TR Ey AME NG
OF TILE
MUSEUM OF COMPARATIVE ZOOLOGY.
Internationale Monatssehrift
für
Anatomie und Physiologie.
Herausgegeben
von
R. Anderson in Galway, C. Arnstein in Kasan,
Éd. van Beneden in Lüttich, G. Bizzozero in Turin, S. Ramón y
Cajal in Madrid, J. H. Chievitz in Kopenhagen, J. Curnow in London,
H. F. Formad in Philadelphia, C. Golgi in Pavia, G. Guldberg
in Christiania, H. Hoyer in Warschau, S. Laskowski in Genf,
A. Macalister in Cambridge, G. Mihalkovics in Budapest, G. Retzius
i in Stockholm, A. Watson in Adelaide (Siid-Australien),
E. A. Schafer L. Testut
in London, in Lyon,
und
Fr. Kopsch
in Berlin.
Band XV. Mit Taft T-—XX.
n TAY —— "=
PARIS, LEIPZIG, LONDON,
Haar & Steinert Georg Thieme Willams & Norgate
9 Rue Jacob. 31 Seeburgstrasse. 14 Henrietta- Street.
"1898.
Inhalt,
P. Bertacchini, Descrizione di un giovanissimo embrione umano
con speciale riguardo allo sviluppo dei centri nervosi. (Con
Bayer) DIANE
G. Guerrini, Sugli elementi elastici delle vie respiratorie superiori.
(Con Tav. ITT) dal ME
G. Guerrini, Sugli elementi elastici delle vie respiratorie superiori.
(Fine) S t Sige jugis dol cie
Fr. Kopsch, Die Insertion der Musculi brides an d Hani
des Menschen
W. ee Referate . N ERRO PERE
A. v. Torok, Ueber eine neue Methode zur na Cha-
rakteristik der Nase. (Mit Taf. IV)
Fr. Kopsch, Referate ANTA cd
A. v. Torok, Ueber eine neue Methode zur Hanoi Cha-
rakteristik der Nase. (Fortsetzung)
R. Weinberg, Referat
Fr. Kopseh, Referat . spina) ne oid dei nai :
A. v. Torok, Ueber eine neue Methode zur girone e Cha-
rakteristik der Nase. (Schluss) SN
W. Tonkoff, Ueber anomale Anordnung der Hautnerven auf dem
Handrücken des Menschen, verglichen mit dem normalen
Verhalten bei den Affen . ee qs
P. Bertacchini, Istogenesi dei Nemaspermi di Triton cristatus.
(Con Tav. V e VI)
Fr. Kopsch, Referat . Aon :
P. Bertacchini, Istogenesi dei Nena di | Triton cristatus.
(Fine)
Seite
25
33
B. Rawitz, Die Fussdriise von Gastropteron Meckelii Kosse.
(Mit 2 Fig.) . CR NOM O Ce
R. J. Anderson, Note on a Diastema between Molars and Pre-
molars in an Ox. (With 1 Fig.).
W. Krause, Referat . es
W. H. Cox, Die Selbstündigkeit. der x Fibrillen | im Ns (Mit
Rate Vat - ASI edd Vie NU CREE
S. Stopnitzki, Untersuchungen zur Anatomie des menschlichen
Darmes. (Mit Taf VIIIL—XIIT) .
W. H. Cox, Beitráge zur pathologischen Histologie und i Puuc
logie der Ganglienzellen. (Mit Taf. XIV)
D. Timofeew, Beobachtungen über den Bau der Nervenzellen.
der Spinalganglien und des Sympathieus beim Vogel. (Mit
Taf oa: à
W. Tonkoff, Die Blüte | der Lia
Necrologia È Sic: et es
D. Timofeew, Beohachtun en über den Bau der NEG
der Spinalganglien und des Sympathicus beim Vogel. (Schluss)
S. Vincent, The comparative Histology of the Suprarenal Capsules.
(With Plates XVI—XVIII . SAL wait RES
S. Vincent, The comparative Histology of the Suprarenal Capsules.
(Continuation) RI EAA HORE oe
S. Stopnitzki, Untersuchungen zur Anatomie des menschlichen
Darmes .
Fr. Kopsch, Referate
A. SN. Dogiel, Zur Frage über den Bau der Suri beim
Menschen und bei den Säugetieren. (Mit Taf. XIX).
W. Tonkoff, Die Arterien der Intervertebralganglien und der
Cerebrospinalnerven des Menschen. (Mit Taf. XX)
W. Krause, Referate
MAR He
Descrizione di un giovanissimo embrione umano
con speciale riguardo allo sviluppo dei centri nervosi.
Per
P. Bertacchini,
1° Assistente all’Ist. Anatomico diretto dal Prof. R. Fusari, nell'Università di Modena.
(Con Tav. I e II.)
Il giorno 18 Agosto del corr. anno ricevetti dal distinto Collega
Dr. E. Stuffler di Modena il prodotto di un aborto avvenuto il giorno
precedente. La parte espulsa mi fu inviata in un recipiente di cristallo,
senza aggiunta di alcun liquido e mi pervenne in istato eccellente
di conservazione. Avendo in essa riscontrato un pregevole soggetto
embriologico, ne feci uno studio particolareggiato, del quale comunico
ora i risultati ^).
La massa abortita costituisce un grande e spesso sacco piriforme,
lungo 12 cm., largo 6 cm. nel polo maggiore, 2,5 cm nel minore, formato
da tutta intera la decidua parietale. In corrispondenza del polo più piccolo
si riscontra un orifizio circolare, rappresentante l’orifizio cervicale in-
feriore della mucosa uterina, del diametro di circa 1 cm. Le pareti di
questo sacco, che riproduce esattamente la forma del cavo uterino,
sono grosse, circa 10 mm, di consistenza e di colore carneo; la loro
superficie esterna è sanguinante, suddivisa da tanti solchi poligonali
in un'infinità di aree pure poligonali e leggermente sporgenti. La
superficie interna, messa a scoperto mercè un taglio longitudinale del
sacco, è levigata, color carnicino alquanto chiazzato di biancastro,
pure suddivisa in aree spongenti da numerosi solchi intersecantisi. 1l
1) Per ordine di descrizione indico quest’embrione colla lettera D.
Internationale Monatsschrift fir Anat. u. Phys. XY. 1
9 P. Bertacchini,
polo più piccolo del sacco è sostenuto da una porzione cilindrica cor-
rispondente al collo uterino. Sulla superficie interna di questa regione,
proprio vicino all’orifizio cervicale inferiore, si osserva una vescicola
ovoidale, a grand'asse parallelo all'asse longitudinale del sacco deci-
duale, aderente solo per la sua faccia a contatto colla mucosa del
collo, a superficie levigata, rigonfia infine per liquido contenuto (Tav. I.
fig. 2). L'asse lungo di questa vescicola misura 24 mm, il corto 16. Le
pareti che la formano sono piuttosto sottili, cirea 0,5 mm, meno che
nella base d’impianto e nel polo superiore ove raggiungono lo spessore di
5 mm. Aperta mediante un'incisione longitudinale, lascia uscire circa
4 c.c. di liquido limpido, color siero di sangue, di odore fresco e nor-
male. Questa vescicola è un sacco ovulare, come lo dimostra bentosto
il suo contenuto; le sue pareti sono formate dalla decidua serotina,
nella base d'impianto, e dalla decidua riflessa dovunque altrove;
internamente alla decidua si trova il corion e l’amnios.
La sua cavità è immediatamente tappezzata da una membranella
sottilissima, color bianco-perlaceo, trasparente, che all'esame microsco-
pico sì rivela per un amnios normale; essa si stacca facilmente cosicchè
posso immergerne dei grandi lembi in liquido di Flemming e in soluz.
sat. d'acido picrico per l'esame istologico, che ho praticato tanto a
piatto che mediante sezioni. All’esterno dell’amnios, il corion si pre-
senta come una membrana biancastra alquanto più spessa e resistente,
la cui superficie interna aderisce all’amnios leggermente mediante
tessuto interannessiale, mentre l’esterna è provvista di numerosissimi
villi; questi sono più lunghi, nodosi e ramificati in quella regione dove
la vescicola embrionale aderisce alla parete uterina. Mediante i villi
il corion aderisce intimamente alla decidua serotina e riflessa, cosicchè
non è possibile staccarlo senza lacerare buona parte dei medesimi.
Nel fondo della cavità della vescicola amnio-corio-deciduale, cioè in
corrispondenza del punto in cui essa aderisce alla decidua vera, si
osserva (v. Tav. I. fig. 2), un'altra assai più piccola vescicola ovoidale,
a grand'asse parallelo a quello della cavità ove è contenuta, lunga
5,5 mm e larga 3 mm, aderente pel suo polo superiore; questa
aderenza si fa in modo che le sue pareti si continuano in parte
coll'amnios che tapezza la cavità coriale, in parte col corion (v. Tav. I.
^
Descrizione di un giovanissimo embrione umano ete.
©
fig. 4). Sulla faccia libera, rivolta cioé verso il cavo amniotico, di
questa vescicola si osserva una lineetta opaca, biancastra, longitudinale,
i cui estremi sono alquanto sollevati, la quale rappresenta un piccolo
embrione. Distaccando colle pinze l’amnios dal corion, si leva, dal
corion, intatta, anche la vescichetta embrionale, dovendosi vincere una
lieve resistenza solo in corrispondenza del suo polo superiore, dove,
cioè, aderisce al corion.
Immergo il tutto, amnios ed embrione, in un vetrino da ovologio
ripieno di soluz. norm. di Cloruro di Sodio ‘per farne l'esame esterno
al microscopio, poscia in abbandante quantita di soluz. sat. d'acido
pierico addizionata di '/,, di soluz. 2 ?/, d’acido osmico.
Forma esterna.
Il corpo dell’embrione (v. Tav. I. fig. 1 e 2), occupa il meridiano
della faccia libera, che chiameró dorsale, della piccola vescicola, sulla
quale si adagia come un embrione di Elasmobranchio sull'uovo. Esso
è quasi rettilineo ed ha l'estremo cefalico rivolto al polo inferiore, la
sporgenza coccigea rivolta al superiore; misura da un estremo all'altro
circa 3,8 mm. Ha aspetto nastriforme e le sue pareti somatiche presentano
due regioni nettamente distinte per la struttura e il grado di traspa-
renza. Una regione assiale, pitt spessa ed opaca, situata, come un palo
di fettuccie, ai lati del midollo spinale (v. Tav. I@ fig. 1), e una
regione laterale, più sottile e trasparente, che costituisce il resto delle
pareti della vescicola fino alla sua continuazione coll'amnios (v. Tav. ID.
fig. 1. La regione assiale non presenta traccie distinte di segmen-
tazione. La testa ha la forma di un’eminenza quadrilatera, ad angoli
arrotondati e misura 0,65 mm. Col suo polo frontale guarda alquanto
dorsalmente cosicchè la sua faccia dorsale presenta un leggera incava-
tura in corrispondenza del punto in cui si continua col resto del corpo;
(v. Tav. II. fig. 4). Il polo frontale è alquanto rigonfio lateralmente,
incavato medialmente. Lateralmente, in corrispondenza dei due angoli
posteriori della testa, dove questa si continua col tronco, si osservano,
per trasparenza, due grandi vescicole sferiche, le vescicole acustiche
(v. Tav. I. fig. 4). Nella faccia ventrale la testa presenta una de-
pressione mediana, infundibuliforme, situata quasi affatto cranialmente
1*
4 P. Bertacchini,
o apicalmente (v. Tav. I. fig. 3). Questa cavità è lo stomodaeum.
Essa è limitata caudalmente da un tubercolo emisferico, abbozzo
dell’arco mandibolare; cranialmente da due piccolissimi tubercoli laterali
e dal polo frontale. In causa del sollevamento già descritto della
testa, la bocca guarda apicalmente e solo poco ventralmente. Non si
osservano traccie di altri archi nè di fessure branchiali.
Subito ventralmente agli angoli laterali anteriori del polo frontale
si vedono due macchie circolari oscure dovute al trasparire delle ve-
scicole ottiche (v. Tav. I. fig. 3).
Il resto del corpo dell'embrione è formato, come si è già detto,
da una specie di vescicola. Distinta dal rimanente è la sua regione
assiale che corrisponde alla regione di Wolff e che descriverò breve-
mente. Ha aspetto nastriforme; incomincia subito al di dietro della
testa (testa anteriore), con una regione più ristretta (v. Tav. I. fig. 1);
si allarga alquanto in corrispondenza della regione dorsale; si restringe
nella regione lombare, per allargarsi leggermente di nuovo in corrispon-
denza della regione sacro-coccigea. Ha perciò un aspetto leggermente
biscottiforme. La regione coccigea è sollevata dal piano della vescicola,
press’a poco come la testa, sotto forma di una sporgenza conica, lieve-
mente incurvata ventralmente. In corrispondenza del punto in cui si
distacca la sporgenza coccigea, si vede per trasparenza che dalla faccia
ventrale della regione assiale dell'embrione parte una striscia cellulare
più spessa che si dirige caudalmente al di sotto del prolungamento
caudale della somatopleura, cioè al di sotto della regione caudale
dell'amnios (v. Tav. Ic. fig. 1). Nella regione di questa striscia
si vedono, per trasparenza, numerosi vasi sanguigni, color rosso
brillante.
Le regioni laterali del corpo dell'embrione, che corrispondono
alla membrana reuniens inferior di Rathke, sono trasparenti; tuttavia
la loro metà craniale é alquanto piü opaca della caudale e in corri-
spondenza del limite fra queste due regioni corre una striscia legger-
mente più oscura che parte dalla regione assiale dell'embrione.
Merita di essere qui rammentato che già all'esame esterno si vede
nell’interno della regione coccigea una piccola vescichetta circolare
trasparente che risalta come uno spazio chiaro. Noto inoltre che la
Descrizione di un giovanissimo embrione umano etc. 5
regione dell’amnios che sta caudalmente al corpo dell’embrione e sotto
alla quale si dirige il cordone che parte dalla faccia ventrale della
sporgenza coccigea, è più rilevata, opaca e spessa del rimanente.
La particolarità più importante che si osserva nella regione assiale
dell'embrione è il tubo nervoso centrale, che si vede nettamente per
trasparenza. Esso è già completamente chiuso.
Nella sua estremità craniale si scorgono tre rigonfiamenti. Il 1°,
o più distale, è pochissimo esteso in senso sagittale o longitudinale;
appartiene esclusivamente al polo frontale della regione libera della
testa e corrisponde alla vescicola cerebrale anteriore o prosencephalon;
misura longitudinalmente 0,065 mm. e trasversalmente 0,20 mm.
(Gye Bayalı sto 4: po):
Il secondo rigonfiamento è ellissoidale in senso longitudinale e rap-
presenta la 2* vescicola cerebrale o mesencephalon. Cranialmente non
è che indistintamente separato dalla vescicola anteriore, mentre è cau-
dalmente separato da un profondo solco dalla 3? vescicola. Misura
0,29 mm. in senso longit. e 0,24 mm. in senso trasversale. Corri-
sponde, lateralmente e caudalmente, alle vescicole acustiche (v. Tav. I.
fig. 4 mes).
Il rigonfiamento posteriore, o 3% vescicola cerebrale o rhomben-
cephalon, non ha caudalmente limiti molto distinti. Distalmente, ove
è separato dal mesencefalo da un solco trasversale circolare, è formato
da un segmento più distinto, ellissoidale in senso trasversale, lungo
0,14 mm., largo 0,25 mm.; caudalmente è ovoidale in senso longitudinale
e si continua, senza limiti distinti, col midollo spinale (v. Tav. II rh).
Da questa rapida descrizione si vede che il prosencephalon occupa
esattamente l’estremo apicale e craniale dell'embrione. Solo la sua
estremità distale si è alquanto flessa ventralmente, trasportando la
regione delle vescicole ottiche nel lato ventrale della testa.
Il midollo spinale si estende come un cordone oscuro moniliforme
e apparentemente interrotto, dalla testa posteriore alla sporgenza coc-
cigea. Quando ha raggiunto la base di questa sporgenza, se ne per-
dono le traccie in causa dell’eccessiva opacità dei tessuti di questa
regione del corpo.
Il midollo spinale misura in lunghezza, compreso il segmento caudale
6 P. Bertacchini,
del rhombencephalon ed inclusa la regione coccigea, nella quale le sezioni
microscopiche ne dimostrano l’esistenza, 2,7 mm. La sua misura reale
è però alquanto maggiore perchè esso descrive qualche curva laterale.
È alquanto più grosso cranialmente, vicino al rhombencephalon, ove
misura 0,06 mm, che caudalmente, ove raggiunge appena 0,04 mm.
Presenta una serie di ingrossamenti assai vicini separati da spazi
più ristretti e chiari, cosicchè rassomiglia a un rosario.
Esaminando la direzione del profilo dorsale dell'embrione, si nota
che esso descrive varie curve, tutte leggere. La testa è sollevata e
guarda dorsalmente col polo frontale; in corrispondenza della regione
del mesencephalon e del rhombencephalon, future regioni delle eminenze
apicale e nucale, vi è una leggera depressione; il profilo dorsale si
rialza alquanto in corrispondenza della regione dorsale, si deprime di
nuovo nella regione lombare per rialzarsi notevolmente in corrispon-
denza della sporgenza sacro-coccigea.
Età dell’embrione.
Dall'esame esterno giudico che il grado di sviluppo di questo
embrione non superi il 6° e 7° Stadio della Scala di sviluppo di His;
vi appartengono, di casi descritti, l'embrione I di Coste, disegnato da
Gerbe e riportato da His nella sua „Anatomie menschlicher Embryonen“
e lembrione Z, di His. Per la lunghezza della testa starebbe nel
1° gruppo della Classe che His fa dei più giovani embrioni del 1° mese,
i quali hanno una profondità sagittale cefalica media di 0,6 mm. Per
la mancanza peró di distinti archi e fessure viscerali, di un cuore
tubulare libero e di abbozzi degli arti si rivelerebbe alquanto piü
giovane e potrebbe stare nella stessa linea (V. II. pag. 32) degli
embrioni VII (E), VI (SR) e AT 2 (Allen-Thompson).
Per ciò poi che riguarda l’incurvatura dorsale, apparterebbe agli
embrioni del II Tipo di His, nei quali il dorso è ventralmente intro-
flesso. L’eta sarebbe dai 16 ai 21 giorni e, per il grado di sviluppo,
corrisponderebbe, pressa poco, al 10° giorno di sviluppo dell'embrione
di coniglio e al 2° giorno di incubazione dell'embrione di pollo.
Di embrioni descritti più giovani di questo, vi sarebbero perciò
le vescicole blastodermiche di Reichert, di Wharton-Jones e di
Descrizione di un giovanissimo embrione umano ete. 7
Breuss e gli embrioni di Schwalbe, di Bruch, 1 e 2 di Allen-Thompson,
SE e E di His.
Due cose però contrastano con questi dati desunti dall'esame
anatomico dell'embrione; 1° il diametro del corion e il contegno del-
Vamnios; 2° i dati ostetrici.
Riguardo al corion, esso è notevolmente più ampio delle misure
date per normali dall’His e riguardo all’amnios, questo, invece di
abbracciare strettamente l’embrione, aderisce alla faccia profonda
del corion. Saremmo perció di fronte ad uno sviluppo anormale di
queste membrane fetali; dichiaro peró che sull’anormalita di questo
rapporto fra embrione ed annessi io nutro, come già ebbi occasione
di dire descrivendo altri giovani embrioni, dei forti dubbi. E questi
dubbi si basano specialmente sul fatto, che è caratteristica per lo
sviluppo ontogenetico umano, la formazione e la chiusura precoce del-
Yamnios; non si intende perciò facilmente come esso possa restare
tanto tempo, fino a che l'embrione abbia raggiunta la lunghezza di
14 mm. secondo His, aderente al corpo embrionale e senza che nel
suo interno si accumuli liquido. Jo resto perció in dubbio, fino a prova
in contrario, se il reperto di un amnios aderente al corpo di embrioni
che superano la lunghezza di 3 o 4 mm. non consista in un errore di
osservazione, causato dall'essersi questa membrana staccata dal corion,
lacerata ed adossata all’embrione, come spesso ho potuto osservare.
L'altro ostacolo è rappresentato dai dati ostetrici. Secondo quanto
mi fu gentilmente comunicato dal D* Stuffier, la donna dalla quale
questo embrione deriva, ebbe l'ultima mestruazione il 1° Maggio,
laborto il 17 Agosto 1897.
Computando, come consiglia la maegior parte degli embriologi,
il principio della gravidanza dalla 1* mestruazione mancata, si avrebbe
letà di 2 mesi e 20 giorni.
A questi dati, però, non è da attribuire, per quello che io credo,
troppo valore, perchè la decidua espulsa presentava tracce evidenti di
un processo di endometrite, salvo che nella zona limitata al collo del-
lutero. La piccola estensione della parte sana della mucosa uterina
diminuiva quindi le probabilità per un felice impianto dell’ovulo fe-
condato. Ora può darsi che dopo la cessazione dei mestrui, sia avve-
8 P. Bertacchini,
nuta ancora per due epoche mensili, 28 Maggio e 26 Giugno l’ovu-
lazione, mancando lo scolo sanguigno in causa delle sfavorevoli con-
dizioni della mucosa uterina. Può darsi invece che nel terzo periodo
mestruale, 24 Luglio, l'ovulo fecondato accidentalmente sia stato tra-
sportato sull’unica regione sana della mucosa, cioè in corrispondenza
del collo uterino, e che quì abbia potuto impiantarsi incominciando
il suo sviluppo.
Accogliendo questa ipotesi, l'embrione avrebbe l'età di circa 21
giorni, che corrisponderebbe abbastanza bene colla sua struttura. Al
lettore, del ‘resto, il pronunciare il giudizio.
Come ho già detto, l'embrione assieme con tutto l'amnios fu im-
merso in soluz. sat. di acido picrico, addizionata di */,, di soluz. 2°/,
d’acido osmico; dopo 24 ore fu lavato in acqua distillata e passato per
la serie graduale degli alcool per completare lindurimento. Fu poscia
incluso, colle norme solite, in paraffina e diviso al microtomo in sezioni
seriate.
Struttura interna.
A) Sistema nervoso.
Il corpo dell’embrione è formato dorsalmente, nella linea mediana,
dal tubo nervoso, dalla notocorda e dal mesoblaste protovertebrale;
ventralmente, dalle sottili pareti, in gran parte non ancora divise dalla
cavità del celoma, della regione embrionale della vescicola blastodermica,
che ‘limitano la grandissima cavità del mesenteron primitivo. Caudal-
mente, ove esiste la separazione fra somatopleura e splancnopleura, si
distaccano dalla faccia ventrale del mesenteron il sacco vitellmo e
lallantoide assieme col peduncolo addominale (v. Tav. IL).
Struttura istologica.
Il tubo nervoso non è ben conservato che nella regione encefalica
e nella dorsale superiore; caudalmente è disgregato.
Le sue pareti hanno una struttura alquanto diversa nelle diverse
regioni. Nell'encefalo sono formate da uno strato epiteliale semplice
di cellule cilindriche in corrispondenza della volta e della base; lateral-
mente invece, le cellule si sovrappongono in perecchi strati, sempre
Descrizione di un giovanissimo embrione umano etc. 9
pochi però, in modo da dare alle pareti uno spessore notevolmente
maggiore. Questa struttura è specialmente distinta nel mesencefalo;
lo è meno nel prosencefalo e non è più riconoscibile nel rombencefalo,
la cui struttura si avvicina a quella del midollo spinale.
In quest’ultima regione, le pareti sono formate da uno strato
semplice di cellule cilindriche solo nella linea mediana dorsale e ven-
trale, in corrispondenza delle future commissure omonime. Lateral-
mente invece si inframettono fra le cellule cilindriche delle numerose
cellule rotondeggianti e ovoidali che verso il piano dorsale conservano
ancora una disposizione epiteliforme, mentre verso il piano ventrale
si accumulano costituendo le colonne cellulari ventrali della zona mo-
toria di His. Le cellule cilindriche così distinte nelle regioni com-
missurali, sono assai meno discernibili nelle regioni laterali avendo
subito un notevole cambiamento di forma; sono diventate assai più
alte, in modo da attraversare tutto lo spessore dell'ispessita parete del
tubo nervoso, e più sottili, essendo lateralmente compresse dalle nume-
rose cellule che sono comparse in mezzo ad esse.
Si possono perciò distinguere due strati nello spessore delle pareti
del tubo nervoso. Uno strato interno che nelle regioni mediane dorsali
e ventrali è formato esclusivamente dalle sopra descritte cellule cilindriche
e che nelle regioni laterali è costituito invece solo dalle loro estremità
interne. Questo strato limita immediatamente il canale ependimario
e le cellule che essenzialmente lo costituiscono sono gli spongioblasti
di His, la cui superficie libera interna presenta un sottile orletto a
doppio contorno che pare formato da corte, sottili e rettilinee ciglia
e il cui nucleo si trova a metà altezza del loro lungo corpo. Fra le
estremità profonde degli spongioblasti si osservano, nelle regioni laterali,
numerose piccole cellule rotundeggianti, cellule germinative, che pure
appartengono allo strato interno.
Lo strato esterno è formato dai neuroblasti che derivano per
cariocinesi dalle cellule germinative. Questi nella metà dorsale del
midollo, ai lati della linea mediana, e nelle regioni laterali dell’encefalo
formano uno strato regolare di elementi disposti radialmente, allun-
gati nello stesso senso e disposti solo in due o tre piani savrapposti;
nella metà ventrale del midollo formano invece due grossi accumuli ai
10 P. Bertaechini,
lati della linea mediana, nei quali gli elementi, rotondeggianti, sono
irregolarmente disposti. Questi cumuli corrispondono alle colonne cellu-
lari ventrali della zona ventrale di His.
L’involuero del tubo nervoso è formato da un piano semplice di
cellule mesenchimali piatte; non si scorge una membrana basale distinta.
Lateralmente e ventralmente é abbracciato dal mesoblaste delle proto-
vertebre; dorsalmente la cosa è dubbia.
Struttura anatomica,
EMEnceralo:
L'encefalo è suddiviso, come già è stato detto, nelle 3 vescicole
cerebrali primitive.
a) Prosencephalon.
Il prosencephalon, le cui misure si sono gia date, corrisponde al
polo frontale della regione libera della testa. In una sezione trasversa
ha la forma di un ovoide dorso-ventrale, a polo grosso rivolto dorsal-
mente. Misura in questo senso 0,43 mm e 0,24 mm nel senso tras-
versale. È caratterizzato (v. Tav. IL fig. 1), dal non avere assotti-
gliata, come le altre regioni del tubo nervoso, la volta dorsale, ma di
essere anche qui formato da due o tre piani di cellule. Ventralmente
invece è costituito da un solo piano cellulare e in corrispondenza del
suo angolo ventrale dà origine lateralmente a due estroflessioni che si
dirigono lateralmente, dorsalmente e caudalmente e che rappresentano
le vescicole ottiche primarie. Queste vescicole col loro polo libero
raggiungono quasi l’ectoderma cutaneo degli angoli laterali anteriori
della testa, il quale in questa regione non presenta altro differenzia-
mento che un’altezza alquanto maggiore; manca perciò un distinto
abbozzo della lente cristallina. La regione ventrale del prosencephalon
è leggermente introflessa fra le 2 vescicole ottiche. Questa regione è
vicinissima all’ectoderma cutaneo che qui è pure leggermente incavato
e più alto e stratificato che altrove. Questa depressione ectodermica
sta medialmente nell’orlo craniale dello stomodaeum e conduce in
quest’ultima cavità.
Descrizione di un giovanissimo embrione umano etc. Ji
b) Mesencephalon.
Il mesencephalon misura in lunghezza 0,29 mm. La sua sezione
trasversa (v. Tav. II. fig. 2, 3 e 4), ha la forma di un ellissoide dorso
ventrale che in questo senso misura 0,45 mm e trasversalmente 0,24 mm.
È separato dal prosencephalon da uno strozzamento indistinto; da uno
strozzamento profondo invece dal rhombencephalon.
Nella sua sezione trasversa si distinguono chiaramente 3 diverse
regioni; una dorsale, una mediana e una ventrale, separate da due
leggeri strozzamenti longitudinali, uno dorsale e uno ventrale. Le
regioni dorsale e ventrale formano due lievi rigonfiamenti le cui pareti
sono formate da un solo piano di cellule; corrispondono, secondo me,
chiaramente al Dachdivertikel e alla Vorderspalt del tipo fondamentale
del sistema nervoso di Lówe.
La regione mediana, allungata alquanto in senso dorso-ventrale,
ha invece pareti laterali ispessite, ispessimento questo che mi sembra
analogo a quello laterale degli encefalomeri descritti nell'encefalo dei
vertebrati inferiori (v. letteratura).
Questa regione mediana rappresenterebbe la Mittelausweitung di
Lówe. La disposizione è assai evidente e mi pare abbia un valore
morfologico non trascurabile; sia detto questo senza accettare del tutto
le idee di Lówe riguardo all'ulteriore destino di queste 3 regioni delle
vescicole encefaliche.
Il contorno ventrale del mesencephalon è in rapporto di vicinanza
coll’ectoderma dorsale dello stomodaeum.
Nello spessore del sottile setto mesoblastico che separa questi
due organi, appare, immediatamente al di dietro della regione ottica
del prosencefalo, l’estremo craniale della notocorda, saldato all’epiblaste
del cavo orale (v. Tav. II. fig. 3 e 4).
c) Rhombencephalon.
Fra il mesencephalon e il rhombencephalon esiste un profondo
strozzamento circolare, che coincide col piano trasverso delle vescicole
acustiche (v. Tav. IL fig. 5) e in corrispondenza del quale le pareti
nervose quasi collabiscono.
12 P. Bertacchini,
Una sezione trasversa del rhombencephalon (v. Tav. II. fig. 6) si
presenta notevolmente diversa da quella del mesencephalon e rasso-
migliante a quella del midollo spinale. Il diverticolo dorsale, Dach-
divertikel, è notevolmente ridotto, quasi appena accennato; il rigonfia-
mento mediano, Mittelausweitung, è notevolmente sviluppato e protrude
fortemente lateralmente; il diverticolo ventrale è ridotto ad una sotti-
lissima fessura dorso ventrale dalla comparsa delle colonne cellulari
del campo motore. La sezione del tubo nervoso ha qui manifesta-
mente una forte rassomiglianza con quelle che ho descritte nel midollo
spinale dei miei due embrioni umani A e C (v. letteratura). La
figura 6 rappresenta veramente una delle sezioni più caudali del rhom-
bencephalon; cranialmente lo sviluppo delle colonne cellulari ventrali è
alquanto minore.
Midollo spinale.
In una sezione trasversa del midollo spinale si osserva, in linea
generale, quanto segue. Anche qui abbiamo le 3 regioni della cavità
centrale descritte da Lówe, senonchè il diverticolo dorsale è notevolmente
impiccolito in causa del forte sviluppo preso dalle pareti laterali del
tubo nervoso; la regione mediana, Mittelausweitung, spinge in fuori,
allargandosi notevolmente, 2 diverticoli laterali a direzione leggermente
ventrale dei quali Löwe non ha fatto menzione; il diverticolo ventrale
è molto appiattito lateralmente e ridotto a un’esilissima e lunga fessura
dorso ventrale; in certi punti sembra scomparso per collabimento delle
pareti. La causa di questa riduzione della Vorderspalt di Lòwe deve
ricercarsi nello sviluppo delle colonne neuroblastiche ventrali.
L'analogia, in seguito a questa descrizione, colla struttura presen-
tata dal midollo spinale degli embrioni A e C appare evidente.
Occorre inoltre far notare che il contegno della cavità centrale del
midollo, e perciò anche delle sue pareti, non è dovunque lo stesso.
Uno sguardo gettato sulla Tav. II. figure 7—12 lo dimostra chiaramente.
Anzitutto, il diverticolo dorsale talora esiste come piccola regione
distinta (v. Tav. IL fig. 7 e 9), talora scompare confondendosi col-
l'allargamento mediano (Mittelausweitung di Löwe) v. Tav. IL fig. 8,
10, 11 e 12). L'allargamento mediano talora è più ampio ed ha pareti
Descrizione di un giovanissimo embrione umano etc. 13
laterali più sottili (v. Tav. II. fig. 9), talora è più ristretto ed ha pareti
laterali più grosse (v. Tav. II. fig. 8). Altrettanto dicasi delle colonne
cellulari ventrali. Queste in certi punti sono meno sviluppate (v. Tav. II.
fig. 8 e 9), in altri assai di più, tanto da modificare profondamente la
forma della cavità midollare (v. Tav. II. fig. 11 e 12).
Questa alternanza di restringimenti e allargamenti si vedeva già
confusamente anche all’esame esterno dell'embrione. Abbiamo dunque
quella stessa disposizione che, assai esagerata, esisteva anche nell’altro
mio embrione C.
Il tubo nervoso è nella regione delle due vescicole cerebrali an-
teriori separato dall’ectoderma da un sottile strato di tessuto meso-
blastico. Il rapporto si fa invece assai intimo a livello delle vescicole
acustiche o dell'estremo craniale del rhombencephalon, ove il tubo
nervoso è a contatto immediato coll’ectoderma che in questa regione
incomincia a farsi alto e stratificato per mantenersi tale per tutta
l'estensione del rhombencephalon. Questo contatto fra epidermide e
tubo nervoso è però pochissimo esteso, perchè subito caudalmente al
punto in cui esso avviene, si interpone fra i due organi un rilevante
foglietto cellulare, formato da elementi poligonali strettamente stipati.
Questa lamina (v. Tav. II. fig. 6, 7, 8 e 9) è più sottile nella linea
mediana, si ingrossa lateralmente e dorsalmente al midollo spinale e
pare spinga delle propagini ventralmente tanto nello spessore delle
pareti del corpo, quanto attorno al midollo spinale rivestendone la
faccia ventrale.
Resto incerto sul significato di questa lamina, i cui elementi sem-
brano in attiva cariocinesi e per la forma si differenziano dalle cellule
mesoblastiche ramificate che formano le pareti del corpo.
Non si osservano tracce di radici nervose anteriori.
Nella sua estremità caudale il midollo spinale è mal conservato.
È a contatto immediato coll’ectoderma e finisce proprio immediatamente
al di sopra dell’invaginazione ectodermica anale.
Credo non. del tutto inopportuna qualche considerazione riguardo
alla struttura del midollo spinale. Mi pare caratteristica per l'embrione
umano la grande estensione dei due diverticoli laterali della sua cavità
ependimaria, diverticoli che in fasi più avvanzate di sviluppo, quando
14 P. Bertaechini,
esistono gia tanto le colonne cellulari ventrali che le dorsali, arri-
vano fino alla superficie laterale del midollo (v. Kölliker, Handbuch
der Gewebelehre, pag. 130—131. fig. 402, 403, 404). Quando il mi-
dollo é in tale fase di sviluppo, la sua cavità ependimaria ha
nettamente una figura cruciforme. Nella fase precoce, peró, del
mio embrione, il braccio dorsale della croce talora esiste e talora
no, mentre poi mancano assolutamente tracce delle colonne cellulari
dorsali. Mi pare evidente che l'assenza delle colonne cellulari dorsali
dovrebbe condurre con sé quella del braccio dorsale della croce, se la
formazione di questo dipendesse esclusivamente dalla loro presenza,
come avviene in realtà nella zona ventrale del midollo. Questa con-
comitante assenza non è invece assoluta nel mio embrione, il che di-
mostra, a mio credere, che il diverticolo dorsale della cavità ependi-
maria ha anche un'altra origine. Infatti esso è anche, in parte, un
residuo della primitiva cresta neurale e sutura neuro-epidermica. Se
esso poi non è continuo, come il diverticolo ventrale e i due laterali,
cid dipende probabilmente, come ho tentato di dimostrare nella de-
scrizione dell'embrione C, dalla conformazione degli orli della doccia
midollare primitiva.
Riassumendo, nell’embrione umano il primo cambiamento di forma
della cavità del midollo spinale è dovuto allo sviluppo delle colonne
cellulari ventrali che protrudono fortemente verso la cavità ependi-
maria, cosicchè questa assume l’aspetto, in una sezione trasversa, di
una fessura semilunare dorsale, estesa nel senso frontale, dal mezzo
della cui concavità, rivolta ventralmente, parte una lunga e stretta
fessura dorso-ventrale, limitata lateralmente dalle colonne cellulari
ventrali (v. Tav. II. fig. 12). Quando compaiono le colonne cellulari
dorsali, protrudono anch’esse verso l’interno del midollo cosicchè il
canale ependimario assume la forma di un solco crociato (v. Tav. II.
fig. 7, 8); allora le braccia laterali della croce dividono nettamente
la zona ventrale dalla dorsale e questa disposizione si mantiene fino
a fasi abbastanza inoltrate di sviluppo; v. fig. di His, Kölliker, Löwe
e le mie degli embrioni A e C. Sarebbe interessante seguire il destino
delle cellule epiteliali che rivestono quelle regioni della cavità centrale
che sono destinate a scomparire.
Descrizione di un giovanissimo embrione umano etc. 15
Organi dei sensi.
Olfatto. — Non esistono ancora le placche olfattive laterali, nè
da parte del prosencephalon si scorge alcun accenno alla formazione
di un lobo olfattivo.
Occhio. — L'organo della vista è rappresentato dalle vescicole
ottiche primarie, già descritte, ancora in larga communicazione colla
cavità del prosencephalon. Da parte dell'ectoderma, manca un distinto
impianto della lente cristallina; l'ispessimento ectodermico disegnato
nella Tav. I. fig. 1, è alquanto esagerato.
Organo dell'udito. — È rappresentato da un'ampia e sferica
vescicola acustica, già separata dall'eetoderma e situata a livello del
soleo che separa il mesencephalon dal rhombencephalon.
Le vescicole acustiche sono alquanto appiattite tangenzialmente,
misurano in senso dorso ventrale 0,224 mm, in senso laterale 0,160 mm.
Le loro pareti sono formate da uno strato semplice di belle cellule
cubiche. Dorsalmente ad esse si trova un cumulo cellulare ben distinto,
di forma sferica, in rapporto con un ispessimento dell’ectoderma, che
misura 0,064 mm di diametro e rappresenta l'abbozzo del ganglio acustico
(v. Tav. I. fig. 5)!).
Non esistono altre particolarità riguardanti gli organi dei sensi e
il sistema nervoso periferico.
Tubo digerente.
Si è già brevemente descritto lo stomodaeum e accennato il rap-
porto della sua parete dorsale colla notocorda. Esso è limitato aboral-
mente da un tubercolo impari assai sporgente.
È dubbio se questo tubercolo corrisponda a un vero arco mandi-
bolare, perché non presenta alcuna traccia di una doppia origine laterale;
ma potrebbe darsi si trattasse di uno sviluppo suo anormale.
Lo stomodaeum finisce caudalmente a fondo cieco alla distanza di
0,070 mm dal suo ingresso. Oltre il suo fondo cieco, l'ectoderma della
sua parete dorsale e quello della ventrale si addossano e si continuano
!) Nell’embrione Z, di His le vescicole acustiche erano ancora aperte; il mio
embrione sarebbe perció di poco piü sviluppato.
16 P. Bertacchini,
alquanto caudalmente nello spessore del mesoblaste (v. Tav. II. fig. 3).
È con questo foglietto ectodermico che è in rapporto l'estremo craniale
della notocorda.
Fra il fondo cieco orale e l’aditus anterior del mesenteron si
interpone un robusto setto di mesoblaste dello spessore di 0,210 mm.
Si incontra, colle sezioni trasverse, l'epitelio della volta dell'aditus
anterior circa all'altezza del contorno caudale delle vescicole acustiche
(Tav. IE fig. 5).
Il mesenteron ha la forma di un'ampia cavità che occupa quasi
tutta l'estensione del corpo vescicolare dell'embrione. Le sue pareti
sono formate direttamente dalla totalità del blastoderma dell'area em-
brionale in quasi tutta la sua estensione; solo caudalmente, a livello
dell’attacco dell'embrione al corion, le pareti si sdoppiano in una
lamina profonda che si addossa al mesenteron e al sacco vitellino,
splanenopleura, e in una superficiale che resta unita all'eetoderma e si
continua coll’amnios e col corion, somatopleura (v. Tav. I. fig. 4). Il
celoma interno, fessura pleuro-peritoneale, ha percid una brevissima
estensione e non é sviluppato molto che il celoma esterno (v. Tav. II.
fig. 3) in avanti. L'epitelio del mesenteron é cubico, a protoplasma
oscuro, finissimamente punteggiato; raggiunge una maggiore altezza ai
lati della volta dorsale. Quest'ultima è sporgente nella linea mediana in
causa del rilievo formato dagli organi assiali, midollo spinale, notocorda
e aorta discendente. Le pareti laterali della regione più craniale del
mesenteron presentano delle fitte e profonde estroflessioni entro le
quali si approfonda l’epitelio ipoblastico fin quasi a raggiungere l’ecto-
derma, che, a sua volta, si affonda alquanto (v. Tav. IL fig. 9 e 10).
Si potrebbe pensare che rappresentassero gli abbozzi delle fessure bran-
chiali, ma sono troppo numerose, in certi punti potendosene contare
fino a 9. La parte di mesenteron che sta cranialmente alla comparsa
del celoma e del sacco vitellino è molto ampia. Misura, a livello
dell’aditus anterior, 0,160 mm in senso dorso-ventrale e 0,560 mm. in
senso trasversale; ma subito dopo la sua cavità si arrotonda (v. Tav. II.
fig. 7 e 10) e misura un diametro di 1,120 mm in dutti i sensi.
A 1,40 mm. dall'aditus anterior, appare per la prima volta il celoma
e nel lato ventrale dell'embrione la somatopleura si continua coll'origine
Descrizione di un giovanissimo embrione umano etc. 17
dell’amnios, discostandosi dalla splancnopleura che resta a costituire
le pareti del sacco vitellino (v. Tav. II. fig. 13, 14 etc). Il dotto
epiteliale vitellino compare nella 69* sezione, a 3,06 mm dall’aditus
anterior.
Il sacco vitellino ha la forma di una vescicola ovidale; misura
nel senso dell'altezza 1,60 mm; 1,12 mm in senso trasversale e si
estende nel senso della lunghezza dell'embrione 1,20 mm.
Ha pareti grossissime (v. Tav. II. fig. 14, 16, 17), formate di
cellule mesoblastiche stellate o fusiformi, assai ramificate e anastomiz-
zate fra di loro.
Nelle areole della loro rete si osservano numerose cellule rotonde,
a scarsissimo protoplasma, a nucleo rotondo grandissimo, con distinto
nucleolo e reticella nucleare.
Quà e là, nello spessore delle pareti del sacco vitellino si osser-
vano delle reticelle vascolari di nuova formazione (v. Tav. II. fig. 6),
ehe hanno la forma di irregolari cordoni di cellule mesoblastiche, nel
cui centro si differenziano dei giovani globuli rossi.
Nello spessore del contorno craniale del sacco vitellino si vede
un enorme vaso sanguigno impari, mediano, ripieno di globuli rossi
nucleati, carichi di emoglobina e di un distinto colore giallo carico.
Questo vaso, che si dirige alquanto in direzione craniale, rappresenta
la riunione delle 2 vene omfalo-mesenteriche e forma, press’a poco, il
seno impari del cuore (v. Tav. II. fig. 13).
È notevole che cranialmente a questo punto non si osserva, di
abbozzo di apparecchio circolatorio, che una piccola fessura nella parete
ventrale della regione craniale del mesenteron (v. Tav. II. fig. 10).
Questa fessura, che io interpreto per l'impianto del cuore, sembre-
rebbe derivare da un abbozzo doppio, giacchè alcune cellule meso-
blastiche le formano come un setto sagittale mediano. Ebbene, è note-
vole che nè in questa cavità nè dovunque altrove, in questa parte
craniale del corpo dell'embrione, si trovano globuli sanguigni embrionali
emoglobiniferi. Nella piccola fessura cardiaca si trovano solo alcune
cellule mesoblastiche sferiche, eguali a quelle che ho descritte nella
parete del sacco vitellino, senza alcuna traccia d’emoglobina. L’accu-
mulo dei globuli rossi embrionali sembra limitato al solo sacco
Internationale Monatsschrift fiir Anat. u. Phys. XY. 2
18 P. Bertacchini,
vitellino e al tessuto connettivo che circonda l'allantoide, nei quali punti
raggiunge uno sviluppo enorme.
Nell'interno del sacco vitellino si osservano alcuni ammassi di
sfere vitelline (vitello nutritivo, deutoplasma); si presentano come sfere
granulose, del diametro di 15 u, colorate in nero dall’acido osmico
(v. Tav. II. fig. 14 e 16). Di questo deutoplasma se ne trova anche
dentro al mesenteron fin nella sua regione più cefalica.
Il dotto vitellino è rivestito da un epitelio cubico, semplice, che è
la continuazione di quello del mesenteron.
A livello dell'ombelico splancnico, le cellule di quest’epitelio
presentano un notevole cambiamento di struttura. Nella parte prossi-
male sono piccole, 8 u, eguali a quelle del mesenteron; nella distale
invece grandissime, 30 4, poligonali, fortemente granulose (v. Tav. IL
fig. 15). Passando nell’interno del sacco vitellino aumentano ancora
di volume, prendendo l'aspetto di vere zolle protoplasmatiche cubiche,
appiattite (v. Tav. IL. fig. 13 e 15); il nucleo è sempre unico. Il loro
protoplasma é carico di granulazioni molecolari, rifrangenti, che hanno
tutto il carattere di granuli di vitello nutritivo.
Il mesenteron finisce a fondo cieco a breve distanza dal contorno
caudale del dotto vitellino (v. Taf. II. fig. 16).
Il tessuto mesobiastico della parete caudale del sacco vitellino e
della ventrale dell'aditus posterior del mesenteron, si prolunga caudal-
mente rasente la faccia ventrale della somatopleura che prolunga caudal-
mente il corpo dellembrione (v. Tav. II. fig. 18, 19 e 20). Ebbene,
dal contorno aboraie del dotto vitellino, parte un cordone epiteliale
che si dirige caudalmente nello spessore di questo tessuto. Questo
cordone è da prima. cilindrico e massiccio e misura 35 u; si fa
poscia cavo e termina caudalmente con un estremità rigonfia, 160 w,
nello spessore del mesoblaste, dianzi citato, postembrionale.
Queste tubo è Vallantoide; si vede nel suo inizio nella fig. 15; nel
suo tragitto e nell’estremità caudale nelle fig. 16, 17 e 18, Tav. II.
Il mesoblaste che la circonda contiene grossi vasi sanguigni, i vasi
allantoidei, che sembrano in ampia comunicazione con quelli del sacco
vitellino; questo tessuto si avvanza sotto l'origine caudale dell'amnios,
al di là dell'estremità caudale dell'allantoide, per raggiungere i villi
Descrizione di un giovanissimo embrione umano etc. 19
del corion. Questo tessuto mesoblastico allantoideo è la parte essen-
ziale, a mio credere, del Bauchstiel di His.
È notevole un'osservazione che ho avuto agio di fare. La cavità
del celoma, tanto interno che esterno, è rivestita da uno strato semplice
di cellule mesoblastiche piatte. Ebbene, questo rivestimento sul tessuto
mesoblastico che accompagna l’allantoide diventa cubico, alto e netta-
mente epiteliforme (v. Tav. IL. fig. 19 e 20). Quale significato può avere
questo fatto rispetto all’epitelio dei villi coriali e agli epiteli della
giovane placenta?
Sarebbe prematuro e azzardato il fare qui la pitt piccola ipotesi.
Proctodaeum.
Il segmento anale del tubo digerente si presenta come una stretta
e profonda introflessione ectodermica che, in sezione quasi sagittale,
si vede nella Tav. II. fig. 20. Essa nasce dallangolo che resta fra
la faccia ventrale libera della sporgenza coccigea e l’origine postem-
brionale dellamnios e si prolunga per 0,180 mm. rasente la faccia
ventrale del midollo spinale. Ventralmente al midollo spinale e, par-
rebbe, nel suo interno appare nella regione coccigea una cavità sferica
tapezzata da uno strato semplice di cellule cubiche, i cui rapporti sono
incerti. È questa vescicola che si vedeva anche all'esame esterno.
Resta interposta fra la faccia ventrale del midollo e la dorsale del
proctodaeum e sulla sua natura non saprei pronunciarmi.
Notocorda.
Un'altra formazione distintissima in questo embrione è la noto-
corda. Si è già detto che comincia dorsalmente e caudalmente allo
stomodaeum (v. Tav. I. fig. 3).
In questo punto essa è appiattita in senso dorso-ventrale e mas-
siccia; ma subito dopo si fa ampiamente tubulare misurando un diametro
dorso-ventrale di 0,048 mm e uno trasversale di 0,112 mm. La sua
cavità misura nelle stesse direzioni rispettivamente 0,024 mm e 0,085 mm.
La sua parete è formata da una serie semplice e regolare di belle
cellule subcilindriche, alle circa 14 «, a nucleo ovale di 5 wu di altezza,
eguali a quelle che rivestono la cavità mesenterica (v. Tav. IT. fig. 4, 5).
DE
20 P. Bertacchini,
Attorno alla notocorda non esiste guaina anista, come in fasi pit
avanzate, ma un piano semplice e non continuo di cellule meso-
blastiche piatte. Procedendo caudalmente la notocorda da piatta in
senso dorso-ventrale, si fa cilindrica (v. Tav. IL. fig. 7, 8 e 9), e il
suo diametro discende a 20 u. La sua cavità centrale è perciò quasi
scomparsa, mentre si è fatta più distinta la guaina mesoblastica In
nessun punto essa presenta processi degenerativi. Non ho potuto seguire
il contegno del suo estremo caudale.
Somatopleura post-embrionale.
Alcune parole ho da aggiungere intorno a questa regione del
prolungamento delle pareti del corpo, regione che corrisponde a quella
del cappuccio caudale dell’amnios e sulla quale nell'embrione umano
si forma la sutura del sacco amniotico. Essa è destinata a formare,
ulteriormente, il contorno aborale del peduncolo ombelicale.
Ho già detto che rasente alla sua faccia ventrale si avanza
verso il corion il tessuto connettivo periallantoideo, assieme colle arterie
ombelicali, come in sezione trasversa si vede benissimo nella Tav. II.
fig. 18, 19 e 20 e in sezione sagittale nella Tav. I. fig. 4. Questi
vasi si avvanzano infatti fino a raggiungere i villi del corion. È note-
vole che sul connettivo che li ravvolge si forma un rivestimento epi-.
teliale cubico, semplice, di origine mesoblastica.
Un'altra cosa degna di nota in questa regione è l’altezza dell'ecto-
derma lungo la linea mediana; le fig. 19 e 20 della Tav. II lo mostrano
chiaramente.
Mentre tutt’altrove l’epitelio dell’amnios è formato da uno strato
semplice di cellule poligonali piatte, del diametro di superficie di
7—10 u e di uno spessore minimo, in corrispondenza della regione
mediana della somatopleura postembrionale esso consta di 2 strati di
cellule cubiche, dei quali il profondo è assai alto. Procedendo cranial-
mente e passando sul dorso dell'embrione questo epitelio epiblastico si
abbassa notevolmente. Questa disposizione dell’epitelio amniotico si
mantiene caudalmente per parecchie sezioni, poi va scomparendo.
Descrizione di un giovanissimo embrione umano etc. 21
Conclusione.
Le principali particolarità osservate in questo giovane embrione,
riguardano la struttura anatomica del tubo nervoso cerebro-spinale, il
tubo digerente primitivo assieme col sacco vitellino e l’allantoide e la
struttura della notocorda. Non starò qui a riassumerle tutte per
disteso; farò solo notare che con questa osservazione è provata l’esistenza,
nell'evoluzione ontogenetica del tubo nervoso dell’uomo, di formazioni
analoghe per struttura agli encefalomeri riscontrati in molti Vertebrati
inferiori. Questa analogia però non è evidente che nel mesencefalo e
non si può, a mio credere, metterla in rapporto, nell’embrione umano,
colla legge della metameria generale del corpo, perchè secondo la
maggior parte degli anatomici nè la primitiva divisione in tre veseicole,
ne la definitiva in emque e p corrisponde al numero del nervi ence-
falici. Vi è quindi luogo a pensare che la comparsa delle vescicole
cerebrali sia dovuta a ragioni fisiologiche di adattamento e che un
vero accenno ad un'atavica disposizione metamerica dei centri nervosi
encefalici si abbia, nellembrione umano, solo in quella più tardiva
comparsa di regolari estroflessioni delle pareti del mesencefalo e del
rombencefalo che da parecchi anatomici é già stata osservata (Chiarugi,
Embr. um. di mm. 2,6; io stesso, Embr. A e C).
Debbo infine constatare che l'organizzazione di questo embrione
non é perfettamente normale. L’anomalia sta principalmente nell'enorme
distensione del tubo digerente, alla quale non saprei quale altra causa
trovare, che l'aderenza fra la superficie esterna del sacco vitellino e
la pareti del celoma esterno, aderenza che ha impedito alla vescicola
ombelicale di estendersi fuori del corpo dellembrione. Le tracce di
questa aderenza sono in parte rappresentate nella fig. 14. Tav. II.
É notevole anche che non si scorgeva la segmentazione del meso-
derma assiale. Credo però che ciò dipendesse dall’insufficiente traspa-
renza del pezzo anatomico, cosicchè non si avrebbe a far parola, per
questo riguardo, di alcuna anomalia.
Letteratura.
Un esteso indice Bibliografico è unito alla mia Descrizione dell'embrione umano C,
comparsa pochi mesi fa in questo stesso Periodico. Non indicherò qui che i
lavori, i nomi dei cui Autori sono citati nel Testo.
P. Bertacchini, Descrizione di un embrione umano (4) lungo 5 mm. Soc. tipogr.
Modena 1896.
— Descrizione di un giovane embrione umano (2) lungo 3,93 mm. Soc. tipogr.
Modena 1896.
— Di una forma regressiva piuttosto rara di embrione umano atrofico. Contri-
buto allo studio delle anomalie di sviluppo dell’embrione umano. Ana-
tomischer Anzeiger. 1897.
— Di una interessante particolarità di struttura dei centri nervosi in un embrione
umano (C) lungo 4 mm. Internat. Monatsschrift f. Anat. u. Phys. 1897.
Bd. XIV. :
W. His, Anatomie menschlicher Embryonen. Leipzig 1880, 1882, 1885.
L. Lówe, Beitráge zur vergleichenden Morphogenesis des centralen Nervensystems
der Wirbeltiere. Mitteil. aus dem Embryol. Institut in Wien. 1880.
— Beitrige zur Anatomie und Entwickelungsgeschichte des Nervensystems der
Säugetiere und des Menschen. Referat von Prof. Schenk. Mitteil. aus
dem Embryol. Institut in Wien. 1880.
H. V. Neal, A summary of studies on the segmentation of the Nervous system
in Squalus acanthias. Anatomischer Anzeiger. 1896. Bd. XII. Nr. 17.
Fig.
Indice delle Tavole I e IT.
Tav
Disegno preso dallembrione appena estratto dalla vescicola coriale,
mediante la camera-lucida di Nachet, oculare 1, obbiettivo !/,9 di Leitz;
ingrandimento 13 JD. L’embrione è aderente all’amnios pel suo largo
peduncolo addominale. 4 amnios; p.4 peduncolo addominale.
Disegno della vescicola amnio-corio-deciduale ancora aderente alla deci-
dua vera e aperta per lasciar vedere nel suo interno l'embrione. L’orlo
della decidua vera rivolto a sinistra, corrisponde all’orifizio inferiore
dell’utero.
Faccia ventrale della testa coll’apertura dello stomadaeum.
Ricostruzione schematica dellembrione e suoi annessi; v. 0 vescicole
ottiche; pr prosencephalon; mes mesencephalon; 7 rhombencephalon;
m. sp midollo spinale. Le due linee ombreggiate indicano i limiti della
regione mediana, Mittelausweitnng, rispetto alle regioni, dorsale e ven-
trale. st stomodaeum; notocorda; mst mesenteron; s.v sacco vitellino;
al allantoide; pre proctodaeum; am amnios; cor corion; p. ad peduncolo
addominale o regione postembrionale primitiva del blastoderma sulla cui
faccia dorsale si è formata la sutura amniotica e rasente la cui faccia
ventrale giace il connettivo allantoideo assieme colle arterie ombelicali
nonchè l'allantoide. «a. omb arterie ombelicali.
Pao. TE
Sezione 22. A livello del prosencephalon. v.0 vescicola ottica; ¢ ab-
bozzo del cristallino.
Sezione 32. v.0 vescicola ottica; st depressione che sta cranialmente e
dorsalmente allo stomodeo; @ rudimento dell’arco mandibolare.
Sezione 42. mes mesencefalo; m estremo cefalico della notocorda ade-
rente all'epiblaste dorsale invaginato dello stomodaeum.
Sezione 53. mes mesencephalon; x notocorda; g. G abbozzo del ganglio
di Gasser.
Sezione 102. v.a@ vescicola acustica; n.4 nervo acustico; À ispessimento
epiblastico a livello della vescicola e del nervo acustico; 2.r istmo del
rhombencephalon; 4. « aditus anterior.
24
D
©
P. Bertacchini, Descrizione di un giovanissimo embrione umano etc.
Sezione 122. 7% rhombencephalon; mst mesenteron.
Sezione 152. m.sp midollo spinale; mst mesenteron; 2.e introflessione
epiblastica.
Sezione 182.
Sezione 202. i.i estroflessione ipoblastica; /.c lamina cellulare inter-
posta fra il tubo nervoso e l’epiblaste.
Sezione 264. € cuore.
Sezione 272.
Sezione 30a.
Sezione 578. v.o vena omfalo-mesenterica; @ aorta; s.v sacco vitellino.
Sezione 702. d.v dotto vitellino nel cui interno esistono sferule di deuto-
plasma.
Sezione 722. al origine dell’allantoide.
Sezione 758. «al allantoide; s.v sacco vitellino.
Sezione 782. lettere c. s.
Sezione 802. lettere c. s.
Sezione 874. c.a connettivo allantoideo; 2.e ispessimento post'embrio-
nale dell'epiblaste.
Sezione 1004. c.s lettere. e epitelio mesoblastico differenziatosi sul con-
nettivo allantoideo.
(Dall'Istituto di Anatomia normale microscopica ed Embriologia della R. Universita
di Bologna, diretto dal Prof. G. Martinotti.)
Sugli elementi elastici delle vie respiratorie superiori.
Di
Guido Guerrini,
(Con Tav. III)
Non wha, si può dire, trattato di anatomia normale, macroscopica
e microscopica |7], e di istologia [2] relativamente moderno — almeno di
quelli che potei consultare — che non accenni alla presenza di ele-
menti elastici nei tessuti della laringe e della trachea e non tenti una
descrizione del modo in cui sono disposti, con resultati più o meno
esattamente prossimi al vero.
Nè l’esame critico, sia delle descrizioni, sia dei risultati, manche-
rebbe di interesse.
Ma poichè oltrepasserebbe i confini di queste ricerche, basterà
soltanto ricordare quel che dice il trattato più recente (anzi non ancora
terminato) del Poirier [5] (nel quale il Nicolas scrisse la parte che
riguarda questi organi) perchè, essendo l’ultimo uscito, riassume ciò
che in proposito -è finora generalmente conosciuto.
Dice il Nicolas (pag. 433) che tra i tessuti della laringe esiste
una cosidetta membrana elastica, descritta per la prima volta dal
Lauth, la quale accompagna da per tutto la mucosa dell’organo, varia
di spessore nelle diverse regioni di questo, ed è costituita di elementi
elastici, commisti a tessuto connettivo. Tale lamina in certi punti si
può isolare come fosse un tutto continuo, e in altri invece è interrotta
da glandule che l'attraversano; quivi non si può staccare dai tessuti
circumambienti che con grandissima difficoltà.
26 G. Guerrini,
La membrana elastica sottoposta come è alla mucosa, segue questa
in tutta la sua estensione e però può dividersi, come fece il Luschka,
in tre zone, corrispondenti alle tre zone della laringe: zona inferiore,
zona media e zona superiore.
La zona inferiore è quella che presenta lo spessore maggiore e
comprende tutta la parte della membrana posta contro o al di sotto
delle corde vocali inferiori. I fasci dei quali è formata si inseriscono
anteriormente al margine della cartilago thyreoidea e alla parte
prossima del suo angolo rientrante e da questo margine fino alla
estremità anteriore della corda vocale.
Di qui si dirigono allindietro e vanno ad inserirsi al margine
superiore dell’arco della cartilago cricoidea e all’apice e alla superficie
interna del processus vocalis della cartilago arytaenoidea. Nel loro
complesso quindi, tali fasci formano una lamina curva a mò di doccia,
la quale nella sua parte concava, rivolta all'infuori, contiene i muscoli
cricothyreoideus e thyreoarytaenoideus.
La zona media corrisponde ai ventricoli del Morgagni in tutta la
loro estensione e continua in basso col tessuto elastico che concorre
alla costituzione della corda vocale inferiore e in alto col tessuto
elastico della corda vocale superiore, dopo essersi però ripiegata all'in-
dentro per formare una specie di tasca modellata sulla cavità ventri-
colare.
La zona superiore, infine, è posta nello spessore delle plicae ary-
epiglotticae alle quali constituisce una specie di impalcatura.
I fasci che la constituiscono prendono il nome di ligamentum ary-
epiglotticum (o membrana quadrangolare) e terminano superiormente
sul margini laterali della cartilago epiglottica e posteriormente sui
margini interni delle cartilagines arythaenoideae.
Inferiormente corrispondono alla corda vocale superiore, superior-
mente al margine libero della plica aryepiglottica.
Ma dopo le osservazioni che ho fatto per conto mio e che esporrò
qui in seguito, mi è sembrato che se tutto ciò è esatto dal punto di vista
macroscopico, non sia esattissimo, invece, dal punto di vista microscopico.
Questa esposizione dà bene una idea generale dell'insieme ma non
scende all’esame minuto dal quale può uscire maggior precisione, non
Sugli elementi elastici delle vie respiratorie superiori. 27
già nella figura, ma nell’intima costituzione degli organi. Per esempio,
quello che il Nicolas chiama membrana elastica e sembra considerare
come un ente individuo ed indipendente, alla prova più minuta del
microscopio mi parve piuttosto il prodotto dellanastomosi e dell'intrec-
cio di numerose masse di elementi elastici provenienti e derivati sia
da masse indipendenti, sia da emanazioni di strati pericondreali etc.
Forse la difficoltà dipende unicamente dal senso che si attribuisce
al termine , membrana“. Se si vuol chiamare così anche il prodotto
di masse elastiche aventi origini e percorsi diversi e che finiscono per
congiungersi e stratificarsi in qualche punto, sia pure; ma se il termine
deve significare qualche cosa di distinto, di speciale, di stante per sè
come, in genere, per le altre membrane, l’esattezza non è più che
apparente e l'esame accurato del microscopio dimostra che queste mem-
brane non stanno a sè, ma sono il prodotto, l’effetto, la generazione
di masse elastiche originarie poste al di fuori della supposta membrana.
Trattò invece con maggior minutezza l'anatomia della laringe e
della trachea — dei molti che ho potuto consultare [4] — il Friedrich [5],
nel IV? Vol. dell Archiv für Laryngologie und Rhinologie, in un ottimo
lavoro, nel quale si occupò più che altro della disposizione generale
d’insieme.
Egli, più che le disposizioni del tessuto elastico in sè, studiò in-
fatti i rapporti che esso contrae coi tessuti aderenti o prossimi. Insistere
sulle disposizioni minute non era nel suo intento, mentre è precisamente
su queste che vertono le presenti ricerche. Occorrerà quindi assai di
rado accennare, previa verificazione, alle cose notate dal Friedrich.
E basti infatti ricordare che egli divide il suo lavoro in tre parti.
Nella prima, esamina i rapporti che passano tra gli elementi elastici
ed i tessuti di contatto od ambienti, nel ,conus elasticus“ nel ,liga-
mentum vocale“ e nel ,ligamentum ventriculare“; nella seconda esa-
mina la disposizione degli stessi elementi riguardo alla mucosa; e nella
terza studia il loro contegno nei rapporti tra il ,ligamentum vocale“
e il ,musculus vocalis“.
Questo studio, unico, che io mi sappia, su questo argomento, come
lavoro di anatomia microscopica topografica (se si può dire così) è
esauriente in quanto alla laringe. Studi analoghi sull'epiglottide e sulla
28 G. Guerrini,
trachea non ne conosco e in tanto fervore di ricerche istologiche questa
mancanza, od almeno notevole rarità, giustamente sorprende. Quali ne
sono le ragioni?
Forse, tra le altre, questa: che la tecnica negli studi del tessuto
elastico, fu, sino a pochi anni or sono, poco sicura, così che lo studioso
aveva innanzi a sè la prospettiva di un lavoro grande con risultato
incerto.
E pure i metodi proposti ed usati furono moltissimi. Si possono
distinguere in metodi fondati sopra azioni prevalentemente chimiche,
e in metodi fondati sopra azioni prevalentemente coloranti, le quali
modifieano meno profondamente il substrato in cui si svolgono.
Certo anche queste ultime appartengono alla chimica, ma la neces-
sità della classificazione ci costringe a questa dicitura per ragione di
chiarezza.
Per dirla in breve; si giovarono di metodi della prima specie (per
lo più a base di acido acetico, picrico, osmico, azotico, cloridrico, gli-
cerina acetica, potassa caustica, pepsina, tripsina, acqua di calce, di
barite, soda caustica, etc.) molti istologi, come lo Schwann, il Beale,
il Reichert, l'Hassal, il Gerlach, il Mandl, il Leydig, lo Stricker, Henle,
il Frey, il Krause, ete. [6]; molti studiosi del tessuto connettivo, elastico
e cartilaginoso nel loro complesso, come ad esempio lo Strellzoff, l'Eulem-
berg, il Deschamps, il Baber, il Reichert, il Donders, il Baur, il Budge,
il See, il Wittich, il Bubnoff, il Flemming, l'Ebner, il Boll, il Loewe,
l'Arnold, lo Schwalbe, l'Heitzmann, il Tillmanns, il Sudackewitsch, ete. [7];
molti studiosi del tessuto elastico nei suoi rapporti cogli altri tessuti e
nelle sue produzioni, come il Klops, e il Blandin [8] che investigarono
i fascetti del connettivo, il Miiller [9] che controllò la scoperta del
Queckett di striature trasversali nel legamento cervicale della giraffa, il
Rabl-Ruckard [70] che studiò gli elementi elastici nelle cartilagini del-
l'orecchio, il Verson [77] che studiò le inserzioni elastiche dei muscoli, il
Cayè [12] che descrisse la genesi degli elementi elastici nel legamento
cervicale, il Cornil [/2] che studiò la disposizione degli elementi elastici
negli alveoli polmonari, il Thomsa, che studiò [/4] i fascetti elastici
della cute, il Rénaut e lo Schäfer [15] che studiarono il tessuto elastico
delle ossa, il Koganei [26] che investigò l'iride dei mammiferi etc.
Sugli elementi elastici delle vie respiratorie superiori. 29
il Béla Machik, il Ciaccio, il Gerlach, il Guterbock, il Langerhans,
il Mays, il Ranvier, il Treltz [17] ecc., che investigarono i tendini;
infine coloro che scrissero di istochimica, come il Chittenden, il Berzelius,
lEwald, il Floriep, il Frey, il Kolossow, il Kuhne, il Moroschowetz,
lo Pfeuffer [13] etc.
Ma la maggior parte dei ricercatori si attenne ai metodi di colo-
razione i cui vantaggi sui metodi puramente chimici non importa ricor-
dare. Ricorderò invece, certo non tutti, ma i più importanti studi e
metodi relativi all'argomento di cui sto per trattare.
I tentativi fatti dall'Adler [19] segnano in certo qual modo il punto
di transizione tra il metodo chimico propriamente detto e il metodo di
colorazione. Egli approfittò dell'attitudine del tessuto elastico all'argirosi,
rilevata dall’osservazione di un fenomeno comunissimo nei tessuti della
mano degli operai che lavorano largento. Gia il Recklinghausen [20]
aveva notata la cosa, e il Virchow e il Yung osservarono anch'essi
nell’argirosi generale dovuta a nitrato d'argento, un annerimento degli
elementi elastici, e lo interpretarono come dovuto alla precipitazione
del sale d’argento. Metodi analoghi seguirono il Blascko, il Lewin,
il Kober [27] e ultimamente C. Martinotti [22] nello studio dei rapporti
tra tessuto elastico e muscolare, il Tartuferi [25], nello studio della
cornea, il Bietti [24] nello studio del tessuto elastico delle palpebre etc.
L'Hertwig [25] nel suo lavoro sulla genesi degli elementi elastici
delle cartilagini reticolate usó invece il carmino, che in diverse solu-
zioni e combinazioni diede pure eleganti risultati al Foerster, al Lang-
hans, al Wittich, al Deutschmann, al Ranvier, al Dogiel [26] ete. nello
studio dei tendini, al Boll [27] nello studio della struttura ed evoluzione
dei tessuti, al Tafani [28] nello studio delle fibre dello Sharpey, al
Richardson [29] nello studio complessivo della laringe, al Van der
Strickt [20] nello studio della cartilagine ialina, al Kóppen [37] nello
studio delle produzioni cornee etc.
L'Onimus suggerì [52] l'uso della fucsina, impiegata poi dal-
lEbner [55] nello studio della cartilagine, e dettò un metodo che
modificato profondamente dal Manchot diede buoni risultati," er non
7) Ne dà un ottimo riassunto la Schmorl [47] nel suo „Die pathol.-histol.
Untersuchungsmethode*. Leipzig 1897.
30 - G. Guerrini,
è molto, anche allo Schulmann ed al Passarge [34] nello studio delle
pareti arteriose. Lo Strellzoff [35] invece preferi l’uso della ematossi-
lina, della quale ebbe a lodarsi nelle ricerche sull'evoluzione della
cartilagine e che fu impiegata altrettanto bene dal Brunn [36] nello
studio della ossificazione, dal Koganei [37] sulliride dei mammiferi,
dal Doskojewsky [56] (che usò anche l’eosina) sull’iride e sul „corpus
ciliare“, dal Pansini [59] (che ricorse al sussidio del bleu di china,
del cloruro di palladio, metodo del Golgi, cloruro d’oro etc.), sulla
genesi delle fibre elastiche, dal Wolters [40] nella schlerodermia (Ema-
tossilina del Kultschnitzky) ete.
Lo Schwalbe usò [42] come il Bubnoff [45] il cloruro d'oro nello
studio della cartilagine reticolata e della genesi delle fibre elastiche,
e or non è molto altrettanto fece pure il Pansini [44] occupandosi
dello stesso tema ma ricorrendo per altro a prove di controllo nume-
rose con l’ematossilina e il rosso di Magdala. Il metodo infatti è
buono assai ma non è applicabile con tutta sicurezza perchè colora
indifferentemente gli elementi elastici ed i nervosi °).
Il Bagneris [45] preferì invece l’eosina già usata dal Rénaut [46]
in uno studio complessivo del tessuto connettivo, e fu seguito dal
Baltzer [47], dallo Spira [48] che usò pure l'ematossilina e il violetto
di metilene, nello studio della cartilagine ialina, dal Solger [49] nello
studio della cartilagine in evoluzione, dall'Enderlen [50| nello studio
della rigenerazione dei tendini etc.
G. Martinotti [27] ottenne pure buoni risultati dalla saffranina
come il Kölliker [52] nello studio delle cartilagini, il Bruyne [55] nello
studio del tessuto reticolato della muscolatura intestinale, il Flemming [54]
nello studio dell'evoluzione delle fibrille connettive, il Busse [57] nello
studio dei tagli della cute, lo Spuler [55] nello studio della cartilagine
elastica etc.
Tale metodo, leggermente modificato dal Ferria [59] fu poi seguito
dall’Heller [60] nello studio degli elementi elastici della cartilagine
*) Confr. Waldeyer, Histologie, Jahresb. über die Leistungen und Fortschritte
in der gesamten Medicin. 1878 [55].
?) Confr. Giornale della R. Accademia di Medicina di Torino Dicembre 1888.
Gennajo 1889 [56].
Sugli elementi elastici delle vie respiratorie superiori. 31
fibrosa e del ,Ligamentum nuchae“, dall’Acconei [67] nello studio del-
l'Anatomia e fisiologia dell'utero gestante e partoriente, dal Durhssen [62]
nello studio anatomo-fisio-patologico della porzione vaginale dell'utero,
dal Carbonelli [63] nello studio del perineo sotto il rapporto ostetrico
ginecologico, dal Gallenga [64| nello studio dello scleroftalmo con-
genito etc.
Un metodo alla saffranina lo propose pure il Mibelli [65]. L’Herx-
heimer [66] nello studio degli elementi elastici dell'epidermide e della
mucosa tentò il violetto di genziana usato anche dal Reinke [67] nelle
produzioni cornee, ma preferì poi una azione combinata di ematossilina
e di un sale ferroso che precipita sulle fibre elasticne una lacca molto
elegante (pressa poco quella ottenuta nel metodo Weigert) seguito in
ciò dallo Schmidt [65] che si occupò dei fenomeni di senilita del
tessuto elastico cutaneo, e dal Sudachewitsch [69] nel suo studio sulle
cellule giganti e sul tessuto elastico etc.
Infine l'Ebner [70] investigó le pareti arteriose e la struttura della
cartilagine col rosso d’anilina, lo Strellzoff [77] le cartilagini in evo-
luzione con l’alizarina, usata pure dal Lieberkühn [72], il Baum-
garten [73] ancora la cartilagine col violetto di anilina, il Griesbach [74]
tentò l’uso del violetto e del giallo di metilene; il Viallanes [75] usò
il verde di metilene, previa azione dell'acido osmico; lHertwig [76]
studiò la cartilagine fibrosa col bleu di anilina; il Lustgarten [77] col
victoriablau, poi usato dal Kuskow [7S] e dall’Heller [79] nello studio
dei tessuti elastici delle cartilagini fibrose e del „ligamentum nuchae“
in evoluzione; il Kóppen [80] applicò il erystallviolett allo studio delle
fibre elastiche e delle produzioni cornee; il Burci [SZ] preconizzò lau-
ranzia etc.
Con tali metodi e con altri simili compirono ancora ricerche e
lavori il Kölliker [52] nella struttura ed evoluzione degli elementi
elastici, il Reich [83] nella sclerosi arteriosa; il Mall [84] nel tessuto reti-
colato, lo Zwigmann [55] sul tessuto elastico delle pareti arteriose etc.
Ma, come dissi, questi metodi sono assai poco stabili e sicuri per
il caso nostro e bisogna scendere fino a molto vicino a noi, fino al
metodo Unna-Taenzer [96] per incontrare una tecnica capace di dar
sufficienti garanzie di buona e costante riuscita.
39 G. Guerrini, Sugli elementi elastici delle vie respiratorie superiori.
Dell’Unna per altro si conoscono tre metodi principali. Il primo
in ordine cronologico [87] impiegato dall'A. nello studio della anatomia
della pelle, comprendeva una digestione artificiale per mezzo di acido
cloridrico e pepsina, una colorazione coll’ematossilina e l'eosina e una
successiva decolorazione con acido acetico; il secondo, seguito dall'A.
nello studio del tessuto elastico della pelle [SS] e poi dal Kuskow [52]
nello studio del tessuto elastico del ,ligamentum nuchae^ e delle carti-
lagini reticolate, era formulato invece come segue; a una soluzione
idroalcooloica di violetto di dahlia o violetto di iodio (violetto di dahlia
o Violetto di iodio 0,2 gr. acqua ed alcool a 95, a. a. 100) aggiunge-
vansi due grammi di acido nitrico ottenendo un precipitato verde, poi
acqua distillata (18 gr.) e alcool a 95 (10 gr) fino allo scomparire
dell'intorbidamento dovuto al precipitato ed al mutarsi del liquido da
verde in bleu scuro.
(Continua.)
Buchdruckerei Richard Hahn (H. Otto), Leipzig.
(Dall'Istituto di Anatomia normale microscopica ed Embriologia della R. Universita
di Bologna, diretto dal Prof. G. Martinotti.)
d
Sugli elementi elastici delle vie respiratorie superiori.
Di
Guido Guerrini.
(Fine.)
Decolorazione con acido Hosen Di questo secondo metodo dell’-
Unna fece un’accurata critica il Taenzer [90], il quale trovò inoltre;
1° che l’acido nitrico è di gran lunga preferibile all’acido arsenico,
arsenioso, cromico, formico, osmico, ossalico, tannico etc.; 2° che l'acido
nitrico deve tuttavia usarsi entro certi limiti, cioè appunto in quella
proporzione nella quale comincia a non essere più solubile nella miscela;
3° che il miscuglio possiede le maggiori proprietà coloranti quando,
aggiunto l’acido nitrico, comincia a intorbidare; 4° infine, che dei due
gruppi di rosaniline e pararosaniline le prime danno le migliori colo-
razioni, e tra queste la fucsina.
Il terzo metodo dell'Unna (o meglio, metodo Taenzer Unna) [97]
a sua volta non è poi che un miglioramento del metodo Taenzer.
Il principio sul quale è basato questo metodo, osserva lo Schiefferdecker,
è il solito delle soluzioni coloranti acide; notando peraltro che in questo
caso speciale dell’orceina, la colorazione dipende non solo dalla quan-
tita, ma dalla proporzione dell’acido nel miscuglio di soluzione.
Per la colorazione occorrono inoltre due soluzioni, una, A, di:
orceinas(Gxrublerd kim doses. rnd) ero
alcool 2195 vs van AT kiss rs ie 20;0
seacquasdistillatawso: re an Seis lei 0319 50
9
Internationale Monatsschrift fiir Anat. u. Phys. XY. D)
34 G. Guerrini,
l'altra NBA dies Acıdozr cloridrieo conene MI MS
alcool 3195. Pia a U en QT
acquardıstillatar gan me. wre 0
nelle quali le proporzioni dell’acqua e dell’alcool, come si vede, sono
le stesse. La dose poi dell’acido cloridrico (soluzione B) non deve
essere aumentata che nel caso di una esagerata ipercolorazione del
connettivo e dei tessuti circumambienti.
Preparate le due soluzioni, si dispongono 6—10 vetri da orologio
con 10 goccie ciascuno di soluzione A e altrettanti con 5—10—14
goccie di soluzione B e, lasciato 12 ore, circa, il preparato in ogni
vetrino, si sceglie e segue la combinazione migliore, modificando dove
occorra.
Doppie colorazioni eccellenti si ottengono con l’ematossilina e il
bleu di metilene.
Tale il metodo dell’orceina che diremo originale; ma esso ha un
piccolo inconveniente; se si usa cioè la soluzione B in difetto tutto il
fondo del preparato assume una spiccata ipercolazione rosso scura assai
sgradevole all'occhio; se si usa la soluzione B in eccesso si può avere
una decolorazione eccessiva e qualche volta totale.
Per ovviare allinconveniente, l'Unna stesso [92] propose una so-
luzione di:
orcelnaz(Grubieniza. quie ee UE M
acrdoselonmidricosuc n e M MER
aleoobsassolutoasw 0/00: DL iR LN E EE ul) (0)
una degenza del preparato nel bagno fino a che questo abbia aequi-
stato una consistenza sciropposa (per 15 minuti a + 30? o fino a
quasi completa evaporazione dell'aleool, a temperatura ordinaria) e un
abbondante lavacro in acqua.
Ma l’ipercolazione del fondo spesso rimane lo stesso.
Eecellenti risultati invece mi diede una terza modificazione, del
Livini [95] che combina opportunamente in un bagno unico la solu-
zione B del metodo Unna-Taenzer originale con la soluzione colorante
proposta nel metodo rimodificato dall'Unna.
Io me ne sono giovato e ne sono rimasto assal contento.
Sugli elementi elastici delle vie respiratorie superiori. 35
Comunque, tuttavia, non ostante i suoi piccoli difetti il metodo
dell’orceina lascia di gran lunga indietro tutti gli altri finora proposti
ed usati e ne fanno piena fede del resto, i bei lavori compiuti in
questi ultimi anni col suo sussidio dal Wolters [92] nella schlerodermia,
dall'Heller [95] nell'anatomia della cartilagine elastica e del ligamentum
nuchae, dal Zenthoefer [96] sulla topografia del tessuto elastico nella
cute degli adulti, dal Bajardi [97] sull'iride, dal Gatti [98] sugli sputi,
dal Sechi [99] sulla pelle, dal Grünstein [100] sui tessuti dell'aorta,
dallo Sperino [707] sul letto sotto ungueale, dal Guttentag [102] sui
processi di distruzione dei tessuti, dallo Spuler [705] sulla cartilagine
elastica, dallo Schultz [104] sul periostio, dall'Hansen [105] sull'evo-
luzione e involuzione del tessuto elastico, dal Passarge [106] sulla
rigenerazione del tessuto elastico, dal Dobbertin [207] nello studio dei
tessuti elastici delle pareti intestinali, dal Seipp [108] nello studio dei
tessuti del cuore, dal Loisel [709] sulla genesi degli elementi elastici,
dal Della Rovere [110] nello studio delle pareti venose etc.
II. Tecnica.
Trovare il materiale per lo studio non è sempre facile poichè,
mentre da un lato è necessario che l'organo sia interamente sviluppato,
dall'altro occorre che non presenti ossificazioni o indurimenti ribelli al
taglio. I cadaveri dunque da cui si estraggono i pezzi occorrenti non
debbono essere di bimbi o di adolescenti e nemmeno di adulti troppo
maturi o di vecchi. Occorre altresi che la malattia ultima del sog-
getto non abbia tocco gli organi della respirazione alterandone l'aspetto
‘e la costituzione normale.
Potei giovarmi di pezzi estratti da cadaveri sia di maschi che
di femmine in buone condizioni per lo studio. Erano di giovani fra
1 I9 e i 20 anni, robusti e regolari; le ultime malattie erano state la
meningite, la sincope e la morte violenta.
Levato il pezzo dal cadavere, era lavato per 6 o 10 ore nell’acqua
corrente, poi passato nel liquido induritore.
Usai laleool, il bicloruro di mercurio, il liquido del Müller, il
liquido del Fol:
3%
36 G. Guerrmi,
ACITONOSMICON Ode ESA Nat. Sp.
acido acetico» 2/9 hi Nw HO net oe
acido icromico LU. Wis Eu. we 125
dequardistillatas ner Dee Bn DE
il liquido del Flemming:
acido! oSmicodt RER Ok ee cM ED HONO
acidoi acetico tedaciale 8 = ly eee
acido comico quo va O EEE
acquandıstllatar Re M eee ao
I migliori risultati li ebbi dall'aleool [passaggi successivi in alcool
all’85°/,, 90%, 100°/, (Disidratazione col solfato di rame)] e i peg-
giori col bicloruro di mercurio che spesso sciupò i preparati col solito
precipitato nero, forse perché non potei sottoporli all'azione prolungata
del jodio che colora alquanto la cartilagine.
Indurito cosi l’intero pezzo, lo dividevo con tagli orizzontali ossia
perpendicolari all’asse del cilindro cavo rappresentato press’a poco dal-
l'organo. Ne ottenevo così tanti anelli, avendo cura di far cadere il
taglio ora sulle cartilagini ora sulle parti più molli che intercedono.
Dividevo quindi gli anelli con alcuni tagli verticali ossia paralleli
all’asse del cilindro, e ottenevo così tanti segmenti o settori di cilindro
cavo che includevo separatamente. Per l’inclusione adoperai la cel-
loidina (passaggi successivi in celloidine di densità diverse per 24 o
30 ore, a seconda del pezzo).
Non ebbi buoni risultati dalla paraffina, nemmeno da quella gialla
eccellente del Grübler, che pure altra volta servi assai bene anche per
pezzi cartilaginosi assai grossi, come le cartagini dello sterno, della
laringe e della trachea di cani adulti.
Sottoposi a sezioni in serie 1 segmenti tolti dai pezzi dei diversi cada-
veri in modo che lo studio del segmento di un pezzo si completasse collo
studio del segmento omologo tolto da un pezzo diverso, per ottenere
nel tempo istesso la continuità dell'operazione e la prova del confronto.
Le sezioni furono, s'intende, orizzontali e verticali.
Queste ultime nel senso dell'asse dell’organo furono alla loro volta
di due sorta. Supponendo cioé che la fascia constituente l'anello invece
di piegarsi a cerchio intorno all'asse del cilindro possa essere distesa
Sugli elementi elastici delle vie respiratorie superiori. gm
come un nastro o una fettuecia, i tagli erano fatti sia pel traverso
sia pel lungo.
Insomma le tre dimensioni dei solidi; altezza, larghezza e profon-
dita erano esplorate dal coltello e dall’occhio. La colorazione degli
elementi elastici fu ottenuta, come si disse, col metodo Unna-Taenzer-
Livini [227] dal quale ebbi risultati eccellenti. I più minuti elementi
isolati appaiono chiari e non si ha mai quel velo importuno od iper-
colazione del fondo, cosi comune col metodo dell’orceina originale [112]
o modificato dall'Unna [115].
Fatta una soluzione, A, con:
ORCCMA TA CNRC A DET E cera ay taal ancy a UT is
acido cloridrico Sicil
PCOO INO OLE Peu ris cdd. Eq Eu. LOO
e una soluzione, B, con:
alcool oru cu xe aor ice cad ie (Coca 90
ACITONCIOFIRICO NEA ee E le
acqua SUED
mescolavo in un vetro da orologio 30 goccie di A, filtrata, con
5—7—10 cme. di B (7 cme. ordinariamente servono bene) e lasciavo
le sezioni da colorire per 18—24 ore in tale miscela.
Poi, lavavo in alcool a 90°/, [per la decolorazione della celloidina
rimasta nelle sezioni mi sono giovato spesso del metodo Laurent [114]
lavacro in alcool a 90°/, indi in liquor ammonii caustici e acqua e di
nuovo in alcool a 90°/, combinando il bagno finché le sezioni non
cedessero più colore (3 o 4 volte; in media)] disidratavo con alcool
assoluto, diafanizzavo con olio di origano e montavo in balsamo del
Canada.
La lavatura nell’alcool a 90°/, può durare assai a lungo senza
che il preparato ne soffra. Anzi, quando si voglia ottenere poi una
buona colorazione doppia, la lunga lavatura è necessaria. Potei accor-
germene facendo numerose colorazioni doppie con l’ematossilina, il
carminio boracico, il carminio alluminato, il bleu di metilene ete.
Noto anche che i risultati migliori li ebbi sempre col Methylen-
blau B. X. del dottor Grübler.
38 G. Guerrini,
III. Epiglottide. ')
Come è noto, lo scheletro dell’epiglottide è fatto da un'impalcatura
di sepimenti fibrocartilaginosi vari nel:numero, nella forma e nella
disposizione; tutti però incapsulati in un robusto involucro pericondreale
ricchissimo di elementi elastici.
Questi elementi elastici hanno una disposizione assai complicata.
Se ne vedono in direzione verticale, orizzontale, obliqua da destra a
sinistra, da sinistra a destra, dall’interno all’esterno e viceversa. E la
direzione in tutto il loro percorso, non è sempre la stessa: anzi quelli
che così all'ingrosso la mantengano, si insinuano poi, si accavallano,
e serpeggiano e si aprono la via attraverso elementi che hanno altre
direzioni. Parecchi, avendo per un certo tratto un percorso parallelo
e vicino, vanno a poco a poco accostandosi sempre più, fino a formare un
fascetto poco compatto o un proprio e vero cordone, per scindersi poi
in fascetti minori e in fibrille solitarie per l’opera invaditrice di altri
elementi vicini che hanno direzioni diverse.
Come si vede, questa disposizione degli elementi elastici nel
pericondrio, ricorda in qualche punto quella che lo Schultz [115] osservò
nel periostio. Ma tuttavia questa si mostra assai più complicata e
direi quasi più disordinata, almeno in apparenza, tanto che si potrebbe
paragonarla ad un robusto strato di feltro; notando però che, come in
ogni comparazione, si ha cosi un'idea approssimativa del fatto, ma non
certo una rappresentazione precisa.
Non meno caratteristico è il modo con cui questo strato pericondreale
si immette, si irradia, si intrude nei tessuti ai quali è vicino.
Spesso parecchie fibrille o solitarie o disposte in fascetti o in
batuffoli si riuniscono e dirigendosi all’indentro o all'infuori, penetrano
sia nella cartilagine, sia nel connettivo interglandulare.
Il primo caso, quello della penetrazione nella cartilagine, fu notato
dal Pansini [1/6] nella Memoria ,Sulla costituzione della cartilagine
e sull’origine delle fibre elastiche nella cartilagine reticolata od elastica“,
dove dice ,,Se si prende l’epiglottide di un cavailo o di un asino e si
fanno da pezzetti di essa tagli longitudinali e trasversali, si osserva
!) Le osservazioni seguenti furono comunicate alla R. Accademia di Medicina
e Chirurgia di Torino nella Tornata del 17 Dicembre 1897,
Sugli elementi elastici delle vie respiratorie superiori. 39
chiaramente che il pericondrio lancia nello spessore della cartilagine dei
setti che dividono tutta lepiglottide in tanti segmenti, sicchè lo scheletro
dell'epiglottide non é costituito da un unico pezzo di cartilagine elastica
ma da un insieme di noduli o di sepimenti di cartilagine elastica riuniti
tra loro da un connettivo ricchisimo di fibre elastiche. Così è pure
dell'epiglottide dell'uomo e del cane benchè in proporzioni minori.“
Il secondo caso, quello della penetrazione nel connettivo interglandu-
lare, non fu, che io sappia, osservato ancora da alcuno nella mucosa che
riveste l’epiglottide, benchè si vegga spesso, anzi accada di vederlo
più volte in uno solo dei pezzi che si studiano.
Con questa differenza, che, mentre i sepimenti elastici che il
pericondrio intrude nella cartilagine sono sempre cordoni più o meno
grossi e compatti, quelli invece coi quali penetra nel connettivo
interelandulare sono bensì talora in forma di cordoni, ma possono
‘ essere e sono altrettanto spesso in forma di strati. Mentre il tessuto
cartilaginoso sembra penetrabile da una sola forma o meglio da una
sola disposizione degli elementi elastici, il tessuto interglandulare sembra
invece indifferente alle diverse disposizioni e si lascia facilmente
invadere non solo da elementi di forma più o meno cilindrica ma da
ogni altra forma di fasci e di strati e di fogli, formati dalla tessitura
degli elementi elastici variamente diretti come quelli che si osservano
nel pericondrio. Il che del resto facilmente si comprende se si rifletta
alla maggior resistenza del tessuto cartilaginoso.
Queste intrusioni degli elementi elastici nel connettivo interglandu-
lare che dicono, e diremo, zaffi, sieno essi a cordoni, a strati e in ogni
forma, sono spesso cosi abbondanti che in certi luoghi si sostituiscono
al tessuto stesso ed altrove penetrano diramandosi tra gli spazi inter-
glandulari quando ne incontrino, dividendosi sempre più e scinden-
dosi e attenuandosi nel connettivo in cui stendono una rete che va
mano a mano spandendosi ed assottigliandosi, per terminare liberi. Dal
primo tronco si stacca un ramo da cui parte un ramicello e così via via.
Qualche volta i zaffi che hanno un percorso più lungo, dopo immense
suddivisioni raggiungono la mucosa, poverissima di elementi elastici
proprii, e vi terminano liberi.
Questo però non avviene sempre. Spesso due zaffi secondari diramati
40 G. Guerrini,
da uno stesso tronco o da due tronchi in origine diversi, si incontrano,
si intrecciano, si anastomizzano in modo che una o parecchie glandule
se ne trovano come accerchiate ed incastonate. Anzi, il più delle
volte il robusto strato elastico rinchiude le glandule e termina libero:
altre volte invece si contiene e termina come sopra si é detto.
Non rara è infine un'altra disposizione. La fibrocartilagine
dell’impalcatura scheletrica offre come una concavità più o meno
profonda, tutta rivestita dal pericondrio riccamente elastico e nella
quale ha come il nido una glandula.
Allora dall’orlo della concavità si staccano molti cordoni e strati
di elementi elastici, i quali si incontrano, si anastamizzano o nó,
includendo così la glandula tra loro e il pericondrio, con una rete o
una membrana rada che la isola dalle vicine.
Ed ora ai rapporti interpericondreali.
Il Pansini (loc. cit.) riassume così: ,,Sicché lo scheletro dell’epiglottide
non è costituito da un unico pezzo di cartilagine elastica ma da un
insieme di noduli o di sepimenti di cartilagine elastica riuniti tra loro
da un connettivo ricchissimo di fibre elastiche.“
Questo riassunto è esattissimo. Da innumerevoli punti del peri-
condrio che veste la fibrocartilagine nascono fasci e cordoni elastici,
spesso assai compatti, che si dirigono verso il pericondrio prossimamente
opposto e, se la distanza tra due punti dell’impalcatura scheletrica non
è grande, la raggiungono e vi si impiantano fortemente; che se talora
incontrano fasci e cordoni provenienti dal pericondrio opposto, allora
s'intrecciano con loro e si anastomizzano. Qualche volta anzi queste
due disposizioni si trovano insieme.
Accade pure che uno o più di questi fascetti o cordoni deviino
e vadano a terminare liberi nel connettivo interglandulare vicino. Anche
qualche zaffo così deviato penetra nel connettivo interglandulare, prosegue
più o meno parallelo ai margini di più sepimenti fibroelastici sovrap-
posti, ai quali o ai fasci e cordoni che ne provengono manda i suoi
fascetti di fibrille che non terminano più liberi ma, o si impiantano nel peri-
condrio o si intrecciano ed anastomizzano coi fascetti e cordoni incontrati.
Così un certo numero di segmenti fibroelastici si collega indiretta-
mente e ne risulta una zona glandulare chiusa tra la fibrocartilagine
Sugli elementi elastici delle vie respiratorie superiori. 41
e un robusto sostegno elastico. I zaffi e le produzioni analoghe nati
dai segmenti fibrocartilaginosi inferiori (considerando l’epiglottide in
situ) si comportano, rispetto al pericondrio della cartilago thyreoidea e
qualche volta anche della cartilagine del Wrisberg, quasi allo stesso modo.
Alla parte inferiore dell’epiglottide si attaccano infine muscoli e
legamenti.
I legamenti mostrano una grande quantità di elementi elastici
paralleli nel percorso ai fascetti tendinei, tra i quali si alternano
riuniti in cordoni, spesso assai robusti, e che vanno ad anastomizzarsi
collo strato pericondreale o cogli elementi che provengono da questo.
Nei muscoli invece la cosa è diversa e più notevole.
Gli elementi elastici in fascetti assai radi vi si alternano quasi
constantemente coi fascetti muscolari e, siccome i fascetti elastici man-
dano attraverso il connettivo intermuscolare fasci minori, che si intrec-
ciano ed anastomizzano, ne risulta una specie di guaina che presenta
diversi spessori e che in qualche luogo anzi è interrotta, ma che non
manca mai.
Questi fascetti e cordoni elastici giunti al pericondrio, o vi si
fissano direttamente come quelli dei tendini, o si anastomizzano con
quelli che il pericondrio manda verso loro.
Qualche volta dallo straterello elastico, che derivando dai cordoni
e fasci interpolati, involge il fascio muscolare, si protendono verso il
tessuto cartilaginoso certe fibrille libere o fascettini molto sottili i quali
si intrecciano ed anastomizzano con gli elementi analoghi emersi dal
pericondrio. Cosi, all'estremità del cordone muscolare spesso si forma
una specie di cappuccio elastico che serve probabilmente a fissare con
maggiore solidità il muscolo alla cartilagine, ricordando in qualche
modo la forma descritta dal Baltzer e da C. Martinotti nei loro lavori
sui rapporti tra il tessuto elastico e il muscolare.
Di rado qualcuno di questi fasci elastici interpolati tra i cordoni
dei legamenti e dei muscoli, o qualcuna delle appendici o derivazioni
loro, deviano nel connettivo vicino. Quando ciò accade, o si ha un’ana-
stomosi con altri elementi o derivazioni elastiche, o la terminazione
libera della quale dicemmo.
49 G. Guerrini,
IV. Laringe,
"Il pericondrio che riveste le cartilagini della laringe è meno
robusto di quello che involge le fibrocartilagini dell’epiglottide, ma è
altrettanto ricco di elementi elastici. |
Questi hanno la intessitura stessa come di feltro e le medesime
produzioni o diramazioni esterne; ed altresi le interne, nelle cartilagini
del Santorini e del Wrisberg, nelle sesamoidee del Luschka, nelle inter-
tiroidee del Rambaud, e nelle apofisi vocali delle arytaenoidae. Anzi,
nei soggetti giovani il pericondrio dello scudo tiroideo immette nella
cartilagine zaffi robusti che sono ricchi non solo di elementi elastici,
ma di piccoli vasi sanguigni (Debierre). |
Le ramificazioni che dalla massa del pericondrio si protendono
all'infuori, rispetto alla cartilagine, hanno due distinti uffici.
O formano una impalcatura di sostegno nel connettivo inter-
glandulare; o, con uguale frequenza concorrono ad un collegamento più
robusto tra pericondrio e pericondrio, pericondrio e muscoli, e tra peri-
condrio e legamenti, attraverso i tessuti di relazione.
Nel primo caso si ha molta somiglianza con quello che si notò
già a proposito del pericondrio delle fibrocartilagini dell'epiglottide,
benché nella laringe si abbia una maggiore estensione e compattezza
nella intessitura elastica ed una prevalenza notevole di fogli e strati
larghi sui fascetti e cordoni.
Infatti, dove lo strato glandulare poggia subito sopra il pericondrio,
come per esempio nella parte superiore della cartilago thyreoidea o
nell'inferiore della crycoidea, si vede chiarissimo il protendersi di robuste
e larghe ramificazioni dello strato elastico pericondreale che si insinuano
tra le glandule e le avvolgono come in una buccia di grossa rete.
Pitt interessanti invece certe altre disposizioni dello stroma elastico
come queste due che noto. i
Più comune è la prima. Dal pericondrio si distacca una massa
assai grossa di elementi elastici i quali hanno varie direzioni, benchè
sì vegga che in prevalenza si dirigono o in senso perpendicolare o
parallelo all’asse dell'organo. Questa massa diramata dal pericondrio
si dirige verso lo strato glandulare e segue il suo cammino per breve
Sugli elementi elastici delle vie respiratorie superiori. 43
LÌ
tratto finchè gli elementi della parte centrale si intrecciano più fitta-
mente e, aggrovigliandosi, non procedono più innanzi, mentre gli elementi
più esterni, diradando e rilassando la loro rete, procedono ancora più
avanti.
Così gli elementi, proceduti ai margini e fermati al centro, formano
una cavità entro la quale si incapsula una glandula come la ghianda
nella sua scodella. |
Che, se la massa elastica protesa dal pericondrio verso la glandula
ha una superfice di sezione transversa minore della glandula stessa,
si veggono talora gli elementi procedenti dai margini della massa, dira-
marsi bensì e procedere, ma non più rinserrare e incapsulare la glan-
dula ma presentarle come un imbuto, le cui pareti come un cono vuoto,
hanno una direzione tangente alla glandula stessa.
L’altra disposizione notevole e che mostra sempre più la tendenza
degli elementi elastici ad avviluppare la glandula, é questa.
Allorché una buccia di tessuto elastico, grossa ma ad intessitura
rada, involge tutta una glandula, non cessa perció di irradiare ed in-
sinuare elementi liberi e fascetti nel connettivo circostante. Di piü
siccome la glandula, come tutti sanno, è formata da numerosi acini
giustapposti ma separati l'uno dall'altro da uno straterello di connettivo,
lo strato elastico che involge la glandula emette dalla sua parte interna
piecoli cordoncini e fascetti che si infiltrano nel connettivo interacinoso
e si diramano in fasci sempre più piccoli che invadono ogni spazio
interglandulare. Così non solo la glandula è avviluppata da una buccia
di elementi elastici, ma gli stessi acini che la compongono sono im-
pigliati in una tenue rete dalle più sottili ed ultime diramazioni degli
elementi stessi.
Questo sia detto quanto al primo ufficie delle ramificazioni del
pericondrio di formare cioè una impalcatura di sostegno nel connettivo
glandulare. Veggasi ora il secondo ufficio che hanno; quello di colle-
gare più robustamente il pericondrio stesso, o ai muscoli od ai legamenti.
Nel primo caso, cioè in quello di ramificazioni che si dirigono da
pericondrio a pericondrio, non v'ha gran diversità con quel che si vede
nell’epiglottide. Anche qui si trovano i fascetti che partendo da un
pericondrio vanno ad impiantarsi sopra un altro o che, incontrandosi
44 G. Guerrini,
4
in cammino, si anastomizzano direttamente o indirettamente tra loro;
oppure si trovano le due maniere insieme.
Ma, mentre nel fatto dell’epiglottide le due disposizioni sono in-
differentemente mescolate senza alcuna legge apparente, nella laringe
si ha l'apparenza, se non di una legge fissa ed immutabile, almeno del
prevalere di una disposizione sull’altra in circostanze date.
Sembra infatti che la distanza dei pezzi cartilaginosi regoli non
in modo costante, ma prevalente, il comportarsi dei fascetti emersi dal
pericondrio. Quando i pezzi della cartilagine sono vicini (cartilago
arythaenoidea e cartilagine del Santorini) prevale la prima maniera,
cioè l’invio diretto di fascetti da pericondrio a pericondrio.
Quando invece i due pezzi sono più lontani (cartilago crycoidea
e cartilago thyreoidea) prevale la seconda maniera, cioè l’anastomosi
diretta o indiretta dei fascetti che si incontrano.
Quanto poi alle diramazioni o produzioni pericondreali in rapporto
ai muscoli, si nota che quelle della laringe sono piü robuste assai che
non siano le analoghe dell'epiglottide. cosi nei muscoli estrinseci del-
Yorgano quanto negli intrinseci e che in questi sono più costanti e re-
golari che in quelli.
Anche i cordoni elastici interposti ai muscoli sono pit ricchi di
elementi; ma di questo a suo luogo. Ora basti notare una disposizione
interessante.
Come fu notato per l’epiglottide, anche nella laringe, ogni cordone
muscolare è involto da una guaina elastica che si restringe in cappuccio
all'estremità del cordone e va ad anastomizzarsi cogli elementi del
pericondrio e con le loro diramazioni ed emanazioni,
Ma qui s'incontra talora anche un’altra disposizione, cioè quella
per cui la diramazione pericondreale va a raggiungere il cordone
muscolare troppo corto per seguire il comportamento degli altri.
Supponendo tre cordoni muscolari paralleli di cui il mediano sia
più corto degli altri, mentre i laterali si spingeranno come al solito
fino a toccare il pericondrio della cartilagine e vi sì impianteranno col
cappuccio già detto, il mediano rimarrà più indietro.
Allora si osserva una robusta massa elastica che si stacca dal
pericondrio quasi in aiuto del cordone più breve e si protende e si
Sugli elementi elastici delle vie respiratorie superiori. 45
insinua tra i due cordoni laterali più lunghi, fino a raggiungere il
cordone mediano cui presenta una incavatura dove poter annicchiare
la estremità colla stessa forma ricordata per le glandule e che ram-
menta la scodella della ghianda.
Altre disposizioni delle diramazioni pericondreali si tralasciano o
perchè poco importanti o perchè troppo incostanti. Altrettanto dicasi
di quel che riguarda le relazioni tra le diramazioni stesse e i legamenti,
che di poco differiscono dalle analoghe osservate nell’epiglottide.
Si è detto sin qui delle diramazioni prodotte e uscite direttamente
dal pericondrio, ma nei tessuti della laringe si trovano numerose e
robuste intessiture elastiche indipendenti le quali hanno bensì col peri-
condrio qualche rapporto diretto o indiretto, ma non ne provengono.
Sono intessiture proprie sia della mucosa sia dei tendini sia dei
muscoli.
Sono cordoni o strati tipici che sono proprili delle corde vocali
superiori, che si comportono rispetto al canale o doccia della cartilago
tyreoidea come corde sottese ad archi. Nè saprei chiamarli che cordoni
di sostegno o di collegamento quantunque siano atfatto indipendenti
dai ligamenta, glottis verum e glottis spurium, nati dalla cartilago
arytaenoidea.')
La mucosa della laringe non ne & per solito molto abbondante e,
tranne nei ventricoli del Morgagni, ove è ricca di follicoli linfatici,
non presenta notevoli particolarità.
Gli elementi elastici sono meno abbondanti e qualche volta mancano
quasi affatto nella parte superiore dell'organo, dove appena si nota
qualche fibrilla sottile e isolata serpeggiante nella parte piü profonda
della mucosa con direzione per lo piü parallela all'asse dell'organo.
Ma quanto più si scende coll’esame, tanto più cresce il numero
deeli elementi nello strato profondo della mucosa e la direzione loro
è in prevalenza quella dell’asse dell’organo, benché se ne trovino anche
nella altre direzioni. Anche nella parte superficiale della mucosa,
subito sotto all’epitelio, cominciano spesso ad apparire elementi elastici,
tutti o quasi tutti nel senso dell'asse e con la spiccata tendenza a
1) Per quanto riguarda i leeamenti contr. il lavoro del Friedrich.
) 1 5 5
46 G. Guerrini.
raccogliersi in fascetti; prodromo e preannuncio dei robusti fasci sub-
epiteliari che vedremo caratteristici nella mucosa della trachea.
All’altezza dei ventricoli del Morgagni, gli elementi elastici sono
ancora pochi e questi, e gli altri che appaiono nella sottile buccia di
connettivo che avvolge 1 follicoli e della quale sono proprii, noh hanno
aleuno interesse.
Sotto i ventricoli del Morgagni la mucosa è più ricca di elementi
elastici, disposti come a rete irregolare e non molto fitta nella parte
profonda, ed a fascetti paralleli all’asse dell'organo nella parte super-
ficiale.
Questi fascetti hanno una forma tipica di fuso e sono chiaramente
formati dall’accostarsi ed addossarsi di parecchi elementi elastici.
Sono di varie grossezze ed hanno varie distanze tra loro.
Qualche volta parecchi fascetti avvicinandosi formano come uno
straterello nel senso dell'asse dell'organo, ma di rado si toccano con
l'estremità e con qualche rada fibrilla: per lo più anzi tra le estremità
dei fasci intercorre una distanza notevole.
Altre intessiture elastiche indipendenti del pericondrio sono i
cordoni intercalati tra i tendini e quelli intercalati tra i muscoli.
Quanto ai primi non vha gran che di diverso, nel loro contegno, da
quel che si osserva nei cordoni intercalati ai legamenti dell’epiglottide.
Al più, potrebbe notarsi una maggior ricchezza di elementi ed
una regolarità maggiore nella loro disposizione; regolarità che nelle
sezioni nel senso dell'asse del lygamentum arythaenoideum e conycoide
dà ai preparati un aspetto assai elegante.
È vero però che quando un cordoncino dei tendini della laringe
presenta un piccolo incavo nella massa o qualche leggiera anfrattuosità
lungo il suo corso, subito il vacuo è invaso e riempito tutto da un
batuffolo di elementi elastici. Ma è questa una proprietà del tessuto
elastico laringeo? Nei legamenti dell'epiglottide per diligenza che
vabbia usato non vidi mai disposizioni simili, ma potrebbe anche
darsi che solo per caso non le avessi incontrate.
Come i fasci elastici interposti ai tendini, così quelli interposti ai
muscoli intrinseci della laringe sono più robusti degli omologhi che si
osservano nell'epiglottide. Si è gia visto che gli elementi elastici dei
Sugli elementi elastici delle vie respiratorie superiori. 47
muscoli dell’epiglottide rimandano a vicenda e si ricambiano sepimenti
e cordoni attraverso il connettivo intermuscolare i quali anastomizzandosi
formano come una guaina al cordone muscolare. Altrettanto avviene
in quanto ai muscoli laringei, salvo che essendo qui più robusti i fasci
seno altresì più robuste le diramazioni loro e, per conseguenza, anche
la guaina perimuscolare.
Certo questa alternanza di fasci elastici e muscolari e l’invagina-
mento dei secondi per opera dei primi, non è di una costanza assoluta.
Non di rado una guaina elastica unica ravvolge non uno ma più
fasci muscolari; però anche in questo caso dalla parete interna della
guaina si diramano sepimenti che si insinuano nel connettivo inter-
muscolare e, quando qualche volta questi arrivano ad anastomizzarsi
tra loro e così a saldarsi, ravvolgono il fascio muscolare in un’altra
guaina continua.
Ma è più facile che l'avvolgimento sia impertetto.
Per chiarire la cosa con un paragone molto grossolano, riferiamoci
ad una noce la quale è chiusa bensi da un solo guscio, ma ha la
mandorla quasi divisa da lamelle ed alette provenienti dalla parete
interna del guscio.
Ma quando una zona muscolare confina colla mucosa o una zona
glandulare, o quando due masse muscolari diversamente orientate
confinano insieme, fra le pareti di confine è sempre un piano elastico,
di tessitura compatta come di feltro, quasi come nel pericondrio.
Dove però la zona muscolare confina colla mucosa l'aspetto dello
strato elastico interposto è più semplice.
Dalla parte della mucosa lo strato è più compatto e di rado
lascia sfuggire piccoli fascetti che serpeggiano alquanto nel connettivo
e poi, o si anastomizzano con gli elementi proprii della mucosa o
terminano liberi.
Dalla parte invece del tessuto muscolare lo strato presenta
solchi e rigature incavate parallele entro le quali si adagiano i fasci
muscolari.
Tra un solco e l’altro, come per dir così, nei campi arati, si levano
creste divisorie continue e spesso molto sottili, di tessuto elastico e
di zaffi numerosi e robusti che da questo tessuto penetrano poi nel
48 G. Guerrini,
connettivo intermuscolare. Per ricorrere anche qui ad un paragone
grossolano, lo strato presenta la figura di un calco ottenuto con la
impressione di una stuoia di giunchi e di cannuccie sopra la creta molle.
Invece gli strati elastici interposti tra una zona muscolare ed
una glandulare sono più complicati.
La faccia che combacia col tessuto muscolare ha lo stesso aspetto
detto qui sopra, di solchi e doccie parallele separate da creste continue,
ma la faccia rivolta alle glandule non è più compatta e relativamente
liscia; pare che la compagine glandulare abbia bisogno di maggiori
e migliori sostegni, rinforzi e avviluppamenti che non la mucosa,
per cui lo strato elastico le manda diramazioni e zaffi più abbondanti
e più forti, sul fare di quelli che vedemmo derivare direttamente
dallo strato pericondreale.
Finalmente, gli elementi elastici interposti fra due strati muscolari
confinanti hanno un aspetto ancora più lontano dal comune e l’ho osser-
vato di preferenza tra le zone del musculus tyro-arytaenoideus e nei
confini tra il musculus arytaenoideus transversus e l’obliquus.
Il musculus tyro-arytaenoideus, per esempio, che forma la maggior
parte della corda vocale, è composto da due strati; uno profondo di
fasci paralleli alla cartilago tyroidea, l’altro superficiale di fascetti più
corti disposti obliquamente e terminanti con una estremità nella
mucosa e con l’altra nella zona muscolare profonda.
E così lo descriveva anche il Jacobson nel „Wratsch“ del 1887.')
A queste descrizioni posso aggiungere che tra lo strato profondo
ed il superficiale intercede un robusto strato elastico, uno di quei piani
divisori come quelli che vedemmo tipici tra le zone muscolari.
E però una faccia di questo strato elastico combacia collo strato
muscolare profondo, l’altra col superficiale. I fasci muscolari dello
strato profondo hanno la stessa direzione del piano dello strato elastico
sul quale si appoggiano, e direi, si imprimono.
La faccia quindi dello strato elastico che combacia collo strato
muscolare profondo presenta aspetto curioso notato sopra e para-
!) Confr.: Archiv für mikroskopische Anatomie. 1887.
Sugli elementi elastici delle vie respiratorie superiori. 49
gonato ad un campo arato od all’impressione di una stuoia di cannuccie
sulla creta.
Nei solchi e nelle rigature parallele si imprimono e si adagiano
i fasci muscolari, invece sulla faccia opposta dello strato elastico, quella
cioè che combacia con lo strato muscolare superficiale, si ha un aspetto
ben diverso. La direzione dei fascetti muscolari essendo obbliqua rispetto
al piano dello strato elastico, non si hanno più i solchi e le strie, ma
bensì molti piccoli cavi, come scodelle o pozzetti, in cui si incapsulano
e si impiantano le estremità dei fascetti muscolari. Accade così anche
quando uno strato elastico si interpone tra uno strato muscolare ed
uno glandulare.
Nella faccia che combacia col muscolo, si hanno i solchi e le
striature parallele già dette, mentre nella faccia che guarda lo strato
glandulare si hanno le cavità certo meno spiccate e forti di quelle in
cui si inseriscono le estremità dei fascetti muscolari obliqui, ma suffi-
centi perchè la glandula vi si annidi, come fu detto, quasi ghianda
nella sua scodella.
Resta ora il dire dei cordoni che chiamai, forse con non troppa
precisione, di sostegno e di collegamento e che sono proprii delle
corde vocali superiori. Ad un primo esame superficiale non paiono
indipendenti e per le strette relazioni che hanno col pericondrio si
direbbero diramazioni ed emanazioni di questo.
Uno studio più accurato mostra però che se tali cordoni hanno
un robusto ed intimo collegamento col pericondrio o le diramazioni sue,
se vi si impiantano e si protendono poi nel connettivo interglandulare
attraverso il quale si aprono la via, non ne traggono l’origine prima.
Si distinguono anzi assai bene dalle produzioni elastiche peri-
condreali perchè, a differenza di queste, hanno assai poche diramazioni
e procedono compatti e sicuri verso la mucosa. Quando l'hanno
raggiunta non vi terminano e non vi contraggono alcun rapporto ma
Yattraversano e voltano dirigendosi a qualche prossimo punto del
pericondrio dove si impiantano. È raro che questi cordoni si sfibrillino
in diramazioni e zaffi laterali; rarissimo poi che questi zaffi contraggano
anastomosi o rapporti con altre diramazioni elastiche; quando dai cor-
doni si stacca qualche zaffo questo per lo più irradia libero nel connettivo.
Internationale Monatsschrift fiir Anat. u. Phys. XV. 4
50 G. Guerrini,
Quando il cordone è giunto alla mucosa spesso cessa di essere
compatto e diventa più fioscio e rado di tessitura. Accade allora
qualche volta che, mentre il più degli elementi elastici segue la sua
via nella parte più profonda della mucosa, una certa quantità di
fascetti elastici si dirama dal cordone originario e, protendendosi in
basso nel connettivo interglandulare, lambisce una glandula, quindi ad
un tratto si spinge di nuovo in alto e rientra nel fascio da cui s'era
Staccata.
Questi cordoni non hanno un luogo di origine unico, ma molti.
Si nota però questo, che immaginando schematicamente il corpo tiroide
come un semicilindro cavo, chi nella parte della parete interna di esso
ad equidistanza dei margini laterali, segnasse una linea verticale,
avrebbe la linea cui si dirigono di preferenza questi cordoni.
Quelli che nascono-piü lontani da questa linea mediana e perciò
più vicini ai margini laterali del semicilindro, o alle cartilagines ary-
taenoidaeae, per lo più dopo un percorso lungo e compatto vanno a
raggiungere il pericondrio dello stesso scudo tiroide nelle vicinanze
della suddetta linea mediana.
Quelli invece nati poco lontano da questa linea, epperò più lontani
ai margini laterali del semicilindro, hanno naturalmente percorso più breve,
ma raggiungono anch'essi il pericondrio tiroide con la stessa direzione.
Quelli finalmente che nascono nella parte intermedia cioè tanto
lontano alla linea mediana che fingemmo segnata, quanto ai margini
laterali del supposto semicilindro cavo, per lo più non hanno un corso
completo e spesso si smarriscono nel connettivo interglandulare o nella
mucosa ove si sfibrillano e terminano liberi.
Qualche tenue rudimento di questi cordoni, quasi un tentativo di
essi, si trova qualche volta (considerando la laringe in situ) nella
parte più bassa delle corde vocali inferiori.
V. Trachea.
La trachea nell'insieme è più ricca di elementi elastici che non
l’epiglottide e la laringe. Anche in quest/organo si hanno: il pericondrio,
le diramazioni e produzioni pericondreali e le tessiture elastiche indi-
pendenti dal pericondrio.
Sugli elementi elastici delle vie respiratorie superiori. 51
Bisogna ancora distinguere la parte anteriore dalla posteriore
della trachea.
La parte anteriore è formata da uno scheletro cartilaginoso di
mezzi anelli disposti a pila ove si trovano il pericondrio e le sue
diramazioni.
La parte posteriore invece manca di scheletro cartilaginoso e
presenta una robusta tessitura di tessuto connettivo, elastico, glandulare
e muscolare. |
In questa parte sono le tessiture elastiche indipendenti dal peri-
condrio.
Il tessuto pericondreale nei semianelli cartilaginosi della trachea
non mostra di particolare che una ricchissima quantità di elementi
elastici, ben superiore, come si disse, a quella di cui é provveduta
la laringe.
Come nella cartilagine dell'epiglottide anche in questa dello
scheletro della trachea si trovano talora delle cavità a cucchiaio tutte
rivestite internamente di tessuto elastico.
Ma mentre le cavità dell'epiglottide ricettano quasi sempre, come
vedemmo, una glandula, quelle della trachea sono riempite da un
batuffolo elastico formato da un aggomitolarsi disordinato e inestrica-
bile di elementi che si distaccano dal rivestimento della cavita.
Tra questi gomitoli dall'apparenza tanto intricati si vedono talora
parecchi elementi riuniti in fascetti che vanno da una parte all'altra
della cavità o che, partendo dal fondo della stessa, si dirigono verso
la scorza pericondreale del semianello.
Sono fascetti per lo più poco robusti e serpeggianti, obbligati
come sono ad aprirsi una via tra gli intrichi del batuffolo aggrovigliato,
e sono probabilmente diramazioni e produzioni del pericondrio.
E queste diramazioni e produzioni pericondreali sono numero-
sissime nella trachea.
Alcune sono in relazione coi tessuti intermuscolari, interglandulari,
e legamentosi: altre colle masse elastiche indipendenti dal pericondrio,
destinate a rinforzare la connessione tra un semianello cartilagineo e
l'altro.
Ma nessuna ha disposizioni nuove o particolari, ripetetendo tutte
4*
59° G. Guerrmi,
le forme e gli aspetti che notammo sulle analoghe dell’epiglottide e
della laringe. Solo si potrebbe notare che tra un semianello cartilaginoso
e l’altro gli elementi elastici sono in quantità maggiore e quindi i
fascetti interpericondreli così numerosi e grossi che, avvicinandosi e
talora addossandosi, riescono a formare uno strato, quasi una membrana,
la quale coi suoi margini si attacca ai margini di due semianelli vicini.
E quando ciò non accade, per lo più un fascetto che nasce da un
pericondrio s'impianta nel pericondrio opposto, o si anastomizza con
un altro fascetto che incontra e che porviene da un'altra parte del
pericondrio. Anzi tale disposizione è tutta propria della estremità
dei semianelli tracheali.
Per chiarire là cosa, si supponga, per grossolano schema, che la
metà anteriore della trachea sia composta di semilune cartilaginose
sovrapposte. Le punte esterne delle mezze lune saranno anch’esse
sovrapposte e dalla prima in serie, fino allultima correrà una linea
quasi retta, anzi una linea verticale, se si considera la pila in piedi.
Ora da ciascuna di queste estremità terminali delle punte, parte una
irradiazione riechissima di elementi o di fasci di elementi elastici.
Molti di questi si protendono verso la parte posteriore del tubo
tracheale con una disposizione che vedremo, ma molti altri, nati
dall'estremità di un semianello si piegano e si dirigono verso l'estremità
terminale sovrapposta o sottoposta dell'anello terminale contiguo e
stringono fittissimi collegamenti con gli elementi che il pericondrio di
questa estremità contigua alla sua volta produce.
Il fatto è quasi costante e così tutte le estremità terminali dei
semianelli che costituisono il semicilindro cartilaginoso della trachea
sono collegate tra loro e rafforzate come da una fettuccia elastica
continua.
Qualche volta dalla massa di questa fettuccia che rilega tra loro
le estremità dei semianelli devia qualche sottile fascetto elastico che
decorre parallelo ai margini dei pezzi cartilaginosi che si guardano, e,
dopo aver serpeggiato attraverso gli elementi elastici pericondreali,
termina libero.
Tutte queste sono produzioni e diramazioni del pericondrio; ma
le intessiture elastiche che non ne dipendono affatto, non sono meno
Sugli elementi elastici delle vie respiratorie superiori. 53
importanti e nella compagine della trachea non sono meno numerose
che nella epiglottide e nella laringe rispetto al connettivo interglandulare,
al muscolare, alla mucosa etc.
Le intessiture elastiche libere sono piuttosto scarse e tenui nel
connettivo interglandulare della parte anteriore della trachea. S’intende
subito che la zona glandulare e il ricco stroma connettivale che le é
proprio, non possono essere troppo abbondanti in questa parte dove
prevale il tessuto cartilaginoso. :
Nella parte posteriore invece in cui il tessuto cartilaginoso manca.
le produzioni elastiche libere sono più numerose e robuste come a
maggior rinforzo di una parte che manca di scheletro più solido.
Le intessiture elastiche libere della parte anteriore della trachea
hanno quasi sempre rapporti di collegamento colle produzioni peri-
condreali e una ricca sfibrillatura nel connettivo interacinoso; e quelle
della parte posteriore hanno una disposizione compatta di cordoni
robusti, disposti verticalmente, cioè paralleli all'asse dell'organo e pos-
sono alle volte assumere una grandezza tale da essere visti ad occhio
nudo, attraverso i tessuti.
Ciò nell’insieme dell'aspetto.
Nei particolari è da aggiungere che nella parte anteriore si hanno
talora dei veri e proprii strati disposti nel senso di uno strato verti-
cale o parallelo all'asse maggiore del cilindro cavo figurato dall'organo;
strati che coi loro margini toccano, da un lato lo strato elastico peri-
condreale e dall’altro quello della mucosa; mentre nella parte posteriore
della trachea i fasci elastici verticali si suddividono in parecchi fasci
minori che si collegano coi fascetti irradiati dalle estremità terminali
dei semianelli cartilaginosi.
Così, nella parte anteriore, per la ricca sfibrillatura che dicemmo
e che penetra nel connettivo interacinoso, le glandule sono come avvolte
in una rada rete di fibre elastiche come, per dirla alla grossa, certe
palle di vetro opaco per lampade eletriche, coperte da una rada rete
metallica di rinforzo.
Passando ora all'esame della parte posteriore della trachea, notiamo
che non è meno curiosa la disposizione degli elementi elastici e dei
cordoni verticali che le sono proprii.
54 G. Guerrini,
Dalle estremità dei semianelli cartilaginosi partono e si irradiano
moltissimi elementi elastici, sia solitari, sia riuniti in fascetti, elementi
che, come si disse, o si dirigono direttamente o si inflettono verso
l'estremità del semianello immediatamente sovrapposto o sottoposto o,
finalmente, si protendono o si inseriscono nei tessuti della parte
posteriore della trachea, seguendo quasi esattamente una via quasi
orizzontale, cioè normale all'asse dell’organo.
Quando questi elementi solitari o riuniti in fascetti hanno raggiunto
la parte posteriore della trachea, vi si comportano in tre diverse
maniere. O dopo aver serpeggiato terminano liberi in una massa di
connettivo per lo più interglandulare, o si incontrano ed anastomizzano
con intessiture elastiche interglandulari, o, finalmente, s'infiltrano nella
tessitura elastica, a cordoni verticali e paralleli all’asse, tipica della
parte posteriore della trachea.
In quest'ultimo caso, volendo più uno schema che una descrizione
minuta, si può immaginare un piano verticale composto di cordoni
elastici giustapposti (parte posteriore della trachea) verso i quali si
dirigono parecchi elementi elastici secondo un piano orrizzontale (pro-
venienti dalla parte anteriore).
Quando questi ultimi raggiungono normalmente i primi, o li
involgono ed abbracciano chiudendoli come in una guaina, o penetrano
e sinfiltrano nella loro massa, nel qual caso scindono il cordone
raggiunto in gran numero di cordoni minori, i quali si possono dire
secondari se scissi e delimitati da emanazioni dirette del pericondrio,
terziari se invece sono divisi e limitati da emanazioni di emanazioni
pericondreali.
In conclusione, limpaleatura elastica della parte posteriore della
trachea, oltre all'intessiture tipiche notate già, benchè in minor numero,
nell’epiglottide e nella laringe, presenta la sopra detta particolarità dei
cordoni elastici verticali suddivisi in cordoni e fasci minori dagli ele-
menti che, provenendo dalla parte anteriore, li raggiungono e li pene-
trano seguendo una direzione normale ai cordoni stessi.
Le intessiture elastiche proprie del connettivo intermuscolare sono
spesso più abbondanti nella trachea che nell’epiglottide e nella laringe,
ma le disposizioni sono, in generale, le stesse.
Sugli elementi elastici delle vie respiratorie superiori. 55
O si hanno cordoni elastici interposti tra i muscoli e congiunti
tra loro da una rete di diramazioni proprie che avvolgono ed isolano
il fascetto muscolare secondario, o una robusta guaina che avvolge
parecchi fascetti muscolari secondari, mandando tra luno e l'altro, sepi-
menti e cordoncini divisori.
L'aspetto può essere diverso, ma, ripeto, le disposizioni sono in
genere le stesse e in ogni modo si ha nella maggior parte dei muscoli
una enorme abbondanza di elementi elastici.
Si veggono inoltre i soliti cappucci elastici che saldano i fascetti
muscolari al pericondrio e i soliti strati che separano i piani muscolari
di diversa direzione.
S'intende che i fascetti muscolari essendo più tenui, sono più fitti
e perciò più piccole e più vicine le doccie, le scanalature, le pozzette
entro cui o s'adagiano per lungo o simpiantano colla estremità.
La mucosa della trachea è anch’essa più ricca di elementi elastici
che non quella dell'epiglottide e della laringe.
Il giustapporsi di parecchi fascetti elastici che giungono poi a
formare uno strato, è raro nella mucosa dell’epiglottide e della laringe,
ma abbastanza comune in quella della trachea; e in questa, come in
quelle, è rarissima l'anastomosi dei fascetti per gli apici.
In proposito anzi si può dire che recidendo con due tagli paralleli
tra loro e perpendicolari all’asse maggiore dell'organo tanto di trachea
che contenga un semianello cartilaginoso e, sopra e sotto, metà della
striscia di tessuto fibroso che separa il semianello stesso dal sovrapposto
e dal sottoposto e altrettanto della parte posteriore fibrosa, da ottenere
così un anello intero, ciascuno di questi anelli interi avrà un sistema
proprio, ossia un piano elastico indipendente.
Di più, mentre nella mucosa dell’epiglottide e della laringe nelle
rare volte in cui si hanno fascetti elastici subepiteliari, questi sono
sempre su un solo strato, nella mucosa della trachea invece è abbastanza
comune un secondo strato posto dietro al primo e che lo segue in tutte
le irregolarità del decorso.
Qualche volta questo secondo strato cerca di combaciare col primo
o se ne allontana sprofondandosi nella mucosa; ma in tal caso, se ne
56 G. Guerrini,
avvicina quasi subito e riprende il contatto intercludendo così colla
sua deviazione, tra se stesso e l’altro strato una piccola zona del
connettivo della mucosa, come dentro ad un tenue astuccio elastico.
Talora invece accade che questo secondo strato profondo si allon-
tani da l’altro per non raggiungerlo più e per immergersi nella mucosa
dove termina libero o si anastomizza con altri elementi elastici proprii
della parte, oppure in lei altrimenti penetrati.
Così succede talvolta che i fascetti deviati dallo strato subepiteliare
secondario si uniscano alle propaggini estreme di diramazioni pericon-
dreali o di intessiture elastiche indipendenti, ma aventi relazione di
contatto con loro; così che in questi casi può esservi relazione abba-
stanza stretta tra il pericondrio e lo strato profondo subepiteliare; il
che può vedersi anche, benchè più di rado, quando lo strato è semplice.
Ma nel caso di strati doppi, anche l'esterno può assumere dispo-
sizioni diverse e mostrare apparenti irregolarità.
Si vedono, per esempio, i due strati procedere giustapposti, quando
ad un tratto l’esterno si arresta e scompare per riapparire dopo poco.
Da una osservazione superficiale si direbbe che lo strato è unico e che
presenta qualche insenatura, ma ciò non è. Lo strato è in realtà
doppio, solo la pagina esterna presenta lacune o macchie di vacuità
che possono ingannare.
Può anche darsi che la mucosa della trachea presenti nella sua
superficie cavità ed infundiboli ciechi.
Ora, se il cavo combina dove mancano elementi elastici come tra
le estremità di due fascetti che, come vedremo, non si anastomizzano
e lasciano tra loro un intervallo, non si ha che una diminuzione di
spessore della mucosa nel punto del cavo e nient'altro; ma se il cavo
combina contro la massa di un fascetto elastico, questo ne viene come
compresso e spinto ad adattarsi esternamente alla forma del cavo.
Crescendogli così la superficie da coprire, per forza si assottiglia ed
irradia i suol elementi.
Gli elementi elastici proprii della trachea sono anch’essi molto più
numerosi e robusti di quelli dell'epiglottide e della laringe e, per essere
così abbondanti, si raccolgano spesso in cordoni e fascetti assai rag-
guardevoli e compatti, i quali, anastomizzandosi come in una rete
Sugli elementi elastici delle vie respiratorie superiori. 57
irregolare, formano un robusto e grosso stroma di sostegno a tutto
l'organo.
Dove la trachea si dirama nei bronchi, la disposizione degli elementi
elastici è semplice. Le produzioni o diramazioni pericondreali dell’ultimo
anello si appoggiano e si uniscono al pezzo scheletrico sottostante del
bronco o terminano libere; le masse elastiche interglandulari ed inter-
muscolari si anastomizano con le omologhe dei tessuti bronchiali e i
cordoncini profondi della mucosa stringono il contatto con lo stroma
elastico del bronco.
Nei bronchi poi, la disposizione degli elementi elastici non differisce
gran fatto da quella qui osservata e descritta per la parte più alta
del tubo respiratorio.
Lo studio che se ne facesse, avrebbe forse maggior relazione con
uno studio delle intessiture elastiche polmonari che con quelle della
trachea, della laringe e della epiglottide. E le fibre elastiche dei pol-
moni furono studiate dal Cornil, ma con metodi tecnici imperfetti (acido
acetico), tanto che sarebbe utile rivedere quel lavoro che può essere
assai importante anche per quel che riguarda la patologia.
Ma ciò esorbiterebbe dal nostro tema.
VI. Conclusione.
Per riassumere finalmente quel che risulta dalle ricerche esposte
sin qui, si può concludere che:
1° L'epiglottide, la trachea e la laringe, ricche di elementi elastici,
lo sono tanto più in ordine discendente e specialmente nel pericondrio,
nel connettivo interglandulare ed intermuscolare, nei legamenti e nella
mucosa, in cui sono più importanti.
2° Gli elementi elastici del pericondrio presentano l'aspetto di
uno strato di feltro costituito da fibre in apparenza non regolarmente
disposte e che rivestono e spesso riempiono i piccoli cavi della carti-
lagine, mandando zaffi, fasci e strati minori derivati, sia nei tessuti
interglandulari, intermuscolare, e legamentoso più prossimi, sia al peri-
condrio opposto sia ad altre intessiture elastiche o indipendenti. Quando
poi si insinuano tra le glandule, sostituiscono il connettivo interglandu-
lare e producono anche diramazioni secondarie.
58 G. Guerrini, Sugli elementi elastici delle vie respiratorie superiori.
3° Il connettivo interglandulare oltre alle suddette diramazioni di
elementi elastici provenienti dal pericondrio è ricco altresì di elementi
indipendenti per lo più in forma di cordoncini longitudinali i quali pure
inserendosi nell’intessiture elastiche pericondreali hanno una indivi-
duazione propria ed indipendente. Questa ricchezza di elementi elastici
nel connettivo interglandulare può essere tale da assumere persino
l'aspetto di membrana.
4° Gli elementi elastici del connettivo intermuscolare o separano
i fascetti muscolari inserendosi tra di essi in forma di cordoni che si
connettono coi sepimenti; o avvolgono come guaina parecchi di quei
fascetti, separandoli poi con zaffi e sepimenti derivati dalla guaina
stessa. Nei muscoli della trachea prevale la prima disposizione che
può essere assai minuta.
5° La suddetta guaina elastica che avvolge i fascetti muscolari
forma talora alla estremità un cappuccio simile a quelli osservati dal
Baltzer [117], da C. Martinotti [118], e dal Carbonelli [119].
6° Molti elementi elastici raccolti come in una intessitura di feltro
compatto, possono formare uno strato divisorio tra una zona glandulare
ed una muscolare o tra due zone muscolari i cui elementi siano disposti
in direzioni diverse. In questi strati divisori possono inserirsi gli
elementi muscolari come avviene nel musculus thyreo-arythaenoideus.
7° Nelle corde vocali superiori si hanno anche cordoni e piani
elastici di sostegno sottesi come corda all'arco della cartilago tyreoidea.
Disposizione tipica ivi, ma che si ripete anche altrove.
8° La mucosa presenta gli elementi elastici disposti in due strati:
uno profondo, come rete irregolare composta di fascetti o di elementi
singoli: l’altro posto subito sotto l’epitelio composto di fascetti longi-
tudinali e paralleli che tendono a disporsi in strati ora semplici ora doppi.
Questo risulta dall’osservazione minuta.
Molte conseguenze se ne potrebbero trarre per rispetto alla fun-
zionalità, ed altre ricerche occorrerebbero per accertare le modificazioni
che le alterazioni patologiche recano nella disposizione degli elementi
elastici; ma, come ben si vede, si uscirebbe dal campo della stretta
ricerca anatomica su cui mi sono studiatamente rinchiuso.
Fig. 1. Laringe.
Spiegazione della tavola ITI.
Corde vocali spurie; sezione orizzontale.
a cartilagine ialina.
b strato elastico pericondreale.
b' lo stesso, tagliato attraverso la massa.
c glandula annidata in un cavo della cartilagine.
d cordone elastico orizzontale che contrae rapporto da un lato
con lo strato elastico del pericondrio, dall’altro con un grosso
cordone elastico di sostegno.
e cordone elastico di sostegno. (Confr. pag. 45.)
f elementi elastici profondi della mucosa.
9 fascetti elastici subepiteliali tagliati transversalmente.
Fig. 2. Laringe (e trachea); sezione della mucosa nel senso dell’asse maggiore
dell’ organo.
a. a fascetti elastici subepiteliali.
b porzione di mucosa sprovvista di elementi elastici.
€ glandula.
Fig. 3. Epiglottide; verso la base; sezione longitudinale.
a. a’. a"
d
if
Fig. 4. Trachea;
CARTE
b
€. 6.
d
d'
fibrocartilagini dell’impalcatura scheletrica.
strato elastico pericondreale.
glandula annidata in un cavo della cartilagine.
fascetti elastici che riuniscono due pericondrii opposti.
fascetti elastici originati dal pericondrio, che avvolgono una
glandula.
elementi elastici di un legamento.
sezione orizzontale.
cartilagini dei semianelli tracheali.
strato elastico pericondreale.
fascetti elastici che riuniscono due pericondrii opposti.
elementi elastici alternati nei muscoli.
inserzione delle guaine elastiche perimuscolari sull’intessitura
elastica del pericondrio.
elementi elastici proprii del connettivo interglandulare.
gli stessi in così gran numero e così addossati l'uno all’altro
da costituire una specie di cordone (longitudinale).
60 G. Guerrini, Sugli elementi elastici delle vie respiratorie superiori.
Fig. 5. Laringe.
a
b
d
cartilagine fibrosa del Wriesberg.
cordone elastico che se ne distacca e procede verso un peri-
condrio vicino (Epiglottide).
glandula.
elementi elastici solitari del connettivo ambiente.
Fig. 6. Laringe; parte muscolare.
strato muscolare in direzione verticale.
elementi elastici alternati coi muscoli.
grosso strato elastico interposto tra due strati muscolari.
strato muscolare in direzione orizzontale.
zaffi emanati dallo strato elastico interposto tra i due strati
muscolari, e avvolgenti e limitanti i fasci muscolari orizzontali.
Bibliografia.
1. Arnold, Handbuch d. Anat. d. Menschen. Frieb. 1846. — Béaunis et
Bouchard, Nouv. élém. d’anat. descript. Paris 1880. — Béclard,
Anat. génér. 1827. — Bichat, Anat. génér. 1827. — Bock, Handbuch
d. Anat. d. Menschen. Leipzig 1849. — Cruveilhier, Trait. d’anat.
descript. Paris 1865. — Debierre, Tratt. élem. d’anat. dell’uomo.
Milano 1896. — Engel, Comp. d. topogr. Anat. Wien. — Fort, Anat.
descript. Milano 1871. — Gegenbaur, Lehrbuch d. Anat. d. Menschen.
Leipzig 1888. — Gerber, Allg. Anat. 1840. — Guarinoni, Man. d.
anat. Vienna. — Henle, Allg. Anat. — Henle, Handbuch d. system.
Anat. d. Menschen. Braunschweig. — Lauth, Handbuch d. pract. Anat.
Stuttgart 1855. — Langer-Toldt, Lehrbuch d. system. u. topogr. Anat.
1898. — Krause, Handbuch d. menschl. Anat. Braunschweig 1876. —
Küdinger, Préc. d'anat. topogr. (Delbet. Paris. — Hilderbrandt,
Lehrbuch d. Anat. d. Menschen. (Weber. Braunschweig 1830. — Holl-
stein, Lehrbuch d. Anat. d. Menschen. Berlin 1865. — Hyrtl, Instit.
d. anat. d. l'uomo. Napoli 1883. — Loder, Anat. Handbuch. — Luschka,
Die Anat. d. Menschen. Tübingen 1862. — Merkel, Handbuch d. topogr.
Anat. — Morel et Duval, Man. d. l'anat. Paris 1893. — Pausch,
Grundriss d. Anat. 1886. — Poirier, Tr. d'anat. hum. Paris 1897. —
Rauber, Lehrbuch d. Anat. d. Menschen. 1892. — Romiti, Tr. d. anat.
d. l'uomo. Milano. — Sappey, Tr. d'anat. descript. Paris 1876. —
Schafer, Quain’s anatomy. Vol. III. Nr. 4. — Sharpey, Quain's elem.
of anat. — Testut, Tr. di anat. um. Torino. — Tillaux, Tr. d'anat.
topogr. Paris. — Van Kempen, Man. d. anat. gén. 1851. — Vogt,
Lehrbuch d. pract. vergl Anat. Braunschweig 1885. — Weber, Hand-
buch d. Anat. Leipzig 1845. — Wilson, Anat. d. Menschen. (Hollstein.)
2. Baumwarth, Histol. 1895. — Beale, Sulla str. d. tess. sempl. d. corpo
umano. (Borelli.) 1865. — Bóhm und Dawidoff, Lehrbuch d. Histol.
d. Menschen. 1895. — Boll, Untersuch. über d. Bau u. die Entwickel.
d. Gewebe. Berlin 1871. — Brass, K. Lehrbuch d. norm. Histol. d.
Menschen. Leipzig 1888. — Duval, Préc. d'histol Paris 1897. —
Ellemberg, Vergleich. Histol. d. Haussáugetiere. Berlin 1887. —
Frey, Handbuch d. Histol. u. d. Histoch. Leipzig 1876. — Gerlach,
Handbuch d. allg. u. speciell. Gewebelehre. 1853. — Hassal, Mikr.
Anat. 1851. — Henle, Handbuch d. Gefásslehre d. Menschen. Braun-
schweig 1876. — Klein, Grundzüge d. Histol. 1895. — Kölliker,
Mikr. Anat. — Kólliker. Handbuch d. Gewebelehre d. Menschen. —
62
G. Guerrini,
Krause, Spec. u. mikr. Anat. Hannover 1879. — Lannois et Moran,
Man. d'anat. micr. et d’histol. Paris 1892. — Leydig, Tr. d'histol.
Paris 1866. — Loewe, Zur Histol. d. Bindegewebes. Wiener med. Jahrb.
1874. — Ludwig v. Thanhoffer, Grundzige d. vergl. Phys. u. Histol.
Stuttgart 1885. — Mandl, Anat. micr. IL 1857. — Orth, Cursus d.
norm. Histol. Berlin 1884. — Pouchet et Tourneux, Préc. d’hist.
hum. et d’histog. Paris 1888. — Purser, A man. of histol. a. of hist.
met. Dublin 1884. — Ranvier, Traité tecn. d'histol. 1888. — Rawitz,
Grundzüge d. Histol. Berlin 1884. — Recklinghausen, Die Lymph-
gefässe u. ihre Beziehung z. Bindegewebe. Berlin 1862. — Reichert,
Vergleich. Beobacht. üb. d. Bindegewebe u. d. verwandt. Gebilde. Dorpat
1845. — Rénaut, Tr. d'histol. pract. Paris 1898. — Schafer, Hist. f.
Stud. 1889. — Schenk, Grundriss d. norm. Hist. d. Menschen. Wien
1885. — Schiefferdecker und Kossel, Gewebelehre mit bes. Berück-
sichtigung d. menschl. Kórpers. 1891. — Schwann, Mikr. Untersuch.
1839. — Stóhr, Lehrbuch d. Histol. u. d. mikr. Anat. Jena 1894. —
Stricker, Handbuch d. Lehre v. d. Gewebe. Leipzig 1871. — Toldt,
Lehrbuch d. Gewebelehre. Stuttgart 1888.
9. Poirier, Tr. d'anat. hum. Paris 1897.
4. Albrecht, Beitr. z. vergl. Anat. d. sáug. Kehlk. Sitzungsber. d. k. Akad. d.
Wissensch. Wien. — Alby, Die Bronchialmembr. d. Sáug. u. d. Menschen.
— Auzoux, Consid. anat. s. l. larynx ch. l'homme et ch. les anim. —
Bataille, Nouv. récherch. s. l. phonat. Paris 1861. — Baumont,
Observat. anat. physiol. et medic. s. l. larynx. Paris 1808. — Béclard,
Larynx; Anat. u. Physiol Dict. encycl d. Sc. med. Paris 1868. —
Berda, Ueber d. Schleimhaut d. wahr. Stimmb. d. Menschen. Archiv f.
Anat. u. Physiol 1895. — Beregszäszy, Beitr. z. Anat. u. Physiol. d.
Kehlkopfes. — Braganca Moreira, Mem. sobra a estruct de lar. hu-
mana. Journ. Soc. d. Sc. med. d. Lisbona. XVII. 1843. — Brandt,
Observat. anat. d. mamm. voc. instr. Berolini 1826. — Bresgen, Zur
Syndesm. d. Kehlkopfes. Virchows Arch. 1876. — Collier, Notes on
the anat. of the epigl The Lancet. 1889. — Cóyne, Rech. sur l’anat.
norm. de la muq. de larynx. Arch. d. physiol. norm. et path. I. 1874. —
Czermach, Der Kehlkopfspiegel. Leipzig 1860. — Davis, Die becher-
fórmigen Org. d. Kehlkopfes. Arch. f. mikr. Anat. 1877. — Disse, Bei-
tráge z. Anat. d. menschl. Kehlkopfes. Arch. f. mikr. Anat. 1875. —
Dubois, Zur Morph. d. Larynx. Anat. Anzeiger. 1886. — Fraenkel-
hauser, Untersuch. üb. d. Bau d. Tracheobr. Schleimh. Petersburg 1879.
— Frankel, Studien z. fein. Anat. d. Kehlkopfes. Arch. f. Laryngologie.
1893. — Frinkel, Zur fein. Anat. d. Stimmbinder. Berliner klin.
Wochenschrift. 1888. — Fränkel, Zur Histol. d. Stimmbänder. Virchows
Arch. 1889. — Friedrich, Die elast. Fasern im Kehlkopf. Arch. f.
Laryngol. 1896. — Ganghofner, Beitr. z. Entwickelungsgesch. d. Kehl-
kopfes. Zeitschr. f. Heilk. I. — Gegenbaur, Die Epiglottis. 1892. —
Henle, Vergl. anat. Beschreib. d. Kehlkopfes. Leipzig 1889. — Hey-
mann, Beitr. z. Kenntn. d. Epith. u. Driisen d. menschl. Kehlkopfes im
gesund. u. krank. Zustande. — Heymann, Was nennen wir wahr. Stimm-
band? Deutsche med. Wochenschr. 1890. — Heymann, Ueber d. am
Sugli elementi elastici delle vie respiratorie superiori. 63
Rand d. wahr. Stimmb. vorkommenden Schleimhautkrankh. Wiener klin.
Rundschau. 1895. — Hochstetter, Ueber d. Kehlkopf. Wien 1894—95.
— Hódosi, Exper. Untersuch. üb. d. Bewegung d. Trachea. Diss. Erlangen
1898. — Jacobson, Zur Lehre v. Bau üb. Functionen d. Musc. thyreo-
arithaen. b. Mensch. Arch. f. mikr. Anat. 1887. — Kain, Zur Morph.
d. Wriesb. Knorpel. Mitteil. d. Ver. d. Aerzte in Steiermark. XXIII. —
Kanthach, The miology of the larynx. Journ. of anat. and physiol.
1892. — Kanthach, The fonct. a. anat. of the epigl Proced of the
laryngol. Society. London 1893. — Kanthach, Stud. üb. d. Histol. d.
Larynxschl. Virchows Arch. 1890. CXVIII, CXIX. — Körner, Beitr. z.
vergl. Anat. u. Physiol d. Kehlkopfes. Abhandl. d. L. naturforsch. Ge-
sellschaft. XIII. 1884. — Krause, Vergl anat. Beschreib. d. Kehlkopfes.
Leipzig 1839. — Küdinger, Beitr. z. Anat. d. Kehlkopfes. Monatsschr. f.
Ohrenheilk. Berlin 1876. — Jehingworth, Someprints in the anat. a.
physiol. of the larynx. British med. journ. 1895. — Jaen, Vorles. ib.
d. Bau u. d. Funct. d. menschl. Kehlkopfes f. Sänger u. Sängerinnen.
Berlin 1895. — Lauth, Rémarq. s. l. struct. d. Larynx et d. l. trachée
artére. Mem. Accad. de Med. Paris 1884. — Lauth, Mem. s. l. struct.
d. larynx. Mém. d. l'Accad. royal d. Med. Paris 1835. — Leidy, On.
sew. imp. points in the anat. of the hum. larynx. An. J. msch. Phila.
1846. — Livini, Int. alla strutt. d. l. trachea. Mon. zool. it. 1896. —
Luschka, Der Kehlkopf d. Menschen. Tübingen 1871. — Luschka, Die
Schleimh. d. Cavum Laryngis. Arch. f. mikr. Anat. 1869. — Luschka,
Die Anat. d. menschl. Halses. Tübingen 1862. — Merkel, Anat. u. Physiol.
d. menschl. Stimm- u. Sprachorgans. Leipzig 1857. — Meyer, Ueb. d.
Bau d. Organ. d. Stimme b. d. Menschen, Sáuget. u. einig. Vogeln. 1852.
— Naumann, Om byggn. af. luftrórshufrudet. Lud. 1851. — Nicaise.
De 1. muquese d. larynx. Gaz. med. d. Paris. 1874. — Nicolas, Récherch.
s. l. dével. d. quelq. élém. d. larynx hum. Bibl. anat. 1894. — Nicolas,
Org. d. la resp. (vedi: Poirier). — Papillon, Diss. s. l. larynx, sa struct.
s. funct. etc. Paris 1821. — Reinke, Unters. üb. d. menschl. Stimmbänder.
Fortschr. d. Medicin. 1895. — Rheiner, Beitr. z. Histol. d. Kehlkopfes.
Würzburg 1852. — Richardson, Sect. of larynx of hum. foetus. Quart.
Journ. mier. 1880. — Rühlmann, Untersuch. üb. d. Zusammenh. d.
Muskeln b. ein. häufig vorkommend. Kehlkopfstellung. Sitzungsber. d. k.
Akad. d. Wissensch. Wien 1874. LXIX. — Schultz, Disq. d. struct. et
text. canal. aerif. Dorpat 1850. — Seidler, Res. in th. min. anat. of
the larynx norm. a. path. Arch. of laryng. Bd. L — Simanowsky,
Beitr. z. Anat. d. Kehlkopfes. Arch. f. mikr. Anat. 1888. — Soemme-
ring, Vom Bau d. menschl Körpers. Neue Ausg. IV. Leipzig 1841. —
Sutton, On the nat. of lieg. IV. Th. vocal cords a. the hioepigl. musc.
Journ. of anat. a. physiol. 1889. — Taguchi, Beitr. z. topogr. Anat. d.
Kehlkopfes. Arch. f. Anat. u. Physiol 1889. — Tourtoual, Neue
Untersuch. üb. d. Bau d. menschl. Schlundes u. Kehlkopfes. Leipzig 1846.
— Verson, Beitr. z. Kenntnis d. Kehlkopfes u. d. Trachea. Wien 1868.
— Von Dolkowsky, Beitr. z. Histol. d. Trachealbronchialschleimhaut.
Lamberg 1875. — Zuckerkandl, Anat. u. Entwickelungsgeschichte d.
Kehlkopfes u. d. Luftróhre. Handb. d. Laryngol. u. Rhinol. Wien 1896.
64 G. Guerrini,
9. Friedrich, Die elast. Fasern im Kehlkopf. Arch. f. Laryngol. u. Rhinol. IV.
II. 1896.
6. Beale, Sulla str. d. tess. sempl. d. corpo um. Napoli 1865. (Borelli) —:
Frey, Handbuch d. Histol. u. Histoch. Leipzig 1876. — Hassal, Mikr.
Anat. 1851. — Henle, Handbuch d. Gefässlehre d. Menschen. Braun-
schweig 1876. — Krause, Specielle u. mikr. Anat. Hannover 1879. —
Leidig, Tr. d'histol. Paris 1866. — Mandl, Mikr. Anat. 1857. T. IL
— Reichert, Vergl Beobacht. üb. d. Bindegewebe etc. Dorpat 1845. —
Schwann, Mikr. Untersuch. 1889. — Stricker, Handbuch d. Lehre v.
d. Geweben. Leipzig 1871.
7. Arnold, Zur Kenntnis d. Saftbahn. d. Bindegewebes. Virchows Arch. LXVIII. —
Baber, On the struct. of hyal. cart. Journ. of anat. a. physiol. XI. —
Baur, Die Entwickel. d. Bindesubstanz. Tübingen 1858. — Bubnoff, Beitr.
z. Kenntnis d. Struct. d. Knorpel. Sitzungsber. d. k. Akad. d. Wissensch.
Wien. LVIL — Budge, Weit. Mitteil. üb. d. Saftbahn im hyal. Knorpel.
Arch. f, mike. Anat.” XVI. — "Deschamps, De l’app. elast. vertebr.
Gazz. méd. 1841. — Donders, Mikroskop. u. mikrochem. Untersuch.
tier. Gewebe. Holl. Beitr. (Molleschott). 1847. — Eulemberg, De
tela elast. Diss. Berlino 1836. — Ebner, Sind d. Fibrillen d. Knochen-
geweb. verkalkt od. nicht? Arch. f. mikr. Anat. XXIX. — Ebner, Ueb.
d. fein. Bau d. Knochensubst. Sitzungsber. d. k. Akad. d. Wissensch.
Wien. LXXII. — Flemming, Zur Entwickelungsgesch. d. Bindegewebs-
fibr. Festschr. R. Virchow gewidm. z. Vollendung seines 70. Lebensj. I.
1891. — Heitzmann, Stud. am Knochen u. Knorpel. (Confr.: Hoffmann
u. Schwalbe Jahresb. — Loewe, Zur Histol. d. Bindegew. Wiener med.
Jahrb. 1874. — Reichert, Vergl Beobacht. tb. d. Bindegeweb. u. d.
verwandt. Gebilde. Dorpat 1845. — Schwalbe, Beitr. z. Kenntnis d.
elast. Gewebe. Zeitschr. f. Anat. u. Entwickelungsgeschichte. II. 1876.
— See, Anat. et physiol. d. tiss. élast. Thése. Paris 1860. — Strell-
zoff, Ueber d. Histogen. d. Knoch. Zürich 1813. — Strellzoff, Zur
Lehre d. Knochenentwickelung. Centralblatt f. d. med. Wissensch. 1872.
XVIII. — Strellzoff, Genetisch-topogr. Untersuch. d. Knochenwachs-
tums. Unt. a. d. path. Inst. Zürich 1874. — Sudachewitsch, Il tess.
elast., sua tess. e s. svilupp. Kiew 1882. — Tillmanns, Ueber d. fibr.
Structur d. Hyalinknorpels. Arch. f. Anat. u. Physiol. 1887. — Wittich,
Bindegewebs-, Fett- u. Pigmentzellen. Virchows Arch. 1866.
Blandin, Zur Kenntnis d. Unnsp. Spiralfasern d. Bindegeweb. Inaug.-Diss.
Zürich 1858. — Klops, Ueber d. Unnsp. Spiralfasern d. Bindegeweb.
Zürich 1858. i
9. Müller, Ueber d. elast. Fasern im Nackenband d. Giraffe. Würzb. naturw.
Zeitschr. 1880.
10. Rabl-Rückard, Ueber d. Netzknorpel d. Ohres. Arch. f. Anat. u. Physiol.
(Du Bois-Reymond.) 1863.
11. Verson, Zur Insertionsw. der Muskelfasern. Sitzungsber. d. k. Akad. d.
Wissensch. Wien 1858. LVII.
12. Cayé, Ueber d. Entwickel. d. elast. Fasern d. Nackenbandes. Kiel 1869.
13. Cornil, Altér. d. fibr. élast. d. poum. Arch. d. physiol. norm. et pathol. 1874.
O0
14.
15.
16.
17.
18.
19.
20.
21.
22.
23.
24,
25.
26.
Sugli elementi elastici delle vie respiratorie superiori. 65
Thomsa, Beitr. z. Anat. u. Physiol. d. menschl. Haut. Arch. f. Dermat. u.
Syph. 1875.
Rénaut, Réch. anat. s. l. tiss. élast. Arch. d. physiol. norm. et pathol. 1875.
— Schäfer, Notes on the struct. a. develop. of oss. tiss. Quart. Journ.
micr. 1878.
Koganei, Untersuch. üb. d. Bau d. Iris d. Menschen u. d. Wirbeltiere. Arch.
f. mikr. Anat. 1885. XXV.
Béla Machik, Beitr. z. Kenntnis d. Sehnengeweb. Wien. Akad. Sitzungsber.
XXXIV. — Ciaccio, Nuove ric. sulla intess. d. tend. Bologna 1872. —
Gerlach, Ueb. d. Anlage u. Entwickel. d. elast. Geweb. Morph. Jahrb.
1878. — Güterbock, Zur Lehre v. d. Bindegewebskórperchen in d. Sehn.
Centralblatt. 1869. — Langhans, Beitr. z. Histol. d. Sehnengeweb. im
norm. u. pathol. Zustande. Würzburg. Naturw. Zeitschr. 1864. — Mays,
Ueb. d. Bau d. Sehnen mit bes. Berücksichtig. ihrer Saftbahn. Virchows
Arch. 1875. — Ranvier, Des élém. cell. d. ténd. et d. tiss. conjonct.
lach. Arch. d. physiol. 1869. — Thierfelder, De rigener. tend. Misenae
1832. — Ereitz, Ueb. elast. Sehnen. Vierteljahrsschr. f. prakt. Heilk.
1853.
Berzelius, Tr. d. chim. T. IV. — Chittenden, Histoch. Unters. üb. d.
Sarkolemm. u. einig. verwandt. Membr. Unters. aus d. physiol. Instit. z.
Heidelberg. — Ewald und Kühne, Die Verdauung als histol. Meth.
Verhandl. d. naturhist. med. Ver. z. Heidelberg. — Ewald, Zur Histol.
u. Chem. d. elast. Fasern u. d. Bindegew. Zeitschr. f. Biol. 1889. XXVI.
— Floriep, Ueb. d. Sarkolemma u. d. Muskelkern. Arch. f. Anat. u.
Physiol. 1876. — Frey, Handbuch d. Histol. u. d. Histoch. Leipzig 1876.
— Kolossow, Neu. Method. d. Bearbeit. d. Geweb. m. Osmiumsäure.
Zeitschr. f. wiss. Mikr. IX. — Kühne, Kurze Einleit. z. Verwend. d. Ver-
dauung in d. Gewebanalys. Unters. a. d. physiol. Inst. d. Univ. Heidel-
berg. 1. 2. — Moroschowetz, Zur Histochem. d. Bindegew. Verhandl.
d. naturhist. med. Ver. z. Heidelberg. I. 5. — Pfeuffgr, Die elast. Fasern
d. Lig. Nuchae unt. d. Pepsyn- u. Tripsineinwirk. Arch. f. mikr. Anat. XVI.
Adler, Vorliuf. Mitteil. üb. eine m. Silberimbib. gemacht. Beobacht. Zeitschr.
i rat. Med. x.
Recklinghausen, Die Lymphgefässe u. ihre Beziehung z. Bindegew. Berlin 1862.
Kober, Ueb. Argyr. in Vergl. z. Siderose. Vierteljahrsschr. f. Dermat. u. Syph.
1893.
Martinotti, Della reaz. d. fibr. elast. con l’uso del nitr. d’arg. e d. res. otten.
Giorn. d. R. Accad. d. Med. d. Torino. 1888.
Tartuferi, Nouv. impregn. métall. d. l. cornée. Anat. Anzeiger. V.
Bietti, Contr. à l'étud. d. tiss. élast. dans quelq. parties d. paupiér. Arch.
ital d. biol. XXVI. 3.
Hertwig, O., Ueb. d. Entwick. u. d. Bau d. elast. Geweb. im Netzknorpel.
Arch. f. mikr. Anat. XXX.
Deutschmann, Ueb. d. Entwick. d. elast. Fasern im Netzknorpel. Liegnitz 1873.
— Dogiel, Ueb. Untersuchungsmeth. d. Sehnenzell. u. d. locker. Unter-
hautzellgewebe treffend. Anat. Anz. Il. — Foerster, Beitr. z. path.
Internationale Monatsschrift für Anat. u. Phys. XV. D
66
2.
28.
29.
90.
91.
32.
99.
34.
39.
36.
37.
38.
39.
40.
41.
42.
43.
44,
45.
46.
47.
48.
49.
50.
ol,
G. Guerrini,
Anat. u. Histol. Virchows Arch. XII. — Langhans, Beitr. z. Histol. d.
Sehnengeweb. im norm. u. path. Zust. Würzb. Naturw. Zeitschr. 1864. —
Ranvier, Des élém. cell. d. tendons et d. tiss. conjonctif. lach. Arch.
d. physiol. 1869. — Wittich, Bindegeweb. Fett u. Pigmentzell. Virchows
Arch. 1866. IX.
Boll, Unters. üb. d. Bau u. d. Entwickel. d. Gewebe. Berlin 1871.
Tafani, Le tiss. d. os. les fibr. perfor. d. Sharpey. Arch. ital. d. biol. 1876. VIII.
Richardson, Sect. of larynx of hum. foetus. Quart. journ. micr. 1880.
Van der Strickt, Rech. s. la cartil. hyal. Arch. de biol. 1887. Il.
Kóppen, Fárb. elast. Fasern u. d. Hornschicht. Zeitschr. f. wiss. Mikr. V.
Onimus, De l'empl. d. |. fuchsime d. l'etud. d. élem. anatom. Journ. d. l'anat.
1865.
Ebner, Ueb. d. fein. Bau d. Knochensubst. Sitzungsber. d. k. Akad. d, Wissensch.
Wien. LXXII.
Passarge, Schw. u. Regen. d. elast. Geweb. d. Haut. versch. path. Verhältn.
Königsberg 1894. — Schulmann, Untersuch. üb. d. Struct. d. elast.
Geweb. d. ges. u. krank. Arterienw. Diss. Dorpat 1892.
Strellzoff, Genetisch-topogr. Untersuch. d. Knochenwachstums. Unters. a. d.
path. Inst. Zürich 1874.
Brunn, Beitr. z. Ossificationslehre. Dubois etc. 1874.
Koganei, Unters. üb. d. Bau d. Iris d. Menschen u. d. Wirbeltiere. Arch. f.
mikr. Anat. XXV. j
Doskojewsky, Ueb. d. Bau d. Corpus ciliare u. d. Iris v. Sàugetieren. Arch.
f. mikr. Anat. 1886. XXVIII.
Pansini, Sulla cost. d. cartilag. e s. orig. d. fibr. elast. n. cart. retic. o elast.
G. d. Ass. nap. d. Med. e Natur. A. II.
Wolters, Beitr. z. Kenntnis d. Skleroderm. Arch. f. Dermat. u. Syph. 1892.
Schmorl, Die path.-histol. Untersuchungsmeth. Leipzig 1897.
Schwalbe, Beitr. z. Kenntnis d. elast. Geweb. Zeitschr. f. Anat. u. Ent-
wickelungsgesch. 1876. |
Bubnoff, Beitr. z. Kenntnis d. Struct. d. Knorp. Sitzungsber. d. k. Akad. d.
Wissensch. Wien. LVII. |
Pansini, Sulla gen. d. fibr. elast. Progr. med. Napoli 1887.
Bagneris, Sur la tinct. d. fibr. élast. par l'éos. Rév. med. d. Vest. Avril 1877.
Rénaut, Appl. d. Véos. solubl. d. l'eau à l'étud. d. tiss. conjonct. Arch. d.
‘physiol. 1876. .
Baltzer, Rech. techn. s. l. tiss. élast. Arch. d. physiol. 1882.
Spira, Beitr. z. Histol. d. hyal. Knorp. Med. Jahrb. 1886.
Solger, Ueb. Knorpelwachstum. Fortschr. d. Med. 1889. VII.
Enderlen, Ueb. Sehnenregen. Arch. f. klin. Chirurg. 1894. XLVI.
Martinotti, G., Un met. sempl. p. la color. d. fibr. elast. Zeitschr. £ wiss.
Mikr. IV.
22.
77.
78.
Sugli elementi elastici delle vie respiratorie superiori. 67
Kölliker, Der fem. Bau d. Knochengeweb. Zeitschr. f. wiss. Zool. XLIX. —
Kölliker, Ueb. d. fein. Bau d. Knochengeweb. Sitzungsber. d. Würzb.
physiol.-med. Gesellsch. 1888.
. Flemming, Zur Entwickelungsgesch. d. Bindegewebsfibr. Festschr. R. Virchow
gewidmet z. Vollend. s. 70. Lebensjahres.
. Waldeyer, Histologie, Jahresb. üb. d. Leist. u. Fortschr. in d. gesamt. Medicin.
1878. I
. Martinotti, Le reti nerv. d. fegato e d. milza scop. d. prof. Rattone. 1889.
. Busse, Ueb. d. Heilung asepht. Schnittw. d. menschl. Haut. Virchows Arch.
1893. XIII. 4.
Spuler, Ueb. d. Bau u. Entsch. d. elast. Knorp. Erlangen 1895.
Ferria, La color. d. fibr. elast. c. l'acid. cromico e la saffr. G. R. Accad. d.
Med. Torino 1888.
Heller, Die Histog. d. elast. Fasern in Netzkn. u. Lig. Nuchae. Inaug.-Diss.
Berlin. 1887.
. Aeconci, Contr. allo stud. d. l'anat. e fisiol. d. l'utero gest. e partor. R. Accad.
d. med. Torino 1890.
. Dührssen, Beitr. z. Anat., Physiol. u. Pathol. d. Portion. vagin. uteri. Arch.
f. Gynäk. Berlin 1891. LXI.
. Carbonelli, Il perineo s. il rapp. estet. e ginec. G. R. Accad. d. Med. Torino 1893.
Gallenga, Sulla strutt. d. schleroftalmo congen. Aten. med. parmeuse. IV.
. Mibelli, D. un metod. sempl. p. l. dimostr. d. fibr. elast. nella pelle. Monit.
zool. ital. I. 0.
. Herxheimer, Ueb. eigent. Fasern in d. Epid. u. im Epith. gew. Schleimh.
d. Menschen. Arch. f. Dermat. u. Syph. 1889.
. Reinke, Unters. üb. d. Horngeb. d. Säugetierhaut. Arch. f. mikr. Anat. XXX.
Schmidt, Ueb. d. Altersveränd. d. elast. Fasern in d. Haut. Arch. f. prakt.
Anat. u. Physiol. 1891. CXXV.
. Sudachewitsch, Riesenzell. u. elast. Fasern. Virchows Arch. 1889. CXV.
. Ebner, Ueb. d. Bau d. Aortwand bes. d. Muskelhaut derselb. 1870.
Strellzoff, Ueb. d. Histog. d. Knochen. Unters. a. d. path. Inst. Zürich. 1813.
. Lieberkühn, Ueb. d. Einwirk. v. Alizarin auf d. Gewebe d. lebend. Körp.
Marburg. Sitzungsber. 1874.
Baumgarten, Knorpel, Knochen u. Anilinfarbst. Med. Centralbl 1876.
Griesbach, Das Metanylgelb etc. Zeitschr. f. wiss. Mikr. IV.
Viallenes, S. un nouv. typ. d. tiss. élast. observ. chez la larve d. eristalis.
Ann. d. Sc. Nat. et Zool. 1883.
. Hertwig, Ueb. d. Entwick. u. d. Bau d. elast. Geweb. im Netzknorpel Arch.
f. mikr. Anat. XXX.
Lustgarten, Victoriablau; eine neue Tinctionsmeth. f. elast. Fasern u. f. Kerne.
Med. Jahresb. f. ges. d. Aerzte z. Uren. 1886.
Kuskow, Beitr. z. Kenntnis d. Entwickel. d. elast. Geweb. im Lig. Nuchae u.
im Netzknorpel. Arch. f. mikr. Anat. XXX.
T
DEE
68
119)
80.
81.
82.
83.
84.
85.
86.
87.
88.
89.
90.
9T.
92.
93.
94.
95.
96.
DIE
98.
99.
100.
101.
102.
103.
104.
105.
106.
G. Guerrini,
Heller, Die Histol. d. elast. Fasern im Netzknorpel u. Lig. Nuchae. Inaug.-
Diss. Berlin 1887.
Köppen, Färb. d. elast. Fasern u. d. Hornsch. Zeitschr. f. wiss. Mikr. V.
Burci, D. u. metod. rapid. d. color. delle fibr. elast. Pisa Soc. di medic. e
sc. nat. 1891.
Kölliker, Ueb. d. Entwickel. d. sogen. Kernfas., d. elast. Fasern u. d. Bindegew.
Würzb. Verhandl. III.
Reich, Ueb. Arterialsclerosis nodosa m. bes. Berücksicht. d. Verhalt. d. elast.
Elem. d. Gefässw. Königsberg.
Mall, D. retik. Gewebe u. s. Beziehung z. d. Bindegewebsfibr. Abh. d. math.-
phys. Kl. d. sáchsisch. Gesellsch. d. Wiss. 1891.
Zwiegmann, Das elast. Gewebe d. Aortenwand u. s. Veränd. bei Skler. u.
Aneurysma. Dorpat 1891.
Unna, Notiz, betr. d. Tänzersche Orceinfärb. d. elast. Geweb. Monatsh. f.
prakt. Dermath. 1891. XI.
Unna, Eine neue Darstellungsmeth. d. elast. Geweb. d. Haut. Monatsh. f.
prakt. Dermath. V.
Unna, Zur Kenntnis d. elast. Geweb. d. Haut. Leipzig 1887.
Kuskow, Beitr. z. Kenntnis d. Entwickel. d. elast. Geweb. im Lig. Nuchae
u. im Netzknorpel. Arch. f. mikr. Anat. XXX.
Tänzer, Ueb. d. Unnasche Färbungsmeth. d. elast. Fasern.
Unna, Notiz, betr. d. Tänzersche Orceinfürb. d. elast. Geweb. Monatsh. f.
prakt. Dermat. V.
Unna, Elastin u. Elacin. Monatsk. f. prakt. Dermath. 1894. XIX.
Livini, D. u. modif. al metod. Unna-Tänzer p. 1. coloraz. delle fibr. elast.
Monit. Zool. VII.
Volters, Beitr. z. Kenntnis d. Sklerodermie. Arch. f. Dermat. u. Syph. 1892.
Heller, Die Histol. d. elast. Fasern in Netzknorpel u. Lig. Nuchae. Inaug.-
Diss. Berlin 1887.
Zenthoefer, Topogr. d. elast. Geweb. innerh. d. Haut d. Erwachs. Zeitschr.
f. wiss. Mikr. IX.
Baiardi, Contr. all’istol. comp. dell'iride.
Gatti, Il metod. Unna-Tanzer p. l. ricerca d. fibr. elast. negli sputi.
Sechi, Contr. allo st. d. tess. elast. d. pelle umana.
Grünstein, Histol. Untersuch. üb. d. Bau d. menschl. Aorta in versch. Alters- _
stufen. Bonn 1895.
Sperino, Sulla disp. d. tess. elast. nel letto ungueale. Torino 1893.
Gutentag, Ueb. d. Verh. d. elast. Fasern in Hautnarb. u. b. Destructionsspr.
d. Haut. Prag 1894.
Spuler, Ueb. d. Bau u. Entstehung d. elast. Knorp. Erlangen 1895.
Schultz, D. elast. Gewebe d. Periosts u. Knochens. Wiesbaden 1895.
Hansen, Ueb. Bildungen u. Rückbildungen v. elast. Fasern. Greifswald.
Passarge, Schw. u. Regen. d. elast. Geweb. d. Haut etc. Königsberg 1894.
107.
108.
109.
110.
THE
112.
113.
114.
115.
116.
TUAE
118.
219:
Sugli elementi elastici delle vie respiratorie superiori. 69
Dobbertin, Ueb. d. Verbreit. u. Anordn. d. elast. Geweb. in d. Schicht. d.
gesamt. Darmkanals. Kiel 1896.
Seipp, D. elast. Gewebe d. Herzens. Wiesbaden 1896.
Loisiel, Format. et évol. d. élém. d. tissu élast. Journ. d. Vanat. et d. la
physiol. 1897. XXXIII. 2.
Della Rovere, S. fibr. elast. d. vene superfic. d. arti. Anat. Anzeiger. XIII.
Livini, D. u. modif. al metod. Unna-Tänzer p. l. coloraz. delle fibr. elast.
Monit. zool. VII.
Unna, Notiz, betr. d. Taenzersche Orceinfärb. d. elast. Geweb. Monatsh. f.
prakt. Dermat. V.
Unna, Elastin u. Elacm. Monatsk. f. prakt. Dermat. 1894. XIX.
Laurent, Zeitschr. f. wiss. Mikr. 1896. XIII.
Schultz, D. elast. Gewebe d. Periosts u. Knochens. Wiesbaden 1895.
Pansini, Sulla costit. d. cartil. e sulla orig. delle fibr. elast. nella cartilag.
reticol. o. elast. G. Ass. nap. Med. e Natur. IL.
Baltzer, Rapp. d. tiss. musc. e d. tess. élast. Arch. d. physiol. 1882.
Martinotti, C., Un metod. sempl. p. l. coloraz. delle fibr. elast. Zeitschr.
f. wiss. Mikr. IV.
Carbonelli, Il perineo sotto il rapp. estet. ginecol G. R. Accad. d. Med.
Torino 1893.
(Aus dem Anatomischen Institut der Universitat Berlin.)
Die Insertion der Musculi lumbricales an der Hand
des Menschen.
Eine kritische, statistische Untersuchung.
Von
Fr. Kopsch.
Ursprung und Ansatz der Musculi lumbricales an der Hand des
Menschen variieren bekanntlich in hohem Maasse. Dies gilt vor allem
von der Insertion. Als typischer, d. h. am häufigsten vorkommender
Ansatz gilt nach den meisten Hand- und Lehrbiichern’) der Uebergang
der Sehnen sämtlicher vier Lumbricales in die Dorsalaponeurose ihres
Fingers von der radialen Seite her. Nur Cruveilhier?) ist der Ansicht,
dass der dritte Lumbricalis am häufigsten („le plus souvent“) zum
Ulnarrande des dritten Fingers zieht, welcher somit zwei Lumbricales
besitzt, während der vierte Finger keinen hat. Dies Verhalten der
Muskeln wurde von Poirier») vergeblich gesucht, welcher der Ansicht
ist, dass es nicht so häufig vorkomme, wie Cruveilhier behauptet.
Inzwischen hat Le Double*) in seinem soeben erschienenen Buche
1) Die Hand- und Lehrbücher von folgenden Autoren erklären als typisch die
Endigung aller Lumbricales an der Radialseite ihres Fingers: Gegenbaur, Gray,
Henle, Hollstein, Hyrtl, Krause, Poirier, Quain, Rauber, Sappey. Ein kleiner lapsus
calami findet sich bei Gegenbaur und Rauber, nach denen der erste und zweite
Lumbricalis nicht selten verdoppelt sem soll. Das gilt doch vom dritten und
vierten Lumbricales.
?) Cruveilhier, J., Traité d'Anatomie descriptive. 5. Aufl. Paris 1871. Bd. I.
p. 695.
?) Poirier, Paul, Traité d'Anatomie humaine. 1896. Bd. IL p. 118.
*) Le Double, Variations du système musculaire de l'homme. Paris 1897
Ban Ip: 186:
Fr. Kopsch, Die Insertion der Musculi lumbricales etc. 71
über Muskelvarietäten Cruveilhiers Auffassung bestätigt, indem er
sagt: ,Si je m'en tenais à mes dissections et à celles de Cruveilhier
jinclinerais même à croire que l’attache du troisième lombrical à la
face interne de la troisiéme phanlange (soll heissen doigt, Verf) est
la régle et non l’exception.“
Wir haben hier also einen Gegensatz vor uns, welcher um so
mehr Bedeutung beansprucht, als auf der einen Seite die grosse Mehr-
zahl der Autoren steht, während auf der anderen Seite die Auffassung
Cruveilhiers durch das umfassende Werk von Le Double eine bedeutende
Unterstützung erfährt. |
Zur Erklárung dieses Gegensatzes kónnte man an die schon für andere
Organe nachgewiesenen rassen-anatomischen Unterschiede denken '),
wenn man die Angaben der Autoren als gesichert und feststehend an-
nimmt. Andererseits kann die Verschiedenheit der Angaben bedingt
sein durch Momente, welche bei der Gewinnung des Thatsachen-
Materials in Betracht kommen. Am wesentlichsten erscheint mir
hierbei der Punkt, ob die Autoren, welchen wir statistische Angaben
über die Häufigkeit der Variation der Mm. lumbricales verdanken,
selber alle betreffenden anatomischen Präparate angefertigt oder ob
sie wesentlich die von den Studierenden im Prápariersaale gemachten
zur Unterlage ihrer Statistik verwendet haben. Das letztere ist für
die Untersuchung der Mm. lumbrieales wenigstens durchaus zu ver-
werfen, weil der Anfinger nur zu geneigt ist, die Organe so dar-
zustellen, wie sie sein Lehrbuch oder sein Atlas zeigt, und weil bei
der geringeren Uebung und Erfahrung mancherlei zerstórt wird, was
nicht besonders in die Augen fällt, zumal wenn die Aufmerksamkeit
nicht besonders darauf gelenkt ist, sei es durch das Buch oder den
Unterricht.
Aus diesen Erwägungen ergab sich zweierlei. Einmal die Not-
wendigkeit, an einer grösseren Anzahl von Fällen die Insertion der
Mm. lumbrieales aufs neue zu untersuchen, und zweitens alle zur
Statistik zu benutzenden Fälle selber zu präparieren.
7) Schwalbe, G., und Pfitzner, W., Varietüten-Statistik und Anthropologie.
HI Mitteilung. Morphologische Arbeiten von Gustav Schwalbe. 1894, Bd. III:
S. 459—490,
72 Fr. Kopsch, -
Ich habe an 110 Hànden die Insertion der Mm. lumbricales selber
prapariert und berichte im folgenden über die erzielten Resultate,
welche von den bisher vorhandenen Angaben bedeutend abweichen.
Zum Abdruck der folgenden Tabelle habe ich mich entschlossen, weil dieselbe
dem Nachuntersucher etwa nützlich sem kann. Zu ihrer Erlauterung sei folgendes
gesagt. Die Nummern der ersten Spalte dienen zur Bezeichnung der einzelnen
Fälle, welche immer nur eine Hand, nicht Individuen bezeichnen. Nur in einigen
Fällen habe ich beide Hände desselben Individuums präparieren können, was in
der Tabelle durch eine Klammer in der letzten Spalte bemerkt ist; eine Nummer
mit beigefügtem * bedeutet, dass in dem Fall der dritte Lumbricalis eine doppelte
Insertion hat; ein + sagt, dass der dritte Lumbricalis an die Ulnarseite des dritten
Fingers geht; ein ! zeigt, dass alle vier Lumbricales zur Radialseite der ent-
sprechenden Finger gehen; ein © bedeutet, dass dieser Fall nicht zu den drei
erwähnten Arten gehört.
Iba IL Ibe 108 Iie IUE. KV.
Be-
rad. | rad. uln. rad. uln. rad. uln. Be
No. | Seite
2Fing. | 3. Fing. 2. Fing. | 4. Fing.|3. Fing. || 3. Fing.|4. Fing.
—
*
Mor mm km RR HH RO RR HH HH HR HR HH m mh
3
uw
Die Insertion der Musculi lumbricales an der Hand des Menschen. 7/3)
TORO TE A I stg Te DIV. ni
No. | Seite | di
2 Fing. 5. Ping, 2. Ring. | 4. Fing. s. King. |5. Fing |4.Fing, | ^" nen
28 ! r. 2 '» iu » ar » SE
29 ! 1. S — _ —
30 * iP, 7 È — " a —
3l 7 Te — — È " -—
92 ! r. = i — E — * —
99 * Te È — 2 a =
94 ! I, à — Ù — —
39 O r. > — 5 = a
To (C r. — — > =
97 ! iP — È — x —
38 ! p N — — ) -—
99 ! Il; : — È — È —
40 r. D) » Ri ” jung
4] * I — 3 =
42 * IL E — b
43 ! E 2 — a —
44 ! IL " à — -— n —
45 * TE; s — 3 " A —
46 ! r. s — — —
EX r. ” n IY 2 SB.
48 1 IL E — x — = _-
e e r. 2 ” aye 2 RZ
50 ! IL " 3 — — —
51 * ]. È — È =
52 | i È — — E " =
99 * I = E n * —
54 * jg. x dal T u
55 * IL o P — i "
56 ! IL : 3 — $ — =
97 * | 5 2 — a È —
58 * ]. 5 — È £ >
59 ! r. 5 — — - =
60 ! I]? 3 — $ — : =
61 ! 1% È 2 — Ù — 5 zs
62 * l. D) 2 TE | » p | 2 2%
63 * ie, — 5 R =
64 l. » » AT D =
65 O Ik A - — È — — È
GORE AE — È — -—
67 ! n E È — =
SO IE 5 — E — È 2
69 * | l. » D) ve 2 7 n 7
70! lE ^ 5 — N — 5 =
Ca E È — 3 = =
72 * Ik — 5 =
14 Fr. Kopsch,
3 E TUI | Ibe ILE | L. IV. d:
No. Seite È 7
aun s iig. | 2 mea fine | 3 Ping. | s-Fing. | 4 ing. | ™erkungen
13 ! r. D) imd » oe D) Soi
74 O r. ” PE ” e »
75 © li 2 D) So ” IN: PT ”
76 TT r. » y ban D) 2 E
Tae RU S d ewe vs
(fto). © iP 3 — r 5 —
19 * le Tai » D) »
CO 3% — x —
en teg È de à = : ut
82 T r. D) v 7 » D) di
83 ! r. D) | D) "s » CF » GER
84 O r. D) or Lr » D)
85 * l. D) m ” yum
86 * ni " — —
87*| 1 a (CARS 1 à ils
88 ! T 5 — 2 — 3 --
SO) L za È a S
90* | L : > xn
SEE TP — x ei —
GIANNI MS ara SS al
93 O r. » | ET D) PE Ei A
94 ! if EE — —
95 ! r. ees — —
96+ | x. | Dione lenze À . m
97 ! ib — — È = qu
eed 1. | = i se zx
9919 NOE | = * = 2 = i
100 * Io D) | ” mu » D) zu J
ON anse are — | — n
102 * | 1 Ina: m x à ; = |)
108! | 1. | toes = |
10251 r. ” | » a D) EX D) TOU |
10S 1 || a, | RS à ES 2 = ||
106 T 110 » | » [ons E ” » ET J
107+ | x. | lie, AN ECCE
Ri iss ns m = sli
109* | 1 ; | ME. i = |
110 * 16; eee 2 — dI
Aus dieser Tabelle ergiebt sich:
1. Der erste und zweite Lumbricalis gehen in allen
110 Fallen
an der Radialseite ihres Fingers (2. und 3. Finger) in die Dorsal-
aponeurose iiber.
Die Insertion der Musculi lumbricales an der Hand des Menschen. 15
2. Alle vier Lumbricales gehen an der Radialseite ihrer Finger
(2., 3., 4., 5. Finger) in die Dorsalaponeurose über in 43 Fallen (39 9/,).
3. Zweifache Insertion des dritten Lumbricalis (die eine am Ulnar-
rande des 3. die andere am Radialrande des 4. Fingers) ist in
47 Fällen (42,7 °/,) vorhanden.
Unter sechs von diesen Fällen (5,45 °/,) ist noch dazu die Insertion des vierten
Lumbricalis eine zwiefache (die eine am Ulnarrande des vierten, die andere am
Radialrande des fünften Fingers). In zwei Fallen (1,8°/,) hatte der vierte Lumbri-
calis die Insertion am Ulnarrande des vierten Fingers.
4. Insertion des dritten Lumbricalis am Ulnarrande der Dorsal-
aponeurose des dritten Fingers (Cruveilhier, Le Double) findet sich
nur in 11 Fällen (9,99 °/,).
5. Die noch bleibenden 9 (8°/,) Fälle sind solche, welche sich
nicht unter No. 2—4 ordnen lassen.
Das von den auf Seite 70 Anm. 1 genannten Autoren als typisch
hingestellte Verhalten der Insertion findet sich also nur in 39°/, der
Fälle; in den anderen 61°/, sind Abweichungen davon vorhanden.
Diese grosse Zahl von Varietäten überschreitet sogar noch die
von Froment!), dessen Varietätenzahl (45°/,) von Le Double (l. c.
pag. 178) als übertrieben hoch angesehen wird. Sie steht aber in
ganz bedeutendem Gegensatze zu den von Wood *) (18,6 °/,), Macalister’)
(12,5 °/,) und Le Double‘) (13,333 °/,) angegebenen Zahlen. Dagegen
1) Froment, Recherches sur plusieurs points d’Anatomie. Paris 1853.
*) Wood, John, Variations in human myology etc. Proceedings of the Royal
Society of London. 1868. Vol. XVI. p. 488—525. p. 501.
3) Macalister, Alexander, Additional observations on Muscular Anomalies in
human Anatomy etc. Transactions of the Royal Irish Academy. 1875. Vol. XXV.
p. 1—134. p. 93 ff.
4) Le Double loc. cit. p. 178 sagt: nach seiner Statistik finden sich die
Varietàten der Mm. lumbricales in 1:8 Individuen (richtiger 1:8,5) Er citiert
Macalisters Angaben von 50 Anomalien auf 400 Individuen richtig. giebt dann
aber das daraus berechnete Verhältnis mit 1:12 falsch an, es muss heissen 1:8
oder 12,5 °/. Ueberhaupt finden sich in dem Abschnitt über die Mm. lumbricales
„eine Menge falscher Citate; als solche seien hier erwähnt: auf p. 188 die Mitteilung
von Gegenbaur in Virchows Archiv. 1861. Bd. XXI. p. 976—385. Der hier be-
schriebene Fall ist vielmehr der Insertion nach folgender: L. I. rad. 9 Finger,
L. II. rad. 3 Finger, L. II. uln. 3 Finger, L. IV. rad. 5 Finger. Gegenbaur sagt
ausdrücklich, der vierte Finger erhielt überhaupt keinen M. lumbricalis. Auch der
Befund von Carver, Journ. of Anatomy and Physiol. 1869. Vol. III. p. 257—261
wird von Le Double auf p. 188 falsch citiert, indem er sagt: ,Carver à découvert
76 Fr. Kopsch,
ist die Zahl der Fälle, in denen der Mittelfinger zwei Lumbricales
erhalt, und zwar den zweiten Lumbricalis von der radialen, den dritten
Lumbricalis von der ulnaren Seite her, so gering (9,99°/,), dass man
schwer begreift, wie Cruveilhier und Le Double dazu kommen konnten,
das Verhalten als Regel anzusehen. Hier könnten zur Erklärung nur
die beiden im Eingange angeführten Momente in Betracht kommen,
entweder zeigt sich hierin ein rassen- anatomisches Merkmal — wogegen
jedoch Poiriers (l. c. Bd. II. pag. 118) Bemerkung spricht — oder —
und dies erscheint mir zur Zeit als das Wahrscheinliche — Cruveilhier
und Le Double haben viele Präparate gesehen, bei welchen der radiale
Kopf des dritten Lumbricalis von dem Präparanten weggeschnitten und
nur der ulnare zum Mittelfinger gehende übrig geblieben war. Die Er-
kennung eines solchen Kunstproductes ist häufig ganz unmöglich, selbst
wenn man weiss, dass es gemacht werden kann, da bei der so haufigen
(49,7 |) Verdoppelung der Insertion des dritten Lumbricalis der eine
von den Köpfen oftmals sehr schwach (0,5—1 mm) ist.
Um dieser Fehlerquelle zu entgehen, habe ich mich entschliessen
müssen, alle zu dieser Statistik benutzten Fälle selber zu präparieren,
und ich habe hier nur solche berücksichtigt. Es wird notwendig sein,
dass auch in Frankreich und an anderen Orten das Gleiche aus-
geführt wird, um eine sichere Grundlage zur Vergleichung zu schaffen
und nach der einen oder der anderen Seite hin eine Entscheidung zu
treffen. Die von Wood, Macalister, Le Double angegebenen Verhältnis-
zahlen sind hierzu gar nicht zu verwerten. Ob die von Froment bei-
gebrachte Zahl der Varietàten mehr Zutrauen verdient, kann ich leider
nieht entscheiden, da mir die Arbeit im Original bisher nicht zugäng-
lich war. :
Wenn wir nun in wenig Worten das typische Verhalten und die
cinque lombricaux dont le cinquiéme le seul anormal, aboutissait au bord externe
du fléchisseur perforé du petit doigt“ (von le Double nicht gesperrt); während Carver
schreibt: „whereas the fifth joined the radial side of the tendon of the flexor
sublimis of the ring finger“ (von Carver nicht gesperrt) Le Double citiert auch
(p. 187) die Beobachtung von Petsche, Hallers Disputat. Anat. Vol. VI. p. 763—786
nicht richtig, welcher nicht denselben Fall wie Walther ibid. p. 585—603 beschrieben
hat, sondern folgende Variation: L. I. rad. 2 Finger, L. IL rad. 3 Finger, L. III.
rad. 4 Finger und uln. 8 Finger, L. IV. rad. 5 Finger.
LI
Die Insertion der Musculi lumbricales an der Hand des Menschen. vit
wesentlichsten Abweichungen der Insertion der M. lumbricales manus
schildern wollen, so werden wir nach der vorliegenden Untersuchung
sagen müssen, dass zwar die Abweichungen der verschiedensten Art
die absolute Mehrheit (61°/,) bilden, dass man aber zwe? Haupttypen
der Insertion aufstellen kann, welche relatıv am häufigsten vorkommen.
Dieselben sind:
I. Sämtliche vier M. lumbricales gehen auf der Radialseite ihres
Fingers in die Dorsalaponeurose über. — 39 °],.
II. Von den vier M. lumbricales inserieren der erste, zweite und
der vierte am Radialrande des zweiten, dritten, fünften Fingers;
der dritte M. lumbricalis ist gespalten und geht mit der einen
Sehne zum Ulnarrande des dritten, mit der anderen zum Radial-
rande des vierten Fingers. — 35,45 °/,.
Referate
W. Krause.
F. Miescher, Die histologischen und physiologischen Arbeiten von
Friedrich Miescher. Gesammelt und herausgegeben von seinen
Freunden. Leipzig 1897., F. C. Vogel. 8°. Bd. I. 138 S. Mit
einem Portrait, nebst einer Einleitung von W. His. Bd. IL.
543 S. Mit 25 Holzschn. und 2 farbigen Tafeln.
Dem am 25. Aug. 1895 verstorbenen Baseler Physiologen haben seine Freunde
ein schönes litterarisches Denkmal gesetzt. F. Miescher war am 13. Aug. 1844
in Basel geboren, sein Vater war F. Miescher sen., dessen Doctor-Dissertation:
De inflammatione ossium etc. Berolini 1896, noch heute nicht vergessen ist. Dem
Sohne, als dem Entdecker des Nucleins, wird die Geschichte der Medicin ein gleich
ehrenvolles Andenken bewahren.
Der erste Band der vorliegenden gesammelten Abhandlung enthält eine warm
geschriebene Einleitung von W. His (S. 1—4), die Schilderung des Entwickelungs-
ganges des zu früh dahingeschiedenen Forschers und 98 aus seiner wissenschaft-
lichen Correspondenz mit anderen Gelehrten ausgewählte, meist sehr interessante
Briefe desselben. Der zweite Band bringt 17 physiologische in verschiedenen Zeit-
schriften zerstreute Abhandlungen von Miescher, und noch 4 von seinen Schülern,
deren Titel unten folgen. Im allgemeinen bemerkt His (S. 26), dass Miescher zu
einer Chemie der morphologischen Elementargebilde oder, wenn man den Ausdruck
gebrauchen will, einer Ce//ularchemie den Grund gelegt hat. Er selbst pflegte seme
Arbeiten als histochemische zu bezeichnen, aber es ist klar, dass seine Histochemie
viel weitergehende Ziele verfolgte, als die Gewebschemie von C. G. Lehmann,
Schlossberger, Gorup-Besanez u. A. An Stelle der Collectivanalysen compliciert
gebauter Organe, des Gehirnes, der Leber etc. sollte eine scharfe chemische Schei-
dung aller der Bestandteile treten, die überhaupt morphologisch zu sondern sind:
die chemische Scheidung von Kern und von Zellenkórper, von Spermatozoenkopf
und Spermatozoenschwanz etc. Soweit das Mikroskop trennt, soweit sollte auch
die chemische Analyse sondern und scharf charakterisieren, und auf dieser Grund-
lage sollte sich dann weiterhin das Verstiindnis der physiologischen Vorgiinge
innerhalb der Gewebe aufbauen. Durch ein solches Vorgehen kann überhaupt
erst die Brücke zur morphologischen Histologie und zum Verstiindnis ihrer zum
Teil so complicierten technischen Methoden geschlagen werden.
W. Krause, Referate. 79
Die Titel der erwähnten Arbeiten sind folgende:
Ueber die chemische Zusammensetzung der Fiterzellen.
Die Kerngebilde im Dotter des Hühnereies.
Nachträgliche Bemerkungen dazu.
Der physiologische Process der Atmung.
Die Spermatozoen einiger Wirbeltiere.
Ueber das Ei...
Statistische und biologische Beiträge zur Kenntnis vom Leben des Rhein-
lachses im Süsswasser.
8. Ueber das Leben des Rheinlachses im Süsswasser. (Mit 2 Taf.)
9. Die Aufgabe der Volksernährung im Lichte der Wissenschaft.
10. Ueber die Ernährung der Sträflinge.
1l. Bemerkungen zur Lehre von den Atembewegungen. Anhang zu diesen Be-
merkungen, redigiert von A. Jaquet.
12. Der Atemschieber.
18. Biologische Studien über das Leben des Rheinlachses im Süsswasser.
14. Physiologische Fragmente über den Rheinlachs.
15. Ueber die Beziehungen zwischen Meereshóhe und Beschaffenheit des Blutes.
16. Physiologisch-chemische Untersuchungen über die Lachsmilch.
17. Miescher's Beobachtungen über. die morphologische Entwickelung der Lachs-
spermatozoen. Nachtrag von W. His.
18. E. Veillon, Der Fleischl-Miescher'sche Haematometer und die Prüfung seiner
Leistungsfahigkeit.
19. F. Egger, Beobachtungen an Menschen und Kaninchen über den Einfluss des
Klimas von Arosa (Graubünden, 1890 m) auf das Blut.
20. J. Karcher, E. Veillon, F. Suter, Ueber die Verinderungen des Blutes
beim Uebergang von Basel (266 m) nach Champéry (1052 m), Serneus (986 m)
und Langenbruck (700 m).
21. F. Miescher, Bemerkungen zur Physiologie des Hóhenklimas.
22. F. Suter und A. Jaquet, Hóhenklima und Blutbildung, als Anhang.
muc bea uo sae
A.-F. Le Double, Traité des variations du système musculaire de
l’homme et leur signification au point de vue de l'anthropologie
zoologique. Avec une préface de E.-J. Marey. Paris 1897.
C. Reinwald, Schleicher frères. 8. T. I. XVI et 368 S. T. II.
516 «S. EC:
Das Werk enthält mehr als der Titel verspricht, denn es giebt eine sehr
genaue vergleichende Anatomie der Muskeln der Säugetiere, soweit sie für die
morphologische Deutung der Varietiiten beim Menschen in Betracht kommen.
Ferner sind die Litteraturangaben und die der Synonyme, sowie das Register
rühmend hervorzuheben. Diese Umstiinde machen das Buch ausserordentlich
brauchbar für Jeden, der thatsächlich mit Myologie zu thun hat.
80 Referate.
F. Reinke, Anatomie des Menschen für Studierende und Aerzte.
Mit genauer Beriicksichtigung der neuen anatomischen Nomen-
clatur. Wien u. Leipzig 1898. 8. Urban & Schwarzenberg. I. Liefe.
Knochen, Binder und Muskeln. 202 S.
A. Rauber, Lehrbuch der Anatomie des Menschen. 5. Aufi. Leipzig.
8. A. Georgi. Bd. I. 1897. VI u. 774 S. Mit 576 z. T. farbigen
Abbild. Bd. II. 1898. VII u. 882 S. Mit 773 z. T. farbigen Abbild.
. Toldt, Anatomischer Atlas fir Studierende und Aerzte, unter Mit-
wirkung von A. Dalla-Rosa. Wien u. Leipzig 1897. 8. Urban
& Schwarzenberg. V. Liefg. Eingeweidelehre. Fig. 617— 903.
S. 388—536.
. Toldt, C. von Langer’s Lehrbuch der systematischen und topo-
graphischen Anatomie. 6. Aufl. Wien u. Leipzig 1897. W. Brau-
miller. 8. XIV u. 870 S. Mit 3 Taf.
Die genannten anatomischen Werke werden hier zusammen besprochen, weil
sie trotz aller sonstigen Verschiedenheit eine Eigenschaft gemeinsam haben. Sie
befolgen nämlich alle die neue Baseler anatomische Nomenclatur. Nicht gedanken-
los und nicht ohne klemere Abweichungen, aber sie befolgen sie. Sieht man auf
die früheren Erscheinungen von Spalteholz' Atlas, das Lehrbuch von Richter, das
itahenische Handbuch der Anatomie von Romiti, die Gewebelehre von Stóhr und
die sehr wichtige Skeletlehre von Graf Spee, so lässt sich nicht verkennen, dass
die Vorteile, die aus der von so vielen Anatomen geleisteten grossen Arbeit eine
einheitliche (lateinische) anatomische Nomenclatur zu schaffen, resultieren müssen,
wenigstens in Deutschland bereits voll gewürdigt werden. Nicht minder sind die
Buchhandlungen beteiligt, und schon heben Urban & Schwarzenberg auf dem
Umschlag hervor, dass jeder der neuen Atlanten zu dem von ihnen verlegten Lehr-
buch zu gebrauchen sei.
Ueber den Atlas von Toldt wurde bereits früher in dieser Monatsschrift
referiert; das jetzt vorliegende Heft enthalt die Eingeweide, deren Muskeln mit
quergestreiften Fasern wiederum bräunlich tingiert sind. Zahlreiche mikroskopische
Abbildungen erläutern den feineren, histologischen Bau.
Das Lehrbuch von Toldt ist seit der letzten Auflage von 790 Seiten auf 870
angewachsen, das von Rauber von 1610 Seiten auf 1656. Beides unvermeidlich,
wenn auch schwerlich zur Freude der Studierenden. Doch brauchen sie wenigstens
keine Synonyme mehr zu lernen, deren Betrag in gewóhnlichem Druck Rauber
(S. VI) auf !/, Druckbogen berechnet hat. — Den früheren Bemerkungen über beide
Lehrbücher (diese Monatsschrift. 1893. Bd. X. S. 32 u. 138. — 1894. Bd. XI.
S. 527) wäre nichts wesentliches hinzuzufügen.
Die Anatomie von Reinke stellt sich als ein kleines, klar geschriebenes Com-
pendium dar, das zum Repetieren gute Dienste leisten wird.
(C2
(PD
Buchdruckerei Richard Hahn (H. Otto), Leipzig.
MAY 5 1898
>
E
Ueber eine neue Methode zur kraniologischen Charak-
teristik der Nase.
I. Teil. Die Variationen der Linearmaasse des Nasenskeletts.
Von
Prof. Dr. Aurel v. Tórók,
Director des anthropologischen Museums in Budapest.
(Mit Tafel IV.)
Wenn wir über das Wesen des bei jedwedem wissenschaftlichen
Problem gemeinsamen Bestrebens nach móglichst rascheren Methoden
der Forschung nachdenken, so müssen wir zu der Erkenntnis kommen,
dass in diesem Bestreben sich ein allgemeines Lebensprincip wieder-
spiegelt, welches der ganzen socialen Thàtigkeit der Menschheit gerade-
zu den Stempel aufdrückt." Wir können nicht anders, ein Instinkt
ist es, weleher uns behufs Erreichung irgend eines Zieles immer zur
Ergreifung der leichtesten Mittel anspornt. Und diesem Instinkt ver-
danken wir schliesslich auch alle Fortschritte in der menschlichen
Cultur. — Dass also auch im streng wissenschaftlichen Gebiet dieser
Instinkt ein ausschlaggebendes Moment bildet, darf mithin nicht in
Frage gestellt werden.
Freilich kann ein solches Bestreben nicht von Gefahren frei sein,
und. namentlich belehrt uns ganz besonders die bisherige Geschichte
*) Ganz richtig bemerkt Prof. Scipio Sighele: „man stelle sich vor, was ein-
treten würde, wenn die Menschen nicht mehr zur Erreichung ihrer Ziele die
leichtesten, sondern die schwierigsten Mittel suchen würden; man würde dann finden,
dass die Gesellschaft — wenn so etwas dann noch bestünde — in nichts den Ge-
sellschaften, die wir heute kennen, gliche* (s. Psychologie des Auflaufs und der
. Massenverbrechen“. Autorisierte deutsche Uebersetzung von Dr. Hans Kurella.
Dresden und Leipzig. 1897. S. 7).
Internationale Monatsschrift für Anat. u. Phys. XV, 6
82 A. v. Tórók,
der Kraniologie, mit welch leichten Methoden man sofort das hóchst
schwierige Problem der Menschenrassen in Angriff nahm; wo wir doch
heute, also bereits nach Verlauf eines mehr als halben Säculums, der
Wahrheit gemäss gestehen müssen, dass die bisher ergriffenen Mittel
zur Erreichung des Zieles allzuleicht waren.
Nachdem man nämlich drei Jahrzehnte hindurch die Menschen-
rassen lediglich auf Grundlage von einigen linearen Messungen des
Hirnschädels in wissenschaftlich bestimmte Gruppen einteilen zu können
wähnte und nachdem man erst seit beiläufig zwanzig Jahren behufs
der Rassenkraniologie auch Messungen des Gesichtes für nötig hielt,
muss man doch gestehen: dass weder die bisherigen Messungen am
Hirnschádel, noch dieselben am Gesichtsschädel zur Erreichung des
Zieles genügen; da wir heutigen Tages das Problem der ethnologischen
Schádelformkategorien für viel complicierter, d. h. für viel weniger ge-
löst halten müssen, als dies in der Erstlingsperiode der ethnologischen
Kraniologie der Fall war. Dass also hier das ausschlaggebende Moment
nur in der verhältnismässig zu grossen Leichtigkeit der bisher er-
griffenen Mittel behufs Erreichung des Zieles liegen muss, kann doch
keine Frage mehr sein.
Man braucht ja nur ein einziges Mal einerseits die Leistungs-
fahigkeit unserer bisherigen Messinstrumente und anderseits die an
und für sich schon complicierte und ausserdem noch die proteusartig
variierende Schádelform ohne Voreingenommenheit in Betracht ziehen,
um zu der unerschütterlichen Ueberzeugung zu gelangen, dass wir in
der ethnologischen Kraniologie einem zu grossen Optimismus huldigen,
wiewohl die von Tag zu Tag sich vermehrenden und immer lauter
auftretenden Widersprüche bei den kraniologischen Forschungen doch
auf die Illusion unseres Optimismus: eine schwierige Sache. auf möglichst
leichte Weise erledigen zu kónnen, ganz deutlich aufmerksam machen
sollten.
Nicht genug, dass man bei den ethnologischen Schádelforschungen
seit jeher nur die allereinfachsten, somit nur solche Messinstrumente
benutzte, deren Leistungsfàhigkeit eine höchst einseitige und be-
schránkte war, man hat aber auch nicht einmal diese Leistungsfáhigkeit
ganz erschöpfend in Anspruch genommen, indem man gelegentlich
Ueber eme neue Methode zur kraniologischen Charakteristik der Nase. 83
behufs Messung eines kraniologischen Merkmales sonderbarer Weise
schon zu einem verhältnismässig viel complicierteren Instrumente Zu-
flucht nahm, welche Messungen man mittelst der einfacheren Instrumente
doch viel leichter und viel pràciser hätte ausführen können. Dies ist
z. B. der Fall bec der Bestimmung der Höhe des Nasenrückens,
welches kraniologische Merkmal doch ohne Zweifel zu den aus-
gezeichnetesten Unterscheidungsmerkmalen einerseits des Menschen-
und Tierschädels und andererseits der einzelnen Menschenrassen ge-
rechnet werden muss. Und ich will schon hier vorweg bemerken,
dass, weil man dieses höchst wichtige kraniologische Merkmal bei dem
Rassenstudium nicht auf leichte Weise in Betracht ziehen konnte,
dasselbe eben deshalb gänzlich vernachlässigt wurde.
Meines Wissens war es Dr. Hilgendorf, der behufs einer Messung
der Erhebung des Nasenrückens zum erstenmale ein specielles Ver-
fahren angab, welches er bei der kaniologischen Untersuchung der
Japaner und Aino angewendet hat (s. in Dr. Dönitz’: „Bemerkungen
über Aino“. Mitteilungen der deutschen Gesellschaft für Natur- und
Völkerkunde Ostasiens etc. Yokohama 1874. 6.H.) — Dr. Hilgendorf hat
nämlich Papier in der Weise bogenförmig ausgeschnitten, dass man
die Enden dieses Bogens über die Nasenwurzel hinweg an die inneren
Augenwinkel anlegen kann. Man muss nämlich für ein jedes Indi-
viduum einen solchen Papierausschnitt zurecht machen, nachdem man
zuvor den Abstand der inneren Augenwinkel mit dem Zirkel gemessen
hat. Und wenn man den Papierausschnitt in die richtige Lage gebracht
hat, ist es, wie Hilgendorf sagt, leicht, mit Hülfe eines geraden Maass-
stabes die Erhebung der Nasenwurzel über die die beiden Augenwinkel
verbindende Linie zu messen. Topinard erwähnt zwar, dass er auch
für das Verhältnis der Erhebung des Nasenrückens zur Breite der Nase
(bei lebenden Menschen) einen Index (,indice nasal autéro-postérieur“)
angewendet hat, welchen er aber deshalb aufgab, weil die Re-
sultate der Charakteristik der Nase mittelst dieses Index mit denjenigen
Breite der Apertur x 100
Höhe bez. Länge der a
übereinstimmten (!) (s. Éléments d'Anthrop. générale. Paris 1885.
p. 301). — Endlich hat C. v. Merejkovsky ein aus Stahl verfertigtes
6*
des allgemein gebràuchlichen Nasenindex (
84 A. v. Torok,
Instrument behufs der Bestimmung der Erhebung des Nasenriickens
angewendet, welches zum Teil dem Princip des Hilgendorf’schen Ver-
fahrens entspricht. — In der Kraniologie konnte aber — wie ich vorhin
erwähnte — bisher das Studium der Erhebung des Nasenrückens keine
Wurzel fassen.
Bevor ich auf die Besprechung meines einfachen Verfahrens selbst
übergehe, muss ich noch einiges über die besondere Wichtigkeit der
Erhebung des Nasenrückens beim menschlichen Typus voraufschicken.
— Ich habe in meinen kraniometrischen Arbeiten bereits wiederholt
auf den wesentlichen Unterschied zwischen dem menschlichen und
tierischen Nasenrücken hingewiesen. — Nur bei der menschlichen
Nase erhebt sich der Nasenrücken dachförmig aus der Gesichtsebene,
während derselbe bei den Tieren entweder in der Flucht der all-
gemeinen Gesichtsebene bleibt, oder aber sogar sich noch vertieft —
und dies letztere ist namentlich bei den uns zumeist verwandten Tieren
(Anthropoiden und gewöhnlichen Affen) der Fall. — Der menschliche
Nasenrücken weist somit einen stegorrhinen (ovéyn == Dach), der
tierische Nasenrücken hingegen einen astegorrhinen Typus auf. Und
eben weil in Bezug auf dieses Merkmal bei den verschiedenen Menschen-
rassen infolge der Variationen der Schädelform gewisse Annäherungen
zum tierischen Typus zu beobachten sind, ist es doch unerlässlich,
diesem wichtigen Moment in der Rassenkraniologie fürderhin Rechnung
zu tragen. |
Wenn wir die verschiedenen Menschenschädel auf die knóchernen
Nasenrücken hin untereinander vergleichen, so bemerken wir, dass der
Nasenrücken aus der Gesichtsebene in verschieden starkem Grade
hervorspringt, so dass, wenn man die extremen Fälle berücksichtigt
einerseits auffallend stark hervorspringende und anderseits äusserst
schwach hervorspringende Nasenrücken unterschieden werden können.
In dem letzteren Falle sind wir gewiss berechtigt, von einer Annähe-
rung an den tierischen Typus zu sprechen, da das Fehlen des Vor-
springens doch ein exquisit tierisches Merkmal ist. — Dieses Fehlen
Ueber eine neue Methode zur kraniologischen Charakteristik der Nase. 85
des Vorspringens ist aber gerade für die Affenschádel und namentlich
bei den Anthropoiden besonders auffallend, bei welchen man im Be-
reiche des Nasenrückens sogar eine deutliche Vertiefung der Gesichts-
ebene antreffen kann. — Wenn wir also sámtliche Variationen des
knóchernen Nasenrückens zusammenfassen, werden wir einerseits einen
ausspringenden und anderseits einen einspringenden Winkel der me-
dianen Profilinie des Gesichts als die zwei Endstufen der Variation
unterscheiden müssen; der erstere ist für den Menschenschádel, der
letztere speciell für den Affen-(Anthropoiden-)Schádel charakteristisch.
Durch diese Formulierung dieses charakteristischen Unterschiedes
ist zugleich unsere Aufgabe gegeben, welche darin besteht, den ver-
schiedenen Verlauf der medianen Profilinie des Gesichts geometrisch
zu bestimmen und diese Bestimmung in exacten Zahlwerten auszu-
drücken.
Wie ist dies, und zwar auf möglichst einfache und mühelose Weise,
zu bewerkstelligen? — Hierzu genügt schon ein gewöhnlicher Zirkel;
der in der Kraniologie bereits allgemein verwendete Schieberzirkel
(Compas glissiere) ist nur deshalb von Vorteil, weil man bei seiner
Anwendung zugleich auch das Resultat der Messung an dem Milli-
meterstabe ablesen kann. Die ganze Manipulation besteht also nur
in directer Linearmessung zwischen gewissen Punkten der medianen
Gesichtslinie. Diese Linearmessungen (s. Fig. 1) beziehen sich auf die
Bestimmung der Distanz zwischen dem Medianpunkte der Nasenwurzel
(nasion — na) und dem medianen unteren Endpunkte des knöchernen
Nasenrückens (rhinion — 1), ferner der Distanz zwischen diesem letzteren
Punkte (ri) und zwischen der Spitze des unteren Nasenstachels
(akanthion — ak) einerseits, sowie auf die Bestimmung der Distanz
zwischen dem Medianpunkte der Nasenwurzel (na) und der Spitze des
Nasenstachels (ak) anderseits. Hat man diese drei linearen Distanzen
einmal bestimmt, so stehen die nötigen geometrischen Daten sämtlich
bereits zu unserer Verfügung, um das Verhalten des knöchernen
Nasenrückens in kraniometrischen Zahlwerten, und zwar mittelst Index-
wertgrössen, exact auszudrücken.
Um eine genaue Einsicht in das „Warum“ des ganzen Verfahrens
gewinnen, und somit auch eine volle Ueberzeugung von der Richtigkeit
86 A. v. Tórók,
desselben sich verschaffen zu kónnen, muss ich folgende Ueberlegungen
anführen.
Zunächst wollen wir fragen, worin die geometrische Aufgabe
dieser kraniometrischen Manipulationen besteht? — Wir wollen hier
den Unterschied zwischen dem Verlaufe der Gesichtsebene und der
medianen Profillinie des Nasenskeletts nachweisen. Behufs Darstellung
der Gesichtsebene bedienen wir uns einer einfachen Linie, die zwischen
dem Medianpunkte der Nasenwurzel (na) und der Stachelspitze (ak)
zieht; sie zeigt uns die Richtung der medialen Gesichtsebene an, d. h.
die mediane Profillinie des Gesichts, wenn der Nasenrücken weder
einen Vorsprung noch eine Vertiefung bilden würde (welcher Fall
namentlich bei Tieren zutreffen kann) Diese na — ak Distanz stellt
immer eine gerade Linie dar. — Würde also der Nasenrücken weder
einen Vorsprung noch eine Vertiefung in der medialen Gesichtsebene
bilden, so müsste die mediane Profillinie des Nasenrückens (»a— 72) mit
ihr völlig zusammenfallen (wie dies zuweilen bei Affen auch der Fall
ist). In diesem Falle würden zugleich die zwei Distanzen zwischen
na— ri und ri— ak in dieselbe gerade Linie zusammenfallen (s. Fig. 2;
na, 0, ak). — Sobald aber der Nasenrücken nur ein wenig hervorsteht
oder aber eine Vertiefung in der medialen Gesichtsebene bildet, kónnen
diese zwei Distanzen (na — ri, ri— ak) keine gerade Linie mehr darstellen,
sie müssen eine winkelig gebrochene Linie bilden, d. h. die mediane
Profillinie zwischen der Nasenwurzel und dem unteren Nasenstachel
wird nunmehr aus zwei winkelig zusammenstossenden Linien zu-.
sammengesetzt [(na — ri) + (ri — ak)]. Da ferner eine zwischen zwei
Punkten (na—ak) gerade verlaufende Linie allein nur einen gestreckten
Winkel (180?) bildet, so muss eine zwischen zwei Punkten gebrochen
verlaufende Linie [(na— ri) —+(ri—ak)] unbedingt einen kleineren Winkel
bilden als ein gestreckter; und zwar muss dieser Winkel umso kleiner
werden, je stärker die Linie gebrochen ist. — Die Linie wird aber
umso stärker gebrochen, jemehr der Scheitelpunkt zwischen den zwei
Schenkeln der winkeligen Linie sich von der Richtung der geraden
Linie entfernt (s. die Scheitelpunkte 17’, ri’, r?", sowie rà, ris, ri, in
der Fig. 2) Da aber der Scheitelpunkt der winkelig gebrochenen
Linie zugleich auch die Entfernung von der geraden Linie angiebt, so
Ueber eine neue Methode zur kraniologischen Charakteristik der Nase. 87
kann auch der Vorsprung oder die Vertiefung des Nasenriickens in der
medialen Gesichtsebene in Bezug auf die gerade Linie (na — ri) ganz
exact bestimmt werden. — Allerdings ist diese directe Bestimmung am
knóchernen Schädel mittelst des gewöhnlichen Zirkels oder des Compas
glissiére nicht ausführbar. Eine solche directe Messung ist aber auch
gar nicht nótig.
Stellt man nämlich die linearen Abstände zwischen na — ak einer-
seits und zwischen na — ri sowie ri — ak andererseits in ihrem natürlichen
Zusammenhange graphisch dar, so bekommen wir ein Dreieck (na— ri —
ak, Fig. 2), in welchem der Abstand des Scheitelpunktes (vi) von der
Grundlinie des Dreiecks (na — ak) durch eine Normale (ri — 0) direct be-
stimmt werden kann. — Die jedesmalige graphische Darstellung der
‚drei Linearmessungen, sowie die Bestimmung des Abstandes des
Scheitelpunktes der gebrochenen Linie von der geraden Linie ist zwar
nicht schwierig, aber gewiss zeitraubend; namentlich wenn wir unsere
Untersuchung auf eine grössere Anzahl von Schädeln ausdehnen müssen,
— Zum Glück ist dies aber auch gar nicht notwendig, weil wir uns
einer einfachen Indexformel bedienen können, welche die graphische
Darstellung gänzlich überflüssig macht. Die graphische Darstellung ist
nur dann nötig, wenn der am meisten hervorstehende, respective der
. am tiefsten liegende Punkt nicht auf das rhinion (ri) fällt, wie dies
letztere z. B. auch bei dem hier auf Fig. 3 abgebildeten medianen
Gesichtsprofil eines Gorillaschädels der Fall ist.
Wir werden hier im folgenden nur mit denjenigen Fällen zu
thun haben, in denen die obige Voraussetzung entweder gänzlich oder
innerhalb der Grenzen von nur kleinen — und deshalb auch zu ver-
nachlässigenden — Abweichungen zutrifft. — Für alle diese Fälle
genügen die am knöchernen Schädel bewerkstelligten linearen Distanz-
messungen zwischen na — ak einerseits und zwischen na — ri, sowie
ri— ak andererseits vollends, um ihre Maasswerte unmittelbar zur
Aufstellung des Höhenindex des Nasenrückens verwenden zu können.
Zum vollen Verständnis dieses Index muss ich noch die folgenden
elementar-geometrischen Erläuterungen voraufschicken.
SS A. v. Tórók,
Wie wir wissen, sind in einem Dreieck je zwei Seiten immer
grösser als die dritte; oder weil zwischen zwei Punkten die kürzeste
Distanz immer nur eine gerade Linie sein kann, so müssen die zwei
Schenkel einer gebrochenen Linie zwischen den Endpunkten der
geraden Linie immer ein grósseres Linearmaass ergeben als die gerade .
Linie. Dieser Gróssenunterschied des Maasses wächst nun mit dem
Abstande des Scheitelpunktes der gebrochenen Linie, d. h. mit der
Höhe des Dreiecks. So ist in der Fig. 2:
(ak — ri) + (r? — na) > als ak — na)
(ak — ri) + (rf — na) > „ (ak— ri) + (ri — na)
(ak — ri) + (r^ —na) > „ (ak—ri°)4 (n — na)
weil auch die Höhe (y! — 0) > (y? — 0) (y' — 0) ist.
Aus diesem functionellen Zusammenhange der drei Linien ergiebt ©
sich, dass wir schon aus dem Unterschiede zwischen dem Linear-
maasse der geraden Linie (ak — na) und der gebrochenen Linie [(ak —
ri)-|-(ri— na)| auf die Höhe, d. h. Vorsprung (y —0) des knóchernen
Nasenrückens einen exacten Rückschluss ziehen können. Wir werden
also das jeweilige Verhalten des knöchernen Nasenrückens in Bezug
auf die mediale Gesichtsebene mittelst eines solchen Index — in
welchem die lineare Distanz der gebrochenen Linie zu derjenigen der
geraden Linie in Verhältnis gebracht ist — mathematisch genau
charakterisieren können. |
Nun haben wir das Ziel erreicht, um mit möglichst wenig Mühe
und mittelst Anwendung des einfachsten Messinstruments die Varia-
tionen eines solchen kraniologischen Merkmales der Schädelform streng
wissenschaftlich erforschen zu können, welches innerhalb der speci-
fischen Unterscheidungsmerkmale zwischen dem Menschen- und Tier-
typus eine so auffallende Rolle spielt.
Nach dem bereits Gesagten ergiebt sich die Formel dieses Index
(Höhenindex des Nasenrückens) wie von selbst. — Da wir nämlich
den Grössenunterschied zwischen dem Linearmaasse der durch den
Vorsprung des Nasenrückens gebrochenen Linie des medianen Nasen-
gerüstprofiül und der medianen geraden Linie des Nasengerüstes in
Ueber eine neue Methode zur kraniologischen Charakteristik der Nase. 89
ein Verhàltnis bringen miissen, so werden wir die Distanz der geraden
Linie zum Vergleichsmaassstab nehmen. Als Nenner im Bruche wird
also das Linearmaass na— ak fungieren, während als Zähler das Linear-
maass der gebrochenen Linie (na — ri) + (ri— ak) genommen wird.
Dieser Zähler wird wie bei den übrigen Indices mit 100 multipliciert.
— Die Formel des Hóhenindex der knóchernen Nase ist also:
(na — ri) + (ri — ak) >< 100
na — ak
Bildet also der Nasenrücken gar keinen Vorsprung, d. h. fállt die
Linie na—r? mit der Linie na — ak zusammen, so muss der Index — 100
sein, in allen übrigen Fällen aber grösser als 100, gleichviel, ob der
knócherne Nasenrücken einen Vorsprung oder aber eine Vertiefung in
der medialen Gesichtsebene bildet, d. h. ob die gebrochene Linie einen
aus- oder einen einspringenden Winkel bildet.
In Fig. 2 sind beide Falle graphisch dargestellt, — In dieser
Figur stellt die horizontale Linie ak—na (die sogen. ganze Nasenlänge)
dar, die oberhalb derselben gezeichneten gebrochenen Linien (ak — ri‘)
+ (ri — na) etc. stellen die Fälle dar, wenn der knócherne Nasenrücken
einen Vorsprung bildet (diese Falle sind mit dem + Zeichen versehen);
die unterhalb derselben gezeichneten gebrochenen Linien (ak — rt)
+ (ri, — na) etc. stellen dagegen diejenigen Fälle dar, in denen der
Nasenrücken eine Vertiefung in der medialen Gesichtsebene bildet (sie
sind mit dem — Zeichen versehen).
In Fig. 2 ist die zur gemeinsamen Maasseinheit dienende gerade
Linie ak —na=90 mm, während die zwei Schenkel der gebrochenen
Linie ak — ri und ri — oberhalb und unterhalb der Grundlinie (ak—na)
je nach rechts und links (behufs Vereinfachung der Demonstration)
gleich genommen wurden und deren Maassgrósse mit der Hóhe des
ri Punktes ober- und unterhalb der Grundlinie sich ganz gleichmässig
verändert. — Die Veränderung der Höhe des Scheitelpunktes in den
Dreiecken ist so gewählt, dass der Unterschied ober- und unterhalb
der Grundlinie immer derselbe bleibt; und zwar ist: o— ri: —5 mm
—0——rh, o— rn —10 mm-—0— ri, o—ri—15 mm —0— ri. —
Die Maasswerte der gebrochenen Linie (ak — ri) + (ri — na) verhalten
sich also:
90 A. v. Török,
1. bei (ak — ri) + (ri — na) — 50.3 mm + 40.3 mm
2. , (ak —11) +(rif—na)—51.0 , +412 ,
3. , (ak—r)--(r?—na)— 52.9 , +427 ,
Ebenso sind die Maasswerte bei (ak — ri.) + (rix — na) etc.
Laut der Indexformel erhalten wir also folgende Indexzahlen:
. [ak — ri’ | —n: 1 90. |
AN [(ak— ri) + (ri! — na)] = 100 __ 90.6 >< 100 _ 100.66
ak — na 90
ie [(ak — ri?) + (ri? — na)] = 100 __ 92.2 >< 100 — 109.44
ak — na 90
ACHATS RENE
ET [(@ak—ri°) + (ri'—na)] > 100 _ 94.9 >< 100 _ ,0g44
ak — na 90 |
Dieselben gelten auch für i EXE OQ ete.
ale ma
Behufs einer raschen Messung der drei Linearmaasse legt man
die eine Spitze des Zirkels am Mittelpunkte der Nasenwurzel (na) an
und misst mit der anderen Spitze zunächst die Entfernung der Nasen-
stachelspitze (ak) —na—ak; dann lüftet man diese letztere Spitze
des Zirkels und bestimmt die Entfernung des medianen Endpunktes
des Nasenrückens (r2)=na— ri; hierauf lüftet man beide Zirkel-
spitzen, legt die eine am 72 und die andere am ak an, wodurch die .
Entfernung 72 — ak bestimmt ist.
Hiermit ist bereits Alles mitgeteilt, was zum Verstàndnis meines
neuen Verfahrens zur kraniometrischen Forschung der Nasenrückenhóhe
nótig ist. — Behufs einer systematischen Forschung der kraniome-
trischen Charakteristik des Nasenskeletts habe ich ausser diesem so-
wie dem bisher einzig allein gebräuchlichen und bekannten sogen.
Aperturbreite -- 100 — AB -« 100
Aperturlinge = ak—na
Nasenindex | | auch noch den von
mir in meiner Gorillaarbeit vorgeschlagenen Nasenaperturindex
Aperturbreite >< 100 — AB >= 100
| Aperturhóhe kn
| — s. in dieser Monatsschrift 1887,
Bd. IV, Heft 4 u. flg. — bestimmt, um das gegenseitige Verhalten (Corre-
lation) dieser drei Indices — die behufs einer wissenschaftlichen
Charakteristik der knóchernen Nase unbedingt sämtlich in Betracht
Ueber eine neue Methode zur kraniologischen Charakteristik der Nase. 91
gezogen werden miissen — einem systematischen Studium unterwerfen
zu können. — Ich habe dieses Studium bei insgesamt 3000 Schädeln
meiner Sammlung (worin 2851 aus Ungarn, 149 fremdländisch sind)
ausgeführt.
Da ich eben in dieser Monatsschrift bereits zu wiederholten Malen
über die allgemeinen theoretischen Prineipien und Methoden der kranio-
metrischen Forschung berichtet habe, werde ich mich diesmal nur auf
die Bekanntmachung der Hauptergebnisse der Forschung selbst be-
schränken.
Nichts ist bezeichnender für den bisherigen Gang in der kranio-
logischen Forschung, dass man — wie ich dies schon so oft hervor-
heben musste — bei der bisher einzig ausschlaggebenden praktischen
Richtung in der Auffassung des kraniologischen Problems immer sofort
schon einen zweiten Schritt wagte, bevor man noch den ersten Schritt
ausgeführt hatte. Man hat nämlich bisher ausschliesslich nur die
Variationen der kraniometrischen Maassverhältnisse (Indices) in Be-
tracht gezogen, ohne vorher die Variationen der zu den Indexzahlen
genommenen Einzelmaasse selbst eines Blickes zu würdigen. — Das
Studium der Indices ist ja doch kein Endzweck, sondern nur eines der
Hülfsmittel behufs Erforschung der Schädelform. — Freilich hat man
bisher die Bestimmung der Einzelmaasse lediglich behufs Erlangung
der Indices ausgeführt, in der Meinung, dass mit der Bestimmung der
Indexwerte selbst schon alles Nötige zur Kenntnis der varlierenden
Schädelform herbeigeschafft ist. In dieser Verwechslung des Mittels
mit dem Zwecke muss zunächst eines derjenigen Momente gesucht
werden, durch welche bisher die Entwickelung einer streng wissen-
schaftlichen Kraniometrie vereitelt wurde. — Wenn wir der goldenen
Regel gemäss bei unseren Untersuchungen vom Einfacheren zum Zu-
Sammengesetzteren übergehen wollen, so müssen wir doch mit der
Vergleichung der Einzelmaasse (in den drei Dimensionen) beginnen,
um erst dann auf die Vergleichung der Verhältniszahlen dieser Einzel-
maasse selbst überzugehen. — Wäre es möglich, aus den Wertgrössen
der Indices zugleich auch die Werterössen der betreffenden Einzel-
92 A. v. Torok,
maasse zu erkennen, — dann (und nur in diesem Falle) kónnte es
gerechtfertigt sein, behufs einer Verkürzung der Arbeit sofort die
Variationen der betreffenden Einzelmaasse selbst zum Ausgangspunkte
der Untersuchung zu nehmen.
Wir werden also vor allem die Variationen der Einzelmaasse des
Nasenskeletts einem systematischen Studium unterziehen, um erst nach
Erledigung dieses — ohnehin schon an und fiir sich — complicierten
Problems, auf das Studium der Variationen der betreffenden Index-
zahlen überzugehen. — In diesem Aufsatze wird also lediglich von
den Variationen der oben erwihnten 4 Linearmaasse die Rede sein.
l Die Variationsbreiten der 4 Linearmaasse.
Wir wollen zunächst die Grenzen der Variation der 4 Einzel-
maasse (1. na — ak, 2. na — ri, 3. ri — ak, und 4. AB) einem ver-
gleichenden Studium unterwerfen. — Dieses Studium beginnt damit,
dass man von einem jeden Einzelmaasse zunichst die Schwankungs-
breite (Oscillationsbreite — Ob) = Min — Max bestimmt, um dann diese
Sehwankungsbreiten unter einander zu vergleichen.
Bei unseren 3000 Schádeln ergaben sich die Schwankungsbreiten
der 4 Linearmaasse wie folet:
1. für die Nasenaperturbreite (AB) Min — 17 mm,') Max — 32 mm, )
Ob —16 Einheiten.')
2. , , Nasenrückenlànge (na — ri) Min — 8 mm, Max — 33 mm,
Ob = 26 Einheiten.
3. , » Nasenaperturhóhe (ri — ak) Min — 18 mm, Max — 43 mm,
Ob = 26 Einheiten.
4. „ , ganze Nasenlänge (na — ak) Min — 32 mm, Max — 62 mm,
Ob —31 Einheiten.
7) Ich muss hier folgende Bemerkungen machen. Erstens beziehen sich die
Minima mit Ausnahme von 4B bei allen übrigen drei Linearmaassen auf Kinder-
schädel; bei 4B wies ein Frauenschädel den Minimalwert auf, d. h. unter den
3000 Schädeln hatten sämtliche Kinderschädel eine grössere Aperturbreite als
17 mm. Ich hatte Kinderschädel von über drei Jahren deshalb in die Serie auf-
genommen, um möglichst die verschiedensten Variationen der Maasse studieren zu
können. Zweitens, da die Messungen mittelst eines mit Nonius versehenen Schieber-
zirkels ausgeführt wurden, habe ich die Zehntel eines Millimeters auf die Weise
Ueber eine neue Methode der kraniologischen Charakteristik der Nase. 93
Dass hier na — ri und re — ak dieselbe Ob — 26 Einheiten auf-
weist, muss gewiss als ein Zufall betrachtet werden. — Um derartige
Sehwankungsbreiten in ihrer Gegenseitigkeit leichter vergleichen zu
können, pflege ich zweierlei Verfahren einzuschlagen. — Einerseits
schreibe ich sämtliche verschiedene Wertgrössen der betreffenden
Linearmaasse in zunehmender Reihenfolge nebeneinander, wodurch
man die totale Schwankungsbreite dieser Linearmaasse bekommt,
innerhalb welcher die einzelnen Schwankungsbreiten mittelst ein-
klammernder Linien bezeichnet werden. (Behufs Raumersparnisses
habe ich hier die Zahlen nur derjenigen Millimeterwerte angegeben,
die zugleich Minimal- und Maximalwerte darstellen; hingegen sämtliche
übrigen Millimeterwerte durch die entsprechende Menge von Punkten
angedeutet.
Totale Schwankungsbreite der 4 Linearmaasse.
|
I, Ob ua ia...
2, Oo = ANR —— sr
eu pessimum
4t. (ip —nar ak
Anderseits stelle ich die totale Schwankungsbreite (hier: Min —
8 mm, Max=62 mm, Ob — 55 Einh.) als Vergleichsmaassstab, und
zwar — 100 Einheiten auf, um die einzelnen Schwankungsbreiten der
betreffenden Maasse in Procenten zu berechnen. Für diese 4 Linear-
maasse ist das Ergebnis der Berechnung wie folgt:
1. Ob der 4 Linearmasse — 100 E.
2. Ob von AB (17 —32 —16 E)— 29.09 9/,,
innerhalb der Einheiten untergebracht, dass, wie z. B. bei 4B. 16.5 — 17.4 = 17,
17.5 —18.4 — 18, u. s. w. Millimeter Einheiten genommen wurden. Drittens sind
die Maasseinheiten der Schwankungsbreiten zwischen Min. und Max. immer inclusive
berechnet, wie z. B. bei 4B ist Ob — 17—32 mm = 16 Einheiten, wie auch in der
That diese Anzahl der Maasseinheiten vertreten sind. — Von einer Mitteilung der
Originalmessungen bei den 3000 Schádeln (4 Linearmasse >< 3000 Einzelfälle = 12000
Einzelmessungen), die viele Druckbogen in Anspruch nehmen würden, musste ich
hier Abstand nehmen.
94 A. v. Torok,
33 Ob von na nus 33 = 261K) — 44279),
Ay Ob ai a= 43/26) ae
5. Ob ,, na—ak(32—62—31 E)— 56.36,
Diese Daten über die Schwankungsbreiten vorläufig zur Kenntnis
nehmend, wollen wir auf die nächstfolgende Frage, nämlich auf die
Untersuchung der Verteilung der Variation innerhalb der Schwankungs-
breite übergehen.
2. Die Verteilung der Variation innerhalb der Schwankungs-
breiten der 4 Linearmaasse.
Im ersten Augenblick ahnt man gewiss nicht die grosse Wichtig-
keit, welehe man der Frage der Verteilung der Variation innerhalb
der Schwankungsbreite beilegen muss; denn mit dieser Fragestellung
sind wir auf einmal vor die Alternative gestellt: entweder auf eine
weitere Erforschung des kraniologischen Problems verzichtend die
bisherige so allgemein liebgewonnene mühelose Art und Weise der
kraniologischen Untersuchungen auch weiterhin zu cultivieren, oder
aber den Entschluss zu fassen, allen denjenigen Schwierigkeiten scharf
ins Angesicht zu blicken, die sich einer raschen Erledigung des
kraniologischen Problems von allen Seiten her entgegenstellen.
In dem Augenblicke, in welchem wir gesonnen sind, die Frage
der Verteilung der Einzelfälle der Variation sytematisch in Angriff zu
nehmen, kónnen wir nicht mehr anders, als uns mit dem Studium der
Beschaffenheit der kraniometrischen Zahlreihen ganz eingehend zu
befassen, was fiir die ganze Disciplin von grundlegender Bedeutung
ist — da man bisher, ohne auch nur die geringste Sorgfalt auf dieses
Studium zu verwenden, die kraniometrischen Zahlreihen so behandelte,
als kénnte man schon mittelst der Berechnung einer arithmetischen
Mittelzahl zugleich auch auf die wesentliche Beschaffenheit der Zahl-
reihe selbst einen exacten, sicheren Rückschluss ziehen.
Mit dieser Fragestellung sind wir also an die Grenzscheide
zwischen der bisherigen alten und der neuen Richtung in der Auf-
fassung des kramiologischen Problems gelangt.
Mit Rücksicht darauf, dass wir hier zum erstenmale die praktische
Gelegenheit haben, die vielerlei Complicationen der kraniometrischen Zahl-
‘USPIOM PAUL uejwj[userpuzg[ usayr ur IMU “Y ‘p *esrews2nzsuve inu o[[9qvj[eurgri) orp LIU 9juuox stuwmdsaoumey smuog (4
5 80007 | 0008 |c9—ce|Te—r| 00007 | ooog |er—sr|9e—t|| rooor | oooe |ze—zt|91—1|| 10007 | 0008 |ee—8| 9e—T
9jueoorq |PPEPS | ‘AO "NT Joqueoorg | PPEUPS | “qa | "NT |939ue»otq [epeuos | “qa "NT [93uooorq |[opeqoq | ‘40 NUT
2 (hie ee eg Ig
E DIEN = SE = 9e CO
= Bet 9 a |
E "GR LOT oq UC |
E Gron — Mise Me
= yt w 20 9 lee 8v 96 | Kl ehe
i: LEG = — 299 0g Je = y ‘Ga LUo 7e © = ge. = “Ge
= GLS, = ell = a 36 | 0FO = 31 = IF 49 ize d — Ie = ra
E Gue — pel — y Segn 490 00. = 07 ‘68 Edi = DIN = Og =e
E QUU. TES = oe a BETIS == 68 ra OST 601—166 = 2c
5 (ibe — 166 MORE Ze iso, le = se ‘IG SOT go - er
a e901 = 618 = ES 02 | 068 = ZII = LE ‘08 LES BB = ul #00
È 0801 = FE — 08 61 | 219 — cer = 98 ‘61 SIG = Fol = 98 I
E Ao = que — Gu» IS |) M = ‘SI 807 = ST = S SI
> 0001 OS ee epa c Ki oa AS DI Le, == 170 = #6 LI
"e 06% = 486 = -ly 91 «1E — v8 = $8 Ue eee re ‘OT | 0007 = 008 = & 91
= LOGE DIT — ae ee 2061 ==098 — Ge CT a DON = S — 18 ‘GI | 066 = 266 = 8 ‘SI
3 Oly = GI — Gh an 8FII — 898 = Is LS OSEO 2 — 06 FI || vor NCIS = 16 ‘FI
à UOC 68 er Zee 096 — seo —= OE ci ao Cl ecg eee]
S eee Ee e a OC he ee — 568 Pete AGRIC me Ren rg ‘BI | 888 = 996 = 61 ‘ZI
© Ud PR E ee ee GEL ee TL | 29-0 = 14 ‘TI | 092 = 88 = 81 ‘IL
E CADENCE CITE, SIE Er 00 = 7 (OT || 4601 = 628 = 92 ‘OL | 002 = 018 = LI ‘OL
= OPO = GI = OF 6 | 493 -— 08 = 9 '6 | 6291 — LS - SG 6 | 007 = 081 = 91 6
E wo = Roe 8 ONG use — 33 8 | 092 = GL = SI 8
5 MEO era PO Um de ee 2 | BOB Erle — 8 Lo ee opp
E mo zer ile 9 || 080= = vd = C96 CAT — Ge 9 | 860 = 82 = 8I 9
= Do oM — gg Esc el tg nd DEG ee Ote = ke «GE EEE ee EEG
2 Ai PC. m ie scs etg p t| OSe=— cor — 07 u: BOR) so wm NT Sey
È OO ei ee ee ri 2 OCT - eg - e Bl (ch DU Oe iano
= SO) eque eec u ere — pl =) OPW Re == Bi >| 00 —0.2 — i NZ
E E00, MI MESE JA CODES = eT "bod AQ e qc m Wi DO goes ED eT
te) ——_——————#=———1À11———————_—————_————————————————_—_—_———t==-=de@@ "@11"1—@————1—-—-—-—-—-—-="« + +*@@«.«6«6—«««‘ °@A_.--iii«««««“«-««Z<“f“à«‘«ò»—muj-f{{t——ee=--eeegtetîteTeTe-efe”“T::e
"ly PES wu NT | °% Ppeps mw NT | % Tpeps ww NT %o Ppeypg ww NT
‘A 1g = uu 79 gg = dO "4»-vw p|'x 9g = wutgp—g8r = 40 ‘9-2 0 HOT = "" ZE—1T = dO ‘IP ‘A | HIS = WU gg—g = qQ 14-vw "e
(,'osspnpwADOWYT p LAP wojuomqozwan Uap wowosunz qoppuyog 0008 “ap Punpazıaa aq
96 A. v. Tórók,
reihen bei einem etwas geeigneteren Forschungsmateriale (3000 Schádel)
ausführlicher in Betracht ziehen zu kónnen, werden wir hier ganz sachte,
Schritt für Schritt, diese Complicationen einer systematischen Analyse
unterwerfen.
Zunächst müssen wir die nackten Befunde der Verteilung der
Variation der 4 Linearmaasse selbst kennen lernen. — Zu diesem
Zwecke schreibt man einerseits sämtliche einzelne Millimetermaasse,
die innerhalb der beiden Grenzwerte des betreffenden kraniometrischen
Linearmaasses vorkommen, in aufsteigender Reihe der Zahlgróssen auf,
und anderseits sucht man sämtliche Einzelfälle (Schädel) zu den einzelnen
Millimetermaassen auf und schreibt ihre Summe diesen letzteren gegen-
über, wie dies z. B. in der Tabelle auf S. 95 ausgeführt wurde.
Diese Tabelle ist einzig und allein nur deswegen von exact
wissenschaftlichem Werte, weil hier sämtliche 4 Linearmaasse immer
unter der gleichen Bedingung, d. h. immer bei derselben Anzahl der-
selben Schädel bestimmt wurden. — So wenig man bisher auf dieses
Moment der vergleichenden Forschung achtete, ebenso unerlässlich und
ausschlaggebend ist dasselbe für die Ermöglichung von wissenschaftlich
soliden Ergebnissen der Forschung. Ohne die strenge Bedingung von
„ceteris paribus“ können die Variationen der Einzelmaasse der Schädel-
form in Bezug auf ihre Gegenseitigkeit (Correlation) überhaupt nicht
untersucht werden. — Wenn man also behufs Begründung eines Corre-
lationsgesetzes die Messungen der einen und der anderen Kranio-
metrischen Linearmaasse bei verschiedenen Schädeln und bei wechselnder
Anzahl der Schädel ausführt, so ist die Möglichkeit der Erreichung
von soliden Forschungsresultaten schon durch dieses Moment allein
einfach vereitelt. Es wäre zu wünschen, dass in der Kraniologie
nach dieser Richtung hin nicht mehr gesündigt werde.
Da wir es hier mit der vergleichenden Untersuchung von ceteris
paribus zu thun haben, können wir die Analyse der Frage ganz syste-
matisch ausführen.
Wenn wir bereits wissen, dass die Einzelmaasse der Schädelform
auch ceteris paribus mannigfach variieren, was wir schon an der Ver-
schiedenheit der Schwankungsbreiten ganz deutlich erkennen, so können
Ueber eine neue Methode zur kraniologischen Charakteristik der Nase. 97
wir mit Hilfe der jetzigen Tabelle um einen Schritt weitergehen. Diese
Tabelle zeigt uns nàmlich ganz deutlich, dass eine Verschiedenheit der
Variation der kraniometrischen Einzelmaasse nicht nur bei Verschieden-
heit der Schwankungsbreiten auftritt, sondern auch innerhalb gleich-
bleibender Schwankungsbreite der Variation auftreten kann. Und
dieser letztere Fall ist es, welcher fiir uns von ganz besonderer
Wichtigkeit ist.
Nehmen wir vorerst die Verschiedenheit der Variation bei der
gleichen Schwankungsbreite in Augenschein. — Von den 4 Linear-
maassen weisen die Linearmaasse: a) na — v? und e) vi — ak gleiche
Schwankungsbreiten (Ob — 26 E), hingegen die Linearmaasse: 0) AB
(Ob = 16 E) und d) na—ak (Ob = 31) verschiedene Schwankungs-
breiten auf.
Während bei na — ri z. B. die Verteilung der Schädel auf die fünf
ersten Maasswerte die folgende ist: 1. auf 8 mm fällt 1 Schädel,
2. auf 9 mm = kein einziger, 3. auf 10 mm fallen — 2 Schädel, 4. auf
11 mm = 3 Schädel und 5. auf 12 mm — 10 Schädel; finden wir
bei »?— ak die folgende Verteilung auf die fünf ersten Maasswerte:
glo) mm == 25,19% mm. 2 35:201mmjo4, 74. 215mm) A
und 5. 22 mm = 10 Schädel. Und so können wir bis zu dem anderen
Grenzwerte der Schwankungsbreite fortfahrend die Verschiedenheit
in der Verteilung der Schädel bei diesen zwei Linearmaassen ganz
deutlich nachweisen. — Die Allgemeingültigkeit dieser Thatsache kann
dadurch keinen Abbruch erleiden, dass, wie z. B. bei diesen zwei
Linearmaassen auf dieselbe Stufe der Wertgrössen ausnahmsweise
dieselbe Anzahl der Schädel fällt, s. laufende No. 5 bei na— ri, wo
(auf 12 mm) 10 und bei 7i— ak, wo (auf 22 mm) ebenfalls 10 Schädel
- fallen; dies ist ebenso als ein Zufall zu betrachten, wie L No. 24,
wo bei na— ri (auf 31 mm) 12 und bei ri — ak (auf 41 mm) ebenfalls
12 Schädel fallen. Bei allen übrigen 24 Stufen der Wertgrössen tritt
dieser Zufall nicht wieder auf, da die Verteilung innerhalb der
Schwankungsbreite bei beiden Linearmaassen eine verschiedene ist.
Wenn also schon ceteris paribus speciell in diesem Falle bei derselben
Anzahl derselben Schädel und bei gleichbleibender Schwankungsbreite
— die Verteilung der Einzelfälle — eine verschiedene ist, so wissen
=
í
Internationale Monatsschrift für Anat. u. Phys. XV.
98 A. v. Torok,
wir schon im voraus, dass wir-eine gleiche Verteilung der Einzelfälle
bei ungleichen Schwankungsbreiten noch weniger zu erwarten haben
— wie es bei den beiden anderen Linearmaassen (AB und na — ak)
ebenfalls ganz deutlich zu sehen ist. So verhalt sich z. B. die Zunahme
der Einzelfälle für die fünf ersten Stufen der Wertgrössen bei AB wie
folgt: 1. No. 1 (auf 17 mm)— 5, I. No. 2 (auf 18 mm)— 12, 1. No. 3
(auf 19 mm) — 36, |. No. 4 (auf 20 mm) — 105, |. No. 5 (auf 21 mm)
— 906 Schädel; hingegen bei na — ak: 1. No. 1 (auf 32 mm)— 1,
9:.(auf 39 mm)— 1, 3:4 (auf 34^. mm) — 1; 4: (auf; 35) mm)-— b,
5. (auf 36 mm) — 6 Schädel etc. — Wenn man nun schon aus der
Variation eines bestimmten Linearmaasses ceteris paribus keinen sicheren
Rückschluss auf die Variation von anderen Linearmaassen ziehen kann,
was wollte man dann anfangen, wenn die Einzelmaasse nicht bei
denselben und nicht bei derselben Anzahl von Schädeln bestimmt
wurden?
Schon diese Thatsachen aus der Vergleichung der Variation
mussten uns zu der Ueberzeugung führen, dass die kraniometrischen
Zahlreihen sich auf hóchst complicierte Erscheinungen beziehen müssen,
deren Gesetzmissigkeit auf die bisherige Art und Weise der kranio-
logischen Forschung nicht erkannt werden kann.
Wenn wir nun die Zahlenreihen der Tabelle etwas näher betrachten,
so bemerken wir sofort eine gewisse Gesetzmissigkeit, die für die
Erforschung der Variationen der Schádelform von fundamentaler Wichtig-
keit ist. — Man bemerkt nàmlich, dass trotz einer Art Launenhaftig-
keit in der verschiedenen Verteilung der Einzelfille doch eine strenge
Gesetzmässigkeit obwaltet, da bei allen vier Einzelmaassen ohne Aus-
nahme eine von den beiden Grenzwerten (Min. und Max.) des
Linearmaasses ausgehende und gegen einen Mittelpunkt gerichtete,
also eine centripetale Zunahme der Anzahl der Einzelfälle anzutreffen
ast. Wenn wir also die zwei Grenzwerte von der Variationsreihe irgend
eines kraniometrischen Maasses kennen, so wissen wir schon im voraus,
dass dieselben oder die ihnen zunächst folgenden Wertgrössen bei
einer. zur wissenschaftlichen Forschung geeigneten Schädelserie —
immer durch die geringste Anzahl der Einzelfälle (Schädel) vertreten
sind. Diese Wertgrössen bilden so zu sagen immer Ausnahmefälle,
Ueber eme neue Methode zur kraniologischen Charakteristik der Nase. 99
sie sind immer sehr selten vertreten. — Wenn wir einerseits dies
wissen, und andererseits sehen, dass die grösste Anzahl der Einzelfälle,
d. h. die grósste Wiederholung einer Wertgrósse des betreffenden
Linearmaasses, immer bei den mittleren Stufen der Wertgróssen einer
Variationsreihe anzutreffen ist, so stellt sich gewissermaassen von selbst
die Notwendigkeit ein: dass wir behufs einer wissenschaftlich ver-
gleichenden Forschung der Variationen der kraniometrischen Einzel-
maasse, diese Zahlreihen in drei specielle Gruppen teilen müssen,
nämlich in zwei endständige Grenzgruppen (—/G und +/G) und in
eine mittlere oder centrale Gruppe (c G). Diese sind für jedwede Linear-
maasse die Hauptgruppen der Variation. Die Charakteristik dieser
drei Gruppen besteht darin, dass die centrale Gruppe in Bezug auf
die Anzahl der Einzelfälle jede der beiden anderen (endständigen)
Gruppen überflügeln muss.
Nun erhebt sich die Frage: auf welche Art und Weise die drei
Gruppen einer kraniometrischen Variationsreihe bestimmt werden
kónnen? — Mit dieser Frage treten wir so zu sagen in das Labyrinth
der Schwierigkeiten der Forschung ein.
A priori sind verschiedene Wege möglich, und zwar sowohl rein
empirische d. h. willkürliche, wie auch wissenschaftliche d. h. nach
einem allgemein gültigen Princip. — Dass bei einer wissenschaftlich
sein sollenden Behandlung eines Problems eine rein empirische Methode
gar keine Sicherheit hinsichtlich des richtigen Verfahrens bietet, braucht
nicht des Näheren erörtert zu werden, — und dennoch ist man nach
dieser Richtung hin in der Kraniologie bis zum heutigen Tage geradezu
stórrig gewesen. Man verurteilte schon im voraus die wissenschaftliche
Methode, und zwar lediglich wegen der viel grósseren Arbeit und Mühe.
So behauptete noch vor kurzem Herr Szombathy (Wien), dass die
Anwendung der Wahrscheinlichkeitsrechnung für die kraniologischen
Untersuchungen überflüssig sei, da man auch auf eine viel einfachere
und leichtere Weise zum Ziele gelangen kann. Herr Szombathy konnte
dies sehr leicht behaupten, weil in der Kraniologie bisher nicht die
Gepflogenheit war, eine strenge Beweisführung der Behauptungen zu
verlangen. Irgend eine dem äusseren Scheine nach plausible Meinung
galt. bisher schon als eine wissenschaftliche Meinung. — Dass man
=
TS
100 ui Ay: Torok,
mit dergleichen Velleitàten gegebenen Falles das grosse Publikum in
der Kraniologie sehr leicht befriedigen konnte, hat der Fall Szombathy’s
zur Genüge dargethan. Auch hier ist es sehr leicht móglich, auf will-
kürlichem Wege die Variationsreihen der 4 Linearmaasse dem
äusseren Scheine nach gleichformig in drei Gruppen zu teilen, wenn
man fiir die mittlere Gruppe irgend eine bestimmte Anzahl von
Einheiten constant nimmt. So z. B. wollen wir für die 4 Linear-
maasse die mittlere Gruppe bei allen 4 Linearmaassen gleichformig
— 6 Einheiten gross nehmen. Auch in diesem Falle ist es möglich,
lauter solche Mittelgruppen zu bekommen, innerhalb welcher entweder
die absolute oder zum mindesten die relative Ueberzahl der Einzelfàlle
enthalten sind. Ich habe diese drei Gruppen für die 4 Linearmaasse
ausgeführt und stelle die Ergebnisse in der folgenden kleinen Tabelle
zusammen.
Willkürliche Gruppeneinteilung der Maasswerte in Bezug auf die
Anzahl der Einzelfälle.
a) na— ri, Ob = 8—33mm= 26 E. = 100 o Schádelanz. = 3000 — 100 %
1. —1G zwischen 8—17 , =10, = 38.46, " MOI MD STE
2 NGC: a ie 237.2. 26070930835, È — 135 — oa
3. + 1G 3 24-38 , =10, = 3846 , — 99 Ole
Summe: 8—33 mm — 26 E. — 100.00*/,, Schädelanz. = 3000 = 100.000),
b AB 0b—17—32mm —16E.— 100 5) Schädelanz. = 3000 — 100 o
1. — 1G zwischenl7—21. , = 5, = 31.25 , A — 1,564. 2 124927
el " 22—27 , = 6, = 37.50 , : = 2514 — 83.80 ,
3. +1G 3 28 82 „u MO MZ " ——I1022:—1 450
Summe: 17—32 mm = 16 E. = 100.009/,, Schädelanz. — 3000 = 100.009/,,
c) ri — ak, Ob = 18—43 mm = 26 E. — 100 — ?/,, Schádelanz. — 3000 — 100 °/o
12 iG zwischenda PSN UNIES 42310 1 MALI AO
Dna; 5 20 84 1161, 1123:087€ ; = 1861 = 62:03) 5
3. +16 : 95—48 , = 9, = 34.62 — 690= 23.00 ,
»
Summe: 18—43 mm = 26 E. = 100.01°/,, Schädelanz. = 3000 = 100.00°,,
» 2
d) na—ak, Ob = 32—62 mm = 31 E. — 100 — */4, Schadelanz. = 3000 — 100 — 9/,,
1. — 1G zwischen 82-44 , =18, = 4194 , ; = opa isla
D eG » 45—50 > = 6 „= 19.35 5 ” = 1465 = 48.83 »
ae Pen er PME d =1281= 42.70 ,
Summe: 32—62 mm = 31 E. — 100.009/,, Schádelanz. = 3000 = 100.00?/,,
Ueber eine neue Methode zur kraniologischen Charakteristik der Nase. 101
Zum leichteren Verständnisse dieser Tabelle will ich folgendes
anführen. — Soll man irgend eine Zahlreihe in drei Abschnitte
(Gruppen der Einzelfälle) teilen, so schreibt man die constant um eine
Einheit grösser werdenden Einzelwerte des betreffenden Maasses in
einer horizontalen Linie nebeneinander. Die zu suchende Mittelgruppe
nimmt bei dieser Zusammenstellung der Zahlwerte eine solche Lage
ein, dass die eine extreme (endstàndige) Gruppe linkerseits, die andere
endständige Gruppe rechterseits zu liegen kommt; weshalb ich jene als
die linksseitig endstándige Gruppe (—/G, Minuszeichen für links,
]—limes, Grenze), diese als die rechtsseitig endstándige Gruppe (+ /G,
— für rechts) bezeichne. Die Mittelgruppe soll fortan als centrale
Gruppe —cG bezeichnet werden. Damit die centrale Gruppe möglichst
dem Begriffe einer solchen entspreche, muss links und rechts von ihr
eine möglichst gleiche Anzahl von Maasswerten genommen werden.
Ganz gleich ist die Anzahl der Maasswerte für a) na — ri, wo —1G
und +ZG=10 Einheiten des Linearmaasses enthält; für b) AB sind
es 5 Einheiten, aber bei c) ri — ak und bei d) na — ak war eine ganz
gleiche Verteilung nicht mehr möglich [bei c) r; — ak ist — 1G — 11,
+/!G=9 Einheiten; bei d) na — ak ist — 1G —13, -- 1G — 12 Ein-
heiten]. Die centrale Gruppe (cG) ist constant— 6 Einheiten. Man
sucht nun die Einzelfälle auf, deren Maasswerte auf die betreffenden
Einzelwerte der drei Gruppen fallen und schreibt ihre Anzahl auf. —
Behufs einer.leichteren Uebersicht berechnet man ausserdem das Ver-
hältnis der Grösse der drei Gruppen, sowie dasjenige der Anzahl der
Einzelfälle (Schádelanzahl) in Procenten.
Wir sehen, dass es in der That auch auf willkürliche Weise
gelingt, charakteristische centrale Gruppen zü bestimmen, . welche ent-
sprechend der allgemeinen Gesetzmässigkeit von kraniometrischen
Zahlreihen (die samt und sonders nur „zufällige“ Zahlreihen darstellen)
— eine dominierende Anzahl der Einzelfälle aufweisen. — Wir wollen
aber schon hier bemerken, dass diese dominierende Anzahl für alle
4 Linearmaasse eine verschiedene ist, was abermals auf die Rätsel-
haftigkeit, d. h. auf die zufällige Natur derartiger Zahlreihen hin-
deutet. — In der folgenden Zusammenstellung ist diese Verschiedenheit
aus den Procentzahlen sehr deutlich zu ersehen:
102 A. v. Torok,
1. Bei na — ak entspr. die Schädelanzahl innerhalb von cG= 48.83 °/,,
von 3000 Schadeln.
9. , na— ri N y P " von eG = 57.83 /,,
von 3000 Schadeln.
3. „ m—ak = x 5 i von eG = 62.03 ?/,,
von 3000 Schadeln.
Anne. A E j n i von eG = 83.80 /,, -
von 3000 Schädeln. .
Würde man anstatt 6 Maasseinheiten 5 oder 7 wählen, so würden
die centralen Gruppen sofort ein ganz anderes Verhältnis der Verteilung
der Einzelfälle aufweisen. Wie man also sieht, können derartige, rein
willkürliche Gruppen die wissenschaftliche Aufgabe der Kraniologie
keinesfalls fordern; umsoweniger, weil fiir andere Linearmaasse und
für andere Schädelserien wiederum andere Einteilungen zweckent-
sprechend sein würden. Man kann anfangen was man will — schliess-
lich müssen wir uns doch unter das caudinische Joch der eine viel
grössere Mühe beanspruchenden Methode der Wahrscheinlichkeits-
rechnung beugen.
Mit der Frage dieser Gruppenbestimmung hängt noch eine andere
Gruppenbestimmung zusammen, die wir in Hinsicht der Vergleichung
der Maasswerte an und für sich machen müssen. Wir stellen für
jedwedes Linearmaass gewisse Vergleichsstufen auf, und zwar zunächst
zwei extreme, so zu sagen gegensátzliche Stufen, und eine zwischen
diesen beiden vermittelnde oder Mittelstufe. Für diese Dreiteilung
der Maasswerte spricht schon die elementarste Logik. — Bei Linear-
maassen der Längendimension unterscheiden wir die drei folgenden
Vergleichsstufen: kurz, mittellang, lang; bei denjenigen der Höhen-
dimensionen: niedrig, mittelhoch und hoch, sowie bei der Breiten-
dimension: schmal, mittelbreit, breit. Sonderbarer Weise hàt man in
der Kraniologie auch dieses logische Princip der Gruppeneinteilung
bisher noch nicht folgerecht angewendet; so z. B. hat Kollmann nur
die zwei extremen Vergleichsstufen behufs Charakteristik des Gesichtes
in Betracht gezogen (Lepto- und Chamaeprosopie), wiewohl aus einfach
logischen Gründen eine Mittelstufe (Mesoprosopie) ebenso notwendig unter-
schieden werden muss, weil eben die drei Vergleichsstufen an und für
Ueber eme neue Methode zur kraniologischen Charakteristik der Nase. 103
sich ganz gleichwertig sind und die Mittelstufe den Ueberblick einer
Variationsreihe ermóglicht. — Für die kraniometrischen Zahlreihen ist
aber die Mittelstufe von ganz besonderer Bedeutung, weil bei einer
zur wissenschaftlichen Behandlung geeigneten Variationsreihe der
Maasswerte die zur mittleren Vergleichsstufe gehörige Gruppe unbe-
dingt die dominierende Anzahl der Einzelfälle enthalten muss. Für
kraniometrische Zahlreihen ist infolge des soeben erwähnten Momentes
die Gruppe der Mittelstufe der Vergleichung die allerwichtigste, d. h.
die wirklich charakteristische. Man kann mit der grössten Sicherheit
schon im voraus sagen, dass innerhalb des menschlichen Geschlechtes
z. B. die Mesoprosopie unvergleichlich viel zahlreicher vertreten sein
muss, als die Lepto- oder die Chamaeprosopie; weil diese letzteren nur
die extremen Wertgrössen der variierenden Dimensionsmaasse repräsen-
tieren und die endständigen Gruppen der Variation bei „zufälligen“
Zahlreihen immer die geringste Anzahl der Einzelfälle enthalten.
An und für sich genommen ist das Einteilungsprincip der drei
Vergleichsstufen bei Maasswerten ein höchst einfaches. Man teilt jed-
wede Zahlreihe in drei Gruppen, d. h. man teilt die Anzahl der Maass-
einheiten einer kraniometrischen Schwankungsbreite durch die Zahl 3.
— Theoretisch ist diese Einteilung höchst einfach und leicht, aber
ihre praktische Ausführung ist wegen der beschränkten vollkommenen
Teilung durch 3 mit gewissen Complicationen verbunden, da wir in
der Regel, d. h. in der überaus grossen Mehrheit der Fälle bei der
Dreiteilung falsche Brüche bekommen — die wir möglichst vermeiden
müssen. So z. B. musste die Gruppeneinteilung der drei Vergleichs-
-— stufen für die 4 Linearmaasse wie aus der umstehenden Zusammen-
stellung zu ersehen ist, in folgender Weise ausgeführt werden.
Diese sowie die vorige Tabelle gestatten uns einen weiteren Ein-
blick in die Compliciertheit der kraniometrischen Zahlreihen, und die
Ergebnisse dieser zwei Tabellen sind deshalb so lehrreich, weil hier,
wie bereits erwähnt wurde, die Vergleichung unter ganz gleichen Be-
dingungen (ceteris paribus), d. h. bei der gleichbleibenden Anzahl der-
selben Schädel ermöglicht wurde.
A. v. Torok,
104
Gruppeneinteilung der Maasswerte in Bezug auf die drei Stufen der Vergleichung.
a) na—ri, Ob = 8—33 mm = 26 Einheiten. (Behufs Ermöglichung ganz gleicher Gruppen ohne Brüche mussten hier für jede der
2 3 SR :
drei Gruppen anstatt A 8.66, 9 Einheiten genommen werden; somit Ob von 8—33 mm — 26 Einheiten auf 8—34 mm = 27 Ein-
heiten vergróssert wurde.)
Summe:
Ix SS = — 77.83
2. mittellange , è EO 0e, : Sposa 00000.
3. lange s m "moon. 384 — 12.80 ,,
|
1. kurze Nasenrückenlänge zwischen 8—16 mm = 9 Einheiten, Schädelanzahl = 296 — 9.87 %/o |
M
Il
eo
2)
b) AB, Ob = 17—32 mm = 16 Einheiten. (Anstatt 16 wurden 15 Einheiten genommen, d. h. Ob wurde auf 17—31 mm reduciert;
der auf den Wert = 32 mm fallende Schádel wurde zur Gruppe der dritten Vergleichsstufe hinzugerechnet.)
1. schmale Nasenaperturbreite zwischen 17—21 mm = 5 Einheiten, Schädelanzahl = 364 — 12.13 9/,, S sc
DA mittelbreite ” » 22—26 >» = 5 59 99 = 9344 == 78.13 eh | SÉ : 3 38 E
Oe Metus 2 4 QUESO ES Li s E Ope fe = 3000 Schädel = 99.99 °/,,
c) ri — ak, 0b = 18—43 = 26 Einheiten. (Anstatt 26 wurden 27 Einheiten, d. h. Ob — 18—44 mm genommen.)
1. niedrige Nasenaperturhóhe zwischen 18—26 mm = 9 Einheiten, Schádelanzahl = 191 — 6.37 °/o Summe:
2. muttelhohe T » 27—35 3m 9 ” M = 2950 = 78.33 M \ en ce E 0
x II i 4 geo So 3 : Er. = 3000 Schädel = 100.00 9/50
d) na — ak, Ob = 32—62 mm — 31 Einheiten. (Hier wurden 30 Einheiten gewählt, somit die Ob auf = 32—61 mm = 30 Einheiten
reduciert, die auf den Wert — 62 mm fallenden 3 Schädel wurden in die Gruppe der dritten Vergleichsstufe einverleibt.
1. kurze ganze Nasenlinge. . —32—41 mm — 10 Einheiten, Schädelanzahl= 71= 2.37 yo ni.
2. mittellange „, È . =42—51 , = 10 2 — IGG RI % | — 3000 Schädel n° 100.01 °/
9 —— = : 00
DA ==
lange 5 » m — 52-015 310 A 5 962 — 92.07,
Ueber eme neue Methode zur kraniologischen Charakteristik der Nase. 105
Ich will die Hauptmomente dieser Ergebnisse im folgenden
zusammenfassen: 1. Es liegt klar vor uns, dass nicht nur die Einzel-
maasse der Schädelform im allgemeinen, sondern auch speciell die
Einzelmaasse eines und desselben anatomischen Abschnittes der Schadel-
form ganz verschiedentlich variieren, weswegen man aus der Variation
des einen kraniometrischen Maasses ,a priori^ gar keine sicheren
Riickschliisse auf diejenige der anderen kraniometrischen Maasse ziehen
kann. 2. Die Verschiedenheit der Variation ergiebt sich zunächst
aus der Verschiedenheit der Schwankungsbreiten der kraniometrischen
Maasse. Wir sehen hier, dass bei denselben 3000 Schädeln die 4 Linear-
maasse des Nasenskeletts, der Unterschied zwischen ihren Schwan-
kungsbreiten [1. 4B —17—32—16 E, 2. u. 3. na —ri— 8—983
— 96 E. und rr — ak — 18—43 — 26 E., 4. na — ak = 32—62
— 31 E.] 16—31 Einheiten beträgt. 3. Dass auch für den Fall, dass
die Schwankungsbreite dieselbe bleibt, wie bei na—rı und rr — ak
—26 E., die Variation doch nicht dieselbe ist, weil innerhalb der gleichen
Variationsbreite die Verteilung der Einzelfälle nicht dieselbe bleibt,
wie wir dies bei den beiden letzten Tabellen ganz deutlich gesehen
haben. 4. Ob wir nun die Einzelwerte des kraniometrischen Maasses
in Bezug auf die Verteilung der Variation innerhalb der Schädelserie
oder in Bezug auf die drei Stufen der Vergleichung in Gruppen ein-
teilen, stellt sich doch bei gleichbleibender Schwankungsbreite eine
verschiedene Verteilung der Einzelfälle heraus. So ist z. B. die Ver-
teilung bei den Gruppen der Maasswerte:
a) in Bezug auf die Verteilung der Variation.
1. —1G = 506 Schädel = 16.87 °,,
1. für na — ri, Ob = 26 Einheiten fa eG = 1735 * = SS -.
3. +1G = 759 à = LOS
1. —1G = 449 Schädel = 14.97 °/,,
2. für ri — ak, Ob = 26 Einheiten fe eG = 1861 M = 10220: 99
3. +1G — 690 Pi 23:00
b) en Bezug der drei Stufen der Vergleichung.
l. kurz —1290/ochadel —:99: 3429/0
1. für na — ri, Ob = 26 Einheiten fo mittellang = 2320 EI
3. lang = 384 lo ee
1. niedrig = 191 Schidel= 6.37 oq
2. für ri — ak, Ob = 26 Einheiten fe mittelhoch = 2350 xs Base ..
3. hoch = 459 by = ISO 7
106 A. v. Tórók,
Dass also eine Verschiedenheit der Variation bei nicht gleichen
Schwankungsbreiten in noch hóherem Maasse zu erwarten ist, braucht
nicht weiter erörtert zu werden. 5. Dass trotz der so auffallenden so
zu sagen launenhaften Veränderlichkeit der Variation der kranio-
metrischen Maasse eine ganz strenge Gesetzmässigkeit obwalten muss,
ergiebt sich aus der, bei jedwedem kraniometrischen Maasse constant
auftretenden Thatsache, dass innerhalb der Variationsreihe (Schwan-
kungsbreite) die Anzahl der Einzelfälle der Maasswerte centripetal
immer zunimmt und centrifugal immer abnimmt; und gerade diese
Eigenschaft der Variation drückt den Stempel ihres Wesens den
kraniometrischen Zahlreihen auf. Dieses Wesen bezieht sich aber
eben auf die ,Zufalligkeit^ dieser Zahlreihen, bei welchen also die
Gesetzmässigkeit immer nur mit einer gewissen Wahrscheinlichkeit
nachgewiesen werden kann und deshalb ist es notwendig, beim wissen-
schaftlichen Studium der kraniometrischen Messungen die Wahrschein-
lichkeitsrechnung anzuwenden.
3. Die arithmetische Mittelzahl der 4 Linearmaasse.
Aus den bisherigen Erórterungen wird man wohl die Ueberzeugung
schópfen, dass eine wissenschaftliche Behandlung des kraniometrischen
Problems ohne genaues Studium der kraniometrischen Zahlreihen —
eine Unmöglichkeit ist. Und doch hat man seit jeher in der Kranio-
logie derartige Unmóglichkeiten leisten wollen, indem man trotz voller
Unkenntnis der Beschaffenheit der kraniometrischen Zahlreihen sogar
schon die Lösung des schwierigsten Problems, nämlich die correlative
Gesetzmässigkeit der Schädelform gefunden zu haben glaubte (Koll-
mann).
Wer je seine Zahlreihen, die er bei Bestimmung irgend eines
Dimensionsmaasses von mehreren Schädeln erhalten hat, auch nur ein
einziges Mal aufmerksam prüfte, der musste den Eindruck gewinnen,
dass mit derlei Zahlenreihen in Bezug auf die sichere Erkenntnis einer
vorhandenen Regelmässigkeit und Gesetzmässigkeit nichts anzufangen
ist. — Daher auch das Belächeln der kraniologischen Arbeiten von
seiten der unserer Disciplin abseits stehenden Gelehrten. — Die
kühnen Folgerungen aus den kraniometrischen Untersuchungen ver-
Ueber eine neue Methode zur kraniologischen Charakteristik der Nase. 107
dienen auch nichts anderes — weil sie ohne jedwede Kenntnis der
Beschaffenheit der höchst unregelmässig zusammengesetzten Zahlreihen
gemacht wurden. — Wenn man die kraniometrischen Zahlreihen
nach dem bisher üblichen Verfahren ganz schablonenhaft behandelt,
so ist es gar nicht anders möglich, als dass man Speculationen fróhnen
muss, die einer streng wissenschaftlichen Denkart ganz fern stehen. —
Und doch werden diese dem flüchtigen Blicke so inhaltsleer erscheinenden
kraniometrischen Zahlreihen sofort interessant und geistesanregend,
sobald man dieselben ohne Voreingenommenheit zu betrachten beginnt.
Wenn man z. B. die Zahlreihen der 4 Linearmaasse des Nasen-
skeletts (s. die Tabelle auf S. 95) aufmerksam betrachtet, so muss —
wie bereits erwähnt — die höchst interessante Thatsache der im all-
gemeinen regelmässigen und constanten centripetalen Zu- und der
centrifugalen Abnahme der Häufigkeit der Einzelfälle ganz besonders
auffallen. — Hierdurch unterscheiden sich also zunächst die kranio-
metrischen Zahlenreihen von den gewöhnlichen Zahlenreihen; hierin
liegt auch das wesentliche Moment der Vergleichung zwischen den
beiderlei Zahlreihen.
Wollen wir also bei den einfachsten, die strenge Regelmässigkeit
schon beim ersten Blicke deutlich aufweisenden Zahlreihen beginnen.
— Ich nehme zur Vergleichung die aus den folgenden 5 Zahlen be-
stehende Reihe: 8+9-+ 10+ 11-+-12. — Hier haben wir es mit
einer nirgends unterbrochenen Zahlreihe zu thun, wo eine jede
Einzelzahl von der ihr nächsten Zahl constant durch eine Einheit
verschieden ist. Wären die kraniometrischen ebenso zusammengesetzt,
so brauchte man nur die beiden endständigen Zahlen (Grenzwerte) zu
kennen, um sofort die ganze Beschaffenheit dieser Zahlreihe beurteilen
zu kónnen. — Bei solchen Zahlreihen würde man sofort die arith-
metische Mittelzahl (M) ganz pràcis schon aus den beiden endständigen
È ; à 8-1
Zahlen bestimmen können, da einerseits M= Sole 25001
2
Q
anderseits DOMESTICI — 10 ist. — Was ist hier die
arithmetische Mittelzahl: M — 10? — Sie ist eine den Mittelpunkt
der ganzen Reihe einnehmende centrale Zahl, die also vollkommen
wie
symmetrisch zu den von ihr links und rechts folgenden Zahlen liegt
108 A. v. Tórók,
Diese Symmetrie wird am besten verdeutlicht, wenn man die Diffe-
renzen der von ihr links und rechts liegenden Zahlen angiebt:
j Differenzen: —2—1 0 +1 +2.
| Zahlen: gelido Ma ON Te ai:
aber die kraniometrischen Zahlreihen von dieser hóchst einfachen
— Worin unterscheiden sich
und vollkommen regelmässig gebauten Zahlreihe? — Um den Unter-
schied sofort merken zu kónnen, bleiben wir bei den ersten 5 Zahlen
von a) na — ri. — Ich muss zuvor bemerken, dass in der Tabelle
diese Zahlreihe verkürzt geschrieben ist. — Nämlich während in der
8,19, 10; n lea =
1 —1 —1—1 —1 mal
eine jede einzelne Wertgrösse des Millimetermaasses nur ein einziges
einfachen, vollkommen regelmässigen Zahlreihe: |
Mal vorkommt, kommen diese Wertgróssen bei der kraniometrischen
8.9, 10.27, nn
1 —0 —2 —3 — 10 mal,
eigentlich müsste man diese Zahlreihe so schreiben: 8+10-+10+ 11
+11 +114 12 4- 12 +12 +12 +12 +12 + 12 +12 + 12 + 12.
— Diese kraniometrische Zahlreihe unterscheidet sich also von jener
Zahlreihe na—ri verschiedentlich oft vor:
einfachen dadurch: 1. dass sie keine vollkommen ununterbrochene ist
(das Zwischenglied 9 fehlt) und 2. dass ihre Einzelwerte verschieden
haufig vorkommen (die erste Zahl wiederholt sich gar nicht, die dritte
2mal, die vierte 3 mal, die fünfte 10 mal) — Diese zwei Momente
bilden den wesentlichen Unterschied. — Nun fragen wir, welchen Ein-
fluss dieser Unterschied auf die weitere Analyse dieser kraniometrischen
Zahlreihe ausübt? — Dies ersehen wir zunächst aus dem Verhalten
der arithmetischen Mittelzahl (M). — Es ist M bei der einfachen
Zahlreihe: Pai Mat ei ee 10, hingegegen bei der
5 5
kraniometrischen Zahlreihe:
87104 10 - IM -N 7 N BT PT ee ee
16
— M — 10.06. — Der ziffernmässige Unterschied zwischen jener
_161
16
und dieser arithmetischen Mittelzahl ist ein so geringer (0.06 mm), dass
derselbe gewiss gänzlich vernachlässigt werden kann. — Aber trotz
dieses so zu sagen minimalen Unterschiedes, haben die beiden arith-
metischen Mittelzahlen in Bezug auf. die Beschaffenheit (den Bau) der
: Ueber eine neue Methode zur kraniologischen Charakteristik der Nase. 109
Zahlreihe eine toto coelo verschiedene Bedeutung; und eben hierum
dreht sich das wesentliche Moment der wissenschaftlichen Forschung
bei den kraniometrischen Reihen. — Wir haben hier die Aufgabe: die
wesentliche Zusammensetzung der kraniometrischen Zahlreihen kennen
zu lernen — und nicht etwa nur die arithmetische Mittelzahl, wie
man dies bisher so irrtümlich meinte.
Wodurch ist also der in Rede stehende überaus grosse Unterschied
in der Bedeutung der arithmetischen Mittelzahl gekennzeichnet? —
Während M=10 bei der einfachen Zahlenreihe eine vollkommen
central liegende Wertgrösse repräsentiert (8, 9, 10, 11, 12), stellt
M — 10.06 oder — 10 bei der kraniometrischen Zahlreihe keine
centrale Zahl dar: 8, 10, 10, 11, 11, 11, 12, 12, 12, 12, 12, 12, 12,
12, 12, 12. — Mit einem Worte, während man bei einer einfachen
und regelmässig gebauten Zahlenreihe von einer arithmetischen Mittel-
zahl schon im voraus weiss, dass sie eine vollkommen centrale Lage
einnimmt, d. h. dass sowohl links wie rechts nicht nur die gleiche
Anzahl von Wertgrössen folgen muss, sondern diese Wertgrössen zu-
gleich links und rechts dieselben Differenzen von ihr aufweisen miissen;
weiss man aus der Kenntnis der arithmetischen Mittelzahl von kranio-
metrischen Zahlenreihen gar nicht, wie viele einzelne Wertgrössen
links — und wie viele rechts von ihr innerhalb der beiden endstàn-
digen Wertgréssen enthalten sind, wie wir auch das nicht im mindesten
erraten kónnen, welche Differenzen von der arithmetischen Mittelzahl
diese einzelnen Wertgrössen aufweisen. — Bei der einfachen regel-
mässigen Zahlenreihe müssen die Differenzen beiderseits dieselbe Summe
ergeben — weil wir es hier mit einer symmetrisch liegenden, d. h.
vollkommen centralen Zahl zu thun haben; hingegen bei den kranio-
metrischen Zahlreihen kónnen diese Differenzen rechter- und linker-
seits eine verschiedene Summe ausmachen.
a) Einfache regelmässige Zahlreihe:
—2 —] +1 4-2| Summe der — Differenzen — 3.
GR qr yg e a summe der + Differenzen — 3.
b) Kraniometrische Zahlreihe:
—2 piglet sk ORNE 2142 72 Pile? 2 aie
SRO O TO 19 19 D 095 19. 19
110 A. v. Tórók,
Dass ein wesentlicher Unterschied eintreten muss, wenn eine
Zahlreihe in dem einen Falle eine nirgends unterbrochene Reihe
von Wertgrössen aufweist, und in dem anderen Falle durch Fehlen
dieses oder jenes Zwischengliedes unterbrochen wird, braucht nicht
weiter erörtert zu werden. Aber die kraniometrischen Zahlreihen
unterscheiden sich wesentlich auch noch dadurch, dass bei ihnen die
einzelnen Glieder (Wertgrössen) der Zahlreihe sich verschiedentlich
wiederholen kónnen. Wollen wir also hier den Einfluss solcher
Wiederholungen auf den Bau (Zusammensetzung) der Zahlreihen etwas
näher untersuchen.
Nehmen wir den allereinfachsten Fall zum Ausgangspunkte
unserer Erörterung. — Bei Beibehaltung derselben Schwankungsbreite
lassen wir beide Endglieder, d. h. einerseits die geringste und ander-
seits die bedeutendste Wertgrösse in unserer Zahlreihe (nämlich die
Zahl 8 und 12) 1, 2, 3, 4, 5mal sich wiederholen, während die
dazwischen liegenden Glieder unverändert nur ein einziges Mal vor-
kommen. Wenn also die Zahlreihe beschaffen ist
; : 50
Use Spr Gh ONOR O a: Ob=5 E., so ist M—— — 10.00
58 E
DANS TS 110, APIS o Ease Ob=5, , , M=—= 9.67
66
3, "g gg go dd, 19 07, MODES io (ey ae INS
74
4 „ 8,8,8,8,9,10,11,12..0b=5, , , M— — 9.35
82
5. , 88888 9,1011, 12. 0D—5 , , , M—, — 911
oder
WERE» 3 62
(S WIES. cy NO dS TIVE IY S So) Ob=5 E., so ist Mole 10.33
74 E
7. » 8,9,10,11,12, 12, 18... Ob—8 , „ , M—— — 1057
x 86 =
8. , 8,9, 10, 11, 12, 12, 12, 12 Ob—5 , „ „ M— —1075
98
9. , 8,9,10,11,12,12,19, 12,12 Ob——5 , , , M—-, — 10.89
Ueber eine neue Methode zur kraniologischen Charakteristik der Nase. 111
Wie wir sehen, vermindert sich die Wertgrósse der arithmetischen
Mittelzahl in dem Maassstabe, als sich die geringste Wertgrösse je
öfters wiederholt, und umgekehrt vergrössert sich die arithmetische
Mittelzahl, je öfters sich die bedeutendste Wertgrösse wiederholt —
wenn auch die Schwankungsbreite der Zahlreihe dieselbe bleibt. Es
ist selbstverständlich, dass diese Verminderung und Vergrösserung der
arithmetischen Mittelzahl in dem Maasse geringer ausfallen muss, je
näher die sich wiederholenden Glieder (Wertgrössen) einer Zahlreihe
gegen den Mittelpunkt (die centrale Zahl) zu liegen kommen. Was
geschieht also, wenn sich einzig allein nur die centrale Zahl wieder-
holt? — Wenn wir das über die Zahlreihen bisher Gesagte genau
verstanden haben, so wissen wir schon im voraus, dass in diesem
Falle die Wertgrüsse der arithmetischen Mittelzahl unveràndert bleiben
muss. — Zum Beispiel wenn die Zahlreihe beschaffen ist
50
qu wie US OTOL Toe oret Ob bubs? SOnist MI T0
1 60 N
9. n 8,910,10,11,12...Ob=5 , , , M=Z=10
à 2 70
3. , 8, 9, 10,10, 10, 11,12 Ob=5 , , , M———10 etc.
(Schluss folgt.)
Referate
von
Fr. Kopsch.
Gamgee, Arthur, Die physiologische Chemie der Verdauung mit Ein-
schluss der pathologischen Chemie. Deutsche Ausgabe und Neu-
bearbeitung von Leon Asher und H. R. Berger. 25 Figuren;
2 lithogr. Tafeln. XVIII u. 524 S. Leipzig und Wien. 1897.
Franz Deuticke.
Asher und Berger geben nicht etwa eine Uebersetzung des 1893 erschienenen
Werkes von Gamgee, sondern eine vollstándige Neubearbeitung, in welcher die
seither erschienenen Arbeiten berücksichtigt sind. Gamgee hat, gestützt auf das
Studium der Originalarbeiten und unter Nachprüfung aller in dem Werke auf-
geführten Methoden und Experimente, ein Buch geschaffen, dessen Wert von allen
Seiten anerkannt ist. Der Inhalt ist in dreizehn Capitel geteilt, deren erste fünf vom
Speichel, Pankreas, Galle handeln. Das sechste Capitel enthält die Darstellung
von der Entstehung und den Erscheinungen des Icterus, sowie von der Absonderung
und Zusammensetzung der Galle unter dem Einfluss von Arzneimitteln und patho-
logischen Zustánden. Das siebente Capitel ist den Gallensteinen und ihrer che-
mischen Untersuchung gewidmet. Kapitel neun bis zwölf enthalten die Vorgänge
im Darm, Capitel dreizehn die Verdauungsvorgiinge bei niederen Tieren (Intra-
cellularverdauung niederer Invertebraten, Function der Molluskenleber, Verdauung
bei Fischen, Vögeln, Pflanzenfressern) Ein Nachtrag enthält eine Kritik von
A. G. Barbéra's Untersuchungen und von dessen neuer Theorie der Gallenabsonderung.
Schenck, F., und Gürber, A., Leitfaden der Physiologie des Menschen
für Studierende der Medicin. 53 Abbildungen. VIII u. 304 S.
Stuttgart 1897. Ferdinand Enke.
Das Bichlein von Schenck und Gürber soll in kurzer Form die wichtigsten
Lehrsátze der Physiologie enthalten, um dem Anfänger die Uebersicht zu erleichtern.
Es soll den vorhandenen mit ,manchen recht groben Fehlern* behafteten Compendien
,Conkurrenz machen“. Dass diese von Erfolg begleitet sein wird, erscheint kaum
zweifelhaft, denn das vorliegende Compendium zeichnet sich durch grosse Voll-
stándigkeit neben möglichster Kürze und klarer Fassung aus. Indem wir daher
demselben eine weite Verbreitung wünschen und es empfehlen, sollen die folgenden
Hinweise nur zum Zwecke der Vervollständigung späterer Auflagen gemacht sein:
Die Belegzellen der Magendrüsen sind nicht von ,korbartig angeordneten Capillar-
schlingen* umfasst, sondern sind von einem Korbe von Sekret-Capillaren umgeben.
Nicht nur die Frósche zeigen Licht- und Dunkelstellung des Pigmentepithels der
Retina. Beim Gehörorgan fehlen Angaben über die Bedeutung der Tuba Eustachii
(Valsalva's Versuch). Von dem Bau der Geschmacksknospen giebt es bessere Bilder
als Fig. 52. Beim menschlichen Embryo werden sechs Paar Kiemen-Gefäss-Bogen
ausgebildet (Boas, Zimmermann, Hochstetter).
Buchdruckerei Richard Hahn (H. Otto), Leipzig.
MAY 16 1898
Ueber eine neue Methode zur kraniologischen Charak-
teristik der Nase.
I. Teil. Die Variationen der Linearmaasse des Nasenskeletts.
Von
Prof. Dr. Aurel v. Torok,
Director des anthropologischen Museums in Budapest.
(Fortsetzung.)
Nun kónnen wir schon einen tieferen Einblick in das Problem der
kraniometrischen Zahlreihen thun. Wir wissen nämlich, dass, weil bei
den kraniometrischen Zahlreihen die einzelnen Wertgrössen (Glieder)
in centripetaler Richtung sich öfters und in centrifugaler Richtung
weniger wiederholen, so muss die Wertgrósse der arithmetischen Mittel-
zahl „ceteris paribus“ von dem abhängen, ob die von der centralen Zahl
linker- oder rechterseits liegenden Glieder eine grössere Wiederholung
(d. h. eine grössere Häufigkeit in ihrer Vertretung) aufweisen; ferner
wissen wir, dass, gleichviel ob die centrale Zahl selbst sich gar nicht
oder oftmals wiederholt, die Wertgrésse der arithmetischen Mittelzahl
unverändert bleibt — wenn nämlich die arithmetische Mittelzahl in
der kraniometrischen Zahlreihe selbst schon enthalten ist. (Es ist
selbstverständlich, dass, wenn die Wertgrösse der arithmetischen Mittel-
zahl in der kraniometrischen Reihe selbst nicht vorhanden ist, die
Analogie nicht mehr zutreffen kann.) — Jetzt wollen wir die Frage
dem Dualitàtsprincip der Mathematik entsprechend in umgekehrter
Richtung stellen. Bezieht sich eine arithmetische Mittelzahl auf eine
möglichst einfache und regelmässige Zahlreihe, die nirgends unter-
Internationale Monatsschrift für Anat. u. Phys. XV. 8
114 A. v. Török,
brochen ist und innerhalb weleher die einzelnen Glieder (Wertgróssen)
nur ein einziges Mal vorkommen; so wissen wir, dass dieselbe eine
vollkommen centrale Zahl sein muss, somit die linker- und rechterseits
symmetrisch liegenden Glieder je dieselbe Differenz aufweisen müssen,
folglich die Summe der von ihr linker- und rechterseits enthaltenen
Glieder dieselbe sein muss. Wenn bei mehreren derartigen Zahl-
reihen, deren Schwankungsbreite dieselbe ist, aber die Anzahl der
Glieder (Einzelwerte) sich verändert und die arithmetische Mittelzahl
trotzdem dieselbe bleibt, so ist dies nur unter der Bedingung möglich
geworden, dass die centrale Zahl (die hier zugleich auch die arith-
metische Mittelzahl ist) sich einerseits nicht wiederholt und anderer-
seits sich verschiedentlich wiederholt. Wenn endlich bei gleichbleibender
Schwankungsbreite die arithmetische Mittelzahl einerseits umsomehr
abnimmt, je grósser die Anzahl der Glieder wird, und andererseits
umsomehr zunimmt, je grósser die Anzahl der Glieder wird — so kann
dies nicht anders entstanden sein, als dass ,ceteris paribus* im ersteren
Falle die linksseitigen und im letzteren Falle die rechtsseitigen Glieder
sich umsomehr wiederholen, jemehr die arithmetische Mittelzahl kleiner
oder grósser wird.
Nun ist alles klar. — Wenn wir nämlich wissen, dass die kranio-
metrischen Zahlreihen keine einfache regelmässige, sondern höchst
complicierte und unregelmässige Zahlreihen darstellen, so wissen wir
schon im voraus, dass ihre arithmetischen Mittelzahlen uns gar keinen
Aufschluss über die Beschaffenheit der betreffenden Zahlreihen selbst
geben kónnen. Wir wissen nicht, ob sie überhaupt in den Zahlreihen
selbst vorkommen, oder wenn dies auch der Fall sein sollte: ob sie
centrale Zahlen (vollkommen symmetrisch liegende Mittelzahlen) sind;
jà, gerade im Gegenteil kónnen wir behaupten, dass sie keine centrale
Zahlen repräsentieren. — Ist dies aber klar, so muss uns auch das
einleuchtend sein, dass aus den nackten arithmetischen Mittelzahlen
selbst nicht die geringsten soliden Schlüsse möglich sind. Weil wir
bei Vergleichung der kraniometrischen Zahlreihen doch nur über die
Aehnlichkeiten und Verschiedenheiten derselben speculieren können —
und diese Aehnlichkeiten sowie Verschiedenheiten durch die nackten
arithmetischen Mittelzahlen- gar nicht aufgedeckt werden können, so
Ueber eine neue Methode zur kraniologischen Charakteristik der Nase. 115
kónnen auch die von einander hóchst verschieden zusammengesetzten
kraniometrischen Zahlenreihen zufällig ganz dieselbe arithmetische
Mittelzahl aufweisen, ebenso, wie auch einander sehr ühnlich zusammen-
gesetzte kraniometrische Zahlreihen auffallend verschiedene arithmetische
Mittelzahlen aufweisen kónnen. — Mit einem Worte, dieselbe Wert-
erüsse einer arithmetischen Mittelzahl ist noch kein Beweis für eine
Aehnlichkeit, sowie eine verschiedene Wertgrösse der arithmetischen
Mittelzahl noch kein Beweis für eine Verschiedenheit in der charakte-
ristischen Zusammensetzung einer kraniometrischen Zahlreihe ist.
Und doch hat man in der Kraniologie bisher alle Argumente aus der
Beweiskraft der arithmetischen Mittelzahl genommen, und wenn hierbei
gelegentlich doch die unversöhnlichsten Gegensätze in den Schluss-
folgerungen von seiten der einzelnen Autoren auftraten, oder wenn
ein Autor mit sich selbst in Widerspruch geraten musste — so war
der Meinung nach hieran nicht diese sonderbare Methode der Schluss-
folgerung Schuld, sondern das Forschungsmaterial, welches man ge-
wöhnlich dessen verdächtigte, dass es kein rein typisches sei.
Bevor wir auf die Besprechung der arithmetischen Mittelzahlen
von den 4 Linearmaassen übergehen, müssen wir noch ein sehr
wichtiges Moment in Betracht ziehen, welches bisher ebenfalls der
Aufmerksamkeit der Kraniologen entgangen war. — Wenn wir nämlich
von einer grösseren Anzahl von kraniometrischen Dimensionsmaassen
die arithmetischen Mittelzahlen berechnen, so bekommen wir derartige
Verschiedenheiten in Bezug auf ihre Wertgrössen, dass wir uns auf
den ersten Augenblick gar nicht zutrauen, hierin eine gewisse Gesetz-
mässigkeit auffinden zu können. Diese verborgene Gesetzmässigkeit
ist aber sofort ganz deutlich erkennbar, wie die verschiedenen Wert-
groòssen der arithmetischen Mittelzahlen unter ganz gleichen Bedingungen
(„ceteris paribus“) verglichen werden. Diese Bedingung kann auf die
Weise erreicht werden, dass wir die verschiedenen kraniometrischen
Linearmaasse immer von denselben Schädeln bestimmen, wie dies hier
für die 4 Linearmaasse ausgeführt wurde.
Nun ist die Frage sehr einfach. Da nämlich die Wertgrösse einer
; : à SV. à
arithmetischen Mittelzahl (ar = x) nichts anderes ist, als der Quotient
8*
116 A. v. Torok,
der durch die Anzahl (N) geteilten Summe der Einzelwerte (S), so ist
es einleuchtend, dass, wenn die Anzahl der Einzelfälle constant bleibt,
die Wertgrósse der arithmetischen Mittelzahl umso grósser oder umso
kleiner ausfallen muss, je grósser oder je kleiner die Summe der
Rinzelwerte ist. Hat man aber immer dieselbe Anzahl von denselben
Einzelfällen vor sich, so kann die Summe der Einzelwerte (einzelnen
Wertgréssen) nur infolge davon grósser werden, dass das betreffende
Linearmaass absolut grüsser war; und umgekehrt wird die arithmetische
Mittelzahl umso kleiner ausfallen, je kleiner das absolute Linearmaass
war. Zum Beispiel sei bei den folgenden Zahlreihen N constant — 5,
SO nara ovens 21.31, 9,83, 15% MISI 3
ZOO OO LO SOA
N 5
S 1.5 :
3. 04, 03, 0.3, 04,05... ML. 0,3 sein
Wir wissen demnach schon im voraus, dass „ceteris paribus“
die arithmetische Mittelzahl bei allen denjenigen Dimensionsmaassen
grösser ausfallen muss, deren absolute Wertgrössen grösser sind, —
und kleiner ausfallen muss bei denjenigen, deren absolute Wert-
grössen kleiner sind.
Diese strenge Gesetzmässigkeit kann aber nur bei den ganz ein-
fachen und regelmässigen Zahlreihen vollkommen deutlich zum Aus-
druck gelangen, hingegen wird sie bei den höchst unregelmässigen
(„zufälligen“) kraniometrischen Zahlreihen mehr oder weniger verhüllt
bleiben; weil wir es hier mit den verschiedentlichsten Wiederholungen
von Einzelwerten (Glieder) zu thun haben, die innerhalb: derselben
Schwankungsbreite auf die Mittelzahl jenachdem bald vergrössernd,
bald verkleinernd wirken können — wie wir es schon weiter oben ganz
deutlich demonstriert haben. — Im Grossen und Ganzen bleibt aber
auch hier diese Gesetzmässigkeit in Gültigkeit.
Ueber eine neue Methode zur kraniologischen Charakteristik der Nase. 117
Da die absolute Wertgrösse bei der Nasenrückenlänge (na — ri)
und der Nasenaperturbreite (AB) kleiner ist als bei der Nasenapertur-
höhe (7i— ak) und der ganzen Nasenlänge (na— ak), so müssen wir
bei den zwei ersteren kleinere arithmetische Mittelzahlen bekommen,
als bei den zwei letzteren Maassen. — Ich stelle die arithmetischen
Mittelzahlen der 4 Linearmaasse im folgenden zusammen:
1. na— ri (Ob== 8—33 mm), ui dE — 21112
PUE RU LA (VT ers) uaF = E — 93.85
3! line rp 2 18-243! my Me Aem — 32.93
4. na — ak (Ob — 32—62 mm), Mae 1200? goto
‘Wir sehen, dass der soeben erwähnten Gesetzmässigkeit entsprechend
die arithmetische Mittelzahl bei diesen 4 Linearmaassen umso grósser
ist, jemehr die absolute Wertgrösse des Maasses zunimmt.
Nun haben wir die — bei der-bisherigen Geistesrichtung in der
Kraniologie — immer schon als Endziel der Forschung betrachtete
arithmetische Mittelzahl vor uns. Was kónnen wir aus ihr allein
für Schlüsse ziehen? Gar keine. — Denn wie man nur irgend einen
wissenschaftlich soliden Rückschluss aus der Wertgrösse derselben
ziehen will, muss man sofort auf die genaue Untersuchung der be-
treffenden Zahlenreihen selbst zurückgreifen, um hier die verschiedenen
Momente einzeln zu untersuchen, welche auf die Wertgrösse der arith-
metischen Mittelzahl von wesentlichem Einflusse sind. Wie ich im
obigem ganz klar und gemeinverständlich bewiesen habe, können wir
aus den Einzelmomenten einer Zahlreihe gewiss einen im Grossen und
Ganzen sicheren Schluss auf die arithmetische Mittelzahl ziehen —
aber umgekehrt: von der arithmetischen Mittelzahl an und für sich
senommen ist ein solider Rückschluss auf die Zahlreihe einfach eine
Unmöglichkeit. — Da man aber bisher immer nur in dieser umgekehrten
Richtung argumentierte, so hat man auch bisher eine verkehrte Logik
in der Kraniologie angewendet, wie ich dies — in meinen früheren
Aufsätzen — zu betonen so oft genötigt war. Ich hoffe, dass jetzt
118 A. v. Tórók,
kein ernster Mensch mehr diesen beschamenden Vorwurf für ungerecht-
fertigt erklären wird.
Wie gesagt, wir müssen fortan die entgegengesetzte Richtung in
der Forschung einschlagen, und so vieles andere vorher noch ins
Reine bringen, bevor wir auf die Bestimmung der arithmetischen
Mittelzahl selbst übergehen. — Andererseits dürfen wir aber mit der
Berechnung der arithmetischen Mittelzahl die reale Arbeit noch bei
weitem nicht als schon abgeschlossen betrachten, um alles übrige nun-
mehr den Speculationen einer willkürlichen Phantasie anheimzustellen,
wie dies bisher die allgemeine Gepflogenheit war; im Gegenteil, der
eigentlich wissenschaftliche — schwierigere — Teil der Arbeit beginnt
erst recht, wenn man die Bestimmung der arithmetischen Mittelzahl
schon erledigt hat. (Wie unendlich leicht war die Arbeit Kollmann’s,
als er sein sogen. Correlationsgesetz aus den arithmetischen Mittel-
zahlen von je 10 — und zwar nicht einmal von denselben 10 Einzel-
fällen! schon als bewiesen dahinstellte. Aus diesem Paradiese der
Unschuld in der Kraniologie sind wir fortan doch ein für allemal
ausgewiesen!)
Bevor wir auf die weiteren Fragen des Problems übergehen,
wollen wir noch einiges recapitulieren. I
Da wir es hier immer mit derselben Anzahl derselben Einzelfälle
(also ,ceteris paribus“) zu thun haben, können wir hier trotz der
überaus vielen Compliciertheiten doch einen klareren Ueberblick er-
reichen. — Wenn wir nämlich das gegenseitige Verhältnis zwischen
den Schwankungsbreiten, der Verteilung der Einzelfälle und der Wert-
grosse der arithmetischen Mittelzahl in Betracht ziehen, so kommen
wir zu folgenden Ergebnissen:
a) Die Nasenrückenlänge (na—vri) mit den zwei Grenzwerten:
8— 33 mm — 26 E. vertritt — 47.27 °/,, der Gesamtschwankungsbreite
der 4 Linearmaasse; weist von den 3000 Schädeln — 9.87 ?/,, kurze,
— 77.33 °/,, mittellange und — 12.80 ?/,, lange Maasse auf; ihre arith-
metische Mittelzahl beträgt — 21.12 mm; diese Wertgrösse in ganzer
Zahl (=21 mm) genommen, ist insgesamt — 312 mal unter den
3000 Schädeln vertreten, d. h. in 10.40 ?/,,; sie liegt zwar im Mittel-
Ueber eine neue Methode zur kraniologischen Charakteristik der Nase. 119
punkte der thatsächlichen Zahlreihe (8—33 mm), insofern vor ihr
(linkerseits) ebensoviel Glieder (Einzelwerte des Maasses) vorkommen,
als hinter ihr (rechterseits), d. h. — 12 Glieder — jedoch ist diese
thatsächliche Zahlenreihe keine continuierliche, weil hier ein Glied,
nämlich —9 mm nicht vertreten ist — also fehlt. Diese arithmetische
Mittelzahl ist demnach keine wahre centrale Zahl und dieses Moment
ist für die Kenntnis einer Zahlreihe von wesentlichem Belang, da
wir die arithmetische Mittelzahl zum Ausgangspunkt weiterer For-
schungen benutzen wollen. Noch mehr fallt aber ins Gewicht bei den
„zufälligen“ kraniometrischen Zahlreihen dasjenige Moment, dass
laut des Gesetzes solcher Zahlenreihen die Häufigkeit der Einzelfälle
im Mittelpunkte der Zahlreihe am stärksten vertreten sein muss —
sollen aus der betreffenden Zahlreihe streng gesetzmässige Folge-
rungen gezogen werden. — Nun wissen wir, dass hier M— 21 mm
nur in 10.40 °/,, der gesamten Einzelfälle vertreten sind. Was wollten
wir also für Rückschlüsse auf die übrigen 89.60 °/,, ziehen! — Wir
könnten ja doch gar nichts über die Verteilung dieser enorm grossen
Ueberzahl der Einzelfälle aus der alleinigen Kenntnis der arithmetischen
Mittelzahl erfahren! — Wir könnten aus ihr nicht einmal darauf
schliessen, dass die thatsächliche grösste Vertretung der Einzelfälle
wirklich auf sie fällt. Die na —rı Zahlreihe belehrt uns darüber,
dass nicht auf die Wertgrösse der arithmetischen Mittelzahl = 21 mm,
sondern auf 20 mm die verhältnismässig grösste Vertretung der Einzel-
fälle, nämlich 332 Schädel fallen. — Schon diese Thatsache deutet
darauf hin, dass wir bei den kraniometrischen Zahlenreihen uns mit
der arithmetischen Mittelzahl nicht begnügen können und dass wir es
nötig haben, eine derartige Gruppe von mehreren solchen Wertgrössen
innerhalb der betreffenden Linearmaasse wissenschaftlich exact zu
bestimmen, welche Gruppe — als Centralgruppe — die überaus herr-
schende Mehrzahl der Einzelfälle vertritt — wie wir schon vorläufig
auf empirischem — willkürlichem — Wege eine solche Gruppe auf-
gestellt haben.
b) Die Nasenaperturbreite (AB) mit den zwei Grenzwerten
17 — 32 mm — 16 E. vertritt — 29.09 "/,» der Gesamtschwankungsbreite
der 4 Linearmaasse, weist von den 3000 Schàdeln — 12.13 °/oo schmale,
120 A. v. Török,
78.13 "foo mittelbreite und 9.73 oo breite Maasse auf. Ihre arithmetische
Mittelzahl = 23.85 in ganzer Zahl genommen = 24 mm, ist insgesamt
durch — 585 Schädel, d. h. in 19.50°» der Einzelfälle vertreten; sie
liegt innerhalb der thatsächlichen Zahlreihe nicht mehr central, da
linkerseits von ihr —7 und rechterseits — 8 Glieder folgen. Hier ist
die Zahlreihe zwar continuierlich, aber die Verteilung der Einzelfälle
ist eine verschiedene, da linkerseits von ihr auf die Wertgrössen (von
17—23 mm) —1307 und rechterseits von ihr auf die Wertgréssen
(von 25—32 mm) — 1108 Schädel fallen. Hier fällt zwar die ver-
hältnismässig allergrösste Anzahl der Schädel auf den arithmetischen
Mittelwert (= 24 mm mit 585 Schädeln), jedoch können wir in Bezug
auf die Verteilung der übrigen = 2415 Einzelfälle aus ihr nichts
erfahren.
c) Die Nasenaperturhóhe (ri — ak) mit den zwei Grenzwerten:
18—43 mm — 26 E. vertritt 47.27 °/o der Gesamtschwankungsbreite
der 4 Linearmaasse, weist von den 3000 Schädeln = 6.37 °/o niedrige,
78.33 °/oo mittelhohe und 15.30°/o hohe Maasse auf. Ihre arithmetische
Mittelzahl = 32.93 in ganzer Zahl genommen = 33 mm ist insgesamt
durch = 347 Schädel, d. h. in 11.57 °/oo der Einzelfälle vertreten, sie
liegt auffallend asymmetrisch in der Zahlfeihe, da linkerseits von ihr
15, hingegen rechterseits nur 10 Glieder folgen. Auch diese Zahl-
reihe ist continuierlich, der Unterschied in der Verteilung der Einzel-
fälle ist hier noch auffallender, da linkerseits von der arithmetischen
Mittelzahl, d. h. auf die Wertgrössen von 18—32 mm insgesamt
— 1667 Schädel, hingegen rechterseits von ihr auf die Wertgrössen
von 34—43 mm nur 986 Schädel fallen — von welcher auffallenden
Verschiedenheit die arithmetische Mittelzahl keinen Aufschluss geben
kann.
d) Die ganze Nasenlänge (na— ak) mit den zwei Grenzwerten
32—62 mm=31 E. vertritt 56.36°/,, der Gesamtschwankunesbreite
der 4 Linearmaasse, weist von 3000 Schädeln = 2.37 ?/,, kurze, 65.57 9/,,
mittellange und 32.07 °/,, lange Maasse auf. Ihre arithmetische Mittel-
zahl— 49.70, d. h. —50 mm ist unter den 3000 Schädeln 324 mal,
d. h. in 10.80 ?/,, vertreten, sie liegt noch auffallender asymmetrisch
als bei allen übrigen — da linkerseits von ihr 18, rechterseits aber
Ueber eine neue Methode zur kraniologischen Charakteristik der Nase. 12]
nur 12 Glieder folgen. In der continuierlichen Zahlreihe sind die
vor der arithmetischen Mittelzahl vorkommenden Maasse 32—49 mm
durch insgesamt— 1395 Schädel, hingegen die nach ihr folgenden
Maasse 51—62 mm durch insgesamt — 1281 Schädel vertreten, worüber
die arithmetische Mittelzahl ebenfalls keinen Aufschluss geben kann.
4. Die wissenschaftliche Charakteristik der Variationsreihen
der 4 Linearmaasse.
Wenn wir sehen, dass die 4 Linearmaasse bei derselben Anzahl
derselben Schädel innerhalb sehr verschiedener Schwankungsbreiten
variieren, dass bei ihnen die Verteilung der Einzelfälle ebenso ver-
schieden ist und dass auch ihre arithmetischen Mittelwerte von einander
ganz auffallend abweichen, so sind wir hinsichtlich alles weiteren vor
eine Alternative gestellt: entweder müssen wir uns noch weiter mit
dem Studium der Complicationen dieser Variationsreihen bescháftigen,
und zwar mittelst der Wahrscheinlichkeitsrechnung — da für ,zu-
fallige^ Naturerscheinungen uns keine andere Methode zur Verfügung
steht; oder aber wir müssen auf eine wissenschaftliche Behandlung des
Themas einfach verzichten — da die bisherige Art und Weise, aus
kraniometrischen Daten „Gesetzmässigkeiten“ erschliessen zu wollen,
unsere ganze Disciplin einer wohlverdienten Lächerlichkeit preisgeben
muss.
| In Bezug auf die nach der Bestimmung der arithmetischen Mittel-
zahl zu erledigenden Fragen müssen wir zunächst die Stellung (Lage)
des arithmetischen Mittelwertes zu den übrigen Einzelwerten des be-
treffenden kraniometrischen Dimensionsmaasses genau feststellen. —
Es ist nicht genug, die Asymmetrie nur in Bezug auf die verschiedene
Anzahl der links- und rechtsseitigen Glieder innerhalb der Variations-
reihe (Schwankungsbreite) kennen zu lernen, wie wir dies schon im
vorigen Capitel gethan haben; wir müssen die Wertgrösse der arith-
metischen Mittelzahl ausserdem noch mit jeder anderen. Wertgrösse
des Maasses genau vergleichen, indem wir die Differenzen zwischen
ihnen bestimmen.
Ich habe schon weiter oben dargethan, dass allemal, wenn die
arithmetische Mittelzahl zugleich eine centrale (d. h. vollkommen sym-
122 A. v. Tórók,
metrisch liegende) Zahl darstellt, die Differenzen der linksseitigen und
rechtsseitigen Glieder dieselbe Summe ausmachen.
In unserer obigen Miniaturzahlreihe war die Summe der Diffe-
renzen:
= .. = 0) 3
| Differenzen: — 2, — 1, 0, +1, +2 | Summe d. Differenzen: ms À a. i SS b
| Weide dum S nv mw Summe der Einzelwerte (Anzahl: N)— 5
i 3 2 ) 2 ?
Arithmetische Mittelzahl ....... — 10
Wenn also die arithmetische Mittelzahl — wie bei dieser Miniatur-
zahlreihe — eine vollkommen symmetrisch (d. h. central) liegende
Wertgrösse darstellt, so ist nicht nur die Summe der links von ihr
liegenden Wertgrössen (hier 8, 9, S= 2) gleich der Summe der rechts
von ihr liegenden Wertgrössen (hier 11, 12, S= 2), sondern es muss
ausserdem auch noch die Summe der linksseitigen Differenzen (S— d —3)
gleich der Summe der rechtsseitgen Differenzen (S +d — 3) sein. Wenn
also diese beiden Bedingungen bei einer Zahlenreihe nicht erfüllt sind,
kann die arithmetische Mittelzahl keine centrale Zahl mehr darstellen.
Nun kónnen wir den grossen Unterschied zwischen diesen einfachen
Zahlreihen und den kraniometrischen Zahlreihen ganz scharf be-
messen, da wir wissen, dass bei kraniometrischen Messungen die
Zahlreihen einerseits verschiedene Unterbrechungen in der Auf-
einanderfolge der Wertgrössen erleiden können und andererseits die
vertretenen Wertgrössen entweder gar keine oder aber auch sehr ver-
schiedene Wiederholungen aufweisen können.
Würde irgend ein kraniometrisches Maass überhaupt nicht va-
rileren, so brauchten wir das betreffende Maass nur ein einziges Mal
zu bestimmen. — Nun variiert aber ein jedes Einzelmaass des Schädels,
wie auch ein jeder einzelne Schädel „in toto“ einen Einzelfall der
zahllosen Variationen darstellt. — Hier beginnt — wie bereits erwähnt
das Labyrinth der Complicationen, in welches wir nur sachte und
möglichst vorsichtig eintreten dürfen. Nehmen wir den allereinfachsten
Fall der Variation zum Ausgangspunkte unserer Speculationen. Neh-
men wir an, dass ein vorhin noch ganz unveränderlich (constant)
gedachtes kraniometrisches Linearmaass sich zu verändern beginnt, und
zwar so, dass die Veränderung nach links gerade so gross ist, wie
nach rechts (—d—- 0). — Nehmen wir an, dass hierauf das be-
Ueber eine neue Methode zur kraniologischen Charakteristik der Nase. 193
treffende Maass abermals einer Veränderung unterworfen ist, und zwar
so, dass dieses zweite Mal die Veränderung eine stärkere ist, als das
vorige Mal, und denken wir bei diesen immer grösser werdenden
Schwankungen endlich zwei Grenzen, über welche hinaus keine Ver-
änderung mehr eintritt, so haben wir die absolute Schwankungsbreite
des Linearmaasses. — Innerhalb dieser Schwankungsbreite würde das
ursprüngliche Linearmaass die mittlere Wertgrösse darstellen, welche
zugleich eine centrale Lage (d. h. eine vollkommene Symmetrie) zu
allen übrigen Veränderungen aufweisen würde. Wenn wir also die
Veränderungen so denken, dass das ursprüngliche Linearmaass in je
zwei Fällen der Veränderung einerseits ebenso kleiner wird, als sie
anderseits grösser wird; ferner, dass dieses symmetrische Kleiner- und
Grösserwerden des Linearmaasses immer in grösserem Maassstabe
erfolgt, so dass die Differenzen von der ursprünglichen Wertgrösse
immer bedeutender werden, bis sie endlich an den beiden Grenzwerten
am allergrössten ausfallen; und endlich, dass die ursprüngliche Wert-
grosse des Maasses zugleich auch die möglichst grösste Häufigkeit
(Wiederholungen) innerhalb der ganzen Variationsreihe aufweist und
dass die Anzahl der Einzelfälle (Wiederholungen einer und derselben
Wertgrösse der Variation) von diesem Mittelpunkte angefangen immer
kleiner wird, und zwar anfangs in sehr geringem, kaum merklichen
Maassstabe, später in immer grösserem Maassstabe und namentlich
von einer gewissen Strecke der beiderseits aufeinander folgenden
Einzelwerte angefangen (man nennt diesen Punkt in der Curven-
darstellung dieser Abnahme den Punkt der Inflexion), bis endlich bei
den Grenzwerten selbst gar keine Wiederholung mehr stattfindet —
so hätten wir eine solche Variationsreihe vor uns, die einen vollkommen
symmetrischen Bau aufweist, bei welcher die arithmetische Mittelzahl
eine wahre centrale Wertgrösse darstellen würde; da nicht nur die
Summe der linksseitig liegenden Einzelwerte mit derjenigen der rechts-
seitigen Einzelwerte gleich wäre, sondern auch die Summe der Diffe-
renzen linker- und rechterseits ganz dieselbe wäre. — Denken wir
nun eine solche complicierte aber vollkommen regelmässig gebaute
Zahlenreihe ausserdem noch durch die besondere Eigenschaft ausge-
zeichnet, dass bei ihr eine solche centrale Gruppe von Einzelwert-
124 A. v. Torok,
eróssen aufgestellt werden könnte, innerhalb welcher gerade die Hälfte
der Totalsumme der Differenzen fällt, und die andere Hälfte sich
gleichmässig auf die beiden endständigen Gruppen verteilt [S D — '/,
(—16)-+',(e@)+'/,(+16)]; so hätten wir eine solche Zahlreihe
vor uns, die die vollkommene Gesetzmässigkeit „zufälliger“ Zahl-
reihen — also auch der kraniometrischen Zahlenreihen ausdrücken
würde. — Eine solche, die Gesetzmässigkeit zufälliger Erscheinungen
vollkommen ausdrückende Zahlreihe ist aber nur in der Theorie
möglich; aus den thatsächlichen Beobachtungen kann eine solche
Variationsreihe niemals hergestellt werden, weshalb wir auch niemals
daran denken können, solche kraniometrischen Zahlenreihen zu be-
kommen, bei welchen die Gesetzmässigkeit ihres Baues vollends
nachgewiesen werden könnte. Es bleibt somit nichts anderes übrig,
als eine gesuchte Gesetzmässigkeit höchstens nur mit einer gewissen
Wahrscheinlichkeit festzustellen. Weiter zu gehen, steht uns nicht
frei. — Ist dies aber der Fail, dann bleibt uns nichts anderes übrig,
als bei unseren kraniometrischen Zahlreihen die Wahrscheinlichkeits-
rechnung anzuwenden — soll unsere Forschung überhaupt ein Anrecht
auf wissenschaftlichen Wert erheben können.
Um das Wesen des soeben Gesagten leichter auffassen zu Können,
will ich eine Demonstration an der folgenden Zahlreihe versuchen.
Es sei die vollkommen einfache continuierliche Zahlenreihe:
1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11, 12, 13, 14, 15, 16, 17, 18, 19, 20, 21, 22, 23
S 276
die arithmetische Mittelzahl ist: M — N sn 12, oder viel kürzer
berechnet : > 2d — 12. — Diese arithmetische Mittelzahl ist eine wahre
centrale Zahl, da linkerseits und rechterseits von ihr je 11 Glieder
(Einzelwerte) symmetrisch angeordnet sind. Diese symmetrische An-
ordnung ergiebt sich aus der vollkommen gleichmássigen Verteilung
der Differenzen (der Glieder von der arithmetischen Mittelzahl).
Differenzen: —11 —10 —9 —8 —7 6-5 —4 —3 —2 —1
Glieder: [ret gr RES US in,
Alf em NZ
Differenzen: +1 +2 +3 +4 +5 +6 +7 +8 +9 +10 +11
Glieder: 1334414) 155016, HUT MSH 19204 2254 220/0123:
Ueber eine neue Methode zur kraniologischen Charakteristik der Nase. 195
Die Summe der Differenzen (SD — 132) muss bei einer solchen
(vollkommen symmetrischen) Anordnung so verteilt sein, dass die eine
Hälfte linkerseits und die andere Hälfte rechterseits von der arith-
metischen Mittelzahl fällt. en und + R3 +8) 66.)
— Eine solche höchst einfache Zahlreihe kann bei den kranio-
metrischen Maassreihen niemals vorkommen. — Das wissen wir schon,
dass bei sämtlichen kraniometrischen Maassreihen einzelne Glieder
(Einzelwerte des Maasses) nur ein einziges Mal vorkommen, ja auch
fehlen können (wodurch die Zahlreihe eine unterbrochene wird),
andere wiederum sich verschiedentlich wiederholen. Durch dieses
Moment bekommt eine solche Zahlreihe ihr charakteristisches Ge-
präge, infolge davon bei ihnen auf den ersten Augenblick gar keine
Gesetzmässigkeit zu erkennen ist (sie sind sogen. „zufällige“ Zahl-
reihen). — Bei derartigen Zahlreihen ist also wegen ihrer „zufäl-
ligen“, d. h. höchst complicierten Natur eine Gesetzmässigkeit nie mit
ganzer Sicherheit nachzuweisen; dies wäre nur einzig allen dann
möglich, wenn die Zahlreihe so zu sagen eine unendliche Reihe
darstellte, innerhalb welcher sämtliche möglichen Einzelfälle vertreten
sind. Bei einer solchen theoretisch vollkommenen Zahlreihe entsteht
dann trotz der grossen Complicationen abermals eine vollkommen
symmetrisch angeordnete Zahlreihe, und zwar eine solche, innerhalb
welcher — wie bereits erwähnt — die Summe der sämtlichen Diffe-
renzen auf die Weise symmetrisch verteilt ist, dass die Hälfte derselben
(>) auf die centrale Gruppe (cG), das eire Viertel = auf die
linksseitig endständige Gruppe (—/G) und das andere Viertel auf die
rechtsseitig endständige Gruppe (--/G) fällt. — SD —(—1G) +
Get G+10)= S D.
Ich habe demzufolge die obige Zahlreihe durch Wiederholungen
einzelner Glieder so variiert, dass sie im Grossen und Ganzen die
Gesetzmässigkeit ganz deutlich veranschaulicht (s. Tabelle A auf S. 126).
Wie wir sehen, unterscheidet sich diese Zahlreihe von der
obigen dadurch, dass hier die einzelnen Glieder gegen die Mitte sich
wiederholen, und zwar so, dass die Anzahl der betreffenden Glieder im
A. v. Torok,
Le)
GI
Una!
Tabelle A.
-[s|»|-l[-Iixislssi sigas alalala
a) Wertgrósse der} MARIA E Ne dE E Ww E E E EM ey ey | c Nr
emer Eater] y bal EN En opes ese aerea eee x dod Glieder
X EX DXX XXX XXX EX LXX CXIXIXIXIX XIX IX XX te
T GI (na) <H Ne) co be 00 [on] (>) Tr au [nr] xH 1 eo p- oo lor) © — N (ne)
m i i di le | led | m | rm a | I | NA
b) Anzahl der ein-| [Summe d. Anzahl sämtl.
oo Giles T] He) 3m, 30 ey X) $1 AD) Ait) 42 atl RAD MAL SE XI d XX) 44 4) XN d I chess ay Sep)
c) Glieder 12/3 4 51 6! 7| 8| 9110/11) Z2 |13| 14 15 16 17. 18|19|20| 21 | 99 A s der Glieder — 23.
Tabelle B.
ifferenzen . NIRE UE ust | ‚| ur en
WAT ae T e e ERES HS EH FR
Glieder 112/83|4.5| 6| 7| 8| 9/10/11) Z2 | 13] 14) 15 16] 17) 18 19 | 20 | 21 | 22 | 23
Anzahl der Glieder We ae ae a a dU db S d Ae za zt el at NT ak yal
Summmesdersitte WO es, hes. res ea Ice (hes Cale sgis|m|e|r-»|e|s|z Summe d. PETS
renzen d. einzeln. {| | 7) cen m ire bem m TEE n » Uk. =
Glieder = SD PSE el ce eeu eus RU "rie pace ere ar aree rm | (Tot. Summe = 322
Ueber eine neue Methode zur kraniologischen Charakteristik der Nase. 197
Mittelpunkt selbst am grössten ist, die Wiederholungen sind linker-
und rechterseits ganz dieselben, infolge davon der Bau (Zusammen-
setzung) dieser Zahlreihe eine vollkommen symmetrische geblieben
ist. — Um in das Wesen dieser Zahlreihe näher einzudringen, müssen
wir vor allem ihre arithmetische Mittelzahl bestimmen. Schon ein
Blick genügt, um zu sehen, dass, weil wir hier eine vollkommen sym-
metrisch gebaute und continuierliche Zahlreihe vor uns haben, zur
Berechnung der arithmetischen Mittelzahl genügt, die Summe der
EET
=
beiden endständigen Wertgréssen durch 2 zu teilen: M —
?
da auch die Summe der einzelnen Wertgróssen geteilt durch ihre
Anzahl: — 12 ist. Um den symmetrischen Bau ganz klarzustellen,
müssen nun die Differenzen der einzelnen Glieder von der arithmetischen
Mittelzahl bestimmt werden (s. Tabelle B auf S. 126).
Wir bemerken hier, dass sowohl links (—) wie rechts (4) von
der arithmetischen Mittelzahl (12) ganz dieselben Differenzen und auch
dieselbe Häufigkeit der Differenzen auftreten, weshalb auch die Summe
der linksseitigen Differenzen [S(— 9) — 161] ganz gleich ist mit der-
jenigen der rechtsseitigen Differenzen [S(+ 9) — 161]. — Entsprechend
der oben erwähnten Gesetzmissigkeit ,zufälliger“ Zahlreihen, kann
mit Hülfe der Wertgrósse der ,wahrscheinlichen Abweichung oder des
SE SD
sogen. wahrscheinlichen Fehlers“ 7, = 0.8453 >< N oder r,=0.6745 x
(siehe das Nähere in meinem Aufsatze: „Neuere Beiträge z.
FSD,
y masi
Reform d. Kraniologie III. Ueber die syst. Untersuchung d. kraniom.
Variationsreihen ete.“ diese Monatsschrift 1894. Bd. XI. Heft 6, 7)
eine vollkommen geeignete Variationsreihe in die bereits erwähnten
drei Gruppen [a) DENG b) eG, c) -- 0G] geteilt werden, unter welchen
die Summe der Differenzen (hier ist SD= 322) sich auf die Weise
SD
2
verteilt, dass: auf a) — ia P (hier — 80.5), auf 0) eG (hier = 161)
und auf c) ciet (hier — 80.5) fällt (S.D — 322 — 80.5 + 161 +
80.5 — 322). — Ich habe schon erwähnt, dass wir die Vollkommenheit
bei unseren Zahlreihen nicht erwarten dürfen, jedoch kónnen solche
128 A. v. Tórók,
Zahlreihen aufgestellt werden, die wenigstens in Bezug auf die Ver-
teilung der Differenzen — der vollen Gesetzmässigkeit sehr nahe
kommen. — Eine solche Zahlreihe ist auch die obige von mir auf-
gestellte Zahlreihe.
Um aber » (die wahrscheinliche Abweichung) mittelst der Formel
r= 0.8453 = ES berechnen zu können, müssen wir zunächst BE
bestimmen. — Hier ist Ei lx oder 1.68. Man nennt
diesen Quotienten — welcher nichts anderes ist, als die arithmetische
Mittelzahl der Differenzen — mach v. Jhering’s Vorschlag den Oscil-
lationsexponenten (Oe— 1.68). — Es ist somit r == 0.8453 x 1.68 =
1.42. — Um die Zahlreihe in die erwähnten drei Gruppen einteilen
zu können, müssen wir zunächst die centrale Gruppe (cG) be-
stimmen. Diese reicht zwischen den zwei Grenzen von Wertgrössen,
deren eine M—r und die andere M + r ist. Hier ist M — v — 12
— 1.492 — 10.58 Wertgrüsse, M + r — 12 + 1.42 — 13.42 Wertgrösse.
(Da wie erwähnt die hier aufgestellte Zahlreihe keine vollkommene
sein kann, war ich genötigt anstatt der berechneten M — » — 10.58
die Wertgrésse —10, und anstatt M -|-» — 13.49 die Wertgrósse 14
zu nehmen.) — Vor d. h. links von dieser centralen Gruppe liegt die
linksendständige Gruppe (—/G) und nach d. h. rechts von derselben
liegt die rechtsendständige Gruppe (+ 1G).
Die auf Grundlage der Wahrscheinlichkeitsrechnung durchgeführte
Gruppeneinteilung dieser Zahlreihe ist die aus Tabelle C S. 129 er-
sichtliche.
Mittelst der Wertgròsse von r=1.42 wurde hier die ganze aus
23 verschiedenen Zahlen (Gliedern) bestehende Reihe in drei gesetz-
mässige Gruppen eingeteilt: a) In die links endständige Gruppe (—/G),
die 1—9 — 9 Einzelglieder enthält, unter welchen die zwei letzten
Wiederholungen aufweisen: 8 kommt 3 mal, 9 kommt 4 mal vor, so
dass die Anzahl der Einzelfälle — 14 beträgt; die Summe der Diffe-
renzen dieser Glieder (von der arithmetischen Mittelzahl — 12) beträgt
— 80. — b) In die centrale Gruppe (cG) zwischen den Wertgrenzen
M —r und M+r. [Wie bereits erwähnt wurde, musste ich hier
wegen Ermóglichung einer geeigneten Demonstration eine kleine Ver-
Ueber eine neue Methode zur kraniologischen Charakteristik der Nase. 199
änderung der berechneten Wert- 22 uini mam ai
grössen vornehmen und nahm $8 |$9 a Ia
anstatt (M — r= 12 — 1.42) 5 UN uu
— 10.58 nur 10 und anstatt =o, ee DR
(usce LET. 1340 sj comes e
die Wertgrüsse —14.] Diese 3 «3 m b
Gruppe erstreckt sich also von | RC n
10—14 —5 Einzelglieder, die n : Hi ENS m.
sämtlich Wiederholungen auf- Te ce = ne
weisen (10 kommt 20mal, 11 IE als mare
kommt 41 mal, 12 kommt 42 mal, i al E = È
13 kommt 41 mal und 14 kommt = ax n El E
20mal vor); die Anzahl der ip m =
Glieder beträgt hier — 164 Einzel- a ma
fälle; die Summe der Differenzen ie ee Er
— 162. — c) In die rechts end- ri SE 3
ständige Gruppe (---1G) zwischen S 5 = a || = E = e i
den Gliedern 15 und 23; die S as ra (SE
Anzahl der Einzelglieder — 9; = pe | 3 = = E
die Anzahl der Häufigkeit der- E | = == = =
selben — 14; die Summe der | | 7
Differenzen — 80. | 2 | 2 E
Wir haben hier entsprechend | \ | TO e en i
der Gesetzmässigkeit der „zu- S | lé, E
fälligen“ Zahlreihen eine cen- Vs È | = ali E
trale Gruppe, innerhalb welcher | 29 | i EXEC
die überaus grosse Mehrzahl der ro | | 1
Einzelfälle vorkommt (von ins- E | TRAE =
gesamt 192 Einzelfällen kommen = | SU SR UNS
hier 164, d. h. 85.42 °/o vor); | - e
die Summe der Differenzen be- 3 |. | quio
tràgt hier — 162; en 1.987, | Ta De
162 | 8 Bx
was also noch etwas mehr als | X E EE
i SD entspricht. In den beiden | een eee
©
Internationale Monatsschrift für Anat. u. Phys. XY.
130 : A. v. Tórók,
endstándigen Gruppen kommen je nur 14, also insgesamt 28 Einzel-
falle, d. h. je 7.29 "|. bez. 14.58 °/o, sowie je 80, demnach insgesamt
È fue 2 È
160 Differenzeinheiten vor — welche Summen = — 4.02, also beinahe
322
1 SD Pio
SDE aber 160
— Die Anzahl der Glieder sowie diejenige der Differenzen verhält sich
— 2.01, also etwas weniger als 4 SD entsprechen.
bei diesen drei Gruppen wie folet:
Verhältnis zwischen | a) —1G | b) cG | ONE,
Anzahl der Glieder . . . 1 E 11.71 i 1
Summe der Differenzen . . 1 : PO ZIE 1
Wenn wir die kraniometrischen Zahlreihen in Bezug auf die
Verteilung der Einzelfälle sowie der Differenzen untereinander ver-
oleichen wollen, so werden wir mit Hülfe unseres Beispiels über die
Beurteilung einer Gesetzmässigkeit bei ihnen auf leichte Weise uns zu
orientieren im stande sein. — Wir können nunmehr auch ohne weiteres
auf die Untersuchung der Variationsreihen der 4 Linearmaasse selbst
übergehen.
a) Die Variationsreihe der Nasenrückenlänge (na — ri) in Bezug auf
die Verteilung der Einzelfälle und der Differenzen.
Die arithmetische Mittelzahl wurde wie wir bereits wissen
— 21.12 mm berechnet; da wir hier wegen Vereinfachung immer nur
ganze Millimetereinheiten nehmen, so wird M=21 mm sein. Die
Häufigkeit der Einzelglieder wurde bereits (auf S. 95) angegeben, die
Bestimmung der Differenzen ist in der nebenstehenden Tabelle « aus-
geführt. sm à
Der Oscillationsexponent Ne oo ist = 2.92 — Oe, demnach
SD x IE :
y = 0.8453 >< Ka 2.468 = 2.47; folglich die Grenzen der centralen
Gruppe zwischen M — 7 — 21 — 2.47 — 18.53 und M+ r—21+ 247
— 23.47, also in ganzen Einheiten zwischen 19 und 23. Die drei
Gruppen dieser Variationsreihe sind in der nebenstehenden Tabelle 6
zusammengestellt. — In den darauf folgenden Tabellen (0, c, d) sind
die Variationsreihen für: AB, ri — ak, na — ak zusammengestellt.
131
00 0£'67 = 66, = Ieparpy Top eurung |P"/ecoe-^,0eI— T9 PS o LEFZ = FEL = pego p euung
.00 : Er
lo 00°00T oO T+ (9 no (q "OV (v
[opa p 9
0008 = N la |G jar jor |68 |sc |86 |veT|BYT AGG 05 | A62 |GTe eee 99 scc OTG|OGT en |e Isa |or|e [a |O|T || koxSumen
“192 = 0 |es|ze|re los lee |se 28 |9z |se [ra les lee | pg los let ler Jar jor (gt |r ler |GI|II|OI|6|8 |" avons
: I9ZU9. I9
SOLA = Gs [PE ee OCT FFT GIG 907 88€ 022 GGG 189/009 462) 0 |aes cG€ ve9 OF& 009 OCT 66E FST 06 06 Gc O | ST s Hee
| a
wuwumg |"/,co'gp— 269€ = uezueiegiq 'p eurumg ?"/eo:0g—T94 T— AP'S! "N GL'LE — ZIE = uezuezogrq 'p eurumg
9TU30], wae © 99 (q lA
‘9 eyeqn
= | ì | pel | se E. be | | | | {oprompozurt]
0006 = N o |G (GL 9T 66 88 86 TSISTI LG 00E LOG 6166869968660 T6 0GT SL LS 86 OT $8 |G UL Lp goysyney
| | atta te | | || f aeperp po
16108 6I SI LT 9T ST I SI GI IT JOT (6,8 | oqtompozurg
|
"98-130 es ze 1e 08 6c [gc Le oc (se ra ee GG
| RENE | ' W9ZUOI9J |
GT LL ou 877 847 AL ere tent Ole 8— IF —8— 9—4— 8— 6 01 7 2 ee MEUM
| | E | { uozuoaogrq
009266 0 GEEGESFS907800906P 666 78706 06 (66 08T || xp ewwng
| lessi
8948 S686F=(P+)S1 | e E EN e m
Sortie (SS LOST PRL GLE 907 886022 266 189
i I |
Ueber eine neue Methode zur kraniologischen Charakteristik der Nase.
‘0 ogequ,
A. v. Tórók,
132
D 00 . =
où nn 100208 = 129 = aepeno 'p euumg| 0067S — . «osse cei = PA peuuns
lo 00'001 = ny (a LY9T D P'S 9) — (e
22 4 : A
. = | f° > xepers
[PEWS 0006 =N T |S | 9 ue | 48 lozr |6ze ler | GBs |eue | 898} 90a |GOl|98 | at |e ||
IP poysyneyy
‘A9T = @E—LI = 40 || ge | Te 08 (67 |sc |za |9c ea | pe ec les |1e loc jer | ST 21 1opomo)
| [ ^ uezuoiogug -
I8p— QS |8 | IG | 98 [ger Love ore |8e9 |z8 | 0 [are | 982 |STO |OGE|OSI | G2 | $8 || op ommmg
S MET Secr tee Mp Een
de T
9l 66°66 = Eee = got — "uoiogrq p owumg| "Ie 8616 =|), 99127 — 1908= pir p aug
ouumg 940 J, | 914 (0 U Es Sele
pa |
‘UU Gg pun gg ueqostMz oddnryH operjueo erp os[e dors 449919819 U9JIOUULH uezuves erp jue Inzag ur ‘96 GG —
3 I : È 0008 T
9g'I--v6 = HN 'v9'8GG— 9€ 1 — $6 — 4 — N (9€ 1— 191 eer8 o — 4 ‘op = 0008 NO
cesr as
'0008 = N I e 9 LG $8 |OZT 668 | 487 | S8S | SL | 896 | 906 | SOL | 98 GI G
‘HAT = wu GS-41 — 40) 168 1g 06 66 SG LG 9G GG FG | SG 6G TG 06 61 SI LT
TS8F aigle le Eire) © i=|a=|e=|7= ||
G6IG
9896 — 8 TG 96 GGI | 076 | OTS | 869 | 287 0 |€48 |984 | 819 | 0OGF | OST | 64 GE
— 9()
[^ : xepeqo
| wep jrex2gnug
J «por topo
| 9319 MJ9ZUT
* UOZU9IOI(T
ou[ozurgq
* U9ZU9.I9gr(T
Top eurume
"ww $Z = [YVZ sozueS ur ‘UI eg'eg = [yezjoggIm euosmeurgjrie ojouugoereq II]
"wozwo4ollwer
dap pun ayppfezmay «op bunjrasa, ap Jno Dnzog ur (TP) opo4qumj4odpuospNr sap owm4swonvtDA UT (q
133
Ueber eine neue Methode zur kraniologischen Charakteristik der Nase.
"Io 08'S = 667 = "lo 8929 = 90; "ze = $96 = lopoyy dop ovine
000.001 i9poer[r) tap eurumg lei — a) To NR lo 10'768 = 696 m we Top € S
91-- © 22 (4 IT“
PprıpS 0008 = N |I |} BIOS er ^ |LIT|GST|IeG 968 2rg\agelgreissz ecc | SGT 00108 log 08 |rz OI v | 2 |I Ae
199 = ME — BE = 30 epcpTPOP (68 Be ^e 9e Ice ve Locle [18 [0g (63 (se |. [oz [se [Fe (ea lee Tc 0G 6T I TOPOL
— (18 0198,96 071 gcc eee 9r eec coy 96 0 298 989 798 006 062 009/098 88210281072 OTT gv cc gg e|) "Sora
SES | xp owumg
00 . = — 00 m. = = s Dauer n à E.
00/6 007001 = ii Li 00/6 LLC = GOLF = uozuoxognq top omumg
uourumg o[930],
uozuo1iogr] tap ouruug | 9g0g[ = Ha p ‘Ss
DI (9
22 (q
ce —
ore + ge — «+ ‘0908 = 0p6— $8 — 4 —J ‘OF — F983 >< EPS O0 — 4 TER —
| | |
'0008—N I |} (GI [08 Sr [LL |LIT|SST|IeG 9601178 298 EHE 883 GGG SGT 001 08 98 Og vc OT
euere, e» [tv lor ee lee Le 9e ce lee |po ze lre log lez lec lez oz len pa ee Lee
sid gf = doj\FY | 66 Sue GE CRC
6158=0S 0T-F16-I-,8-- HH e-- e-- tH 0 1-88 1#- 9-1 8 6-1 —
9046 — (PIS | |
BIS —(P—)S OT |98 |96 OrTI|Sece8e S9v|GGG 297 968] 0 c98 989 F98 006 062.009 094 88810231078 OTT
94
— (v
2+ ‘I8=4— 7 Tyez 1ezues ur (0p eg —
0006 N
oa 2290
61648 AS
Japan p
Vane ce A na
Is (06 167 181 in
1 Ilf 'zuexegtq
(eit fell =a SE | oupozurg
; | zusaoyraq
87 |6S 85 [SI Up ourumg
"wu gg = [yez iozues ur ‘WU 6/86 = [uezp[egr ewosneurnpjne ejouqoo1eq oHq
"wozwo4oller
pun onn/pzwg sap bunpojiag ap Jno Dnzog m (y0—141) owoanj4odpuosp Nr sop ayroısuonmumg aug (0
A. v. Torok,
134
d) Die Variationsreihe der ganzen Nasenlänge (na — ak) in Bezug auf die Verteilung der Einzelfälle und der
Differenzen.
Die berechnete arithmetische Mittelzahl = 49.70, in ganzer Zahl M= 50 mm.
|
Summe d. E T 3
NET 18 17 16| 75| 84| 65| 60! 154| 120|189|304|392|534| 615| 704 711|600|305| 0 |319|582|693! 616|560|426|308|176|153| 140| 33| 36||S (— d. = 4963
nr S (+ d) — 4042
ee M 18 —17 516 —15—14|—13 —12|—11|—10,—9|— 8,—7 —6,—5,—4|—3 —2|—1, 0 |+1+2 +3 + 4|H- 5 4- 6|4- 7 H-8 4-9 |--10|--1 | 12 S D — 9005
Einzelw.d| | sol 39 gal asl gal 57 38 39| 40| 41 42) 43| aal asl 46 47| 48| 49050) 51 se| 58| 54 55, 50 57| 58| 59 60! 61] 62140155? Gamm
Glieder . J = Gil 19);
Häufigkeit, | | 4| 4| 5 6 si 5 14] 12) 21| 38] 56) 89,123 176 237/300] 305 324 319 291 231 154/112) 71| 44| 22| 17| 14) 3| 3| N= 3000.
d. Gliederf | | |
SD. 9005 SMS =
Ve — a — = BOO, 7 == ORES SSB ROM: 50 — 9.54 — 47.46, M +r = 50 + 2.54
N 3000
— 52.54, in ganzen Zahlen erstreckt sich cG zwischen 47 und 53 mm.
b) e 1
a) —1G ) a | ap S Totale Summen
Summe der Ditterensent 9947 37 129) Summe der Differenzen | Summe der Differenzen — 2448 — 100.01 9),
m) = 3210 = 35.66 9/0 = 27.18 0/0 ee
| |
euni CS nee im 75|84 65 | 60 | 154 Hares 304| 392| 534| 615) 704| 711|600| 305) 0 |319| 582! 693/616) 560! 426) 308) 176 153) 140] 33 |36| SD = 9005
Differenzen . | | | |
Glieder .... la2/33|34|35|36|37 38| 39| 40| 41| 42| 43| 44| 45! 46|| 47| 48| 49/50! 51| 52| 53| 54| 55| 56| 57| 58| 59| 60/6162] Ob — 32 — 62mm —31 E.
m ra . |
Vo der | 1| 1| 4] 5] 6| 5| 5| 14) 12 ail 38| 56 a 176|| 237| 300] 3: den 319|291|231|151| 112| 71| 44| 22) 17| 14| 3| 3| N — 3000 Schädel.
x | \ |
eee | | | |
SIE b) cG | e) +16
EET x Summe der Glieder Summe der Glieder — 440 = 100.00 0/55.
— = 0
Summe der Glieder = 553 = 18.43 Jog — 2007 = 66.90 9/5, | = 11.67%»
Ueber eme neue Methode zur kraniologischen Charakteristik der Nase. 135
Nun können wir die Charakteristik der 4 Linearmaasse des
Nasenskelettes auf Grundlage eines streng wissenschaftlichen Princips
untereinander vergleichen.
Die vier Variationsreihen mussten uns endgültig davon überzeugen,
dass wir bei den kraniometrischen Zahlreihen wirklich mit „zufälligen“
Erscheinungen zu thun haben; ferner mussten wir die Ueberzeugung
schöpfen, dass alle unsere wissenschaftlichen Speculationen bei den
kraniometrischen Zahlreihen nur mittelst der Wahrscheinlichkeits-
rechnung sich auf eine solide Grundlage stützen können, und dass wir
hier überhaupt nie sichere, sondern nur wahrscheinliche Resultate zu
erzielen vermógen.
Die „Zufälligkeit“, d. h. die höchst verwickelte Verkettung der
Ursachen müssen wir darin erblicken, dass bei denselben 3000 Schädeln
alle 4 Linearmaasse ganz verschieden variieren, wie dies zunáchst aus
der Verschiedenheit der Wertgréssen von Ob, M, Oe und r ersicht-
lich ist.
Bei der Nasenrückenlänge ist:
()5—3782799 mm —:96 E: MI 97: -—29,09:!9 = 904»
bei der Nasenaperturbreite:
00 175 20mm — 6) B9, 24700 1.01: y — 15367
bei der Nasenaperturhóhe:
0b — 913: mm 96 He — 337 0e 2:84. 7, 29107
bei der ganzen Nasenlänge:
Ob = 32-02 mm Bk, MM 50) 0e 3.0027 2:54.
Warum die Wertgrösse der arithmetischen Mittelzahl (17) bei den
4 Linearmaassen verschieden ist, und warum dieselbe bei dem einen
oder anderen Linearmaasse grósser ist als bei den übrigen, habe ich
schon oben ganz klar auseinandergesetzt. Was nun die Wertgróssen
des Oscillationsexponenten (Oe) und der wahrscheinlichen Abweichung
(r) anbelangt, so muss ich den Leser einerseits auf meine früheren
Aufsütze verweisen (a. a. O.), anderseits sind die Variationsreihen der
4 Linearmaasse wegen ihrer geringen Anzahl ungeeignet, um dieselben
zur Demonstration dieser viel complicierteren Momente benutzen zu
können. — Hier können wir nur den engen Zusammenhang zwischen
136 (e TN
den Wertgrössen von Oe und r hervorheben, was übrigens schon aus
der Formel += 0.8453 >< Oe hervorgeht. Es ist klar, dass, je grösser
oder je kleiner Oe ist, auch r sich ebenso verhalten muss.
Bei dieser Gelegenheit will ich aber die Wichtigkeit der Wert-
grüsse von 7 besonders hervorheben, weil die wissenschaftliche Drei-
teilung einer kraniometrischen Variationsreihe gerade von r abhingt
[da die centrale Gruppe (eG) durch die Grenzen von M—r und M 4- r
bestimmt ist] — Wollen wir also diesmal nur dieses Moment naher
in Betracht ziehen.
Wie wir oben gesehen haben, ergiebt sich bei einer jeden zur
wissenschaftlichen Analyse geeigneten Variationsreihe die Tendenz
jener Gesetzmàssigkeit, dass die einzelnen Wertgrössen des Maasses
(die Glieder der Variationsreihe) in centripetaler Richtung an Häufig-
keit der Einzelfálle zunehmen und in centrifugaler Richtung abnehmen,
so dass die grösste Häufigkeit (die meisten Wiederholungen) der
Einzelfälle im Mittelpunkte der Variationsreihe eintreffen müsste, wenn
nämlich die betreffende Variationsreihe die Gesetzmässigkeit ,,ceteris
paribus“ ganz deutlich ausdrücken würde. Welches ist aber der wahre
Mittelpunkt einer derartigen Variationsreihe? Etwa die arithmetische
Mittelzahl? — Dies könnte nur dann der Fall sein, wenn sie eine
wahre centrale (d. h. vollkommen symmetrisch liegende) Wertgrösse
repräsentiert. M ist bei keiner einzigen unserer 4 Variationsreihen
eine wahre centrale Wertgrösse, wie dies aus den obigen Tabellen
ganz deutlich ersichtlich ist. — So z. B. bei na — ri liegt M= 21 mm
dem Augenscheine nach zwar ganz symmetrisch, da links und rechts
von ihr je 12 Wertgróssen in der That repräsentiert sind, jedoch
müssten links nicht 12 sondern 13 Wertgrössen vorkommen, damit die
Zahlreihe eine continuierliche sei. — Bei AB kommen linkerseits (von
M —14) 7, rechterseits 8 Wertgrössen vor. — Bei v?— ak sind
linkerseits (von M= 33) 15, rechterseits aber nur 10 Zahlwerte ver-
treten. — Bei na — ak sind die linksseitigen Wertgrössen (M ist hier
— 50) ebenfalls zahlreicher (— 18) als die rechtsseitigen (— 12). —
Es ware aber weit verfehlt, wenn man die vollkommene Symmetrie
Ueber eine neue Methode zur kraniologischen Charakteristik der Nase. 137
einer zufälligen Zahlreihe einzig allein davon abhängig machen würde,
dass die arithmetische Mittelzahl gerade auf den Mittelpunkt der
continuierlichen Zahlreihe fällt. Bei den zufälligen Zahlreihen müsste
,ceteris paribus“ M noch die allergrösste Häufigkeit der Einzelfälle
aufweisen. Bei den Variationsreihen dieser 4 Linearmaasse trifft das
letztere nur zweimal, nämlich bei AB und na — ak zu, bei den anderen
zwei Maassen (na — ri, ri — ak) hingegen nicht. Bei A Bist M — 24mm
durch 585 Einzelfälle vertreten (die zunächst grösste Häufigkeit weisen
23 mm mit 575 und 25 mm mit 487 Einzelfällen auf). — Bei na — ak
ist M=50 mm durch 324 Einzelfälle vertreten (die zunächst grösste
Häufigkeit kommt bei 51 mm mit 319 und bei 49 mm mit 305 Einzel-
fällen vor). Aber bei diesen zwei Variationsreihen liegt die arith-
metische Mittelzahl, wie wir soeben gesehen haben, nicht im Mittel-
punkte. Bei den übrigen zwei Variationsreihen repräsentiert die
arithmetische Mittelzahl nicht die grösste Häufigkeit der Einzelfälle.
Bei na— ri kommt M=21 mm mit 312 ‚Einzelfällen vor, hingegen
20 mm mit 332 Einzelfällen; bei ri— «ak ist M—33 mm durch
347 Einzelfälle vertreten, hingegen 32 mm durch 362 Einzelfälle.
Auch bei diesen zwei Reihen — wie bereits erwähnt — stellt M keine
wahre centrale Zahl vor. — Es kann bei diesen Variationsreihen also
überhaupt nicht die Rede von einer centralen Zahl sein, weil wir es
hier auch mit keiner vollkommenen Symmetrie in der Zusammen-
setzung der Zahlreihen zu thun haben, weshalb auch die Wertgrösse
der arithmetischen Mittelzahl nicht die Bedeutung haben kann, wie
bei den einfachen, vollkommen regelmässig zusammengesetzten con-
tinuierlichen Zahlreihen.
Nun stossen wir auf eine höchst interessante und für die ganze
weitere Forschung entscheidende Frage: Was wollen wir denn
eigentlich mittelst der kraniometrischen Zahlreihen erreichen? — Die
ganze Untersuchung der kraniometrischen Zahlreihen kann nur den
einzigen wissenschaftlichen Sinn haben, dass wir aus ihnen einen
möglichst soliden Rückschluss auf den Typus der betreffenden Schädel-
serie zu ziehen im stande sind. — Ist dies nicht möglich, dann ist es
wirklich eine der nutzlosesten Verschwendung der Zeit, sich mit
138 A. v. Tórók,
solehen Dingen abzugeben. Leider wurde bisher in der Kraniologie
nur zu viel teuere Zeit auf diese Weise vergeudet.
Fragen wir nun, was ist bei den kraniologischen Zahlreihen unter
dem Worte Typus zu verstehen? — Es ist hierunter die Norm, d. h.
die Regel einer Wertgrósse irgendwelcher kraniometrischer Maasse zu
verstehen. — Was ist aber unter einer Norm oder Regel eines kranio-
metrischen Maasses zu verstehen? — Diejenige Wertgrösse des
Maasses, die durch die dominierende Häufigkeit der Einzelfälle den
übrigen speciellen Wertgrössen gegenüber vertreten ist. — Wie kann
also dies nachgewiesen werden? — Gewiss nicht durch die einfache
Bestimmung der arithmetischen Mittelzahl.
Ueberhaupt müssen wir stets vor Augen halten, dass, weil die
kraniometrischen Zahlreihen lediglich zufällige Wertgrössen enthalten,
bei welchen die volle Gesetzmässigkeit nur unter der Bedingung nach-
zuweisen wäre, wenn wir alle möglichen Einzelfälle der Variation
innerhalb unserer Zahlreihen einschliessen könnten — was aber für
uns immerdar ausgeschlossen bleibt — so müssen wif dieser Be-
dingung eingedenk darnach trachten, um wenigstens mit irgend einer
Wahrscheinlichkeit die auf einer Gesetzmässigkeit beruhende Norm
oder Regel für den zu suchenden Typus festzustellen. — Und dies
geschieht — wie bereits erörtert und demonstriert wurde — mittelst
der Anwendung der sogen. „wahrscheinlichen Abweichung“ (oder in
der Wissenschaft im allgemeinen sogen. „wahrscheinlichen Fehlers“
=r). Wenn man bei einer schon etwas mehr geeigneten kranio-
metrischen Zahlreihe: M—r und M--r bestimmt, so können wir
eine solche centrale (Mittel-)Gruppe der infolge der Variation so ver-
schieden ausfallenden Wertgrössen irgend eines kraniometrischen
Maasses feststellen, die durch eine absolute Mehrheit der Einzelfälle
— allen übrigen Gruppen von Wertgrössen gegenüber — vertreten
ist. — Weiter zu gehen, um hier die Norm, die Regel ausforschen zu
können, ist nicht mehr möglich.
Wir können nun aussagen, dass durch die (M—r und M-+r
bestimmte) centrale Gruppe (c@) der kraniometrischen Zahlreihen, der
die Norm oder die Regel ausdrückende Typus eines Schädelmaasses
Ueber eine neue Methode zur kraniologischen Charakteristik der Nase. 139
selbst festgestellt werden kann. — Nur die Frage der Sicherheit, d. h.
die Wahrscheinlichkeit einer Präcision dieser Feststellung, muss allemal
bei den einzelnen kraniometrischen Zahlreihen speciell für sich ent-
schieden werden. — Der centralen Gruppe (cG) gegenüber können
die beiden endständigen Gruppen (—/G, + G) nur die Abweichungen
von der Regel vertreten, wenn nàmlich die betreffende Schàdelserie
zu einer wissenschaftlichen Forschung geeignet war. — Man soll sich
doch stets vor Augen halten, dass, weil wir es in der Kraniologie mit
zufälligen Erscheinungen zu thun haben, — nicht eine jede Unter-
suchungsreihe für eine wissenschaftliche Behandlung unbedingt geeignet
sein kann.
Aus dem Wesen der bisherigen Erörterungen geht hervor, dass
wir unter einem Typus me eine einzige Wertgrösse der kranio-
metrischen Maasse (also z. D. diejenige der arithmetischen Mittelzahl),
sondern immer eine: gewisse Gruppe von Wertgrössen zu verstehen
haben, welche einander sehr nahe stehende Wertgrössen zusammen-
fassend, immer durch die grösste Häufigkeit der Einzelfälle ver-
treten ast.
Mit der Aufstellung dieses Lehrsatzes ist es endlich gelumgen,
den unheilvollen Wirrwarr der wilkürlichen persönlichen Ansichten
über den Begriff eines Typus ein für allemal aus der Kraniologie
zu bamnen.
Ich stelle den kraniometrischen Typus für die 4 Linearmaasse im
folgenden zusammen:
1. Für die Nasenrückenlänge (na— ri) ist der Typus durch
19-25 mm Wertgrössen ausgedrückt, welcher Typus unter denselben
3000 Schädeln = 1507 Einzelfälle, d. h. 50.23°/o der Gesamtfälle
aufweist.
2. Für die Nasenaperturbreite (AB) ist der Typus durch 23 bis
25 mm Wertgrössen ausgedrückt, dieser Typus ist unter denselben
3000 Schädeln durch 1647 Einzelfälle, d. h. 54.90 °/oo der Gesamtfälle
vertreten.
3. Für die Nasenaperturhöhe (ri — ak) ist der Typus durch
31—55 mm Wertgrössen ausgedrückt, dieser Typus weist unter den-
140 A. v. Tórók,
selben 5000 Schádeln — 1579 Einzelfälle, d. h. 52.63 °/o der Gesamt-
falle auf.
4. Für die ganze Nasenlänge (na — ak) ist der Typus durch
47 —55 mm Wertgróssen ausgedrückt und weist unter denselben
3000 Schädeln — 2007 Einzelfälle, d. h. 66.90 "/ der Gesamtfälle auf.
Da bei zufalligen Erscheinungen die Verkettung der einzelnen
ursáchlichen Momente eine sehr verwickelte ist, so wáre es ein un-
verzeihlicher Fehler, hinsichtlich der Beurteilung eines kraniometrischen
Typus, d. h. hinsichtlich Abschätzung der Gültigkeit eines solchen
Typus, sich lediglich an die Anzahl der Einzelfälle zu halten. Wir
müssen unbedingt noch die Verteilung der Differenzen von der arith-
metischen Mittelzahl aus in Betracht ziehen, und zwar in Hinsicht der
vollkommenen Gesetzmässigkeit bei zufälligen Zahlreihen — wonach
2
die Hälfte der sämtlichen Differenzen (5) innerhalb der typischen
Centralgruppe (cG) fallen muss. — Jemehr die Teilsumme der Diffe-
renzen innerhalb der centralen Gruppe irgend einer kraniometrischen
Zahlreihe hinter aL zurückbleibt, „ceteris paribus“ um so geringer ist
2
auch die Gültigkeit des betreffenden kraniometrischen Typus.
Ich stelle die Teilsummen der Differenzen, sowie die Anzahl der
Einzelfälle innerhalb der centralen Gruppe bei den 4 Linearmaassen
im folgenden zusammen.
Nennen wir die jeweilige Teilsumme der Einzelfälle — » (die
Totalsumme der Einzelfälle N ist constant — 3000), sowie diejenige
der Differenzen — Sd (die Totalsumme — SD der Differenzen ist für
eine jede Variationsreihe eine verschiedene), so ergiebt sich, dass inner-
halb der centralen Gruppe (cG) enthalten sind bei:
1. na — ri, 1—1507 oder nn d. h. 50.23°/% von N; Sö—1761
D
oder > E d. h. 20.09% von SD=8765;
SÒ 497
Ueber eine neue Methode zur kraniologischen Charakteristik der Nase. 14]
3, AB, n — N64 7 soder, = “a d. h. 54.90 °/oo von N; Sd = 1062
oder Se d. h. 21.98 °%o von S.D —4831;
; S 0 =i ;
| NS ; |
3. ri—ak, n—1579 oder en d. h. 52.63°/oo von N; $0—1806
SD 1
pie B 5 DIO 9/60 D= d :
oder Si an dehs221 von S 8519;
Ne 0
4. na—ak, n==2007 oder — = Er d. h. 66.90°/o von N; Sÿ—3210
SD 1 A
— == —— d. h. È 00 19.005
oder une em d. h. 35.66 °/o von S.D — 9005
Wie wir sehen, kann die Wertigkeit des Typus für die 4 Linear-
maasse, trotzdem dass derselbe wenigstens die Hälfte oder sogar
66.90 ° von der Totalsumme der Einzelfälle repräsentiert, doch nicht
hoch angeschlagen werden, weil der Typus hier anstatt E d. h. an-
statt 50°/o der Totalsumme der Differenzen nur 20.09—35.66 ?/; ver-
tritt. — Ich frage, was wollte man für eine Berechtigung der Soliditàt
hinsichtlich der Rückschlüsse auf einen Typus beanspruchen können,
wenn hier anstatt 3000 Schädeln nur 300 oder 30 zur Grundlage der
Typusbestimmung genommen wären? Und doch hat Kollmann sein
sogen. Correlationsgesetz einzig allein von der arithmetischen Mittelzahl
von je 10 Einzelfällen (!) schon für bewiesen aufgestellt.
Wenn man auch mit einer schon etwas grösseren Anzahl von
Schädeln (z. B. 3000 Schädel) auch hinsichtlich der allereinfachsten
Dimensionsmaasse — doch nur solche Resultate erzielen kann, welche
von der Sicherheit des Rückschlusses auf einen volleültigen Typus doch
noch so weit entfernt sind, was wollte man mit der alleinigen Kenntnis
der arithmetischen Mittelzahl von viel wenigeren Einzelfällen für die
kraniologische Typusbestimmung überhaupt anfangen können! — Ich
kann auch hier nicht genug betonen, wie ich dies übrigens bei jeder
Gelegenheit thue — dass bei kraniologischen Forschungen auch die
grösste Sorgfalt und Mühe nie im Verhältnisse zu den Forschungs-
resultaten stehen, da die letzteren wegen der zufälligen Natur der
Schädelform immer zu gering ausfallen müssen. Es kann sein, dass
man bisher, vielleicht in der Vorahnung dieser Thatsache, sich vor
149 A. v. Tórók, Ueber eine neue Methode etc.
einer grósseren Mühe bei den kraniologischen Forschungen immer
scheute, und deshalb mit móglichst winziger Arbeit zu irgend welchen
Resultaten zu gelangen bestrebt war; jedoch musste sich dies bitter
rächen — weil alle die bisherigen sogen. Resultate nur dem äusseren
und oberflächlichen Scheine nach Resultate waren. Ihrem wahren
Wesen nach können sie keine soliden Resultate sein. Alle bisherige
Mühe war umsonst!
(Schluss folgt.)
Referate
von
R. Weinberg und Fr. Kopsch.
Tichomiroff, M., Verdoppelung der unteren Hohlvenen bei dem
Menschen. Sep.-Abdr. aus den Nachrichten der St. Wladimir-
Universitàt. Nach einem am 3. April 1897 in der Physikalisch-
Medicinischen Gesellschaft zu Kiew gehaltenen Vortrag.
In 23 Jahren anatomischer Thätigkeit ist dies der zweite Fall von Ver-
doppelung der unteren Hohlvene, den Prof. Tichomiroff beobachtet hat. Be-
schrieben sind bisher alles in allem 32 solcher Fälle und der hier mitgeteilte
ist der 33.
An dem Cadaver eines erwachsenen Mannes, an welchem die Anomalie sich vor-
fand, boten die Sammelvenen der unteren Körperhälfte folgende Anordnung dar. Die
Venae iliacae dextrae (interna und externa) veremigen sich mit einander an dem
Knorpel zwischen Kreuzbem und V. Lendenwirbel. In der Fortsetzung der V. iliaca
externa liegt eim Stamm, der der normalen V. cava inferior der Lage nach ent-
spricht; der Stamm, in welchen die V. iliaca interna übergeht, verläuft vor der
Art. sacralis media längs dem Körper des V. Lendenwirbels nach oben und links
und vereinigt sich an dem oberen Rande dieses Wirbels mit der V. iliaca communis
sinistra. Der der normalen V. cava inferior der Lage nach entsprechende Stamm
(12 mm im Querschnitt) nimmt segmentale Lumbalvenen auf, ferner zwei rechte
Venae spermaticae in der Höhe des Knorpels zwischen II. und III. Lendenwirbel
und an dem oberen Rand des erstgenannten Wirbels die V. hepatica dextra.
Der quere Stamm (von 16 mm Durchmesser) nimmt die rechte und linke Sakral-
vene in sich auf. Der Zusammenfluss der V. iliaca sinistra externa und interna
zur entsprechenden V. iliaca communis erfolgt an der Bandscheibe zwischen Kreuz-
bein und V. Lendenwirbel. Die V. iliaca communis sinistra (15 mm im Durchmesser)
empfängt den erwähnten anastomotischen Stamm aus den rechten Hüftvenen, der sich
ihr hinter der Arteria iliaca communis nähert. Das aus der Vereinigung beider
entstandene 18 mm im Durchmesser haltende Getiiss — die Vena cava inferior
sinistra — steigt links von der Aorta empor, nimmt Vy. segmentales sinistrae
auf, sowie an dem oberen Rande des III. Lendenwirbels 2 Venen aus der linken
Niere, von denen die obere vor ihrer Mündung sich unter Deltabildung gabelt,
während die untere die V. spermatica sinistra erhält. Nach Aufnahme der Nieren-
venen wendet sich die V. cava inferior sinistra nach rechts, zieht dicht unterhalb
der Art. mesenterica superior vor der Aorta hinweg und fliesst rechts an dem
144 Fr. Kopsch, Referate.
oberen Rande des II. Lendenwirbels mit der rechtseitigen unteren Hohlvene zu
einem Stamm von 30 mm Querdurchmesser zusammen, der in seinem weiteren
Verlaufe sich in nichts von emer normalen V. cava inferior unterscheidet. — Das
Verhalten des übrigen Venensystems konnte an der bereits zu Präparierübungen
benutzten Leiche nicht mehr eruiert werden.
Zur Erklärung der seltenen Anomalie geht T. auf die Entwickelungsgeschichte
des unteren Hohlvenensystems zurück, die seit Hochstetters Untersuchungen (1893)
als nahezu in allen Einzelheiten feststehend erachtet werden kann. Sie erweist
sich hierbei als Entwickelungshemmung einer Frühform, die in der VI. Woche nach
der Befruchtung des Eies bei dem Embryo sich vorfindet und die als Endstufe
bei niederen Geschópfen fortbesteht. Aus letzterem Grunde ist T. geneigt, an eine
atavistische Entstehung der Anomalie zu denken.
Schliesslich vergleicht T. die beiden von ihm beobachteten Fülle von Ver-
doppelung der unteren Hohlvene mit einander. In dem einen Fall (Kat.-No. 1980
des Moskauer Anatomischen Museums) misst die rechte Vene 24 mm, die linke
10 mm im Querschnitt; in dem zweiten (Katolog II des Kiewer Anatomischen
Museums No. 214) ist die rechte Hohlvene 12 mm, die linke 18 mm stark. Diese
Differenz erklärt sich in befriedigender Weise durch die verschiedene Richtung
der queren Anastomose in beiden Füllen, die den Strom des venósen Blutes dort
mehr nach rechts, hier mehr nach links abgelenkt hat.
| R. Weinberg (Jurgeff-Dorpat).
Weinberg, R., Yas Gehirn der Letten. Vergleichend-anthropologisch
bearbeitet, mit einem Vorwort von A. Rauber. 206 S. 7 Textfig.
nebst Atlas mit 20 Tafeln in Lichtdruck und Lithographie. Cassel
1896. Verlag von Th. G. Fischer & Co. Preis mit Atlas 20 Mk.
Auf die Arbeit desselben Autors „über die Gehirnwindungen der Esten*
(ref. in d. Monatsschrift Bd. XIV. S. 29) ist nunmehr das vorliegende umfangreiche
und mit zahlreichen schón ausgeführten Lichtdrucken ausgestattete Werk erschienen,
welches die Bearbeitung von 25 Letten-Gehirnen enthält. Mit den beiden genannten
Arbeiten hat Herr Weinberg einen Teil der von Rauber geplanten Gehirn-Unter-
suchungen der im weiten russischen Reiche vorhandenen Nationalitáten ausgeführt.
Weinberg schildert nach einem interessanten historischen Ueberblick die linearen
Maasse des Lettengehirnes, sowie die Furchen und Windungen desselben. Die
Resultate werden in einer kurzen Uebersicht zusammengestellt. Als wichtigstes
Ergebnis soll hier hervorgehoben werden, dass zwar einzelne Züge im Detail der
Gehirnoberfläche als rassenhaft aufgefasst werden dürfen, dass sich aber auch
hier der für die Gehirnwindungen aller untersuchten Nationalitäten einheitliche
Typus ergeben habe, welcher der Hypothese von der organisatorischen Einheit
der Menschenrassen eine wichtige Stütze verleiht. In einem Anhange werden die
emzelnen Gehirne genau beschrieben. Fr. Kopsch.
Buchdruckerei Richard Hahn (H. Otto), Leipzig.
Ueber eine neue Methode zur kraniologischen Charak-
teristik der Nase. _
I. Teil. Die Variationen der Linearmaasse des Nasenskeletts.
Von
Prof. Dr. Aurel v. Tórók,
Director des anthropologischen Museums in Budapest.
(Schluss.)
b. Der wesentliche Unterschied zwischen dem Typus der
abstract genommenen Einzelmaasse und zwischen dem Typus
der correlativ genommenen Einzelmaasse einer Schadelform.
Dieser wichtige principielle Unterschied entging bisher vollkommen
der Aufmerksamkeit der Kraniologen, infolgedessen ebenfalls ein heil-
loser Wirrwarr in der Kraniologie herrschen musste. — Man hat
nämlich bisher die Wertgrösse der arithmetischen Mittelzahl berechnet,
um daraus schon den Typus für die betreffenden Schädelformen selbst
aufzustellen. Fir jedes kraniometrische Einzelmaass wurde je eine
arithmetische Mittelzahl bestimmt und der Gesamttypus wurde aus
diesen einzelnen arithmetischen Mittelzahlen theoretisch zusammen-
gestellt. Das Facit aber bei den Schädeln selbst war, dass dieser
abstracte Typus schon bei einer nur etwas grösseren Anzahl der Einzel-
messungen jedesmal höchstens nur bei wenigen Einzelfällen auffindbar
war. — Man musste hierbei auf einen unversöhnlichen logischen.
Widerspruch stossen, da durch eine solche Bestimmung des Typus,
welcher doch die Norm, die Regel ausdrücken sollte, die Ausnahme
als Regel erscheinen musste. — Man merkte zwar die grosse Un-
annehmlichkeit, aber man konnte die wahre Ursache derselben nie
Internationale Monatsschrift für Anat. u. Phys. XV. 10
146 A. v. Török,
richtig erfassen. Man half sich durch wohlfeile Speculationen. Man
sagte einerseits, dies rührt daher, weil die betreffenden Schädel von
einer typisch nicht reinen, d. h. von einer blutvermischten Menschen-
gruppe herrühren — und man fühlte sich anfangs vollkommen befriedigt
durch eine solche scharfsinnig sein wollende Erklärung. — Freilich konnte
man späterhin sich doch nicht ganz damit zufrieden geben, weil man
immer mehr die traurige Erfahrung machen musste — dass, jemehr
kraniometrische Untersuchungen angestellt wurden, umsomehr auch die
früher für ganz rein typisch gehaltenen Schädelformen verschwanden.
Man nahm abermals zu einer scharfsinnig sein sollenden Speculation
die Zuflucht, indem man nunmehr behauptete, dass die arithmetische
Mittelzahl eigentlich den wirklichen Typus verwischt. Sonderbarerweise
hat man aber den Typus doch nur einzig und allein auf Grundlage
der arithmetischen Mittelzahl bestimmt (Kollmann). — Die einfache Ursache
dieser für die Kraniologen bisher so rätselhaft gebliebenen Thatsache
habe ich in meiner Abhandlung: „Ueber den Yézoer Ainoschädel ete.“,
Ill. Teil (im Archiv für Anthropologie ete., Braunschweig 1897. XXIV.
S. 293) gemeinverständlich dargelegt, weshalb ich diese Angelegenheit
hier nicht mehr ausführlicher zu besprechen brauche.
Wenn wir nàmlich für ein jedes Einzelmaass den Typus (d. h.
diejenige Gruppe der Wertgrössen, die die allergrösste Häufigkeit der
Einzelfälle aufweist) an und für sich bestimmt haben — also ohne
Rücksicht darauf, wie der aus den betreffenden Einzelmaassen zu-
sammengesetzte Typus selbst innerhalb der Schädelserie vertreten ist —
so haben wir den Typus nur im abstracten (von der Charakteristik
der Schádelform selbst absoluten), d. h. nur im theoretischen Sinne
bestimmt.
Einen solchen absoluten, abstracten, theoretischen Typus haben
wir für die 4 Linearmaasse bei denselben 3000 Schädeln bestimmt,
indem wir nachgewiesen haben, dass hinsichtlich na — ri die die
Regel (Norm) vertretenden Wertgrössen zwischen 19— 23 mm,
hinsichtlich AB zwischen 23—25 mm, hinsichtlich 7»; — ak zwischen
31—35 mm und hinsichtlich na — ak zwischen 47—55 mm anzutreffen
Ueber eine neue Methode zur kraniologischen Charakteristik der Nase. 147
sind. Dass diese Gruppen von Wertgréssen wirklich den Typus fiir
die 3000 Schädel repräsentieren, ergab sich einfach daraus, dass sie
in der That die relative und absolute Mehrheit der Einzelfälle in sich
fassen. |
Wesentlich verschieden ist die Frage des Typus, wenn es sich
darum handelt, welche Combinationen der Wertgróssen von den 4 Linear-
maassen die grösste Häufigkeit der Einzelfälle innerhalb der 3000 Schädel
aufweisen. Es muss schon a priori einleuchtend sein, dass, wenn irgend
ein Schädel in Bezug auf na — ri eine typische Wertgrösse aufweist,
hieraus noch toto coelo nicht folgt, dass dieser Schädel auch in Bezug
auf AB, ri —ak und na— ak gerade die typischen Wertgróssen. auf-
weisen müsste. Ein jeder beliebiger Schädel ist nur ein Einzelfall der
verschiedentlichsten Combinationen, welche durch die Anzahl der Com-
binationselemente, d. h. durch die Anzahl der gemessenen kranio-
metrischen Maasse ein für allemal bestimmt sind. So z. B. sind für
die Wertgrössen der 4 Linearmaasse bei den drei Variationsgruppen
(—1G, eG, --1G) insgesamt — 81 Combinationen (3 = 8 =< 3 >< 8 — 81)
möglich. Wenn also innerhalb der 3000 Schädel diejenige specielle
Combination der Wertgrössen von den 4 Linearmaassen aufgesucht
wird, welche die allergrósste Anzahl der Hàufigkeit aufweist, d. h. bei
den (relativ oder absolut) meisten Schádeln anzutreffen ist, so haben
wir den wirklichen, d. h. den concreten oder correlativen Typus be-
stimmt. I
Ich will schon hier voraufschicken, dass es eine sehr bedauerns-
werte Illusion ist, zu glauben, dass, weil für ein jedes Einzelmaass
gewisse Wertgrössen den Typus (nämlich den absoluten, abstracten,
theoretischen Typus) ausdrücken, diese typischen Wertgrössen zugleich
auch die (relative oder absolute) Mehrzahl bei den Schädeln repräsen-
tieren müssten. Gerade im Gegenteil, aus jemehr Einzelmaassen der
correlative Typus bestimmt wurde, umsoweniger kann jener absolute
(abstracte, theoretische) Typus zum Vorschein kommen, wie dies die
Wahrscheinlichkeitsrechnung beweist. Also nicht deshalb findet man
den absoluten Typus so wenig vertreten, weil die betreffenden Schädel
von einer unrein typischen, blutgemischten Menschengruppe herrühren
— sondern einfach nur deshalb, weil dies infolge einer streng mathe-
10*
148 A. v. Tórók,
matischen Gesetzmässigkeit gar nicht anders sein kann. — Es sollen
doch die Herren Fachgenossen hiermit gebeten sein, die unschuldigen
Schädel fürderhin nicht mehr ganz ungerechterweise verdächtigen zu
wollen.
Um die Schädel in Bezug auf ihren thatsächlichen, d. h. corre-
lativen Typus untersuchen zu kónnen, müssen wir nach Feststellung
der drei Variationsgruppen (—!G, cG, +/G) für sämtliche Einzel-
maasse die einzelnen Combinationen der drei Variationsgruppen auf-
stellen, die durch die Anzahl der gemessenen Einzelmaasse bestimmt
sind. — Kurz gesagt, es müssen die drei Variationsgruppen so oft
genommen werden, als Einzelmaasse zur Untersuchung genommen
wurden. — Hier bei den 3000 Schädeln haben wir 4 Linearmaasse
gewählt, folglich sind die Schädel auf 3*— 81 Combinationen hin zu
untersuchen.
Ich stelle die 81 Combinationen in der folgenden Tabelle zu-
sammen, in welcher nebst der betreffenden Combination jedesmal die
Anzahl der Einzelfälle (d. h. die Anzahl der Schädel) angegeben ist.
Diese Tabelle bietet uns die beste Gelegenheit, um die bisher
‚höchstens. nur geahnten aber näher nie bekannt gewordenen Compli-
cationen eines correlativen Schädeltypus systematisch zu studieren.
‚Zunächst muss auch diese Tabelle uns davon überzeugen, dass wir bei
der Schädelform nur mit „zufälligen“ Erscheinungen zu thun haben.
Wir sehen hier nämlich, dass auch bei einer Anzahl von 3000 Schädeln
nicht einmal in Bezug auf 4 (!) Einzelmaasse alle möglichen Typus-
combinationen vertreten sind. Unter den 81 theoretisch möglichen
Combinationen fehlen uns hier 17 Combinationen, d. h. beinahe 21 °/o
(s. No. 3, 12, 15, 20, 21, 24, 25, 30, 34, 39, 43, 52, 61, 67, 70, 76,
79). — Dieser Befund lässt uns leicht vorstellen einerseits, wie unend-
lich vielerlei Cumbinationen theoretisch möglich sind, wenn wir nämlich
den correlativen Typus nicht von 4 (!), sondern von den vielen —
gewiss nach Tausenden zählenden — Einzelmaassen einer Schädelform
ableiten würden, und anderseits, dass bei dieser Unzahl von möglichen
Ueber eine neue Methode zur kraniologischen Charakteristik der Nase.
149
Die Combinationen der drei Variationsgruppen in Bezug auf die
4 Limearmaasse ber denselben 5000 Schädeln.
d + : Schadelanzahl und
Linearmaasse na—ri AB ri—ak | na—ak 1
| | Procent
Combinationen: 1 — 1G — 1G — 1G — 1G SUA
2.| —1G —1G —1G cai = ets À
3.| —1G —1G — 16 --1G = 07 0007
4.| —1G — 1G c G —1G — NN
5.| — 16 — 1G eG COM iem 08) SUR
6.| —1G — 1G eG +1G CE,
7 - 1G — 16 +1G —1G = duae >
8 — 1G — 16 +1G cG = Bell
9 —1G — 16 +16 +1G MAT Wiley.
10 — 16 cG =1G —1G = quem |
11 —1G cG —1G CG I == au) e 083
12 —1G cG — IG +1G = (oem QU)...
18 — 1G cG cG —1G E202. 2140/00
14. | —1G c G eG cG = 55-53 +
15 —1G cG cG +1G = (e. ,
16 —1G cG +1G = NG; = Bell %
17 — 16 cG +1G OC |) == 7A Sw).
18 —1G cG +1G + 1G = er
19 —1G +1G —1G -—- 16 == bel :
20 —1G + 1G —1G eG | = AUD.
21 —1G L1G —1G +1G = (1) = ;;
22 —1G +1G cG —1G = WEB z
23 — 16 +1G cG eG = Moin
24 —1G +16 cG +1G = OSM .,
25 —1G +1G +1G —1G =, =;
26 —1G +1G +1G Ac yl) = BOI
27 —1G +1G +1G +1G = AT
28 cG —1G —1G —1G == 2
29 cG — 1G — 1G ei ee WEN
30 cG —1G —1G +1G = 00:00:
31 cG — 1G cG —1G =. Hs UIT 5
32 cG — 16 cG AA] IO
33 cG —1G cG +1G = del) +
34 cG —1G +1G —1G = VelW ,
DD: cG —1G +1G eG | = Eae z
36. | cG —1G +1G +1G = esq.
37. | eG cG —1G — IG == 123 = a
38. eG cG —1G cG = IS em ~
3). cG cG — 1G +1G = (emu ..
40 cG cG cG — 1G — yD
41 cG cG cG CG 4087137605
42 cG cG cG +1G = Kell;
150 A. v. Torok,
Linearmaasse na — ri AB ri—ak | na—ak Keen Um
rocent
Combinationen: 43. cG cG +1G = WG = MOV
44. cG eG | ie OG | Sere
45. cG cgi ae era
46. eg Se i Eros
47. C6 AIG NN ee Te COM = eue
48. cel agi eee idu cu SE
49. cG +1G cG — 16 zn m3.
50. ee | 2216 eG ge mern,
51. cet dde t en |= 1B 048 MM
52. ee Ge ie ee a |
53. eg | Ale, || PEG ee,
54. go) meyer Re TG EE aS og oer a
55. + 1G —1G —1G — 16 — MS U2 5,
all ues ne ee: Cees len,
Bill SENG RIO nr See ea,
58. +16 — 16 e G — 16 ex diem O08. 5,
Do) eG | File: eG ee =,
col SCOR Ze: CG | EG n oo
Gin) ae SEE dE Teo Tara nd NS o E
Sale fee en. IG te es ee
ale e fe eon le IEE ee ey
64. +16 C6 PIC ne TIME een,
65.| —1G cG —1G cG MO Ho
661 le: COR CNET NE RE 7
67. 116 cG CG) ueque EEE oi
68.| -+1G cG cG OG jit 147 OUR
69.1 +1G cG cG +1G — 4100 0.83
70,|| tie ee ne
TL IG GG. |) Hes: CGIE O
72) Mere COUNT Be Sali) |,
Rupe he | ee EC ea eee eo M
74.| +16 +1G —1G cG = 48=1.60 ,,
ze Gi Bene | Pel Seo
76.| -+1G +1G cG —]16G — 00:00
vu EG | pere. cG coi SENS DS
aa BRAG Te CG || MTG sre ESQ
Bl ee ee UMOR c ler | 2 = yn),
BOs Ber te rt GS TIS Oe RI ESTNE
Su er ere Ree due Seng) ess e em DOS.
—16227,——1G—27,—1G-—27|—1G-—27
er Era eere = ^
81 Gombinationen ie one on oe Me à
Sie sai di
Ueber eine neue Methode zur kraniologischen Charakteristik der Nase. [5]
Combinationen reichlich dafür gesorgt ist, dass ein jeder Mensch einen
ganz speciellen (individuellen) Schädel als sein ausschliessliches Eigentum
behaupten kann. — Besehen wir diese Tabelle noch weiterhin in Bezug
auf das Vorhandensein der correlativen Combinationen, so bemerken
wir die auffallende Ungleichheit in der Wiederholung der Einzelfälle.
Im allgemeinen fällt die ausserordentlich grosse Verteilung der
3000 Schädel innerhalb der 64 vertretenen Typuscombinationen auf.
Die Verteilung der einzelnen Typuscombinationen schwankt zwischen
0.03 */ (s. No. 2, 6, 48, 58, 73, 80) und 13 60° (s. No. 41). — Es
ist doch einleuchtend, dass infolge dieser so wechselvollen Variationen
die Schädelform in Bezug auf ihren correlativen Typus als eine allo-
typische (@àhog= „der eine diesen, der andere jenen“) Körperform zu
betrachten ist, d. h. dass innerhalb der Schädelform die Einzelmaasse
ganz mannigfaltig variieren. — Bei diesem allotypischen Wesen ist
eine vollkommen gleichmässige (und zwar sowohl gleichsinnige wie
auch entgegengesetztsinnige) Variation sämtlicher Einzelmaasse einfach
ausgeschlossen. Einzelne kraniometrische Maasse können allerdings
(innerhalb gewisser Grenzen) gleichmàssig variieren, so dass; wenn z. B.
‘nur sehr wenige (z. B. wie hier nur 4!) Einzelmaasse in Betracht
gezogen werden, Formen von ganz gleichem Typus in einer grösseren
Anzahl vorkommen können. Ich nenne solche Schädelformen holohomo-
typische Formen. So sind z. B. unter den 3000 Schädeln in Bezug
auf alle vier Einzelmaasse 79 Schädel linksendständig (—/G) holo-
homotypisch (s. No. 1), 408 Schädel central (¢G) holohomotypisch
(s. No. 41) und 28 Schädel rechtsendstàndig (+-/G) holohomotypisch
(s. No. 81). — Diese insgesamt 515 holohomotypischen Einzelfälle
stellen aber den 3000 Schädeln gegenüber doch nur die grosse Minder-
heit (17.16 °/o) vor. Wie gesagt, kann ein Parallelismus in der Variation
immer nur bei Inbetrachtnahme von wenigeren Einzelmerkmalen be-
obachtet werden, denn jemehr Einzelmerkmale behufs Feststellung des
correlativen Typus in Betracht gezogen werden, umsomehr muss auch
das allotypische Wesen der Schádelform zum Vorschein kommen, d. h.
umsomehr muss jene Holohomotypie in den Hintergrund treten, was
man bisher freilich ganz irrtümlich als ein „Verwischen “ des sogen.
„reinen“ Typus aufeefasst hat. — Also nicht die Holohomotypie, son-
152 A. v. Török,
dern die Allotypie stellt das wesentliche Moment der Schädelform
dar. — In dem allotypischen Wesen legt die einzige Ursache der
Schwierigkeiten einer wissenschaftlich systematischen Classification der
Schüdelformen. Unsere bisherigen kraniologischen Schablonen sind
insgesamt zu einseitig, zu eng den vielerlei Combinationen gegenüber
gewesen.
In Bezug auf den correlativen Typus lassen sich sämtliche Varia-
tionen der Schädelform zunächst in folgende zwei Hauptkategorien
einteilen, nämlich in die Gruppe der Kratotypie und der Amphibolo-
typie. — Kratotypisch (xo«rog— mächtig, überlegen) sind diejenigen
Schädelformen zu nennen, bei welchen eine gewisse Variationsgruppe
(z. B. die linksendständige — /G, oder die centrale c G, oder aber die
rechtsendständige + /G Gruppe) vorherrscht; hingegen amphibolotypisch
(@ugißoAos = unentschieden) sind solche Schädelformen zu betrachten,
bei welchen das Vorherrschen einer gewissen Variationsgruppe fehlt. —
Da wir es hier mit 4 Einzelmaassen zu thun haben, so können hier
nur solche Schädel als kratotypisch bezeichnet werden, bei welchen
3 Einzelmaasse in eine und dieselbe Variationsgruppe fallen (z. B. es
sind 3 Einzelmaasse —/G oder cG oder +-/G typisch). Amphibolo-
typisch sind hier diejenigen Fälle zu betrachten, in denen 2 Einzel-
maasse in dieselbe Variationsgruppe fallen — somit dieselben zu
einander homotypisch sind; die 2 anderen Einzelmaasse können
abermals in eine und dieselbe (von den zwei vorigen verschiedenen)
Variationsgruppe, oder aber in zwei verschiedene (heterotypische)
Variationsgruppen fallen.
Behufs einer leichteren Orientierung stelle ich diese Hauptgruppen
der correlativen Typuscombinationen in der nebenstehenden Tabelle
zusammen.
6. Kurzgefasste Charakteristik der 4 Linearmaasse des Nasen-
| skelettes bei den 3000 Schadeln.
Nunmehr ist die Charakteristik der 3000 Schàdel in Bezug auf
die 4 Linearmaasse des Nasenskelettes sehr leicht zusammenzufassen.
Aus der Tabelle ergiebt sich im allgemeinen, dass: 1. die allo-
153
Ueber eine neue Methode zur kraniologischen Charakteristik der Nase.
lo SSBF = "WS NIS
(9p— n 5» aepo Ho n pp—
—. |
— |
‘UISSVVWADIUVT
OT AT = PEUX
wap wor wauoynuiquoosndhy, sap waddnabdnpg
(va ‘99 ‘29 ‘09 ‘sr ‘98 ‘9a ‘ST ‘ON S) here = ws gor = | m mee \ E
| 19powjuo uosriqn Tomz op) OT + ossevurrieour] 7 | I dE
+ : to c» E.
(«9 ‘6¢ ‘Gr "Lp ‘ce ‘eg "ga ‘LT ON S) ge sr = ws ore = | PIERI UM Gl to lee
2 ? | t9po^juo usstıgn TOMZ Ip) 9 osswwurnmour[ g [ — m ne
6 G ‘ ( LR a) 0 ; TE DONS J9pO x m Yi 5S -— a
(49 ‘gc ‘oc ‘op ‘zz ‘oT ‘8 ‘9 ‘ON Ss) o CGT = WS HI = | Ecc: SA Do A [+ dopo DIT à io em pe 7$
1opoMQuo uosLIqn I9MZ OIp) 597 — ossveurreourg 7 | e
(LL ‘TL ‘69 'ee "Ie "ep ‘ON S) "ogg = ws 17a — | 9^ d e ein ER È
| 974 9sserwawsur] g pun 52 —osseeuneourT c | | || 8
« 2 or ce m a E;
(@ re on) Vero = em = e Ux OISE COG iets
| 9/+ ossveutimoury cz pun 97 — ossweurmeour] c | on
ce « “ ONE
o Gas ¢ ‘ ‘0 +g) 00 Ô — Gr 5 E I ó 9 È 3 3 EX
ve Te 68 ST TI NS) UY UH POSTE | 50 ossereunmwour] g pun 97 — ossevurieourT 7 È ©
lo SS BP = PPEPS 9237 = ardiyojogryduy ‘IT
Seis = MON G06 see RIE |
‘(08 82 ‘GL CL ‘69 “FE “LZ erre > g (»
| (eo 308 v ir ty us de TON) Ro nD = 8 (4
| (ec ‘88 ‘61 ‘OT 'L “FS ON S) /o GOL = WS TIG —Wsıdi} H7 — osseruneour] g (v
1.0807 = IPPEUOS 6051 = Prdk4oyery TT
fo F868 = PPEIPS egpo = 214430117 ‘E
Oo OT LI = WS SIC=S
| ig ON) SB) RG à c ur 3 SO
a? ON SO nd 2 es
(T ON s) Vega = PS 6L = yasrdi4 97 — osserunmeaur] y op (e
V
aypstdkjomoy '[ ouqostdA3019]9] 'G |
154 A. v. Török,
typische Form des Nasenskelettes schon bei den 4 Einzelmaassen
(na — ri, AB, ri
auf 82.84?/. erstreckt. Dementsprechend ist 2. die holohomotypische
ak, na — ak) eine vorherrschende ist, da sie sich
Form des Nasenskelettes nur eine sehr untergeordnete (17.16°/,,). —
3. Innerhalb der allotypischen Form ist hier die Amphibolotypie
(42.53°/,,) etwas mehr vertreten als die Kratotypie (40.31°/,,).
Im Speciellen müssen wir folgende, sehr bezeichnende Thatsachen
hervorheben: dass innerhalb sämtlicher Hauptkategorien die centrale
Gruppe (cG) die vorherrschende Rolle spielt. Sowohl innerhalb der
Holohomotypie (s. A. 0) wie auch innerhalb der Allotypie (s. B. J. b,
B. IT. 2c) ist eG durch viel mehr Einzelfälle vertreten, als —/G
oder J-/G. — Es zeigt sich also auch hier ganz deutlich das Gauss-
sche Gesetz, nämlich die Tendenz einer centripetalen Zunahme der
Einzelvariationen. (Diesem Gesetze gemäss ist die Function im Centrum
der Variationsreihe am grössten; dieselbe nimmt zuerst zwischen den
beiden Grenzen M—r und M--r also innerhalb cG nur wenig,
dann viel stärker ab, um zuletzt bei — o/ und + o» / den Nullpunkt
zu erreichen) Wir müssen demgemäss annehmen, dass der Process
der ganzen Variation von einem Centralpunkte ausgeht, in der Nähe
dieses Centralpunktes (d. h. innerhalb cG) unvergleichlich viel mehr
Einzelfälle produciert, als in den entfernteren Teilen der Variations-
reihe — wo aber die absolute Grösse der Variation eine viel be-
deutendere ist. — Wir können somit den Lehrsatz als feststehend be-
trachten: dass bei jedweder Variation der Schädelform diejenigen
Einzelfälle, welche eine geringere Differenz von einer gewissen cen-
tralen Form aufweisen (die aber immer nur als eime theoretische
d. h. ideale Form zu betrachten ist, — und in der Wirklichkeit nie
mit ganzer Sicherheit nachzuweisen ist), wnvergleichlich viel häufiger
auftreten, als diejenigen Einzelfälle der Variation, die von jener
centralen Form eine grössere Differenz aufweisen. — Wir haben
also auch hier den klaren Beweis vor uns, warum wir die centrale
Gruppe (eG) der Variation für jegliches Einzelmaass der Schädel-
form — als die wesentliche, charakteristische, typische Gruppe auf-
fassen müssen.
Ueber eine neue Methode zur kraniologischen Charakteristik der Nase. 155 .
Endlich sei behufs der Charakteristik der 4 Einzelmaasse des
Nasenskelettes bei diesen 3000 Schàdeln noch folgendes hervorgehoben.
1. Dass innerhalb der Holohomotypie von den zwei endständigen
Variationsgruppen der linksendständige Typus (/G) mehr als doppelt
so häufig vertreten ist (79 Schädel = 2.63°/,,) wie der rechts-
endständige Typus (--/G, 28 Sch.=0.93°/,,). 2. Dass dieses Vor-
herrschen von —/G auch innerhalb der Allotypie zu beobachten ist,
und zwar sowohl bei der Kratotypie (hier enthält — /G — 211 Sch.
=7.03°/,,, hingegen + 1G — 134 Sch.— 447?/,), als auch bei der
Amphibolotypie (s. ZI. a, hier enthält —/G mit eG —343 Sch.
—]1.449/,, hingegen + /G mit eG [s. II. c] — 241 Sch. — 8.02°/,,)-
3. Ist hervorzuheben, dass innerhalb der Amphibolotypie die hetero-
typischen Formen etwas häufiger vertreten sind (s. 5. II. 2— 681
Schádel— 22.71°/,,) als die homotypischen (s. B. J. 1—: 595 Schädel
— 18599 3.
In einem folgenden Aufsatze werde ich die Variationen der aus
diesen 4 Linearmaassen der 3000 Schádel berechneten Indices ganz
ausführlich erürtern, um den klaren Beweis führen zu kónnen, dass
um wie viel complicierter die kraniometrische Charakteristik der Nase
sich erweist, als man es bisher auch nur hätte ahnen können.
Budapest, den 15. November 1897.
(Anthropologisches Museum.)
Berichtigung.
Auf Seite 92 Zeile 3 von oben lies anstatt Variationen: Indices.
Aus der russischen Litteratur mitgeteilt von R. Weinberg.
Ueber anomale Anordnung der Hautnerven
auf dem Handrùcken des Menschen, verglichen mit dem
normalen Verhalten bei den Affen.
Von
Ww. Tonkoff.
Die Innervation der Haut des Handriickens und der Finger ge-
schieht bekanntlich in der Weise, dass der oberflächliche Ast des
N. radialis die dorsalen Nerven für beide Seiten des Daumens und Zeige-
fingers und für die radiale Seite des Mittelfingers abgiebt, während
die entsprechenden Zweige für die übrigen Finger aus dem Ramus
dorsalis nervi ulnaris hervorgehen. Jener Faden aus dem N. ulnaris,
der die einander zugewendeten Seiten des Mittel- und Ringfingers ver-
sorgt, steht constant in anastomotischer Verbindung mit einem der
Nn. digitales aus dem Radialis. Doch ist die Anastomose von
schwankender Stärke und scheint bald mehr aus dem ulnaren, bald
aus dem radialen Versorgungsgebiet herzukommen, was die Symmetrie
der Anordnung, wie Henle bemerkt, hàufig beeintrüchtigt. Ausserdem
dringen die dorsalen (im topographischen, nicht im morphologischen
Sinn! Ref.) Fingernerven nur an dem Daumen und Zeigefinger bis
zur Endphalange vor; die basale und Mittelphalange der drei
mittleren Finger erhalten ihre Aeste aus palmaren Nerven.
Diese für typisch geltende Einrichtung unterliegt nun aber nicht
geringen Schwankungen. Manchmal kreuzen sich Radialis und Ulnaris-
aste entsprechend der Mitte des Handrückens mit einander (Brooks,
Zander) und es entstehen dann Gebiete mit doppelter Innervation.
W. Tonkoff, Ueber anomale Anordnung der Hautnerven ete. 157
Sehr oft werden die einander zugewendeten Seiten des 3. und 4.
Fingers aus einer Verbindung innerviert, die beide Hauptnerven über
dem Spat. interosseum III mit einander eingehen, und aus der normalen
Anastomose sendet der Ulnaris andererseits meist ein Aestchen radial-
warts, um mit einem gleichen aus dem Radialis die einander zu-
gekehrten Seiten des 2. und 3. Fingers zu versorgen (Hédon).
Zuweilen wird der radiale Rand des Zeigefingers von dem N. radialis
erreicht. Ferner sind Fälle bekannt — einen solchen beschreibt auch
Verf. genauer — wo dieser Nerv neun Fingeräste entwickelte und nur
den ulnaren Rand des kleinen Fingers dem N. ulnaris überliess (Gruber).
Ja, es kann schliesslich das ganze Dorsum manus von dem N. radialis
allein versorgt gefunden werden (Gegenbaur u. a.) Zurücktreten oder
Fehlen der radialen Innervation dagegen gehört zu den grössten Selten-
heiten (Hepburn); Verf. selbst hat nur einen derartigen Fall gesehen:
Rechte obere Extremität eines Neugeborenen. Der Nervus radialis
zerfällt vor dem Condylus externus humeri vollständig in Muskeläste
für die Supinatoren und Extensoren, ohne dass sich von ihm auch nur
eine Spur eines Ramus superficialis zu der Art. radialis gesellt. Der
N. cutaneus antibrachii dorsalis geht an der üblichen Stelle ab, ist
aber dicker und länger als gewöhnlich und teilt sich an der Grenze
des oberen und mittleren Drittels des Vorderarmes in zwei Aeste, die
unter mehrfacher Anastomosenbildung und unter Versorgung der dor-
salen Vorderarmfläche gegen den Handrücken abwärts ziehen. Hier ent-
wickeln sich aus ihnen Fäden für beide Seiten des Ringfingers und für
die Ulnarseite des Mittelfingers; weitere verbinden sich mit dem Ram.
dorsalis n. ulnaris zur Bildung des dorsalen Nerven für die Radialseite
des kleinen Fingers, sowie mit dem N. musculo-cutaneus zur Versorgung
der Radialseite des Mittelfingers. Der Ram. dorsalis nervi ulnaris
ist sehr schwach entwickelt; er versorgt nur den dorsalen Ulnar-
rand des 5. Fingers und bildet die erwähnte Verbindung mit dem
N. cutaneus antibrachii des Radialis. Starker als sonst ist der N. mus-
eulo-eutaneus. Er weicht in der Mitte des Vorderarmes in zwei Aeste
auseinander, von denen der laterale als N. digitalis dorsalis an der
Radialseite des Daumens endigt, während der mediale die ulnare Seite
dieses letzteren, sowie beide Seiten des Zeigefingers mit dorsalen Nerven
158 W. Tonkoff,
versieht und den vorhin genannten Verbindungsast zu dem N. cutaneus
antibrachii dorsalis entsendet. Im übrigen sind an dieser Extremitàt
und an der Hand hierselbst keine Besonderheiten zu bemerken. Die
Innervation des linken Handrückens entspricht einem häufigeren Typus;
Fig. 1. Fig. 2.
Handrücken von Macacus rhesus. Die Nerven auf dem Handrücken von
r Nervus radialis; v Nervus ulnaris. Macacus nemestrinus No. 1.
Natürliche Grósse. r Nervusradialis; « Nervus ulnaris.
Verklemerung 1: 3.
die einander zugewendeten Seiten des Mittel- und Ringfingers beziehen
ihre Nerven aus der Anastomose zwischen N. radialis und N. ulnaris.
In diesem bemerkenswerten und sehr seltenen Fall fehlt also ein
R. superficialis des N. radialis vollstàndig, der R. dorsalis n. ulnaris
ist stark reduciert und fast alle dorsalen Fingernerven werden von
Ueber anomale Anordnung der Hautnerven auf dem Handriicken etc. 159
dem N. musculo-cutaneus und dem N, cutaneus antibrachii dorsalis
abgegeben. |
Wie erklärt sich das so überaus häufige Ueberwiegen des Nervus
radialis an der Hand? Bei gewissen Geschöpfen (Katze, Hund, Semno-
pithecus und vielen anderen) sind die Verbreitungsgebiete des Radialis
und Ulnaris durch eine scharfe Grenzlinie, die der Axe des 4. Fingers
entspricht, constant von einander |
getrennt (Zander, Hedon); bei dem
Menschen hingegen besteht eine
innige Verbindung beider. Nerven
und der Ulnaris rückt mit einem
Ast an die ulnare Seite des Mittel-
fingers. Fälle von Verdrängung des
N. ulnaris müssten insofern als Rück-
fallserschemungen bezogen werden,
wenn es zunächst nicht von grösserem
Belange wäre, die Verhältnisse bei
den Affen, die nach dieser Richtung
bisher noch unzureichend studiert
sind, einerseits mit den Befunden an
niederen Geschöpfen, andererseits mit
denen am Menschen genauer zu ver-
gleichen.
Fig. 3.
Dieser Aufgabe hat sich nun Die Nerven des Handrückens bei Macaeus
nemestrinus No. 2.
Verf. unterzogen und bei verschie- d Ÿ
r Nervus radialis; « Nervus ulnaris.
denen Affenarten die Anordnung der Verkleinerung 1:3.
dorsalen Fingernerven eingehend ge-
prüft. Untersucht wurden insgesamt elf Individuen, nämlich eine
obere Extremität von Cynocephalus maimon (die zweite war, wie an
einigen der folgenden Exemplare, bereits in anderer Richtung prápariert
worden), eine von Cercopithecus cynosurus, beide oberen Extremitiiten
von Cercopithecus subviridis, ebenfalls beide von Macacus rhesus und
von zwei anderen Macacusarten, zwei obere Extremitàten von Macacus
nemestrinus, beide (—4) von zwei Exemplaren des Cebus apella und
schliesslich eine von Troglodytes niger.
160 W. Tonkoff, Ueber anomale Anordnung der Hautnerven etc.
Nach diesen Untersuchungen erweist sich die erwähnte Hédon-
Zander’sche Grenzlinie der beiden Nervengebiete nicht als die einzige
unter normalen Verhältnissen, da sie in der Hälfte der Fälle sich
nicht vorfand. Ein ganz bestimmter Typus der Fingernerven liess
sich für die untersuchten Affenarten nicht aufstellen, allein es ergab
sich, dass auch in dieser Beziehung zwischen dem Menschen und den
übrigen Geschöpfen keine unübersteigbare Kluft besteht, da diese, wie
nicht anders zu erwarten, durch die Reihe der Primaten gut über-
brückt erscheint (s. die beigedruckten Figuren, wo die Grenze zwischen
Radialis und Ulnaris bald der Axe des 4., bald der des 3. Fingers
entspricht).
Sind die nicht gerade seltenen Fälle von übermässiger Aus-
breitung des N. radialis möglicherweise als atavistische Erscheinungs-
formen zu deuten, so stehen die überaus seltenen Beobachtungen über
Reduction des radialen Innervationsgebietes in dieser Beziehung nach
wie vor unerklàrt da. Das Fehlen einer absoluten Grenzmarke
zwischen den Nerventerritorien an dem menschlichen Handrücken und
das Eintreten des N. musculo-cutaneus und N. cutaneus antibrachii
dorsalis in gewissen Fällen eröffnet aber bei dem Menschen unter
Umständen 2—3 verschiedene Leitungswege zu dem Centralorgan,
sodass Beschädigung eines der Nerven nicht sofort ausgebreitete func-
tionelle Störungen zu bedingen braucht. Dies bedeutet zugleich eine
Bevorzugung der menschlichen Organisation gegenüber der anderer
Geschöpfe.
Eine practische Notiz schliesst den interessanten Aufsatz.
Dall’Istituto anatomico dell’Università di Modena (diretto dal Prof. R. Fusari).
Istogenesi dei Nemaspermi di Triton cristatus.
Nota di
P. Bertacchini.
. Assistente.
—
(Con Tav. V e VI.)
La questione della Spermatogenesi, aperta nel 1836 da R. Wagner [1]
e più nettamente delineata nel 1841 e nel 1856 da A. Kölliker [2 e 5],
poteva aleuni anni or sono e specialmente in grazia dei lavori di
Sertoli [4 e 5], Merkel [6 e 7], Schweigger-Seidel [8], La Valette
St. George [9], Henle [20], v. Ebner [11 e 12], Klein [13 e 14],
Biondi [75], Swaen e Masquelin [76], Flemming [17 e 15] e di altri
molti che qui sarebbe lungo enumerare, considerarsi come conveniente-
mente chiusa. Mancavano solo alcuni particolari di relativa importanza,
quale, ad es, il decidere se il nemasperma fosse un puro nucleo ovvero
una cellula con nucleo e protoplasma, e noi avremmo potuto classi-
ficare questo argomento nell'archivio delle cognizioni già definitivamente
acquistate alla scienza.
A rimettere, invece, ogni cosa in discussione venne la scoperta
delle sfere attrattive fatta, col significato di organi attivi della cito-
dieresi, da Fol [12, 20, 21, 22], Van Beneden [23, 24] e Boveri [26, 27]
nelle ova in segmentazione di invertebrati e confermata dal Fusari [25]
e poscia da molti altri anche per quelle dei vertebrati. Siccome poi
bentosto si constató, specialmente per opera dei fratelli Hertwig [26,
29, 50, 51] e di Fick [52, 35], che lirradiazione del spongioplasma
ovulare si fa, nell’atto della copulazione, non intorno al pronucleo
Internationale Monatsschrift für Anat. u. Phys. XV. 11
162 P. Bertacchini,
femminile ma intorno al maschile e, nello stesso tempo, si osservò da
Fick [55] che il pezzo intermedio dello spermatozoo di Axolotl si
colora, col metodo di M. Heidenhain, come una sfera attrattiva; d’altra
parte poi, siccome certe osservazioni fatte in seguito tesero a dimo-
strare che nelle cinesi di maturazione dell’ovulo non appaiono distinte.
astrosfere, mentre, secondo altre, le sfere attrattive esistenti nei fusi
direzionali si atrofizzano nell’ovulo dopo l’espulsione del 2° globo
polare; così si venne da molti alla conclusione che l'elemento sessuale
femminile maturo manchi di questi organi attivi della divisione cellulare
e che essi gli vengano apportati o restituiti, nell'atto della copulazione,
dal nemasperma. Quest’opinione, per vero dire, non è da tutti accet-
tata ed essa, infatti, pare contraddire in certi casi alla possibilità dello
sviluppo partenogenetico. Molti anatomici perciò si attengono ancora
allo schema della ,quadrille des centres“ brillantemente introdotto
e difeso nel campo scientifice da Fol [22], nè mancano autorevoli
osservazioni in suo appoggio.
Ad ogni modo, se la cosa è fin qui dubbia riguardo all'ovulo, è
certo che per lo spermatozoo tutte le osservazioni collimano nell'at-
tribuirgli una sfera attrattiva derivata per trasformazioni istologiche
speciali da quella dello spermatide.
Questa sfera attrattiva esso porta con se dentro all’ovo maturo
nell’atto della copulazione e nell’oosperma essa dirige in gran parte
l'atto della fecondazione e quello successivo della segmentazione.
Lo studio della spermatogenesi, per questi fatti entrati nel dominio
della scienza, assunse perciò una grande e nuova importanza.
Occorreva precisare la natura della sfera attrattiva; se essa ap-
partenga al nucleo o al protoplasma; quali modificazioni istologiche
subisca per entrare a far parte del nemasperma; qual parte prenda
alla formazione delle figure mitotiche del blastoderma; quale infine sia
il suo compito nel fenomeno complesso della formazione di un nuovo
organismo, specialmente riguardo alla trasmissione dei caratteri morfo-
logici e fisiologici.
Queste questioni sono, in parte almeno, ancora insolute. Anche
nel campo più aperto alle indagini, in quello cioè delle osservazioni
istologiche, le idee non sono ancora in perfetto accordo e, d’altra parte,
Istogenesi dei Nemaspermi di Triton cristatus. 163
esistono tante differenze, anche fra speci affinissime, che la miniera
delle osservazioni si pud dire inesauribile.
Può ritenersi perciò che un contributo qualsiasi, anche modesto,
in un argomento tanto importante, non sia del tutto privo di oppor-
tunità, specialmente ove esso consista in semplici e precise comuni-
cazioni di strutture e di fatti.
È dietro questa considerazione che faccio noto il risultato di
alcune osservazioni che da lungo tempo, sebbene saltuariamente, sono
andato facendo intorno ali fenomeni intimi della spermatogenesi del
Triton cristatus. Alcune di tali osservazioni resi già pubbliche me-
diante precedenti comunicazioni; ma di queste, più direttamente si
collega alla presente quella che porta il titolo di , Ricerche biologiche
intorno alla Spermatogenesi degli Anfibi anuri“ [47].
In essa io considerai l'argomento dal solo punto di vista della
fine anatomia comparata; in questa mi propongo di entrare nel campo
dellistogenesi. Anche però sotto questo punto di vista mi limiterò
a riferire le principali osservazioni che ho avuto agio di fare intorno
ai cambiamenti di struttura che accompagnano la trasformazione dello
spermatide in spermatozoo; dentro simili limiti restringerò pure le
notizie bibliografiche. In un’altra Nota, che spero di poter presto
pubblicare, comunicherò poi le osservazioni riguardanti la struttura e
le mitosi degli spermatogoni e degli spermatociti, rivedendo così l’intero
processo spermatogenetico.
Le prime esatte osservazioni intorno ai fenomeni istologici della
metamorfosi dello spermatide sono quelle di F. Hermann e di Benda.
Il primo [55] nell'anno 1889 riscontro vicino al nucleo degli spermatidi
di Salamandra, in preparati colorati con Violetto di Genziana e Saffra-
nina, un piccolo organo formato di una sfera di sostanza non colora-
bile e di un corpuscolo rotondo colorabile con Saffranina aderente ad
un piccolo anello colorabile in Genziana. Un reperto analogo trovò
nelle spermatidi di topo (Maus), cioè una sfera acromatica e un cor-
puscolo rotondo colorabile con un tono misto di genziana e saffranina.
Riguardo al destino del piccolo sistema, Hermann opinò che dal cor-
puscolo colorabile derivasse il pezzo intermedio del nemasperma adulto,
che Egli chiama Endknopf; che la sfera incolore (arcoplasma) de-
11*
164 P. Bertacchini,
generasse durante la maturazione dello spermatozoo, mentre riguardo
all’anello non si pronunciò in modo reciso, propendendo però a
credere che da esso prendesse origine la membrana ondulante.
F. Hermann però non indagò la natura di alcuno di questi corpic-
ciuoli, anzi. non diede loro neppure un nome speciale. Nel 1891
Benda [42] trovò nelle spermatidi di mammiferi, usando la colorazione
con Lichtgriin e Saffranin, una sfera colorata in verde, che Egli chiamò
„Archiplasma“, corrispondente alla sfera acromatica di Hermann, e un
corpuscolo tinto in rosso dalla Saffranina che dichiarò identico al
„chromatoiden Nebenkórper* di Hermann.
In una successiva comunicazione fatta nell’anno 1893, Benda potè
verificare anche la provenienza di questi corpicciuoli che hanno tanta
parte nella formazione del nemasperma. L'anello colorabile deriverebbe,
nello spermatocito, dal cosidetto „corpuscolo intermediario di Flemming
(Zwischenkórperchen)* il quale si forma attorno al resto del fuso e lo
strozza senza tuttavia dividerlo in due. In seguito, nella separazione
delle cellule figlie, l'anello si dividerebbe in modo che a ciascun
spermatide andrebbe un anello figlio. Nel passaggio dalla fase di
diastro a quella di dispirema i poli del fuso passano attraverso ai
cromosomi („erfolgt ein Durchschlüpfen des Spindelpols durch die
Chromatinmasse“) cosiché i centrosomi polari vengono a trovarsi fra
il nucleo e il corpuscolo intermediario (anello).
Allora il centrosoma contrae collanello, al quale Benda da il
valore di un secondo centrosomo, quei rapporti che sono stati, pel primo,
descritti da Hermann. Centrosomo ed anello formano cioè il ,,chroma-
toide Nebenkérperchen“ ed entrano a costituire il pezzo intermedio e
parte della coda del nemasperma.
Molto diversamente andrebbero le cose secondo C. Niessing [46].
Egli, usando il metodo di M. Heidenhain (Ferro — Ematossilina), giunse
ai seguenti risultati. 1. Il centrosomo assieme con alcune parti della
sfera attrattiva entra nel nemasperma e si colloca all’estremità an-
teriore (!) della testa formandovi l’appendice apicale; 2. altre parti
della sfera formano il mantello della testa (Kopfkappe); 3. il filo assiale
del flagello non deriva dal ,chromatoiden Nebenkérper“ di Hermann,
ma bensi dal nucleo.
Istogenesi dei Nemaspermi di Triton cristatus. 165
I risultati del lavoro di Niessing sarebbero invero importantissimi
giacché farebbero riscontrare nei Vertebrati un fatto osservato sola-
mente da Platner [50] negli insetti e da Prenant [60] nei Molluschi
Polmonati, e sarebbero anche non meno sorprendenti poichè contrad-
direbbero allassoluta maggioranza delle osservazioni sul fenomeno della
copulazione e fecondazione delle cellule sessuali, nel quale atto le irra-
diazioni citoplasmatiche dell’ovulo sono centrate intorno al pezzo inter-
medio.
Secondo Hermann [57, pag. 312], Niessing non ha visto il vero
centrosomo, ma solo la sfera acromatica che gli si trova vicina; sfera
che Benda denominò ,archiplasma“ e Hermann stesso „arcoplasma“
ritenendola destinata a scomparire nel protoplasma dello spermatide.
Più importanti risultati hanno raggiunto nel 1897 Hermann e
Meves.
Il primo di questi [38] riprendendo la questione dal punto in cui
l'aveva lasciata nel 1889 e nel 1892, trovò, nelle spermatidi di Sala-
mandra, un corpo ovoidale acromatico e un piccolo fuso ai cui poli si
trovano due corpuscoli di disuguale grandezza. Corpuscolo e fuso sono
l'uno vicino all'altro, di fianco al nucleo e dentro ad un accumulo di proto-
plasma opaco, granuloso, al quale l'autore dà il nome di „Arcoplasma“.
Se ho inteso giustamente il lavoro di Hermann, questo arcoplasma
sarebbe una parte differenziata del protoplasma che dà origine, negli
spermatociti, al fuso carzocenetico. Nel cumulo dell'arcoplasma appaiono
delle anse debolmente colorabili che prendono parte alle irradiazioni
del citastro. Dopo la divisione dello spermatocito, resta nello sperma-
tide una meta dell'arcoplasma e delle sue anse „Archoplasmaschleifen“,
metà che si trasforma rispettivamente nel cumulo protoplasmatico
oscuro vicino al nucleo e nel corpo ovoide acromatico in esso conte-
nuto. Né l'una né l’altra di queste formazioni prendono parte im-
portante alla costituzione del nemasperma. Dei due corpuscoli situati
ai poli del piccolo fuso, Hermann considera il pitt- piccolo come un
vero centrosomo; il più grande corrisponderebbe al mezzo „corpuscolo
intermediario“ dello spermatide. Questo fuso rappresenterebbe pertanto
uno stadio precedente al ,chromatoiden Nebenkórper* da esso già tro-
vato, nel 1889, nelle spermatidi di Salamandra, inquantochè il centro-
166 P. Bertacchini,
somo si trasformerebbe nel corpuscolo colorabile con Saffranina e il
corpo intermediario nell’anello tingibile con Genziana. Questa forma-
zione costituisce l’abozzo del pezzo intermedio del nemasperma. Essendo
poi che il centrosomo, una volta collocatosi nel polo grosso della testa
del nemasperma, aumenta considerevolmente di volume, Hermann sup-
pone che esso in realtà non ingrossi ma si circondi di un involucro.
Quando il sistema del centrosomo e dell’anello si è situato, assieme
col filo assiale della coda, al polo posteriore del nucleo, l'anello si
divide in due anelli figli. L'uno, il prossimale, resta fermo attorno al
punto d’inserzione del filamento assiale al centrosomo; l’altro, il distale,
si allontana dirigendosi caudalmente e scorrendo lungo il filo assiale;
man mano l’anello distale si allontana dal prossimale, un involucro di
sostanza acromatica si svolge fra i due, formando un astuccio al filo
assiale della coda. Contemporaneamente il protoplasma dello sperma-
tide accompagna la discesa dell’anello figlio, restando al di fuori del-
lastuecio acromatico. Dal sudetto astuccio Hermann suppone possa
originarsi la membrana ondulante e il suo filo orlante. Egli descrive
pure al filo assiale, prima della formazione dei suoi involucri, una regione
prossimale che per accrescimento suo proprio, acquista un calibro mag-
giore ed una distale che resta sottile; quest'ultima regione formerebbe
l',Endstück^ della coda del nemasperma maturo. Riassumendo secondo
Hermann dallunico centrosomo dello spermatide deriva il pezzo inter-
medio anzi l'jEndknopf* del medesimo; dal corpuscolo intermediario,
l'anello che è destinato a formare un involucro al filo assiale della
coda. Quest'ultimo, infine, si svilupperebbe dal centrosomo. Riferendo
le mie osservazioni, avró occasione di ritornare sul significato che
Hermann dà alla parola „Endknopf“.
Assai degne di nota sono pure le osservazioni di Fr. Meves [45]
sull’istogenesi dei nemaspermi di Salamandra mac. I centrosomi che
si sono divisi nell’anafasi dell’ultima divisione degli spermatociti, si
portano, a telocinesi ultimata, immediatamente contro la membrana
cellulare dello spermatide e si dispongono ‘col loro asse di unione
perpendicolarmente a questa. In tal modo uno solo dei centrosomi
tocca la superficie delle cellula; fra essi e il nucleo si trova un accu-
mulo di sostanza della sfera attrattiva (quella che Meves stessa in un
Istogenesi dei Nemaspermi di Triton cristatus. 167
altro lavoro [73] chiama ,idiozoma“). La formazione del nemasperma
si inizia col fatto che dal centrosomo distale, quello che è immediata-
mente adiacente alla membrana dello spermatide, si svolge un sottile
filamento, abbozzo del filamento assiale della coda, il quale esce libera-
mente dalla cellula. In seguito i due centrosomi, assieme colla parte
iniziale del filo assiale si portano verso il nucleo trascinandosi dietro
la membrana cellulare che così si introflette e viene come a formare
una guaina al filo stesso.
Tl centrosomo distale si foggia da prima a disco poi ad anello al
cui contorno si inserisce l'orlo della parte introflessa della membrana
cellulare; questo anello cresce sino a raggiungere un volume doppio
del primitivo.
Il centrosomo prossimale aumenta pure di massa e si trasforma
in un grosso e corto bastoncino alquanto incurvato col quale si mette
in rapporto il filo assiale quando il centrosomo distale si è foggiato
ad anello. Im una fase più inoltrata, quando il nucleo dello sperma-
tide si allunga per trasformarsi in testa dello spermatozoo, il centro-
somo prossimale passa attraverso alla membrana nucleare, penetrando
nell'interno del nucleo, mediante un processo che l'A. descrive minuta-
mente e che è esattamente comparabile a quello mercè cui un globulo
bianco del sangue possa attraverso alla parete di un capillare.
Penetrato nel nucleo riprende la sua forma a bastoncino e resta
come ,parte anteriore del pezzo intermedio“ in corrispondenza del polo
grosso delle testa. Contemporaneamente la depressione della membrana
cellulare, al cui apice si trova il centrosomo ad anello, si riduce sempre
più e resta infine come un foro nella membrana della cellula; attra-
verso al quale passa il filo assiale. La membrana ondulante si eleve-
rebbe dal lato dorsale del filo assiale e il suo orlo ispessito si tras-
formerebbe nel filo orlante.
Quest'ultimo, da prima lungo quanto il filo assiale e perciò parallelo
al medesimo, cresce poi notevolmente ed è perciò costretto a ripiegarsi
a festoni. Successivamente si forma l'involucro della coda, limitato al
lato ventrale della stessa; (lA. chiama dorsale, con Czermack, il lato
sul quale si impianta la membrana ondulante). L'involucro è formato
dalla discesa, sulla coda, del protoplasma cellulare che avvanzandosi
168 P. Bertacchini,
trascina con se la meta ventrale del centrosomo ad anello, cosiché
questo si stira enormemente assumendo la forma di un lunghissimo
pessario (pessario ad anello, di guttapercha). Questo si rompe poi nella
sua parte di mezzo, la sua estremità prossimale restando al lato dorsale
del punto d’attacco della coda, ove forma un orifizio attraverso al quale
passa il filo orlante della membrana ondulante, mentre la metà distale,
assieme col protoplasma, scorre lungo il lato ventrale del filo assiale
della coda, arrestandosi a una certa distanza dall’estremità libera di
questo e segnando così il limite fra ,pezzo principale“ e ,,pezzo termi-
nale“ della coda. Dal mezzo anello rimasto nella parte iniziale del
filamento caudale origina poi la piccola ,,parte posteriore del pezzo
intermedio“ nel seguente modo. Il mezzo anello si spacca in due mezzi
anelli figli, uno di questi resta a limitare il foro della membrana
cellulare attraverso al quale passa il filo orlante; l’altro entra nella
profondità e scivola lungo l'estremo posteriore del segmento anteriore
del pezzo intermedio, che, nel frattempo, è diventato obbliquo dal lato
dorsale al ventrale e dallavanti all'indietro. In seguito anche l'altra
metà lo raggiunge in tal posto e le due, fuse assieme, formano il seg-
mento posteriore del pezzo intermedio (!). Lo spermatozoo sarebbe cosi
ultimato. Veramente lA. descrive anche il modo con cui dai resti della
sfera attrattiva si forma l’appendice apicale delle testa, ma non avendo
io nessuna mia osservazione da riferire in proposito così passo sopra
a questo punto. Aggiungerö solo che Egli ha potuto constatare che
il filo caudale principale ha nelle sue sezioni trasverse la forma di un
„ferro da cavallo“ aperto dorsalmente, nelle cui concavità si impianta
la membrana odulante.
Un recentissimo interessante lavoro è quello di v. Lenhossék [49]
sulle spermatogenesi dei Mammiferi. Non interessando però diretta-
mente il mio argomento, non ne riferirò che alcuni punti che riguar-
dano la trasformazione dello spermatide in spermatozoo. La sostanza
periferica della sfera attrattiva si porta al polo anteriore della testa
ove forma il pezzo apicale. I due centrosomi stanno da prima appli-
cati immediatamente contro la membrana cellulare col loro asse di
unione obbliquo alla medesima; dal centrosomo prossimale cresce il fila-
mento assiale; poscia i 2 centrosomi migrano verso il polo posteriore
Istogenesi dei Nemaspermi di Triton cristatus. 169
del nucleo ove si dispongono coll'asse uniente nella direzione dell'asse
lungo della testa, il centrosomo che porta il filo assiale occupando la
posizione distale. Oltre ai resti della sfera e alla coppia dei centro-
somi, esiste nel protoplasma dello spermatide un „corpo cromatoide“
che non ha alcuna analogia col ,,chromatoider Nebenkórper* di Hermann,
il quale ultimo consta dell’arcoplasma e del centrosomo. Questo corpo
cromatoide viene a collocarsi al polo posteriore al nucleo, vicino al
punto in cui si impianta la coppia dei centrosomi e gradatamente si
disgrega e si dilegua.
A questo incompleto cenno sullo stato della questione, faccio seguire
ancora alcune linee sul significato dei termini che, fra 1 numerosissimi
che dai diversi Autori sono stati proposti, io ho dovuto scegliere per
indicare le relative strutture. Userd indifferentemente le espressioni
di ,microcentro (M. Heidenhain)“ e di „sfera attrattiva (V. Beneden)“
per indicare il complesso del corpuscolo centrale, della zona midollare
omogenea che lo circonda e dello strato granuloso che abbraccia
quest'ultima e che, secondo M. Heidenhain, é dovuto ad un ingrossa-
mento dei raggi organici del protoplasma. Chiamerò „corpuscolo cen-
trale^ o ,centrosomo“ il solo granulo situato al centro della sfera,
indipendentemente cioé dalla zona midollare; (centriolo di Boveri il
quale denomina ,centrosomo“ il complesso del granulo e della zona
midollare). Indicherò come „centrodesmosi primaria (Heidenhain)^ o
„sostanza del fuso centrale (Hermann)* la zona midollare di V. Beneden,
che abbraccia direttamente il centrosomo e dalla quale credo derivi il
fuso centrale primario nella divisione dei centrosomi. Infine designerò
come „arcoplasma“ la sostanza dello ,strato dei granuli“ di V. Beneden,
dalla quale ritengo si formino i raggi rettilinei del citastro e i fili del
mantello del fuso cariocinetico che si mettono in rapporto coi cromosomi.
Riguardo al rimanente protoplasma cellulare useró le espressioni di
spongioplasma (His e Leydig), di citoplasma (Kupffer) e di citomitoma
(Flemming), per la sua parte solida che suppongo costituita di fila-
menti granulosi (V. Beneden) e quella di „jaloplasma (Kupffer)“ per la
parte fluida (paramitoma di Flemming).
Premesse, per commodo del lettore, queste notizie, espongo il
risultato delle mie osservazioni sulla specie ,,Triton cristatus^.
170 P. Bertacchini,
Gli spermatidi del Triton derivano dall’ultima divisione di matu-
razione degli spermatociti (il che è quanto dire dalla „divisione degli
spermatociti di 2° ordine“), la quale è, come nella Salamandra mac.
(Meves), a tipo omeotipico, mentre la divisione degli spermatociti di
1° ordine (i quali derivano direttamente, per semplici trasformazioni
strutturali, dall’ultima generazione degli spermatogoni) è eterotipica.
Non parlerò diffusamente, in questa breve nota, nè della struttura degli
spermatogoni e delle loro mitosi, nè delle due divisioni di maturazione
dello spermatocito. Mi limiterò ad accennare che nei grossi spermato-
goni in riposo, che si trovano in un piccolo segmento craniale del
testicolo, il più delle volte ho osservata la sfera attrattiva coì caratteri
che le sono stati attribuiti da Meves (l c.) Essa si presenta cioè
(testicolo fissato in liq. di Hermann; sezioni colorate con Jodgriin —
S. Fuchsin) come una massa per lo più circolare di sostanza omogenea,
acromatica, limitata da un grosso orlo oscuro anch'esso incolore;
la sfera talora non ha superficie uniforme ma presenta come delle
brevi digitazioni. Qualche volta però, come nel caso rappresentato
dalla Tav. V. fig. 1, ho potuto osservarla coi caratteri tipici del-
lastrosfera di V. Beneden, anzi più precisamente con quelli della sfera
di M. Heidenhain.
Essa è allora formata: 1. al centro, da una sostanza omogenea o
finissimamente punteggiata, acromatica che corrisponde alla „zona
midollare di V. Beneden“; non ho potuto riscontrare in essa la pre-
senza dei centrosomi; 2. dà un distinto strato periferico, formato da
un’unica serie di granuli a contorno mal definito, allungati in senso
radiale e centrati sul centro delle sfera. All’intorno il protoplasma
cellulare ha una struttura vagamente filamentosa, specialmente nell’im-
mediato contorno della sfera, ove sembra che i filamenti del citoplasma
si inseriscano sui granuli di quest’ultima. Si avrebbe perciò un mar-
cato accenno alla disposizione ammessa da M. Heidenhain pei filamenti
del protoplasma e della sfera (raggi organici).
Nella prima divisione di maturazione, eterotipica a cromosomi
annulari, esistono, a ciascun polo dell’amphiaster (nel senso di H. Fol;
fuso centrale secondario; fuso cariocinetico) due piccolissimi centrosomi,
assai vicini fra di loro. Nella profasi, il fuso primario si osserva già
Istogenesi dei Nemaspermi di Triton cristatus. 171
bene sviluppato di fianco al cumulo dei cromosomi diventati liberi
dopo la scomparsa della membrana nucleare e gia foggiati irregolar-
mente ad anello per avvenuta divisione longitudinale e trasversale
del cariomitoma (v. fig. 3). Il fuso primario consta: delle fibre del fuso
centrale; delle fibre del fuso periferico (mantello) che si dirigono
dai due poli del fuso centrale primario sull’ammasso dei ‘cromosomi,
incrociandosi in parte fra di loro, cosicchè quelle di un polo del fuso
vanno, almeno in parte, all'estremo opposto del cumulo dei cromosomi
e Viceversa (la fig. 2 non è a questo proposito abbastanza chiara);
delle fibre, infine, dei citastri (arcoplasma della sfera attrattiva e raggi
organici della cellula). I filamenti del citastro irradiano dai poli del fuso
e arrivano fin contro alle membrana cellulare, ramificandosi però prima
fino a risolversi in una fine reticella, le cui maglie hanno sempre
direzione raggiante. Questa struttura non parla certamente in favore
dell’azione di appoggio o di propulsione che da Meves [75] è attri-
buita ai raggi del citastro. I cambiamenti di forma che il fuso stesso
subisce immediatamente prima di circondarsi dei cromosomi, deporebbero
invece in favore di un’azione di trazione. Infatti in una fase imme-
diatamente successiva a quella rappresentata dalla Tav. V. fig. 2, si
osserva che il fuso centrale, il quale si è molto allungato, è incurvato
lateralmente, presentando ai cromosomi il suo lato convesso. I filamenti
del mantello periferico (Tav. V. fig. 3) si dirigono verso i cromosomi
coi quali entrano in rapporto e sembrano incontrarsi ancora e incro-
ciarsi fra di loro in corrispondenza del piano equatoriale del fuso.
Questo reperto l’ho trovato in parecchie cellule e perciò lo riterrei
costante. Dai poli del fuso partono i raggi arcoplasmatici i quali a
breve distanza si continuano coi filamenti reticolati del citoplasma i
quali arrivano fin vicino alla membrana cellulare. Però queste irra-
diazioni polari sono più lunghe e a contorno più netto nel lato verso
il quale è rivolta la concavità del fuso. L’incurvamento di quest'ultimo
io lo metterei in rapporto colla resistenza che esso oppone alla trazione
esercitata sui suoi poli dalle fibre del mantello inserite sui cromosomi.
Una volta che le anse cromatiniche si sono disposte tutt’attorno al
fuso centrale, probabilmente in seguito alla trazione esercitata su di
esse dai fili del mantello i quali trovano un punto d’appoggio nei
172 P. Bertacchini,
centrosomi sostenuti alla loro volta dalle irradiazioni polari inserite
sulla membrana cellulare e dal fuso centrale; una volta, ripeto che le
anse si sono disposte, sebbene irregolarmente, attorno al fuso, questo
si raddrizza allungandosi e i cromosomi restano ad eguale distanza
dai due poli, nella posizione che caratterizza la corona equatoriale (Fol).
Il raddrizzamento del fuso, a mio credere, è dovuto al fatto che,
assieme coi cromosomi, tutta la massa del protoplasma che con questi
si trovava lateralmente al fuso, si porta regolarmente intorno a quest’-
ultimo cosicché linserzione dei raggi polari alla membrana cellulare
viene ad acquistare una posizione simmetrica, mentre anche la pressione
tutt’attorno al fuso diventa uniforme. Questo allora si raddrizza e
per l'elasticità delle sue fibre e per la trazione dei raggi organici degli
astri polari.
Come già ho detto, la 2 divisione di maturazione degli spermato-
citi è omeotipica. (La fig. 3 si riferisce appunto a una di queste
mitosi.) Ai poli del fuso cariocinetico nella fase dyaster si trovano
pure due centrosomi piccolissimi. Non entro ora nella descrizione delle
figure mitotiche perché sarebbe mia intenzione occuparmene in un'altra
comunicazione. Riferiró solo ciò che interessa l'argomento della for-
mazione del nemasperma.
Le fig. 4, mostra una fase della divisione degli spermatociti di
2? ord. che sta fra il dyaster (bicorona di Fol) e il dispirema. In
corrispondenza del campo polare di ciascun nucleo figlio (nucleo del
futuro spermatide) si osservano due distinti ma piccolissimi centrosomi
che si trovano all'apice di un piccolo cono di fibre la cui base poggia
sul nucleo; tale cono rappresenta la porzione polare del primitivo fuso
cariocinetico. Dai centrosomi partono perifericamente i filamenti del
citastro i quali dirigendosi dentro al corpo cellulare si ramificano,
continuandosi con le irradiazioni citoplasmatiche che abbracciano lequa-
tore del nucleo figlio e si dirigono verso il lato antipolare di quest-
ultimo. Dal lato del nucleo rivolto al primitivo piano equatoriale del
fuso dello spermatocito, partono dei filamenti di due specie. Dei fila-
menti centrali che si raccolgono a breve distanza in un fascio cilindrico,
oltrepassano il piano equatoriale e si continuano coi fili centrali del
nucleo figlio del lato opposto. In corrispondenza dell’equatore dello
Istogenesi dei Nemaspermi di Triton cristatus. 173
spermatocito, ciascun filamento centrale presenta un distinto ingrossa-
mento fusiforme, cosicchè dall’insieme dei singoli ingrossamenti risulta
una specie di placca o sbarra trasversale.
Dei filamenti periferici che partono dal contorno dei fili centrali
e si dirigono, ramificandosi finamente, sia verso il piano equatoriale,
sia verso la membrana cellulare, ripiegandosi anche tutt’attorno al
nucleo figlio; verso il lato polare di quest’ultimo si congiungono colle
ramificazioni dei filamenti del citastro.
In corrispondenza dell'equatore dello spermatocito è già in via di
formazione il setto cellulare che deve separare le due spermatidi.
Questo setto è formato da filamenti citoplasmatici che decorrono
parallelamente al piano equatoriale stesso, ripiegandosi perifericamente
sulla faccia interna della membrana cellulare verso il lato polare di
ciascun nucleo figlio, dividendosi centralmente per abbracciare il fascio
centrale dei fili riunienti.
Non ho mai potuto osservare che questi filamenti del setto passino
da un lato all’altro dell'equatore, né che formino un distinto anello
massiccio attorno al fascio dei fili congiuntivali (come afferma pei
mammiferi Benda [45)).
In una fase successiva (Tav. V. fig. 6), (fase dispirema della
divisione dello spermatocito di 2° ordine) il setto cellulare non è tanto
bene distinguibile. I fasci congiuntivali in corrispondenza del piano
equatoriale di divisione si sono uniti strettamente assieme; i loro in-
grossamenti si sono fusi in un unico grosso granulo, Zwischenkórper
di Flemming, colorabile in color lilla pallido colla colorazione Jodgriin-
S. Fuchsin. Il corpo protoplasmatico delle due cellule figlie (sperma-
tidi) si è coartato assumendo aspetto piriforme, toccandosi i due
spermatidi col loro apice rivolto al equatore di divisione. Nella Tav. V.
fig. 5 che rappresenta un giovane spermatide in fase diana fasi, visto
dal piano equatoriale, si vede che i fasci congiuntivali si sono uniti a
cono e sono in rapporto con un granulo che è probabilmente la metà
del primitivo granulo intermediario.
I filamenti periferici si dirigono tutt'attorno ramificandosi fin contro
al setto cellulare di nuova formazione e alla membrana cellulare
antica.
174 ; P. Bertacchini,
In questo stadio, in cui sta per finire l'anafasi e stanno per inco-
minciare le telofasi, nel campo polare dei nuclei figli si trovano ancora
i centrosomi, ma vicino al nucleo e senza traccia di resto di fuso
centrale. Mentre succedono questi fatti, e già prima che nel fascio
dei fili riunienti si sia formato un unico granulo intermediario, il nucleo
si è già provvisto di una nuova membrana nucleare, cosiché è logico
supporre che si siano interotti, alineno in gran parte, i rapporti fra la
cromatina e i fili acromatici, sia centrali che periferici. Il nucleo
subisce allora una rotazione su se stesso, già stata osservata da
Meves |47], Heidenhain [50], Benda |45] ed altri. La Taf V. fig. 6,
ne da una distinta idea. Non sono riuscito a determinare l'ampiezza
di questo movimento rotatorio del nucleo dello spermatide (Benda |l. c.]
afferma, che è di 90°); in quanto alla causa che lo produce, suppongo
possa risiedere nel fatto che dopo la formazione della membrana nucleare
i filamenti congiuntivali, inseriti sul loro granulo intermediario (o sulla
metà di questo se le spermatidi sono in via di separazione), perdono
ogni rapporto col nucleo e si congiungono invece, scorrendo lateral-
mente sulla superficie di quest'ultimo, coi filamenti citoplasmatici che
irraggiano dal centrosomo. I filamenti acromatici decorrerebbero allora
dal centrosomo al granulo intermediario formando una specie di fascio
il cui asse coincide con quello del fuso cariocinetico primitivo.
Separatesi l'una dall’alta le spermatidi, io non ho mai potuto
osservare che esse restino congiunte dai residui del fuso centrale, come
affermano Meves [47], Lenhossék [49] e Ballowitz |70], nè che il fuso
assieme col suo corpuscolo intermediario si trovi mai al di fuori della
cellula. Secondo quanto ho constatato io, il destino del residuo del
fuso, che corrisponderebbe a quello che io ho chiamato fascio congiun-
tivale, sarebbe tutt'altro. Il granulo intermediario dello spermatocito
di 2? ordine si divide a livello del setto cellulare in due metà eguali,
ciascuna delle quali resta a far parte di ciascun spermatide.
Si dividono perció contemporaneamente anche i fili del fuso centrale
e quella metà di essi che resta in ciascun spermatide ha l'aspetto di
un cono di filamenti il cui apice fa capo a ciascun mezzo corpuscolo
intermediario e la cui base passa lateralmente al nucleo e va a met-
tersi in rapporto coi filamenti del citastro, che irradiano dai centro-
Istogenesi dei Nemaspermi di Triton cristatus. 175
somi. Separatisi i due spermatidi, questi filamenti residuali si con-
traggono ed essendo che il mezzo corpuscolo intermediario sul quale
con un estremo si appoggiano è ancora fisso contro la parete cellulare
di nuova formazione, attirano contro di esso i centrosomi.
Si origina così a immediato contatto della parete dello spermatide
che corrisponde al setto cellulare dello spermatocito una formazione
speciale che consta: 1) di un grosso granulo rotondo, applicato contro
la parete della cellula, derivante dalla divisione del primitivo corpus-
colo intermediario; a questo granulo io darei il nome (già usato da
Moore [67 e 62]) di arcosoma; 2) di un cumulo prossimale (rispetto al
nucleo) di sostanza acromatica la quale deriva dai filamenti residuali
del fuso e dai filamenti del citastro assieme contratti e fusi; in questo
cumulo si trovano due piccoli granuli colorabili che non sarebbero
altro che i centrosomi dello spermatide. Le ulteriori modificazioni di
questa formazione saranno descritte più avanti sotto il nome di miero-
centro.
(Continua.)
Referat
von
Fr. Kopsch.
Pollack, Bernhard, Die Färbetechnik des Nervensystems. 2. Auflage.
Berlin 1898. S. Karger. VI und 172 Seiten.
Das Büchlem enthält nicht nur die Färbetechnik, sondern auch die Technik
der Gehirnsection sowie einige andere Angaben, welche für den mit dem Central-
nervensystem arbeitenden Forscher von Wert sind. Ueber die Methoden, welche
bei der Bearbeitung des peripherischen Nervensystems und der Nervenendorgane
in Anwendung kommen, wird nur auf fünf Seiten gehandelt, so dass das Buch
wesentlich die Färbetechnik des Centralnervensystems enthält. Was die Dar-
stellung dieser Technik anlangt, so ist sie eine Compilation von einer grossen
Menge vielleicht der Mehrzahl der von den einzelnen Autoren gegebenen kleinen
Abänderungen ursprünglicher Methoden, wie der von Weigert, Golgi u. a.,
ohne dass dabei deutlich genug hervorträte, welche von allen einem bestimmten
Zwecke dienenden Methoden die am meisten zweckentsprechende ist, so dass es
wohl auch dem Geübteren schwer fallen dürfte, die richtige Wahl zu treffen.
Völlig ungenügend für einen Anfänger m der Technik der (sogenannten) vitalen
Färbung mittels Methylenblaus, sind die hierüber beigebrachten Angaben. Es
genügt hier nicht, die Recepte anzugeben, mittels deren in der Methylenblau-
technik erfahrene Forscher neben zahlreichen Misserfolgen ihre guten Resultate
erzielt haben, sondern hier vor allem wäre eine genaue, bis ins Einzelne gehende
Schilderung am Platze gewesen. Geradezu unverständlich ist es für den Belehrung
suchenden, wenn Pollack bei Bethe’s zweiter Methode der Fixierung der Methylen-
blaufiirbung sagt, dass durch dieselbe die bisher erforderliche Eiskühlung unnötig
gemacht würde, obwohl der Leser vorher nichts davon erfahren hat, warum, wann
oder wo eine solche Eiskühlung notwendig ist. An der einen Stelle (S. 105) wird
Injection einer Methylenblaulösung BX, an einer anderen (S. 116) wird das chlor-
zinkfreie Methylenblau empfohlen. Was für Unterschiede zwischen beiden bestehen
und warum man gerade an der einen Stelle dies, an der anderen jenes Präparat
anwenden soll, das zu ergründen wird dem Leser überlassen. Bei Nissl’s Methode
vermisse ich die sehr wichtige und von Nissl besonders betonte Angabe, dass die
in Alkohol gehärteten Stücke nach einigen Tagen ihre gute Schnittconsistenz
verlieren. Die Methode von Obregia mit der Zucker-Dextrin-Lösung, welche sich
weiter Verbreitung erfreut, ist gleichfalls nicht aufgeführt, obwohl der viel weniger
sicheren Weigert’schen Methode ein besonderes Capitel gewidmet ist. Das grosse
Schanze'sche Microtom, mittels dessen O. Schultze 20 w dicke Schnitte durch
das ganze Gehirn des Menschen angefertigt und auf dem Anatomischen Congresse
zu Strassburg gezeigt hat, verdiente doch ganz besondere Erwähnung. Es wäre
also dringend notwendig, diese und noch mancherlei andere Mängel des Büchleins,
als welche auch eine Anzahl an österreichische Amtssprache erinnernde Fremd-
wörter genannt sem mögen, abzustellen, ehe es mit gutem Gewissen empfohlen
werden kann. Fr. Kopsch.
Buchdruckerei Richard Hahn (H. Otto), Leipzig.
Dall’Istituto anatomico dell’Università di Modena (diretto dal Prof. R. Fusari).
Istogenesi dei Nemaspermi di Triton cristatus.
Nota di
P. Bertaeechin i.
I. Assistente.
(Fine.)
Ecco come si presentano le spermatidi poco dopo la loro forma-
zione, a telocinesi finita (v. Tav. V. fig. 9 e 10): 1? il nucleo, che grada-
tamente entra in fase di riposo, si pone affatto perifericamente nel
corpo cellulare e, per quanto io ho potuto constatare, in una posizione
che corrisponde al campo polare della primitiva divisione dello sperma-
tocito: ritorneremo sui suoi cambiamenti di struttura; 2° il proto-
plasma é in massima parte accumulato verso quel lato del nucleo che
corrisponde al primitivo piano equatoriale dello spermatocito. La
struttura dello spongioplasma cellulare è finamente filamentosa o spug-
nosa. Veramente nella spermatide in riposo sembra prevalere la dis-
posizione spugnosa o reticolare; quando invece si iniziano i cambia-
menti che devono condurre alla formazione del nemasperma, diventa
manifesta una struttura più nettamente filamentosa, nel senso di Flemming;
il jaloplasma è carico di finissime granulazioni che coll'acido osmico
prendono una tinta bruna, cosicché danno a tutta la massa del proto-
plasma una colorazione piuttosto oscura; 3? nella stessa regione dello
spermatide ove é maggiormente accumulato il protoplasma, immediata-
mente contro alla membrana cellulare di nuova formazione, si osserva
la piecola formazione della quale si é dianzi parlato e la cui struttura
e la seguente. A contatto colla parete cellulare (ectoplasma) si trova
una piccola sfera di sostanza omogenea, che col metodo di M. Heiden-
Internationale Monatsschrift für Anat. u. Phys. XV. 12
178 P. Bertacchini,
hain si colora in bruno chiaro e col ,Jodgrün — S. Fuchsin“ prende
una colorazione rosea. Corrisponde al mezzo granulo ‘intermediario,
quello che ho chiamato „arcosoma“; ha sempre un contorno nettis-
simo ed un diametro di circa '/, uw. Nel suo lato rivoto verso il
nucleo, si trova un anello di sostanza che col metodo di Heidenhain
(Ferro-ematossilina) assume un colore bruno scuro quasi nero e col-
lJodgrün — S. Fuchsin si tinge in violetto-roseo. Questo anello è a
piccolissima distanza dalla sfera, ma non la tocca proprio immediata-
mente; fra i due organi esiste peró un mezzo di unione, non rile-
vabile al microscopio, perché, come vedremo piü avanti; essi non
perdono mai, per nessun cambiamento di posizione, i loro reciproci
rapporti. Infine si puó ancora constatare che sul polo prossimale
del granulo applicato contro la parete cellulare, si inserisce un fila-
mento di una sottigliezza estrema, che passa attraverso all'anello e
si confonde col citomitoma dello spermatide, continuandosi con esso.
In parecchi casi ho potuto assicurarmi che l’anello in rapporto coll'ar-
cosoma deriva dal cumulo di sostanza acromatica che contiene i due
centrosomi e che si trova applicato, in fasi precedenti, come ho gia detto,
contro il lato prossimale dell’arcosoma stesso (Tav. V. fig. 8). Il modo
di trasformazione è il seguente; i due centrosomi da prima si disgre-
gano, cosicchè in cambio di due soli granuli se ne trovano due, quattro
e più nella sostanza acromatica; questi granuli diventano sempre più
numerosi e piccoli e si portano alla periferia della sostanza acromatica
stessa in un piano tangenziale al polo dell’arcosoma che guarda il
nucleo; la sostanza dei centrosomi si dissolve infine completamente
nell’arcoplasma del cumulo che così acquista una più forte affinità per
le sostanze coloranti (Ferro-ematossilina, S. Fuchsin) e si trasforma da
prima in una formazione discoidale più spessa all’orlo, più sottile al
centro e, in ultimo, in un vero anello.
Al complesso dell’arcosoma e dell’anello dò, per commodo di lin-
guaggio il nome di ,,microcentro“ già usato da M. Heidenhain per
l'insieme dei centrosomi e della loro centrodesmosi primaria nella sfera
attrattiva. Questo microcentro è evidentemente analogo al ,chroma-
toider Nebenkörper“ descritto da Hermann negli spermatidi di Sala-
mandra (35 e 36),
Istogenesi dei Nemaspermi di Triton cristatus. 179
È degno di nota il fatto che negli spermatidi dei nidi cellulari, i
microcentri sono sempre orientati in una direzione speciale, che corri-
sponde ai piani di divisione degli ultimi spermatociti (v. Tav. V. fig. 11).
Alla fase ora descritta, e che si potrebbe chiamare iniziale, dello
spermatide, sussegnono quei cambiamenti di struttura che devono con-
durre alla formazione del nemasperma. Questi possono suddividersi in
3 principali periodi e cioè: 1°, cambiamento di posizione del micro-
centro che si porta contro ai nucleo; 2°, cambiamenti di posizione, di
forma e di struttura del nucleo; 3° ulteriori cambiamenti del micro-
centro in rapporto colla formazione della coda.
1° Il microcentro si approfonda verso il nucleo abbandonando la
sua posizione periferica contro la membrana cellulare (v. Tav. V. fig. 10,
12, 13, 14), senza che questa lo segua menomamente; (questo avve-
rebbe invece, secondo Meves [45], nella Salamandra, nei cui spermatidi
si trovano due eguali centrosomi disposti in direzione radiale contro
la membrana cellulare, in modo che solo uno, il distale, la tocca).
Avvicinandosi al nucleo, attraversa l'accumulo di protoplasma che da
questo prima lo separava e subisce nello stesso tempo un movimento
di rotazione di 180°, in modo tale che l'arcosoma, da prima distale, si
rivolge prossimalmente e l'anello diventa periferico. Quando il movimento
di rotazione dei microcentro è finito, finisce contemporaneamente il suo
moto di translazione attraverso al protoplasma, cosicchè esso viene allora
a trovarsi contro al nucleo, col suo arcosoma, o granulo del fusocentrale,
applicato contro alla membrana nucleare (v. Tav. V. fig. 14). Mentre si
compiono questi movimenti, diventa sempre più visibile il filamento czto-
plasmatico che dall'areosoma passa attraverso all’anello e nello stesso
tempo si fa manifesto anche un filamento che si stacca dal polo dell’arco-
soma, opposto a quello al quale si inseriscono l'altro filo e l'anello. Il primo
di questi filamenti, quello che passa attraverso all'anello, rappresenta
l’abbozzo del filo assiale della coda del nemasperma. L'ultimo, quello che
si stacca dal polo libero dell’arcosoma, si inserisce coll’altro suo estremo
in quel punto della superficie del nucleo nel quale andrà_a collocarsi de-
finitivamente il microcentro. Pare che questo filamento, che chiamerò
filamento cefalico, penetri entro alla sostanza stessa del nucleo. Io ho
potuto in molte spermatidi constatare la presenza di questo filo e la
12*
180 P. Bertacchmi,
sua inserzione alla membrana nucleare. Oltre a ciò poi, in nemaspermi
maturi nei quali il pezzo intermedio si era staccato e leggermente
allontanato dalla testa, mi è riuscito qualche volta di osservare un
sottile filamento che si staccava dal polo prossimale del pezzo inter-
medio, attraversava intervallo fra quest’ultimo e la testa e si
approndava dentro a questa penetrando pel centro della concavità
della sua superficie posteriore. Sembra che questo filamento percorra
lasse della testa del nemasperma. Qualche volta infine (v. Tav. V.
fiv. 16) ho visto questo filamento, libero, inserito al polo cefalico di
certi ,pezzi intermedi“ che si erano completamente separati dalla
testa. Naturalmente io ritengo identico questo filamento del nema-
sperma maturo a quello che unisce il microcentro al nucleo dello sper-
matide. ed è perciò che lho chiamato ,filamento cefalico“.
Io sarei inclinato a vedere nel complesso del filo assiale della
coda e del filo cefalico il meccanismo che effettua il moto di rotazione
e di traslazione del microcentro e la sua unione al nucleo dello sper-
matide. Non sarei peró in grado di descrivere il suo modo di funzionare.
Ad ogni modo, quello che è certo è che alla fine di questo primo
periodo della formazione del nemasperma, il microcentro si è portato
dalla membrana cellulare contro al nucleo, sul quale d'ora innanzi si
impianterà sempre più intimamente, e che in questo suo spostamento ha
subito una rotazione di 180°, cosicchè l’arcosoma, che da prima era
periferico, ora è prossimalmente impiantato sul nucleo, probabilmente
attratto su quest'ultimo dalla contrazione del filo cefalico; mentre l'anello,
che era in principlo prossimale, si trova in seguito rivolto periferica-
mente assieme col filo assiale della coda, che lo attraversa.
Se si congiunge il punto della superficie cellulare sul quale da
prima risiede il microcentro col punto centrale del nucleo, si ha una
linea che io riterrei analoga all,asse cellulare di^ Flemming e di
M. Heidenhain, linea che secondo il primo di questi Istologi [74]
dividerebbe la cellula intera in due metà (antimeri) eguali, simmetriche
ed omodiname. Ora questo asse necessariamente incontra la membrana
cellulare in un punto che sta in direzione rettilinea fra il microcentro
e il centro nucleare. Ebbene, le mie osservazioni mi porterebbero a
credere che é precisamente su questo punto che viene ad impiantarsi
Istogenesi dei Nemaspermi di Triton cristatus. 181
il microcentro alla fine del suo moto di rotazione e di translazione.
Questo spostamento del microcentro non cambierebbe perciò l’asse
cellulare dello spermatide, che resterebbe quello del futuro nemasperma
il eui allungamento si fa appunto nella sua direzione.
Col portarsi del microcentro contro un determinato polo del nucleo,
che corrisponde al futuro polo caudale della testa del nemasperma,
finisce il primo periodo. Durante il medesimo non si osserva sporgere
dal corpo cellulare dello spermatide alcune filamento, contrariamente
a quanto Meves ha osservato e descritto negli spermatidi di Sala-
mandra. Cid avviene invece nel 2° periodo che é descritto nel seguente
capitolo.
2" [ cambiamenti di forma e di struttura del nucleo in questa
fase della genesi del nemasperma sono tanto noti, che io non mi ci
fermerò sopra affatto. Specialmente essi collimano nel Triton con
quanto è stato osservato da Flemming |/7 e 18], Hermann [55 e 36]
e Meves |47] nella Salamandra e perciò ai lavori di questi Istologi
rimando il lettore cui occorrano fondamentali nozioni sull'argomento.
Mi soffermeró, piuttosto, alquanto su due fatti che sono dei piü
importanti in questo periodo. Sul modo, cioè, con cui si rende vieppiù
intima l'unione del microcentro col nucleo assieme coi cambiamenti cui
il primo va sogetto e su alcune particolarità del modo di comportarsi
del plasma nucleare (sostanze cromatiche ed acromatiche) rispetto al
resto del corpo cellulare.
A proposito del primo punto, debbo dichiarare che non ho potuto
riscontrare nel Triton il modo di penetrare del granulo prossimale
nella testa del nemasperma, cioé nel nucleo, descritto da Meves nella
Salamandra.
Neppure la sua descrizione riguardante il sistema dei due centro-
somi che, a quanto Egli afferma, si trovano radialmente contro alla
membrana dello spermatide, è applicabile a quanto io ho riscontrato
nel Triton, nel cui microcentro l’arcosoma rappresenta la metà del
granulo intermediario di Flemming dell'ultima mitosi dello spermato-
cito, mentre l'anello corrisponde all'arcoplasma dell'astro polare assieme
colla sostanza dei due centrosomi. Tuttavia, quando le due formazioni
182 P. Bertacchini.
sono definitivamente arrivate sul nucleo, il mio arcosoma corrisponde,
per posizione, al centrosomo prossimale di Meves.
Ebbene, ecco ora quale é il modo con cui il microcentro si unisce
stabilmente al nucleo. Appena il primo si è portato su quel punto
della superficie nucleare che, secondo me, corrisponde alla sua inter-
sezione coll'asse cellulare, il nucleo stesso si allunga in direzione tale
che il luogo di aderenza del microcentro resta il suo polo posteriore
più grosso, mentre il polo opposto, più sottile, corrisponde all’apice
della testa del futuro nemasperma. Mentre subisce questo cambia-
mento di forma, e qui entriamo nel secondo punto sul quale voglio
insistere, si modifica profondamente la struttura intima del nucleo e,
anzitutto, esso perde la sua membrana cromatica. La sua cromatina
si raccoglie tutta in una formazione trabecolare, a spugna, le cui lacune,
riempite dalla sostanza nucleare acromatica, da prima grandi, si fanno
sempre più piccole e liberamente si aprono allo superficie del nucleo;
in seguito, come vedremo poi, queste lacune scompaiono. (Una disso-
luzione della cromatina nel sacco nucleare [paralinina] messa come possi-
bile da Hermann [34] non ho potuto constatare). Con questa scomparsa
della membrana cromatinica e colla concentrazione della cromatina
nucleare cammina di pari passo un'esagerazione in spessore della mem-
brana acromatica, in quanto che attorno al nucleo si forma uno strato
sempre più alto di una sostanza perfettamente incolore, omogenea e
chiara che secondo me deriva dalle parti acromatiche del nucleo spre-
mute fuori dalla coartazione delle trabecole cromatiniche [v. Tav. V.
fig. 15, 26, 27, 29]) Più al di fuori di questo strato esiste la zona
granulosa ed oscura del protoplasma, che specialmente si accumula in
corrispondenza del polo posteriore del nucleo ove si trova il microcentro.
Ebbene nelle prime fasi di questi cambiamenti nucleari, quando il
nucleo ha una forma appena un pò ,a pera“ (Tav. V. fig. 15), si osserva
che nel mezzo del suo polo grosso si forma, di fronte all’arcosoma, una
depressione che man mano è riempita dalla sostanza acromatica, peri-
nucleare. In questa depressione, che sempre più si approfonda, penetra
Yarcosoma finchè ci si trova, infine, completamente innicchiato; esso
sarebbe perciò al di fuori della cromatina nucleare, che si infossa per
riceverlo, e al di dentro della membrana nucleare acromatica. E questo
Istogenesi dei Nemaspermi di Triton cristatus. 183
rapporto non cambia nè nelle fasi ulteriori dello sviluppo, nè nel
nemasperma adulto. Questo è dimostrato dalla facile staccabilità del
pezzo intermedio, nel quale appunto larcosoma in massima parte si
trasforma, dalla parte cromatica del nemasperma, o testa propria-
mente detta, la quale presenta nel suo polo posteriore una fossetta
concava adattata per riceverne l'estremo anteriore. Il modo di pene-
trare dell'areosoma dentro al nucleo è dunque diverso da quello descritto
da Meves pel suo centrosomo prossimale.
Il corpo anulare del microcentro resta invece al di fuori anche
dello strato acromatico del nucleo e precisamente nel limite fra quello
e il protoplasma.
Nello stesso tempo da quest'ultimo, che è in massima parte accu-
mulato al polo posteriore dello spermatide, incomincia a svolgersi il
filo assiale della coda (v. Tav. V. fig. 15). Esso sporge liberamente al
di fuori come un filamento acromatico di una estrema sottigliezza;
internamente allo spermatide sappiamo che passa attraverso all'anello
dei centrosomi e si inserisce al polo distale dell’arcosoma. In tal
modo alle fine di questo secondo periodo della maturazione del nema-
sperma abbiamo, 1? che il nucleo si è enormemente allungato fino a
raggiungere quasi la sua definitiva forma cilindro-conica; 2? che esso
non ha più membrana cromatica, ma che passando per le diverse fasi
di una struttura trabecolare sempre più fitta è diventato in fine quasi
omogeneo, cioè composto di solo cromatina; 3° che contemporaneamente
le parti acromatiche sono uscite dal nucleo formandovi attorno uno
strato chiaro rilevante, più spesso però al polo posteriore che al-
l'anteriore ove si riduce quasi in nulla; 4? che il protoplasma forma
uno strato poco notevole attorno al nucleo, restando separato da questo
per tutta Valtezza dello strato acromatico anzidescritto, meno che in
corrispondenza dell’apice ove cromatina nucleare e protoplasma quasi si
toccano; esso si accumula invece in corrispondenza del polo posteriore
attorno all’anello del microcentro, la cui altezza di poco sopravvanza;
5° che l’arcosoma del microcentro è penetrato nel nucleo, o meglio in
una fossetta della sua cromatina e resta abbracciato dal suo strato
acromatico; 6° che, infine, il filo assiale della coda sporge liberamente
dal proteplasma. Aggiungo inoltre che all'estremo anteriore del nucleo,
184 P. Bertacchini,
ove si formerà l'appendiee apicale del nemasperma, non ho mai potuto
vedere nessuna formazione speciale.
3° Veniamo ora agli ulteriori definitivi cambiamenti di struttura
dello spermatide che riguardano principalmente il microcentro, ma anche
tutte le rimanenti parti costitutive; cambiamenti che conducono alla
formazione del nemasperma adulto o maturo.
Riguardo al microcentro i suoi cambiamenti si riferiscono tanto
all’arcosoma che all'anello dei centrosomi e camminano di pari passo.
L'areosoma cresce man mano di volume; diventa da prima ovale e
si ingrossa tanto da superare il diametro della testa che nel frattempo si
è ridotta quasi al suo calibro definitivo (Tav. VI. fig. 21 a e b, 22). La
sua colorabilità è sempre diversa da quella della cromatina nucleare.
Ad es. col metodo di M. Heidenhain si colora quasi in vero (Tav. VI.
fig. 26, 27) mentre questa assume una tinta chiara; col miscuglio ,,Jod-
grün — S. Fuchsin^ prende un colore roseo, mentre la testa è verde-
violacea (Tav. VI. fig. 23). Qualche volta però succede l'opposto e
l’arcosoma si mostra verdastro, nell’estremita posteriore della testa
colorata in rosa-pallido.
L'aumento di volume si mantiene in seguito, a spermatozoo quasi
adulto ed adulto (Taf. VI. fig. 23, 24, 25), prevalentemente peró nel
senso della lunghezza, presentandosi allora l'areosoma come un cilindro
lungo 0,004 mm e del calibro di 0,0008 mm; e percid leggermente pitt
sottile della testa. Esso costituisce ora quella parte del nemasperma
che si chiama pezzo intermedio.
Tratterò delle ragioni del suo aumento di volume e della sua
struttura intima dopo d’avere descritti i cambiamenti dell'anello dei
centrosomi.
Questo, mentre avvengono le modificazioni dell’arcosoma, resta
immerso nel protoplasma che si accumula al polo posteriore dello
spermatozoo, al di fuori dell'involucro acromatico nucleare della testa.
Esso cresce, da prima, semplicemente in altezza (v. Taf. VI. fig. 15,
26, 27 e 28). In seguito però esso cambia anche di forma e di struttura.
Da prima si separano in esso due sostanze; una chiara acromatica ed
una più spessa a granuli colorabili (v. Tav. VI. fig. 21). Si assottiglia
poscia e si allunga prendendo come l’aspetto di un irregolare rosario,
Istogenesi dei Nemaspermi di Triton cristatus. 185
inquantochè la. sua sostanza colorabile resta disseminata dentro alla
ganga della acromatica sotto forma di finissimi granuli, neri colla
colorazione di M. Heidenhain; violetti col miscuglio ,,Jodgrin —
S. Fuchsin“. L'anello nel frattempo si allarga, cosicchè il suo foro
diventa molto più ampio di prima, si stira e si torce su se stesso
presentando, secondo i punti da cui è visto, talora l’aspetto di un
biscotto, talora quello della cifra „8“. Nello stesso mentre, restando
fisso con uno dè suoi estremi al polo posteriore del pezzo intermedio
(arcosoma) (v. Tav. VI. fig. 21, 22), si distende coll’altro suo estremo
sopra al filamento assiale. In questo stato ha quella forma a pessario
che così bene gli è stata attribuita da Hermann e Meves nella Sala-
mandra.
Di pari passo con questi cambiamenti dell'anello procedono anche
alcune modificazioni del filamento assiale. Queste consistono in un
maggiore calibro che esso acquista e in una distinta colorabilità. Ho
già detto che da prima, nel 2° periodo della maturazione dello sperma-
tozoo, esso sporgeva dal polo posteriore dello spermatide sotto forma
di un sottilissimo filamento apparentemente acromatico. Nel mentre
succedevano le prime modificazioni dell'anello, consistenti in una mag-
giore altezza acquistata da quest'ultimo, esso si è andato ingrossando,
pure restando perfettamente cilindrico, assumendo, contemporaneamente,
una certa affinità pei colori acidi d’anilina (S. Fuchsin) e per la colo-
razione Ferro-ematossilinica, colla quale si tinge in bruno.
Da che dipende questo ingrossamento? Osservando i nemaspermi
nel mentre esso si compie, si vede che va gradatamente diminuendo
quello strato di sostanza acromatica che da prima circondava la cro-
matina nucleare della testa del nemasperma (Tav. VI. fig. 27, 28, 29),
cosicchè. quest'ultima finisce per restare ad immediato contatto col
protoplasma (Taf. VI. fig. 22, 23, 30). Ora è certo che questa sostanza
acromatica non rientra nella testa, che va anzi facendosi sempre più
omogenea, compatta e uniformemente colorabile coi colori cromatimofili
(Jodgrün, Ematossilina, B. Fuchsin ete.). Essendo poi che contempo-
raneamente si ingrossa di molto il filamento caudale, non mi sembra
irragionevole pensare che la sostanza acromatica del nucleo si porti sul
filo assiale della coda, passando attraverso all’anello che nel frattempo
186 P. Bertacchini,
resta immobile al suo posto e solo, come già si è detto, cresce notevol-
mente in altezza. Sembrerebbe opporsi a questa supposizione il fatto che
il filamento caudale dopo il suo ingrossamento è debolmente colorabile
coi colori acidi di anilina, mentre la sostanza perinucleare della testa
si presentava acromatica. Ma è anche d'uopo confessare che non ci
sono ancora note tutte le variazioni che l’affinità cromatica delle diverse
sostanze cellulari subisce nei diversi momenti dell’attività funzionale di
queste ultime. Nulla vieta perciò di pensare che questa sostanza nucleare
acromatica passando attraverso all’anello e disponendosi attorno al filo
assiale non abbia acquistato, per la nuova funzione che compie e perciò
per la sua nuova struttura"), quella sua affinità per le sostanze colo-
ranti acide. Non è poi forse inutile il rilevare che tale colorabilità
resta sempre antogonistica rispetto a quella della cromatina che, come
è noto, si tinge coi colori basici.
Dobbiamo ora considerare tre nuovi fatti che avvengono con-
temporaneamente e cioè: la discesa del protoplasma dello spermatide
sul filamento caudale; la estensione della parte acromatica dell’anello
nella stessa direzione e infine la concentrazione della parte cromatica
di quest’ultimo all’estremità prossimale del filo assiale della coda e
nell'interno del pezzo intermedio (arcosoma).
Rispetto al primo fatto, esso sussegne immediatamente alla scom-
parsa dell'involucro nucleare acromatico della testa e all’ingrossamento
del filo assiale e trascina con se anche la parziale discesa dell'anello.
Il protoplasma dello spermatide è accumulato, come già si è detto, al
polo posteriore di quest'ultimo ove si inserisce attorno all'orlo distale
dell'anello. Anteriormente ravvolge come un sottile involucro la testa.
Esso ora si avvanza verso l’indietro, rivestendo il filo caudale e spin-
gendo davanti a se l'anello (v. Tav. VI. fig. 21a, 216, 22). Questo
però non discende in totalità, ma con una parte del suo orlo resta
fisso al polo posteriore dell’arcosoma (pezzo intermedio), cosicchè per
la discesa del protoplasma è costretto a stirarsi sempre più assumendo
quella forma a pessario che da Hermann e Meves è stata descritta.
!) Come è noto dai lavori di Ballowitz, la sostanza che forma il filo
principale delle coda, costituito dal filo assiale così ingrossato, ha struttura netta-
mente fibrillare.
Istogenesi dei Nemaspermi di Triton eristatàs. 187
Le opinioni di questi due A. non collimano però sul proposito. Secondo
Hermann [56] l'anello si spacca, nel senso dell'altezza, in due anelli
figli di cui l'uno resta fisso al pezzo intermedio (che egli chiama
„Endknopf“), mentre l'altro, spinto dal protoplasma scorre sul filo della
coda; mentre i due si allontanano, si svolge fra di loro un manicotto
di sostanza acromatica che forma un involucro al filo assiale del flagello.
Secondo Meves [45], invece, l'anello non fa che stirarsi per il lungo,
restando un suo estremo fisso al pezzo intermedio da un lato (dorsale)
del filo assiale, mentre l'altro scorre sul lato ventrale di questo fin verso
la sua estremità libera. Le mie osservazioni mi conducono ad abbrac-
clare l'opinione di Meves. Diversamente peró da quest'ultimo, e anche
da Hermann, io non credo che l’anello si stiri cosi ? foto. lo osservo
invece che da prima nell’anello, quando incomincia ad allargarsi e a
contorcersi, si differenzia una sostanza cromatofila sotto forma di piccoli
granuli; che mentre l'anello si estende a pessario attorno al filo centrale
della coda, questa sostanza si raccoglie sempre più nell'estremo del-
l'anello fisso all'estremo posteriore dell’arcosoma; che a un certo punto,
quando la coda è già provvista di una distinta membrana ondulante
con filo orlante, cioè di tutti i suoi annessi, una parte di questa
sostanza cromatica é ancora discernibile come un paio di piccoli granuli
sull’estremità del filo orlante che si inserisce al polo posteriore del
pezzo intermedio (v. Tav. VI. fig. 23 e 24); anche questi due piccoli
granuli infine spariscono. Io ritengo che questa sostanza cromatica
(si colora in nero col metodo di M. Heidenhain; in rosso violetto col
miscuglio Jodgriin — S. Fuchsin) rappresenti il ricomparire della sostanza
dei due centrosomi dello spermatide. Dove va essa a collocarsi?
In questa fase dello sviluppo si osserva che all'estremo prossimale
del filo principale della coda esiste un distinto ingrossamento (v. Tav. VI.
fig. 18, 19 e 25) che secondo me corrisponde al vero „Endknopf“ di Ballo-
witz. Im un certo momento questo ingrossamento sembra anzi constare
di due metà laterali (v. Tav. VI. fig. 21 e 22); certo esso è sempre
esteso in senso trasversale, il che collima colle descrizioni di Ballowitz.
Oltre a ciò, con certe comuni colorazioni, S. Fuchsin, Ematossilina,
«mi è riuscito spesso di colorare un corpo centrale nell’interno del pezzo
intermedio (v. Tav. VI. fig. 18 e 20); corpo foggiato a cilindro lungo
188 P. Bertacchini.
quanto il pezzo intermedio stesso, terminato con superfici emisferiche
tanto anteriormente, ove è a contatto colla cromatina della testa, che
posteriormente, ove tocca l,Endknopf* del filo assiale. Le figure 17,
18, 19 e 20 rappresentano diversi nemaspermi nei quali ora è colorato
in toto il pezzo intermedio assieme colla coda, ora il solo corpo
centrale del pezzo intermedio e il filo principale della coda col suo
ingrossamento prossimale (Endknopf), ora il solo filo della coda ‘col-
l'Endknopf, ora infine il solo corpo centrale del pezzo intermedio
(Ematossilina, S. Fuchsin). Questo corpo assiale del pezzo intermedio,
dimostrato da Ballowitz con esperienze di macerazione, presupposto
da Hermann per spiegare l'aumento in volume del suo „centrosomo“
io l'avrei perciò dimostrato colla colorazione. Io l'ho anche parecchie
volte fotografato e specialmente ho ottenute buone negative dai pre-
parati che hanno servito per le fig. 18 e 19.
È dunque principalmente nell’asse del pezzo intermedio (arcosoma)
e in parte anche all'estremo prossimale del filo assiale che si concentra
la sostanza dei due centrosomi contenuti nell'anello, mentre la parte
acromatica di questo si estende, spinta dal protoplasma, sul filo assiale
della coda.
Il pezzo intermedio del nemasperma maturo sarebbe perciò formato:
1° dai centrosomi internamente (corpo assiale); 2° dalla sostanza del
fuso centrale esternamente (mantello).
Resta ora a ricercare come si formi la membrana ondulante col
suo filo orlante.
Se si osserva attentamente, si vede che nel mentre il protoplasma
assieme con parte dell'anello si avvanza sul filo principale della coda,
di fianco a questo è già visibile, a una certa distanza, un sottile fila-
mento. Questo si osserva anche già prima dell’avvanzarsi del proto-
plasma (v. Tav. VI. fig. 214, 215, 92). Sui due, filo principale e filo
laterale, si estende perciò il protoplasma. Mi sembra che quel tratto
di involucro protoplasmatico che si estende fra essi, sia quello che dà
origine alla membrana ondulante e che il filo laterale ne formi il filo
orlante. Questo filo laterale non sarebbe, a mio credere, che un fascio
laterale di fibrille staccatosi dal fascio che costituisce il filo principale.
Nel posto del filo principale donde si è staccato il fascio del filo orlante,
Istogenesi dei Nemaspermi di Triton cristatus. 189
resta un incavo che spiega la forma a ferro di cavallo che ha una
sezione trasversa del primo. Secondo me il protoplasma si estenderebbe
fino all'estremità distale libera del flagello caudale, ove la membrana
ondulante va gradatamente diminuendo d’altezza, tanto che filo princi-
pale e filo orlante sempre più si avvicinano finchè finiscono per wnzrsi
insieme. Non sono riuscito a osservare nei nemaspermi di Triton
un pezzo terminale (Endstiick) formato solo dal filo principale libero
dall’involucro della membrana ondulante, quale da Ballowitz [4S],
Hermann [30] e Meves [42] è stato descritto nella Salamandra.
Mi confortano nella mia opinione, che il filo orlante sia un fascio
di fibrille staccato dal fascio del filo principale, le seguenti ragioni:
1° la struttura fibrillare del filo orlante eguale a quella del filo
principale, da me facilmente potuta constatare operando coi metodi
consigliati da Ballowitz [54]; 2° il fatto che vi hanno nei nemaspermi
degli anfibi tutte le fasi di passaggio fra un flagello foggiato a mem-
brana ondulante con due fili limitanti perfettamente eguali (Bufo vir.
sec. Hermann in 34) e l'assenza di qualsiasi membrana e filo orlante
(Rana, Hyla, Pelobates, l. c.). È logico perciò pensare, che quando
nessun fascio di fibrille si stacca dal filo assiale del flagello, questo costi-
tuisce da solo la coda ed è im toto ravvolto dal protoplasma (caso
dell’uomo e della Rana esculenta); che quando se ne stacca un piccolo
fascio, l'involucro protoplasmatico si estende fra questo, che allora
forma il filo orlante, e il resto che costituisce il filo principale,
formando, così disteso, la membrana ondulante (caso del Triton, della
Salamandra etc.). Quando infine le fibrille del filo assiale si separano
in due fasci eguali, allora si hanno 2 fili principali (Bufo) uniti da una
membrana ondulante. 3° La forma, infine, a ferro di cavallo che il
filo principale ha in corrispondenza del luogo di distacco della mem-
brana ondulante; forma che si spiega solo collincavo lasciato dal
separarsi di un fascio di fibrille.
In questo modo è data l’ultima mano alla formazione del nema-
sperma adulto. Non sarà inutile riassumerne le parti costituenti ag-
giungendovi qualche particolarità propria della perfetta maturità e
indicando, volta per volta, la loro derivazione dallo spermatide.
190 P. Bertacchini,
Il nemasperma maturo di Triton cristatus consta:
a) Della testa propriamente detta. Questa è formata da una parte
centrale, formata di pura cromatina, e di un involucro periferico, mantello
della testa (Kopfkappe di Meves, Hermann etc.) che è un residuo sottile
del protoplasma dello spermatide. Non posso assicurare se fra questo
e la cromatina persista ancora un sottilissimo strato di quella sostanza
acromatica che da prima era uscita dal nucleo dello spermatide e che
poi si è portata ad ingrossare il filo assiale della coda, ma le mie
osservazioni mi fanno ritenere questo fatto come probabile. L/estremo
anteriore della testa è affilatissimo; tanto la cromatina che il mantello
subiscono in questa regione un estremo assottigliamento, ma la croma-
tina a un certo punto cessa e si avvanza solo l'involucro protoplas-
matico assieme forse con un finissimo asse centrale dovuto all’involucro
acromatico nucleare. Questo tratto, che corrisponde allo „Spiess“ di
Retzius o al „Spitzenstück“ di Meves e Hermann ha una lunghezza
difficilmente calcolabile; io la riterrei di 18 w. Presenta lateralmente,
e precisamente da quel lato sul quale nella coda è inserita la
membrana ondulante (faccia dorsale di Meves [45]) un appendice che
nella mia prima osservazione mi era sfuggita. È questa foggiata a
banderuola, anzi, più precisamente, a mezza punta di freccia. La
figura 31 ne dà un'idea esattissima. In un solo caso ho riscontrata
doppia tale appendice; ritengo, perciò, come eccezionale questo fatto.
È evidente l'utilità di questa appendice, descritta da Meves e Hermann
nella Salamandra con forma alquanto diversa, per l'ufficio di „istru-
mento perforante“ (Bohrapparate) da Hermann [54] a guista ragione
attribuito alla estremità anteriore della testa del nemasperma. Questo
uncino impedirebbe a quest’ultimo di staccarsi dall’ovulo una volta che
nell’atto della copulazione ne ha penetrate le membrane.
L’estremo posteriore della testa è conformato a incavo emisferico,
per accogliere l’estremo anteriore del pezzo intermedio.
b) Il „pezzo intermedio“ (Verbindungsstück di Retzius, Mittelstück
di Schweigger-Seidel) è già stato descritto nella sua forma. Consta di un
,corpo centrale“ cilindrico, derivante dalla sostanza dei 2 centrosomi dello
spermatide e di un ,mantello* che non è altra cosa che I’,,arcoplasma“
del „granulo intermediario di Flemming“ formatosi a spese della parte
Istogenesi dei Nemaspermi di Triton cristatus. 191
intermedia dei fili del fuso centrale. Sul pezzo intermedio passa
inoltre, come sottile strato avvolgente, il protoplasma della testa che
si continua cogli involucri della coda.
c) Coda. Questa, come è noto, consta di un filo principale e di
una membrana ondulante provvista di un filo orlante. Vi è una
perfetta identità colle analoghe formazioni tanto esattamente descritte
da Ballowitz, Flemming, Hermann e Meves nella Salamandra. È quindi
inutile ritornarvi sopra. Solo su un punto voglio richiamare l'atten-
zione del lettore. Ballowitz [57] ha descritto nell’estremo prossimale
del filo assiale della coda del nemasperma di Salamandra un corpus-
colo esteso trasversalmente che Egli chiama „Endknopf“. Io Vho ris-
contrato esattamente eguale nel filo assiale del Triton e lo faccio deri-
vare, come già minutamente ho detto, da una parte della sostanza
dei 2 centrosomi dello spermatide. Ora mi è sembrato che Hermann [30],
se bene ho inteso bene le sue parole, chiami „Endknopf“ il suo centro-
somo che va a costituire la totalità del pezzo intermedio. Ciò non
avviene nel Triton, perchè le due formazioni, in esso coesistono sepa-
ratamente.
Oltre a ciò Meves [48] descrive um orifizio, per cui passa il prin-
cipio del filo orlante, in quel punto in cui l'estremo prossimale del-
l'anello resta fisso al pezzo intermedio, mentre l’altro estremo accom-
pagna il protoplasma nella sua discesa sul filo sulla coda. Io veramente,
nel Triton, non ho potuto constatare in tal punto ‘un orifizio, ma
certamente vi è un ,luogo di aderenza“ fra la superficie del proto-
plasma e il sottostante principio della coda (v. Tav. VI. fig. 23, 24).
Ancora su una cosa mi soffermo alquanto e saranno terminate le
osservazioni sull’istogenesi del nemasperma.
Come si è visto, il granulo dell’, arcosoma# subisce un ingrossa-
mento relativamente enorme una volta che si è insediato al polo
posteriore del nucleo dello spermatide o della testa del nemasperma.
Questo aumento di volume ritengo in parte dipenda dal penetrare
della sostanza dei centrosomi dentro all’arcosoma (per Hermann sarebbe
invece l’unico centrosomo dello spermatide che si ravvolge di un in-
volucro); ma in parte trae la sua origine anche da un vero aumento
della sostanza dell’arcosoma stesso. Ora mi è sembrato di poter con-
192 P. Bertacchini,
cludere che questo aumento dipende dal fatto che la sostanza acro-
matica che fuoriesce dal nucleo dello spermatide durante la contrazione
della cromatina, non si estende tutta sul filo assiale della coda, ma
una parte è assunta dall’arcosoma.
Mi conforta in questa opinione la eguale colorabilità ‘del mantello
del pezzo intermedio e del filo principale della coda del nemasperma
adulto coi colori acidi di anilina e col metodo di Heidenhain.
Riassumendo, i principali risultati di queste mie ricerche sarebbero
i seguenti.
Nella formazione indicata da Hermann come ,, corpo cromatoide“
o abbozzo del pezzo intermedio“ e da me designata come „micro-
centro“ il granulo (arcosoma) deriva dalla metà del „corpuscolo inter-
mediario del fuso centrale“ dello spermatocito; l'anello è formato dalla
sostanza del resto dei fili del fuso centrale e dei fili del citastro assieme
colla sostanza dei 2 centrosomi dello spermatide.
Il „pezzo intermedio“ del nemasperma consta dell’arcosoma (cor-
puscolo intermediario) entro al quale è penetrata la sostanza dei 2 cen-
trosomi. |
Il filo principale della coda è formato: a) dal filo assiale che
deriva dal citomitoma dello spermatide; 0) da uno strato che ravvolge
il filo assiale, il quale deriva dalla sostanza acromatica del nucleo che
qui assume una struttura fibrillare.
Il filo orlante della membrana ondulante è un fascio delle fibrille
del filo principale, staccatosi dal rimanente.
La membrana ondulante è formata dal resto del protoplasma
dello spermatide che discende a ravvolgere tanto il filo principale che
il filo orlante della coda e li collega assieme.
28 Aprile 1898.
KS)
Qo qu em 9x
20.
21.
Opere citate.
R. Wagner, Müllers Archiv. 1836.
A. Kólliker, Beitr. zur Kenntnis d. Geschlechtsverhültn. u. d. Samenflüssig-
keit wirbelloser Tiere. Berlin 1841.
— Physiol Studien üb. d. Samenflüssigkeit. Zeitschr. f. wissensch. Zoologie.
1856. VIL S. 252.
Sertoli, Dell'esist. di partic. cell. ramific. net-canalic. sem. del testic. umano.
Il Morgagni. 1865.
— Arch. d. Sc. med. 1878.
Fr. Merkel, Arch. f. Anat. u. Phys. 1871.
— Untersuch. a. d. anat. Institut zu Rostock. 1874.
Schweigger-Seidel, Ueb. Samenkórper u. ihre Entwickelung. Arch. f. mikr.
Anat. 1865.
La Valette St. George, Ueb. d. Genese d. Samenkórper. Arch. f. mikr.
Ariat Bel. I DD XO XUI.
Henle, Splanchnologie. 1866. S. 356.
V. v. Ebner, Untersuch. ib. d. Bau d. Samenkanälchen u. d. Entwickelung
d. Spermatozoiden. Leipzig 1871.
— Zur Spermatogenese b. d. Säugetieren. Arch. f. mikr. Anat. 1888. Bd. XXXI.
Klein, Centralbl. f. med. Wissensch. 1880. Nr. 20.
— Nouveaux éléments d'Histologie. Tr. p. G. Variot. Paris 1885.
Biondi, Riforma med. 1885. Arch. f. mikr. Anat. Bd. XXV.
Swaen et Masquelin, Études s. L Spermatogénése. Arch. d. Biol 1883.
dex DE
Flemming, Ueb. d. Spermatogenese b. Salamandra mac. Arch. f. mikr.
Anat. 1888.
— Weitere Beobacht. ib. d. Entwickelung d. Spermatosomen. L. c. 1888.
Bd. XXXI.
H. Fol, Die erste Entwickelung d. Geryonideneies. Jena'sche Zeitschrift. 1875.
Bd. VII.
— Le commencement de l'hénogénie. Arch. des Sc. physiques et naturelles.
Genéve 1877.
— Rech. s. la fécondation et le commenc. de l'hénogénie. Mem. d. la Soc.
d. Sc. phys. et nat. d. Genève. 1877—1878. V. XXVI.
Internationale Monatsschrift für Anat. u. Phys. XV. 15
194
22.
23.
44,
P. Bertacchini,
H. Fol, Die Centralquadrille. Anat. Anzeiger. 1891. Bd. VI. — La quadrille
des centres. Arch. d. Sc. phys. et nat. Genève 1891.
v. Beneden, Rech. s. la maturation de Voeuf, la fécondation et la division
cellulaire. Gand und Leipzig 1883.
v. Beneden et Neyt, Nouv. rech. s. la fécondat. et la div. mitosique chez
lAscaris meg. Bruxelle, Hayez 1887.
R. Fusari, Sulle prime fasi di svil. dei Teleostei. Mem. d. Accad. d. Lincei.
Roma 1892.
W. Boveri, Zellstudien. Jena 1888.
— Ueb. d. Verhalten d. Centrosomen b. d. Befruchtung d. Seeigeleier. Ver-
handl. d. physik.-med. Gesellschaft. Würzburg 1895. Bd. XXIX.
O. Hertwig, Beitr. z. Kenntnis der Bildung, Befruchtung und Teilung d.
tierischen Eies. Gegenbaur’s morph. Jahrbuch. 1876. Bd. I.
— Ueb. pathol. Veränderungen d. Kernteilungsprocesses. Festschrift für
R. Virchow. Berlin 1891.
— Die Zelle u. d. Gewebe. Jena 1893.
O. u. R. Hertwig, Ueb. d. Befruchtungsvorgang u. d. Teilung d. tierischen
Kies unter d. Einfluss äuss. Agentien. Jena 1887.
R. Fick, Ueb. d. Befruchtung d. Axolotleies. Anat. Anzeiger. 1892. Bd. VII.
— Ueb. Reifung u. Befruchtung d. Axolotleies. Zeitschr. f. wissensch. Zoologie.
1893. Bd. LVI.
J. Hermann, Urogenitalsystem. Relazione negli ,Ergebnisse d. Anat. u. Ent-
wickelungsgeschichte* herausgeg. von Merkel u. Bonnet. 1892.
— Beitr. z. Histol. d. Hodens. Arch. f. mikr. Anat. 1889. Bd. XXXIV. S. 58.
— Beitr. z. Kenntnis d. Spermatogenese. Arch. f. mikr. Anat. Bd. L. H. 2.
S. 276.
— Bemerkungen üb. d. ,chromatoiden Kórper^ d. Samenzellen. Anat. An-
zeiger. Bd. XIV. Nr. 12. S. 311.
P. Bertacchini, Sui fenomi di div. diretta delle cell. semin. prim. della
Rana temp. Rass. d. Sc. med. Modena 1889. 4
— La Spermatogenesi nella Rana temp. Internat. Monatsschr. f. Anat. u.
Phys. 1889. à
— Sopra alcuni spermatozoi umani mostruosi. Rass. d. Sc. med. Modena 1890.
— Ric. biol. s. Spermatogenesi d. Anfibi anuri. Internat. Monatsschr. f. Anat.
us Phys 1896. Bd X] ELSE:
C. Benda, Untersuch. üb. d. Bau d. functionierenden Samenkanälchens einiger
Säugetiere u. Folgerungen f. d. Spermatogenese dieser Wirbeltierklasse.
Arch. f. mikr. Anat. 1887. Bd. XXX. S. 49.
— Neue Mitteil. ib. d. Entwickel. d. Genitaldrüsen u. ib. d. Metamorphose
d. Samenzellen. Arch. f. Anat. u. Phys. Phys. Abteil. 1891. S. 949.
Citato da Hermann in: Bemerkungen etc. Anat. Anz. V. XIV. Nr. 12.
— Zellstructuren u. Zellteilungen des Salamanderhodens. Verhandl. d. anat.
Gesellschaft. Góttingen 1893.
45.
46.
47.
48.
49.
50.
58.
99.
60.
61.
62.
63.
64.
65.
Istogenesi dei Nemaspermi di Triton cristatus. 195
C. Benda, Neuere Mitteil. üb. d. Histogenese d. Sáugetierspermatozoen. Arch.
f..Anat. u. Phys. Phys. Abteil. 1897. S. 406.
C. Niessing, Die Beteiligung v. Centralkórper u. Spháre am Aufbau d. Samen-
fadens d. Säugetiere. Arch. f. mikr. Anat. 1896. Bd. XLVIII.
Er. Meves, Ueb. d. Entwickel. d. miinnlichen Geschlechtszellen b. Salamandra
mac. Arch. f. mikr. Anat. 1896. Bd. XLVIII.
— Ueb. Structur u. Histogenese d. Samenfiden v. Salamandra mac. Arch.
f. mikr. Anat. 1898. Bd. L e in: Mitteil f. d. Verem Schleswig-Holst.
Kerzte. 9. Jahrg. Nr. 5:
v. Lenhossek, M., Untersuch. üb. Spermatogenese. Arch. f. mikr. Anat.
18952 Bd. me 1922,58 210:
M. Heidenhain, Ueb. d. Centralkérperchen u. Attractionssphären d. Zellen.
Anat. Anzeiger. 1891.
— Ueb. Kern u. Protoplasma. Leipzig 1892. Wilhelm Engelmann.
— Die Riesenzellen d. Knochenmarks u. ihre Centralkörper. Würzburger
Sitzungsberichte. 1892.
— Neue Untersuch. üb. d. Centralkörper u. ihre Beziehungen z. Kern u.
Zellenprotoplasma. Arch. f. mikr. Anat. Bd. XLII. H. 3. S. 423.
E. Ballowitz, Untersuch. üb. d. Structur d. Spermatozoen. Arch. f. mikr.
Anat. 1890. Bd. XXXVI.
— Fibrilläre Structur u. Contractilitàt. Arch. f. Phys. 1890. Bd. XLVI.
— Das Retzius'sche Endstück ete. Internat. Monatsschr. f. Anat. u. Phys. 1890.
— Untersuch. üb. d. Struct. d. Spermatozoen b. Insecten. Zeitschr. f. wissensch.
Zoologie. 1890.
— Weitere Beobachtungen üb. d. fein. Bau d. Sáugetierspermatozoen. Zeitschr.
f. wissensch. Zoologie. 1891. Bd. LII.
G. Platner, Beitr. z. Kenntnis d. Zelle u. ihrer Teilung. Arch. f. mikr. Anat.
1889.
A. Prenant, Obs. cytologiques s. les élém. seminaux des Gastéropodes pul-
monés. La Cellule. T. IV.
J. E. S. Moore, On the struct. changes in the repr. cells dur. the spermato-
genesis of the Elasmobranches. Journ. of mier. Sc. Vol. XXXVIII.
— Some Points in the Spermatogenesis of Mamm. Intern. Monatsschr. f. Anat.
u. Phys. 1894. Bd. XI.
Recenti lavori sulla spermatogenesi non citati nel lavoro.
Fr. Meves, Ueb. Centralkófper in miinnlichen Geschlechtszellen v. Schmetter-
lingen. Anat. Anzeiger. Bd. XIV. Nr. 1. S. 1.
K. v. Bardeleben, Ueb. d. Entstehung d. Axenfaden b. menschl. u. Sáuge-
tier-Spermatozoen. Anat. Anzeiger. Bd. XIV. Nr. 5. S. 145. — Beitr.
z. Histologie d. Hodens u. z. Spermatog. b. Menschen. Arch. f. Anat. u.
Phys. Supplement-Bd. 1897.
R. v. Erlanger, Bemerk. üb. d. wurmfórmig. Spermatozoen v. Paladina viv.
Anat. Anzeiger. Bd. XIV. Nr. 6. S. 164.
15*
196
66.
67.
68.
69
510
nm
Dn
12.
13.
74.
P. Bertacchini, Istogenesi dei Nemaspermi di Triton cristatus.
Fr. Meves, Z. Entstehung d. Axenfaden menschl. Spermatozoen. Anat. Anzeiger.
Bd aa Nr EC 523168:
Fr. Houssay, Le role des phénoménes osmotiques dans la div. cellul. et les
debuts de la mitose. Anat. Anzeiger. Bd. XIV. Nr. 12. S. 305.
E. Ballowitz, Notiz üb. d. oberflächliche Lage d. Centralkörper in Epithelien.
Anat. Anzeiger. Bd. XIV. Nr. 14. S. 369.
3. E. V. Wilcox, Further St. on the spermatogenesis of Caloptenus femur
rubr. Bull. of the Mus. of Comp. Anat. of Harvard College. 1896.
Vol. XXIX.
1. E..Ballowitz, Zur Entstehung d. Zwischenkórpers. Ueb. Kernformen
u. Sphären in d. Epidermiszellen d. Amphioxuslarven. Anat. Anzeiger.
Bd. XIV. Nr. 15.
Per la storia della Spermatogenesi prima del 1887.
W. Waldeyer, Bau u. Entwickelung d. Samenfäden. Anat. Anzeiger. Bd. II.
Nr. 12.
Per lo stato della questione intorno alle sfere, ai centrosomi e alla
divisione cellulare.
Fr. Meves, Zellteilung. Ergebnisse d. Anat. u. Entwickelungsgeschichte di
Merkel e Bonnet. 1897.
W. Flemming, Morphologie der Zelle. 1. c.
F. Hermann, Urogenitalsystem. 1. c.
Fig.
Fig.
bo
~ 115%
16.
Spiegazione della tavola V e VI.
Spermatogonia in riposo sezionata subito sotto al nucleo. Sfera attrat-
tiva colla zona midollare e la „zona dei granuli“ di V. Beneden, ordinati
secondo descrive nei leucociti M. Heidenhain. Oc. 3; Obb. imm.
om. Leitz; disegno colla camera chiara di Nachet. Anche tutte le altre
figure sono state disegnate colla camera chiara.
Profasi della 1% divis. eterotipica dello spermatocito. Oc. 3; Obb. 4l. L.
Fuso primario situato lateralmente ai cromosomi.
Profasi della 22 div. omeot. dello spermatocito. Incurvamento laterale
del fuso centrale primario. Oc. 3 Leitz; Obb. x; semiapocr. Koristka.
Diaster della 22 divis. omeotipica dello spermatocito. Si vede l'origine
del ,corpuscolo intermediario di Flemming“ delle fibre del fuso centrale
cariocinetico. (Fascio congiuntivale centrale.) Ingr. come sopra.
Anafasi della 2% div. omeot. dello spermatocito. Si vede il mezzo cor-
pusc. interm. di Flemming che resta allo spermatide. Oc. 3; Obb. ++
semiapocr.
Anafasi della 2a div. dello spermatocito. (Dispirema.) Si vede la rotazione
del nucleo e la formaz. del corpusc. intermed. dal resto del fuso centrale.
“Bye 1
OCR AUD AE
Anafasi della 24 div. omeot. dello spermatocito, prima della divis. del
corpusc. intermediario.
Spermatide a telocinesi finita.
Spermatide a telocinesi finita. Si vede il microcentro (arcosoma e anello)
contro la membrana cellulare. Oc. 1; Obb. „'; L.. (Met. M. Heidenhain.)
Idem. L'arcosoma é colorato in rosa; Vanello in violetto. (Jodgrün —
S. Fuchsin) Oc. 1; Obb. + L.
Gruppo di spermatidi parietali di un nido cellulare nelle quali 1 micro-
centri sono tutti da un lato. (Jodgrün— S. Fuchsin.) Oc. 1; Obb. 4; L.
. 12, 18, 14. Rotazione e translazione del microcentro dalla membrana cellu-
lare al nucleo. Coloraz. di M. Heidenhain. Oc. 1; Obb. jl. L.
Principio della trasformazione dello spermatide in nemasperma. La sost.
acromatica perinucleare (fuoriuscita dal nucleo) è già abbondante; in
essa è posteriormente immerso l'arcosoma. L’anello è circondato dal
protoplasma; il filo assiale sporge liberamente. (Med. M. Heidenhain.)
Oc. 3; Obb. + L.
Pezzo intermedio libero di un nemasperma quasi maturo. Dal suo polo
cefalico parte il „filo cefalico“. Coloraz. S. Fuchsin. Oc. 1; Obb. 4l- L.
WG
18.
19:
. 20.
AGE
. 22.
288
. 24.
. 20.
ll
P. Bertacchini, Istogenesi dei Nemaspermi di Triton cristatus.
Spermatozoo quasi maturo in cui pezzo intermedio e filo princip. della
coda sono colorati uniformemente. (Jodgrün — S. Fuchsin.) Oc. 1;
1
Os see a:
Idem. In cui è colorato solo il ,corpo assiale“ del pezzo intermedio e
il filo princip. della coda col suo ,Endknopf*. Coloraz. e ingr. C. s.
Idem. È colorato solo il filo principale della coda col suo Endknopf.
Stessa coloraz. Oc. 3; Obb. 4L- semiaper.
Idem. È colorato solo il corpo assiale del pezzo intermedio. Coloraz.
enner Ce S
215. Giovani nemaspermi. In a si vede il principio della discesa del
protoplasma, l'ingrandimento e la disgregazione dell’anello. In 5 il pro-
cesso è un pò più avvanzato. Vicino al filo assiale principale si vede
Vabozzo del filo orlante che io reputo un fascio di fibrille staccatosi
dal primo. Coloraz. Jodgrün — S. Fuchsin. Oc. 3; Obb. 44 L.
Stesso processo più inoltrato. In questa come nelle precedenti due
figure si vede che la sostanza cromatica dell’anello (2 centrosomi) passa
nel principio del filo assiale per penetrare di qui nell'arcosoma (pezzo
intermedio). Stessa ,coloraz. e ingr.
Nemasperma quasi maturo. Nel punto in cui l’anello resta fisso al polo
posteriore del pezzo intermedio si vedono due piccolissimi granuli cro-
matici e un infossamento del protopl. Coloraz. S. Fuchsin. Oc. 3;
Obb. + L.
Idem come fig. 23. E distinto il filo orlante (che aumenta in lunghezza
e si ripiega) nell'orlo della membrana ondul. Stesso ingr.
Idem. In cui é ancora molto grosso l,Endknopf* del filo princip. della
coda. Stessa coloraz. e ingr.
. 26, 27. Giovani nemaspermi a strutt. ancora spugnosa, in cul l’anello cresce
d'altezza senza spostarsi, mentre diminuisce lo str. acromatico peri-
nucleare e il filo assiale si mgrossa. (Met. M. Heidenhain.) Oc. 1; Obb. is L.
Idem. Coloraz. Jodgrün — S. Fuchsin. Oc. 1; Obb. 4l. L.
Sezione trasversale di nemasperma in cui esiste ancora la sost. acroma-
tica perinucleare.
Sezione trasversale di nemasperma in cui tale sost. è già scomparsa.
Coloraz. Jodgrün — S. Fuchsin. Oc. 5; Obb. 7 L.
Appendice apicale. Coloraz. Jodgrün — S. Fuchsin. Oc. 5; Obb. 4l. L.
Die Fussdrüse von Gastropteron Meckelii Kosse.
Von
Bernhard Rawitz.
Mit 2 Figuren.
In seiner vortreftlichen Monographie ,,Ueber einige Opisthobranchier“
erwähnt Pelseneer') die Fussdrüse von Gastropteron Meckelii und
giebt, die ganz unzureichende Darstellung von Vayssiere ergänzend,
folgende Schilderung des betreffenden Organes: ,Sie besteht nicht aus
zwei unabhängigen Drüsenhaufen, wohl aber aus einer Höhle (Ein-
stülpung der ventralen Haut des Fusses mit hinterer Mündung), die
im mittleren Abschnitte’) ein grösseres Lumen hat als gegen die
Mündung zu; in der Nähe der Mündung ist sie dreilappig. Die Höhle
liest nach vorn zu mehr dorsalwärts als an der hinteren Mündung;
ihre Wandung hat Wimperepithel, dessen Wimpern an der ventralen
Höhlenseite sehr lang sind. Dorsal- und lateralwärts ist die Höhle
umgeben von einer Masse von Follikeln; jede einzelne Zelle derselben
mündet selbständig in der Sammelhöhle (l. c. S. 15). Dazu gehört
Fig. 38 auf Taf. V I. c., welche die Drüse etwa an der Grenze des
mittleren und hinteren Drittels wiedergiebt.
Die Schilderung ist durchaus zutreffend, aber sie ist nicht voll-
ständig. Für Pelseneer, dessen Aufgabe die Erforschung der phylo-
genetischen Stellung der Opisthobranchier war, hatte die Fussdrüse
1) Pelseneer, Recherches sur divers Opisthobranches. (Mémoire couronné.)
Mémoires couronnés et mémoirs des savants étrangers, publiés par l'Académie
royale des sciences etc. de Belgique. Tome 59. 1894. Bruxelles.
?) Der von Pelseneer gewählte Ausdruck „au fond“ ist ungenau; meine (freie)
Uebersetzung hált sich hier mehr an meine eigenen Befunde.
200 B. Rawitz,
natürlich nur secundáres Interesse; es soll ihm daher auch aus dieser
Unvollständigkeit durchaus kein Vorwurf gemacht werden. Doch ver-
dient das Gebilde eine etwas ausführlichere Beschreibung, denn es
bietet, wenn man es auf Serienschnitten untersucht, so eigenartige
Bauverhältnisse dar, wie ich bisher nirgendwo auch nur annähernd ähn-
liche getroffen habe.
Die Thatsachen, die ich über dies Organ in den folgenden Zeilen
mitteilen will, sind mir seit langen Jahren bekannt. Im Anschlusse
an meine Untersuchungen über „Die Fussdrüse der Opisthobranchier* ")
hatte ich die Fussdrüse von Gastropteron Meckelii studiert. Meine
Hoffnung, das was ich hier gefunden durch Studium von anderen
Opisthobranchiern zu vermehren, ist bisher nicht in Erfüllung gegangen,
und da für mich wenig Aussicht besteht, in der nächsten Zeit gerade
derartige Untersuchungen an Mollusken in ausgedehnterem Maasse
vornehmen zu kónnen, so will ich mit der Mitteilung nicht lànger
zógern.
Am hinteren Ende des Fusses dieser Schnecke findet sich genau
in der Medianlinie ein schmaler Streifen, der sich durch seine Färbung
von der Umgebung deutlich abhebt. Letztere zeigt am lebenden Tiere
einen zarten Orangeton, der schmale Streifen ist dunkel ockerfarben.
Er làuft von der Fussspitze, von der er hóchstens um einen Bruchteil
eines Millimeters entfernt ist, nach vorn und erreicht eine Länge, die
etwa den fünften Teil der Gesamtlànge des Tieres betrágt. Das vordere
Drittel des Streifens liegt der dorsalen Körperfläche genähert, denn es
erscheint bei der Betrachtung des Fusses von unten verschwommen kon-
turiert, während das hintere Drittel sich auf der ventralen Fläche scharf
abhebt. Der Streifen zieht also von vorn und oben nach hinten und
unten; er ist die Fussdrüse dieser Schnecke.
Auf Serienschnitten durch den Streifen erkennt man, dass man es
in der That mit einer Drüse zu thun hat. Das Hauptinteresse nimmt
der Ausführwngsgang in Anspruch Am vordersten Ende des Or-
canes trifft man nur Drüsenzellen, dann erscheint der Ausführungsgang
1) Rawitz, Die Fussdrüse der Opisthobranchier. Abhandlungen der Kgl.
Preussischen Akademie der Wissenschaften zu Berlin. 1887,
Die Fussdrüse von Gastropteron Meckelii Kosse. 901
zunächst in der Form einer schmalen und kurzen Spalte, der, je mehr
man sich der Grenze des vorderen und mittleren Drittels nähert, immer
lànger wird und dann auf einmal, noch ehe man im mittleren Drittel
der Drüse sich befindet, eine Form annimmt, die mit einem sehr lang-
halsigen chemischen Glaskolben zu vergleichen ist (Fig. 1a). Der Hals
dieses kolbenfórmigen Ganges ist, wie dies schon Pelseneer gezeichnet,
dorsalwarts, die bauchige Auftreibung ventralwirts gerichtet. Die drei-
lappige Gestalt des Ausführungsganges, wie sie Pelseneer (1. c. Fig. 38)
a
Fig 1. Querschnitt durch die Drüse im mittleren Drittel (Zeiss Ocul. 2. Syst. D).
v ventral; d dorsal; a Ausführungsgang; dr Drüsensubstanz.
zeichnet und die dadurch hervorgerufen wird, dass der bauchige Teil
seitlich in zwei Zipfel ausgezogen ist, halte ich nicht für normal,
sondern betrachte sie als durch die Fixierung und vielleicht durch die
Einschmelzung in Paraffin artificiell verursacht. Mit dem Auftreten
des kolbigen Ausführungsganges wird der Querschnitt der gesamten
Drüse ein kreisrunder und diese kreisrunde Form erhält sich bis fast
zum hinteren Ende. Die Drüsenzellen, über die spáter noch zu reden
sein wird, liegen ihrer Hauptmasse nach rechts und links vom Halsteil
des Ausführungsganges (Fig. 1 dr), während dorsalwärts desselben
nur wenige oder gar keine vorhanden sind. An der ventralen bauchigen
902 B. Rawitz,
Erweiterung finden sich niemals Driisenzellen, wie dies Pelseneer bereits
bemerkt hat. Auf Schnitten constatiert man auch, dass, was die Be-
trachtung mit blossem Auge bereits wahrscheinlich gemacht und was
auch Pelseneer schon hervorgehoben hat, im vorderen Drittel die
Drüse nàher dem dorsalen als dem ventralen Kórperepithel gelegen ist.
Fig 2. Querschnitt durch die Drüse nahe ihrem hinteren Abschnitte. (Zeiss Ocul.
2. Syst. D). v ventrale Fliche; @ Ausführungsgang; dr Drüsensubstanz; m Muskel-
fasern; be Becherzellen im ventralen Fussepithel.
Je mehr man sich im Schnitt dem hinteren Ende des Fusses und
somit auch der Drüse nähert, desto schmaler wird die Drüse; sie gleicht
dann im Querschnittsbilde mehr einer Keule als einem drehrunden
Strange. Die Form des Ausführungsganges bleibt sich bis zur Mitte
des hinteren Drittels der Drüse gleich; hier aber tritt eine Veränderung
ein. Man sieht nämlich, wie sich das Epithel der ventralen Fussfläche
Die Fussdrüse von Gastropteron Meckelii Kosse. 203
genau über der Mitte der ventralen Ausbuchtung des Ganges einzusenken
beginnt. Diese Einsenkung wird immer tiefer, wobei gleichzeitig die
eigentliche Drüsensubstanz mehr ventralwärts rückt, trifft nach wenigen
Schnitten auf die bauchige Auftreibung des Ausführungsganges, ver-
schmilzt mit dieser und statt eines geschlossenen Kanals ist jetzt, im
hintersten Abschnitte des Organes, eine ventralwürts offene Rinne vor-
handen (Fig. 9 a). Mit dem Auftreten der Rinne werden die Drüsen-
zellen allmählich spärlicher (Fig. 2dr); am hintersten Ende fehlen sie
dann vollstàndig.
Um diese Schilderung des Ausführungsganges noch einmal kurz
zusammenzufassen: am vordersten Ende ist er ein schmaler Spalt,
wird dann ein kolbenartiges Gebilde mit ventraler Auftreibung und
verwandelt sich schliesslich in eine ventral offene Rinne.
Schon durch die Existenz des Ausführungsganges ist die Fussdrüse
von Gastropteron Meckelii scharf unterschieden von den Fussdriisen
derjenigen Opisthobranchier, die bisher auf solche Gebilde untersucht
wurden. In meiner eingangs erwähnten Abhandlung konnte ich nach-
weisen, und Pelseneer hat meinen Nachweis Vayssiere gegenüber be-
stätigt, dass bei Pleurobranchus testudinarius, Pl. Meckelii, Pleuro-
branchaea Meckelii, Pleurophyllidia lineata und, wie ich jetzt hinzufügen
will, bei Tethys leporina die einzelnen Drüsensäckchen, aus denen die
Organe bestehen, gesondert jedes für sich auf der ventralen Fläche
des Fusses nach aussen münden. Das Charakteristische der Fussdrüsen
der früher von mir untersuchten Opisthobranchier ist der Mangel eines
differenzierten Ausführungsganges und die dadurch bedingte isolierte
Mündung der Drüsenteile, das Charakteristische der Fussdrüse der hier
besprochenen Species ist das Vorhandensein eines Ausführungsganges,
in welchen die einzelnen Drüsensäckchen sich einsenken. Von Interesse
ist auch die Gestalt des Ausführungsganges, für die ich, wie bereits
bemerkt, ein Analogon bisher nirgends gefunden habe. Da die Drüsen
mit ihren Ausführungsgängen durch Einstülpung und nachherige Ab-
schnürung des Epithels entstehen, so haben wir hier einen gemischten
Zustand. Der capital gelegene Abschnitt des Ausführungsganges und
der Drüse ist eingestülpt und abgeschnürt, der caudale Abschnitt ist
204 B. Rawitz,
bloss eingestülpt: der Ausführungsgang und die Drüse haben daher
gewissermaassen einen hemiembryonalen Charakter.
Es mögen noch einige Angaben über das Epithel des Ausführungs-
ganges und über die Drüsenzellen folgen.
Das Epithel der bauchigen Auftreibung des Ausführungsganges
sitzt auf einer breiten, deutlich lamellós gebauten Basalmembran auf,
welche die Farbstoffe intensiv aufnimmt. Die Epithelzellen sind ziem-
lieh niedrige indifferente Wimperzellen, die auf ihrer dem Lumen zu-
gekehrten Seite einen doppelt konturierten Saum besitzen, dessen äusserer
Kontur ausserordentlich breit ist und sich intensiv fárbt, wahrend sein
innerer Kontur nur schwach angedeutet ist. Die Wimpern sind sehr
lang, stellenweise sogar so lang, dass sie das nicht unbetrachtliche
Lumen des bauchigen Teiles fast völlig ausfüllen. Auf diese langen
Wimpern hat bereits Pelseneer hingewiesen. Im halsartigen Teile
sind die Epithelzellen um '/, hóher als im bauchigen, sie tragen aber
ganz kurze Wimpern. Das Epithel besteht hier fast ausschliesslich
aus Becherzellen mit nur wenigen dazwischen gestreuten gewöhnlichen
indifferenten Zellen. Letztere sind durch die Becherzellen ganz schmal
gedriickt und erscheinen daher im Schnitte als dunkle Streifen zwischen
den hellen Becherzellen (Fig. 1). Die Abgrenzung der letzteren gegen
das Gewebe des Fusses ist eine sehr schwache, von einer deutlichen
Basalmembran ist hier keine Rede.
Beziiglich der Epithelbekleidung des rinnenfórmigen Abschnittes
des Ausführungsganges ist folgendes anzumerken: Das bewimperte
Epithel der ventralen Fläche des Fusses (das dorsale Fussepithel ist
wimperlos) setzt sich unter Wahrung seines indifferenten Charakters,
aber unter Zunahme der Hóhe der Zellen und der Lànge der Wimpern,
kontinuierlich in das Epithel der Rinne fort. In letzterer haben die
Zellen von der Grenze des ventralen und mittleren Drittels ab ganz
das Aussehen der Zellen des bauchigen Teiles des Ausführungsganges.
Im dorsalsten Abschnitte, da wo die Drüsenzellen sich finden, gleicht
das Epithel dem des halsartigen Teiles des Ausführungsganges voll-
kommen.
Hinsichtlich der Drüsensubstanz ist zu bemerken, dass sie in
allen Punkten Uebereinstimmung erkennen lässt mit der Drüsensubstanz
Die Fussdriise von Gastropteron Meckelii Kosse. 205
der früher von mir untersuchten Opisthobranchier. Sie besteht also
aus einzelnen Drüsensäckchen oder Drüsenschläuchen, welche eine re-
torten- oder glaskolbenähnliche Form haben und eine sehr zarte Tunica
propria besitzen. Diese Drüsensäckchen communicieren niemals mit-
einander, vielmehr mündet jedes Sáckchen für sich im Ausführungs-
gangepithel. Man kann an den Säckchen einen Halsteil und einen
Fundus unterscheiden. In letzterem liegen die Kerne der Drüsenzellen,
der erstere wird gebildet durch die in die Liinge gestreckten peripheren
Abschnitte der Leiber der Zellen.
Berlin, 10. Juni 1898.
Note on a Diastema between Molars and Premolars
in an Ox.
by
Richard J. Anderson,
Galway.
(With 1 Fig.)
The lower jaw of an ox, that has been used for demonstrating the
dentition, presents an Anomaly that is somewhat rare, if not in actual,
at least, in its marked character.
The Central Incisors have nearly square crowns, so have the
next pair. The third pair are wider anteriorly and the Corner teeth
are broader from side to side, than from before backwards, all touch
at the crowns except the right corners, which are four and a quarter
inches from the first premolars.
The premolar range measures two inches from before back (2.3
a i Inch.) The Molar range three and three eighths inches, 1. seven;
9. eight; 3. thirteen eighths of an inch.
The Diastema is one and an eighth inches deep five eighths of
an inch broad at the middle. A little less above and below.
The crescentic margin that bounds the fossa leading to the gap
is an inch external by and three eighths of an inch internally.
The times of emergence of the Incisors (permanent) may be put
down as follows. Central (Pincers) 18 to 20 months. Second (18 Inter-
mediate) at 26 to 30 Months. Third (274 Intermediate) at 36 to 42
Months. Fourth (Corners) at 3!/, years to 4'/, years. Premolar I:
21] years; II: 15), years; IIT: 3 years. Molar I: 17/, years; IT: 3 years;
III: 4 years. The third Premolar therefore appears above the gum
eighteen months later than its two neighbours. In the specimen in
R. J. Anderson, Note on a Diastema between Molars and Premolars etc. 907
question it has scarcely reached the level of the second premolar and
the pair are much fresher than any of the other molar teeth.
Taking the teeth of a jaw, at random, in which the mouth is
“full”, I find that the teeth are approximately the same, in their
antero-posterior diameters, throughout the molar series. The third
molar a little more and the second a little less than the jaw with
the gap. The first molars measure the same from front to the back
of the crowns. The third premolars are exactly the same in diameter
from before back. Taking the age as six years, it seems probable
that during the interval between the emergence of the third Premolar
and the first Molar of the lower jaw the second Premolar emerged,
which is somewhat narrower than the corresponding tooth in another
jaw under examination whilst Premolar III is the same. If the second
Molar Milk were small, the third permanent Molar might come to
occupy then a space farther forwards perhaps than it naturally has.
Another explanation is there might be a primary elongation of the
dental groove and dislocation of Sacs, so as to throw the range of
Molars farther back. In two mandibles amongst several examined a
slight fissure was observed. As a specimen for teaching purposes it
is particularly convenient. The crescentic groove external to the gap
is bounded by a ridge that reaches from the middle of the third Pre-
molar to the middle of the first Molar.
lellel
Referate
von
W. Krause.
G. Sperino, Anatomia del Cimpanzè (Anthropopithecus troglodytes
Trouessart) in rapporto con quella degli altri antropoidi e del-
l’uomo. Torino. 1897—98. Gr. 8. Unione tipico-editrica. 487 pp.
Con 14 tav. e 12 fig.
In dieser sehr hibsch ausgestatteten Monographie schildert der Verf. die
Myologie, Angiologie, Splanchnologie und Neurologie des Chimpanse unter be-
stiindiger Berücksichtigung der übrigen anthropoiden Affen und auch des Menschen.
Die zahlreichen Varietäten der genannten Systeme, namentlich solche, die einer
regressiven Reihe angehören, nähern den Menschen den anthropoiden Affen, ohne
dass es notwendig wäre, mehr als allgemeine Blutsverwandtschaft zwischen beiden,
anstatt directer gemeinsamer Abstammung anzunehmen. Als Beispiel, wie genau
und erschópfend der Verf. seinen Gegenstand behandelt, sei die Beschreibung eines
M. scalenus minimus erwühnt, der die A. brachialis von dem gleichnamigen Plexus
trennt, und an dem betreffenden, etwa zwei Jahre alten, 70 cm langen Tiere nur
linkerseits vorhanden war; es ist der M. scalenus intermedius Testut, s. scalenus
accessorius posterior Macalister. Sperino nennt ihn M. scalenus minimus Albin,
der sich ebenso wie der M. scalenus minimus der neuen Baseler anatomischen
Nomenclatur an die erste Rippe setzt. Ref. bedauert, dass vermutlich der Umfang
des Werkes es nicht gestattet hat, die so interessante Darstellung der Osteologie
des Chimpanse mit in den Kreis der Betraehtung zu ziehen.
Buchdruckerei Richard Hahn (H. Otto), Leipzig.
OCT 4 1858
Die Selbständigkeit der Fibrillen im Neuron.
Eine Studie über das Granulanetz und die Fibrillen der Spinal-
ganglienzelle.
Von
Dr. W. H. Cox.
(Mit Tafel VII.)
In einer seiner Schriften !) sagt Nissl über die Granula der Spinal-
ganglienzelle: „Die sich färbende Substanz tritt in Form von grösseren
oder kleineren rundlichen, ovalen oder sphärischen, manchmal auch
eckigen und unregelmässig geformten Knötchen auf, die dusserst feine
fadenförmige Ausläufer besitzen.“ ?)
Später”) hat Nissl den Bau der eben genannten Zellen und die
Lage der Granula (Substanzportionen nennt er dieselben alsdann) noch
einmal, und zwar ausführlicher behandelt.
Obgleich er dabei angiebt, dass die Substanzportionen aufgebaut
sind „aus runden eckigen Körnchen, aus Kórnchenconglomeraten und
aus unregelmässigen Schollen einer sich blass, mittelstark und intensiv
färbenden Substanz“, lässt er an dieser Stelle die fadenförmigen Aus-
läufer der Granula unberücksichtigt, sodass wir in Unsicherheit sind,
ob er seiner früheren Auffassung treu geblieben ist oder nicht.
Flemming *) fand mit den Granula verbunden: geknickte und
wellenartige Fäden, welche in sehr dünnen Durchschnitten sehr kurz,
1) Allgemeine Zeitschr. f. Psychiatrie. Bd. L. S. 372.
*) Die Cursivierung ist von mir.
3) Allgemeine Zeitschr. f. Psychiatrie. Bd. LIV. S. 76.
+) Flemming, Zellsubstanz, Kern- und Zellteilung. — Ueber den Bau der Spinal-
ganglienzellen bei Säugetieren etc. Archiv f. mikrosk. Anatomie. Bd. XLVI.
Internationale Monatsschrift für Anat. u. Phys. XV. 14
210 W. H. Cox,
sonst aber länger waren. Wohl meinte er, dass diese Fäden mit den
Axencylinderfibrillen zusammenhängen; er hat diese Voraussetzung
jedoch nicht genügend gestützt, und ich gestattete mir seiner Zeit !),
meine Auffassung der Meinung Flemmings gegenüber zu verteidigen.
In einer späteren Arbeit *), welche ich nur kurz berühren konnte,
hat Flemming seine Angaben erweitert, bezugnehmend auf Präparate
von Lugaro.
Er sagt, dass von Lenhosseks negative Resultate wahrscheinlich
der mehr oder weniger intensiven Färbung und anderen dazu ge-
hörenden Manipulationen zuzuschreiben sind, und er fährt fort: „Dass
man aber wahre langgestreckte Fäden vor sich hat, ist, wie ich denke,
bei Betrachtung der Abbildung ohne weiteres deutlich.“ Bei diesen
Worten ist die Hälfte einer Spinalganglienzelle der Katze gezeichnet.
Man sieht darin geknickte, ziemlich dicke und mit anhängenden Körn-
chen versehene Fädchen, welche sich mit anderen Fädchen unter spitzen
Winkeln verbinden.
Hier spricht Flemming ?) entscheidend von „einem Bruchstückbild
des Fädchennetzes“ *), und auch bei der Beschreibung von dem Bilde
nach einem Präparate von Lugaro heisst es?): „Weiter im Inneren
zwischen diesen (Schollen) und ebenso im Umfang der Zelle, der von
Schollen ganz leer ist, gehen diese annähernd parallelen Fasern in eine
netzformige®) Anordnung über.“ Auch noch einige Zeilen weiter wieder-
holt der Autor seine Auffassung, indem er schreibt, „dass der netz-
förmige Zusammenhang des Fibrillenwerks sich sehr deutlich mit der
Stellschraube verfolgen lässt.“ Kurz, Flemmings Anschauung über den
feineren Bau der Spinalganglienzelle lässt sich in folgenden Worten
geben: in den Spinalganglienzellen giebt es ein Fibrillennetz, welches
sowohl mit Körnchen (Granulis?), als auch mit den Fibrillen des Axen-
cylinders zusammenhängt.
1) Anat. Hefte. Heft 31. S. 96 u. 97.
?) Archiv für Psychiatrie und Nervenkrankheiten. Bd. XXIX. S. 972 u. 973.
9 Gy Sk ree
4) Die Cursivierung ist von mir.
> sen ISK Se
9) Die Cursivierung ist von mir.
Die Selbstiindigkeit der Fibrillen im Neuron. 211
Marinesco !) glaubt in einigen Spinalganglienzellen zu sehen: „un
réseau à mailles assez larges délimitées par des trabécules minces ou
de calibre moyen“; in anderen: ,un réseau dense, à mailles serrées et
à points nodaux tres-nombreux“; und schliesslich sieht er wieder in
anderen Zellen: ,la substance achromatique organisée sous forme de
fibrilles épaisses, qui constituent un véritable feutrage.“
Endlich meint er: ,qu'on doit admettre une continuité anatomique
entre les fibrilles de ces prolongements (cylindre-axe) et les travées du
réseau cytoplasmatique.“
So wie Flemming berichtet auch der letztgenannte Forscher iiber
ein Netz, welches mit den Fibrillen zusammenhängt; hier wird jedoch
das Netz eingeteilt in die „substance achromatique“.
Es ist einleuchtend, dass diese Aeusserungen bewährter Forscher,
welche nicht im Einklang waren mit den von mir gefundenen That-
sachen, mich zwangen, an der Hand meiner und anderer Methoden eine
Entscheidung nach der einen oder anderen Seite hin zu suchen. Ich
habe, wie schon oben erwähnt wurde, an anderer Stelle auseinander-
gesetzt, aus welchen Gründen ich der Meinung bin, dass Flemming die
; wirklichen Fibrillen nur zum Teil gesehen hat, dass er zum grössten
Teil Fadchen beschreibt und zeichnet, welche, meiner Meinung nach,
mit den Fibrillen nichts zu thun hätten, und welche man als Bestand-
teile der Granula betrachten müsse.
Ich werde jetzt diese Gründe nicht wiederholen, nur móchte ich
noch in andern Worten sagen, dass man nicht darauf rechnen darf, in
der Zelle die echten Fibrillen gut zu sehen, wenn man in den nächst-
liegenden Axencylindern Fibrillen vermisst, weil sie in den letztern
weit besser conserviert und gefärbt werden resp. erhalten bleiben wie
in der Zelle. Hier wie im Folgenden bezeichne ich als Fibrillen
innerhalb der Zelle nur solche Gebilde, welche identisch sind mit den
Fibrillen des Axencylinders.
Auch habe ich die Mitteilung?) gemacht, dass es deutlich war,
1) Marmesco, Recherches sur Vhistologie de la cellule nerveuse avec quelques
considérations physiologiques. Comptes rendus des séances de l'académie des
sciences. 1897 12. Avril.
?) Anat. Hefte. Heft 31. S. 82.
14*
919 W. H. Cox,
dass die Granula aus Kornchen und Faden bestehen, welche geknickt
sind, und mit anderen Faden und Kórnchen verbunden sind, und hinzu-
gefiigt, dass diese Faden mit den echten Fibrillen nicht verwechselt
werden diirfen.
Bezugnehmend auf Experimente, welche ich am Kaninchen aus-
führte, indem ich den Plexus brachealis durchschnitt, hatte ich Gelegen-
heit Spinalganglienzellen zu sehen, in denen ein grosser Teil der Granula
(Substanzportionen) oder Flemming- Nissl'schen Kórperchen zu Grunde
gegangen war.
In jenen Zellen war es móglich, sowohl den Lauf der Fibrillen,
wie die Anwesenheit des fraglichen Netzes zu beobachten, so dass
ich die Hoffnung hegte, bei weiterem Studium zu einer Entscheidung
zu gelangen.
Indessen muss ich zugeben, wiewohl aus demjenigen, was ich über
meine Resultate mitteilen werde, hervorgehen wird, dass ein Teil der
streitigen Punkte zur Erledigung kommt, dass eine einzige Einwendung,
welche ich später nennen werde und welche bedingt ist durch die grosse
Feinheit der Structur, übrig bleibt.
In Präparaten, welche aus den Spinalganglien des Halsmarkes
stammen, z. B. vom sechsten, siebenten oder achten Cervicalnerven,
neun Tage nach dem Durchschneiden des Plexus, findet man eine grosse
Menge veränderter Zellen.
In einigen dieser, welche zum Typus I gehören, sieht man, wie
ich schon früher mitteilte, die Fibrillen pinselförmig in die Zelle ein-
strahlen (Tafel VII, Fig. 1a). Weiter zeigt es sich, dass die Einstrah-
lung als solche nicht weiter in der Zelle mehr wahrzunehmen ist,
und man kann im übrigen Teil der Zelle, ausgenommen an ver-
einzelten Stellen (b), nicht mehr von einer bestimmten Richtung der
Fibrillen reden.
Nur am Orte der Einstrahlung sind die Fibrillen ziemlich lang,
überall sonst sind sie sehr kurz. Sie müssen deshalb an den Stellen,
wo sie so kurz sind, ihre Richtung haben von der oberen bis zur
unteren Fläche des Durchschnittes der Zelle.
Man findet die Fibrillen überall in der ganzen Zelle, auch zwischen
den Granulis, mit denen sie jedoch nicht verbunden sind.
Die Selbständigkeit der Fibrillen im Neuron. 213
Ein grosser Teil dieser Granula ist verschwunden '), nur in der
Nàhe des dislocierten Kernes und am Rande der Zelle sind noch etliche
vorhanden.
Die Granula und ihr Inhalt, die Kórnchen und geknickten Faden,
sind dunkel gefárbt, dunkler als die echten Fibrillen.
Den geknickten Fádchen kann man von einem Granulum zum andern
folgen. Sie bilden mit andern Worten ein Netz, das an manchen
Stellen ziemlich weitmaschig, an anderen Stellen engmaschig zu sein
scheint; dass es so ist, darf man nicht sagen, weil vielleicht Fadchen
durchgeschnitten sind, welche bei einem dickern Durchschnitte hatten
verfolgt werden können.
Es zeigen sich deshalb deutlich geknickte Fäserchen mit anhängen-
den Granulis neben den Fibrillen.
Als diese Thatsachen bei mir keinen Zweifel mehr übrig liessen,
griff ich wiederum nach den Präparaten von normalen Zellen, welche
schon früher durch den faserigen Bau ihrer Granula meine Aufmerk-
samkeit auf sich gezogen hatten.
Zur Fixierung war das Flemming’sche Gemisch benutzt worden,
zur Färbung Carbol-Methylenblau. °)
Die Durchschnitte waren reichlich dick und die Entfärbung ziem-
lich stark.
Ich konnte jetzt sehr deutlich in jeder Spinalganglienzelle ein
Netz von Fädchen sehen, an dessen Knotenpunkten Körnchen und
Klumpen sich befanden. Die Fäden waren geknickt und gekrümmt
und fast ebenso stark blau gefärbt wie die Körner. In der Fig. 2
habe ich eine Zelle gezeichnet, welche aus einem derartigen Präparate
genommen ist.
Weder in der Zelle noch in den Axencylindern sind die Fibrillen
sefärbt; es ist kaum möglich, mit Oelimmersion eine Streifung in den
Axencylindern zu sehen.
Das Netz jedoch mit den anhängenden Körnchen ist durch das
Bewegen der Mikrometerschraube so deutlich wahrzunehmen, dass über
1) Siehe Beiträge zur pathologischen Histologie und Physiologie der Ganglien-
zellen. Intern. Monatsschr. f. Anat. u. Phys. Bd. XV. Heft 9.
>, Anat. Hefte. Heft 31. S. 99.
214 W. H. Cox,
sein Vorhandensein im Praparat kein Zweifel übrig bleibt; man darf
also diese Faden und Kornchen mit den Fibrillen nicht identificieren.
Ich wiederhole hier meine Forderung, welche ich früher aus-
gesprochen habe. Will man in der Zelle Fibrillen nachweisen, so
miissen sie in dem Axencylinder neben den Zellen deutlich und gut
gefärbt wahrnehmbar sein! —
Beim Studieren des Verlaufes der Fibrillen in den verschiedenen
kranken Zellen zeigte sich weiter, dass meine Auffassung, dass die
geknickten Fádchen von Flemming keine echten Fibrillen seien,
richtig ist.
In der Fig. 3 und 4 sind von einer Zelle zwei verschiedene
Durchschnitte gezeichnet, mit andern Worten, es sind zwei Durch-
schnitte aus der Serie einer Spinalganglienzelle.
In der Fig. 3 sieht man das bündelfórmige Einstrahlen des Axen-
cylinders, wie dies bei den Zellen von Typus IL!) von mir beschrieben
worden ist; die Fasern sind ziemlich lang (a). In der Mitte der Zelle
jedoch (0) und an anderer Stelle (c) sind die Fasern viel kürzer; dies
ist an sich schon ein Grund, dass die Fibrillen in der Zelle einen mehr
oder weniger verwickelten Lauf nehmen, aber ausserdem darf man
daraus foleern, dass die Fasern — man vergleiche nur mit Flemmings
Figuren — mit den geknickten Fasern Flemmings, an denen gar keine
einheitliche Richtung sichtbar ist und deren Lange überall ungefàhr
dieselbe ist, nichts gemein haben.
Auch die Fig. 4 zeigt deutlich in « und ^5, wie die Fibrillen in
der Zelle hier in der Richtung der Lange, dort in der Richtung der
Breite der Zelle laufen, und in der Fig. 5 (6 Monate nach der Opera-
tion), wie in a, d und c die Fibrillen verschiedenen Richtungen folgen.
Es würde, meines Erachtens, nicht unmóglich sein, durch das
Studium von Serien von einzelnen Zellen den ganzen Fibrillenlauf zu
reconstruieren.
Es zeigt sich also, dass wir in den grossen Spinalganglienzellen
finden: 1. ein Netz von geknickten und gekrümmten Faden, verbunden
mit den Granulis Diese Faden werden leicht entfärbt bei Nissls
1) à. a. O. S. 95 u. 96.
Die Selbstandigkeit der Fibrillen im Neuron. 915
Methode, daher sah Nissl dieselben nur teilweise; sie sind von Flem-
ming beschrieben und als Fibrillen gedeutet worden. Die Maschen
des Netzes sind sehr unregelmässig, hier vieleckig, dort länglich, und
ausserdem unabhängig von diesem Granulanetze finden sich zwischen
den Maschen des Netzes 2. die Fibrillen.
Diese bilden eine pinselfórmige Einstrahlung in den Zellen des
Typus I und folgen alsdann verschiedenen Richtungen, welche in feinen
Durchschnitten nicht zu verfolgen sind; die Zahl der Fibrillen ist so
gross, dass sie von Nissls homogener Substanz einen grossen Bestand-
teil bilden.
In den Zellen des Typus II verlaufen die Fibrilen in Bündel
angeordnet, einige rings um den Kern herum in Ebenen senkrecht auf
der grössten Länge der Zelle (Fig. 3 u. 4a), andere in der Richtung
der grössten Länge (Fig. 4b).
Diese Fibrillen entfärben sich sehr leicht und sind, so viel ich
weiss, nur mittels der von mir angegebenen Methoden zu zeigen.
Der Vollständigkeit halber zeichne ich noch eine kleine Spinal-
ganglienzelle. Auch hier ist, weil die Zelle nicht normal ist, der Kern
dislociert und sind die Granula verändert resp. untergegangen'). Aber
auch hier sind, eben deshalb (wiewohl nicht so gut als bei den oben
beschriebenen grossen Zellen) die Fibrillen besser sichtbar, und zwar
als sehr kurze Fädchen, welche Richtungen folgen, die einander kreuzen
an der a benannten Seite des Kernes.
In diesen Zellen sind die Fibrillen nicht so deutlich zu sehen, dass
man ihren Verlauf mit einiger Sicherheit beschreiben könnte.
Vor der Beschreibung meiner Befunde, welche ich der Anwendung
verschiedener Fixierungs- und Färbemethoden verdanke, habe ich schon
darauf hingewiesen, dass meine Deutung der Thatsachen gewissen
Zweifeln unterworfen ist.
Schon an einem andern Orte habe ich die Meinung ausgesprochen,
dass ein Fibrillennetz in der Spinalganglienzelle nicht da sei, obschon
entscheidende Argumente damals nicht von mir angeführt werden
konnten.
1) Wahrscheinlich wird die Ortsveränderung des Kernes, wo sie stattgefunden
hat, nicht ohne Einfluss auf den Fibrillenlauf sein.
216 W. H. Cox,
Jetzt möchte ich hinzufügen, dass ich stets mit Eifer nach Bildern
gesucht habe, welche mich von einem Zusammenfliessen von Fibrillen
überzeugen könnten, ohne jemals auf dergleichen Bilder zu stossen.
Sind die Fibrillen im Durchschnitt kurz, so sieht man an den
Enden derselben immer ein dunkles Pünktchen, sind sie lang, so gelingt
es auch, wenn sie an der Oberfläche liegen, ihre Enden zu entdecken.
Selbstredend ist das Nichtgesehenwerden kein Beweis für das Nicht-
bestehen. Doch zweifle ich an der Anwesenheit eines Fibrillennetzes
jetzt stärker als früher.
Erstens weil das Netz, von vielen Forschern gesehen, genügend
beleuchtet ist, und wahrscheinlich das Granulanetz ist.
Zweitens will es mir (jedenfalls so lange nicht die unbestreitbare
Wahrnehmung uns dazu nötigt) bedenklich vorkommen, wo mit so viel
Mühe die Ueberzeugung der Selbständigkeit der Nervenzelle erobert
ist auf den alten Begriff des Nervenzellennetzes, in der Zelle ein
Fibrillennetz anzunehmen.
Eben die Selbständigkeit der Fibrillen ist und bleibt besser ver-
bürgt, während ausserdem die relative Lage der Fibrillen weniger
Gefahr hat zerstört zu werden, wenn sie gestützt werden vom Granula-
netze, zwischen dessen Maschen sie laufen. Mich stützend auf meine
Untersuchung, muss ich mich entscheiden für die Selbständigkeit der
Nervenfibrillen.
Methoden.
Das Granulanetz zeigt sich am deutlichsten nach Fixierung der
Zellen in dem bekannten Flemming’schen Gemisch; aber auch in Formol-
Sublimat-Essigsäure-Präparaten ist es sehr gut sichtbar.
Ich schneide immer nach Einbettung in Paraffin, welche vor-
genommen wird unter den üblichen von Heidenhain angegebenen
Cautelen.
Zum Färben der Präparate, welche aus der Flemming’schen oder
der Formolmischung stammen, gebrauche ich Carbol-Methylenblau;
zum Entfärben habe ich mir die folgenden Mischungen hergestellt:
Alkoholmischung I: Alkohol 30, Xylol 120.
n II: Hd dp | Nags 90.
Die Selbstandigkeit der Fibrillen im Neuron. 217
Anilinmischung I: Anilin 10, Alkohol 10, Xylol 30 c.c.
3 rene OME ASE Re
i A DU 0)
Erst kommen die Präparate, nachdem sie abgespült und mit Fliess-
papier getrocknet sind, in die Alkoholmischung I. Sind sie dünn und
wenig gefàrbt, so kann man nach tüchtigem Auswaschen in reinem
Xylol bisweilen sehr gute Präparate haben. Sind die Schnitte dick
und haben sie länger, z. B. 2 Tage, in der Farbstofflösung verweilt,
dann schreitet man zur Alkoholmischung il und betrachtet danach
den Schnitt unter dem Mikroskop.
Ist die Entfärbung noch nicht genügend, so kommen die Anilin-
mischungen, die in der genannten Folge stets stärkere Entfärbungsmittel
sind. Mit einiger Vorsicht triffü man sehr bald das Richtige.
Zum Studium der Fibrillen gebrauche ich jetzt zur Fixierung immer
meine genannte Osmium-Essigsäure -Sublimatmischung. Die Schnitte
werden gebeizt mit Tannin-Eisenammoniumsulfat ') und gefärbt in Alaun-
Baumwollblau.
Ehe ich die aufgeklebten Schnitte in die Farbstofflösung lege,
waren sie erst eine Stunde in einer Schale mit Wasser, wozu 1 c.c.
Wasserstoffsuperoxydlösung gefügt ist. Hier verlieren die Schnitte viel
von ihrer Osmiumfärbung, was der spätern Durchsichtigkeit der Zellen
sehr zu gute kommt.
Die Entfärbung gestaltet sich wie bei den Methylenblaupräparaten,
nur muss mit den Anilinmischungen sehr vorsichtig manipuliert werden,
da sonst die Fibrillen entfärbt werden; man kommt aber bald zum Ziele.
Deventer, Juni 1898.
1) Anat. Hefte. Heft 31. S. 99.
Erklirung der Figuren.
Alle Figuren sind gezeichnet worden mit Hilfe von Zeiss-Abbés neuem Zeichen-
apparat auf Bernhardts Zeichentisch, nachdem durch einen Objectmikrometer die
Vergrósserung bestimmt worden war, die bei allen Figuren 800 betrágt (Lage und
Richtung der Fibrillen wurde bei 1200 facher Vergròsserung controlliert).
Das benutzte System besteht aus Objectiv Zeiss Apochromat homog. Imm.
3 mm N.A. 1.40 Ocular 6 und 8.
Die Zellen entstammten Spinalganglien des Kaninchens, deren periphere Nerven
durchgeschnitten worden waren; bei den Fig. 1, 3, 4 und 6 acht Tage und bei
Fig. 5 sechs Monate vor dem Tode des Tieres.
Die Fixierung der Práparate geschah nach den oben beschriebenen Methoden.
Fig. 2 ist eine normale Spinalganglienzelle des Kaninchens. Fixierung in
Flemmings Gemisch. Fárbung mit Carbol-Methylenblau.
. Untersuchungen zur Anatomie des menschlichen Darmes.
Von
Dr. med. S. Stopnitzki
in Moskau.
Mitgeteilt von R. Weinberg.
(Mit Tafel VILI—XIII.)
Mit Unrecht steht die sogen. grobe menschliche Anatomie, wie
Henke zutreffend bemerkt, in dem Rufe einer abgeschlossenen, in allen
ihren Einzelheiten befriedigend durchgearbeiteten Wissenschaft. Fragt
man z. B. nur nach den Raumverhältnissen der Bauchhóhle und nach
der Anordnung der Organe in derselben, so zeigt sich sofort, wie wenig
wir im Grunde davon wissen. Während den an der hinteren Rumpt-
wand mehr oder minder fest angehefteten Organen (Niere, Dickdarm)
eine ganz bestimmte Lagerung zuerkannt wird, ist man bezüglich der
mobileren Abdominalorgane (Dünndärme) immer der Ansicht gewesen,
dass sie ohne irgendwelche Gesetzmässigkeit in dem unteren Abschnitt
des Bauchraumes daliegen und, wo nur freier Raum zwischen den
übrigen Organen zurückbleibt, so zu sagen als Lückenbüsser eintreten.
Erst im Verlaufe des letzten Jahrzehntes haben sich gegen diese Dar-
stellung Stimmen erhoben, auf die im folgenden näher eingegangen wird.
Es kommen bei der Anordnung des Dünndarms gewisse Verhaltnisse
des Mesenteriums sehr wesentlich in Frage; deren Einfluss auf den
Verlauf der verschiedenen Schlingen werde ich hier bestrebt sein näher
zu eruieren.
Als zweite unerledigte Frage ist die nach der Länge des Darmes
zunennen. In der vorhandenen umfangreichen Litteratur hierüber stehen
290 S. Stopnitzki,
sich die widersprechendsten Angaben gegenüber, die jedenfalls einer
eingehenderen Prüfung benótigen.
Ueber die genannten Verhältnisse hat seiner Zeit Herr Prof. D.
Sernoff eine Reihe von Untersuchungen angestellt und mir gegenwärtig
die Aufgabe übertragen, an weiterem Material das Begonnene fort-
zusetzen. Für diese Aufgabe und für viele wertvolle Ratschläge im
Verlaufe der Untersuchungen bin ich Herrn Prof. D. Sernoff zu auf-
richtigem Danke verpflichtet.
I. Die Anordnung der Schlingen des Dünndarms und des
Mesenterium Jejuno-ileum.!)
Ueber die Lagerung und den Verlauf der Jejuno-ileum-Schlingen
gehen die Ansichten bekanntlich weit auseinander. Einige Autoren
schreiben dem Dünndarm freien Spielraum über die unteren Teile des
Bauchraumes zu (Hyrtl, Joessel), andere führen die Regio umbilicalis
und hypogastrica als Fundstätten desselben auf (Richet), noch andere
(Gubareff, Linhardt, Treves) leugnen das Vorkommen von Dünndarm-
schlingen in dem kleinen Becken, wenigstens unter normalen Ver-
haltnissen.
Auf eine gewisse Gesetzmässigkeit in der Anordnung der Dünn-
därme ist zuerst Henke aufmerksam geworden. Das Jejunum ist nach
Henkes Untersuchungen auf die links-obere Nische der Bauchhóhle
beschränkt, das lleum verteilt sich auf die rechts-untere Abteilung
derselben. Getrennt sind beide Schlingengruppen durch die „untere
Enge* — wo die vordere Bauchwand dem linken Psoasmuskel an-
1) Dank den schönen Untersuchungen von Erik Müller (Beiträge zur Anatomie
des menschlichen Foetus. Schriften der Kónigl Akad. d. Wissensch. Stockholm
1897) darf die in der Ueberschrift angedeutete Frage nach der morphologischen
Seite hin nunmehr als erledigt gelten. An dem Foetus treten diese Verhältnisse,
wie schon früher vermutet worden, in voller Uebersichtlichkeit entgegen. Auch
eine neuere Arbeit von Franklin Mall zielt nach dieser Richtung. Einer gegebenen
Anregung, diese vor dem Erscheinen der Müller'schen Abhandlung verfasste Arbeit
in deutscher Sprache bekannt zu geben, glaubte Referent aus dem Grunde gern
Folge leisten zu sollen, weil nun die Anordnungen des erwachsenen Organismus
leichter verständlich werden, wie es für zukünftige Untersuchungen lohnend sein
wird, an verschiedenen Tierspecies die Frage systematisch weiter auszubauen.
— Die vorliegende, als Doctor-Dissertation erschienene Schrift, hat hier, ins-
besondere bezüglich der von dem Verf. sehr fleissig und ausführlich zusammen-
gestellten Litteraturangaben, einige Kürzungen erfahren müssen.
Untersuchungen zur Anatomie des menschlichen Darmes. 29]
liegt —, die nur die verbindende Schlinge hindurchlässt. Die Richtung
der Schlingen ist links oben eine vorwiegend horizontale, rechts unten
eine verticale.
Da aus Henkes Beschreibungen nicht hervorgeht, warum gerade der
linke Psoas für die erwähnte Abgrenzung von Bedeutung sein sollte,
und da er nicht näher angiebt, um welche Teile des Dünndarmes es
sich bei jener regelmässigen Lagerung handelt, und wie sich die ober-
flächlichen und tiefen Windungen verhalten, so hat Sernoff diese Lücken
auszufülen gesucht, indem er vier erwachsene Leichen mit 12°/,
wässeriger Chromsäurelösung durch die Arterien injicierte. Bei der
eingehend ausgeführten Untersuchung bestätigte sich Henkes Beobach-
tung nur in einem der vier Fülle, und auch da nur teilweise. Die
oberflächlichen Schlingen entsprachen in der That dem von Henke ge-
gebenen Bilde; die zahlreichen tiefen, ?/, der Länge des Dünndarmes
ausmachenden Schlingen aber verliefen links oben vertical, in dem
kleinen Becken horizontal. Die erwähnte Verbindungsschlinge fand
sich ferner nicht unten am Psoas, sondern weiter oben. Constant fand
Sernoff eine Anordnung in fünf Gruppen, eine links-obere mit horizontalen,
eine mittlere mit unregelmässigen, zwei seitliche mit verticalen und eine
Beckengruppe mit horizontalen Schlingen. Die links-obere mit einem
Teil der mittleren Gruppe enthält das Jejunum, die mittlere, die rechte
und die Beckengruppe das Ileum. Constant zieht das Endstück des
Dünndarmes aus dem kleinen Becken schräg nach rechts oben zur
rechten Darmbeingrube bezw. zum Coecum. Die constante Lage der
verschiedenen Gruppen erklärt Sernoft erstens durch den schrägen Ver-
lauf des Mesenteriums von links oben nach rechts unten und zweitens
durch die geringere Breite der oberen Gekrösehälfte, wodurch ein
Herabgleiten des Jejunum in die rechte Darmbeinschaufel unmöglich
wird. Der Verlauf des Endstückes steht in Zusammenhang mit einer
plötzlichen Verschmächtigung des Gekröses. Sernoff nimmt an, die von
Henke beschriebene, zwar selten zu beobachtende, aber immerhin vor-
kommende Anordnung bilde eine Eigentümlichkeit von Individuen mit
kurzem Darm und schmalem Mesenterium jejuno-ileum.
Am Neugeborenen hat hierauf Weinberg die Frage weiter studiert
und Henkes Beobachtungen im Ganzen bestätigt gefunden. In den
999 S. Stopnitzki,
Ergebnissen Weinbergs fehlt es nicht an Widerspriichen. So wird be-
richtet, dass in dem rechten Seitenraum verticale Ziige angetroffen
werden. Mir scheint jedoch, die Schlingen des rechten Seitenraumes
finden sich unter denselben Bedingungen, wie die des linken; wenn den
häufig sich wiederholenden Befunden nach eine Gesetzmässigkeit an-
senommen werden soll, so müssen die Windungen rechts die gleiche
Lage haben wie links, und ich begreife nicht, wie Weinberg sie ver-
schieden angeordnet finden konnte. Ueberhaupt ist zu betonen, dass
die den Darm aufnehmende Abteilung des Bauchraumes bei Neu-
seborenen, auf welche Weinbergs Untersuchungen sich beziehen, sich
in auffallendem Grade von der gleichen Region des Erwachsenen unter-
scheidet. Dieser Raum nähert sich bei dem Neugeborenen der Form
einer abgerundeten Grube, beim Erwachsenen ist er mehr oval; bei
letzterem wegen der Vorwölbung der Wirbelsäule in eine rechte und
linke Hälfte getrennt, was beim Kinde erst mit der Zeit, wann es
zu gehen beginnt, eintritt; hier erscheinen die Darmbeingruben infolge
der geringen Prominenz der Psoates weniger tief, als dort; endlich ist
die vordere Bauchwand im Kindesalter stärker nach vorne gewólbt,
während die von Henke angegebene Ordnung der Schlingen sich nur
bei jugendlichen erwachsenen Individuen mit abgeflachtem Abdomen
vorfindet. Auf die Lage des Darmes beim Neugeborenen ist auch die
Leber von erheblichem Einfluss, die in diesem Alter noch so gross ist,
dass sie aus dem oberen Raum der Bauchhöhle heraustretend die
Därme abwärts drängt. Kurz, es können die von Weinberg bei Neu-
geborenen erzielten Ergebnisse auf die Verhältnisse des Erwachsenen
nicht gut übertragen werden; sie können daher auch nicht zur Be-
stätigung der Henke’schen Befunde dienen, sondern allenfalls nur für
Neugeborene Geltung haben.
Zu ganz entgegengesetzten Resultaten kommt Paschkowski in einer
Arbeit, die die Ermittelungen von Henke und Sernoff an einem Material
von zwei mit 12°/, Chromsäurelüsung injieierten Leichen zu prüfen
versucht. Er findet die rechte und linke Schlingengruppe nicht, wie
bisher angenommen wurde, durch eine, sondern durch drei bis vier
Züge verbunden. Seine Untersuchungen sprechen weder für eine Ein-
teilung in zwei (Henke) noch in fünf Gruppen (Sernoff). Die ober-
Untersuchungen zur Anatomie des menschlichen Darmes. 993
flächlichen Schlingen machen nicht '/, (Sernoff), sondern ?/, der Ge-
samtlànge des Jejuno-ileum aus. Die Annahme, die proximale Hälfte
des Dünndarmes werde von Schlingen der oberen, linken und eines
Teiles der mittleren Region, die distale von solchen des übrigen Teiles
der mittleren, der Becken- und der rechten Region des Bauchraumes
gebildet, erklart Paschkowski für unhaltbar, da in diesem Fall in dem
links-oberen Raum 75°/,, in der rechts-unteren und in der Becken-
hóhle nur 25?/, aller Schlingen liegen würden, was der üblichen Ein-
teilung in ein Jejunum und Ileum nicht entspricht. Auch eine Constanz
im Verlaufe der Schlingen hält er für zweifelhaft, da hier die aller-
mannigfachsten Bedingungen wirksam sind. Das Mesenterium soll nicht
mit einem Dreieck, einem Trapez oder einer Halskrause, sondern mit
einem Kreise verglichen werden; ein Maximum der Hóhe fand er 80
bis 108 cm vom Anfang, ein zweites 36—40 cm vom Ende des Dünn-
darms. Paschkowski warnt vor einer praktischen Verwertung der
Befunde Henkes und Sernoffs Um die Beziehungen einer beliebigen
Darmschlinge zu bestimmen, misst Paschkowski von der dieser Schlinge
entsprechenden Stelle der Radix mesenterii bis zu den beiden Enden
derselben und nimmt die obere Entfernung als Zàhler, die untere als
Nenner. Ist das Verhältnis kleiner als 1, so liegt die Schlinge näher
zum Anfang, ist sie grösser, so liegt sie näher zum Ende des Darms.
Ob die an und für sich richtige Idee praktisch brauchbar ist, muss
dahingestellt bleiben.
Tschaussow untersuchte die Lage der Dünndarmschlingen an zwei
siebenmonatigen Embryonen, sechs Kindern und zwei Erwachsenen. Er
fand in einigen Füllen die Beobachtungen Weinbergs, in anderen die
Henkes, in noch anderen diejenigen Sernoffs bestätigt. Die oberen
Schlingen des Jejunum lagern nach Tschaussows Befunden in der linken
Grube bezw. links von dem Psoas sinister, vornehmlich in deren oberem
Teile, begrenzt rechts durch den linken Rand der Wirbelsäule, links
durch einen Teil des Hypochondrium, oben durch das Mesocolon trans-
versum, vorne durch das Colon transversum. Die Schlingen des Ileum
finden sich in der Grube zwischen beiden Psoaswülsten in der Hóhlung
des kleinen Beckens und teilweise rechts von dem Psoas dexter. Diese
Anordnung besteht zu Recht, wenn die übrigen Organe nicht auffallend
224 S. Stopnitzki,
vergrüssert oder verlagert sind. Nur in dem entwickelten kleinen
Becken liegen Darmschlingen, fehlen daher im Kindesalter hier gänzlich.
In-allem stimmt also Tschaussow bezüglich der Verhältnisse bei dem
Erwachsenen mit Henke überein.
Meine eigenen Untersuchungen haben mich zu wesentlich ab-
weichenden Ergebnissen geführt, namentlich was die Lage der oberen
Schlingen und ihre Grenze nach rechts betrifft Ueberall in normalen
Fällen, d. h. wo Leber und Anfangsteil des Dickdarms nicht vergróssert
waren, fand ich Dünndàrme ebenso sehr rechts, wie links von der
Wirbelsäule. Die Wirbelsäule trennt nur teilweise die Seitenhöhlen
des mittleren Raumes von einander und setzt einer Ausbreitung von
Jejunumschlingen in dem oberen Teile der rechten Grube keine Hinder-
nisse entgegen. Die Grenze dieser Dünndarmschlingen bildet daher
nicht, wie 'lschaussow annimmt, der linke Rand der Wirbelsäule,
sondern das Colon ascendens, ja es kommt vor, dass letzteres von
Jejunumwindungen überlagert wird. Dieses Verhalten steht in Ab-
hangigkeit von der Breite und dem Insertionsverlaufe des Mesenteriums.
Wenn dem Angeführten zufolge die vorhandenen Darstellungen
von der Lage der Dünndarmschlingen keine bestimmten Schlüsse er-
möglichen, so scheint mir dies teils durch Insufficienz des untersuchten
Materials, teils dadurch bedingt zu sein, dass die Beobachter auf die
Bedingungen, unter welchen sich die Schlingen so oder anders gruppieren,
zu wenig Gewicht gelegt haben.
Eine Ausnahme macht in letzterer Beziehung die Arbeit Sernoffs.
Von diesem Autor ist zuerst auf den Zusammenhang der Dünndarm-
lagerung mit der Form und Lage des Gekröses hingewiesen worden
Alle übrigen Autoren dagegen beschreiben nur die verschiedenen vor-
kommenden Fälle, ohne sich über die Ursachen ihrer Entstehung ge-
nauer Rechenschaft zu geben. Und doch kann ein bestimmter Typus
nur dann als gesetzmässig gelten, wenn seine Entstehungsursachen
bekannt sind und nur in diesem Fall ist ein Verständnis der vor-
kommenden Abweichungen von dem angenommenen Typus ermöglicht.
Ich habe es nun unternommen, die früheren Befunde an einem
möglichst grossen Material einer erneuten Prüfung zu unterziehen, zu-
gleich aber alle beobachteten Anordnungen der Schlingen stets auf ihre
Untersuchungen zur Anatomie des menschlichen Darmes. 995
Ursachen hin zu untersuchen. Zu letzterem Behufe wandte ich meine
Aufmerksamkeit dem Mesenterium zu, mit welchem ja der Dünndarm
so sehr innig verbunden ist. Ich untersuchte seine Insertionslinie, den
Ursprungs- und Endpunkt der letzteren, die Hóhe des Gekróses, notierte
jedesmal das Verhalten von Leber, Magen, Dickdarm, Blase und :
Rectum, weil Volumsschwankungen dieser Teile die Lage des Dünn-
darms beeinflussen können.
Meine Untersuchungen habe ich vorwiegend an Leichen ausgeführt,
die mit 8°/, wässeriger Chromsáurelósung vorgehärtet waren. In fünf
Fällen benutzte ich, nach dem Vorgange von Gerota'), statt Chrom-
säure 15°/, Formalinlösung, doch eignet sich letztere zur Erhärtung
des Darmes, weil das Gewebe desselben dabei weniger elastisch wird,
weniger als erstere. Während Sernoff 12°/, Lösungen von Chromsäure
benutzte, glaubte ich mich mit 8°/, begnügen zu dürfen, teils aus
Gründen der Sparsamkeit, teils insbesondere, weil mir diese Con-
centration ebenfalls gute Dienste leistete. Die Injection geschah nach
dem Vorgange von Sernoff durch die Arteria femoralis. In dieser Weise
habe ich 12 Cadaver, 2 weibliche und 10 männliche, mit Chromsäure
behandelt. Dazu kommen 5 mit Formol vorgehärtete Cadaver. Alles
in allem standen mir 14 männliche und 3 weibliche, durch Injection
erhärtete Leichen zur Verfügung. Die Befunde wurden an 50 weiteren
Leichen, die im anderer, an einem späteren Orte zu beschreibender
Weise behandelt waren, controliert.
Untersucht wurde in folgender Weise. Zwei Tage nach der In-
jection wurde die Leiche eröffnet, nachdem vorher die äussere Form
des Abdomens beschrieben war. Das Netz wurde nach oben umgelegt
und sodann zur Untersuchung der Dünndärme geschritten. Die ein-
zelnen Schlingen brachte ich zunächst auf eine schematische Skizze, die
tiefen Schlingen nach einfachem Emporheben der oberflächlichen, die
infolge der angenommenen Elastieität sofort in ihre frühere Lagerung
zurückkehrten. Nach Beschreibung der Anordnung der Dünndarmzüge
nahm ich die Längenmessungen vor, prüfte sodann das von dem Darm
befreite Mesenterium und verglich den Verlauf des letzteren mit der
1) Contribution à l'étude du formol dans la technique anatomique. Diese
Monatsschrift 1896. Bd. XIII.
Internationale Monatsschrift für Anat. u. Phys. XV. 15
226 S. Stopnitzki,
schematischen Skizze. Schliesslich trennte ich auch das Mesenterium
ab und untersuchte ihre Insertionslinie. In jedem Falle wurde, wie
schon erwähnt, auf die übrigen Organe des Bauchraumes gebührend
Rücksicht genommen, da Volumveränderungen derselben nicht nur ganze
Schlingengruppen verdrängen, sondern auch die Richtung derselben
wesentlich alterieren können.
Ich will nun zunächst die Höhle, in welcher der Dünndarm seine
Lage hat, und das Mesenterium, an welchem er aufgehängt ist, kurz
beschreiben.
Durch das Mesocolon transversum zerfällt der Bauchraum in eine
obere und untere Abteilung. Die Grenze beider entspricht dem oberen
Rande der Nieren. Von der oberen Abteilung soll nur erwähnt werden,
dass die darin befindlichen Organe: Leber, Milz, Magen, unter normalen
Verhältnissen die angegebenen Grenzen nicht überschreiten und die
darunterliegenden Höhlen nicht einengen.
Die Unterscheidung von drei Höhlen in der unteren Abteilung des
Bauchraumes (Henke) ist völlig dem Thatsächlichen entsprechend. Man
überzeugt sich leicht hiervon, wenn Darm und Mesenterium abgelöst
sind. Das Hervortreten der Musculi psoates dient zur Abgrenzung der
zu unterst liegenden Beckenhöhle; die Convexität der Wirbelsäule teilt
den Rest des Raumes in zwei Seitenhöhlen. Die Weite der Bauch-
höhle hängt vorzugsweise ab von der Gestalt der sehr dehnbaren
vorderen Wand. Bei beleibten Personen erscheint diese Wand kugel-
formig, bei mageren dagegen ist sie mehr oder weniger eingezogen.
Als normales Abdomen kann ein solches bezeichnet werden, dessen
vordere Wand mit dem Thorax annähernd in der gleichen Ebene liegt.
Betrachtet man ein solches Abdomen von aussen, so erkennt man, dass
die vordere Wand desselben etwa drei Querfingerbreiten oberhalb des
Nabels sich nach innen wölbt, infolgedessen die Bauchhöhle an diesem
Orte eine Einengung erfährt. Man bezeichnet diese Stelle gewöhnlich
als Taille; Henke führt sie als „obere Enge“ auf. Sie dient den in
der oberen Abteilung der Bauchhöhle liegenden Organen gewisser-
maassen als Stütze. Die nämliche Einwärtsknickung der Bauchwand
ist auch seitlich in der Gegend der 12. Rippe bemerkbar; sie entspricht
dem geringsten Querdurchmesser in der mittleren Region der Bauchhöhle.
Untersuchungen zur Anatomie des menschlichen Darmes. 997
Die untere Enge, die nach Henkes Beschreibung den mittleren
Raum von der Beckenhöhle abgrenzt, kann aussen wegen der hier
fehlenden Knickung der Bauchwand nicht wahrgenommen werden. Sie
verdankt ausschliesslich der Vorwölbung der Psoasmuskeln ihre Ent-
stehung. Nach Henke ist diese Enge so beträchtlich, dass ihre sagittale
Ausdehnung 1—2 em beträgt und dass sie nur einen einzigen Darmzug
hindurchlässt, welcher die obere Schlingengruppe mit der unteren in
Verbindung setzt. Henkes Beobachtung findet aber nur an sehr ab-
gemagerten Cadavern Bestätigung, wo die vordere Bauchwand so ein-
gefallen ist, dass sie ganz auf der Wirbelsäule liegt. Solche Fälle
können aber kaum noch normal genannt werden. Jedoch auch in
diesen Fällen habe ich nur selten beobachten können, dass die Enge
nur einen einzigen, nämlich den vorhin genannten Verbindungszug
passieren liess. Viel öfter kamen ausser diesem letzteren noch 1—2
Schlingen vor, die dicht bis zum Eingang in das kleine Becken herab-
stiegen und dann nach oben zurückkehrten. Wie auf der Wirbelsäule
lagerte hier der Dünndarm in zwei bis drei Schichten, nicht aber in
mehreren, wie z. B. in dem linken Seitenraume unter dem Magen. Es
kann somit der den Darm aufnehmende Teil der Bauchhöhle in drei
Teile getrennt werden. Zwei derselben liegen zu beiden Seiten der
Wirbelsäule, von dem Mesocolon transversum abwärts bis in die Fossae
iliacae sich hinziehend. Die dritte entspricht der Höhlung des kleinen
Beckens. Die durch die Vorwölbung der Psoaswülste bedingte Enge
behindert in normalen Fällen nicht den Verkehr der oberen mit der
unteren Höhle, wie auch die Lordose der Wirbelsäule die Communication
der oberen Räume unter einander nicht beeinträchtigt. Horizontal-
schnitte von in Chromsäure erhärteten Leichen lassen darüber keinen
Zweifel übrig.
Ausser dem Dünndarm sind in den geschilderten Räumen noch
andere Organe vorhanden und es fragt sich nun, wie sich beide in den
disponiblen Raum teilen.
Die beiden oberen Räume umfassen eigentlich den mittleren Teil
der Bauchhöhle: den unteren Abschnitt der beiden Hypochondrien, die
Regio umbilicalis, die beiden Regiones lumbales und beide Darmbein-
schaufeln. Durch die Lendenkrümmung von einander geschieden, er-
15 *
228 S. Stopnitzki,
scheinen sie als Kinsenkungen, die durch die Nieren in der Tiefe etwas
abgeflacht werden. Ihre einzelnen Teile sollen hier topographisch, wie
Henke dies thut, betrachtet werden.
Die rechte Fossa iliaca beherbergt den Anfangsteil des Dickdarms,
das Coecum, welches in das Colon ascendens übergeht und zur Regio
lumbalis, sowie zu dem unteren Teil der Regio hypochondriaca empor-
steigt. Doch füllt der Dickdarm, wenn er nicht übermässig gedehnt,
die erwähnten Räume nicht ganz aus, es bleibt vielmehr zur Lagerung
von Dünndarmschlingen genügend Platz übrig. Henkes Ansicht, der
zufolge die in dem rechten Hypochondrium befindliche Leber, durch
die obere Enge durchtretend, das gesamte Gewólbe des rechten Seiten-
raumes ausfüle und keinen Raum für Dünndärme hier übrig lasse,
kann ich nicht beistimmen. Wenn die Leber normale Grösse besitzt,
so tritt sie nie über den Raum der Rippen, und wenn das von Sernoff
entdeckte Lig. phrenico-colicum dextrum, welches in der Mehrzahl der
Falle von dem Rande der falschen Rippen zu dem aufsteigenden Dick-
darmschenkel verlàuft, vorhanden ist, so làsst sich nachweisen, dass
die Leber mit ihrem unteren Teile diesem Rande aufruht. Die Lage
der Leber muss an vorgehárteten Leichen untersucht werden, weil
dieses Organ vorwiegend durch den intraabdominalen Druck festgehalten
wird und letzterer nach Eróffnung der Bauchhóhle nicht mehr wirksam ist.
Das Colon transversum senkt sich sehr oft weit nach unten, ja
überschreitet die Nabelhöhe. Dies fand ich in 20?/, aller meiner Fälle;
in zwei Fallen lag das Quercolon auf dem Promontorium, in einem,
wo das Netz eine Inguinalhernie erzeugte, lagerte es an dem inneren
Leistenring. Meist lag das Quercolon auf dem Dünndarm, doch war
es in einigen Fallen auch von solchen bedeckt, wobei das grosse Netz
zusammengerollt inmitten der Dünndärme sich vorfand.
Die Insertionslinie des Mesocolon transversum verláuft in der linken
Hälfte der Bauchhóhle höher aufwärts als rechts, weshalb der linke
Seitenraum sich weiter nach oben erstreckt als der rechte. Das Colon
descendens lässt wegen seines geringeren Umfanges im Verhältnis zu
dem Colon ascendens den Dünndärmen mehr Spielraum als dieses.
Auch die Regio umbilicalis, auf deren Grund sich das Duodenum be-
findet, nimmt Dünndarmschlingen auf.
Untersuchungen zur Anatomie des menschlichen Darmes. 999
Die Beckenhóhle ist bei normalem Verhalten der Blase, des Rectums
und des Uterus ebenfalls im Stande, Dünndarmschlingen zu beherbergen.
Kurz, es sind bei normaler Grösse der übrigen Organe sämtliche
Regionen der Bauchhöhle zur Aufnahme von Dünndärmen befähigt.
Die Anordnung der verschiedenen Dünndarmschlingen wird be-
einflusst durch die Lage und Hóhe des Mesenteriums, an welchem sie
befestigt sind. Diese Verhältnisse sind nun zu untersuchen.
Das Mesenterium jejuno-ileum lässt zwei Teile unterscheiden. Der
eine liegt der Wurzel näher, breitet sich flächenhaft aus und kann mit
einem Segment verglichen werden. Der andere grenzt an den Darm,
bildet zahlreiche Falten in Form einer an das erwähnte Segment be-
festigten Halskrause. Sehr zutreffend vergleicht Sernoff das Gekróse
mit der Form des Hahnenkammes (Celosia cristata).
Ueber die Hóhe (Breite) des Mesenteriums und den Verlauf seiner
Insertionslinie an der hinteren Bauchwand liegen, so viel ich weiss,
bisher keine eingehenden Untersuchungen vor. Die vorhandenen An-
gaben hierüber sind teils ungenau, teils stehen sie in Widerspruch mit
einander. Nach Hyrtl') ist das Mesenterium am breitesten an dem
unteren Ende des Dünndarmes, nach Tillaux”) in dem mittleren Teil
desselben. Diese abweichenden Darstellungen haben darin ihren Grund,
dass bisher noch Niemand sich die Mühe genommen, das Mesenterium
genau zu messen. Ich habe diese Messungen an 25 Leichen ausgeführt.
Ich maass die Lange des Dünndarmes an dem freien Rande und zerlegte
sie in 20 gleiche Teile. Sodann maass ich die Radix mesenterii und teilte
sie ebenfalls in 20 gleiche Teile. An jedem Teilstrich der Gekrösewurzel
wurde ein Faden befestigt, der spàter zur Messung diente. Nachdem
alle 20 Faden an der Radix mesenterii befestigt waren, führte ich sie
zu den entsprechenden Teilstrichen an dem Darm und erhielt durch
Messung der Lange dieser Faden sofort die Breite des Mesenteriums.
In der umstehenden Tabelle findet sich die Breite des Mesenteriums
an 20 Punkten seiner Lànge, ferner die Breite in 10 cm Abstand vom
oberen und unteren Dünndarmende, schliesslich. die Lànge des Dünn-
darmes und der Radix mesenterii angegeben.
!) Handbuch der topographischen Anatomie. Wien 1871.
?) Lehrbuch der topographischen Anatomie. Russ. Uebers. 1896.
230 S. Stopnitzki,
|
|
1
|
& |e [8S à
2 g Cona Breite des Mesenteriums in verschiedenen a2
EM Ey 222 Entfernungen vom oberen Ende Es
z| a8 | £2 e238 toh. ris Ji FEE
o| 58925 483 des Dünndarmes ge
a | As | 22 lobe aoc
218 |$ (EE i 82
S c TD =
“|S |® les RE
E 8 |9«- |1/2|3/4/5/6|7 8\9/10[11112113114|1511617|1819]20| 3 3
= H |A | #2
1 | 408 | 14 4 | 6| 8) 711011112113 1313112 11|10/1012/13/13/12/10 | 6
2 | 342 | 15 3 | 5) 6| 8) 7| 910]11211|1211|1110]1110]10 12/112 1210 0|| 6
3 | 820 | 16 4 || 6| 8 7 8} 9101011010 9) 9} 8) 8| 91010/ 9, 9 8|O| 4
4 | 560 | 16 3 | 5| 7| 9/101215141413/12/11213/112 1413/15116 16 14 2 | 6
5| 472 | 10 4 |6 7, 8| 7| 911/121212/11| 910, 9) 91011112:1210|0| 4
6 | 490 | 16 | 4 | 6| 810) 9/11/12]12/12|10/10| 9) 9/11110/1213/131211/5| 8
7 || 602 | 17 6 | 8/11110/12113/]14115115114113112\10 12113112,14 1515113 2 || 8
8 || 600 | 15 4 | 7 8 7| 9101214/14 1312|11]10 911|131413/14]12 3 | 5
9 | 425 || 15 5 | 91011/01211)13/1311/10 9/10|11|12]13|13|13|12/11|3| 8
10 || 485 || 16 4 | 7| 910/1012/13/13]12/11| 91101111011112113121311 0| 6
11 || 566 || 16 6 | 8, 9) 710112/13114/15114/13111/]12111 111112113. 1411513, 0 | 7
12 || 428 | 16 4 | 810) 9,10) 9111112/13113,11110) 9) 91101211131412 4| 8
13 || 470 | 14 | 4 | 6 8| 9/10) 9112]1213/13]13111/112111/12113]111138]12110/0 | 6
14 || 583 | 13 5 | 7| 910[11|10|12|13|14|15|13|12/12/10/11|13(14|15|15(12|0| 7
15 || 688 || 17 6 | 8/10) 9111/112113114116/115114 1210. 11112!14/11517 16.140 | 5
16 | 457 | 15 5 | 9 7| 9/10111112113/13113)12111/11 1012/11 131313|11/ 0| 6
17 || 380 | 18 3 | 5| 6| 8| 7| 91011/111,11212 11,10| 9 1012/1212 1110/0 | 6
18 || 623 | 17 6 | 9) 810/1112/14151413121110 11112113114 15.1513, 0 | 8
19 || 508 || 15 6 |1010/2/1012/13/]13]112/11111,12 11 12113114115 14112) 8|0| 5
20 || 456 || 18 6 | 8| 9110) 9/11|12/13/13/12]11|10|11|12,11/13/13|13/12|10|2|| 6
21 | 543 | 20 7 | 9/11)11)10}12/13)13)13/11) 9101011112113111131210 0} 7
22 || 436 | 18 6 |7 7 9110/11131312111101011111011121313/10 0 |. 6
23 | 324 | 12 4 | 5) 6| 6 8 9/10/10/11)11)12/13)13}12)11)10} 9} 9 8) 710 4
24 | 483 | 14 7 | 9 91010121314141312111110111314141210 0| 6
25 | 365 | 14 5 | 8] S| 8) 9| 910/1011/12/13/131121212|1111,1010) 9/0]. 7
In dem Fall 1 der obenstehenden Tabelle sehen wir die Breite
des Mesenteriums allmáhlich ansteigen und etwa zwischen oberem und
mittlerem Drittel ihr Maximum erreichen, auf welchem sie sich bis zur
Mitte erhält. Dann nimmt die Breite des Mesenteriums etwas ab,
gelangt aber zwischen ca. mittlerem und unterem Drittel wieder zu
dem obigen Maximum, um nach einiger Zeit rapid abzunehmen.
Wir sehen somit, dass die grósste Breite des Mesenteriums sich
nicht an einer, sondern an zwei Stellen des Darmes vorfindet, nämlich
einmal an der Grenze des oberen und mittleren '/, und ein zweites
Untersuchungen zur Anatomie des menschlichen Darmes. 231
Mal in dem unteren '/, der Darmlänge. Die Breite des Gekróses steht
in Correlation mit der Breite der Bauchhóhle. Letztere ist nämlich
unter dem Mesocolon transversum von ansehnlicher Breite, verengert
sich abwärts in dem Gebiete zwischen 12. Rippe und Darmbeinkamm
und wird in der Gegend der Darmbeingruben wieder ausgedehnter.
Die beiden Maxima der Gekrósebreite kónnen in ihrer Lage zum Darm-
ende etwas schwanken. Das untere Maximum kann ferner das obere
übertreffen, doch sind diese Fülle im Ganzen selten.
Eine Ausnahme von diesem Typus bilden die Falle 23 und 25.
Hier giebt es nur ein einziges Maximum im mittleren Teil des Dünn-
darmes mit allmáhlicher Abnahme gegen das Ende hin, ahnlich wie in
den Beobachtungen von Tillaux. Sie bilden, da sie ausserordentlich
selten vorkommen, eher die Ausnahme denn die Regel.
Sehr oft (s. Tabelle) führt das Mesenterium, während es allmählich
breiter wird, Schwankungen aus. Diese Schwankungen sind dadurch
bedingt, dass der intestinale Rand des Mesenteriums keine gerade,
sondern eine zickzackfürmige Linie bildet.
Nur ein einziges Mal erreichte die maximale Breite des Mesen-
teriums 17 cm, während dieselbe im Mittel 14 cm beträgt.
Die Hartung in 8?/, Chromsáurelósung bedingt eine Schrumpfung
der Gewebe um 10?/, (s. unten). Bringt man dies in Rechnung, so
lasst sich die maximale Breite des Mesenteriums im Mittel auf 15 cm
schätzen. Grössere Werte weisen auf Dehnung des Mesenteriums oder
auf pathologische Zustánde hin.
Was die Endigung des Mesenteriums betrifft, so sind am haufigsten
die Falle, wo die Breite desselben von dem unteren Maximum rapid
abnimmt und an dem coecalen Ende gleich Null wird. Doch ist auch
an der Verbindungsstelle mit dem Dickdarm nicht selten ein Mesen-
terium von 2—3 cm Breite zu beobachten, ja in dem Fall 6 zeigte
das Mesenterium hier 5 cm Breite, doch kam der Dünndarm nicht wie
gewohnlich aus dem Becken, sondern aus der linken Fossa iliaca her.
Manchmal hört das Mesenterium schon früher auf und der Dünndarm
heftet sich dann eine Strecke weit unbeweglich an der hinteren Bauch-
wand fest. Tafel VIII illustriert einen solchen Fall, wo ein Teil des
Dünndarmes ohne Gekröse dem M. psoas dicht anliegt.
292 S. Stopnitzki,
Mit der Achtung der Insertionslinie des Gekröses bei dem Er-
wachsenen bescháftigt sich, so viel ich sehe, nur die Arbeit von
Schiefferdecker') eingehender. Der allgemein üblichen Darstellung zu-
folge geht das Mesenterium von der linken Seite des 2. Lendenwirbels
schrág nach rechts zu der Articul. sacro-iliaca dextra. Die genauere
Untersuchung zeigt aber, dass dies nicht immer der Fall ist.
Es kommen vor allem mancherlei Schwankungen vor. Ferner ist
die Lage des duodenalen Jejunumendes hier von Bedeutung. Ich habe
an 60 Leichen gefunden, dass die Ansicht von Schiefferdecker, die
Uebergangsstelle des Duodenum in das Jejunum finde sich an der
Grenze zwischen 1. und 2. Lendenwirbel, nicht bedingungslos acceptiert
werden kann. Oft fand ich den Beginn des Jejunum höher oben, ent-
sprechend der Mitte des 1. Lendenwirbels, andere Male tiefer unten
an der Grenze zwischen 2. und 3. Lendenwirbel, Falle, die übrigens
auch Schiefferdecker selbst erwähnt.
Liegt die Flexura duodeno-jejunalis hoch (Taf. VIII), so ist die Pars
ascendens betrachtlich und das Duodenum zeigt Hufeisenform; liegt
jene tief (Taf. IX), so ist diese klein oder gar nicht vorhanden. Der
Beginn der Flexura duodeno-jejunalis nähert sich bald der Mittellinie,
bald liegt sie mehr nach links hin, wie auch Schiefferdecker hervorhebt.
Nach alledem erweist sich die Lage des oberen Jejunumendes nicht so
constant, als Schiefferdecker glaubt. Jede tiefere Lage des Jejunum-
anfanges braucht daher nicht unbedingt abnorm zu sein. Die Schwan-
kungen bewegen sich zwischen der Mitte des 1. Lendenwirbels bis zu
der Scheibe zwischen Lendenwirbel 2 und 3, also innerhalb der Grenzen
von 1'/, Wirbeln. In einem Falle wurde auch diese Grenze über-
schritten (Taf. XII, MOG).
Noch gróssere Schwankungen zeigt die Lage des coecalem Dünn-
darmendes. Die Mannigfaltigkeit ist hier so gross, dass es schwer ist,
zwei einander vollig identische Falle aufzufinden. Vor allem variieren
die Dimensionen des Blinddarmes sehr bedeutend und unterliegen
mancherlei individuellen Verschiedenheiten. Tafel XII giebt in schema-
tischer Weise eine Vorstellung von diesen Verhältnissen, wiewohl sie
nicht alle vorkommenden Abweichungen erschópft.
!) Beitráge zur Topographie des Darmes. Arch. f. Anat. u. Phys. 1896.
Untersuchungen zur Anatomie des menschlichen Darmes. 933
An dieser Abbildung erkennt man zugleich, dass durch den An-
fangs- und Endpunkt die Richtung der Insertionslinie selbst nicht immer
bestimmt wird. So zeigt sie in dem Fall MOG die Form einer ge-
brochenen Linie, oben annáhernd horizontal, unten ganz vertical. Da-
gegen erscheint die Linie À MH oben vertical längs der Wirbelsäule
verlaufend, unten in horizontalem Zuge die Kórper des 4. und 5. Lenden-
wirbels schneidend.
AJ, AK und AF entsprechen den am haufigsten, AD und AE
den am seltensten vorkommenden Fällen. AB und AC sind mir nur
je einmal entgegengetreten (weniger als 2°/,) und kónnen als anomal
gelten. Aehnliche seltene Fälle sind von Gruber!) und Sernoff?) be-
schrieben worden. Beide sind einander sehr ähnlich und laufen einander
parallel, nur findet sich AB etwas höher als AC. Wie die Fälle von
hoher Einmündung des Jejunum in den Dickdarm, so ist meines Er-
achtens auch der verschiedene Verlauf der Insertionslinie des Gekröses
auf Entwickelungshemmung (Gruber, Schiefferdecker und Toldt) zurück-
zuführen.
Meine Untersuchungen über die so ausserordentlich variierende
Lage der Dünndarmwindungen habe ich, wie schon erwähnt, an 17
durch Gefassinjection vorgehärteten und 50 weiteren Leichen, deren
Darm durch allmähliches Eingiessen von Chromsäure durch den Nabel
fixiert worden war, ausgeführt. Jedoch stütze ich meine Ergebnisse
hauptsächlich auf die Befunde an den durch die Art. femoralis injicierten
Leichen, da die Eingiessung von Flüssigkeiten durch den Nabel un-
geachtet aller angewandten Vorsicht möglicherweise doch gewisse Ver-
schiebungen der Dünndärme nach sich ziehen könnte. Die umbilicale
Injection wurde vor allem zum Zwecke der nachherigen Messung
der Darmlänge vorgenommen; für die Lage der Därme dienten diese
Präparate nur als Controle.
Die am häufigsten vorkommende Anordnung der Dünndärme ist
auf Tafel X dargestellt. Es handelt sich um ein männliches Individuum
von 37 Jahren, von gutem Körperbau, verstorben an croupóser Pneu-
?) Beiträge zu den Bildungshemmungen der Mesenterien. Arch. f. Anat. u.
Phys. 1862.
ya a.r0!
234 S. Stopnitzki,
monie. Abdomen abgeflacht. Sämtliche Organe der Bauchhöhle finden
sich in normaler Grósse, nur das Coecum etwas geblaht.
Von der Flexura duodeno-jejunalis begiebt sich der Dünndarm
(vergl. die Skizze des Mesenteriums) horizontal nach rechts unter die
Leber, geht dann nach Beschreibung dreier verticaler und zweier horizon-
taler Schlingen in langem horizontalen Zuge zum linken Hypochondrium,
wo eine ganze Reihe verticaler Züge folgen, die aber die Fossa iliaca
sinistra wegen der hier liegenden Flexur nicht erreichen. Sodann
geht das Mesenterium mit einem horizontalen Zuge zur Nabelgegend,
um hier sehr verschiedene Schlingen zu beschreiben, làuft wiederum
zur rechten Darmbeingrube, legt sich auf den Blinddarm und steigt
nach Bildung eines verticalen Zuges zum Becken herab. Hier findet
sich vorwiegend quer-horizontale Anordnung, doch gehen die Schlingen
von hier über den Psoas dexter zur rechten Fossa iliaca und kehren
wieder in das Becken zurück. Aus dem Becken verläuft der Dünn-
darm schliesslich schràg von links nach rechts zur Einmündung in das
Coecum.
Zwei grosse Abteilungen von Schlingen kónnen unterschieden
werden. Die eine umfasst das rechte und einen Teil des linken Hypo-
chondrium, das Epigastrium und den oberen Teil der Nabelregion; die
andere den unteren Teil der Regio umbilicalis, einen Teil der Fossa
iliaca dextra und die Beckenhóhle. Mit anderen Worten: das Jejunum
lagert sich in dem oberen Teil der mittleren Bauchgegend zu beiden
Seiten der Wirbelsäule, das Ileum in dem unteren Teil dieser Gegend
und im kleinen Becken.
Beide Abteilungen kónnen nach dem Verlauf der Schlingen und
Züge in Gruppen zerlegt werden. Die Schlingen beiderseits von der
Wirbelsäule sind vorwiegend vertical, diejenigen unter dem Mesocolon
transversum und im Becken horizontal, diejenigen in der Mittelgegend
von unbestimmtem Verlauf. Es sind also alles in allem fünf Gruppen
zu unterscheiden. |
Die soeben beschriebene Lagerung des Dünndarmes entspricht der
überwiegenden Mehrzahl der Fälle und zugleich den Darstellungen, die
Prof. Sernoff über diese Verhältnisse giebt. Geringe Abweichungen
kónnen darin bestehen, dass der Darm sich von der Flex. duodeno-
Untersuchungen zur Anatomie des menschlichen Darmes. 235
jejunalis nicht nach rechts, sondern nach links begiebt und sodann nach
Bildung einer Schlingengruppe nach rechts zuriickkehrt. Wenn das
S. romanum in der linken Fossa iliaca fehlt, so treten verticale Dünn-
darmzüge an seine Stelle.
In der Höhle des Beckens sind ausser quer-horizontalen häufig
sagittal-horizontale Züge anzutreffen. Die Lage des ileo-coecalen Ver-
bindungszuges ist keine bestimmte: bald findet er sich oberhalb der
von Henke angegebenen Stelle, bald geht er nicht zum kleinen Becken
hinab, sondern an die rechte Seite der Wirbelsäule, wie in dem vorhin
beschriebenen Fall Ausserdem kommen nicht selten zwei statt einer
Verbindungsschlinge vor.
Bedingt wird diese Lagerung des mesenterialen Dünndarmteiles,
wie Sernoff zuerst nachwies, durch die Art der Anheftung des Ge-
króses. Das Vorkommen einer solehen Anordnung der Schlingen wird
jedoch von Henke und Weinberg in Abrede gestellt und es erweist
sich in der That an vorgehärteten Leichen Sernoffs Darstellung nicht
immer als zutreffend, denn man findet statt 5 Gruppen 4, 3 oder 2.
Es steht dies im Zusammenhang mit der Richtung und Breite des
Gekróses und einer Reihe secundàrer Factoren.
Die Gekrósewurzel besitzt nach meinen Beobachtungen nicht jene
Constanz, die ihr gewóhnlich zugeschrieben wird. Zwar kommt der als
constant geltende Verlauf der Radix mesenterii in der Mehrzahl der
Fàlle zur Beobachtung, aber es sind auch Abweichungen davon móglich,
die natürlich die Lagerung der Dünndärme mehr oder weniger beein-
flussen. In dem von mir als Typus der Dünndarmlagerung angeführten
Fall (Taf. VIII) entsprach der Verlauf der Radix mesenterii (von oben
nach unten und etwas schràg von links nach rechts) den gewóhnlichen
Beschreibungen. In einem anderen Fall hingegen, der dem vorigen
diametral entgegengesetzt ist (Taf. XI), verlief die Gekrósewurzel
nahezu quer zur Wirbelsäule (Taf. IX) von der Verbindungsstelle des
2. und 3. Lendenwirbels und endete etwas oberhalb der Verbindung
zwischen 3. und 4. Lendenwirbel. An dem Bilde der Gekrósefalten
wird man hier jene fünf Schlingengruppen, wie sie in Fall III vor-
handen waren, vermissen. Es giebt hier nur drei Gruppen: eine in
dem linken Hypochondrium, eine zweite rechts davon etwa in der Mitte
236 S. Stopnitzki,
und eine dritte oberhalb des Mesocolon transversum etwas nach rechts
von der Mitte. Eine Becken- und rechte Gruppe fehlt gánzlich. Wegen
der fast queren Anheftung der Radix mesenterii ist der Dünndarm
so zu sagen der Schwere nach gegen die linke Seite der Bauchhóhle
und gegen den Beckeneingang herabgesunken. Der Fall betrifft
ein 35 Jahre altes männliches Individuum von mässig kraftigem
Kórper, welches an Tuberkulose gestorben war. Das Coecum war
stark geblàht, der Dickdarm etwas gefüllt, die Flexura iliaca lag auf
dem rechten Psoas.
Man ersieht hieraus, welchen Einfluss die Richtung der Gekröse-
wurzel auf die Lagerung der Schlingen und Schlingengruppen ausübt.
Je steiler die Insertionslinie der Radix mesenteri, desto regelmässiger
eruppleren sich die Schlingen im Sinne von Sernoff, je mehr geneigt
diese Linie, desto undeutlicher wird die regelmässige Gruppierung.
In den Fällen AME und MOG (Taf. XII) heftet sich die Gekróse-
wurzel nicht geradlinig an. In dem ersten lagerte die obere Hälfte
des Darmes zu beiden Seiten des Gekróses in zwei Gruppen, die durch
drei unter dem Mesocolon transversum gelegene Züge mit einander
verbunden waren. Die untere Hälfte der Därme hing grösstenteils in
das kleine Becken herab. Eine mittlere Uebergangsgruppe fehlte fast
gänzlich und war nur durch eine von rechts herkommende Schlinge
angedeutet. Oben war also der Darm regelmässig, unten wegen des
queren Verlaufes der unteren Hälfte der mesenterialen Insertionslinie
weniger regelmässig angeordnet und die mittlere Gruppe war fast nicht
nachweisbar. — Sehr eigenartig war die Anordnung der Schlingen in
dem zweiten Fall (M OG). Die rechte Gruppe fehlte vollends, die
obere war unbedeutend. Die am stärksten entwickelte Gruppe fand
sich in dem linken Hypochondrium, in der linken Fossa iliaca und auf
dem Psoas sinister, sie bedeckte den unteren Teil des Colon descendens
und die zum Becken hin verdrängte Flexura iliaca und ging ganz un-
merklich in das kleine Becken über.
Auch diese Fälle illustrieren den Einfluss der Insertionslinie des
Gekróses auf den Verlauf und die Anordnung der Schlingen. Be-
deutungsvoll hierfür ist aber auch die Breite des Gekröses und die
Länge des Darmes.
Untersuchungen zur Anatomie des menschlichen Darmes. 237
a
In dem Fall AF z. B. (Taf. XII), wo die maximale Breite des Ge-
kréses nur 10 em, die Lange des Darmes 320 cm betrug (Nr. 3 der
obigen Tabelle), fehlte die obere und die rechte Gruppe. Der Darm
fand sich fast genau in der von Henke beschriebenen Weise, mit dem
Unterschied, dass hier ausser den schon genannten zwei Gruppen (von
welchen die Beckengruppe unbedeutend war) eine kleine mittlere Ueber-
gangsgruppe zu sehen war. Der Fall steht daher den Beobachtungen
von Weinberg am nächsten. Die Flexur lag auf den Dünndärmen am
Eingange in das kleine Becken. In dem Fall AK (Taf. XII), wo die
Insertionslinie des Mesenteriums am Unterende des 4. Lendenwirbels
aufhörte und die Breite des Gekröses gering war, fehlte die Becken-
eruppe und die Dünndarmschlingen endeten am Beckeneingang.
Diese Beckengruppe fehlte auch in Fall 23 (vergl. obige Tabelle),
wo das Mesenterium entsprechend der Mitte der Dünndarmlànge seine
maximale Breite erreichte.
Rücksichtlich der Fälle mit kurzem Darm und schmalem Mesen-
terium ist zu bemerken, dass der Dünndarm mit seinen Windungen
gewissermaassen der Richtung der Insertionslinie des Mesenteriums
folgt, ohne seitlich abzuweichen. Liegt dabei die Fossa duodeno-jeju-
nalis ungewóhnlich weit nach links, so kónnen die von Henke an-
geführten Gruppierungen auftreten.
Ausser diesen angeborenen individuellen Besonderheiten giebt
es noch eine Reihe zufälliger secundärer Factoren, die auf die
Lagerung der Dünndärme von Einfluss sein können. Ich habe dabei
im Sinne pathologische Vergrösserung eines der Abdominalorgane
oder abnorme Aufblähung der Dickdärme, die zu Verdrängung be-
nachbarter und zu Umlagerung entlegener Schlingengruppen Anlass
geben kann. Ein Beispiel solcher Verlagerung ist auf Tafel XIII dar-
gestellt, wo das stark aufgetriebene Coecum und Colon ascendens die
rechte Gruppe in die linke Fossa iliaca verdrängt haben. Häufig sah
ich die obere, in einem Falle die rechte und obere durch die ver-
srösserte Leber verdrängt. In ähnlicher Weise verschiebt sich die Becken-
eruppe unter dem Einfluss sich vergrössernder Beckenorgane.
Ich will schliesslich zwei Fälle beschreiben, die dem Henke’schen
Bilde der Schlingengruppierung entsprechen.
238 S. Stopnitzki,
Einer dieser Fülle bezieht sich auf ein 40 Jahre altes männliches
Individuum von schwächlichem Körperbau, verstorben an Lungen-
tuberkulose. Abdomen eingesunken. Sämtliche Organe der Bauchhöhle
von normaler Grösse. Der Dünndarm völlig collabiert, bildet zwei
Gruppen, im linken Hypochondrium und im Becken, verbunden durch
eine einzige über den linken Psoas hinwegziehende Schlinge. Oben
war der Verlauf der Züge unbestimmt, doch waren viele quere Schlingen
darin sichtbar. In dem Becken überwogen oben verticale, unten hori-
zontale Züge. Die Insertionslinie des Mesenteriums begann von der
Mitte des 2. Lendenwirbels weiter nach links als gewöhnlich und
endete etwas oberhalb der Articul. sacro-iliaca. Die Breite des Mesen-
teriums erreichte ein Maximum von 13 cm, der Darm war 380 em lang.
Der zweite mir freundlichst von Herrn N. Altuchow überlassene
Fall wurde an dem Leichnam einer 25 Jahre alten, gut gebauten, an
Pneumonie verstorbenen Frau beobachtet. Das Abdomen war ab-
gefiacht, aber nicht eingesunken. Der überall mit Mesenterium ver-
sehene Dickdarm, stark gebläht, bedeckte die sämtlichen Dünndärme
mit Ausnahme eines 10 cm langen Segmentes desselben. Die vóllig
collabierten Dünndärme ordneten sich in zwei Gruppen, eine links-obere
und eine Beckengruppe. In beiden entsprach der Verlauf der ober-
flachlichen Schlingen teilweise dem Henke'schen Bilde; über die tiefen
vermag ich, da der Darm nicht fixiert war, nichts Bestimmtes aus-
zusagen. Jene von dem Dickdarm nicht bedeckte Schlinge erwies sich
als Verbindungszug der beiden Gruppen. Die Insertionslinie der Ge-
krésewurzel verhielt sich wie in dem vorigen Fall. Die Breite des
Mesenteriums wurde nicht gemessen.
Das von Henke beschriebene Bild der Schlingen entsteht, wie ich
nach meinen Beobachtungen anzunehmen veranlasst bin, so zu sagen
infolge mechanischer Verhältnisse und vorzugsweise dann, wenn die
Insertionslinie des Gekröses stärker geneigt ist. Da das Henke'sche
Schema, wie ich bestátigen kann, nur an Leichen mit eingesunkenem
Abdomen vorkommt, so glaube ich, dass die vordere Bauchwand, indem
sie sich der hinteren nàhert, nach und nach den welken collabierten
Diinndarm in den tiefen linken Seitenraum, welcher der Insertionslinie
der Gekrósewurzel am nächsten liegt, und in die Beckenhóhlung drängt.
Untersuchungen zur Anatomie des menschlichen Darmes. 939
So war es hóchst wahrscheinlich in meinem obigen ersten Fall; in dem
zweiten, wo das Abdomen nicht eingesunken war, übernahm der ge-
blähte Dickdarm die Rolle der vorderen Bauchwand, während in einem
anderen Fall (s. oben) die Leber eine ähnliche Einwirkung hatte. Als
begünstigendes Moment tritt das Eigengewicht der Dünndärme hinzu,
die infolge des schrägen Verlaufes des Gekröses die Neigung haben,
nach links hin zu fallen. Zweifellos spielt hierbei auch Kürze des
Darmes und geringe Breite des Gekróses eine Rolle.
Sernoff hat durch seine Untersuchungen gefunden, dass die Dünn-
darmzüge in gewissen Regionen der Bauchhóhle einen ganz bestimmten,
durch die Form des Gekróses vorgeschriebenen regelmässigen Verlauf
aufweisen. Auch ich habe oben diesen typischen Verlauf in einem
Falle nachgewiesen. Doch ist in vielen Fallen die Anordnung der
Schlingen eine ganz andere und oft treten neben den Sernoff’schen
andere Windungsgruppierungen auf. Im Hinblick auf letztere stehen
sich die Darstellungen von Henke und Weinberg einerseits und die
von Sernoff andererseits gegenüber. Es fragt sich, worin liegt die
Ursache dieses Widerspruches unter den Autoren?
Es erweist sich nun, dass das Mesenterium haufig sich der Làngs-
richtung des Darmes entsprechend in Falten legt. Diese Falten sind
die Ursache der Abweichungen von dem Sernoff’schen Schema. Wird
das Mesenterium von dem Darm befreit, so faltet es sich, wie immer
man es aufstellen mag, nach dem Sernoffschen Typus; geschieht da-
gegen die Faltung in der Längsrichtung des Dünndarmes, so ordnen
sich dem entsprechend die Schlingen des letzteren. Das in Chromsäure
gehirtete Mesenterium demonstriert dies in anschaulichster Weise.
Solche Falten kónnen entstehen durch den Druck benachbarter ver-
erósserter Darmschlingen oder von Nachbarorganen. Auf Tafel XIII hat
sich eine derartige Falte infolge von Auftreibung des Coecum gebildet.
Ein zweites Moment, welches auf die Richtung der Dünndärme
von Einfluss ist, wird dargestellt durch den ziekzackförmigen Verlauf
der Insertionslinie des Darmes und die dadurch bedingten Vorsprünge
an dem Mesenterium, welehe um so bedeutungsvoller sind, je grósser
ihre Ausdehnung.
Die Insertionslinie des Mesenteriums ist in den Fallen, wo sie
940 S. Stopnitzki, Untersuchungen zur Anatomie des menschlichen Darmes.
keine gebrochene Linie darstellt, ohne Einfluss auf die Richtung der
Schlingen. Wird das losgelóste Mesenterium auf einer ebenen Flàche
nach den in Tafel XII angegebenen Richtungen befestigt und seine Falten
nach der einen oder anderen Seite umgelegt, so ordnen sich letztere
immer in der nàmlichen Art und Weise.
Anders, wenn die Insertionslinie in der Richtung von M O G (Taf. XII)
verläuft. Die unbedeutende obere Gruppe zeigte hier horizontale, die
linke verticale Schlingen, die übrigen verliefen unregelmässig.
Die Ursache dieses Verhaltens ist augenscheinlich darin zu suchen,
dass die dem Stücke MO entsprechenden Schlingen mit denen des
Segmentes OG so an einander stossen, dass der Richtung des Darmes
parallele Schlingen sich entwickeln konnten.
Ich kann diesen Teil meiner Untersuchung mit folgenden Sätzen
schliessen. Man würde weit fehlgehen, den Schlingen des Jejuno-ileum
jede gesetzmässige Lagerung abzusprechen. Vielmehr ist eine solche
Gesetzmässigkeit nach meinen Beobachtungen bestimmt vorhanden. Die
Schlingen des Dünndarmes sind nach einem feststehenden Plan an-
geordnet, in Abhängigkeit von der Insertionslinie und der Breite des
Gekröses. In den verschiedenen Gruppen gehorcht die Richtung der
Windungen dem Sernoff’schen Schema unabhängig von dem Verlauf
der Insertionslinie des Mesenteriums.
Abweichungen in der Anordnung der Gruppen und in dem Verlauf
der Schlingen stehen in Zusammenhang mit den schon früher erwähnten
Bedingungen. Mit Rücksicht auf letztere lässt sich niemals mit Sicher-
heit bestimmen, welchem Darmabschnitt eine gegebene Schlinge an-
gehört. Eine praktische Verwertung der vorliegenden Befunde er-
scheint daher ausgeschlossen.
Herr Professor Carlo Giacomini, Director des Anat. Institutes zu Tuxin,
einer der Mitredacteure der Internationalen Monatsschrift, starb plötzlich am
5. Juli 1898.
Ein ausführlicher Nekrolog erscheint im nächsten Heft.
Buchdruckerei Richard Hahn (H. Otto), Leipzig.
OCT i4 1898
Beitrage zur pathologischen Histologie und Physiologie
der Ganglienzellen.
Von
Dr. W. H. Cox.
(Mit Tafel XIV.)
I. Die Spinalganglienzelle.
A) Nach Durchschneidung des peripherem Nerven.
Es ist gewiss ein grosses Verdienst, dass Nissl nachdrücklich und
beharrlich die Aufmerksamkeit der Neurologen auf den innern Bau
der Ganglienzellen gelenkt hat.
Seine wiederholten Hinweisungen auf die Unzulänglichkeit der
gebräuchlichen Fixierungsmittel für das Studium der Nervenzellen,
seine Empfehlung des Alkohols als einer für das Material weit besseren
Fixierungsflüssigkeit, vor allem aber die eigenartigen, mit seinen
Methoden gewonnenen Resultate wirkten bahnbrechend.
Allein die Ergebnisse waren nicht in jeder Hinsicht günstig.
Denn die Leichtigkeit, mit welcher die, von der Norm ab-
weichenden Zellen zu bestimmen waren, verführte im allgemeinen zu
einem fortwährenden Experimentieren und Anhäufen von Thatsachen,
wovon es im günstigsten Falle sehr zweifelhaft ist, ob sie für das
Studium der pathologischen geschweige der physiologischen Zustände
der Nervenzellen von irgendwelcher Bedeutung sein werden.
Es entstand wohl nach und nach eine ausgedehnte Pathologie
der Nervenzelle, jedoch — diese Pathologie ist eine Hieroglyphen-
schrift, zu welcher Niemand den Schlüssel hat.
Muss man doch so gut wie möglich die normale Zelle zum
Gegenstand eines eingehenden Studiums machen, ehe man versucht,
Internationale Monatsschrift für Anat. u. Phys. XV. 16
949 W. H. Cox,
pathologische Zustànde in Zellen resp. Nervenzellen zu erzeugen und
zu studieren.
Dazu jedoch reichte die Nissl’sche Methode nicht aus, und da
der Erfinder und viele andere nur diese benutzte, so war die Kenntnis
der normalen Zelle sehr mangelhaft, jedenfalls nicht genügend.
Zwar sah Nissl selbst den Irrtum, in welchen er zu verfallen
drohte, zur rechten Stunde ein, und versuchte diese Schwierigkeit zu
beseitigen, indem er ein neues Wort, sein sogenanntes Aequivalent
in die histologische Wissenschaft einführte, allein meiner Ansicht nach
kann er damit auf die Dauer keinen Histologen befriedigen.
Erstens nicht, weil er dieses Wort Aequivalent an zwei ver-
schiedenen Stellen in verschiedener Bedeutung gebraucht. Einmal
sagt er^): „es handelt sich vielmehr darum, ob wir im Stande
sind, aus den künstlich gewonnenen Erscheinungsformen der Nerven-
zellen des toten Gewebes jene morphologischen Gesetze abzuleiten,
die uns befähigen, im concreten Falle mit Sicherheit zu entscheiden,
ob diese Erscheinungsform einer gesunden Nervenzelle des lebenden
Gewebes entspricht und daher als ein Aequivalent der gesunden
lebenden Zelle aufzufassen ist, oder ob jene anzeigt, dass die bei der
Technik verwendeten Reagentien eine Veränderung dieser Aquivalent-
form hervorgerufen haben.*
Es zeigt sich deutlich, dass das Wort Aequivalent hier in der
Bedeutung gebraucht wird: gleich und gleichförmig der Zelle in
vivo; und er will sagen: wird das Aquivalent, hier also die Zelle
nach der Fixierung, Färbung etc., das Bild der Zellen darstellen, wie
dieses in vivo ist, oder werden die Reagentien die Zelle verändern?
Später versteht Nissl^) unter dem Aequivalent einer Nervenzelle
das mikroskopische Bild”) der im Gewebe vorhandenen Nervenzellen
des in einer bestimmten Weise getóteten Tieres, das sich bei einer
bestimmten Behandlung unter bestimmten Voraussetzungen erfahrungs-
gemäss mit einer gesetzmässigen Constanz ergiebt.
Es muss eingeräumt werden, dass die letzte Bedeutung des Wortes
1) Centralblatt f. Nervenheilkunde und Psychiatrie. Jahre: XNIIL Sal
Neurolog. Centralblatt. Bd. XV. S. 947.
Die Cursivierung ist von mir.
*)
3)
Beitráge zur pathologischen Histologie und Physiologie der Ganglienzellen. 943
Aequivalent, wiewohl etymologisch falsch, histologisch viel begreif-
licher ist.
Wir haben bei unseren mikroskopischen Pràparaten fast immer
mit sogenannten Aequivalenten im zweiten Sinne, viel richtiger Parallel-
formen, zu thun.
Wiewohl jeder Histologe dieses weiss und tief davon überzeugt
ist, hat man bis jetzt die Notwendigkeit nicht gefühlt, diesen Begriff
in den Vordergrund zu stellen. |
Spricht man doch niemals von einem Aequivalent der ver-
schiedenen Kernteilungsstadien. Sollte man einwenden, dass die
schónen Untersuchungen von Flemming u. a. auch an lebenden Zellen
verrichtet wurden, und er in vivo wahrnehmen konnte, was am
Präparat demonstriert wurde, so gebe ich dies gern zu für die
sogenannte chromatische Figur, keineswegs aber für andere bei der
Kernteilung sich zeigende nicht weniger typische Bildungen, deren
Dasein aber doch gewiss kein Histolog bezweifeln wird.
Die Abwesenheit dieses Zweifels hat ihren Grund in der Art der
Untersuchung, in der Anwendung verschiedener Methoden, welche iiber-
einstimmende, oder im wesentlichen gleichförmige Resultate hatten.
Will man nun fiir die Nervenzelle eine Anatomie schaffen, so
giebt es nur einen Weg, und dieser ist: ein genaues Studium der
normalen Nervenzelle nach verschiedenen Methoden und Färbungen,
geleitet von bestimmten Fragestellungen und sich stützend auf be-
stimmte Fille.
Auf diese Weise wird man sich vielleicht einmal über den Besitz
eines Bildes einer oder mehrerer Nervenzellen freuen kónnen, die nicht
ein Aequivalent im zweiten Sinne oder eine Parallelform, sondern ein
Aequivalent im ersten von Nissl gemeinten Sinne, mit anderen Worten
eim wirkliches Aequivalent darstellen.
Dass es notwendig ist, diesen Weg einzuschlagen, zeigt sich erstens
aus Nissls Urteil selbst, dessen Wert ich schon an einer anderen Stelle
ins Licht zu stellen versuchte!). Meint er doch, dass er die abweichenden
Formen „ausschalten“ dürfe. Wie schwach ein Standpunkt ist, bei
1) Anat. Hefte. Heft 31.
16*
244 W. H. Cox,
welchem man etwas „ausschalten‘ muss, brauche ich nicht auseinander-
zusetzen. Man darf nichts „ausschalten“, sondern soll sich fragen,
welchem Umstande die Abweichungen, die man antrifft, ihre Ent-
stehung verdanken.
An derselben Stelle wagte ich eine Erklàrung zu geben für die
Ursachen, welche ich als wahrscheinlich voraussetzte für die von
Nissl gefundenen Ausnahmen. "Vielmehr als aus Obenerwáhntem er-
hellt die Notwendigkeit, ein wirkliches Aequivalent von jeder Nerven-
zelle zu erlangen, aus der Thatsache, dass nur auf diesem eine wirk-
liche Physiologie und Pathologie sich aufbauen lässt.
Zweifelsohne muss man sich dafür teilweise stützen auf mikro-
skopische Bilder, die durch eine bestimmte Behandlung des Tieres
und der Zelle entstanden sind.
Aber, was nützen jene Bilder, wenn man zwar weiss, dass sie
gegenseitig nach verschiedenen Verletzungen der Neuronen abweichen,
wenn man nie weiter kommt, als immer nur Abweichungen in den
Bildern zu zeigen, ohne weder die Qualität noch die Quantität der
Abweichung begreifen resp. deuten zu können. Wir wünschen Bilder,
von welchen wir voraussetzen dürfen, dass sie Aequivalente in der
eigentlichen Bedeutung des Wortes sind. Bilder, die, ungeachtet der
Färbung etc., soviel wie möglich dem wahren Zustand der lebenden
Zelle entsprechen. Die sollen wir erst erforschen, und nur die.
Und wenn man dieselben findet, so genau wie es nur irgend
möglich ist, so wird man Nissls Aequivalente ') (lies Parallelformen)
für immer unbeachtet lassen.
Ich meinte, dass diese Aequivalentebetrachtung vorhergehen
müsste, weil es meines Erachtens sehr erwünscht ist, die Richtung,
in welcher die Nervenzellenpathologie sich bewegt, einigermaassen zu
verändern ?).
Dass zumal Nissls Methoden besser waren, als die früher an-
7) Neurolog. Centralblatt. Bd. XV. S. 948. Die wenigen von dem Aequivalent-
bild abweichenden Formen, . . . lässt er von vornherein unberücksichtigt, er
schaltet sie gewissermaassen aus.
?) Es ist einleuchtend, dass die oben geäusserten Beschwerden gegen Nissls
Methoden nicht von beträchtlichem Werte sind 1. wo dieselben für das Auf-
suchen der Ganglien resp. Zellen angewandt werden, aus welchem Nervenbahnen
Beitráge zur pathologischen Histologie und Physiologie der Ganglienzellen. 945
gewandten, wird Niemand bezweifeln; sie sind aber jedenfalls nicht
mehr die besten, was ich an der normalen Spinalganglienzelle zu
studieren im Stande war, und nach Verwundung des Spinalganglien-
Neurons habe ich an den kranken Zellen neuen Grund fir diese Be-
hauptung gefunden.
Von mir wurde der Plexus brachialis bei Kaninchen durchgeschnitten
und die Spinalganglien der Reihe nach untersucht 24 Stunden, 4, 8,
9, 17, 25 Tage, 3, 5, 6 Monate und 1 Jahr nach der Verwundung.
Ich benutzte für die Fixierung und Färbung nur die von mir
angegebenen Mischungen!) und Farbungsmethoden, und fand folgende
Veründerungen.
Im allgemeinen, was die Spinalganglienzelle betrifft, stimme ich
Nissls Ausspruch bei?): ,Die Aufhebung der Verbindung der Nerven-
zellen mit ihrem Endorgan ..... ruft in den Nervenzellen eine regres-
sive (?)*) Veränderung hervor. Ganz allgemein (S. 340) kann man
von sämtlichen Nervenzellenformen sagen, dass die Veränderungen zu-
nächst in einer Schwellung des Zellkörpers und in eigenartigen
Alterationen der sich fárbenden Substanzportionen . . . bestehen“. Was
die Alterationen selbst betrifft, sagt Nissl u. a. „es handelt sich um
eine körnerartige Umwandlung der färbbaren Substanzportionen mit
der Tendenz zur Rareficierung.“
Im einzelnen zeigt es sich, dass die Spinalganglienzellen nach
dem Durchschneiden des peripheren Nerven abweichend reagieren,
je nachdem sie dem Bau nach verschieden sind.
An anderer Stelle habe ich auf zwei Zelltypen von Spinalganglien-
zellen aufmerksam gemacht. Diese verschiedenen Typen behaupten
sich, was daraus hervorgeht, dass sie nach Verwundung des peripheren
Nerven auch verschieden reagieren.
Um eine richtige Einsicht in die Thatsachen zu ermöglichen,
ihren Ursprung nehmen; 2. wo man von einem pflanzlichen oder einem tierischen
Gifte oder von einer chemischen Substanz, welcher Art auch, wissen will, ob die-
selbe überhaupt das Nervensystem oder einen Teil desselben beeinträchtigt.
1) Anat. Hefte. Heft 31. Einigermaassen verbessert. Siehe diese Zeitschrift.
Bd. XV. S. 209.
*) Centralblatt f. Nervenheilkunde und Psychiatrie. Bd. XVI. S. 339.
3) Das Fragezeichen ist von mir. Ich werde mich später deswegen ver-
antworten.
246 W. H. Cox,
werde ich darum die Veränderungen der Zellen im Zusammenhang
mit den Typen beschreiben, bei denen sie vorkommen.
Die grossem Zellen des Typus I zeigen noch wenig deutliche
Veränderungen nach 24 Stunden. Höchstens scheinen bei mittlerer
Vergrösserung (400—500 fach) die Granula, weniger eckig und mehr
abgerundet, während die Schollen etwas kleiner sind. Nach 4 Tagen
jedoch sind die Veränderungen mehr in die Augen fallend: erstens in
Bezug auf die Lage der Granula. Man sieht nàmlich, dass sie an der
Peripherie und unmittelbar um den Kern herum vorhanden sind, an
der Peripherie immer, unmittelbar um den Kern dann und wann zu
einem Ringe angeordnet.
Zwischen den beiden Granularingen sieht die Zelle wie bestäubt
aus (Fig. 1 u. 2).
Dann und wann ist der Kern nach der Peripherie der Zelle hin
gerückt, scheint sogar aus derselben herauszutreten (Fig. 3), in
vielen Fällen jedoch bleibt der Kern bei diesen Zellen ungefähr in
der Mitte der Zelle.
Nach 4, 9 und 17 Tagen ist die Anzahl der auf diese Weise
veränderten Zellen gross; später nimmt deren Anzahl ab, und in
Präparaten 5 und 6 Monate nach der Durchschneidung trifft man nur
noch vereinzelte Ich traf weder eine Zelle dieses Typus an, in
welcher der Granularing an der Peripherie fehlte, noch eine, in welcher
keine Granula um den Kern herum lagen; in den meisten Fällen um-
Seben sie den Kern als eine Zone, welche mehr oder weniger diffus
in die mehr periphere Zone übergeht, aus der die Granula ver-
schwunden sind (Fig. 2).
Was die Granula selbst betrifft, sei folgendes bemerkt: sie be-
stehen, wie ich schon früher im Anschluss an von Lenhossek mitteilte,
aus einer sich wenig färbenden Substanz, in welcher gerade und ge-
knickte, sich stark färbende Fäserchen, Fäden und Körnchen ein-
gebettet sind und die durch ihre Anhäufung die sogenannten Granula
bilden. Ich füge hinzu, dass diese Fasern und Fäden sich zu einem
ziemlich verwickelten Netzwerk') in der Zelle vereinen, das besser
7) s. Die Selbständigkeit der Fibrillen im Neuron. Siehe diese Zeitschrift.
Bd. XV. 8. 209.
Beitrage zur pathologischen Histologie und Physiologie der Ganglienzellen. 947
sichtbar wird, wenn die sich farbenden Kórnchen zu Grunde gegangen
resp. verschwunden sind’).
Die grossen Zellen des Typus II:
Während man sehr leicht (schon nach 4 Tagen) veränderte
Zellen des Typus I findet, sind die Zellen des zweiten von mir
aufgestellten Typus nach 4 Tagen scheinbar noch unverändert.
Dennoch deuten die Granulabestandteile auf ein mehr oder weniger
Lockerwerden, während in Bezug auf die Form das typisch Läng-
liche sich weniger sichtbar darthut, und schliesslich die hell gefärbte
Zwischensubstanz der Granula weniger sichtbar ist.
Nach 9 Tagen aber fesseln die Spinalganglien, abgesehen von
den Veränderungen der andern Zellen, besonders die Aufmerksamkeit
durch den eigenartigen Anblick, den sie bieten durch die Zellen des
Typus II. Schon bei geringer Vergrösserung kann man dadurch das
kranke Ganglion vom gesunden unterscheiden.
Man nimmt nämlich an diesen Zellen wahr: ein Zusammenballen,
ein Zusammenklumpen (Conglomeration) der Granula um den Kern
herum (Fig. 4, 5, 6 u. 7).
Im Anfang, nach 9 Tagen z. B., hängen die Granula scheinbar
zusammen (Fig. 4) und erfordert es sogar einige Mühe, zu entscheiden,
dass man es wirklich mit Zellen dieses Typus zu thun hat.
Nach 17 und 25 Tagen (Fig. 5) jedoch erhalten die Granula
wieder mehr ihre gewöhnliche, längliche Gestalt, sodass Verwechselung
der Zellen unmöglich wird.
Ausserdem hilft uns für das Wiedererkennen solcher veränderter
Zellen dieses Typus sehr oft die Lage der Fibrillen in der Zelle (Tafel VII.
Fig. 3, 4 u. 5)°), die, wie früher bemerkt, als Bündel wahrzunehmen sind.
Man findet die grossen Zellen mit Zusammenballung der Granula
sogar in Präparaten 5 und 6 Monate nach Durchschneidung (Fig. 7)
in ziemlich grosser Menge vor, wenn die andern Zellen kaum mehr
vom normalen Aussehen abweichen.
1) Vergl. Flemming, Die Structur der Spinalganglienzellen etc. Archiv für
Psychiatrie. Bd. 29.
?) Die Selbständigkeit der Nervenfibrillen. Siehe diese Zeitschrift. Bd. XV.
S. 209.
948 W. H. Cox,
Je weiter entfernt der Zeitpunkt der Verletzung von dem der
Untersuchung ist, desto mehr nehmen die Granula wieder ihre eigene
langliche Form an (vergl Fig. 7 mit 4 u. 5). Auch sieht man
bisweilen später einzelne, zuweilen mehrere Granula an der Peripherie
(Fig. 6).
Wie lange die Zellen in diesem Zustand verbleiben, ob sie sogar
jemals ganz normal werden, kann ich vorläufig nicht entscheiden).
Die kleinen Zellen.
Nach der von mir gegebenen Einteilung der Spinalganglienzellen
gehören diese Zellen alle zum Typus I, jedoch sind einige gekenn-
zeichnet durch hell, andere durch dunkel gefárbtes Protoplasma.
Welchem Umstande diese helle oder dunkle Farbung zuzuschreiben
ist, habe ich damals nicht entscheiden können, und ich kann es bis
jetzt noch nicht. Eine differente Reaction in Bezug auf die Verwun-
dung habe ich nicht finden kónnen. Schon nach 24 Stunden, aber
viel mehr nach 4 und 9 Tagen, sieht man fast alle kleinen Zellen
auf eine merkwürdige Weise verändert. Erstens liegen alle Kerne
peripher (Fig. 8, 9 u. 10), zweitens haben sich die Granula grössten-
teils an dem Rand der Zelle vereinigt (Fig. 8).
Man trifft jedoch auch Zellen an, in denen in der Nähe des
Kerns Anhäufung der Granula stattgefunden hat (Fig. 9 u. 10).
Die Anhäufung liegt meistens seitlich am Kern. Der übrige
Teil der Zelle sieht bei geringer Vergrösserung wie bestäubt aus, bei
starker Vergrösserung zeigt es sich, dass die Bestäubung ihren Grund
hat in den kleinen Kórnchen und Fibrillen (Tafel VIL Fig. 6)°). Die
kleinen, dermaassen veränderten Zellen findet man noch nach 19 und
25 Tagen. Viel weniger kommen dieselben vor nach 3 Monaten, und
nach 5 und 6 Monaten fand ich deren keine mehr.
Damit aber sind die an kleinen Zellen sich findenden Ver-
änderungen noch nicht zu Ende.
In Präparaten, von Spinalganglien herrührend, die 25 Tage nach
7) Nach einem Jahre sind sie noch vorhanden.
7?) Die Selbständigkeit der Nervenfibrillen etc, Siehe diese Zeitschrift, Bd. XV.
S. 209.
Beitráge zur pathologischen Histologie und Physiologie der Ganglienzellen. 949
der Operation fixiert und präpariert wurden, trifft man hier und da
einzelne kleine Zellen an, die ein von den vorigen verschiedenes
Ansehen darbieten.
]. Erstens kommt es vor, dass ausser den Granulis im Innern der
Zelle auch der Granularing an der Peripherie zu einem grósseren
oder geringeren Teil verschwunden ist, sodass die Zelle entweder
keine oder nur vereinzelte Granula enthàlt (Fig. 11).
2. Zweitens sieht man kleine Zellen nur mit einem Granularing
um den Kern, sodass die Zellen, zwar verkleinert (Fig. 12), den
erossen Zellen des Typus II mit Verklumpung der Granula sehr
ähnlich sind (vergl. Fig. 5).
3. Zum Schluss nenne ich noch kleine Zellen, welche einzelne
Granula an dem Rand enthalten, einzelne hier und da durch die
Zelle zerstreut, einzelne in der Nahe des Kerns (Fig. 13).
Die Lage der Granula, wie ich sie unter 1, 2 und 3 beschrieben
habe, ist verhältnismässig selten. Es kann nicht geleugnet werden,
dass man leicht zu der Annahme verführt werden kónnte, die soeben
beschriebenen Veränderungen seien aufeinanderfolgende Stadien, dies
wäre aber eine Hypothese und ich ziehe es vor, in der Beschreibung
der Thatsachen fortzufahren.
Sowohl in normalen als in kranken Ganglien (mit denen hier
stets gemeint wird, krank infolge des Durchschneidens des peripheren
Nerven) trifft man Ganglienzellen an mit mehr oder weniger grossen
Vacuolen (Fig. 14 u. 15).
Die Anwesenheit dergleichen normal gefärbter vacuolisierter Zellen
weist nicht per se auf einen künstlich erzeugten kränklichen Zustand
des Ganglions.
Dies ist jedoch wohl der Fall bei den unten beschriebenen
Exemplaren von Zellen mit Vacuolen; diese kennzeichnen sich nicht
nur durch die folgenden Veränderungen, sondern auch durch helle
Färbung ihres Protoplasmas.
Ich traf sie an in Präparaten 25 Tage nach dem Durchschneiden.
Die Vacuolen sind zuweilen klein (Fig. 16), zuweilen grösser und
zahlreicher, ausserdem sind die Granula gänzlich oder bis auf einzelne
runde Körnchen fast ganz verschwunden.
250 W. H. Cox,
Im Kern geht das Kernnetz verloren, indem nur noch ein Rest
des Kernkórperchens in der Form stark gefárbter, kleiner Klumpen
nachzuweisen ist (Fig. 17). |
Sind die Vacuolen sehr gross, so verschwindet oft auch der
Kern, sodass nur noch einzelne membranöse, mit kleinen Körnchen
imprägnierte Faden, in der Höhle aufgespannt, den Rest der frühern
Zelle bilden (Fig. 18).
Was die Fibrillen betrifft, kann ich verhältnismässig kurz sein.
Sie gehen nach Durchschneidung des peripheren Nerven nicht zu
Grunde. Man kann sie durch die Abwesenheit der Granula in vielen
Zellen besser beobachten, als in normalen Zellen, und es zeigt sich,
dass nicht ein Netz durch die Fibrillen in der Zelle gebildet wird.
In einzelnen grossen Zellen des Typus II sieht man die grossen
Fibrillenbündel!) durch die Zelle laufen (Tafel VIL Fig. 3, 4 u. 5),
auch in den Zellen des Typus I, sowohl in den grossen als in den
kleinen, sind die Fibrillen viel besser sichtbar. (Tafel VII Fig. 1
und 6).
Nach 5 und 6 Monaten ist die grósste Zahl der Spinalganglien-
zellen erhalten geblieben, nur die weitaus geringste Anzahl geht
zu Grunde?)
Ich kann die Beschreibung der intracellulären Veränderungen
nach dem Durchschneiden eines Nerven nicht enden, ohne einer Er-
1) Die Selbständigkeit der Fibrillen im Neuron. Diese Zeitschrift. Bd. XV.
209.
2) Van Gehuchten kam zu ganz andern Resultaten. Er durchschnitt den
. vagus bei Kaninchen und meint (L'anatomie fine de la Cellule nerveuse XII me
Congrés international de Médecine tenu à Moscou) S. 63: La section du prolongement
périphérique d'une cellule des ganglions spinaux est suivie également, pendant les
premiers jours, qui suivent la lésion, de la dissolution des éléments chromato-
philes; mais cette cellule ne se conserve pas, elle n'est plus en état de réformer
les éléments chromatophiles utilisés, elle degenere et elle disparait. Der Autor
meldet jedoch, dass bei seinen Experimenten (S. 59) ausser der künstlichen Ver-
wundung des N. vagus auch Läsion des N. sympathicus an derselben Seite statt-
gefunden habe, und er unterlisst es, diesen Factor, von dem er weder die Qualitàt
noch die Quantität kennt, in Rechnung zu bringen bei dem Processe der Vagus-
"Ganglienzellen. Auch berücksichtigt er nicht die Möglichkeit einer Wirkung, z. B.
einer trophischen, welche der Nervus sympathicus vielleicht auf die Zellen des
Ganglions N. vagi haben kónnte, und meiner Vermutung nach auch wahrschein-
lich hat. |
n
zZ
Beitráge zur pathologischen Histologie und Physiologie der Ganglienzellen. 95]
scheinung zu erwähnen, die sehr merkwürdig ist und oft wahr-
genommen wird. Es wurde schon darauf hingewiesen, dass die
Granula die Neigung haben, sich um den Kern herum oder in dessen
Nähe zu versammeln resp. zu ordnen. Diese Neigung geht oft so
weit, dass sich gleichsam an irgend einer Seite des Kernes eine Art
Kappe befindet. So kann bei kleinen Zellen, in denen oft gar keine
Granula mehr wahrzunehmen sind, nur noch dicht an der Kern-
membrane ein Granulum in der Form einer halbmondförmigen Ver-
dickung liegen (Fig. 19, 20 und Tafel VIL Fig. 6).
Die oben beschriebenen, in Spinalganglienzellen wahrgenommenen
Veränderungen veranlassen mich, im Anschluss an die Untersuchungen
Dogiels, Ströbes u. a., einige Hypothesen aufzustellen. Zu einer end-
sültigen Antwort auf mehrere Fragen, die wir uns selbstverständlich
vorlegen, werden diese Ansichten nicht führen, vielleicht aber die
Richtung weisen, in welcher die Lösung gefunden werden könnte.
Bei einer Untersuchung mit der Methylenblaumethode fand
Dogiel?^) in den Spinalganglien zwei Typen von Zellen.
Der erste Typus, zu welchem er einen Teil der grossen und alle
kleinen Zellen rechnet, kennzeichnet sich durch T-Teilung des Axen-
eylinders.
Die aus der Teilung entstandenen Fasern wenden sich zur
Peripherie und zum Centrum (Rückenmark).
Der zweite Typus, in geringerer Anzahl, besteht aus Zellen,
welche auch zu den grösseren gehören, deren Ausläufer jedoch sich
öfters teilen und in den Ganglien pericapsulare und pericellulare
Körbchen um die Zellen des Typus I bilden.
Auf ganz anderem Wege, durch das Studium der Form und Lage
der Granula und der Fibrillen, habe auch ich die Spinalganglienzelle in
zwei Typen eingeteilt.
Auch ich rechne zum ersten Typus”) alle kleine und den grössten
5h db
*) Internationale Monatsschrift für Anatomie und Physiologie. Bd. XIV.
*) Anat. Hefte. Heft 31.
952 Wisk Cox,
Teil der grossen Zellen; diese Zellen kennzeichnen sich durch einen
centralliegenden Kern und durch Granula, die sehr unregelmässig
durch die Zelle zerstreut liegen, mit Ausnahme der Granula an der
Peripherie, die in den grossen Zellen, sowie in den kleinen Zellen
öfters einen Ring bilden.
Als einen zweiten Typus betrachte ich grosse Zellen mit
excentrischem Kern und länglichen Granulis, welche zuweilen con-
centrisch um den Kern liegen.
Schon damals suchte ich einen Zusammenhang zwischen den von
mir nachgewiesenen Typen und denen von Dogiel, die ich aus seiner
vorläufigen Publication kannte‘). Die Anknüpfungspunkte waren aber
noch sehr gering und bestanden nur in der Thatsache, dass Dogiels
Zellen des Typus II, sowie die von mir gleichbenannten in geringerer
Anzahl als die anderen vorkommen, während wir beide die kleinen
Zellen zum ersten Typus rechnen.
Jetzt aber, nach den Durchschneidungsversuchen, sind mehrere
Gründe da, die mich aufs neue nötigen, einen Zusammenhang zwischen
den von uns nachgewiesenen Typen anzunehmen. Die Zellen des
Typus I nämlich zeigen schon Veränderungen nach 4 Tagen, während
die Zellen des Typus II noch gesund scheinen; letztere erkranken
also erst später und dies weist auf eine erst secundär erfolgte Er-
krankung der Zellen des Typus IL.
Bei der Durchschneidung des peripheren Nerven werden die
peripheren Ausläufer der Zellen Typus I von Dogiel verletzt, diese
Zellen müssen denn auch frühzeitig und primär erkranken. Erst
später, und secundär, wird der Reiz auf die Körbchenzellen (Dogiels
Typus II) übertragen, welche mittelst ihrer Körbchen die Zellen des
Typus I unter einander vereinigen.
Wenn, wie es sich hier zeigt, die Erklärung mit den Thatsachen
stimmt, kommt es mir nicht sehr gewagt vor, vorauszusetzen, dass
Dogiels Typen und die meinigen identisch sind.
Die Veränderungen, welche die Zellen des zweiten Typus zeigen
(Fig. 4—7), werden also entstehen durch Reize mässiger Intensität;
i RANA Anzeiger. Bd. xl: de
= Se " en
ee = > m mm u‘
Beitrige zur pathologischen Histologie und Physiologie der Ganglienzellen. 953
sie kennzeichnen sich bekanntlich durch das Zusammenballen der
Granula um den Kern herum und ihr Verschwinden im übrigen Teil
der Zelle =).
Beides weist auf die Neigung der Granula, sich in der Nahe des
Kerns zu vereinen, auf eine centripetale Verklumpung.
Inzwischen zeigen auch die Zellen des Typus I die schon dem
Kerne zugeschriebene Neigung. Bei den grossen Zellen findet man
Granula um den Kern herum, und bei den kleinen ófters die Granula
in der Form eines Klumpens in der Nahe des Kerns (Fig. 1, 2, 9 u. 10);
zwar bleibt bei beiden Zellarten der Ring der Randgranula in Wesen,
wahrend bei den kleinen Zellen sehr oft nur der Rand übrig bleibt.
Besonders letztere scheinen deshalb in der Reaction ihres Inhalts einen
vollstàndigen Gegensatz mit den Zellen des Typus II zu bilden.
Dennoch meine ich, dass dies nicht wirklich der Fall ist, und
betrachte es nicht als gewagt, zu behaupten, dass die kleinen Zellen
mit Verklumpung der Granula in der Nàhe des Kernes und ohne die-
selbe aufeinanderfolgende Stadien sind; die Zellen ohne Verklumpung
stellen das vorgerücktere Stadium dar. Nach diesen Betrachtungen ist
7) Wenn sich spáter zeigen sollte — was natürlich nicht unmóglich ist — dass
diese Auffassung unrichtig wire, und die beschriebenen Abweichungen der Zellen
nicht die Folge ungleichartiger Reize verschiedener Zellen sind, sondern z. B. ihr
Entstehen einem Unterschied in der Intensität des Reizes verdankten, sich äussernd
in einem verschiedenen pathologischen Zustande gleicher Zellen, dann erst würde
Nissl Recht haben mit der Behauptung (Allgem. Zeitschrift f. Psychiatrie. Bd. 54.
S. 75): ,Man kónnte auch hier wieder nach der jeweiligen Art . . . eme Reihe
von Typen aufstellen“, und weiter: „Von principieller Wichtigkeit ist, dass alle Spinal-
ganglenzellen . . . die gleiche Structur zeigen, und dass die Unterschiede, die die
färbbaren Substanzportionen dieser Zellart offenbar besitzen. nicht zu den wesent-
lichen und integrierenden Dingen der Spinalganglienzellen gehören.“ Aber dann
muss erklürt werden, wie es kommt, dass das totale Durchschneiden emes Nerven,
mit anderen Worten eme mechanische Verwundung, welche gleichzeitig und schein-
bar mit derselben Kraft einwirkt auf die gleichen Zellen, zu dergleichen ver-
schiedenen Erscheinungen führen kann.
So lange diese Erklärung fehlt, meine ich im Rechte zu sein, auch mich
stützend auf meine Resultate: 1. verschiedene Lage der Granula, 2. verschiedenen
Lauf der Fibrilen, 3. verschiedene Reaction infolge derselben mechanischen Ver-
wundung, zu sagen: die Spinalganglienzellen sind zweifelsohne verschieden im Bau
und wahrscheinlich in Function; und deshalb: „Man muss . . . eme Reihe von
Typen aufstellen!“ (Dogiels Resultate lassen in Hinsicht dieser Voraussetzungen
kemen Zweifel mehr übrig.)
254 W. H. Cox,
es einleuchtend, dass man auch bei den Zellen des Typus I und des-
halb im allgemeinen annehmen kann, dass das Durchschneiden einen
Reiz ausübt, welcher zur Folge hat, dass der Kern die Granula
anzieht, welche Erscheinung alle Zellen gemein haben, mit geringer
Abweichung, je nach ihrem Typus, während bei stärkerem Reiz auch
die Granula in der Nàhe des Kerns (Fig. 8 u. 9) und schliesslich alle
Granula verschwinden (Fig. 11), gleichsam zur Auflósung gelangen.
Werden die Zellen durch Ursachen, die wir nicht kennen, noch
stirker angegriffen, so wird Vacuolisation in all ihren aufeinander
folgenden Stadien und der ganze Untergang der Zelle die Folge sein.
Sind die Veründerungen, wie wir sie in den Zellen wahrnehmen,
progressiv oder regressiv?
In einem Sammelreferat unter dem Titel: Die allgemeine Histologie
der degenerativen und regenerativen Processe im centralen und
peripheren Nervensystem nach den neuesten Forschungen") sagt
Ströbe richtig, dass Nissls Ansicht, als wären die Veränderungen, die
in den Zellen vorkommen, nach der Hinwegschneidung der End-
apparate regressiv, im Widerspruch ist mit den wahrgenommenen
Erscheinungen der verletzten Nervenenden.
Merkt man an diesen doch gerade zur selben Zeit ein pro-
sressives Auswachsen der Axencylinder. Die Veranlassung zu diesem
Process wird ganz gewiss von der Zelle ausgehen müssen.
Aus der Untersuchung von Ströbe wissen wir auch, dass die
Axencylinder sich sehr gut regenerieren.
Ich kann noch hinzufügen, dass die Fibrillen in den Zellen,
auch wo die Granula grösstenteils verschwunden sind (Tafel VII’),
noch anwesend und sehr leicht sichtbar sind, dass sogar Fibrillen
vorkommen in vacuolisierten Zellen. Diese Wahrnehmungen bestätigen
näher Ströbes Ansicht, die denn auch wahrscheinlich wohl die richtige
sein wird.
Am Ende wird also in der Zelle ein Stadium eintreten, in
welchem sie und namentlich ihr Inhalt sich dem neuen Axencylinder
!) Centralblatt f. allgem. Pathologie und pathol. Anat. Bd. VI. S. 904.
?) Die Selbständigkeit der Nervenfibrillen etc. Siehe diese Zeitschrift. Bd. XV.
a o
— in _
Beiträge zur pathologischen Histologie und Physiologie der Ganglienzellen. 955
accomodiert hat a) mit seinen normalen, falls die Nervenenden an-
einander gelegt sind und vollkommene Regeneration stattfand, oder
b) mit seinen abnormalen Reizen, wo solches nicht der Fall war.
In unseren Kaninchen waren die Reize stets abnormal, da die
Nerven derart durchschnitten wurden, dass ein Zusammenwachsen un-
möglich war. Daher wahrscheinlich die sonst unerklärliche Erscheinung,
dass die Veränderungen in den Zellen des Typus II constant bleiben
bis sogar nach 6 Monaten (Fig. 7) und einem Jahre, zu welcher Zeit
die Zellen des Typus I wenige oder keine leicht bemerkbare Ver-
änderungen zeigen.
Ich spreche stets in Bezug auf die Granula von ganz sichtbaren
auffälligen Veränderungen, die mit 300 maliger Vergrösserung leicht
wahrnehmbar sind.
Bei Pflanzenzellen hat Haberlandt') wahrgenommen, dass der
Kern eine Stelle einnimmt an jener Seite der Zelle, wo eine starke
Entwicklung der Zellmembran stattfindet.
Wäre die veränderte Lage der Kerne in den Spinalganglien-
zellen vielleicht einer analogen Wirkung zuzuschreiben? Es ist sehr
wahrscheinlich; jedoch in Fig. 3, wo auch der Ursprungshof des
Axencylinders sichtbar ist, liegt der Kern ersichtlich nicht gerade
nahe an jener Stelle, und für die kleinen Zellen, in denen die Kerne
fast immer excentrisch sich befinden, gelang es mir nicht, diese Frage
entscheidend zu beantworten.
Jedenfalls ist die Ortsveränderung des Kerns sehr wahrscheinlich
ein Process, identisch mit dem von Haberlandt wahrgenommenen.
Die Anziehungskraft zwischen Kern und Granula, und besonders
die grössere oder geringere Anhäufung der Granula an der Kern-
membran (Fig. 19 u. 20; Taf. VII. Fig. 6), erinnert an die Wahr-
nehmungen von Korschelt?); nur bleibt hier die Kernmembran rund,
7) Verworn (Allgemeine Physiologie S. 520): „Die Untersuchungen von Haber-
landt betreffen die Wachstumserschemungen der Zellmembrane. An einem umfang-
reichen Material hat Haberlandt festgestellt, dass‘. . ., auch wo Regenerationen der
künstlich verletzten Zellwand eintreten, kurz, dass in allen Fällen, wo eine besondere
Entwicklung des Zellwandmaterials stattfindet, der Kern sich immer der Seite an-
lagert, an welcher diese Wachstumsvorgänge localisiert sind.“
?) Verworn S. 520: „Das Verhalten und die Lage des Kerns der Eizelle zu
diesem Nährmaterial ist nun sehr charakteristisch. Von dem Nährsack zieht eine
256 W. H. Cox,
und werden die Granula (die Nahrung?) entweder von dem Kern oder
von der Zelle selbst ausgeschieden. Und damit sind wir von selbst
zu der Frage angelangt: Müssen die Granula aufgefasst werden als
Nahrung?!) und wenn es sich so verhält, wird die Nahrung abgeschieden
vom Kern oder von der Zelle; und schliesslich, wird dieselbe verbraucht
von dem Kerne oder von der Zelle? In Hinsicht auf die oben be-
schriebenen Erscheinungen und die daran angeknüpften Erörterungen
kommt es mir nicht unwahrscheinlich vor, dass auf die erste Frage be-
jahend geantwortet werden kann.
Wenn nämlich die Zelle unter einem starken Reiz gebracht wird mit
Neigung zur Regeneration ihres Ausläufers, begeben sich die Granula
nach dem Kern und verschwinden im weiteren Teil der Zelle.
Später, wenn der Reiz nach und nach geringer wird, werden die
Granula aufs neue gebildet.
Wo werden sie gebildet?
In einigen Zellen, in Präparaten von 25 Tagen, hat es den An-
schein, dass die Granula durch die ganze Zelle aufs neue entstehen und
wachsen, in anderen (Fig. 12 u. 13), in diesem Falle in kleinen Zellen,
dass die Granula aus dem Kern neugebildet werden.
Ich kann freilich nicht leugnen, dass ich mich hiermit auf das
unsichere Gebiet der Uebergänge und Stadien wage, welche man zwar
nebeneinander, nicht ineinander übergehend, sieht; die Erfahrung hat
gelehrt, dass dieses Gebiet sehr fruchtbar für Speculationen ist, aber
auch für falsche Deutungen, und deshalb ist es erwünscht, sich bewusst
zu werden, wenn man sich auf demselben befindet, während die Vor-
sicht gebietet, dieses Terrain so bald wie möglich zu verlassen.
Körnermasse, das Nährmaterial, in die Eizelle hinein, und zwar lagert es sich der-
artig, dass es direct mit dem Kern in engste Berührung kommt. Das Interessanteste
aber, was die Activität des Kerns dem Nährmaterial gegenüber ganz augenfällig
macht, ist, dass der Kern in die Körnermasse hinem, und zwar nur nach der Seite
hin, wo dieselbe ihn berührt, spitze pseudopodienartige Ausläufer entsendet und
so seine Oberfläche an der Berührungsstelle mit dem Nährmaterial in ausgiebigster
Weise vergrössert.“
1) Kinétoplasma von Marinesco (Comptes rendues des séances de l’académie
des sciences 1897); Träger potentieller Energie nach Juliusburger (Neurol. Central-
blatt 1896); Nährmaterial während der funktionellen Thätigkeit nach Ramon y
Cajal (Monatsschr. f. Psychol. u. Neurol. 1897).
a re tt tt
4
4
]
Beiträge zur pathologischen Histologie und Physiologie der Ganglienzellen. 957
Auf die dritte Frage antwortete ich schon, als ich die Meinung
äusserte, dass die Stelle, welche die Granula in der Zelle, zumal in
Bezug auf den Kern und auf die Kernmembran, einnehmen, auf einen
möglichen Uebergang der Granulabestandteile in den Kern hinweist.
Deventer, Mai 1898.
Erklirung der Figuren.
Die Vergrósserung der Photos ist für die Fig. 1—18 700 fach!), für die Fig. 19
und 20 1200 fach!) Sie sind angefertigt mittelst Zeiss’ Camera; Obj. Homog. Imm.
3 mm N. A. 1,40 und Projectionsocular 2. Die Belichtung fand statt mit Kalk-
licht durch Zettnows Kupfer-Chromfilter. Die Platten waren m Erythrosin gebadeten
Marionplatten.
Die Präparate stammten aus Spinalganglien von Kaninchen, und waren in
meinem Formolgemisch gehártet und mit Methylenblau (Xylol-Alcohol) gefärbt.
Fig. 1 Tafel XIV ist eine grosse Zelle des ersten Typus aus einem Priiparat eines
Kaninchens, dessen Spinalganglien gehärtet wurden sofort nach dem Tode,
der 9 Tage nach der Operation durch Chloroformnarkose und Verblutung
stattfand. An dieser Zelle ist die Lage der Granula um den Kern herum
und an der Peripherie sehr deutlich wahrnehmbar; zwischen diesen Granula-
ringen sind fast keme oder nur sehr kleine Kórnchen vorhanden. Der
Kern liegt noch m der Mitte der Zelle.
Fig. 2. Grosse Zelle des Typus I, 4 Tage nach der Verwundung. Der periphere
Granularand ist ganz sichtbar; um den Kern ist eine Zone von zwar
auseinander liegenden, aber ziemlich grossen Granulis.
Fig. 9 stellt eine grosse Zelle des Typus I dar, 4 Tage nach der Verwundung.
Ausser dem Heraustreten des Kernes tritt sehr in den Vordergrund das
Geschwollensem desselben. Die Vergrósserung ist hier und bei allen
übrigen und vorher abgebildeten und beschriebenen Zellen 700fach!).
ip. 4 zeigt eine grosse Zelle des zweiten Typus, 9 Tage nach der Operation.
Grosse zusammenhiingende Brocken (Substanzportionen Nissls) um den
Kern herum, hier und da der Kernmembran dicht anliegend. An der
Peripherie gar keme Granula.
Fig. 5 ist eine grosse Zelle des Typus II, 25 Tage nach der Operation. Starkes
Zusammenballen der Granula um den Kern, Abwesenheit derselben an
der Peripherie.
1) Diese Vergrósserung ist bei Reproduction auf ?/, zurückgeführt worden.
Internationale Monatsschrift für Anat. u. Phys. XV. 17
258
Fig.
Fig.
Fig.
Fig.
W. H. Cox, Beitrige zur pathologischen Histologie etc.
6. Grosse Zelle des Typus Il, 3 Monate nach der Operation. Der Durch-
schnitt der Zelle ist in der Richtung, die uns die Excentricität des Kerns
sichtbar macht; hier sind noch mehr Granula vorhanden als gewöhnlich.
7. Grosse Zelle des Typus II nach 6 Monaten. Durch die Haematoxylin-
färbung ist ein Teil der Fibrillen sichtbar. Einzelne Granula liegen an
der Peripherie. Die Form der Granula ist entschieden länglich.
8. Drei kleine Spinalganglienzellen, 9 Tage nach dem Durchschneiden,
periphere Lage der Granula und des Kernes sichtbar.
. 9 u. 10. Kleine Spinalganglienzellen, 9 Tage nach der Operation. In der
Fig. 9 ist eine Zelle, in der Fig. 10 sind zwei Zellen mit einem Granula-
klumpen in der Nähe des nach der Peripherie hin gerückten Kernes.
. ll. Zwei kleme Zellen aus einem Priiparat von 25 Tagen. Noch vereinzelte
Substanzportionen am Rande sind sichtbar. Uebrigens enthalten die
Zellen nur áusserst kleme Kórnchen.
12. Kleine Spinalganglienzelle, 25 Tage nach der Operation, mit sichtbarem
Zusammenklümpern der Granula um den Kern herum.
. 18. Kleine Spinalganglienzelle, 25 Tage nach der Operation. Der grössere
Teil der Granula liegt um den Kern herum, auch sieht man vereinzelte
Substanzportionen durch die Zelle zerstreut, und ist überdies noch ein
Teil des Granularandes da.
14 u. 15 sind zwei Zellen, 14 aus einem Priparat 9 Tage und 15 aus
einem Ganglion 25 Tage nach der Operation. In beiden Zellen sind die
Kerne noch vorhanden. Der Kern von Fig. l5 sieht nicht ganz normal
aus; das Kernkórperchen ist zwar nicht sichtbar, aber dennoch in dieser
Zelle erhalten. Kerne und Granula sind normal gefärbt; auch die In-
tensitát der Farbung ist nicht beeintráchtigt.
. 16. Kleine Zelle aus einem Priparat von 25 Tagen. Drei Vacuolen sind gut
sichtbar; Granula findet man nur hier und da an dem Rande vor.
. 17. Zelle aus einem Präparat, 25 Tage nach der Operation. Zahlreiche
Vacuolen sind sichtbar; ungefähr in der Mitte liegt der Kern, welcher zwei
an der Peripherie liegende Kernkórperchen enthält.
18. Zelle aus einem Präparat von 25 Tagen.
19 u. 20. Kerne verschiedener Spinalganglienzellen mit anliegenden Granulis.
(Aus dem anatomischen Institut zu Tübingen.)
Beobachtungen tiber den Bau der Nervenzellen der
Spinalganglien und des Sympathicus beim Vogel.
Von
Dr. D. Timofeew,
Kasan.
(Mit Tafel XV.)
Die Frage nach dem feineren Bau der Nervenzellen ist in den letzten
Jahren unausgesetzt ein Gegenstand des Interesses der Histologen und
Neuropathologen gewesen. Die einschligigen Untersuchungen sind be-
reits auf die verschiedensten Tierarten ausgedehnt worden; nur eine
einzige Tierclasse ist hierbei merkwiirdigerweise so gut wie ganz un-
berücksichtigt geblieben: die Classe der Vögel. Nicht nur ausführlichere
Untersuchungen, ja selbst kürzere gelegentliche Bemerkungen ver-
missen wir hierüber in der neueren Litteratur, und die paar Andeutungen,
die ich hierüber auffinden konnte, und die im Laufe meiner Arbeit an-
geführt werden sollen, stammen mit geringen Ausnahmen aus der Zeit
vor dem Beginn der neuen, durch die Arbeiten von Nissl u. a. ge-
kennzeichneten Aera auf diesem Forschungsgebiet.
Ich habe daher mit Vergnügen der Aufforderung des Herrn Pro-
fessor v. Lenhossék, dieses Thema zum Gegenstande meiner Unter-
suchungen zu wählen, Folge geleistet, und möchte in folgendem speciell
über die Beobachtungen berichten, die ich an den Spinalganglienzellen
und den Nervenzellen des Sympathicus der Vógel gemacht habe.
17*
260 D. Timofeew,
Als Untersuchungsobjecte benützte ich Tauben und Hühner. Zur
Fixierung bediente ich mich folgender Flüssigkeiten: 1. Sublimat in
gesättigter Lösung nach Heidenhain; 2. Formaldehyd 5°/,; 3. Sublimat
conc. + Pikrinsäure conc. aa (Rabl-Schaffer); 4. Sublimat conc. + Form-
aldehyd 5°/, aa; 5. Zenker'sche, 6. Carnoy’sche, 7. Hermann’sche Lósung.
Weitaus die besten Ergebnisse habe ich erhalten bei Anwendung der
Lösungen von Zenker und Carnoy'). Sie haben den grossen Vorteil,
an dem Protoplasma der Nervenzellen nur in sehr geringem Maasse
Schrumpfungen hervorzurufen. Die Zellen bewahren dabei sehr gut
ihre Form und füllen die Kapselhöhle schön aus; die allen Einwirkungen
gegenüber so empfindliche helle Randzone, die auch bei den peripherischen
Nervenzellen der Vógel vorhanden ist, bleibt an den meisten Zellen
völlig unbeschädigt, was bei Anwendung der meisten anderen Flüssig-
keiten nicht oder wenigstens nicht so regelmässig der Fall ist. Die
Zenkersche Lósung fixiert, wie mir scheint, den Zellkórper sowohl in
seimer Form wie auch in seiner inneren Beschaffenheit besser als die
von Carnoy, doch ist letztere ihr in Betreff der Fixation des Kerns
überlegen. Die Fixierung nach Carnoy hat daneben noch den besonderen
Vorteil, dass dabei das Tigroid eine ausserordentlich scharfe Färb-
barkeit aufweist, was sich daraus erklärt, dass dieses Gemisch als Haupt-
bestandteil Alkohol enthält. Bekanntlich erhält man bei der reinen
Alkoholfixierung die schárfste Tigroidfarbung mit basischen Anilinfarben,
doch ist diese Fixierung unvorteilhaft wegen der damit verbundenen
starken Schrumpfung des Zellplasmas. In dem Carnoy'schen Gemisch
wird diese Schrumpfung, wie es scheint, durch das Chloroform verhindert,
während durch den Essigsáurezusatz das deutliche Hervortreten der
Zellstructuren und der Kernstructur gewährleistet wird. Noch bessere
Resultate geben die beiden genannten Gemische bei der Fixation des
Nervensystems von Vogelembryonen. Auch die Hermann'sche Lósung
fixiert die Nervenzellen in befriedigender Weise, doch gelingt die
Färbung an den damit behandelten Objecten nicht so gut wie bei
anderen Fixierungen. Formol kann ich zur Fixierung nicht empfehlen.
Die den verschiedenen Gebieten des Rumpfes und Halses ent-
1) Alc. abs. 6 Teile, Chloroform 3 Teile, Eisessig 1 Teil Sie wird auch viel-
fach (z. B. von Held) als Van Gehuchten’sche Flüssigkeit angeführt.
Beobachtungen über den Bau der Nervenzellen etc. 96]
nommenen Spinal- und sympathischen Ganglien wurden in der Carnoy-
schen Flüssigkeit 5— 18 Stunden lang belassen und dann sofort auf
2 Tage in absoluten Alkohol übertragen, wonach sie in Paraffin ein-
gebettet wurden. In der Zenkerschen Lósung blieben die Objecte
24 Stunden, wurden dann, nach 24 stündigem Auswässern in fliessendem
Leitungswasser, in allmählich steigendem Alkohol, von 50°/, ab, ge-
hàrtet. Die Einbettung in Paraffin (54°) wurde unter Benützung von
Chloroform oder (mit besserem Erfolg) von Bergamottöl vorgenommen.
Die Schnittdicke schwankte zwischen 3—8 «; die Schnitte wurden mit
Eiweissglycerin und destilliertem Wasser auf dem Objectträger fest-
geklebt.
Zur Färbung des Tigroids in den Nervenzellen erhielt ich vor-
treffliche Resultate mit der Doppelfärbung Toluidinblau-Erythrosin, nach
der Methode des Herrn Prof. v. Lenhossek. Die auf dem Objectträger
befestigten Schnitte werden hierbei. auf 6—18 Stunden in eine gesättigte
wässerige Lösung von Toluidinblau gelegt, dann, nach oberflächlicher
Abspülung mit Wasser, über dem Bassin der Wasserleitung, neben
dem geöffneten Wasserhahn mit ein paar Tropfen einer gesättigten
wässerigen Erythrosinlösung bedeckt, fast in derselben Secunde aber
schon mit fliessendem Leitungswasser abgewaschen. Diese rasche Art
der Erythrosinfärbung erfordert eine grosse Vorsicht, damit keine
Ueberfärbung eintritt, doch ist dies das beste Verfahren, um zu ver-
hindern, dass das Toluidinblau bei der Nachfärbung durch den sauren
Farbstoff verdrängt wird. Nach der Färbung wurden die Präparate
rasch in absolutem Alkohol entwässert, in Xylol aufgehellt und in
Kanadabalsam eingeschlossen.
Viel schwieriger als die Färbung des Tigroids ist eine gute Fürbung
der Grundsubstanz der Nervenzellen. Ich habe eine ganze Reihe von
zu diesem Zweck empfohlenen Methoden durchprobiert und auch neue
Farbencombinationen versucht. Ich will nur die zwei Methoden her-
vorheben, die mir die besten Ergebnisse geliefert haben: die Eisenhaema-
toxylinfärbung nach M. Heidenhain mit einer Nachfärbung in Erythrosin
und die Doppelfärbung in Bleu de Lyon und Saffranin nach G. Mann’).
1) G. Mann, On the preparation of nerve cells for investigation. Journal of
Anat. and Physiology. 1894. p. 166.
962 D. Timofeew,
Zur Untersuchung der Kernstructur und des Verhaltens der
Nucleolen bediente ich mich mit dem besten Erfolge der Ehrlich-Biondi-
schen Färbung und der Methode von Oppel (Methylgrün-Eosin-Säure-
fuchsin *).
Am leichtesten lassen sich die Spinalganglien und Grenzstrang-
ganglien aus dem Halsgebiet gewinnen. Auch sind sie hier, nament-
lich im untern Bereich des Halsteiles, entsprechend den starken, die.
Flügel innervierenden Nerven, am gróssten. Die beiden Ganglien liegen
hier so dicht beisammen, dass man sie im Zusammenhange heraus-
präparieren, weiter behandeln und in Schnitte zerlegen kann, was
natürlich für die Untersuchung sehr bequem ist. Man bekommt au
solchen Schnitten sehr übersichtliche Bilder des topographischen Ver-
haltens der beiden Ganglien zu einander, ja auch der Verlauf der aus
den Ganglien entspringenden Faserbündel lässt sich mit grosser Klar-
heit verfolgen, indem die sympathischen Bündel durch ihre dichtere
Structur, ihren Kernreichtum, ihre Marklosigkeit inmitten der mark-
haltigen spinalen Faserbündel sehr lebhaft hervortreten, besonders an
Schnitten, die mit Eisenhaematoxylin und Erythrosin oder Toluidinblau
und Erythrosin gefärbt sind. Fig. 1 giebt einen derartigen Schnitt
wieder. Das Grenzstrangganglion erscheint nur wenig kleiner als das
Ganglion spinale, es ist von diesem durch die vordere Wurzel getrennt,
die zwischen beiden in den gemeinsamen Spinalstamm eindringt.
Von dem dreieckigen sympathischen Ganglion geht an seinem lateralen
Winkel ein kleines, ganz aus marklosen Fasern bestehendes peripherisches
Aestchen ab, das mit den Spinalnerven parallel dahinzieht. Man kann
aber ganz deutlich feststellen, dass aus dem Ganglion auch an seiner dem
Spinalnerven angelóteten Seite Nervenbündelchen entspringen: ein peri-
pherisches, das gleich in den Spinalnerven umbiegt und darin sich eine
Strecke weit verfolgen lässt, und ein centripetales, das bestimmt in das
Spinaleanglion eindringt und sich darin dem Blicke entzieht. Ebenso
sicher lässt sich aber auch feststellen, dass aus der vorderen Wurzel ein
kleines markhaltiges Bündelchen das sympathische Ganglion betritt. Wir
gelangen somit zu einem ähnlichen Schema der gegenseitigen Beziehungen
7 s. B. Rawitz, Leitfaden für histologische Untersuchungen. 2. Aufl. Jena
1895. 8. 71.
Beobachtungen über den Bau der Nervenzellen etc. 263
der Spinalwurzeln und des Sympathicus beim Vogel, wie es sich in
Raubers Anatomie!) findet.
Sowohl die Spinalganglien wie die sympathischen Ganglien sind
beim Vogel von einer verhältnismässig schwachen bindegewebigen Hülle
umgeben, die sich auf die aus den Ganglien entstehenden Stàmme fort-
setzt. Das interstitielle Bindegewebe der Ganglien zeigt eine sehr
schwache Entwickelung, namentlich wenn man es mit den entsprechenden
Verhältnissen bei den grossen Säugern, z. B. beim Menschen, vergleicht.
Man erhält einen sehr guten Ueberblick über die quantitative Ent-
wickelung dieses bindegewebigen Stromas durch die Ehrlich-Biondi'sche
Farbung oder die Methode von Oppel; bei beiden, besonders aber bei der
letzteren wird das Bindegewebe durch das Säurefuchsin lebhaft rot
gefärbt.
An den Längsschnitten tritt uns eine interessante Eigentümlich-
keit der Spinalganglien der Vögel entgegen, die bisher nicht beobachtet
worden zu sein scheint. Inmitten des Ganglions, bald tiefer, bald näher
der Oberfläche, findet sich eine ziemlich ansehnliche, rundliche An-
häufung von Lymphocyten, ein wahres Lymphknötchen (Fig. 2). Ich
habe diese Bildung in keinem einzigen der von mir untersuchten
Ganglien vermisst; ja manchmal fand ich in einem Ganglion zwei
oder selbst drei Knötchen. An dünneren Schnitten lässt sich trotz der
dichten Lagerung der Lymphocyten nachweisen, dass diese in ein
typisches reticuläres Gewebe eingelagert sind. In der Mitte des
Knötchens findet sich oft eine zellfreie Stelle, die aus dichterem Binde-
gewebe besteht. Das Gebilde steht jedenfalls in irgend einer Beziehung
zu den Blutgefàssen; an der Peripherie des Knótchens, manchmal auch
mehr in dessen Mitte, sieht man nämlich immer auffallend weite, sehr
dünnwandige Blutcapillaren (als solche an den darin befindlichen Blut-
körperchen kenntlich), die oft sinusartige Erweiterungen zeigen. Leider
ist es mir nicht gelungen, diese Gefässe durch Injection zu füllen.
Soviel mir bekannt, ist etwas Aehnliches in den Spinalganglien
bisher nicht beobachtet worden. Eine entfernte Beziehung zu meinem
1) A. Rauber, Lehrbuch der Anatomie des Menschen. Leipzig 1898. 5. Aufl.
II. Bd. 2 Abt. Fig. 522. S. 600.
264. D. Timofeew,
Befunde hat eine Beobachtung von Kélliker!), welcher bei der Katze
in dem Winkel zwischen den beiden Spinalwurzeln, also ausserhalb
der Spinalganglien, eine lymphdrüsenáhnliche Ansammlung von Leuko-
cyten beobachtet hat. Eine meinem Befunde sehr àhnliche Lymph-
knötchenbildung hat kürzlich Rawitz?) in der Submaxillardrüse von
Affen beobachtet. — Dass es sich bei meiner Beobachtung nicht um
eine pathologische Erscheinung, etwa Tuberkelbildung handelt, ergiebt
sich schon daraus, dass die fraglichen Lymphknótchen in den Spinal-
ganglien aller von mir untersuchten, aus verschiedenen Bezugsquellen
stammenden Tauben und Hühner nachgewiesen werden konnten.
Die Anordnung der Nervenzellen im Spmalganglion wurde haupt-
sächlich an Làngsschnitten studiert. Sie liegen nicht, wie bei einzelnen
Wirbeltieren, z. B. beim Frosche (v. Lenhossék 1886, Bühler), vor-
zugsweise mantelartig auf der Oberflache des Ganglions angeordnet,
sondern verteilen sich in kleinen Gruppen durch die ganze Dicke des-
selben. Diese Gruppen bestehen entweder aus Längsreihen, entsprechend
der Richtung der das Ganglion geradlinig durchsetzenden Faserbiindel,
oder aus mehr rundlichen Anháufungen an den Stellen, wo sich die
Faserbündel von einander entfernen. Meine Beobachtungen stehen
also in dieser Beziehung in Einklang mit denjenigen von Bühler?), der
für die Spinalganglien der Taube und des Raben ebenfalls eine diffuse,
regellose Verteilung der Nervenzellen angiebt, weichen aber wesent-
lich ab von der Angabe von Rawitz*), wonach bei der Taube die
Nervenzellen bloss einseitig, und zwar entsprechend der Dorsalseite
der hinteren Wurzel, anliegen sollen.
Betrachten wir nun zunächst die Zellen der Spinalganglien ge-
nauer. Die Zellen (Fig. 3, 4, 5) liegen in dünnen bindegewebigen
1) A. Kölliker, Ueber das Vorkommen von Nervenzellen in den vorderen Wurzeln
der Rückenmarknerven der Katze. Tageblatt der 66. Versamml. deutscher Naturf.
und Aerzte in Wien 1894. S. 168.
?) B. Rawitz, Ueber Lymphknotenbildung in Speicheldrüsen. Anat. Anzeiger.
Bd. XIV. 1898. 8. 463.
?) A. Bühler, Untersuchungen über den Bau der Nervenzellen. Verhandl. d.
physik. medic. Gesellsch. zu Würzburg. N. F. 1898. Bd. XXXI. S. 285. — Vergl.
S. 296.
*) B. Rawitz, Ueber den Bau der Spinalganglien. Archiv f. mikrosk. Anat.
Bd. XXL S. 271. — Vergl. S. 276.
Beobachtungen über den Bau der Nervenzellen etc. 265
Kapseln, die in die Henle’sche Scheide des Axencylinderfortsatzes über-
gehen. Die Kapsel ist auf ihrer inneren Flàche von einer Schicht von
Endothelzellen bedeckt, deren Kerne sich leicht gegen die Zelle hin
vorwólben. Sie sind in geringerer Zahl vorhanden als bei Säugetieren;
gewöhnlich sieht man an einem Durchschnitte der Zelle nicht mehr als
3—5 derartige Kerne. An gut fixierten Präparaten füllen die Nerven-
zellen ihre Kapselhóhle vollkommen aus, der Zellkörper grenzt sich
nach aussen durch eine scharfe Linie ab, die ganz glatt verlàuft, mit
Ausnahme einiger kleinen Vertiefungen, die durch die Kerne der
Endothelzelle der Kapsel hervorgerufen werden. Von der Gegenwart
eines pericellularen Lymphraumes konnte ich mich in keiner Weise über-
zeugen. Freilich findet man auch in den besten Präparaten Zellen,
bei denen sich die Oberfläche des Zellkörpers von der Kapsel etwas
zurückgezogen zeigt, doch liegt hier augenscheinlich ein Erzeugnis der
Behandlung vor. Dies geht schon aus der Unregelmässigkeit dieser
Retractionen hervor.
Bei der geringen Menge der bindegewebigen Zwischensubstanz
kommen die in einer kleinen Gruppe oder Reihe beisammen liegenden
Zelen in so innige Berührung mit einander, dass sie nur durch ihre
Kapseln von einander getrennt sind. Infolgedessen nehmen die Zellen
oft durch den gegenseitigen Druck eine eckige oder halbmondfórmige
Gestalt an (schon von Rawitz a. a. O. S. 271 erwähnt), während solche
Zellen, die verhältnismässig isoliert liegen, eine rundliche oder ovale
Gestalt aufweisen. Hier mag die Beobachtung eingeschaltet werden,
dass man manchmal schon im Bereich der hinteren Wurzel, proximal
vom Spinalganglion, gewissermaassen als Vorläufer der Elemente dieses
letzteren, einzelne, gewöhnlich längliche Nervenzellen findet. Die
gleiche Beobachtung hat schon vor Jahren v. Lenhossek für den Frosch
mitgeteilt !).
Die Grösse der Zellen der Spinalganglien schwankt innerhalb be-
trächtlicher Grenzen; in demselben Ganglion findet man grosse und kleine
Zellen nebeneinander. Die grössten Zellen haben einen Durchmesser
von ungefähr 40 u, die kleinsten einen solchen von 8—10 u; die
7) M. v. Lenhossék, Untersuchungen über die Spinalganglien des Frosches.
Archiv f. mikrosk. Anat. 1886. Bd. 26. S. 370. — Vergl. S. 389.
266 D. Timofeew,
meisten Zellen liegen in Bezug auf ihre Grósse etwa in der Mitte
zwischen diesen zwei Werten. Wir sehen also, dass die Zellen beim
Vogel an Grósse weit hinter denen der Sàuger und speciell des Menschen
zuriickbleiben'). Die von Bühler (a. a. O. S. 297) für die Vögel an-
gegebenen Zahlen (12—40, selten 50 &) stehen den von mir gefundenen
sehr nahe.
Die Zellen der Spinalganglien besitzen bei dem Huhn und der
Taube stets nur einen einzigen Kern. Dieser liegt in der Mitte des Zell-
leibes, ein Umstand, wodurch sich die Spinalganglienzellen der Vögel von
denen der Amphibien, Reptilien und Fische sehr auffallend unterscheiden.
Bei all diesen Tieren zeigt der Kern nàmlich in der Spinalganglien-
zelle mehr oder weniger eine excentrische Lage?) — Der stets in der
Einzahl vorhandene Fortsatz entspringt gewöhnlich an dem schmäleren
Pol der Zelle, und zwar immer mit dem von anderen Tieren her bekannten
charakteristischen tigroidfreien kegelförmigen Hügel, Flemmings „Pol-
kegel“.. Der Verlauf des Fortsatzes ist ein geradliniger, ich habe
mich hiervon in vielen Fällen überzeugen können, wo der Fortsatz in
dem Schnitte von seinem Ursprunge an ein Stück verfolgt werden
konnte. Aus den Untersuchungen von Retzius?), Kamkoff*), Dogiel?)
und Ramon y Cajal?) wissen wir, dass bei Säugetieren der Nerven-
fortsatz der Spinalganglienzelle dicht an seinem Ursprunge noch inner-
halb der Kapsel gewöhnlich mehr oder weniger starke Windungen
bildet. Bei den Embryonen der Säuger sind aber diese Windungen
noch nicht vorhanden; sie bilden sich, wie es scheint, erst im
1) s. darüber M. v. Lenhossék, Ueber den Bau der Spinalganglienzellen des
Menschen. Archiv f. Psychiatrie. 1897. Bd. XXIX. Heft 2.
2) v. G. Levi, Ricerche citologiche comparate sulla cellula nervosa dei vertebrati.
vista di patologia nervosa e mentale. 1897. Vol. IL. p. 193.
?) G. Retzius, Untersuchungen über die Nervenzellen der cerebrospinalen
Ganglien und der übrigen peripherischen Kopfganglien. Archiv f. Anat. u. Phys.
Anat. Abt. Jahrg. 1880. S. 369.
+) G. Kamkoff, Ueber den Bau des Ganglion Gasserii. Intern. Monatsschrift
i5 AMA Ws lms, WADA, Ih KUN; SAIS
5) A. S. Dogiel, Zur Frage iber den feineren Bau der Spinalganglien und
deren Zellen bei Säugetieren. Intern. Monatsschrift f. Anat. u. Phys. 1897.
Bd. XIV. :
5 R. y Cajal y F. Olóriz, Los Ganglios sensitivos craneales de los
mamíferos. Revista trimestral micrográfica. 1898. Vol. IL. p. 101.
Beobachtungen iber den Bau der Nervenzellen etc. 267
extrauterinen Leben aus. Man kann also sagen, dass bei den Vogeln
im Verhältnis zu den Säugetieren in Bezug auf die Ursprungsweise
des Fortsatzes ein mehr embryonales Verhalten vorhanden ist.
Wenden wir uns nun zu den Zellen des Sympathicus. In den
Grenzstrangganglien (Fig. 1) zeigen die in das Ganglion eintretenden
Bündelchen keinen regelmässigen Verlauf, sondern durchflechten sich
vielfach. Dementsprechend lassen die zwischen ihnen liegenden und
durch das ganze Ganglion zerstreuten Zellen keine Regelmässigkeit
der Anordnung erkennen; sie bilden kleinere und gróssere Gruppen,
die bald dicht nebeneinander, bald in grósseren Abstànden von einander
liegen. Auch diese Zellen werden von bindegewebigen Kapseln
umhüllt (Fig. 6), die auf ihrer Innenfläche einen Endothelüberzug be-
sitzen. Die sympathischen Zellen haben infolge ihrer Multipolaritàt
eine sehr wechselnde Form. Die Zahl ihrer Fortsätze kann ich
natürlich, da ich keine Reconstructionen vorgenommen habe, nicht
angeben; an meinen Schnitten sieht man 3—5, seltener noch mehr
Ausläufer. Gewöhnlich erscheinen diese bald nach ihrem Ursprunge
abgeschnitten, woraus man folgern kann, dass sie einen gewundenen
Verlauf haben. Selten nur gelingt es, einen protoplasmatischen Fort-
satz in seinem Verlaufe ein làngeres Stück weit zu verfolgen; man
sieht an solchen Stellen, dass die Kapsel sich an der Wurzel des
Fortsatzes verliert, und dass der Fortsatz schon unweit von der Zelle
Seitenäste abgiebt. Der Nervenfortsatz ist von den protoplasmatischen
Ausläufern unschwer zu unterscheiden, wenngleich er keinen Ursprungs-
kegel besitzt, und zwar hauptsächlich an seiner etwas stärkeren homogenen
Färbung und an der Abwesenheit von Tigroid darin. Er zeigt bei
Betrachtung mit Immersionslinsen eine ausgesprochene fibrilläre Streifung.
Auch hier liegt der Kern, wie in den Spinalganglienzellen, in der
Mitte des Zellkórpers. Zweikernige Zellen kommen nur sehr sporadisch
vor, anders als bei Säugetieren, wo solche bekanntlich in grosser Zahl
angetroffen werden. An Grösse stehen die Zellen des Sympathicus
hinter den Spinalganglienzellen zurück; die grössten Zellen messen
20—25 u, die kleinsten 5—6 u.
Als ein charakteristisches Merkmal der Nervenzellen der Vögel
— und zwar nicht nur der peripherischen Nervenzellen, sondern auch
268 D. Timofeew,
der Zellen des Rückenmarkes, Klein- und Grosshirns — möchte ich
den auffallenden Reichtum derselben an Tigroid hervorheben. Beim
Vergleich derselben mit den Nervenzellen der Sàugetiere, und noch mehr
der Amphibien, tritt diese Eigentümlichkeit sehr scharf hervor. Ist
die gegenwärtig am meisten verbreitete Ansicht, dass das Tigroid ein
aufgespeichertes Nàhrmaterial der Nervenzelle darstellt, richtig, so
dürfen wir daran denken, dass der Tigroidreichtum bei den Vögeln
vielleicht im Zusammenhang steht mit den verhältnismässig regeren
Stoffwechselvorgàngen bei diesen Tieren, namentlich im Vergleich mit
den Amphibien.
Das T'groid ist in den Spinal- und sympathischen Zellen ziemlich
in gleicher Menge vorhanden und erscheint bei beiden gleichmässig,
ohne Andeutung einer concentrischen Anordnung, durch den ganzen
Zellkórper verteilt. Nur eine enge, saumfórmige Randzone bleibt in
der Mehrzahl der Zellen davon frei; bei kleinen Zellen kann auch
diese Randzone fehlen, so dass die Tigroidschollen bis an den Rand der
Zelle reichen. Diese von v. Lenhossék') bei Säugetieren entdeckte
helle peripherische Lage ist hier im allgemeinen etwas schwächer ent-
wickelt, als bei den Säugern, doch kann man sie auch hier als typisch
bezeichnen. Nicht so typisch ist ein tigroidfreier Saum des Protoplasmas
um den Kern herum; ich habe diese Erscheinung, die bei Sáugern sehr
häufis vorkommt, nur selten beobachtet. In die protoplasmatischen
Fortsätze der sympathischen Zellen setzt sich das Tigroid stets, wenn
auch in geringer Menge, in der bekannten Form spindelförmiger
Körperchen fort.
1) M. v. Lenhossék, Der femere Bau des Nervensystems im Lichte neuester
Forschungen. 1895. 2. Aufl. S. 173.
(Fortsetzung folgt.)
Die Blutgefässe der Lymphdrüsen.
Von
Dr. W. Tonkoff,
St. Petersburg.
Vorlaufige Mitteilung.
Mikroskopisch ist der Verlauf der Blutgefässe in den Lymphdriisen
dank den Arbeiten von W. His, H. Frey und M. Calvert genau erforscht,
während in makroskopischer Hinsicht diese Frage seit Fred. Ruyschius
nicht weiter bearbeitet wurde, weshalb ich mir die Lósung dieser Frage
zur náchsten Aufgabe stellte. Zu diesem Zwecke unterwarf ich die
Lymphdrüsen aus den verschiedensten Gebieten des menschlichen
Körpers mittelst feiner Injection einer genauen Durchforschung. Ueber
die von mir bis jetzt erzielten Resultate soll hier in grósster Kürze
berichtet werden’). Die Blutgefasse (vasa nutrientia) der Lymphdrüsen
bilden ihrem Ursprunge, ihrem Verlaufe und ihrer Anzahl nach keinen
bestimmten Typus, wie ihn z. B. die Blutgefässe der Nerven und
Muskeln stets darbieten. Ursprung, Verlauf und Anzahl der die Lymph-
drüsen ernährenden Blutgefásse hängen von folgenden Bedingungen ab:
1. von der Lage der benachbarten arteriellen und venósen Stámme,
2. von der Anzahl und Lage der Lymphdrüsen selbst, endlich 3. von
"der Gestalt und Grösse der Lymphdrüsen. Daher erscheinen die Aa.
nutritiae der Lymphdrüsen entweder als Endarterien oder mit anderen
anastomosierend, bald sind ihrer viele, bald wenige; hierbei hángt ihre
Anzahl nicht so sehr von der Grósse der Lymphdrüse ab, als von dem
Blutgefássreichtum des betreffenden Gebietes, in welchem sich diese be-
1) Die ausführliche Abhandlung über den vorliegenden Gegenstand gelangt
demnächst in dieser Zeitschrift zur Veröffentlichung.
270 W. Tonkoff, Die Blutgefässe der Lymphdrüsen.
findet; benachbarte Lymphdrüsen stehen meistens durch gemeinsame
ernährende Blutgefässe miteinander in Verbindung. Auf diese Weise
ist der Charakter und das gegenseitige Verhältnis der Vasa nutrientia
der Lymphdrüsen für jedes Gebiet des menschlichen Körpers, natür-
lich in Abhängigkeit von dessen individuellen Eigentümlichkeiten,
mehr oder weniger bestimmt. Die Aa. nutritiae lösen sich nicht voll-
ständig in dem Gewebe der Lymphdrüse auf, sondern treten aus ihrer
Kapsel mit einer grösseren oder geringeren Anzahl von Aesten wieder
heraus und verteilen sich in den zunächst gelegenen Organen. Anderer-
seits dringen nicht selten Venen, welche das Blut aus der Umgebung
sammeln, in die Lymphdrüse hinein, um mit den Venen hierselbst in
Verbindung zu treten. Infolge der Anwesenheit solcher Aa. et Vv.
perforantes befinden sich die Lymphdrüsen mit den nahegelegenen
Teilen (umgebendes Bindegewebe, Haut, Peritoneum, Wände der
grösseren Blutgefässe etc.) in engster Verbindung. Daher kann der
Zustand der Lymphdrüsen und ihrer Vasa nutrientia (Compression,
Thrombose der Gefässe etc.) in gewisser Hinsicht auf die Ernährung
der benachbarten Organe von Einfluss sein.
Necrologia.
Il prof. Carlo Giacomini, insigne Anatomico dell’Università di Torino, è
morto insprovvisamente il 5 Luglio 1898. Da due anni egli soffriva di nefrite
interstiziale cronica, cui tenne dietro una ipertrofia di cuore con ateroma delle
arterie coronarie; da ultimo lo spense una emorragia cerebrale.
Aveva 58 anni, poichè era nato a Sale presso Tortona il 25 Novembre 1840.
Si è laureato in Medicina e Chirurgia nell’Università di Torino nel Luglio del
1864, e si diede per due anni all’esercizio delle medicina pratica in un comune
presso Voghera. Nel 1866 fu medico militare nella campagna di guerra nel
Lombardo-Veneto, indi ritornò a Torino in qualità di Settore presso l’Istituto di
Anatomia normale, e interruppe di nuovo il suo ufficio per servire come medico
volontario nella campagna del 1870. Ritornato al suo Istituto Anatomico, vi fu
incaricato di insegnare l'Anatomia topografica; indi nel 1876 fu fatto prof. stra-
ordinario di Anatomia descrittiva, e nel 1880 divenne prof. Ordinario della stessa
materia. Nei primi anni pubblicò alcuni lavori di medicina pratica, e propose
un metodo suo proprio di circoncisione per la operazione del fimosi (1870). Nel
1874 scrisse sul Cisticerco cellulosae e sulla Tenia mediocanellata dell’uomo; nel
1876 descrisse un caso gravissimo di sifilide ossea che rese necessaria l'esportazione
di gran parte delle ossa della faccia e del cranio. Questo caso gli ha servito per
compiere col prof. Mosso studio sui movimenti del cervello nell'uomo.
L’opera anatomica del prof. Giacomini fu molto estesa e importante.
Nei primi tempi il Giacomini trattò saltuariamente argomenti vari di Anatomia,
fra cui vanno segnalati quelli sulla circolazione venosa delle estremità inferiori, e
quello sopra una comunicazione fra la vena porta e le vene iliache esterne, e quello
sull’esistenza dell'Os odontoideum. Poi si dedicò particolarmente agli studi sul
cervello, e pubblicò quella notissima guida delle circonvoluzioni cerebrali, nella
quale sostenne l’esistenza di un tipo costante nella struttura del cervello umano,
di cui le varietà non sono, nè più numerose, nè più importanti di quel che si
possa trovare in qualsiasi altro organo. Più tardi pubblicò il suo studio sulla Benderella
dell’Uncus dell’Hipocampo nel cervello umano e di alcuni animali, e dopo vari
lavori parziali sull'argomento, pubblicò nel 1890 il suo studio sul cervello dei
microcefali, che fu premiato dall’Istituto Veneto. In questo lavoro l’Autore è
venuto, come altri, nella conclusione, che base fondamentale del processo è un
difetto di sviluppo dell’asse cerebro-spinale, e che la deformità del cranio ne è
una conseguenza. Non esiste una microcefalia primaria osteale: essa è neurale.
Notevole è pure la serie di lavori che il Giacomini ha pubblicato sulla Anatomia
del Negro. Trovò la cartilagine della plica semilunare nel Negro e nel Bianco, e
negli altri antropoidi: essa esiste ordmariamente nelle classi inferiori, ed è eccezionale
272 Necrologia.
nella razza Caucasica. Rilevò altri particolari, e da ultimo confrontò la laringe
dell’uomo bianco e di colore con quella degli antropoidi, e trovò che la più vicina
alla larmge dell’uomo è quella del Chimpanzè. Da ultimo, il prof. Giacomini attese
ad una serie di ricerche sulle anomalie di sviluppo dell'embrione umano. Trovò
che nella massima parte degli aborti esistevano delle alterazioni più o meno
importanti dell'embrione, o degli annessi fetali.
Non possiamo qui estenderci in molti particolari sugli importanti risultati
ottenuti dall’infaticabile osservatore: ricordiamo solo l’ultima pubblicazione sopra
un uovo umano di undici giorni che è il più giovane che sia stato finora studiato.
La salute del prof. Giacomini andò rapidamente declmando in questo ultimo
anno, sebbene egli conservasse tutta la sua attività di ricercatore e di insegnante.
Morì profondamente compianto dai suoi Colleghi e dai suoi discepoli. Onore alla
sua memoria!
Pio Foà.
Buchdruckerei Richard Hahn (H. Otto), Leipzig.
DEC 5 1898
(Aus dem anatomischen Institut zu Tübingen.)
Beobachtungen über den Bau der Nervenzellen der
Spinalganglien und des Sympathicus beim Vogel.
Von
Dr. D. Timofeew,
Kasan.
(Schluss.)
In vielen Zellen, wie z. B. in der in Fig. 3 dargestellten Spinal-
ganglienzelle, ist das Tigroid in solcher Menge vorhanden, dass die
Schollen vielfach mit einander zu verschmelzen scheinen und zwischen
den Tigroidmassen, selbst an dünnen Schnitten, nur enge Zwischenräume
übrig bleiben. An feinen Zelldurchschnitten erkennt man, dass die
Schollen auch hier keine Einheiten bilden, sondern aus ganz feinen,
dunkelblau gefärbten Granulis zusammengesetzt sind (de Quervain,
Juliusburger, v. Lenhossek, Benda etc.). Die Grösse der Schollen
wechselt in einer und derselben Zelle; besonders grosse Schollen
kommen der Grenzlinie gegen die helle Randzone zu, ja manchmal
beobachtet man hier einen ausgeprägten subperipherischen „Rand-
schollenkranz“. Als Gestalt der Schollen ist es schwer, eine bestimmte
Form anzugeben; es kommen dreieckige, vieleckige, spindelförmige,
klumpige etc. Formen vor. Viele Schollen gehen an ihren Ecken in
körnige Ausläufer über, durch die zwischen den Schollen netzförmige
Verbindungen hergestellt werden. Diese netzartige Anordnung des
Internationale Monatsschrift für Anat. u. Phys. XV. 18
274 D. Timofeew,
Tigriods ist tiberhaupt fiir die Nervenzellen der Spinalganglien und
sympathischen Ganglien der Vögel charakteristisch; man kann sie
hier als die Regel bezeichnen, natiirlich nur soweit es sich um den
Zellkörper handelt, denn in den Ausläufern sind die spindelfórmigen
Tigroidkérper vollkommen von einander getrennt.
Jene Unterschiede in der Kórnelung und Dichtigkeit der einzelnen
Nervenzellen, die in den Spinalganglien der Sàuger eine so auffallende
Erscheinung darstellen und dort zur Aufstellung chromofiler und chromo-
fober Zellen geführt haben, sind hier nur schwach angedeutet.
Ich habe auch eine Reihe von Untersuchungen über die Ent-
wickelung des Tigroids vorgenommen, indem ich Hühnerembryonen
von sämtlichen Tagen der Bebrütung mit der Toluidinblaufärbung
daraufhin untersuchte, doch sind meine diesbeziiglichen Forschungen
noch nicht abgeschlossen. Ich móchte von meinen bisherigen Erfahrungen
nur folgende Punkte hervorheben:
1. Das Tigroid tritt beim Hühnchen sehr früh auf. Schon am
4. Tage sind seine Spuren in den Spinalganglien nachzuweisen; am
6. Tage ist es schon in ziemlicher Menge vorhanden.
2. Es erscheint im peripherischen Nervensystem früher als im
centralen; am frühesten findet man es in den peripherischen Kopf-
ganglien, so z. B. im Ganglion jugulare nervi vagi.
3. In den Spinalganglienzellen tritt das Tigroid zuerst als eine
diffuse, gleichmässige, nicht körnige Ausfüllung des den Kern um
diese Zeit noch als schmaler Saum umgebenden Zellprotoplasmas auf.
Beim Wachstum der Zelle sammelt sich um den Kern herum, in den
centralen Teilen der Zelle, tigroidfreies Plasma an, sodass das Tigroid
mehr und mehr in Form eines Randkranzes an die Peripherie ge-
dràngt wird. j
4. Diese kranzfórmige peripherische Anordnung des Tigroids, welche
einen exquisit embryonalen Typus darstellt, erhält sich ziemlich lange.
Allmählich aber füllt sich auch der protoplasmatische Teil der Zelle
mit Tigroid an, welches hier schon von vornherein in Form von kleinen
Schollen in die Erscheinung tritt, während auch der Randkranz sich
allmáhlich in Schollen verteilt. Am 17. Tage zeigen die meisten Zellen
in den Spinalganglien schon ihr spáteres Verhalten. Doch lassen einzelne
Beobachtungen über den Bau der Nervenzellen etc. 975
immer noch den embryonalen, durch den Tigroidkranz charakterisierten
Typus erkennen.
Für das Studium der Bauverhältnisse der „Grundsubstanz“ bilden
die tigroidreichen Nervenzellen der Vögel kein günstiges Object. Ge-
wohnlich erscheint die durch Erythrosin leicht gefàrbte Grundsubstanz
in der tigroidfreien Randzone, wo sie der Beobachtung noch am meisten
zugänglich ist, in Gestalt feinster Fädchen, die sich mit einander ver-
flechten und dadurch ein sehr dichtes Netz bilden. In manchen Fallen
gelang es mir auch, in der Randzone sowie in den protoplasmatischen
Fortsätzen der sympathischen Zellen längere Fäden zu sehen, die
parallel dem Zellrande resp. in der Längsrichtung der Fortsätze ver-
liefen, doch traten diese Structuren niemals mit solcher Deutlichkeit
hervor, dass ich es entscheiden hätte können, ob hier wirklich isoliert
verlaufende Fibrillen oder nur sehr lang ausgezogene Maschen eines
Netzwerkes vorlagen. Ich habe den Eindruck gewonnen, dass die uns
heutzutage zur Verfügung stehenden Methoden nicht genügen, um uns
über den Bau der Grundsubstanz aufzuklären, und dass wohl die meisten
bisherigen Angaben über diesen Punkt als provisorische anzusehen sind.
In den Nervenfortsätzen der Spinalganglien- und sympathischen
Zellen tritt die fibrilläre Structur bei gelungener Färbung sehr deutlich
hervor. In den Spinalganglienzellen lassen sich die Fibrillen auch noch
im Ursprungskegel des Fortsatzes nachweisen, doch verschwinden sie
allmählich am Rande des Kegels. Es ist mir nicht gelungen, fest-
zustellen, in welchem Verhältnis sie zu der netzartigen Structur des
Zellkörpers stehen, namentlich ob sie in das Netzwerk direct übergehen
oder nicht.
Pigment beobachtet man in den Nervenzellen der Vögel ziemlich
selten. Wir finden es bald in der Nähe des Nervenfortsatzes angehäuft,
bald über die ganze Peripherie der Zelle in randständiger Lage ver-
teilt. Es erscheint in Form sehr kleiner, gelblich gefärbter, rundlicher
Körnchen oder Tröpfchen. Bei der Oppel’schen Methode nimmt es eine
lebhaft rote Färbung an. Eine sehr scharfe Differenzierungsfärbung
des Pigments erhält man bei der Färbung mit Bleu de Lyon und
Saffranin nach Mann; der Zellkörper erscheint hier blau, das Pigment
rot. Auch die Nachbehandlung von Toluidinblaupräparaten mit Kali-
276 D. Timofeew,
lauge giebt übersichtliche Bilder, indem dabei alles in der Zelle ent-
färbt wird bis auf das Pigment.
Betrachten wir nun den Kern der Spinalganglienzellen und sym-
pathischen Zellen genauer (Fig. 3—6). Schon früher wurde erwähnt,
dass er bei beiden Zellgattungen eine mehr oder weniger centrale Lage
einnimmt. Er hat gewöhnlich eine streng runde Gestalt. Im Allgemeinen
kann man sagen, dass gróssere Zellen auch einen grósseren Kern
haben, doch ist die Zunahme des Kerndurchmessers der Zunahme
des Zellprotoplasmas nicht proportional. So misst bei den kleinsten
Zellen der Spinalganglien (8—10 u) der Kern 4—5 u, also die
Hälfte der Zellgrósse, bei den grössten (40 «) dagegen nur 10 u,
also nur ein Viertel des Zelldurchmessers. Ein ganz analoges
Verhalten finden wir bei den sympathischen Zellen. Bei den 6 u
erossen Zellen beträgt der Kerndurchmesser 3 u, bei den 15—20 u
grossen 5 u.
Bezüglich ihres inneren Baues zeigen die Kerne der Spinalzellen
und sympathischen Zellen das gleiche Verhalten; die mitzuteilenden
Beobachtungen beziehen sich daher auf die Kerne beider Zellsorten.
Als äussere Abgrenzung erscheint eine scharf gezeichnete, dünne,
aber trotzdem zwei Contouren aufweisende Membran. Schon am un-
gefärbten Präparat tritt sie durch ihre lebhafte Lichtbrechung hervor;
bei Färbungen kennzeichnet sie sich als ausgesprochen acidofil; so
wird sie z. B. durch Säurefuchsin lebhaft rot gefärbt. Von der Mem-
bran gehen in das Innere des Kerns dünne, mit kleinen Körnchen be-
setzte Fäden ab, die mit einander anastomosieren und ein engmaschiges
Netz bilden mit Verdickungen an den Stellen, wo sie mit einander zu-
sammenhängen. Dieses Kerngerüst ist im seiner Gesamtheit, die Fäden
ebenso wie thre körnigen Einlagerungen, acidofil; es lässt sich nur
mit sauren Farbstoffen gut darstellen. Wir haben hier also dasselbe
merkwürdige Verhalten, wie in den Kernen der Spinalganglienzellen
der Säuger (v. Lenhossék!, Levi, Van Gehuchten, Ramón y Cajal): ein
ganz acidofiles Kerngerüst, gewöhnlich ohne jede Spur der sonst überall
!) s. darüber M. v. Lenhossék, Bemerkungen über den Bau der Spinalganglien-
zellen. Neurolog. Centralbl. 1898, Nr. 13, wo auch die einschlägigen litterarischen
Nachweise nachzulesen sind.
Beobachtungen über den Bau der Nervenzellen etc. DAT
€
vorhandenen Chromatineinlagerungen. Die kleinen Kórnchen, die in
die Fäden des Kerngerüstes eingeschlossen sind, bestehen zwar offen-
bar- aus einer in chemischer Hinsicht anderen Substanz als die
Fädchen, da sie sich mit Eisenhaematoxylin schwarz färben, während
letztere bloss eine leicht graue Färbung aufweisen, doch sind sie mit
dem Chromatin, welches ja bekanntlich basofile Eigenschaften zeigt,
auf keinen Fall identisch.
Das Interessanteste aber an der Structur der Nervenzellenkerne
bei Vögeln ist das regelmässige Vorkommen von zwei Kernkörperchen')
darin, die sich den Farbstoffen gegenüber verschieden verhalten: das
eine ist basofil, das andere acidofil. Man kann mit vollem Recht die
beiden Nucleolen so bezeichnen, denn bei der combinierten Anwendung
basischer und saurer Farbstoffe (Toluidinblau-Erythrosin, Methylerün-
Säurefuchsin, Saffranin-Bleu de Lyon etc.) nimmt der eine den basischen,
der andere den sauren Farbstoff auf. Man erhält dadurch sehr zier-
liche Bilder der beiden Nucleolen, wie sie in den Fig. 3, 4 u. 6 wieder-
gegeben sind. Ich habe in der Litteratur vergeblich nach analogen
Angaben gesucht'). Der basofile Nucleolus entspricht natürlich dem
gewöhnlichen grossen charakteristischen Kernkörperchen der Nerven-
zellen bei anderen Wirbeltieren; bezüglich des acidofilen Nucleolus möchte
ich gleich hervorheben, dass er durchaus nicht nur etwa einen stärkeren
„Netzknoten“ des Kerngerüstes darstellt, sondern in Anbetracht seiner
streng kugligen Form, seiner Grösse und vor allem seiner scharfen
Abgrenzung gegen das Kerngerüst als richtiger selbständiger Nucleolus
aufzufassen ist. Man wird hierüber, glaube ich, nicht im Zweifel sein
nach Betrachtung der genannten Figuren.
Die meisten Kerne besitzen je ein basofiles und acidofiles Kern-
körperchen. Sie liegen in der Mitte des Kerns, entweder direct bei
1) Rawitz hat also Unrecht, wenn er (a. a. O. S. 271) bezüglich der Spinal-
ganglienzellen des Huhnes angiebt, dass „der Kern gross, rund und bläschenförmig
ist und immer nur ein Kernkörperchen enthält.“ Arndt (Untersuchungen über die
Ganglienkörper der Spinalganglien. Archiv f. mikrosk. Anat. 1875. Bd. XI. S. 164)
kommt der Wahrheit schon ein wenig näher, indem er angiebt, dass in der Regel
jeder Kern nur ein Körperchen hat, viele aber auch mehrere besitzen, so hätte er
z. B. bei der Taube und Krähe Spinalganglienzellen mit zwei Kernkörperchen be-
obachtet.
_ 278 D. Timofeew,
einander in engstem Contact, manchmal sogar so nahe zu einander, dass
sie sich durch den gegenseitigen Druck etwas abplatten, oder sie liegen
durch einen geringeren oder grésseren Zwischenraum von einander ge-
trennt. Ab und zu begegnet man Kernen mit zwei basofilen und einem
acidofilen Nucleolus, in welchem Falle die beiden basofilen Kórperchen
das acidofile zwischen sich fassen (Fig. 5) Die beiden Nucleolen sind
in der Regel von gleicher Grösse, in den grösseren Kernen etwa 2 u,
in den kleineren etwa 1x gross, beide sind von regelmässiger Gestalt,
gegen ihre Umgebung scharf begrenzt. Bemerkenswert ist noch, dass
bei der Fixierung in Hermann'scher Lósung der basofile Nucleolus eine
ausgesprochene Braunfarbung zeigt, während der acidofile ungefàrbt
bleibt. Möglicherweise beruht diese Färbereaction auf der Gegenwart
von Lecithin in dem basofilen Nucleolus, welcher Bestandteil bekanntlich
auch im Nervenmark die Osmiumreaction verursacht.
Die beiden Nucleolen bilden für die Zellen der Spinalganglien
und des Sympathicus der Vögel eine ganz constante, typische Er-
scheinung. Ich habe mich hiervon an meinen gut fixierten Präparaten |
auf das Bestimmteste überzeugen können. Präparate, an denen die
Kerne nicht tadellos fixiert sind, zeigen das Verhalten freilich nicht in
so typischer Weise, indem das den Reagenzien gegenüber, wie es scheint,
empfindlichere acidofile Kernkörperchen bei schlechten Fixierungen die
Schärfe seiner Begrenzung leicht einbüsst und dann mit dem Kerngerüst
zu verschmelzen scheint.
Man findet freilich auch an den besten Präparaten Zellen, deren
Kern scheinbar nur einen Nucleolus enthält; man kann sich aber in
solchen Fällen immer überzeugen, dass es sich bloss um ein Ergebnis
der Schnittrichtung handelt, indem der andere Nucleolus im nächsten
Schnitt enthalten ist. Aus dem gleichen Grunde zeigt jeder Schnitt
auch Kerne, die scheinbar eines Nucleolus ganz entbehren.
Ich will noch hinzufügen, dass ich ein gleiches Verhalten an den
Kernen vieler Nervenzellen des Rückenmarkes und des Kleinhirns der
Vögel beobachtet habe, ohne aber feststellen zu können, ob die beiden
Nucleolen hier ganz typisch vorkommen. Weiterhin möchte ich er-
wähnen, dass sich die beiden Kernkörperchen nicht nur bei erwachsenen
Vögeln, sondern schon bei ganz jungen Hühnerembryonen nachweisen
Beobachtungen über den Bau der Nervenzellen etc. 279
lassen. Ueber die Bedeutung meines Befundes vermag ich mir keine
bestimmte Ansicht zu bilden")
Bezüglich der inneren Structur des basofilen Kernkörperchens bin
ich zu dem Ergebnis gekommen, dass es in seinem Innern ungleichartig
gebaut ist. Untersucht man es an Präparaten, die mit Toluidinblau
und Erythrosin in der gewöhnlichen Weise gefärbt sind, mit starken
Vergrösserungen, so ergiebt sich, dass der Nucleolus aus zwei Sub-
stanzen besteht, einer blass-blau gefärbten, die eine Art von Grund-
substanz darstellt, und einer dunkelblau und intensiv gefàrbten, die in
Form von kleinen Kérnchen oder Schollen in die erstere eingebettet
ist. Bei stàrkerer Erythrosinfàrbung kann die Grundsubstanz einen
violetten oder sogar ausgesprochen roten Farbenton annehmen. Bei
richtiger Fárbung nach Ehrlich-Biondi erscheint der basofile Nucleolus
stets leuchtend grün, der acidofile intensiv rot. Lässt man aber bei
der Entwässerung den absoluten Alkohol etwas länger als sonst ein-
wirken, so erhalt man etwas andere Bilder. Das Methylerün wird
hierbei nàmlich rascher extrahiert als das Sàurefuchsin und infolgedessen
zeigen auch Teile in der Zelle, die sonst die Methylgrünfärbung erkennen
lassen, eine leicht rótliche, von dem Fuchsin herrührende Färbung.
So erscheint nun das Tigroid in rótlichem Farbenton, und ebenso auch
der basofile Nucleolus bis auf einzelne der vorhin erwähnten, mit
Toluidinblau sich intensiv blau farbenden Kórnchen, welche nun, ge-
wohnlich in den oberflàchlichen Schichten des Kernkórperchens liegend,
als leuchtend grüne Kórnchen auf der rótlichen Unterlage der Grund-
1) Ich möchte mir erlauben, an die Beobachtung des Herrn Dr. Timofeew
eine Hypothese zu knüpfen. Die auffallende Erscheinung, dass das Kerngerüst in
den Nervenzellen, abweichend von dem Verhalten der meisten übrigen Zellkerne,
in seiner Gesamtheit acidofil ist, könnte vielleicht in Zusammenhang gebracht werden
mit der Gegenwart einer so grossen Menge basofiler Substanz (Tigroid) im Zellkórper
der Nervenzellen, welche Erscheinung ja ebenfalls gegenüber den meisten andern
Zellen des Organismus ein Unicum darstellt. Man kónnte sich vorstellen, dass die
Acidofilie des Kerngerüstes gewissermaassen eime compensatorische Erscheinung bildet
gegenüber der grossen Masse basofiler Substanz im Zellplasma. Dieser Auffassung
ist nun die Beobachtung des Herrn Dr. Timofeew ohne Zweifel sehr günstig, indem
beim Vogel mit der aussergewohnlich starken Ansammlung des basofilen Tigroids
im Cytoplasma auch eine sich durch einen besonderen acidofilen Nucleolus äussernde
Vermehrung der acidofilen Substanz im Kern Hand in Hand geht.
M. v. Lenhossék.
280 Dr. Timofeew,
substanz des Nucleolus hervortreten. Man gelangt auf diese Weise zu
einer ähnlichen Färbung des basofilen Kernkörperchens, wie sie unlängst
Levi') für den Kern der Spinalganglienzellen von Säugern beschrieben
hat. Ich halte die Levischen Schollen bloss für Teile des das Kern-
körperchen in seinem Innern durchsetzenden kórnigen Bestandteils.
Diese körnigen Einlagerungen zeigen jedenfalls stärkere basofile Eigen-
schaften als die die Grundlage des Nucleolus bildende Substanz.
Im Gegensatz zu dem basofilen scheint der acidofile Nucleolus
von ganz homogener innerer Beschaffenheit zu sein. Mit seiner
Acidofilie steht nicht im Gegensatz, dass es durch sehr intensive Ueber-
färbung mit einem basischen Farbstoff gelingt, auch diesem Nucleolus
eine gewisse Färbung zu verleihen. Sie tritt aber nur ein, wenn
auch die anderen Teile der Zelle und auch die umgebenden Gewebe
das Bild der Ueberfärbung zeigen.
In manchen Fällen glaube ich in den inneren Teilen der Nucleolen
beider Art helle Punkte wahrgenommen zu haben, die ich für Vacuolen
halte, deren Bedeutung aber schwer zu erklären ist.
Zu der vorstehenden Beschreibung des Kerns ist noch hinzuzufügen,
dass man ab und zu, wie in Fig. 4, in der Nàhe der Nucleolen oder
auch mehr entfernt davon im Kerngerüst 1— 2 kleine Brocken von
ausgesprochenem basofilen Charakter wahrnehmen kann. Nur in sehr
seltenen Fällen erreicht ein derartiges Kórnchen einen Umfang, der
ungefähr der Hälfte der Grösse der Kernkórperchen entspricht.
Zum Schlusse möchte ich sowohl Herrn Prof. Froriep für die
freundliche Aufnahme in seinem Institut wie auch Herrn Prof. v. Len-
hossék für die Anregung zu vorliegender Arbeit und seine wertvollen
Ratschlage bei deren Ausführung meinen besten Dank aussprechen.
1) G. Levi, Su alcune particolarità di struttura del nucleo delle cellule nervose.
Rivista di patologia nervosa e mentale. 1896. Vol. I. S. 141.
Pig. dd.
Fig.
Fig.
Fig.
Fig.
2.
Erklirung der Abbildungen auf Tafel XV.
Längsschnitt durch das Spinalganglion und Grenzstrangganglion der Taube.
Fixierung in Carnoy'scher Flüssigkeit, Färbung in Toluidinblau-Erythrosin.
Schwache Vergrósserung.
] — hintere Wurzel.
2 — vordere Wurzel.
9 = Spinalnerv.
4 = peripherischer Ast des sympathischen Ganglions.
9 = markloses, vom sympathischen Ganglion entspringendes Bündel-
chen, das in den Spinalnerven umbiegt.
6 = sympathisches Bindelchen, das in das Spinalganglion eindringt.
markhaltiges Bündelchen, das aus der vorderen Wurzel in das
sympathische Ganglion übergeht.
8 = Lymphknótchen im Spinalganglion.
Lymphknótchen aus dem Spinalganglion des Huhnes. Sublimat-Pikrinsáure.
(Mangelhafte Fixierung, Kerne der Nervenzellen geschrumpft, helle Rand-
zone teilweise zerstört.) Färbung: Bleu de Lyon-Erythrosin. Die hellen
Canäle sind Blutgefässe, die sehr wenig Blutkörperchen enthalten. Mittlere
Vergrósserung.
Gróssere Nervenzelle aus dem Spinalganglion der Taube. Zenker, Toluidin-
blau-Erythrosin. Leitz Oc.4. Homog. Immersion !/,. — Fortsatz nicht ge-
troffen.. Randzone gut erhalten, im engsten Anschluss an die Kapsel.
Viel Tigroid im Zellkórper. Im Kern je ein basofiles und acidofiles Kern-
J
I
- körperchen.
Klemere Nervenzelle aus dem Spinalganglion der Taube. Fixierung in
Zenker'scher Lösung, Färbung nach Oppel (Methylgrün-Säurefuchsin-Eosin).
-Randzone stellenweise von der Kapsel leicht retrahiert. Im Kern in der
Nähe der Kernkórperchen noch ein kleines basofiles Kórnchen. Nerven-
fortsatz zeigt deutliche fibrillàre Streifung, weniger deutlich die Rand-
. zone des Zellplasmas.
Mittelgrosse Spinalganglienzelle von der Taube, Carnoy'sches Gemisch,
Toluidinblau-Erythrosin. Breite Randzone. Im Kern zwei basofile und
ein acidofiler Nucleolus. Kapselkerne stark entwickelt. Zellkórper stellen-
weise von der Kapsel leicht retrahiert.
Sympathische Nervenzele aus einem Grenzstrangganglion der Taube.
Carnoy'sches Gemisch, Toluidinblau-Erythrosin. Nervenfortsatz nicht ge-
troffen, die zwei Fortsátze sind Dendriten und enthalten als solche Tigroid
(letzteres in der Zeichnung etwas zu dicht ausgefallen) Im Kern die
6.
zwei typischen Nucleolen. Zelle von der Kapsel leicht retrahiert. Fig. 3
Leitz Oc. 4. Homog. Immersion !/,,.
(From the Physiological Laboratory, University College, London.)
The Comparative Histology of the Suprarenal Capsules.
By
Swale Vincent, M.B. Lond.,
British Medical Association Research Scholar.
(With Plates XVI—XVIIL)
Contents.
page | page
Introductory ek 2282 VL Amphibia. . . . . . . 296
II. The Suprarenal Bodies in In- Us a iss sos yo 20
vertebrata De whos’ SAS 2. Anura ce CARRO ale 20
: h VID Reptiles ars 0
III. Acrania. Amphioxus . . . 28 Re ROTE
IVeu6Gyelostomatagı ae 020072700285 DX Mammalia 2% 307
VENERE SITÀ ee INA! X. Depelopment of the Spia
1. Elgsriobranchts CRT AE A iS) renal Capsules . . . Ho?
2 GRADOLI CHI me. CT Roos: XI. Summary and Gighelusions . 815
9. WLeleostel- fg dure . 1.020298 ,|#Bibhographya)a Se. Ms m ToO,
4 Dipner MEN 03.9 51 Exo Tomato D OZ Plates SEO
I. Introductory.
In this paper an attempt will be made to give a review of the
minute strueture of the suprarenal capsules in those groups of the
Animal Kingdom where they can be shewn to exist.
I have previously described the anatomy and histology of these
organs in Pisces [176] and have also given a preliminary account of
their structure in Amphibia and Reptilia [117]. Having been engaged
for some time in researches upon the comparative physiology and
7) The numbers in square brackets throughout the text refer to this biblio-
graphical list.
S. Vincent, The Comparative Histology of the Suprarenal Capsules. 283
chemistry of the suprarenal capsules [115—121, 51, 82] I thought it
would be interesting to employ the results obtained from these modes
of investigation to form a basis for a widely comparative survey of the
structure of the representatives of the capsules throughout the Vertebrata.
The literature of the subject is very extensive, and although I
have tried to obtain access to every paper bearing upon it, I fear
there may yet be some omissions, which will I hope, be pardoned.
A full account of the history up to date as regards Pisces, will
be found in the paper above referred to [116], and some account of
the literature in Amphibia and Reptilia in 7/7. The results here put
forward embody the labour of five years, and some repetitions of
former published results have been necessary for the sake of uniformity
in a review of the whole subject.
I have examined a very large number of species. As in pre-
vious histological work, I have relied entirely upon perfectly fresh
material, except in the case of some of the rarer animals. Some
preparations were made quite fresh, others after freezing. Still others
after hardening, were stained in bulk imbedded in paraffin| and cut
with the “Rocking Microtome”. The fixing and hardening fluids I
have employed most frequently are Miiller’s fluid, and other bichromate
solutions, alcohol, formol, mercuric chloride, and osmic acid. Methods
of dissociation have been employed for studying the separate cells,
and the most frequently used of these was maceration in Ranvier’s
!/, alcohol. The most useful fluid for hardening is undoubtedly Müller's,
because by this means we have a universal method of distinguishing
cortex from medulla.
I take this opportunity of expressing my thanks to Professor
E. A. Schäfer, LL. D., F.R.S., for advice on many points connected
with this research, and for the generous manner in which he has placed
the resources of his laboratory at my disposal. I am also indebted
to Professor G. B. Howes, LL D., F. R. S., and to Dr. H. O. Forbes
for their kindness in furnishing me with material. I have further to
record my gratitude to the British Medical Association, by whose
munificence I have been enabled to carry on my researches during
the past two years.
284 S. Vincent,
II. The Suprarenal Bodies in Invertebrata.
Leydig, [75] in a most interesting passage, discusses the possibility
of the existence in some Invertebrata of the equivalents of the
suprarenal bodies. He says: “Es sind in verschiedenen Wirbellosen
am Nervensystem Zellen beobachtet worden, die von den gewöhnlichen
Ganglienkugeln differierten. So habe ich schon früher von Paludina
vivipara mitgeteilt, dass an den vegetativen Nerven ‘eigentümliche
Zellen vorkommen, die vielleicht Ganglienkugeln eigener Art sind; sie
sind gelblich, haben im Innern verschiedene Bläschen und stehen in
keinem directen Zusammenhang mit den Nervenprimitivfasern. Auch
an den Ganglien von Pontobdella verrucosa machten sich besondere
Zellen mit gelbkórnigem Inhalt auffallig.” He quotes also a description
of Meissner concerning similar cells in Mermis and concludes: «Meine
Meinung bezüglich dieser Zellen von unbekannter Bedeutung an Palu-
dina, Pontobdella, Mermis (und wahrscheinlich wird ein näheres Nach-
sehen die Zahl der Beispiele sehr vermehren) geht dahin, sie als
Analoga der Nebennieren vorlaufig zu betrachten."
I had long considered the possibility of the existence of suprarenal
bodies of some sort in the Invertebrata, but had not myself succeeded
in finding any organ or tissues which seemed likely to represent
them. But recent physiological researches have put it into our power
to test any organ to see if it be medullary suprarenal (Oliver and
Schäfer [87], Swale Vincent [720]). Accordingly, I dissected out the
nervous system as completely as possible from about a dozen fair-sized
specimens of Paludina vivipara. The material (in which of course
was included the groups of cells described by Leydig) was then made
into a decoction by boiling for a short time with normal saline and
carefully filtering. This was then injected into the venous system of
a cat while a record of the blood-pressure was being taken. The
result was quite negative, there being not the slightest rise of the
blood-pressure.
If these cells of Leydig represented any part of the suprarenal
capsules at all, this would be the medulla, since it is the medulla
which is found in Vertebrata to bear a close relationship to the
The Comparative Histology of the Suprarenal Capsules. 285
nervous system. But medullary substance when injected into the venous
system of a living mammal even in the smallest quantity, always
causes a marked rise of blood-pressure. I feel justified, therefore, in
dismissing these groups of cells from consideration as the analogues
of the suprarenal medulla, at any rate as the physiological analogues.
Whether or no there are any suprarenal bodies in Invertebrata must
remain an open question for the present.
III. Acrania. Amphioxus.
Nothing is known of the suprarenal bodies in Amphioxus. There is
no mention of them in the text-books or in the monographs upon this
animal. I have myself examined several individuals without finding
anything which suggested the existence of either the cortical or
medullary representatives of these organs. It would however be rash
in the present state of our knowledge to assume that Amphioxus has
nothing corresponding to the suprarenal bodies.
IV. Cyclostomata.
As early as 1827 Rathke [95] described certain “white-specks”
on the cardinal veins of Ammocoetes which he thought were supra-
renals. In the following year a note appears in the text of *Burdach's
Physiologie" (Bd. XIX. No. 2. p. 601) signed by Rathke in which he
suggests that the pronephros or head-kidney and suprarenal bodies
may be homologous. In 1843 appeared the well known description of
J. Müller's *Clustered gland" in Myxinoids. Later this Author changed
his opinion and thought it was the thymus.
Ecker [52, 55] in 1846 described a new structure in Petromyzon
as a suprarenal body, an organ triangular in section on the inner wall
of the posterior cardinal sinus. Stannius [/07— 110] and Leydig [70]
considered the bodies pointed out by Rathke and J. Müller to be the
suprarenal bodies.
In 1884, Weldon [724] described the head-kidney of Bdellostoma
and believed that in this animal the pronephros has become modified
so as to form an organ functionally analogous to the suprarenals.
Later this writer expands this view [125] and in Wiedersheim’s text-
book [126, 127] we find Rathke's original suggestion revived:—
286 S. Vincent,
“Bei Teleostiern sind die Nebennieren nicht überall in klarer und
überzeugender Weise nachgewiesen; wo dies aber der Fall ist, handelt
es sich, wie früher schon angedeutet wurde, um Beziehungen zu der
in lymphoides (adenoides) Gewebe umgewandelten Kopfniere. In
anderen Fallen aber sind sie enge mit der Niere verbunden" — referring
to a foot-note which runs as follows. “Dies gilt nach W. Weldon auch
für die Cyclostomen" (Bdellostoma Forsteri).
A paper by Miss Kirkaldy (65) in 1893 leads to the same
conclusions.
In conjunction with W. E. Collinge [20] I have attempted to
determine whether suprarenal bodies are present or no in the Cyclo-
stomata. We succeeded in finding both Rathke's and Ecker’s bodies,
but were not convinced that either of them had anything to do with
the suprarenal bodies.
More recently Pettit [89] has re-examined the structure described
by Ecker in the Lamprey. He says: “J'ai pu retrouver chez Petromyzon
marius, L, les corps signalés par Ecker; ce sont deux masses
irrégulières mesurant dans leur plus grande largeur 10 millimètres,
dont l'aspect pancréatiform rappelle assez exactement les capsules des
Batraciens. Elles occupent une position qui me semble étre celle des
glandes décrites par Müller chez la Myxine.
En tout cas, ces deux organes sont situés en arriére des bran-
chies, de part et d'autre de la ligne médiane, à la hauteur du péricarde
cartilagineux. L’aspect de ces glandes n'a, il faut le reconnaître, rien
de caractéristique; ce sont des masses irréguliéres, jaunátres, parsemées
de taches pigmentaires; néanmoins elles affectent des connexions
constantes qui permettent de les trouver facilement; il faut fendre la
face ventrale de la veine cardinale à la hauteur du coeur et écarter
les deux lambeaux. Les glandes apparaissent alors au travers de la
paroi vasculaire, entre la veine cardinale et l'artére aorte; d'ailleurs
grâce à leur coloration jaunátre elles se détachent assez nettement sur
le fond sombre des tissus environnants. (La glande adhére intimement
à la veine cardinale et il est difficile de la séparer de ce vaisseau
sans la détériorer.)
Au point de vue histologique cet organe se montre constitué par
The Comparative Histology of the Suprarenal Capsules. 287
une série d’acinés tapissés par un épithélium columnaire et pourvus
d'une lumière; en outre il existe quelques cellules pigmentaires éparses
cà et là.” i |
Pettit is unable to decide whether this structure is homologous
with the suprarenal bodies of Teleosts or not.
V. Pisces.
1. Elasmobranchü.
In Elasmobranch fishes two distinct sets of structures are found,
both of which have from time to time been described as suprarenal
bodies. These two structures correspond the one to the medulla and
the other to the cortex of the suprarenal capsule in the higher
Vertebrata’).
Paired Suprarenal Bodies. The following account differs in some
points from that which I gave in April of last year [176]. Since that
time I have determined that these bodies correspond physiologically
to the medulla of the suprarenals of the higher Vertebrata [120, 121]
and that they contain the same chromogen [97] We shall see that
the histological structure also is analogous.
The gross anatomy of these bodies need not detain us. They
are situated on branches of the aorta, segmentally arranged, and
extend on each side of the vertebral column from the front part of
the sinus of Monro to the posterior end of the kidney. The anterior
pair are elongated and correspond usually to three or four segments”).
The structure of these bodies is very complex and difficult to
describe even when the preparations are successfully made. It will
be desirable, however, to enter into as much detail as possible, since
these organs represent the primitive type of suprarenal medulla in
Vertebrates.
It will be convenient first of all to describe the structure of
the first pair, the so-called “axillary hearts” and then to proceed to
the description of the bodies which lie posterior to them.
1) This view was first put forward by Balfour [6] p. 664.
?) For drawings of these bodies see 114 of bibliography.
288 S. Vincent,
If a longitudinal section be taken through the centre of an
“axillary heart” of Scyllium canicula, it is seen that the whole
structure consists of two distinct parts. First, there is an elongated
nerve-ganglion antero-externally, and secondly, there is the proper
suprarenal medullary substance postero-internally. ‘The ganglionic
structure needs little comment. It is composed of typical large
nerve-cells with nerve-fibres running longitudinally. The nerve-cells
are on an average 55 « in diameter.
The typical arrangement of the proper glandular structure of the
axillary heart is as follows:—
Running through the centre of the body is an arteriole. On each
side of the artery (surrounding it, forming a central zone) is seen the
layer of cells which are stained brown with the bichromate of
potassium. These are irregular and branched, and frequently more or
less triangular. Their size is difficult to state, owing to their
irregularity; they vary, however, in their greatest lengths from
10—30 u; the nucleus is usually about 6—8 u in diameter. These
cells appear to communicate freely together by their processes.
The outer zone consists of an external layer of irregularly columnar
cells one row deep and beneath this one or two layers of polygonal
cells. Externally is a fibrous capsule 4— 7 x in thickness which sends
off septa accompanied by capillary plexuses into the interior of the organ.
There is no trace of an alveolar arrangement of the cells in
these bodies.
In many cases there are groups of nerve-cells in the central
portion of the structure, and scattered nerve-cells are not infrequent
in many parts of the organ. In addition, there are to be seen here
and there the intermediate form of cell to be described below. There
are many variations in the arrangements in regard to nervous structures,
and the amount of connection with the ganglia differs in different
genera and also to some extent in different species. The above
account, however, having reference to Scylliwm canicula may be taken
as on the whole, fairly representative.
The “axillary heart” is more “mixed up” with nervous structures
than any of the more posteriorly placed bodies. As we proceed
The Comparative Histology of the Suprarenal Capsules. 289
further and further backwards, there is less and less nervous admixture,
till the most posterior bodies present the type of suprarenal tissue,
with the ganglia quite separate from them. A fibrous capsule sends
in irregular septa, and capillary plexuses follow these. The arteriole
above mentioned always occupies the centre of the section, and
surrounding this is the “medulla” containing the chromogenic cells.
These have already been described in connection with the first pair.
Pl. XVI. fig. 1 and Pl. XVIII. fig. 3 represent these cells from the middle
region of the body of Raja clavata. External to these is a layer
several rows deep of irregular polygonal cells which shew no brown
coloration in bichromate preparations, and immediately beneath the
capsule is a layer of very irregular, elongated, almost columnar cells,
likewise shewing no pigmentation (PI. XVI. fig. 2). The nuclei of all
these cells shew distinct nuclear figures.
Chevrel [/5] differs from Balfour [2] in failing to find any
distinction between the character of the cells in the external and
internal zones of the paired bodies. This Author indeed goes so
far as to state that no definite cell-outlines can be made out in
any portion of the bodies. “On ne voit ni cellules columnaires à la
périphérie, ni cellules polygonales au centre; il n'y a que des apparences.
Et ces apparences sont dues vraisemblablement au contours des mailles
de la trame conjontive des corps. Les dissociations nous donnent
également des résultats négatifs."
In my former descriptions I was inclined to agree on the whole
with Chevrel, but I have since then, as the result of continued
investigation, seen reason to alter my views. Even before the paper
was printed I had stated in a footnote “Since the above was written
I have succeeded in making out the cell outlines in the ‘axillary
hearts and by renewed preparations by different methods I have
now no difficulty in determining the outlines of the cells in nearly
all the bodies. Moreover, “definite cells in some parts” were
described . . . “mostly triangular or multipolar in shape, and of a
uniform sepia-brown tint, and they contain large, very darkly stained,
round nuclei . . . The cells appear in some places to communicate
Internationale Monatsschrift für Anat. u. Phys. XIV. . 19
290 S. Vincent,
together, by their processes”. And more recently’): “These pigmented
cells are mostly in the interior of the body”.
So that we have certainly two zones, a “cortical” and a “medullary”
in these bodies; the cortical is devoid of chromogenic cells, the
medullary consists almost entirely of them. The pigmentation in the
central cells is only seen after hardening in, or treatment with, some
fluid containing bichromate of potassium.
On further examination too, it is clear that one must agree with
the view of Balfour that the cells in the outer layer are columnar.
This is depicted in Pl. XVI. fig. 2. But, after all, the chief distinction
between the two kinds of cells is that those in the central portion
contain the characteristic chromogen of suprarenal medulla (Eberth, 30),
while those in the external layer do not. ‘This distinction does not
seem to have been noted by Balfour. ”)
Undoubted nerve-cells are found included in the substance of
many of the paired medullary bodies, both in the “axillary hearts”
and those which follow, indeed in all, except perhaps a few of the
most posterior. But in addition to these there are to be seen, especially
in the axillary hearts, some cells as large as the nerve-cells, but
whose protoplasm has become stained brown with the potassium
bichromate. There are still other cells which are rather smaller, but.
have the same characters. These I believe to be transition forms
between merve-ganglion cells and the proper medullary cells of the
organ. Balfour [5] suggests the possibility that such cells might
exist, but was unable to determine their presence.
It has been shown in previous communications [118, 120] that
these paired bodies really correspond physiologically to the medulla of
the suprarenal capsule of the higher Vertebrata. It has also been
demonstrated that the chromogen is of the same nature as in the
suprarenal medulla of higher animals [87].
The intimate relations which subsist between these paired bodies
1) Birm. Med. Review. April 1898. p. 214.
?) It may be that the physiologically active principle is secreted only by the
central (chromogenic) cells. It is of course impossible to settle this point by
direct experiment.
The Comparative Histology of the Suprarenal Capsules. 29]
‘and the sympathetic nervous system have been sufficiently emphasised.
Leydig [70 and 71) and Semper [106] have laid great stress on this
aspect of the question. It remains to say a word about their relations
to the blood-vascular systems. We have seen that each body is
placed on an intercostal artery which is a direct branch of the
aorta. This artery pierces the centre of the body and is always seen
in the middle of the section. But much more striking is the fact that
several of the anterior bodies (the number differs in different species)
are placed in the venous sinus, and during life are bathed in its blood.
Interrenal Body. The interrenal body is an “ochre-yellow” rod-
shaped structure, paired in the Rays, unpaired in the Sharks, lying
usually in the region of the posterior part of the kidney, but sometimes
extending as far forward as its anterior extremity.. It bears a striking
resemblance in its colour, general appearance, and relations to the
kidney to the suprarenals of the Anura, and in the first two of these
features, to those of the Reptilia.
This organ is the primitive type of the suprarenal cortex and
corresponds in structure with the cortical part of the suprarenal body
in Amphibians, Reptiles, Birds, and Mammals. It will be seen that it is
very similar in structure to a secreting gland, as shewn by its definite
arrangement into alveoli and its markedly granular protoplasm (see
PL XVI fis. 4).
The alveoli are arranged in many places in a radiating manner
round large veins or venous sinuses. In many of my sections are
seen structures very like “demilunes” in Mammalian mucous glands
(PI. XVI. fig. 4 dc). The appearance of the interrenal body when
examined microscopically is so like that of the “corpuscles of Stannius”
— the known suprarenal bodies of Teleostean fishes — that there
can scarcely be a doubt of the homology. between them (cf. PI. XVI.
figs. 4 and 7). This homology has been worked out in a separate
memoir by Diamare [25 and 26).
The organ is made up of masses of cells, apparently solid, which we
may designate the glandular alveoli (Pl. XVI. fig. 4). These vary in size
and shape in different groups of Elasmobranchs and even in different
. VA .
species. Thus in the Rays they have a more rounded form than in
19*
292 S. Vincent,
the Sharks. As seen in section the alveoli appear more or less oval
in form, about 50 u thick and reaching 140—150 u in length. Each
is surrounded by a fibrous membrane about 2 w in thickness. The
cells are mostly elongated; some of the longest of these are 30—50 u
in length, and reach quite across the thickness of an alveolus. The
nuclei of the cells have an average diameter of 10 wu. The cell
protoplasm is coarsely granular and contains in a fresh state fatty
looking globules. The nuclei shew nuclear figures in most cases. A
rich capillary plexus surrounds the alveoli, separating their connective-
tissue walls from those of neighbouring alveoli at nearly every point.
Here and there in the section these capillaries widen out so as to
constitute veritable sinuses.
It may with advantage be noted here, before leaving the subject
of the Elasmobranchs, that the cortex of the suprarenal capsules is
not much altered in the ascending series from Pisces to Mammalia,
but that the medulla gradually undergoes a development, till from
cells which differ little from pigmented nerve-cells devoid of axis-
cylinder processes, arranged in irregular masses, we get the glandular
form of the Mammalian medulla. The specific secretion and chromogen
appear however even in Elasmobranchs.
2. Ganoidei.
The Sturgeon (Acipenser sturio) is the only member of this
order about which I can make any positive statement. The suprarenal
bodies of this fish are yellow masses of varying size and shape,
scattered in the renal substance. I have nothing to add to the
description I have already given of the histology of these organs.
My former figure is reproduced (Pl. XVII. fig. 10) and it will be well
to quote the description from my former paper [116].
“The rounded or elongated-oval'alveoli (50—60 u in diameter,
or even 100 « long by about 60 u broad) are bounded by bold thick
walls, averaging 3 u in thickness (Pl. XVII. fig. 10 al. w.) and the cell
outlines are admirably preserved. The preponderating shape of the
cells is round or oval, and in some parts they are seen to overlap, as
the section is thick enough to contain several layers (x). In other parts
The Comparative Histology of the Suprarenal Capsules. 993
the cells are more polyhedral or irregular. Like the alveoli, they vary
somewhat in size; their average diameter is about 20 «. The nuclei
(n) are deeply stained and somewhat irregular in shape, having a
diameter of 3—6 u. The protoplasm is very finely granular as a
rule, occasionally more coarsely granular. ‘There are small nerve-
ganglia in connection with some of the bodies.”
It was concluded:— “I have no doubt, from the above structure,
that these bodies are the representatives of the suprarenal gland in
Ganoids, and in my opinion they correspond to the cortical portion in
higher Vertebrata”. I have not had the opportunity of putting the
matter to the physiological test in the case of the Ganoids.
à. Teleostei.
I have found suprarenal bodies in all fresh specimens examined.
They are usually paired, round or oval, pale pink bodies, placed on
the spinal or ventral surface of the kidney. They are near the
posterior extremity of the renal mass, and are either free on its
surface or more or less imbedded in its substance.
Histologically examined, the organs are found to be surrounded by a
fibrous capsule which varies in the species examined from about 4 to
70 w in thickness. Externally to this capsule the intertubular adenoid
tissue of the kidney is more abundant than in the other parts of the
renal mass. The capsule is always thicker where the suprarenal
adjoins the kidney substance, because: here we have a double layer
consisting of the capsule of the suprarenal body fused with the proper
capsule of the kidney. The suprarenal glands are thus quite distinct
and separate from the kidney substance. They are in fact simply
placed in depressions upon the surface of the kidney.
The fibrous capsule sends in trabeculae, which divide and subdivide
in the interior of the gland, and divide this up into vesicles or alveoli,
which bear a striking resemblance to those of the interrenal body of
Elasmobranchs. It is difficult to determine from sections the precise
form of these gland vesicles in the different species, but it seems that
in some cases they are tubular structures (see Pl. XVI. fig. 7 and
Pl. XVII. figs. 8 and 9), while in others they closely approximate
294 S. Vincent,
to spheres (Pl. XVI. figs. 5 and 6). In most cases these vesicles
appear to be completely filled with cells, but in some cases, as in
the Anguillidae, they contain a distinct lumen (PI. XVI. figs. 5 and 6).
In the Anguillidae, perhaps, we have the most typical arrangement.
In these animals the suprarenal body consists of a mass of a closed
cylinders, of varying form (Pl. XVI. figs. 5 and 6). On section
many of them appear rounded or polyhedral from pressure of neigh-
bouring cylinders, while others are more elongated, but never reaching
any very great length. The cylindrical alveoli are separated by a
loose connective-tissue in which runs a rich capillary plexus and
numerous lymphatic vessels. The alveoli are lined with cells usually
one row deep. These are columnar and contain a distinctly granular
protoplasm, and one, or sometimes two, nuclei. The cells are usually
18—20 u in length by 2-10 « in width. They are of unequal
heights and have the appearances which are usually interpreted as
indicating a breaking down of the cell substance to form a secretion.
But it is doubtful if this is the true significance of what one sees.
It is more likely that the cells in their central portions are more
friable than elsewhere and more easily break down under the razor.
In some species (Orthagoriscus mola) the alveoli have the form
of branching tubules running in all directions (Pl. XVII. figs. 8 and 9).
Thus the general appearance of the suprarenal bodies on section offers
a considerable variation throughout Teleosts, but when closely examined
the differences are found to consist (in addition to the form of the
acini already described) chiefly of variation in amount of fibrous tissue,
and variation in blood supply.
From histological considerations I previously came to the conclusion
that the suprarenal bodies of Teleosts consist entirely of cortex |116,
117). I have further tested the matter physiologically and chemically,
and find that the opinion then formed was correct [118, 120, 121, 122].
There seems to be in Teleosts no equivalent to the paired bodies of
Elasmobranchs or to the medulla of the suprarenal capsules of the
higher Vertebrata ').
!) The question of the relation of the degenerated pronephros or so-called
“head-kidney” to the suprarenal bodies of Teleostean fishes I have sufficiently
The Comparative Histology of the Suprarenal Capsules. 295
4. Dipnor.
Until 1896 nothing had been known of the suprarenals in the
Dipnoi, and even now our information is very limited. My own in-
vestigations upon preserved specimens yielded entirely negative results,
but I stated [/76]:— “Nevertheless, from « priori considerations, I be-
lieve that adrenals of some sort are almost certainly present in the
Dipnoi. These fishes closely approach the Amphibians in many respects
and I am persuaded that could one obtain perfectly fresh specimens
of large size, suprarenals of a type resembling that of the Amphibians
would be found.”
Since the above was written, Pettit [52] has claimed to have
found the suprarenal bodies of Protopterus annectens. He says that
in general form and relations they resemble those of the Teleostei,
while in minute anatomy they are rather like those of the Batrachians.
But he gives no histological details and says nothing about cortex
and medulla.
Since this account of Pettit is the only one extant of the suprarenals
in Dipnoi, it will be advisable to quote it in full: —
“Aucun auteur à ma connaissance n'a indique l'existence des
capsules surrénales chez les Dipnoiques; c'est là une lacune regrettable
que Wiedersheim déplore dans le remarquable chapitre de son Anatomie
comparée qui est consacré aux glandes surrénales.
Grâce à Vextréme amabilité de MM. les professeurs Filhol et
Vaillant, jai pu constater l'existence de ces organes chez le Protoptére
(Protopterus annectens, Owen).
Sur le spécimen que jai disséqué, ces organes étaient représen-
tées (Pl. III. fig. 8) par deux petites masses de volume inégal qui
ireated elsewhere [116, 117, 118, 119, 120, also 20]. It 1s sufficient here to repeat
that there is no anatomical or physiological relationship of any kind between the
two (vide supra, pages 4 and 5).
In the “Comptes Rendus" for last year,. No. 25 (Seance du Lundi 21 Juin)
is a communication by Huot on the suprarenal bodies of Lophobranchs in which
he expresses the opinion that in these fishes the suprarenal a has nothing
to do with the lymphoid tissue of the kidney.
In a later communication (Compt. Rend. CXXVI 1. p. 49), Huot says that
the suprarenal bodies of Lophobranchs are developed as 2 hollow diverticula from
the hinder end of the Wolffian duct.
296 S. Vincent,
étaient accolées à la face ventrale de la veine cardinale au point
oü celle-ci pénétre dans le canal hémal; ils sont par conséquent
en rapport, non plus comme chez les animaux précédemment étudiés
avec la face ventrale du rein, mais avec la face dorsale; il résulte
de cette disposition qu'elles perdent toutes connexions avec les glandes
génitales.
Par leurs rapports et par leur forme, les glandes surrénales
du Protoptere ne rappellent en aucune facon les mémes organes
des Batraciens desquels on le rapproche volontiers: au point de
vue morphologique il y a là un véritable hiatus entre les deux
classes. En réalité, il n'en est rien. En effet, les capsules de ce
Dipneuste ont une structure intime qui est assez voisine de celle qu'on
constate chez les Batraciens; elles sont composées par un parenchyme
beaucoup plus compact que chez les Poissons osseux, avec lesquels
elles n'ont guére de commun que la forme extérieure et les rapports
anatomiques.
Resumé.
En somme, les glandes surrénales du Protoptére, par leurs rapports
et par leur forme, rappellent, assez exactement, comme nous le verrons
bientöt, les mémes organes des Téléostéens; d'autre part, par leur
structure histologique, ce sont plutót des capsules de Batraciens."
The- author gives a drawing (Pl. III. fig. 8) in which not two
small unequal bodies are represented but one fair-sized body, and no
relations to the viscera are indicated. He does not state whether the
specimen he dissected was a fresh or a preserved one. If the former,
then the paucity of histological detail which he gives is very surprising.
If the latter, one would have expected him to announce the fact as
an excuse for histological deficiency.
VI. Amphibia.
1. Urodela.
In a previous communication [117] I have given a brief account
of the gross anatomy and histology of the suprarenal bodies in Sala-
mandra maculosa, but since that paper was written I have re-investi-
gated the subject, and have not seen reason to seriously modify my
The Comparative Histology of the Suprarenal Capsules. 997
views. In the above-mentioned paper I wrote: “I find, in fact, that
the suprarenal of Salamandra maculosa agrees in every respect as to
its histological structure with that of the Anura.” The chief difference
between the tailed and the tailless amphibians in respect to the
suprarenal organ is undoubtedly that in the former the body is divided
up into a series of small masses, while in the latter it is more or
less continuous.
Leydig [77] describes a very intimate relation between the sym-
pathetic ganglia and the suprarenal bodies in Salamandra maculosa.
He states, in fact, that there are to be found transitions between the
ganglion-cells of the sympathetic, certain yellowish cells in connection
with them, and the suprarenals on the kidney. But he does not make
it clear that the medulla of the suprarenal is alone in relation to the
‘sympathetic ganglia. In !my former paper [117] I found “no nerve-
cells whatever in close relation to the suprarenals”. In this I was
in error. Recent investigations have convinced me that the medullary
representative of the adrenal in Salamandra is very intimately related
to the ganglia of the sympathetic chain, and 7 am able to verify the
statement of Leydig that transition forms exist.
Much confusion has arisen as to the exact conditions of the supra-
renal capsules in the Urodela. Thus in a paper by Velich [715] in
1897, it is affirmed that in the opinion of Kölliker, there is no medullary
suprarenal in Birds, Amphibians, and Fishes! This author gives no
reference to Kölliker, but relies on the authority of Kahlgen [64],
who says: ,Die Nebennieren der Vogel, Amphibien und Fische, welche
kein Mark und keine Nerven haben, entsprechen nach Kölliker nur
der Rindensubstanz der Sáugetiernebenniere.^ Kahlgen likewise gives
no reference, and I have been unable to find that Kölliker expresses
any such opinion (see 66 and 67).
My own researches have been made upon Salamandra maculosa.
The kidneys were hardened in Miiller’s fluid and sections were cut
from end to end. At the anterior end one finds more medulla in
relation to cortex than at the posterior end, and it is in the anterior
portion that the relations to the sympathetic can best be made out.
When the material is placed in bichromate solution no apparent
298 S. Vincent,
darkening of the specks of suprarenal can be observed by the naked
eye"). It was found impossible also to get the tests for the chromogen
by making an extract. The extract, further, did not raise the blood-
pressure when injected into the blood-vessels of a living mammal’).
For these reasons extreme care has been employed in the histological
examination.
There can be no doubt that my former description of the two
kinds of tissue was in the main correct. I found, on looking up my
old slides that I had apparently relied entirely upon the characteristic
staining of the medullary cells with haematoxylin (vide infra pag. 302
and 306), having no specimens which had been hardened in bichromate.
This being rather unsatisfactory I have since employed Müller’s fluid
to detect with certainty the relations of the two substances. These
two constituents, the cortical and the medullary, are as distinct as in
Anura, Reptilia, Aves, and Mammalia, but the medulla is not present
in such large proportion as in any of these’).
The cortical substance presents the same histological features as
in the frogs and toads (q. v. infra), being composed of delicate solid
columns of cells interlacing in all directions. The structure of this
portion needs no further description.
The medullary portion is represented by small masses of brown‘)
cells, or even single cells, sometimes actually situated im the gangla
of the sympathetic, sometimes further away from the ganglia and in
closer contact with the cortical cell-columns. The anatomical condition
is in fact an intermediate one between that found in Elasmobranchs,
where the two constituents are quite independent of one another, and
that found in the Anura and Reptilia, where cortex and medulla have
come into close contact, but have only just commenced to be mixed
up together?) In the ganglia or close to them one can sometimes
1) This is in marked contrast to the behaviour of the suprarenals of the frog.
2) This result can only be attributed to the insufficient amount of material
which one could obtain.
3) Except perhaps in Ayla arborea, where I find the amount of medullary
substance to be very small.
4) i. e. after bichromate treatment.
5) This intermingling is complete in Aves (q. v. infra).
The Comparative Histology of the Suprarenal Capsules. 299
find large cells resembling nerve-cells, except that the protoplasm is
full of the brown pigment produced by the action of the bichromate
of potassium’). Then there are some smaller cells, less like. nerve-
cells and more like the proper medullary cells. These would appear
to be transition forms between the two. The proper cells of the
medullary substance are so like those of the Anura and Reptilia that
they do not deserve a separate description.
2. Anura.
There is practically no difference between the various species of
frogs and toads as regards the minute structure of the suprarenal
capsules. In these animals the suprarenals are golden-yellow streaks
on the ventral surface of the kidney, of about 15 mm. in length in
the common frog to about 28 mm. in a good sized toad. Their width
varies in a similar manner from 1 to about 3 mm. But their dimensions
vary very considerably according to the size and development of the
particular individual. In a good sized specimen the suprarenals present
on the ventral surface of the kidneys a very beautiful appearance,
forming on each side a series of irregular arcs with their convexity
outwards, and varying in width from place to place. Their colour is
of a bright yellow, of a somewhat fatty aspect, and their surface is
marbled with veins running in all directions. Their average dimensions
are given above, but it is noteworthy that in both frogs and toads,
although the suprarenal reaches nearly up to the anterior end of the
kidney, it always ceases at a point anterior to the posterior fifth of
that organ.
The adrenal is not quite continuous, but is broken up on each
side into a varying number of portions, separated by slight intervals.
With a lens, or sometimes even with the naked eye, they are seen to
consist of a series of parallel lines presenting a distinctly lobulated
appearance. :
The blood-supply appears to be the same as that of the kidney
substance, i. e. it receives arterial blood from the dorsal aorta and
1) These medullary cells and those of Reptilia possess a slight yellowish-brown
coloration even in a fresh state.
300 S. Vincent,
venous blood from the Renal Portal vein. But there are no capsular
arteries direct from the aorta; whatever arterial blood the bodies
receive, they get indirectly from the arterioles distributed on the kidney.
The tributaries of the Posterior Vena Cava, bringing impure blood
from the kidney, run for some distance longitudinally along the anterior
surface of the organs and around this part of their course the suprarenal
substance is collected. There are some three or four of these branches
on each side. It would almost appear as if the suprarenal had had
its exact location on the surface of the kidney determined by these
veins, for the discontinuity above mentioned corresponds fairly well
with the occurrence of the venous tributaries. In some cases the
suprarenal capsule appears to be little more than a kind of glandular
wall to the vein, and this explains the interesting fact first noticed
by Gruby [50] that when the blood-vessels are distended, the suprarenals
become less distinctly visible.
The suprarenal body forms a distinct bulging on the ventral surface
of the kidney as shewn in transverse section (Pl. XVII. fig. 11). It is
enclosed in the capsule of the kidney and there is no sheath or septum
of any kind between the cell-columns and masses of the former and the
tubules and malpighian bodies of the latter. The line of demarcation
between the two structures is however fairly definite, although there
is no connective-tissue boundary.
The gland is seen at once to consist of two distinct kinds of
structure. The greater part is made up of columns of cells which
are of varying size and shape and interlace in all directions (Pl. XVII.
fig. 11 and PI. XVI. fig. 12). The constituent cells vary somewhat in
shape but are mostly elongated or columnar, and contain a large round
nucleus with nucleoli. This substance is the “cortical”, which is homo-
logous with the interrenal body of Elasmobranchs, the known supra-
renal bodies (“corpuscles of Stannius”) of Teleosts, and the cortical
substance of the suprarenal bodies of Reptilia, Aves, and Mammalia.
But in addition to the above-described structure, we get masses
of a different kind of cell (me., Pl. XVII. fig. 11 and Pl. XVI. fig. 12).
These are to some extent irregularly distributed, but there is usually
a more or less continuous tract of them along the dorsal border of
The Comparative Histology of the Suprarenal Capsules. 301
the organ’). If the tissue has been hardened in alcohol, the cells
stain very deeply with haematoxylin, and the nucleus is not easily
seen. The cells are more irregular and somewhat larger, and the
nuclei have rather greater dimensions, than in the cortical cell-columns.
The nuclei are often oval. But the most striking feature about these
cells is that if the tissue has been hardened in Müller's fluid (or any
other fluid containing bichromate of Potassium), they become stained
brown just as do the chromogenic cells in the paired suprarenal bodies
of Elasmobranch fishes. So that this structure is the “medulla”.
The medulla is small in amount in proportion to the cortex. The
organ has a very rich blood-supply (see PI. XVII. fig. 11 and PI. XVI.
fig. 12). A network of capillaries runs between the alveoli (Pl. XVI.
fig. 12), and large veins are abundant.
There seems to be considerable difference between the various
species of the Anura in regard to the amount of medulla in proportion
to the cortex. This proportion is always small, but is particularly
so in Hyla arborea.
The physiological identity of the suprarenal capsules of the frog
with those of mammals has been placed beyond a doubt by the
researches of several authors. Thus Szymonowicz [112] has employed
extracts from a frog’s suprarenals in his experiments upon the alterations
of blood-pressure produced by such extracts. Langlois [69] has devoted
a separate paper to the subject. In conjunction with B. Moore [51].
I have chemically tested an extract made from the suprarenal capsules
of several frogs, and found that this gave the chromogen reactions in
a perfectly definite manner. "These physiological and chemical reactions
of eourse only apply to the medullary substance. 'lhe evidence as to
the homology of the cortical substance is morphological and histological.
VII. Reptilia.
While in Pisces and Amphibia the suprarenal bodies are in close
anatomical connection with the kidney, in the Reptilia they are inti-
mately associated with the reproductive apparatus. In the Lacertilia
1) Forming a sort of irregular boundary between the substance of the kidney
. and that of the suprarenal body.
302 : S. Vincent,
and the Ophidia the suprarenal body is situated between the postcaval
vein and the reproductive gland (ovary or testis as the case may be).
The position in the Chelonia is only apparently different, because in
this order the kidneys and reproductive organs are on about the same
antero-posterior level. I have not been able to examine any of the
Crocodilia.
The histolegical structure of the suprarenal capsules in the Reptilia
closely resembles that in the Amphibia. The cortical substance (which
constitutes by far the greater part of the gland) consists of curved,
irregular, branching, and interlacing columns of cells, about 50 u
thick and reaching a length of 120 w (Pl. XVIII. fig. 13), consisting
most often of a double row (as seen in section), but sometimes having
three or even four tiers. The cells are 20—26 u in length and about
8—10 u in width and their protoplasm is very distinctly reticulated
(co, Pl. XVIII. fig. 13); near the centre of each is a large rounded or
oval nucleus (2) about 7 >< 3 u or about 5 « in diameter, with a
marked nuclear network (m. net.) and nucleoli.
The medullary masses (Pl. XVIII. fig. 13, me) are of various
sizes and shapes, distributed through the gland. The greater part of
the medulla forms a layer along the dorsal aspect of the organ, but
| groups of five, six, or more cells are found in different regions of the
organ. There are also smaller groups (see, Pl. XVIII. fig. 13) or
even occasionally isolated single cells. The cells are larger than those
of the cortex, as also are the nuclei; the cell protoplasm is very
distinctly granular, the granules being of large size, rounded, and regu-
larly distributed throughout each cell (g. p., Pl. XVIII. fig. 13). They
become very deeply stained with haematoxylin if the tissue has been
hardened in alcohol, but brown if in Müller's fluid. The haematoxylin
in the latter case only stains the nucleus, leaving the cell-granules
brown.
Between the columns of cells are blood-spaces lined with a vascular
epithelium, i. e. capillaries (Pl. XVIII. fig. 13 ?). In some parts the
cell-columns are arranged in a radiating manner round one of these
large blood-spaces, just as one sometimes finds in the internal body of
Elasmobranchs (vide supra pag. 991). |
The comparative Histology of the Suprarenal Capsules. 303
The above description applies to Uromastix Hardwickii, but may
be considered as fairly typical of the Reptilia generally. Descriptions
of several other species and drawings of some few will be found in
an earlier paper [117].
The medulla, then, in the Reptilia is for the most part arranged
side by side with the cortex along the dorsal aspect of the organ,
but there is already a commencement of that intimate intermingling
of the two which is so characteristic of Aves.
Braun [11] describes transition forms of cells between nerve-cells
and medullary suprarenal cells in certain lizards. I have not succeeded
in verifying this, but I consider it probable that such forms are present.
(To be continued.)
Referat
von
W. Krause.
Ballowitz, E., Zur Anatomie des Zitteraales (Gymnotus electricus)
mit besonderer Beriicksichtigung seiner elektrischen Organe. Archiv
f. mikroskopische Anatomie. 1897. Bd. L. Heft 4. S. 686—750.
Mit 3 Taf.
Der Verfasser hatte die äusserst seltene Gelegenheit, das elektrische Organ
des Zitteraales in Deutschland mit allen Hülfsmitteln der histologischen Technik
zu untersuchen. Ballowitz liess durch Vermittlung des Berliner Aquarium zwei
Exemplare von Gymnotus electricus lebendig aus Venezuela kommen. Das eine
kam tot an, das andere lebte zwar, jedoch war es in emem sehr traurigen Zu-
stande. Die elektrischen Organe wurden mit Ueberosmiumsäure, Sublimat, Chrom-
osmiumessigsáure, Goldchlorid, absolutem Alkohol untersucht, resp. gehärtet; die
Silberchromatmethode gelang nicht. Ballowitz giebt zunáchst eme Beschreibung
der makroskopischen Anordnung jener Organe nach jenen zwei und noch vier
anderen in verdünnterem Alkohol conservierten Exemplaren, die nur das Bekannte ent-
hält. Das mikroskopisch untersuchte Exemplar war ziemlich klein, nur 65 cm lang.
Tingiert wurden die mikroskopischen Schnitte mit Hämatoxylin, Carmin oder
mit Anilinfarben. — Die sog. Pacinrsche Linie, die Pacini gar nicht kennt, indem
er nur die Spaltbarkeit der elektrischen Platte in eine vordere und hintere, nach
Sachs nervóse Schicht erwáhnt, erklirt Ballowitz für eine Schrumpfungserscheinung.
In dieser Gegend ist die Flüssigkeit, welche das feinfidige Gerüstwerk ausfüllt,
dinner, die Fiiden legen sich zusammen und diese verdichtete Stelle tingiert sich
naturgemiiss intensiver. Auch den Zerfall der elektrischen Platte in kleine, durch
eine hellere Trennungslinie geschiedene Stücke, welchen Fritsch (1881) beschrieben
hatte, leugnet Ballowitz und erklärt ihn für ein durch Einreissen entstandenes
Kunstproduct. Die scharfe Grenzlinie, welche die Oberfläche der Papillen des
elektrischen Organes überzieht, will Ballowitz Electrolemm nennen und vergleicht
sie dem Sarcolemm, insofern sie von den embryonalen Zellen, den Electroblasten,
herstammt; sie bedeckt unmittelbar emen Stübchensaum, der von dem bei Torpedo
an der hinteren Oberfläche der Platte wahrnehmbaren sich durch grössere Feinheit
und dadurch unterscheidet, dass diese Stäbchen direct in Fibrillenbüschel des
Inneren der Platte sich fortsetzen. Den eigentlichen an der hinteren Plattenober-
fläche befindlichen Stäbchensaum hält Ballowitz den elektrischen Stäbchen bei
Torpedo für homolog, letztere stehen aber bei Gymnotus dichter, kaum um den
Wert ihres Längsdurchmessers von einander entfernt, haben 0,0018 mm Länge und
sind mehr körnig oder uneben, als bei Torpedo; mit dem Elektrolemm ist ihr eines
Ende fest verwachsen. — Auch in Betreff der Nervenendigung befindet sich Ballo-
witz in fundamentalem Gegensatz zu Fritsch, der die Nervenfasern in die Substanz
der Dornpapillen, wie sie Du Bois-Reymond genannt hatte, übergehen lässt. Ballo-
witz ist nämlich ein Anhänger der fast hundertjährigen Lehre von den Nerven-
endschlingen und lässt die mit Gold gefärbten marklosen Nervenfasern in ein
Netz von sternförmigen nervösen Zellen übergehen, die nicht nur die Oberfläche
der Dornpapillen überspinnen, sondern mitunter sogar eine Verbindung zwischen
den Spitzen benachbarter Papillen herstellen. Auch hierbei befindet sich Ballowitz,
diesmal mit Ogneff, in Widerspruch.
Buchdruckerei Richard Hahn (H. Otto), Leipzig.
DEC 22 1899
(From the Physiological Laboratory, University College, London.)
The Comparative Histology of the Suprarenal Capsules.
By
Swale Vincent, M.B. Lond.,
British Medical Association Research Scholar.
(Continuation. )
VIII. Aves.
Very little need be said about the gross anatomy of the suprarenal
capsules in birds. They are bright ochre-yellow bodies, in very close
contact with the reproductive glands, so that with them they appear to
form almost one organ. This intimate relationship (which is seen also
in the Reptilia), is of peculiar significance as bearing upon the deve-
lopment of the cortical portion of the organ. The glands are also in
close connection with the vena cava and the aorta. Large nerve-
ganglia are found near the surface of the organ. The nerve-supply
is derived from the ovarian or spermatic plexus.
In birds the cortex and the medulla of the suprarenal capsules
are more intimately mixed than in any other animals. The medulla
is decidedly more abundant in proportion to the cortex than in any
other class.') The medullary columns are distributed fairly uniformly
throughout the gland. The medullary cells have every appearance of
having been pushed in, as it were, between the cortical columns, and
in Gallus bankiva this appearance is very marked, as there is an
almost complete layer of medullary cells surrounding the outside of
Sava interesting to note in this relation that birds have a very high
blood-pressure.
Internationale Monatsschrift für Anat. u. Phys. XV. 20
306 S. Vincent,
the organ, just within the capsule, with points of irruption here and
there, whence start the branching and interlacing cords which are found
throughout the organ.
The medullary masses in the outer portion of the suprarenal body
are always more abundant in the neighbourhood of the nerve-ganglia.
The cortical substance (co., Pl. XVIII. fig. 14) has the form of
gland vesicles of very varying size and shape. The cells (e. c.) form
a regular row of columnar shape, constituting a peripheral layer round
each alveolus. In the small peripheral cylinders, there is often only
one layer, which bounds a distinct, round or oval, lumen. But in
most cases the structure is that of solid masses of polyhedral cells
surrounded by a layer of columnar ones and having no lumen (Pl. XVIII.
fig. 14). The cells are finely granular and contain in a fresh state
numerous fat-globules.
The medullary cell-columns (Pl. XVIII. fig. 14 me.) are smaller than
the cortical, and shew no regular glandular arrangement of the cells.
These are considerably larger than the cortical cells and more irregular
in shape. After treatment with hardening fluids containing bichromate
of potassium, they shew a tendency to separate from each other,
leaving clear spaces between them. The most distinct feature of
these cells is the brown pigmentation which occurs after such treat-
ment. This is sometimes uniform throughout the cell protoplasm, some-
times in the form of distinct granules. Henle [54] first called attention
to this universal mode of distinguishing medulla from cortex, But as
Rabl [27] points out, and as I have already indicated for lower forms,
other modes of staining show a marked distinction between the two
structures. Thus with haematoxylin the cell-protoplasm stains almost
as deeply as the nucleus. The same applies to several other nuclear
stains. This indicates that the cell-protoplasm of the medullary sub-
stance approximates either in chemical or physical properties to nuclear
material. At the same time, the bichromate test is extremely useful
and quite unique, as no glandular tissue except the medulla of the
suprarenal capsule gives the same reaction. The medullary cells con-
tain no fat.
Rabl (loc. cit.) has applied the very appropriate names “Haupt-
The Comparative Histology of the Suprarenal Capsules. 307
strange” and “Zwischenstränge” to cortex and medulla respectively in
birds, but it is difficult to find terms which are applicable to the two
kinds of tissue throughout Vertebrates. For this reason it is better
to retain the names cortex and medulla, always bearing in mind that
they are quite misnomers in all animals below mammals.
The above-named observer made the very interesting discovery
that there are intermediate forms of cells between the ganglion cells
of the sympathetic nervous system and the proper cells of the supra-
renal medulla. Braun (loc. cit.) had previously described such in
Reptilia. I have indicated above that these are to be found in the
medullary glands of Elasmobranch fishes, and I can corroborate the
statement of Rabl with regard to Aves.
IX. Mammalia.
In the Mammalia the two separate glands of which the suprarenal
capsule is composed are not irregularly mixed up as in birds, but the
medulla is placed internally, being completely surrounded by cortex.
Indeed it is only in Mammals that these terms are appropriate to
the two portions.
If one cuts across a fresh suprarenal capsule of any Mammal the
cortex and medulla are always quite readily distinguishable from one
another. But there are wide differences in the general appearance of
the section in different species. Thus in some cases the cortex is
narrow and the medulla extensive, but in most cases the opposite is
the case, and the rule is that by far the greater bulk of the capsule
is made up of cortex. The guinea-pig has proportionately a large
medulla.
In tint too there is considerable variation; thus in the sheep there
is a yellowish white medulla, surrounded by a dark red cortex. In
the dog there is a dark pink medulla and an ochre-yellow cortex. The
rabbit has a very slight core of a greyish medulla surrounded by a
yellow cortex. In the guinea-pig much of the chromogen in the
medulla is developed into a pigment, and the substance appears dark
brown or purple when cut across.
These ditferences are undoubtedly associated in some way with
20*
308 S. Vincent,
the functional activity of the organs in the different species according
to their different habits of life, but more than this one cannot at present
affirm. The point which I wish to emphasise here is the marked and
uinversal distinction between the cortex and the medulla. This is
obvious enough without the application of any reagents, but can be
beautifully shewn by placing the gland, after being cut across, in a
solution of bichromate of potassium for a time, when the medulla
always becomes dark brown. As has been stated above for other
vertebrates, various staining re-agents mark the distinction quite well
for histological examination. Thus, if the gland has been hardened
in alcohol and stained with picro-carmine, the cortex has the proto-
plasm of its cells stained yellow andthe nuclei red; but the medullary
cells are scarcely touched by the picric stain. The same applies to
eosin and safranin. Thus the medullary protoplasm appears to stain
deeply with nuclear stains, but faintly with general stains.
Medulla. In Mammals the evolution of the medullary gland has
become completed. There is little or no trace in its structure of
anything which would make us suspect its nervous origin. We find
certainly an abundance of nerve-cells in the medulla of some animals,
but, so far as I have been able to ascertain, there are none of those
transition forms which obtain so high up in the scale as birds.
The cortex and medulla are always distinctly marked off from
each other, and have every appearance of being what they really are,
two separate and distinct glands of different origin, and probably
totally different functions. There is in some species a septum of
connective tissue separating the two portions from one another. In
other cases the distinction is rendered obvious by the above-mentioned
staining reactions.
The medullary cells are arranged in most Mammals in elongated
solid cords, in the form of a plexus. (Pl. XVII. fig. 15), the inter-
spaces of the meshwork being occupied by a rich network of capillaries,
with here and there a large blood sinus. In man the arrangement is
practically that which has just been described except that the cords
are shorter, so that in section the cells of the medulla appear to be
arranged in rounded groups.
The Comparative Histology of the Suprarenal Capsules. 309
There has been a considerable amount of confusion as to the form
of the cells of the mammalian medulla. They have frequently been
described as irregular in form, as having processes, and as leaving
irregular spaces between individual cells. These appearances are figured
by Eberth [20, 51] and his drawing has been extensively copied into
the text-books, but I am convinced that it is fallacious. It is certain
that after some methods of preparation these appearances are seen.
Thus, the arrangement seen in PI. XVIII. fig. 16 is often obtained.
But I am persuaded from the study of several species and the em-
ployment of many different modes of fixing and hardening, that this
appearance does not represent the true structure. I was at first of
the opposite opinion because the appearances so much resemble the
homologous structure in Elasmobranch fishes (cf. PI. XVI. fig. 1 and
PI. XVIII. fig. 3 with Pl. XVIII. fig. 16). The peculiarity seen in
these cases I attribute to two causes [/] shrinkage from the employ-
ment of bichromate of potassium [2] a softer and more delicate structure
of the medullary cells, which causes them to break up under the razor.
When alcohol or formol is employed as a fixing agent, one always
gets appearances closely resembling those depicted in PI. XVII. fig. 15,
which represents a small portion of the medullary substance of the sheep.
Here the medulla has the general arrangement described above, which
I believe to be the typical one, and the cells are regular in form. Even
after hardening in Müllers fluid, if care be taken in the preliminary
processes and in the cutting of the sections, one frequently gets the
cells regularly disposed in close contact with one another as in glands
generally, and with no signs of shrinkage of the individual cells.
The general arrangement of the medullary cell-columns does not
differ very much in the different species of mammals which I have
studied. In man, the cat, the dog, and some others, the appearance
is almost precisely like that drawn in PI. XVII. fig. 15 for the sheep.
V. Brunn [75] finds smooth muscular fibres in the medullary
substance in man, and in much smaller numbers in the horse, rabbit
and cat, but states that they are absent in most animals. They occur,
according to this observer, round the great veins in the medullary
portion of the gland, and are longitudinal in direction only, no circular
310 S. Vincent,
fibres being discoverable. De Mattei [75] also appears to have de-
scribed these fibres, but I have not been able to obtain access to his
paper. In the ox these bundles of muscular fibres are very striking.
As far as my own observations extend, they appear to be present
only in the larger capsules (i. e. in ox, horse, man &c.).
The nerve-terminations in the suprarenal capsules have been in-
vestigated by Dogiel [27] and Fusari [47, 42]. The nerve-fibres come
for the most part from the solar plexus. After a course of variable
length in the connective-tissue capsule, they penetrate perpendicularly
the cortical substance and bury themselves in the medulla. The nerve-
supply to the medulla is much more strongly developed than that to
the cortex, and in the former the relations of the nerves to the glan-
dular cells are much more intimate. In the medulla of large capsules
such as those of the ox, large nerve-fibres cut in various directions,
and groups of nerve-cells of differing sizes are frequently to be seen.
But nerve-cells are rarely to be found in the substance of the supra-
renals of smaller animals.
Cortex. In many aspects the cortical portion of the suprarenal
capsule is to be looked upon as the more important constituent of
the organ in the Vertebrata. Thus from Elasmobranchs upwards this
part is always present, while in Teleosts (and most probably Ganoids)
the medulla is wanting. Then, again, in most animals the cortex is
much more adundant than the medulla, and has a very regular glan-
dular aspect even in Elasmobranchs. The medullary portion on the
other hand appears to undergo a progressive evolution as we ascend
the scale of the Vertebrata, and it is not until we reach the Mammalia
that it partakes of the nature of a true internal-secreting gland.!)
So that we may look upon the cortical gland as the principal or
primary constituent of the suprarenal organ, to which certain cells
derived from the sympathetic nervous system have become related.
As this relation becomes more intimate the medulla gradually becomes
included within the substance of the cortex and takes on a distinctly
glandular form.
7) That is, as regards its histological structure. This characteristic secretion
is already elaborated even in Elasmobranchs [120, 121].
The Comparative Histology of the Suprarenal Capsules. 311
The structure of the mammalian cortex is tolerably easy to make
out and is fairly well-known. But it will be desirable to give a brief
account of it, so that it may be compared with its homologues in the
lower Vertebrata.
In man, as was first pointed out by Arnold [2], the cortex is
seen on section to consist of three layers, more or less distinct from
each other, but not nearly so much so as are cortex and medulla
from each other. The outermost layer is called the zona glomerulosa,
as the cells are aggregated into rounded masses. Beneath this is the
zona fasciculata, so-called from the elongated columns of cells which
form it. Internally, adjoining the medulla, is the zona reticularis,
this name indicating an approximation to a network arrangement of
the cortical columns in this layer.
These three layers are however only arbitrarily separated off from
each other. It seems clear that the “zona glomerulosa" is nothing
more than the columns of the ^zona fasciculata" which turn round
when they come near the surface of the gland and run for a greater
or less distance parallel to the capsule. In a radial section these
portions are of course cut transversely and appear as rounded masses
of cells.
This arrangement into three layers can be tolerably well made
out in the guinea-pig, the ox, and the dog. In the rabbit the “zona
fasciculata” sometimes runs to the surface, or there is only a very
narrow “zona glomerulosa" with a wide “zona reticularis”.
The zona fasciculata is always more faintly stained than either
of the other layers.
In some animals, as the horse and the ox, the cells in the outer-
most layer of the cortex do not always appear as circular masses,
but are sometimes arranged as crescents or horse-shoes, and sometimes
the ends of the crescent become fused and a ring of cells is formed,
presenting an appearance closely resembling that of a gland alveolus
with a large lumen. But this is not a true lumen, as appears from
the fact that it sometimes contains tissue of the same nature as the
stroma of the gland, and occasionally even blood-vessels may be ob-
served in it.
312 S. Vincent,
The cells which make up the masses and columns of the cortex
are mostly polyhedral, but in the most external of the outer layer in
the horse and in the dog they are elongated columnar.
In young animals one sometimes finds that the medulla has not
yet become completely surrounded by cortex, but comes to the surface
at some point. In the case of the suprarenal capsule of a young
rabbit I noted a very interesting appearance. Near that part of the
circumferance where the medulla reached the surface was a sympathetic
ganglion outside the capsule of the organ. Near to it, also outside
the capsule was a mass of cells resembling those of the suprarenal
medulla only not so uniformly stained by the bichromate. But no
cells which could be called transitional forms were to be discovered.
X. Development of the Suprarenal Capsules.
As I have not myself investigated this part of the subject I shall
content myself with a brief réswmé of the conclusions arrived at by
observers up to the present time. This is the more necessary since
the study of the development throws so much light upon the minute
structure of the adult organ.
Bergmann [9] and Remak [96] seem to have been the earliest
observers of the close relation subsisting between the suprarenal cap-
sules and the sympathetic nervous system. Leydig [70] in 1852,
pointed out the very intimate connections between the sympathetic
and the paired suprarenals of Elasmobranchs and the suprarenal bodies
of the Urodela. But Leydig misunderstood the nature of the cortex,
stating that it is derived from the medullary cells by the deposition
of fat-globules.
Leydig’s views as to the nervous origin of the medulla were
strengthened by the researches of Balfour [3] in 1878, who concludes
provisionally at this date that the paired bodies in Elasmobranch fishes
are the true suprarenals while the interrenal *does not belong to the
same system") Later, this author changes his opinion [6, 7] and
definitely expresses the view that: “In Elasmobranch Fishes we thus
7) By this, Balfour meant presumably that the interrenal body had nothing
to do with the suprarenals.
The Comparative Histology of the Suprarenal Capsules. 313
have |/] a series of paired bodies, derived from the sympathetic
ganglia, and [2] an unpaired body of mesoblastic origin. In the
Amniota these bodies unite to form the compound spurarenal bodies,
the two constituents of which remain however distinct in their deve-
lopment. The mesoblastic constituent appears to form the cortical
part of the adult suprarenal body and the nervous constituent of the
medullary part”.
This brilliant hypothesis has been fully confirmed by the in-
vestigations of most subsequent embryologists who have worked at
different classes of animals, as well as by my own observations upon
the comparative physiology and chemistry of the suprarenal capsules
[118—122, and 81, 52].
In Reptilia, Braun [1/] has fully established the development of
the medullary cells from the nerve-cells of the sympathetic ganglia.
In Birds, Rabl [97] states: “Es bleibt also nichts übrig, als die
Markzellen fiir abgetrennte Ganglienzellen zu nehmen, welche insofern
einen, dem embryonalen nahestehenden Zustand zeigen, als ihr Kern
nicht den Charakter des Zellkernes einer ausgebildeten Ganglienzelle
besitzt und das Protoplasma keine Nervenfortsätze entwickelt hat”
and he gives abundant evidence of this view. The cortical substance
is derived, according to this author, from the distal end of the pro-
nephros. Fusari [59, 40] also supports the view that the medullary
part of the suprarenal gland in Birds is derived from the nervous
system, and points out in these animals that the groups of “nervous
cells” remain distributed between the “epithelial lobules” while in the
mammal, the nervous portion assumes a central position. Fusari,
however, maintains that the interrenal body of Elasmobranch Fishes
is not homologous with any part of the suprarenal capsule, but with a
certain adipose tissue found round the suprarenals in some mammals.
Von Brunn [12] has also supported the nervous origin of the medulla
in Birds.
In the Mammalia there have been numerous observations, all of
them clearly pointing out the totally distinct origin and nature of the
cortex and medulla. Thus Mitsukuri [79] worked out the development
in the rabbit and the rat. He concludes that the cortical substance
314 S. Vincent,
arises from the mesoblast, while the medullary substance is derived
from the peripheral part of the sympathetic nervous system, and is
at first placed outside of the cortical substance, becoming transported
into the middle of the suprarenal body in the course of development.
Inaba [57] who studied the development in the mouse, found that the
cortex develops as a proliferation of the peritoneum at the angle of
the mesentery and laterally continuous with the beginning of the
generative organ, while the medulla is derived from the sympathetic
elements, which enter the organ in the 14" day embryo. They
increase and form a reticulated mass at the centre, from which the
cortical cells are gradually pushed aside. The connection with the
sympathetic system is usually cut towards the close of gestation but
in some may be retained till after birth.
Mihalkovics [77] has traced the cortical blastema from the Ger-
minal epithelium of the coelome, and this conception, viz: that the
cortex of the suprarenal capsule and the genital glands have the same
origin is the one now usually admitted. :
Gottschau [45] and Janosik [55] deny the nervous origin of the
medulla and state that this is formed from the cortex. Creighton [22]
even goes so far as to say that “the distinction between the cortex
and medulla of ordinary anatomy is quite arbitrary, as there is no
real difference between their constituent cells. The central part or
medulla is only more spongy than the rest". This view, contrary to
all sound evidence on the subject and only requiring the most casual
observation in order to be refuted, has nevertheless been supported
by Rolleston [700] so recently as 1895.
Valenti [114] thinks the suprarenal is a “rudimentary organ" (!).
Summing up what is known about the development of the supra-
renal capsules, it seems probable that the cortex is derived from the
germinal epithelium, while the medulla is derived from the nerve-cells
of the sympathetic ganglia’). -
eee medulla of the mammalian suprarenal capsule be derived phylo-
genetically from the series of paired suprarenal bodies of Elasmobranch fishes, it
is probable that only those bodies in the region of the kidneys and reproductive
organs have actually entered into the formation of the gland in higher animals.
What has become of the rest? Are they unrepresented in Mammalia? It is in-
The Comparative Histology of the Suprarenal Capsules. 315
XI. Summary and Conclusions.
1. The Suprarenal capsule in Vertebrates is made up of two
separate and distinct glands — the cortex and the medulla. In
Elasmobranch Fishes these two are quite independent. In Amphibia
and Reptilia the medulla is placed close to the cortex but only to a
comparatively small extent mixed up with it. In Birds the two are
irregularly combined, while in Mammals the medulla occupies a position
in the centre of the cortical substance.
2. Far from being in any sense “rudimentary organs”, the two
constituents of the suprarenal capsule show a progressive development
as we ascend the Vertebrate scale, the medulla especially becoming
more and more glandular in structure as we reach the Mammalia.
3. Developmental researches show that the medulla is derived
from the nerve-cells of the sympathetic ganglia. This origin is revealed
also by the histological structure in the adult in Elasmobranchs, Am-
phibians, Reptiles, and Birds, where transition forms are found
between nerve-ganglion cells and the proper cells of the medullary
substance.
4. According to the best evidence the cortex in Mammals is
derived from the germ epithelium.
5. Although the medullary gland is nervous in origin, in the
adult it seems to be no longer nervous but glandular, having a
characteristic internal secretion.
6. The medulla of the suprarenal capsule in the higher Verte-
brates corresponds to the paired suprarenal bodies along the sym-
pathetic in Elasmobranch Fishes. This is shewn by physiological
means, i. e. these paired bodies contain the same active principle as
the medulla of the suprarenal capsule in higher Vertebrates, and also
teresting to note that certain cells are described in connection with the abdominal
sympathetic ganglia which are not nerve-cells and closely resemble the medullary
suprarenal cells. Kohn [68] states that these become stained brown with potassium
bichromate.
With regard to the paired bodies anterior and posterior to these, it is not
impossible that they may be represented in the Mammalia by such glands as the
“carotid” and the “coccygeal”. I would rather throw this out as a suggestion
than hazard it as an opinion.
316 S. Vincent,
by chemical means, i. e., these bodies contain the same characteristic
chromogen as the medulla in higher animals.
The cortex in the higher orders corresponds to the interrenal
body in Elasmobranch Fishes. The physiological and chemical evi-
dence is negative, but the histological and morphological evidence is
very convincing.
7. In Teleostean Fishes the known suprarenal bodies (“corpuscles
of Stannius") consist solely of cortex. This is shown by the absence
of a physiologically active principle, by the absence of a characteristic
chromogen, by the fact that extirpation does not cause death [722]
and by their histological structure. They are thus homologous with
the interrenal body of Elasmobranchs.
8. In Ganoids the same is probably true, but I am guided here
entirely by histological evidence.
9. In Mammals the cortex and medulla, although anatomically
united into one organ, are still quite distinguishable from each other.
This distinction between the two is not arbitrary, but rigorously marked
out by a layer of connective tissue (in some animals), by staining
reaction, and by the arrangement of the alveoli, and the shape of the
constituent cells.
The medullary cells not only stain deep brown with potassium
bichromate, but the protoplasm stains as if it were a nucleus with
most nuclear stains while it stains less deeply with ordinary proto-
plasmic stains.
10. The totally distinct origin and structure of cortex and me-
dulla renders it probable that their functions have no relation to
each other. No one would imagine that the functions of the paired
suprarenals in Elasmobranchs have any relation to those of the inter-
renal, and since the two organs seem to be only as it were accidentally
combined, their functions have most likely remained distinet. The
function of medulla would appear to be, so far as we know at present,
to manufacture an internal secretion which it pours into the blood
and which, being distributed throughout the body, maintains the normal
tone of the muscular structures (Oliver and Schäfer [57]).
As for the function of the cortex, little can be said at present
The Comparative Histology of the Suprarenal Capsules. 317
No physiologically active principle can be obtained from it. Pettit [89]
has ascribed an antitoxic function to the suprarenal bodies of the
eel, which I have shewn to consist only of the representative of the
cortex ').
11. The suprarenals are very intimately related to the blood-
vascular system. This relationship is most striking in Elasmobranchs,
but is still evident in Mammals from the very large blood-supply to
the organ and its close anatomical connexion with the great veins.
12. The cortex, from a morphological stand point would seem
to be the more important or essential element of the suprarenal gland.
For it is always more abundant in amount than the medulla, and
is universally present in all animals above the very lowest Verte-
brates, whereas the medulla appears to be absent in some orders of
fishes”).
The following table is intended to represent in a compact form
the variations in occurrence and arrangement of the suprarenal con-
stituents throughout the Vertebrata, so far as is known at present: —
') This harmonises well with some interesting results obtained by Myers
(Brit. Med. Journ. 1898. April 9. p. 946) with regard to the action of tissue
extracts on cobra poison. His experiments were made with the organs of guinea-
pigs, and with the result that the suprarenal body was alone found capable of
neutralismg the cobra poison. Positive results were also obtained with the supra-
renal of the sheep, the only other animal tried. The interesting feature of these
experiments is that the medulla was found to be inactive, the cortex and the entire
gland active.
?) In the present state of our knowledge the medulla must undoubtedly be
considered as the more important from a physiological standpoint.
318
S. Vincent, The Comparative Histology
of the Suprarenal Capsules.
gu S
ES EX I
I S
=> e
S
ES
ES (Si S
“i
— e
E S
S
Interrenal body H c't
© H_ a_i
Mose
A E RB
Paired suprarenal bodiesincon- || & 2.0
nection with sympathetic E LY
>
zu Q
Suprarenal bodies in substance | ©
of kidney + 2
bi =
=)
EN se:
o à Di
Absent (?) RK S
= v E:
— — £| À
Suprarenal bodies (“corpuscles | S S S
of Stannius") upon surface of | 4 4 S
kidney S = S
SE 3
e 8
Absent Bui S
=
5 =
= D
2 o
Definitely stated to exist, but |& ©
2 Re
nothing yet known about cor- | "3 n
tex and medulla: o © ES
£a Ee S
si j à
5 =
e [S
Cortical cell-columns in supra- | S ES
renals on kidney SW ub e
IS
! EH -
Cell-masses in suprarenals on |£& = =
kid E à >
idney E, 3 DI
> ES à
=> I
Much the same as in Anura, ex- || 2 S S
cept that the suprarenal cap- || = a S
sule is divided up into sepa- || ® + S
rate specks along kidney and || E
vena cava E © -
. * =
More medulla in anterior re- || = > S
à E, Zi
gion E S.
Cell columns in suprarenals | g =
which are placed near the | = by SI
genital glands : È S 2
Cell masses in suprarenals, || = S
mostly dorsal in position, but || & =
partly intermingled with || =
cortex =
e Bau re e
© EB “Hauptstränge” | S
an Sore =
of see (Rabi) Ga
Wes Face M EN
So E ag ES E >
H Do if à =
EWG SEPE “Zwischen- E È
ERE stringe” | ©
S- SEE (Raw) 5 E
E © ROS S
: S
External zi =
© S
A S
Internal E 3
£g zn
Completely surrounded by cor- E, &
tex in adult E
Bibliography.
1. Arren, L., Essai sur les Capsules Surrénales. Thése. Paris 1894.
go
or
10.
THIS
Arnold, Ein Beitrag zu der Structur und dem Chemismus der Nebennieren.
Arch. f. path. Anat. 1886. S. 64.
Balfour, F. M., A Monograph on the Development of the Elasmobranch Fishes
London 1878.
— The Pronephros of Teleosteans and Ganoids. Brit. Assoc. Reports. 1881.
pi 72%
— On the Nature of the Organ in adult Teleosteans and Ganoids which is usually
regarded as the Head-Kidney or Pronephros. Quart. Journ. Micro:
Sci. Vol. XXII. p. 12 (Jan. 1882).
— Works (Memorial Edition) 1885. Vol. 3. p. 664—666. (Comparative Em-
bryology.)
— Ueber die Entwickelung und die Morphologie der Suprarenalkórper. Biol.
Centralbl. 1881,82. S. 136—138.
Beard, J., The Inter-relationships of the Icthyopsida. Anat. Anz. 1890.
V. Jahrg.
Bergmann, Dissertatio de glandulis suprarenalibus. Göttingen 1859.
Bojanus, Anatomia Testudinis. Willnae 1819—1821. Folio cum tab.
Braun. M., Bau und Entwickelung der Nebennieren bei Reptilien. Arbeit. a. d.
zool.-zoot. Inst. Würzburg 1879. Bd. V. S. 1—50. Taf. UI.
Brunn, A. von, Ein Beitrag zur Kenntnis des femeren Baues und der Ent-
wickelungsgeschichte der Nebennieren. Arch. f. mikr. Anat. Bonn 1872.
Bd. VIII. S. 618—638. Taf. XXVII u. XXVIII.
— Ueber das Vorkommen organischer Muskelfasern in den Nebennieren. Nachr.
von der Kk. Gesellsch. d. Wiss. Göttingen 1873. S. 421 u. 422.
. Calderwood, W. L., The Head-Kidney of Teleostean Fishes. Journ. of the
Mar. Biol. Assoc. of U. K., N. S. Vol II. No. 1 (May 1891).
Carlier, Note on the structure of the suprarenal body. Anat. Anz. Bd. VIII.
1892,93. p. 448—445.
. Carus, Lehrbuch der Zootomie. Leipzig 1815.
— Grundzüge der vergleichenden Anatomie. Dresden 1828.
. Chevrel, R., Sur l’Anatomie du Systeme nerveux grand sympathique des
Elasmobranches et des Poissons Osseaux. Arch. de Zool. expér. et gén.
2e série. T. V. bis. 1887 Supplémentaire. and Thése. Paris 1889.
320
19.
S. Vincent,
Chevrel, R., Recherches anatomiques sur le systeme nerveux grand sympa-
thique de l’Esturgeon. Arch. de Zool. exper. et gén. 3e série. 1894.
T. IT and paper bearing same title in C. R. T. CXVII. No.13. 2e Semestre.
p. 441.
Collinge, W. E. and Swale Vincent, On the so-called Suprarenal Bodies
in the Cyclostomata. Anat. Anz. 1896. Bd. XII. No. 9 und 10.
. — The Suprarenal Bodies of Fishes. Nat. Sci. Vol. X. No. 63 (May 1897).
Creighton, A theory of the homology of the suprarenals based on obser-
vations. Journ. of Anat. and Phys. Vol. XII.
. — Points of resemblance between the suprarenal bodies of the horse and dog
and certain occasional structures in the ovary. Proc. Roy. Soc. 1877.
Vol. XXVI. p. 500.
Cuvier, Lecons d'Anatomie comparée. Rec. par Duvernoy. Paris 1805. T. V.
p. 242.
>. Diamare, V., I corpuscoli surrenali di Stannius ed i corpi del cavo addominale
dei teleostei. — Notitzie anatomiche e morfologiche. Bollet. della Soc. di
Naturalisti in Napoli. Anno IX. Marzo 1895. Vol. IX. p. 10—24.
— Ricerche intorno all’Organo interrenale degli Elasmobranchi ed ai corpus-
coli di Stannius dei Teleostei. Mem. della Società Ital. delle Scienze
(dette dei XL). 1896. Serie HI. Tomo X.
. Dogiel, Die Nervenendigungen in den Nebennieren der Säugetiere. Arch. f.
Anat. u. Phys. 1894. (Analyse de Nicolas.)
. Dastoiewsky, Material zur mikr. Anatomie der Nebennieren. Inaug.-Diss.
St. Petersburg 1884.
— Ein Beitrag zur mikr. Anat. f. mikr. Anat. 1896. Bd. XXVI. H. 2. S. 272
bis 296.
Eberth, E., Die Nebennieren. Strickers Handbuch der Gewebelehre des
Menschen u. d. Tiere. Leipzig. Bd. I. S. 508—516. Fig. 154—163.
— Human and Comparative Histology. Stricker Trans. by Power (New Syden-
ham Society). Vol. II. p. 110.
Ecker, A., Der feinere Bau der Nebennieren etc. 2 Steintafeln. Braunschweig
1846 (Vieweg & Sohn).
— Recherches sur la structure intime des corps surrénaux etc. Ann. d. scienc.
nat. Paris 1847. 3e série (Zool). p. 103—118.
— Blutgefássdrüsen. In R. Wagners Handwörterbuch d. Physiologie. Braun-
schweig 1853. Bd. IV. S. 128.
— u. Wiedersheim, Die Anatomie des Frosches. Braunschweig 1864—82.
Ellenberger, Vergleich. Histologie der Haussáugetiere. Art. Nebenniere par
Terey. Berlin 1887. S. 269—272.
— u. Baum, Anatomie des Hundes. Berlin 1891. S. 337. Fig. 125.
Frey, H., Art. ^Suprarenal Capsules" in Todd's Cyclopaedia of Anat. and Phys.
1852. Vol. IV.
9. Fusari, R., Contribuzione allo studio dello Svilippo delle Capsule surrenali.
e del Simpatico nel Pollo e nei Mammiferi. Arch. per le scienze med.
Torino 1892. Vol. XVI. No. 14. p. 249—301. Tav. IV— VII.
On
[en]
ex
SI
58.
59.
60.
61.
62.
63.
| e
The Comparative Histology of the Suprarenal Capsules. 391
. Fusari, R., Sullo Sviluppo delle Capsule surrenali. Risposta al Prof. G. Valenti.
Letta all Academia delle scienze med. e Natur. di Ferrara. 1893.
— Sulla Terminazione delle fibre nervose nelle Capsule surrenali. Atti della
R. Accad. delle scienze di Torino. 1891. Vol. XXVI. Gennaio 11.
. — De la terminaison des fibres nerveuses dans les capsules surrénales des
Mammifères. Arch. Ital. de Biol. 1891. Fev. 1. T. XVI.
— Contribution à l'étude du dévelopment des capsules surrénales et du sym-
pathique chez le poulet et chez les Mammiféres. Ibid. 1892. T. XXVIII.
Goodsir, On the suprarenal bodies, thymus, and thyroid. Phil. Trans. 1846.
p. 633.
5. Gottschau, M., Ueber die Nebennieren der Säugetiere, spec. über die des
Menschen. Sitzungsber. d. Würzb. phys.-med. Gesellsch. 1882.
— Ueber die Nebenniere der Säugetiere. Biol. Centralbl. 1885. Bd. III. No. 18.
Grandry, Mémoire sur la structure de la capsule surrénale de l'homme et de
quelques animaux. Journ. de l'Anat. et de la Phys. 1867. p. 225—257
et 889—400.
Grosglik, Zur Morphologie der Kopfniere der Fische. Zool. Anz. 1885.
. — Zur Frage über Persistenz der Kopfniere der Teleostier. Zool. Anz. 1886.
Gruby, Récherches anatomiques sur le systéme veineux de la grenouille. Ann.
des Sciences nat. 1842. T. XVII.
. Guarnieri et Magini, Etude sur la fine structure des capsules surrénales.
Arch. Ital. de Biol. 1888, et Atti della R. Accad. dei Limcei Anno 1895.
1888. Série IV. Rendiconti V. Fasc. XIII. p. 845—848.
Gulliver, “On the Suprarenal Glands” in Gerber’s Anatomy. London 1842.
Harley, The Histology of the Suprarenal Capsules. Lancet. June 2, 1858.
Henle, Ueber das Gewebe der Nebenniere und der Hypophysis. Zeitschr. f.
rat. Medici. 1865. S. 143—152.
Holm, Ueber die nervósen Elemente im den Nebennieren. Sitz. d. Wiener Akad.
der Wiss. 1866. Math.-wiss. Classe. II Abt. Bd. LHI. H. 1—5. S. 314—321.
Hyrtl, J., Das uropoetische System der Knochenfische. Sitz. d. Wien. Akad. 1851.
Inaba, Notes on the development of the Suprarenal Bodies in the Mouse.
Journ. of the Coll. of Sci, Imperial Univ. Japan. 1891. Vol. IV. Part I.
p. 215—237.
Janosik, Bemerkungen über die Entwickelung des Genitalsystems. Sitz. d.
K. K. Akad. Math.-naturwiss. Classe. Wien 1890. Bd. XCIX. H.4. Abt. III.
— Bemerkungen über die Entwickelung der Nebennieren. Arch. f. mikr. Anat.
1883. Bd. XXI. S. 738—746. Taf. XXVII.
Joesten, De glandularum suprarenalium structura. Bonn 1863.
— Der feinere Bau der Nebennieren. Arch. f. Heilkunde. 1864. Bd. V.
S. 97—110.
Jungersen, H. F. E., Die Embryonalniere des Stórs. Zool. Anz. 1893. Bd. XVI.
S. 464—467, 469—472 (1 Fig.).
— Die Embryonalniere von Amia Calva. Zool. Anz. 1894. Bd. XVII. S. 246
bis 252 (5 Fig.).
Internationale Monatsschritt für Anat. u. Phys XV. 21
e
322 8. Vincent,
64.
65.
66.
61.
68.
Kahlgen, Centralbl. f. allg. Path. 1896. No. 11 u. 12.
Kirkaldy, J. W., On the Head-Kidney of Myxine. Quart. Journ. Micr. Soc.
Jan. 1864. Vol. XXXV. p. 553.
Kölliker, Handbuch der Gewebelehre. 1867.
— Entwicklungsgeschichte der Menschen und der hóheren Tiere. Leipzig 1879.
Kohn, Ueber die Nebenniere. Prag. med. Wochenschrift. 1898. Bd. XXIII.
No. 14%
Langlois, M. P., Recherches sur Videntité physiologique des corps surrénaux
chez les batraciens et les mammiféres. Arch. de phys. Janv. 1898. No. 1.
. Leydig, F., Beiträge zur mikr. Anat. etc. der Rochen u. Haie. Leipzig 1852.
— Anat.-histol. Unters. tther Fische u. Rept. Berlin 1853.
— Zur Anat. u. Histol. der Chimaera monstrosa. Millers Arch. 1851.
— Lehrbuch der Histologie. Frankfurt 1857. S. 188—192.
— Deutsche Saurien. Tübingen 1872.
. Mattei, di, Sulle fibre musculari liscie delle capsule surrenali allo stato nor-
male etc. Gior. Accad. d. med. di Torino. 1886. 39. S. XXXIV. p. 322
bis 991.
. Me. Kenzie, Contributions to the Anatomy of Amiurus. Proc. Canad. Inst. of
Toronto n. s. 1884. Vol. II. No. 3.
. Mihálkovies, Entwickl. d. Harn- u. Geschlechtsapp. der Amniota. III. Die Ge-
schlechtsdrüsen. Intern. Monatsschr. f. Anat. etc. 1885. Bd. II. S. 385—402.
. Minot, Morphology of the Suprarenal Capsules. Proc. Amer. Assoc. for the
Advance of science. 1885. Vol. XXXIV.
. Mitsukuri, On the development of the Suprarenal bodies in Mammalia.
Quart. Journ. Micr. Sci. London. Vol. XXII. p. 17—29. PI. IV.
. Móers, Ueber den feineren Bau der Nebenniere. Arch. f. path. Anat. u. Phys.
1864. Bd. XXIX. S. 336—358.
Moore, B., and Swale Vincent, The Comparative Chemistry of the Suprarenal
Capsules. Proc. Roy. Soc. London. Vol. 62. p. 280.
— — Further observations upon the comparative chemistry of the Suprarena
Capsules etc. Ibid. Vol. 62. p. 352.
. Morano, Studio sulle capsule surrenali. Napoli 1870.
. Müller, J., Vergleichende Anatomie der Myxinoiden. Schluss. Abhandl. d.
Akad. d. Wiss. zu Berlin. 1843. S. 113.
. Nagel, Ueber die Structur der Nebennieren. Müllers Arch. 1836. S. 365.
Oesterlen, Beiträge zur Physiologie des gesunden und kranken Organismus.
Jena 1843. S. 21.
Oliver, G., and Schäfer, E. A., The Physiological Effects of Extracts of the
Suprarenal Capsules. Journ. of Phys. 1895. Vol. XVIIL No. 8.
. Pappenheim, Ueber den Bau der Nebennieren. Arch. f. Anat., Phys. und
wiss. Med. 1840. S. 534— 537.
. Pettit, A., Recherches sur les capsules surrénales. Thése. Paris 1896.
— Sur les capsules surrénales et la circulation porte surrénale des oiseaux.
Bull. du Muséum. 1896. No. 3.
91.
92.
93.
94.
95.
96.
Im.
98.
99.
100.
101.
102.
103.
104.
105.
106.
107.
108.
109.
110.
ibn
I
113.
114.
115.
The Comparative Histology of the Suprarenal Capsules. 323
Rabl, Die Entwickelung und Structur der Nebennieren bei den Vógeln. Arch.
f. mikr. Anat. 1891. Bd. XXXVIII. H. 4.
Rathke, Beitráge zur Geschichte der Tierwelt. Halle 1825. Abt. III.
— Bemerkungen über den inneren Bau des Querdes und das kleine Neun-
auge. Schriften der Naturwiss. Gesellschaft Danzig. 1827.
— Müllers Arch. 1839.
Rauber, Zur feineren Structur der Nebennieren. Inaug.-Diss. Berlin 1881.
Remak, Untersuchungen über die Entwickelung der Wirbeltiere. Berlin 1855.
Retzius, Observationes in Anatomiam Choudropterygiorum. London 1819. 4 to.
— Anatomisk undersökning öfver nägra delar af Python bivittatus jemte
comparativa anmarkningar. Stockholm 1830 (Akad. Handl.). p. 81—116.
Rolleston, Note on the anatomy of the suprarenal body. Journ. of Anat.
and Phys. 1892. Vol. XXVI. p. 548—558.
— On the Suprarenal Bodies. Brit. Med. Journ. 1895. pp. 629. 687. 745.
Schafer, E. A., in Quain’s Anatomy. 1896. (10th edition.) Vol. III. Pt. IV.
p. 902.
Schmorl, Zur Kenntnis der accessorischen Nebennieren. Beitr. z. path. Anat.
und z. allg. Path. 1890. S. 528—529.
Seiler, Art. Nebennieren in Med. Realwórterbuch, herausgegeben von Pierer
und Choulant. Altenburg 1823.
Semon, R., Ueber die morphologische Bedeutung der Urniere in threm Ver-
haltnis zur Vorniere und Nebenniere und iiber ihre Verbindung mit dem
Genitalsystem. 8 Abbildungen. Anat. Anz. 1890. S. 455.
— Studien über den Bauplan des Urogenitalsystems der Wirbeltiere (Ithtiophis).
Jenaer Zeitschr. 1891. Bd. XXVI. S. 89—203.
Semper, C.. Urogenitalsystem d. Plagiostomen. Arbeit. a. d. zool.-zoot.
Inst. Würzburg. 1875. Vol. I.
Siebold et Stannius, Nouveau manuel d'Anat. comp. Paris 1849.
Stannius, H., Ueber Nebennieren in Knochenfische. Müllers Arch. 1839.
S Gi M:
— Vergleichende Anat. Berlin 1846. S. 118 u. 119.
— u. v. Siebold, Handb. d. Zoot. Berlin 1854. 2. Aufl. S. 257—201.
Swammerdamm, Biblia naturae. Leydae 1738. In eodem opere. Tractatus
de sanguinis circuitu in rana adulta. p. 794.
Szymonowicz, L., Die Function der Nebenniere. Arch. f. d. gesamte Phys.
1896. Bd. 64. S. 131.
Taruffi, C., Sulla struttura delle capsule surrenali. Bollett. delle Scienz. med.
di Bologna. 1866. Vol. II.
Valenti, Sullo sviluppo delle capsule surrenali nel pollo ed in alcuni mammi-
feri. Atti della Soc. Toscana di scienze naturali. Pisa 1889. Vol. X. Tav. X.
Velich, Ueber die Veränderungen der Blutcirculation nach Einwirkung des
Nebennierenextractes. Wiener allg. med. Zeitung. 1897. S. 301.
21*
324
116.
Ie,
S. Vincent, The Comparative Histology of the Suprarenal Capsules.
Vincent, Swale, Contributions to the Comparative Anatomy and Histology
of the Suprarenal Capsules. — The Suprarenal Bodies in Fishes and
their Relation to the so-called Head-kidney. Trans. Zool. Soc. London
(April 1897). Vol. XIV. Part. III. No. 1. p. 41—84 (6 plates).
— The Suprarenal Capsules in the Lower Vertebrates. Proc. Birm. Nat. Hist.
and Phil. Soc. 1896. Vol. X. Part. 1. p. 1—26 (2 plates).
— On the Morphology and Physiology of the Suprarenal Capsules in Fishes.
Anat. Anz. 1897. Bd. XIII. No. 1 u. 2. p. 39-48.
- On the Suprarenal Capsules and the Lymphoid tissue of Teleostean Fishes.
Ibidy 1897. Bde XV Nor:
— The Comparative Physiology of the Suprarenal Capsules. Proc. Roy. Soc
London. Vol. 61. p. 64.
— Further Observations upon the Comp. Phys. ete. Ibid. Vol. 62. p. 176.
— The Effects of Extirpation of the Suprarenal Bodies of the Eel (Anguilla
anguilla). Ibid. Vol. 62. p. 354.
3. Wagner, R., Lehrbuch der Anatomie der Wirbeltiere. Leipzig 1843. S. 287.
. Weldon, W. F. R., On the Head-Kidney of Bdellostoma etc. Quart. Journ.
Micr. Sci. (April 1884). Vol. XXIV. S. 171.
— Suprarenal Bodies of Vertebrata. Ibid. Vol. XXV. p. 127.
. Wiedersheim, R., Lehrbuch der vergleich. Anat. der Wirbeltiere auf Grund-
lage der Entwicklungsgeschichte. Jena 1886. 2. Aufl.
— Manuel d’Anatomie comp. des Vertebres. Trad. Moquin-Tandon. Paris 1890.
Zellweger, Untersuchungen tiber die Nebennieren. Frauenfeld 1858.
ad.
Explanation of the Plates.
Reference-Letters common to all the figures.
adenoid tissue of kidney between the tubules; al. w., walls of alveoli;
bild. c., blood-corpuscles; ca., capsule; €. sp., central space in alveoli; d.c., cells
resembling *demilune" cells; co., cortex; e.c., elongated cells; n., nuclei; m.c.,
nerve-cells; n.net., nuclear network; »., nucleoli; Á.f., kidney tubules; p.c., bran-
ched pigment cells; pr., granular protoplasm; me., medulla; s., septa; str., fibrous
stroma.
Fig.
Fig.
Fig.
Fig.
Fig.
Fig.
ll;
el, VE.
Portion of central part of paired suprarenal body from the middle region
of the animal (Raja clavata), shewing branched chromogenic cells, as
seen under a magnifying power of 480 diameters.
Part of peripheral zone of paired suprarenal body from the middle region
of the animal (Scyllium canicula) shewing columnar cells. Same magni-
fication as preceding fig.
Section through a small portion of the interrenal body of Raja clavata.
As seen under a magnifying power of 480 diameters. Outlmes drawn
with the camera lucida.
Section taken through portions of kidney and suprarenal body of Conger
conger, shewing the intertubular adenoid tissue of the kidney with tubules
here and there, and the general structure of the suprarenal body as seen
under a low power.
From same slide as preceding, shewing the detailed structure of the
suprarenal vesicles. Outlines drawn with camera lucida.
Section of small portion of suprarenal body of Salmo trutta. Seen
magnified 480 diameters. Compare with fig. 4.
From same slide as preceding. To shew cortical cell columns and
medullary masses of cells. Higher power.
EE XV TL
Section of external portion of the suprarenal body of Orthagoriscus
mola. Low power.
From same slide as preceding. Higher power.
326
Fig. 10.
Fig.
Fig.
Fig.
Fig.
SELE
31105
13.
14.
16.
S. Vincent, The Comparative Histology of the Suprarenal Capsules. .
Section of suprarenal of Acipenser sturio. The body was put into osmic
acid about 12 hours after death, and sections were cut with the freezing
microtome on the following day. The alveolar arrangement is well seen,
and the cell-outlines are admirably preserved. Zeiss H. immers., E. P. 2.
Camera lucida. i
Section through the suprarenal capsule of Bufo vulgaris, shewing re-
lation of suprarenal to kidney substance. Low power.
Small portion of the medullary substance of the suprarenal capsule of
Ovis aries. The section demonstrates the solid cords interlacing in all
directions. The interspaces consist almost entirely of capillaries. The
body was hardened in methylated spirit, and stained with picrocarmine.
The Cell-Outlines are distinctly shewn.
VS XQ LED
Chromogenic cells from central part of a suprarenal body (middle region
of Body, Raja clavata). As seen magnified about 700 times. Figs. 1
and 9 shew a groundwork of cells which are not chromogenie, probably
of the same character as those in fig. 2.
Small portion of suprarenal of Uromastix hardmickii, Leitz. Panta-
chromat. 30 mm. Drawn with Abbé’s Camera lucida. The preparation
was a most successful one and my drawing does not adequately represent
the clearness and delicacy of the details. The material was hardened in
alcohol so that the medulla is not brown, but the protoplasm of its cells
has become stained with haematoxylin.
Section of suprarenal capsule of Meleagris Gallopavo. The material was
hardened in Müller's fluid and stained with haematoxylin and eosm. A
strand of medullary cells, stamed brown with the pot. bichrom. is seen
running between the cortical column. As seen under a magnification
of 480.
This fig. represents the appearance of the medulla of Bos taurus after
hardening in Müller's fluid, and staining in bulk with picro-carmine. It
is doubtful whether the appearances of these medullary cells are not
fallacious and due to shrinkage.
Untersuchungen zur Anatomie des menschlichen Darmes.
Von
Dr. med. S. Stopnitzki
in Moskau.
Mitgeteilt von R. Weinberg.
lI. Die Darmlange des Menschen.
Die Frage nach der Lange des menschlichen Darmes ist nicht
neu und doch besitzen wir immer noch keine genauen Vorstellungen
von der wahren Längenausdehnung des Darmkanals. Bedingt erscheint
dies erstens durch den anatomischen Bau des Darmes, zweitens durch
die Unvollstándigkeit der Methoden und drittens durch eine Reihe
secundärer Verhältnisse.
Nur ‘/, des Darmkanales befindet sich unter Bedingungen, die
eine genauere Messung gestatten. Die übrigen */,, nämlich der mesen-
teriale Teil des Darmes, stellen infolge ihres anatomischen und topo-
graphischen Verhaltens der Messung bedeutende Schwierigkeiten in
den Weg.
Tarenetzkis Methode, den Darm mit Spiritus zur Messung vor-
zuhärten, habe ich wiederholt zu prüfen Gelegenheit gehabt. Es er-
gaben sich mir aber auch bei viermaliger Messung nicht zweimal die-
selben Resultate.
Aber nicht nur über die Länge des Darmes an sich (s. umstehende
Tabelle), sondern auch bezüglich des Einflusses von Geschlecht, Krank-
heiten, Art der Ernährung etc. auf die Darmlänge bestehen grosse
Differenzen unter den Autoren. Dieser Umstand veranlasste mich, die
Länge des Dünndarmes einer erneuten Prüfung zu unterziehen.
328 S. Stopnitzki,
Da die bisherigen abweichenden Ergebnisse zweifellos bedingt sind
durch fehlerhafte Methodik in der Bestimmung der Darmlange, so ent-
schloss ich mich, um zuverlässige Werte zu erzielen, den Darm mit
8 °/, Chromsäurelösung vorzuhärten. Sofort nach Eintreffen des Cadavers,
d. h. meist am dritten Tag nach dem Exitus letalis, injicierte ich min-
destens einen Liter 8 °/, Chromsäurelösung durch den Nabel in die
Bauchhöhle, schloss die Oeffnung und liess die Leiche 24 Stunden
liegen, bis die Därme durch die Wirkung der Chromsäure erhärtet
waren. Dann erst eröffnete ich das Abdomen und schritt zur Messung
des Darmes. Die Säure giebt den Därmen die Consistenz der Haut,
sie verlieren ihre Schlüpfrigkeit und Dehnbarkeit. Zuweilen hatten
sich Teile des Darmes der Einwirkung der Säure entzogen, In den
Autoren Minımum | Maximum Mittel
Meckel Rai dna Lane 4080 8473 5649
Cmellinie»i o aso ooo c 5643 7846 6866
US CHR AN oper ry pane weenie ee 2510 10670 7846
dicte eb A a ERICH ES 4720 10550 7635
SEE) OVOCCN flee ee e cT em — | — 8800
DE CIRCE RIONI AN AO ER 1M 4160 | 9980 6236
Toussaint-Frappaz . . . . 5900 | 3700 7300
Fallen, wo die Ausdehnung dieser nicht erhárteten Bezirke gering war,
liess ich sie unbeachtet; wenn aber bedeutende Strecken des Darmes
von dem Mittel unberührt geblieben, schloss ich den Leichnam von
den Messungen aus. Dies war am éftesten der Fall bei sehr auf-
getriebenem Abdomen.
Vor der Messung des so vorgehàrteten Darmes versuchte ich zu
eruieren, um wieviel der Darm unter dem Einflusse der injicierten
Lósung sich verkürzt. Ich óffnete zu diesem Zwecke das Abdomen
einer erwachsenen Leiche, zog eine möglichst lange Schlinge vor und
versuchte sie in situ zu messen. Dann goss ich Chromsäurelösung in
die Bauchhóhle, wiederholte die Messung der Schlinge nach 24 Stunden
und fand nun in der Differenz der Beiden Messungsergebnisse den
Grad der Verkürzung. Auf der so gewonnenen Grundlage ging ich
nun einen Schritt weiter: ich maass jetzt 100 cm des Darmes zuerst,
Untersuchungen zur Anatomie des menschlichen Darmes. 329
ohne das Segment abzutrennen, in situ und darauf nach Einwirkung
der Chromsáure noch einmal. Aus 20 solehen Messungen konnte ge-
schlossen werden, dass der Darm infolge der Einwirkung 8 °/, Chrom-
säurelösung sich im Mittel um 10 ?/, verkürzt, d. h. 100 cm des frischen
Darmes entsprechen 90 cm des mit Chromsäure behandelten.
Hieraus lässt sich nun leicht die wahre Darmlänge berechnen.
Gesetzt, die Länge des Dünndarmes betrage nach Einwirkung der
8°/, Chromsäurelösung 450 cm, so ergiebt sich, da sich der verkürzte
Darm zu dem frischen wie 90:100 verhält, die Proportion x : 450
—100:90 und x—-500 cm. Ein Darm also, der nach Chromsäure-
härtung 450 cm misst, hat eine wahre Länge von 500 cm. Nach
dieser Formel lässt sich eine Correctur der Messungsergebnisse herbei-
führen.
Der eigentlichen Darmmessung ging vorher Messung der Körper-
und Rumpflànge. Als Rumpflange diente mir die Entfernung zwischen
Scheitel und Verbindung des Kreuz- und Steissbeines (Tarenetzki).
Sodann wurde Ernährungszustand, Geschlecht, Alter und Todes-
ursache notiert. Das Material, welches zu meinen Messungen diente,
gehörte durchweg der ärmeren Arbeiterbevölkerung, der Kategorie
der sogen. Heimatlosen, an. Das Alter der untersuchten Individuen
schwankte zwischen 20 und 55 Jahren, nur drei derselben befanden sich
jenseits des mittleren Lebensalters (eins von 60, zwei von 70 Jahren).
Nach geschehener äusserer Besichtigung eröffnete ich die Bauchhöhle,
bestimmte den Grad des Meteorismus, suchte den Anfang des Ileum
auf und begann nun die Messung. Zur Messung diente ein Faden,
der sich den Krümmungen des Darmes gut anschmiegt. Zuerst wurde
der vordere freie, dann der hintere mesenteriale Rand des Darmes
gemessen. Zur Controle nahm ich oft mehrfache Messungen vor. Wenn
die erste und zweite Messung keine identischen Zahlen ergab, war die
Differenz nur selten über 5 cm. Der Fehler erklärt sich aus der
Schwierigkeit, den Faden am Darme stets genau in gerader Linie
weiterzuführen. Doch konnte diese Fehlerquelle in dem vorliegenden
Falle vernachlässigt werden.
Im Ganzen sind 50 Leichen gemessen worden, 15 weibliche und
35 männliche.
330 S. Stopnitzki,
Messunger
Agate] Abo|, i
N Alter Todesursache pim. pin. ps POP ecc ud
am | am In- Sc Steisses
cpu ncn
1 | 21 | Verbrennung 644 470 174 1 72 84 4
2 || 23 | Tubercul. pulmon.. 384 290 90 168 80 3,8
3 | 25 ^ 438 915 123 175 87 5,5
4 || 27 | Pneum. cruposa 670 482 188 182 92 3,2
5 | 28 | Tubercul. pulmon.. 638 508 130 177 89 4,3
6 || 30 496 382 114 172 81 4,1
7| 30 | 615 | 430 | 185 | 173 84 3
8 | 32 647 506 141 166 85 3,6
9 || 32 | Pleurit. exudativa . 509 384 125 162 78 3,9
10 | 33 | Tubercul. pulmon.. 160 556 204 177 93 3,9
11 | 34 539 367 172 174 87 4,3
12 | 34 522 395 127 176 87 75
13 | 34 380 291 89 179 82 4,8
14 || 35 389 310 79 169 80 4,2
15 | 35 5 972 298 74 176 82 3,7
16 | 36 398 285 58
17 | 36 d 490 347 143 168 83 9,8
18 | 36 - 564 408 156 184 87 4,5
Untersuchungen zur Anatomie des menschlichen Darmes. 331
Körper-
EI Besondere Bemerkungen
bau .
Mittel Abdomen flach. Magen aufgetrieben und erweitert. Volum der übrigen Abdo-
minalorgane normal.
Schlecht || Abdomen etwas eingesunken. Darm und übrige Organe normal.
Abdomen eingesunken. Grosses Netz fast fehlend. Flexura iliaca etwas geblaht.
Gut Abdomen flach. Dünndarm etwas gebläht und mit Flüssigkeit gefüllt.
Mittel Abdomen etwas aufgetrieben. Colon transversum und descendens gefüllt. Dünn-
darm leer. Leber stark vergrössert.
Schlecht || Abdomen normal gross. Netz klein.
Mittel Abdomen etwas eingezogen. Leber stark vergrössert. Dünndarm etwas geblaht.
Abdomen etwas aufgetrieben. Netz in den leeren Dünndarmschlingen verwickelt.
Abdomen flach. Sämtliche Bauchorgane normal.
Schlecht || Abdomen etwas aufgetrieben. Dünndarm etwas gefüllt und gashaltig.
Abdomen etwas eingezogen. Leber vergrössert. Netz hängt ins kleine Becken
hinab.
Mittel Abdomen eingezogen. Colonschenkel und Coecum gebläht, ebenso Dünndärme.
Schlecht | Abdomen stark eingezogen. Netz fast fehlend. Dünndärme völlig leer.
Mittel Abdomen aufgetrieben. Colon ascendens, transversum und S romanum gleichfalls.
Schlecht || Abdomen etwas aufgetrieben. Colon ascendens und transversum gleichfalls.
Sehr Abdomen stark eingesunken. Der gesamte Darm leer und schmächtig.
schlecht
Mittel Abdomen flach. Blinddarm und Colon ascendens meteoristisch.
Mittel- | Abdomen flach. Leber vergrössert. Dünndärme etwas meteoristisch. S romanum
stark ebenfalls gebläht.
332 S. Stopnitzki,
p 3 EE Dire |
S Alter Todesursache Dina. pin PS pus TE eae )
frien |sertine.| maasse DUNT
i ) | Rande | rande |
19) | 37 || Typhus recurrens . 542 422 120 177 90 4,1
20 || 37 || Tubercul. pulmon.. 594 398 136 165 82 3,1
21 | 38 5 5 459 370 89 167 82 3
22 || 38 603 440 163 182 91 5
23 | 40 " 5 458 336 117 173 84 4,6
24 | 40 5 5) 489 371 118 187 92 4,8
25 || 42 | Pneum. cruposa 537 440 97 170 84 3,4
26 | 43 508 391 WILY 173 86 3,9
27 | 46 | Tubercul. pulmon.. 622 500 122 163 85 3,4
28 | 46 | Pneum. cruposa 507 361 146 164 82 3,6
29 || 47 || Tubercul. pulmon.. 567 422 145 166 85 3,1
30 | 48 381 294 87 171 86 4,2
31 | 50 | Pneum. cruposa 544 401 143 172 87 9,9
92 | 92 630 432 198 167 86 4,1
99 | 55 751 555 196 175 92 3,2
94 | 60 | Carcinoma ventric. 431 350 81 174 80 5
35 | 73 474 331 143 162 80 4,6
Untersuchungen zur Anatomie des menschlichen Darmes. 333
Kórper-
Besondere Bemerkungen
bau |
Ì
|
I
Gut Abdomen flach. Milz stark vergróssert. Dünndärme stellenweise etwas gebliiht.
Schlecht | Abdomen etwas eingesunken. Dünndärme fast leer, etwas geblaht. Coecum
| meteoristisch.
$ Abdomen aufgetrieben. Leber vergróssert. Coecum, Colon ascendens und trans-
versum geblaht.
Mittel Abdomen flach. Dünndärme mit Ingesta und gebläht.
Schlecht | Abdomen flach. Leber stark vergróssert. Magen und Dünndärme etwas meteo-
ristisch.
Mittel Abdomen eingezogen. Dirme leer. Magen erweitert.
i Abdomen etwas aufgetrieben, ebenso Därme. Milz vergréssert.
= Abdomen gebläht. Colon ascendens und Coecum gleichfalls. Dünndärme ent-
halten Speisebrei.
^ Abdomen flach. Dünndärme leer. S romanum aufgetrieben.
Gut Abdomen etwas eingezogen. Dünndärme hin und wieder meteoristisch.
Mittel Abdomen etwas aufgetrieben. Coecum, Colon ascendens, transversum und
S romanum etwas geblüht. Dünndärme leer.
chlecht | Abdomen stark eingezogen. Dünndärme collabiert.
Mittel Abdomen flach. Magen gebläht und erweitert Dünndärme gefüllt.
Gut Abdomen etwas aufgetrieben Dünndarm gefüllt und stellenweise gebläht.
x Abdomen etwas aufgetrieben, ebenso Dünndarm und S romanum.
chlecht | Abdomen eingezogen. Dünndarm leer.
Abdomen stark emgezogen. Dünndarm leer und collabiert.
334 S. Stopnitzki,
Messungenli
Absolute| Absolute
Lfde Eo «Tu Lange’ |
No. | Alter Todesursache Dung Dm beiden Y m des des |
am am In- | Làngen- Steisses | Dünn- |
| iron SAONE maasse | darmes |
1 | 22 | Tubercul. pulmon.. 384 297 87 165 78 4,2 5,9
2 || 28 2 453 332 121 163 80 3,9 6
3.1 29) 975 428 147 165 80 3,2 7,56 |
4 || 31 495 378 117 150 73 3,6 7,19
5 || 32 | Pneum. cruposa 498 384 114 162 75 4,2 7
6 | 99 | Tubercul. pulmon.. 365 275 90 157 74 4 5,33 |
7 || 35 > 468 344 124 162 74 4,6 6,73,
8 | 36 3 : 524 406 118 165 77 4,5 7,2
9 | 38 | Pneum. cruposa 489 401 88 167 76 4,8 6,88,
10 | 41 ; T 484 364 120 157 73 3,3 7 |
11 | 42 | Typhus recurrens . 489 338 151 153 72 3,7 7,21 |
12 || 46 || Tubercul. pulmon.. 439 320 119 164 15 9,4 6,25 |
19 | 01 t : | 428 315 113 150 72 4,1 6,36 | N
14 | 54 372 286 186 148 70 3,2 5,04.
15 | 65 | Carcinoma ventric. 469 339 136 160 76 3,9 6,52 Y
Untersuchungen zur Anatomie des menschlichen Darmes. 835
in Weibern.
Kórper-
5 Besondere Bemerkungen
bau
Schlecht | Abdomen eingesunken. Darm überall leer und collabiert.
|
| DO ne
my. Abdomen flach. S romanum etwas gebläht. Dünndarm leer.
|
|
Mittel Abdomen aufgetrieben. Colon transversum meteoristisch, ebenso Dünndürme
stellenweise.
^ Abdomen aufgetrieben; Dünndärme stellenweise ebenfalls. Magen gedehnt.
= Abdomen flach. Dünndarm etwas mit Flüssigkeit gefüllt. Milz vergróssert.
Schlecht || Abdomen eingezogen. Dünndärme collabiert. Coecum und Colon ascendens
gebläht.
Mittel Abdomen aufgetrieben. Leber vergróssert. Flexura sigmoidea meteoristisch.
Dünndarm stellenweise gebläht.
Schlecht || Abdomen flach. Colon ascendens und transversum gebläht. Dünndärme normal.
Gut Abdomen flach. Colon transversum und Flexura sigmoidea gebläht. Dünndarm
collabiert.
Mittel Abdomen flach. Dünndarm stellenweise meteoristisch.
Gut Abdomen aufgetrieben. Dünndarm mit Flüssigkeit und Gas gefüllt.
Mittel Abdomen aufgetrieben. Dünndärme etwas meteoristisch.
Schlecht | Abdomen flach. Colon ascendens und transversum gebliht. Dünndärme äusser-
p)
lich normal.
Abdomen aufgetrieben. Dünndarm collabiert, mit kleinem Lumen.
Abdomen aufgetrieben. Colon ascendens gebläht. Dünndärme stellenweise meteo-
ristisch.
336 S. Stopnitzki,
Der Leichenstarre messe ich in meinen Fallen keine Bedeutung
bei, weil die von mir untersuchten Cadaver erst am dritten Tage nach
dem Exitus letalis eintrafen, wo die Starre mit seltenen Ausnahmen
verschwindet. i
Auch mit dem Einflusse der Fäulnis brauchte ich nicht zu rechnen,
erstens weil mein Material in kalter Jahreszeit gesammelt wurde und
zweitens weil auch das erste Stadium der Fäulnis den Darm kaum
verlàngert. Die Faulnis steigert m. E. nur die Dehnbarkeit des Darmes,
ein Moment, welches an erhärteten Dàrmen hinwegfällt.
Wohl aber ist die postmortale Gasanhäufung im Darmlumen ge-
eignet, eine gleichmässige Dehnung und somit eine Verlängerung des
Darmes herbeizuführen. Ich habe auf diesen Umstand daher stets Acht
gegeben. Gebläht waren gewöhnlich die Dickdärme, am ôftesten das
Colon ascendens und die Flexura iliaca, weit häufiger die Dünndärme.
Sehr meteoristische Därme habe ich schon aus dem Grunde nicht ge-
messen, weil sie sich gewöhnlich der Einwirkung der Chromsäure ent-
zogen hatten.
In vorstehender Tabelle führe ich folgende Befunde auf: die
absolute Länge des Dünndarmes (ohne Duodenum) längs dem vorderen
freien und längs dem hinteren befestigten Rande, Körperlänge, Rumpf-
länge, endlich die relative Länge, d. h. das Verhältnis der Länge
des Darmes an dem freien Rande zur Rumpflänge. Ferner enthält
die Tabelle folgende Daten: Todesursache, Grösse der Leber und Länge
des Steisses (des beweglichen Teiles der Wirbelsäule). In den in der
Tabelle angeführten Messungen wurden Bruchteile unter */, cm hinweg-
gelassen, Bruchteile von über '/, cm als 1 cm gerechnet, mit Aus-
nahme der Messungen des Steisses, wo schon '/,, cm bei der geringen
Ausdehnung dieses Teiles von Bedeutung sein können.
Da die bisherigen Darmmessungen der Autoren sich stets auf den
freien Rand des Darmes beziehen, so werde ich hinfort nur diese
Darmlänge im Auge haben.
Eine Vergleichung ergiebt, dass die Länge des Jejuno-ileum nach
meinen Messungen keine so erhebliche ist, als jene, welche die Autoren
anführen. Die maximale Länge des mesenterialen Dünndarmabschnittes,
760 em, sah ich bei einem 33 jährigen, die minimale, 338 cm, bei einem
Untersuchungen zur Anatomie des menschlichen Darmes. 337
36 jahrigen Mann; in beiden Fällen war Tuberkulose der Lungen Ur-
sache des Todes. Die mittlere Länge dieses Darmabschnittes beträgt
nach meinen Befunden 519 cm. Fiigt man zu diesen Zahlen die Linge
des Duodenum mit 30 cm hinzu, so ergiebt sich für die Länge des
gesamten Dünndarmes als
Maximum es eee 90) CMs
NI oe eee a BOS) Gin,
Mittel 49 em:
Mit Ausnahme des Minimums bei Luschka und des Maximums bei
Cruveilhier sind meine Mittel überall geringer als die der Autoren. Die
Differenzen in den Extremen hängen von individuellen Schwankungen
ab. (Tarenetzki führt einen Fall aus der Litteratur an, wo der ganze
Dünndarm 85 cm Länge besass. Gruber beschreibt einen Dünndarm
von 52 Fuss = ca. 1600 cm.) Die Differenzen der Mittel hingegen sind
meiner Ansicht nach bedingt durch Dehnung des Darmes, ein Moment,
welches bei meinen unter besonderen Cautelen ausgefiihrten Messungen
nicht in Frage kommt.
Die Länge des Diinndarmes wird also von den bisherigen Be-
obachtern zu gross angegeben und ich stimme Prof. Sernotf durchaus
bei, wenn er nur Darmmessungen an gehärteten Leichen als frei von
dem Fehler der künstlichen Dehnung bezeichnet.
Zum Schlusse möchte ich noch die Frage nach dem Einflusse von
Geschlecht, Krankheit, Rasse und Ernährungsweise auf die Darm-
länge, in welcher meine Ergebnisse von denen der früheren Autoren
ziemlich erheblich abweichen, kurz berühren. Ich stütze mich hierbei
einerseits auf die arithmetischen Mittel der absoluten Lànge, zweitens
auf die relative Länge der Dünndärme, worüber folgendes Täfelchen
eine Uebersicht gewährt:
Mittlere absolute Länge des Dünndarms bei Männern überhaupt (mit Duo-
denunce Sm e rcm
. Frauen überhaupt (mit Duo-
den) quA. NIME. 2499
= Männern nach akuten Krank-
NÉE ANNEE e RP ON:
Frauen nach akuten Krank-
hertens PEN EM See 9520
n2
n2
Internationale Monatsschrift für Anat. u. Phys. XIV.
338 S. Stopnitzki,
Mittlere absolute Länge des Dünndarms bei Männern nach chronischen
Krankheiten 2 7.2.72. A0 em:
È a 4 5 A „ Frauen nach chronischen
Krankheiten ur. se. NEN SAN
A relative Ù $ 3 „ Männern überhaupt . . . 6,56 „
^ 5 5 à a we Kirauen überhaupe ie d 6,55 ,
E à 5 x È „ Männern nach akuten Krank-
heiten sa. le 7,08 „
E " i S 3 „ Frauen nach. akuten Krank-
dliertense AN bet ote a TOU
E a P à E „ Männern nach chronischen
Krankheiten . . . . . 6,95 „
i x È * P „ Frauen nach chronischen
Krankheiten M eee Or
Auf Grundlage dieser Ergebnisse und meiner sonstigen, in den
Tabellen dargestellten Messungen komme ich in manchen Beziehungen
zu anderen Schlüssen, als die früheren Autoren. Tarenetzki z. B. findet
keine sexuellen Unterschiede in der Länge des Dünndarmes. Rolssen
und Dreike finden den männlichen Darm länger, letzterer mit der Be-
eründung, der Organismus des Mannes erfordere wegen seiner inten-
siven physischen Leistungen gróssere Zufuhr von Nahrung, ein Satz,
der mir für die von Dreike sowohl wie von mir untersuchte ärmere
Bevölkerung, wo Mann und Weib die gleichen Arbeitsleistungen zu
tragen haben, allerdings nicht zuzutreffen scheint. Meine Befunde
deuten ebenfalls auf absolut grössere Länge des männlichen Dünndarmes,
dessen mittlere absolute Länge 557 cm gegen 499 cm beim Weibe
beträgt. Allein die relative Länge ist bei beiden gleich: sie beträgt
beim Manne 6.56, beim Weibe 6.55. Die Differenz von '/,,, kommt
natiirlich nicht in Betracht. Wenn also beim Weibe der Darm relativ
kürzer ist, so liegt das nicht an socialen Bedingungen, sondern an
dem geringeren Umfang der weiblichen Organe und des weiblichen Or-
ganismus überhaupt.
Was den Einfluss von Krankheiten auf die Länge des Darmes be-
trifft, so erscheint mir hier am rationellsten eine Einteilung der Krank-
heiten in chronische und akute.
Dass Krebs zur Verlängerung des Darmes beitragen könne, er-
scheint mir wegen des lokalen Charakters dieser Art von Neubildungen
sehr zweifelhaft. Ich konnte in zwei Fällen von Krebs eher Ver-
kürzung, als Verlängerung des Darmes nachweisen.
Untersuchungen zur Anatomie des menschlichen Darmes. 339
Akute und chronische Krankheiten bedingen thatsáchlich gewisse
Differenzen der Darmlänge (s. obige Tabelle). Das Mittel der absoluten
Dünndarmlänge bei Männern nach akuten Krankheiten (Pneumonia
crouposa, Typhus recurrens) beträgt 614 cm, nach chronischen Krank-
heiten 573 cm. Aehnlich verhält sich aueh der weibliche Dünndarm.
Es findet sich also eine Differenz von !/, Meter. Was die Unter-
schiede der relativen Längen betrifft, so sind dieselben noch erheblicher:
dieselben fanden wir bei Männern nach akuten Krankheiten gleich
7.08, nach chronischen dagegen gleich 6.35. Im erstgenannten Falle
kommen also auf 1 cm Rumpflänge 73 mm Darm mehr. Da die
Rumpflänge des Mannes nach meinen Messungen 85 cm beträgt, so
erhält man aus 73 X 85 eine Differenz von 62 cm. Kurz die absolute
sowohl, wie die relative Länge des Dünndarmes ist nach akuten
Krankheiten, grösser, als nach chronischen.
Da alle von mir untersuchten an chronischen Krankheiten ver-
storbenen Individuen der Tuberkulose angehören, so lässt sich mit Be-
stimmtheit behaupten, dass der Darmkanal nach solchen Krankheiten
kürzer wird, als nach akuten Krankheiten, wiewohl die Differenz im
allgemeinen nicht sehr bedeutend ist und die von Dreike und Kretsch-
mann genannten Dimensionen nicht erreicht. Tarenetzkis Ansicht, der
völligst ausgewachsene Darm sei einer Verkürzung nicht fähig, es sei
auch eine Differenz zwischen tuberkulösen und anderen Krankheiten
nicht vorhanden, kann ich daher nicht beistimmen. Der Einfluss von
Krankheiten auf die Darmlänge hängt vor allem ab von Erschöpfungs-
zuständen, die ihrerseits durch Beschränkung der Nahrungsaufnahme
bedingt wird. Wegen Mangels an Appetit beschränken die Kranken
gewöhnlich ihre Nahrungszufuhr, sodass schliesslich die Gewebe und
Organe atrophieren. Es wird also unter dem Einfluss ungenügender
Ernährung auch der Darm sich verkleinern müssen. Dieses zeigen
auch Tierversuche von Manassein: hungernde Kaninchen hatten einen
kürzeren Darm, als normal ernährte.
Frappaj behauptet, hypertrophische Lebercirrhose verlängere den
Darm. Nach meinen an sieben solchen Leichen mit starker Leber-
vergrösserung ausgeführten Messungen stellt sich aber gerade im
Gegenteil eine Verkürzung des Darmes bei dieser Krankheit heraus,
22*
340 S. Stopnitzki,
und zwar ist diese Verkürzung noch beträchtlicher, als bei Tuber-
kulose.
Was die Frage nach dem Hinflusse der Rasse auf die Darm-
länge betrifft, so herrscht seit Grubers Untersuchungen die Ansicht,
der russische Darm sei länger als der deutsche und die Differenz von
3 Fuss betreffe vorzugsweise den Dünndarm. Als Ursache wird be-
kanntlich die grosse Verbreitung pflanzlicher Kost in der armen Be-
völkerung Russlands angeführt, doch ist solche Ernährung keine Be-
sonderheit des russischen Bauers, da pflanzliche Nahrung (z. B. Kar-
toffeln) in Deutschland ebenfalls von den armeren Classen bevorzugt
wird. Den Einfluss der chemischen Zusammensetzung der Nahrung
auf die Darmlänge will ich hierdurch nicht bestritten haben.
Auch auf die Form der Nahrung ist Gewicht gelegt worden. Zu-
gegeben, die gleichen Nahrungsmittel werden in Deutschland sorg-
fältiger zubereitet und dadurch verdaulicher gemacht, als bei uns in
Russland, so wäre dort ein kürzerer Dünndarm zu erwarten als hier.
Samson und Dreike beweisen aber gerade das Entgegengesetzte. Meine
eigenen Befunde lassen sich in dieser Beziehung nicht zur Vergleichung
benutzen, weil die bisherigen Autoren den Darm nicht, wie ich, in ge-
härtetem Zustande gemessen haben. Die Frage bleibt daher offen,
wiewohl sie praktisch von Wichtigkeit ist wegen ihrer Beziehungen
zur Aetiologie des Volvulus. Ich glaube aber, bei der Entstehung des
Volvulus können ausser der Länge des Darmes auch andere Momente
von Bedeutung sein, nämlich die Breite des Mesenteriums und die
Länge der Gekrösewurzel: je breiter das Mesenterium und je kürzer
seine Wurzel, desto leichter kann Volvulus entstehen. Aus meinen
Untersuchungen geht hervor, welchen grossen Schwankungen diese
Verhältnisse des Gekröses unterworfen sind. Es können also gewisse
anatomische Besonderheiten des Dünndarmes und des Mesenteriums
die. Bildung von Volvulus begünstigen, doch ist kein Grund vorhanden,
solche Besonderheiten einer bestimmten Rasse zuzuschreiben. Wenn
Volvulus bei den Russen häufiger ist (was noch nachzuweisen wäre),
so liegt die Ursache in der gröberen, schwerverdaulichen Nahrung
unserer Bauern. Denn da solche Nahrung die Peristaltik steigert, so
Untersuchungen zur Anatomie des menschlichen Darmes. 341
kann sie bei einer gewissen Anordnung des Darmes und Mesenteriums
die Entwickelung von Axendrehung fórdern.
Auf Grundlage dieser zweiten Hälfte meiner Arbeit!) komme ich
zu dem Schlusse, dass die von den bisherigen Autoren aufgefundene
Länge des Dünndarms zu gross ist und dass genaue Befunde nur an
gehärteten Cadavern zu gewinnen sind.
Die Ergebnisse seiner im vorstehenden mitgeteilten Untersuchungen
recapituliert der Verfasser in folgenden Thesen:
lig
Die normale Breite des Mesenteriums ist im allgemeinen nicht
SO gross, wie bisher angenommen wurde.
Seine grósste Breite (Hóhe) erreicht das Mesenterium nicht an
einer, sondern an zwei Stellen: etwa an der Grenze des oberen
und mittleren Drittels und sodann unweit des Dünndarmendes.
Dieses letztere Maximum überwiegt manchmal über das erstere.
Manchmal besteht nur ein einziges Maximum. In solchen seltenen
Fallen entspricht es der Mitte der Dünndarmlànge.
Die Richtung der Insertionslinie des Gekróses ist inconstant.
Auch die Lànge dieser Linie ist nicht constant.
Die Lagerung der Dünndarmschlingen in Gruppen ist inconstant
und hängt ab von der Richtung der Insertionslinie des Gekröses,
von der Breite des letzteren und von einer Reihe secundärer
Bedingungen, vor allem von abnormer Grüssenzunahme der Ab-
dominalorgane.
Der Verlauf der Dünndarmzüge in den verschiedenen Gruppen
unterliegt der von Sernoff zuerst aufgefundenen Gesetzmässigkeit
und wird bedingt durch die Form des Mesenteriums. Diese Ge-
setzmässigkeit bleibt bestehen unabhängig von dem Verlauf der
mesenterialen Insertionslinie, ausgenommen wenn letztere ge-
brochen ist.
7 Auch hier sind, wie im ersten Teil, die litterarischen Hinweise und viele
auf dem Gebiete der Pathologie sich bewegende Erörterungen, soweit sie über den
Rahmen dieser Zeitschrift hinausgehen, reduciert worden.
Anmerkung des Referenten.
342
10.
Wake
12.
15
14.
S. Stopnitzki, Untersuchungen zur Anatomie des menschlichen Darmes.
Abweichungen im Verlaufe der Dünndarmschlingen werden von
den Mesenterialfalten, die sich in der Richtung des Darmrohres
bilden, herbeigeführt, und von jenen Vorragungen, die infolge der
zickzackformigen Anheftung des Darmes an das Gekróse ent-
stehen.
. Die Lànge des mesenterialen Dünndarmes ist kleiner, als bisher
angenommen wurde.
Die früheren Messungsergebnisse sind durch Dehnung des Darmes
beeinflusst worden.
Um solche Dehnung zu vermeiden, soll der Darm mit Chrom-
sáure oder Formalin vorgehàrtet werden.
Das Geschlecht hat keinen Einfluss auf die relative Lange des
Darmes. Die absolute Länge des Darmes aber ist beim männ-
lichen Geschlechte grösser als bei dem weiblichen.
Chronische Krankheiten, wie Tuberkulose, verringern die absolute
und relative Lànge des Dünndarmes.
Die Frage nach dem Einflusse der Nationalität auf die Länge
des Darmes steht noch offen.
Lange des Dünndarmes und Breite des Mesenteriums sind nur
prädisponierende Momente bei der Bildung von Volvulus. Als
unmittelbare Ursache dagegen ist schwerverdauliche Nahrung
und die dadurch herbeigeführte Steigerung der Peristaltik zu
nennen.
Referate.
Von
Fr. Kopsch.
H. Magnus, Augenärztliche Unterrichtstafeln. Für den akademischen
und Selbstunterricht. J. U. Kern. Breslau. — Heft XI. Hugo
Wintersteiner, Die partiellen, stationären Staare. 20 farbige
Tafeln. 32 S. 1897. 17 4. — Heft XII. Richard Greff, Der
Bau und das ophthalmoskopische Aussehen der Chorioidea. 1 Tafel
in Folio und 2 Tafeln in Oktav. 16. S. 1897. 9 .#. — Heft XIII.
A. Eugen Fick, Die Entwickelung des Auges. 9 farbige Tafeln.
94 S. 1897. 10 M.
Wintersteiner hat unter den von ihm während vier Jahren beobachteten
Fällen die wichtigsten Typen der partiellen stationären Staare ausgewählt und bei
fünffacher linearer Vergrösserung teils bei auffallendem, teils bei durchfallendem
Licht in farbigen Abbildungen dargestelli. Die Ausführung der Tafeln macht einen
sauberen, klaren Eindruck; der beigegebene Text erläutert die abgebildeten Typen
und giebt — was besonders wertvoll erschemt — die Krankengeschichte derjenigen
Falle, von welchen die Abbildung angefertigt ist.
Die Darstellung von Greff über den Bau der Chorioidea ist mit einigen
Mängeln behaftet, welche leicht hätten vermieden werden können. So werden im
Text die Artt. cil posteriores stets als porticae bezeichnet, aus dem Circulus
arteriosus irid. wird ein C. artericus; es giebt Nervi ciliares longae und ein Gang-
lion ciliar?s. Auf der grossen Tafel werden die Zellen des Pigmentepithels der
Netzhaut als flache Zellen gezeichnet, während sie doch zu den Stäbchenepithelien
gehórend, eher als prismatische Sáulen zu bezeichnen sind. Dass die Neue Ana-
tomische Nomenclatur (B.N.A.), welche 1895 im Druck erschienen und innerhalb
Deutschlands und Oesterreichs von den Anatomen allgemein angenommen ist und
benutzt wird. angewendet worden wiire, würde sehr nützlich und vorteilhaft
gewesen sein.
Die Ausführung der Tafeln ist im übrigen zweckentsprechend. Die grosse
Tafel ist bei emem klemen Auditorium wohl auch als Wandtafel recht gut ver-
wertbar.
344 Fr. Kopsch, Referate.
Die Entmicklung des Auges ist von Fick in mustergültiger Weise dargestellt.
Die Abbildungen der Schnitte sind in Farben gehalten, wodurch eine schnelle und
leichte Orientierung. ermóglicht wird. Die gróssere Anzahl der Schnittbilder sind
nach Práparaten der Züricher Anatomischen Anstalt und des Herrn Felix angefertigt.
Auch die Gefässversorgung des embryonalen Auges wird an der Hand von Figuren
nach O. Schulze erlautert.
Der begleitende Text beschränkt sich nicht allein auf die Tafelbeschreibung,
sondern geht auch vielfach auf die Litteratur ein und berührt Streitfragen.
Somit kónnen Tafeln und Text als eine wertvolle und nützliche Bereicherung
unserer Unterrichtsmittel angesehen werden.
W. Krause, Handbuch der Anatomie des Menschen. Mit einem Syno-
nymenregister auf Grundlage der Neuen Baseler Anatomischen
Nomenclatur unter Mitwirkung von W. His und W. Waldeyer
und unter Verweisung auf den Handatlas der Anatomie von
Werner Spalteholz. Leipzig 1899. S. Hirzel. Preis 4 Mk.
Wohl jeder, der sich bemiht hat, die Neue Anatomische Nomenclatur
(B.N.A.) anzuwenden, wird die Schwierigkeiten empfunden haben, welche sich ihm
bei der Uebertragung der neuen Ausdriicke entgegenstellen.
Um so verdienstvoller erscheint darum, und um so freudiger zu begriissen ist
das vorliegende Werk von W. Krause, des verdienstvollen Redakteurs der B.N.A.,
welcher bei seiner grossen Erfahrung und Litteraturkenntnis in ganz besonderem
Maasse zur Abfassung emer Erläuterung der in der Nomenclatur vorkommenden
Ausdrücke berufen ist. Dieselbe erscheint in Form eines Lehrbuches der descriptiven
Anatomie unter Zugrundelegung des Handbuches von C. Krause. Abbildungen
sind nicht beigefügt worden, sondern es ist Bezug genommen auf den Atlas von
Spalteholz, dessen in Betracht kommende Figuren am Rande der Seiten nach-
gewiesen werden. Ausdrücke, welche in den B.N.A. nicht vorkommen, sind durch
Sternchen kenntlich gemacht; die deutschen Bezeichnungen, welche in den B.N.A.
auf Wunsch der Kommission weggeblieben waren, sind ebenfalls vorhanden. |.
Der bisher erschienene Abschnitt umfasst die Osteologie, Syndesmologie, Myo-
logie, den Anfang der Splanchnologie.
Am Schluss des ganzen Werkes soll ein Synonymenregister aller bisher in
Gebrauch gewesenen Namen angefügt werden, wodurch der Gebrauch des B.N.A.
sicherlich sehr gefórdert werden wird.
Buchdruckerei Richard Hahn (H. Otto), Leipzig.
Zur Frage über den Bau der Spinalganglien beim
Menschen und bei den Säugetieren.
Von
A. S. Dogiel,
Prof. der Histologie an der Universitat St. Petersburg.
(Mit Tafel XIX.)
In meinem Aufsatz über den feineren Bau der Spinalganglien!)
wies ich darauf hin, dass sich in diesen Ganglien dicke, markhaltige
Fasern finden, welche viele markhaltige und marklose Aestchen abgeben;
beiderlei Aestchen unterliegen einer wiederholten Teilung, indem sie
sich zwischen den Ganglienzellen hinwinden. Meist behalten die mark-
haltigen Aestchen anfangs ihre Markhülle noch bei, verlieren sie jedoch
spáterhin und verwandeln sich in ziemlich dicke, varicóse Faden. Ein
jedes der erwähnten Aestchen zerfällt schliesslich in ein Büschel mehr
oder weniger dicker varicóser Fadchen, welche bald zwischen den
Ganglienzellen verlaufen, bald anscheinend der Zellkapsel anliegen. Ob
die fraglichen Fasern zu den Fortsàtzen der von mir beschriebenen
Spinalganglienzellen des zweiten Typus in Beziehung stehen, oder ob
sie collaterale Aestchen von Nervenfasern, welche eben nur durch
die Ganglien hindurchtreten, darstellen — diese Fragen blieben für
mich unentschieden. Unaufgeklärt blieb mir auch der Charakter jener
multipolaren Zellen, welche bisweilen in den Spinalganglien angetroffen
werden.
Indem ich meine Untersuchungen über die Spinalganglien fortsetzte
und nebenbei den Bau des G. jugulare n. vagi beim Menschen und
1) Internat. Monatsschr. f. Anat. u. Phys. Bd. XIV. S. 735—116. Taf. VIII— XII.
346 A. 8. Dogiel,
den Säugetieren (Katze, Hund) zu erforschen suchte, glaube ich gegen-
wartig auf die oben erwähnten Fragen eine positive Antwort geben
zu können. Dieser Umstand hat mich auch hauptsächlich dazu be-
wogen, vorliegende Mitteilung, welche meinen früheren Aufsatz ergänzt,
zu veröffentlichen.
Indem ich Spinalganglien, wie auch das G. jugulare n. vagi mit
Methylenblau (nach der ausführlich in der citierten Arbeit geschilderten
Methode) fárbte, bemerkte ich, dass in diesen Ganglien bisweilen be-
sondere Zellen auftreten, welche sich von den Spinalganglienzellen des
ersten Typus nur durch die Richtung ihres peripheren Fortsatzes und
die Stelle wo letzteres aufhört, unterscheiden. Gewöhnlich geht von
einer solehen Zelle ein mehr oder weniger dicker und langer Haupt-
fortsatz aus, welcher, entweder noch unter der Kapsel oder bereits
ausserhalb derselben sich befindend, von einer Markhülle umgeben wird
und sich sodann bei der zweiten bis dritten Ranvier'schen Einschnürung
T- oder Y-fórmig in zwei Aestchen teilt. Eines derselben hat das
Aussehen einer dünnen markhaltigen Faser, legt eine mehr oder weniger
grosse Strecke in dem betreffenden Ganglion zurück und tritt dann
in den Spinalganglien in die hinteren Wurzeln, — im G. jugulare
dagegen in den centralen Abschnitt des N. vagi ein. Die genannten
Aestchen entsprechen demnach durchaus den centralen Ausläufern der
Spinalzellen des ersten Typus. In einigen Fällen gehen an der T- oder
Y-firmigen Verzweigung des Hauptfortsatzes einer Zelle zwei centrale
Zweige aus. Diese Beobachtung bestätigt wiederum die Richtigkeit
meiner früheren Untersuchungen, nicht nur in Bezug auf die Spinal-
ganglien der Sàugetiere, sondern auch auf diejenigen des Menschen.
Was nun das zweite Aestchen betrifft, so erscheint es in der
Mehrzahl der Falle dicker als der erste Zweig, ist von einer Mark-
scheide umgeben und zeigt auf den ersten Blick völlige Uebereinstim-
mung mit dem peripheren Fortsatz der Spinalganglienzellen des ersten
Typus. Gelingt es jedoch, den weiteren Verlauf und die Richtung eines
solchen Aestchens zu verfolgen, so kann man sich davon überzeugen,
dass dasselbe niemals den Bereich des betreffenden Ganglions verlässt
und nicht mit den peripheren Zweigen der Spinalganglienzellen des
ersten Typus verlàuft. Im G. jugulare tritt es nicht in den peripheren
-
Zur Frage über den Bau der Spinalganglien beim Menschen etc. 347
Teil des N. vagi ein, und nur bisweilen konnte ich beobachten, wie
in dem genannten Ganglion ein derartiger Zweig seinen Verlauf neben
den peripheren Fortsätzen anderer Zellen nach der Peripherie nahm;
nachdem der Zweig eine gewisse Strecke zurückgelegt hat, kehrt er
jedoch stets in das Ganglion zurück.
Für gewöhnlich weicht das in Rede stehende Aestchen schon von
Anfang an von derjenigen Richtung ab, welche die peripheren Fort-
sátze der Spinalganglienzellen des ersten Typus einschlagen, und tritt
unmittelbar in das Ganglion selbst ein; hier erscheint es, indem es
zwischen den Ganglienzellen hindurchtritt, in grósserem oder geringerem
Maasse gewunden. In seinem Verlauf giebt das Aestchen von der
ersten, bisweilen auch von der zweiten oder dritten Ranvier'schen
Einschnürung an nacheinander markhaltige Zweige von verschiedener
Dicke ab, welche nach verschiedenen Richtungen hin verlaufen, in die
Tiefe des Ganglions eindringen und daselbst verschiedene Windungen
beschreiben. Ein jeder der erwähnten Zweige erfährt in seinem Ver-
lauf eine vielfach wiederholte Teilung in eine beträchtliche Menge
dünner, markhaltiger, sich wiederum teilender Aestchen, welche zwischen
den Zellen des betreffenden Ganglions verlaufen. Auf solche Weise
zerfällt ein derartiger Zweig oder eine derartige Faser, infolge der
fortgesetzten Teilung, schliesslich in eine Menge markhaltiger Fasern
von verschiedener Stärke, welche zwischen den Spinalganglienzellen
liegen, und zwar sowohl in den tieferen wie auch in den peripheren
Schichten des Ganglions. Indem man das weitere Schicksal der ge-
nannten Zweige verfolgt, kann man auf gelungenen Präparaten sehen,
wie ein jeder derselben früher oder später seine Markhülle verliert
und sich in einen mehr oder weniger dünnen, varicösen Faden ver-
wandelt, welcher wiederum in noch dünnere Fäden zerfällt. Letztere
verästeln sich, nachdem sie eine gewisse Strecke zurückgelegt haben,
zu einem ganzen Büschel dünner Fädchen, welche wiederum rasch in
eine Menge kurzer Endfädchen zerfallen. Diese Fädchen sind mit
eckigen und spindelförmigen Varicositäten besetzt, geben viele sehr
kurze Seitensprossen ab und bilden, indem sie sich untereinander ver-
flechten und mit einander verbinden, den Endapparat. Bisweilen haben
einzelne von den Aestchen, in welche der periphere Fortsatz zerfällt,
348 A. S. Dogiel,
keine Markhülle und schreiten unter fortwährender Teilung, gleich den
markhaltigen Aestchen, zur Bildung von Endapparaten.
Vergleichen wir die Endverästelungen der Spinalzellenfortsátze bei
den hier beschriebenen Zellen mit den wenig complicierten Formen
von Endapparaten der sensiblen Fasern, wie sie am Herzen, im Unter-
hautbindegewebe, in verschiedenen bindegewebigen Hüllen u. dere].
auftreten, so sehen wir, dass zwischen denselben kein wesentlicher
Unterschied besteht. Beide Arten von Endapparaten bestehen aus einer
Menge unter einander in Verbindung stehender und stellenweise ver-
dickter Fäden, oder mit anderen Worten, ein jeder Endapparat hat
bis zu einem gewissen Grade das Aussehen eines Bäumchens, dessen
Zweige mit einander verbunden sind und sich annähernd in einer Ebene
ausbreiten. Was die besonderen sternformigen Zellen betrifft, welche
ich für. die sensiblen Apparate des Herzens beschrieben habe, so gelang
es mir nicht, ihre Anwesenheit in den Endverästelungen der erwähnten
Fasern zu constatieren. Alle Endapparate liegen, soweit ich dies
beobachten konnte, in jener äusserst dünnen Schicht von Bindegewebe,
welche: sich zwischen den Spinalganglienzellen findet; sie stehen in
keiner Berührung mit dem Körper der Zelle, sogar nicht, wie mir scheint,
mit der. äusseren Oberfläche ihrer Kapsel, und sind von letzterer stets
durch eine ausserordentlich dünne Bindegewebsschicht getrennt. In
Anbetracht der Lage selbst der Endapparate, erscheinen letztere natür-
lich in verschiedenem Maasse verbogen, wobei es oft den Anschein
hat, als ob der eine oder der andere Apparat einen grösseren oder
kleineren Teil der Kapsei einer beliebigen Zelle umgiebt und derselben
direct anliegt.
Ein derartiges, scheinbar inniges Verhältnis des Endapparates zur
Zellkapsel erklärt sich jedoch meiner Ansicht nach durch den Umstand,
dass die Bindegewebsschicht, welche die Zellen von einander trennt,
sehr dünn ist und auf Präparaten, welche mit einer Lösung von pikrin-
saurem Ammoniak fixiert und in Glycerin aufgehellt wurden, sich sehr
wenig: scharf von der Kapsel abhebt und in letztere überzugehen scheint.
Es finden sich demnach in den Spinalganglien und im G. jugulare
n. vagi ausser den bereits von mir beschriebenen zwei Zelltypen noch
Zellen besonderer Art. Der Hauptfortsatz dieser Zellen zerfällt in
Zur Frage über den Bau der Spinalganglien beim Menschen etc. 349
zwei Fasern: die eine davon verlàuft nach dem Centrum, die andere
dagegen, welche dem peripheren Fortsatz der Spinalganglienzellen des
ersten Typus entspricht, verästelt sich im Bindegewebe des Ganglions
selbst zwischen dessen Zellelementen, wobei alle aus der Verästelung
dieser Faser hervorgegangenen Zweige mit sensiblen Apparaten endigen.
Wie aus dieser Beobachtung hervorgeht, besitzen die Spinalganglien
und ebenso das G. jugulare des N. vagi ihnen eigentümliche sensible
Nervenapparate.
In Figur 1 ist das G. jugulare n. vagi vom Hunde dargestellt,
und zwar vermittelst des Oberhäuser’schen Zeichenapparates mit dem
System 4 von Reichert gezeichnet. Von einer der Zellen der be-
schriebenen Art (a) geht ein ziemlich langer Hauptfortsatz (4) aus,
welcher sich Y-formig in zwei markhaltige Fasern oder Fortsätze
spaltet: der eine dünne centrale (c) tritt in den centralen Abschnitt
des N. vagi ein, der andere dicke (p), dem peripheren Fortsatz der
Spinalganglienzellen des ersten Typus analoge Fortsatz dagegen tritt
in das Ganglion ein und zerfállt in demselben in mehrere Aestchen,
welche mit sensiblen Apparaten enden.
In der früher citierten Arbeit habe ich bereits darauf hingewiesen,
dass von dem Hauptfortsatz einiger Spinalganglienzellen (bei er-
wachsenen Tieren) dünne collaterale Zweige ausgehen, welche das Aus-
sehen von marklosen varicósen Faden haben. Indem ich in letzter
Zeit das Studium der Spinalganglien aufs neue aufgenommen habe,
wurde ich in die Möglichkeit versetzt, meine Beobachtungen zu ver-
vollstándigen, indem ich fand, dass ebensolche collaterale Zweige auch
von dem Hauptfortsatz gewisser Spinalganglienzellen beim Menschen
ausgehen. Eine derartige Zelle habe ich in Figur 2 abgebildet, wo
man sehen kann, wie vom Hauptfortsatz (h) einer Spinalganglien-
zelle (a) des Menschen an einer Ranvierschen Einschnürung drei col-
laterale Aestchen (£) abzweigen, worauf der betreffende Fortsatz sich
in einen peripheren (p) und einen centralen (c) Zweig teilt. Die Zeich-
nung ist mit Hülfe des Zeichenprismas mit dem System 5 von Reichert
ausgeführt.
Die eben beschriebenen collateralen Zweige lassen sich mit Me-
thylenblau gewöhnlich recht schwer färben, weshalb man sie nur selten,
350 A. S. Dogiel.
und nur bei völlig gelungener Färbung antrifft; durch diesen Umstand
lässt sich vielleicht erklären, warum R. y Cajal!) indem er meine
Resultate nachprüfte, die Anwesenheit der erwähnten Zweige nicht be-
merken konnte.
Endlich muss ich bei der Besprechung der Spinalganglien noch
einige Worte sagen über die in diesen Ganglien vorkommenden und
von mir schon früher beschriebenen besonderen multipolaren Zellen.
In meiner früheren Arbeit, als ich noch nicht im Stande war, den
Charakter dieser Zellen genauer zu bestimmen, habe ich nur die Ver-
mutung ausgesprochen, dass sie zu den Spinaleanglienzellen des zweiten
Typus zu rechnen seien. Indem ich die Untersuchungen über die
Spinalganglien bei den Säugetieren wieder aufnahm und dieselben
auf die entsprechenden Ganglien beim Menschen ausdehnte, gelang es
mir, die multipolaren Zellen näher kennen zu lernen und ihre Natur
genauer festzustellen. Besonders häufig traf ich sie in den Spinal-
sanglien des Menschen an, wo sie in den meisten Fällen von runder,
ovaler oder unregelmässiger Gestalt waren. Von dem Körper einer
jeden Zelle gehen mehrere mehr oder weniger dicke Dendriten aus,
welche eine bedeutende Lànge haben, glatt oder leicht varicós erscheinen
und in ihrem Verlauf allmáhlich in Aestchen von verschiedener Lànge
und Dicke zerfallen. Bisweilen, wie dies auf Figur 3, welche mit
Hülfe des Zeichenprismas nach dem Präparat eines Spinalganglions
vom Menschen (System 5 von heichert) angefertigt wurde, gehen die
Dendriten als ganzes Büschel von dem einen, etwas verlàngerten Pol
der Zelle aus und unterliegen hierauf einer allmählichen Teilung. Ge-
wöhnlich verlaufen alle Dendriten mit ihren Verästelungen zwischen
den Spinalganglienzellen und kónnen manchmal auf grosse Entfernungen
hin verfolgt werden. In gewissen Fallen, freilich nur selten, konnte
ich beobachten, wie von einer der multipolaren Zellen, zusammen mit
den Dendriten, noch ein verhältnismässig dünner Fortsatz ausging,
welcher das Aussehen einer bald glatten, bald varicósen Faser hatte
und seinem Charakter nach völlig einem Nervenfortsatz entsprach.
Leider konnte ich diesen Fortsatz nicht auf gróssere Entfernungen hin
!) Revista trim. microgr. 1897. Vol. IL Fasc. 3 y 4.
Zur Frage über den Bau der Spinalganglien beim Menschen etc. 351
verfoleen und über seinen Charakter endgültig klar werden. Jeden-
falls scheint es mir, so viel ich auf Grund meiner Pràparate urteilen
kann, keinem Zweifel zu unterliegen, dass die in den Spinalganglien
angetroffenen multipolaren Zellen zu den sympathischen Zellen des
zweiten oder dritten Typus gerechnet werden müssen.
Die hier angeführten Thatsachen weisen darauf hin, dass einige,
vielleicht auch alle Spimalganglien eigentlich einen gemischten Charakter
haben: die Mehrzahl ihrer Zellen gehört zu den Spinalganglienzellen
der verschiedenen Typen, doch finden sich unter ihmen augenschein-
lich auch sympathische Zellen in beschränkter Anzahl. Diese auf
Grund meiner Untersuchungen gemachte Schlussfolgerung scheint mir
auch durch dasjenige bestätigt zu werden, was wir über den Bau
einiger sympathischer Ganglien wissen. So besteht z. B. nach den
Untersuchungen von H. Holtzmann!) das G. ciliare gewisser Tiere (Hund)
aus typischen Spinalganglienzellen und sympathischen Zellen. Meine
eigenen Untersuchungen über das erste Ganglion des Halssympathicus
(Gangl. cervic. sup. n. sympathici) des Menschen, des Hundes und der
Katze haben gezeigt, dass an dessen Bildung nicht nur sympathische
Zellen, welche die beträchtliche Mehrzahl der Elemente dieses Ganglions
bilden, teilnehmen, sondern auch Spinalganglienzellen. Letztere sind
bald auf die verschiedenen Abschnitte des Ganglions verteilt, — zwischen
den sympathischen Zellen, — bald findet man sie hauptsächlich an
derjenigen Stelle, an welcher sich der Verbindungsast nach dem
G. jugulare n. vagi von dem Ganglion abzweigt. Gewöhnlich bilden
an dieser Stelle des Ganglions die Spinalganglienzellen eine kleine
Gruppe, wobei um sie herum und selbst zwischen ihnen die charakte-
ristischen sympathischen Zellen gelagert sind. Der Hauptfortsatz vieler
Spinalganglienzellen tritt, soweit ich beobachten konnte, in den Ver-
bindungszweig ein, erreicht das G. jugulare und teilt sich erst inner-
halb desselben T-fórmig in zwei Aeste (Fortsätze). Bisweilen findet man
Spinalganglienzellen sogar in dem Verbindungszweig selbst, auf dessen
ganzem Verlauf. In Figur 4 (Obj. 3, Reichert) ist ein Teil des Gangl.
cervic. sup. n. sympath. (4) der Katze mit dem von ihm zum G. jugu-
1) Untersuchungen über Ciliarganglion und Ciliarnerven. Morphol. Arbeiten,
herausg. von G. Schwalbe. Bd. VI. H. 1.
352 A. S. Dogiel, Zur Frage über den Bau der Spinalganglien etc.
lare n. vagi ausgehenden Verbindungszweig (B) dargestellt. Im Ganglion
sieht man einige sympathische Zellen (a) und zusammen mit ihnen
Spinalganglienzellen (b), deren Hauptfortsátze in den oben erwähnten
Verbindungszweig eintreten.
Die soeben erwähnten sympathischen Ganglien gehören demnach
unstreitig zu den gemischten Ganglien, d. h. sie enthalten sowohl
Elemente von sympathischen, wie auch solche von spinalen Ganglien,
doch überwiegen die ersteren an Zahl die letzteren. Die Erklärung
dieser Erscheinung wird man wahrscheinlich in der Entwickelungs-
geschichte der sympathischen Ganglien zu suchen haben.
(Aus dem Anatomischen Institut der Militär-medieinischen Akademie
in St. Petersburg.)
Die Arterien der Intervertebralganglien und der
Cerebrospinalnerven des Menschen.
Von
Dr. W. Tonkoff.
(Mit Tafel XX.)
Der vorliegende Aufsatz enthält einen Auszug aus meiner im
Februar dieses Jahres in russischer Sprache erschienenen Doktor-
dissertation, über deren Inhalt ich im Januar 1897 in der russischen
Zeitschrift ,Wratsch^ eine vorlàufige Mitteilung veróffentlicht habe.
Das Erscheinen der Dissertation hatte eine von mir unabhängige un-
liebsame Verzógerung erfahren. Als sie vollstándig abgeschlossen den
Censoren zur Begutachtung vorlag, ging mir Bartholdys dem gleichen
Gegenstande gewidmete Arbeit zu. Ich konnte sie daher in meiner
Dissertation nur kurz erwáhnen. Ich kann zu meinem Vergnügen
constatieren, dass Bartholdy und ich gleichzeitig, und zweifellos un-
abhängig von einander — meine in russischer Sprache erschienene
vorläufige Mitteilung ist Bartholdy, da er sie nicht citiert, augenschein-
lich entgangen — in vielen Beziehungen zu den nämlichen Resultaten
gelangt sind. Doch dürften, glaube ich, die Ergebnisse meiner Unter-
suchungen trotz Bartholdys umfangreicher Arbeit noch ein gewisses
Interesse beanspruchen. Es ist von mir, wie aus dem weiteren ersicht-
lich, speciell die Vascularisation der Intervertebralganglien bearbeitet
worden. Auch die praktische Bedeutung der Nervenarterien habe ich,
teilweise gestützt auf eigene Befunde, näher ins Auge gefasst. End-
Internationale Monatsschrift für Anat. u. Phys. XV. 29
354 W. Tonkoff,
lich habe ich dem Begriff der Arteria nutritia und der Arteria comes
zum erstenmal eine bestimmte Definition gegeben. Auf der anderen
Seite beschreibt Bartholdy in systematischer Weise die Arterien fast
simtlicher Nerven, untersucht eingehend die Winkel, unter welchen
sich diese Arterien von ihren Muttergefässen abzweigen, welche Winkel
sie mit den Nerven, in die sie eintreten, bilden etc. ete.
Im Interesse einer bequemeren Vergleichung der Ergebnisse beider
Untersuchungen erschien es mir angezeigt, die wichtigsten Stellen
meiner Arbeit!) hier in ihrer ursprünglichen Fassung wiederzugeben,
wie sie zuerst in russischer Sprache veróffentlicht wurden. Der vor-
liegende Aufsatz ist, das móchte ich nochmals hervorheben, die deutsche
Uebersetzung einer Arbeit, die gleichzeitig mit den Untersuchungen
von K. Bartholdy ausgeführt worden und wovon eine vorläufige Mit-
teilung längere Zeit vor dem Erscheinen der letzteren in russischer
Sprache unter die Presse kam. Ich habe daher, wo dies notwendig
war, auf die Schrift Bartholdys hingewiesen, ohne auf eine nähere
Kritik derselben einzugehen.
Auf den Vorschlag meines hochverehrten Lehrers, Prof. A. Tare-
netzky, bin ich vor nunmehr 2'/, Jahren zu einer Untersuchung
der Arterien der Nerven geschritten, um die bisher nur für einige
Nerven (Ischiadicus, Medianus) gewonnenen Befunde zu erweitern
und zu verallgemeinern. Es war von vornherein klar, dass zunächst
der Begriff der Arteria comes genau bestimmt und abgegrenzt
werden musste von dem Begriffe der Arteria nutritia der Nerven, eine
Unterscheidung, die in den Lehrbüchern bisher nicht durchgeführt
worden ist, während in den betreffenden Specialarbeiten beide Begriffe
häufig mit einander verwechselt werden. Wie sich bei dem genaueren
Studium der Litteratur des Gegenstandes herausstellte, sind unsere
Kenntnisse von den Arterien der Nerven bei weitem nicht vollstàndig
und die Blutversorgungsquellen vieler Nerven und Geflechte noch
wenig erforscht. Man findet nur fragmentarische Angaben, die ent-
") Die Beschreibungen der verschiedenen Präparate und eine Reihe entbehr-
licher Einzelheiten fallen in dieser Mitteilung hinweg.
Die Arterien der Intervertebralganglien etc. des Menschen. 355
weder beiläufig gewonnen wurden oder sich auf sehr unzureichendem
Untersuchungsmateriale stiitzen (in einzelnen Fallen ist die Zahl der
untersuchten Objecte überhaupt nicht bezeichnet) Wie lückenhaft die
Kenntnisse nach dieser Richtung hin sind, ergiebt sich mit voller An-
schaulichkeit bei einer Vergleichung desjenigen, was ilber die Arterien
der Nerven vorliegt, mit dem, was beziiglich der Arterien der Muskeln,
Knochen, der Eingeweide etc. sichergestellt ist. Von den Arterien der
letztgenannten Art enthält jedes Lehrbuch vollständige Beschreibungen
mit Angabe von Ursprung, Verlauf, Verhalten zu den Nachbarteilen,
Ersatz durch andere Arterien etc. Die Arterien der Nerven hingegen
sind mit keinem Sterbenswörtchen erwähnt, gerade als wenn sie über-
haupt nicht vorhanden wären oder mikroskopische Gebilde darstellten.
Plan der vorliegenden Arbeit ist es, von den Arteriae nutritiae
der Nerven eine allgemeine Charakteristik zu geben, vorzugsweise auf
Grundlage des Studiums der Cerebrospinalnerven, wiewohl gleichzeitig
auch die Vascularisationsverhältnisse des Grenzstranges des Sympathicus
und einiger Gehirnnerven (Vagus, Hypoglossus, Facialis) von mir unter-
sucht worden sind. Dabei wurden für die Hauptstämme (an der oberen
Extremität für den Medianus, Ulnaris, Radialis, Musculo-cutaneus, an
der unteren Extremität für den Cruralis, Ischiadicus, Tibialis, Peroneus)
und ihre Geflechte die Quellen bestimmt, aus welchen sie am häufigsten
ihre Nährgefässe beziehen. Dies geschah auch mit dem Hinblicke, dass
die Arterien dieser Nerven eine ansehnliche Grösse besitzen und prak-
tisch bedeutungsvoll werden können. Der Vollständigkeit und des fast
völligen Mangels an Litteraturangaben wegen sollen auch die Inter-
vertebralganglien bezüglich ihrer Ernährung beschrieben werden.
Als Object zu diesen Untersuchungen, die fast zwei Jahre in An-
spruch nahmen, diente mir das Material- des Anatomischen Institutes
der Militär-medizinischen Akademie. Untersucht wurden von mir im
Ganzen 35 Leichen (rechte und linke Seite), darunter 7 Erwachsene,
15 Kinder zwischen 1 Monat und '/, Jahr, 9 Neugeborene und
4 Embryonen aus der zweiten Hälfte des Foetallebens. Es entfällt
also die Mehrzahl der untersuchten Objecte auf Neugeborene und auf
Kinder in den ersten Monaten. Die Präparation der Arterien der
Hauptnervenstàmme ist nämlich an kindlichen Cadavern erheblich
23*
356 W. Tonkoff,
leichter, bequemer und schneller, als an erwachsenen, die Präparate
sind weniger umfangreich, das Zellgewebe sehr durchsichtig, eine einzige
Bewegung des Messers eröffnet sofort ganze Gebiete. Die Ergebnisse
aber fallen an infantilen Objecten bei guter Injection und genügender
Uebung ebenso befriedigend aus, wie an der erwachsenen Leiche. Nicht
einbegriffen sind in den obigen Zahlen zufällige Beobachtungen an
ganzen Leichen oder einzelnen Extremitäten, die zu anderen Zwecken
präpariert wurden.
Was die angewandte Untersuchungsmethode betrifft, so wurden
nach Möglichkeit frische Cadaver magerer und bei Erwachsenen be-
sonders jüngerer Individuen bevorzugt, wo Atheromatose der Gefässe
weniger zu befürchten war. Zur Injection diente kalte Teichmann’sche
Masse mit den in unserem Institute angenommenen wesentlichen Modi-
ficationen derselben. Nach den Angaben Teichmanns besteht diese Masse
bekanntlich aus einer gewöhnlichen Mischung von Kreide und gekochtem
Leinöl, welche in Aether oder Schwefelkohlenstoff aufgelöst und durch
eine pulverförmige Farbe beliebig gefärbt wird. Teichmann bereitete
die Masse, indem er Kreide mit Leinöl im Mörser verrieb und die
Mischung: darauf in Aether oder Schwefelkohlenstoff auflóste. Dr. J.
Schawlowski'), der diese Masse bei uns zuerst zur Anwendung brachte,
bereitete sie ohne vorhergehendes Verreiben im Mörser, indem er
Leinöl in Aether auflöste und die so gewonnene Flüssigkeit nun mit
Kreide und Farbe vermengte. Dies vereinfacht die Sache erheblich
und ergiebt ohne viele Umständlichkeiten eine gute Masse. Als
Lösungsmittel wird gewöhnlich Aether gebraucht, da das Manipulieren
mit Schwefelkohlenstoff wegen des sehr penetranten Geruches dieser Sub-
stanz sehr unangenehm ist. Statt Aether hat in letzterer Zeit Dr. M.
Tichanoff Benzin in Vorschlag gebracht. Ausser seiner Billigkeit hat
Benzin den Vorzug, in die Gewebe, besonders in das lockere Zellgewebe,
leicht zu diffundieren, wo sofort nach der Injection ein starkes Benzin-
ödem auftritt. Die Masse erhärtet daher schnell und nachträgliche
Injectionen werden unnötig. Ein dritter Vorzug des Benzins besteht in
seiner geringeren Flüchtigkeit. Wer mit Aethermasse gearbeitet hat,
1) Zur Morphologie der Venen der oberen Extremität und des Halses. Dissert.
(russisch). St. Petersburg 1891. S. 51.
Die Arterien der Intervertebralganglien etc. des Menschen. 357
wird in Erfahrung gebracht haben, dass sie fast jedesmal neu an-
gefertigt werden muss und dass die von früheren Injectionen noch vor-
handenen Reste weggethan werden müssen, da sie wegen der grossen
Flüchtigkeit des Aethers auch in geschlossenen Gefàssen steinhart werden.
Benzinmasse dagegen kann viel länger aufgehoben werden, ohne zu ver-
derben. Ich nahm gewöhnlich auf 1 Gewichtsteil Oel 4 oder 5 Teile
Calearea carbonica praecip. leviss. und Benzin bis zur gewünschten
Consistenz. Was die Färbung betrifft, so versuchte ich es zunächst
mit verschiedenen in Oel angeriebenen Farben. Da diese jedoch teuer
und keine besonderen Vorteile darbieten, entschied ich mich für pulver-
fórmigen ósterreichischen Zinnober, welchen ich im Mórser zerrieb. Da
ich vor allem móglichst feine Injection erstrebte, that ich nur soviel
Zinnober hinzu, als erforderlich war, um der Masse einen rótlichen
Farbenschimmer zu verleihen, und verdünnte besonders die ersten Por-
tionen der Masse, die ich ausnahmslos neu anfertigte, sehr stark. Erst
wenn die flüssige Masse in die feinen Arterienverästelungen vor-
gedrungen war, liess ich zur Füllung der gröberen Aeste dickere
Masse nachfolgen. Ich erzielte dabei Injectionen, die nichts zu wün-
schen übrig liessen. Ein Teil der bezüglichen Präparate wird in der
Sammlung des Institutes aufgehoben.
Kinderleichen injicierte ich stets in toto durch die Arteria carotis
communis dextra, in deren centrales Ende die Canüle eingeführt wurde.
Den Erfolg der Injection beurteilte ich nach der Anfüllung der Aa.
conjunctivales, labiales, sowie der Aa. digitales propriae der Hände
und Füsse. Grosse Leichen wurden vorher geteilt und die unteren
(durch die Aorta abdominalis) und die oberen Extremitàten einzeln
injiciert.
Angenehme Pflicht ist es mir, Herrn Prof. A. Tarenetzky für das
Thema zu dieser Arbeit und für stete Fórderung meiner anatomischen
Thätigkeit auch hier meinen wärmsten Dank auszusprechen.
I. Die Arteriae nutritiae der Spinalganglien.
Das Blutgefässsystem des Rückenmarkes ist bekanntlich mit den
übrigen Gefässen des Körpers verbunden durch Stämmchen, welche die
Wurzeln der Cerebrospinalnerven begleiten und die aus den Wirbel-
358 W. Tonkoff, :
arterien das Rückenmark versorgenden Arteriae spinales verstárken.
Diese Stämmchen nennt Kadyi') Arteriae radicales medullae spinalis
anticae et posticae, mit dem Bemerken, Zahl und Grósse der Arteriae
radicales seien ausserordentlich inconstant, dafür aber kónne làngs jeder
Wurzel stets eine, wenn auch schwache Anastomose zwischen den
Rückenmarksgefássen und denen der Peripherie nachgewiesen werden.
Vordere Aa. radicales giebt es nach Kadyi am óftersten 5—10 (Maxi-
mum 17, Minimum 2), hintere zweimal soviel (im Mittel 16—17). Den
Stamm der Art. vertebralis selbst identificiert Kadyi den Aa. radicales;
bei dem Menschen begleitet sie stets das erste Paar der Halsnerven.
Adamkiewiez?) bezeichnet die Aa. radicales als Spinalarterien,
während er für die Aa. spinales der gewöhnlichen Nomenclatur den
Ausdruck Aa. vertebrospinales angiebt. Auch er findet die Aa. radi-
cales anteriores (ich nehme hier Kadyis Bezeichnungen an) ihrer An-
zahl nach äusserst variabel, an 13 von ihm untersuchten Präparaten
waren 3— 10 solche vorhanden. Trotz aller Variationen besitzt jede
von den Wurzeln der den Plexus cervicalis zusammensetzenden Nerven
(besonders häufig die des 4—7) rechts sowohl, wie links ziemlich con-
stant ihr eigenes Gefässstämmchen. Die Aa. radicales posticae sind im
allgemeinen zahlreicher als die vorderen, aber schwächer an Caliber,
weshalb sie, besonders in der Mitte des Brustmarkes, haufig übersehen
werden kónnen. Im Lendenmarke sind sie dagegen sehr stark und
spielen hinten eine àhnliche Rolle, wie die Aa. spinalis magna vorne.
In dem oberen Halsmarke fehlen Aa. radicales posticae gänzlich.
Auf diese quantitativen und qualitativen Differenzen der Aa. radi-
cales (spinales) anteriores und posteriores ist schon Theile?) aufmerksam
geworden. Vordere zählt er am Halse 4— 6, am Brustteil durch-
schnittlich 4 (es können nur 2 vorhanden sein) im Lendenmark 1—2,
im Sacralmark 2, im Coccygealteil 1; hintere am Halse 2—3, im Brust-
teile 3—8, im Lendenteile 2—3.
1) Ueber die Blutgefässe des menschlichen Rückenmarkes. Anat. Anzeiger 1886.
*) Die Blutgefásse des menschlichen Rückenmarkes. Sitzungsb. d. K. Akad.
d. Wiss. Math.-Naturw. CL Bd. LXXXV, Abth. 3. Jahrgang 1882. Wien.
?) Traité de myologie et d'angiologie. Traduit de l'Allemand par Jourdan.
Paris 1848. S. 454.
Die Arterien der Intervertebralganglien etc. des Menschen. 359
Was geschieht nun weiter mit den Radicalarterien und mit welchen
peripheren Gefässen erzeugen sie Anastomosen? Nach Ansicht von
Adamkiewicz verbinden sie sich im allgemeinen mit Aesten der Aa.
intercostales, lumbales und sacrales. Auch Kadyi macht keine be-
stimmteren Angaben. Sappey'), Henle*) und Rauber?) äussern sich da-
hin, die Art. intercostalis bezw. lumbalis zerfalle in einen Ramus
anterior s. intercostalis und einen Ramus posterior s. dorsalis. Letzterer
spaltet sich seinerseits in einen Ramus muscularis und einen Ramus
spinalis. Der Ramus spinalis aber teilt sich nach Rauber in einen R.
posterior, R. medius und R. anterior, nach Rüdinger*) in einen R.
anterior et posterior canalis spinalis und einen R. medullae spinalis,
nach Cruveilhier und Sappey in einen R. vertebralis (zu der vorderen
und hinteren Wand des Wirbelkanales) und einen R. medullaris. Der
R. medius?) setzt sich augenscheinlich in die A. radicalis (anterior oder
posterior) von Kadyi fort. Die Aa. radicales aber sind, wie schon
früher erwähnt, sehr variabel. Daraus folgt, dass auch der Ramulus
medius bei weitem kein constantes Gebilde darstellt, sondern manch-
mal auch fehlen kann.
Ueber das Gefässsystem der Intervertebralganglien liegt nur eine
einzige Specialarbeit, nàmlich die von Adamkiewicz?) vor, nach Angabe
des Verf. selbst als Ergebnis drei Jahre langer Arbeit und der In-
jection von mehr als 500 Leichen. Untersucht wurden die Ganglien
des V., VI. und VII. Halsnerven. Als Ergebnisse sind folgende Sätze
zu nennen. Die Intervertebralganglien erhalten ihre Blutzufuhr direct
aus den Aa. spinales und vorzugsweise aus den hinteren, und indirect
aus den longitudinalen Anastomosen, welche diese Arterien unter dicho-
tomischer Teilung an der Oberfläche des Rückenmarkes erzeugen. Aus
diesen Anastomosen gehen unter anderem Aeste zu den Nervenwurzeln:
1) Traité d'anatomie descriptive. Angiologie 1888.
2) Handbuch der Gefässlehre des Menschen. 1876.
3) Lehrbuch der Anatomie des Menschen. Bd. II. 1894.
*) Ueber die Verbreitung des Sympathicus in der animalen Róhre, dem Rücken-
marke und Gehirn. München 1863.
5) Angenommen ist hier die Terminologie von Rauber. Damit aber keine Ver-
wechselung der aus dem R. spinalis hervorgehenden Aeste stattfinde, soll es statt
Ramus ant., post. und med. heissen: Ramulus ant. etc.
6, Der Blutkreislauf der Ganglienzelle. Berlin 1866.
360 W. Tonkoff,
sie dienen zur Ernährung der Ganglien. Die zu den Ganglien hin-
ziehenden Aeste der Aa. spinalis nennt Adamkiewicz Rami gang-
lionares, sie kommen ebenfalls unmittelbar aus der Vertebralarterie.
Hierauf beschränkt sich der descriptive Teil der Arbeit Adamkiewicz’,
das übrige bezieht sich auf mikroskopische Verhältnisse, die hier nicht
in Frage kommen.
In der neuen Ausgabe des Handbuches von Testut') werden dem
Blutgefässsystem der peripheren Cerebrospinalganglien alles in allem
folgende Zeilen gewidmet: Die Ganglien sind reich an Blutgefässen,
was auf eine sehr rege Function derselben hinweist. Die Gefässe ver-
laufen entlang dem interstitiellen Bindegewebe und zerfallen nach
mehrfacher Teilung in ein capillares Netz, dessen sehr enge Maschen
die Nervenzellen umspinnen. ;
Ich bin bei der Untersuchung der Arterien der Spinalganglien in
folgender Weise vorgegangen. Zunächst stellte ich durch Präparation
den Spinalnerv in der Richtung zum Ganglion dar, verfolgte die ihn
begleitenden Arterien, nahm die Wirbelkörper fort und eröffnete die
Foramina intervertebralia. Nach Durchschneidung der Dura mater
spinalis von vorne konnten Riickenmark, Nervenwurzeln und Spinal-
ganglien mit den hinzugehórigen Arterien unversehrt geprüft werden.
In der Halsgegend wurden ausserdem die vorderen Teile der Quer-
fortsätze, in der Brustgegend die Rippenkôpfchen entfernt.
Ich will hier die Ernährung der Hals- und Sacralganglien für
sich betrachten, da beide durch Besonderheiten ausgezeichnet sind. Die
Arterien der Brust- und Lendenganglien sollen zur Vermeidung von
Wiederholungen zusammen beschrieben werden.
1. Die Ganglia cervicalia (Taf. XX. Fig. 1).
Das Ganglion cervicale I erhalt seinen Ramus nutriens unmittel-
bar aus der A. vertebralis, der Wurzelarterie des ersten Nervenpaares
nach Kadyi. Der genannte R. nutriens zerfällt grösstenteils in einen
aufsteigenden und einen absteigenden Zweig.
1) Traité d'anatomie humaine. Taf. IL. 2e fig. Système nerveux périphérique.
Organes des sens. Paris 1897. p. 545.
Die Arterien der Intervertebralganglien etc. des Menschen. 361
Das Ganglion II erhält Rami nutrientes aus dem R. spinalis a.
vertebralis. Erstere kommen aus letzterem vor dessen Teilung oder
aber aus einem seiner Aeste (Ramulus medius, posterior und anterior).
Das Ganglion IIT bezieht an seiner vorderen Flache Rr. nutrientes
aus dem Ramulus medius e ramo spinali art. vertebralis, wenn dieser
geniigende Stirke besitzt; ist dies nicht der Fall, so kommen Rr.
nutrientes aus dem Ramul. anticus oder unmittelbar aus der Art. verte-
bralis. Versorgt wird das Ganglion ausserdem fast immer aus der
Anastomose zwischen Ramul. post. rami spinalis der Wirbelarterie
und einem der Endäste der A. cervicalis ascendens, die den Nerv ge-
wóhnlich hinten schneidet. Aus dieser Anastomose gehen Rr. nutrientes
an die hintere Fläche des Ganglions.
Das Ganglion IV. Von hinten gehen zu ihm Rr. nutrientes aus
der Anastomose zwischen Endast der A. cervicalis ascendens und
Ramul. post. r. spinalis a. vertebralis. Von vorne erhält es Rr. nu-
trientes aus dem hamul. medius r. spinalis a. vertebralis oder es geht
ebenso oft ein starker R. nutriens unmittelbar aus der A. vertebralis
hervor. Seltener giebt der Ramul. ant. r. spinalis a. vertebr. an das
Ganglion Rr. nutrientes ab.
Das Ganghon V. In der Hälfte der Fälle beteiligt sich an der
Ernährung dieses Ganglions ein Endast der A. cervicalis ascendens,
indem er meist mit dem Ramul. post. r. spinalis a. vertebr. anasto-
mosiert und den Nerv hinten kreuzt. An anderen Prüparaten gingen
Rr. nutrientes zu der hinteren Flàche des Ganglions aus einem Muskel-
ast der A. thyreoidea inferior, aus einem Aste des Truncus thyreo-
cerviealis oder endlich aus einem Muskelast der A. transversa colli.
Wenn die genannten Aeste vor Erreichung des Ganglions sich nach
hinten den Muskeln zuwenden, ohne mit der A. vertebralis zu anasto-
mosieren, so werden Rr. nutrientes an die hintere Flache des Gang-
lions unmittelbar aus dem Ramul. post. r. spin. art. vertebr. abgegeben.
Von vorne her gehen zu dem Ganglion Rr. nutrientes aus dem Ramul.
med. oder ant. r. spin. art. vertebr. oder direct aus der A. vertebralis.
Das Ganglion VI. Ausnahmsweise — in 4 von 70 Fällen!) —
geschieht die Vascularisation aus einem Anfangsaste der A. cervicalis
1) Hier wie im weiteren Verlaufe entspricht jedem Falle eme Körperhälfte.
362 W. Tonkoff,
ascendens. An die hintere Fläche des Ganglions treten Rr. nutrientes
aus sehr verschiedenen Quellen: aus einem in dem Trigonum inter-
scalenicum aufsteigenden Muskelaste der A. subclavia (27 Falle), aus
dem Anfangsteil der A. transversa colli (13 Fálle), aus dem Anfangs-
‘teil des Truncus costo-cervicalis (10 Fälle), aus der A. thyreoidea
inferior (8 Fälle), aus der A. cervicalis profunda (5 Fälle) und aus dem
Truncus thyreo-cervicalis (2 Fälle). Mit dem Ast aus den genannten
Quellen, der an der hinteren Flache des Nerven verlàuft, anastomo-
siert mehr oder weniger der Ramul. post. r. spin. a. vertebr. An die
Vorderfläche des Ganglions gehen Rr. nutrientes aus dem Ramul. medius
r. spin. a. vert. oder ebenso oft direct aus der A. vertebralis selbst.
Das Ganglion VII erhalt von hinten Rr. nutrientes aus denselben
Quellen, wie das vorige, mit dem Unterschied, dass Aeste aus der A.
cervicalis ascendens, A. thyreoidea inferior und dem "Truncus thyreo-
cerviealis hierher nicht gelangen. Von vorne gehen zu dem Gang-
lion Rr. nutrientes aus dem Ramul. medius r. spin. a. vertebr. In den
Fällen, wo der erwähnte Ramul. medius schwach entwickelt oder ganz
fehlend ist, tritt ein aus dem 'Truneus costo-cerviealis (oder, wenn
dieser zu kurz ist, aus der A. cervicalis profunda) aufsteigender Ast an
seine Stelle. In sehr bemerkenswerter Weise verläuft dieser Ast fast
immer (in 10 Fällen 7 mal) durch ein Loch im Querfortsatze des
7. Halswirbels in Begleitung der Wirbelvene, und erreicht so das
Ganglion; manchmal verläuft er als Ramulus medius weiter, meist aber
versorgt er ausser dem Ganglion die hinteren Halsmuskeln.
Das Ganglion VIII wird ausschliesslich von Aesten des Truneus
costo-cervicalis versorgt. Die Rr. nutrientes zu der hinteren Seite
des Ganglions kommen direct aus der A. cervicalis profunda oder aus
dem zu den Muskeln oder zu der hinteren Wand des Wirbelkanales
verlaufenden Aste derselben. Von vorn begeben sich zu dem Ganglion
Rr. nutrientes aus einem zu der vorderen Wand des Wirbelkanales
oder — als Ramulus medius — zu dem Rückenmarke hinziehenden
Aste, welcher an der A. cervicalis profunda oder (halb so oft) am
Truneus costo-cervicalis entspringt.
1) Nach K. Bartholdy (a. a. O. S. 442) beteiligt sich die A. thyreoidea inferior
an der Versorgung sämtlicher Halsganglien mit Ausnahme des I. und VIII.
Die Arterien der Intervertebralganglien etc. des Menschen. 363
2. Die Ganglia thoracalia und lumbalia (Taf. XX. Fig. 5).
Alle diese Ganglien werden aus den entsprechenden Aa. inter-
costales bezw. lumbales versorgt. Die typische Teilung der A. inter-
costalis bezw. lumbalis in einen Ram. anterior und Ram. posterior,
des Ramus posterior in einen R. muscularis und R. spinalis und des
Ramus spinalis in drei Aeste (Riidinger) ist bei weitem nicht constant
und sehr hàufig kommen verschiedene Variationen zur Beobachtung.
Vor allem kann der Ramulus anterior sich aus der A. intercostalis
vor ihrem Zerfall in einen R. anterior und posterior abzweigen. So-
dann weicht die A. intercostalis nicht selten unvermittelt in mehrere
Aeste, einen R. anterior, R. muscularis, Ramulus medius, Ramulus
anterior auseinander. Im Falle typischer Teilung der A. intercostalis
in einen R. anterior und R. posterior erscheint der R. muscularis nach
Richtung und Querschnitt sehr oft als directe Fortsetzung des letzteren,
der R. spinalis hingegen (oder dessen Aeste) gehen aus dem R. muscu-
laris hervor. Seltener tritt der umgekehrte Fall ein, d. h. der R.
posterior setzt sich in den R. spinalis fort, während der R. muscularis
als schwacher Ast desselben erscheint. Ueberhaupt kommt der R.
spinalis als solcher selten vor und die ihn bildenden Aeste entstehen
für sich aus dem R. muscularis. Letzterer giebt im Beginne — manch-
mal aus gemeinsamem Stamme — einen Ramulus anterior und Ramulus
medius ab. Den Zweig zur hinteren Wand des Wirbelkanales aber
(Ramul. posterior) entwickelt er nach geschehener Kreuzung des Spinal-
ganglions. Wo der Ramul. medius stark entwickelt ist, erscheinen die
Ramuli anterior und posterior als Aeste desselben.
Das thoracale Spinalganglion erhält Rami nutrientes vor allem
aus dem Ramul. medius; letzterer erscheint an Práparaten, wo er stark
entwickelt ist, als Hauptversorgungsquelle des Ganglions, an dessen beide
Flüchen er Rr. nutrientes abgiebt. Von vorne her kann das Ganglion
ausserdem Rr. nutrientes aus dem Ramul. anterior erhalten, welcher
in dieser Beziehung den Ramul. medius dann ersetzt, wenn letzterer
abwesend oder schwach ist. An die hintere Flàche des Ganglions be-
geben sich Rr. nutrientes aus dem Ramul. posterior.
In der Lendengegend lässt sich dasselbe Verhalten nachweisen,
364 W. Tonkoff,
mit dem Unterschiede jedoch, dass der Ramulus medius hier gróssten-
teils aus dem Teilungswinkel der A. lumbalis in den R. anterior und
posterior oder noch vor der Teilung sich abzweigt. Der Ramul. posterior
nimmt ferner an der Ernährung der Lendenganglien regeren Anteil,
als dies in der Brustgegend der Fall ist. Ausserdem kann das Gang-
lion einen weiteren R. nutriens unmittelbar aus der A. lumbalis er-
halten, wenn diese mit einem Male in mehrere Aeste auseinander-
weicht. Das Ganglion lumbale V wird versorgt aus dem R. lumbalis
der A. iliolumbalis, seltener aus einem Aste der A. lumbalis IV oder
endlich aus der A. lumbalis V (aus der A. sacralis later.), wenn diese
mehr oder weniger stark entwickelt ist.
5. Die Gangha sacralia (Taf. XX. Fig. 5).
Die Ganglia sacralia werden versorgt aus den Rr. dorsales ramo-
rum lateralium a. sacralis lateralis. Jeder R. dorsalis teilt sich dabei in
einen vorderen und hinteren Ast. Ersterer zieht längs dem Ganglion
dahin, sendet ein Aestchen an die hintere Fläche der Kreuzbeinwirbel-
körper und zerfällt fast gänzlich in Rr. nutrientes für die Vorderfläche
je eines Ganglions, von welchen einer, der zu stärkerer Entwickelung
gelangt, mit der Wurzel des entsprechenden Nerven zum Rückenmarke
emporsteigt. Der hintere Ast des R. dorsalis sendet gleichfalls Rr.
nutrientes an das Ganglion, und zwar an dessen hintere Fläche, doch sind
dieselben merklich schwächer und nicht so zahlreich wie jene aus dem
R. ventralis. Sehr reich an Gefässen ist das erste und zweite Sacral-
ganglion. An ihrer Uebergangsstelle in die Nerven erhalten die Gang-
lien manchmal Rr. nutrientes unmittelbar aus der A. sacralis lateralis.
Allgemeines über die Vascularisation der Spinalganglien.
Im Anschlusse an obige Darstellung des Arteriensystemes der
Spinalganglien nach den einzelnen Regionen wäre hier folgendes All-
cemeine hervorzuheben.
Von Wichtigkeit erscheint vor allem der Umstand, dass sämtliche
Ganglien aus den zunächst gelegenen Arterien ihre Versorgung er-
halten. Wiewohl jedes Spinalganglion einen relativ kleinen Körper
vorstellt, der nur nach einer Richtung etwas in die Länge gezogen
Die Arterien der Intervertebralganglien etc. des Menschen. 365
ist, erhält es seine Ernährung (mit wenigen Ausnahmen, s. unten) aus
mehreren, wenigstens aber aus zwei Quellen. Als häufigste und wich-
tigste solehe Quelle erscheint die an dem Ganglion zum Rückenmarke
verlaufende Arterie (der in eine A. radicalis sich fortsetzende Ramul.
medius) sodann die Art. nutritia der hinteren Wand des Wirbelkanales
und endlich diejenige Arterie, welche sich an der vorderen Fláche des
Canalis vertebralis aufzweigt; letztere tritt meist nur als Ersatz ein für
erstere in Fallen, wo diese fehlt oder zurücktritt. Jede der genannten
Arterien sendet an das Ganglion mehrere (1, 2 oder 3) Rr. nutrientes,
welche stets in zwei Gruppen zerfallen, nämlich eine vordere und
hintere: die hinteren Aeste kommen aus dem Ramul. posterior, seltener
aus dem Ramul. medius, die vorderen aus dem Ramul. medius, seltener
aus dem Ramul. anterior. Beide verästeln sich an der Oberfläche des
Ganglions, meist unter Zerfall in einen Ram. ascendens und descendens,
Wobei fast stets Anastomosen zwischen den Rr. nutrientes anteriores
und posteriores gut entwickelt sind. Gegen das Innere des Ganglions
dringen bereits secundäre, feinere Verästelungen vor, nur selten begiebt
sich ein starker R. nutriens unmittelbar zur Tiefe. Umfangreiche
Ganglien (untere cervicale, lumbale, obere sacrale) erhalten selbst-
verstàndlich zahlreiche stárkere, reichverzweigte Rr. nutrientes.
Sümtliche Spinalganglien kónnen nach den Besonderheiten ihrer
Vascularisation in zwei Gruppen getrennt werden. Die eine Gruppe
umfasst die Halsganglien, die zweite alle übrigen. Jedes Ganglion der
zweiten Gruppe wird versorgt aus der dem betreffenden Kórpersegmente
entsprechenden parietalen Arterie (im Brustteile aus einer A. inter-
costalis, im Lendenteile aus einer A. lumbalis, im Sacralteile aus dem
R. lateralis der A. sacralis lateralis) durch die von ihr zum hücken-
marke und zu den Wänden des Wirbelkanales hinziehenden Aeste. Es
liegt hier also ein sehr typisches, regelmássiges Verhalten vor. Unter
anderen Bedingungen finden sich die Ganglien der ersten Gruppe: die
sie querende Wirbelarterie anastomosiert auf ihnen oder in ihrer Nahe
mit den oben genannten Aesten der A. subclavia. Eine Aehnlichkeit
mit der Anordnung der ersten Gruppe ist darin gegeben, dass aus der
A. vertebralis an jedem Cervicalganglion (mit Ausnahme des ersten
und letzten) häufig mit einem gemeinsamen Stämmchen ein Complex
366 W. Tonkoff,
von Aesten hervorgeht, die mehr oder weniger einem R. spinalis
der Intercostal- bezw. Lumbalarterien entsprechen; einer von ihnen,
welcher zu der hinteren Fläche des Wirbelkanales hinzieht, ana-
stomosiert mit einem bestimmten Aste der A. subclavia: an dem
3., 4. und 5. Ganglion mit Endàsten der A. cervicalis ascendens,
an dem 6. und 7. mit Endästen eines Stámmchens, welches am
haufigsten aus der Subclavia zwischen Truncus costo-cervicalis und
A. transversa colli oder aus dem Beginn der zuletztgenannten beiden
Gefasse hervorgeht. Diese Anastomose ist die erste charakteristische
Besonderheit der Cervicalganglien. Eine weitere Besonderheit besteht
in der Inconstanz, der Mannigfaltigkeit und dem Reichtum der Ver-
sorgungsquellen, wovon ein schónes Paradigma das 6., aber auch
das 5. und 7. Halsganglion darstellt. Diese Besonderheit der Ernäh-
rung der meisten Halsganglien findet augenscheinlich darin ihre Er-
klärung, dass in der Umgebung derselben in grösserer oder geringerer
Entfernung viele Arterien verlaufen, von welchen die einen ófter, die
anderen seltener mittelst ihrer Endäste die Ganglien erreichen. Ganz
anders ist es mit den Ganglien der zweiten Gruppe: hier kann jedes
Ganglion nur von Einer Arterie (A. intercostalis, lumbalis) versorgt
werden. Eine Ausnahme bildet das 2. Thoracalganglion (A. intercostalis
suprema und A. intercostalis et Aorta thoracica) sowie das 5. Lenden-
ganglion (A. lumbalis IV, A. lumbalis V, R. lumbalis a. ilio- lumbalis).
Einige Halsganglien, nàmlich das 1. und 2., erhalten ihre Gefasse eben-
falls aus Einer Quelle, die Mehrzahl derselben befindet sich jedoch
unter günstigeren Ernáhrungsbedingungen.
Nicht anzuschliessen vermag ich mich der Darstellung von
Adamkiewicz, nach welcher jede der vorderen Wurzeln des 4., 5.,
6. und 7. Halsnerven besonders häufig ein eigenes Arterienstämmchen
besitzen sollen. Nach meinen Erfahrungen gilt dies in gleicher Weise
auch von dem 3. und 8. Nerven, da an den Ganglien derselben nicht
minder häufig ein in eine A. radicalis anterior übergehender Ramulus
medius hinaufsteigt. Durch besondere Stärke und Constanz ausgezeichnet
ist die Art. radicalis anterior des 7. Nerven aus der Vertebralis und
die Art. radicalis anterior des 8. Nerven aus dem Truncus costo-cervi-
calis (bald rechts, bald links).
Die Arterien der Intervertebralganglien etc. des Menschen. 367
II. Die Arteriae nutritiae der Nervenstamme.
Die feinsten Nerven entbehren nach Ranvier') der Blutgefässe.
Das Material zu ihrer Ernáhrung entlehnen sie dem umgebenden Plasma
aus den benachbarten Capillaren. Sobald sie aber an Grösse ge-
winnen, treten die Nervenbiindel, isoliert oder in Stàmme vereinigt,
bereits in den Besitz von Blutgefässen, die in die lamellóse Scheide
eintreten, diese durchsetzen und in dem Nerven sich verteilen. Die
kleinen Arterien und Venen verlaufen in den endofasciculàren Lamellen,
während die Capillaren entweder den Nervenróhren unmittelbar an-
liegen oder durch einige Bindegewebsfasern von letzteren getrennt sind.
Das histologisehe Verhalten der Nervenvascularisation hat im Ganzen
eine befriedigende Bearbeitung und vóllig klare Darstellung gefunden.
Was die makroskopisch-anatomischen Verhältnisse betrifft, so finden
sich schon bei den álteren Anatomen einige Angaben über Arterien, die
an den Nerven verlaufen. Haller?) bildet auf einigen seiner Tafeln die
kleinen Arterien am Ischiadicus, am N. tibialis, am Plexus brachialis etc.
ab und nennt sie Ramus ad nervum, Ramulus ad nervos. In der
spáteren Litteratur sind vereinzelte, meist kurze Notizen über Arterien
verschiedener Nerven zerstreut?). Die erste eingehendere Schilderung
der Nervenarterien aber giebt Hyrtl*). Schon im Jahre 1859 erwähnt
Hyrtl bei der Beschreibung der Blutgefásse der Gelenkkapseln, Sehnen
Fascien etc. auch die Vascularisation der grósseren Nervenstàmme.
Nach seinen Angaben verlaufen sehr feine Arterien (selten eine, hàufiger
zwei) in grosser Ausdehnung schràg zu der Axe des Nervenstammes,
oberflächlich und ohne Aeste abzugeben, und erst später dringen sie
zwischen den Bündeln des Nerven gegen die Tiefe desselben vor, wo
sie ein Capillarnetz entwickeln.
In einer anderen Arbeit?) giebt Hyrtl folgende eingehende Be-
1) Traité technique d’histologie. Paris 1889. p. 587.
2) Icones anatomicae MDCCLVI.
3) Viele derselben werden von K. Bartholdy angeführt.
4) Ueber das Verhalten der Blutgefässe in dem fibrösen Gewebe. Oesterr,
Zeitschr. f. pract. Heilkunde. 1859. S. 130.
?) Hyrtl, Ueber normale und abnorme Verhältnisse der Schlagadern des Unter-
schenkels. Wiener Denkschr. 1864. XXIII,
368 W. Tonkoff,
schreibung der Nervenarterien. Jeder Nerv, gross oder klein, besitzt
eine ihm eigene Arteria nutritia, welche nur ihn allein ernährt, keine
Zweige in anliegende Gebilde abgehen lasst, und ein Capillargefàss-
system entwickelt, welches nicht tiber das Neurilemma des betreffenden
Nerven hinausreicht, sondern in der Substanz dieser Nerven in eine,
dieser allein angehórende Vene übergeht. Die Aa. nutritiae grósserer
Nervenstàmme verlaufen stellenweise oberflàchlich, stellenweise dringen
sie gegen die Axe der Stàmme vor, kehren wieder zu der Seite des
Nerven zurück, welche sie verlassen haben, oder lagern sich auf die
enteegengesetzte. Diese Nervenarterien nun erhalten von Stelle zu
Stelle aus benachbarten grösseren oder kleineren Gefässen anasto-
mosierende Zweige, welche auf lange Strecken hin für eine gewisse
Bestàndigkeit ihres Calibers sorgen. Fasst man diese anastomosieren-
den Gefásse als solche auf, welche sich im Nerven in aufsteigende und
absteigende. Zweige teilen, welche mit den nächst oberen und unteren
sich in Verbindung setzen, so wird jeder Nerv Trager einer fort-
schreitenden Reihe von Anastomosen. Dann beschreibt Hyrtl auf
Grundlage eines einzigen Halles — was er durch die ungewóhnlichen
Schwierigkeiten der Präparation gerechtfertigt findet — die Arterien
des N. ischiadicus und peroneus. |
Holl?) widmet den Arterien der Nerven einige gelegentliche Zeilen,
wobei er im wesentlichen Hyrtls Darstellungen wiederholt.
Zwei neuere Specialarbeiten über den vorliegenden Gegenstand
stammen von Quénu und Lejars.?) Mit dem Hinweise auf die Lücken-
haftigkeit unserer Kenntnisse von den Gefässen der Nerven und auf
die Wichtigkeit der Frage stellen die genannten Autoren allgemeine
Regeln auf, denen die Arterien und Venen der Nerven unterworfen
sind, und beschreiben als Paradigma dazu die Arterien des N. medianus, -
des N. ischiadicus, des Plexus lumbalis, sowie des Halsteiles vom Vagus
und Sympathicus. Angaben über die Anzahl der untersuchten Objecte
fehlen, es heisst nur, dass auch Kinderleichen prapariert worden sind.
(0 8 Zina der Kniekehlengefässe und Nerven bei Streckung einer Con-
tractur. Arch. f. klin. Chir. XXII. 1878. S. 374.
?) Les artères et les veines des nerfs. Comptes rendues. T. CXI. 1890.
p. 608. Étude anatomique sur les vaisseaux sanguins des nerfs. Archives de Neu-
rologie Vol. XXII, 1892. p. 1,
Die Arterien der Intervertebralganglien etc. des Menschen. 369
Quénu und Lejars bezeichnen das Arteriensystem der Nerven als sehr
reich und sehr regelmässig. Der Ursprung der Vasa nervorum, die
Art ihres Eintrittes, ihre Teilung im Innern des Nerven unterliegen
bestimmten Gesetzen. Die oberflächlichen Nerven sind in ganzer Länge
begleitet von einer Arterie, die mit ihnen verbunden bleibt und sich
unter Bildung einer Reihe von Arkaden fortsetzt. So erscheinen diese
Nerven als wichtige Richtungswege des subcutanen Arteriensystemes.
Jeder Nervenstamm erhalt seine Arterien aus constanten Quellen.
Hiermit im Zusammenhange stehen physiologische und pathologische Er-
scheinungen von hervorragender Tragweite (Vagus und Sympathicus am
Halse). Ein Nervenstamm erhält seine sämtlichen Arterien nie aus
einer einzigen Quelle. Alle Vorrichtungen, die in den Nervencentren
dem directen und plótzlichen Zuflusse des arteriellen Blutes hinderlich
sind, kommen an den Nervenstämmen zur Beobachtung.
Weitere fragmentarische Angaben über die Quellen der Blut-
versorgung einiger Nerven, die sich in den vorhin genannten Schriften
vorfinden, sollen im folgenden noch berücksichtigt werden. Von allen
bisherigen Behandlungen der Nervengefásse, auf welche ich im Laufe
der späteren Darstellung noch eingehen werde, kann hier das Eine
hervorgehoben werden, dass über den Umfang der Untersuchungsreihen,
auf welchen sich die Schlüsse aufbauen, nirgends nàhere Mitteilungen
gemacht sind. In wesentlichen Beziehungen giebt es Widersprüche.
Hyrtl lässt die Arterien in toto in den Nerven eintreten, während bei
Quénu und Lejars es heisst, dass die Arterien sich an der Nerven-
oberfläche hinschlängeln und erst nach wiederholter Teilung gegen das
Nerveninnere vordringen. Ferner herrscht nicht bei allen Autoren Einig-
keit über den Begriff der Arteria nutriens, die mit der Arteria comes
(Holl) verwechselt wird. Während Quenu und Lejars längs der Bahn
oberflächlicher Nerven Begleitarterien, gebildet von Hautgefässarkaden,
schildern, bildet Manchot!) in seiner Monographie auf den beigefügten
Tafeln nirgends Anastomosen zwischen den Hautarterien ab, vielmehr
versorgt jede Hautarterie ein bestimmtes, circumscriptes Gebiet, ohne
mit den nachbarlichen zu anastomosieren. Endlich enthält keine der
1) Die Hautarterien des menschlichen Körpers. Leipzig 1889.
Internationale Monatsschritt für Anat. u. Phys. XV. 24
370 W. Tonkoff,
citierten Arbeiten Notizen, auch nur annähernder Art, über den Durch-
messer der Nervenarterien.
Unter solchen Verhältnissen erscheint es begreiflich, dass in den
anatomischen Handbüchern die Nervengefásse entweder völlig mit Still-
schweigen übergangen werden oder nur mit kurzen, allzu allgemeinen
und zudem manchmal geradezu unrichtigen Bemerkungen Erwähnung
finden. Auffallend ist es, dass Hyrtl, der doch in mehreren seiner
Schriften eine classisch zu nennende Schilderung der Nervenarterien
giebt, in seinem viel später erschienenen Handbuche') sich darauf be-
schränkt, zu schreiben: „Der Gefässreichtum der Nerven ist, wie schon
ihre weisse Farbe beurkundet, kein bedeutender. Die feinsten Capillar-
gefässnetze bilden in den Nerven langgestreckte Gitter oder Maschen.“
Nicht wesentlich ausführlicher äussert sich Richet?) über diesen
Gegenstand. „Les nerfs”, heisst es bei ihm, „sont moins riches (sc. als
das Gehirn) en vaisseaux; cependant il en est quelques-uns, comme le
sciatique, qui possèdent en propre une ou plusieurs arterioles volumi-
neuses pénétrant leur tronc et y donnant naissance à un riche plexus,
qui entoure les gaînes de chaque fibrille nerveuse.“ Einigemal sah
Richet starke Entwickelung dieser Geflechte in Fallen, wo der ent-
sprechende Nerv bei seinem Durchtritte durch einen Eiterherd in Eut-
zündung tibergegangen war.
Nach Sappey”) sind die in dem Neurilemm sich verästelnden Blut-
sefässe ebensosehr durch ihr Volumen wie durch ihre Anzahl bemerkens-
wert. In dem Abschnitt über Zahl und Caliber der Arterien bemerkt
Sappey*) demungeachtet: , Les ramifications qui succédent aux branches
artérielles ne sont pas également abondantes dans toutes les parties
du corps. Quelques organes en possédent un trés grand nombre; dans
cette classe il faut ranger les glandes, les membranes muqueuses, la
peau, les muscles. D'autres en contiennent beaucoup moins: tels sont
les cordons nerveux, les tendons, les aponévroses.
—————————
!) Lehrbuch der Anatomie des Menschen. Wien 1881. S. 154.
?) Traité pratique d'anatomie médico-chirurgicale. Paris 1860. p. 211.
?) Traité d'anatomie descriptive. T. III. 1889. p. 224.
VARO IBI MS NAT.
€
Die Arterien der Intervertebralganglien etc. des Menschen. 371
Nach Testut’) besitzen alle Nerven Arterien, Venen und Lymph-
gefasse. Nur die feinsten Nervenfidchen entbehren der Gefässe und
werden von den nachbarlichen Gefássnetzen aus ernährt. Das weitere
über die Nervenarterien gründet sich augenscheinlich auf Quénu und
Lejars Arbeit, die Testut auch citiert.
An diese litterarische Uebersicht kónnen nun meine eigenen Unter-
suchungen anknüpfen.
A. Allgemeine Beschreibung der Arteriae mutritiae nervorum.
Ich betrachte zunáchst die Arterien der grossen Nervenstàmme.
Der N. medianus am Oberarm mag hier als Beispiel dienen. Wenn
man ihn nach vorhergehender Arterieninjection vorsichtig von der be-
nachbarten A. brachialis ablóst, so bemerkt man leicht unmittelbar aus
letzterer hervorgehend, in grésserem oder geringerem Abstande von
einander, zwei bis drei feine Arterien (ihr Durchmesser erreicht beim
Erwachsenen ca. '/, mm), welche etwa 1 cm neben dem Nerv ver-
laufend schràg zu seiner Axe in ihn hineindringen. Es sind dies
die Arteriae nutritiae nervi mediani. Jede derselben teilt sich ge-
wöhnlich in zwei Aeste, die sich an dem Nerven nach oben und unten
begeben (Ramus ascendens und Ramus descendens). Die Stärke der
letzteren kann gleich oder verschieden sein, sodass Fälle vorkommen
können, wo einer der Aeste kaum wahrnehmbar ist oder für das un-
bewaffnete Auge gänzlich fehlt. Der Zerfall in einen aut- und ah-
steigenden Ast kann schon vor dem Eintritt der A. nutritia in das
Epineurium statthaben, und manchmal kommen die Aeste unmittelbar
aus dem Hauptstamme (im vorliegenden Falle aus der A. brachialis
und ihren Muskelästen); mit anderen Worten: zwei Arteriae nutrientes
entstehen nahe bei oder fast neben einander und verlaufen dann im
Nerven nach entgegengesetzten Richtungen. Auf der anderen Seite
erfolgt die Teilung der A. nutritia in die genannten Aeste bereits nach
seschehenem Eintritte in den Nerv.
Die beiden Aeste der A. nutritia, der aufsteigende und absteigende,
ziehen, manchmal unter leichter Schlängelung, an der Oberfläche des
1) Traité d'anatomie humaine. Bd. II. Système nerveux périphérique. Organes
des sens. Paris 1897. p. 539,
912 W. Tonkoff,
Nerven dahin, indem sie, in das Perineurium eingeschlossen, bald an
die eine, bald an die andere Seite des Stammes treten, oder aber sie
verlaufen im Innern des Nerven und dann oft entsprechend der Axe
desselben. Dem äusseren Ansehen nach lässt sich daher über den
Gefässreichtum eines Nerven kein Urteil gewinnen. So z. B. enthält
der N. ulnaris am Oberarm zuweilen in 15 cm Ausdehnung (beim
Erwachsenen) seine Art. nutritia im Innern und letztere kann mur
durch Auseinanderdrängen der Nervenbündel sichtbar gemacht werden.
Bringt man noch in Erwägung, dass bei dem gewöhnlichen Gange der
Präparation, wobei die Nerven von den umgebenden Teilen völlig rein
isoliert werden, die Ernährungsgefässe jedesmal bei ihrem Eintritte in
den Nervenstamm durchtrennt werden, so wird man sich über Hyrtls
Ausspruch: „Der Gefässreichtum der Nerven ist, wie schon ihre weisse
Farbe beurkundet, kein bedeutender*, nicht wundern und wird die
Nerven, wie Sappey dies vorschlägt, in dieser Beziehung den Apo-
neurosen und Sehnen gleichstellen.
Im allgemeinen verlaufen an grossen Nerven die Arterien meist
im Inneren, in dem interfasciculären Bindegewebe. In kleineren Nerven
liegen sie unmittelbar unter dem Epineurium. Das hat hóchst wahrschein-
lich darin seinen Grund, dass in letzterem Falle das interfascikulare
Bindegewebe, die gewöhnliche Lagerungsstätte der Blutgefässe, schwach
entwickelt ist. Doch giebt es Ausnahmen von dieser Regel. So z. B.
führen der N. cruralis über dem Lig. Poupartii und der Medianus im
unteren Drittel des Oberarmes und im Canalis carpalis ihre Arterien
constant an ihrer vorderen Fläche, und doch sind diese zwei Nerven
bekanntlich von sehr ansehnlicher Grösse.
Was die Aeste der Aa. nutritiae betrifft, so lässt sich zwischen
benachbarten Aa. nutritiae das Vorhandensein von Anastomosen nach-
weisen. Es geht nämlich der R. descendens der höher liegenden A.
nutritia in den R. ascendens der darunter gelegenen über. Viel seltener
weichen diese Aeste, ohne einander zu begegnen, mit ihren Enden aus-
einander, wobei die Verbindung erst zwischen secundären Aestchen
vor sich geht. In der Mehrzahl der Fälle erscheint der Nerv
nach Hyrtls zutreffender Bemerkung als Träger einer fortschreitenden
Reihe von Anastomosen. Je stärker dabei der Nerv, desto ansehn-
Die Arterien der Intervertebralganglien etc. des Menschen. BYE:
licher sind natürlich seine Gefässe, und es kommt vor, dass eine A.
nutritia, an den Nerv herantretend, in drei oder vier Aeste zerfallt,
die nach oben und unten verlaufen. Zu bemerken ist endlich sehr oft
dichotomische Teilung einer am oder im Nerven verlaufenden Arterie.
Die so entstehenden Aestchen verbinden sich dann nach längerem oder
kürzerem Verlaufe von neuem mit einander, kónnen wieder auseinander-
gehen etc. Es entwickeln sich so Arterieninseln und Wundernetze.
Im allgemeinen aber gehen aus der Arterie im Nerven Seitenästchen
meist nahezu unter rechten Winkeln ab und teilen sich dann ihrerseits
in feine auf- und absteigende Stämmchen.
Die Stárke der Aa. nutritiae der Nerven ist bei weitem nicht so
ceringfügig, wie man gewöhnlich annimmt. Dies geht schon aus dem
Umstande hervor, dass die Aa. nutritiae der grossen Stiimme schon
bei menschlichen Embryonen der zweiten Foetalperiode ohne jede Zu-
hilfenahme der Lupe vóllig rein dargestellt werden kónnen. Gróssere
Ernährungsarterien erreichen bei dem Erwachsenen einen Durchmesser
von 0,5 mm und darüber hinaus. So ist es z. B. am Plexus brachialis
und àm N. ischiadicus. Nicht zu vergessen ist natürlich, dass dies nur
Annäherungswerte sind, da es sich um Messungen an künstlich unter
bestimmtem Drucke injicierten Gefässen handelt.
Die geschilderten Aa. nutritiae dienen grósstenteils ausschliesslich
zur Ernàhrung der Nerven und ihrer bindegewebigen Hüllen. Unter
gewissen Verhältnissen jedoch können sie gleichzeitig auch andere Or-
gane und Gewebe versorgen. Liegt ein Nerv neben einer grossen Ar-
terie, so geben die aus letzterer hervorgehenden Aa. nutritiae, ehe sie
in den Nerv eintreten, kleine Aestchen an die Wand des Arterien-
stammes und seiner Begleitvene oder -venen ab. Beispiele: N. medianus
und A. und Vv. brachiales, N. tibialis und A. und Vv. tibiales poste-
riores. Es entspringen also die Vasa vasorum und Vasa nervorum
nicht selten mit gemeinsamen Stimmchen'). Wenn ferner ein Nerv
zwischen Muskelbündeln verläuft, ohne von letzteren durch aus-
gesprochene Fascienblätter getrennt zu sein, so erhält der Nerv seine
Aa. nutritiae gemeinschaftlich mit dem Muskel. Beispiele: Plexus lum-
1) Quénu und Lejars, a. a. O. S. 35.
374 W. Tonkoff,
balis, N. cruralis und M. psoas major; Plexus sacralis und M. piri-
formis. Hierbei kónnen zum Muskel nur unbedeutende Aestchen aus
der A. nutritia gelangen, in welchem Falle sie vorzugsweise dem Nerven
zur Ernährung dient, oder aber es giebt eine ansehnliche Arterie, den
Nerven durchdringend, letzterem Rr. nutrientes ab, die hinter den End-
ästen an Stärke wesentlich zurücktreten. Solche Gefässe können Aa.
nutritiae perforantes genannt werden.
Der allgemeinen Regel nach erhält der Nerv seine Gefässversorgung
aus zunächst gelegenen Quellen. Wenn neben einem Nerven in be-
stimmter Ausdehnung ein grösserer Arterienstamm verläuft, so gehen
die Aa. nutritiae unmittelbar aus letzterem hervor, seltener aus seinen
Muskel- oder sonstigen Aesten, auch wenn diese dem Nerven sehr nahe
liegen oder ihn sogar kreuzen. Beispiele: N. medianus und A. bra-
chialis; N. ulnaris und A. ulnaris; N. tibialis und A. tibialis posterior.
Verläuft der Nerv isoliert, aber mit einer Arterie sich kreuzend, so
gehen Aa. nutritiae aus letzterer an der Kreuzungsstelle hervor. Eine
Ausnahme von dieser Regel bilden solche Arterien, die zwar einem
Nerven benachbart liegen, aber durch eine Fascie von ihm geschieden
sind. So. werden von der A. cervicalis superficialis und von der A.
transversa scapulae, obwohl sie den Plexus brachialis kreuzen und dicht
über ihm hinziehen, niemals Aa. nutritiae entwickelt. — Sehr oft
treten Aa. nutritiae in den Nerven an den Teilungsstellen desselben ein;
in bogenfórmigem Zuge steigen sie nämlich zu dem Astwinkel des
Nerven empor und senden den Aesten entlang Rr. nutrientes des-
cendentes. In letzterem Falle verdienen sie den Namen Aa. nutritiae
recurrentes. Solche Gefässe treten z. B. ein in den N. musculo-cutaneus,
an der Abgangsstelle seiner Aeste zum Biceps und Brachialis; in den
N. ischiadicus an seiner Teilungsstelle in den Tibialis und Peroneus;
in den N. peroneus bei seiner Teilung in den Peroneus superficialis
und profundus; in den N. medianus, wo er in Nn. digitales communes
auseinander weicht.
Es giebt also für jeden einzelnen Nerven bestimmte Orte, an welchen
ihm ausnahmslos Ernährungsgefässe zugehen. Häufig aber fällt es
1) Bartholdy lässt die A. transversa scapulae in seltenen Fällen Aeste an den
Plexus brachialis abgeben. Ich habe dies nirgends beobachtet.
Die Arterien der Intervertebralganglien etc. des Menschen. 375
schwer, die Eintrittsstelle der Aa. nutritiae in den Nerven genau zu
bestimmen. Der N. medianus z. B. kann am Oberarm solche aus der
A. brachialis bald höher oben, bald tiefer unten erhalten. Variabel
ist auch die Anzahl der Ernáhrungsgefásse. So hat der N. ulnaris am
Oberarm manchmal nur zwei Aa. nutritiae (aus der Axillaris und aus
der Collateralis ulnaris superior), in anderen Fallen sind fünf, am
háufigsten drei solche Arterien vorhanden.
Bei der speciellen Beschreibung der Vasa nutrientia der Nerven
werden die constantesten Versorgungsquellen der letzteren, die annàhernde
Zahl der Aa. nutritiae und ihre häufigste Eintrittsstelle in den Nerven
angegeben werden. Schon hier ist jedoch folgendes zu bemerken. Die
Aa. nutritiae der Nerven sind, wie sonst überall, bestimmten Gesetzen
unterworfen, kónnen aber gleichzeitig innerhalb der Grenzen der Norm
variieren, wie wir dies vorhin gezeigt haben. Da es sich aber hier
meist um Arterien zweiter oder dritter Ordnung handelt, so ist be-
greiflich, dass sie in Abhängigkeit stehen von dem Verhalten der
Hauptarterienstàmme: entsprechend den Variationen der letzteren
wechselt das Verhalten der Aa. nutritiae. Da endlich auch die Ano-
malien der Gefásse von Einfluss sind auf die Anordnung der Nerven-
arterien, so müssen letztere alles in allem nicht unbetrachtlichen
Schwankungen unterliegen.
Was die Ernährung der Plexus der Spinalnerven betrifft, so be-
gegnen wir hier den nämlichen Verhältnissen. Nur erhalten die Plexus
meistenteils Stàmmchen (Trunci nutritii), welche nach ihrem Eintritte
in das Geflecht manchmal sofort in eine grosse Anzahl auf- und ab-
steigender Aeste zerfallen, die entweder an der Oberfläche oder noch
häufiger im Innern der das Geflecht zusammensetzenden Nerven sich
hinziehen. Ursprung und Verlauf der Rr. nutrientes zeigt in den Ge-
flechten gewóhnlich eine noch erheblichere Mannigfaltigkeit.
Bezüglich der Hautnerven decken sich meine Beobachtungen nahezu
mit denen von Quénu und Lejars. Die Hautarterien erzeugen in der
That eine Reihe von Anastomosen entlang den Nerven. Dies geschieht
in der Regel so, dass die nächstgelegene Arterie, an den Nerven heran-
tretend, einen Ramus ascendens und descendens entwickelt, welche den
Nerven begleiten, indem sie neben ihm verlaufen, manchmal ihn durch-
376 W. Tonkoff,
setzen und sich mit entsprechenden Aesten anderer Hautarterien ver-
binden. Man kann daher nahezu làngs jedem Hautnerv in grósserer
oder geringerer Ausdehnung eine in der angegebenen Weise ent-
stehende Begleitarterie (A. comes) verfolgen. Als Beispiele sind zu
nennen die Hautnerven des Oberschenkels und des Vorderarmes. Eben-
solche Begleitarterien sind von Hyrtl für den N. suralis in der A.
suralis superficialis und für den N. saphenus major in der A. anasto-
motica nervi sapheni nachgewiesen worden.
Von der Arteria comes jedes Nerven gehen Aeste zur Haut, zum
Unterhautzelleewebe und zu dem Nerv selbst. Letztere bilden die Aa.
nutritiae des betreffenden Nervenstimmchens und verhalten sich zu
diesem in der für die Nervenarterien der grossen Stàmme oben dar-
gelegten Weise. Es ist also, wie hieraus erhellt, die Arteria comes
scharf zu unterscheiden von der A. nutritia, was, wie wir sahen, in
den Lehrbüchern nirgends Erwähnung findet"); in den Monographien
aber wird dieser Umstand entweder ebenfalls mit Stillschweigen über-
gangen oder es werden beide Begriffe einfach pro miscue gebraucht.
Hyrtl allein giebt eine bestimmte Definition der A. nutritia der Nerven.
Quénu und Lejars (s. oben) beschreiben nur die Begleitarterien der
Hautnerven, erwähnen aber nichts von den eigentlichen den Nerv er-
nährenden Aestchen derselben und erklären die Arterie (satellite) des
N. musculo-cutaneus und des N. saphenus internus für gleichwertig mit
den Arterien des Ischiadicus und Medianus.) Es werden hier zweifel-
los heterogene Begriffe durcheinander geworfen. Die A. nutritia
dient ausschliesslich oder vorwiegend zur Ernährung des Nervs, in
welchem allein sie sich aufzweigt. So verhält sich z. B. die bekannte
A. comes ischiadici, welche richtiger A. nutritia ischiadici zu nennen
wäre. Die A. comes begleitet den Nerv, läuft meist demselben ent-
lang und durchsetzt ihn manchmal; infolge dieser Nähe giebt sie dem
Nerv stets Aa. nutritiae ab, ernährt aber vorwiegend die umgebenden
Gewebe und Organe (Muskeln, Haut, Zellgewebe etc.), während für
den Nerv secundäre und ihrem Durchmesser nach unbedeutende Aest-
!) Testut (a. a. O. S. 939) führt als Beispiele von Nervenarterien die A. nervi
mediani und A. nervi ischiadici auf.
B fata HO NS TEARS
Rowe
Die Arterien der Intervertebralganglien etc. des Menschen. 377
chen bestimmt sind. Hierher gehören die Begleitarterien sämtlicher
Hautnerven, sowie die A. mediana. Holl?) verwechselt die A. comes
mit der A. nutritia. Er bezeichnet die A. suralis superficialis von
Hyrtl (A. comes nervi suralis) als Ramus nutriens nervi suralis und
die A. anastomotica nervi sapheni Hyrtls (A. comes nervi sapheni) als
Ramus nutriens nervi sapheni, ohne zwischen ihnen und den wirklichen
Aa. nutritiae des Ischiadicus, Tibialis etc. irgend einen Unterschied zu
machen. Wollte man dem Beispiele der genannten Autoren folgen, so
müsste die A. pericardiaco-phrenica genannt werden A. nutritia nervi
phrenici, während sie doch letzterem nur unbedeutende Aa. nutritiae
zusendet und vorzugsweise zur Ernährung des Zwerchfelles, des Peri-
cards und des Pleura bestimmt ist. Mit Recht hat Quain”) dieser
Arterie den Namen A. comes nervi phrenici beigelegt.?)
Es bleibt nun noch ein weiterer Umstand zu erwägen. Die Autoren,
welche auf die Nähe der Hautarterien zu den Nerven aufmerksam ge-
worden sind, constatieren nur, dass letztere von ersteren versorgt
werden. Mir scheint jedoch, es darf nicht vergessen werden, dass
Hautnerv und Arterie in noch engeren Beziehungen zu einander stehen,
da der Nerv zwar von seiner Begleitarterie ernährt wird, seinerseits
aber die Wände der letzteren mit Vasomotoren versorgt. „Im all-
gemeinen werden“, bemerkt Landois*) hierüber, „die Gefässe der
Rumpf- und Extremitätenhaut von denjenigen Nerven innerviert, welche
deren Teilen auch andere (z. B. sensible) Fasern abgeben.“ Arterien
und Nerv haben also beide Vorteil von ihrer nachbarlichen Lage: dem
Nerv gehen auf kürzestem Wege Ernährungsgefässe, dem Gewebe der
Gefässwandung innervierende Fäden zu.
Somit erscheint die Frage nach den Anastomosen der Hautarterien
erledigt, und man muss wahrhaft erstaunt sein, dass diese Thatsache
Manchot (a. a. O.) entgangen ist und dass er jede Hautarterie mit
1) a. a. O. S. 394.
?) Henle, Gefässlehre. 1876.
3) Bartholdy giebt eine mit der von mir vorgeschlagenen (Vorläufige Mit-
teilung. Wratsch, Januar 1897. Russisch.) fast identische und vielleicht sogar noch
schärfere Definition der Nervenarterie, doch grenzt er die A. nutritia von der A.
comes nicht genauer ab.
*) Lehrbuch der Physiologie des Menschen. 1895. S. 814.
378 W. Tonkoff,
isolierter Verästelung, wie eine Endarterie, abbildet. Nach seiner
Meinung besteht nur beziiglich der Richtung der Hautnerven und Ar-
terien eine gewisse Aehnlichkeit, wie an der hinteren Flache des Ober-
schenkels, am Knie; in der Regio suralis, an der Schulter etc. Kul-
ezycki!) dagegen fand beim Hunde, beim Pferde, bei der Kuh und
Katze sehr reich entwickelte Anastomosen zwischen den Rami nutri-
entes des Unterhautzellgewebes, so zwar, dass eine Abgrenzung der
Verästelungsgebiete zweier Arterien unmöglich wird. Bei der Leichtig-
keit, mit welcher unter solchen Verhältnissen collaterale Blutbahnen
zur Entwickelung gelangen, weist Kulezycki mit Recht auf die hohe
physiologische Bedeutsamkeit dieser Besonderheiten der Hautarterien
hin: nahe an der Körperoberfläche gelegen, sind sie häufig Compres-
sionen unterworfen, was zu ungenügender Nutrition entsprechender
Gebiete führen müsste, falls keine Anastomosen beständen. Auf die
Beziehungen der Arterien zu den Hautnerven ist Kulezycki nicht auf-
merksam geworden, wenigstens erwähnt er hierüber nichts.
Sappey bringt, wie schon erwähnt, die Nerven nach ihrem Arterien-
gehalt in eine Gruppe mit den Sehnen und Aponeurosen, und stellt diesen
als reicher an Gefässen die Muskeln, Drüsen etc. gegenüber. Dem wird
man, wie mir scheint, schon allein nach folgender Erwägung nicht
beistimmen dürfen. Wir wissen nämlich, dass je activer sich ein Organ
oder ein Gewebe bethätigt, es desto mehr Gefässe erhält, und umgekehrt.
Sehnen, Fascien, Ligamente und ähnliche Gebilde mit rein mechanischen
Functionen können daher in keinem Falle den Nerven gleichgesetzt werden,
wo infolge der besonderen physiologischen Aufgaben ein erhöhter Stoff-
wechsel vor sich geht. Es deutet hierauf schon die Thatsache der Er-
müdung des Nerven und das Sinken seiner Erregbarkeit, wenn er über-
mässig, ohne genügende Ruhepausen, gereizt wird. Sehnen oder Liga-
mente dagegen kennen keine Ermüdungszustände. Die Arbeit des Nerven,
der als Leiter der verschiedensten Impulse und Empfindungen auftritt,
kann nicht verglichen werden mit der Leistung der Sehnen und Apo-
neurosen. Der Nerv steht in dieser Beziehung vielleicht noch dem
Muskel am nächsten, wiewohl die Thätigkeit des letzteren und somit
1) Die Hautarterien des Hundes. Anat. Anzeiger. 1889. S. 276.
2) Landois, a. a. O. S. 786.
Die Arterien der Intervertebralganglien etc. des Menschen. 379
auch sein Stoffwechsel mit viel grösserer Intensität vor sich gehen.
Injiciert man die Arterien der Muskeln, Nerven, Sehnen und Aponeurosen,
so ist die Gefässarmut der letztgenannten Gebilde in der That eine
héchst auffallende. Ich glaube daher, dass Sappeys Behauptung kaum
aufrecht zu erhalten ist, denn der Nerv ist jedenfalls reicher an Ge-
fässen, als die Sehnen und Aponeurosen. Ganz zweifellos lässt sich
dies an folgendem Beispiele nachweisen. Macht man einen Querschnitt
der Achillessehne und irgend eines stärkeren Nervenstammes (N. tibialis
oder N. medianus) an einer Leiche mit tadelloser Arterieninjection, so
zeigt der Durchschnitt des Nerven stets eine ansehnlichere Arterie,
der der Sehne nur ganz unbedeutende Gefässreiserchen. Und doch
übertrifft die Sehne den Nerv mehrfach an Masse (Volum).
Ferner ist bezüglich der Verästelung und Verteilung der Arterien
im Nerven auf die Beschreibung von Quénu und Lejars hinzuweisen,
aus welcher hervorgeht, dass der Nerv ganz besondere, geradezu
ihm ausschliesslich eigentümliche Vascularisationsverhältnisse besitzt,
bestehend in Reichtum der Ernährungsquellen, Teilung der Arterien
in Arkaden etc. Nach meinen Erfahrungen verhält sich der Nerv be-
züglich der Verteilung seiner Gefässe nach dem Typus von Organen
mit überwiegender Längsrichtung. Der Nerv kann in dieser Be-
ziehung mit dem Rückenmarke verglichen werden, welches von vielen
Arterien (Aa. radicales) versorgt wird, die unter Arkadenbildung in
der Längsrichtung des Organs mit einander anastomosieren. Die Uterus-
hörner in der Tierreihe illustrieren diese Verhältnisse sehr anschaulich.
Bei einer jungen Hündin habe ich an jedem Horn acht verschiedene
Aa. nutritiae gezählt; jede derselben teilt sich in zwei mit den nach-
barlichen anastomosierende Aeste, und so entsteht ein sehr typisches
und vielleicht noch charakteristischeres Bild, als an dem N. ulnaris
oder N. medianus, da die Uterushörner relativ kurz, die Aa. nutritiae
aber zahlreicher sind. Das Gleiche lässt sich an den langen Muskeln
nachweisen. Nach Baums') Befunden werden die Muskeln aus ver-
1) Die Arterienanastomosen des Hundes und die Bedeutung der Collateralen
für den tierischen Organismus. Deutsche Zeitschr. für Tiermedicin. 1589. Bd. XIV.
S. 273.
380 W. Tonkoff,
schiedenen und zahlreichen Quellen!) mit Blut versorgt. So erhalt der
Anconaeus longus des Hundes seine Blutzufuhr aus Aesten folgender
Arterien: 1. A. subscapularis, 2. A. profunda brachii, 3. A. circumflexa
humeri posterior, 4. A. circumflexa scapulae, 5. A. collateralis ulnaris
und 6. A. interossea externa.
Hervorheben móchte ich schliesslich, dass die Nervenarterien bei
den Tieren sich ihrem Verhalten nach durch keinerlei wesentliche Be- |
sonderheiten von denen des Menschen unterscheiden. Ich habe diese |
Arterien beim Hunde und bei der Katze dargestellt. Von anderer
Seite ist dies, soviel ich weiss, bisher nicht geschehen. .
Hiermit schliesse ich die allgemeine Beschreibung der Nerven-
arterien. Die sonstigen Einzelheiten ergeben sich aus dem speciellen
Teile, wo auch eine Reihe von Litteraturangaben Berücksichtigung
finden wird.
mae
B. Specielle Darstellung der Arteriae nutritiae nervorum.
Peu SAC huis (ALE SOS Mimics, 11),
Das dem Spinalganglion angrenzende Segment des Nerven wird
mit dem Ganglion aus gemeinsamer Quelle versorgt (s. oben). Zu dem
gemeinschaftlichen Bündel des fünften und sechsten Nerven begiebt sich,
gegen ihren Vereinigungswinkel herabsteigend, häufig ein R. nutriens
aus einem Zweige der A. cervicalis ascendens, der mit dem N. cervi-
calis V emporsteigt. Hierher und zu dem gemeinsamen Bündel von
C. VIII?) und Th. I zieht ein R. nutriens aus einem Stämmchen, dessen
Endäste gewöhnlich C. VI und C. VII begleiten; dieses Stämmchen
entsteht aus der A. subclavia in dem Trigonum interscalenicum, aus
dem Beginne des A. transversa colli oder aus dem Anfangsteile des
Truncus costocervicalis.
An der Versorgung des Plexus brachialis nehmen wesentlichen
Anteil: die A. subclavia (bezw. A. axillaris), die A. transversa colli
und die Aa. subscapulares. Aus dem Anfangsstiick der A. transversa
9
colli ging in ?/, meiner Fálle ein Stàmmchen hervor, welches die Pars
7) Ueber die Anastomosen der Muskelarterien s. weiter unten.
*) Hinfort abgekürzt: C. = cervicalis. Th. = thoracicus, L. = lumbalis,
S. = sacralis.
Die Arterien der Intervertebralganglien etc. des Menschen. 381
supraclavicularis des Plexus brachialis (am häufigsten den gemeinsamen
Stamm von C. VI und C. V) versorgt und manchmal in eine gróssere
Anzahl von Zweigen zerfallt. Unmittelbar aus der A. subclavia begiebt
sich ein Stàmmchen zu dem Plexus viel seltener, als aus der A. trans-
versa colli (ca. in !/, der Fälle). Dasselbe verästelt sich in dem Plexus
brachialis grósstenteils hinter dem Schlüsselbein und gelangt besonders
in Fällen, wo Aestchen aus der A. transversa colli fehlen, zu stärkerer
Entwickelung. Bedeutungsvoll für die Ernáhrung des Plexus brachialis
sind die Aa. subscapulares superiores; diejenige von ihnen, welche aus
dem obersten Stücke der A. axillaris (manchmal sogar aus der A. sub-
clavia) hervorgeht und über den Lateralrand des Plexus hinwegzieht,
sendet fast constant Ernährungsäste an das laterale und obere Plexus-
bündel. Die aus der A. axillaris in dem Trigonum pectorale sich ab-
zweigende A. subscapularis superior, sendet Rr. nutrientes an den
Plexus brachialis gewöhnlich da, wo er in seine Bündel auseinander-
weicht (am ôftesten zum N. musculo-cutaneus, medianus und ulnaris).
Unmittelbar aus der A. axillaris kommen Aa. nutritiae in verschiedener
Höhe, am häufigsten in der Nähe des Ursprunges der A. thoracico-
acromialis und begeben sich entweder zu einem der drei Stämme
(seltener gleichzeitig zu zwei oder zu allen) oder zu den Anfangsteilen
eines der foleenden Nerven: Medianus, Ulnaris, Radialis oder Axillaris.
Aa. nutritiae aus der Axillaris zeigen besondere Entwickelung in Fallen,
wo solche aus den Aa. subscapulares superiores nicht vorhanden sind.
Endlich zieht aus dem Beginne der A. subscapularis inferior ein Truncus
nutriens zu dem Anfangsstück des N. radialis und N. axillaris, sofern
letztere nicht direct aus der A. axillaris versorgt werden.
Nach Bartholdy') ,erhàlt die Pars supraclavicularis des Plexus
brachialis bald mehr, bald weniger Gefässe. Für die Ernährung des-
selben liefert vor allem die A. cervicalis profunda und die A. cervicalis
ascendens Zweige, ausserdem die A. cervicalis superficialis und A. trans-
versa colli, seltener noch die A. transversa scapulae*. Die Pars infra-
clavicularis des Plexus brachialis ist sehr spárlich mit Arterien versehen
und erhült Aeste aus der A. axillaris und A. subscapularis.
Waar OMS
889 W. Tonkoff,
2. Nervus medianus.
Während seines Verlaufes erhält der N. medianus aus zunächst-
gelegenen Quellen eine Reihe von Gefässästchen, von denen das oberste
in ihn dort eintritt, wo er die A. axillaris gabelförmig umfasst. Diese
A. nutritia nervi mediani prima s. suprema entspringt am Oftesten aus
der A. axillaris in der Nahe der Stelle, wo diese von der Medianusgabel
umgriffen wird, nicht selten gemeinschaftlich mit der A. nutritia nervi
ulnaris prima. Aus dem Beginne dieser A. nutritia mediani, welche
direct nach unten verlàuft, begeben sich in der Regel 1—2 Rr. nutritii
ascendentes den Wurzeln des Medianus entlang. Ausser der A. axillaris
kónnen die A. nutriens prima mediani abgeben die A. subscapularis
sup. subcorac., die A. coracobrachialis und die A. thoracico-acromialis.
Am Oberarm erhált der N. medianus 1—4 (am hàufigsten zwei) Aa.
nutritiae, meist direct aus der A. brachialis; manchmal geht eine der-
selben aus einem Aste der letzteren (Profunda brachii, Collateralis
ulnaris superior, Rr. musculares) hervor; besonders häufig giebt die
A. bicipitalis aus ihrem Anfangsstücke (in der Nahe der Oberarmmitte)
einen R. nutriens ab. In dem unteren Drittel des Oberarmes oder in
der Ellenbeuge empfángt der N. medianus 1—2 Aa. nutritiae aus der
A. collateralis ulnaris inferior. In der Ellenbeuge und im oberen
Drittel des Vorderarmes begiebt sich zu dem N. medianus eine (manch-
mal die vorige ersetzende) A. nutritia aus einem der folgenden Gefässe:
A. cubitalis, ulnaris, recurrens ulnaris, R. muscularis a. interosseae,
A. mediana. Am Vorderarm kommen Rr. nutrientes aus der A. mediana
und den Rr. musculares a. radialis, im unteren Drittel aus der Ana-
stomose zwischen A. radialis und ulnaris; im Canalis carpalis aus der
A. radialis volaris sublimis (der Ast tritt durch das Lig. carpi volare
proprium in den Kanal hinein) Die Rr. nutrientes am Vorderarm
variieren an Zahl und Ursprung in Abhängigkeit von der Entwickelung
der A. mediana: wo diese stark ist und an der Bildung des Arcus
volaris sublimis teilnimmt, wird der N. medianus am Vorderarm aus-
schliesslich. von ihr versorgt. An der Teilung in Nn. digitales volares
endlich erhält der N. medianus einen Ernährungsstamm aus dem ober-
flachlichen Hohlhandbogen; daraus gehen Rr. descendentes die Finger-
Die Arterien der Intervertebralganglien etc. des Menschen. 383
nerven entlang, welche im weiteren Verlaufe aus den Begleitarterien
Rr. nutrientes beziehen.
Quénu und Lejars') beschreiben und bilden Arterien ab, die den
N. medianus in ganzer Ausdehnung („sur tout son trajet^) ernähren.
Als solehe werden angegeben: die Aa. brachialis, collateralis ulnaris
inferior, recurrens ulnaris anterior, mediana, radialis und der Arcus
volaris sublimis. Hierauf ist folgendes zu bemerken. Vor allem wird
die erste, charakteristischeste und constanteste A. nutritia mediani,
nämlich diejenige aus der A. axillaris, von den genannten Autoren gar
nicht erwähnt oder abgebildet (sie zeichnen wohl die die Axillaris
umgreifende Medianusgabel, nicht aber die A. nutritia I); übersehen
sind ferner die Rr. musculares der A. brachialis, die gar nicht selten
an der Ernährung des N. medianus sich beteiligen; ganz ausgeschlossen
wird von ihnen die A. ulnaris, wührend doch aus der fast constanten
Anastomose derselben mit der A. radialis im unteren Drittel des
Vorderarmes 1—2 starke Rr. nutrientes dem Medianus zugehen. End-
lich zerfallt nach der bildlichen Darstellung von Quénu und Lejars der
Medianus an der Hohlhand in fünf Zweige; an jedem der letzteren
lassen sie aus dem Arcus volaris sublimis eine Arteria nutriens (im
Ganzen also fünf verschiedene Rr. nutrientes ascendentes) emporsteigen.
Das habe ich nirgends beobachtet; ganz selten finden sich zwei, ge-
wohnlich aber nur ein einziges austretendes Stàmmchen.
Nach Bartholdy?) erhált der N. medianus am Oberarm etwa 5—10
meist stárkere Zweige aus der A. brachialis; in der Ellenbeuge Zweig-
lein aus der A. brachialis, A. collateralis ulnaris inferior, A. recurrens
ulnaris; im oberen Teile des Vorderarmes aus der A. mediana und aus
dem Ramus anastomoticus der A. radialis mit der A. ulnaris; im unteren
Teile des Vorderarmes aus der A. radialis und ulnaris; in der Hohl-
hand aus dem Arcus volaris superficialis.
3a Nervus ulniarıs Cape REXE Hle. 2 3).
Seine A. nutritia I erhàlt der N. ulnaris aus der A. axillaris in
der Nàhe der Umfassungsstelle der letzteren durch die Medianusgabel,
asa PESO:
aa Oh S Aa
384 W. Tonkoff,
häufig aus einem gemeinsamen Stämmchen mit der A. nutritia I mediani.
Sie begiebt sich fast in toto abwärts an dem Nerven, nur einen schwachen
R. ascendens entwickelnd; oft verläuft sie im Innern desselben, wobei
sie in den R. ascendens a. nutritiae II übergeht. Letztere entspringt
an der A. collateralis ulnaris superior in wechselnder Höhe, manchmal
nur ein weniges oberhalb des Epicondylus medialis humeri, sodass im
Innern des N. ulnaris fast in der ganzen Ausdehnung des Oberarmes
eine Arterie verborgen sein kann, die mit den Nachbargefässen nicht
communiciert und zwischen A. axillaris und collateralis ulnaris superior
eine Anastomose erzeugt. Häufiger jedoch entsteht die A. nutritia II
aus der A. collateralis ulnaris superior in der Mitte des Oberarmes
oder entsprechend der Grenze zwischen mittlerem und unterem Drittel,
während in dem unteren Drittel eine A. nutritia III aus der gleichen
Quelle hervorgeht. Manchmal begeben sich aus der A. coll. uln. sup.
3—4 schwächere Zweige zu dem N. ulnaris. Auf jeden Fall aber er-
scheint als Haupternährungsquelle des N. ulnaris am Oberarm die ihn
begleitende A. collateralis ulnaris superior, und nur selten kommt eine
seiner Aa. nutritiae aus dem R. muscularis a. brachialis, meist ent-
sprechend der unteren Hälfte des Humerus. In dem Sulcus cubitalis
posterior medialis erhält der N. ulnaris ein, zwei oder drei Aestchen
aus der Anastomose zwischen A. collat. uln. sup. und der A. recurrens
uln. post., sowie einen weiteren R. nutriens aus dem Beginne der A.
recurrens ulnaris oder ihres R. muscularis im oberen Drittel des
Vorderarmes; hier kommt manchmal ein R. nutriens aus dem Muskel-
ast der Ulnaris hinzu. Vor der Teilung in seinen R. volaris und R.
dorsalis empfängt der N. ulnaris sodann 2—3 Aa. nutritiae unmittelbar
aus der A. ulnaris (seltener) oder aus den Muskelästen derselben. Bei
dem Zerfall in den R. dorsalis und volaris tritt grösstenteils zu dem
Teilungswinkel des Ulnaris ein R. nutriens aus der A. carpea dorsalis
a. ulnaris oder direct aus letzterer. Der R. volaris nervi ulnaris
empfängt vor der Teilung in seinem tiefen und oberflächlichen Ast 1—2
Rr. nutrientes aus der A. ulnaris, an der Teilungsstelle aber einen Er-
nährungsast aus der A. ulnaris profunda. Der R. dorsalis nervi ulnaris
bezieht eine Begleitarterie aus dem Rete carpi dorsale. Nach K.
Bartholdy wird der N. ulnaris versorgt am Oberarm aus der Axillaris,
Die Arterien der Intervertebralganglien etc. des Menschen. 385
Brachialis, aus Muskelästen der letzteren und aus der Collat. uln. sup.,
in der Ellenbogengegend aus der A. recurrens ulnaris, am Vorderarm
aus der Ulnaris.
4. Nervus radialis (Taf. XX. Fig. 1, 3 u. 4).
Die A. nutritia I dieses Nerven geht mit grosser Constanz aus
dem Anfangsstiicke der A. subscapularis inferior hervor, meist zusammen
mit der A. nutr. I des N. axillaris und mit dem R. nutr. asc. des
hinteren Bündels. Das Stämmchen verlässt die A. subscapularis inferior
gewöhnlich an deren Kreuzungsstelle mit den genannten Nerven (zu-
weilen kommt es aus der A. axillaris in wechselnder Entfernung von
der Abgangsstelle der A. subscapul. inf.) und communiciert durch seinen
aufsteigenden Ast mit dem Ram. nutriens aus der Axillaris oder einer
der Aa. subscapulares superiores (s. oben) Ein weiterer R. nutriens
kommt aus der Profunda brachii oder ihrem Ramul. muscularis vor
dem Eintritt derselben in den Canalis humero-muscularis. In dem
Kanale selbst sendet die Arterie dem Nerv 2—3 Rr. nutrientes. In
dem Sulcus cubitalis posterior lateralis kommen 1—2 Rr. nutrientes
aus der A. recurr. rad.; hierselbst kommt manchmal ein R. nutriens
aus dem R. muscul. der Art. brachialis, welcher in lateraler Richtung
tief durch den M. brachialis verläuft. Bei der Teilung des Nerven in
seinen oberflächlichen und tiefen Ast erhält er einen R. nutriens as-
cendens aus der A. recurrens radialis oder ihrem Muskelast. Der Ram.
superfic. des Radialis bezieht 4—5 Rr. nutrientes aus Muskel- und
Hautmuskelàsten der A. radialis (selten direct aus letzterer) Nach
Bartholdy kommen die Arterien des N. radialis aus der A. axillaris,
brachialis, profunda brachii und aus den Muskelasten der A. brachialis.
5. Nervus musculo-cutaneus (Taf XX. Fig. 2).
Die A. nutritia I des N. musculo-cutaneus kommt aus verschiedenen
Quellen (s. oben, wo von der Ernahrung des lateralen Bündels des
Plexus brachialis die Rede ist) Die folgende A. nutriens entsteht aus
dem R. ad musculum coracobrachialem der A. axillaris und gesellt
sich zu dem Nerven dicht über seinem Eintritt in den Coracobrachialis.
Constant ist ferner ein R. nutriens ascendens aus der A. bicipitalis
Internationale Monatsschrift für Anat. u. Phys. XV. 25
386 W. Tonkoff,
(etwa in der Mitte des Humerus), genau bei der Abgabe des Fadens
fiir den Biceps. Fast ebenso haufig ist ein R. nutr. asc. aus dem
Muskelast der Brachialis an der Abgangsstelle des Nervenastes fiir den
Brachialis internus. Ausser den genannten constanten und ansehn-
licheren Ernährungsgefässen kann der Musculo-cutaneus am Oberarm
noch einige sehr unbedeutende Arterien besitzen, die ihm aus Muskel-
asten der A. brachialis zugehen. In der Ellenbeuge beteiligen sich an
der Ernährung des Nerven der R. musculo-cutaneus der A. cubitalis, die
A. recurrens radialis oder Zweige aus dem Anfangsstiicke der A. radialis.
Am Vorderarm besitzt der Nerv eine mehr oder weniger ausgesprochene
A. comes, die sich aus 4—5 teils Hautmuskel-, teils Muskelàsten der
A. radialis zusammensetzt.
Nach K. Bartholdy erhàlt der N. musculo-cutaneus unterhalb des
Biceps Zweige aus der A. brachialis und ihren Rr. musculares, in der
Ellenbeuge aus der A. plicae cubiti und der A. recurrens radialis.
Der N. cutaneus antibrachii later. wird durch Rami cutanei der Art.
radialis und Art. recurrens rad. ernährt.
6. Plexus lumbalis und Nervus femoralis (Taf. XX. Fig. 5 u. 6).
Die Ernährung des Plexus lumbalis schildern Quénu und Lejars!)
in kurzen Zügen wie folgt: Aeste der Aa. lumbales, ilio-lumbalis und
iliaca externa bilden eine Reihe von Schlingen mit zahlreichen Colla-
teralbahnen. Nach der beigegebenen Abbildung zu urteilen, beteiligt
sich die A. iliaca externa durch Vermittelung der A. circumflexa il.
int. an der Versorgung des N. cruralis.
Es erhált nun in der That der ventrale Ast jedes Lumbalnerven
unweit des Foramen intervertebrale je eine A. nutritia aus der A. lum-
balis. Dieselbe kann unmittelbar aus der A. lumbalis, aus dem Beginne
ihres Ram. anterior oder posterior, oder endlich aus dem R. muscularis
derselben, welcher sie vor oder nach ihrer Teilung in den R. anterior
und posterior verlässt, hervorgehen. Sie zerfällt gewöhnlich in einen
mit den Rr. nutritii des hinzugehörigen Spinalganglions anastomosieren-
den R. ascendens und in einen R. descendens, welcher längs den
Data S9:
Die Arterien der Intervertebralganglien etc. des Menschen. 387
Schlingen des Plexus mit den Ernàhrungszweigen anderer Lumbalnerven
anastomosiert. Eine weitere A. nutritia, die aus der A. lumbalis oder
ihrem Muskelaste entsteht, steigt zu dem Verbindungswinkel des dieser
, Lumbalarterie entsprechenden Nerven mit der zunächst darüberliegenden
Schlinge herab. Eine solche A. nutritia kommt besonders hàufig aus
den Aa. lumbales III und IV. Das Caliber der Aa. nutritiae ist pro-
portional der Stärke des Nerven. Am stärksten ist der R. nutriens
aus der A. lumbalis IV, welcher die A. nutritia I des N. femoralis
darstellt. Er kann aus der A. lumbalis V, wenn diese stark entwickelt,
oder aus einem letztere ersetzenden Aste der A. lumbalis IV herkommen.
In diesen Fallen betritt der R. nutriens den N. femoralis bereits nach
Formierung desselben aus den hinzugehórigen Elementen des Plexus,
während in den Verbindungswinkel von L. IV und der Schlinge von
L. III (die übliche Eintrittsstelle der A. nutr. I n. femoralis) nur ein
schwacher R. nutriens aus der A. lumbalis IV eindringt. Das Ende
der A. nutritia I nervi femoralis begiebt sich aus dem Nerv sehr hàufig
zum Muskel was von den Ernáhrungsarterien des Plexus lumbalis im
allgemeinen gilt. Nächst der A. nutritia I erhält der N. femoralis
einige (2—3) Rr. nutrientes aus der Anastomose zwischen R. iliacus
der A. ilio-lumbalis und A. circumfi. il. int.
Eine besonders constante und ansehnliche A. nutritia kommt aus
der A. circumfl. il. int. an der Kreuzungsstelle derselben mit dem Nerv;
sie sendet an dem Nerven nach oben und unten je mehrere Aeste, von
welchen die absteigenden mit einer ebenso constanten und starken A.
nutritia anastomosieren, die meist aus der A. profunda femoris (oder
aus ihren Muskel- und Hautästen), manchmal aus der A. femoralis selbst
in der Nähe des Abganges der Profunda, seltener aus der A. circumfl.
fem. later. hervorgeht. Diese A. nutritia dringt in den Nerv genau
an der Stelle ein, wo er in seine Haut- und Muskelzweige auseinander
weicht, steigt selbst an dem Nerven empor und sendet entlang seinen
Aesten Rr. descendentes. Ueberhaupt führt der N. femoralis in der
oberen Hälfte seine A. nutriens in seinem Innern, in der unteren Hälfte
ziehen sich die Rr. nutrientes an seiner vorderen Flache hin.
Die Rr. nutrientes des Plexus lumbalis sind bezüglich ihres Ursprungs
und ihrer Verteilung durch grosse Regelmässigkeit ausgezeichnet. Jedem
388 W. Tonkoff,
Nerven entspricht nämlich eine Arterie, deren Aeste ihm zur Ernährung
dienen. Hierdurch unterscheidet sich der Plexus lumbalis von dem
Plexus cervicalis und sacralis.
Der Plexus lumbalis ist nach K. Bartholdy am reichsten mit,
Arterien bedacht und wird ernährt aus den Aa. lumbales und dem
R. lumbalis der A. iliolumbalis. Der N. femoralis wird versorgt im
Becken: aus der A. lumbalis IV, aus dem R. iliacus a. ilio -lumbalis
und dem R. muscul. ad. m. iliops. ex 1. A. cirumfl. ilium prof,
2. A. iliac. ext.; ausserhalb des Beckens: aus der A. circumfl. fem.
lat. und der A. prof. fem.
1. Plexus saeralis (Taf. XX. Rig. 5)
In ihrem Beginne erhalten die den Plexus sacralis zusammen-
setzenden Nerven Rr. nutrientes aus den ihnen entsprechenden Arterien
(L. IV aus der A. lumb. IV, L. V aus der A. lumb. V oder ihrer
Ersatzarterie, die Nn. sacrales aus den Aa. sacrales laterales genau da,
wo sie von diesen gekreuzt werden), spáter aber, nachdem sie das Ge-
flecht gebildet haben, kann die Ernährung derselben ausser von der A.
iliolumbalis und den Aa. sacrales laterales besorgt werden von folgenden
drei grossen Gefässen: Aa. glutaea superior, glutaea inferior und pudenda
communis, die sich nicht immer in der nämlichen Weise zu dem Ge-
flechte verhalten (es durchsetzen, vor oder hinter ihm verlaufen).
Die A. iliolumbalis, oft durch den N. lumbosacralis verlaufend
(normaliter geht sie vor dem Nerven hinweg), sendet ihm einen R. nutriens.
Die gewöhnlich zwischen N. lumbosacralis und S. I hinziehende A.
glutaea superior giebt nicht selten dabei einen Truncus nutriens des-
cendens ab, welcher genau an der Vereinigungsstelle des N. lumbodorsalis
mit S. I in den Plexus eintritt. Die A. glutaea inferior, welche nach
Sappey normalerweise vor dem Geflechte aus dem Becken austritt, durch-
setzt gar nicht selten den Plexus sacralis und giebt in der Beckenhöhle
einen Truncus nutriens descendens dann ab, wenn ein solcher aus der
A. glutaea superior nicht vorhanden ist. Die A. pudenda communis
beteiligt sich an der Ernährung des Plexus sacralis überhaupt seltener,
als die Aa. glutaeae, kann aber Rr. nutrientes sowohl innerhalb des
Beckens, wie ausserhalb desselben an das Geflecht abgeben.
Die Arterien der Intervertebralganglien etc. des Menschen. 389
8. Nervus ischiadicus (Taf. XX. Fig. 7).
Die soeben erwähnten Rr. nutrientes des Plexus sacralis setzen
sich vorwiegend auf den N. ischiadicus fort. Eine derselben ist als
A. comes n. ischiadici schon längst bekannt. Nach Hyrtl!) lässt sich
dieser lange und feine Faden der A. glutaea inferior weit in dem N.
ischiadieus verfolgen. Rauber”) beschreibt ihn unter den Aesten der
A. glutaea inferior, die zu den Flexoren des Unterschenkels und zum
M. adductor magnus hinziehen, mit dem Bemerken, dass er den N.
ischiadicus bis zum unteren Abschnitt des Oberschenkels begleitet.
Sappey?) vermeidet den Ausdruck A. comes, beschreibt aber Aeste der
A. glut. inf (des rameaux nerveux), die in den N. ischiadieus hinein-
dringen und ihn bis zu seiner Teilung in die Nn. tibialis und peroneus
begleiten. Nach Henle*) begleitet die A. comes n. ischiadici als feiner
Ast der A. glut. inf. den Nerv bis zum Unterende des Femur, wird
unterwegs verstàrkt durch Anastomosen mit einer der Aa. circumflexae
fem. (Rr. nutrientes der A. circumflexa femoris lateralis zum N. ischi-
adicus habe ich nirgends nachweisen kónnen), sowie mit Rr. perforantes
der Profunda femoris und geht endlich über in die Ernährungszweige
des Ischiadicus aus der A. poplitea.
Die Arterien des N. ischiadieus beschreiben Quénu und Lejars?)
wie folgt. Lange Arterienarkaden, lings der gesamten Ausdehnung des
Nervs sich erstreckend und auf seine beiden Aeste sich fortsetzend,
entstehen aus einer Reihe von Aesten der A. ischiadica und der Aa.
perforantes, die schrüg nach unten und hinten verlaufen. Ein starker
Ast aus der A. perforans III kreuzt von vorne den N. peroneus, steigt
zwischen diesem und dem N. tibialis abwärts und zerfällt in Zweige
für beide Nerven; seine Enden anastomosieren mit den Arterien des
Tibialis und Peroneus. So entsteht làngs des N. ischiadicus und seiner
Aeste eine continuirliche Gefässverbindung vom Gesässe bis zum
Unterschenkel.
1) Hyrtl, Lehrbuch der Anatomie des Menschen. Wien 1881.
2) Rauber a. a. O. Bd. II. S. 148.
3) Sappey a. a. O. Bd. II. S. 617.
^) Gefässlehre. S. 180.
5) Etude anatomique sur les vaisseaux sanguins des nerfs. Arch. de Neurol.
899) XXI ip. 7.
390 W. Tonkoff,
Hyrtl*) schreibt, die A. comes ischiadici anastomosiere mit einem
Aestchen, welcher in den Nery aus der A. perforans II eintrete, und
weiter unten mit einem Aste der A. perforans III oder poplitea. In
der Kniekehle zerfalle sie in zwei Aeste fiir die Nn. tibialis und
peroneus.
Holl*) bemerkt, die A. hypogastrica stehe in Verbindung mit der
A. femoralis dank dem Umstande, dass die A. comes ischiadici mit
Rr. perforantes aus der Profunda femoris anastomosiere. Auf der
anderen Seite communiciere die A. hypogastrica mit der A. poplitea, da
letztere durch die A. gastrocnemialis die A. nervi tibialis abgebe, welche
mit den beiden Ischiadicusästen in Verbindung tritt. 4
Die genannten Autoren sind also darin einig, dass Anastomosen
von Aesten der Aa. glutaea inferior, perforantes und poplitea sich làngs
des Ischiadicus hinziehen.
Nun will ich zu einer Darlegung meiner eigenen Befunde übergehen.
Die A. glutaea inferior giebt in der Mehrzahl der Fälle an zwei
Stellen Aeste zum Ischiadicus ab: einen Ast sofort nach dem Erscheinen
desselben in der Gesissgegend und einen zweiten in der Gegend des
Tuber ischi. Gewöhnlich ist es so, dass wenn der obere R. nutriens
stark ist, der untere zurücktritt und umgekehrt; wenn aber der eine sehr
kraftig entwickelt ist, so kann der andere auch ganz fehlen. Manchmal
sendet die A. glutaea inferior an den Nerv mehrere (3—4) Rr. nutrientes
von annähernd gleichem Caliber. Die Rr. nutrientes aus der Glutaea
inferior dringen in den Nerv ein, erzeugen dort ein dichtes Geflecht
und anastomosieren mit den darüber und darunter gelegenen Rr. nutri-
entes. Die A. circumflexa femoris medialis beteiligt sich fast immer
(in ?/,, der Fälle) an der Versorgung der Nerven, wobei der R. nutriens
von dem zum Biceps ziehenden Ast derselben abgegeben wird. Ferner
erhält der N. ischiadicus constant Gefässzweige aus der A. perforans I,
aus deren zum Biceps verlaufenden Ast ein, häufiger (in °/,, der Fälle)
zwei Rr. nutrientes sich abzweigen. Der tiefer gelegene R. nutriens,
welcher in den Nerv vor dessen Teilung eintritt, oder erst in den
Tibialis und Peroneus dicht unter der Teilungsstelle, kommt aus ver-
1) Ueber normale und abnorme Verhiiltnisse etc. (s. oben).
Ale Gis Os 551988:
Die Arterien der Intervertebralganglien etc. des Menschen. 391
schiedenen Quellen: am seltensten (in ?/,, der Fälle) aus der A. perforans II,
häufiger (in */, der Fälle) aus jenem Muskelaste der A. femoralis,
welcher durch den M. adductor magnus die Kniekehle etwas früher als
die A. femorals erreicht, oder (in */,, der Falle) aus dem R. musculo-
cutaneus der A. poplitea, welcher letztere sofort nach ihrem Erscheinen
in der Kniekehle verlässt. Manchmal sieht man an dem nämlichen
Präparate dem N. ischiadicus Ernährungsgefässe aus zwei der genannten
drei Quellen zugehen. Die Rr. nutrientes betreten den Nerv stets
unter sehr spitzem Winkel und verlassen ihn manchmal mit ihren Enden,
um sich mit seinen Verzweigungen zu den Muskeln zu begeben.
Im Anschluss an die Ernährungsverhältnisse des N. ischiadicus sei
über die A. comes nervi ischiadici folgendes hervorgehoben. Meines
Erachtens müsste dieser Name wegen seiner vólligen Bedeutungslosigkeit
ganz aufgegeben werden. Erstens ist die A. comes ischiadici, wie
schon im allgemeinen Teile von mir hervorgehoben, überhaupt keine
Nervenbegleiterin, wie z. B. die A. comes nervi phrenici, die A. comes
nervi mediani etc., sondern eine A. nutriens. Der Name ist also unrichtie
und nur verwirrend. Zweitens ist die A. comes n. ischiadici nichts
streng Bestimmbares oder Typisches, da einerseits die A. glutaea inf.
dem Nerven einen starken Ast in verschiedener Hóhe oder mehrere
schwächere von annähernd gleichem Caliber abgeben kann, andererseits
aber der Nerv auch aus anderen Quellen (wie etwa aus der A. circumfi.
fem. medialis) Ernährungszweige beziehen kann, die an Stärke jenen
Aesten der A. glut. inf, von welchen eine so ausschliesslich sich der
Beachtung der Anatomen erfreut, nur wenig nachstehen. Endlich
sollen die in der Gesássgegend aus der A. glutaea sich entwickelnden
Rr. nutrientes nur ein Zwischenglied darstellen zwischen den ver-
schiedenen Quellen entstammenden Arterien des Plexus sacralis im
Becken und den Arterien des N. ischiadicus aus der A. circumfl. fem.
medialis, Aa. perforantes etc. Im Hinblicke auf ähnliche Erwägungen
macht Bartholdy') den Vorschlag, den Ausdruck A. comitans nervi
ischiadici zu ersetzen durch den Namen Plexus arteriosus, bestehend aus
Aesten der A. glut. inf, A. pudenda int, A. circumfl. fem. med. und
Aa. perforantes; in Klammern nennt Bartholdy noch die A. circumflexa
fem. lateralis.
1) a. a. 0. S. 484.
392 W. Tonkoff,
9. Nervus tibialis und peroneus (Taf. XX. Fig. 7).
Die alleroberste A. nutritia des N. tibialis ist schon vorhin be-
schrieben worden. Sie entsteht aus einem der Muskeläste der A.
femoralis oder aus dem R. musculo-cutaneus der A. poplitea und
verknipft das System der Aa. nutritiae des N. tibialis mit denen des
Ischiadicus und Peroneus. Die tolgende A. nutritia des Tibialis entspringt
etwa im Niveau der Gelenklinie des Knies direct aus der A. poplitea
oder aus der A. gastrocnemialis. Die A. nutritia III entwickelt sich
gewohnlich in der Nahe der Ursprungsstelle der A. tibialis ant., sei es
hóher oben aus der A. poplitea, sei es tiefer unten aus der A. tibialis
post. Doch sind die Aa. nutritiae II und III überhaupt nicht durch
Beständigkeit ausgezeichnet, können höheren oder tieferen Ursprung
besitzen und aus der Poplitea, Tibialis post. oder aus ihren Aesten
(A. artic. genu. sup. lat, Aa. gastrocnemialis) herkommen. Manch-
mal hat der Nerv in dieser Gegend statt zweier Aa. nutritiae deren
drei. Die nun folgende A. nutritia entsteht fast ausnahmslos aus der
A. peronea unweit ihres Ursprunges. Die übrigen 4— 5 Aa. nutritiae
erhält der Nerv aus der A. tibialis post.; in der unteren Hälfte des
Unterschenkels ist die Zahl der Ernährungsgefässe in der Regel grösser,
als in der oberen. Die Nn. plantares medialis und lateralis werden von
den gleichnamigen Arterien versorgt. Wo die A. tibialis post. nicht
entwickelt ist, kommen die Aa. nutritiae in entsprechender Anzahl aus
der A. peronea und ihren Muskelästen. Nach Angabe von K. Bartholdy
wird der N. tibialis versorgt von den Aa. perforantes, poplitea, surales
und tibialis post.
Der in das Anfangsstück des N. peroneus eintretende R. nutriens
kommt meist aus den obengenannten Quellen als gemeinsames Stämmchen
mit der A. nutritia I des N. tibialis. Derselbe anastomosiert mit dem
R. nutr. ascendens, welcher aus der A. recurrens tibialis ant. heraustritt
und in den N. peroneus an der Teilungsstelle in seine beiden Hauptäste
hineindringt.
III. Practische Bemerkungen.
Ein Rückblick auf die bisherigen Darlegungen drängt zu der Frage:
Warum befanden und befinden sich noch heute die Vascularisations-
Die Arterien der Intervertebralganglien etc. des Menschen. 393
verhältnisse der Nerven in so völliger Vergessenheit? Sind diese Ver-
hältnisse vielleicht von allzu geringfügiger Bedeutung für den Anatomen
und Arzt? Die Litteratur über Nervenarterien bezeugt in letzterer
Beziehung gerade das Gegenteil.
Schon Porta") macht einen Fall namhaft, wo nach Ligatur der
A. cruralis (wegen eines Aneurysma der A. poplitea) sich starke
Anastomosen lings der Nn. ischiadicus, tibialis und peroneus entwickelt
hatten (Taf. XII und XIII. Demungeachtet unterscheidet Porta eine
Wiederherstellung des Blutumlaufes direct auf dem Wege der Vasa
vasorum und indirect durch Muskel- und Hautarterien. Die Nerven-
gefasse aber kommen für ihn dabei gar nicht in Betrachtung.
Hyrtl misst in seiner mehrfach angezogenen Arbeit den Arterien
der Nerven eine hohe practische Bedeutung bei. Er weist darauf
hin, dass die zahlreichen Arterienanastomosen in den intermusculären
Septen, in den Nerven und im Perioste, welche sich als primäre oder
secundàre Aeste der Hauptstämme darstellen, bei der Ligatur der
letzteren sehr bedeutungsvoll werden kónnen. Er bespricht die Anasto-
mosen der Arterien im Verlaufe der Nerven und äussert sich wie folgt:
„Den Muskelästen der grossen Arterien der Extremitäten sind solche
Anastomosen gänzlich fremd. Jeder Muskelast bleibt in dem Fleische,
dem er bestimmt ist, verbindet sich nie durch austretende Zweige mit
seinen nächsten Nachbarn, ebensowenig als mit seinen eigenen Ver-
zweigungen im Muskelfleische. Im Muskelfleische kommen Anastomosen
nur im Capillargefàsssystem vor.“ Es schreibt also Hyrtl den Nerven-
arterien bei der Erzeugung von Anastomosen eine hervorragende
Rolle zu.
Holl*) untersuchte einen Fall von Contractur des rechten Knie-
gelenkes an der Leiche eines 24jährigen Individuums, bei welchem
8 Jahre prae morte ein missglückter Streckungsversuch mit Gefäss- und
Nervenzerreissung in der Kniekehle gemacht worden war. Die A.
poplitea endete entsprechend dem unteren Teile der Kniekehle mit
einem konischen Faden inmitten von Narbengewebe. An der Bildung
7) Delle alterazioni pathologiche delle arterie per la ligatura et la torsione
esperienze ed osservazioni. Milano 1845.
rad. 0:
394 W. Tonkoff,
des Collateralkreislaufes hatten wesentlichen Anteil die Arterien des
N. peroneus und tibialis genommen und die A. nutritia nervi peronei
hatte die Stärke eines Rabenfederkieles erreicht. In einem zweiten inter-
essanten Fall bemerkte Holl?) an der Leiche eines Mannes in mittleren
Jahren eine wahrscheinlich sehr alte (die Anamnese war unbekannt)
Ankylose des linken Ellenbogengelenkes mit einem Winkel von 75°.
Bei der anatomischen Untersuchung erwies sich die A. ulnaris in ihrem
Anfangsstücke zerrissen, ebenso der N. ulnaris und medianus. Die
Muskeläste der A. brachialis beteiligten sich nicht an der Bildung
von Anastomosen, sondern blieben an Zahl und Stärke unverändert.
Dagegen waren stark entwickelt die Aa. nutritiae des N. ulnaris und
medianus, in deren Bahnen sich die Circulation hauptsächlich restituiert
hatte. Aus diesen beiden Fallen ergiebt sich die Bedeutung der
Nervenarterien für die Entstehung des Collateralkreislaufes. Indem er
dies betont, weist Holl darauf hin, dass die Muskelarterien bei der
Wiederherstellung der Circulation gar nicht in Frage kommen, denn
sie dienen nur zur Blutversorgung einer bestimmten Anzahl von Muskel-
fibrillen und sind zudem durch Unbeständigkeit ausgezeichnet.
Zuckerkandl?) beschreibt 1. Anastomosen nach Obliteration beider
Aa. thyreoideae superiores und 2. nach Obliteration der A. dorsalis
pedis und ist der Ansicht, dass die Vasa nervorum für sich allein
nie und unter keinerlei Umständen die Circulation wiederherzustellen
vermógen. Vielmehr unterscheidet er drei Gruppen von Arterien,
die der Bildung collateraler Blutbahnen förderlich sind: a) Muskel-
arterien, b) Hautarterien und c) Nervenarterien. Die veródeten Ge-
fisse werden nie von Einer der genannten Gruppen ersetzt, sondern
es combinieren sich die letzteren mit einander und es überwiegen bald
diese, bald jene Arterien, je nach den anatomischen Besonderheiten der
Oertlichkeit, in welchen der Collateralkreislauf zu stande kommt.
Nach Ansicht von Quénu und Lejars?) kónnen die Anastomosen
7) Verrenkung des linken Ellenbogengelenkes mit Zerreissung der A. ulnaris
und des N. medianus und ulnaris. Heilung. Collateralkreislauf. Wien. medic.
Jahrb. 1880.
2) Zwei Fälle von Collateralkreislauf. Wien. medic. Jahrb. 1885. S. 283.
yay, ets Op
Die Arterien der Intervertebralganglien etc. des Menschen. 395
entlang dem Ischiadicus in Fallen von Obliteration der A. femoralis
zu Collateralbahnen Verwendung finden.
Ich selbst!) habe ein Präparat mit Anastomosen beschrieben, die
sich nach Obliteration der A. iliaca externa und femoralis entwickelt
hatten. Die Anamnese in diesem Falle war unbekannt. Eine Finger-
breite oberhalb des Lig. Poupartii verlàuft parallel zu letzterem eine alte
lineare Narbe von etwa 4 cm Lange. Die A. iliaca externa erscheint
in ihrem mittleren Teile auf einer Strecke von 2 cm in Gestalt eines
bindegewebigen Fadens ohne Lumen. Unterhalb des Lig. Poupartii
verliert sie sich in einer dichten Masse faserigen Bindegewebes zwischen
M. iliopsoas und pectineus. Hier beginnt die A. femoralis, deren Wände
mit jener Bindegewebsmasse vollständig confluieren. Die A. femoralis
enthält in ihrem Verlaufe einen Thrombus, ihre Wände sind athero-
matós entartet, ihr Lumen im unteren Drittel stark verengt. An Stelle
der A. iliaca externa ist zu starker Entwickelung gelangt die A. hypo-
gastrica nebst ihren Aesten. Am wesentlichsten beteiligt an der Ana-
stomosenbildung sind zwei in die A. circumfl. fem. lateralis übergehende
Aeste der A. glut. sup. Die A. glut. inf. anastomosiert durch einen
Ast mit der A. circumfl. fem. medialis, durch einen anderen mit der
A. perf. I. Statt der obliterierten A. femoralis hat sich eine sehr
starke Anastomose zwischen dem Endaste der Profunda femoris und
der A. poplitea gebildet, und eine schwächere zwischen letzterer und
der A. perforans I. Das Ende der A. perforans I teilt sich in die A.
nutritia nervi tibialis und in die A. nutritia nervi peronei; erstere er-
reicht 2 mm Durchmesser und anastomosiert mit einer Arterie, welche
aus der A. poplitea eine Querfingerbreite unterhalb der Einmündung
der A. profunda femoris in dieselbe hervorgeht.
Aus dem Angeführten ergiebt sich zur Genüge, dass die Arterien
der Nerven die Beachtung der Chirurgen jedenfalls in hohem Grade
verdienen, da sie bei Stórung der Integritàt grosser Blutgefasse an der
Bildung von Collateralbahnen Anteil nehmen kónnen. Dieses Ver-
mögen der Vasa nervorum ist schon a priori aus ihrem anatomischen
Verhalten klar ersichtlich. Denn es handelt sich um Arterien, die in
1) W. Tonkoff. Ueber Anastomosenbildung nach Ligatur der A. iliaca externa.
Russki Chirurg. Archiv. 1895. Heft 3 (russisch).
396 W. Tonkoff,
der Làngsrichtung des Nerven stets mit einander anastomosieren und
nie als Endarterien auftreten, und da die grossen Nerven meist in Ge-
sellschaft der Hauptgefässe verlaufen, so haben wir nach Holls treffender
Bemerkung einen im Nerv eingelagerten, neben einem starken Arterien-
stamm sich hinziehenden, constanten Gefässtractus, der in Beziehung
zu dem Arterienstamm als wahre Collateralbahn erscheint und mit ihm
in ganzer Ausdehnung communiciert. Die Nervenarterien stellen somit
präformierte Collateralbahnen vor, die erforderlichen Falles nur ihr
Lumen zu erweitern brauchen.
Doch muss schon bei oberflüchlicher Durchsicht der oben an-
geführten Litteraturdaten der Mangel an Einigkeit zwischen den ver-
schiedenen Autoren sehr in die Augen fallen. Porta umgeht die Nerven-
arterie vóllig mit Stillschwelgen und spricht nur von Haut- und Muskel-
gefässen. Hyrtl und Holl hinwiederum halten die Nervenarterie für
sehr wichtig bei der Bildung von Collateralkreislàufen, eine Fähigkeit,
die sie den Muskelarterien gänzlich absprechen. Zuckerkandl endlich
erklàrt alle drei Arterienarten für bedeutungsvoll.
Hyrtls Ansicht, welcher zufolge die Muskelarterien mit einander
anastomosieren und deshalb an der Erzeugung collateraler Bahnen
keinen Anteil gewinnen kónnen, wird widerlegt durch die in der nor-
malen Anatomie bekannte Thatsache, dass zwischen den Aesten ver-
schiedener stàrkerer Muskelarterien Verbindungen zu Recht bestehen.
Diese Anastomosen der Muskelarterien beteiligen sich zuerst an der
Bildung von Collateralbahnen, wie experimentelle Beobachtungen an
Tieren und Untersuchungen von Arterienobliterationen am Menschen
(Porta, Lesshaft', ich) zur Genüge beweisen.
Zwei neuere Arbeiten handeln über die Muskelarterien. In. der
einen untersuchte Spalteholz?) die Muskelgefässe beim Rinde, Kaninchen
und beim neugeborenen Menschen mikro- und makroskopisch unter An-
wendung verschieden gefärbter Leimmassen. Wichtig sind hier folgende
Ergebnisse: Jeder Muskel wird mindestens von zwei mehr oder weniger
!) Die nach Ligatur der A. iliaca externa und femoralis sich entwickelnden
Anastomosen. Verhandl. d. Gesellsch. russ. Aerzte. 1872/1873. (Russisch.)
*) Die Verteilung der Blutgefässe im Muskel. Abh. sächs. Ges, d. Wiss, 1888,
Bd. XIV. S. 509.
SENT MELLONI PS rn e Sn DIRE ST
Die Arterien der Intervertebralganglien etc. des Menschen. 397
ansehnlichen Arterien mit Blut versorgt. Diese Arterien erzeugen im
Muskel ein dichtes Netz von Anastomosen. Die Anastomosen der
Muskelarterien mit den Gefássen des umgebenden Gewebes sind zu schwach,
um bei plótzlicher Obliteration einer Muskelarterie in Frage kommen
zu können. Sämtliche Anastomosen im Muskel zwischen den Aesten
derselben oder verschiedener Arterien sind sehr zart im Verhältnis
zum Hauptstamme und sind daher bei plótzlicher Obliteration nicht im
stande, letzteren zu ersetzen.
Baum) untersuchte die Arterienanastomosen vom Hunde mittelst
Gypsinjection, letzteres um Capillaranastomosen auszuschliessen, wiewohl
die Masse fein genug war, um in Arterienverástelungen bis zu 0,2 mm
Durchmesser einzudringen. Hierbei ergaben sich dann folgende Sätze:
Jeder Muskel erhàlt seine Blutzufuhr aus mehreren Quellen (manchmal
aus 6—8 Arterien). Die Aa. nutritiae des Muskels anastomosieren
unter einander, sodass, wenn z. B. sàmtliche Arterien des Anconaeus
longus mit Ausnahme irgend einer einzigen unterbunden werden und
man letztere injiciert, alle übrigen durch dieselbe gefüllt werden können
(experimentell an Hunden festgestellt. Da Gypsmasse in Anwendung
kam, so handelt es sich hier augenscheinlich nicht um capillare Ana-
stomosen. Jede Muskelarterie giebt mehrfach starke Zweige ab, von
welchen jede mit einem entsprechenden Aste einer anderen Arterie des
nämlichen Muskels anastomotisch verbunden ist.
Diese gut begründeten Untersuchungsergebnisse von Baum sprechen
klar und überzeugend gegen Hyrtls und Holls Auffassung der Muskel-
arterien. Im Hinblick auf die Darstellung von Spalteholz wáre zu be-
merken, dass die seine Abhandlung begleitenden Figuren seinen eigenen
Schlüssen teilweise widersprechen. So stellen Taf. I. Fig. I (Zwerch-
fell vom Hunde mit injicierten Arterien, zweimal vergrössert) und
Taf. I. Fig. 2 (ebensolches Präparat vom M. transversus abdominis des
Hundes) schóne, sehr reichliche Anastomosen zwischen den verschiedenen
Arterien und Arterienzweigen eines und des nämlichen Muskels dar
und kónnten daher eher zur Illustration der Baum'schen Ergebnisse
Verwendung finden.
rar a...
398 W. Tonkoff.
Was die von Holl behauptete Unbeständigkeit der Muskelarterien
betrifft, so glaube ich, dass diese Arterien kaum eine gróssere Variations-
tendenz besitzen, als die Arterien der Nerven. Vergleicht man bei-
spielsweise die den Biceps und Brachialis versorgende A. bicipitalis aus
der Brachialis mit den Aa. nutritiae des N. medianus am Oberarme,
so ergiebt sich erstere bezüglich ihres Ursprungs, ihres Verlaufes und
ihrer Verästelung als die constantere. Es sind also die Muskelarterien
auch in dieser Beziehung zur Bildung von Collateralbahnen nicht so
ganz ungeeignet, wie dies von Holl angenommen wird.
Kehren wir nun noch einmal zu den Nervenarterien zurück, so ist
zu bemerken, dass es, um den Anteil, den diese Arterien an der Con-
stitulerung von Collateralkreislaufen nehmen kónnen, geboten ist,
zwischen A. nutritia nervorum und A. comes nervorum streng zu
unterscheiden. Letztere, an den oberflächlichen Nerven besonders gut
entwickelt, stellt Anastomosen zwischen Haut- und Muskelarterien
dar und kann bei der Bildung collateraler Blutbahnen zweifellos be-
deutungsvoll sein. Doch darf sie mit der eigentlichen A. nutritia
der Nerven nicht verwechselt werden. Holl führt zum Nachweis der
grossen Bedeutung der Vasa nervorum bei der Anastomosenentwicke-
lung einen Fall von Gruber?) an, wo nach Obliteration der A. po-
plitea (dieselbe verlief anomal in Sulcus poplit. internus) der Blutstrom
durch die A. gastrocnemialis, die sich mit einem Aste der A. tibialis
post. verband, hindurchging, und bezeichnet die A. gastrocnemialis als
A. nutriens nervi suralis. Infolge dieser Verwechselung wird die Be-
deutung der Vasa nervorum gar zu sehr übertrieben. Letztere nehmen
infolge ihrer Besonderheiten gewiss einen activen Anteil an der Bil-
dung von Collateralbahnen, wie aus den vorhin angeführten Fallen
deutlich ersichtlich ist, doch dürfen sie schon wegen ihres geringen
Durehmessers keine ausschliessliche Bedeutung für sich beanspruchen.
Am nàchsten der Wahrheit scheint mir Zuckerkandl zu kommen: die
Arterien der verschiedenen Organe und Gewebe beteiligen sich activ
7) Anomaler Verlauf der A. poplitea durch den Sulcus popliteus internus und
Obliteration derselben auf diesem Umwege. Archiv f. pathol. Anat. Jahrg. 1875.
Bd. LXV. S. 262.
Die Arterien der Intervertebralganglien etc. des Menschen. 399
an der Entwickelung von Anastomosen bald in hóherem, bald in ge-
ringerem Grade, je nach den vorhandenen órtlichen Bedingungen.
Eine endgiltige Erledigung dieser Angelegenheit wiirde sich, wie
ich glaube, nur durch experimentelle Untersuchungen herbeiführen lassen.
Beim Menschen ist das Studium des Collateralkreislaufes sehr wesent-
lich erschwert durch die Unméglichkeit, so grosse Serien von Objecten
zur Hand zu haben, als zur Erlangung unzweifelhafter Schlüsse er-
forderlich ist. Specielle Experimentaluntersuchungen an Tieren behufs
Eruierung der practischen Bedeutung der Nervengefässe sind meines
Wissens bisher von Niemandem unternommen worden. Meine eigenen
Beobachtungen sind nach dieser Richtung noch nicht abgeschlossen,
doch vermag ich schon jetzt festzustellen, dass am Ende des ersten
Monats nach Ligatur der A. femoralis und brachialis bei jungen Hunden
die Circulation sich vorwiegend auf den Bahnen der Muskelarterien
rehabilitiert.
Auf jeden Fall ist das System der Aa. nutritiae, während es auf
der einen Seite zur Ernáhrung der Nerven die denkbar günstigsten
Bedingungen darbietet, im Falle der Obliteration eines der Haupt-
stämme im stande, starke Collateralbahnen zu entfalten, die im Vereine
mit den Muskel- und Hautarterien der Restitution des Blutumlaufes
in ganzen Kórperregionen dienlich sind.
Es erschópfen aber diese Gesichtspunkte natürlich nicht die ge-
samte practische Bedeutsamkeit der Nervenarterien.
Fig. 2.
Figurenerklirung der Tafel XX.
Von einem 1!|, Monate alten Knaben. Die Spinalganglien des Halses und
des Plexus brachialis von vorne. Wirbelkanal und Zwischenwirbellécher
von vorne eröffnet, die Dura spinalis entfernt. ZZ/— VIII vordere Wurzeln
der entsprechenden Halsnerven; / vordere Wurzel des ersten Brustnerven;
a N. axillaris; ef N. cutaneus brachii lateralis; em N. cutaneus brachii
medius; m N. medianus; r N. radialis; ssc N. suprascapularis; sc Nn.
subscapulares; # N. ulnaris; 7 A. subclavia; 2 A. vertebralis; 3 A. thy-
reoidea inf.; 4 Ast aus dem Anfangsteile der A. thyreoid. inf.; 5 A. cer-
vicalis ascendens; 6 Truncus costocervicalis; 7 Stämmchen, aus der A.
subclavia emporsteigend, seine Aeste anastomosieren mit der A. verte-
bralis an den Ganglien VI und VII; 8 A. transversa colli; 9 A. sub-
scapularis super. perfor.; 10 Truncus nutriens aus der A. axillaris, in dem
medialen Bündel des Plexus brachialis sich verästelnd; 11 Truncus
nutriens aus der A. axillaris, sendet Aeste entlang dem N. medianus,
N. cutan. brachii later. und aufwärts längs den Wurzeln des N. medianus;
12 A. subscapularis inferior, aus deren Anfangsteil entspringen: 1. ein
R. nutriens zum N. radialis, welcher dem hinteren Bündel des Plexus
entlang mit dem Truncus nutriens aus der A. axillaris anastomosiert,
und 2. ein R. nutriens zum N. axillaris; 73 A. (medullae) spinalis anterior.
— Durch punktierte Linien sind die innerhalb oder an der hinteren
Fliche von Nerven verlaufenden Rr. nutrientes dargestellt. An den
Ganglien sind nur die wichtigsten Rr. nutrientes zu sehen; die Veräste-
lungen und Anastomosen derselben an der Oberflüche der Ganglien da-
gegen sind nicht abgebildet. Vergrösserung 2: 1.
Obere Extremität eines Neugeborenen in natürlicher Grösse. Mm. coraco-
brachialis und biceps durchschnitten, um die Gefásse des N. cutan. brachii
lateralis zu zeigen. c/ N. cutan. brachii later.; cm N. cutan. brachii
medius; fr Sehne des M. flexor carpi radialis; fw Sehne des Flexor manus
ulnaris; Zcv Lig. carpi volare transversum proprium; m N. medianus;
u N. ulnaris; 1 A. axillaris; 2 Ramus arteriae axillaris ad m-um coraco-
brachialem; 3 A. bicipitalis; 4 A. collater. uln. sup.; 5 A. radialis;
6 A. ulnaris; 7 A. recurrens ulnaris; 8 A. mediana (die A. interossea
nicht dargestellt); 9 R. dorsalis a. ulnaris; 10 Arcus volaris sublimis;
17 R. muscularis a. radialis, mit den Enden der A. mediana anastomo-
Fig.
Fig.
Fig.
W. Tonkoff, Die Arterien der Intervertebralganglien etc. des Menschen. 401
sierend; 72 R. nutriens des N. medianus aus der A. carpea volaris der
A. radialis, mit dem entsprechenden R. nutriens aus einem Aste der
Ulnaris anastomosierend.
Obere Extremität eines 2 Monate alten Kindes. Nergrüsserung 3: 2.
M. triceps teilweise durchschnitten. b M. biceps; 7 N. radialis; # N. ul-
naris; 1 A. axillaris; 2 A. subscapularis mf.; 5 A. profunda brachii;
4 A. collat. uln. super.; 5 A. collat. uln. infer.
Dasselbe Präparat, um die Ernährung des N. radialis (r) von der Teilung
in seinen oberflächlichen (s) und tiefen (r) Ast zu zeigen. Vergròsse-
"rung 3:2. b M. biceps; 1 A. brachialis; 2 A. profunda brachii; 3 R. mus-
cularis a. brachialis; 4 A. recurrens radialis.
Die Ganglia spinalia lumbalia et sacralia und der Plexus lumbalis eines
Neugeborenen von vorne gesehen. Vergrósserung 2:1. JI Ganglion
spinale secundum; / Ganglion sacrale primum; € N. cruralis; s Plexus
sacralis; { A. iliaca communis dextra; 2, 3, 4 Aa. lumbales II, III und IV;
5 A. iliolumbalis; 6 A. glutaea superior; 7 A. glutaea inferior; 8 A. sa-
‘cralis later. super.; 9 A. sacralis later. infer.
Von einem 3 Monate alten Kinde. Die Ernihrung des N. femoralis ist
dargestellt. ^ Vergrósserung 9:2. € N. cruralis; 0 N. obturatorius;
1 R. iliacus a. iliolumbalis; 2 Radix a. obturatoriae ex a. glutaea infer.
(schwach entwickelt); 3 Radix a. obturatoriae ex a. epigastrica infer.;
4 A. circumflexa ilium interna; 5 A. profunda femoris.
Untere Extremität eines Neugeborenen von hinten in normaler Grösse.
Das Caput longum bicipitis femoris durchschnitten, die Bündel des N.
ischiadicus teilweise auseinandergedrängt, um das in dem Nerven befind-
liche arterielle Geflecht zur Anschauung zu bringen. € N. communicans
peronei; 2 N. ischiadieus; p N. peroneus; ZN. tibialis; / A. glutaea in-
ferior; 2 A. circumflexa femoris medialis; 3 A. perforans I; 4 R. muscu-
laris a. femoralis; 5 A. poplitea; 6 Truncus nutriens ex arteria poplitea;
7 A. tibialis posterior; 8 A. peronea; 9 R. calcaneus medialis.
Internationale Monatsschrift für Anat. u. Phys. XV. 26
Referate
von
W. Krause.
W. Spalteholz, Handatlas der Anatomie des Menschen in 750 teils
farbigen Abbildungen mit Text. Mit Unterstützung von W. His.
89. 1898. Bd. IL Abt. 2. Herz und Blutgefässe. Leipzig bei
S. Hirzel. S. 365—475. Fig. 410—511. — 6 Mk.
€. Toldt, Anatomischer Atlas für Studierende und Aerzte, unter Mit-
wirkung von A. Dalla Rosa. Gr.-Octav. Wien und Leipzig
bei Urban & Schwarzenberg. 1898. Sechste Lieferung. Herz und
Arterien, bearbeitet von Professor Dr. A. Dalla Rosa. S. 540
bis 649. Fig. 904—1025. — 7 Mk.
Ueber die früher erschienenen Lieferungen wurde bereits Zum Teil in dieser
Monatsschrift (1896. Bd. XIII. H. 11. S. 407—408) referiert.
Von diesen beiden Atlanten, welche die neue anatomische Nomenclatur ins
Leben gerufen hat, liegen jetzt die im laufenden Jahre erschienenen angiologischen
Hefte vor. Dem von Spalteholz fehlen noch die Lymphgefässe, dem von Toldt und
Dalla Rosa auch die Venen. Welcher Atlas den Vorzug verdient, abgesehen davon,
dass Spalteholz zugleich ein ganz kurzes Compendium seinem Atlas einverleibt,
wird wesentlich nach künstlerischem Geschmackgefühl zu entscheiden sem. Toldt
folgte der alten Methode des farbigen Holzschnittes, Spalteholz stellt möglichst
alles durch das Autotypieverfahren dar. Dieses hat den Vorzug der Naturtreue,
der Billigkeit und gestattet in der Regel, die Lebensgrósse beizubehalten. In dem
wirklich classischen Atlas der Arterien von Tiedemann war die Lebensgrósse einer
der Vorzüge, welche den Atlas so ausserordentlich brauchbar für den Chirurgen
machten. Dazu waren Kupferstich und Colorierung aus freier Hand angewendet.
Heute sind die Tiedemannschen Abbildungen immer noch im den Handbüchern ver-
breitet, freilich unter Verzicht auf die Lebensgrósse, und niedliche Miniaturausgaben
gleichsam der Tiedemannschen Bilder finden sich bei Rauber (Anat.,1898. Bd. Il.
Abt. 1; Quain, Vol. II. p. 2. 1892) und namentlich bei Sappey (Traité d'anat. descr.
ISS), dU. JU}
Die Venen hatte Tiedemann nicht behandelt und den Venenfiguren von Spalte-
holz dürfte schwerlich irgend etwas aus der Litteratur an die Seite zu setzen sein.
W. Krause, Referate. 403
Ein anderer Unterschied besteht zwischen den Arterienbildern von Spalteholz
und Dalla Rosa, insofern bei letzterem die femeren Verzweigungen der Kórperarterien
in viel ausgedehnterem Maasse dargestellt sind, was besonders bei den Haut- und
Muskelästen hervortritt. Welche Methode aus didaktischen Gründen den Vorzug
verdient, wird der Erfolg zu zeigen haben.
Einige unbedeutende Abweichungen von der Baseler anatomischen Nomenclatur
finden sich in beiden Atlanten. Bei Spalteholz: Aeste an das Hüftgelenk (S. 436)
statt Ramus acetabuli, der Confluens sinuum ist weggeblieben, die in jener Nomen-
clatur fehlenden Vv. digitales dorsales (manus propriae) sind nachgetragen, ausser-
dem Vv. digitales (dorsales) communes pedis und Vv. marginales pedis auf-
genommen. Statt V. dorsalis penis subcutanea setzt Spalteholz ,, cutanea“, wohl
nur der Kürze wegen. Den Widerspruch in der Bezeichnung der Nomenclatur bei
den Rami posteriores der Aa. intercostales und den homologen Rami dorsales der
Aa. lumbales haben Spalteholz und Dalla Rosa in verschiedener Weise beseitigt.
Ersterer nennt wie Toldt (Anat. 1897. S. 497) beide Arten von Aesten: Rami pos-
teriores, Dalla Rosa (Fig 950, 951) hingegen: Rami dorsales. Spalteholz hat beim
Oberschenkel auch den Ramus musculoarticularis von Tiedemann aufgenommen.
Die meisten deutschen Handbicher benennen ihn nicht, in der Baseler Nomenclatur
sollten die arteriellen Muskeláste der Regel nach nicht besonders benannt werden,
der Ausdruck R. musculoarticularis ist von einer unbehiilflichen Linge und seine
Composition widerstreitet dem Geist der lateinischen Sprache. Ueber seine Constanz
oder Häufigkeit kann man verschiedener Ansicht sein (Ref. hält ihn für die Regel),
jedenfalls waren die angegebenen ungefähr die Gründe, weshalb der Ausdruck in
der Nomenclatur weggeblieben ist, was natürlich Niemanden hindern darf, den
Ast dennoch zu benennen, falls es aus irgend einem Grunde erforderlich schien und
dafür z. B. den R. saphenus wegzulassen, der bekanntlich die gleichnamige Vene
und den Nerven nicht begleitet.
Von diesen Details abgesehen, sind einige Differenzen der Auffassung un-
vermeidlich, solange im den Tabellen der Baseler anatomischen Nomenclatur gleich-
sam nur ein Skelet der descriptiven Anatomie vorliegt, das erst noch mit Weich-
teilen bekleidet und dadurch erläutert werden muss. Als ein solches Beispiel mag
die 4. dorsalis linguae dienen.
Seit Tiedemann (1822) steht sie in allen Handbüchern und hatte den Sieg
über den Ramus dorsalis lmguae davongetragen. Dieser findet sich, um nicht weiter
zurückzugehen, bei J. C. A. Mayer (1788), bei Hildebrandt (1792) dagegen A. dor-
salis linguae, ebenso bei Soemmerring (1791), und J. F. Meckel (1817) hat Rami
dorsales linguae wie die Baseler Nomenclatur. Die Handbücher folgten in diesem
Jahrhundert wie gesagt Tiedemann. So steht die A. dorsalis linguae bei Gegenbaur,
Henle, Hyrtl, Krause, Langer-Toldt und vielen anderen. Sie ist auch noch in das
anatomische Compendium von Richter (1896. S. 508) übergegangen, der sich dem
Titelblatt zufolge an die neue anatomische Nomenclatur anzuschliessen beabsichtigte.
In der Nomenclaturcommission wurde einerseits „Aa. dorsales linguae“ statt
A. dorsalis linguae zu setzen beantragt, wahrend andere diese Arterie ganz streichen
wollten, da sie nur eine unter verschiedenen in die Zunge aufsteigenden Aesten
sei und bei der Práparation stets Schwierigkeiten mache. Schon Sappey (Traité
d'anat. T. IL. 1869. S. 571) hatte bemerkt, dass sie sich mit den gewöhnlich im
Präpariersaal verwendeten Injectionsmassen häufig nicht füllt, und Gegenbaur (Anat.
1890. II. S. 235) beschreibt die A. dorsalis linguae als: ,einige Zweige oder auch
ein grösserer Ast, welche etc. Im Anschluss hieran sagt Spalteholz (S. 388), dass
404 W. Krause, Referate.
die Rami dorsales linguae der Baseler Nomenclatur, welche Aeste in der Schluss-
redaction an Stelle der einfachen A. dorsalis linguae getreten waren, doppelt oder
einfach seien. Toldt (Anat. 1897. S. 505) kennt dem entsprechend nur diese Rami
dorsales linguae. In ganz anderem Sinne verwendet nun Dalla Rosa (Toldts Atlas
der Gefässlehre. 1898. S. 600) die Bezeichnung. Er nennt Rami dorsales linguae
nicht die Aeste der A. lingualis, sondern Aeste der A. profunda linguae, die mit-
hin nicht die Zungenwurzel, sondern im Gegenteil den Zungenrücken versorgen.
Dass diese nicht gemeint waren, liegt auf der Hand, die Frage ist nur, ob die A.
dorsalis linguae Tiedemanns wirklich so häufig fehlt, wie es den Anschein hat.
Bei meinen eigenen allerdings nicht zu einer Statistik ausreichenden (Henle,
Gefásslehre. 1868. S. 242, Anm.) Injectionen der A. lingualis mit besseren Massen
füllte sich regelmässig eine beträchtlich mehr als die übrigen Aeste der ersten
horizontalen Strecke der A. lingualis entwickelte A. dorsalis linguae.
Weitere Untersuchungen über Fragen, die in das System der descriptiven
Anatomie eingreifen wie diese, über eine verhültnismüssig grosse, wenn auch prak-
tisch ziemlich gleichgültige Arterie würden ein dankbares Thema bilden. Man hórt
so häufig die Klage, dass Jemand gern mit dem Messer, statt fortwährend am
Mikroskop arbeiten móchte und nur nicht sehe, wie er es anfangen solle, obgleich
doch so zahlreiche unsichere Punkte in der makroskopischen Anatomie noch
vorliegen.
Jedenfalls ware dergleichen lohnender, als neue Namen zu machen. Ks ist
unglaublich aber wahr, dass allein im Jahre 1896 in der dem Referenten zugänglichen
und keineswegs alles umfassenden Litteratur ca. 216 neue Namen geliefert worden
sind. Wie viele thatsächliche Entdeckungen neuer Dinge oder auch nur neue Auf-
fassungen bekannter Verhältnisse kommen wohl auf jene Anzahl? Die Entdeckungen
lassen sich leider leicht an den Fingern abzählen. Die einzige Ausnahme in dem
genannten Jahre bildet Retzius: wenn ein so hervorragender Anatom eine Menge
neuer anatomischer Thatsachen aus der descriptiven Anatomie vorbringt, so muss
er neue Namen formulieren, er mag wollen oder nicht, und Niemand wird etwas
dagegen haben. Manche aber, die nichts Neues vorzubringen wissen, bilden
wenigstens neue Namen, die der glückliche Erfinder meistens nachher selbst nicht
gebraucht; jedenfalls thut es auch sonst Niemand. Solche Bemerkungen sind nicht
gerade neu und seit Soemmerring (1791) angefangen hat, mit Bewusstsein die ana-
tomische Nomenclatur zu reformieren, haben sie sich immer von neuem wiederholt.
Wünschenswert wäre es aber, wenn diese Hochflut von hunderten neuer Namen
haldigst nachlassen móchte. Die Erfinder kónnen doch nicht im Ernst glauben,
die Studenten würden sie lernen. Das Ganze ist ein Rest aus der schónen alten
Zeit, wo fast jede Universitat, mochte sie noch so unbedeutend sein, ihre eigene
anatomische Nomenclatur besass.
Buchdruckerei Richard Hahn (H. Otto), Leipzig.
Internat. Monatsschrift für Anat.u.Phys. Bd.XV. _
i
je
URP
2 lero
50.59 9 d Pe
|
PBertacchini del.
| : P Bertacchini: Descrizione di uni)
ilaele
LAI
A Finke, Leipzig.
lovanissimo embrione umano.
Internat. Monatsschrift für Anat.u. Phys. Bd. XV.
SANTÉ
7 DE È AM Y
HR RE ici
iin B
ria iz
1 Jn m
SAN
E
| PBertacchin del.
P Bertacchini: Descrizione diu
ae
1
)
do Guerrini: Sugli Elementi elas |
xuid
*
(
-
/
rift für Anat.u. Phys. BAX 5
m
Dic
LUIS.
Internat. Monatssch
Ve Rinaldi
Taf. III.
{delle vie respiratoric superiori .
Internat. Monatsschrift für Anat.u.Phys.Bd.XV. x Taf. IV.
—
de
(menschlicher
Nasenrücken)
9
2.
(Naserrücken
eines Gorilla)
PI
v.Torok: Über eine neue Methode etc.
a tue ©
Internat. Monatsschrift für Anat.u.Phvs. Bd. XV.
"aT
ane toy,
asa
0 E
t. a
MLITTLOM
9
aaa i aen
Le
3:
P Bertacchini , Istogenesi dei.
————_———_——e ===
Taf, VI
3)
28
31
pa
pl
E
4
vi
po
z
"3
ra
‘A
D
Ra
E
-—
(o)
=
+
-
um
wes)
=
"e
un
Se
E i
E ES]
e ie
© i3
£ ra
PH
s
= ee En ne:
ter ATL
CORSIE E a m À
P Bertacchini, Istogenesi dei Nemaspermi di Triton cristatus.
Taf. VII.
Internat. Monatsschrift für Anat -u.Phys. Bd. NV.
W.H.Cox: Die Selbstständigkeit der Fibrillen im Neuron.
SE TOS OER Np
Internat. Monatsschrift für Anat. u. Phys. Bd. XV Gate AULUS
Richard Hahn (H. Otto), Leipzig.
S. Stopnitzki, Untersuehungen zur Anatomie des mensehliehen Darmes.
Internat. Monatsschrift fiir Anat. u. Phys. Bd. XV. Taf. IX.
y à
10/96.
Ricnard Hann (H. Otto), Leipzig.
S. Stopnitzki, Untersuchungen zur Anatomie des mensehliehen Darmes.
E
Internat. Monatsschrift für Anat. u. Phys. Bd. XV. Wea, SX
!
7 HOME,
Kıcnard Hann (H. Otto), Leipzig.
S. Stopnitzki, Untersuehungen zur Anatomie des menschliehen Darmes,
Tai SUL
Richard Hahn (H. Otto), Leipzig.
rsuehungen zur Anatomie des mensehliehen Darmes.
XV.
Bd.
Phys.
u.
È
Anat.
S. Stopnitzki, Unt
nternat. Monatsschrift fiir
3
1
x
Taf. XII.
XV.
Bd.
Anat. u. Phys.
für 4
Monatsschrift
Internat.
4 FOMO
Richard Hahn (H. Otto), Leipzig.
s. Stopnitzki, Untersuehungen zur Anatomie des menschlichen Darmes.
Internat. Monatsschrift fiir Anat. u. Phys. Bd. XV. slate SINE
"THOM.
Ricnara Hann (H. Otto), Leipzig.
S. Stopnitzki, Untersuchungen zur Anatomie des mensehliehen Darmes.
Internat. Monatsschrift fiir Anat. u. Phys. Bd. XV.
dieu XV
: ; Lichtdruck von C. G. Röder, Leipzig.
‚logie und Physiologie der Ganglienzellen.
ee EEE P^ Bae ee
-
Taf. XV
nn AN
nun
um
rE A Fur
Tith Anstv
-
.
x
Internat. Monatsschrift für Anat.u.Phvs. Ba.X\
Internat. Monatsschrift für Anat.u. Phys. BAXV.
Swale Vincent del A |
Swale Vincent: SU
PR AWIE
bide
=
BS E
S SR | È
RS i | 25
l|.
e MEA Hs
apsules .
'
J
nal (
Internat. Monatsschrift für Anat.u.Phvs. Ba.XV.
Ne
SER NOS è
Paese
e.
id
e LL
PHI ESSA
=
T3 9/9)
Swale Vincent: Suprarenal Capsules . i
Sith Ansty E.A Funke, Leipzig.
Internat. Monatsschrift für Anat.u. Phys. Bd.W. PI. XVIII
E XVIII.
== == re net.
DI de.
blac ne.
Dwale Vincent del.
Er
IDZIT.
Swale Vincent: Supravenal Capsules . ic
4
Internat .Monatsschrift fim Anat.u.Phys. BA.XV. Taf. XIX.
So
TERRE A
rane
| V |
|l AN [^
gu |
LE
iel del. : x E : > ith. AnstvE A Funke Letpzig.
eg Ly A.S.Dogiel. Zur Frage über den Bau der Spinalganglien ete. "esse
iria aaa ees
=
li
r Anat.u.Phvs. Bd.)
fü
Wishreff del.
=
4
Internat. Monatsschrift
N
Tonkoff, Die Arterien der Jntervertebralganfı
r
W
ane
CEE els
—
zu —_ = A — - i ont miti
Internationale Monatsschrift
MAR 29 1898
[2.680
Anatomie und Physiologie
für
Herausgegeben
von
R. Anderson in Galway, C. Arnstein in Kasan,
Éd. van Beneden in Lüttich, G. Bizzozero in Turin, S. Ramón y
Cajal in Madrid, J. H. Chievitz in Kopenhagen, J. Curnow
in London, H. F, Formad in Philadelphia, C. Giacomini in Turin,
C. Golgi in Pavia, G. Guldberg in Christiania) H. Hoyer
in Warschau, S. Laskowski in Genf, A. Macalister in Cambridge,
G. Mihálkovics in Budapest, G. Retzius in Stoekholm,
A. Watson in Adelaide (Süd-Australien),
E. A. Scháfer L. Testut
in London. in Lyon,
und
Fr. Ko psch
in. Berlin.
Band XV. Heft 1. Mit Taf. I—IIT.
= i i — — —.
PARIS, LEIPZIG, LONDON,
Haar & Steinert Georg Thieme Willams & Norgate
9 Rue Jacob. 31 Seeburgstrasse. 14 Henrietta-Street
1898.
badia Er
Inhalt.
: Seite
P. Bertacchini, Descrizione di un giovanissimo embrione umano con spe-
ciale riguardo allo sviluppo dei centri nervosi. (Con Tav. Ie Il) . 1
(x. Guerrini, Sugli elementi elastici delle vie respiratorie superiori. (Con
ista Ra STE a ie re n 25
Die Herren Mitarbeiter haben von ihren Aufsützen 25 Separat-A bdrücke frei,
eine grössere Anzahl liefert die Verlagshandlung auf Verlangen zu billigem Preise.
Frankierte Einsendungen in lateinischer, franzósischer, italienischer, englischer oder
deutscher Sprache für die ,Internationale Monatsschrift für Anatomie und Physio-
logie“ werden unter der Adresse eines der auf dem Titel verzeichneten Herren
Mitredacteure oder direct an die Redaction: Dr. Fr. Kopsch, Berlin-Charlottenburg,
Hardenbergstrasse, 39 erbeten.
=== SOOM em erstellen em. ==
A. Ecker’s & R. Wiedersheim’s Anatomie des
Frosches Auf Grund eigener Untersuchungen durchaus neu bearb.
» * von Dr. Ernst Gaupp. _
II. Abtheilung, 1. Halfte. Lehre vom Nervensystem. Mit 62 zum Theil mehr-
farbigen Abbildungen. Zweite Auflage. Preis 10 Mk. (Verlag von Friedr.
Vieweg & Sohn, Braunschweig.) — Zu beziehen durch alle Buchhand-
lungen.
Buchdruckerei Richard Hahn (H. Otto), Leipzig.
A $i na
ArH oO 1892
Internationale Monatsschrift
12,030 für
Anatomie und Physiologie.
Herausgegeben
von
R. Anderson in Galway, C. Arnstein in Kasan,
Éd. van Beneden in Liittich, G. Bizzozero in Turin, S. Ramón y
Cajal in Madrid, J. H. Chievitz in Kopenhagen, J. Curnow
in London, H. F, Formad in Philadelphia, C. Giacomini in Turin,
C. Golgi in Pavia, G. Guldberg in Christiania, H, Hoyer
in Warschau, S. Laskowski in Genf, A. Macalister in Cambridge,
G. Mihálkovics in Budapest, G. Retzius in Stockholm,
A. Watson in Adelaide (Siid-Australien),
E. A. Schafer L. Testut
in London. in Lyon, ©
und
Fr. Kopsch
in Berlin.
Band XV. Heft 2.
PARIS, | LEIPZIG, : LONDON,
Haar & Steinert Georg Thieme Willams & Norgate
9 Rue Jacob. 31 Seeburgstrasse. 14 Henrietta-Street.
1898.
N
;
Inhalt,
RE: $ ? 3 223 Eu ;
Guerrini, Sagli elementi elastici delle vie respiratorie superiori. (Fine) - 33
Kopsch,. Die Insertion der Musculi lumbricales an der Hand des
Menschen . . . . od MeL NI. e ueni er rl
. Krause, Referate . :
Buchdruckerei Richard Hahn (H. Otto), Leipzig.
MAY 5 1898
Internationale Monatsschrift
12,080
fiir -
Anatomie und Physiologie.
Herausgegeben
von
R. Anderson in Galway, C. Arnstein in Kasan,
Ed. van Beneden in Liittich, G. Bizzozero in Turin, S. Ramón y
Cajal in Madrid, J. H. Chievitz in Kopenhagen, J. Curnow
in London, H. F. Formad in Philadelphia, C. Giacomini in Turin,
C. Golgi in Pavia, G. Guldberg in Christiania, H, Hoyer
in Warschau, S. Laskowski in Genf, A. Macalister in Cambridge,
G. Mihálkovics in Budapest, G. Retzius in Stockholm,
A. Watson in Adelaide (Süd-Australien),
E. A. Schafer
in London.
L. Testut
in Lyon,
und
Fr. Kopsch
in Berlin.
Band XV. Heft 9. Mit Taf. IV.
PARIS, LEIPZIG, LONDON,
Haar & Steinert Georg Thieme Willams & Norgate
9 Rue Jacob.
31 Seeburgstrasse. 14 Henrietta-Street.
1898.
Inhalt,
Vo . Török, Ueber eine neue Methode zur kraniologischen Charakteristik
der Nase. AM IRA as e MM ol
. . Die Herren Mitarbeiter haben von ihren Aufsätzen 25 Separat-Abdriicke frei.
EU. grossere Anzahl liefert. die Nertag alle auf Verlangen zu UA Preise.
Bruder Sprache für die Internationale Monatsschrift für Anatomie ad Piso
logie“ werden unter der Adresse eines der auf dem Titel verzeichneten Herren |
Mitredacteure oder direct an die Redaction: Dr. Fr. Kopsch, Berlin-Charlottenburg,
Hardenbergstrasse 39 erbeten.
Buchdruckerei Richard Hahn (H. Otto), Leipzig.
Internationale Monatssehrift
12, 0 £0
fiir
Anatomie und Physiologie.
' Herausgegeben
von
R. Anderson in Galway, C. Arnstein in Kasan,
Éd. van Beneden in Lüttieh, G. Bizzozero in Turin, S. Ramón y
Cajal in Madrid, J. H. Chievitz in Kopenhagen, J. Curnow
in London, H. F. Formad in Philadelphia, C. Giacomini in Turin,
C. Golgi in Pavia, G. Guldberg in Christiania, H. Hoyer
in Warschan, S. Laskowski in Genf, A. Macalister in Cambridge,
G. Mihálkovics in Budapest, G. Retzius in Stockholm,
A. Watson in Adelaide (Süd-Australien),
E. A. Scháfer
L. Testut
in London. in Lyon,
und +
Fr. Kopsch
in Berlin.
o
Band XV. Heft 4.
PARIS, LEIPZIG, LONDON,
Haar & Steinert Georg Thieme Willams & Norgate
9 Rue Jacob.
31 Seeburgstrasse. _ 14 Henrietta-Street.
1898.
Inhalt,
Sei
A. v. Tórók, Ueber eine neue Methode zur kraniologischen Charakteristik [5
GENRE SUHOLESERZUND) e cM qu vu coe e cud rr er ie
MeN RESIN c Heferah e o co Ma Mee Uu xA E DA Devis anto Taie
CMM UMDIDICicde EEE EE E E eR EIU dM cc e M MNT
Die Herren Mitarbeiter haben von ihren Autsützen 25 Separat-Abdrücke frei,
eine gróssere Anzahl liefert die Verlagshandlung auf Verlangen zu billigem Preise.
Frankierte Einsendungen in lateinischer, franzósischer, italienischer, englischer oder
deutscher Sprache für die ,Internationale Monatsschrift für Anatomie und Physio-
logie“ werden unter der Adresse eines der auf dem Titel verzeichneten Herren
Mitredacteure oder direct an die Redaction: Dr. Fr. Kopsch, Berlin- p
Hardenbergstrasse 39 erbeten.
Buchdruckerei Richard Hahn (H. Otto), Leipzig.
AUG 2 (1829
Internationale Monatssehrift
142, 080 für
Anatomie und Physiologie.
Herausgegeben
: von :
R. Anderson in Galway, C. Arnstein in Kasan,
Ed. van Beneden in Lüttich, G. Bizzozero in Turin, S. Ramón y
Cajal in Madrid, J. H. Chievitz in Kopenhagen, J. Curnow
in London, H. F. Formad in Philadelphia, C. Giacomini in Turin,
C. Golgi in Pavia, G. Guldberg in Christiania, H. Hoyer
in Warschau, S. Laskowski in Genf, A. Macalister in Cambridge,
G. Mihálkovics in Budapest, G. Retzius in Stoekholm,
A. Watson in Adelaide (Siid- Australien),
‘E. A. Schafer L. Testut
in London. in Lyon,
und
Fr. Kopsch
in Berlin.
Band XV. Heft 5.
eS D —
PARIS, LEIPZIG, LONDON,
Haar & Steinert Georg Thieme Willams & Norgate
9 Rue Jacob. 31 Seeburgstrasse. 14 Henrietta-Street.
1898.
— — — À
E ; Gi Sth A OUEN VI
9 a 5. " P
: x jj 23 2
E x
Lo í JUR
: : 3 LA cU
S ARE :
I ? f
| \ x
TARA
1 1 < 4
Y j
"T j ;
i ; 5
» È
i
t
A
5 x
B
ü
E: i
M L
Inhalt.
Seite
A. v. Török, Ueber eine neue Methode zur kraniologischen Charakteristik
im SENSE eng IGS er ae qe ced c c M toe pM JU
W. Tonkoff, Ueber anomale Anordnung der Hautnerven auf dem Hand-
rücken des Menschen, verglichen mit dem normalen Verhalten bei
IAS dcn e a ei er quete E eit sc Lee n 5p
P. Bertaechini, Istogenesi dei Nemaspermi di Triton cristatus. (Con Tav. V
e. VD N ER d quc C MEI MEE yee OL
lcd ttd ul HE eM QU e CT ne lo
Die Herren Mitarbeiter haben von ihren Aufsátzen 25 Separat-Abdrücke frei,
eine gróssere Anzahl liefert die Verlagshandlung auf Verlangen zu billigem Preise.
Frankierte Einsendungen in lateinischer, franzósischer, italienischer, englischer oder
deutscher Sprache für die ,Internationale Monatsschrift für Anatomie und Physio-
logie^ werden unter der Adresse eines der auf dem Titel verzeichneten Herren
Mitredacteure oder direct an die Redaction: Dr. Fr. Kopsch, Berlin-Charlottenburg,
Hardenbergstrasse 39 erbeten.
Buchdruckerei Richard Hahn (H. Otto), Leipzig.
Internationale Monatssehrift
12 .0$0 ar
Anatomie und Physiologie.
Herausgegeben
von
R. Anderson in Galway, C. Arnstein in Kasan,
Ed. van Beneden in Liittich, G. Bizzozero in Turin, S. Ramon y
Cajal in Madrid, J. H. Chievitz in Kopenhagen, J. Curnow
in London, H. F. Formad in Philadelphia, C. Giacomini in Turin,
C. Golgi in Pavia, G. Guldberg in Christiania) H. Hoyer
in Warschan, S. Laskowski in Genf, A. Macalister in Cambridge,
G. Mihalkovics in Budapest, G. Retzius in Stockholm,
A. Watson in Adelaide (Siid-Australien),
E. A. Schafer L. Testut
in London. in Lyon,
: und
Fr. Kopsch
in Berlin.
Band XV. Heft 6/7.
D D — — —
PARIS, LEIPZIG, ‘LONDON,
Haar & Steinert Georg Thieme Willams & Norgate
9 Rue Jacob. 31 Seeburgstrasse. 14 Henrietta-Street.
1398.
3 2
tes n
\
1 ES
M
FAR È
4 À .
(46 %
e M
‘4
à
= .
,
è
#
pee %
D
Inhalt.
Seite
P. Bertacchini, Istogenesi dei Nemaspermi di Triton cristatus. (Fine). . 177
B. Rawitz, Die Fussdrüse von Gastropteron Meckelii Kosse. (Mit 2 Fig.) 199
R. J. Anderson, Note on a Diastema between Molars and Premolars in an
CR a ror e e e te DOG
ie era I n US Im EL I ny, 208
Die Herren Mitarbeiter haben von ihren Aufsätzen 25 Separat-Abdrücke frei
eine grössere Anzahl liefert die Verlagshandlung auf Verlangen zu billigem Preise.
Frankierte Einsendungen in lateinischer, franzósischer, italienischer, englischer oder
deutscher Sprache für die „Internationale Monatsschrift für Anatomie und Physio-
logie“ werden unter der Adresse eines der auf dem Titel verzeichneten Herren
Mitredacteure oder direct an die Redaction: Dr. Fr. Kopsch, Berlin-Charlottenburg,
Hardenbergstrasse 39 erbeten.
Die Tafeln V und VI befinden sich im V. Hefte.
Buchdruckerei Richard Hahn (H. Otto), Leipzig.
OCT 4 1888
Internationale Monatsschrift
für
1245 $0.
Anatomie und Physiologie,
Herausgegeben
von :
R. Anderson in Galway, C. Arnstein in Kasan,
Éd. van Beneden in Lüttich, G. Bizzozero in Turin, S. Ramón y
Cajal in Madrid, J. H. Chievitz in Kopenhagen, J. Curnow in London,
H. F. Formad in Philadelphia, C. Golgi in Pavia, G. Guldberg
in Christiania, H. Hoyer in Warschau, S. Laskowski iu Genf,
A. Macalister in Cambridge, G. Mihálkovics in Budapest, G. Retzius
in Stockholm, A. Watson in Adelaide (Süd-Australien),
.E. A. Schäfer L. Testut
in London, in Lyon,
und
Fr. Kopsch
in Berlin.
Band XV. Heft 8. Mit Taf. VII—XIIT.
ee ——— iB dp ——— —
PARIS, LEIPZIG, LONDON,
Haar & Steinert Georg Thieme Willams & Norgate
9 Rue Jacob. 31 Seeburgstrasse. 14 Henrietta - Street.
1898.
Inhalt.
Seite
W. H. Cox, Die Selbständigkeit der Fibrillen im Neuron. (Mit Taf. VII) . 209
S. Stopnitzki, Untersuchungen zur Anatomie des menschlichen Darmes.
BEIGE Vill A ee ae c AL
Die Herren Mitarbeiter haben von ihren Aufsätzen 25 Separat-Abdrücke frei
eine grössere Anzahl liefert die Verlagshandlung auf Verlangen zu billigem Preise.
Frankierte Einsendungen in lateinischer, französischer, italienischer, englischer oder
deutscher Sprache für die „Internationale Monatsschrift für Anatomie und Physio-
logie“ werden unter der Adresse eines der auf dem Titel verzeichneten Herren
Mitredacteure oder direct an die Redaction: Dr. Fr. Kopsch, Berlin-Charlottenburg,
Hardenbergstrasse 39 erbeten. ;
Buchdruckerei Richard Hahn (H. Otto), Leipzig.
RS Ae
DCS RENE ET oat:
Internationale Monatssehrift
OCT i4 1899 ad |
12,050 N
Anatomie und Physiologie =
Herausgegeben
von ;
R. Anderson in Galway, C. Arnstein in Kasan,
Ed. van Beneden in Lüttich, G. Bizzozero in Turin, S. Ramón y |
Cajal in Madrid, J. H, Chievitz in Kopenhagen, J. Curnow in London, 4
H. F. Formad in Philadelphia, C. Golgi in Pavia, G. Guldberg 4i
in Christiania, H. Hoyer in Warschau, S. Laskowski in Genf,
A. Macalister in Cambridge, G. Mihálkovics in Budapest, G. Retzius
in Stockholm, A. Watson in Adelaide (Süd-Australien),
E. A. Schafer — L. Testut
in London, in Lyon, i
und
Fr. Kopsch | ;j
in Berlin. à
Band XV. Heft 9. Mit Taf. XIV u. XV.
—n
PARIS, LEIPZIG, LONDON,
Haar & Steinert Georg Thieme Willams & Norgate
9 Rue Jacob. 31 Seeburgstrasse. 14 Henrietta - Street.
1898.
Inhalt. | oY
; Seite
W. H. Cox, Beitráge zur pathologischen Histologie und Physiologie der
Gudeheuzclene (Mit Pat XIV) 22200 cw en weni... MH
D. Timofeew, Beobachtungen über den Bau der Nervenzellen der Spinal-
ganglien und des Sympathicus beim Vogel. (Mit Taf. XV) . . . . 259
W. Tonkoff, Die Blutgefässe der Lymphdrüsen . . . . . . . . . . 269
Necrologia . Md i LA c Mu I mW M ig
Die Herren Mitarbeiter haben von ihren Aufsátzen 25 Separat-Abdrücke frei,
eine grössere Anzahl liefert die Verlagshandlung auf Verlangen zu billigem Preise.
Frankierte Einsendungen in lateinischer, französischer, italienischer, englischer oder
deutscher Sprache für die „Internationale Monatsschrift für Anatomie und Physio-
logie“ werden unter der Adresse eines der auf dem Titel verzeichneten Herren
Mitredacteure oder direct an die Redaction: Dr. Fr. Kopsch, Berlin-Uharlottenburg,
Hardenbergstrasse 39 erbeten.
Buchdruckerei Richard Hahn (H. Otto), Leipzig.
E oe A EEE RAT o MT Re INCHES I VETT PE es Ces E
o - AY SENE 4 5 D
j 3 s AS PN ES Ree
È S 2 ti CIS % es.
i à FRI à
: 2 ; N
TR. S
; :
1 ©
3 nets
Y P
pi
: "
2
Internationale Monatssehrift
: 1050 3
DEC 26 1022 2:
natomie und Physiologie.
— — — In
12.080
Herausgegeben
von
R. Anderson in Galway, C. Arnstein in Kasan,
Ed. van Beneden in Lüttich, G, Bizzozero in Turin, S. Ramón y
Cajal in Madrid, J. H. Chievitz in Kopenhagen, J. Curnow in London,
H. F. Formad in Philadelphia, C. Golgi in Pavia, G. Guldberg
in Christiania, H. Hoyer in Warschau, S. Laskowski in Genf,
A. Macalister in Cambridge, G. Mihálkovics in Budapest, G. Retzius
in Stockholm, A. Watson in Adelaide (Süd-Australien),
E. A. Schafer L. Testut
in London, in Lyon,
und
Fr. Kopsch
in Berlin.
Band XV. Heft 10. Mit Taf. XVI— XVIII.
—
PARIS, LEIPZIG, LONDON,
Haar & Steinert Georg Thieme Willams & Norgate
9 Rue Jacob. 31 Seeburgstrasse. 14 Henrietta - Street.
1898.
Inhalt.
Seite
D. Timofeew, Beobachtungen über den Bau der Nervenzéllen der Spinal-
ganglien und des Sympathicus beim Vogel. (Schluss) . . . . . . 2178
S. Vincent, The comparative Histology of the Suprarenal Capsules. (With
RER oso de— A NP CIERRE MIC RA MM E E EMI 1
Die Herren Mitarbeiter haben von ihren Aufsützen 25 Separat-Abdrücke frei,
eine grössere Anzahl liefert die Verlagshandlung auf Verlangen zu billigem Preise.
Frankierte Einsendungen in lateinischer, franzósischer, italienischer, englischer oder
deutscher Sprache für die „Internationale Monatsschrift für Anatomie und Physio-
logie^ werden unter der Adresse eines der auf dem Titel verzeichneten Herren
Mitredacteure oder direct an die Redaction: Dr. Fr. Kopsch, Berlin-Charlottenburg,
Hardenbergstrasse 39 erbeten. i
‘DAI ERREICHEN DEREN LORI
Verlag von ARTHUR FELIX in Leipzig.
Die
Entartung der Kiefer aes Menschengeschlechtes.
Eine Studie
von
Eugene S. Talbot
in Chicago. -
Uebersetzt und frei bearbeitet von Max Bauehwitz.
Mit Illustrationen.
In gr. 8°. 75 Seiten. Broschirt. Preis Mk. 4.—.
Buchdruckerei Richard Hahn (H. Otto), Leipzig.
Internationale Monatssehrift
Anatomie und Physiologie.
[2,680
R. Anderson in Galway, C. Arnstein in Kasan,
Ed. van Beneden in Lüttieh, G. Bizzozero in Turin, S. Ramón y
Cajal in Madrid, J. H. Chievitz in Kopenhagen, J. Curnow in London,
H. F. Formad in Philadelphia, C. Golgi in Pavia, G. Guldberg
in Christiania, H. Hoyer in Warschau, S. Laskowski in Genf,
A. Macalister in Cambridge, G. Mihálkovics in Budapest, G. Retzius
in Stockholm, A. Watson in Adelaide (Süd-Australien),
E. A. Scháfer L. Testut
in London, in Lyon,
und
Fr. Kopsch
in Berlin.
Band XV. Heft 11.
PARIS, LEIPZIG, LONDON,
Haar & Steinert Georg Thieme Willams & Norgate
9 Rue Jacob. 91 Seeburgstrasse. 14 Henrietta - Street.
1898.
Inhalt.
Seite
S. Vincent, The comparative Histology of the Suprarenal Capsules. (Con-
ERECT ERECT) T D oz ee RR I ek A RIE EI a MIO
S. Stopnitzki, Untersuchungen zur Anatomie des menschlichen Darmes. . 327
DOTE Re CECL ANE stort er e ARE.
Die Herren Mitarbeiter haben von ihren Aufsátzen 25 Separat-Abdrücke frei,
eine gréssere Anzahl liefert die Verlagshandlung auf Verlangen zu billigem Preise.
Frankierte Einsendungen in lateinischer, franzósischer, italienischer, englischer oder
deutscher Sprache für die ,Internationale Monatsschrift für Anatomie und Physio-
logie“ werden unter der Adresse eines der auf dem Titel verzeichneten Herren
Mitredacteure oder direct an die Redaction: Dr. Fr. Kopsch, Berlin-Charlottenburg,
Hardenbergstrasse 39 erbeten.
Buchdruckerei Richard Hahn (H. Otto), Leipzig.
AN CO
UAN 25 189
Interna Dub Monatssehrift
Id, 050 für
Anatomie und Physiologie.
Herausgegeben
von
R. Anderson in Galway, C. Arnstein in Kasan,
Ed. van Beneden in Liittich, G. Bizzozero in Turin, S. Ramón y
Cajal in Madrid, J. H. Chievitz in Kopenhagen, J. Curnow in London,
H. F. Formad in Philadelphia, C. Golgi in Pavia, G. Guldberg
in Christiania, H. Hoyer in Warschau, S. Laskowski in Genf,
A. Macalister in Cambridge, G. Mihälkovics in Budapest, G. Retzius
in Stoekholm, A. Watson in Adelaide (Süd-Australien),
E. A. Scháfer L. Testut
in London, in Lyon,
und
Fr. Kopsch
- in Berlin.
Band XV. Heft 19. Mit Tafel XIX u. XX.
MÀ aie
PARIS, LEIPZIG, LONDON,
Haar & Steinert Georg Thieme Willams & Norgate
9 Rue Jacob. 31 Seeburgstrasse. 14 Henrietta- Street.
1898.
Li
Inhalt.
Seite
A. SN. Dogiel, Zur Frage über den Bau der Spinalganglien beim Menschen
Bad bel den Saupetieren. (Mit Tafel XIXy : 19. 5. 046
W. Tonkoff, Die Arterien der Intervertebralganglien und der Cerebrospinal-
nerven deseMenschen v (Mida 909
CRT Se a ER x ee e Mau cur sed dg
Die Herren Mitarbeiter haben von ihren Aufsátzen 25 Separat-Abdrücke frei,
eine grössere Anzahl liefert die Verlagshandlung auf Verlangen zu billigem Preise.
Frankierte Einsendungen in lateinischer, franzósischer, italienischer, englischer oder
deutscher Sprache für die „Internationale Monatsschrift für Anatomie und Physio-
logie^ werden unter der Adresse eines der auf dem Titel verzeichneten Herren
Mitredacteure oder direct an die Redaction: Dr. Fr. Kopsch, Berlin-Charlottenburg,
Hardenbergstrasse 39 erbeten.
Buchdruckerei Richard Hahn (H. Otto), Leipzig.
nn ee er a A
DS
3 = 106 18