ciò 
soggiungo,  per  quanto  possa  sembrare  superfluo,  a  prevenire  dubbi  circa  la 
mia  interpretazione  ed  a  meglio  accertarla. 


12 


a  cui  contemporaneamente  si  attende  nel  fortunato  triennio.  Con 
le  absidi,  fondate  sull'  area  dianzi  occupata  ^)  e  certo  da  lui 
condotte  assai  più  in  su  di  dov'  era  inciso  il  suo  nome,  e  con  i 
muri  laterali  dritti  oramai  dagli  altri  tre  venti,  egli  nel  1444  aveva 
compiuto  in  tutta  la  estesa  della  fabbrica  il  piano  fondamentale. 
Di  conserva  con  la  porta  de'  Leoni,  la  facciata  va  adornandosi 
della  porta,  che,  siccome  ne  volevano  V  ufficio  e  la  dignità,  è 
maggiore  anco  alla  decorazione  e  all'  idea,  né  in  meno  bella  e 
grandiosa  corrispondenza  con  1'  altra  :  lì,  co'  Leoni,  il  trionfo  di 
Cristo  nella  storia,  qui,  con  Mosè,  con  gli  Apostoli,  con  gli 
Evangelisti,  il  trionfo  di  Cristo  nella  legge  universa  ;  legge  e 
storia,  suonanti  1'  alto  preconio  d'  un  terzo  trionfo,  che  dentro  il 
sacro  recinto  ha  da  compiere  nelle  anime  e  dove  sarà  per  es- 
sere adorato  Cristo  santificatore.  Sulle  colonne,  che  dovranno 
sostenere  le  navi,  si  ergono  gli  archi  ;  magnifico  fregio,  da  cui 
pur  ora  staccò  lo  scalpello  1'  Orsini,  corre  sovr'  essi  in  due  or- 
dini a  contrapposte  volute  di  acanto  la  cornice  di  fogliami  ;  mo- 
tivo archittetonico  per  sollevare  l'intero  edifizio  e  che  con  quella 
cornice  ne  dovrà  amorosamente  avvicinare  e  collegare  i  due  stili 
diversi,  comincia  qua  e  là  a  delinearsi  la  galleria  sovrastante,  e, 
innovazione  sua  prima  e  concezione  inspirata,  già  sopra  il  coro 
indovinasi  in  alto  la  croce,  che,  più  tardi,  nel  supremo  fastigio 
del  miracoloso  coperto  del  tempio,  incoronerà  della  cupola,  con 
eleganza  pari  allo  slancio  arditissimo,  Niccolò  Fiorentino,  Sebe- 
nicese  forse,  ma  certamente  della  famiglia  Sebenicese  degli  Al- 
dobrandi  -).    Quest'  anno  istesso  addì  23  di  marzo,    è   rogata  la 


')  La  occupavano  due  cancellerie,  una  stalla  ed  un'  antica  muraglia 
del  palazzo  del  Conte.  Si  dovette  abbattere  tutto  ciò  e  poscia  ricostruire 
più  indietro  1'  entrata  al  palazzo  con  le  sue  scale,  i  ballatoi,  i  pogginoli,  e 
ritoccare  il  cortile  che  v'  era  nel  mezzo  con  la  cisterna,  allargando  la  via 
pubblica  interposta.  Avutosi  con  la  ducale  29  marzo  1441  il  permesso  di 
cotesti  lavori  preparatori,    li  eseguì  1'  Orsini    appena   giunto    a  Sebenico.  — 

Dentro  la  chiesa,  nel  colmo  dell'  arco  frontale  dell'  abside  maggiore, 
lo  stemma  di  Girolamo  Pesaro  (1476—79)  sotto  la  maestrevole  scultura  del 
Padre  Eterno  ritenuta  dell'  Orsini,  ci  dimostra  compiute  le  absidi  l' anno 
della  morte  del  grande  artefice.  Quello  stemma  il  Jackson  fu  primo  ad  av- 
vertirlo e  studiarlo. 

2)  Il  coperto  è  a  lastroni  incastrati,  onde  tetto  e  soffitto  sono  uno. 
„Particolarità  originalissima  —  dice  il  prof.  Graus  —  di  questo  Duomo, 
che,  per  quanto  finora  ci  è  dato  sapere,  lo  distingue  da  tutte  le  altre  chiese 
cristiane  e  dà  all'  edifizio  un'  importanza  architettonica  di  tal  valore  per  la 
storia  dell'  arte,  che  nessun  altro  monumento  gli  potrà  mai  contestare".  Ed 
il  Tommaseo  :  „La  singolare  commettitura  delle  pietre  è  anch'  essa  più  che 
meccanico".  —  Quanto  a  Niccolò  Fiorentino  od  altrimenti  Aldobrandi,  vedi 
qui  in  fine  Appendice  li. 


13 


convenzione  per  nove  cappelle  o  volte  ^)  :  V  Orsini  ne  ha  fatto 
e  mostrato  il  disegno:  le  si  dovevano,  salvo  impedimento  giusto 
e  legiltimo,  dare  compiute  entro  tre  anni  (proprio  nel  sessennio 
del  primo  contratto  con  V  artista)  e  ciascuna  verso  73  ducati 
d'  oro  veneti,  da  pagarsi  in  tre  rate.  Sono  contraenti,  dall'  una, 
quali  procuratori  della  chiesa  e  della  fabbrica,  un  canonico  arci- 
prete ed  un  patrizio,  dall'  altra  tredici  nobili  per  nove  famiglie, 
delle  quali  si  dovranno  apporre  gli  stemmi  sulla  cappella  perti- 
nente a  ciascuna.  Gli  stipulanti  de'  nobili  sono  più  nel  numero 
che  non  siano  le  cappelle,  perchè  di  tre  di  queste  si  obbligarono 
a  contribuire  nella  spesa,  per  una,  tre  fratelli,  e  per  due,  ciascuno 
con  tangente  a  metà,  altri  nobili  probabilmente  consanguinei  od 
in  qual  si  voglia  guisa  congiunti.  Per  una  s'impegnano  commis- 
sari testamentari  :  santamente  diletto  il  religioso  divisamento.  A 
debito  di  gratitudine  patria  trascrivo  i  nomi  ed,  a  chiarezza,  ser- 
bando r  ordine  della  convenzione,  eh'  è  il  medesimo  delle  cap- 
pelle ivi  d,eterminate,  cioè  cinque  da  destra  e  quattro  da  mancina 
di  chi  entra  nel  tempio  dalla  porta  maggiore.  Da  destra  quelle  : 
L^  di  Radicchio  Sisgoreo,  11.^  di  Giorgio  Radoslavich,  III.^  di  Lo- 
renzo Dominici  e  Lorenzo  di  Michele  Gonoribich,  IV.^  di  Sara- 
ceno di  Niccolò,  V.^  de'  fratelli  Giorgio,  Niccolò,  Simeone  Difnico, 
VL^  di  Maria  Nicolini,  vedova  del  lapicida  Pribislavich.  Da  mancina, 
contigua  alla  già  mentovata  degli  eredi  di  Dessa  di  Giacomo, 
costruita  dal  Pincino  al  tempo  del  Massegna,  la  VII.^  del  fu  Gio- 
vanni Simeonich,  obbligativisi  i  commissari  del  suo  testamento, 
la  VIII.^  di  Michele  Lavcich,  la  IX.^  di  Elia  del  fu  Pietro  Tollimerio 
e  di  Martino  de  Mirsa,  quest'  ultima,  a  destra  entrando  dalla  porta 
minore  ed  a  cui,  dopo  la  volta  soprastante  ad  essa  porta,  segue 
ultima  la  cappella  di  Pria  vedova  di  Francesco  Cognevich,  da 
lei  ordinata  nel  testamento  de'  22  aprile  1452. 

Disegnate  dall'  Orsini,  stabilite  per  legale  atto  solenne  ed  a 
lui  allogate  nel  termine  della  sua  prima  condotta  duraturo  ancora 
un  triennio,  le  nove  cappelle  non  tutte,  né  in  questo  termine 
ebbe  egli  a  compirle.  Ne  sono  avviso  il  non  avervi  che  in  due 
sole  gli  stemmi  gentilizi  pattuiti  —  in  quella  di  Radicchio  Sisgoreo 
nel  capitello,  che  impostato  alla  parete  è  base  dell'  arco,  ed  in 
quella  di  Michele  Lavcich  (Leoni)  sul  colmo  dell'arco,  stemma 
dov'  è  scolpito  nel  campo  un  leone  rampante  —  e  più  special- 
mente l'essersi  ripubblicata  tre  volte  la  convenzione,  addì  15  marzo 
1449,  14  marzo  1497  e  4  novembre  1501,  insino  allora  dunque 
non  interamente  adempiuta.    Certo  compiva   1'  Orsini   le  due  ac- 


1)  Per  i  riscontri  che,  a  chiarire  la  lezione  del  documento,  ho  voluto 
fare  sulla  convenzione  e  per  le  prove  che  addussi  à  dimostrare  non  si  dover 
le  cappelle  intendere  altari,  ma  volte,  cfr.  Rivista  Dalmatica  An.o  IV,  fase.  II 
1908,  pag.  117. 


14 


cennate  e  le  cappelle  costruite  fino  al  1475,  anno  della  sua  morte, 
costruite,  vo'  dire,  nella  seconda  metà  della  sessennale  sua  ferma 
e  poscia  nel  lungo  tempo  che  con  più  intervalli  attese  egli  al 
Duomo  ;  imperocché  tutto  insieme  interpolatamente  vi  attese  per 
trentacinque  anni.  11  ritardo  non  era  da  imputarsi  in  lui  a  tra- 
scuranza  degl'  impegni,  od  a  manco  di  queir  ingenita  sua  alacrità 
indefessa,  od  a  zelo  scemato  per  il  suo  Duomo,  o  perchè,  as- 
sentandosi a  volte  da  Sebenico,  recavasi  a  Spalato,  dove  dal 
1444  al  1447  principio  e  finì  la  cappella  e  l'altare  di  S.  Raine- 
rio.  Egli  in  questo  mentre,  fino  al  marzo  del  1448,  proseguiva 
nel  nostro  Duomo  quella  sì  svariata  e  poderosa  intrapresa  di 
lavori,  che  si  sono  testé  ricordati.  Del  non  essersi,  alla  scadenza 
della  convenzione,  potute  compire  le  cappelle  incominciate  nel 
1444,  come  pure,  che  nel  marzo  del  1448,  soddisfatti  dall'  Orsini 
tutti  gli  obblighi  suoi  con  lode  pienissima,  si  dovette  sospendere 
la  fabbrica,  cagione  precipua  si  fu  che,  per  le  molte  spese  soste- 
nute, venivano  mancando  i  danari  alla  fabbriceria  e  da  ultimo  si 
esaurirono,  come  ne  faceva  il  vescovo  dolorosa,  ma  aperta  di- 
chiarazione al  rettore  della  città. 

In  queste  condizioni  adunque  trovavasi  la  chiesa  nel  1449  : 
ài  punto,  che  si  é  veduto,  la  fabbrica  ;  al  punto,  di  che  si  è  toc- 
cato, neir  economia  ;  1'  Orsini,  prossimo  a  ripartire  per  Spalato 
ad  erigervi  la  cappella  di  S.  Anastasio  di  fronte  alla  cappella  di 
S.  Doimo  nel  tempio  di  Diocleziano  ;  i  nobili  e  il  clero,  nell'an- 
sia del  sontuoso  monumento  in  pericolo  di  rimanere,  dopo  tante 
cure  laboriose,  dopo  tanti  sacrifizi,  un  rudere  informe,  testimonio 
d'  animi  pusilli,  scherno  agi'  invidiosi  vicini. 

Ma  vi  erano  due  fratelli  Sisgoreo  ^)  :  Giorgio,  di  cui,  in  capo 
all'  iscrizione  che  1'  Orsini  firmava,  già  da  un  lustro  leggevasi  il 
nome  e  sua  cura  il  tempio  :  Tempia  Ubi  curae  presul  venerande 
Georgi  Sisgoridae  stirpis  claro  de  sanguine  nato,  e  Radicchio,  del 
cui  casato  spiccava  lo  stemma  nella  cappella,  che  all'  Orsini  egli 
il  primo  aveva  commesso;  vi  era  la  nobiltà  cittadina,  degna  che 
cosi  la  si  appellasse  ;  reggeva  la  città  Cristoforo  Marcello,  conte 
e  capitano  ;  governava  Venezia,  e  tempi  erano  quelli  di  patria, 
di  fede,  di  amore,    1'  età  dell'  oro  dell'  umile  Sebenico,  oggi,  tut- 


1)  Così  li  dice  il  Galvani  nel  Re  d' Armi  e  nelle  noterelle  inedite.  11 
Fosco  nel  Folium  Dioecesatmm  An.o  IX,  1890  N.o  11,  pag.  93,  dice  il  vescovo 
Giorgio  figlio  di  Radicchio,  richiamandosi  ad  un  manoscritto  Caristo  citato 
dal  Parlati,  ma  che  più  non  esisteva,  ed  indi  à  poco  ne  dubita,  asserendo 
Radicchio  padre  o  congiunto  del  vescovo.  Mi  attengo  al  Galvani,  che  ha 
nelle  noterelle  :  Radicchio  nato  nel  1385,  testatore  nel  1454  e  Giorgio  nato 
nel  1398,  morto  nel  1454,  e  perchè  negli  appunti  miei  incontro  il  padre  loro, 
Radone,  venuto  di  Scardona  a  Sebenico  nel  1369. 


n 


15 


tocche  gloriosa  di  Niccolò  Tommaseo,  imminente  sovr'  essa,    ed 
egli  lo  presentiva,  petroliero  disertamento  ^). 

Giorgio,  della  prosapia  de'  Sisgoreo,  levato  pressocchè 
quarantenne  dal  monastero  di  S.  Domenico  alla  cattedra  vesco- 
vile della  città  nativa  e  successore  di  Bogdano  Pulsich,  ne'  di- 
ciasette  anni  di  episcopato  fu  tutto  della  sua  chiesa,  voluta  da 
lui  struttura  di  vive  ed  elette  pietre  ne'  sacerdoti,  struttura  quale 
r  abbiamo,  nelF  edifizio  del  Duomo.  A  ristabilire  la  disciplina  in 
una  parte  del  clero,  ricorse  a  papa  Eugenio  IV  ed  al  Senato  di 
Venezia,  e  per  rianimare  ne'  chierici  lo  zelo  del  tempio  e  cre- 
scerne il  decoro  e  meglio  provvedere  alla  cura  spirituale  de'  fe- 
deli, impetrò  da  Nicolò  V,  che  a'  canonici  s'  aggiungessero  in 
ausilio  dodici  mansionari  formanti  il  Capitolo  minore  e  addì  24 
decembre  1451  ne  pubblicò  le  Costituzioni  -).  Durante  la  fabbrica 
della  Cattedrale  non  s'  intermise  mai  d'  ufficiarla,  che  in  un  an- 
golo 0  neir  altro,  dove  e  come  1'  opera  degli  artefici  poteva  per- 
mettere, vi  si  celebravano  le  sacre  funzioni  ;  di  preferenza,  nella 
cappella  Sisgoreo,  entrovi  un  altare,  che,  non  appena  coperta, 
eresse  il  vescovo  Giorgio,  dotandolo  di  una  casa  ed  intitolan- 
dolo al  Dottore  massimo,  anche  in  onore  della  nazione  Dalma- 
tica e  perchè  forse  nel  Duomo  primitivo,  lì  pure  o  vicino,  ci 
fosse  stato  un  altare  di  S.  Girolamo.  E  come  dentro  ed  allora 
obbliar  non  potevasi  nel  Duomo  novello  la  gloriosa  memoria 
Dalmatica,  così,  formatane  sin  dal  primo  1'  idea,  le  si  doveva 
rendere  onore  non  guari  poi,  da  sito  piìi  cospicuo,  nella  luce 
dell'arte,  sulla  facciata  prospiciente  la  Piazza,  in  quello  splendido 
medaglione,  che,  attribuito  ad  Andrea  da  Durazzo,  ci  figura  pe- 
nitente nel  deserto  il  nostro  Santo  appiedi  del  Crocifisso  ^).  Ve- 
scovo   sin    dagli  ultimi  quattro    anni    del   tempo    del   Massegna, 


1)  Leggasi  nelle  sue  Osservazioni  sulla  Cattedrale  di  Sebenico,  la  prima 
con  cui  comincia  V  opuscolo,  e  dove,  contrapponendo  i  monumenti  religiosi 
testificanti  1'  esteriore  e  1*  intima  vita  dei  paesi,  a  ciò  che  promette  la  civiltà 
del  petrolio  (quando  scriveva,  accadevano  i  fatti  di  Parigi),  dice  tra  altro  : 
„petrolio  l'ignoranza  del  passato,  petrolio  il  disprezzo  barbarico  delle  an- 
tiche memorie  per  pregiudizi  partigiani  ....  petrolio  le  profanazioni  d'ogni 
maniera,  o  siano  consumate  da  pochi  o  da  molti,  o  in  nome  di  massime 
servili  o  di  massime  liberali". 

2)  Per  il  concordato  del  Papa  coli'  Austria,  soppressi  nel  1828  sette 
vescovati  in  Dalmazia,  cessò  anche  il  Capitolo  minore  di  Sebenico  e  sosti- 
tuironsi  quattro  vicari  corali. 

3)  „L'  idea,  scrive  mons.  Fosco,  di  collocare  in  quel  punto  così  vi- 
sibile r  imagine  di  S.  Girolamo,  non  può  essere  stato  un  capriccio  :  essa  deve 
essere  stata  ....  coli'  intenzione  patriottica  di  onorare  il  grande  Santo  Dot- 
tore della  Chiesa,  che  nacque  in  questo  suolo"  (Ufi  ediz.  dell'  o.  e.  pag.  26). 
—  E  qui  mi  cade   in  acconcio   di   soggiungere  un*  altra  considerazione.   La 


16 


Giorgio  Sisgoreo  dal  1441  in  poi,  quando  ne  si  sospese  la  fab- 
brica, era  sempre,  così  decretante  il  Consiglio,  con  que'  cinque 
nobili  eletti  a  cinque  anni  perchè  esaminassero,  discutessero, 
provvedessero  del  Duomo  come  ornarlo  il  meglio  possibile,  con- 
tinuandosi, e  nello  stesso  1441  addì  22  giugno,  previo  il  suo  con- 
senso e  lui  volente  così,  fabbriceria  e  Comune  stipulano  il  con- 
tratto con  l'Orsini.  L'anno  appresso,  il  dì  16  giugno,  lo  vediamo 
nella  Loggia  Grande  circondato  da'  suoi  canonici  e  Fantino  Pe- 
saro sedente  a  tribunale,  allorché  i  due  procuratori  della  Cat- 
tedrale per  la  nobiltà  e  per  il  clero  presentano  e  si  appro- 
vano i  capitoli  della  concessione  del  pubblico  fondo  a  pro- 
lungare il  tempio  e  costruirvi  le  absidi.  Dinanzi  a  lui,  nella  sala 
dell'  episcopio,  i  nobili  convengono  con  1'  Orsini  per  le  nove 
cappelle,  e  quando  sopraggiunge  la  crisi  economica,  egli  è  al 
cospetto  di  Cristoforo  Marcello,  che  senz'  ambagi  gliel'  annunzia 
coraggiosamente.  Fosse  merito  precipuo  di  lui,  o,  com'  è  più 
verosimile,  di  lui  e  de'  nobili  e  del  rettore  e  della  Repubblica  e 
di  altri  contribuenti  insieme,  perocché  la  dichiarazione  sua  era 
un'  implicita  invocazione  al  soccorso,  né  sì  pronto  e  valido  soc- 
corso a  tanta  opera  poteva  venire  da  singoli,  o  da  un  ceto  solo, 
o  da  un  solo  provvedimento,  sta  il  fatto  che  bene  avventurato 
fu  il  séguito.  L'  Orsini  indi  a  poco  è  di  bel  nuovo  a  Sebenico. 
Li  6  marzo  1450  egli  stipula  un  altro  istrumento  col  vescovo 
Giorgio  e  col  procuratore  arciprete  in  nome  anche  del  collega 
nobile  e  degli  operari  assenti  per  cagione  della  peste  ^),  e  gli 
viene  esborsata  magna  quantitas  pecuniae  perché  si  recasse  al- 
l' isola  Brazza  a  cavarvi  e  scalpellare  quam  plurimos  lapides  per 
la  fabbrica  della  sagrestia  ;  istrumento,  che  poscia  si  annulla  da 
nuova  convenzione  il  1  marzo  1452,  ed  alla  quale  li  16  marzo 
1454  segue  un'  altra  per  il  compimento  dell'ardito  edifizio;  en- 
trambi le  convenzioni  stipulate  da'  procuratori  e  dagli  operari  della 


porta  de'  Leoni,  come  dianzi  accennavo  nel  testo,  rappresenta  in  simbolo 
r  umanità  nella  sua  storia.  Questo  medaglione  di  S.  Girolamo,  li  in  alto  la 
statua  di  S.  Michele  arcangelo  ed  a  destra  loro,  in  basso,  suil'  abside  gli 
angeli  con  la  pergamena  pure  accennati,  soli  altri  tre  rilievi  in  grande  sulla 
facciata  alla  Piazza  de' Signori,  evidentemente  significano  l'uno  la  Dalmazia, 
r  altro  Sebenico,  e  si  legge  del  tempio,  sul  terzo,  quando,  sotto  quali  au- 
spici e  da  chi  incominciatane  quella  parte.  Dunque  in  un  prospetto,  dinanzi 
alla  Loggia  Grande,  in  collocazione  graduale,  in  proporzionata  ed  artistica- 
mente variata  figurazione,  concetto  semplice,  spontaneo,  coordinato,  amplis- 
simo :  L'  Umanità,  la  Nazione,  la  Patria,  il  Monumento  negli  storici  suoi 
primordi.  Veramente  storica,  veramente  monumentale  questa  facciata. 

1)  La  peste  del  1449  è  ricordata  da  Domenico  Zavoreo  nel  suo  Trat- 
tato sopra  le  cose  di  Sebenico  (Ms.  pag.  43)  ;  ma  documento  più  certo,  a  cui 
egli  pure  si  riferisce,  è  nello  Statuto  nòstro  la  Riformazione  19  ottobre  1449 


I 


17 


chiesa  dinanzi  al  vescovo  Giorgio  nella  sala  dell'  episcopio.  E 
di  questo  tempo  V  Orsini  aveva  già  compiuto  il  battistero,  perla 
dell'  arte,  come  la  disse  N.  Tommaseo,  che  vi  fu  battezzato  e 
ne  illustrò  amorosamente  il  concetto  ^).  11  battistero  e  la  sagrestia 
furono  le  ultime  opere  che  vide  dell'  Orsini  il  vescovo  Giorgio. 
L'  anno  della  morte  di  lui  coincide  con  la  licenza  eh'  ebbe  il  ce- 
lebre artista  di  assentarsi  per  sei  anni  da  Sebenico  a  fin  di  ri- 
tornare in  Ancona  dove  lo  attendevano,  incominciati  o  da  inco- 
minciare, quattro  superbi  monumenti,  che,  dopo  l'arco  di  Traiano 
e  il  duomo  di  San  Ciriaco,  formano  il  più  caro  ornamento  di 
quella  cara  città  ^).  Di  Giorgio  Sisgoreo  durano  scolpiti  nella  sua 
Cattedrale  il  nome,  lo  stemma,  l'effigie;  del  tempo  e  forse  anche 
tutti  di  mano  dell'  Orsini  scolpiti  :  il  nome,  sulla  pergamena  degli 
angeli;  lo  stemma,  sovra  la  porta  de' Leoni  e,  duplice  stemma,  sul 
sepolcro  ;  1'  effigie,  sul  sepolcro  nella  cappella  di  famiglia.  I  do- 
cumenti presenti  ne  ritraggono  il  carattere,  ne  rivelano  gli  studi, 
ne  serbano  la  parola. 

Radicchio  Sisgoreo,  di  tredici  anni  piià  anziano  di  Giorgio 
ed  il  maggiore  anche  degli  altri  due  fratelli  e  della  sorella,  fu  in 
Sebenico  il  continuatore  della  famiglia,  il  capostipite  de'  due 
rami  oggi  viventi.  A'  pregi  suoi  propri  non  aggiungono  né  sce- 
mano luce,  ma  bellamente  i  pregi  loro  consertano  il  vescovo 
e,    nella    generazione  seguente    e  Giorgio  ambidue,   un  guerriero 


(cap.  267)  sui  nodari  ed  ufficiali  da  eleggere  in  tempo  di  peste.  Ne  si  aveva 
sospetto  a  que*  giorni,  perchè  già  incominciata:  quoniam  ad  praesens  dubi- 
tatur  de  peste,  quia  iam  principium  fecit.  L' illustre  concittadino  nostro  An- 
gelo Frari  nel  suo  poderoso  volume  Della  peste  e  dell'  amminislrazione  sa- 
nitaria. Venezia.  Fran.  Andreola.  1840,  dice  a  pag.  334,  che  nelle  città  di 
Sebenico  e  di  Arbe  vi  era  queir  anno  grande  mortalità.  Ma  certo,  quanto  a 
Sebenico,  doveva  essere  questo  nell'anno  seguente,  o  sullo  scorcio  del  1449. 
Nel  maggio  del  1449  non  vi  era  tema  alcuna  del  morbo,  come  apprendiamo 
nel  quarto  de'  documenti  presenti  dallo  stesso  vescovo  Sisgoreo,  là  dove 
loda  il  governo  della  Repubblica,  benemerito  di  Sebenico  anche  in  gratis- 
sima  corporum  sospitate  et  in  pestiferis  morbi  preservatione.  La  peste  so- 
praggiunta dev'  essere  stata  cagione  non  ultima  del  non  aver  potuto  i  nobili 
soddisfare  tutti  nel  tempo  prefisso  all'impegno  loro  verso  la  Cattedrale  di 
costruirvi  le  cappelle. 

1)  Trascrivo  quest'  unico  passo  :  „11  battistero  di  Sebenico,  che,  come 
il  bel  San  Giovanni  in  Firenze,  accoglieva  i  novelli  cristiani  di  tutte  quante 
ha  parrocchie  la  città,  con  le  quattro  sue  nicchie,  delle  quali  ognuna  ha  per 
volta  una  conchiglia  marina,  è  nel  suo  genere  invero  una  perla  dell'  arte  ;  e 
accenna  simbolicamente  alle  acque  liberatrici''. 

^)  Il  palazzo  Benincasa,  la  facciata  della  Loggia  de'  Mercanti,  le  porte 
di  S,  Francesco  delle  Scale  e  di  S.  Agostino. 

2 


18 


di  cui  Radicchio  fu  padre  ed  un  poeta  di  cui  fu  zio  paterno  ^). 
Fedelissimo  alla  diletta  Repubblica  non  meno  del  fratello  vescovo 
e  del  nipote  poeta,    che  ne  celebrarono    le  benemerenze,    e    del 


1)  Di  Giorgio,  il  guerriero,  basti  il  seguente  passo,  che  traggo  dalla 
ducale  3  marzo  1467  di  Cristoforo  Moro  al  conte  di  Sebenico  Stefano  Ma- 
lipiero,  con  la  quale  gli  viene  confermata  in  affittanza  per  altri  cinque  anni 
r  isola  di  Zuri,  a  risarcirlo  in  qualche  modo  del  danno  da  lui  avuto  nel  nau- 
fragio della  trireme  sebenicese  dov'  era  sopracomito.  Leggesi  adunque  di 
Giorgio  Sisgoreo  :  qui  sequens  mores  maiorum  suorum  semper  devotionem 
suam  prò  commodo,  et  conservatione  status  nostri  virtuose,  et  laudabiliter 
insudavit,  et  nullis  extimatis  periculis  propriam  vitam  alacri  animo  exponere 
non  dubitava,  sed  ultimate  dum  esset  Supracomitus  nostrae  galiae  armatae  in 
Sibenico  quae  naufragium  passa  est  in  quo  omnia  quae  habebat  amisit,  prò 
digno  valore,  prò  eius  aliquali  refectione  damni,  et  meritis  ecc  .  ,  .  .  (Libro 
Rosso,  pag.  370).  Ignorasi  il  tempo  della  sua  morte.  Negli  appunti  del  dott. 
F.  A.  Galvani  incontro  che  fece  testamento  nel  febbràio  del  1469. 

Giorgio,  il  poeta,  è  1'  Ovidio  di  Sebenico,  non  per  i  casi  della  vita, 
né  per  gli  amori,  né  per  le  metamorfosi,  ma  perché,  sceltolo  a  modello 
nello  stile,  ne  lo  segue  felicemente,  umanista  con  ispirazione  cristiana.  Fi- 
glio di  Simeone  e  di  donna  Zuanna,  fu  dottore  de'  decreti,  canonico  e  nel 
1477  procuratore  della  Cattedrale,  e  dal  1480  al  1485  vicario  del  vescovo 
Luca  de  Tollentis.  Compose  e  pubblicò  in  tre  libri  Elegie  e  Carmi,  tredici 
inni  sacri  inediti  ed  un  prezioso  libretto  che  ne'  giorni  nostri  vide  la  luce  : 
De  sita  Illyriae  et  civitate  Sibenici,  il  primo  lavoro  intitolando  a  Pietro  di 
Damiano  Toboleo,  patrizio  sebenicese,  e  gli  altri  due  ad  Antonio  Calbo> 
rettore  di  Sebenico,  con  amplissime  lodi  alla  Repubblica  Veneta  e  scriven- 
dosi sempre  Georgius  Sisgoreus  Dalmata  Sibenicensis.  Fu  intimo  di  Raffaele 
Zovenzoni,  il  poeta  di  Trieste,  laureato  da  Federico  III  e  già  professore  di 
rettorica  a  Sebenico,  e  la  stampa,  ancora  negl'  incunabuli,  riunì  nel  1477  in 
un  solo  libro  a  Venezia  i  carmi  che  i  due  amici  scambiavansi.  Primo  tra 
noi,  cercò  i  proverbi  del  popolo  e  li  traduceva  in  latino,  ma  la  sua  raccolta 
andò  perduta.  Ne'  cinque  anni  del  vicariato,  mandò  a  Corfù  Giampietro  de 
Fiori  e  Damiano  Eligostimo  per  appurare  l'autenticità  della  reliquia  di  S. 
Cristoforo  ;  nel  1483,  avvenuto  in  Borgo  a  mare  il  miracolo  del  Crocifisso, 
lo  certificò  ;  alla  scuola  di  S.  Giovanni  del  Monte  concedette  diritto  di  pa- 
tronato nella  chiesa  di  S.  Trinità,  e  di  essa  chiesa,  caduti  in  gran  parte  i 
muri  la  notte  dei  25  marzo  1485,  promosse  il  ristauro  ;  minacciando  la  peste, 
nel  1482  provvide  del  cappellano  il  Lazzaretto  sulla  punta  di  Maddalena,  e 
li  16  aprile  1483  diede  una  costituzione  circa  i  funerali.  Di  quest'  ultima  e 
dell'  anno,  ignoto  finora,  della  sua  morte,  ho  incontrato  memoria  nell'  ar- 
chivio di  Valverde.  Egli  morì  li  30  novembre  1509.  Di  lui  fecero  onorevole 
menzione  o  porsero  notizie  il  Farlati,  il  Fortis,  il  Ferrari-Cupilli,  il  Gliubich, 
il  Fosco,  il  Galvani,  l'Hortis,  il  N.  Cronista  di  Sebenico  (An.o  111,  pag.  126), 
ed  esaminò  accuratamente  le  elegie  ed  i  carmi  il  dott.  M.  Srepel  negli  atti 
dell'  accademia  degli  Slavi,  meridionali  (Zagabria.  1899.  Libro  138,  pag,  207) 
intestando  il  suo  studio  Humanisi  Sizgoric. 


19 


figliuolo  guerriero,  che  più  volte  nel  servirla  mise  a  rischio  per 
terra  e  per  mare  la  vita,  egli  ventiquattrenne  è  tra  i  fuor- 
usciti;  che  dalle  torri  del  porto  invocano  Venezia  e  con  reiterata 
promessa  le  dedicano  la  città.  Seguita  addì  28  ottobre  1412  la 
santa  intrata  ^)  e  giurati  i  patti  della  spontanea  dedizione,  allor- 
ché venti  giorni  dopo,  interveniente  Venezia,  cessa  il  disUirbio 
e  le  due  fazioni  intestine,  feroci  sino  dianzi,  stabiliscono  pace 
perpetua,  lo  troviamo  de'  cinque  nobili  nelle  cui  mani  si  pongono, 
confiscatili  a  quella  famiglia  ch'era  stata  cagione  della  guerra  civile 
e  fu  per  sempre  bandita  ^),  tutti  i  beni  da  essa  posseduti  mobili 
ed  immobili,  perchè  ad  arbitrio  loro  li  vendessero  e  dividessero 
tra  ambe  le  parti  a  risarcirle  de'  danni  nella  guerra  patiti.  Rico- 
noscente a  lui  la  Repubblica,  altrettanto  fu  egli  disinteressato 
neir  ottima  sua  fedeltà,  negli  ottimi  suoi  portamenti,  nella  dili- 
genza sua  notissima  ;  encomi  questi,  come  pure  1'  altro  di  cir- 
cumspectus  fidelis  noster,  che  si  leggono  ne' documenti  dell'annua 
provvisione  vitalizia  di  lire  150  assegnatagli  nel  1409,  ma  da  lui 
appena  dopo  dieci  anni  ricordata  e  conseguita  e  la  quale  li  16 
ottobre  1424  fu  decretato  avessero  ad  avere  alla  morte  sua  i  figli 
suoi  maschi,  saggio  della  gratitudine  del  Ducale  dominio  ^),  che 
gli  diede  inoltre  un'  investitura  di  terre  neh'  isola  Zuri.  Nel  primo 
attuarsi  de'  patti  della  dedizione,  ascritto  al  patrio  Consiglio,  pa- 
recchie volte  sedette,  giudice  della  Corte  maggiore,  tra  i  quattro 
rettori  della  città  e,  finché  visse,  lo  ebbero  sempre  cariche  citta- 
dine ;  li  6  gennaio  1432,  oratore  a  Venezia  con  Michele  Tavileo 
e  col  cancelliere  Indrico  de  Indricis  per  chiedere  vari  provvedi- 
menti a  pubblico  bene:  ottenuti  tutti,  e  scrivendosi  degl'inviati, 
che  propter  eoram  prudentiam  et  diligentiam  sunt  merito  commen- 
dandi^).  Riguardavano  que' provvedimenti,  tra  altro,  controversie 
di  confini  da  terminare  ;  privilegi  da  osservarsi  ;  danni  turcheschi 
da  chiederne  risarcimento  al  Sultano  ;  cisterne,  una  distrutta  da 
rifare,  ovvero  un'  altra  da  ristaurare  ;  fortificazioni  alle  quali  accu- 
dire. Il  secondo  degli  otto  capitoli  impetrati  concerneva  la  fab- 
brica del    Duomo:    per  l'aitar  maggiore    era  mestieri    prolungar 


1)  La  dedizione  di  Sebenico  a  Venezia;  e  così  ne  si  denominava  il 
giorno,  commemorato  poscia  oggi  anno  con  una  solenne  Messa  di  ringra- 
ziamento in  Duomo  e  con  V  uso,  nel  1585  passato  in  privilegio,  che  aveva 
il  Comune,  di  liberare  un  carcerato  nelle  feste  della  dedicazione  di  S.  Mi- 
chele, patrono  della  città  (29  settembre)  e  de'  S.  S.  Simeone  e  Giuda  (28  ot- 
tobre). Zavoreo,  Trattato  Ms.  pag.  85. 

2)  l  Dragoevich  tutti,  eccettuato  Michele.  L'istrumento  di  pace  fra  gli 
intrinseci  e  gli  estrinseci,  con  la  ducale  che  lo  contiene,  leggesi  per  esteso 
nello  Zavoreo,  che  con  questo  documento  finisce  il  suo  Trattato,  pag.  87. 

5)  Libro  Rosso,  carte  364  verso. 
*)  Libro  Rosso,  carte  336  verso. 


20 


r  edifizio  e  prendere  dell'  area,  che  occupava  un  volto  sopra  la 
via  del  Comune^).  La  concessione  d'allora  disponeva,  richiedeva 
quella  pili  larga  e  costata  assai  più,  che  conseguivasi  poi,  allor- 
ché, venuto  r  Orsini,  fu  demolita  e  ricostruita  piia  addietro  la 
facciata  del  palazzo  del  Conte.  E  doveva  star  bene  a  cuore  il 
nostro  Duomo  a  quegli  oratori,  specialmente  al  Sisgoreo  ed  al 
Tavileo,  Sebenicesi  -)  e  patrizi  tra  i  dieci,  che  il  Consiglio  due 
anni  prima  aveva  delegati  perchè  col  vescovo  Bogdano  e  col 
conte  Grimani  giudicassero  dove  erigerlo  e  come.  Ma  quali  in 
Radicchio,  per  ciò  che  al  Duomo  si  riferisce,  il  senno,  il  senti- 
mento, r  opera,  1'  autorità,  ce  ne  dà  fede  la  parte  che  seguitò 
ad  avere  nelle  travagliose  vicende  della  edificazione  :  primo  di 
que'  cinque,  per  decreto  del  Consiglio,  eletti  a  cinque  anni  dal 
Conte  e  dalla  sua  Curia  per  meditarne  ed  eleggere  e  provvedere 
insieme  col  vescovo  e  co'  procuratori,  V  ornamento  quale  si  po- 
teva più  bello;  primo  tra  i  colleghi  quando  si  chiama  l'Orsini  e 
con  lui  si  conviene;  primo  tra  quelli  de'  nove  casati,  che  gli  al- 
loga, e  l'Orsini  gliela  costruisce  e  dello  stemma  la  fregia,  la  sua 
cappella.  Radicchio  Sisgoreo,  ne'  riguardi  del  Duomo  del  suo 
tempo,  a  buon  diritto  può  considerarsi  il  tipo  rappresentativo 
della  nobiltà  cittadina,  come  nella  gara  per  1'  esempio  suo  taci- 
tamente intimata  que'  giorni,  acerrimo  campione  del  clero  citta- 
dino fu  il  vescovo  suo  fratello,  nelle  virtù  patrie  e  neh'  amore 
del  patrio  tempio,  suo  emulo  degno.  L'atto  ultimo,  ch'io  sap- 
pia "^),  della  vita  di  Radicchio  gli  è  appimto  1'  oblazione  a  cui  ora 


1)  Di  qui  si  fa  certo,  che,  in  origine,  V  idea  di  prolungare  comunque 
si  fosse  il  Duomo  era  proprio  de'  committenti.  Più  tardi,  quando  venne  l'Or- 
sini, balenò  forse  a  lui,  certo  arrise  a'  committenti,  di  prolungarlo  molto  di 
più  occupando  anche,  perchè  edificar  vi  si  potessero  le  absidi,  la  parte  de! 
Palazzo  del  Conte  dov'  erano  le  due  cancellerie.  Nella  ducale  impetrata  da 
Radicchio  e  compagni  non  si  nominano  cancellerie  né  absidi  ;  leggesi  sola- 
mente, che  :  concedere  dignaremur  quod  ipsa  Ecclesia  prolongetur  in  tantum 
quod  altare  magnani  ipsius  Ecclesiae  fieri  possit  in  uno  vuoilo  super  viam 
Comunis,  quod  vuolium  estendatur  usque  ad  stabulam  vestri  Comitis.  Per 
avere  le  cancellerie  col  rimanente,  cioè  la  stalla,  un'  antica  muraglia  e,  già 
ottenuta,  la  via  col  volto  sovrapposto,  occorreva  nuova  concessione,  che 
fu  data  con  la  ducale  26  maggio  1441,  sulla  cui  base  vennero  formulati  addì 
16  giugno  1442  e  dal  conte  Fantino  Pesaro  ammessi  ed  approvati  i  capitoli, 
che  solennemente  gli  presentarono  i  procuratori  della  fabbrica. 

2)  L'Indricis  era  di  Venezia,  e,  notaio  a  Sebenico,  di  questo  tempo 
cancelliere  del  Comune.  Con  lui  diventò  Sebenicese  la  famiglia,  ascritta  al 
Consiglio  de'  nobili  e  tra  le  cospicue.  Suo  figlio  Domenico  nel  1488  fu  de' 
quattro  rettori  della  città;  suo  nipote  Indrico,  più  volte  inviato  a  Venezia 
oratore.  Cessò  tra  noi  questa  famiglia  alla  metà  del  secolo  XVII. 

3)  Veramente,    per  quanto  è  del  Duomo,  lo  incontro  Esaminatore  del 


2V 


alludevo,  fatta  da  lui  addì  28  decembre  1444  nel  Consiglio  gene- 
rale de'  nobili  in  sussidio  ed  aiuto  della  fabbrica  del  Duomo. 

Spontanea  oblazione,  che  trentasei  nobili  della  città  solen- 
nemente si  obbligano  di  pagare  ogni  anno  il  giorno  della  Pasqua 
di  Resurrezione,  cominciando  subito,  e  ventinove  di  essi  per  tutta 
la  vita  loro,  sei  per  dieci  anni  ed  uno  nell'  importo  e  nel  niodo 
che  stava  scritto  nel  libro  della  fabbrica,  ne  fu  1'  iniziatore  Ra- 
dicchio Sisgoreo,  primo  segnato  e  con  V  offerta  maggiore  :  tre 
ducati  d'  oro  annui  in  vita.  Di  questi  oblatori,  due  s'  incontrano 
di  que'  dieci,  che  nel  1430  stabilirono  il  sito  del  Duomo;  tre 
de'  cinque,  che  nel  1441  ne  curavano  V  ornamento  ;  nove  de' 
tredici,  che  nel  1444  s'impegnavano  per  le  nove  cappelle;  sette 
de'  nove,  che  si  leggono  nel  primo  de'  presenti  documenti.  Ra- 
dicchio adunque,  meno  che  nell'  ultimo,  era,  come  s'  è  visto,  in 
tutti  e  tre  gli  altri  gruppi.  Oblatore  co'  suoi  fratelli,  senza  che 
altrimenti  siano  essi  nominati,  vi  è  per  un  ducato,  vita  durante, 
Stefano  Tavileo,  il  quale,  figlio  di  Florio  eh'  era  nipote  o  fratello 
del  martire  beato,  aveva  una  sorella  e  cinque  fratelli  allora  vi- 
venti, tra  cui  quel  Michele,  accennato  testé  oratore  a  Venezia  e 
che  fu  della  commissione  decretante  il  Duomo  nuovo  nel  sito 
dell'  antico.  Sono  nella  lista  degli  oblatori  i  fratelli  Difnico  capo- 
stipiti de'  tre  rami  della  famiglia,  Giorgio  e  Niccolò,  offerenti  a 
vita  ducati  due  ciascuno  e  Simeone  uno  ;  questi,  della  commis- 
sione dell'  ornato  ;  tutti  e  tre  contraenti  con  1'  Orsini  per  la  V.^ 
cappella,  e  con  Giorgio  veniva  in  soccorso  del  Duomo  con  un 
ducato  in  vita  un  quarto  Difnico,  Cipriano  suo  figlio.  Saraceno 
di  Niccolò,  che  soscrive  per  ducati  due  in  vita,  era  de'  cinque 
per  r  ornato  e  si  obbligava  per  la  IV.^  cappella.  Simeone  Gliubich 
segna  un  ducato  in  vita  ;  commissario  del  testamento  di  Giovanni 
Simeonich,  erasi  obbligato  per  la  VII.*  cappella,  e  lo  si  trova 
ne'  documenti  presenti  fra  i  nove.  Lorenzo  Dominici  e  Martino 
de  Mirsa,  già  obbligatisi  con  la  propria  metà  di  tangente,  quello 
per  la  III.*  e  questi  per  la  IX.*  cappella,  offrono  in  vita  un  du- 
cato ciascuno.  Giacomo  Nicolini,  che  offre  in  vita  mezzo  ducato, 
aveva  stipulato  in  nome  della  zia  per  la  VI.*  cappella.  L' importo 
promesso  dai  trentasei  nobili  importava  la  somma  di  34  ducati 
e  lire  2  di  piccoli  all'  anno,  senza  contare  1'  oblazione,  che  non 
apparisce  di  quanto,  registrata  nel  libro  della  fabbrica. 

Esibiti  altra  volta  nella  secca  lista  del  documento  i  nomi 
de'  generosi,  vorrei  qui  aver  potuto  e  saputo  cogliere  e  poter 
offerire,  fosse  pur  rammentandone  un  atto  solo,  il  fiore  della  vita 
d'  ognuno.  Ecco,  da  poveri  appunti,  poveri  cenni  frammentari  e 
scomposti    e  non  su  tutti.    Di  più   non  mi   assentono,    e  ciò  mi 


Comune  nel  contratto,  che  il  1  marzo  1452  stipulano  nell'episcopio  il  ve- 
scovo Giorgio,  i  procuratori  e  gli  operari  della  chiesa  con  l'Orsini  per  la 
fabbrica  della  sagrestia. 


22 


valga  di  scusa,  le  troppo  scarse  mie  forze  al  molto  che  rimane 
a  cercare  del  moltissimo  che  s*  è  perduto. 

Di  Florio  Tavileo,  allora  già  morto,  ma  che,  nel  1412  tra  i 
nobili  fuorusciti,  la  Repubblica  aveva  rimeritato  di  grandi  lodi 
per  la  fede  e  per  il  valore  e  di  annua  provvisione  vitalizia  con- 
tinuata ne'  figli  e  ne'  nipoti  ^),  nascevano  :  Stefano,  nel  1447  giu- 
dice della  Corte  maggiore  e  nel  49  de'  cinque  deputati  a  soprin- 
tendere a'  ristauri  delle  mura  e  alla  fabbrica  delle  torri  della  città; 
Michele,  V  ambasciatore  a  Venezia  già  notoci  e,  prima,  nel  21  e 
26  de'  giudici  della  Corte  maggiore,  morto  nel  46  ;  Bogdano,  vis- 
suto probabilmente  senza  prole  col  nome  del  capostipite  sebeni- 
cese  della  famiglia  e  che,  testando  nel  55,  beneficò  con  vari  le- 
gati i  luoghi  pii  ;  Simeone,  capitano  della  trireme  sebenicese,  ri- 
masto in  comunione  di  beni  co' fratelli  e  testatore  nel  65  lasciando, 
alla  morte  della  vedova,  eredi  della  sostanza  i  due  ospitali  della 
città;  un  Pietro  ed  un  Giovanni,  e  Caterina,  che,  vedova  di  Giorgio 
Difnico  di  Cipriano,  donava  nel  70  la  propria  dote  al  figlio  Si- 
meone, frate  osservante,  perchè  andasse  a  studio  in  Francia,  e 
faceva  testamento  nel  77. 

Cipriano  Difnico  fu  il  padre  de'  fratelli  da'  quali  si  propagò 
in  tre  rami  la  famiglia;  ragguardevole  uomo,  de' sei  incaricati  nel 
1385  a  comporre  la  differenza  per  il  rettorato  di  Sebenico  tra 
Raffaele  de  Sorba  e  Lodovico  de  Georgiis.  Tutti  e  tre  i  fratelli, 
sempre  fedelissimi  ed  ossequentissimi  alla  Repubblica,  per  il  cui 
onore  e  stato  non  dubitarono  esporre  dovunque  sé  e  la  vita  ad 
ogni  pericolo  -).  Giorgio  del  I  ramo,  marito  di  Caterina  Tavileo 
testé  mentovata,  dal  1420  al  51  é  più  volte  giudice  della  Corte 
maggiore  ;  nel  testamento  del  67  fa  legatari  il  Duomo,  S.  Fran- 
cesco, il  monastero  delle  nobili  di  S.  Salvatore,  S.  Croce  dì 
Crappano,  i  poveri  lebbrosi  di  S.  Martino  e  muore  queir  anno, 
premortogli  il  figlio  Cipriano,  che  nel  41  aveva  sposato  Caterina 
di  Dessa  di  Giacomo  e  che  nel  55  e  nel  61  incontrasi  esamina- 
tore del  Comune.  Simeone  del  II  ramo,  dal  1443  al  49  più  d'una 
volta  giudice  della  Corte  maggiore  ;  nel  46  de'  cinque  deputati 
alla  Cisterna  magna,  che  li  10  gennaio  insieme  al  conte  Valla- 
resso  e  sua  curia  stipulano  il  contratto  per  costruirla  con  Gia- 
como Correr  dalle  Cisterne,  e,  poco  prima  del  62,  insieme  col 
fratello  Niccolò,  posti  cento  villici  nel  tenere  di  Scardona,  che 
abitassero  e  lavorassero  nella  vallata  di  S.  Caterina  ^).  Niccolò 
del  III  ramo    é  imparentato  anch'  egli  co'  Tavileo    per  la    prima 


1)  F.  A.  Galvani.  Re  d'Armi  Voi.  1  pag.  200. 

2)  In  ducale  10  maggio  1471  nel  Libro  Rosso,  carte  370,  e  trasunto  in 
Rivista  Dalmatica  An.o  V  fase.  1,  1909  pag.  32. 

3)  Codice  Difnico  N.o  349  pàg.  298  e  Rivista  Dalmatica  An.o  v  fase.  I 
pag,  28. 


23 


moglie  Nicoletta  nata  da  Giorgio  di  quel  casato  ;  dal  41  al  48 
sovente  giudice  della  Corte  maggiore  ;  nel  71  neir  ufficio  d'  in- 
terprete, in  grazia  de'  meriti  e  per  rifarlo  de'  danni  recatigli  ne' 
poderi  da'  Turchi  ;  padre  di  numerosa  figliuolanza. 

Saraceno  di  Niccolò  è  dell'antica  famiglia  de  Saracenis  ^). 
Suo  padre  nel  1446  fra  i  cinque  e  nel  50  fra  i  tre  provveditori 
alla  costruzione  della  Cisterna  magna,  e  Saraceno,  nel  47,  allorché 
si  allogano  agli  scultori  le  dodici  armi  sulle  quattro  corone  di 
quella,  è  de'  tre  chiamativi  a  dar  parere  e  consiglio  e,  nel  52, 
degli  operari  alla  fabbrica  del  Duomo.  Aveva  sposato  Margarita 
Difnico  di  Giorgio. 

Simeone  Gliubich,  primo  da  cui  in  Sebenico  incomincia  la 
genealogia  certa  della  famiglia,  nel  1451  è  giudice  della  Corte 
maggiore  e  fino  al  65  frequenti  volte  esaminatore  del  Comune. 

La  famiglia  de  Mirsa,  od  altrimenti  Toscani  ^),  diede  al 
Duomo  due  oblatori  a  vita  con  eguale  importo  :  Tomaso,  che 
aveva  testato  nell'  ottobre  dell'anno  innanzi,  e  suo  figlio  Martino, 
de'  quali  non  so  pili  che  tanto.  L'  ultimo  Toscani,  che  incontro, 
è  del  1735,  Antonio,  giudice  della  confraternita  del  Carmine,  il 
cui  altare  in  Duomo  è  appunto  nella  IX.^  cappella  allogata 
all'  Orsini. 

Giacomo  Nicolini  o  de  Nicolinis,  dal  1441  ài  59  rinvengo 
tre  volte  esaminatore  del  Comune  ;  nel  47  procuratore  di  S.  Do- 
menico, e  nel  48  giudice  della  Corte  maggiore  e  stipulante  con- 
tratto di  società  per  spezierie  con  1'  Orsini  e  col  cognato  di  lui 
Pietro  da  Monte  ^).  Patrono  nella  confraternita  di  S.  Giovanni 
del  Monte,  i  figli  suoi  Gregorio  e  Bernardo  cedono  a  quella  nel 
1485  i  redati  diritti  del  patronato  perch'  essa  assuma  l'  obbligo 
di  riedificare  la  chiesa  di  S.  Trinità,  cadutine  i  muri  li  25  marzo 
di  queir  anno. 


1)  Che  sia  così,  m'  offre  prova  indubbia  anche  la  cappella  in  Duomo, 
la  IV. a  già  indicata,  dove  oggi  è  1'  antica  imagine  della  Madonna  della  Sa- 
lute. Denominata  da  ser  Saraceno  di  Nicolò  nel  contratto  con  1'  Orsini,  nella 
lista  di  questi  oblatori  ed  in  un  contratto  del  notaio  Antonio  Campolongo 
de'  13  giugno  1448  stipulato  ante  altare  cappellae  ser  Saraceni  Nicolai,  la  si 
trova  in  atti  posteriori  appellata  cappella  illorum  de  Saracenis  (27  aprile 
1536,  not.  Guerino  Tranquillo);  il  suo  rettore,  prete  Giovanni  de  Liniciis,  è 
rector  seu  cappellanus  et  altarista  altare  S.c^  Mariae  cappellae  Saracenorum 
(6  luglio  1552,  not.  Giambattista  Zavoreo)  e  vi  è  il  benefizio  della  B.  V.  de 
Saracenis  di  cui  esiste  V  altare  in  questa  Cattedrale  (21  agosto  1789,  not. 
Natale  Semonich). 

2)  In  atto  10  febbraio  1478  del  not.  Ant.  Campolongo  si  nominano 
Tomaso  e  Nicolina  del  qm.  ser  Martino  Toscani  o  de  Mirsa.  E  gli  appunti 
genealogici,  che  ho  sotto  ambi  i  cognomi,  si  corrispondono. 

5)  F.  A.  Galvani.  Re  d'Armi  Voi.  I,  pag.  159. 


24 


La  famiglia  Draganich  o  de  Draganis  ^)  ha  due  oblatori  a 
vita  con  mezzo  ducato  ognuno  :  i  fratelli  Stefano  e  Niccolò,  nati 
da  Michele.  Stefano  nel  1441  è  giudice  della  Corte  maggiore  ed 
esaminatore  del  Comune  e,  nuovamente,  nel  52  in  quella  carica 
e  nel  74  in  questa;  operario  della  fabbrica  del  Duomo  nel  52  e 
54  ;  concessionario  di  saline  a  Morigne  nel  50  per  la  fedeltà  sua 
e  per  i  meriti  provati  ;  oratore  nel  60  a  Venezia,  morì  prima  del 
77  lasciando  otto  figliuoli.  Niccolò  nel  1448  e  52  giudice  della 
Corte  maggiore;  nel  79  esaminatore  del  Comune;  patrono  in  3. 
Maria  di  Zlarin  ;  nel  54  procuratore  del  Duomo;  nel  78  procu- 
tore  di  S.  Domenico,  fece  testamento  nel  85  con  molti  pii  legati. 
De'  suoi  due  figli,  Pietro,  sopracomito  della  galera  Sebenicese  e 
possessore  di  gran  parte  del  territorio  di  Zlosella  da  lui  compe- 
rato, donò  nel  1511  a'  Francescani  del  terzo  ordine  lo  scoglietto 
di  S.  Stefano  nel  vallone  di  Machirina,  obbligandosi  a  costruirvi 
chiesa  e  convento. 

Altra  famiglia  con  due  oblatori  è  la  de  Giovanni,  de'  quali 
Dobroio  con  mezzo  ducato  e  Marco  con  quanto  e  come  nel 
Libro  della  fabbrica.  Questi  nel  1448  ne  fu  procuratore,  né  pili  so 
di  lui.  Dobroio  era  avvocato,  e  lo  si  trova  operario  di  quella 
nel  52  e  54.  Procuratore  di  S.  Domenico,  stipula  contratto  nel 
43  con  maestro  Niccolò  qm.  Vladano,  pittore  e  intagliatore  di 
Sebenico,  per  l'ancona  e  per  il  tabernacolo  della  cappella  di  S. 
Maria  in  quella  chiesa  e,  nel  52,  riceve  dalla  scuola  di  Valverde 
per  conto  di  maestro  Doimo  di  Marino,  pittore  di  Spalato,  l'im- 
porto dovutogli  per  una  bandiera  nuova  che  aveva  dipinta.  Ora- 
tore a  Venezia  con  Elia  di  Lorenzo  de'  Lignicei,  impetra  li  27 
agosto  43  che  i  due  medici  del  Comune  ed  il  rettore  delle  scuole 
siano  esenti  da  decima  e  da  terratici,  e  li  6  maggio  48,  di  nuovo 
col  collega  dell'  ambasciata,  è  deputato  dal  Comune   per  trattare 


1)  Da  un  Dragano,  da  cui  nella  seconda  metà  del  secolo  XIV  ha  prin- 
cipio accertato  1'  albero  della  famiglia  Sebenicese,  e  che  da  Caterina  Bo- 
chine  di  Traù  ebbe,  tra  i  cinque  figli,  un  Gregorio,  cavaliere  aurato,  un 
Vulchsa,  arcidiacono,  magister  sacrae  scripturae  e  notaio,  e  Stefano,  parti- 
giano e  famigliare  di  Ladislao  d'  Ungheria  e  di  Sicilia.  Esso  re,  con  diploma 
21  agosto  1402  da  Napoli,  in  ricognizione  de'  servigi  prestatigli,  diede  una 
investitura  viro  nobili  Stephano  de  Draganis  di  ville  e  possessi  della  sua 
corona  situati  parte  nel  comitato  di  Luca,  parte  sotto  il  monte  Radini. 
Questo  Stefano  è  nonno  de'  due  fratelli  Stefano  e  Nicolò.  Stephano  Dragoni 
è  nel  Trattato  ms.  dello  Zavoreo,  pag.  28  e  29;  cognome  della  famiglia,  de 
Draganis,  ne'  documenti  :  26  marzo  1478  et  passim  (not.  Antonio  Campo- 
longo);  10  novembre  1484  (cod.e  Difnico  N.o  93);  1488—92  et  passim  (not. 
Martino  Campellis  de  Gaivanis);  21  marzo  1491  e  14  aprile  1497.  (Libro 
Rosso,  car.  251  e  198);  30  sett.  1501  (Fasc.o  Difnico  An.o  1605  Sommario  in 
causa  di  vini,  ecc.,  pag.  20)  ;  14  genn.  1507  (not.  Anonimo)  ;  31  dee,  1564, 
31  genn.  1565,  29  sett.  1569,  11  genn.  1573  (Libro  de'  Consigli),  ecc.  ecc. 


25 


a  Nevest  con  Biagio,  conte  de'  Morlacchi  e  delegato  del  bano 
Pietro,  circa  i  molti  danni  e  le  ingiurie  e  le  ruberie,  che  i  sud- 
diti del  bano  ed  i  Morlacchi  facevano  a'  cittadini  ed  a'  distrettuali 
di  Sebenico  ^). 

1  due  oblatori  seguenti  promisero  a  vita  due  ducati  per 
ciascuno. 

Tomaso  Tomassevich,  milite,  cavaliere  e  nel  1467  sopraco- 
mito  della  trireme  Sebenicese  ch'egli  aveva  armata  e  che  capitanava 
col  fratellastro  Florio  di  Giovanni  Toboleo,  lo  s'  incontra  dal  47  al 
62  tre  volte  giudice  della  Corte  maggiore.  Nel  testamento  che, 
vedovo  di  Maria,  fece  li  5  marzo  63,  instituita  erede  universale 
la  figlia  Caterina  e  ricordati  i  fratelli  materni,  lascio  legati  al- 
l' ospitai  grande  di  S.  Salvatore  in  città  ed  a  quello  de'  lebbrosi 
fuori  a  S.  Martino  ed  ordinò  si  fabbricasse  a  Sebenico,  intitolan- 
dola a  S.  Pietro  martire,  una  chiesa  e,  contiguo,  un  monastero 
di  monache  osservanti:  commissari  del  testamento,  i  patrizi  Ve- 
neti Pietro  e  Gabriele  di  Andrea  Tiepolo  -). 

Stefano  Tiscovich  è  tra  i  nuovi  nobili  eletti  dal  primo  Con- 
siglio dopo  la  dedizione  a  Venezia;  nel  1414  votante  come  pa- 
trono di  S.  Lorenzo  di  Morigne. 

Oblatori  di  un  ducato  a  vita  i  seguenti. 

Radoslao  Micateo,  che  fondò  la  chiesa  di  S.  Benedetto, 
compita  da  suo  figlio  Ambrogio,  come  accennerò  più  innanzi  ^), 
e  che  aveva  voce  di  patrono  in  S.  Lorenzo  di  Morigne  ed  in 
S.  Maria  di  Zlarin,  fu  col  fratello  Niccolò  tra  gli  estrinseci  ;  con 
lui  nel  1412  riebbe  la  patria,  e  per  volonterosi  e  gratuiti  servigi 
meritò  bene  della  Repubblica. 

Michele  Simeonich  di  Niccolò  fu  il  capostipite  de'  sei  rami 
ne'  quali  si    scompartì    la  famiglia.    Milite    e   cavaliere,    la  Corte 


1)  Rivista  Dalmatica  An.o  IV  fase.  II.  1908  pag.  181. 

2)  E  la  chiesa  fu  fatta:  Io  provano  atti  notarili  stesi  ivi  presso:  li  26 
giugno  1528,  Adam  Sibenici  ad  marinam  sub  fabbrica  ecclesiae  S J  Petri  {not 
Guarino  Tranquillo);  li  22  sett.  1534,  ad  marinam  prope  cappellam  SJ Petri  a 
sanitate  (not.  Donato  Tranquillo);  li  4  febbraio  1538  in  litore  maris  prope 
ecclesiam  SJ  Petri  (not.  Cornelio  Bonino);  19  genn.  1551  extra  muros  Sibe- 
nici prope  cappellam  ecclesiae  SJ  Petri  (not.  Giambattista  Zavoreo)  e  simile 
del  notaio  stesso  li  5  luglio  1553.  Traggo  questa  notizia  da  noterelle  inedite 
del  dolt.  F.  A.  Galvani.  Oggi  non  ne  si  sa  altro. 

=^)  Vedi  qui  nota  1  del  I  documento.  —  Radoslao  era  probabilmente  fra- 
tello di  Jacopo,  che  il  1  maggio  1435  s' incontra  abate  di  S.  Niccolò  del  porto 
e  morì  li  12  marzo  1445.  Gli  succedette,  avutone  il  possesso  li  19  aprile  di 
quell'anno,  Fra  Stefano  Bilicich,  autore  d'una  cronachetta  di  Sebenico  oggi 
a  Monaco  di  Baviera  e  di  una  trattatello  De  Vita  Solutis,  e  che  li  4  no- 
vembre 1451  andò,  provicario  in  nome  del  cardinale  Niceno,  a  Spalato  nel 
monastero  di  S.  Stefano  de  Finis. 


-26 


maggiore  lo-  ebbe  de'  giudici  nel  1447  e  51  ;  Venezia  lo  eleggeva 
sopracomito  della  galera  Sebenicese,  abbenchè  ne  revocasse  la 
nomina  il  1  agosto  del  49,  subito  venutole  quel  giorno  il  reclamo 
contro  1'  elezione,  che  privilegio  era  del  Consiglio,  ed  a  Venezia 
l'anno  poi  venne  oratore  del  Consiglio  in  molto  importante  amba- 
sceria. Insieme  con  Ambrogio  Micateo,  nipote  suo  dalla  sorella,  ot- 
tenne un'investitura  ereditaria  in  Campo  grande  di  Morter  perchè 
entrambi  in  molteplici  guise  e  senza  premio  avevano  servito  all'onore 
della  Repubblica,  sotto  la  cui  ombra  desideravano  vivere  e  morire  ^). 
La  vedova  Pria,  legatrice  di  tutta  la  sua  dote  al  Duomo  perchè 
vi  si  erigessero  la  cappella  e  1'  altare  del  Crocifisso,  lo  fece  in- 
sieme col  vescovo  Sisgoreo  commissario  del  suo  testamento.  Da 
.lui,  nel  giugno  del  55,  Giorgio  Orsini  acquistò  la  casa  in  calle 
S.  Gregorio  dove  il  grande  artista  abito  e  morì. 

Giovanni  Mlednich  o  Mladenis  nel  1443,  46,  51  è  giudice 
della  Corte  maggiore;  nel  49,  della  commissione  de'  cinque  per 
le  costruzioni  delle  mura  e  delle  torri.  La  madreregola  di  Valverde 
lo  registra  nel  numero  de'  confrati  nobili. 

Gasparo  Jurissich,  milite  è  nel  1434  e  62  de'  giudici  della 
Corte  maggiore.  Furono  suoi  eredi  i  fratelli  Niccolò  e  Girolamo 
Vitturi,  nobili  di  Traù.  La  famiglia  era  tra  le  patronali  di  S.  Lo- 
renzo di  Morigne.  Prete  Gregorio  qm.  Michele,  probabilmente  suo 
zio  paterno,  instituì  nel  1409  un  beneficio  per  il  rettore  di  S.  Gre- 
gorio donando  a  quella  chiesa  una  sua  casa  contigua  ed  una  vigna. 

Oblatori  di  mezzo  ducato  a  vita. 

Bartolo  Porzio  il  maggior  -)  era  figlio  di  quel  Niccolò,  che 
insieme  con  Giovanni,  assai  probabilmente  suo  fratello,  venne 
fatto  del  Consiglio  nel  1412.  Bartolo  s'incontra  nel  79  stimatore 
del  Comune.  Addì  2  marzo  1490,  egli  a  capo  e  Niccolò  Tavileo 
ammiraglio  e  Pietro  Tollimerio,  confrati  della  Madonna  del  Monte  o 
del  Castello,  chiedono  ed  ottengono  da  Ettore  de  Franciscis,  vicario 
del  vescovo  Luca  de  Tollentis,  la  facoltà  ch'essa  scola  potesse  eri- 


1)  Rivista  Dalmatica  An.o  V,  fase:  I.  1909,  pag.  25. 

-)  Questo  è  il  cognome  originario;  argomento  inoppugnabile,  il  Libro 
de'  Consigli,  allorché  li  29  settembre  1602  ammettendovisi  Pietro  Porzio  ed 
attestando  Giorgio  qm.  Girolamo  Ferro  dell'  età  legale  di  lui,  cosi  ne  si 
scrìve  il  cognome  e  ne  si  dà  anche  la  derivazione  genealogica,  a  questo  modo 
indicata:  Pietro  (l'ammesso)  qm.  Giovanni  qm.  Bartolo  qm.  Giovanni  qm. 
Bartolo.  Un  Bernardino  Porzio,  figlio  di  Bartolo  e  scritto  così,  era  vicario 
del  vescovo  Giovanni  Stafileo,  come  leggo  in  doc.o  30  giugno  1521.  Al  tempo 
de'  documenti  presenti,  v'erano  due  omonimi:  questo,  figlio  di  Nicolò,  detto 
anche,  il  maggiore,  ed  un  altro,  figlio  di  Giovanni,  detto  anche  il  minore. 
Il  primo  è  qui  distinto  col  nome  paterno  soltanto  e  ne  si  scrive  il  cognome 
Sforcich.  1  Porzio  volgarmente  erano  detti  Sporcei  o  Sporcich,  ed  assai 
spesso  in  ambe  le  forme  li  s' incontrano  scritti. 


27 


gere  del  proprio,  contigua  airedifizio  di  sua  residenza,  la  chiesa 
nuova^),  espostogli  prima,  tra  altro,  che  da  ben  282  anni  la  scola 
ebbe  principio  con  le  offerte  de'  cittadini  e  che  fin  d'allora  pos- 
sedeva regola  scritta. 

Giovanni  di  Niccolò  Veranzio  ^'),  nella  prima  notizia  che 
trovo  di  lui,  mi  si  appresenta  con  un  atto  di  sentimento  amoroso 
della  religione  e  dell'arte:  egli  a  capo  e  Simeone  Sisgoreo  e  Gio- 
vanni Camenarich  commettono  nel  1436  per  1'  anzidetta  scola, 
allora  in  S.  Grisogono,  una  croce  d'  argento  col  suo  pennone, 
dato  a  figurare  a  maestro  Andrea  depentor,  e  col  suo  paramento, 
e  vanno  facendo  una  colletta  in  sussidio  della  spesa  -^).  Sopra- 
stante co'  due  colleghi  nobili  all'  opera  gentile,  egli  del  43  e  47 
è  degli  operari  della  scola,  nel  50  superiore,  nel  47  e  53  giudice. 
Era  del  Consiglio  anche  nel  44  ^).  Sposò  Agnesina  di  casa  Gam- 
bara,  nobile  Veneziana.  De'  tre  figli  maschi  eh'  ebbe  da  lei.  An- 
tonio doveva  essere  avo  del  primate  e  viceré  d'  Ungheria,  e  bi- 
sava  di  Fausto,  1'  autore  delle  Macchine  Nuove,  entrambi  splen- 
dide glorie  di  Sebenico, 

I  Dragoevich  erano  in  tanto  odio  de'  cittadini  che  nel  1412, 
ne'  patti  della  dedizione  a  Venezia,  li  avevano  voluto  tutti  quanti 
essi  si  fossero  della  detestata  progenie,  perpetuamente  banditi  da 


1)  Valverde.  La  patente,  che  ne  concede  l'erezione,  è  nella  Matricola 
della  sua  confraternita  tra  il  foglio  cartaceo  di  guardia  ed  il  primo  membra- 
naceo, e  ne  si  legge  un  trasunto  in  Rivista  Dalmatica  An.o  V,  fase."  II.  1910. 

2)  Scrivo  il  cognome  come  lo  scrivevano  nelle  opere  loro  i  Veranzio 
Antonio  (1504—1573)  e  Fausto  (1551  —  1617);  come  lo  portano  tuttodì  i  Dra- 
ganich  unito  col  proprio  dal  1737  in  poi;  come  lo  si  legge  ne' diplomi,  nelle 
iscrizioni,  nella  massima  parte  de'  documenti,  nella  vita  di  Antonio  dettata  da 
Fausto  e  nel  ritratto  di  Antonio  neir  età  sua  di  52  anni,  dove  nel  fondo, 
allegoria  del  suo  carattere  fermo  ed  etimologia  del  cognome,  è  figurata  una 
vera  (anello,  nel  dialetto  veneto-dalmato)  col  suo  grande  diamante  diritto 
in  cima  ad  uno  scoglio  rupestre  sbattuto  da'  marosi  infurianti. 

3)  Archivio  di  Valverde,  Voi.  N.o  VI  (1433—54)  carte  10,  72  e  passim. 
—  Altri  ne  giudichi  come  voglia:  a  me,  che  cosi  posso  salvare,  altrimenti 
perduta,  una  notizietta  patria,  è  debito  anche  di  gratitudine  domestica  far 
menzione  di  un  mio  antenato,  maestro  Stefano  orese,  che  dà  un  ducato  d'  oro 
per  la  croxe  d' arzento.  Nato  da  Giovanni  Milgosto,  fece  costruire  nella 
chiesa,  oggi  S.  Barbara,  la  cappella  di  S.  Stefano,  vi  pose  1'  altare,  si  pre- 
parò la  sepoltura  ed,  a  mantenervi  il  culto,  col  testamento  20  agosto  1437 
istituì  il  beneficio  intitolato  anch'esso  dal  santo  del  suo  nome;  beneficio  in 
campagne  e  nella  metà  de'  redditi  della  casa  (oggi  Dalle  Feste)  presso  Porta 
grande  di  terraferma,  l'altra  metà  alla  mentovata  scola  in  S.  Grisogono  allora. 

4)  Ma  non  aggregatovi  allora,  come  dice  nel  Re  d' Armi  il  dott.  Gal- 
vani, che  forse  lo  scambia  con  altro  omonimo  di  quel  tempo,  o,  più  facil- 
mente, scambiò  le  cifre  della  data.  Che  vi  sia  stato  ascritto  nel  34? 


28 


Ogni  terra  e  luogo  del  Ducale  dominio,  e  tutti  i  beni  loro  confi- 
scati e  venduti  ;  se  non  che  Venezia,  a  condizione  dell'  assentire 
a  tale  patto,  volle  previi  processo  e  sentenza  e  limitato  il  bando 
a  sola  la  città  e  il  territorio  di  Sebenico.  Seguiti  in  pochi  giorni 
il  processo  e  la  sentenza,  che  subito  venne  anche  eseguita,  pena 
la  morte  a  chi  interceduto  avesse  per  i  condannati,  unico  andò 
assolto  Michele  e  risparmiata  la  sua  famiglia.  Raffaele  Dragoevich, 
oblatore  del  Duomo  nel  44,  era  di  quella  progenie,  era  figlio  di 
quel  Michele,  e  per  la  moglie  Nicoletta  era  genero  di  Radicchio 
Sisgoreo.  Di  lui  non  so  altro,  se  non  v'  aggiungessi,  che  aveva 
una  torre  in  Ogorilice  del  Campo  inferiore  e  che,  dopo  la  prima 
generazione  cessando  la  sua  famiglia,  cessò  con  essa  anche  il 
primo  de'  tre  rami  della  progenie. 

Civitano  Gerisicich  ^)  è  nel  1447,  de'  tre  chiamati  a  dar 
parere  e  consiglio  per  le  corone  stemmate  della  Cisterna  magna, 
e  nel  49,  de'  giudici  della  Corte  maggiore. 

I  seguenti  sono  oblatori  per  dieci  anni  :  il  primo,  di  un 
ducato  e  gli  altri,  di  mezzo. 

Jacopo  Naplavich  o  Naupleo,  come  lo  scrive  il  poeta 
Giorgio  Sisgoreo,  che  seco  lui  traduceva  in  latino  i  proverbi  del 
popolo,  e  che  lo  dice  uomo  dotto  e  facondo,  era  avvocato  ;  dal 
1447  al  78  lo  incontro  quattro  volte,  e  ne  sarà  stato  più  altre, 
giudice  della  Corte  maggiore  ;  nel  48,  procuratore  del  Comune, 
e  nel  62,  nunzio  a  Venezia  con  due  colleghi  per  ottenere  con- 
ferma delle  leggi  stabilite  dalla  Comunità  dal  1413  in  poi;  leggi, 
che,  annullate  cinque,  le  altre  si  confermarono  -).  Nel  52  è  pro- 
curatore della  fabbrica  del  Duomo  ;  nel  77,  operano.  Nel  46  è 
de'  cinque  deputati  per  la  costruzione  della  Cisterna  magna  e 
quando  ne  si  stipula  il  contratto  con  l'artefice.  L'ospitale  grande 
di  città  e  quello  de'  lebbrosi  gli  danno  nel  75  mandato  di  ricu- 
perare i  legati,  che  in  prò  loro  eransi  fatti,  e  nel  78  è  procura- 
tore del  Lazzaretto.  Sposò  in  secondi  voti  la  gentildonna  Daria 
Vitturi  di  Traù  e  morì  li  25  luglio  1482  senza  prole. 

Giovanni  Camenarich  "^)  si  è  ricordato  con  Giovanni  Ve- 
ranzio  nella  colletta  per  la  croce  d'  argento  della  Madonna  del 
Monte;  nel  46  guardiano,  nel  53  procuratore  di  quella  scola. 

Paolo  Nigoevich,  altrimenti  Petrevich  ^)  si  può  di  leggieri 
scambiare  con  altri  omonimi  del  secondo  casato  viventi  quel  se- 


1)  Ovvero  Gersicich  e  Gersinich.  La  lezione  del  testo  è  nel  documento. 
Questa  famiglia  è  facile  a  confondere  co'  Garsanis  e  co'  Grisanis  o  Grisa- 
nich  0  Grisaneo. 

2)  Ducale  5  marzo  1462  di  Pasquale  Malipiero  nel  Libro  delle  Rifor- 
mazioni, cap.o  286,  Statuto  di  Sebenico. 

^)  Parecchie  volte  leggesi  anche  Camerario. 

'»)  Paolo  Petrevich,  alias  dicto  Nigoevich  de  Sibenico,  leggesi  li  27 
maggio  1448  in  atti  del  not.  Ant.  Campolongo.  —  Lo  Zavoreo  fa  i  Petrevich 


29 


colo.  Questi  pare  figlio  di  Niccolò,  come  lo  si  scrive  col  secondo 
cognome  e  fungente  da  testimonio  nel  contratto  dell'  acquisto 
che  fa  r  Orsini  nel  giugno  del  1455  della  casa  a  S,  Gregorio. 
Ed  esso  medesimo  nel  51  era  giudice  della  Corte  maggiore.  I 
Nigoevich  avevano  voce  di  patrono  ne'  già  rammentati  benefici 
di  Morigne  e  di  Zlarin. 

Elia  di  Lorenzo  de'  Lignicei  ^),  così  denominato  dall'  avo 
capostipite  a  Sebenico,  fu  nel  1438  de' tre  compilatori  delle  Rifor- 
mazioni allo  Statuto  patrio,  esaminate  nel  termine  di  tre  mesi  tutte 
le  leggi  pubblicate  e  riformate  sino  allora  ;  con  Dobroio  de  Gio- 
vanni, come  si  è  accennato,  del  43  oratore  a  Venezia  e  del  48 
commissario  a  Nevest,  e,  da  solo,  li  29  agosto  di  quello  stesso 
anno  48,  oratore  al  Doge  con  cinque  capitoli,  che  dichiarò  multa 
cani  pmdentia  et  ordine;  nel  49  de'  cinque  deputati  alle  torri  e 
alle  mura  e,  prima  e  dopo  d'  allora,  più  volte  giudice  della  Corte 
maggiore  ed  in  altre  civiche  cariche.  Esercitatisi  in  molte  guise 
egli  e  suo  padre  ne'  servigi  della  Republica,  ebbe  un'  investitura 
di  beni  campestri  nel  48  a  Zuri  e  nel  51  a  Morter,  per  sé  ed 
eredi. 

Di  Mauro  de  Rasolis  ^)  altro  non  so,  tranne  che,  probabil- 
mente mercante,  aveva  una  marcelliana  (specie  di  nave  mercan- 
tile) ed  era  padre  di  Stefano,  prete,  che  nel  1444  fu  beneficiato 
di  S,  Maria  di  Stomorie,  od  alùimenti  Verpoglie  in  Campo  d'ab- 
basso, per  voto  de'  coniugi  Simeone  Difnico  e  Lucia  Marinis, 
entrambi  di  famiglie  fondatrici  di  quel  beneficio. 

Di  Lorenzo  Dominici,    dianzi  rammentato  a  proposito  della 


originari  di  Scardona.  Un  Paolo  nel  1402  è  de'  cinque  deputati  dal  Consiglio 
allorché  si  assegna  la  dote  per  la  fabbrica  del  Duomo  e,  nel  1403,  de'  quattro 
rettori  della  città  convenendosi  la  lega  fra  Sebenico  e  Traù.  Un  Paolo  nel 
1446  é  notaio  di  Scardona.  Un  Paolo  nel  1477  e  78  é  procuratore  della  fab- 
brica della  Cattedrale  di  Sebenico  ;  nel  78  e  90  giudice  della  Corte  mag- 
giore ;  nel  78  conduttore  nel  contado  di  Sebenico  degl'  introiti  del  vescovado 
di  Scardona;  nel  79  procuratore  del  Lazzaretto;  nel  81  e  dal  89  al  94  esami- 
natore del  Comune  ;  nel  84,  94,  99  e  1501  operano  del  Duomo  ;  nel  90  de'  due 
procuratori  del  vescovo  Luca  de  Tollentis,  allora  a  Roma  ;  nel  91  de'  com- 
missari del  Comune  al  conte  del  castello  di  Clicevaz  ;  nel  93  con  Paolo, 
figlio  dell'  Orsini  defunto,  conduttore  delle  prebende  di  Jacopo  Gradenigo, 
patrizio  Veneto  e  canonico  di  Sebenico.  Ed  altri  Paolo  sino  alla  fine  del 
secolo  XVI. 

^)  Così  più  frequentemente;  ma  del  pari  de  Ligniciis,  Linitiis,  Lignicis, 
Ligniceo  e,  come  nel  documento  degli  oblatori,  Lignicich.  Elia  è  talora  co- 
gnominato di  Lorenzo  o  de  Laurentiis. 

2)  Il  documento  degli  oblatori  reca  veramente  Quarco  de  Razolis,  ma 
in  sei  altri  documenti  leggo  Mauro  o  Moro  ed  in  tre  Rasolis,  in  uno  Rosolis, 
sempre  la  persona  medesima. 


30 


III.^  cappella,  come  pure  di  Gregorio  Cremsich,  mercante,  di  Mi- 
chele qm.  Civitano  e  di  Giorgio  Ivetich,  che  si  obbligarono  a 
vita  per  un  ducato,  e  di  Niccolò  Mihovich,  Qhe  vi  si  obbligò 
per  due  lire  a  vita  e  di  Stefano  Marzenich,  che  a  dieci  anni  per 
un  ducato,  non.  offrono  più  che  tanto  i  miei  appunti,  né  altrove 
fino  adesso  ho  incontrato  notizia. 

Coteste  trentaseì  oblazioni  vennero  fatte  tutte  in  Consiglio 
la  domenica  nella  quarta  festa  di  Natale  del  1444,  meno  V  obla- 
zione di  Stefano  Tiscovich,  registrata  nell'  atto  e  soggiuntovi 
extra  Consilium  ;  indizio,  che  ne  saranno  seguite  anche  altre  da 
nobili  non  intervenuti  quel  giorno  all'  adunanza. 

Ma  chi  pensi  il  Duomo,  agevolmente  potrà  metter  la  trama 
neir  ordito  che,  pochi  e  sparti,  pur  valgono  a  porgere  questi 
cenni  de' nobili  Sebenicesi  d'allora;  il  Duomo,  l'opera  più  bella, 
di  cui  li  facevano  meritevoli  e  degni  le  virtù  ond'  erano  adorni 
e  le  altre  opere,  compiute  o  che  li  esercitavano,  di  bene  comune, 
di  carità  religiosa  e  civile. 

Successore,  dal  primo  tempo  del  nostro  Duomo,  a  nove 
rettori,  cinque  de'  quali  vi  hanno  memorie  scolpite,  vale  a  dire, 
in  istemmi,  Moisè  Grimani  ^)  e  Andrea  Loredan  sulla  facciata 
principale,  Jacopo  Gabriel  e  Marco  Erizzo  sulla  facciata  alla 
Piazza,  ed,  in  iscrizioni.  Fantino  Pesaro  lì  sulla  pergamena  degli 
angeli  dove  leggesi  Urbs  a  Fantino  regitur  Proconsule  digno  Pi- 
saurae  prolis  Venetum  dominante  Senatu,  quattro  anni  dopo  esso 
Conte  e  capitano  assai  benemerito,  veniva  a  Sebenico  nell'  ot- 
tobre del  1447  Cristoforo  di  Vittore  Marcello,  che,  assunto  il 
reggimento  della  città,  lo  tenne  fino  all'aprile  del  1451. 

Dello  storico  casato  originario  di  Roma  e  tribunizio  a  Ve- 
nezia, dove  crebbe  dogale  con  Niccolò  e  de'  più  cospicui  per 
secoli  fino  a  tutt'  oggi  in  ogni  nobile  benemerenza  con  sei  pro- 
curatori di  San  Marco,  con  parecchi  e  militi  celebri  e  illustri  pre- 
lati e  chiari  scrittori  e  con  tanti  altri  e  magistrati  e  mecenati  e 
uomini  e  donne  benefici  ;  Cristoforo,  nella  vita  sua  e  ne'  pregi 
ed  anche  ne'  troppo  angusti  termini  del  luogo,  del  tempo  e  delle 
circostanze  allorché  presiedeva  alla  cittadetta  nostra  in  nome 
della  Repubblica,  non  appare  da  meno  degli  antenati  e  di  quello 
eh'  erano  per  addivenirne  i  posteri.  Dei  Marcello  vanta  Sebenico 
sette  Conti  e  capitani,  de'  quali  egli  apre  il  primo  1'  onorevole 
schiera,  venutovi  secondo  della  famiglia  dopo  Benedetto,  che  nel 
1444  vi  fu  camerlengo;  cinque  castellani;  un  sindaco  provvedi- 
tore; un  canonico  poeta;  un  vescovo  di  Traù,  ch'erige,  fortilizio 
unico  a  riparo  di  tutti,  il  castello  di  Bossolina,  ed  un  vescovo 
della  Cattedrale  nostra,  che,  nel  formidabile  assedio  turchesco 
del  1647,  provvede  agli  assediati,  1'  incoraggia,    é  con  loro  dove 


')  Sto  col  Galvani,    che  nel  Re  d'Armi  lo  denomina  Moisè.   Il  Fosco 
ed  il  Graus  lo  dicono  Alvise. 


31 


più  disperatamente  si  pugna,  e  nella  pestilenza  seguitane  è  l'an- 
gelo della  carità. 

Veniva  a  Sebenico  Cristoforo,  vedovo  con  quattro  figliuoli, 
tutti  riusciti  poi  degni  del  padre  :  uno  capitano  generale  da  mar, 
uno  provveditore  generale  in  guerra,  uno  consigliere  e  provve- 
ditore più  volte  a  Verona  ed  a  Bergamo,  uno  arcivescovo  di  Ni- 
cosia.  Egli  nel  29  era  stato  podestà  e  capitano  a  Casalmaggiore  ; 
nel  36  ambasciatore  a  Costantinopoli,  e,  creato  cavaliere,  indi  a 
poi  al  governo  di  parecchie  città  della  Dalmazia  ;  per  merito 
della  virtù  sua  volontariamente  dedicatisi  alla  Repubblica  gli  abi- 
tanti di  Almissa. 

Oggi,  del  suo  rettorato  di  Sebenico,  vi  rimane  monumento 
lo  stemma  gentilizio  su  due  corone  della  monumentale  Cisterna  ^), 
da  lui  nel  primo  anno  coperta  ;  come  di  altri  Conti  e  capitani 
del  suo  casato  vi  era,  fino  a  pochi  anni  addietro,  lo  stemma  di 
Piero  (1501—03)  sugli  archivolti  di  tre  botteghe  presso  S.  Bar- 
bara, e  rimangono:  quello  di  Niccolò  del  fu  Zuanne  (1528 — 30) 
tra  i  cinque  a  marina,  già  nella  distrutta  Loggetta  ;  quello,  già  in 
S.  Domenico  ed  ora  su  d'  una  casa  prossima,  di  Paolo  del  fu 
Piero  (1559 — 61),  che  ornò  di  „bellissime  e  vaghe  pitture",  per- 
dute anch'esse,  la  Loggia  Grande  ;  la  statua  di  Niccolò  (1609-11) 
sui  Palazzo  del  Conte,  postagli  dalla  benevolenza  del  popolo 
grato-);  l'iscrizione  ricordante  Nicolò  di  Zorzi  (1643 — 46),  cin- 
que anni  or  sono  fattasi  visibile  sulla  facciata  di  S,  Spirito  al- 
lorché barbaramente  ne  s'  intonacò  e  colorì  la  parte  superiore, 
e,  del  vescovo  Alvise  (1635 — 53),  due  lapidi,  una  sulla  porta  di 
S.  Lucia  e  V  altra,  già  nella  chiesa  di  S.  Domenico  e  adesso,  ri- 
trovatasi da  cinque  anni,  sulla  scala  del  monastero. 

Di  Cristoforo  Marcello,  come  rimangono  monumento  i  due 
stemmi  nella  Cisterna  magna,  non  così  vi  poteva  essere  ricordo 
scolpito  nel  Duomo,  perchè  ne  si  era  sospesa  la  fabbrica  e  con 
essa  anche  la  serie  di  tali  sculture,  che  appena  dieci  anni  dopo 
il  1443  ricominciò  con  gli  stemmi  del  conte  Leonardo  Venier  e 
de'  vescovi  Sisgoreo  e  Vignaco  sopra  la  porta  de'  Leoni  ;  nel 
triennio  e  mezzo  del  reggimento  di  lui,  occorsa  la  crisi  econo- 
mica e  da  ultimo  scoppiata  la  peste.  Ma  quanta  parte  avesse 
egli  neir  edificazione  del  Duomo  e  con  quanto  zelo  vi  coope- 
rasse, si  fa  palese  da  ciò  che  apprendiamo  pur  da  que'  pochi 
atti  pubblici  sopravvissuti  che  si  conoscevano  e  da  questi  cinque 
che  ora  vengono  in  luce.  A  lui  non  guari  giunto  a  Sebenico,  fa 
capo  il  vescovo  nel  marzo  del  1448  per  annunziare  consumati  i 


^)  V.  qui  appendice  1. 

2)  Benevolentia  grati  populi  posuit,  come  vi  si  legge  appiedi.  Che  sia 
di  lui  quella  statua,  1'  ho  dimostrato  nel  A^.  Cronista  di  Sebenico.  An.o  IV. 
1896,  pag.  177. 


32 


danari  occorrenti;  da  lui,  addì  15  marzo  del  49,  si  ripubblica  la 
prima  volta  la  convenzione  delle  nove  cappelle  per  richiamare 
air  impegno  assunto  que'  nobili  che  non  per  anco  v'  avevano 
soddisfatto,  e  per  commissione  di  lui,  nel  suo  palazzo  ed  alla 
sua  presenza,  come  leggiamo  in  questi  documenti,  sono  convo- 
cati in  Consiglio  generale  settantaquaftro  nobili  ad  eleggere  i 
nove,  che  nel  termine  di  quindici  giorni  dovessero  studiare  e  si 
accordassero  a  bene  determinare  e  proponessero  gli  spedienti 
pili  opportuni  a  riprendere  la  fabbrica  interrotta.  De'  quali  prov- 
vedimenti, preso  il  dì  stesso  nelT  istesso  Consiglio,  uno  si  è 
quello  circa  i  beni  degli  intestati,  da  esserne  devoluta  una  parte 
a  beneficio  della  fabbrica.  Il  Consiglio  continua  tutto  il  mese  in 
due  altre  domeniche  ed  il  provvedimento  deliberato  è  una  tassa 
generale,  donde,  come  il  lettore  vedrà,  1'  aperta  gara  tra  i  nobili 
ed  il  clero.  Il  Marcello,  e  per  l'animo  e  per  il  tatto  esperimentato 
e  per  1'  alto  suo  ufficio,  certo  ne  doveva  essere  il  moderatore 
sapiente,  lo  spassionato  arbitro  vero,  il  conciliatore  riverito,  sep- 
pure, come  legalità  voleva,  ne'  altrimenti  avrebbe  valso,  la  sen- 
tenza ultima  fosse  stata  dal  Consiglio  discussa  e  proferta.  Co- 
munque siasi,  perocché  è  mio  proposito  offerire  i  documenti, 
non  commentarli,  1'  appello  del  vescovo  a  lui  con  l'  apostrofe  al 
Consiglio  certifica,  che  tale  il  vescovo  lo  considerava  e  invocava, 
ben  sapendo  le  solerti  e  provvide  sue  cure  per  il  Duomo.  Le 
quali  sortirono  ottimo  effetto  se,  lui  tuttavia  reggente,  ritornò, 
come  si  è  già  detto,  1'  Orsini  e  gli  si  contò  la  grande  quantità 
di  pecunia  per  le  pietre;  onde,  se  aspettassimo  il  Marcello  anche 
oblatore,  non  è  da  pensare  eh'  egli  ci  mancasse,  né  che  1'  offerta 
sua  fosse  minore  di  veruna  de'  nobili,  né  che  restato  avesse  di 
impetrar  sussidi  dalla  Repubblica.  Pur  troppo  le  sopraggiunte 
sciagure,  che  afflissero  Sebenico  nel  tempo  del  regime  di  lui,  ci 
tolsero  notizie  moltissime,  chi  sa  mai  quante  preziose  :  un  in- 
cendio, che  agli  8  maggio  1448  arse  quasi  del  tutto  la  città  ^),  e 
la  peste  con  la  mortalità  massima  nel  1450.  E  non  per  tanto, 
notabile  cosa,  il  regime  del  Marcello  in  confronto  a  quello  degli 
altri  Conti  e  capitani,  che  mutavansi  ogni  due  anni,  fu  il  primo 
sino  allora  e  de'  rarissimi  poi,  che  si  protraesse  :  un  anno  e 
mezzo  di  più  del  termine  ordinario,  e  già  elettogli  fin  dalli  12 
ottobre  del  49  il  successore:  nelle  difficili  congiunture,  ben  im- 
portante adunque  eh'  egli  ci  fosse.  E  lo  mostrano  anche  altre 
sue  benemerenze. 

Di  sole  cinque  torri  che  aveva,  ed  in  malo  arnese,  la  città, 


')  Testuali  parole  della  citata  cronachetta  di  Stefano  Bilicich,  e  notizia 
in  argomento  unica  da  me  incontrata  finora  :  Fuit  combusta  civitas  Sibenici 
quasi  in  totum.  E  della  peste,  il  medesimo  cronista  contemporaneo  :  1450. 
Fuii  mortalitas  maxima  in  Sibinico  et  in  dicto  millesimo  fuit  Jubileus  tempore 
papae  Nicolai  quinti. 


33 


tolse  egli  a  riparare  le  tre  dalla  parte  di  terraferma  ^)  princi- 
piando da  quella  di  S.  Francesco,  modello  alle  dieci  successive, 
da  lui  e  dal  Comune  chieste  ed  ottenute  nel  49  che  si  erigessero 
nuove,  allargando  tra  1' una  e  l'altra  il  cordone,  e  delle  quali 
eresse  egli  la  prima,  chiamata  probabilmente  col  suo  nome,  o 
ricordata  col  suo  stemma  o  con  qualche  iscrizione.  Occorreva 
premunirsi  dagli  Uiigheri,  e  già  per  lui  stavano  in  pronto  molte 
laudabil  provision,  tra  altre,  la  descrizione  di  quanti  vi  erano 
nella  città  e  nel  contado  balestrieri  ed  arcieri,  i  quali  tutti  de 
bona  vogia  comperarono  le  armi,  ed  ottenuto  aveva  dal  Go- 
verno 150  ducati  d'  oro  per  gì'  impotenti  a  comperarle  e  per 
altre  munizioni.  Ma  la  novella  che  un  capitano  degli  Ungheri 
sarebbe  calato  in  Dalmazia  e  specialmente  su  Zara  e  Sebenico, 
annunziava  del  pari  che  sarebbe  calato  occupando  con  voluntade 
de  ban  Piero  metà  del  Banadego  croato  -).  Esso  bano,  che  si- 
gnoreggiava in  quello,  da  pezza  per  molte  vie  e  modi  non  ces- 
sava de  molestar  e  robar  i  citadini  e  contadini  de  Sibenico,  ed 
era  la  tribolazione  de'  rettori  della  città,  promettitore  mendace, 
bisognoso  d'  Ungheria  e  di  Venezia  e  mal  fido  ad  entrambi,  da 
Venezia  poi,  che  lo  sperava  propugnacolo  contro  i  Turchi,  fa- 
vorito sempre,  benefica  a  lui  anche  dopo  morto,  con  la  tutela 
che  ne  prese  de'  figli.  Que'  giorni  più  che  mai  insolentiva  costui 
con  le  sue  prepotenze  :  saccheggiava  tre  ville,  che  un  suo  ca- 
valiere possedeva  nel  contado  Sebenicese,  per  differenze  avute 
con  lui  e  con  molti  de'  sottoposti  ;  angariava  i  contadini  di  Se- 
benico traenti  d'  estate  a'  monti  nel  suo  territorio  per  pascere 
gli  animali,  stringendoli, a  pagare  il  pascolo,  cosa  che  mai  non 
erasi  fatta  e  pretesto  a  lui  per  quindi  toglier  loro  senza  remis- 
sione r  intero  bestiame  e  spogliarli  del  tutto,  mentre  le  sue  genti, 
sopravvenendo  i  Turchi,  potevano  venire  e  venivano  con  le  robe 
e  con  gli  animali  nel  contado  nostro  senza  pagamento  veruno, 
eccettuati  i  Morlacchi  che,  per  usanza  antica,  pagavano  al  Co- 
mune per  il  pascolo  degli  animali  loro;  non  curava  i  patti  seco 
lui  conchiusi  da  Paolo  Vallaresso,    già    provvisore    in  Dalmazia, 


1)  Le  tre  torri  di  terraferma  si  denominavano  Jacovaz,  del  Bersaglio, 
di  Corizza,  come  raccogliesi  dal  contratto  per  ripararle  stipulato  li  30  de- 
cembre  1449,  in  atti  di  Ant.  Campolongo,  contraenti,  dall'una,  Dionisio  Giu- 
stinian,  vice  camerlengo,  e  i  cinque  nobiluomini  Sebenicesi  deputati  al- 
l' opera  dal  Conte  Marcello  e  dall'  altra  il  protomaestro  lapicida  Antonio 
Vlatcovich  di  Sebenico  e  suo  figlio  Michele. 

2)  Pietro  0  Pireo  de  Tolovaz  o  Taloviz,  Conte  di  Cetina,  che,  tra  gli 
altri  possessi,  teneva  il  castello  di  Ostroviza,  da  ultimo  perduto.  Per  quanto 
di  lui  si  accenna  nel  testo,  Cfr.  Monum.  Slavorum  Meridion.  Voi.  IX  pag.  96, 
114,  235,  277,  324,  354,  360,  395  e  Voi.  X  pag.  17,  29,  e,  per  la  sua  conven- 
zione circa  il  convegno  di  Nevest,  Rivista  Dalmatica  An.o  IV,  fasc.o  II,  1908 
pag.  181. 

5 


34 


pur  vantaggiosi  a  sé,  gravi  a'  sudditi  Veneti,  né  tampoco  curava 
ambasciate  e  sentenze  per  risarcimento  de'  danni'  perpetrati.  Cri- 
stoforo Marcello  s'  accordò  con  lui  d'  un  convegno  nella  villa 
Nevest,  dove  giudici  deputati  da  ambo  le  parti  avessero  a  ve- 
dere e  determinare  i  danni,  le  ingiurie  e  le  ruberie  commesse 
contro  i  cittadini  e  i  contadini  di  Sebenico  dentro  e  fuori  del 
distretto  e  le  soddisfazioni  da  darsi  ;  convegno,  che  più  volte 
prorogato  per  compiacergli,  o  perchè  i  delegati  suoi  non  erano 
comparsi  e,  finalmente,  con  atto  notarile,  fissato  per  li  25  mag- 
gio 1448,  ignorasi  se  avvenisse,  anzi  é  da  ritenere  che  no.  In 
quella  primavera,  fosse  prima  o  dopo  di  detto  giorno,  quasi  tutti 
sottoposti  al  ban  cusì  Morlachi  come  Crovati,  incorsi  i  Turchi,  erano 
scampati  con  le  robe  loro  e  con  gli  animali  nel  contado  di  Se- 
benico, commettendo  gran  danno  si  olii  ciiadini  e  contadini,  come 
nelli  pascoli  del  commune.  Venuti  senza  che  il  bano  ne  avesse 
chiesta  licenza,  ed  anche  per  costringerlo  al  risarcimento  debito 
da  prima,  il  Marcello  fece  sequestrar  certi  animali  di  Morlacchi 
per  farsi  pagare  il  pascolo  del  Comune,  ma,  prodotta  poi  dal 
bano  una  lettera  di  grazia  della  Repubblica,  li  restituì,  però  fat- 
tasi dare  promessa  scritta  del  pieno  risarcimento  dovuto.  La  let- 
tera suonava  che,  quando  occorresse  agli  uomini  del  bano  di  ve- 
nire, per  necessità  di  Turchi,  nel  contado  di  Sebenico,  potessero 
senza  pagameno  alcuno.  Sempre  retto  e  sagace  e  longanime  e 
animoso  il  Marcello,  non  trascurò  di  guardare  da  bano  Pietro  il 
paese  che  la  Repubblica  gli  aveva  affidato,  intanto  che  il  Con- 
siglio della  città,  esposte  al  Doge  e  al  suo  consesso  per  oratori 
le  cose,  domandava  modificata  la  lettera  di  grazia  ;  integra  sod- 
disfazione ai  danneggiati  ;  liberi  a'  nostri  i  pascoli  nel  banadego  ; 
nulli  per  Sebenico  i  patti  conchiusi  col  Vallaresso,  anche  perchè 
giuridicamente  spiratone  il  termine.  Di  queste  domande  abbiamo 
la  risposta  in  due  ducali  al  Marcello.  Con  la  prima,  inchiusagli 
copia,  gli  si  trasmette,  perchè  con  un  suo  nunzio  la  faccia  reca- 
pitare al  bano,  una  lettera  richiedente  in  efficacissima  forma  la 
soddisfazione  de'  danni  e  la  libertà  de'  pascoli,  commettendo  al 
Conte,  quanto  a'  pascoli,  di  trattare  i  sudditi  del  bano  al  modo 
pari  eh'  egli  sarà  per  trattare  i  sudditi  Veneti,  e,  quanto  alla 
soddisfazione  de'  danni,  di  curarla  con  que'  migliori  e  più  onesti 
spedienti  che  parranno  alla  prudenza  sua  consentanei  a  legge 
e  a  giustizia  e  troverà  essersi  osservati  da'  suoi  predecessori. 
Nella  seconda  ducale  lo  s'  incarica  di  scrivere  egli  medesimo 
al  bano  perchè  osservi  i  patti  che  ha  con  lui  la  Repubblica: 
se  non  li  osserverà,  avverta,  e  la  Repubblica  provvederà  essa 
come  saprà  che  bisogni.  D'  allora  in  poi  non  s'  incontrano  più 
querele  di  Sebenico  contro  bano  Pietro,  si  invece  che,  volgendo 
lo  stato  suo  a  rovina,  egli  più  volte  mandava  alla  Repubblica 
ambasciate,  per  invocare  favori  e  sussidi.  Fondata  poco  prima 
del  Marcello    la   villa  Siroche    in  quel  di  Bossolina,    il  provvido 


I 


35 


rettore  assegnò  a'  villici  susseguenti  che  vi  furono  posti  e  nella 
proporzione  data  a'  precedenti,  certi  tratti  di  terreno  ad  uso  di 
pascolo  pe'  loro  animali^);  assegnò  a'  villici  di  Zablachie  un 
tratto  boschivo  riservato  pe'  loro  animali  da  giogo,  ma  del  quale, 
in  dato  tempo  dell'  anno,  si  potessero  anche  servire  pe'  somieri 
i  conducitori  del  sale  -);  concedette  a  Stefano  Draganich  ed  eredi 
alcune  saline  in  Morigne,  che  le  racconciasse  e  ponesse  in  col- 
tura ^)  ;  investì  Elia  di  Lorenzo  de'  Lignicei  di  alcuni  terreni  nel- 
r  isola  di  Zuri  e  lui  ed  il  dottore  Ambrogio  Micateo  e  Michele 
Simeonich  di  altri  terreni  nell'isola  di  Morter,  salutari  ricognizioni 
di  meriti,  perchè,  in  caso  di  guerra  co'  Turchi,  già  infestanti 
terraferma,  ci  fosse  modo  di  riparare  nelle  isole  e  camparvi  la 
vita  ■*)  ;  a  compenso  dell'  avere  il  monastero  di  S,  Domenico 
ceduto  alcuni  fondi  per  la  Cisterna  magna,  impetrò  ad  esso  il 
feudo  di  Grabovci  e  Gachielesi  con  solo  l'obbligo  di  due  libbre 
di  cera  all'  anno  la  festa  di  S.  Marco  ^);  a'  legnaiuoli  di  barche  e 
navigli  ed  a'  calafati,  perchè  senza  impacci  ed  agevolmente  eser- 
citar potessero  le  arti  loro,  tra  le  principali  e  più  necessarie  in 
quel  tempo  alla  città,  diede  in  perpetuo  ed  esenti  per  sempre 
da  quale  siasi  pagamento,  un  nuovo  arsenale  col  suo  squero, 
avente  due  porte  grandi  per  1'  introduzione  e  per  1'  uscita  e  si- 
tuato a  marina  sotto  Porta  Dobrich  ^), 

Reggente  Cristoforo  Marcello,  il  Consiglio  della  città  votò 
alcune  deliberazioni  in  materia  civile  e  criminale,  edilizia  e  cam- 
pestre, commerciale  e  sanitaria,  talune  proposte  da  lui  e  sua  curia, 
tali  altre   demandatone   al  Conte  e  sua  curia   lo  speciale  esegui- 


^)  Rivista  Dalmatica  An.o  IV,  fasc.o  I,  1907  pag.  15.  Oggi  una  villa  Si- 
roche  è  in  quel  di  Capocesto,  la  medesima  indicata  qui,  od  un'  omonima 
che  ci  fosse  allora  in  Bossolina. 

2)  Rivista  Dalmatica  An.o  IV,  fasc.o  I,  1907  pag.  17. 

3)  Not.  Ant.  Campolongo,  1  Ottobre  1450. 

4)  Rivista  Dalmatica  An.o  iv,  fasc.o  II,  1908  pag.  182,  e  not.  Giambat- 
tista Buonmattei,  3  aprile  1451. 

'^)  Rivista  Dalmatica  An.o  IV,  fasc.o  IJ^  1908  pag.  183. 

6)  Dice  lo  Zavoreo  (Ms.  Trattato  cit.  pag.  27),  che  nel  1384  vi  era  in 
Borgo  a  mare  un  arsenale  e  che  a'  giorni  suoi  sopravvivevano  avanzi  delia 
porta  d'  accesso  e  di  muraglia  merlate  della  cinta  ;  situato,  scrive  Pier  An- 
tonio Fenzi  (N.  Cronista  di  Sebenico  An.o  IV.  1896  pag.  28),  in  parte  remota 
a  fine  di  preservarlo  da  aggressioni  di  pirati.  In  atto  2  maggio  1443  (not. 
Pietro  Tirrenis)  Io  si  denomina  Arsenatum  Comunis.  L' arsenale  e  squero 
nuovo  conceduto  dal  Marcello  era  alla  parte  opposta,  ne'  pressi  della  chiesa 
di  S.  Niccolò  de'  marinari,  posta  allo  Squero,  come  tutt'  oggi  si  denomina 
talora  il  piazzale  contiguo,  adesso  mercato  di  frutta.  La  concessione  seguì 
li  30  agosto  1448  nella  Piazza  del  Comune,  rogando  1'  atto  il  notaio  Antonio 
Campolongo. 


36 


mento,  entrate  poscia  nel  Libro  delle  Riformazioni  del  nostro 
Statuto  ').  E  fu  della  legge  il  Marcello  osservatore  severo,  e, 
quando  trattavasi  di  pubblica  moralità,  interprete  rigoroso.  Un'a- 
dultera di  Zlarin  aveva  seco  una  figlia  minorenne  e  minacciava 
bruciare  la  casa  del  marito.  Giusta  lo  statuto  civico,  V  adultera 
perdeva  la  dote.  Venuto  al  tribunale  il  marito  per  chiedere  ag- 
giudicata a  sé  la  dote  dell'  infida  e  che  le  fosse  tolta  la  figlia  e 
vietato  d'  accedere  all'  isola,  il  Marcello  giudice,  non  pure  accon- 
sente a  tutto  ciò,  ma  per  di  più  ordina  aggiudicata  la  dote  in 
perpetuo  al  marito  ed  eredi;  mai  in  veruna  guisa  la  rea  abbia  a 
che  fare,  meno  poi  a  star  con  la  figlia;  per  sempre  interdettole 
Zlarin  e  se,  contravvenendo,  pagar  non  potesse  1'  ammenda  pe- 
cunaria  comminatale,  fustigata  per  la  città  ogni  volta  e  multati  i 
rematori  ed  altri  che  avessero  prestato  mano  comunque  alle  sue 
trasgressioni  -).  Li  13  ottobre  1447,  egli  co'  giudici  della  Corte 
maggiore  Ambrogio  Micateo,  dottore  delle  arti,  ed  Elia  fu  Lo- 
renzo de'  Lignicei,  de'  tre  compilatori  dello  statuto  cittadino,  e 
testimoni  Radicchio  Sisgoreo  e  Simeone  Gliubich,  determina  che 
nessuno  de' nobili  debba  all'udienza  di  lui  e  de' successori  suoi  par- 
lare altrimenti  che  in  latino,  imperocché  il  latino  lo  sapevano  tutti, 
scientes  loqui  latine,  mentre  non  era  saputo  lo  slavo  da'  rettori, 
d'  altri  nobili  e  dalle  persone  latine,  ab  ipso  spectabile  Domino 
Comite  et  ab  aliis  nobilibus  et  personis  laiinis  '^).  Il  provvedimento, 
onesto  per  molte  ragioni,  honeste  pluribus  rationibus,  assicurava 
la  coscienza  de'  magistrati,  ne  rendeva  più  facile  e  solenne  1'  uf- 
ficio nel  ministero  della  giustizia  e  nel  governo  della  cosa  pub- 
lica,  stabiliva  all'  idioma  della  civiltà  originaria  e  beneficentissima 
il  primato  dovutole  in  paese  di  due  stirpi  non  egualmente  inci- 
vilite, dovutole  in  ogni  tempo  che  non  fosse  di  confusione  ba- 
belica e  d'  anarchia.  Fautore  delie  istituzioni  religiose,  il  Marcello 
nel  47  concede  la  nuova  fabbrica  della  casa  per  le  Recluse  di 
Ognissanti  ^)  ;  nel  48,  lui  reggente  e,  come  il  vescovo  Giorgio 
Sisgoreo  per  le  spirituali,  così  egli  per  le  cose  temporali,  rivistala 
ed  approvante,  si  ricompila  la  madreregola  della  scola  di  S.  Marco, 
antica  sin  dal  1370  ed  allora  in  S.  Maria  di  borgo  a  mare  ^)  ; 
nel  49,  li  23  aprile,  dà  licenza  a'  confrati  di  S.  Giovanni  d'  in- 
dossare la  tunica  alla  foggia  di  quelli  di  S.  Maria  del  Castello  ^), 
e,  li  23  maggio,  licenza  alla  scola  antichissima  di  S.  Spirito,  co- 
minciata li  2  giugno  1022,  che  i  confrati  possano  ne'  dì  consueti 

1)  Capitoli  da  261  a  270. 

2)  Rivista  Dalmatica  An.o  IV,  fasc.o  I.  1907  pag.  16. 

3)  Notaio  Antonio  Campolongo. 

^)  Rivista  Dalmatica  An.o  iv,  fasc.o  I.  1907  pag.  14. 

5)  Madreregola  di  S.  Marco,  prima  de'  Capitoli. 

6)  A.  G.  Fosco  Folium  Dioecesaniim  Siben.  1892  pag.  28. 


3 


37 


vestire  le  cappe  e  fare  giusta  il  solito  le  devozioni  e  processioni 
loro  per  la  città  ^).  Minacciando  la  peste  nell'  ottobre  del  49, 
dubitavasi  che  molti  de'  nobili  fossero  per  assentarsi  da  Sebe- 
nico,  quelli  financo  della  Curia  maggiore,  e,  di  fatto,  si  assenta- 
rono alcuni,  ed  il  15  maggio  del  50,  infierendo  il  morbo,  allo 
stesso  camerlengo  Giovanni  Paruta  il  Senato  permise  di  ridursi 
in  qualche  luogo  del  distretto  ^).  Non  si  allontanò  il  Marcello, 
né  di  lui  si  dubitava,  come  apprendesi  dall'  incarico  pre- 
ventivamente datogli  di  creare,  al  bisogno,  i  notai  per  i  testa- 
menti, e  di  tenere,  anche  con  soli  21  nobili,  il  Consiglio  per 
eleggere  gli  ufficiali  '^)  :  tanto  eroico  sapevasi  ed  era  in  lui  il 
sentimento  del  dovere,  l'  amore  per  Sebenico.  Nove  anni  dopo, 
gli  seguì  nel  rettorato  suo  fratello  Alessandro  ^).  Ma  Cristoforo, 
anche  lungi,  giovava  a  Sebenico  da  Venezia,  consultato  più  volte 
per  le  cose  nostre  dalla  Repubblica.  Morto  vecchio,  fu  sepolto 
nel  chiostro  de'  Certosini  sull'  isola  di  S.  Andrea  e  con  questa 
iscrizione  :  Confectus  iam  senio  Christophorus  Marcellus  vir  patri- 
tricius  cura  tandem  et  studiis  Reipublicae  perfunctus  foelicem  ani- 
mam  exhalavit.  La  famiglia  ne  conserva  ancora  a  Venezia  il  ritratto. 
Lo  stato  di  un  paese  dice  del  suo  governo.  Or  quale  fosse 
lo  stato  di  Sebenico  sotto  il  governo  di  Venezia  nel  tempo  di 
cui  andiamo  qui  discorrendo,  ci  attesta  nel  suo  libretto  De  sita 
Illyriae  et  civitate  Sibenici,  datato  li  14  agosto  1487,  Giorgio  Si- 
sgoreo,  il  nipote  del  vescovo.  Ecco  in  versione  letterale,  ma  te- 
stuali nella  nota,  le  sue  parole  al  capitolo  XVI  De  stata  Sibenici^): 


^)  Madreregola  di  S.  Spirito. 

2)  Monum.  Slav.  Merid.  Voi.  IX  pag.  352. 

3)  Statuto  di  Sebenico.  Riformazioni,  cap.o  268. 

*)  Sotto  il  titolo  /  Marcello  a  Sebenico  cominciai  nel  Nuovo  Cronista 
di  Sebenico,  An.o  V-VI  1898  pag.  227  una  memoria,  col  cessare  di  quel  mio 
annuario  interrotta,  ma  per  la  quale  raccolsi  messe  copiosa,  favoritimi  vari 
e  importanti  documenti  inediti  dalla  cortesia  benevolissima  dell'  illustre  N. 
U.  il  conte  Andrea  Marcello,  a  cui  quella  memoria  è  dedicata. 

5)  „Quintum  supra  decimum  perficitur  lustrum,  quo  Illustris  Veneto- 
rum  Senatus  Sibenicum  habuit,  et  in  eo  vexillum  erexit  volitantis  et  coronati 
Leonis,  anno  salutis  1412  quinto  Kalendas  novembris.  Tunc  aurea  saecula 
redire  visa  fuerunt  ;  tunc  quasi  ex  cloaca  civitas  effecta  ;  tunc  barbarie  post- 
posita,  latina  vigere  coepit  humanitas;  tunc  virtutem  sugeré,  aetatem  litera- 
rum  alimento  pascere,  laudabilem  rem  navare,  probitates  improbitatibus, 
tamquam  aurum  scoria  purgare  prò  virili  sua  omnes  contendebant.  Et  utinam 
illud  saeculum  in  àrgenteum,  aereum,  et  ferreum,  ut  tradunt  poetae,  paulatim 
non  descenderet  hominum  malitia.  Verum  aetate  nostra,  quid  foelicius  quàm 
sub  Venetorum  ditione  vitam  degere,  quorum  civitas  semper  extat  libera, 
nunquam  tributo  mancipata  ;  semper  Christiana,  nunquam  ydolorum  supersti- 
tione  foedata;  pelagi  regina;  diviciarum  omnium  officina;  mundi  deliciae; 
iustitiam  semper  fovens  et  religionem  .  .  ." 


38 


^Compiono  settantacinque  anni  da  che  V  illustre  Senato  de'  Ve- 
neti ebbe  Sebenico  e  vi  alzò  il  vessillo  del  volatore  e  coronato 
Leone  l'anno  della  salute  1412  addì  28  d'ottobre.  Parvero  allora 
ritornare  i  secoli  d'  oro  ;  allora,  quasi  da  cloaca,  fatta  città  ;  al- 
lora, smessa  la  barbarie,  cominciò  ad  avvivarsi  la  civiltà  latina  ; 
tulti  allora  sforzavansi,  quanto  era  in  loro  possa,  a  succhiare  la 
virtù,  a  pascere  la  vita  con  l'alimento  delle  lettere,  a  dare  opera 
a  cosa  lodevole  ed  a  purgare,  come  dalla  scoria  1'  oro,  le  pro- 
bità dalle  improbità.  E  così  volesse  il  cielo,  che  quel  secolo  per 
la  malizia  degli  uomini  non  decadesse  a  poco  a  poco,  come  di- 
cono i  poeti,  in  argenteo,  in  bronzeo,  in  ferreo  !  Ma  nell'  età 
nostra,  che  di  piià  felice  del  condurre  la  vita  sotto  la  giurisdizione 
de'  Veneti,  la  città  de'  quali  sovrasta  sempre  libera,  mai  soggetta 
a  tributo  ;  sempre  cristiana,  mai  insozzata  dalla  superstizione 
degl'  idoli  ;    regina  del  mare  ;   officina  di  tutte  ricchezze  ;    delizia 

del  mondo;  fomentatrice  sempre  di  giustizia  e  di  religione? " 

Che  se  al  lettore  piacesse  meglio  una  testimonianza  proprio  del- 
l'anno  di  questi  nostri  documenti,  egli  potrà  qui  udire,  nel  dì 
26  maggio  1449,  dal  vescovo  Giorgio  Sisgoreo  :  equissimo  il 
governo  della  Veneta  Repubblica  e  sommo  lo  studio  con  cui 
essa  ne'  popoli  suoi  procura  e  mantiene  la  pace;  immensità  della 
divina  clemenza  la  larghezza  de'  benefici  onde  fu  dotata  e  privi- 
legiata Sebenico  sopra  i  circonvincini  ;  pur  dalle  molte  per  ram- 
mentar poche  cose,  Sebenico  sotto  il  governo  Veneto  mirabilmente 
cresciuta  in  saviezza  e  discrezione  di  cittadini,  in  numero  di  po- 
polo, in  bellezza  e  decoro  di  giovani,  in  abbondanza  di  ricchezze, 
e,  ciò  che  sopratutto  doveva  essere  ed  egli  dice  eh'  era  allora  il 
più  eccellente,  salvi  gli  abitanti  e  preservati  dalla  pestilenza. 

Vero  è  che,  pochi  mesi  dopo  e  più  volte  nelT  età  succes- 
sive, massime  dopo  le  guerre,  funestò  la  città  nostra  il  pestifero 
morbo.  E  tuttavia  molte  altre  volte  essa  ebbe  a  scamparne,  od 
allora  che  più  infieriva  il  desolatore  flagello,  vi  fu  minore  di 
quanta  ne  avrebbe  potuto  essere  la  strage,  mercè  le  provvidenze 
di  un  governo,  che  per  le  sue  instituzioni  sanitarie,  per  le  norme 
sanitarie  date  e  osservate,  per  i  dispendi  che  nella  sanità  pub- 
blica faceva  (72  mila  ducati  annui)  assai  più  che  non  ne  facesse 
per  i  pubblici  studi  (51  mila),  venne  detto  lume  al  mondo,  mo- 
dello di  civiltà,  salvatore  d'  Europa  ^).  Vi  era  a  Sebenico  fino  al 
1875,  che  sacrilegamente  la  si  atterrò,  e  tuttodì  innanzi  al  Duomo 
ne  rimangono  le  macerie,  una  chiesa  votiva  a  S.  Rocco-),  eretta 
per  la  pietà  e  diligenza  del  Conte  e  capitano  Alessandro  Friuli 
in  monumento  di  gratitudine  da'  Sebenicesi    preservati  dalle  im- 


1)  N.  Tommaseo.    Il  Secondo  Esilio.    Milano.    Sanvito.    1862.   Vol.e  li, 
pag.  272,  403. 

2)  L'  altare  di  S.  Rocco    e  l' iscrizione   che  vi  era   sul   frontone  della 
chiesa  sono  ora  in  Duomo. 


I 


30 


mani  pesti  del  1554,  1649,  1690.  Ed  oggi  ancora  sul  palazzo 
del  Conte,  verso  V  angolo  alla  Piazza  de'  Signori,  una  lapide  ri- 
corda Filippo  Bragadino,  che  nel  1553  pietosissimamente  prov- 
vide ad  espellere  il  morbo  dalla  città. 

Le  pubbliche  sciagure  porgevano  al  Governo  occasione  a 
nuovi  benefizi  e  cosi  ne'  governati  rinsaldavasi  la  fede,  si  riani- 
mava r  amore.  Né  quelle  sciagure,  né  quali  fossero  in  Europa 
avvenimenti  politici,  o  novità  religiose,  o  rivoluzioni  sociali,  o 
fossero  in  Venezia  stessa  le  condizioni  interne  ed  esterne,  anche 
neir  età  sua  decadente,  giammai  mutarono  gli  animi  de'  Dalmati, 
né  verso  i  Dalmati  Io  spirito  d'un  governo,  che,  come  diceva  in 
Senato  il  quart'  ultimo  de'  Dogi,  Marco  Foscarini,  aveva  la  Dal- 
mazia la  primogenita  delle  provincie,  siccome  quella  che  nume- 
rava  otto  secoli  interi  di  sudditanza,  che,  dopo  la  perdita  di 
Cipro,  di  Candia  e  della  Morea,  sola  s'  era  veduto  distendere  i 
suoi  confini  ed  alle  cui  genti  invitte  ed  a  quelle  a  lei  vicine  della 
nazione  Albanese,  era  fra  tutte  toccato  1'  onore  primo  delle  bat- 
taglie marittime,  delle  conquiste  e  delle  vigorose  resistenze  ^).  Né 
mutò  mai  Sebenico,  né  mai  quello  spirito  d'  amore  verace  che 
aveva  la  Repubblica  verso  Sebenico  in  particolare,  della  quale, 
tre  secoli  prima,  nella  memoranda  ducale  de'  23  luglio  1474,  un 
altro  Doge,  Niccolò  Marcello,  aveva  scritto,  che  tra  le  città  care 
aveva  Sebenico  carissima,  ut  qui  civitatem  isiàm  nostrum  inter 
caras  curissimum  habemus,  come  ben  richiedevano  la  fede  di  lei 
ed  i  meriti,  e  com'  egli  voleva  dimostrarle  co'  benefizi,  che  ne 
adempiessero  le  speranze,  a  confermamela  in  quell'opera  e  in 
quel  sentimento  ed  a  farla  ancora  più  certa  dell'  amore  e  della 
benignità  del  Ducale  dominio  -).  Frasi  convenzionali  non  erano 
le  sovrane  dichiarazioni,  né  avrebbero  bastato  a'  Sebenicesi  del- 
l' epoca  Veneta,  che,  all'  occorrenza,  sapevano  richiamarsi  a'  patti 
della  dedizione  giurati  ed  a'  privilegi  concessi,  come  attestano  i 
Libri  de'  nostri  Consigli,  ed  ottenevano  ragione,  come  attestano 
le  ducali,  che  oggi  sono  alle  stampe. 

De'  buoni  studi  e  degli  uomini  chiari  fioriti  a  Sebenico  sotto 
i  Veneti,  basti,  per  solo  il  tempo  a  cui  é  ristretto  il  nostro  di- 
scorso, —  che  posteriormente,  com'  é  noto,  vi  fiorirono  ancora 
più,  —  quest'  altro  passo  del  poeta  Sisgoreo,  che  ben  risponde 
all'  allegato  testé  e  può  insieme  soccorrere  a'  miseri  appunti  of- 
ferti poc'  anzi  sugli  oblatori  del  Duomo.  „Ci  furono  —  scrive 
^g^'  ^)  —  ^  nostra  memoria  concittadini  illustri  per  erudizione  di 


1)  N.  Tommaseo.  Dizionario  Estetico.  Firenze.  Le  Monnier.  1867,  p.  375. 

2)  Rivista  Dalmatica.  An,o  V,  fasc.o  I.  1909,  pag.  33. 

3)  „Fuerunt  et  nostra  memoria  concives,  qui  eruditione  claruerunt 
Iheologiae,  philosophiae,  poeticae,  oratoriae,  iuris  pontificii,  et  juris  cesarei, 
quorum  ingenia  saepius  ipsa  etiam  fuit  admirata  Italia,  quae  mater  studiorum 
dicitur,  et  magistra  morum".  —  (Op.  cit.  Cap.o  XIV.) 


40 


teologia,  di  filosofia,  di  poesia,  di  oratoria,  di  diritto  e  pontific'w 
e  cesareo,  de' cui  ingegni  spessissimo  fu  ammirata  eziandio  Tistessa 
Italia,  che  detta  è  madre  degli  studi  e  maestra  de'  costumi". 

E  similmente,  anche  senza  frugare  nelle  antiche  carte  e  solo 
volgendo  lo  sguardo  intorno  e  per  entro  alla  città,  possono  dire 
del  governo  de'  Veneti  e  sono  memorie  da  non  disgradare  le  già 
toccate  dei  Marcello  e  di  altri  reggitori,  gli  edifizi  ancora  in  piedi 
o  non  ancora  del  tutto  scomparsi  e  delle  lapidi  commemorative 
quelle  superstiti  tuttavia  alle  martellate,  o  intonacate,  o  disperse, 
0  distrutte.  Dalla  dedizione  del  1412  alla  caduta  della  Repubblica, 
quasi  in  altrettanti  capitoli  di  storia  cittadina  leggibili  a  tutti,  vi 
s' incontra  per  ogni  secolo  qualche  monumento  di  pubbliche  be- 
nemerenze. Il  secolo  di  cui  parliamo  vide,  come  si  è  detto,  il 
Duomo,  la  Cisterna  magna,  ed,  oggi  non  più  esistenti,  1'  arsenale, 
le  dieci  torri  della  città,  e,  non  cadutomi  ancora  di  poter  qui  rammen- 
tare, il  primo  Fondaco  per  il  popolo  e  per  il  contado  ^).  E  giova 
avvertire  a  proposito  del  Duomo,  com'  esso,  a  pur  considerarlo 
quale  espressione  dell'  arte  edilizia  Veneta,  col  suo  stile  e  con 
le  sue  sculture  irradiava  per  ogni  dove  la  città,  variamente  se- 
condo la  diversità  de'  tempi  e  le  particolarità  de'  luoghi,  vero 
edifizio  modello,  dalla  Loggia  Grande  erettagli  a  fianco  a  quella 
Cà  d'  Oro  in  minuto  eh'  è  il  palazzo  Foscolo,  oggi  S.  Lorenzo, 
dove  r  Orsini  scolpiva  uno  de'  davanzali  ;  dalla  scalea  di  S.  Gio- 
vanni e  dal  finestrone  di  quella  sagrestia,  alla  balaustrata  ed  al 
pulpito  nella  sala  di  Valverde;  da'  rosoni  di  S.  Spirito  deturpati, 
a  quelli  sì  eleganti  di  S.  Croce,  che  invocano  d'  essere  sfasciati 
dalle  terre  cotte  e  di  tornare  a  giorno  ;  dal  portone  di  S.  Do- 
menico a  cui,  piuttosto  che  carcere,  è  patibolo  il  sito  dove  fu 
relegato  e  costretto,  al  portone  di  contro  la  casa  dove  abitò  e 
morì  r  Orsini,  e  così,  ad  ogni  tratto,  altri  portoni  sciaguratamente 
imbiancati  e  taluno  inverniciato,  e  motivi  architettonici  della  Cat- 
tedrale in  finestre,  in  pogginoli,  in  corone  di  cisterne,  in  capitelli 
di  bastoni  nobiliari,  in  armi  gentilizie  e  qua  e  là,  adoperati  per 
materiale  di  fabbrica,  in  avanzi  di  ornamentazioni. 

Nel  secolo  XVI,  opera  Veneta  abbiamo  la  Loggia  Grande, 
dove  si  rendeva  ragione  e  la  cosa  pubblica  si  amministrava,  non 
senz'alto  significato  a  fronte  del  Duomo  e  tra  1' una  e  l'altro  la 
Piazza  ;    facile  a  intendere  da  ognuno,   che  Religione  e  Giustizia 


1)  Fu  proposto  in  un  memoriale  delli  9  gennaio  1486  presentato  a 
Venezia  dagl'  inviati  dell'  università  de'  popolari  di  Sebenico,  e  addì  16  feb- 
braio 1490  lo  s' incontra  menzionato  in  atti  del  notaio  Martino  Campellis  de 
Gaivanis  come  già  esistente.  Doveva  essere  sempre  provvisto  di  farine,  af- 
finchè non  mancasse  mai  il  pane;  epperó  lo  si  diceva  Fontego  delle  farine; 
era  situato  alla  riva  del  mare  ed  aveva  di  faccia  un  pontile.  Del  memoriale, 
memorabile  documento  inedito,  rinvenni  copia  nel!'  archivio  di  Valverde 
(Fasc.o  F  N.o  26),  e  1'  ho  in  pronto  per  la  stampa. 


41 


si  volevano  delia  civiltà  fondamento  primo,  custodia  sicura,  gloria 
sovrana.  Incultó,  rupestre  luogo  dapprima,  come  leggesi  in  alto 
a  grandi  lettere  lunghesso  il  frontone,  Alvise  Venier  alzò  nel  1534 
la  Loggia,  decoro  dell'  Illirico  e  della  Dalmazia,  e  rimasta  a  lungo 
imperfetta  (otto  anni  sembrarono  lunghi  :  tanto  essa  premeva), 
la  compì  nel  1542  Francesco  Diedo  per  la  singolare  sua  bene- 
volenza verso  i  Sebenicesi.  Sobria  ed  affettuosa  V  iscrizione  al 
Diedo,  è  troppo,  a  dir  vero,  iperbolica  quella  al  Venier  ;  ad  ogni 
modo  si  corrispondono  entrambi  nell'  attestare  il  pregio  in  che 
avevansi  1'  opera  e  que'  magistrati  e  quanto  riconoscenti  ne  fos- 
sero i  cittadini.  Anche  senza  scritta  veruna,  il  monumento  di  per 
sé  solo  mostravasi  degno  del  grande  suo  ufficio,  degno  mostra- 
vasi  di  Venezia,  dove  il  foro,  a  giudizio  del  Tommaseo,  era  il 
primo  d'  Italia  per  sapere,  per  senno,  per  eloquenza  ^).  Che  poi 
il  concetto  della  civile  magistratura  non  rendessero  solo  gli  edi- 
fizi  con  la  sontuosità  e  1'  eleganza  esteriori,  ma  ne  fossero  com- 
presi quelli  che  dentro  lo  dovevano  attuare,  sarà  caso,  ma  è  in- 
dice bello,  e  mi  piace  avvertire,  successore  immediato  del  Diedo, 
Francesco  Coppo,  di  cui  leggesi  il  nome  sulla  facciata  di  due 
storiche  chiese  in  iscrizioni  non  saprei  se  piìi  mirabili  per  bre- 
viloquenza 0  per  la  loro  concordanza:  in  entrambi,  non  altra 
lode  che  :  rettore  ottimo  ed  in  S.  Barbara  :  Grata  Civitas  Posuit ; 
in  S.  Giovanni:  A  Deo  Missus.  Ma  più  bella  ancora  —  il  Tom- 
maseo la  dice  „nella  modestia  sublime"  —  V  iscrizione,  che  con 
la  coscienza  del  dovere  adempiuto  poteva  scolpire  a  sé  mede- 
simo nel  1531  Bernardo  Balbi  sulla  parete  interna  del  Duomo 
sopra  la  porta  maggiore  e  concepita  in  questi  unici  termini  :  ret- 
tore di  Sebenico,  ringrazia  Iddio  se  cosa  alcuna  fece  egli  degna 
di  lode  nel  suo  magistrato.  Sotto  questa  iscrizione,  istoriandosi 
così  di  caratteri  cubitali  quant'  é  larga  la  parete,  un'  altra  scol- 
pirono nel  1545  i  Sebenicesi  ad  Andrea  Duodo  per  la  singolare 
tutela  dell'Adriatico  e  per  1'  intero  governo  della  sua  città  :  «do- 
cumento, dice  11  Tommaseo,  de'  benefizi  da  Venezia  renduti  alla 
libertà  de'  mari  e  alla  civiltà  de'  suoi  stessi  nemici"  ^).  Di  questo 
tempo,  alle  foci  del  porto,  sulla  penisoletta,  già  abbazia  Benedet- 
tina, sorse  la  fortezza  di  S.  Niccolò,  proposta  a  Venezia  venti 
anni  prima  dal  Consiglio  de'  nobili  Sebenicesi  ^)  e  seguentemente 
raccomandata  da'  rettori  Bernardo  Tagliapietra,  Gian  Alvise  Venier 
e  dal  capitano  delle  armi  da  terra,  Malatesta  Baglioni  ;  ideata  dal 
grande  architetto  Michele  Sanmichele  di  Verona  e  dalle  fonda- 
menta opera  del  nipote  di  lui  Giangirolamo  Sanmichele  nel  1543, 


1)  //  Secondo  Esilio.  0  e.  v.  cit.  pag.  273. 

2)  la  Cattedrale  di  Sebenico,  osservazioni.  O.  e.  pag.  59. 

»)  Ducale  di  Antonio  Grimani  27  aprile  1523,  cap.o  15  in  Diarii  di  Ma- 
rino Sanuto  XXXIV  66-67  e  Libro  Rosso,  carte  252  verso. 

6 


42 


essendo  preside  di  Sebenico  Francesco  Coppo  e  primo  prefetto 
del  castello  Orsato  Manolesso,  compiuta  della  magnifica  porta 
con  lo  storico  leone  torreggiantevi  sopra,  e  nel  1545  compiuta 
dell'atrio,  dov'è  scolpito  questo  millesimo  sotto  gli  stemmi  del 
doge  Pietro  Landò  nel  mezzo  ed,  a'  lati,  di  Gian  Alvise  Venier, 
conte  e  capitano,  e  di  Gasparo  Moro,  castellano  ;  opera,  che 
nella  vita  di  Michele  Sanmichele  il  Vasari  dice  maravigliosa  ^). 

Il  secolo  XVII  ci  presenta  eretto,  nel  primo  anno,  a  como- 
dità della  cosa  pubblica,  da  Cristoforo  Canal  pretore  —  così 
leggesi  sulla  facciata  appiè  del  leone  sormontato  da  S.  Michele 
—  un  nuovo  Fondaco,  già  concesso  quattr'  anni  innanzi  -),  ol- 
trecchè  per  le  biade  com'  era  il  primo,  per  legumi,  per  olio,  ed 
in  genere  per  tutte  le  grasce  onde  bisognassero  gli  abitanti 
della  città  e  del  territorio,  e,  nell'  anno  decimoterzo,  in  S.  Cate- 
rina, soppresso  convento  delle  popolane,  sotto  1'  arme  del  conte 
e  capitano  Girolamo  Lipoman,  la  lapide  a  lui  benefattore  e  ri- 
stauratore  ottimo.  Secolo  di  guerra,  travaglioso  quanto  glorioso 
il  decimosettimo,  vide  esso,  nel  39,  annuente  Alvise  Friuli,  pre- 
side della  Provincia,  e  curante  Vincenzo  Emo,  pretore  vigilan- 
tissimo, eretta  propugnacolo  contro  i  nemici  una  delle  torri  del 
Castello  ;  nel  46,  costruita  la  Porta  Terraferma,  le  mura  accre- 
sciute di  bastioni  e  pomerii  e  da  ogni  parte  validamente  riparate 
a  spese  gratuite  del  Comune  e  per  T  esimia  cura  di  Alvise  Ma- 
lipiero,  provveditore  della  città  e  de'  confini  "^)  ;  dopo  il  47, 
r  anno  della  celebre  disfatta  de'  Turchi  assedianti  Sebenico,  posta 
sulla  Piazza    nel  48    per  decreto  de'  cittadini   e  del   popolo  una 


1)  Non  però  nel  1545  compiuta  del  tutto,  a  quanto  scriveva  li  26  maggio 
del  47  Gian  Alvise  Venier  e  si  potrebbe  arguire  dàlia  denominazione,  che 
in  documento  4  agosto  del  56,  si  dà  a  M.o  Francesco  Dismanis  di  protho 
fabbricae  fortuita  SJ  Nicolai  de  Sibenico.  Ma  indubbiamante  nel  1557  era  e 
del  tutto  compiuta,  perchè  nella  sua  relazione  del  1  luglio  di  quell'anno,  il  ret- 
tore di  Sebenico  Giovanni  de  Garzoni,  lodandone  1'  eccellenza  siccome  bella 
ed  inespugnabile  e  soggiungendo  non  mancarle  altro  se  non  d' essere  fornita 
d'ogni  sorta  di  munizioni,  enumera  le  poche  munizioni  che  aveva  allora.  — 
Quanto  al  Dismanis  testé  menzionato,  egli  fin  dalli  22  ottobre  1540  è  detto 
lapicida  protho  fabricae  in  pancia  SJ  Nicolai  huius  portus  Sibenici  ;  dunque 
operante  sotto  Giangirolamo  Sanmichele.  Era  di  Sebenico,  figlio  di  M.o 
Zuanne,  anch'  egli  lapicida,  ed  entrambi  lavorarono  insieme  nella  fabbrica 
della  chiesa  di  Valverde.  Morirono  M.o  Zuanne  addì  5  decembre  1530  e 
M.o  Francesco  addi  5  giugno  1570. 

2)  Con  la  ducale  30  giugno  1597.  V.  nel  N.  Cronista  di  Sebenico,  An. 
V-VI  cit.  /  Capitoli  del  Fondaco,  pag,  297. 

3)  Non  si  sa  dove  l' iscrizione  andasse  a  finire.  Nella  mia  adolescenza, 
era  a  suo  luogo,  sormontata  dal  gigantesco  Leone,  uno  de'  più  belli  che  si 
conoscano,  ora  sulla  porta  del  Fondaco  alla  piazzetta  del  Duomo,  fattovelo 


43 


statua  marmorea  a  Leonardo  Foscolo,  il  grande  eroe  di  queir  as- 
sedio, come  lo  appella  la  lapide  sulla  torre  di  S.  Giovanni  dove, 
tolto  a  Dernis,  da  lui  seguentemente  occupata,  è  V  orologio  che 
egli  donava  alla  nostra  città,  donatore  del  suo  palazzo  a'  Frati 
minori  sottratti  a  Vissovaz  dal  giogo  ottomano  ed  ivi  collocati, 
come  leggesi  sotto  il  suo  ritratto  nel  monastero  di  S.  Lorenzo  ; 
nel  49,  ristaurata  e  aggrandita  dal  provveditore  Barbo  Pesaro,  la 
fortezza  di  S,  Giovanni  in  Monte  già  tutta  conquassata  da'  colpi 
dell'  artiglieria  nemica,  ed  un  decennio  dopo,  neir  anno  quindice- 
simo della  guerra,  reso  più  ampio  e  sicuro  il  forte  Barone  dalla 
sedulità  di  Antonio  Bernardo,  altro  prestantissimo  provveditore. 
De'  benefizi  ricevuti  da'  reggitori  Veneti  in  tempi  di  guerra  e 
di  pace  non  erano  immemori  e  sconoscenti  i  Sebenicesi  d'allora, 
né  volevano  che  fossero  i  posteri  ;  onde  in  questo  istesso  secolo, 
per  gratitudine  a  Giampaolo  Foscarini,  tre  volte  rettore  e  bene- 
merito della  città  per  averla  guardata  dalle  insidie  nemiche  e  dal 
morbo  che  affliggeva  il  contado,  diedero  diritto  di  cittadinanza 
a'  figli  di  lui  Agostino  e  Francesco,  e  furono  decretate  altre  statue 
sulla  Piazza  de'  Signori;  nel  53,  a  Lorenzo  Dolfin  e,  nel  81,  a 
Girolamo  Cornaro,  ambidue  provveditori'  generali  ^). 

Memorie  del  secolo  XVIII  vediamo  1'  edifizio  della  Sanità, 
provvidamente  costruito  nel  1733  dalla  vigilanza  di  Francesco 
Antonio  Paruta  pretore,  ed  aggirandoci  per  le  vie  urbane,  fin  dal 
cinquecento  cominciate  a  riattare,  —  come,  sotto  Alvise  Venier, 
quella  d'Ognissanti,  dura  selce  una  volta,  e,  sotto  Antonio  Pesaro 
nel  1593,  quella  da  Rialto  a  S.  Francesco  —  di  tre  leggiamo,  che 
su  per  r  erta  un  solo  pretore,  Giovanni  Bragadin  nel  1792  e  93, 
una  già  discoscesa  edificava  e,  sotto  gli  auspici  di  lui,  una  fa- 
cevasi  nuova  ed  una,  già  precipua  e  dall'  ingiuria  de'  tempi  ro- 
vinata,   veniva    in    più    nobile  forma  restituita,    a  civiche    spese 


trasportare,  essendo  podestà  il  dott.  Luigi  Frati,  dalla  Porta  di  Terraferma, 
che  demolivasi.  Il  Leone  posa  la  zampa  sul  libro  aperto  dove  sta  scritto  : 
Oaudeo  Nimium  Edilitate  Civium  Virilitate  Militum  Recte  Merentium. 

^)  Certo  è,  che  sulla  Piazza  de'  Signori  sorgevano  statue  e  che,  igno- 
rasi per  quali  motivi,  alla  fine  del  secolo  XVII  non  e'  erano  più.  N'  è  prova 
il  documento  che  riferisco  qui  integralmente,  conservato  tra  le  carte  della 
mia  famiglia.  È  una  concessione  presentata  li  2  aprile  1695  dal  canonico 
Agostino  Petrassi  in  nome  della  fabbriceria  del  Duomo  al  Conte  e  capitano 
di  Sebenico.  —  „111.^0  Sig/  Sig/^  O.^o,  Sopra  V  instanze  portatemi  da  Pro- 
curatori di  cotesta  Cattredale,  concoro  a  conceder,  che  nei  bisogni  detta  Chiesa 
siano  impiegate  le  pietre  che  servivano  di  base  alle  Statue  abbaiate  in  cotesta 
Piaza.  Farà  perciò  che  anco  quei  privati,  che  s'  havessero  appropriate  le  me- 
deme  V  esebiscano  a  Procuratori,  acciò  in  opera  così  pia,  e  religiosa  restino 
adoperate,  e  Le  buccio  le  mani.  Spalato  li  30  marzo  1695.  —  Daniel  Dolfin 
4.0  kav.  Proveditor  generale'*. 


44 


queste  due  ultime,  e  soprintendenti  a  tutte  e  tre  i;gentiluomini 
Niccolò  Mistura  e  Giuseppe  Semonich  '),  e  sappiamo,  che  sotto 
r  ultimo  rettore  Gianfrancesco  Corner,  fu  prima  in  Dalmazia  Se- 
benico  ad  avere  nelle  vie  della  città  illuminazione  notturna  ^). 
Rispettavansi  allora  i  diritti  della  notte,  ed  a'  rari  passanti  basta- 
vano i  lumicini  qua  e  là  de'  devoti  tabernacoletti,  mentre,  dì 
di  giorno,  questi,  che  ve  ne  sono  di  tutti  i  tempi,  e  chiese  ad 
ogni  tratto,  quale  più  quale  meno,  ognuna  fuori  e  dentro  con 
qualche  bellezza  artistica,  con:  qualche  patrio  ricordo,  e,  su  antichi 
portoni,  lunette  storiate  e  motti  d^  religiosa  e  civile  moralità  sol- 
levavano il  pensiero,  educavano  il  sentimento  degli  abitanti  e 
concorrevano  ad  ingenerare  ne'  forestieri  un'  idea  non  misera  di 
ciò  eh'  era  in  bontà  e  gentilezza  1'  umile  cittadetta  ^).  Di  quanto 
è  Veneto  a  Sebenico,  tutto  parla  di  civiltà  benefattrice. 

Ma  nulla  fosse  tutto  ciò,  basterà  —  ed  a'  giorni  nostri,  ove 
pur  un  poco  valesse,  sarebbe  benemerenza  suprema  —  che  vive 
erano  con  Venezia,  né  giammai  in  così  lungo  volgere  di  tempi 
vennero  meno  un  istante,  la  coscienza  cittadina,  la  coscienza 
Dalmatica,  al  presente  io  non  vo'  dire  quanto  scadute,  ma  tacere 
non  posso  che  nella  città  dell'  Arcangelo  è  spento  fin  il  ricordo 
se  v'avesse  ella  un  cittadino  vessillo^),  e  che,  nazione  allora  la 


1)  Meno  l'iscrizióne  al  Duomo,  tutte  le  altre  in  questo  trattò  rammen- 
tate e  quasi  sempre  traducendone  qualche  vei'so,  il  lettore  potrà  a  suo  bel- 
r  agio  vedere  nel  II  voi.  del  Re  d'Armi  del  dott.  F.  A.  Galvani. 

*)  Verso  il  1820,  Niccolò  Tommaseo,  allora  studente  diciottenne,  re- 
candosi per  acqua  in  corriera  da  Venezia  a  Padova,  incontrò  fra  i  passeg- 
gieri  il  Corner  vecchio.  „Egli  —  scrive  il  Tommaseo  —  si  compiaceva  nel 
rammentare  che  sotto  il  suo  reggimento  per  primo  fossero  illuminate  la 
notte  le  strade  della  città  ;  cosa  che  in  altre  città  più  illustri  non  è  seguita, 
io  credo,  che  poi".  //  Secondo  Esilio.  O.  e  Voi.  cit.  pag.  261. 

3)  De'  motti  esistenti  ancora  su  edifizi  in  città,  raccolsi  una  trentina 
circa  nel  N.  Cronista  di  Sebenico,  An.o  IV,  pag.  67  e  An.o  V— VI,  pag.  174. 
Ve  ne  hanno  di  bellissimi,  p.  es.  Tuta  Est,  ed  in  mezzo  il  monogramma  di 
Cristo  ;  Dominus  Regit  Me  ;  Recte  Faciendo  Neminem  Timeas  ;  Dulcior  Est 
Fructus  Post  Multa  Pericula  Ductus.  1628  ;  sulla  casa  de'  Veranzio  :  Morituro 
Satis.  Qui  ne  soggiungo  altri  tre  :  uno  edito  imperfetto  :  Nihil  Dulcius  Quam 
Bene  Impensi  Temporis  Memoria,  e  questi  due  posteriormente  rilevati  :  su 
d'una  porta  in  contrada  S.  Francesco:  Dominus  Custodiat  Introitum  EtExi- 
tum  Tuum,  e  sul  portone  d'  altra  casa,  ora  Inchiostri,  in  calle  dietro  il  teatro  : 
A  Proditoribus  Libera  Nos  Domine, 

4)  Lo  aveva  come  ogni  altra  città  della  Dalmazia  e  trionfalmente 
sventolava:  drappo  bianco  ed  in  mezzjO  San  Michele  con  Satana  sconfitto 
a*  suoi  piedi,  per  l'appunto  come  nella  Tavola  I  del  Re  d'Armi  di  SebeniQO 
del  dott.  F.  A.  Galvani.  Del  colore  del  .drappo  mi  assicurarono  vecchi  c|a 
me  consultati  anni  sono,  e  della  tradizione, è  conferma  quest'arme,  chclia 
il  campo  d'argento.  ..... 


à 


45 


Dalmazia,  anzi  a'  Veneti  e  a  sé  la  Nazione  senz'  altro,  oggi  ì 
Dalmati  non  sono  più  Dalmati.  Sotto  l'ali  del  leone  di  S.  Marco, 
non  era  municipalismo  gretto  il  sentimento  cittadino  in  Sebenico, 
che  aveva  rinomanza  di  città  ospitaliera  e  cordiale  ed  ha  un  Duomo 
di  così  ampio  e  sublime  concetto,  né,  che  si  sappia,  o  ne  si  abbia 
comunque  sentore,  mai  in  veruna  età  Veneta  il  sentimento  nazio- 
nale in  Dalmazia  fu  odio  di  razza  e  di  religione,  guerra  fraterna, 
snaturamento  della  patria,  esterminio  dalla  vita  pubblica  di  una 
civiltà  a  tutto  il  mondo  in  onore.  Marittima  e  montana,  tra  Oc- 
cidente ed  Oriente,  la  Dalmazia  attraeva  e  contemperava  in  sé  e, 
per  quanto  assentivano  le  condizioni  sue  e  de'  tempi,  effondeva 
gli  spiriti  di  due  nazioni,  vaso  eletto  di  civiltà,  spirito  unico  e 
originale,  nazione  piccola  sì,  ma  una  e  d'  impronta  sua  propria. 
La  sua  storia,  scrive  N.  Tommaseo,  „é  tutta  storia  di  concilia- 
zione tra  Italia  e  Slavia,  tra  Oriente  e  Occidente,  tra  le  forze  del 
braccio  e  le  forze  dell'  ingegno,  tra  la  gagliardia  del  resistere  e 
la  virtù  dell' amare".  Ed  ivi  stesso:  „È  un  sogno  la  potenza 
politica  della  Dalmazia ...  Il  ministero  di  lei  nella  sua  pic- 
colezza, é  tutto  intellettuale  e  morale"  ^).  Venezia  conservò  la 
Dalmazia  alla  sua  vocazione  ;  la  indirizzò,  la  resse,  V  addestrò 
nella  via  segnatale  dalla  Provvidenza;  la  fece  degna  di  correrla; 
con  Venezia,  nel  combattere  contro  il  Turco,  gloriosa  ella  di 
combattere  e  vincere  per  la  Cristianità  e  così  salvare  ed  assicu- 
rare l'incivilimento  all'  Europa  ed  agevolare  a  sé  per  nuovi  tempi 
il  ministero  suo  spirituale. 

Nel  Duomo  di  Sebenico,  S,  Marco  tiene  il  posto  che  gli  si 
addice  :  verità  storica,  non  ostentazione  partigianesca  ;  memoria 
di  gratitudine,  non  adulazione  servile  ;  ispirazione  religiosa,  non 
pagana  apoteosi  politica.  Mi  cadde  di  accennare  sparsamente  fin 
qui  che,  idea  del  Duomo,  anima  della  sua  struttura,  voce  da  ogni 
sua  parte  é  Cristo  trionfatore;  acclamato,  nell'ambito  esterno, 
trionfatore  sulle  nazioni  e  sulle  passioni  e  da  tutti  gli  spiriti;  alle 
due  porte,  trionfatore  nella  storia  universale  e  nella  legge  uni- 
versale ;  da  entro,  trionfatore  ineffabile  nella  grazia  e  —  occorre 
soggiungere  adesso  —  trionfatore,  da  sopra,  nella  gloria  di  quella 
città  di  cui  é  angolare  fondamento  e  celsitudine  empirea  la  croce. 
Imperocché  la  beata  citta  é  figurata  dalla  cupola,  che  slanciasi 
in  alto  di  là  dove  la  nave  mediana,  nave  superiore,  nell'  interse- 
zione sua  con  la  trasversale  forma  la  croce  latina  ond'  é  il  tempio 
soprallevato  e  segnato.  Or  vuoisi  osservare,  che  alle  quattro 
estremità  di  essa  croce,  in  vetta  all'  arco  corrispondente,  ergesi 
su  d'  ognuna  una  statua  :  da  capo,  S.  Giacomo,  il  titolare  ;  a 
piedi,  sulla  sommità  della  facciata  principale,  la  Vergine  Assunta  ^)  ; 


*)  La  questione  Dalmatica  ecc.  Zara.  Battàra,  1861,  pag.  32. 
2)  C  è   il   piedestallo,   ma  la  statua  manca  ;   rimesso  forse   a  miglior 
tempo  il  farla  e  collocarvela.   Ne  favello   come  se  la  ci  fosse  in  cospetto. 


46 


alle  due  braccia,  dall'  una,  in  prospetto  della  Loggia  grande, 
S.  Michele,  gonfalone  della  città,  dall'  altra,  in  prospetto  del 
mare,  S.  Marco  che  tiene  il  vangelo  ed  ha  sotto  di  sé,  sulla 
base  dell'  arco,  portate  ne'  lembi  accartocciati  della  cornice,  a 
destra,  una  figura  in  ampio  paludamento,  genuflessa,  in  atto  d'in- 
vocarlo, ed,  a  manca,  una  donna  in  piedi,  con  gli  occhi  al  cielo, 
con  un  libro  in  mano  ;  complemento  entrambi  dell'  idea  signi- 
cata  dal  santo  della  Repubblica.  E  questo  è  il  solo  de'  quattro 
archi  così  contraddistinto.  Ma  di  ciò  non  è  da  cercare  la  ragione 
finché  non  sia  certo  chi  propriamente  raffigurino  quelle  due  statue 
minori  ^).    Comunque,    gli  é  manifesto  quanto  importasse,    quale 


al  pari  delle  tre  altre  sugli  archi  loro  ;  che  da  esse  si  fa  evidente  d'  un 
tratto  la  sua  presenza.  Gli  è  così  delle  quattro  nicchie  vuote  alla  porta 
maggiore:  scorto  Cristo  con  gli  Apostoli  e  con  Mosè,  non  si  tarda  a  scor- 
gervi dentro  gli  Evangelisti.  Lì  dunque  suH'  acroterio  del  frontispizio  princi- 
pale, la  statua  non  può  essere  che  della  Madonna.  La  richiede  il  concetto 
fondamentale  del  Duomo  ;  monco  altrimenti,  anzi  inesprimibile  senza  la 
Vergine  Madre  «termine  fisso  d'eternò  consiglio";  svisato  e  travolto  se  altri 
la  sostituisca,  e  rotto  il  poema  sacro  dell'architettura  del  tempio.  Spiegato 
il  trionfo  di  Cristo  in  tutte  le  parti  di  quello,  dove  ne'  limiti  dell'arte  era 
possibile  e  conveniente  rappresentarlo,  né  in  alcuna  apparendo  Maria,  resta 
che  riservata  è  a  lei  sola  quell'eminenza.  Di  lì,  ed  Assunta,  ella,  Eva  mi- 
gliore, funge  nella  storia  la  madre  della  chiesa  universa  ;  di  lì,  librata  a  volo 
sulla  maestà  della  legge,  è  ancella  del  Signore  e  nella  plenitudine  della 
grazia  ;  di  lì,  a  piedi  della  croce  ed  esaltata  con  essa,  splende  ed  il  pen- 
siero nostro  la  segue  dal  Calvario  all'Empireo.  V'è  poi  una  ragione  storica 
particolare,  da  non  si  poter  negligere,  che  la  vuole  regina  e  patrona  sul 
Duomo  di  Sebenico  :  l'antichissima  devozione  della  città,  e  dal  1450  erede 
e  custode  il  Duomo  della  miracolosa  immagine,  già  venerata  a  Castello. 
(Ducale  Foscari  31  ottobre  1450  cap.o  8.o  in  Rivista  Dalmatica  An.o  JV, 
fasc.o  II.  1908,  pag.  188).  La  Madonna  ha  da  apparire  dalla  sua  cima  sul 
Duomo  l'Eletta  dell'universo,  e  tale  significandola  del  pari  l'Assunta  e  la 
Concezione,  potrebbesi  esitar  nella  scelta.  Se  non  che,  con  la  statua  della 
Concezione  sulla  navata  mediana,  cioè  a  piedi  della  croce  in  cui  sopralle- 
vasi il  tempio,  andrebbe  smarrito  il  concetto,  che  testé  accennavo  datoci 
dall'  Assunta,  e,  figura  devotamente  in  sé  raccolta,  non  potrebbe  la  Con- 
cezione, come  per  l' effetto  artistico  e  per  ragione  ideale  richiederebbesi, 
eccellere  nello  slancio  e  nell'attitudine  in  confronto  dell'Arcangelo  debella- 
tore di  Satana;  a  che  invece  la  figura  dell'Assunta  presterebbesi  mirabil- 
mente. Vi  fu  tempo,  che  sul  piedestallo  vuoto  taluno  pensò  collocare  la 
statua  di  Bonifacio  Vili  in  riconoscente  memoria  dell'  aver  egli  inalzato  Se- 
benico a  sede  vescovile  e  decoratala  del  titolo  di  città.  Tempo  può  venire 
di  chi  sa  quali  altri  propositi.  Vogliano  i  miei  concittadini,  se  a  qualcuno 
cadrà  sott'  occhio  questa  nota,  rammentare  che  lì  ci  va  la  Madonna  :  no 
verun  altro  mai. 

2)  Le  si  dovrebbero    studiare  da   più  vicino.  Con   la  fotografia  —  ne 


47 


altezza  avesse  toccato  e  come  rifulgesse  e  rifulga,  nel  mistico 
concetto  della  cupola  sopra  la  croce,  il  concetto  religioso  e  ci- 
vile, che,  mutuamente  illustrandosi,  rendono  dal  loro  posto  Sebe- 
nico  con  V  Arcangelo,  Venezia  con  l' Evangelista,  1'  uno  nella 
gloria  della  guerra,  1'  altro  nella  gloria  della  pace.  Si  fanno  essi 
riscontro  e  così  splendidamente,  come,  sugli  altri  due  capi  della 
croce,  la  chiesa  cittadina  simboleggiata  in  S.  Giacomo  e  la  chiesa 
universale  simboleggiata  nella  Madre  de*  fedeli.  Tutti  poi  insieme 
i  quattro  celesti  personaggi,  e  prima  di  tutti  Maria  dal  luogo  più 
cospicuo,  nell'istante  più  eccelso  della  sua  vita,  creatura  umana 
r  unica  assunta,  figurano  e  valgono,  nel  trionfo  di  Cristo  sul  pin- 
nacolo del  nostro  Duomo,  fidi  patroni  degr  infelici  di  quaggiù  ed 
intercessori  perpetui  della  città  superna. 

Piccolo,  ma  all' idea  che  lo  informa,  all'armonia  che  lo 
governa,  alla  benedizione  che  diffonde,  tempio  è  davvero  questo 
nostro  „che  solo  amore  e  luce  ha  per  confine".  Puramente  e 
piamente,  caste  pieque,  come  sta  scritto  alla  porta  de'  Leoni  sulla 
lapide  commemorativa,  lo  consacrò  il  dì  28  aprile  1555,  vescovo 
ottimo,  Giovanni  Lucio  Stafileo,  ministrante  diligentemente  la  città 
Filippo  Bragadino.  Era  la  domenica  seconda  dopo  la  Pasqua  di 
Resurrezione  e  il  giorno  terzo  dopo  la  festa  di  S.  Marco,  scorsi 
cento  e  ventiquattro  anni  da  che  il  Massegna  aveva  incominciata 
la  fabbrica,  cento  e  dodici  da  che  sotto  la  pergamena  degli  an- 
geli leggevasi  il  nome  dell'Orsini  e  cento  e  sei  dalla  gara  trai 
nobili  e  H  clero  attestata  da'  documenti  che  seguono.  Da'  quali, 
ecco  in  succinto  ciò  che  si  ricava  del  fatto,  durato  aperto,  breve 
episodio,  poco  più  di  quattro  mesi. 

Addì  2  marzo  1449,  iF  Consiglio  generale  de'  nobili  di  Se- 
benico,  intervenuti  74  col  Conte  e  capitano,  aveva,  dopo  votata 
analoga  proposta,  eletto  dal  proprio  gremio  una  commissione  di 
nove  con  facoltà,  per  tutto  il  mese,  di  discutere  tra  loro  quale 
siasi  provvedimento  avessero  ritenuto  utile  e  conveniente  a  pro- 
seguire la  fabbrica  della  Cattedrale,  e  di  accogliere  inoltre,  nella 
quindicina  prossima,  ciò  che  altro  in  proposito  avesse  qualunque 
di  detti  nobili  presentato  loro  a  voce  o  per  iscritto.  Su'  pareri  di- 
battuti tra  loro  ed  avuti  dagli  altri  dovevano  poi,  entro  il  marzo 
stesso,  presentare  al  Consiglio  le  opinioni  e  le  proposte  proprie, 
le  quali,  se  la  maggioranza  avesse  approvate,  sarebbero  rimaste 
confermate  e  prese.  0  si  provvedeva  a  continuare  la  fabbrica, 
o,  non  continuandola,  massimo  era  il  danno  di  quanto  erasi  fatto 
e  la  sarebbe  ita  in  rovina  ;  infamia  questa  presso  gli  uomini  ; 
ingratitudine  a  Dio  de'  benefizi  ricevuti;  provocazione  dell'  ira  di 
Dio  contro  sé  e  contro  i  figliuoli.  Così  era  motivata  la  proposta 
di  eleggere  la  commissione. 


feci  fare  alcune  provie  —  non  si  riesce  a  ritrarle  nettamente;  malagevole  il 
sito  per  collocare  la  niacchina. 


48 


La  terza  domenica  dopo  eletti,  cioè  addi  23,  i  nove  della 
commissione  presentarono  al  Consiglio,  che  l'approvò,  una  pro- 
posta del  seguente  tenore.  La  fabbrica  è  in  grande  necessità  di 
danaro  ;  bisogna  lo  si  provveda  e  si  perseveri  in  quella  sino  alla 
fine  :  lodevole  cosa  e  salutifera,  quanto  il  desistere  sarebbe  po- 
chezza d'  animo  e  ingratitudine  verso  Dio,  e  tutti  devono  con- 
correre in  aiuto,  che  madre  di  tutte  le  chiese  della  diocesi  è  la 
Cattedrale  ed  in  essa  principalmente  si  amministrano  a  tutti  i 
sacramenti.  Riscosse  che  siano  le  tasse  per  la  Cisterna  Magna 
giusta  il  censimento  fatto  già  delle  persone  e  compiuta  essa 
opera,  il  residuo  di  quelle  vada  nella  spesa  de'  manovali  per  le 
torri  da  erigersi  intorno  alla  città,  e  se  non  bastassero  all'  uopo 
i  danari  residuari,  si  paghi  quella  spesa  in  sei  rate,  e  d'allora 
in  poi,  rettificato  il  censimento,  perchè,  a  quanto  dicesi,  altri 
sono  gravati  troppo  ed  altri  meno  del  dovuto  ;  esentati  i  preti, 
che  con  onere  maggiore  sono  gravati  altrimenti,  e  soddisfatta  la 
condizione  de' soldi  6  per  i  poveri,  le  altre  tasse,  anche  de'  vil- 
lici, vengano  per  9  anni  una  volta  all'anno  riscosse  in  settembre 
il  giorno  di  S.  Michele  ed  aumentate  con  questo  ragguaglio,  cioè, 
che  i  paganti  da  3  lire  paghino  per  1  ducato,  quelli  da  lire  2  e 
soldi  5  per  lire  4,  quelli  da  lire  1  e  soldi  12  per  lire  3  e  quelli 
da  soldi  24  per  lire  2,  restando  immutate  le  altre  tasse  di  lire  16 
e  soldi  10.  I  danari  così  raccolti  devolvansi  alla  fabbrica  e  ne  sia 
demandata  l'esazione  a'  procuratori  di  quella.  Accettata  tale  pro- 
posta, s'  intendano  nulle  da  quel  momento  e  revocate  tutte  le  pro- 
missioni annue  de'  cittadini  e  le  si  cancellino  dal  libro  della  fab- 
briceria. E  tutto  ciò  abbia  effetto  in  tanto,  in  quanto  il  vescovo 
col  clero  contribuisca  alla  fabbrica  ogni  anno  100  ducati  per  i 
detti  9  anni  ;  altrimenti  no.  E,  ad  ogni  richiesta  del  Comune,  la 
fabbriceria  sia  obbligata  alle  spese  per  gli  oratori  da  mandarsi 
alla  Santa  Sede  ed  al  Ducale  dominio  per  impetrare  sovvenzioni 
a  quest'  uopo. 

La  settimana  seguente  a  tale  atto,  domenica  30  marzo,  il 
medesimo  Consiglio  v'aggiunse,  che  il  vescovo  col  clero  avesse  a 
rispondergli  e  deliberare  in  argomento  fino  a  tutto  il  maggio  pros- 
simo, scorso  il  quale,  fosse  qualunque  la  risposta  sua  e  la  deli- 
berazione, siano  nulle,  né  abbiano  più  valore  le  promesse  delle 
annuali  oblazioni  de'  cittadini. 

Non  tardò  a  rispondere  il  vescovo,  presentatosi  col  Capi- 
tolo al  Conte  e  Capitano  sei  giorni  prima  dello  spirare  del  ter- 
mine, che  gli  era  stato  prefisso.  Incominciò  col  ringraziare  il  Con- 
siglio dell'  intenzione  santissima  e  che,  ad  esempio  de'  predeces- 
sori, studiosissimo  fosse  sempre  del  vantaggio  della  Cattedrale. 
Ma  in  tutto  ci  vuole  modo  e  misura.  La  deliberazione  presa 
sembra  deficiente  del  principale.  Dessa  è  contro  Dio,  che  non 
vuole  servigi  sforzati  ;    contro    la  salute  delle  anime,    perchè   da 


i 


49 


violenti  riscossioni  di  simil  genere  insorgono  ire,  odi  con  innu- 
merabiii  loro  ree  sequele  e  si  perturba  la  pace  pubblica  tanto 
curata  dal  governo  Veneto,  e  contro  il  diritto  ecclesiastico,  perchè 
non  altri  che  il  Papa  ed  il  vescovo  può  assolvere  da  promessa, 
né,  senza  V  assenso  del  vescovo,  si  possono  imporre  tasse  agli 
ecclesiastici.  A  lui  incombe  per  ufficio  procurare  sopratutto  l'onore 
di  Dio  ;  guardare,  non  pur  dal  peccato,  ma  dall'  occasione  di 
quello  il  gregge  affidatogli  quando,  sotto  forma  di  santità,  introdur 
vi  si  possa  a  farne  strazio  lo  spirito  malo,  cui  perciò  è  da  op- 
porsi fin  dal  principio,  e  tutelare  con  ogni  possa  le  immunità 
ecclesiastiche.  Ond' è  che,  con  matura  ed  unanime  deliberazione 
del  suo  Capitolo,  giudicò  non  dover  affatto  accettare  il  modo 
della  provvisione  presa  dal  Consiglio.  Tuttavia,  per  far  tacere  i 
dettratori  e  perchè  ninno  sospettar  possa  movente  della  negativa 
la  cupidigia  o  V  avarizia  e  che  non  si  voglia  porgere  mano  a 
soccorrere  ne'  debiti  ed  onesti  modi  la  fabbrica,  tre  onestissimi 
ne  propone  egli  adesso.  —  Primo  :  Ognuno  contribuisca  alla  pia 
opera  come  per  ispirazione  divina  avrà  destinato  in  suo  cuore, 
—  Secondo  :  Norma  della  tassa  sia  tanto  per  cento,  come  usa 
nelle  giustissime  sue  riscossioni  il  Ducale  dominio  ;  quell'importo 
lo  determini  il  Consiglio  come  meglio  gli  sembri  ;  subito  allora 
offresi  il  vescovo  di  tassare  sé  ed  il  clero  nella  sostanza  e  ne- 
gl'  introiti  propri  il  doppio  di  quello  che  il  Consiglio  avrà  tassato 
a  sé  stesso.  —  Terzo  :  Si  rilevi  la  dotazione  della  chiesa  sin  da 
quando  nel  1298  la  s'  intitolò  cattedrale  e  fu  vescovile  :  forse, 
senz'  aggravio  di  particolari,  potrà  essa  del  proprio  sufficiente- 
mente e  largamente  soccorrere  la  fabbrica.  Così  proposto  a'  no- 
bili, li  ammoniva  e  scongiurava  perché  in  uno  di  que'  tre  modi 
od  in  diverso  o  simile,  che  il  Consiglio  avesse  trovato  più  de- 
coroso e  conveniente,  tutti  del  pari  si  convenisse  nel  ridare  alla 
fabbrica  incremento  continuo  a  lode  di  Dio,  ad  onore  del  Ducale 
dominio,  a  profitto  delle  anime  ed  a  far  celebre  Sebenico  do- 
vunque nel  mondo.  L'  invidia  de'  vicini  non  avrà  allora  onde 
mordere  insipienti  che  incominciarono  e  non  poterono  terminare. 
E  dopo  rammemorato  di  quanta  larghezza  di  benefici  in  confronto 
de'  circonvincini  li  avesse  dotati  la  divina  clemenza,  pur  a  con- 
siderar la  prosperità  di  Sebenico  sotto  Venezia,  mercé  principal- 
mente la  Madre  di  Dio  e,  dopo  lei,  di  S.  Giacomo  a  cui  il  tem- 
pio è  dedicato,  concludeva  avvertendo  che,  maggiori  i  doni,  è 
maggiore  la  ragione  da  doversi  renderne. 

Due  mesi  poscia,  addì  27  luglio,  festa  di  S.  Giacomo,  il 
Consiglio  generale,  in  numero  di  65  col  Conte  e  capitano,  deli- 
berò, che,  giusta  il  contenuto  nella  parte  presa  li  30  marzo,  le 
annue  promissioni  de'  nobili  per  la  fabbrica  della  Cattedrale  fos- 
sero nulle.  E  siccome  dicevasi  altri  averle  fatte  intendendo  che 
tenessero  e  rimanessero  ferme  se,  e  non  altrimenti,  anche  il  clero 


50 


avesse  contribuito  nella  sovvenzione,  ed  altri  invece  avere  pro- 
messo liberamente,  senza  condizione  veruna  ;  così  si  dovessero 
i  promettitori  mettere  a  giuramento.  Chi  giurerà  di  avere  data 
la  sua  promessa  a  condizione,  ne  sia  sciolto,  e  chi  giurerà  di 
averla  data  libera  ed  incondizionata,  ne  rimanga  obbligato,  im- 
perocché, una  volta  fatta  a  Dio  un'  offerta,  la  non  dev'  essere 
disdetta,  né  revocata. 

Ma,  senza  più,  seguono  per  esteso  i  documenti.  Chi  vorrà 
leggerli  avendo  presente  con  quali  emuli  e  quando  e  per  quale 
opera  avvenisse  le  gara  che  testificano,  li  scorgerà  —  mi  giova 
credere  —  non  immeritevoli  d'  essere  prodotti  in  pubblico,  se 
anche  debba  dolere  che  non  sortissero  altro  introduttore  ed  an- 
notatore e  vedessero  la  luce  in  età  troppo  diversa  da  quella  che 
vide  sorgere  un  tempio,  com'  é  il  nostro,  mirabile  per  V  arte, 
divino  per  V  idea. 


•-^^ 


\^' 


A^ 


xute  of  Media 


eu 


<5/ 


^A 


LIBRARY 

--2Z9nto,  Ontario 


I 


51 


DOCUMENTI 


I. 
Elezione  di  nove  nobili. 

Die  Dominico,  secundo  mensis  Marci]  M.CCCC.XLVIIIL 
Convocato  et  congregato  Generali  Consilio  Nobilium  civium 
Sibenici  in  sala  inferiori  palati]  Comitatus  Sibenici  more  solito,  de 
comissione  Magnifici  et  Generosi  Viri  Domini  Christophori  Mar- 
cello prò  Ill.mo  Ducali  Dominio  Venetiarum  et  honorabilis  Co- 
mitis  et  Capitanei  civitatis  Sibenici,  in  quo  quidem  Consilio 
computato  ipso  Magnifico  Domino  Comite  et  Capitaneo  Sibenici 
interfuerunt  nobiles  LXXIIII.  In  ipso  Consilio  capta  fuit  pars  te- 
noris  infrascripti,  videlicet  : 

Cum  omnibus  manifestum  sit,  quod  fabbrica  ecclesiae  Sancti 
Jacobi  de  Sibenico  omnino'  egeat  provisione  ut  possit  ulterius 
procedi  ad  ipsam  fabricam,  aliter  rìecesse  erit  eam  distruere  cum 
maximo  detrimento  operis  iam  facti,  quod  nisi  perficiatur  ibit  in 
ruinam,  et  cum  maxima  infamia  hujus  Comunitatis,  quoniam  di- 
cetur  et  predicabitur  per  omnes  regiones  de  pusilanimitate  nostra 
eo  quod  defecerimus  a  tam  preclaro  opere,  et  ne  simus  ingrati 
de  beneficiis  a  Deo  receptis,  et  provocemus  eius  iram  adversus 
nos  filiosque  nostros,  et  ne  apud  mortales  infamiam  accipiamus 
quod  destituerimus  dictam  fabricam  ;  ibit  pars  quod  in  isto  Con- 
silio fiat  scruptinium  prò  eligendo  novem  nobiles  hujus  Consilii, 
et  debeant  ballotari  illi  qui  eligentur  in  dicto  scruptinio,  et  illi 
novem  nobiles  qui  remanebunt  electi,  et  balotati  ili  qui  habebunt 
plures  balotas  ceteris,  habeant  plenissimam  libertatem  per  totum 
mensem  Marti]  presentis  disputare  inter  se  omnes  et  singulas 
provisiones  que  videbuntur  sibi  fore  utiles  et  honeste  prò  dieta 
fabrica  prosequenda,  et  insuper  audire  et  acceptare  debeant  in 
scriptis  omnes  et  singulas  provisiones,  quas  unusquisque  No- 
bilis  hujus  Consiili  super  fabrica  predicta  dabit  et  presentabit 
ipsis  novem  Nobilibus  electis,  infra  terminum  XV  dierum  proxime 
futurorum,  quibus  provisionibus  disputatis,  auditis  et  acceptatis 
ut  dictum  est  supra,  predicti  novem  nobiles  electi,  infra  presen- 
tem  mensem  Marcij  ducere  debeant  suas  oppiniones  provisiones 
et   partes    ad  Consilium  Generale    predictum,    et    balotatis   ipsis 


52 


partibus  et  provisionibus,  ille  que  approbate  fuerint  per  maiorem 
partem  ipsius  Consilii,  remaneant  firme  et  capte.  Et  facto  scrup- 
tinio  in  predicto  Consilio  prò  eligendo  supra  scriptos  novem 
nobiles  et  balotati  omnes  illi  qui  fuerunt  nominati  in  scruptinio, 
remanserunt  electi  nobiles  infrascripti,  videlicet,  ser  Jacobus  Nap- 
lavich,  ser  Johannes  Tobolovich,  ser  Ambrosius  Michetich,  ser 
Dobroius  Johannis,  ser  Stephanus  Draganich,  ser  Raphael  Dra- 
goevich,  ser  Simon  Lubich,  ser  Thomasius  de  Mirsa,  ser  Johannes 
Mlednich  ^).  Qui  novem  nobiles  electi  acceptaverunt  electionem 
suam  et  officium  eis  impositum. 


1)  Tutti  e  nove,  salvo  due,  s'incontrano  addi  29  decembre  1444  nel- 
r  elenco  di  que'  trentasei  oblatori  nobili,  de'  quali  ho  fatto  cenno  dianzi  nella 
prefazione  a'  documenti.  I  due,  che  là  mancano,  sono  Giovanni  Toboleo  ed 
Ambrogio  Micateo,  del  quale  ultimo  però  vi  figura  il  padre,  Radoslao.  Del 
resto,  ragguardevolissimi  entrambi  e,  di  frequente,  entrambi  a  lor  volta,  tra 
i  giudici  della  Corte  Maggiore  ed  in  altre  cariche  cittadine  ;  come  pure  pro- 
curatori del  Duomo  ed,  insieme,  nel  1452,  operari  nel  tempo  della  fabbrica. 

Ambrogio  di  Radoslao  Micateo  era  dottore  delle  arti  e  delle  leggi  ; 
sposò  il  4  febraio  14-15  Maria  di  Giorgio  Difnico  e  fu  sepolto  in  Duomo 
nell'abside  laterale  sinistra,  dove  leggasi  tuttodì  l'iscrizione  postagli  sulla 
tomba  dal  figlio  Pietro  nel  1508.  Egli  è  il  filosofo  Sebenicese,  come  lo 
chiama  1'  amico  suo  concittadino,  il  poeta  Giorgio  Sisgoreo  (Elegiarum  et 
carminum  Libri  Tres.  Venezia.  Rodueil.  1477)  intitolandogli  alcuni  distici  ed 
una  saffica  (L.  Ili,  1  e  8),  e  ve  lo  celebra  stella  della  patria,  lodatore  di 
Dio,  studioso  dell'Aquinate  e  dello  Scolo,  di  Giustiniano  e  di  Cicerone,  che 
gli  era  maestro  di  stile.  Della  chiesa  di  S.  Benedetto  (oggi  S.  Barbara)  gettò 
le  fondamenta  suo  padre:  egli  la  compì  nel  1447.  L'anno  stesso,  addì  11 
marzo,  è  dei  tre  chiamati  a  dar  parere  e  consigilo  sulle  corone  stemmate 
della  Cisterna  magna.  Fervido  per  la  Repubblica  Veneta,  che  suo  padre  ed 
egli  spontaneamente  e  gratuitamente  servirono  più  volte,  ebbe  nel  1450,  a 
ricognizione  de'  meriti,  un'  investitura  di  terreni  nell'  isola  di  Morter. 
Oratore  a  Venezia  per  il  patrio  Comune,  queir  anno,  un  decennio  dopo  e 
nel   1469. 

Giovanni  Toboleo  fu  de'  tre,  che  nel  1438  riordinarono  lo  Statuto 
civico  e  le  Riformazioni.  Nel  1441,  addì  23  aprile,  lo  s'incontra  de' cinque 
gentiluomini  incaricati  a  provvedere  del  Duomo  allorché  ne  si  sospese  la 
fabbrica  e  1'  anno  medesimo,  addì  22  giugno,  tra  gli  stipulanti  il  contratto 
con  Giorgio  Orsini.  De'  cinque  deputati  alla  costruzione  della  Cisterna  magna, 
ne  si  legge  il  nome  nel  contratto  de'  10  gennaio  1446  con  maestro  Giacomo 
Correr  e,  de'  tre  provveditori  alla  stessa,  in  una  convenzione  dei  25  febbraio 
1450  occorsa  co'  frati  di  S.  Domenico.  Li  10  gennaio  1457  instituì  in  Santa 
Trinità  il  beneficio  di  S.  Clemente.  Sposò  Caterina  di  Giovanni  e  di  Clara 
Tavileo  e  nel  1458  fece  testamento. 


J 


53 

Tassa  generale  per  un  novennio,  in  elemosina  alla  fab- 
brica della  chiesa,  ma  a  condizione  che  v' abbia  a  contri- 
buire anche  il  clero  con  cento  ducati  all'anno. 

M.CCCC.XLVIIII.  indictione  XII.  die  Dominico.  XXIII.  mensis 
Marcij. 

Item  in  predicto  Generali  Consilio  per  illos  novem  nobiles, 
die  secundo  instantis  mensis  in  Generali  Consilio  supradicto  per 
scruptinium  electos  et  deputatos  ad  disputandum  audiendum  et 
acceptandum  provisiones  fiendas  super  fabbrica  ecclesie  Cathe- 
dralis  Sanati  Jacobi  de  Sibenico,  et  deducendum  eorum  provi- 
siones oppiniones  et  partes  ad  prefatum  Generale  Consilium,  ut 
ibidem  ballotarentur,  posita  fuit  pars  tenoris  infrascripti,  et  sub- 
sequentiS;  videlicet.  Et  ballotata  ipsa  parte,  captum  fuit  ut  in 
ea  continetur.  Cum  fabrica  ecclesie  Cathedralis  Sancti  Jacobi 
preclarum  habuerit  principium  prout  manifestum  est  ^),  et  in 
presentiarum  reperiatur  esse  in  magna  necessitate  pecunie,  ita 
ut  alterum  e  duobus  tacere  necesse  sit,  aut  ab  incepto  opere 
desistere,  aut  de  pecunia  providere,  et,  uti  desistere  esset  magne 
pusilanimitatis  apud  homines  et  ingratitudinis  apud  Deum,  ita 
providere  laudabile  et  salutiferum.  Non  enim  qui  inceperit  sed 
qui  perseveraverit  usque  in  finem  salvus  erit.  Et  quoniam  hec 
ecclesia  est  mater  omnium  ecclesiarum  diocesis  Sibenicensis 
et  in  ea  potissimum  omnibus  ministrantur  sacramenta  ecclesie, 
dignium  et  congruum  est  ab  omnibus  sibi  manus  porigere  adiu- 
trices.  Et  quia  prò  fienda  Cisterna  -)  condiciones  personarum 
huius  civitatis  prò  malori  parte  bene  examinate  et  distincte  sunt, 
vadit  pars  quod  semel  exactis  tansis  quas  exigi  debent  prò  per- 
fectione  diete  Cisterne  et  dicto  opere  completo,  totum  residuum 
diete  exactionis   contribuatur   prò   manualibus   turrium   fiendarum 


1)  Il  principio  preclaro  a  cui  qui  si  allude  non  può  essere  certamente 
quello  del  1431  allorché,  affidato  il  Duomo  ad  Antonio  di  Pierpaolo  Massegna, 
fu  egli  il  primo  ad  incominciarlo.  Dovrebbesi  ammettere  una  contradizione, 
da  neppur  pensarsi  nel  Consiglio,  il  quale,  dieci  anni  dopo,  ne  sospese  la 
fabbrica,  adducendo  motivo  del  suo  decreto  23  aprile  1441  i  molti  errori  e 
e  difetti  che  v'  erano  occorsi,  contro  ogni  intenzione  de'  committenti  e  de* 
soccorritori,  e  lamentando  nelle  molte  spese  incontratevi  quasi  gittati  i  da- 
nari. V  encomio  di  preclaro,  né  ritengo  d' ingannarmi  nell'  interpretare  cosi, 
va  riferito  a  quando,  dopo  la  sospensione  anzideUa,  riprese  la  fabbrica 
Giorgio  Orsini.  Fu  quello,  era  ed  è  a  tutti  manifesto,  il  vero  principio  del- 
l' opera,  dal  genio  di  lui,  aggrandendola  ed  emendandola,  creata  nuova 
e  originale. 

2)  La  Cisterna  magna  Comunis  od  altrimenti  /  Quattro  Pozzi.  Vedi 
qui  r  appendice  I. 


54 


circa  Sibenicum  ^),  et  si  dicti  denari]  non  suficerent,  supleatur 
per  sisterium  ^),  et  ab  inde  in  antea,  corectis  prius  dictis  tansis, 
quia  aliqui  ut  dicitur  sunt  preter  modum  gravati,  aliqui  minus 
debito  gravati,  et  exemptis  presbiteris  qui  hac  de  re  alio  modo 
maiori  onere  gravantur,  et  absoluta  illa  ultima  conditione  sex  so- 
lidorum  quia  pauperum  est,  omnes  relique  tanse,  etiam  villicorum, 
exigi  debeant  semel  in  anno  per  novem  annos,  incepturos  die 
Sanati  Michaelis  proxime  futuro  de  mense  Septembris  et  subse- 
quentes  finituros,  cum  hac  conditione  quod  illa  conditio  que  so- 
lebat  libras  tres,  solvere  debeat  unum  ducatum,  et  que  solebat 
libras  duos  solidos  quinque,  solvere  debeat  libras  quatuor,  et  que 
solebat  libram  unam  solidos  duodecim,  solvere  debeat  libras  tres, 
et  que  solebat  viginti  quatuor  solidos,  solvere  debeat  libras  duas, 
reliquis  vero  tansis  L.  sexdecim  et  decem  solidorum  manentibus 
ut  sunt,  et  pecunie  inde  exacte  contribuantur  prò  elemosina  in 
dictam  fabricam,  et  procuratores  diete  ecclesie  dare  possint  modum 
dictarum  exactionum  et  providere  de  exactionibus.  Hoc  modo.... 
omnium  gravamine  procedere  poterit  opus  predictum  cum  magna 
omnium  laude  et  Dei  honore.  Qua  parte  capta,  omnes  alie  pro- 
visiones  annue  civium  Sibenici  intelligantur  et  sint  tunc  cassate 
et  revocate,  et  de  libris  Ecclesie  cancellentur.  Et  hec  omnia  lo- 
cum  habeant  in  quantum  Dominus  Episcopus  cum  clero  suo  con- 
tribuerit  in  dictam  fabricam  ducatos  centum  omni  anno  ad  dictos 
novem  annos  ;  aliter  vero  non.  Item  predicta  fabrica  remaneat 
obligata  ad  faciendum  expensas  oratoribus  mittendis  ad  Sedem 
Apostolicam  et  Ducale  Domitdum  prò  impetranda  subventione  prò 
dieta  fabrica  ad  omnem  requisitionem  hujus  Comunitatis. 


4)  Un  anno  innanzi,  sparsa  com'  erasi  voce  che  gli  Ungheri  volevano 
invadere  Zara  e  Sebenico,  la  città  nostra  chiese  ed  ottenne  da  Venezia  la 
si  munisse  di  torri.  In  tutta  la  lunghezza  delle  mura  non  ve  ne  avevano  che 
tre  dalla  parte  di  terraferma  e  nella  larghezza  due  sole.  Il  doge  Francesco 
Foscari,  nella  ducale  29  agosto  1448  a  Cristoforo  Marcello,  ordinò  le  torri 
di  terraferma  si  elevassero  all'  altitudine  di  quella  di  S.  Francesco  già  in- 
cominciata a  riparare  e  si  erigessero,  alte  come  quella,  dieci  torri  nuove  ; 
obbligato  ogni  nuovo  rettore  successivamente  ad  erigerne  una  sino  al  de- 
cennario  loro  compimento.  La  città  erasi  offerta  di  dare  i  manovali  (Mon. 
Si  O.  e.  voi.  IX,  pag.  276).  Non  so  per  1'  appunto  se,  ne'  ventitre  anni  de- 
corsi nel  succedersi  di  dieci  Conti  e  capitani,  tutte  e  dieci  sorgessero  le 
torri;  certo,  perchè  risulta  da'  documenti,  n'eresse  la  prima  Cristoforo  Mar- 
cello e  certo,  perchè  ne  portava  il  nome,  una  n'  eresse  Stefano  Malipiero, 
rettore  penultimo  in  quel  periodo. 

"')  Se  mal  non  m'  appongo,  vale  per  sesteria,  voce  antiquata,  ed  in- 
tenderebbesi  :  pagando  in  sei  rate. 


À 


55 
III. 

Termine  di  due  mesi  assegnato  al  vescovo  per  la  risposta. 

M.CCCG.XLVIIII.  Indictione  XII.  Die  Dominico  penultimo 
mensis  Martij. 

Cum  die  XXIII  dicti  mensis  Martij  in  Generali  Consilio  No- 
bilium  Sibenicensium  posita  ballotata  et  capta  fuerit  quedam  pars 
super  provisione  pecuniarum  prò  fabrica  Ecclesie  Cathedralis 
Sancti  Jacobi  de  Sibenico  reciperandarum  et  exigendarum  condi- 
tione  quod  contenta  in  ipsa  parte  locum  habeant  in  quantum 
Rv:mus  Dominus  Episcopus  Sibenicensis  cum  clero  suo  contribuerit 
in  dictam  fabricam  ducatos  centum  omni  anno  ad  annos  novem, 
aliter  vero  non,  prout  in  ipsa  parte  plenius  continetur;  ideo  in 
predicto  Generali  Consilio  capta  fuit  pars  sive  additio  ipsius 
partis,  tenoris  infra  scriptis,  videlicet  :  Quod  Rev:mus  Dominus 
Episcopus  Sibenicensis  cum  suo  clero  habeat  terminum  ad  re- 
spondendum  et  deliberandum,  ac  respondisse  et  deliberasse  super 
parte  capta  super  predictis  amodo  usque  per  totum  mensem 
Madij  proxime  futuri,  quo  termine  elapso  respondeant  et  delibe- 
rent  dictus  Rvi^us  Dominus  Episcopus  et  suus  clerus  quoquo 
modo  ipsi  voluerint,  tamen  annue  promissione  facte  per  cives 
Sibenici  sint  casse  et  nulle,  nuUiusque  valoris  et  momenti,  et 
ponatur  ista  pars  in  copia  sub  parte  suprascripta  capta  die  23 
martij  instantis. 

IV. 

Risposta  del  vescovo. 

Die  XXVI  mensis  Maij  MCCCCXLVIIII. 

Coram  Vobis  spectabili  et  generoso  viro  Domino  Christoforo 
Marcello  honorabili  Comite  et  Capitaneo  civitatis  Sibenici  et  eius 
districtus,  Nos  Georgius  Sisgorich  Dei  et  Appostolice  Sedis  gratia 
Episcopus  Civitatis  eiusdem  cum  nostro  Capitulo  personaliter 
constituti  responsuri  ad  quandam  parte  per  Egregios  et  generosos 
cives  Sibenicenses  in  eorum  generali  Consilio  sub  1449,  die  23 
mensis  iVlartij,  super  provisione  Ecclesie  nostre  Cathedralis,  cuius 
tenor  de  verbo  ad  verbum  talis  est,  videlicet  : 

(Seguitar  tenor  partis  saprascripte) 

Ad  quam  partem,  infra  terminum  per  dictum  generosum 
Consilium  nobis  in  scriptis  prefixum,  obmissa  verborum  multipli- 
catione,  taliter  sub  brevitate  respondemus.  Primum  est  ante  om- 
nia, ad  vitium  ingratitudinis  excludendum,  non  quas  debemus, 
sed  quas  possumus,  ex  intimo  corde,  dicto  generoso  Consilio 
exibemus  grates  prò  eius  vel  prò  eorum  sanctissima  et  devotis- 
sima intentione  :  qui  suorum  predecessorum  immitantes  vestigia, 
diete  Cathedralis   ecclesie   profectum    et  augumentum,    solerti  ac 


56 


vigili  cura  semper  studiosissime  procurare  et  fovere  curarunt.  Ni- 
hilominus,  quod  iuxta  Sapientis  dictum,  modus  est  adiacens  rei 
determinatio,  sine  quo  etiam  bona  intentio  suo  frustatur  merito, 
nec  sine  debito  Claudi  potest,  adeo  ut  apud  plerosque  sapientes, 
modus  omnium  divinarum  humanarumque  actionum  regula  et 
mensura  esse  deifiiiiatur:  primumque  omnium  Auctorem  singula 
egisse  et  agere  sub  numero  pondere  et  modo  sive  mensura  ne- 
dum  theologi  sed  etiam  vero  philosophantes  rationabiliter  et  ca- 
tholice  profitentur.  Et  quia  modus  in  prefata  parte  contentus  in 
principalioribus  defficere  videtur,  ideo  nulli  mirum  esse  debet  si 
debito  ac  optato  fine  Claudi  non  meretur.  Quod  ex  tribus  liquido 
constare  et  patere  potest,  primo  quod  est  contra  Deum,  secundo 
quod  est  contra  salutem  animarum,  tertio  quod  est  contra  eccle- 
siastice  libertatis  emunitatem.  Primum  patet,  servitium  coactum 
nullatenus  fore  placitum  seu  acceptum,  ne  dum  sacre  Scripture 
testimonio,,  verum  etiam  Sanctorum  exemplis  edocumur,  adeo  ut 
in  comune  proverbium  versum  sit,  servitium  coactum  Deo  non 
placet:  inquit  Paulus  beatissimus  Apostolus  ad  Corintios:  unus- 
quisque  enim  prout  destinavit  in  corde  suo  non  ex  tristitia  aut 
ex  necessitate,    ylarem   enim  datorem  diligit  Deus.  ,  Quod    antem 

secundo  loco  animarum  salus  ex  dicto  modo patet  quod 

ex  huiusmodi  violentis  exactionibus  ut  plurimum  insurgent  ire  rixe 
oculata  odia  dissensiones  invidie  detractiones  contumelie  blas- 
phemie  et  plura  alia  longe  graviora,  ex  quibus  ne  dum  animarum 
salus,  verum  etiam  et  pacificus  .status  huius  reipublice,  quam  No- 
strum Ilhmum  Dominium  in  suorum  populorum  gubernationem 
summo  studio  procurat  et  fovet,  faciliter  perturbari  et  maculari 
posset.  Quod  autem  tertio  loco  prefatus  modus  ecclesiasticam 
ledat  immunitatem,  pàtet,  cum  ex  cassatione  promissarum,  ad 
quarum  anuUationem  dispensationem  et  comutationem  non  nisi 
Sedis  Apostolice  aut  Diocesani  auctoritas  se  extendit,  ut  habetur 
extra  de  votis  capitulo  primo,  .  •  .  ^)  etiam  ex  obligatione  pe- 
cuniarum  facte  per  dictum  Generale  Consilium  in  prefata  parte, 
quam  obllgationem  nec  secundum  Deum,  nec  secundum  con- 
scientiam,  nec  secundum  debitam  equitatem  absque  nostro  Con- 
silio et  assensu  tacere  potuerunt,  ut  patet  per  privilegium  super 
inde  confectum  sub  M.CCCC.II.  indictione  X.»  die  nono  mensis 
Aprilis.  Ne  igitur  humani  generis  hostis,  cuius  studium  est  ut  sub 
specie  boni  falat,    transformat    enim  se,    ut   inquit  Apostolus,    in 


')  Forse  va  empiuto  con  un  cum  \r\  corrispondenza  al  cum  precedente, 
e  così,  contro  la  deliberazione  del  Consiglio,  che,  a  quanto  si  vuole  qui  di- 
mostrare, ledeva  i  diritti  del  clero,  verrebbero  allegati  due  argomenti  :  1'  uno, 
perchè  s'annullavano  le  promesse  de' nobili  per  le  oblazioni,  l'altro,  perchè 
s' imponevano  obblighi  nuovi  agli  ecclesiastici  ;  in  entrambi  i  casi,  non  lecito, 
a  detta  del  vescovo  Giorgio,  senza,  l' intervento  dell'  autorità  episcopale. 


57 


angelum  lucis  et  sepius  sub  mele  veneris  et  sub  ovina  pelle  lu- 
pinam  exercet  capacitatem,  sub  hoc  sanctitatis  colore  gregem  nobis 
comissum  invadere  dilaniare  mactare  aut  disserpere  possit,  prin- 
cipiis  obstandum  ruravimus  ;  lubricus  enim  est,  ut  beatissimus 
Gregorius  iu  suis  Moralibus,  antiquus  serpens,  qui  nisi  capite 
teneatur  totus  statim  illabitur,  januis  enim  reseratis  faciliter  patet 
ingressus,  et  Philosophus  in  primo  de  celo  et  mando:  parvus  error 
in  principio,  magnus  est  in  fine  valde.  Cum  igitur  nobis  ex  of- 
ficio incumbat  Dei  honorem  super  omnia  procurare,  et  ne  dum 
peccata,  scilicet  etiam  occasiones  peccatorum  prescindere  evellere 
et  extirpare,  emunitatemque  ecclesiastice  libertatis  prò  posse  tueri, 
ne  ex  nostro  assensu  animarum  nostrarum  adversario  additum 
patefecisse  videamur,  nescit  enim,  ut  inquit  beatissimus  Augusti- 
nus,  justitia  Dei  patrocinium  dare  criminibus,  de  unanimi  nostri 
Capituli  matura  deliberatione  modum  prefate  provisionis  nullatenus 
duximus  acceptandum,  scilicet  ut,  iuxta  beati  Petri  apostoli  dic- 
tum,  obmutescere  faciamus  imprudentum  dectractorum  ignorantiam 
et  presumptionem,  et  ne  quisquam  cum  ventate  suspicare  valeat 
nos  prefatam  negativam  dedisse  pretextu  cupiditatis  vel  avaritie, 
aut  velie  subtrahere  manus  adiutrices  prò  dieta  fabrica  sublevanda 
modis  debitis  et  honestis,  in  presentiarum  tres  modos  honestis- 
simos  predicte  fabrice  sublevatione  dicto  generoso  Consilio  an- 
teponere  curavimus.  Primus  videlicet  est  inquisitio  voluntaria  ut, 
iuxta  Apostoli  dictum,  quilibet  conferat  ad  hoc  pium  opus  prout 
ex  divina  inspiratione  destinavit  in  corde  suo.  Secundus  modus 
est  quem  Ilhmum  Dominium  in  suis  iustissimi  exactionibus  observat, 
videlicet,  adhibere  tantum  prò  centenario  quantum  Vobis  videbitur, 
sub  quo  modo  in  presentiarum  nos  offerimns  tansare  nos  et  cle- 
rum  nostrum  in  nostris  substantiis  et  introitibus  prò  centenario 
in  duplo  illius  in  quo  vos  tansabitis  vos  ipsos.  Tertius  modus 
est  ut  relevetur  dos  seu  fabrica  prefate  Ecclesie  iuxta  tenorem 
privilegii  super  inde  confecti  sub  M.CC.XCVIII.  indictione  unde- 
cima, die  XXIIII  mensis  Junij  ^)  ex  tunc  quando  primo  dieta  Ec- 
clesia Sancti  Jacobi  insignita  fuit  titulo  Ecclesie  Cathedralis,  et 
hec  civitas  sublimata  extitit  dignitate  pastorali,  q.  f  .  .  .  ^)  dieta 
Ecclesia  habebit  suficientes  expensas  de  propria  dote  unde  eius 
fabrica  absque  gravamine  alicuius  persone  particularis  sufficiènter 
et  ampie  poterit  sublevari.  Vos  igitur,  o  generosi  et  circumspecti 
cives.  dignitate  pastorali  monemus  et  dilectionis  affectu  devotis- 
sime obsecramus,    ut   sub    aliquo  predictorum  modorum  vel  sub 


1)  E  la  bolla  di  Bonifacio  Vili,  che  reca  la  data  di  Roma  del  1  mag- 
gio 1298,  anno  quarto  del  suo  pontificato.  La  si  legge  nel  voi.  IV  dell'  Illy- 
ricum  sacrum  del  Parlati  a  pag.  459  e  nelle  Memorie  di  Traù  di  Giovanni 
Lucio  a  pag.  136. 

2)  Potrebbe,  se  non  erro,   spiegarsi  e  compiere  con  un  quia  forsitan. 

8 


58 


aliquo  alio  honestiori  et  convenientiori  aut  simili,  si  quem  ve- 
strum  circumspectum  consilium  invenire  poterit,  omnes  pariter 
conveniamus  ad  Dei  laudem,  Nostri  lILmi  Dominii  honorem,  no- 
strarum  profectum  animarum  et  ad  huius  reipublice  celeberimam 
ubique  terrarum  difundendani  ^),  ut  prefata  laudabilis  fabrica  con- 
tinuum recipiat  incrementum,  ne  vicinorum  nostrorum  mordeamur 
invidia,  quia  merito  nobis  illudere  poterunt  illud  evangelicum  di- 
centes  :  isti  homines  inceperunt  hedificare  et  non  potuerunt  con- 
sumare. Nam  iuxta  egregii  doctoris  Cassiodori  dictum  in  suis 
epistolis,  ad  finem  debitum  perducere  que  prudentium  intentio 
visa  est  suscepisse  .  .  .  nam  sicut  imperfecta  laude  ,  .  ,  sic  vitu- 
perationem  generant  que  mediis  conatibus  ....  deseruntur,  ^) 
Memores  enim  esse  debetis,  Cives  egregij,  quanta  beneficiorum 
largitate  supra  convicinos  vestros  divine  clementie  inmensitas  vos 
dotavit  et,  ut  ex  multis  panca  rememorem,  considerate  rempu- 
blicam  vestram  sub  Nostri  lll.mi  Dominij  equissima  gubernatione 
mirabiliter  ampliatam  in  Civium  prudentia  et  discretione,  in  po- 
puli  numerositate,  in  juvenum  venustate  et  decore,  in  divitiarum 
copia  et,  quod  omnibus  excellentius  est,  in  gratissima  corporum 
sospitate  et  in  pestiferis  morbi  preservatione,  quod  certe  post 
beatissimam  domini  Matrem,  meritis  beatissimi  Apostoli  Jacobi  ad 
cuius  honorem  hoc  templum  dedicatum  est,  divinam  clementiam 
egisse  nulli  ambiguum  esse  debet,  ut  igitur  verbis  utar  beatissimi 
doctoris  Gregorii  in  omelia  super  Matheum,  solicite,  inquit,  di- 
lectissimi,  nos  considerare  expedit  ne  nos  qui  plus  ceteris  in  hoc 
mundo  accepisse  aliquid  cernimus,  ab  auctore  mundi  gravius  inde 
judicemur;  cum  enim  augentur  dona,  rationes  etiam  crescunt  do- 
norum  ;  tanto  ergo  humilior  atque  serviendum  Deo  promptior 
quisque  debet  esse  ex  munere,  quanto  se  in  coUatis  benefitiis 
obligatiorem  esse  conspicit  in  redenda  ratione.  Et  hec  ad  re- 
sponsionem  prefate  partis  dieta  sufficiant. 

V. 

Deliberazione  del  Consiglio. 

Die  XXV  Julij  M.CCCC.XLVIllI.  in  festo  sancti  Jacobi 
Apostoli. 

Convocato  et  congregato  generali  Consilio  Nobilium  civium 
civitatis  Sibenici  in  sala  inferiori  palatij  Comitatus  Sibenicensis 
more  solito,  de  mandato  et  licentia  Magnifici  viri  domini  Chri- 
stofori  Marcello    prò  111:^0  Ducali  Dominio  Venetiarum   et  hono- 


1)  O  manca  famam,  o,  piuttosto,  invece  di  celeberrimam,  ha  da  leg- 
gersi celebritatem. 

2)  Avrei  dovuto  reintegrare  la  citazione  col  testo  delle  lettere  di 
Cassiodoro,  ma  siami  scusa  che  non  lo  feci,  perchè  non  mi  venne  dato  di 
poterle  trovare. 


I 


59" 


rabilis  Comitis  et  Capitanei  Sibenici,  in  quo  quidem  Consilio, 
computato  ipso  Magnifico  domino  Comite  et  capitaneo  interfue- 
runt  nobiles  LXV,  capta  fuit  pars  tenoris  infrascripti,  videlicet  : 
Cum  in  generali  Consilio  die  penultimo  mensis  Martij  elapsi 
capta  fuerit  quedam  pars,  quos  annue  promissiones  pecuniarie 
facte  per  Cives  Sibenici  prò  fabrica  ecclesie  Sancti  Jacobi  de 
Sibenico  essent  casse  et  nulle  rationibus  et  causis  in  ipsa  parte 
contentis,  et  cum  dicatur  quod  aliqui  Cives  fecerunt  dictas  pro- 
missiones sub  conditione  quod,  dantibus  presbiteris  Sibenicen- 
sibus  subventionem  prò  dieta  Ecclesia,  sue  promissiones  tenerent 
et  essent  firme,  aliter  non,  et  quod  aliqui  promiserunt  libere  et 
expedite  absque  aliqua  conditione  ;  ideo  detur  juramentum  illis 
nobilibus  qui  fecerunt  dictas  promissiones,  et  illi  qui  jurabunt  se 
piomisisse  sub  conditione  quod  presbiteri  deberent  dare  sub- 
ventionem, sint  absoluti  ab  eorum  promissionibus;  illi  autem  qui 
jurabunt  se  promisisse  libere  absque  aliqua  conditione,  remaneant 
obligati  iuxta  suos  promissiones,  et  hoc  quia  illud  quod  semel 
oblatum  est  Deo  libere,  merito  non  debet  rectratari  aut  revocari. 


60 


Appendice  I. 

La  Cisterna  Magna  Comunis,  od  altrimenti  I  Quattro  Pozzi. 

Di  queir  arte  veneziana  insuperata,  che,  nella  struttura  de'  pozzi,  valse 
d'esempio  a  tutta  Europa;  nel  corpo  dell' edifizio,  in  due  fianchi  per  certo 
tratto  sotterra  e  di  profondità  sotto  il  livello  del  mare,  la  Cisterna  ma- 
gna Comunis,  come  ben  a  ragione  la  si  diceva,  è  un'  opera  monumentale, 
dentro  e  di  fuori,  ricordata  con  diciotto  stemmi,  che  ripètono  il  concetto 
medesimo,  cioè  da  chi  edificata  e  per  chi  e  quando  ;  segnatavi  così  la  sua 
cronistoria  ed  al  modo  stesso  che  la  si  segna  nel  Duomo.  Appellasi  volgar- 
mente i  Quattro  Pozzi  dalle  quattro  corone  stemmate  campeggianti  ad  equa 
distanza  tra  loro  neir  ampio  quadrilatero  del  piazzale  selciato.  Dentro,  è 
terrazzata  nell'arca,  chiusa  a  volta  di  mattoni  e  tramezzata  da  una  parete 
a  tre  grandi  archi,  la  quale,  partendone  il  vano  equamente,  sostiene,  gettate 
a  tutto  sesto,  una  per  lato,  due  volte  :  costruzione  semplice  quanto  robusta. 
Ne  fu  artefice  Giacomo  di  Venusio  Correr  da  Trani,  detto  altrimenti  Gia- 
como dalle  Cisterne  (Monum.  Slav.  Merid.  voi.  IX,  pag.  257)  e  scolpirono 
le  armi  delle  quattro  corone  maestro  Marco  del  fu  Pietro  di  Puglia  e  mae- 
stro Giorgio  del  fu  Michele  di  Zara,  lapicidi  ed  abitatori  di  Zara  ;  malleva- 
dore per  essi,  il  protomaestro  del  Duomo  Giorgio  Orsini,  come  si  ha  dal 
contratto  degli  11  marzo  1447,  inedito  tuttavia.  Degli  altri  stemmi  manca  un 
documento,  che  ne  dica  1'  autore.  La  Cisterna  magna,  prossima  al  Duomo, 
anzi  di  prospetto  se  due  casuccie  non  ve  lo  rompessero  oggi,  era  nata  ge- 
mella col  Duomo  dell'  Orsini,  all'  aura  del  Rinascimento.  La  ornamentazione 
sua  de'  diciotto  stemmi  che  accennavo  è  storicamente  ed  artisticamente  di- 
stribuita così;  uno,  di  Giorgio  Vallaresso  sotto  il  cui  reggimento  l'opera 
ebbe  principio,  all'  entrata,  già  porta  di  città  ;  tre,  grandi  tondi  orlati  del 
tortile  fregio  caratteristico,  per  ognuna  delle  quattro  corone,  cioè  di  Venezia, 
di  Sebenico  ed,  alternato  con  quello  del  Vallaresso  su  due  delle  corone,  lo 
stemma  nelle  altre  due  di  Cristoforo  Marcello,  il  rettore  sotto  cui  l'  opera  si 
terminò,  e,  sulla  faccia  esterna  del  fianco  a  meriggio,  nel  parapetto  del  piaz- 
zale, un  gruppo  di  cinque  stemmi  :  tre  di  sopra,  in  grande  tondo  incorniciato 
a  corda  ed  in  quest'ordine  da  ritta  a  mancina,  cioè  l'arcangelo  di  Sebenico, 
il  leone  di  Venezia,  l'arma  del  Vallaresso,  e,  sotto,  gli  scudi  di  un  Canal 
(difficile  a  determinare  di  quale)  e  di  Giovanni  Nani,  nel  cui  rettorato  la 
Cisterna  magna  era  compiuta  anche  del  piazzale  e  della  monumentale  or- 
namentazione. Letta  adunque  con  gli  stemmi  la  sua  cronologia,  v'appren- 
diamo che  ne  durò  la  fabbrica  un  settennio  circa,  sotto  tre  rettori  successivi, 
dal  1446  al  1453.  Costò,  a  quanto  finora  ho  potuto  raccogliere,  più  di  2.200 
ducati  a  solo  il  Comune,  che  impose  all'  uopo  fazioni  e  tasse,  fece  collette 
(Mon.  Slav,  O.  e.  voi.  IX,  pag.  362),   senza  contare  quanto  vi  spendesse  il 


61 


Governo  della  Repubblica,  che,  per  agevolare  l'opera  e  per  contribuirvi,  ne 
procurò  il  sito  dando  a'  frati  di  S.  Domenico  il  feudo  di  Grabovci  e  di  Ga- 
chielesi  in  compenso  di  un  luogo  vacuo  da  essi  ceduto,  prossimo  alle  mura 
della  città  ed  al  loro  cimitero  ;  fornì  materiali,  condonò  debiti  al  Comune 
e,  tra  le  altre,  gli  mandò  una  volta  1050  lire  (ivi)  promettendo  nuove  sov- 
venzioni se  fossero  occorse,  mentre  in  quel  torno,  stanziate  avendo  500  lire 
in  rate  annuali  ed  eguali  per  un  quinquennio  a  ristauro  di  torri  e  di  mura  e 
per  acqua,  volle  indi  a  poco  erogata  tutta  insieme  e  soltanto  per  l' acqua  la 
somma,  lasciando  in  facoltà  di  detrarvi  non  più  che  da  25  a  30  lire  per  le 
mura  e  le  torri  (Mon.  Slav.  O.  e.  voi.  IX,  pag.  234).  Nelle  adiacenze  sue 
pristine  e  nella  forma,  ben  appresentar  la  si  doveva  in  tutta  la  severa  e 
meditabile  sua  bellezza:  pubblica  fonte  di  vita,  nel  mezzo;  da  due  lati,  le 
mura  della  città  e  la  porta  coronata  di  torre;  dagli  altri  due,  lo  spettacolo 
del  mare  nell'ampio  porto  e,  soggiacenti,  qui  la  marina,  là  il  cimitero.  Né 
vi  poteva  essere  meglio  accomodata  postura  a  raccorre  le  acque  del  cielo 
ed  a  serbarle,  e,  sita  com'  era  questa  Cisterna  fuor  della  cerchia  eppure  nel 
cuore  della  città,  a  potervele  attingere  e  distribuire  all'  intorno.  Dal  grembo 
generoso,  per  più  di  430  anni,  largì  questa  Cisterna  i  vitali  suoi  benefici, 
guardata  con  trepid*  ansia  nelle  siccità  imminenti,  benedetta  nelle  piogge 
invocate  ;  perchè,  quando  fosse  esausta  ancor  essa  dalla  diuturna  arsura 
inclemente,  1'  acqua  da  bevere  comperavasi  a  prezzo,  trasportata  su  barche 
dalle  sorgenti  di  Vodizze  e  dalla  cascata  di  Scardona.  Ed  oggi,  contuttoché 
siaci  r  acquedotto,  potrebbe  valere  pubblico  serbatoio  d'  acqua  potabile  per 
qualunque  caso  di  penuria  o  d'  altra  necessità,  epperó  con  questo  intento, 
anni  sono,  nel  fianco  suo  da  marina  erasi  praticato  un  foro  di  sbocco 
per  quando  soprabbondasse.  Ed  oggi  pure  la  non  sarebbe  men  bella 
di  una  volta,  abbattuti  come  si  fossero  uno  squallido  muro  che  ne 
chiude  il  piazzale  e  quelle  due  casuccie  ;  perché,  col  Duomo  e  con  la 
Loggia,  con  un  elegante  palazzotto  a  torre  reggentesi  su  d'  una  colonna  e 
con  un  singolare  ed  artistico  residuo  di  vetusta  muraglia,  ne  risulterebbe 
così  un  complesso  di  monumenti  unico  nel  suo  genere  ;  schiuderebbesi 
alla  città  una  nuova  piazza  ed  in  continuazione  a  quella  del  Duomo  ;  il 
Duomo  v'avrebbe  degna  cornice  e  pronto  ne  sarebbe  il  posto  per  il  campa- 
nile, che  da  anni  é  in  idea  di  qui  collocare.  Ma  oggi,  peggio  che  ignorata 
e  abbandonata,  la  Cisterna  magna  Comunis  é  un  cortile  rustico,  una  poz- 
zanghera dopo  le  pioggie,  e  la  decorano  un  casotto  di  trasformatore  elettrico 
ed  una  stalla.  Il  Comune  l' appigiona  a  un  canonico  per  pochi  quattrini. 


Appendice  IL 

Niccolò  Fiorentino,  o  veramente  Aldobrandi. 

„È  difficile  —  scrive  il  prof.  G.  Graus  —  stabilire  con  precisione  l'ori- 
gine di  maestro  Niccolò  di  Giovanni  Fiorentino,  poiché  il  nome  di  Fioren- 
tino non  prova  ancora  che  fosse  nato  a  Firenze".  I  documenti  che  ho  rin- 
venuto e  che  sono  per  citare,  ci  danno  il  suo  cognome  ;  ce  lo  attestano,  se 


62 


non  Sebenicese  di  nascita,  che  del  resto  non  è  improbabile,  certo  di  famiglia 
oriunda  Fiorentina,  ma  che  a  Sebenico  aveva  domicilio,  possessi  e  cittadi- 
nanza ;  ci  porgono  due  notiziette  non  inutili  per  la  sua  vita  e  ci  assentono 
di  formare  uno  specchietto  genealogico,  comecché  frammentario. 

A  Sebenico  v'  era  una  famiglia  Aldobrandi,  che  altrimenti  denomina- 
vasi  Fiorentino  o  di  Firenze.  Negli  atti  del  notaio  Martino  Campellis  de 
Gaivanis,  che  si  conservano  nell'  archivio  dell'  i.  e  r.  Giudizio,  s' incontra, 
(5  luglio  1493,  14  agosto  1494,  25  febbraio  1495,  28  agosto  1495)  coli'  ag- 
giunto di  civis  sibenicensis,  Giovanni  quondam  ser  Francesco  Aldobrandi: 
contrassegno  di  nobiltà  cittadina  il  titolo  di  civis  e  di  ser,  e  vi  s' incontra 
del  pari,  (27  agosto  1491,  4  marzo  1493,  3  febbraio  1494,  14  agosto  1494, 
25  febbraio  1405)  civis  sibenicensis  e  ser,  Giovanni  Fiorentino  quondam  Fran- 
cesco Aldobrandi  ;  evidentemente  il  casato  stesso  e  le  stesse  persone.  Così 
nella  Madreregola  di  Valverde  sono  registrati  nel  numero  de'  110  confrati 
nobili  (secolo  XV— XVI)  Francesco  Daldobrando  florentin  e  Zan  Fiorenti- 
novich  ;  né  mi  occorre  qui  citare  dal  predetto  notaio  altri  parecchi  documenti 
tra  il  1488  ed  il  1490  dove  tanto  ser  Francesco,  quanto  ser  Giovanni  ricor- 
rono semplicemente  cognominati  Fiorentino.  Questo  Giovanni,  come  si  rac- 
coglie dai  documenti  citati,  aveva  possidenza  campestre  ed  abitava  nel  su- 
burbio (Borgo  a  mare)  in  casa  già  degli  eredi  del  nobile  Sebenicese  Nic- 
colò Saracenis. 

Aldobrandi  é  nota  famiglia  di  Firenze  :  basti  rammentare  il  Tegghiaio 
di  Dante  (Inf  C.o  XVI  verso  41).  Che  poi  questi  Aldobrandi  di  Sebenico 
fossero  oriundi  di  Firenze,  lo  prova  senz'altro  un  atto  notarile,  che  trovasi 
neir  ultimo  foglio  membranaceo  di  un  Martirologio  francescano  nella  biblio- 
teca de'  P.  P.  Francescani  Conventuali  di  Sebenico  :  atto  rogato  da  prete 
Pietro  quondam  Giovanni  li  15  maggio  1451  e  con  cui  maestro  Antonio  Bu- 
sato,  lapicida  di  Venezia  e  abitante  di  Sebenico,  vende  un  suo  orto  situato 
negli  Orti  di  Sebenico  a  ser  Francisco  de  Aldobrandis  de  Florentia  civi  Si- 
benicensi. 

Quanto  al  nostro  artista,  non  sembrerà  strano  cognominarsi  egli,  an- 
ziché dalla  famiglia,  dalla  città  donde  quella  era  originaria.  Giorgio  Orsini 
si  cognominava  Dalmatico  dalla  nazione.  E  di  esempi  simili  ce  ne  sono 
moltissimi. 

Ma  se  dair  uso  d'  allora  tra  noi  di  scambiare  le  due  denominazioni 
per  indicare  la  famiglia  medesima  risulta  che  il  nostro  Niccolò,  per  essere 
chiamato  Fiorentino,  è  un  Aldobrandi;  che  poi  l'anzidetto  Giovanni  sebeni- 
cese fosse  suo  padre,  mancami  un  documento  che  ciò  dica  espressamente  ; 
anzi,  per  i  documenti  testé  citati,  é  da  escludere,  perché  in  una  procura 
data  a  maestro  Niccolò  li  2  aprile  1493  circa  una  cava  di  pietra,  di  cui  nel- 
r  isola  Brazza  era  proprietaria  la  Cattedrale  di  Sebenico,  egli  é  nominato 
quondam  Joannis,  e  l'  anzidetto  Giovanni  allora  viveva.  Il  Giovanni  defunto 
cioè  il  padre  di  maestro  Niccolò,  é  ragionevole  congettura  che  fosse  nonno 
dell'  anzidetto  Giovanni  di  Francesco,  perché  frequentissimo  era  il  ripetersi 
ne'  nepoti  il  nome  degli  avi  e  perché,  nel  caso  nostro,  ben  si  convengono 
e  corrispondono  i  tempi. 


63 


Il  nostro  Niccolò,  che,  successore  dell'Orsini  nella  edificazione  del 
Duomo,  ne  levò  e  chiuse  la  cupola  e  vi  lasciò  squisite  sculture  ammiratis- 
sime,  lavorò  anche  a  Valverde.  M.o  Niccolò  di  Zuanne  fiorentin  taiapiera  fu 
addì  20  gennaio  1502  condotto  per  proto  di  la  nostra  Jesia  (Valverde)  chome 
appar  per  istrumento  in  note  di  ser  Martin  di  Gaivan  adi  20  zener,  e  per 
conto  di  Valverde  partì  egli  li  12  aprile  1502  alla  Brazza,  dove  andò  taiar 
le  piere  e  la  petrara  e  pagava  le  maestranze  e  li  15  giugno  1503  gli  fu  man- 
dato danaro  (lire  60)  da  uno  de'  procuratori  di  Valverde.  Addì  31  maggio 
1505  trovasi  registrato,  che  lavorò  per  due  mesi  alla  fabbrica  della  chiesa 
di  Valverde  con  la  paga  di  10  ducati  al  mese  (Archivio  di  Valverde,  Libro 
d'Amministrazione  N.o  9,  carte  43  verso,  46  verso,  60  retto). 

Egli  aveva  tre  figli  artefici  :  m.o  Jacopo,  m.o  Anticcio  e  m.o  Zuanne, 
i  quali  nel  1502  vivevano  tutti  e  tre  ed  avevano  conti  con  Valverde:  i  due 
primi,  operanti  in  quella  chiesa  forse  nell'arte  del  padre  e  l'ultimo,  ch'era  gobbo 
ed  orefice,  certo  operante  nell'  arte  sua,  perchè  li  13  agosto  1502,  per  lire 
24  eh'  egli  riceve  dalla  chiesa  di  Valverde  in  tanto  panno,  promette  le  resti- 
tuirà col  far  tanto  lavar  de  la  sua  arte  orese  alla  nostra  giesia  (Ivi,  carte 
46  verso  e  47  retto). 

Co'  documenti  fin  qui  citati  si  compone  la  seguente  genealogia: 

GIOVANNI  FIORENTINO  o  ALDOBRANDI 
viveva  1483;  nel  1493  era  già  morto. 


n.o  NICCOLÒ 

protomaestro  lapicida 
viveva  28  decembre  1506.  Il  Graus 
lo  fa  vivo  sino  al  1517 


FRANCESCO 
viveva  1454;  nel  1491  già  morto 


ZUANNE  i   JACOPO  |  ANTICCIO  GIOVANNI 

orefice     i  i  testò   li  19  decembre  1497  e  f 

maestri,  tutti  e  tre  vivi  nel  1502  13  agosto  1502  (?)  Erasi  ammo- 

gliato con  Caterina  -  ella  viveva 
nel  1493  -  la  quale  dal  primo 
marito  aveva  avuto  Maddalena, 
sposatasi  li  3  marzo  1493  a  ser 
Luca  Pribislavich  da  Scrisio(Car- 
lobago),  uno  degli  artisti  già  nel 
Duomo  con  V  Orsini  e  morto 
V  anno  dopo  il  matrimonio,  la- 
sciando una  pupilla.  Quell'anno 
Maddalena  era  già  morta. 

Architetto  e  scultore  Niccolò  Fiorentino,  che  omai  ritengo  si  possa 
senza  scrupoli  addomandare  Aldobrandi,  prima  di  venire  a  succedere  all'  Or- 
sini nel  Duomo  di  Sebenico,   aveva   nel  1468  costruita  nel  Duomo  di  Traù 


64 


la  magnifica  cappella  di  S.  Giovanni,  in  istile  del  rinascimento.  E  di  Sebe- 
nico  tratto  tratto  ritornava  a  Traù.  È  facile  che  in  queir  archivio  capitolare 
si  rinvengano  ulteriori  notizie  di  lui  e  della  sua  famiglia  ;  notizie,  che  giovino 
ad  illustrare  ne'  particolari  la  storia  ed  i  pregi  d'  entrambi  gì'  insigni  nostri 
Dalmàtici  monumenti. 


Appendice  IH. 

Le  teste  intorno  alle  absidi  del  Duomo. 

Oggetto  di  curiosa  attenzione  a'  riguardanti  e  di  strani  commenti,  dal- 
l' ornato  inferiore  cingente  all'  esterno  tutte  e  tre  le  absidi  del  Duomo,  ri- 
levano, formandovi  singolare  e  vaghissimo  fregio,  settanta  teste,  non  ras- 
somiglianti punto  tra  loro,  ma  distinte  affatto  1'  una  dall'  altra  al  tipo,  alle 
fogge,  alle  movenze. 

Le  più  sono  del  tempo  delle  absidi,  le  migliori  senza  confronto,  tra 
cui  alcune  assai  belle  ed  aggiudicate  all'  Orsini  medesimo  ;  tredici  ve  ne 
hanno  della  metà  del  secolo  scorso  e  dell'  ornatista  Giacomo  Pasini,  copie 
più  0  meno  fedeli  dalle  antiche,  o  ritratti  che  volle  far  egli  di  contemporanei 
suoi,  cittadini  e  di  fuori. 

Dal  rispetto  artistico  osservò  una  per  una  le  teste  antiche,  nell'ottobre 
del  1907,  il  comm.e  Adolfo  Venturi,  l'illustre  storico  dell'arte,  e  con  la  pron- 
tezza, che  gli  danno  1*  acume  deli'  ingegno  elettissimo  e  1'  esercizio  avuto  in 
quasi  r  intera  Europa  del  suo  molteplice  e  profondo  sapere,  mi  additava 
quali   proprio  dell*  Orsini  e  quali  di  operanti  con  lui  o  di  allievi. 

La  fantasia  popolare  cavò  una  leggenda  :  un  prode  e  valoroso  Se- 
benicese,  per  ingraziarsi  la  patria,  che  lo  aveva  bandito,  ed  aver  mòdo 
di  poter  essere  richiamato,  un  giorno,  recise  settanta  teste  di  Turchi,  ve  le 
mandò  in  dono;  a  che  in  riconoscenza,  si  volle  perpetua  la  memoria  del 
fatto  ordinando  venissero  ritratte  in  pietra  le  teste  e  sul  Duomo  così  collo- 
cate. Il  profano  e  mostruoso  trofeo  si  sfascia  da  sé. 

Comoda  spiegazione,  ma  che  contrasta  al  simbolismo  del  nostro 
tempio  e  ad  altra  opera  del  nostro  Orsini,  i  più  le  vogliono  sfoggio  d'arte, 
senza  veruna  ragione  d' idea  e  d' intendimento.  Mons.  Fosco  dice,  che  le  si 
reputano,  ed  essere  questo  tradizione  a  Sebenico,  fisonomie  degli  scultori 
medesimi  ed  in  genere  degli  artefici  del  Duomo.  E  può  essere  in  parte.  Né 
lo  nega  il  Tommaseo,  che  soggiunge  aver  potuto  bensì  gli  operai  lasciare 
in  quelle  teste  un  ritratto  di  sé  e  tuttavia  avere  inteso  di  rappresentare  in 
esso,  com'  egli  crede  sul  fondamento  di  analoghi  fatti  ed  osservazioni,  un 
intero  ordine  di  persone,  un'  intera  gente,  un'  idea.  Se  non  che,  per  ammet- 
tere soli  gli  artefici  e  sia  pure  in  arie  di  teste  ideali,  vuoisi  prima  chiarire 
come  entrare  ci  possano,  quali  in  buon  dato  vi  si  scorgono,  donne,  bambini, 
frati,  magistrati,  laureati  e  simili,  uno  con  diadema  ed  un  angelo. 

L'  eco  giuntami  or  ora  di  una  tradizione  cittadina,  mi  soccorre  a  poter 
dare  soddisfacente  risposta  a  quesito  per  me  altrimenti  insolubile;  ma  sod- 


65 


disfacente,  in  quanto  è  di  quelle  teste  per  il  concetto  loro  in  generale  e  per 
il  motivo  dell' èssere  ivi  schierate,  non  così,  perchè  d'una  risposta  non  mi 
sento  capace,  in  quanto  possa  concernere  ognuna  in  particolare. 

Figure  storiche,  ma  nella  disposizione  loro  conformate  ad  un'  idea, 
accennavo  poc'anzi  (pag.  .11  e  12)  le  due  porte  del  Duomo  ed  i  rilievi  in 
grande  sulla  facciata  della  Piazza  (pag.  15,  nota  3).  Con  figure  storiche  nelle 
nicchie  de'  pilastri  laterali  e  con  teste  storiche  lunghesso  la  riquadratura  della 
porta,  in  fregio  simile  assai  a  questo  del  nostro  Duomo,  compose  l'Orsini 
in  S.  Francesco  d'Apcona  la  glorificazione  del  poverello  d'Assisi  mentre  ri- 
ceve le  stimmate,  rappresentato  in  alto  rilievo  al  di  sopra  dell'  architrave. 
Varrà  una  spiegazione  delle  teste  di  Sebenico,  se  la  ce  le  porga  storiche  e 
figurative  insieme,  quali  le  richiedono  l'esempio  e  il  genio  dell'autore,  quali 
siano,  anzitutto,  in  corrispondenza  perfetta  col  tempio  che  decorano  e  di  cui 
devono  risaltare  artistico  e  ideale  finimento.  Poema  il  nostro  Duomo,  — 
imperocché  gli  è  davvero  un  poema  il  trionfo  di  Cristo  nell'ordine  ascen- 
dente della  storia,  della  legge,  della  grazia,  della  gloria,  e,  meglio  eh'  epi- 
sodio, ne  è  una  cantica  vera  il  concetto  che  Umanità,  Nazione,  Patria  in 
mutuo  accordo  lo  celebrino  e  ne  pongano  un  monumento  —  come  mai  fal- 
lirgli una  conclusione,  un  epilogo  degno,  o  sentirvi  stridere  dissonanze  di 
non  sensi,  o  di  sensi  men  che  grandiosi  e  potenti? 

Ogni  età  e  ogni  sesso,  ogni  grado  e  ogni  popolo,  gli  artisti  e  gli 
scienziati,  gli  uomini  e  gli  angeli,  in  settenaria  diecina,  che  nel  linguaggio 
biblico  è  quanto  dire  innumerevoli,  tutti  in  un  coro  glorifichino  il  Signore  : 
ecco  il  perchè  di  quelle  teste  e  del  numero  loro  e  de'  vari  sembianti  e  del 
sito  dove  sono  dispòste.  La  tradizione  cittadina,  che  cosi  interpretava,  in 
più  breve  e  più  autentica  forma  diceva  :  Omnis  spiritus  laudet  Dominum, 
voce  del  salmo,  che,  verso  il  termine  dell'ufficiatura,  canta  la  Chiesa  nelle 
Laudi  e  concetto  frequentissimo  nel  salterio  e  ne'  riti  sacri. 

Espresso  lì  e  da  quelle  teste,  concetto  tale,  come  ognuno  può  sentire, 
è  in  unisona  armonia  con  quello  su  cui  posa  e  tutto  informa  ed  avviva  e 
sublima  il  sacro  edifizio  ed  a  cui  fors' anco  richiamano,  uscenti  come  da 
intime  latebre  ne' tre  angoli  dove  convergono  le  absidi,  quelle  faccie  di  se- 
miascosi leoni.  L'^ esteriore  architettura  delle  absidi  annunzia  il  santuario:  le 
teste  che  le  precingono,  lo  annunziano  magnificato  ne' secoli  ed  insieme  con 
gli  angeli  e  con  gì*  innocenti,  dallo  spirito  di  tutte  le  genti,  da'  più  eletti 
spiriti  dell'umanità.  Imperocché  queste  teste,  evidentemente,  altre  sono  ca- 
ratteristici tipi  di  popoli,  altre,  personaggi  famosi,  artisti,  poeti,  dotti  o  che  si 
siano,  storiche  insomma  in  questi  ed  in  quelli,  e  sono  ad  un  tempo  figura- 
tive rispetto  a  sé  in  quanto  significar  possano  una  condizione,  una  disciplina, 
una  memoria,  un'  idea,  e  figurative  nel  loro  complesso  in  quanto  compon- 
gono intorno  alle  absidi  del  santuario  il  serto  glorioso,  il  coro  eccheggiante. 

La  tradizione  allegata  da  mons.  Fosco  è  con  ciò,  non  distrutta,  ma 
rimessa  ne'  primi  suoi  termini  brevi,  trattandovisi  non  del  concetto  ge- 
nerale, ma  di  singoli  accessori  ;  dappoiché,  se  per  le  cose  dette  è  in  ogni 
maniera  da  escludere  tema  della  decorazione  i  ritratti  de'  lavoranti,  rimane 
pur  sempre  che  taluno  avrà  forse  riprodotto  sé  o  de'  compagni  in  qualche 


66 


viso,  in  qualche  aria  delle  teste,  come  usano  anche  oggidì  pittori  e  scultori. 
E  r  arguta  induzione  del  Tommaseo  nel  caso  nostro  riesce  a  conferma  di 
verità,  e  validamente  concorre  a  persuadere  la  tradizione-  genuina,  l' inter- 
pretazione legittima.  Mi  è  dovere  di  gratitudine  •  indicare  da  chi  mi  venne 
col  verso  Davidico  la  desiderata  spiegazione.  La  udì  dal  dott.  Giacomo  Pini, 
defunto  nel  1895,  il  figlio  suo  1' on.  dott.  Luigi,  che  me  la  comunicò  mentre 
stampavasi  questo  libretto. 

Or  chi  in  particolare  ritraggano  quelle  teste,  ripeterò  qui  opinioni  non 
mie,  ma  che,  quando  dall'uno,  quando  dall'altro/  mi  accade  di  sentir  dire 
su  pochissime.  Noverandole  dal  battistero-in  poi,  la  8.»  sarebbe  Giotto,  la 
ll.a  Tomaso  d'Aquino  (rifatta),  la  18.»  Virgilio,  la  21. a  Costantino  imperatore, 
la  25.a  il  Brunelleschi,  la  27.a  uno  Scita,  e,  tra  le  muliebri,  una  forse  Beatrice. 
Dante  è  da  pensare  che  andasse  perduto  con  le  sostituzioni  nuove.  Ed  egli 
vi  è  in  S.  Francesco  d' Ancona  tra  le  venti  teste  della  celebre  porta,  sullo 
stipite  sinistro,  avvertita  nel  1887  '  dall' illustre  architetto  Giuseppe  Sacconi, 
che,  fattone  il  calco,  Io  inviò  a  Roma  al  ministro  dell'  istruzione.  L'  effigie 
del  divino  Poeta,  la  prima  che  in  pietra  si  conosca,  un  Dalmata  la  scolpiva, 
r  Orsini,  che  poc'  anzi  l' aveva  forse  scolpita  sul  tempio  dove  un  giorno 
battezzar  dovevasi  Niccolò  Tommaseo.  Ben  è  a  deplorare,  che  con  i  rifaci- 
menti e  con  le  intrusioni  posteriori  andasse  rotta  nell'ordine  delle  sue  gemme 
la  preziosa  collana;  che,  riconosciute  quelle  teste  ed  accuratamente  osservati 
di  ciascheduna  la  scelta,  il  significato,  la  collocazione,  ne  si  sarebbe  sco- 
perto chi  sa  quanto  e  quale  tesoro  di  concetti  peregrini,  di  sentimenti  squi- 
siti. E  non  pertanto,  assai  ancora  possono  cercarvi  e  trovare  gl'intenditori 
studiosi  ;  come  studio  nuovo  e  fecondissimo  sarebbero  tutte  quelle  altre  teste 
minori,  che  sotto  il  corfticione  a  corda  in  ogni  peduccio  degli  archetti  fa- 
sciano il  tempio  lunghesso  il  fianco  settentrionale  dal  pilone  angolare  della 
facciata  principale  insino  alle  absidi,,  e  che,  parte  bimane,  parte  d'animali, 
forse  raffigurano  nazioni  e  passioni,  trofei,  gloriosi  di  Cristo  in  mezzo  al- 
l'umanità  trionfatore  de'  popoli  e  de'  cuori. 


Appendice  IV. 

Alcune  iscrizioni  del  Duomo. 

II  benemerito  nostro  vescovo  A. G. Fosco,  nel  suo  opuscolo  suW^  Cattedrale 
di  Sebenico,  ne  diede  in  luce  le  iscrizioni  votive,  le  sepolcrali  comuni,  l'epi- 
scopali e,  sparsamente  a  loro  luogo  nel  testo  di  quella  edizione  e  della  suc- 
cessiva, le  attinenti  alla  storia  del  tempio.  Non  per  tanto,  taluna  rimane  an- 
cora allo  spigolatore.  Eccone  dodici  che  non  s' incontrano  in  quegli  opuscoli 
e,  di  quelle  che  vi  si  leggono,  otto  a  cui  si  può  soggiungere  qualche  cosa. 
Allogo  qui  tra  le  iscrizioni  i  seguenti  millesimi,  che,  importanti  per  la 
cronistoria  edilizia  del  Duomo,  non  tutti  vennero  rilevati.  Delle  colonne,  a 
destra  di  chi  entra  dalla  porta  principale,  leggesi  sulla  seconda  :  MDCXIII  ; 
sulla  terza:  MDXCVI  ;  sulla  quinta:  MDCI,  ed,  a  sinistra,  sulla  seconda  che 
sostiene  la  cupola  :  MDCXX. 


67 


La  seguente  iscrizione  sulla  parete  interna  della  facciata  principale 
manca  d'  una  parola  e  la  si  legge  così  : 

ANNO  DOMINI  MDXXXI 

BERNARDUS  BALBI  RECTOR  SIBENICl 

GRACIAS  AGIT  DEO  SI  QUID   IN  HOC  MAGISTRATU 

LAUDE  DIGNUM    GESSIT  ' 

Sulla  parete  istessa,  al  lato  destro  della  porta  v'  è  : 
IO  .  DE  GARZO 
PRyET  .  PR^FQ 
SIGI  REGINE  SA 
VORGNANiC  SV^ 
DILEC  CONIVGI 
P. 
Zuanne  Garzoni  fu  Zuanne  entrò  rettore  di  Sebenico  addi  31  maggio 
1555  e  vi  stette  sino  al  giugno  del  1557.   Mi  è  ignoto  in  quale  relazione'  di 
parentela  fosse  la  moglie  sua  Regina   con  Girolamo  Savorgnan,   il  vescovo 
illustre,  che  resse  la  chiesa  nostra  dal  1557  al  1573. 

A  destra  dall'ingresso  principale,  tra  la  galleria  e  la  cornice  de'  fo- 
gliami corre  la  scritta: 

GIACOMO 

.....  DEL  INTERNO  NEL  ANNO  1860. 
Ricorda  Giacomo  Pasini,  che,  ne'' restauri  del  Duomo,  attese  co'  figli 
Domenico,  Antonio  e  Demetrio/ alrifacimento  delle  sculture  d'ornato.  Allievo 
dell'Accademia  di  belle  arti  della  nativa  Venezia,  morì  a  Sebenico  li  16  ot- 
tobre 1867,  giorno  in  cui  compiva  sessant'  anni.  Non  posso  sapere  perchè, 
né  quando,  né  da  chi  questa  iscrizione  si  facesse  coprire  di  cimento. 

Al  bràccio  meridionale  della  crociera  del  tempio,  sull'intradosso  del- 
l' archivolto,  nel  mezzo,  dentro  un  grande  tondo  incorniciato,  sì  legge  : 

CARMINA 
SUMME  DEUS  ' 
TOTUS  TIBI 
CONCINIT 
ORBIS 
A  questa  faceva  riscontro,  nel  braccio  opposto,  un'  altra  scritta,  di  cui 
erano  rimaste  poche  lettere  e  due  parole  in  chiusa  conservateci  dal  dott.  F. 
Ant.  Galvani  in  una  sua  noterella  : 

STATIONEM 
CREATUM 
Nel  ristauro  del  tempio  (1843-60)  fu  rinnovato  il  lastrone  che  la  recava 
e  scolpitavi  la  cornice  del  tondo,  ma  senza  scritta  veruna. 

A  manca  entrando  dalla  porta  maggiore,  nella  seconda  cappella,  sulla 
mensa  dell'altare,  due  angeli  svolgono  un  rotolo  a  caratteri  gotici.  L'angelo 
al  corno  dell'  epistola  reca: 

HIC  POSITUM  VENERARE  DEI  VENERABILE  CORPUS 


e  quello  al  corno  dell'  evangelo  :  ■>'iGiiqt>:^J:,i  fAr^Vt 

HUJUS  AD  IMPERIUM  FLECTITUR  OMNE  GENUS. 

Questi  angeli,  eletta  scultura,  appartenevano  all'  altare  del  Santissimo, 
già  nell'abside  maggiore  dov'  è  oggi  il  reliquiario,  di  faccia  alla  cattedra  ve- 
scovile. L'altare  fu  disfatto,  ed  era  opera  del  1595,  di  Antonio  Doniiinis, 
scultore  dalla  Brazza,  come  dice  il  Fosco  (Op.  cit,  11.*  ed.  pag.  69)^ 

La  cupola  ha  da  occidente,  sotto  il  cornicione  quadrangolare,  della 
base,  in  mezzo  : 

A.  D.  1797 
DON  .  DOMCO  .  MILETA 
REVISOR  .  DLA  FABRICA 

Di  Domenico  Mileta  trovo  che  nel  1841  era  canonico  onorario  e  par- 
roco di  S.  Spirito,  né  altro  ne  so. 

Quivi  stesso,   un  po'  sotto  ed  a  destra  di  queir  iscrizione  : 

P  B  1845 

Sono  le  iniziali  dell'  ingegnere  architetto  Paolo  Bioni  di  Sebenico,  nato 
il  1  luglio  1806,  morto  li  5  maggio  1848,  degno  che  ne  abbozzasse  la  vita  Pier 
Alessandro  Paravia,  ne  dettasse  V  epitaffio  sulla  tomba  Niccolò  Tommaseo 
e  dentro  il  Duomo  ne  si  ponesse  il  nome  intero  nell'  iscrizione  commemo- 
rativa che  qui  darò  ultima.  Del  Duomo  avendo  compilato  egli  un  Progetto 
di  ristauro  con  la  diligente  delineazione  di  molte  tavole  di  disegno,  che  ne 
rappresentano  con  verità  e  chiarezza  la  struttura,  ed  approvato  ,  il  progetto 
ed  egli  medesimo  chiamato  ad  eseguirlo,  nel  1843,  lui  spvraintendente  e  di- 
rettore, s' incominciarono  i  lavori ,  anzitutti,  dove  maggiore  era  il  guasto, 
vale  a  dire,  nella  lanterna  della  cupola.  Intorno  a  questa  si  spesero  due 
anni  e  5409  fiorini.  Di  ciò  e  d'  alcuni  particolari  circa  i  ristauri  da  lui  diretti 
fino  alla  morte,  come  pure  d'  una  sua  opera  illustrativa  completa  e  divìsa  in 
circa  40  fogli  grandi  di  disegno  che,  per  far  viemeglio  conoscere  le  bellezze 
artistiche  del  Duomo,  egli  nel  1846  intendeva  pubblicare,  ripromettendosi  di 
darla  pronta  entro  un  biennio,  Cfr.  A^.  Cronista  di  Sebenico  An.o  II.  1894, 
pag.  100.  Oltre  a  questi  disegni  delle  parti  più  belle  del  tempio  e  de'  quali 
sopravvivono  alcuni,  pregevolissimi  per  maestria  e  per  inspirata  accuratezza, 
sappiamo  da  una  lettera  scrittagli  da  N.  Tommaseo,  eh'  egli  proponeva  un 
nuovo  fonte  battesimale  e  „seppe  farlo  ben  corrispondere  al  rimanente  della 
fabbrica  veneranda"  (La  Dalmazia,  giornale  letterario  economico  ecc.  Zara 
1845  N.o  33). 

Le  seguenti  indico  dove  propriamente  erano  collocate  prima  che,  ri- 
selciandosi  nel  1888  il  pavimento  del  Duomo,  andassero  distrutte.  Ne  venni 
a  cognizione  dà  un  rilievo  che,  innanzi  di  levare  le  lapidi,  fece  Giacomo 
Pasini  e  si  trovò  fra  le  carte  del  dott.  F.  A.  Galvani,  come  anche  da  una 
Pianta  della  Cattedrale  e  delle  sepolture  nelle  due  navi  laterali  recante  misu- 
razioni particolareggiate  ed  esatte  di  ciascuna  sepoltura  ;  lavoro  eseguito 
dall'  ingegnere  Luca  Gaus,  datato  li  29  settembre  1881  ed  oggi  presso  la  i. 
e  r.  Luogotenenza  di  Zara. 

A  destra  entrando  dalla  porta  maggiore: 


I 


Nella  l.a  cappella,  in  mezzo,  e  così  nella  cappella  di  faccia: 
V.;;/.)  V-     SEPULCRUM 
EPISCOPALE 
,  Nella  m.a  cappella,   in  mezzo,   una  lapide,  che,  nella  parte  superiore, 
recava  un  tondo,  tutto  fregiato  nel  giro  interno,   e  sormontato  da  una  testa 
di  leone  avente  alla  sinistra  l'estremità  della  coda  attorta  e  con  tre  nappi; 
nella  parte  inferiore,  un  quadro  con  ricchi  fregi  a'  lati  e  dentro  l' iscrizione, 
con  questi  residui  : 

QUOD  II  DI 
IN  I  Co 
II  .  LUTI  Co 
OZ 

II  VI  I  01 
GAII  DONI 
CUS  STATAI  1 
Contigua,  ed  a  destra  di  questa,  in  caratteri  gotici  : 
HEC  EST  SEPVLTVRA 
V.    ':  "' T'*   ^O^^J-*S  VIRI   SEB   L  GREGORII   DOMINICI 

V'"' ^i-'  ' '""^  ^  ET  SVORVM  HyEREDVM 

.    ..-rrrt^-i   c:-;;-'-^-i    ,  MCCCCXL 

La- cappella  nel  1444  coperta,  come  sappiamo,  a  spese  di  Lorenzo 
Dóininici  e  di  Lorenzo  di  Michele  Gonoribich,  intitolavasi  anche,  certamente 
per  i  fondatori,  da  S.  Lorenzo.  Così  è  chiamata  nel  contratto,  che  addì  22 
marzo  1489  i  fratelli  Domenico,  Gregorio  e  Giovanni  qm.  ser  Lorenzo,  figli 
cioè  di  quel  Lorenzo  di  Gregorio  Dominici  proprietario  della  sepoltura  in- 
dicata nella  iscrizione,  fecero  per  una  pala  raffigurante  la  Madonna  col 
Bambino  in  braccio  ed  a'  lati  altre  figure,  col  pittore  Sebenicese  Giorgio  di 
Tommaso  (V.  N.  Cronista  An.o  II  1894,  pag.  76),  che  più  tardi  rinvenni  es- 
sere stato,  per  la  moglie  Elena,  genero  di  Giorgio  Orsini,  cognominarsi  Ciu- 
iinovich,  od  altrimenti  de  Squarcionibus,  in  onore  probabilmente  del  maestro 
suo,  il  Padovano  Francesco  Squarcionc  (1394— 1474),  che  da' suoi  137  allievi 
fu  detto  Padre  de'  pittori. 

La  IV.a  cappella  aveva  dal  lato  manco: 

.  ■    s-  ■ 

P 

sv 
is 
o 

e  sotto  : 

HÓR 

HARMI 

1695 

e,  dal  lato  destro,  uno  stemma,  nel  campo  una  torre  merlata  con  tre  feritoie 

orizzontali  e  due  finestre  verticali  ;  forse  de'  Saracenis,  e,  sotto  lo  stemma, 

le  iniziali,  forse  di  Elia  Saracenis: 

HL 

SA 

S 


76 


Tra  la  V.a  e  la  Vl.a  cappella,  sormontata  dall'  arme  della  famiglia  Dif- 
nico  e,  sotto  l' arme,  da  una  testa  d'  angelo  con  le  ali  spiegate,  la  seguente, 
recata  anche  dal  Fosco  : 

NICOLAUS  DIFNiCUS  PETRI  FILIUS  '    :,,     . 

CATHARINAE  .<     ^,- 

DILECTAE  GENITRICIS  SUAE 
SIBI  AC  POSTERIS  SUIS 
STATUIT 
MDXXXI 
Pietro  Difnico  detto  Malpaga,  sopracomito  della  prima  trireme  che  armò 
Sebenico,   dichiarato   benemerito   della   Repubblica,   sposò  li  2  marzo  1486 
Catarina  figlia  di  Niccolò  Grifico,  patrizio  di  Lesina,  e  morì  li  17  agosto  1518. 
Il  figlio  loro  Niccolò  fu  nominato  anch'  egli  sopracomito    pe'  meriti  suoi    e 
degli  avi.  (V.  Galvani.  Re  d'Armi  Voi.  I  pag.  84  e  N.  Cronista  An.o  lil  1895 
pag.  78  e  79). 

Nella  Vl.a  cappella,  neir  angolo  a  destra  : 

OTTA 
RIVS 

NOE  ♦ 

OPVS 
TIVS 
T 
ARTIS 
X 
LO 
NGICH 
A  sinistra  della  porta  maggiore  :  . 

Nella  Il.a  cappella,  al  lato  sinistro: 

BONAE  TOLINICH 

/  C  HEREDUM  SUORUM 

MDXLVIIl 

Di  nobile  ed  antica  famiglia,   altrimenti  Tolini,  Tollini,  Toglia  e  Toia, 

patrona  in  S.  Lorenzo  di  Morigne.  Si  sa  di  un  Pietro,  nel  1374  giudice  della 

Corte  maggiore,   e  di  due  canonici  :  Stefano  qm.  Pietro,    morto  nel  1454,    e 

Zuanne,  che  nel  1488  era  anche  primicerio. 

Nella  cappella  istessa,  al  lato  destro,  vedevasi  V  iscrizione  sormontata 
dal  leone  rampante,  stemma  della  famiglia  : 

JACOBO  COSIRICH  DE  RIMITIA 

DOMO  DUCATUS   SABINAE 

POSUIT  XPHOR    EJUS  FILIUS 

MDXXX.  D.  P.  MDII 

Giacomo  era  mercante  ;  aveva  in  moglie  donna  Margarita,  morta  li  8 

settembre  1519;  il  loro  figlio  Cristoforo  s'incontra  nel  1516  avvocato  della 

Camera  fiscale. 

Nella  Ill.a  cappella  sulla  prima  tomba  a  sinistra  : 
DELLA  MADONNA 
DI  CARMINI 


I 


71 


L'ultima  a  destra  ha  lo  stemma,  due  rose  in  alto  sopra  un  cavalletto 
ed  una  sotto,  e,  ad  ambo  i  lati  dello  stemma,  due  bandiere  e,  sotto,  due 
cannoni  adagiati  orizzontalmente  con  le  bocche  contrapposte  volte  all'  esterno, 
pili  giù  due  tamburi  ed,  uno  per  parte,  un  mucchio  di  dieci  palle  incendiarie. 
L'iscrizione  è  nel  Fosco  e  nel  Re  d'Armi  del  Galvani,  e  di  essa  dice  il 
Tommaseo,  che,  mentre  „spira  vivo  affetto  domestico,  e  precede  di  poco 
la  morte  della  Repùbblica,  attesta  che,  se  Venezia  non  era  più,  e'  erano 
Veneziani". 

D  .  O  .  M 

lOANNl  MARIAE  BEMBO 

QUADRAGENVIRO 

SIBENICENSIUM   PRAETORI 

VIGILANTISSIMO 

MORUM  SUAVITATE  ANIMI  CANDORE 

LIBERALITATE  CONSPICUO  CIVIUM   BONO 

OMNIUM  MOERORE  IMMATURE  SUBLATO 

QUINQUE  PIENTISSIMIS  FILIIS 

DUABUS  INUPTIS 

MOESTISSIMA  CONJUGE  FRATRE 

VENETAE  CLASSIS  PRAEFECTO  RELICTIS 

LEO  MAJORNATU  QUINQUENNIO  TRIARCAS 

PATRI  PRIDIE  TUMULATO  OPTIMO 

BENEFICENTISSIMO  OFFICIORUM  MEMOR 

POSUIT.  VIXIT  ANNOS  LUI 

OBIIT  XVIII  APRILIS 

MDCCXCI 

Nella  IV.a  cappella,  la  tomba  mediana  recava  : 

P.  NICOLÒ 
CIPRIANCICH 
È  assai  probabile  che  sia  di  pre'  Nicolò,  figlio  di  Giacomo  e  di  Mad- 
dalena, il  quale  addì  18  settembre  1569  fu  investito  del  beneficio  della  cap- 
pella di  S.  Pietro  in  Duomo,  era  mansionario,  e  li  19  gennaio  1601  fece 
testamento.  De'  nobili  Ciprianis  o  Cipriancich  v'  erano  famiglie  anche  a 
Spalato  e  a  Zara. 

Al  Iato  destro  di  questa  tomba  v'  era  quella  dei 
FRATELLI  COPPESSICH 

che  aveva  in  capo  lo  stemma  della  famiglia,  un  leone  rampante,  e,  senza 
stemma  e  con  la  scritta  anzidetta  vi  è,  procedendo  innanzi,  un'  altra  tomba 
sotto  il  coretto.  Mancando  l'  anno  nell'  una  e  nell'  altra  iscrizione,  è  difficile 
arguire  a  quali  generazioni  appartenessero  le  due  tombe. 


La  seguente  è  sul  monumento  nella  I.a  cappella  a  destra  dell'  ingresso 
maggiore  : 


72 


ANTONIO  .  JOSEPHO  .  FOSCO 

MUNICIPI  .  EIDEM  .  QUE  .  ANTISTITI  .  SEBENICENSI 

VIRO  .  INNOXIO  .  SOLLERTI  .  PIENTISSIMO 

EFFUSA  .  IN  .  PAUPERES  .  LARGITATE 

AD  .  EXEMPLUM  ,  INSIGNI 

OB  .  EXIMIAM  .  PATRIAE  .  CARITATEM 

QUA  .  MAIORUM  .  RES  .  GESTAS  .  INLUSTRAVIT 

PRINCEPS  .  IN  .  HAC  .  URBE  .  TEMPLUM 

BASILICAE   .  ADSCITO  .  TITULO   .  ADAUXIT 

GRATA  .  OMNIUM  .  RECORDATIONE  .  IN  .  AEVUM  .  RECOLENDO 

A  .  D  .  VII!  .  KAL  .  APR  .  A  .   MDCCCXCIV 

AETATIS  .  LXVIII  .  A  .  SUSCEPTO  .  EPISCOPATU  .  XVIII 

SUBITA  .  MORTE  .  ABSUMPTO 

PARENTI  .  OPTIMO  .   DESIDERATISSIMO 

CIVES  .  POSUERE 


Aaec  .  solia  .  has  .  aedes  .  magno  .  percuisus  .  amore 

Dum  .  licuit  .  coluit  .  nunc  .  cinis  .  heic  .  superest  . 
Quam  .  bene  .  quae  .  pridem  .  fuerat  .  sua  .  maxima  .  cura 
Olii  .  nunc  .  requies  .  nunc  .  decus  .  omne  .  manet  . 
La  salma  dell'illustre  defunto,  solennemente  traslata  dal  cimitero  li  19 
aprile  1898,  ha  qui  sepoltura,  ed  il  monumento  erettovi  sopra   fu  benedetto 
li  20  novembre  1899.  Dettò  1'  epigrafe  il  eh.  P.  Ottavio  Lagnacci  d.  C.  d.  G. 
Siami  lecito  aggiungere  la  mia  versione  : 

AD  ANTONIO  GIUSEPPE  FOSCO 

CITTADINO   E  VESCOVO  DI  SEBENICO 

IRREPRENSIBILE  SOLERTE   PIISSIMO 

DI  LARGHEZZA  NE'  POVERI 

ESEMPIO  INSIGNE 

PER  L'  ESIMIA  CARITÀ  DI  PATRIA 

ONDE  LE  GESTA  ILLUSTRÒ  DE'  MAGGIORI 

E  IL  DUOMO  DI  QUESTA  CITTÀ 

ACCREBBE  DEL  TITOLO  CHE  GL'  IMPETRÒ  DI  BASILICA 

DEGNO  NE  CONSERVINO  TUTTI  GRATA  RICORDANZA  IN  PERPETUO 

IL  GIORNO  XXV  DI  MARZO    DELL'ANNO  MDCCCXCIV 

LXVIIImo  DELL'  ETÀ  SUA  XVlIImo  DEL  SUO  EPISCOPATO 

DA  SUBITA  MORTE  RAPITO 

I  CITTADINI 

AL  PADRE  OTTIMO  DESIDERATISSIMO 

POSERO 


Con  grande  amor,  sin  che  gli  fu  concesso, 
Onorò  questa  sede,  questo  tempio, 
E  qui  di  Lui  resta  la  polve  adesso. 

Ben  è  che  quel  che  massima  sua  cura 
Ebbe  sì  a  lungo  in  vita,  or  siagli  requie 
E  siagli  gloria  somma,  imperitura. 


73 


Proposto  da  Niccolo  Tommaseo,  che  un'  iscrizione  in  Duomo  traman- 
dasse a'  posteri  il  nome  di  Paolo  Bioni,  mons.  Fosco  lo  pregò  che  volesse 
egli  medesimo  dettare  una  latina,  conimemorante  anche  la  storia  del  tempio 
e  principalmente  i  restauri.  Accettò  ùi  buon  grado  il  Tommaseo  e,  compo- 
stala in  italiano,  la  passò  al  P.  Mauro  Ricci  delle  Scuole  Pie  che  la  recasse 
in  latino.  Ecco  il  testo  del  nostro  Grande  : 

QUESTO  TEMPIO 

EDIFICATO  DAL  NOSTRO  COMUNE 

DOPO  LA  METÀ  DEL  SECOLO  DECIMOQUINTO 

PER  OPERA  DI  GIORGIO  DALMATA  ARCHITETTO  E  SCULTORE 

COLLA  SPESA  DI  ZECCHINI  VENETI    OTTANTAMILA 

COMPIUTO  IN  CENCIQUANTA  ANNI  CIRCA 

PER  SOLLECITUDINE  DI  PIÙ  VESCOVI 

EBBE  DOPO  LA  METÀ  DEL  SECOLO  NOSTRO  RISTAURI 

ASSEGNANDO  A  CIÒ  POCO  MENO  DI  DUGENTOMILA  LIRE 

AUSTRIACHE    IL  GOVERNO 

DIETRO  AI  DISEGNI  E  ALLE  ISTANZE  PRINCIPALMENTE 

DEL  CITTADINO    DI  SEBENICO 

PAOLO  BIONI 

Ed  ecco  l'iscrizione  del  P.  M.  Ricci  quale  si  legge  a  caratteri  d'oro  sul 

marmo  collocato  nel  1874  sopra  la  porta  che  dall'  episcopio  mette  al  coretto 

soprastante  al  presbitero  : 

TEMPLUM  A  SICENSI  MUNICIPIO 

AN.  CHR.  MCCCCXL 

MAGISTERIO  GEORGII  DALMATyE  STATUARII  ARCHIT. 

INCEPTUM 

PER  CENTUM  ET  P.  M.  ANNOS  QUINQUAGINTA 

HUJUS  DICECESIS  EPISCOPORUM  STUDIO 

IMPENDIO  AUREORUM  VENET.  OCTOGINTA  MILL.  ABSOLUTUM 

AN.  CHR.    MDCCCL 

QUOD  FUERAT  IN  VOTIS  PAULI  BIONII  SICENS.  ARCHIT. 

AD  EJUS  EXEMPLAR  INSTAURATUM  EST 

DUCENTIS  FERE  MILL.  ARGENTEORUM  AUSTRIAC. 

E  PUBLICO  AERARIO  COLLATIS 

Queste  due   iscrizioni    sono    negli  opuscoli  di  mons.  Fosco    poc'  anzi 

citati,  né  v'  è  da  soggiungere  altro.  E  non  di  meno  mi  parve  opportuno  qui 

riferirle  per  concludere  la  presente  appendice  con  que'  nomi  venerati  e  con 

sì  cara  memoria. 


61202» 


ERRATA 


CORRIGE 


Pag.     7  linea  29  si  porge 

„      8      „       2  247 

„      8      „     38  0  compariva 

„     12  nota  1)  linea  5  marzo  1441 
„12     „     -)      „     6  anch'essa  più 

che  meccanico 
„    27  linea  17  bisavo 

„    44  nota  ^)  linea  1  iscrizione  al 

Duomo 
„    48  linea  42  intuzione 

„    50      „      10  le  gara 

„    69      „      29  cognominarsi 


CI  porge 
264 

e  compariva 
maggio  1441 

anch'essa  pregio   pili    che 
meccanico 
bisava 

iscrizione  al  Duodo 

intenzione 

la  gara 

e  cognominarsi 


"»^^-- 


DR  16^5  .S55  M5  IMS 
Miagostovich.  Vincenzo, 
nobili  e  il  clero  di 
evenico  nes  1449  per  la  fab 


i 


ifxjntìfjcal:  insti  tute 
oe  mediaeval  studies 

59     QUEEN'S     PA??K 

"^  O  "^  r>  \<  ■'■  <       "        '^>*-::'iOà