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te, -BIBLIOTECA D'AUTORI ITALIANI
Tomo I.
^1 PROMESSI SPOSI.
STOKIA MILANESE DEL SECOLO XVII
SCOPERTA E RIFATTA
ALESSANDRO MANZONI.
EDIZIONE CONSENTITA DALL' EDITORE PROPRIETARIO.
LEIPZIG:
F. A. BROCKHAUS.
1882.
4
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:
V
<
INTRODUZIONE,
• L' historia si può veramente de/finire una guerra illu-
stre contro il Tempo, perche togliendogli di mano gV anni
suoi prigionieri, anzi già fatti cadaueri, li richiama in vi-
ta, li passa in rassegna, e li schiera di nuovo in battaglia.
Ma gì illustri Campioni che in tal Arringo fanno messe di
Palme e d1 Allori, rapiscono solo che le sole spoglie più
sfarzose e brillanti, imbalsamando co' loro inchiostri le Im-
prese de' Principi e Potentati , e qualificati Personaggi, e
trapontando colV ago finissimo dell1 ingegno i fili d' oro e
di seta, che formano un perpetuo ricamo di Attioni gloriose.
Però alla mia debolezza non e lecito solleuarsi a tal' argo-
menti, e sublimità pericolose, con aggirarsi tra Labirinti de1
Politici maneggf, et il rimbombo' de' bellici Oricalchi: solo
che hauendo hauuto notitia di fatti memorabili, se ben ca-
pitorno a gente meccaniche, e di piccol affare, mi accingo
di lasciarne memoria a Posteri, con far di tutto schietta e
genuinamente il Racconto, ouuero sia Relatione. Xella
quale si vedrà in angusto Teatro luttuose Traggedie d' hor-
rori, e scene di malvaggità grandiosa, con intermedi d' Im-
prese virtuose e buontà angeliche, opposte alle operationi
diaboliche. E veramente, considerando che questi nostri cli-
mi sijno sotto V amparo del Re Cattolico nostro Signore,
che e quel Sole che mai tramonta, e che sopra di essi, con
riflesso Lume, qual Luna giamai calante, ritplenda V Hc-
roe di uubil Prosapia che prò tempore ne tiene le sue parti,
VI INTRODUZIONE.
e gV Amplissimi Senatori quali Stelle fisse, e gV altri Spet-
tabili Magistrati qua? erranti Pianeti spandino la luce per
ogni doue, venendo così a formare un nobilissimo Cielo, ah
tra causale trottar non si può del vederlo tramutato in in-
ferno d'atti tenebrosi, malvaggittà e sevitie che dagV huo-
tnini temerari,] si vanno moltiplicando, se non se arte e fat-
tura diabolica, attesoché V umana malitia per se sola bastar
non dourebbe a resistere a tanti Heroi, che con occhij d' Ar-
go e braccj di Briareo, si vanno trafficando per li pubblici
emolumenti. Per lo celie descriuendo questo Bacconto auue-
nuto ne1 tempi di miù, icrde staggionc, abbenchè la più parte
delle persone che vi rappressentano le loro parti, sijno spa-
rite dalla Scena del Mondo, con rendersi tributar j delle
Parche, pure per degni rispetti, si tacerà li loro nomi, cioè
la parentela, et il medemo si farà de'' luochi, solo indican-
do li Territori,) generaliter. Ne alcuno dirà questa sij im-
perfettione del Bacconto, e defformità di questo mio rozzo
Parto, a meno questo tale Critico non sij persona affatto
diggiuna della Filosofia: che quanto agV huomini in essa
versati, ben veder anno nulla mancare alla sostanza di detta
narratione. Imperciocché, essendo cosa evidente, e da verun
negata non essere i nomi se non puri purissimi accidenti . . .*
— Ma, quando io avrò durata 1' eroica fatica di trascriver
questa storia da questo dilavato e graffiato autografo, e I1 avrò
data come si suol dire, alla luce, si troverà poi chi duri la
fatica di leggerla? —
Questa riflessione dubitativa, nata nel travaglio del deci-
frare uno scarabocchio che veniva dopo accidenti, mi fece
sospender la copia, e pensar più seriamente a quello che con-
venisse di fare. — Ben è vero, dicevo tra me, scartabellando
il manoscritto, ben è vero che quella grandine di concettini
e di tigure non continua così alla distesa per tutta 1' opera-
li buon secentista ha voluto sul principio mettere in mostra
la sua virtù; ma poi, nel corso della narrazione, e talvolta per
lunghi tratti, lo stile cammina ben più naturale e più piano.
Sì; ma com'è dozzinale! com'è sguaiato! com'è scorretto!
Idiotismi lombardi a iosa, frasi della lingua adoperate a spro-
posito, grammatica arbitraria, periodi sgangherati. E poi
qualche eleganza spagnola seminata qua e là; e poi, eh' è peg-
gio, ne' luoghi più terribili o più pietosi della storia, a ogni
INTRODUZIONE. VII
occasione d'eccitar maraviglia, o di far pensare, a tutti qne'
passi insomma che richiedono bensì un po' di rettorica, ma
rettorica discreta, fine, di buon gusto, costui non manca mai
di metterci di quella sua così fatta del proemio. E allora,
accozzando, con un'abilità mirabile, le qualità più opposte,
trova la maniera di riuscir rozzo insieme e affettato, nella
stessa pagina, nello stesso periodo, nello stesso vocabolo.
Ecco qui : declamazioni ampollose composte a forza di sole-
cismi pedestri, e da per tutto quella goffaggine ambiziosa?
eh' è il proprio carattere degli scritti di quel secolo, in que-
sto paese. In vero, njon è cosa da presentare a lettori d' og-
gigiorno: son troppo ammaliziati, troppo disgustati di questo
genere di stravaganze. Meno male, che il buon pensiero
m' è venuto sul principio di questo sciagurato lavoro: e me
ne lavo le mani. —
Neil' atto però di chiudere lo scartafaccio, per riporlo, mi
sapeva male che una storia così bella dovesse rimanersi tut-
tavia sconosciuta; perchè, in quanto storia, può essere che al
lettore ne paia altrimenti, ma a me era parsa bella, come
dico; molto bella. — Perchè non si potrebbe, pensai, prender
a serie de' fatti da questo manoscritto, e rifarne la dicitura?
— Non essendosi presentato alcuna obiezion ragionevole, il
partito fu subito abbracciato. Ed ecco V origine del presente
libro, esposta con un'ingenuità pari all'importanza del libro
medesimo.
Taluni però di que' fatti, certi costumi descritti dal nostro
autore, e' eran sembrati così nuovi, così strani, per non dir
peggio, che, prima di prestargli fede, abbiam voluto interro-
gare altri testimoni; e ci siam messi a frugar nelle memorie
di quel tempo, per chiarirci se veramente il mondo cammi-
nasse allora a quel modo. Una tale indagine dissipò tutti i
nostri dubbi: a ogni passo ci abbattevamo in cose consimili,
e in cose più forti: e, quello che ci parve più decisivo, ab-
biam perfino ritrovati alcuni personaggi, de' quali non avendo
mai avuto notizia fuor che dal nostro manoscritto, eravamo in
dubbio se fossero realmente esistiti. E, all'occorrenza, ci-
teremo alcuna di quelle testimonianze, per procacciar fede alle
cose, alle quali, per la loro stranezza, il lettore sarebbe più
tentato di negarla.
Vili INTRODUZIONE.
Ma. rifiutando come intollerabile la dicitura del nostro au-
tore, che dicitura vi abbiam noi sostituita? Qui sta il punto.
Chiunque, senza esser pregato, s'intromette a rifar l'ope-
ra altrui, s'espone a rendere uno stretto conto della sua, e
ne contrae in certo modo 1' obbligazione : è questa una rego
la di fatto e di diritto, alla quale non pretendiam punto di
sottrarci. Anzi, per conformarci ad essa di buon grado, ave-
vam proposto di dar qui minutamente ragione del modo di
scrivere da noi tenuto; e, a questo fine, siamo andati, per
tutto il tempo del lavoro, cercando d' indovinare le critiche
possibili e contingenti, con intenzione di ribatterle tutte anti-
cipatamente. 2sè in questo sarebbe stata la difficoltà; giacché
(dobbiam dirlo a onor del vero) non ci si presentò alla mente
una critica, che non le venisse insieme una risposta trionfante,
di quelle risposte che, non dico risolvon le questioni, ma le
mutano. Spesso anche, mettendo due critiche alle mani tra
loro, le facevam battere 1' una dall'altra; o, esaminandole
ben a fondo, riscontrandole attentamente, riuscivamo a sco-
prire e a mostrare che, così opposte in apparenza, eran però
d' uno stesso genere, nascevan tutt' e due dal non badare
ai fatti e ai princìpi su cui il giudizio doveva esser fondato;
e messele, con loro gran sorpresa, insieme, le mandavamo in-
sieme a spasso. Non ci sarebbe mai stato autore che pro-
vasse così ad evidenza d' aver fatto bene. Ma che? quando
siamo stati al punto di raccapezzar tutte le dette obiezioni
e risposte, per disporle con qualche ordine, misericordia! ve-
nivano a fare un libro. Veduta la qual cosa, abbiam messo
da parte il pensiero, per due ragioni che il lettore troverà
certamente buone: la prima, che un libro impiegato a giusti-
ficarne un altro, anzi lo stile d' un altro, potrebbe parer cosa
ridicola: la seconda, che di libri basta uno per volta, quando
non è d' avanzo.
I PROMESSI SPOSI,
CAPITOLO I.
Quel ramo del lago di Corno, che volge a mezzogiorno,
tra due catene non interrotte di monti, tutto a seni e a golfi,
a seconda dello sporgere e del rientrare di quelli, vien, quasi
a un tratto, a ristringersi, e a prender corso e figura di fiume,
tra un promontorio a destra, e un'ampia costiera dall'altra
parto : e il ponte, che ivi congiunge le due rive, par che ren-
da ancor più sensibile all' occhio questa trasformazione, e
segni il punto in cui il lago cessa, e 1* Adda rincomincia, per
ripigliar poi nome di lago dove le rive, allontanandosi di nuo-
vo , lascian P acqua distendersi e rallentarsi in nuovi golfi e
in nuovi seni. La costiera, formata dal deposito di tre grossi
torrenti, scende appoggiata a due monti contigui, P uno detto
di san Martino, l'altro, con voce lombarda, il JResegone, dai
molti suoi cocuzzoli in fila, che in vero lo fanno somigliare a
una sega: talché non è cli^, al primo vederlo, purché sia di
fronte, come per esempio di su le mura di Milano che guar-
dano a settentrione, non lo discerna tosto, a un tal contras-
segno, in quella lunga e vasta giogaia, dagli altri monti di
nome più oscuro e di forma più comune. Per un buon pezzo,
la costa sale con un pendìo lento e continuo; poi si rompe in
poggi e in valloncelli, in erte e in ispianate, secondo l'ossa-
tura de' due monti, e il lavoro dell' acque. 11 lembo estremo,
tagliato dalle foci de' torrenti, è quasi tutto ghiaia e ciotto-
loni; il resto, campi e vigne, sparse di terre, di ville, di ca-
sali; in qualche parte boschi, che si prolungano su per la
montagna. Lecco, la principale di quelle terre, e che dà nome
al territorio, giace poco discosto dal ponte alla riva del lago,
anzi viene in parte a trovarsi nel lago stesso, quando questo
Manzoni. *
2 I PROMESSI SPOSI.
ingrossa: un gran borgo al giorno d'oggi, e che s'incammina
a diventar città. Ai tempi in cui accaddero i fatti che pren-
diamo a raccontare, quel borgo, già considerabile, era anche
un castello, e aveva perciò l'onore d'alloggiare un coman-
dante, e il vantaggio di possedere una stabile guarnigione di
soldati spagnoli, che insegnavan la modestia alle fanciulle e
alle donne del paese, accarezzavan di tempo in tempo le
spalle a qualche marito, o a qualche padre: e, sul finir del-
l' estate, non mancavan mai di spandersi nelle vigne, per dira-
dar Y uve , e alleggerire a' contadini le fatiche della vendem-
mia. Dall'una all'altra di quelle terre, dall'alture alla riva,
da un poggio all' altro, correvano, e corrono tuttavia, strade e
stradette, più o men ripide, o piane; ogni tanto affondate, se-
polte tra due muri, donde alzando lo sguardo, non iscoprite
che un pezzo di cielo e qualche vetta di monte: ogni tanto
elevate su terrapieni aperti; e da qui la vista spazia per pro-
spetti più o meno estesi, ma ricchi sempre e sempre qualcosa
nuovi, secondo che i diversi punti piglian più o meno della
vasta scena circostante, e secondo che questa o quella parte
campeggia o si scorcia, spunta o sparisce a vicenda. Dove
un pezzo, dove un altro, dove una lunga distesa di quel vasto
e variato specchio dell'acqua; di qua Iago, chiuso all'estre-
mità o piuttosto smarrito in un gruppo, in un andirivieni di
montagne, e di mano in mano più allargato tra altri monti
che si spiegano, a uno a uno, allo sguardo, e che l'acqua
riflette capovolti, co' paesetti posti sulle rive; di là braccio di
fiume, poi lago, poi fiume ancora, che va a perdersi in lucido
serpeggiamento pur tra monti che 1' accompagnano, degradando
via via, e perdendosi quasi anch' essi nell'orizzonte. Il luogo
stesso da dove contemplate que' vari spettacoli, vi fa spetta-
colo da ogni parte: il monte di cui passeggiate le falde, vi
svolge, al di sopra, d' intorno, le sue cime e le balze, distinte,
rilevate, mutabili quasi a ogni passo, aprendosi e contornan-
dosi in gioghi ciò che v' era sembrato prima un sol giogo , e
comparendo in vetta ciò che poco innanzi vi si rappresentava
sulla costa: e l'ameno, il domestico di quelle falde tempera
gradevolmente il selvaggio, e orna vie più il magnifico del-
l' altre vedute
Per una di queste stradicciole, tornava bel bello dalla pas-
seggiata verso casa, sulla sera del giorno 7 novembre dell' an-
no 1628, don Abbondio, curato d' una delle terre accennate di
sopra: il nome di questa, né il casato del personaggio, non si
trovan nel manoscritto, né a questo luogo né altrove. Diceva
tranquillamente il suo ufizio, e talvolta, tra un salmo e 1' altro,
chiudeva il breviario tenendovi dentro, per segno, l' indice della
mano destra, e, messa poi questa nelT altra dietro la schiena,
proseguiva il suo cammino, guardando a terra, e buttando con
CAPITOLO I. 3
un piede verso il muro i ciottoli che facevano inciampo nel
sentiero: poi alzava il viso, e, girati oziosamente gli occhi
all' intorno, li fissava alla parte d' un monte, dove la luce del
sole già scomparso, scappando per i fessi del monte opposto,
si dipingeva qua e là sui massi sporgenti, come a larghe e
inuguali pezze di porpora. Aperto poi di nuovo il breviario,
e recitato un altro squarcio, giunse a una voltata della stra-
detta, dov'era solito d'alzar sempre gli occhi dal libro, e di
guardarsi dinanzi; e così fece anche quel giorno. Dopo la
voltata, la strada correva diritta, forse un sessanta passi, e
poi si divideva in due viottole, a foggia d' un ipsilon: quella a
destra saliva verso il monte, e menava alla cura: 1' altra
scendeva nella valle fino a un torrente; e da questa parte il
muro non arrivava che all' anche del passeggiero. I muri in-
terni delle due viottole, in vece di riunirsi ad angolo, termi-
navano in un tabernacolo, sul quale eran dipinte certe figure
lunghe , serpeggianti, che finivano in punta, e che, nell' inten-
zion dell' artista, e agli occhi degli abitanti del vicinato, vole-
van dir fiamme; e, alternate con le fiamme, cert' altre figure
da non potersi descrivere, che volevan dire anime del purga-
torio: anime e fiamme a color di mattone, sur un fondo bi-
giognolo, con qualche scalcinatura qua e là. Il curato, voltata
la stradetta, e dirizzando, com' era solito, lo sguardo al taber-
nacolo, vide una cosa che non s' aspettava e che non avrebbe
voluto vedere. Due uomini stavano, 1' uno dirimpetto all' altro,
al confluente, per dir così, delle due viottole: un di costoro,
a cavalcioni sul muricciolo basso, con una gamba spenzolata
al di fuori, e V altro piede posato sul terreno della strada; il
compagno, in piedi, appoggiato al muro, con le braccia incro-
ciate sul petto. L' abito, il portamento, e quello che, dal luogo
ov' era giunto il curato, si poteva distinguer dell'aspetto, non
lasciavan dubbio intorno alla lor condizione. Avevano entram-
bi intorno al capo una reticella verde, che cadeva sull' omero
sinistro, terminata in una gran nappa, e dalla quale usciva
sulla fronte un enorme ciuffo: due lunghi mustacchi arricciati
in punta: una cintura lucida di cuoio, e a quella attaccate due
pistole: un piccol corno ripieno di polvere, cascante sul pet-
to, come una collana: un manico di coltellaccio che spuntava
fuori d' un taschino degli ampi e gonfi calzoni, uno spadone,
con una gran guardia traforata a lamine d' ottone, congegnate
come in cifra, forbite e lucenti; a prima vista si davano a
conoscere per individui della specie de' bravi,
i" Questa specie, ora del tutto perduta, era allora floridissima
in Lombardia, e già molto antica. Chi non ne avesse idea,
ecco alcuni squarci autentici, che potranno darne una bastante
de' suoi caratteri principali, degli sforzi fatti per ispegnerla, e
della sua dura e rigogliosa vitalità.
1*
4 I PROMESSI SPOSI.
Fino dall' 8 aprile dell' anno 1583, P Illustrissimo ed Eccel-
lentissimo signor don Carlo d'Aragon, Principe di Castelve-
trano, Duca di Terranuova, Marchese d' Avola, Conte di Bur-
geto, grande Ammiraglio, e gran Contestabile di Sicilia, Go-
vernatore di Milano e Capitan Generale di Sua Maestà Cattolica
in Italia, pienamente informato della intollerabile miseria in
che e vivuta e vive questa Città di Milano, per cagione dei
bravi e vagabondi, pubblica un bando contro di essi. Di-
chiara e diffinisce tutti coloro essere compresi in questo ban-
do, e doversi ritenere bravi e vagabondi . . . i quali, essendo
forestieri o del paese, non hanno esercizio alcuno, od aven-
dolo, non lo fanno . . . ina senza salario, o pur con esso,
s'appoggiano a qualche cavaliere o gentiluomo, officiale o
mercante .... per fargli spalle e favore, o veramente, come
si può presumere, per tender insidie ad altri .... A tutti
costoro ordina che, nel termine di giorni sei, abbiano a sgom-
berare il paese, intima la galera a' renitenti, e dà a tutti gli
ufìziali della giustizia le più stranamente ampie e indefinite
facoltà, per V esecuzione dell' ordine. Ma nel!' anno seguente,
il 12 aprile, scorgendo il detto signore, che questa Città è
tuttavia piena di detti bravi .... tornati a vivere come pri-
ma vivevano, non un punto mutato il costume loro, ne sce-
mato il numero, dà fuori un' altra grida, ancor più vigorosa e
notabile, nella quale, tra l'altre ordinazioni, prescrive:
Che qualsivoglia persona, così di questa Città, come fo-
restiera, che per due testimoni consterà esser tenuto, e comu-
nemente riputato per bravo, et aver tal nome, ancorché non
si verifichi avìr fatto delitto alcuno .... per questa sola ri-
putazione di bravo, senza altri indizj , possa dai detti giu-
dici e da ognuno di loro esser posto alla corda et al tor-
mento, per processo informativo . ... et ancorché non con-
fessi delitto alcuno, tuttavia sia mandato alla galea, per
detto triennio, per la sola opinione e nome di bravo, come
di sopra. Tutto ciò, e il di più che si tralascia, per-
chè Sua Eccellenza è risoluta di voler essere obbedita da
ognuno.
All' udir parole d' un tanto signore, così gagliarde e sicure,
e accompagnate da tali ordini, viene una gran voglia di cre-
dere che, al solo rimbombo di esse, tutti i bravi siano scom-
parsi per sempre. Ma la testimonianza d' un signore non
meno autorevole, né meno dotato di nomi, ci obbliga a cre-
dere tutto il contrario. È questi l'Illustrissimo ed Eccellen-
tissimo Signor Juan Fernandez de Yelasco, Contestabile di
Castiglia, Cameriero maggiore di Sua Maestà, Duca della Città
di Frias , Conte di Haro e Castelnovo, Signore della Casa di
Yelasco, e di quella delli sette Infanti di Lara, Governatore
dello Stato di Milano, etc. Il 5 giugno dell'anno 1593, piena-
CAPITOLO la 5
mente informato anche lui di quanto danno e rovine sieno
. . . . i bravi, e vagabondi, e del pessimo effetto chetai sorta
di gente fa contra il ben pubblico, et in delusione della giu-
stizia, intima loro di nuovo che, nel termine di giorni sei,
abbiano a sbrattare il paese, ripetendo a un dipresso le pre-
scrizioni e le minacce medesime del suo predecessore. Il 23
maggio poi dell'anno 1598, informato, con non poco dispia-
cere deW animo suo, che .... ogni dì più in questa Città e
Stato va crescendo il numero di questi tali (bravi e vaga-
bondi), ne di loro, giorno e notte, altro si sente che ferite
appostatamele date, omicida e ruberie et ogni altra qualità
di delitti, ai quali si rendono più facili, confidati essi bravi
d' essere aiutati dai capi e fautori loro .... prescrive di
nuovo gli stessi rimedi, accrescendo la dose, come s' usa nelle
malattie ostinate. Ovunque dunque, conchiude poi, onnina-
mente si guardi di contravvenire in parte alcuna alla grida
presente, perchè, in luogo di provare la clemenza di Sua
Eccellenza, proverà il rigore, e Vira sua .... essendo ri-
soluta e determinata che questa sia V ultima e perentoria
monizione.
Non fu però di questo parere l' Illustrissimo ed Eccellen-
tissimo Signore, il Signor Don Pietro Enriquez de Acevedo,
Conte di Fuentes, Capitano, e Governatore dello Stato di Mi-
lano; non fu di questo parere, e per buone ragioni. Piena-
mente informato della miseria in che vive questa Città e
Stato per cagione del gran numero di bravi che in esso ab-
bonda .... e risoluto di totalmente estirpare seme tanto per-
nizioso, dà fuori il 5 decembre 1600, una nuova grida piena
anch' essa di severissime comminazioni, con fermo proponi-
mento che, con ogni rigore, e senza speranza di remissione,
siano onninamente eseguite.
Convien credere però che non ci si mettesse con tutta
quella buona voglia che sapeva impiegare nell' ordir cabale, e
nel suscitar nemici al suo gran nemico Enrico IV; giacché per
questa parte, la storia attesta' come riuscisse ad armare con-
tro quel re il duca* di Savoia, a cui fece perder più d'una
città; come riuscisse a far congiurare il duca di Biron, a cui
fece perder la testa ; ma per ciò che riguarda quel seme tanto
pernizioso de' bravi, certo è che esso continuava a germogliare,
il 22 settembre dell'anno 1612. In quel giorno l'Illustrissimo
ed Eccellentissimo Signore, Don Giovanni de Mendozza, Mar-
chese de la Hvnoiosa, Gentiluomo etc. Governatore etc, pensò
seriamente ad" estirparlo. A quest' effetto, spedì a Pandolfo e
Marco Tullio Malatesti , stampatori 'regi camerali , la solita
grida, corretta ed accresciuta, perchè la stampassero ad ester-
minio de' bravi. Ma questi vissero ancora per ricevere, il 2-4
decembre dell'anno 1618, gli stessi e più forti colpi daini-
6 I PROMESSI SPOSI.
lustrissimo ed Eccellentissimo Signore, il Signor Don Gomez
Suarez de Figueroa, Duca di Feria, etc, Governatore, etc.
Però non essendo essi morti neppur di quelli, l'Illustrissimo
ed Eccellentissimo Signore, il Signor Gonzalo Fernandez di Cor-
dova, sotto il cui governo accadde la passeggiata di don Ab-
bondio, s' era trovato costretto a ricorreggere e ripubblicare la
solita grida contro i bravi, il giorno 5 ottobre 1627, cioè un
anno, un mese e due giorni prima di quel memorabile avve-
nimento.
Né fu questa l'ultima pubblicazione; ma noi delle poste-
riori non crediamo dover far menzione, come di cosa che esce
dal periodo della nostra storia. Ne accenneremo soltanto
una del 13 febbraio dell' anno 1632, nella quale l' Illustrissimo
ed Eccellentissimo Signore, el Daque de Feria, per la se-
conda volta governatore, ci avvisa che le maggiori sceVerag-
gini procedono da quelli che chiamano bravi. Questo basta
ad assicurarci che , nel tempo di cui noi trattiamo , e1 era de'
bravi tuttavia.
-^Che i due descritti di sopra stessero ivi ad aspettar qual-
cheduno, era cosa troppo evidente; ma quel che più dispiac-
que a don Abbondio fu il dover accorgersi, per certi atti, che
V aspettato era lui. Perchè al suo apparire, coloro s' eran guar-
dati in viso, alzando la testa, con un movimento dal quale
si scorgeva che tutt' e due a un tratto avevan detto : è lui ;
quello che stava a cavalcioni s' era alzato, tirando la sua gamba
sulla strada; V altro s' era staccato dal muro; e tutt' e due gli
s' avviavano incontro. Egli, tenendosi sempre il breviario aperto
dinanzi, come se leggesse, spingeva lo sguardo in su, per is-
piar le mosse di coloro; e vedendoseli venir proprio incontro,
fu assalito a un tratto da mille pensieri. Domandò subito in
fretta a sé stesso, se, tra i bravi e lui, ci fosse qualche uscita
di strada, a destra o a sinistra; e gli sovvenne subito di no.
Fece un rapido esame, se avesse peccato contro qualche po-
tente, contro qualche vendicativo; ma, anche in quel turba-
mento, il testimonio consolante della coscienza lo rassicurava
alquanto : i bravi però s' avvicinavano, guardandolo fisso. Mise
l'indice e il medio della mano sinistra nel collare, come per
raccomodarlo; e, girando le due dita intorno al collo, volgeva
intanto la faccia all' indietro, torcendo insieme la bocca, e guar-
dando con la coda dell'occhio, fin dove poteva, se qualche-
duno arrivasse; ma non vide nessuno. Diede un'occhiata, al
di sopra del muricciolo, ne' campi- nessuno; un'altra più mo-
desta sulla strada dinanzi : nessuno , fuorché i bravi. Che
fare? tornare indietro, non era a tempo: darla a gambe, era
lo stesso che dire, inseguitemi, o peggio. Non potendo schi-
vare il pericolo, vi corse incontro, perchè i momenti di
quell' incertezza erano allora così nenosi per lui , che non
CAPITOLO I. <
desiderava altro che d'abbreviarli. Affrettò il passo, recitò
un versetto a voce più alta, compose la faccia a tutta quella
quiete e ilarità che potè, fece ogni sforzo per preparare un
sorriso; quando si trovò a fronte dei due galantuomini, disse
mentalmente: ci siamo; e si fermò su due piedi. «Signor
curato,» disse un di que' due, piantandogli gli occhi in faccia.
«Cosa comanda?» rispose subito don Abbondio alzando i
suoi dal libro, che gli restò spalancato nelle mani come sur
un leggìo.
«Lei ha intenzione,» proseguì 1' altro, con 1' atto minaccioso
e iracondo di chi coglie un suo inferiore siili' intraprendere
una ribalderia, «lei ha intenzione di maritar domani Renzo
Tramaglino e Lucia Mondella!»
« Cioè .... » rispose con voce tremolante don Abbondio :
«cioè. Lor signori son uomini di mondo, e sanno benissimo
come vanno queste faccende. Il povero curato non e' entra:
fanno i loro pasticci tra loro , e poi .... e poi , vengon da
noi, come s'andrebbe a un banco a riscotere; e noi .... noi
siamo i servitori del comune.»
«Or bene,» gli disse il bravo, all'orecchio, ma in tono
solenne di comando , « questo matrimonio non s' ha da lare,
né domani, né mai.»
«Ma, signori miei,» replicò don Abbondio, con la voce
mansueta e gentile di chi vuol persuadere un impaziente, «ma,
signori miei, si degnino di mettersi ne' miei panni. Se la cosa
dipendesse dame .... vedon bene che a me non me ne vien
nulla in tasca . . . .»
^ «Orsù,» interruppe il bravo, «se la cosa avesse a deci-
dersi a ciarle, lei ci metterebbe in sacco. Noi non ne sap-
piamo , né vogliam saperne di più. Uomo avvertito .... lei
c'intende.»
«Ma lor signori son troppo giusti, troppo ragionevoli ... .»
«Ma,» interruppe questa volta l'altro compagnone, che
non aveva parlato fin allora, «ma il matrimonio non si farà
o . . . .» e qui una buona bestemmia, «o chi lo farà non se
ne pentirà, perchè non ne avrà tempo, e > un'altra be-
stemmia.
« Zitto, zitto,» riprese il primo oratore, «il signor curato
è un uomo che sa il viver del mondo; e noi siam galantuo-
mini, che non vogliam fargli del male, purché abbia giudizio.
Signor curato, 1' illustrissimo signor don Rodrigo nostro pa-
drone la riverisce caramente.)
Questo nome fu, nella mente di don Abbondio, come, nel
forte d' un temporale notturno, un lampo che illumina momen-
taneamente e in confuso gli oggetti, e accresce il terrore.
Fece, come per istinto, un grand' inchino, e disse: «se mi
sapessero suggerire .... »
8 I TBOMESSI SPOSI.
«Oh! suggerire a lei che sa di latino % interruppe an-
cora il bravon, con un riso tra lo sguaiato e il feroce. A
lei tocca. E sopra tutto, non si lasci uscir parola su questo
avviso che le abbiam dato per suo bene; altrimenti . . . .
ehm .... sarebbe lo stesso che fare quel tal matrimonio. Via,
che vuol che si dica in suo nome all' Illustrissimo signor don
Rodrigo?»
-Il mio rispetto ....»>
«Si spieghi meglio!.)
<'.... Disposto .... disposto sempre all' ubbidienza. > E
proferendo queste parole, non sapeva nemmen lui se faceva
una promessa, o un complimento. I bravi le presero, o mo-
straron di prenderle nel significato più serio.
«Benissimo, e buona notte, messere.» disse 1' un d' essi, in
atto di partir col compagno. Don Abbondio, che, pochi mo-
menti prima, avrebbe dato un occhio per scansarli, allora
avrebbe voluto prolungar la conversazione e le trattative. Si-
gnori . ...» cominciò, chiudendo il libro con le due mani; ma
quelli, senza più dargli udienza, presero la strada dond' era
lui venuto, e s' allontanarono, cantando una canzonaccia che non
voglio trascrivere. Il povero don Abbondio rimase un mo-
mento a bocca aperta, come incantato; poi prese quella delle
due stradette che conduceva a casa sua, mettendo innanzi a
stento una gamba dopo l'altra, che parevano aggranchiate.
Come stesse di dentro, s' intenderà meglio, quando avrem detto
qualche cosa del suo naturale, e de' tempi in cui gli era toc-
cato di vivere.
Don Abbondio (il lettore se n' è già avveduto) non era nato
con un cuor di leone. Ma, fin da' primi suoi anni, aveva do-
vuto comprendere che la peggior condizione, a que' tempi, era
quella d'un animale senza artigli e senza zanne, e che pure
non si sentisse inclinazione d' esser divoratoX La forza legale
non proteggeva in alcun conto 1' uomo tranquillo, inoifensivo, e
che non avesse altri mezzi di far paura altrui. Non già che
mancassero leggi e pene contro le violenze private. Le leggi
anzi diluviavano: i delitti erano enumerati, e particolareggiati,
con minuta prolissità; le pene, pazzamente esorbitanti e, se
non basta, aumentabili, quasi per ogni caso, ad arbitrio del
legislatore stesso e di cento esecutori; le procedure, studiate
soltanto a liberare il giudice da ogni cosa che potesse esser-
gli d'impedimento a proferire una condanna: gli squarci che
abbiam riportati delle gride contro i bravi, ne sono un pic-
colo, ma fedel saggio^ Con tutto ciò, anzi in gran parte a
cagion di ciò, quelle gride, ripubblicate e rinforzate di go-
verno in governo, non servivano ad altro che ad attestare am-
pollosamente l'impotenza de' loro autori; o, se producevan
capitolo i. y
qualche effetto immediato, era principalmente d' aggiunger molte
vessazioni a quelle che i pacifici e i deboli già soffrivano da'
perturbatori, e d'accrescer le violenze e l'astuzia di questi.
L'impunità era organizzata, e aveva radici che le gride non
toccavano, o non potevano smovere. Tali eran gli asili, tali i
privilegi d' alcune classi , in parte riconosciuti dalla forza le-
gale, in parte tollerati con astioso silenzio, o impugnati con
vane proteste, ma sostenuti in fatto e difesi da quelle classi'
con attività d'interesse, e con gelosia di puntiglio. Ora. que-
st'impunità minacciata e insultata, ma non distratta dalle gride?
doveva naturalmente, a ogni minaccia, e a ogni insulto, ado-
perar nuovi sforzi e nuove invenzioni , per conservarsi. Così
accadeva in effetto; e, all'apparire delle gride dirette a com-
primere i violenti, questi cercavano nella loro forza reale i
nuovi mezzi più opportuni, per continuare a far ciò che le
gride venivano a proibire. Potevan ben esse inceppare a ogni
passo, e molestare V uomo bonario, che fosse senza forza pro-
pria e senza protezione: perchè col line d' aver sotto la mano
ogni uomo, per prevenire o per punire ogni delitto, assogget-
tavano ogni mossa del privato al volere arbitrario d' esecutori
d' ogni genere. Ma chi. prima di commettere il delitto, aveva
prese le sue misure per ricoverarsi a tempo in un convento,
in un palazzo, dove i birri non avrebber mai osato metter
piede: chi, senz; altre precauzioni, portava una livrea che im-
pegnasse a difenderlo la vanità e V interesse d' una famiglia
potente, di tutto un ceto, era libero nelle sue operazioni, e
poteva ridersi di tutto quel fracasso delle gride. Di quegli
stessi eh' eran deputati a farle eseguire, alcuni appartenevano
per nascita alla parte privilegiata, alcuni ne dipendevano per
clientela: gli uni e gli altri, per educazione, per interesse, per
consuetudine, per imitazione, ne avevano abbracciate le mas-
sime, e si sarebbero ben guardati dall' offenderle, per amor
d' un pezzo di carta attaccato sulle cantonate. Gli uomini poi
incaricati dell'esecuzione immediata, quando fossero stati in-
traprendenti come eroi, ubbidienti come monaci, e pronti a
sacrificarsi come martiri, non avrebber però potuto venirne
alla fine, inferiori com' eran di numero a quelli che si trattava
di sottomettere, e con una gran probabilità d'essere abban-
donati da chi, in astratto e. per così dire, in teoria, imponeva
loro di operare. Ma, oltre di ciò, costoro eran generalmente
de' più abbietti e ribaldi soggetti del loro tempo: l'incarico
loro era tenuto a vile anche da quelli che potevano averne
terrore, e il loro titolo un improperio. Era quindi ben na-
turale che costoro, in vece d' arrischiare, anzi di gettar la vita
in un' impresa disperata, vendessero la loro inazione, o anche
la loro connivenza ai potenti, e si riservassero a esercitare
la loro esecrata autorità e la forza che pure avevano, in quelle
10 I PROMESSI SPOSI.
occasioni dove non c'era pericolo; nell' opprimer cioè, e n^l
vessare gli uomini pacifici e senza difesa.^
L'uomo che vuole offendere, o che teme, ogni momento,
dr essere offeso, cerca naturalmente alleati e compagni. Quindi
era, in que' tempi, portata al massimo punto la tendenza de-
gl' individui a tenersi collegati in classi, a formarne delle nuo-
ve, e a procurare ognuno la maggior potenza di quella a cui
apparteneva. Il clero vegliava a sostenere e ad estendere le
sue immunità, la nobiltà i suoi privilegi, il militare le sue
esenzioni. I mercanti, gli artigiani erano arrolati in mae-
stranze e in confraternità, i giurisperiti formavano una lega, i
medici stessi una corporazione. Ognuna di queste piccole oli-
garchie aveva una sua forza speciale e propria; in ognuna
l' individuo trovava il vantaggio d' impiegar per sé, a propor-
zione della sua autorità e della sua destrezza, le forze riu-
nite di molti. I più onesti si valevan di questo vantaggio a
difesa soltanto; gli astuti e i facinorosi ne approfittavano, per
condurre a termine ribalderie, alle quali i loro mezzi perso-
nali non sarebber bastati, e per assicurarsene V impunità. Le
forze però di queste varie leghe eran molto disuguali; e, nelle
campagne principalmente, il nobile dovizioso e violento, con
intorno uno stuolo di bravi, e una popolazione di contadini
avvezzi, per tradizione famigliare, e interessati o forzati di
riguardarsi quasi come sudditi e soldati del padrone, eser-
citava un potere, a cui difficilmente nessun' altra frazione di
lega avrebbe ivi potuto resistere.
il nostro Abbondio, non nobile, non ricco, coraggioso an-
cor meno, s* era dunque accorto, prima quasi di toccar gli anni
della discrezione, d' essere, in quella società, come un vaso di
terra cotta, costretto a viaggiare in compagnia di molti vasi
di ferro. Aveva quindi, assai di buon grado, ubbidito ai pa-
renti, che lo vollero prete. Per dir la verità, non aveva gran
fatto pensato agli obblighi e ai nobili fini del ministero al
quale si dedicava; procacciarsi di che vivere con qualche agio,
e mettersi in una classe riverita e forte, gli eran sembrate due
ragioni più che sufficienti per una tale scelta. Ma una classe
qualunque non protegge un individuo, non lo assicura, che
fino a un certo segno: nessuno lo dispensa dal farsi un suo
sistema particolare. Don Abbondio, assorbito continuamente
ne' pensieri della propria quiete, non si curava di que' vantaggi,
per ottenere i quali, facesse bisogno d'adoperarsi molto, o
d' arrischiarsi un poco. Il suo sistema consisteva principal-
mente nello scansar tutti i contrasti,, e nel cedere, in quelli
che non poteva scansare. Neutralità disarmata in tutte le
guerre che scoppiavano intorno a lui, dalle contese, allora
frequentissime, tra il clero e le podestà laiche, tra il militare
CAPITOLO I. 11
e il civile, tra nobili e nobili, fino alle questioni tra due con-
tadini, nate da una parola, e decise coi pugni o con le col-
tellate. Se si trovava assolutamente costretto a prender parte
tra due contendenti, stava col più forte, sempre però alla re-
troguardia, e procurando di far vedere all' altro eh' egli non
gli era volontariamente nemico: pareva che gli dicesse: ma
perchè non avete saputo esser voi il più forte? eh' io mi sa-
rei messo dalla vostra parte. Stando alla larga da" prepotenti,
dissimulando le loro soverchierie passeggiere e capricciose,
corrispondendo con sommissioni a quelle che venissero da
un'intenzione più seria e più meditata, costringendo, a forza
d' inchini e di rispetto gioviale, anche i più burberi e sdegnosi,
a fargli un sorriso, quando gì' incontrava per la strada, il
pover' uomo era riuscito a passare i sessant' anni, senza gran
burrasche.
Non è però che non avesse anche lui il suo po' di fiele
in corpo; e quel continuo esercitar la pazienza, quel dar così
spesso ragione agli altri, que' tanti bocconi amari inghiottiti in
silenzio, glielo avevano esacerbato a segno che, se non avesse,
di tanto in tanto, potuto dargli un po' di sfogo, la sua salute
n' avrebbe certamente sofferto. Ma siccome v' eran poi final-
mente al mondo, e vicino a lui, persone eh' egli conosceva ben
bene per incapaci di far male, così poteva con quelle sfogare
qualche volta il mal umore lungamente represso, e cavarsi
anche lui la voglia d' essere un po' fantastico , e di gridare a
torto. Era poi un rigido censore degli uomini che non si re-
golavan come lui, quando però la censura potesse esercitarsi
senza alcuno, anche lontano, pericolo. Il battuto era almeno
almeno un imprudente; 1' ammazzato era sempre stato un uomo
torbido. A chi, messosi a sostener le sue ragioni contro un po-
tente, rimaneva col capo rotto, don Abbondio sapeva trovar
sempre qualche torto, cosa non difficile, perchè la ragione e
il torto non si dividon mai con un taglio così netto, che ogni
parte abbia soltanto dell' uno o dell' altro. Sopra tutto poi,
declamava contra que' suoi confratelli che, a loro rischio, pren-
devan le parti d'un debole oppresso, contro un soverchiatile
potente. Questo chiamava un comprarsi gì' impicci a contanti,
un voler raddrizzar le gambe ai cani; diceva anche severa-
mente, eh' era un mischiarsi nelle cose profane, a danno della
dignità del sacro ministero. E contro questi predicava, sem-
pre però a quattr'occhi, o in un piccolissimo crocchio, con
tanto più di veemenza, quanto più essi eran conosciuti per
alieni dal risentirsi, in cosa che li toccasse personalmente.
Aveva poi una sua sentenza prediletta, con la quale sigillava
sempre i discorsi su queste materie: che a un galantuomo, il
quale badi a sé, e stia ne' suoi panni, non accadon mai brutti
incontri.
12 I PROMESSI SPOSI.
Pensino ora i miei venticinque lettori che impressione do-
vesse fare sull'animo del poveretto, quello che s'è raccontato.
Lo spavento di que* visacci e di quelle parolacce, la minaccia
d' un signore noto per non minacciare invano , un sistema di
quieto vivere, eh' era costato tant' anni di studio e di pazienza,
sconcertato in un punto , e un passo dal quale non si poteva
veder come uscirne; tutti questi pensieri ronzavano tumultua-
riamente nel capo basso di don Abbondio. -4 Se Renzo si
potesse mandare in pace con un bel no, via; eia vorrà delle
ragioni; e cosa ho da rispondergli, per amor del cielo? E,
e, e, anche costui è una testa: un agnello se nessun lo tocca,
ma se uno vuol contraddirgli .... ih ! E poi, e poi, perduto
dietro a quella Lucia, innamorato come .... Ragazzacci, che,
per non saper che fare, s' innamorano, voglion maritarsi, e non
pensano ad altro; non si fanno carico de' travagli in che met-
tono un povero galantuomo. Oh povero me! vedete se quelle
due figuracce dovevau proprio piantarsi sulla mia strada, e
prenderla con me! Che c'entro io? Son io che voglio mari-
tarmi? Perchè non son andati piuttosto a parlare .... Oh
vedete un poco: gran destino è il mio, che le cose a propo-
sito mi vengau sempre in mente un momento dopo 1* occasione.
Se avessi pensato di suggerir loro che andassero a portar la
loro ambasciata .... — Ma, a questo punto, s' accorse che il
pentirsi di non essere stato consigliere e cooperatore dell' ini-
quità era cosa troppo iniqua; e rivolse tutta la stizza de' suoi
pensieri contro queir altro che veniva così a togliergli la sua
pace. Xon conosceva don Rodrigo che di vista e di fama, né
aveva mai avuto che far con lui, altro che di toccare il petto
col mento, e la terra colla punta del suo cappello, quelle po-
che volte che 1* aveva incontrato per la strada. Gli era oc-
corso di difendere, in più d' un' occasione, la riputazione di
quel signore, contro coloro che, a bassa voce, sospirando, e
alzando gli occhi al cielo, maledicevano qualche suo fatto:
aveva detto cento volte eh' era un rispettabile cavaliere. Ma
in qufìl momento, gli diede in cuor suo tutti que' titoli che non
aveva mai udito applicargli da altri, senza interrompere in
fretta con un oibò. Giunto, tra il tumulto di questi pensieri,
alla porta di casa sua, eh' era in fondo del paesello , mise in
fretta nella toppa la chiave, che già teneva in mano; aprì,
entrò, richiuse diligentemente, e, ansioso di trovarsi in una
compagnia fidata, chiamò subito: «Perpetua! Perpetua!», av-
viandosi pure verso il salotto, dove questa doveva esser certa-
mente ad apparecchiar la tavola per la cena. Era Perpetua,
come ognun se n'avvede, la serva di don Abbondio: serva af-
fezionata e fedele, che sapeva ubbidire e comandare, secondo
1' occasione, tollerare a tempo il brontolìo e le fantasticaggini
del padrone, e fargli a tempo tollerar le proprie, che diveni-
CAPITOLO I. 13
van di giorno in giorno più frequenti , da che aveva passata
l'età sinodale dei quaranta, rimanendo celibe, per aver rifiu-
tati tutti i partiti che le si erano offerti, come diceva lei, o
per non aver mai trovato un cane che la volesse, come dice-
yan le sue amiche.
«Vengo,» rispose mettendo sul tavolino, al luogo solito,
il fiaschetto del vino prediletto di don Abbondio, e si mosse
lentamente; ma non aveva ancor toccata la soglia del salotto,
ch'egli v'entrò, con un passo così legato, con uno sguardo
così adombrato, con un viso così stravolto, che non ci sareb-
bero nemmen bisognati gli occhi esperti di Perpetua, per
iscoprire a prima vista che gli era accaduto qualche cosa di
straordinario davvero.
«Misericordia! cos'ha, signor padrone?»
«Niente, niente,» rispose don Abbondio, lasciandosi an-
dar tutto ansante sul suo seggiolone.
«Come, niente? La vuol dare ad intendere a me? così
brutto com'è? Qualche gran caso è avvenuto.»
«Oh, per amor del cielo! Quando dico niente, o è niente,
o è cosa che non posso dire.»
«Che non può dir neppure a me? Chi si prenderà cura
della sua salute? Chi le darà un parere? . . . .»
«Ohimè! tacete, e non apparecchiate altro: datemi un
bicchier del mio vino.»
«E lei mi vorrà sostenere che non ha niente!» disse Per-
petua, empiendo il bicchiere, e tenendolo poi in mano, come
se non volesse darlo che in premio della confidenza che si
faceva tanto aspettare.
«Date qui, date qui,» disse don Abbondio, prendendole il
bicchiere con la mano non ben ferma; e votandolo poi in
fretta, come se fosse una medicina.
«Vuol dunque ch'io sia costretta di domandar qua e là
cos'è accaduto al mio padrone?» disse Perpetua, ritta dinanzi
a lui, con le mani arrovesciate sui fianchi, e le gomita ap-
puntate davanti, guardandolo fisso, quasi volesse succhiargli
dagli occhi il segreto.
«Per amor del cielo! non fate pettegolezzi, non fate schia-
mazzi: ne va ... . ne va la vita!»
«La vita!»
«La vita.»
«Lei sa bene, che ogni volta che m'ha detto qualche cosa
•sinceramente, in confidenza, io non ho mai . . . .»
«Brava! come quando . . . .»
Perpetua s'avvide d' aver toccato un tasto falso; onde, cam-
biando subito il tono, «signor padrone,» disse, con voce com-
mossa e da commovere, «io le sono sempre stata affezionata;
14 I PROMESSI SPOSI.
e, se ora voglio sapere, è per premura, perchè vorrei poterla
soccorrere, darle un buon parere, sollevarle 1' animo .... »
Il fatto sta che don Abbondio aveva forse tanta voglia di
scaricarsi del suo doloroso segreto, quanta ne avesse Perpetua
di conoscerlo: onde, dopo aver respinti sempre più debolmente
i nuovi e più incalzanti assalti di lei, dopo averle fatto più
d'una volta giurare che non fiaterebbe, finalmente, con molte
sospensioni, con molti ohimè, le raccontò il miserabile caso.
Quando si venne al nome terribile del mandante, bisognò che
Perpetua proferisse un nuovo e più solenne giuramento; e
don Abbondio, pronunziato quel nome, si rovesciò sulla spal-
liera della seggiola, con un gran sospiro, alzando le maui in
atto insieme di comando e di supplica, e dicendo: «per amor
del cielo!»
«Delle sue!» esclamò Perpetua. «Oh che birbone! oh
che soverchiatore! o che uomo senza timor di Dio!»
«Volete tacere? o volete rovinarmi del tutto?»
«Oh! siam qui soli che nessun ci sente. Ma come farà,
povero signor padrone?»
«Oh vedete,» disse don Abbondio, con voce stizzosa, «ve-
dete che bei pareri mi sa dar costei! Viene a domandarmi
come farò, come farò; quasi fosse lei nell' impiccio, e toccasse
a me di levamela.»
«Ma! io l'avrei bene il mio povero parere da darle; ma
poi . . . .»
«Ma poi, sentiamo.»
«Il mio parere sarebbe che, siccome tutti dicono che il
nostro arcivescovo è un sant'uomo, un uomo di polso, e che
non ha paura di nessuno, e quando può fare star a dovere
un di questi prepotenti, per sostenere un curato, ci gongola;
io 'direi, e dico che lei gli scrivesse una bella lettera, per in-
formarlo come qualmente .... »
Volete tacere? volete tacere? Son pareri codesti da dare
a un pover'uomo? Quando mi fosse toccata una schioppet-
tata nella schiena, Dio liberi! l'arcivescovo me la leverebbe? »
«Eh! le schioppettate non si danno via come confetti; e
guai se questi cani dovessero mordere tutte le volte che ab-
baiano! E io ho sempre veduto che a chi sa mostrare i
denti, e farsi stimare, gli si porta rispetto; e appunto perchè
lei non vuol mai dir la sua ragione, siam ridotti a segno che
tutti vengono, con licenza a .... »
Volete tacere?»
«Io tacio subito; ma è però certo che, quando il mondo
s' accorge che uno, sempre, in ogni incontro, è pronto a calar
le . . . .»
«Volete tacere? È tempo ora di dir codeste baggia-
nate?»
CAUTOLO li 15
«Basta: ci penserà questa notte; mi intanto non cominci
a farsi male da sé, rovinarsi la salute, mangi un boccone.»
«Ci penserò io,» rispose, brontolando, don Abbondio:
(-sicuro; io ci penserò, io ci ho da pensare.» E s'alzò, con-
tinuando: e non voglio prender niente: niente; ho altra vo-
glia: lo so anch'io che tocca a pensarci a me. Ma! la do-
veva accader per l'appunto a me.»
Mandi almen giù quest'altro gocciolo,» disse Perpetua,
mescendo. «Lei sa che questo le rimette sempre lo stomaco.»
«Eh! ci vuol altro, ci vuol altro, ci vuol altro.»
Così dicendo, prese il lume, e, brontolando sempre: «una
piccola bagattella! a un galantuomo par mio! e domani co-
ni'andrà?» e altre simili lamentazioni, s'avviò per salire in
camera. Giunto su la soglia, si voltò indietro verso Perpetua,
mise il dito sulla bocca, disse, con tono lento e solenne: «per
amor del ciclo!» e disparve.
CAPITOLO II.
Si racconta che il principe di Condé dormì profondamente
la notte avanti la giornata di Rocroi; ma, in primo luogo, era
molto affaticato; secondariamente aveva già date tutte le dis-
posizioni necessarie, e stabilito ciò che dovesse fare, la mat-
tina. Don Abbondio in vece non sapeva altro ancora se non
che l'indomani sarebbe giorno di battaglia; quindi una gran
parte della notte fu spesa in consulte angosciose. Non far
caso dell' intimazione ribalda, né delle minacce, e fare il ma-
trimonio, era un partito, che non volle neppur mettere in
deliberazione. Confidare a Renzo l' occorrente , e cercar con
lui qualche mezzo .... Dio liberi! «Non si lasci scap-
par parola .... altrimenti .... ehm!» aveva detto uno di
quei bravi; e, al sentirsi rimbombar quell' e//wi .' nella mente,
don Abbondio, non che pensare a trasgredire una tal legge,
si pentiva anche dell'aver ciarlato con Perpetua. Fuggire?
Dove? E poi! Quant' impicci, e quanti conti da rendere! A
ogni partito che rifiutava, il pover' uomo si rivoltava nel let-
to Quello che, per ogni verso, gli parve il meglio o il men
male, fu di guadagnar tempo, menando Renzo per le lunghe.
Si rammentò a proposito, che mancavan pochi giorni al tempo
proibito alle nozze; — e, se posso tener a bada, per questi
pochi giorni, quel ragazzone, ho poi due mesi di respiro; e,
in due mesi, può nascer di gran cose. — Ruminò pre-
testi da metter in campo; e, benché gli paressero un po' leg-
gieri, pur s' andava rassicurando col pensiero che la sua auto-
16 I PROMESSI SPOSI.
rità gli avrebbe fatti parer di giusto peso, e che la sua antica
esperienza gli darebbe gran vantaggio sur un giovanetto
ignorante. — Vedremo, — diceva tra se: — egli pensa all'a-
morosa; ma io penso alla pelle: il più interessato son io,
lasciando stare che sono il più accorto. Figliuol caro, se tu
ti senti il bruciore addosso, non so che dire; ma io non vo-
glio andarne di mezzo. — Fermato così un poco l'animo a
una deliberazione, potè finalmente chiuder occhio: ma che
sonno! che sogni! Bravi, don Rodrigo, Renzo, viottole, rupi,
fughe, inseguimenti, grida, schioppettate.
Il primo svegliarsi, dopo una sciagura, e in un impiccio,
è un momento molto amaro. La mente, appena risentita, ri-
corre all'idee abituali della vita tranquilla antecedente; ma il
pensiero del nuovo stato di cose le si affaccia subito sgarba-
tamente; e il dispiacere ne è più vivo in quel paragone
istantaneo. Assaporato dolorosamente questo momento, don
Abbondio ricapitolò subito i suoi disegni della notte, si con-
fermò in essi, gli ordinò meglio, s'alzò, e sfette aspettando
Renzo con timore e, ad un tempo, con impazienza.
-"* Lorenzo o, come dicevan tutti, Renzo non si fece molto
aspettare. Appena gli parve ora di poter, senza indiscrezione,
presentarsi al curato, v' andò con la lieta furia d' un uomo di
vent' anni, che deve in quel giorno sposare quella che ama.
Era, fin dall'adolescenza, rimasto privo de' parenti , ed eser-
citava la professione di filatore di seta, ereditaria, per dir
così, nella sua famiglia; professione, negli anni indietro, assai
lucrosa; allora già in decadenza, ma non però a segno che
un abile operaio non potesse cavarne di che vivere onesta-
mente. Il lavoro andava di giorno in giorno scemando, ma
l'emigrazione continua de" lavoranti, attirati negli stati vicini
da promesse, da privilegi e da grosse paghe, faceva sì che
non ne mancasse ancora a quelli che rimanevano in paese.
Oltre di questo, possedeva Renzo un poderetto che faceva la-
vorare e lavorava egli stesso, quando il filatoio stava fermo;
di mode che, per la sua condizione, poteva dirsi agiato. E
quantunque quell' annata fosse ancor più scarsa delle antece-
denti, e già si cominciasse a provare una vera carestia, pure
il nostro giovine, che, da quando aveva messi gli occhi ad-
dosso a Lucia, era divenuto massaio, si trovava provvisto ba-
stantemente, e non aveva a contrastar con la fame. Comparve
davanti a don Abbondio, in gran gala, con penne di vario
colore al cappello, col suo pugnale del manico bello, nel ta-
schino de' calzoni, con una cert' aria di festa e nello stesso
tempo di braveria, comune allora anche agli uomini più
quieti. L' accoglimento incerto e misterioso di don Abbondio
fece un contrapposto singolare ai modi gioviali e risoluti del
giovinotto.
CAPITOLO II. 17
— Che abbia qualche pensiero per la testa, — argomentò
Renzo tra sé, poi disse: «son venuto, signor curato, per sa-
pere a che ora le comoda che ci troviamo in chiesa.')
«Di che giorno volete parlare?)
cCome, di che giorno? non si ricorda che s'è fissato per
oggi?,»
«Oggi?» replicò don Abbondio, come se ne sentisse par-
lare per la prima volta. < Oggi, oggi .... abbiate paziènza,
ma oggi non posso.»
«Oggi non può! Cos' è nato?»
«Prima di tutto, non mi sento bene, vedete.»
«Mi dispiace; ma quello che ha da fare è cosa di così
poco tempo, e di così poca fatica ....»>
« E poi, e poi, e poi .... »
«E poi che cosa?»
«E poi c'è degli imbrogli.»
«Degli imbrogli?
«Bisognerebbe trovarsi nei nostri piedi, per conoscer quanti
impicci nascono in queste materie, quanti conti s'ha da ren-
dere. Io scn troppo dolce di cuore, non penso che a levar
di mezzo gli ostacoli, a facilitar tutto, a far le cose secondo
il piacere altrui, e trascuro il mio dovere; e poi mi tocca
de' rimproveri, e peggio.»
Ma col nome del cielo, non mi tenga così sulla corda, e
mi dica chiaro e netto cosa e' è. »
Sapete voi quante e quante formalità ci vogliono per
fare un matrimonio in regola?»
«Bisogna ben ch'io ne sappia qualche cosa,» disse Ren-
zo, cominciando ad alterarsi, «poiché me ne ha già rotta
bastantemente la testa, questi giorni addietro. Ma ora non
s'è sbrigato ogni cosa? non s'è fatto tutto ciò che s'aveva
a fare?»
«Tutto, tutto, pare a voi: perchè abbiate pazienza, la
bestia son io, che trascuro il mio dovere, per non far penare
la gente. Ma ora .... basta, so quel che dico. Xoi poveri
curati siamo tra 1' ancudine e il martello : voi impaziente ; vi
compatisco, povero giovine; e i superiori .... basta, non si
può dir tutto. E noi siam quelli che ne andiam di mezzo.»
Ma mi spieghi una volta cos' è quest' altra formalità che
s' ha a fare, come dice ; e sarà subito fatta. »
«Sapete voi quanti sieno gl'impedimenti dirimenti?»
«Che vuol ch'io sappia d'impedimenti?»
i Error, conditio, votum, cognatio, crimen,
Cuìtus, dispariteti, vis, orcio, ìigamen, honestas,
Si sis affini s . . . .»
cominciava don Abbondio, contando sulla punta delle dita.
Manzoni. *
18 I PROMESSI SPOSI.
«Si piglia gioco di me?) interruppe il giovine. «Che
vuol ch'io faccia del suo latinorum?»
«Dunque, se noa sapete le cose, abbiate pazienza, e ri-
mettetevi a chi le sa.»
« Orsù ! .-...»
«Via, caro Renzo, non andate in collera, che son pronto
a fare .... tutto quello che dipende da me. Io, io vorrei
vedervi contento; vi voglio bene io. Eh! ... . quando penso
che stavate così bene; cosa vi mancava? v' è saltato il grillo
di maritarvi .... »
Che discorsi son questi, signor mio?» proruppe Renzo,
con un volto tra P attonito e 1* adirato.
'«Dico per dire, abbiate pazienza, dico per dire. Vorrei
vedervi contento.')
«In somma . . . .»
«In somma, figliaci caro, io non ci ho colpa; la legge
non V ho fatta io. E prima di conchiudere un matrimonio,
noi siam proprio obbligati a far molte e molte ricerche, per
assicurarci che non ci siano impedimenti.»
«Ma via, mi dica una volta che impedimento è soprav-
venuto?»
Abbiate pazienza, non son cose da potersi decifrare così
su due piedi. Non ci sarà niente, così spero; ma, nonostan-
te, queste ricerche noi le dobbiam fare. Il testo è chiaro e
lampante: antequam matrimonium denunciet . . . .»
«Le ho detto che non voglio latino.»
«iMa bisogna pur che vi spieghi . . . .»
«Ma non le ha già fatte queste ricerche?»
«Non le ho fatte tutte, come avrei dovuto, vi dico.»
«Perchè non le ha fatte a tempo? perchè dirmi che tutto
era finito? perchè aspettare . . . .»
«Ecco! mi rimproverate la mia troppa bontà. Ho facili-
tato ogni cosa per servirvi più presto: ma .... ma ora mi
son venute .... basta, so io. »
<. E che vorrebbe eh' io facessi?»
«Che aveste pazienza per qualche giorno. Figliuol caro,
qualche giorno non è poi l'eternità: abbiate pazienza.»
«Per quanto?»
— Siamo a buon porto, — pensò tra sé don Abbondio;
e, con un fare più manieroso che mai, «via,» disse: «in
quindici giorni cercherò .... procurerò .... »
«Quindici giorni! oh questa sì eh' è nuova! s' è fatto tutto
ciò che ha voluto lei; s'è fissato il giorno; il giorno arriva;
e ora lei mi viene a dire che aspetti quindici giorni! Quin-
dici ....» riprese poi, con voce più alta e stizzosa, stenden-
do il braccio, e battendo il pugno nell'aria; e chi sa qual
diavoleria avrebbe attaccata a quel numero, se don Abbondio
CAPITOLO II. 19
non l'avesse interrotto, prendendogli l'altra mano, con una
amorevolezza timida e premurosa: «via, via non v' alterate,
per amor del cielo. Vedrò, cercherò se, in una settimana .... »
«E a Lucia che devo dire?»
«Ch'è stato un mio sbaglio.»
«E i discorsi del mondo?»
«Dite pure a tutti, che ho sbagliato io, per troppa furia,
per troppo buon cuore; gettate tutta la colpa addosso a me.
Posso parlar meglio? via per una settimana.»
«E poi, non ci sarà più altri impedimenti?»
« Quando vi dico .... »
«Ebbene: avrò pazienza per una settimana; ma ritenga
bene che, passata questa, non m'appagherò più di chiac-
chiere. Intanto la riverisco.» E così detto, se n'andò, fa-
cendo a don Abbondio un inchino men profondo del solito,
e dandogli un' occhiata più espressiva che riverente.
Uscito poi, e camminando di mala voglia, per la prima
volta, verso la casa della sua promessa, in mezzo alla stizza,
tornava con la mente su quel colloquio; e sempre più lo tro-
vava strano. L' accoglienza fredda e impicciata di don Abbon-
dio, quel suo parlare stentato insieme e impaziente, que' due
occhi grigi che, mentre parlava, eran sempre andati scappan-
do qua e là, come se avesser avuto paura d'incontrarsi con
le parole che gli uscivan di bocca, quel farsi quasi nuovo del
matrimonio così espressamente concertato, e sopra tutto quel-
1' accennar sempre qualche gran cosa, non dicendo mai nulla di
chiaro; tutte queste circostanze messe insieme facevan pensare
a Renzo che ci fosse sotto un mistero diverso da quello che
don Abbondio aveva voluto far credere. Stette il giovine in
forse un momento di tornare indietro, per metterlo alle stret-
te, e farlo parlar più chiaro; ma alzando gli occhi, vide Per-
petua che camminava dinanzi a lui, ed entrava in un orticello
pochi passi distante dalla casa. Le diede una voce, mentre
essa apriva l'uscio; studiò il passo, la raggiunse, la ritenne
sulla soglia, e, col disegno di scovar qualche cosa di più po-
sitivo, si fermò ad attaccar discorso con essa.
«Buon giorno, Perpetua: io speravo che oggi si sarebbe
stati allegri insieme.»
«Ma! quel che Dio vuole, il mio povero Renzo.»
«Fatemi un piacere: quel benedett' uomo del signor curato
m'ha impastocchiate certe ragioni che non ho potuto ben ca-
pire; spiegatemi voi meglio perchè non può o non vuole ma-
ritarci oggi.»
«Oh! vi par egli ch'io sappia i segreti del mio padrone?»
— L'ho detto io, che c'era mistero sotto, — pensò Ren-
zo; e, per tirarlo in luce, continuò: «via, Perpetua; siamo
amici; ditemi quel che sapete, aiutate un povero figliuolo.»
2*
20 1 PROMESSI SPOSI.
cMala cosa nascer povero, il mio caro Renzo.»
«È vero,» riprese questo, sempre più confermandosi ne'
suoi sospetti; e. cercando d'accostarsi più alla questione, «è
vero,» soggiunse, «ma tocca ai preti a trattar male co' po-
veri?»
«Sentite Renzo: io non posso dir niente, perchè .... non
so niente; ma quello che vi posso assicurare è che il mio pa-
drone non vuol far torto, né a voi né a nessuno; e lui non
ci ha colpa.»
«Chi è dunque che ci ha colpa?» domandò Renzo, con
un cert' atto trascurato, ma col cuor sospeso, e con 1' orecchio
all' erta.
«Quando vi dico che non so niente ... In difesa del
mio padrone, posso parlare; perchè mi fa male sentire che
gli si dia carico di voler far dispiacere a qualcheduno. Po-
veruomo! se pecca, è per troppa bontà. C'è bene a questo
mondo de' birboni, dei prepotenti, degli uomini senza timor di
Dio .... »
— Prepotenti! birboni! — pensò Renzo: — questi non
sono i superiori. «Via,» disse poi nascondendo a stento
l'agitazione crescente, «via ditemi chi è.»
«Ah! voi vorreste farmi parlare: e io non posso parlare,
perchè .... non so niente: quando non so niente, è come
se avessi giurato di tacere. Potreste darmi la corda, che non
mi cavereste nulla di bocca. Addio; è tempo perduto per
tutte due.» Così dicendo, entrò in fretta nell'orto, e chiuse
l'uscio. Renzo, rispostole con un saluto, tornò indietro pian
piano, per non farla accorgere del cammino che prendeva;
ma quando fu fuor del tiro dell' orecchio della buona donna,
allungò il passo; in un momento fu all'uscio di don Abbon-
dio; entrò, andò diviato al salotto dove l'aveva lasciato, velo
trovò, e corse verso lui, con un fare ardito, e con gli occhi
stralunati.
«Eh! eh! che novità è questa?» disse don Abbondio.
«Chi è quel prepotente,» disse Renzo, con la voce d'un
uomo risoluto d'ottenere una risposta precisa, «chi è quel
prepotente che non vuol ch'io sposi Lucia?»
cChe? che? che?» balbettò il povero sorpreso, con un
volto fatto in un istante bianco e floscio, come un cencio che
esca del bucato. E, pur brontolando, spiccò un salto dal suo
seggiolone, per lanciarsi all'uscio. Ma Renzo, che doveva
aspettarsi quella mossa, e stava all' erta, vi balzò prima di lui,
girò la chiave, e se la mise in tasca.
«Ah! ah! parlerà ora, signor curato? Tutti sanno i fatti
miei, fuori di me. Voglio saperli, per bacco, anch' io. Come
si chiama colui?»
CAPITOLO li. 21
«Renzo! Renzo! per carità, badate a quel che fate; pen-
sate all' anima vostra.»
«Penso che voglio saper subito, sul momento.» E, così
dicendo, mise, forse senz' avedersene, la mano sul manico del
coltello che gli usciva dal taschino.
('Misericordia!» sclamò con voce fioca don Abbondio.
«Lo voglio sapere.»
« Chi v' ha detto .... »
«No, no; non più fandonie. Parli chiaro e subito.»
«Mi volete morto?»
«Voglio sapere ciò che ho ragion di sapere. >
«Ma se parlo, son morto. Non m'ha da premere la mia
vita?»
«Dunque parli.»
Quel «dunque» fu proferito con una tal energia, l'aspetto
di Renzo divenne così minaccioso, che don Abbondio non
potè più nemmen supporre la possibilità di disubbidire.
Mi promettete, mi giurate,» disse, «di non parlarne con
nessuno, di non dir mai ....?»
«Le prometto che fo uno sproposito, se lei non mi dice
subito subito il nome di colui. »
A quel nuovo scongiuro, don Abbondio, col voltò, e con
lo sguardo di chi ha in bocca le tenaglie del cavadenti, pro-
ferì : « don ....»>
«Don» ripetè Renzo, come per aiutare il paziente a but-
tar fuori il resto ; e stava curvo con 1" orecchio chino sulla
bocca di lui, con le braccia tese, e i pugni stretti all' in-
dietro.
«Don Rodrigo!» pronunziò in fretta il forzato, precipi-
tando quelle poche sillabe, e strisciando le consonanti, parte
per il turbamento, parte perchè, rivolgendo pure quella poca
attenzione che gli rimaneva libera, a fare una transazione
tra le due" paure, pareva che volesse sottrarre e fare scom-
parir la parola, nel punto stesso ch'era costretto a metterla
fuori.
«Ah cane!» urlò Renzo. «E come ha fatto? Cosa le
ha detto per ....?»
«Come eh? come?» rispose, con voce quasi sdegnosa, don
Abbondio, il quale, dopo un sì gran sacrifizio, si sentiva in
certo modo divenuto creditore, e Come eh? Vorrei che la
fosse toccata a voi, come è toccata a me, che non e' entro per
nulla; che certamente non vi sarebber rimasti tanti grilli in
capo. » E qui si fece a dipinger con colori terribili il brutto
incontro: e, nel discorrere, accorgendosi sempre più d'una
gran collera che aveva in corpo, e che fin allora era stata
nascosta e involta nella paura, e vedendo nello stesso tempo
che Renzo, tra la rabbia e la confusione, stava immobile, col
22 I PROMESSI SPOSI.
capo basso, continuò allegramente: «avete fatta una bella
azione! M'avete reso un bel servizio! Un tiro di questa sorte
a un galantuomo, al vostro curato! in casa sua! in luogo sa-
cro! Avete fatta una bella prodezza! Per cavarmi di bocca
il mio malanno , il vostro malanno ! ciò eh' io vi nascondeva
per prudenza, per vostro bene! E ora che lo sapete? Vor-
rei vedere che mi faceste . . . .! Per amor del cielo! Non si
scherza. Non si tratta di torto o di ragione ; si tratta di for-
za. E quando, questa mattina, vi dava un buon parere ....
eh! subito nelle furie. Io aveva giudizio per me e per voi:
ma come si fa? Aprite almeno; datemi la mia chiave.»
«Posso aver fallato,» rispose Renzo, con voce raddolcita
verso don Abbondio, ma nella quale si sentiva il furore con-
tro il nemico scoperto: «posso aver fallato; ma si metta la
mano al petto, e pensi se nel mio caso . . . .»
Così dicendo, s'era levata la chiave di tasca, e andava ad
aprire. Don Abbondio gli andò dietro, e, mentre quegli gi-
rava la chiave nella toppa, se gli accostò, e, con volto serio
e ansioso, alzandogli davanti agli occhi le tre dita della de-
stra, come per aiutarlo anche lui dal canto suo, «giurate al-
meno .... » gli disse.
«Posso aver fallato; e mi scusi,» rispose Renzo, apren-
do, e disponendosi ad uscire.
«Giurate . . . . » replicò don Abbondio, afferrandogli il
braccio con la mano tremante.
«Posso aver fallato,» ripetè Renzo, sprigionandosi da
lui; e partì in furia, troncando così la questione, che, al pari
d' una questione di letteratura o di filosofia o d' altro, avrebbe
potuto durar dei secoli, giacché ognuna delle parti non fa-
ceva che replicare il suo proprio argomento.
«Perpetua! Perpetua!» gridò don Abbondio, dopo avere
invano richiamato il fuggitivo. Perpetua non risponde: don
Abbondio non sapeva più in che mondo si fosse.
È accaduto più d' una volta a personaggi di ben più alto
affare che don Abbondio, di trovarsi in frangenti cosi fasti-
diosi, in tanta incertezza di partiti, che parve loro un ottimo
ripiego mettersi a letto con la febbre. Questo ripiego, egli
non lo dovette andare a cercare, perchè gli si offerse da sé.
La paura del giorno avanti, la veglia angosciosa della notte,
la paura avuta in quel momento, l'ansietà dell'avvenire, fe-
cero 1' effetto. Affannato e balordo, si ripose sul suo seggiolo-
ne, cominciò a sentirsi qualche brivido nell'ossa, si guardava
le unghie sospirando, e chiamava di tempo in tempo, con voce
remolante e stizzosa. «Perpetua!» La venne finalmente,
ton un gran cavolo sotto il braccio , e con la faccia tosta,
ome se nulla fosse stato. Risparmio al lettore i lamenti, le
ondoglianze, le accuse, le difese, i «voi sola potete aver par-
CAPITOLO II. 23
lato,» e i e non ho parlato, » tutti i pasticci in somma di
quel colloquio. Basti dire che don Abbondio ordinò a Per-
petua di metter la stanga all'uscio, di non aprir più per
nessuna cagione, e, se alcun bussasse, risponder dalla fine-
stra che il curato era andato a letto con la febbre. Salì poi
lentamente le scale dicendo, ogni tre scalini, «son servi-
to;» e si mise davvero a letto, dove lo lasceremo.
Renzo intanto camminava a passi infuriati verso casa,
senza aver determinato quel che dovesse fare, ma con una
smania addosso di far qualcosa di strano e di terribile. I
provocatori, i soverchiatori, tutti coloro che. in qualunque
modo, fanno torto altrui, sono rei, non solo del male che
commettono , ma del pervertimento ancora a cui portano gli
animi degli offesi. Renzo era un giovine pacifico^ e alieno
dal sangue, un giovine schietto e nemico d'ogni insidia:
ma, in que' momenti, il suo cuore non batteva che per V o-
micidio, la sua mente non era occupata che a fantasticare
un tradimento. Avrebbe voluto correre alla casa di don Ro-
drigo, afferrarlo per il collo, e . . . . ma gli veniva in mente
ch'era come una fortezza, guarnita di bravi al di dentro, e
guardata al di fuori ; che i soli amici e servitori ben cono-
sciuti v' entravan liberamente, senza esser squadrati da capo
a piedi; che un artigianello sconosciuto non vi potrebb" en-
trare senza un esame, e ch'egli sopra tutto .... egli vi sa-
rebbe forse troppo conosciuto. Si figurava allora di prendere
il suo schioppo, d'appiattarsi dietro una siepe, aspettando se
mai, se mai colui venisse a passar solo; e, internandosi con
feroce compiacenza, in quell'immaginazione, si figurava di
sentire una pedata, quella pedata, d* alzar chetamente la te-
sta; riconosceva lo scellerato, spianava lo schioppo, prendeva
la mira, sparava, lo vedeva cadere e dare i tratti, gli lan-
ciava una maledizione, e correva sulla strada del confine a
mettersi in salvo. — E Lucia? — Appena questa parola si
fu gettata a traverso di quelle bieche fantasie, i migliori
pensieri a cui era avvezza la mente di Renzo, v'entrarono
in folla. Si rammentò degli ultimi ricordi de' suoi parenti,
si rammentò di Dio, della Madonna e de' santi, pensò alla
consolazione che aveva tante volte provata di trovarsi senza
delitti , all' orrore che aveva tante volte provato al rac-
conto d'un omicidio: e si risvegliò da quel sogno di sangue.
con ispavento, con rimorso, e insieme con una specie di
gioia di non aver fatto altro che immaginare. Ma il pensiero
di Lucia, quanti pensieri tirava seco! Tante speranze, tante
promesse, un avvenire così vagheggiato, e così tenuto sicuro,
e quel giorno così sospirato! E come, con che parole
annunziarle una tal nuova? E poi, che partito prendere?
Come farla sua, a dispetto della forza di quell'iniquo potente?
24 I PROMESSI SPOSI.
e insieme a tutto questo, non un sospetto formato, ma un' om-
bra tormentosa gli passava la mente. Quella soverchieria di
don Rodrigo non poteva esser mossa che da una brutale
passione per Lucia. E Lucia? Che avesse data a colui la
più piccola occasione, la più leggiera lusinga, non era un
pensiero che potesse fermarsi un momento nella testa di
Renzo. Ma n' era informata? Poteva colui aver concepita
queir infame passione senza che lei se ir avvedesse? Avrebbe
spinte le cose tanto in là, prima d'averla tentata in qualche
modo? E Lucia non ne aveva mai detta una parola a lui!
al suo promesso!
Dominato da questi pensieri, passò davanti a casa sua, ch'era
nel mezzo del villaggio e attraversatolo , s' avviò a quella
di Lucia, ch'era in fondo, anzi un po' fuori. Aveva quella
casetta un piccolo cortile dinanzi, che la separava dalla stra-
da, ed era cinta da un murettino. Renzo entrò nel cortile, e
sentì un misto e continuo ronzìo che veniva da una stanza
di sopra. S'immaginò che sarebbero amiche e comari, ve-
nute a far corteggio a Lucia: e non si volle mostrare a
quel mercato con quella nuova in corpo e sul volto. Una
fanciullata che si trovava nel cortile, gli corse incontro gri-
dando: do sposo! lo sposo.'
« Zitta, Bettina, zitta!) disse Renzo. «Yien qua; va su
da Lucia, tirala in disparte, e dille all'orecchio .... ma che
nessun senta, né sospetti di nulla, ve' .... dille che ho da
parlarle, che 1' aspetto nella stanza terrena, e che venga subito.»
La fanciulletta salì in fretta le scale, lieta e superba d' avere
una commission segreta da eseguire.
Lucia usciva in quel momento tutta attillata dalle mani
della madre. Le amiche si rubavano la sposa, e le facevan
forza perchè si lasciasse vedere; e lei s'andava schermendo,
con quella modestia un po' guerriera delle contadine, facen-
dosi scudo alla faccia col gomito, chinandola sul busto, e
aggrottando i lunghi e neri sopraccigli, mentre però la bocca
s: apriva al sorriso. I neri e giovanili capelli, spartiti sopra la
fronte, con una bianca e sottile dirizzatura, si ravvolgeva:],
dietro il capo, in cerchi moltiplici di trecce, trapassate da
lunghi spilli d'argento, che si dividevano all'intorno, quasi
a guisa de' raggi d' un' aureola, come ancora usano le conta-
dine nel Milanese. Intorno al collo aveva un vezzo di gra-
nati alternati con bottoni d'oro a filigrana: portava un bel
busto di broccato a fiori, con le maniche separate e allacciate
da bei nastri: una corta gonnella di filaticcio di seta, a pie-
ghe fitte e minute, due calze vermiglie, due pianelle, di seta
anch'esse, a ricami. Oltre a questo, ch'era l'ornamento par-
ticolare del giorno delle nozze. Lucia aveva quello quotidiano
d'una modesta bellezza, rilevata allora e accresciuta dalle
CAPITOLO II. 25
varie affezioni che le si dipingerai! sul viso: una gioia tem-
perata da un turbamento leggiero, quel placido accoramento
che si mostra di quand' in quando sul volto delle spose, e
senza scompor la bellezza, le dà un carattere particolare.
La piccola Bettina si cacciò nel crocchio, s'accostò a Lucia,
le fece intendere accortamente che aveva qualcosa da comu-
nicarle, e le disse la sua parolina all' orecchio.
«Vo un momento, e torno,» disse Lucia alle donne; e
scese in fretta. Al veder la faccia mutata, e il portamento
inquieto di Renzo, «cosa c'è?» disse, non senza un presen-
timento di terrore.
(Lucia!» rispose Renzo, «per oggi tutto è a monte; e Dio
sa quando potremo esser marito e moglie.»
«Che?» disse Lucia tutta smarrita. Renzo le raccontò
brevemente la storia di quella mattina: ella ascoltava con
angoscia; e quando udì il nome di don Rodrigo, «ah!»
sclamò, arrossendo e tremando, «fino a questo segno!»
«Dunque voi sapevate ....?» disse Renzo.
«Pur troppo!» rispose Lucia; «ma a questo segno!»
«Che cosa sapevate?»
«Non mi fate ora parlare, non mi fate piangere. Corro
a chiamar mia madre, e a licenziar le donne: bisogna che
siam soli.»
Mentre ella partiva, Renzo susurrò: «non m'avete mai
detto niente.»
«Ah, Renzo!» rispose Lucia, rivolgendosi un momento,
senza fermarsi. Renzo intese benissimo che il suo nome pro-
nunziato in quel momento, con quel tono, da Lucia, vo-
leva dire : potete voi dubitare eh' io abbia taciuto se non per
motivi giusti e puri?
Intanto la buona Agnese (cosi si chiamava la madre di
Lucia), messa in sospetto e in curiosità dalla parolina all'o-
recchio, e dallo sparir della figlia, era discesa a veder cosa
c'era di nuovo. La figlia la lasciò con Renzo, tornò alle
donne radunate, e, accomodando l'aspetto e la voce, come
potè meglio, disse: «il signor curato è ammalato; e oggi
non si fa nulla.» Ciò detto, le salutò tutte in fretta, e scese
di nuovo.
Le donne sfilarono, e si sparsero a raccontar l'accaduto.
Due o tre andaron fino all'uscio del curato, per verificar se
era ammalato davvero.
«Un febbrone,» rispose Perpetua dalla finestra; e la tri-
sta parola, riportata all'altre, troncò le congetture che già
cominciavano a brulicar ne' loro cervelli, e ad annunziarsi
tronche e misteriose ne' loro discorsi.
20 I PROMESSI SPOSI.
CAPITOLO III.
Lucia entrò nella stanza terrena, mentre Renzo stava
angosciosamente informando Agnese, la quale angosciosa-
mente ascoltava. Tutt' e due si volsero a chi ne sapeva
più di loro, e da cui aspettavano uno schiarimento, il quale
non poteva essere che doloroso: tutt' e due, lasciando tra-
vedere, in mezzo al dolore, e con 1' amore diverso, che ognun
d' essi portava a Lucia, un cruccio pur diverso perchè avesse
taciuto loro qualche cosa, e una tal cosa. Agnese, benché
ansiosa di sentir parlare la figlia, non potè tenersi di non
farle un rimprovero. « A tua madre non dir niente d' una
cosa simile!»
«Ora vi dirò tutto,» rispose Lucia, asciugandosi gli oc-
chi col grembiule
«Parla, parla! — Parlate, parlate !> gridarono a un tratto
la madre e lo sposo.
«Santissima Vergine!» esclamò Lucia: «chi avrebbe cre-
duto che le cose potessero arrivare a questo segno ! » E, con
voce rotta dal pianto, raccontò come, pochi giorni prima,
mentre tornava dalla filanda, ed era rimasta indietro dalle
sue compagne, le era passato innanzi don Rodrigo, in com-
pagnia d'un altro signore; che il primo aveva cercato di trat-
tenerla con chiacchiere, com' ella diceva, non punto belle;
ma essa senza dargli retta, aveva affrettato il passo, e rag-
giunte le compagne ; e intanto aveva sentito queir altro signore
rider forte, e don Rodrigo dire: scommettiamo. Il giorno do-
po, coloro s' eran trovati ancora sulla strada; ma Lucia era
nel mezzo delle compagne, con gli occhi bassi; e l'altro si-
gnore sghignazzava, e don Rodrigo diceva: vedremo, ve-
dremo. « Per grazia del cielo,» continuò Lucia, «quel giorno
era l'ultimo della filanda. Io raccontai subito . . . .»
«A chi hai raccontato?» domandò Agnese, andando in-
contro, non senza un po' di sdegno, al nome del confidente
preferito.
«Al padre Cristoforo, in confessione, mamma,'! rispose
Lucia, con un accento soave di scusa. «Gli raccontai tutto
1' ultima volta che siamo andate insieme alla chiesa del con-
vento; e, se vi ricordate, quella mattina, io andava mettendo
mano ora a una cosa, ora a un'altra, per indugiare, tanto
che passasse altra gente del paese avviata a quella volta, e
far la strada in compagnia con loro; perchè, dopo quell'in-
contro, le strade mi facevan tanta paura . . . .»
Al nome riverito del padre Cristoforo, lo sdegno d' Agnese
si raddolcì. «Hai fatto bene,» disse, una perchè non rac-
contar tutto anche a tua madre?»
CAPITOLO III. 27
Lucia aveva avute due buone ragioni: l'una, di non con-
tristare né spaventare la buona donna, per cosa alla quale
essa non avrebbe potuto trovar rimedio ; 1' altra , di non met-
ter a rischio di viaggiar per molte bocche una storia che
voleva esser gelosamente sepolta: tanto più che Lucia spe-
rava che le sue nozze avrebber troncata, sul principiare, quel-
1' abbominata persecuzione. Di queste due ragioni però, non
allegò che la prima.
«E a voi,» disse poi rivolgendosi a Renzo, con quella
voce che vuol far riconoscere a un amico che ha avuto
torto: «e a voi doveva io parlar di questo? Pur troppo lo
sapete ora!»
«E che t'ha detto il padre?» domandò Agnese.
< M" ha detto che cercassi d' affrettar le nozze il più che
potessi, e intanto stessi rinchiusa; che pregassi bene il Si-
gnore; e che sperava che colui, non vedendomi, non si cu-
rerebbe più di me. E fu allora che mi sforzai,» proseguì,
rivolgendosi di nuovo a Renzo, senza alzargli però gli occhi
in viso, e arrossendo tutta, «fu allora che feci la sfacciata,
e che vi pregai io che procuraste di far presto, e di con-
cludere prima del tempo che s'era stabilito. Chi sa cosa avrete
pensato di me! Ma io facevo per bene, ed ero stata consi-
gliata, e tenevo per certo .... e questa mattina, ero tanto
lontana da pensare . . . .» Qui le parole furon troncate da
un violento scoppio di pianto.
«Ah birbone! ah dannato! ah assassino!» gridava Renzo,
correndo innanzi e indietro per la stanza, e stringendo di
tanto in tanto il manico del suo coltello.
«Oh che imbroglio, per amor di Dio!» esclamava Agnese.
Il giovine si fermò d' improvviso davanti a Lucia che piange-
va; la guardò con un atto di tenerezza mesta e rabbiosa, e
disse: «questa è l'ultima che fa queir assassino.»
«Ah! no, Renzo, per amor del cielo!» gridò Lucia. «No,
no, per amor del cielo! Il Signore c'è anche per i poveri,
e come volete che ci aiuti, se facciam del male?»
«No, no, per amor del cielo!» ripeteva Agnese.
«Renzo», disse Lucia, con un' aria di speranza e di ri-
soluzione più tranquilla: «voi avete un mestiere e io so la-
vorare: andiamo tanto lontano, che colui non senta più par-
lar di noi.»
«Ah Lucia! e poi? Non siamo ancora marito e moglie!
Il curato vorrà farci la fede di stato libero? Un uomo come
quello? Se fossimo maritati, oh allora ....!»
Lucia si rimise a piangere: e tutt' e tre rimasero in si-
lenzio, e in un abbattimento che faceva un tristo contrapposto
alla pompa festiva de' loro abiti.
«Sentite, figliuoli; date retta a me,» disse dopo qualche
28 I PROMESSI SPOSI.
momento Agnese. «Io son venuta al mondo prima di voi;
e il mondo lo conosco un poco. Non bisogna poi spaven-
tarsi tanto: il diavolo non è brutto quanto si dipinge. A noi
poverelli le matasse paion più imbrogliate, perchè non sap-
piam trovarne il bandolo: ma alle volte un parere, una paro-
lina d' un uomo che abbia studiato .... so ben io quel che
voglio dire. Fate a mio modo, Renzo; andate a Lecco; cer-
cate del dottor Azzecca -garbugli, raccontategli .... Ma non
lo chiamate così, per amor del cielo: è un soprannome. Biso-
gna dire il signor dottor .... Come si chiama ora? Oh to' ì
nonio so il nome vero: lo chiaman tutti a quel modo. Basta,
cercate di quel dottore alto, asciutto, pelato, col naso rosso,
e una voglia di lampone sulla guancia.»
«Lo conosco di vista,» disse Renzo.
«Bene,» continuò Agnese: «quello è una cima d'uomo!
Ho visto io più d' uno eh' era più impicciato che un pulcin
nella stoppa, e non sapeva dove batter la testa, e, dopo es-
sere stato un'ora a quattr'occhi col dottor Azzecca- garbugli,
(badate bene di non chiamarlo così!) l'ho visto, dico, rider-
sene. Pigliate quei quattro capponi, poveretti! a cui dovevo
tirare il collo, per il banchetto di domenica, e portateglieli;
perchè non bisogna mai andar con le mani vuote da que' si-
gnori. Raccontategli tutto V accaduto ; e vedrete che vi dirà,
su due piedi, di quelle cose che a noi non verrebbero in te-
sta, a pensarci un anno.»
Renzo abbracciò molto volentieri questo parere; Lucia 1' ap-
provò; e Agnese, superba d'averlo dato, levò a una a una,
le povere bestie dalla stia, riunì le loro otto gambe, come
se facesse un mazzetto di fiori, le avvolse e le strinse con
uno spago, e le consegnò in mano a Renzo: il quale, date
e ricevute parole di speranza, uscì dalla parte dell'orto, per
non esser veduto da' ragazzi, che gli correrebber dietro, gri-
dando: lo sposo! lo sposo! Così attraversando i campi, o,
come dicon colà, i luoghi, se n'andò per viottole, fremendo,
ripensando alla sua disgrazia , e ruminando il discorso da
fare al dottor Azzecca -garbugli. Lascio poi pensare al lettore,
come dovessero stare in viaggio quelle povere bestie, così
legate e tenute per le zampe, a capo all' ingiù, nella mano
d'un uomo il quale, agitato da tante passioni, accompagnava
col gesto i pensieri che gli passavan a tumulto per la mente.
Ora stendeva il braccio per collera, ora l'alzava per dispe-
razione, ora lo dibatteva in aria come per minaccia, e, in
tutti i modi, dava loro di fiere scosse, e faceva balzare quelle
quattro teste spenzolate; le quali intanto s' ingegnavano a bec-
carsi l'una con l'altra, come accade troppo sovente tra com-
pagni di sventura.
Giunto al borgo, domandò dell'abitazione del dottore; gli
CAPITOLO IH. 29
fu indicata, e v'andò. All'entrare si sentì preso da quella
suggezione che i poverelli illetterati provano in vicinanza d' un
signore e d' un dotto, e dimenticò tutti i discorsi che aveva
preparati: ma diede un'occhiata ai capponi, e si rincorò. En-
trato in cucina, domandò alla serva se si poteva parlare al
signor dottore. Adocchiò essa le bestie, e, come avvezza a
somiglianti doni, mise loro le mani addosso, quantunque Ren-
zo andasse tirando indietro, perchè voleva che il dottore ve-
desse e sapesse che egli portava qualche cosa. Capitò appun-
to mentre la donna diceva: -date qui, e andate innanzi..)
Renzo fece un grande inchino : il dottore P accolse umana-
mente, con un venite, figliuolo," e lo fece entrar con sé
nello studio. Era questo uno stanzone, su tre pareti del
quale eran distribuiti i ritratti de' dodici Cesari; la quarta,
coperta da un grande scaffale di libri vecchi e polverosi: nel
mezzo una tavola gremita d'allegazioni, di suppliche, di li-
belli, di gride, con tre o quattro seggiole ali" intorno, e da
una parte un seggiolone a braccioli, con una spalliera alta e
quadrata, terminata agli angoli da due ornamenti di legno,
che s'alzavano a foggia di corna, coperta di vacchetta, con
grosse borchie, alcune delle quali, cadute da gran tempo, la-
sciavano in liberta gli angoli della copertura, che s'accartoc-
ciava qua e là. Il dottore era in veste da camera, cioè co-
perto d'una toga ormai consunta, che gli aveva servito, niol-
t' anni addietro, per perorare, nei giorni d'apparato, quando
andava a Milano, per qualche causa d! importanza. Chiuse
l'uscio, e fece animo al giovine, con queste parole: -'figliuolo,
ditemi il vostro caso.»
■ Vorrei dirle una parola in confidenza.»
cSon qui.» rispose il dottore; «parlate.» E s'accomo-
dò sul seggiolone. Renzo, ritto davanti alla tavola, con una
mano nel cocuzzolo del capello, che faceva girar con l'altra,
ricominciò: «vorrei sapere da lei che ha studiato . . . .»
«Ditemi il fatto come sta," interruppe il dottore.
cLei m'ha da scusare: noi altri poveri non sappiamo
parlar bene. Vorrei dunque sapere . . . .»
«Benedetta gente! siete tutti così: in vece di raccontar
il fatto, volete interrogare, perchè avete già i vostri disegni
in testa.»
- Mi scusi, signor dottore. Vorrei sapere se, a minacciare
un curato, perchè non faccia un matrimonio, e' è penale.
— Ho capito, — diss-3 tra sé il dottore, che in verità non
aveva capito. — Ho capito — E subito si fece serio, ma
d'una serietà mista di compassione e di premura; strinse for-
temente le labbra, facendone uscire un suono inarticolato
che accennava un sentimento, espresso poi più chiara
nelle sue prime parole. (Caso serio, figliuolo; caso contem-
30 1 PROMESSI SPOSI.
piato. Avete fatto bene a venir da me. È un caso chiaro,
contemplato in cento gride, e . . . . appunto in una dell'anno
scorso , deir attuale signor governatore. Ora vi fo vedere , e
toccar con mano.»
Così dicendo, s'alzò dal suo seggiolone, e cacciò le mani
in quel caos di carte, rimescolandole dal sotto in su, come
se mettesse grano in uno staio.
«Dov'è ora? Vien fuori, vien fuori. Bisogna aver tante
cose alle mani! Ma la dev'essere qui sicuro, perchè è una
grida d'importanza. Ah! ecco, ecco.» La prese, la spiegò,
guardò alla data, e, fatto un viso ancor più serio, esclamò:
«il 15 d'ottobre 1627! Sicuro; è dell'anno passato; grida
fresca; son quelle che fanno più paura. Sapete leggere, fi-
gliuolo?»
«Un pochino, signor dottore.»
«Bene, venitemi dietro con l'occhio, e vedrete.»
E, tenendo la grida sciorinata in aria, cominciò a leggere,
borbottando a precipizio in alcuni passi e fermandosi distin-
tamente, con grand' espressione, sopra alcuni altri, secondo
il bisogno:
ytaSe bene, per la grida pubblicata d'ordine dei signor
Duca di Feria ai 14 di dicembre 1620, et confirmata dal-
l' Illustrisi . et Eccellenti ss. Signore il Signor Gonzalo Fer-
nandez de Cordova, eccetera, fu con rimedii straordinarii
e rigorosi provvisto alle oppressioni, concussioni ed atti ti-
rannici che alcuni ardiscono di commettere contro, questi
Vassalli tanto dicoti di S. M., ad ogni modo la frequenza
degli eccessi, e la malitia, eccetera, e cresciuta a segno, che
ha posto in necessità V Eccell. Sua, eccetera. Onde col
parere del Senato et di una Giunta, eccetera, ha risoluto
che si pubblichi la presente.
«E cominciando dagli atti tirannici, mostrando V espe-
rienza che molti, così nelle Gitici, come nelle Ville .... sen-
tite? di questo Stato, con tirannide esercitano concussioni
et opprimono i più deboli in varii modi, come in operare
che si facciano contratti violenti di compre, d1 affitti ....
eccetera: dove sei? ah! ecco: sentite: che seguano o non se-
guano matrimonii. Eh?»
«È il mio caso,» disse Renzo.
«Sentite, sentite, c'è ben altro; e poi vedremo la pena.
Si testifichi, o non si testifichi, che uno si parta dal luogo
dove abita, eccetera; che quello paghi un debito; quelV al-
tro non lo molesti, quello vada ed suo molino: tutto questo
non ha che far con noi. Ah ci siamo : quel prete non faccia
quello che è obbligato per V uficio suo, o faccia cose che non
gli toccano. Eli?
(■Pare che abbian fatta la grida apposta per me.»
CAPITOLO III. 31
«Eh? non è vero? sentite, sentite: et altre simili violenze,
quali seguono da feudatari! , nobili, mediocri, vili, e plebei.
Non se ne scappa; ci son tutti: è come la valle di Giosafat.
Sentite ora la pena. Tutte queste et altre simili male attio-
ni, benché siano proibite, nondimeno, convenendo metter ma-
no a maggiore rigore, S. E., per la presente, non derogan-
do, eccetera, ordina e comanda che contro- li contravven-
tori in qualsivoglia dei suddetti capi, o altro simile, si
proceda da tutti li giudici ordinarti di questo Stato a pe-
na pecuniaria e corporale, ancora di relegatione o di ga-
lera, e fino alla morte .... una piccola bagattella! alV arbi-
trio dell1 Eccellenza Sua, o del Senato, secondo la qualità
dei casi, persone e circostanze. E questo ir-re-mis-si-bil-
men-te e con ogni rigore, eccetera. Ce n' è della roba, eh?
E vedete qui le sottoscrizioni: Gonzalo Fernandez de Cor-
dova; e più in giù: Platonus; e qui ancora: Vidit Ferver:
non ci manca niente.» /\
Mentre il dottore leggeva, Renzo gli andava dietro len-
tamente con l'occhio, cercando di cavar il costrutto chiaro,
o di mirar proprio, quelle sacrosante parole, che gli pare-
vano dover essere il suo aiuto. Il dottore, vedendo il nuovo
cliente più attento che atterrito, ei maravigliava. — Che sia
matricolato costui, — pensava tra sé: «Ah! Ah!» gli disse
poi: «vi siete però fatto tagliare il ciuffo. Avete avuto pru-
denza: però, volendo mettervi nelle mie mani, non faceva
bisogno. Il caso è serio; ma voi non sapete quel che mi
basti l'animo di fare, in un'occasione.»
Per intender quest'uscita del dottore, bisogna sapere, o
rammentarsi che, a quel tempo, i bravi di mestiere, e i fa-
cinorosi d'ogni genere, usavan portarsi un lungo ciuffo, che
si tiravan poi sul volto, come una visiera, all' atto d' affrontar
qualcheduno, ne' casi in cui stimasser necessario di travisar-
si, e l'impresa fosse di quelle, che richiedevan nello stesso
tempo forza e prudenza. Le gride non erano state in silen-
zio su questa moda. Comanda sua Eccellenza (il marchese
de la Hynoiosa) che chi porterà i capelli di tal lunghezza
che coprano il fronte fino olii cigli esclusivamente, ovvero
porterà la trezza, o avanti o dopo le orecchie, incorra la
pena di trecento scudi; et in caso d' instabilità, di tre anni
di galera, per la prima volta, e per la seconda, oltre la sud-
detta, maggiore ancora, pecuniaria et corporale, alV arbitrio
di Sua Eccellenza.
Permette però che, per occasione di trovarsi alcuno cal-
vo, o per altra ragionevole causa di segnale o ferita, pos-
sano quelli tali, per maggior decoro e sanità loro, portare
i capelli tanto lunghi, quanto sia bisogno per coprire ci-
mili mancamenti e niente di più; avvertendo bene a non ce-
32 I PEOMESSI SPOSI.
cedere il dovere e pura necessito., per (non) incorrere nella
pena agli altri contraffaci enti imposta.
E parimente comanda a' barbieri, sotto pena di cento
scudi o di tre tratti di corda da esser dati loro in pubblico,
et maggiore anco corporale, all' arbitrio come sopra, che
non lascino a quelli che toseranno, sorte alcuna di dette
trezze, zuffi , rizzi, ne capelli più lunghi dell ordinario, così
nella fronte come dalle bande, e dopo le orecchie, ma che
siano tutti uguali, come sopra, salvo nei casi dei calvi, o
altri difettosi, come si e detto. Il ciuffo era dunque quasi una
parte dell'armatura, e un distintivo de' bravacci e degli sca-
pestrati: i quali poi da ciò vennero comunemente chiamati
ciuffi. Questo termine è rimasto e vive tuttavia, con signifi-
cazione più mitigata, nel dialetto: e non ci sarà forse nes-
suno de' nostri lettori milanesi , che non si rammenti d' aver
sentito, nella sua fanciullezza, o i parenti o il maestro, o
qualche amico di casa, o qualche persona di servizio, dir di
lui : è un ciuffo, è un ciuffetto.
uln verità, da povero figliuolo,» rispose Renzo, ciò non
ho mai portato ciuffo in vita mia.»
«Non facciam niente.» rispose il dottore scotendo il capo,
con un sorriso, tra malizioso e impaziente. «Se non avete
fede in me, non facciam niente. Chi dice le bugie al dot-
tore, vedete figliuolo, è uno sciocco che dirà la verità al giu-
dice. All' avvocato bisogna raccontar le cose chiare: a noi
tocca poi a imbrogliarle. Se volete eh' io v* aiuti , bisogna
dirmi tutto, dall' a fino alla zetta, col cuore in mano, come
al confessore. Dovete nominarmi la persona da cui avete avu-
to il mandato, sarà naturalmente persona di riguardo; e
in questo caso, io anderò da lui a fare un atto di dovere.
Kon gli dirò, vedete, ch'io sappia da voi che v'ha mandato
lui: fidatevi. Gli dirò che vengo ad implorar la sua prote-
zione, per un povero giovine calunniato. E con lui prenderò
i concerti opportuni, per finir 1' affare lodevolmente. Capite
bene che, salvando sé, salverà anche voi. Se poi la scappa-
ta fosse tutta vostra, via, non mi ritiro: ho cavato altri da
peggio imbrogli .... Purché non abbiate offeso persona di
riguardo , intendiamoci , m' impegno a togliervi d' impiccio :
con un po' di spesa, intendiamoci. Dovete dirmi chi sia
l'offeso, come si dice: e, secondo la condizione, la qualità e
l'umore dell'amico, si vedrà se convenga più di tenerlo a
segno con le protezioni, o trovar qualche modo d'attaccarlo
noi in criminale, e mettergli una pulce nell'orecchio; perchè,
vedete, a saper ben maneggiare le gride, nessuno è reo, e
nessuno è innocente. In quanto al curato, se è persona di
giudizio, se ne starà zitto; se fosse una testolina, c'è rimedio
anche per quelle. D' ogni intrigo si può uscire, ma ci vuole
CAPITOLO III, 33
un uomo: e il vostro caso è serio; serio, vi dico, serio; la
grida canta chiaro; e se la cosa si deve decider tra la giu-
stizia e voi, così a quatti-' occhi, state fresco. Io vi parlo da
amico: le scappate bisogna pagarle: se volete passarvela li-
scia, danari e sincerità, ridarvi di chi vi vuol bene, ubbidire,
far tutto quello che vi sarà suggerito. »
Mentre il dottore mandava fuori tutte queste parole, Renzo
lo stava guardando con un' attenzione estatica, come un ma-
terialone sta sulla piazza guardando al giocator di bussolotti
che, dopo essersi cacciata in bocca stoppa e stoppa e stoppa,
ne cava nastro e nastro e nastro, che non finisce mai. Quan-
d'ebbe però capito bene cosa il dottore volesse dire, e quale
equivoco avesse preso, gli troncò il nastro in bocca dicendo:
«oh! signor dottore, come l'ha intesa? l'è proprio tutta al
rovescio. Io non ho minacciato nessuno; io non fo di queste
cose, io: e domandi pure a tutto il mio comune, che sentirà
che non ho mai avuto che fare colla giustizia. La briccone-
ria l'hanno fatta a me; e vengo da lei per sapere come ho
da fare per ottener giustizia; e son ben contento d'aver visto
quella grida.»
«Diavolo!» esclamò il dottore, spalancando gli occhi:
«Che pasticci mi fate? Tant'è; siete tutti così: possibile
che non sappiate dirle chiare le cose?»
«Ma mi scusi; lei non m' ha dato tempo: ora le raccon-
terò la cosa, coni' è. Sappia dunque eh' io dovevo sposare
oggi,» e qui la voce di Renzo si commosse, «dovevo sposare
oggi una giovine, alla quale discorrevo fin da quest' estate; e
oggi, come le dico, era il giorno stabilito col signor curato, e
s' era disposto ogni cosa. Ecco che il signor curato comincia
a cavar fuori certe scuse.... basta, per non tediarla, io l'ho
fatto parlar chiaro, com'era giusto; e lui m'ha confessato che
gli era stato proibito, pena la vita, di far questo matrimonio.
Quel prepotente di don Rodrigo . . . .»
«Eh via!» interruppe subito il dottore, aggrottando le ci-
glia, aggrinzando il naso rosso, e storcendo la bocca. «Eh
via! Che mi venite a rompere il capo con queste fandonie?
Fate di questi discorsi tra voi altri, che non sapete misurar
le parole; e non venite a farli con un galantuomo che sa
quanto valgono. Andate, andate; non sapete quel che vi dite:
io non m'impiccio con ragazzi; non voglio sentir discorsi di
questa sorte, discorsi in aria.»
«Le giuro ... .»
«Andate, vi dico: che volete ch'io faccia de' vostri giu-
ramenti? Io non e' entro: me ne lavo le mani.» E se le
andava stropicciando, come se le lavasse davvero. «Impa-
rate a parlare; non si viene a sorprendere così un galan-
tuomo.»
Manzoni. 3
34 1 PROMESSI SPOSI.
<'Ma senta, ma senta,» ripeteva indarno Renzo: il dottore
sempre gridando, lo spingeva con le mani verso l'uscio; e,
quando l'ebbe cacciato, aprì, chiamò la serva, e le disse:
«restituite subito a quest'uomo quello che ha portato: io non
voglio niente, non voglio niente.»
Quella donna non aveva mai, in tutto il tempo eh' era
stata in quella casa, eseguito un ordine simile: ma era stato
proferito con una tale risoluzione, che non esitò a ubbidire.
Prese le quattro povere bestie, e le diede a Renzo, con una
occhiata di compassione sprezzante, che pareva volesse dire:
bisogna che tu 1' abbia fatta bella. Renzo voleva far cerimo-
nie; ma il dottore fu inespugnabile; e il giovine, più attonito
e più stizzito che mai, dovette riprendersi le vittime rifiutate,
e tornar al paese a raccontar alle donne il bel costrutto della
sua spedizione.
Le donne nella sua assenza, dopo essersi tristamente le-
vate il vestito delle feste e messo quello del giorno di lavoro,
si misero a consultar di nuovo, Lucia singhiozzando e Agnese
sospirando. Quando questa ebbe ben parlato de' grandi effetti
che si dovevano sperare dai consigli del dottore, Lucia disse
che bisognava veder d' aiutarsi in tutte le maniere; che il
padre Cristoforo era uomo non solo da consigliare, ma da
metter l'opera sua, quando si trattasse di sollevar poverelli;
e che sarebbe una gran bella cosa potergli far sapere ciò
ch'era accaduto. «Sicuro,» disse Agnese: e si diedero a
cercare insieme la maniera; giacché andar esse al convento,
distante di là forse due miglia, non se ne sentivano il corag-
gio, in quel giorno: e certo nessun uomo di giudizio gliene
avrebbe dato il parere. Ma nel mentre che bilanciavano i
partiti, si sentì un picchietto all' uscio, e nello stesso momento,
un sommesso ma distinto: « Beo gr alias.* Lucia, immagi-
nandosi chi poteva essere, corse ad aprire: e subito, fatto un
piccolo inchino famigliare, venne avanti un laico cercatore cap-
puccino, con la sua bisaccia pendente alla spalla sinistra, e
tenendone l' imboccatura attortigliata e stretta nelle due mani
sul petto.
«Oh fra Galdino!» dissero le due donne.
"Il Signore sia con voi,» disse il frate. «Vengo alla cerca
delle noci.»
«Va a prendere le noci per i padri,» disse Agnese. Lu-
cia s'alzò, e s'avviò all'altra stanza, ma prima d' entrarvi, si
trattenne dietro le spalle di fra Galdino, che rimaneva diritto
nella medesima positura; e mettendo il dito alla bocca, diede
alla madre un' occhiata che chiedeva il segreto, con tenerezza,
con supplicazione, e anche con una certa autorità.
Il cercatore, sbirciando Agnese così da lontano, disse: «e
questo matrimonio? Si doveva pur fare oggi; ho veduto nel
CAPITOLO III. 35
paese una certa confusione, come se ci fosse una novità.
Cos' è stato?»
«Il signor curato è ammalato, e bisogna differire.» rispose
in fretta la donna. Se Lucia non faceva quel segno, la ri-
sposta sarebbe probabilmente stata diversa. «E come va la
cerca?» soggiunse poi per mutar discorso.
«Poco bene, buona donna, poco bene. Le son tutte qui.»
E, così dicendo, si levò la bisaccia d'addosso, e la fece sal-
tar tra le due mani. «Son tutte qui: e, per mettere in-
sieme questa bella abbondanza, ho dovuto picchiare a dieci
porte. »
«Ma! le annate vanno scarse, fra Galdino: e, quando
s'ha a misurar il pane, non si può allargar la mano nel
resto.»
«E per far tornare il buon tempo, che rimedio c'è, la
mia donna? L' elemosina. Sapete di quel miracolo delle
noci, che avvenne, molt' anni sono, in quel nostro convento di
Romagna?»
«No, in verità; raccontatemelo un poco.»
« Oh ! dovete dunque sapere che , in quel convento , e' era
un nostro padre, il quale era un santo, e si chiamava il padre
Macario. Un giorno d' inverno, passando per una viottola, in
un campo d'un nostro benefattore, uomo dabbene anche lui,
il padre Macario vide questo benefattore vicino a un suo gran
noce; e quattro contadini, con le zappe in aria, che princi-
piavano a scalzar la pianta, per metterle le radici al sole. —
Che fate voi a quella povera pianta? dimandò il padre Maca-
rio. — Eh! padre, son anni e anni che la non mi vuol far
noci; e io ne faccio legna. — Lasciatela stare, disse il padre:
sappiate che, quest' anno , la farà più noci che foglie. Il be-
nefattore, che sapeva chi era colui che aveva detta quella pa-
rola, ordinò subito ai lavoratori, che gettasser di nuovo la
terra sulle radici ; e, chiamato il padre, che continuava la sua
strada, — padre Macario, gli disse, la metà della raccolta
sarà per il convento. Si sparse la voce della predizione; e
tutti correvano a guardare il noce. In fatti, a primavera, fiori
a bizzeffe, e, a suo tempo noci a bizzeffe. Il buon benefat-
tore non ebbe la -consolazione di bacchiarle: perchè andò pri-
ma della raccolta, a ricevere il premio della sua carità. Ma
il miracolo fu tanto più grande, come sentirete. Quel bravo
uomo aveva lasciato un figliuolo di stampa ben diversa. Or
dunque, alla raccolta, il cercatore andò per riscuotere la metà
eh' era dovuta al convento ; ma colui se ne fece nuovo affatto,
ed ebbe la temerità di rispondere che non aveva mai sentito
dire che i cappuccini sapessero far noci. Sapete ora cosa av-
venne? Un giorno, (sentite questa) lo scapestrato aveva in-
vitato alcuni suoi amici dello stesso pelo, e, gozzovigliando,
3*
36 I PROMESSI SPOSI.
raccontava la storia del noce, e rideva de' frati. Que' giovi-
nastri ebber voglia d' andar a vedere quello sterminato mucchio
di noci; e lui li mena su in granaio. Ma sentite: apre l'u-
scio, va verso il cantuccio dov' era stato riposto il gran muc-
chio, e mentre dice: guardate, guarda egli stesso e vede . . .
che cosa? Un bel mucchio di foglie secche di noce. Fu un
esempio questo? E il convento, in vece di scapitare, ci gua-
dagnò; perchè, dopo un così gran fatto, la cerca delle noci
rendeva tanto, tanto, che un benefattore, mosso a compassione
del povero cercatore, fece al convento la carità d'un asino, che
aiutasse a portar le noci a cas^. E si faceva tanto olio, che
ogni povero veniva a prenderne, secondo il suo bisogno; per-
chè noi siam come il mare, che riceve acqua da tutte le parti,
e la torna a distribuire a tutti i fiumi.»
Qui ricomparve Lucia, col grembiule così carico di noci,
che lo reggeva a fatica, tenendone le due cocche in alto, con
le braccia tese e allungate. Mentre fra Galdino, levatasi
di nuovo la bisaccia, la metteva giù, e ne scioglieva la bocca,
per introdurvi V abbondante elemosina, la madre fece un volto
attonito e severo a Lucia, per la sua prodigalità; ma Lucia
le diede un'occhiata, che voleva dire: mi giustificherò. Fra
Galdino proruppe in elogi, in auguri, in promesse, in ringra-
ziamenti, e, rimessa la bisaccia al posto, s' avviava. Ma Lucia,
richiamatolo disse: e vorrei un servizio da voi; vorrei che di-
ceste al padre Cristoforo, che ho gran premura di parlargli,
e che mi faccia la carità di venir da noi poverette, subito su-
bito; perchè non possiamo andar noi alla chiesa. »
«Xon volete altro? Non passerà un' ora che il padre
Cristoforo saprà il vostro desiderio.»
a Mi fido.»
«Xon dubitate.» E così detto, se n'andò, un po' più
curvo e più contento, di quel che fosse venuto.
Al vedere che una povera ragazza mandava a chiamare,
con tanta confidenza, il padre Cristoforo, e che il cercatore
accettava la commissione, senza maraviglia e senza difficoltà,
nessun si pensi che quel Cristoforo fosse un frate di dozzina,
una cosa da strapazzo. Era anzi uomo di molta autorità,
presso i suoi, e in tutto il contorno; ma tale era la condi-
zione de' cappuccini, che nulla pareva per loro troppo basso,
né troppo elevato. Servir gì' infimi , ed esser serviti dai po-
tenti, entrar ne' palazzi e ne' tuguri, con lo stesso contegno
d'umiltà e di sicurezza, esser talvolta, nella stessa casa, un
soggetto di passatempo, e un personaggio senza il quale non
si decideva nulla, chieder l' elemosina per tutto, e farla a tutti
quelli che la chiedevano al convento, a tutto era avvezzo un
cappuccino. Andando per la strada, poteva ugualmente ab-
battersi in un principe che gli baciasse riverentemente la
CAPITOLO III. 37
punta del cordone' o in una brigata di ragazzacci che, fin-
gendo d' esser alle mani tra loro, gY inzaccherassero la barba
di fango. La parola «frate" veniva, in que' tempi, proferita
col più gran rispetto, e col più amaro disprezzo: e i cappuc-
cini forse più d? ogni altro ordine, eran oggetto dei due op-
posti sentimenti, e provavano le due opposte fortune; perchè,
non possedendo nulla, portando un abito più stranamente di-
verso dal comune, facendo più aperta professione d' umiltà,
s' esponevan più da vicino alla venerazione e al vilipendio che
queste cose possono attirare da' diversi umori, e dal diverso
pensare degli uomini.
Partito fra Galdino, «tutte quelle noci!» esclamò Agnese:
«in quest'anno!»
«Mamma, perdonatemi,» rispose Lucia: «ma se avessimo
fatta un' elemosina come gli altri, fra Galdino avrebbe dovuto
girare ancora, Dio sa quanto, prima d'aver la bisaccia piena;
Dio sa quando sarebbe tornato al convento, e, con le ciarle
che avrebbe fatte e sentite, Dio sa se gli sarebbe rimasto in
mente ...»
«Hai pensato bene; e poi è tutta carità che porta sem-
pre buon frutto,» disse Agnese, la quale, co' suoi difettucci,
era una gran buona donna, e si sarebbe, come si dice, but-
tata nel fuoco per quell' unica figlia, in cui aveva riposta tutta
la sua compiacenza.
In questa, arrivò Renzo, ed entrando con un volto dispet-
toso insieme e mortificato, gettò i capponi sur una tavola; e
fu questa V ultima trista vicenda delle povere bestie, per quel
giorno.
«Bel parere che m'avete dato!» disse ad Agnese. «Mi
avete mandato da un buon galantuomo, da uno che aiuta ve-
ramente i poverelli!» E raccontò il suo abboccamento col
dottore. La donna, stupefatta di così trista riuscita, voleva
mettersi a dimostrare che il parere però era buono, e che
Renzo non doveva aver saputo far la cosa come andava fatta;
ma Lucia interruppe quella questione, annunziando che spe-
rava d' aver trovato un aiuto migliore. Renzo accolse anche
questa speranza, come accade a quelli che sono nella sventura
e nelP impiccio. «Ma, se il padre,» disse, «non ci trova ri-
piego, lo troverò io, in un modo o nell'altro.»
Le donne consigliaron la pace , la pazienza, la prudenza.
«Domani,» disse Lucia, «il padre Cristoforo verrà sicu-
ramente; e vedrete che troverà qualche rimedio, di quelli che
noi poveretti non sappiam nemmeno immaginare. »
«Lo spero;» disse Renzo, «ma, in ogni caso, saprò farmi
ragione, o farmela fare. A questo mondo e' è giustizia, final-
mente.»
38 I PROMESSI SPOSI.
riferite, quel giorno era passato; e cominciava a imbrunire.
« Buona notte,» disse tristamente Lucia a Renzo, il quale
non sapeva risolversi d' andarsene.
«Buona notte,» rispose Renzo, ancor più tristamente.
«Qualche santo ci aiuterà,» replicò Lucia: «usate pru-
denza e rassegnatevi.»
La madre aggiunse altri consigli dello stesso genere; e lo
sposo se n'andò; col cuore in tempesta, ripetendo sempre
quelle strane parole: «a questo mondo c'è giustizia, final-
mente!» Tant' è vero che un uomo sopraffatto dal dolore non
sa più quel che si dica.
CAPITOLO IV.
Il sole non era ancor tutto apparso sull* orizzonte, quando
il padre Cristoforo uscì dal suo convento di Pescarenico, per
salire alla casetta dov' era aspettato.yL È Pescarenico una
terricciola, sulla riva sinistra dell'Adda, o vogliam dire del
lago, poco discosto dal ponte: un gruppetto di case, abitate
la più parte da pescatori, e addobbate qua e là di tramagli
e di reti tese ad asciugare. Il convento era situato (e la fab-
brica ne sussiste tuttavia) al di fuori, e in faccia all' entrata
della terra, con di mezzo la strada che da Lecco conduce a
Bergamo. Il cielo era tutto sereno: di mano in mano che il
sole si alzava dietro il monte, si vedeva la sua luce, dalle
sommità de* monti opposti, scendere, come spiegandosi rapi-
damente, giù per i pendii, e nella valle. Un venticello d' au-
tunno, staccando da' rami le foglie appassite del gelso, le por-
tava a cadere, qualche passo distante dall'albero. A destra
e a sinistra, nelle vigne, sui tralci ancor tesi, brillavan le
foglie rosseggianti a varie tinte; e la terra lavorata di fresco,
spiccava bruna e distinta ne' campi di stoppie biancastre e
luccicanti dalla guazza. La scena era lieta: ma ogni figura
d*uomo che vi apparisse, rattristava lo sguardo e il pensiero.
Ogni tanto, s'incontravano mendichi laceri e macilenti, o in-
vecchiati nel mestiere, o spinti allora dalla necessità a tender
la mano. Passavano zitti accanto al padre Cristoforo, lo guar-
davano pietosamente; e, benché non avesser nulla a sperar da
lui, giacché un cappuccino non toccava mai moneta, gli face-
vano un inchino di ringraziamento, per F elemosina che avevan
ricevuta, o che andavano a cercare al convento. Lo spetta-
colo de' lavoratori sparsi ne' campi, aveva qualcosa d' ancor
più doloroso. Alcuni andavan gettando le lor semente, rade,
con risparmio, e a malincuore, come chi arrischia cosa che
troppo gli preme; altri spingevan la vanga come a stento, e
CAPITOLO IV. 39
rovesciavano svogliatamente la zolla. La fanciulla scarna, te-
nendo per la corda al pascolo la vaccherella magra, stecchita,
guardava innanzi, e si chinava in fretta, a rubarle, per cibo
della famiglia, qualche erba, di cui la fame aveva insegnato
che anche gli uomini potevan vivere. Questi spettacoli accre-
scevano, a ogni passo, la mestizia del frate, il quale cammi-
nava già col tristo presentimento in cuore, d' andar a sentire
qualche sciagura.
— Ma perchè si prendeva tanto pensiero di Lucia? E
perchè, al primo avviso, s' era mosso con tanta sollecitudine,
come a una chiamata del padre provinciale? E chi era questo
padre Cristoforo? — Bisogna soddisfare a tutte queste do-
mande.
11 padre Cristoforo da * * * era un uomo più vicino ai
sessanta che ai cinquant' anni. Il suo capo raso, salvo la pic-
cola corona di capelli, che vi girava intorno, secondo il rito
cappuccinesco, s' alzava di tempo in tempo, con un movimento
che lasciava trasparire un non so che d'altero e d'inquieto;
e subito s'abbassava, per riflessione d'umiltà. La barba bian-
ca e lunga, che gli copriva le guance e il mento, faceva an-
cor più risaltare le forme rilevate della parte superiore del
volto, alle quali un' astinenza, già da gran pezzo abituale,
aveva assai più aggiunto di gravità che tolto d' espressione.
Due occhi incavati eran per lo più chinati a terra, ma tal-
volta sfolgoravano, con vivacità repentina; come due cavalli
bizzarri, condotti a mano da un cocchiere, col quale sanno,
per esperienza, che non si può vincerla, pure fanno, di tempo
in tempo, qualche sgambetto, che scontan subito, con una
buona tirata di morso.
Il padre Cristoforo non era sempre stato così, né sempre
era stato Cristoforo: il suo nome di battesimo era Lodovico.
Era figliuolo d' un mercante di * * * (questi asterischi vengon
tutti dalla circospezione del mio anonimo) che, ne' suoi ul-
tim' anni, trovandosi assai fornito di beni, e con quell'unico
figliuolo, aveva rinunziato al traffico, e s' era dato a viver da
signore.
Nel suo nuovo ozio, cominciò a entrargli in corpo una
gran vergogna di tutto quel tempo che aveva speso a far
qualcosa in questo mondo. Predominato da una tal fantasia,
studiava tutte le maniere di far dimenticare eh' era stato
mercante; avrebbe voluto poterlo dimenticare anche lui. Ma
il fondaco, le balle, il libro, il braccio, gli comparivan sem-
pre nella memoria, come 1' ombra di Banco a Macbeth, an-
che tra la pompa delle mense, e il sorriso de' parassiti. E
non si potrebbe dire la cura che dovevano aver que' pove-
retti, per schivare ogni parola che potesse parere allusiva
all'antica condizione del convitante. Un giorno, per raccou-
40 1 PROMESSI SPOSI.
tarne una, un giorno, sul finir della tavola, ne' momenti della
più viva e schietta allegria, che non si sarebbe potuto dire
chi più godesse, o la brigata di sparecchiare, o il padrone
d'aver apparecchiato, andava stuzzicando, con superiorità
amichevole, uno di que' commensali , il più onesto mangiatore
del mondo. Questo, per corrispondere alla celia, senza la
minima ombra di malizia, proprio col candore d' un bambino,
rispose: «eh! io fo l'orecchio del mercante.» Egli stesso fu
subito colpito dal suono della parola che gli era uscita di
bocca, guardò, con faccia incerta, alla faccia del padrone,
che s'era rannuvolata: l'uno e l'altro avrebber voluto ripren-
der quella di prima; ma non era possibile. Gli altri convitati
pensavano, ognun da sé, al modo di sopire il piccolo scan-
dolo, e di fare una diversione; ma, pensando, tacevano, e, in
quel silenzio, lo scandolo era più manifesto. Ognuno scan-
sava d'incontrar gli occhi degli altri; ognuno sentiva che tutti
eran occupati del pensiero che tutti volevan dissimulare. La
gioia, per quel giorno, se n' andò, e V imprudente o, per par-
lar con più giustizia, lo sfortunato, non ricevette più invito.
Così il padre di Lodovico passò gli ultimi suoi anni in an-
gustie continue, temendo sempre d' essere schernito, e non ri-
flettendo mai che il vendere non è cosa più ridicola che il
comprare, e che quella professione di cui allora si vergogna-
va, l'aveva pure esercitata per tant'anni, in presenza del
pubblico, e senza rimorso. Fece educare il figlio nobilmente,
secondo la condizione de' tempi, e per quanto gli era con-
cesso dalle leggi e dalle consuetudini; gli diede maestri di
lettere e d'esercizi cavallereschi; e morì, lasciandolo ricco e
giovinetto.
Lodovico aveva contratte abitudini signorili; e gli adula-
tori, tra i quali era cresciuto, l'avevano avvezzato ad esser
trattato con molto rispetto. Ma quando volle mischiarsi coi
principali della sua città, trovò un fare ben diverso da quello
a cui era accostumato; e vide che, a voler essere della lor
compagnia, come avrebbe desiderato, gli conveniva fare una
nuova scuola di pazienza e di sommissione, star sempre al di
sotto, e ingozzarne una ogni momento. Una tal maniera di
vivere non s'accordava, né con l'educazione, né con la na-
tura di Lodovico. S' allontanò da essi indispettito. Ma poi
ne stava lontano con rammarico; perchè gli pareva che questi
veramente avrebber dovuto essere i suoi compagni; soltanto gli
avrebbe voluti più trattabili. Con questo misto d' inclinazione
e di rancore, non potendo frequentarli famigliarmente, volendo
pure aver che fare con loro in qualche modo , s' era dato a
competer con loro di sfoggi e di magnificenza, comprandosi
così a contanti inimicizie, invidia e ridicolo. La sua indole,
onesta insieme e violenta, lo aveva poi imbarcato per tempo
CAPITOLO IV. 41
in altre gare più serie. Sentiva un orrore spontaneo e sin-
cero per le angherie e per i soprusi: orrore reso ancor più
vivo in lui dalla qualità delle persone che più ne commette-
vano alla giornata; ch'erano appunto coloro coi quali aveva
più di quella ruggine. Per acquietare, o per esercitare tutte
queste passioni in una volta, prendeva volentieri le parti d'un
debole sopraffatto, si piccava di farci stare un soverchiatore,
s'intrometteva in una briga, se ne tirava addosso un'altra;
tanto che, a poco a poco, venne a costituirsi come un protet-
tor degli oppressi, e un vendicatore de' torti. L% impiego era
gravoso; e non è da domandare se il povero Lodovico avesse
nemici, impegni e pensieri. Oltre la guerra esterna, era poi
tribolato continuamente da contrasti interni: perchè, a spun-
tarla in un impegno (senza parlare di quelli in cui restava al
di sotto), doveva anche lui adoperar raggiri e violenze, che
la sua coscienza non poteva poi approvare. Doveva tenersi
intorno un buon numero di bravacci; e, così per la sua sicu-
rezza, come per averne un aiuto più vigoroso, doveva sce-
gliere i più arrischiati, cioè i più ribaldi: e vivere co' birboni,
per amor della giustizia. Tanto che, più d' una volta, o sco-
raggio, dopo una trista riuscita, o inquieto per un pericolo
imminente, annoiato dal continuo guardarsi, stomacato della
sua compagnia, in pensiero dell" avvenire, per le sue sostanze
che se n' andavan , di giorno in giorno, in opere buone e in
braverie, più d'una volta gli era saltata la fantasia di farsi
frate; che, a quei tempi, era il ripiego più comune, per uscir
d'impicci. Ma questa, che sarebbe forse stata una fantasia
per tutta la sua vita, divenne una risoluzione, a causa d'un
accidente, il più serio che gli fosse ancor capitato.
Andava un giorno per una strada della sua città, seguito
da due bravi, e accompagnato da un tal Cristoforo, altre volte
giovine di bottega e, dopo chiusa questa, diventato maestro
di casa. Era un uomo di circa cinquant' anni, affezionato,
dalla gioventù, a Lodovico, che aveva veduto nascere, e che,
tra salario e regali, gli dava non solo da vivere, ma di che
mantenere e tirar su una numerosa famiglia. Vide Lodovico
spuntar da lontano un signor tale, arrogante e soverchiatore
di professione, col quale non aveva mai parlato in vita sua,
ma che gli era cordiale nemico, e al quale rendeva, pur di
cuore, il contraccambio: giacché è uno de* vantaggi di questo
mondo, quello di poter odiare ed essere odiati, senza cono-
scersi. Costui, seguito da quattro bravi, s'avanzava diritto,
con passo superbo, con la testa alta, con la bocca composta
all' alterigia e allo sprezzo. Tutt' e due camminavan rasente
al muro; ma Lodovico (notate bene) lo strisciava col lato
destro; e ciò, secondo una consuetudine, gli dava il diritto
(dove mai si va a ficcare il diritto!) di non istaccarsi dal det-
42 I PROMESSI SPOSI.
to muro, per dar passo a chi si fosse; cosa deìia quale al-
lora si faceva gran caso. L'altro pretendeva all' opposto, che
quel diritto competesse a lui, come a nobile, e che a Lodo-
vico toccasse d' andar nel mezzo ; e ciò in forza d' un' altra
consuetudine. Perocché, in questo, come accade in molti altri
affari, erano in vigore due consuetudini contrarie, senza che
fosse deciso qual delle due fosse la buona : il che dava oppor-
tunità di fare una guerra, ogni volta che una testa dura s' ab-
battesse in un' altra della stessa tempra. Que' due si veni-
vano incontro, ristretti alla muraglia, come due figure di basso
rilievo ambulanti. Quando si trovarono a viso a viso, il si-
gnor tale, squadrando Lodovico, a capo alto, col cipiglio im-
perioso, gli disse, in un tono corrispondente di voce: «fate
luogo.»
«Fate luogo voi,» rispose Lodovico. «La diritta è mia.»
«Co' vostri pari, è sempre mia.»
«Sì, se l'arroganza de' vostri pari fosse legge per i pari
miei.»
I bravi dell' uno e dell' altro eran rimasti fermi, ciascuno
dietro il suo padrone, guardandosi in cagnesco, con le mani
alle daghe, preparati alla battaglia. La gente che arrivava di
qua e di là, si teneva in distanza a osservare il fatto; e la
presenza di quegli spettatori animava sempre più il puntiglio
de' contendenti.
«Nel mezzo, vile meccanico; o ch'io t'insegno una volta
come si tratti co' gentiluomini.»
«Voi mentite ch'io sia vile.»
«Tu menti ch'io abbia mentito.» Questa risposta era di
prammatica. «E, se tu fossi cavaliere, come son io, ag-
giunse quel signore, «ti vorrei far vedere, con la spada e con
la cappa, che il mentitore sei tu.»
«È un buon pretesto per dispensarvi di sostener coi fatti
l' insolenza delle vostre parole »
«Gettate nel fango questo ribaldo,» disse il gentiluomo,
aitandosi a' suoi.
«Vediamo!» disse Lodovico, dando subitamente un passo
indietro, e mettendo mano alla spada.
«Temerario!» gridò l'altro, sfoderando la sua: «io spez-
zerò questa, quando sarà macchiata del tuo vii sangue.»
^^Così s'avventarono l'uno all'altro; i servitori delle due
parti si slanciarono alla difesa de' loro padroni. 11 combat-
timento era disuguale, e per il numero, e anche perchè Lo-
dovico mirava piuttosto a scansare i colpi, e a disarmare il
nemico, che ad ucciderlo; ma questo voleva la morte di lui
a ogni costo. Lodovico aveva già ricevuta al braccio sinistro
una pugnalata d' un bravo, e una sgraffiatura leggiera in una
guancia, e il nemico principale gli piombava addosso per n-
CAPITOLO IV. 43
nirlo; quando Cristoforo, vedendo il suo padrone nell' estremo
pericolo, andò col pugnale addosso al signore. Questo, ri-
volta tutta la sua ira contro di lui, lo passò con la spada.
A quella vista, Lodovico, come fuor di sé, cacciò la sua nel
ventre del feritore, il quale cadde moribondo, quasi a un
punto col povero Cristoforo. I bravi del gentiluomo, visto
ch'era finita, si diedero alla fuga, malconci: quelli di Lodo-
vico, tartassati e sfregiati anche loro, non essendovi più a chi
dare, e non volendo trovarsi impicciati nella gente, che già
accorreva, scantonarono dall' altra parte: e Lodovico si trovò
solo, con que' due funesti compagni ai piedi, in mezzo a una
folla.
«Com' è andata? — È uno. — Son due. — Gli ha fatto
un occhiello nel ventre. — Chi è stato ammazzato? — Quel
prepotente. — Oh santa Maria, che sconquasso! — Chi cerca
trova. — Una le paga tutte. — Ha finito anche lui. — Che
colpo! — Vuol essere una faccenda seria. — E queir altro
disgraziato! — Misericordia! che spettacolo! — Salvatelo.
salvatelo. — Sta fresco anche lui. — Vedete com'è concio!
butta sangue da tutte le parti. — Scappi, scappi. Non si
lasci prendere.»
Queste parole, che più di tutte si facevan sentire nel fra-
storno confuso di quella folla, esprimevano il voto comune: e,
col consiglio, venne anche l'aiuto. 11 fatto era accaduto vi-
cino a una chiesa di cappuccini, asilo, come ognun sa, impe-
netrabile allora a' birri, e a tutto quel complesso di cose e
di persone, che si chiamava la giustizia. L' uccisore ferito fu
quivi condotto o portato dalla folla, quasi fuor di sentimento;
e i frati lo ricevettero dalle mani del popolo, che glielo rac-
comandava, dicendo: «è un uomo dabbene che ha freddato
un birbone superbo: l'ha fatto per sua difesa: c'è stato ti-
rato per i capelli.))
Lodovico non aveva mai, prima d'allora, sparso sangue;
e, benché l'omicidio fosse, a que' tempi, cosa tanto comune,
che gli orecchi d' ognuno erano avvezzi a sentirlo raccontare,
e gli occhi a vederlo, pure V impressione eh' egli ricevette
dal veder l'uomo morto per lui, e l'uomo morto da lui, fu
nuova e indicibile; fu una rivelazione di sentimenti ancora
sconosciuti. Il cadere del suo nemico, l'alterazione di quel
volto, che passava in un momento, dalla minaccia e dal fu-
rore, all'abbattimento e alla quiete solenne della morte, fu
una vista che cambiò, in un punto, 1' animo dell' uccisore.
Strascinato al convento, non sapeva quasi dove si fosse, né
cosa si facesse; e, quando fu tornato in sé, si trovò in un
letto dell' infermeria, nelle mani del frate chirurgo, (i cappuc-
cini ne avevano ordinariamente uno in ogni convento) che ac-
comodava faldelle e fasce sulle due ferite che egli aveva rice-
44
I PROMESSI SPOSI.
vute nello scontro. Un padre, il cui impiego particolare era
d'assistere i moribondi, e che aveva spesso avuto a render
questo servizio sulla strada, fu chiamato subito al luogo del
combattimento. Tornato, pochi minuti dopo, entrò nell5 infer-
meria, e, avvicinatosi al letto dove Lodovico giaceva, «conso-
latevi,» gli disse: «almeno è morto bene, e m'ha incaricato
di chiedere il vostro perdono, e di portarvi il suo.» Questa
parola fece rinvenire affatto il povero Lodovico, e gli risve-
gliò più vivamente e più distintamente i sentimenti eh' eran
confusi e affollati nel suo animo: dolore dell' amico, sgomento
e rimorso del colpo che gli era uscito di mano, e nello stesso
tempo, un' angosciosa compassione dell' uomo che aveva ucciso.
«E l'altro?» domandò ansiosamente al frate.
«L'altro era spirato, quand' io arrivai.»
Frattanto, gli accessi e i contorni del convento formico-
lavan di popolo curioso: ma, giunta la sbirraglia, fece smal-
tir la folla, e si postò a una certa distanza dalla porta, in
modo però che nessuno potesse uscirne inosservato. Un fra-
tello del morto, due suoi cugini e un vecchio zio, vennero
pure, armati da capo a piedi, con grande accompagnamento
di bravi; e si misero a far la ronda intorno, guardando, con
atti di dispetto minaccioso, que' curiosi, che non osavan dire:
gli sta bene; ma l'avevano scritto in viso.
Appena Lodovico ebbe potuto raccogliere i suoi pensieri,
chiamato un frate confessore, lo pregò che cercasse della ve-
dova di Cristoforo, le chiedesse in suo nome perdono d'es-
sere stato lui la cagione, quantunque ben certo involontaria,
di quella desolazione, e, nello stesso tempo, l'assicurasse eh' e-
gli prendeva la famiglia sopra di sé. Riflettendo quindi a*
casi suoi, sentì rinascere più che mai vivo e serio quel pen-
siero di farsi frate, che altre volte gli era passato per la
mente: e gli parve che Dio medesimo l'avesse messo sulla
strada, e datogli un segno del suo volere, facendolo capitare
in un convento, in quella congiuntura; e il partito fu preso.
Fece chiamare il guardiano, e gli manifestò il suo desiderio.
N' ebbe in risposta, che bisognava guardarsi dalle risoluzioni
precipitate; ma che, se persisteva, non sarebbe rifiutato.
Allora, fatto venire un notaro, dettò una donazione di tutto
ciò che gli rimaneva (eh' era tuttavia un bel patrimonio) alla
famiglia di Cristoforo: una somma alla vedova, come se le
costituisse una contraddote, e il resto a otto figliuoli che Cri-
stoforo aveva lasciati.
La risoluzione di Lodovico veniva molto a proposito per i
suoi ospiti, i quali, per cagion sua, erano in un bell'intrigo.
Rimandarlo dal convento, ed esporlo così alla giustizia, cioè
alla vendetta de' suoi nemici, non era partito da metter nep-
pur in consulta. Sarebbe stato lo stesso che rinunziare ai
CAPITOLO IV. 45
propri privilegi, screditare il convento presso il popolo, atti-
rarsi il biasimo di tutti i cappuccini dell' universo, per aver
lasciato violare il diritto di tutti, concitarsi contro tutte le
autorità ecclesiastiche, le quali si consideravan come tutrici di
questo diritto. Dall' altra parte , la famiglia dell' ucciso, po-
tente assai, e per sé, e per le sue aderenze, s'era messa al
punto di voler vendetta; e dichiarava suo nemico chiunque
s' attentasse di mettervi ostacolo. La storia non dice che a
loro dolesse molto dell'ucciso, e nemmeno che una lagrima
fosse stata sparsa per lui, in tutto il parentado : dice soltanto
eh' eran tutti smaniosi d' aver nell' unghie l' uccisore, o vivo o
morto. Ora questo, vestendo l'abito di cappuccino, accomo-
dava ogni cosa. Faceva, in certa maniera, un' emenda, s' im-
poneva una penitenza, si chiamava implicitamente in colpa, si
ritirava da ogni gara; era in somma un nemico che depon
l'armi. I parenti del morto potevan poi anche, se loro pia-
cesse, credere e vantarsi che s' era fatto frate per disperazione
e per terrore del loro sdegno. E, ad ogni modo, ridurre un
uomo a spropriarsi del suo, a tosarsi la testa, a camminare
a piedi nudi, a dormir sur un saccone, a viver d' elemosina,
poteva parere una punizione competente , anche all' offeso il
più borioso.
Il padre guardiano si presentò, con un'umiltà disinvolta,
al fratello del morto, e, dopo mille proteste di rispetto per
1" illustrissima casa, e di desiderio di compiacere ad essa in
tutto ciò che fosse fattibile, parlò del pentimento di Lodovico,
e della sua risoluzione, facendo garbatamente sentire che la
casa poteva esserne contenta, e insinuando poi soavemente, e
con maniera ancor più destra, che, piacesse o non piacesse,
la cosa doveva essere. Il fratello diede in ismanie, che il
cappuccino lasciò svaporare, dicendo di tempo in tempo: «è
un troppo giusto dolore.» Fece intendere che, in ogni caso,
la sua famiglia avrebbe saputo prendersi una soddisfazione:
e il cappuccino, qualunque cosa ne pensasse, non disse di no.
Finalmente richiese, impose come una condizione, che l'uccisor
di suo fratello partirebbe subito da quella città. Il guardiano,
che aveva già deliberato che questo fosse fatto, disse che si
farebbe, lasciando che l'altro credesse, se gli piaceva, esser
questo un atto d'ubbidienza: e tutto fu concluso. Contentala
famiglia, che ne usciva con onore; contenti i frati, che salva-
vano un uomo e i loro privilegi, senza farsi alcun nemico;
contenti i dilettanti di cavalleria, che vedevano un affare ter-
minarsi lodevolmente; contento il popolo, che vedeva fuor
d'impiccio un uomo benvoluto, e che, nello stesso tempo, am-
mirava una conversione; contento finalmente, e più di tutti, in
mezzo al dolore , il nostro Lodovico, il quale cominciava una
vita d'espiazione e di servizio, che potesse, se non riparare,
46 I PROMESSI SPOSI.
pagare almeno il mal fatto, e rintuzzare il pungolo intollera-
bile del rimorso. Il sospetto che la sua risoluzione fosse at-
tribuita alla paura, 1' afflisse un momento; ma si consolò subito
col pensiero che anche quell' ingiusto giudizio sarebbe un ga-
stigo per lui, e un mezzo d' espiazione. Così, a trent' anni, si
ravvolse nel sacco; e dovendo, secondo l'uso, lasciare il suo
nome, e prenderne un altro, ne scelse uno che gli rammen-
tasse, ogni momento, ciò che aveva da espiare: e si chiamò
fra Cristoforo.
Appena compita la cerimonia della vestizione, il guardiano
gì' intimò che sarebbe andato a fare il suo noviziato a * * *,
sessanta miglia lontano, e che partirebbe all'indomani. Il
novizio s'inchinò profondamente, e chiese una grazia. «Per-
mettetemi, padre,» disse, «che, prima di partir da questa
città , dove ho sparso il sangue d' un uomo , dove lascio una
famiglia crudelmente offesa, io la ristori almeno dell'affronto,
eh' io mostri almeno il mio rammarico di non poter risar-
cire il danno, col chiedere scusa al fratello dell'ucciso, e gli
levi, se Dio benedice la mia intenzione, il rancore dall'ani-
mo.» Al guardiano parve che un tal passo, oltre all'essere
buono in sé, servirebbe a riconciliar se,nipre più la famiglia
col convento; e andò diviato da quel signor fratello, ad
esporgli la domanda di fra Cristoforo. A proposta così in-
aspettata, colui sentì, insieme con la maraviglia, un ribolli-
mento di sdegno, non però senza qualche compiacenza. Dopo
aver pensato un momento, «venga domani,» disse; e assegnò
l'ora. Il guardiano tornò, a portare al novizio il consenso
desiderato.
Il gentiluomo pensò subito che, quanto più quella soddis-
fazione fosse solenne e clamorosa, tanto più accrescerebbe il
suo credito presso tutta la parentela, e presso il pubblico; e
sarebbe (per dirla con un' eleganza moderna) una bella pagina
nella storia della famiglia. Fece avvertire in fretta tutti i
parenti che, all'indomani, a mezzogiorno, restassero serviti
(così si diceva allora) di venir da lui, a ricevere una soddis-
fazione comune. A mezzogiorno, il palazzo brulicava di si-
gnori d' ogni età e d' ogni sesso : era un girare, un rimesco-
larsi di gran cappe, d' alte penne, di durlindane pendenti, un
moversi librato di gorgiere inamidate e crespe, uno strascico
intralciato di rabescate zimarre. Le anticamere, il cortile e la
strada formicolavan di servitori, di paggi, di bravi e di cu-
riosi. Fra Cristoforo vide quell' apparecchio, ne indovinò il
motivo, e provò un ieggier turbamento; ma, dopo un istante,
disse tra sé: — sta bene: l'ho ucciso in pubblico, alla pre-
senza di tanti suoi nemici; quello fu scandolo, questa è ripa-
razione. — Così, con gli occhi bassi, col padre compagno al
fianco, passò la porta di quella casa, attraversò il cortile, tra
CAPITOLO IV. 47
una folla che lo squadrava con una curiosità poco cerimo-
niosa: salì le scale, e, di mezzo all'altra folla signorile, che
fece ala al suo passaggio, seguito da cento sguardi, giunse
alla presenza del padron di casa: il quale, circondato da' pa-
renti più prossimi, stava ritto nel mezzo della sala, con lo
sguardo a terra, e il mento in aria, impugnando con la mano
sinistra, il pomo della spada, e stringendo con la destra il
bavero della cappa sul petto.
C'è talvolta, nel volto e nel contegno d'un uomo, un'es-
pressione così immediata, si direbbe quasi un'effusione del-
l'animo interno, che in una folla di spettatori, il giudizio so-
pra quell' animo sarà un solo. Il volto e il contegno di fra
Cristoforo disse chiaro agli astanti, che non s' era fatto frate,
né veniva a quell'umiliazione per timore umano: questo co-
minciò a concigliarglieli tutti. Quando vide 1' offeso, affrettò il
passo, gli si pose in ginocchioni ai piedi, incrociò le mani sul
petto, e, chinando la testa rasa, disse queste parole: «io sono
V omicida di suo fratello. Sa Iddio se vorrei restituirglielo a
costo del mio sangue: ma, non potendo altro che farle inef-
ficaci e tarde scuse, la supplico d'accettarle per l'amor di
Dio.» Tutti gli occhi erano immobili sul novizio, e sul per-
sonaggio a cui egli parlava: tutti gli orecchi eran tesi. Quan-
do fra Cristoforo tacque, s'alzò, per tutta la sala, un mor-
morio di pietà e di rispetto. Il gentiluomo, che stava in atto
di degnazione forzata, e d' ira compressa, fu turbato da quelle
parole; e, chinandosi verso l'inginocchiato: «alzatevi,» disse
con voce alterata, «l'offesa.... il fatto veramente.... ma
l'abito che portate .... non solo questo, ma anche per voi
. . . . S' alzi , padre .... Mio fratello .... non lo posso ne-
gare .... era un cavaliere . . . era un uomo .... un po' im-
petuoso .... un po' vivo. Ma tutto accade per disposizion di
Dio. Non se ne parli più.... Ma padre, lei non deve stare
in codesta positura.» E, presole per le braccia, lo sollevò
Fra Cristoforo, in piedi, ma col capo chino, rispose: «io posso
dunque sperare che lei m'abbia concesso il suo perdono! E
se l'ottengo da lei, da chi non devo sperarlo? Oh! s'io po-
tessi sentire dalla sua bocca questa parola, perdono!»
«Perdono?» disse il gentiluomo. «Lei non ne ha più
bisogno. Ma pure, perchè lo desidera, certo, certo, io le per-
dono di cuore, e tutti »
«Tutti! tutti!» gridarono a una voce, gli astanti. Il volto
del frate s' aprì a una gioia riconoscente, sotto la quale
traspariva però ancora un' umile e profonda compunzione del
male a cui la remissione degli uomini non poteva riparare.
Il gentiluomo, vinto da quell' aspetto, e trasportato dalla com-
mozione generale, gli gettò le braccia al collo, e gli diede e
ne ricevette il bacio di pace.
48 I PROMESSI SPOSI.
Un «bravo! bene!» scoppiò da tutte le parti della sala;
tutti si mossero, e si strinsero intorno al frate. Intanto ven-
nero servitori con gran copia di rinfreschi. Il gentiluomo si
raccostò al nostro Cristoforo, il quale faceva segno di volersi
licenziare, e gli disse: «padre, gradisca qualche cosa: mi dia
questa prova d' amicizia. » E si mise per servirlo prima d'ogni
altro; ma egli, ritirandosi, con una certa resistenza cordiale,
«queste cose.» disse, «non fanno più per me; ma non sarà
mai ch'io rifiuti i suoi doni. Io sto per mettermi in viaggio :
si degni di farmi portare un pane, perchè io possa dire d' aver
goduto la sua carità, d'aver mangiato il suo pane e avuto
un segno del suo perdono.» Il gentiluomo, commosso, ordinò
che così si facesse; e venne subito un cameriere, in gran
gala, portando un pane sur un piatto d'argento, e lo pre-
sentò al padre; il quale, presolo e ringraziato, lo mise nella
sporta. Chiese quindi licenza; e, abbracciato di nuovo il pa-
dron di casa, e tutti quelli che, trovandosi più vicini a lui,
poterono impadronirsene un momento, si liberò da essi a fa-
tica; ebbe a combatter nelle anticamere, per isbrigarsi da'
servitori, e anche da' bravi, che gli baciavano il lembo del-
l'abito, il cordone, il cappuccio; e si trovò nella strada, por-
tato come in trionfo, e accompagnato da una folla di popolo,
fino a una porta della città; d'onde uscì, cominciando il suo
pedestre viaggio, verso il luogo del suo noviziato.
Il fratello dell'ucciso, e il parentado, che s'erano aspet-
tati d' assaporare in quel giorno la trista gioia dell' orgoglio,
si trovarono invece ripieni della gioia serena del perdono e
della benevolenza. La compagnia si trattenne ancor qualche
tempo, con una bonarietà e con una cordialità insolita, in ra-
gionamenti ai quali nessuno era preparato, andando là. In
vece di soddisfazioni prese, di soprusi vendicati, d'impegni
spuntati, le lodi del novizio, la riconciliazione, la mansuetu-
dine furono i temi della conversazione. E taluno, che, per la
cinquantesima volta, avrebbe raccontato come il conte Muzio
suo padre aveva saputo, in quella famosa congiuntura, far
stare a dovere il marchese Stanislao, eh' era quel rodomonte
che ognun sa, parlò invece delle penitenze e della pazienza
mirabile d'un fra Simone, morto molt' anni prima. Partita
la compagnia, il padrone, ancor tutto commosso, riandava tra
sé, con maraviglia, ciò che aveva inteso, ciò eh' egli medesimo
aveva detto; e borbottava fra i denti: — diavolo d'un frate!
(bisogna bene che noi trascriviamo le sue precise parole) —
diavolo d'un frate! se rimaneva lì in ginocchio, per qualche
momento, quasi quasi gli chiedeva scusa io, che m' abbia am-
mazzato il fratello. — La nostra storia nota espressamente
che, da quel giorno in poi, quel signore fu un po' men preci-
pitoso, e un po' più alla mano
CAPITOLO IV, 49
Il padre Cristoforo camminava, con una consolazione che
non aveva mai più provata, dopo quel giorno terribile ad es-
piare il quale tutta la sua vita doveva esser consacrata. Il
silenzio eh' era imposto a' novizi, V osservava , senza avveder-
sene, assorto com'era, nel pensiero delle fatiche, delle pri-
vazioni e dell' umiliazioni che avrebbe sofferte per iscontare
il suo fallo. Fermandosi, all'ora della refezione, presso un
benefattore, mangiò, con una specie di voluttà, del pane del
perdono: ma ne serbò un pezzo e lo ripose nella sporta, per
tenerlo, come un ricordo perpetuo.
Non è nostro disegno di far la storia delia sua vita clau-
strale: diremo soltanto che, adempiendo, sempre con gran
voglia, e con gran cura, gli ufizi che gli venivano ordina-
riamente assegnati, di predicare e d' assistere i moribondi,
non lasciava mai sfuggire un' occasione d' esercitarne due
altri, che s' era imposti da sé: accomodar differenze, e pro-
teggere oppressi. In questo genio entrava, per qualche parte,
senza ch'egli se n'avvedesse, quella sua vecchia abitudine,
e un resticciolo di spiriti guerreschi, che l'umiliazioni e le
macerazioni non avevan potuto spegner del tutto. Il suo
linguaggio era abitualmente umile e posato; ma, quando si
trattasse di giustizia o di verità combattuta, l'uomo s'ani-
mava, a un tratto, dell'impeto antico, che, secondato e mo-
dificato da un'enfasi solenne venutagli dall'uso del predi-
care, dava a quel linguaggio un carattere singolare. Tutto
il suo contegno, come l'aspetto, annunziava una lunga
guerra, tra un'indole focosa, risentita, e una volontà oppo-
sta, abitualmente vittoriosa, sempre all'erta, e diretta da
motivi e da ispirazioni superiori. Un suo confratello ed ami-
co, che lo conosceva bene, 1' aveva paragonato a quelle parole
troppo espressive nella loro forma naturale, che alcuni, an-
che ben educati, pronunziano, quando la passione trabocca,
smozzicate, con qualche lettera mutata; parole che in quel
travisamento, fanno però ricordare della loro energia pri-
mitiva. 7>
Se una poverella sconosciuta, nel tristo caso di Lucia,
avesse chiesto l'aiuto del padre Cristoforo, egli sarebbe cor-
so immediatamente. Trattandosi poi di Lucia, accorse con
tanta più sollecitudine, in quanto conosceva e ammirava l'in-
nocenza di lei, era già in pensiero per i suoi pericoli, e sen-
tiva un' indegnazione santa, per la turpe persecuzione della
quale era divenuta l' oggetto. Oltre di ciò avendola consi-
gliata, per il meno male, di non palesar nulla, e di star-
sene quieta, temeva ora che il consiglio potesse aver prodot-
to qualche tristo effetto; e alla sollecitudine di carità, ch'era
in lui come ingenita, s'aggiungeva in questo caso, qu
gustia scrupolosa che spesso tormenta i buoni.
Manzoni. 4
50 I PROMESSI SPOSI.
Ma, intanto che noi siamo stati a raccontare i fatti del
padre Cristoforo, è arrivato, s'è affacciato all'uscio; e le
donne, lasciando il manico dell'aspo che facevan girare e
stridere, si sono alzate, dicendo, a una voce: «o padre
Cristoforo! sia benedetto!»
CAPITOLO V.
Il qual padre Cristotoro si fermò ritto sulla soglia, e, ap-
pena ebbe data un' occhiata alle donne, dovette accorgersi
che i suoi pressentimenti non eran falsi. Onde, con quel to-
no d' interrogazione che va incontro a una trista risposta, al-
zando la barba con un moto leggiero della testa all' indie-
tro, disse: «ebbene?» Lucia rispose con uno scoppio di
pianto. La madre cominciava a far le scuse d' aver osato ....
ma il frate s'avanzò, e, messosi a sedere sur un panchetto
a tre piedi, troncò i complimenti, dicendo a Lucia: «quie-
tatevi, povera figliuola. E voi,» disse poi ad Agnese, «rac-
contatemi cosa c'è!» Mentre la buona donna faceva alla me-
glio la sua dolorosa relazione, il frate diventava di mille co-
lori, e ora alzava gli occhi al cielo, ora batteva i piedi.
Terminata la storia, si coprì il volto con le mani, ed escla-
mò: «o Dio benedetto! fino a quando !» Ma, senza com-
pir la frase, voltandosi di nuovo alle donne: «poverette!»
disse: «Dio vi ha visitate. Povera Lucia!»
«Non ci abbandonerà, padre?» disse questa, singhiozzando.
«Abbandonarvi!» rispose. «E con che faccia potrei io
chieder a Dio qualcosa per me, quando v'avessi abbandona-
ta? voi in questo stato! voi, ch'Egli mi confida! Non vi per-
dete d'animo: Egli v'assisterà: Egli vede tutto: Egli può
servirsi anche d'un uomo da nulla come son io, per confon-
dere un ... . Vediamo, pensiamo quel che si possa fare.»
Così dicendo, appoggiò il gomito sinistro sul ginocchio,
chinò la fronte nella palma, e con la destra strinse la barba
e il mento, come per tener ferme e unite tutte le potenze
dell' animo. Ma la più attenta considerazione non serviva
che a fargli scorgere più distintamente quanto il caso fosse
pressante e intrigato, e quanto scarsi, quanto incerti e peri-
colosi i ripieghi. — Mettere un po' di vergogna a don Ab-
bondio, e fargli sentire quanto manchi al suo dovere? Ver-
gogna e dovere sono un nulla per lui, quando ha paura. E
fargli paura? Che mezzi ho io mai di fargliene una che superi
quella che ha d'una schioppettata? Informar di tutto il car-
dinale arcivescovo, e invocar la sua autorità? Ci vuol tempo:
CAPITOLO Ve 51
e intanto? e poi? Quand'anche questa povera innocente fosse
maritata, sarebbe questo un freno per quell'uomo? Chi sa
a qual segno possa arrivare? .... E resistergli? Come? Ah!
se potessi, pensava il povero frate, se potessi tirar dalla mia
i miei frati di qui, que' di Milano! Ma! non è un affare co-
mune; sarei abbandonato. Costui fa l'amico del convento, si
spaccia per partigiano de' cappuccini: e i suoi bravi non son
venuti più d'una volta a ricoverarsi da noi? Sarei solo in
ballo: mi buscherei anche dell'inquieto, dell'imbroglione,
dell' accattabrighe; e, quel eh' è più, potrei fors' anche, con
un tentativo fuor di tempo, peggiorar la condizione di que-
sta poveretta. — Contrappesato il prò e il contro di questo e
di quel partito, il migliore gli parve d' affrontar don Ro-
drigo stesso, tentar di smoverlo dal suo infame proposito,
con le preghiere, coi terrori dell'altra vita, anche di questa,
se fosse possibile. Alla peggio, si potrebbe almeno cono-
scere per questa via, più distintamente quanto colui fosse
ostinato nel suo sporco impegno, scoprir di più le sue inten-
zioni, e prender consiglio da ciò.
Mentre il frate stava così meditando, Renzo, il quale, per
tutte le ragioni che ognuno può indovinare, non sapeva star
lontano da quella casa, era comparso sull'uscio; ma visto
il padre sopra pensiero , e le donne che facevan cenno di
non disturbarlo, si fermò sulla soglia, in silenzio. Alzando
la faccia per comunicare alle donne il suo progetto, il frate
s'accorse di lui, e lo salutò in un modo ch'esprimeva un'
affezione consueta, resa più intensa dalla pietà.
«Le hanno detto . . . ., padre?» gli domandò Renzo, con
voce commossa.
«Pur troppo; e per questo son qui.»
« Che dice di quel birbone ....?»
«Che vuoi ch'io dica di lui? Non è qui a sentire; che
gioverebbero le mie parole? dico a te, il mio Renzo, che tu
confidi in Dio, e che Dio non t' abbandonerà.»
«Benedette le sue parole!» esclamò il giovane. «Lei non
è di quelli che dan sempre torto a' poveri. Ma il signor cu-
rato, e quel signor dottore della cause perse . . . .»
«Non rivangare quello che non può servire ad altro che
a inquietarti inutilmente. Io sono un povero frate; ma ti ri-
peto quel che ho detto a queste donne: per quel poco che pos-
so, non v'abbandonerò.»
«Oh, lei non è come gli amici del mondo! Ciarloni! Chi
avesse creduto alle proteste che mi facevan costoro, nel buon
tempo; eh eh! Eran pronti a dare il sangue per me; m'avreb-
bero sostenuto contro il diavolo. S' io avessi avuto un ne-
mico? .... bastava che mi lasciassi intendere; avrebbe finito
presto di mangiar pane. E ora, se vedesse come si riti-
4*
52 I PROMESSI SPOSI.
rano . ...» A questo punto alzando gli occhi al volto del pa-
dre, vide che s1 era tutto rannuvolato, e s' accorse d' aver det-
to ciò che conveniva tacere. Ma volendo raccomodarla, s' an-
dava intrigando e imbrogliando: «volevo dire . . . non intendo
dire . . . cioè, volevo dire ...»
«Cosa volevi dire? E che? tu avevi dunque cominciato
a guastar l'opera mia, prima che fosse intrapresa! buon per
te che sei stato disingannato in tempo. Che ! tu andavi in
cerca d' amici .... quali amici ! . . . che non t' avrebber potuto
aiutare, neppur volendo! E cercavi di perder Quel solo che
lo può e lo vuole! Xon sai tu che Dio è l'amico de* tri-
bolati, che confidano in Lui? Xon sai tu che, a metter fuori
l'unghie, il debole non ci guadagna? E quando pure . ...»
A questo punto, afferrò fortemente il braccio di Renzo : il suo
aspetto, senza perder d'autorità, s'atteggiò d'una compun-
zione solenne, gli occhi s'abbassarono, la voce divenne lenta
e come sotterranea: e quando pure .... è un terribile guada-
gno! Renzo! vuoi tu confidare in me? .... che dico in me,
omiciattolo, fraticello? Vuoi tu confidare in Dio?»
«Oh sì!» rispose Renzo. Quello è il Signore davvero.»
«Ebbene; prometti che non affronterai, che non provoche-
rai nessuno, che ti lascerai guidar da me. «
«Lo prometto.»
Lucia fece un gran respiro, come se le avesser levato un
peso d'addosso; e Agnese disse: «bravo figliuolo.»
«Sentite, figliuoli,» riprese fra Cristoforo: «io anderò og-
gi a parlare a queir uomo. Se Dio gli tocca il cuore e dà
forze alle mie parole, bene: se no, Egli ci farà trovare qual-
che altro rimedio. Voi intanto, statevi quieti, ritirati, scan-
sate le ciarle, non vi fate vedere. Stasera, 0 domattina al
più tardi, mi rivedrete.» Detto questo, troncò tutti i ringra-
ziamenti e le benedizioni, e partì. S' avviò al convento, arrivò
a tempo d'andare in coro a cantar sesta, desinò, e si mise
subito in cammino, verso il covile della fiera che voleva pro-
varsi d* ammansare.
Il palazzotto di don Rodrigo sorgeva isolato, a somiglianza
d'una bicocca, sulla cima d'uno de' poggi ond' è sparsa e ri-
levata quella costiera. A questa indicazione l'anonimo ag-
giunge che il luogo (avrebbe fatto meglio a scriverne alla buo-
na il nome) era più in su del paesello degli sposi, discosto
da questo forse tre miglia, e quattro dal convento. Appiè del
poggio, dalla parte che guarda a mezzogiorno, e verso il la-
go, giaceva un mucchietto di casupole, abitate da contadini
di don Rodrigo; ed era come la piccola capitale del suo pic-
col regno. Bastava passarvi, per esser chiarito della condi-
zione e de' costumi del paese. Dando un' occhiata nelle
stanze terrene, dove qualche uscio fosse aperto, si vedevano
attaccati al muro schioppi, tromboni, zappe, rastrelli, cappelli
CAPITOLO 53
di paglia, reticelle e fiaschetti da polvere, alla rinfusa. La
gente che vi s' incontrava erano omacci tarchiati e arcigni,
con un gran ciuffo arrovesciato sul capo, e chiuso in una re-
ticella; vecchi che, perdute le zanne, parevan sempre pronti,
chi nulla nulla gli aizzasse, a digrignar le gengive; donne con
certe facce maschie, e con certe braccia nerborute, buone da ve-
nire in aiuto della lingua, quando questa non bastasse: ne' sem-
bianti e nelle mosse de' fanciulli stessi, che giocavan per la stra-
da, si vedeva un non so che di petulante e di provocativo.
Fra Cristoforo attraversò il villaggio, salì per una viuzza
a chiocciola, e pervenne sur una piccola spianata, davanti al
palazzotto. La porta era chiusa, segno che il padrone stava
desinando, e non voleva esser frastornato. Le rade e piccole
finestre che davan sulla strada, chiuse da imposte sconnesse
e consunte dagli anni, eran però difese da grosse inferriate,
e quelle del pian terreno tant* alte che appena vi sarebbe
arrivato un uomo sulle spalle d* un altro. — Regnava quivi
un gran silenzio; e un passeggiero avrebbe potuto credere
che fosse una casa abbandonata, se quattro creature, due
vive e due morte, collocate in simmetria, di fuori, non aves-
ser dato un indizio d'abitanti. Due grand' avoltoi, con l'ali
spalancate, e co' teschi penzoloni, 1' nno spennacchiato e mezzo
roso dal tempo, l'altro ancor saldo e pennuto, erano inchio-
dati, ciascuno sur un battente del portone; e due bravi,
sdraiati, ciascuno sur una delle panche poste a destra e a
sinistra, facevan la guardia, aspettando d'esser chiamati a
goder gli avanzi della tavola del signore. Il padre si fermò
ritto, in atto di chi si dispone ad aspettare; ma un de' bravi
s'alzò, e gli disse: «padre, padre, venga pure avanti: qui non
si fanno aspettare i cappuccini: noi siamo amici del convento:
e io ci sono stato in certi momenti che fuori non era troppo
buon'aria per me; e se mi avesser tenuta la porta chiusa,
la sarebbe andata male.» Così dicendo, diede due picchi
col martello. A quel suono risposer subito di dentro gli urli
e le strida di mastini e di cagnolini; e, pochi momenti dopo,
giunse borbottando un vecchio servitore; ma, veduto il padre,
gli fece un grand' inchino , acquietò le bestie, con le mani e
con la voce, introdusse l'ospite in un angusto cortile, e ri-
chiuse la porta. Accompagnatolo poi in un salotto, e guar-
dandolo con una cert' aria di maraviglia e di rispetto, disse:
«non è lei .... il padre Cristoforo di Pescarenico? >
«Per 1' appunto. ^
«Lei qui?»
«Come vedete, buon uomo.»
«Sarà per far del bene. Del bene,» continuò mormoran-
do tra i denti, e rincamminandosi, «se ne può far per tut-
to.» Attraversati due o tre altri salotti oscuri, arrivarono al-
l' uscio della sala del convito. Quivi un gran frastono confuso
54 I PROMESSI SPOSI.
di forchette, di coltelli, di bicchieri, di piatti, e sopra tutto
di voci discordi, che cercavano a vicenda di soverchiarsi. Il
frate voleva ritirarsi , e stava contrastando dietro 1' uscio col
servitore, per ottenere d' esser lasciato in qualche canto della
casa, fin che il pranzo fosse terminato; quando l'uscio s'a-
prì. Un certo conte Attilio, che stava seduto in faccia (era
un cugino del padron di casa; e abbiam già fatto menzione
di lui, senza nominarlo), veduta una testa rasa e una tona-
ca, e accortosi dell'intenzione modesta del buon frate, «ehi!
ehi!» gridò: «non ci scappi, padre riverito: avanti, avan-
ti.» Don Rodrigo, senza indovinar precisamente il soggetto
di quella visita, pure, per non so qual presentimento confu-
so, n' avrebbe fatto di meno. Ma, poiché lo spensierato d' At-
tilio aveva fatta quella gran chiamata, non conveniva a lui
di tirarsene indietro; e disse: «venga, padre, venga.» Il pa-
dre s'avanzò, inchinandosi al padrone, e rispondendo, a due
mani, ai saluti de' commensali.
/L'uomo onesto in faccia al malvagio, piace generalmente
(non dico a tutti) immaginarselo con la fronte alta, con lo
sguardo sicuro, col petto rilevato, con lo scilinguagnolo bene
sciolto. Nel fatto però, per fargli prender queir attitudine, si
richiedon molte circostanze , le quali ben di rado si riscon-
trano insieme. Perciò, non vi maravigliate se fra Cristoforo,
col buon testimonio della sua coscienza, col sentimento fer-
missimo della giustizia della causa che veniva a sostenere,
con un sentimento misto d' orrore e di compassione per don
Rodrigo, stesse con una cert' aria di suggezione e di rispetto,
alla presenza di quello stesso don Rodrigo eh' era lì in capo
di tavola, in casa sua, nel suo regno, circondato d'amici,
d' omaggi , di tanti segni della sua potenza , con un viso da
far morire in bocca a chi si sia una preghiera, non che un
consiglio, non che una correzione, non che un rimprovero.
Alla sua destra sedeva quel conte Attilio suo cugino, e se
fa bisogno di dirlo, suo collega di libertinaggio e di sover-
chieria, il quale era venuto da Milano a villeggiare, per al-
cuni giorni, con lui. A sinistra, e a un altro lato della ta-
vola, stava, con gran rispetto, temperato però d'una certa
sicurezza, e d'una certa saccenteria, il signor podestà, quel
medesimo a cui, in teoria, sarebbe toccato a far giustizia a
Renzo Tramaglino, e a fare star a dovere don Rodrigo, come
s'è visto di sopra. In faccia al podestà, in atto d'un ri-
spetto il più puro , il più sviscerato , sedeva il nostro dottor
Azzecca-garbugli,in cappa nera, e col naso più rubicondo del
solito: in faccia ai due cugini, due convitati oscuri, de' quali
la nostra storia dice soltanto che non facevano altro che man-
giare, chinare il capo, sorridere e approvare ogni cosa che
dicesse un commensale, e a cui un altro non contraddicesse.
CAPITOLO V. 55
«Da sedere al padre,» disse don Rodrigo. Un servitore
presentò una sedia, sulla quale si mise il padre Cristoforo,
facendo qualche scusa ai signore, d' esser venuto in ora inop-
portuna. «Bramerei di parlarle da solo a solo, con suo co-
modo, per un affare d'importanza,» soggiunse poi, con voce
più sommessa, all' orecchio di don Rodrigo.
«Bene, bene, parleremo:» rispose questo: «ma intanto si
porti da bere al padre.»
Il padre voleva schermirsi: ma don Rodrigo, alzando la
voce, in mezzo al trambusto ch'era ricominciato, gridava:
«no, per bacco, non mi farà questo torto; non sarà mai
vero che un cappuccino vada via da questa casa, senza aver
gustato del mio vino, né un creditore insolente, senza aver
assaggiate le legna de" miei boschi » Queste parole eccitarono
un riso universale, e interruppero un momento la questione
che s' agitava caldamente tra i commensali. Un servitore,
portando sur una sottocoppa un' ampolla di vino , e un lungo
bicchiere in forma di calice, la presentò al padre: il quale,
non volendo resistere a un invito tanto pressante dell' uomo
che gli premeva tanto di farsi propizio, non esitò a mesce-
re, e si mise a sorbir lentamente il vino.
«L'autorità del Tasso non serve al suo assunto, signor
podestà riverito: anzi è contro di lei;» riprese a urlare il
conte Attilio: «perchè quell'uomo erudito, quell'uomo gran-
de, chesapeva a menadito tutte le regole della cavalleria, ha fat-
to che il messo d' Argante , prima d' esporre la sfida ai ca-
valieri cristiani, chieda licenza al pio Buglione .... »
'Ma questo,» replicava, non meno urlando, il podestà,
«questo è un di più, un mero di più, un ornamento poe-
tico, giacché il messaggiero è di sua natura inviolabile, per
diritto delle genti, jure gentium: e, senza andar tanto a cer-
care, lo dice anche il proverbio: ambasciator non porta pe-
na. E, i proverbi, signor conte, sono la sapienza del genere
umano. E, non avendo il messaggiero detto nulla in suo proprio
nome, ma solamente presentata la sfida in iscritto .... »
«Ma quando vorrà capire che quel messaggiero era un
asino temerario, che non conosceva le prime ....?»
«Con buona licenza di lor signori,» interruppe don Ro-
drigo , il quale non avrebbe voluto che la questione andasse
troppo avanti: «rimettiamola nel padre Cristoforo; e si stia
alla sua sentenza.»
«Bene, benissimo,» disse il conte Attilio, al quale parve
cosa molto garbata il far decidere un punto di cavalleria da
un cappuccino; mentre il podestà, più infervorato di cuore
nella questione, si chetava a stento, e con un certo viso,
che pareva volesse dire: ragazzate.
bb I PROMESSI SPOST.
cMa, da quel che mi parve d'aver capito,» disse il pa
dre, cnon son cose di cui io mi deva intendere.»
«Solite scuse di modestia di loro padri;» disse don Ro-
drigo: «ma non mi scapperà. Eh via! sappiam bene che lei
non è venuta al mondo col cappuccio in capo , e che il mon-
do l'ha conosciuto. Via, via: ecco la questione.»
(Il fatto è questo;» cominciava a gridare il conte Attilio.
«Lasciate dir a me, che son neutrale, cugino,» riprese
don Rodrigo. ((Ecco la storia. Un cavaliere spagnuolo man-
da una sfida a un cavaliere milanese: il portatore, non trovan-
do il provocato in casa, consegna il cartello a un fratello del
cavaliere: il qual fratello legge la sfida, e in risposta dà al-
cune bastonate al portatore. Si tratta . . . .»
«Ben date, ben applicate,» gridò il conte Attilio. «Fu
una vera ispirazione.»
«Del demonio,» soggiunse il podestà. «Battere un am-
basciatore! persona sacra! Anche lei padre, mi dirà se que-
sta è azione da cavaliere.»
«Sì, signore, da cavaliere,» gridò il conte: «e lo lasci
dire a me, che devo intendermi di ciò che conviene a un
cavaliere. Oh, se fossero stati pugni, sarebbe un'altra fac-
cenda; ma il bastone non isporca le mani a nessuno. Quello
che non posso capire è perchè le premano tanto le spalle
d'un mascalzone.»
«Chi le ha parlato delle spalle, signor conte mio? Lei
mi fa dire spropositi che non mi son mai passati per la
mente. Ho parlato del carattere, e non di spalle, io. Parlo
sopra tutto del diritto delle genti. Mi dica un poco, di gra-
zia, se i feciali che gli antichi Romani mandavano a intimar
le sfide agli altri popoli, chiedevan licenza d'esporre l'am-
basciata: e mi trovi un poco uno scrittore che faccia menzio-
ne che un feciale sia mai stato bastonato.»
(Che hanno a far con noi gli ufiziali degli antichi Ro-
mani? gente che andava alla buona, e che in queste cose, era
indietro, indietro. Ma, secondo le leggi della cavalleria mo-
derna, eh' è la vera, dico e sostengo che un messo il quale
ardisce di porre in mano a un cavaliere una sfida, senza aver-
gliene chiesta licenza, è un temerario, violabile violabilissi-
mo, bastonabile bastonabilissimo . . . .»
«Risponda un poco a questo sillogismo.»
«Niente, niente, niente.»
«Ma ascolti, ma ascolti, ma ascolti. Percotere un disar-
mato è atto proditorio; atqiti il messo de quo era senz'ar-
me ; ergo .... »
«Piano, piano, signor podestà.»
«Che piano?»
< Piano, le dico: cosa mi viene a dire? Atto proditorio
CAPITOLO V. 57
è ferire uno con la spada, per di dietro, o dargli una schiop-
pettata nella schiena: e, anche per questo, si possono dar
certi casi .... ma stiamo nella questione. Concedo che que-
sto generalmente possa chiamarsi atto proditorio: ma appog-
giar quattro bastonate a un mascalzone! Sarebbe bella che
si dovesse dirgli: guarda che ti bastono: come si direbbe a
un galantuomo: mano alla spada. — E lei, signor dottor ri-
verito, in vece di farmi de' sogghigni, per farmi capire
eh' è del mio parere, perchè non sostiene le mie ragioni,
con la sua buona tabella, per aiutarmi a persuader questo
signore?»
« Io . . . . » rispose confusetto il dottore: «io godo di
questa dotta disputa; e ringrazio il beli' accidente che ha dato
occasione a una guerra d' ingegni così graziosa. E poi, a me
non compete di dar sentenza: sua signoria illustrissima ha
già delegato un giudice .... qui il padre . . . .»
«È vero;» disse don Rodrigo: «ma come volete che il
giudice parli, quando i litiganti non vogliono stare zitti?»
«Ammutolisco,» disse il conte Attilio. Il podestà strinse
le labbra, e alzò la mano, come in atto di rassegnazione.
«Ah sia ringraziato il cielo! A lei, padre,») disse don
Rodrigo, con una serietà mezzo canzonatoria.
«Ho già fatte le mie scuse, col dire che non me n'inten-
do,» rispose fra Cristoforo, rendendo il bicchiere a un ser-
vitore.
«Scuse magre» gridarono i due cugini; «vogliamo la
sentenza. »
«Quand'è così,» riprese il frate, «il mio debole parere
sarebbe che non vi fossero né sfide, né portatori, né ba-
stonate.»
I commensali si guardarono 1' un con V altro maravigliati.
«Oh questa è grossa!» disse il conte Attilio. «Mi per-
doni, padre, ma è grossa. Si vede che lei non conosce il
mondo.»
.■Lui?» disse don Rodrigo: «me lo volete far ridire: lo
conosce, cugino mio, quanto voi: non è vero, padre? Dica,
dica, se non ha fatta la sua carovana?»
In vece di rispondere a quest' amorevole domanda, il pa-
dre disse una parolina in segreto a sé medesimo: — queste
vengono a te; ma ricordati, frate, che non sei qui per te,
e che tutto ciò che tocca te solo, non entra nel conto.
«Sarà,» disse il cugino: «ma il padre .... come si chia-
ma il padre?»
«Padre Cristoforo» rispose più d'uno.
«Ma, padre Cristoforo, padron mio colendissimo, con que-
ste sue massime, lei vorrebbe mandare il mondo sottosopra.
Senza sfide! Senza bastonate! Addio il punto d' onore: im-
58 I PROMESSI SPOSI.
punita per tutti i mascalzoni. Per buona sorte che il suppo-
sto è impossibile.»
«Animo, dottore,» scappò fuori don Rodrigo, che voleva
sempre più divertire la disputa dai due primi contendenti,
«animo, a voi, che, per dar ragione a tutti, siete un uomo.
Vediamo un poco corno farete per dar ragione in questo al
padre Cristoforo.»
«In verità,» rispose il dottore, tenendo brandita in aria
la forchetta, e rivolgendosi al padre, «in verità io non so
intendere come il padre Cristoforo, il quale è insieme il per-
fetto religioso e Y uomo di mondo , non abbia pensato che la
sua sentenza, buona, ottima e di giusto peso sul pulpito,
non vai niente, sia detto col dovuto rispetto, in una disputa
cavalleresca. Ma il padre sa, meglio di me, che ogni cosa
è buona a suo luogo; e io credo che, questa volta, abbia
voluto cavarsi, con una celia, dall'impiccio di proferire una
sentenza.»
Che si poteva mai rispondere a ragionamenti dedotti da
una sapienza così antica, e sempre nuova? Niente: e così
fece il nostro frate.
Ma don Rodrigo, per voler troncare quella questione, ne
venne a suscitare un'altra. «A proposito.» disse, «ho sen-
tito che a Milano correvan voci d'accomodamento.»
Il lettore sa che in quell' anno si combatteva per la suc-
cessione al ducato di Mantova, del quale, alla morte di Vin-
cenzo Gonzaga, che non aveva lasciata prole legittima, era
entrato in possesso il duca di Xevers, suo parente più pros-
simo. Luigi XIII, ossia il cardinale di Richelieu, sosteneva
quel principe, suo ben affetto, e naturalizzato francese: Fi-
lippo IV, ossia il conte d; Olivares, comunemente chiamato
il conte duca, non lo voleva lì, per le stesse ragioni; e gli
aveva mosso guerra. Siccome poi quel ducato era feudo del-
l'impero, così le due parti s'adoperavano, con pratiche, con
istanze, con minacce, presso l' imperator Ferdinando É, la
prima perchè accordasse l'investitura al nuovo duca; la se-
conda perchè gliela negasse, anzi aiutasse a cacciarlo da
quello stato.
«Non son lontano dal credere,» disse il conte Attilio,
i che le cose si possano accomodare. Ho certi indizi . . . .»
«Xon creda, signor conte, non creda,» interruppe il po-
destà. «Io, in questo cantuccio, posso saperle le cose; per-
chè il signor castellano spagnolo, che, per sua bontà, mi
vuole un po' di bene, e per esser figliuolo d'un creato del
conte duca, è informato d' ogni cosa . . . .»
«Le dico che a me accade ogni giorno di parlare in Mi-
lano con ben alti personaggi; e so di buon luogo che il
CAPITOLO V. 59
papa, interessatissimo, com'è, per la pace, ha fatto propo-
sizioni . . . .»
«Così dev'essere; la cosa è in regola; sua santità fa il
suo dovere; un papa deve sempre metter bene tra i prin-
cipi cristiani; ma il conte duca ha la sua politica, e . . . .»
«E, e, e; sa lei, signor mio, come la pensi l'imperatore,
in questo momento? Crede lei che non ci sia altro che Man-
tova a questo mondo? Le cose a cui si deve pensare son
molte, signor mio. Sa lei, per esempio, fino a che segno
l' imperatore possa ora fidarsi di quel suo principe di Yaldi-
stano o di Vallistai, o come lo chiamano, e se ......
«Il nome legittimo in lingua alemanna." interruppe an-
cora il podestà, «è Yagliensteino, come 1" ho sentito profe-
rir più volte dai nostro signor castellano spagnolo. Ma stia
pur di buon animo, che . . . .»
«Mi vuole insegnare ....?» riprendeva il conte; ma don
Rodrigo gii die d'occhio, per fargli intendere che, per amor
suo, cessasse di contraddire. Il conte tacque, e il podestà,
come un bastimento disimbrogliato da una secca, continuò,
a vele gonfie, il corso della sua eloquenza. «Yagliensteino
mi dà poco fastidio; perchè il conte duca ha l'occhio a tut-
to, e per tutto; e se Yagliensteino vorrà fare il bell'umore,
saprà ben lui farlo rigar diritto, con le buone, o con le cat-
tive. Ha l'occhio per tutto, dico, e le mani lunghe; e, se
ha fisso il chiodo, come l'ha fisso, e giustamente, da quel
gran politico che è, che il signor duca di Nìvers non metta
le radici in Mantova, il signor duca di Nivers non ce le met-
terà; e il signor cardinale di Riciliù farà un buco nell'acqua.
Mi fa pur ridere quel caro signor cardinale, a voler cozzare
con un conte duca, con un Olivares. Dico il vero, che vor-
rei rinascere di qui a dugent' anni , per sentir cosa diranno
i posteri, di questa bella pretensione. Ci vuol altro che in-
vidia; testa vuol essere: e teste come la testa d'un conte du-
ca, ce n' è una sola al mondo. Il conte duca, signori miei,»
proseguiva il podestà, sempre col vento in poppa, e un
po' maravigliato anche lui di non incontrar mai uno scoglio :
«Il conte duca è una volpe vecchia, parlando col dovuto ri-
spetto, che farebbe perder la traccia a chi si sia: e, quando
accenna a destra, si può esser sicuri che batterà a sinistra:
ond' è che nessuno può mai vantarsi di conoscere i suoi di-
segni; e quegli stessi che devon metterli in esecuzione, que-
gli stessi che scrivono i dispacci, non ne capiscon niente. Io
posso parlare con qualche cognizion di causa; perchè quel
brav' uomo del signor castellano si degna di trattenersi meco,
con qualche confidenza. Il conte duca, viceversa, sa appun-
tino cosa bolle in pentola di tutte V altre corti; e tutti que' po-
liticoni (che ce n' è di diritti assai, non si può negare) han-
60 i promessi srosi.
no appena immaginato un disegno, che il conte duca te l'ha
già indovinato, con quella sua testa, con quelle sue strade co-
perte, con quo' suoi fili tesi per tutto. Quel poveruomo del
cardinale di Riciliù tenta di qua, fiuta di là, suda, s'inge-
gna: e poi? quando gli è riuscito di scavare una mina, trova
la contrammina già beli' e fatta dal conte duca . . . .»
Sa il cielo quando il podestà avrebbe preso terra; ma don
Rodrigo, stimolato anche da' versacci che faceva il cugino, si
voltò ali* improvviso, come se gli venisse un" ispirazione, a un
servitore, e gli accennò che portasse un certo fiasco. _ «Si-
gnor podestà, e signori miei!» disse poi: «un brindisi al
conte duca; e mi sapranno dire se il vino sia degno del per-
sonaggio.» Il podestà rispose con un inchino, nel quale tra-
spariva un sentimento di riconoscenza particolare; perchè
tutto ciò che si faceva o si diceva in onore del conte duca, lo
riteneva in parte come fatto a sé.
«Viva mill' anni don Gasparo Guzman, conte d' Olivares,
duca di san Lucar, gran privato del re don Filippo il grande,
nostro signore!» esclamò alzando il bicchiere.
Privato, chi non lo sapesse, era il termine in uso, a
que' tempi, per significare il favorito d' un principe.
dViva mill'anni!» risposer tutti.
(Servite il padre,» disse don Rodrigo.
«Mi perdoni:» rispose il padre: «ma ho già fatto un dis-
ordine, e non potrei . . . .»
..Come!» disse don Rodrigo: «si tratta d'un brindisi al
conte duca. Vuol dunque far credere eh' ella tenga dai na-
va ri-ini?»
Così si chiamavano allora, per ischerno, i Francesi, dai
principi di Navarra, che avevan cominciato con Enrico IV, a
regnar sopra di loro.
A tale scongiuro, convenne bere. Tutti i commensali pro-
ruppero in esclamazioni, e in elogi del vino; fuor che il dot-
tore, il quale, col capo alzato, con gli occhi fissi, con le lab-
bra strette, esprimeva molto più che non avrebbe potuto far
con parole.
«Che ne dite eh, dottore?» domandò don Rodrigo.
Tirato fuor del bicchiere un naso più vermiglio e più lu-
cente di quello, il dottore rispose battendo con enfasi ogni
sillaba: «dico, proferisco e sentenzio che questo è 1' Olivares
de' vini: censui , et in eam ivi sententiam. che un liquor si-
mile non si trova in tutti i ventidue regni del re nostro si-
gnore, che Dio guardi: dichiaro e definisco che i pranzi del-
l' illustrissimo signor don Rodrigo vincono le cene d' Elioga-
balo; e che la carestia è bandita e confinata in perpetuo da
questo palazzo, dove siede e regna la splendidezza.»
CAPITOLO V. 61
«Ben detto! ben definito! » gridarono, a una voce, i com-
mensali, ma quella parola, carestia, che il dottore aveva but-
tata fuori a caso, rivolse in un punto tutte le menti a quel
tristo soggetto; e tutti parlarono della carestia. Qui andavan
tutti d'accordo, almeno nel principale; ma il fracsàso era
forse più grande che se ci fosse stato disparere. Parlavan
tutti insieme. «Xon c'è carestia,» diceva uno: «sono gl'in-
cettatori .... »
«E i fornai;" diceva un altro: « che nascondono il grano.
Impiccarli.»
«Appunto: impiccarli senza misericordia.»
«De' buoni processi,» gridava il podestà.
■Che processi?» gridava più forte il conte Attilio: «giu-
stizia summaria. Pigliarne tre o quattro o cinque o sei , di
quelli che, per voce pubblica, son conosciuti come i più ric-
chi e i più cani, e impiccarli.»
«Esempi! esempi! senza esempi non si fa nulla.»
"Impiccarli! impiccarli! e salterà fuori grano da tutte le
parti. »
Chi, passando per una fiera, s'è trovato a goder l'armo-
nia che fa una compagnia di cantambanchi, quando tra una
sonata e l'altra, ognuno accorda il suo stromento, facendolo
stridere quanto più può , affine di sentirlo distintamente , in
mezzo al rumore degli altri, s' immagini che tale fosse la con-
sonanza di quei, se si può dire discorsi. S'andava intanto
mescendo e rimescendo di quel tal vino; e le lodi di esso ve-
nivano, com' era giusto, frammischiate alle sentenze di giuris-
prudenza economica: sicché le parole che s' udivan più sonore
e più frequenti erano: ambrosia e impiccarli.
yi Don Ptodrigo intanto dava dell' occhiate al solo che stava
zitto; e lo vedeva sempre lì fermo, senza dar segno d'im-
pazienza né di fretta, senza far atto che tendesse a ricordare
che stava aspettando; ma in aria di non voler andarsene,
prima d' essere stato ascoltato. L' avrebbe mandato a spasso
volentieri, e fatto di meno di quel colloquio; ma congedare un
cappuccino, senza avergli dato udienza, non era secondo le
regole della sua politica. Poiché la seccatura non si poteva
scansare, si risolvette d'affrontarla subito, e di liberarsene;
s'alzò da tavola, e seco tutta la rubiconda brigata, senza in-
terrompere il chiasso. Chiesta poi licenza agli ospiti, s' avvi-
cinò, in atto contegnoso, al frate, che s' era subito alzato con
gli altri; gli disse: «eccomi a' suoi comandi;» e lo condusse
in un' altra sala.
62 1 PBOMESSI SPOSI.
CAPITOLO VI.
• In che posso ubbidirla?» disse don Rodrigo piantandosi
in piedi nel mezzo della sala. Il suono delle parole era tale;
ma il modo con cui eran proferite, voleva dir chiaramente,
bada a chi sei davanti, pesa le parole, e sbrigati.
Per dar coraggio al nostro fra Cristoforo, non e' era mez-
zo più sicuro e più spedito, che prenderlo con maniera arro-
gante. Egli che stava sospeso, cercando le parole, e facendo
scorrere tra le dita le ave marie della corona che teneva a
cintola, come se in qualcheduna di quelle sperasse di trovare
il suo esordio; a quel fare di don Rodrigo, si sentì subito
venir sulle labra più parole del bisogno. Ma pensando quanto
importasse di non guastare i fatti suoi o, ciò ch'era assai
più, i fatti altrui, corresse e temperò le frasi che gli si eran
presentate alla mente, e disse con guardinga umiltà: «vengo
a proporle un atto di giustizia, a pregarla d'una carità.
Cert' uomini di mal affare hanno messo innanzi il nome di
vossignoria illustrissima, per far paura a un povero curato, e
impedirgli di compire il suo dovere, e per soverchiare due
innocenti. Lei può, con una parola, confonder coloro, resti-
tuire al diritto la sua forza, e sollevar quelli a cui è fatta una
così crudel violenza. Lo può: e potendolo .... la coscienza,
l' onore . . . .»
«Lei mi parlerà della mia coscienza, quando verrò a con-
fessarmi da lei. In quanto al mio onore, ha da sapere che
il custode ne son io,, e io solo; e che chiunque ardisce en-
trare a parte con me di questa cura, lo riguardo come il te-
merario che V offende.»
Fra Cristoforo, avvertito da queste parole che quel signore
cercava di tirare al peggio le sue, per volgere il discorso in
contesa, e non dargli luogo di venire alle strette, s'impegnò
tanto più alla sofferenza, risolvette di mandar giù qualunque
cosa piacesse all'altro di dire, e rispose subito, con un tono
sommesso: «se ho detto cosa che le dispiaccia, è stato certa-
mente contro la mia intenzione. Mi corregga pure, mi ripren-
da, se non so parlare come si conviene; ma si degni ascol-
tarmi. Per amor del cielo, per quel Dio, al cui cospetto dob-
biam tutti comparire ...» e, così dicendo, aveva preso tra le
dita, e metteva davanti agli occhi del suo accigliato ascolta-
tore il teschietto di legno attaccato alla sua corona, «non
s'ostini a negare una giustizia così facile, e cosi dovuta a
de* poverelli. Pensi che Dio ha sempre gli occhi sopra di
loro, e che le loro grida, i loro gemiti sono ascoltati lassù.
L'innocenza è potente al suo >
CAPITOLO VI. 63
«Eh, padre!» interruppe bruscamente don Rodrigo: «il
rispetto ch'io porto al suo abito è grande: ma se qualche
cosa potesse farmelo dimenticare, sarebbe il vederlo indosso
a uno che ardisse di venire a farmi la spia in casa.»
Questa parola fece venir le fiamme sul viso del frate: il
quale però, col sembiante di chi inghiottisce una medicina
molto amara, riprese: «lei non crede che un tal titolo mi si
convenga. Lei sente, in cuor suo, che il passo ch'io fo ora
qui, non è né vile né spregevole. M'ascolti, signor don Ro-
drigo; e voglia il cielo che non venga un giorno in cui si
penta di non avermi ascoltato. Non voglia metter la sua glo-
ria ... . qual gloria, signor don Rodrigo! qual gloria dinanzi
agli uomini! E dinanzi a Dio! Lei può molto quaggiù;
ma . . . .»
«Sa lei,» disse don Rodrigo, interrompendo, con istizza,
ma non senza qualche raccapriccio, «sa lei che, quando mi
viene lo schiribizzo di sentire una predica, so benissimo an-
dare in chiesa, come fanno gli altri? Ma in casa mia! Oli!»
e continuò con un sorriso forzato di scherno: «lei mi tratta
da più di quel che sono. Il predicatore in casa non 1' hanno
che i principi.»
«E quel Dio che chiede conto ai principi della parola
che fa loro sentire, nelle loro reggie; quel Dio che le usa
ora un tratto di misericordia, mandando un suo ministro, in-
degno e miserabile, ma un suo ministro, a pregar per una in-
nocente . . . .»
«In somma, padre,» disse don Rodrigo, facendo atto
d'andarsene, «io non so quel che lei voglia dire: non ca-
pisco altro se non che ci dev' essere qualche fanciulla che
le preme molto. Vada a far le sue confidenze a chi le piace;
e non si prenda la libertà d' infastidir più a lungo un gen-
tiluomo.»
Al moversi di don Rodrigo, il nostro frate gli s'era mes-
so davanti, ma con gran rispetto; e, alzate le mani, come per
supplicare e per trattenerlo ad un punto, rispose ancora, la
mi preme, è vero, ma non più di lei: son due anime che
l'una, e l'altra, mi premon più del mio sangue. Don Ro-
drigo ! io non posso far altro per lei , che pregar Dio ; ma lo
farò ben di cuore. Non mi dica di no; non voglia tener
nell' angoscia e nel terrore una povera innocente. Una pa-
rola di lei può far tutto.»
«Ebbene,» disse don Rodrigo, «giacché lei crede ch'io
possa far molto per questa persona; giacché questa persona
le sta tanto a cuore .... »
«Ebbene?» riprese ansiosamente il padre Cristoforo, al
quale 1' atto e il contegno di don Rodrigo non permettevano
64 1 PROMESSI SPOSI.
d' abbandonarsi alla speranza che parevano annunziare quelle
parole.
«Ebbene, la consigli di venire a mettersi sotto la mia
protezione. Non le mancherà più nulla, e nessuno ardirà
d'inquietarla, o ch'io non son cavaliere.»
A siffatta proposta, l' indegnazione del frate, rattenuta a
stento fin allora, traboccò. Tutti que' bei proponimenti di
prudenza e di pazienza andarono in fumo: l'uomo vecchio si
trovò d'accordo col nuovo; e, in que1 casi fra Cristoforo va-
leva veramente per due. «La vostra protezione!» esclamò
dando indietro due passi, postandosi fieramente sul piede
destro, mettendo la destra sull'anca, alzando la sinistra con
V indice teso verso don Rodrigo, e piantandogli in faccia due
occhi infiammati: «la vostra protezione! È meglio che ab-
biate parlato così, che abbiate fatta a me una tale proposta.
Avete colmata la misura; e non vi temo più.»
«Come parli, frate? ...»
«Parlo come si parla a chi è abbandonato da Dio, e non
può più far paura. La vostra protezione! Sapevo bene che
quella innocente è sotto la protezione di Dio; ma voi, voi me
lo fate sentire ora, con tanta certezza, che non ho più bi-
sogno di riguardi a parlarcene. Lucia, dico: vedete come io
pronunzio questo nome con la fronte alta, e con gli occhi
immobili.»
«Come! in questa casa . . . .»
«Ho compassione di questa casa: la maledizione le sta
sopra sospesa. State a vedere che la giustizia di Dio avrà
riguardo a quattro pietre, e soggezione di quattro sgherri.
Voi avete creduto che Dio abbia fatta una creatura a sua im-
magine, per darvi il piacere di tormentarla! Voi avete cre-
duto che Dio non saprebbe difenderla! Voi avete disprezzato
il suo avviso! Vi siete giudicato. Il cuore di Faraone era
indurito quanto il vostro; e Dio ha saputo spezzarlo. Lu-
cia è sicura da voi: ve lo dico io povero frate; e in quanto
a voi sentite bene quel eh' io vi prometto. Verrà un gior-
no .... »
Don Rodrigo era fin allora rimasto tra la rabbia e la ma-
raviglia, attonito, non trovando parole; ma, quando sentì in-
tonare una predizione, s' aggiunse alla rabbia un lontano e
misterioso spavento.
Afferrò rapidamente per aria quella mano minacciosa, e,
alzando la voce, per troncar quella dell' infausto profeta,
gridò: «escimi di tra piedi, villano temerario, poltrone in-
cappucciato.»
Queste parole così chiare acquietarono in un momento il
padre Cristoforo. All' idea di strapazzo e di villania era,
nella sua mente, così bene, e da tanto tempo, associata 1" idea
CAPITOLO VI. 65
di sofferenza e di silenzio, che, a quel complimento, gli cadde
ogni spirito d' ira e d' entusiasmo, e non gli restò altra ri-
soluzione che quella d'udir tranquillamente ciò che a don
Rodrigo piacesse d' aggiungere. Onde ritirata placidamente
la mano dagli artigli del gentiluomo, abbassò il capo, e ri-
mase immobile, come al cader del vento, nel forte della bur-
rasca, un albero agitato ricompone naturalmente i suoi rami,
e riceve la grandine come il ciel la manda.
"Villano rincivilito!» proseguì don Rodrigo; («tu tratti da
par tuo. Ma ringrazia il saio che ti copre codeste spalle di
mascalzone, e ti salva dalle carezze che si fanno a' tuoi pari,
per insegnar loro a parlare. Esci con le tue gambe, per
questa volta; e la vedremo.»
Così dicendo, additò, con impero sprezzante, un uscio in
faccia a quello per cui erano entrati; il padre Cristoforo chinò
il capo e se n' andò, lasciando don Rodrigo a misurare, a
passi infuriati, il campo di battaglia.
Quando il frate ebbe serrato V uscio dietro a sé, vide nel-
l' altra stanza dove entrava, un uomo ritirarsi pian piano,
strisciando il muro, come per non esser veduto dalla stanza
del colloquio ; e riconobbe il vecchio servitore eh' era venuto
a riceverlo alla porta di strada. Era costui in quella casa,
forse da quarantanni, cioè prima che nascesse don Rodrigo;
entratovi al servizio del padre, il quale era stato tutt' un' al-
tra cosa. Morto lui, il nuovo padrone, dando lo sfratto a
tutta la famiglia, e facendo brigata nuova, aveva però rite-
nuto quel servitore, e per esser già vecchio, e perchè, sebben
di massime e di costume diverso interamente dal suo, com-
pensava però questo difetto con due qualità: un' alta opinione
della dignità della casa, e una gran pratica del cerimoniale,
di cui conosceva, meglio d'ogni altro, le più antiche tradi-
zioni, e i più minuti particolari. In faccia al signore, il po-
vero vecchio non si sarebbe mai arrischiato d' accennare, non
che d' esprimere la sua disapprovazione di ciò che vedeva
tutto il giorno: appena ne faceva qualche esclamazione, qual-
che rimprovero tra i denti a' suoi colleghi di servizio ; i quali
se ne ridevano , e prendevano anzi piacere qualche volta a
toccargli quel tasto, per fargli dir di più che non avrebbe vo-
luto, e per sentirlo ricantar le lodi dell' antico modo di vi-
vere in quella casa. Le sue censure non arrivavano agli orec-
chi del padrone che accompagnate dal racconto delle risa che
se n' eran fatte; dimodoché riuscivano anche per lui un sog-
getto di scherno, senza risentimento. Xe' giorni poi d' invito
e di ricevimento, il vecchio diventava un personaggio serio e
d'importanza.
Il padre Cristoforo lo guardò, passando, lo salutò, e se-
guitava la sua strada; ma il vecchio se gli accostò misterio-
Manzoni. 5
66 I PROMESSI SPOSI.
samente, mise il dito alla bocca, e poi, col dito stesso, gli
fece un cenno, per invitarlo a entrar con lui in un andito
buio. Quando furon lì, gli disse sottovoce: «padre, ho sen-
tito tutto, e ho bisogno di parlarle.»
«Dite presto, buon uomo.»
cQui no: guai se il padrone s'avvede .... Ma io so
molte cose; e vedrò di venir domani al convento.»
«C'è qualche disegno?»
«Qualcosa per aria e' è di sicuro : già me ne son potuto
accorgere. Ma ora starò sulP intesa, e spero di scoprir tutto.
Lasci fare a me. Mi tocca a vedere e a sentir cose .... cose
di fuoco ! Sono in una casa ... ! Ma io vorrei salvar P ani-
ma mia.»
«Il Signore vi benedica!» e, proferendo sottovoce queste
parole, il frate mise la mano sul capo del servitore, che, quan-
tunque più vecchio di lui, gli stava curvo dinanzi nell' attitu-
dine d' un figliuolo. «Il Signore vi ricompenserà,» proseguì
il frate: «non mancate di venir domani.»
«Verrò,» rispose il servitore: «ma lei vada via subito
e . . . . per amor del cielo .... non mi nomini.» Così dicendo,
e guardando intorno, uscì per P altra parte dell' andito in un
salotto, che rispondeva nel cortile; e, visto il campo libero,
chiamò fuori il buon frate, il volto del quale rispose a quel-
la ultima parola più chiaro che non avrebbe potuto fare qualun-
que protesta. Il servitore gli additò l'uscita; e il frate, senza
dir altro, partì.
Queir uomo era stato a sentire all' uscio del suo padrone :
aveva fatto bene? E fra Cristoforo faceva bene a lodarlo di
ciò? Secondo le regole più comuni e men contraddette, è cosa
molto brutta; ma quel caso non poteva riguardarsi come un'
eccezione? E ci sono dell'eccezioni alle regole più comuni e
men contraddette? Questioni importanti; ma che il lettore
risolverà da sé, se ne ha voglia. Noi non intendiamo di dar
giudizi: ci basta d'aver dei fatti da raccontare.
Uscito fuori, e voltate le spalle a quella casaccia, fra Cri-
stoforo respirò più liberamente, e s' avviò in fretta per la
scesa, tutto infocato in volto, commosso e sottosopra, come
ognuno può immaginarsi, per quel che aveva sentito, e per
quel che aveva detto. Ma quella così inaspettata esibizione
del vecchio era stata un gran ristorativo per lui: gli pareva
che il cielo gli avesse dato un segno visibile della sua pro-
tezione. — Ecco un filo, pensava, un filo che la provvidenza
mi mette nelle mani. E in quella casa medesima! E senza
che io sognassi neppure di cercarlo! — Così ruminando, alzò
gli occhi verso P occidente, vide il sole inclinato, che già già
toccava la cima del monte, e pensò che rimaneva ben poco
del giorno. Allora, benché sentisse le ossa gravi e fiaccate
CAPITOLO VI. 67
da' varii strapazzi di quella giornata , pure studiò di più il
passo, per poter riportare un avviso qual si fosse, a' suoi
protetti, e arrivar poi al convento, prima di notte: che era
una delle leggi più precise, e più severamente mantenute del
codice cappuccinesco.
Intanto nella casetta di Lucia, erano stati messi in campo
e ventilati disegni, de' quali ci conviene informare il lettore.
Dopo la partenza del frate, i tre rimasti erano stati qualche
tempo in silenzio; Lucia preparando tristamente il desinare;
Renzo sul punto d'andarsene ogni momento, per levarsi dalla
vista di lei così accorata, e non sapendo staccarsi; Agnese
tutta intenta, in apparenza, all' aspo che faceva girare. Mai
in realtà, stava maturando un progetto: e, quando le parve
maturo, ruppe il silenzio in questi termini :
«Sentite, figliuoli ! Se volete aver cuore e destrezza, quanto
bisogna, se vi fidate di vostra madre,-) a quel vostra Lucia
si riscosse, «io m'impegno di cavarvi di quest'impiccio, me-
glio forse, e più presto del padre Cristoforo, quantunque sia
quell' uomo che è.» Lucia rimase lì , e la guardò con un
volto eh' esprimeva più maraviglia che fiducia in una pro-
messa tanto magnifica; e Renzo disse subitamente: «cuore?
destrezza? dite, dite pure quel che si può fare.»
Non è vero,» proseguì Agnese, «che se foste maritati, si
sarebbe già un pezzo avanti? E che a tutto il resto si tro-
verebbe più facilmente ripiego?»
«C'è dubbio?» disse Renzo: «maritati che fossimo . . . .
tutto il mondo è paese; e, a due passi di qui, sul bergamasco,
chi lavora seta è ricevuto a braccia aperte. Sapete quante
volte Bortolo mio cugino m' ha fatto sollecitare d' andar là a
star con lui, che farei fortuna, com' ha fatto lui: e se non
gli ho mai dato retta, gli è ... . che serve? perchè il mio
cuore era qui. Maritati, si va tutti insieme, si mette su casa
là, si vive in santa pace, fuor dell' unghie di questo ribaldo,
lontano dalla tentazione di fare uno sproposito. N' è vero,
Lucia?»
«Sì,» disse Lucia: «ma come . . . . ?»
«Come ho detto io,» riprese la madre: «cuore e destrezza;
e la cosa è facile.»
«Facile!» dissero insieme que'due, per cui la cosa era
divenuta tanto stranamente e dolorosamente difficile.
«Facile, a saperla fare,» replicò Agnese. «Ascoltatemi
bene, che vedrò di farvela intendere. Io ho sentito dire da
gente che sa, e anzi ne ho veduto io un caso, che, per fare
un matrimonio, ci vuole bensì il curato, ma non è necessario
che voglia; basta che ci sia.»
«Come sta questa faccenda?» domandò Renzo.
•-. *
68 I PROMESSI SPOSI.
«Ascoltate e sentirete. Bisogna aver due testimoni ben
lesti e ben d'accordo. Si va dal curato: il punto sta di
chiapparlo all' improvviso, che non abbia tempo di scappare.
L'uomo dice: signor curato, questa è mia moglie: la donna
dice: signor curato, questo è mio marito. Bisogna che il cu-
rato senta, che i testimoni sentano ; e il matrimonio è beli' e
fatto, sacrosanto come se l' avesse fatto il papa. Quando le
parole son dette, il curato può strillare, strepitare, fare il dia-
volo; è inutile: siete marito e moglie."
«Possibile?» esclamò Lucia.
«Come!» disse Agnese: «state a vedere che, in tren-
t' anni che ho passati in questo mondo, prima che nasceste
voi altri, non avrò imparato nulla. La cosa è tale quale ve
la dico: per segno tale che una mia amica, che voleva pren-
der uno contro la volontà de' suoi parenti, facendo in quella
maniera, ottenne il suo intento. Il curato, che ne aveva so-
spetto, stava all'erta; ma i due diavoli seppero far così bene,
che lo colsero in un punto giusto, dissero le parole, e furon
marito e moglie: benché la poveretta se ne pentì poi, in capo
a tre giorni.»
Agnese diceva il vero, e riguardo alla possibilità, e ri-
guardo al pericolo di non ci riuscire : che, siccome non ricor-
revano a un tale espediente, se non persone che avesser tro-
vato ostacolo o rifiuto nella via ordinaria, così i parrochi met-
tevan gran cura a scansare quella cooperazione forzata; e,
quando un d' essi venisse pure sorpreso da una di quelle cop-
pie, accompagnata da testimoni, faceva di tutto per iscapo-
larsene, come Proteo dalle mani di coloro che volevano farlo
vaticinare per forza.
«Se fosse vero, Lucia!)) disse Renzo, guardandola con
un' aria d' aspettazione supplichevole.
«Come! se fosse vero!» disse Agnese. «Anche voi cre-
dete eh' io dica fandonie. Io m' affanno per voi, e non son
creduta: bene bene: cavatevi d'impiccio come potete: io me
ne lavo le mani.»
«Ah no! non ci abbandonate,» disse Renzo. «Parlo così,
perchè la cosa mi par troppo bella. Sono nelle vostre mani ;
vi considero come se foste proprio mia madre.»
Queste parole fecero svanire il piccolo sdegno di Agnese,
e dimenticare un proponimento che, per verità, non era stato
serio.
«Ma perchè dunque, mamma,» disse Lucia, con quel suo
contegno sommesso, «perchè questa cosa non è venuta in
mente al padre Cristoforo?»
«In mente?» rispose Agnese: «pensa se non gli sarà ve-
nuta in mente! Ma non ne avrà voluto parlare.»
CAPITOLO VI. 69
«Perchè ?» domandarono a un tratto i due giovani.
«Perchè .... perchè, quando lo volete sapere, i religiosi
dicono che veramente è cosa che non istà bene.»
«Come può essere che non istia bene, e che sia ben fatta,
quand' è fatta?» disse Renzo.
«Che volete ch'io vi dica?» rispose Agnese. «La legge
l'hanno fatta loro, come gli è piaciuto; e noi poverelli non
possiamo capir tutto. E poi quante cose .... Ecco; è come
lasciar andare un pugno a un cristiano. Non istà bene; ma,
dato che gliel abbiate, né anche il papa non glielo può le-
vare.»
«Se è cosa che non istà bene,» disse Lucia, «non bisogna
farla.»
«Che!» disse Agnese, «ti vorrei forse dare un parere con-
tro il timor di Dio? Se fosse contro la volontà de' tuoi pa-
renti, per prendere un rompicollo .... ma, contenta me, e
per prender questo figliuolo: e chi fa nascer tutte le difficoltà
è un birbone; e il signor curato ...»
«L'è chiara, che l'intenderebbe ognuno,» disse Renzo.
«Xon bisogna parlarne al padre Cristoforo, prima di far
cosa,» proseguì Agnese: «ma, fatta che sia, e ben riuscita,
che pensi tu che ti dirà il padre? — Ah figliuola! è una
scappata grossa; ma l'avete fatta. — I religiosi devon par-
lar così. Ma credi pure che, in cuor suo, sarà contento an-
che lui.»
Lucia, senza trovar che rispondere a quel ragionamento,
non ne sembrava però capacitata: ma Renzo, tutto rincorato,
disse: «quand; è così, la cosa è fatta.»
«Piano,» disse Agnese. «E i testimoni? Trovar due che
vogliano, e che intanto sappiano stare zitti! e poter cogliere
il signor curato che, da due giorni, se ne sta rintanato in
casa? E farlo star lì? che, benché sia pesante di sua natura,
vi so dir io che al vedervi comparire in quella conformità,
diventerà lesto come un gatto, e scapperà come il diavolo
dall' acqua santa.»
«L'ho trovato io il verso, l'ho trovato,» disse Renzo,
battendo il pugno sulla tavola, e facendo balzellare le stovi-
glie apparecchiate per il desinare. E seguitò esponendo il
suo pensiero, che Agnese approvò in tutto e per tutto.
«Son imbrogli,» disse Lucia: «non son cose lisce. Fi-
nora abbiamo operato sinceramente: tiriamo avanti con fede,
e Dio ci aiuterà ; il padre Cristoforo V ha detto. Sentiamo
il suo parere.»
«Lasciati guidare da chi ne sa più di te,» disse Agnese,
con volto grave. (Che bisogno c'è di chieder pareri? Dio
dice: aiutati, ch'io t'aiuto. Al padre racconteremo tutto, a
cose fatte.»
70
I PROMESSI SPOSI.
«Lucia,-) disse Renzo, «volete voi mancarmi ora? Non
avevamo noi fatto tutte le cose da buon cristiani? Non do-
vremmo esser già marito e moglie? Il curato non ci aveva
fissato lui il giorno e l'ora? E di chi è la colpa, se dob-
biamo ora aiutarci con un po' d' ingegno? No, non mi man-
cherete. Vado e torno con la risposta.» E salutando Lucia,
con un atto di preghiera, e Agnese, con un'aria d'intelli-
genza, partì in fretta.
/ Le tribolazioni aguzzano il cervello : e Renzo il quale, nel
sentiero retto e piano di vita percorso da lui fin allora, non
s' era mai trovato nelP occasione d' assottigliar molto il suo,
ne aveva, in questo caso, immaginata una, da far onore a un
giureconsulto. Andò addirittura, secondo che aveva disegnato,
alla casetta d'un certo Tonio, ch'era lì poco distante; e lo
trovò in cucina, che, con un ginocchio sullo scalino del foco-
lare, e tenendo, con una mano, l'orlo d'un paiolo, messo
sulle ceneri calde, dimenava, col matterello ricurvo, una pic-
cola polenta bigia, di gran saraceno. La madre, un fratello,
la moglie di Tonio, erano a tavola; e tre o quattro ragazzetti,
ritti accanto al babbo, stavano aspettando, con gli occhi fissi
al paiolo, che venisse il momento di scodellare. Ma non e' era
quell'allegria che la vista del desinare suol pur dare a chi
se 1' è meritato con la fatica. La mole della polenta era in
ragion dell' annata, e non del numero e della buona voglia
de' commensali: e ognun d'essi, fissando, con uno sguardo
bieco d'amor rabbioso, la vivanda comune, pareva pensare
alla porzione d' appetito, che le doveva sopravvivere. Mentre
Renzo barattava i saluti con la famiglia, Tonio scodellò la
polenta sulla tafferia di faggio, che stava apparecchiata a ri-
ceverla: e parve una piccola luna, in un gran cerchio di va-
pori. Nondimeno le donne dissero cortesemente a Renzo:
«volete restar servito?») complimento che il contadino di
Lombardia, e chi sa di quant' altri paesi! non lascia mai di
fare a chi lo trovi a mangiare, quand' anche questo fosse un
ricco epulone alzatosi allora da tavola, e lui fosse all'ultimo
boccone.
«Vi ringrazio,» rispose Renzo: «venivo solamente per dire
una parolina a Tonio; e, se vuoi, Tonio, per non disturbarle
tue donne, possiamo andar a desinare all'osteria, e lì par-
leremo.» La proposta fu per Tonio tanto più gradita, quanto
meno aspettata; e le donne, e anche i bimbi (giacché, su
questa materia, principian presto a ragionare) non videro mal
volentieri che si sottraesse alla polenta un concorrente, e il
più formidabile. L'invitato non istette a domandar altro, e
andò con Renzo.'/
Giunti all' osteria del villagio; seduti, con tutta libertà,
in una perfetta solitudine, giacche la miseria aveva divezzati
CAPITOLO VI. 71
tutti i frequentatori di quel luogo di delizie ; fatto portare quel
poco che si trovava; votato un boccale di vino; Renzo, con
aria di mistero, disse a Tonio: «se tu vuoi farmi un piccolo
servizio, io te ne voglio fare uno grande.»
«Parla, parla; comandami pure,» rispose Tonio, mescendo.
«Oggi mi butterei nel fuoco per te.»
«Tu hai un debito di venticinque lire col signor curato,
per fitto del suo campo, che lavoravi 1' anno passato.»
«Ah, Renzo, Renzo! tu mi guasti il benefizio. Con che
cosa mi vieni fuori? M'hai fatto andar via il buon umore.»
«Se ti parlo del debito,» disse Renzo, «è perchè, se tu
vuoi, io intendo di darti il mezzo di pagarlo.»
«Dici davvero?»
«Davvero. Eh? saresti contento?»
«Contento? Per diana, se sarei contento! Se non foss'
altro, per non veder più que' versacci, e que' cenni col capo,
che mi fa il signor curato, ogni volta che e' incontriamo. E
poi sempre: Tonio, ricordatevi: Tonio, quando ci vediamo,
per quel negozio? A tal segno che quando, nel predicare,
mi fissa quegli occhi addosso, io sto quasi in timore che abbia
a dirmi, lì in pubblico: quelle venticinque lire! Che male-
dette siano le venticinque lire! E poi, m'avrebbe a restituir
la collana d' oro di mia moglie, che la baratterei in tanta
polenta. Ma .... »
«Ma, ma, se tu mi vuoi fare un servizietto, le venticinque
lire son preparate.»
«Dì su.»
«Ma ....!» disse Renzo, mettendo il dito alla bocca.
«Fa bisogno di queste cose? tu mi conosci.»
«Il signor curato va cavando fuori certe ragioni senza sugo,
per tirare in lungo il mio matrimonio; e io in vece vorrei
spicciarmi. Mi dicon di sicuro che, presentandoscgli davanti
i due sposi, con due testimoni, e dicendo io: questa è mia
moglie, e Lucia: questo è mio marito, il matrimonio è beli' e
fatto. M'hai tu inteso?«
«Tu vuoi ch'io venga per testimonio?»
«Per 1' appunto.»
«E pagherai per me le venticinque lire?»
«Così V intendo.»
«Birbo chi manca.»
«Ma bisogna trovare un altro testimonio.»
«L' ho trovato. Quel sempliciotto di mio fratel Gervaso
farà quello che gli dirò io. Tu gli pagherai da bere?»
«E da mangiare,» rispose Renzo. «Lo condurremo qui a
stare allegro con noi. Ma saprà fare?»
«GÌ' insegnerò io; tu sai bene eh' io ho avuta anche la
sua parte di cervello.»
72 I PROMESSI SPOSI.
«Domani .... »
«Bene.»
«Verso sera ......
('Benone.»
«Ma! .... » disse Renzo, mettendo di nuovo il dito alla
bocca.
«Poh!...» rispose Tonio, piegando il capo sulla spalla
destra, e alzando la mano sinistra, con un viso che diceva:
mi fai torto.
<Ma se tua moglie ti domanda, come ti domanderà, senza
dubbio .... »
«Di bugie, sono in debito io con mia moglie, e tanto
tanto, che non so se arriverò mai a saldare il conto. Qualche
pastocchia la troverò, da metterle il cuore in pace.»
«Domattina,» disse Renzo, «discorreremo con più comodo,
per intenderci bene su tutto.»
Con questo, uscirono dall' osteria, Tonio avviandosi a casa,
e studiando la fandonia che racconterebbe alle donne, e Renzo
a render conto de' concerti presi.
In questo tempo, Agnese s' era affaticata invano a persua-
der la figliuola. Questa andava opponendo a ogni ragione ora
1' una ora P altra parte del suo dilemma : o la cosa è cattiva,
e non bisogna farla; o non è, e perchè non dirla al padre
Cristoforo ?
Renzo arrivò tutto trionfante, fece il suo rapporto, e ter-
minò con un ahn? interiezione che significa: sono o non sono
un uomo io? si poteva trovar di meglio? vi sarebbe venuta in
mente? e cento cose simili.
Lucia tentennava mollemente il capo; ma i due infervo-
rati le badavan poco, come si suol fare con un fanciullo, al
quale non si spera di far intendere tutta la ragione d' una
cosa, e che s' indurrà poi, con le preghiere e con l' autorità,
a ciò che si vuol da lui.
«Va bene,» disse Agnese: «va bene; ma . . . . non avete
pensato a tutto.»
«Cosa ci manca?» rispose Renzo.
«E Perpetua? non avete pensato a Perpetua. Tonio e suo
fratello, li lascerà entrare: ma voi! voi due! pensate! avrà
ordine di tenervi lontani, più che un ragazzo da un pero che
ha le frutte mature.»
«Come faremo?» disse Renzo un po' imbrogliato.
«Ecco: ci ho pensato io. Verrò io con voi; e ho un se-
greto per attirarla, e per incantarla di maniera che non s'ac-
corga di voi altri, e possiate entrare. La chiamerò io, e le
toccherò una corda .... vedrete.»
«Benedetta voi!» esclamò Renzo: «l'ho sempre detto che
siete nostro aiuto in tutto.»
CAPITOLO VII. 73
«Ma tutto questo non serve a nulla,» disse Agnese, «se
non si persuade costei, che si ostina a dire che è peccato.»
Renzo mise in campo anche lui la sua eloquenza; ma Lu-
cia non si lasciava smovere.
«Io non so che rispondere a queste vostre ragioni,» di-
ceva: «ma vedo che, per far questa cosa, come dite voi, bi-
sogna andar avanti a furia di sotterfugi, di bugie, di finzioni.
Ah Renzo! non abbiam cominciato così. Io voglio esser
vostra moglie,» e non e' era verso che potesse proferir quella
parola, e spiegar quell'intenzione, senza fare il viso rosso:
«io voglio esser vostra moglie, ma per la strada diritta, col
timor di Dio, all' altare. Lasciamo fare a Quello lassù. Non
volete che sappia trovar Lui il bandolo d'aiutarci, meglio
che non possiamo far noi, con tutte codeste furberie? E
perchè far misteri al padre Cristoforo?»
La disputa durava tuttavia, e non pareva vicina a finire,
quando un calpestìo affrettato di sandali, e un rumore di to-
naca sbattuta, somigliante a quello che fanno in una vela
allentata i soni ripetuti del vento, annunziarono il padre
Cristoforo. Si chetaron tutti; e Agnese ebbe appena tempo
di susurrare all'orecchio di Lucia: «bada bene, ve', di non
dirgli nulla.»
CAPITOLO VII.
Il padre Cristoforo arrivava nell' attitudine d' un buon ca-
pitano che, perduta, senza sua colpa, una battaglia importante,
afflitto ma non scoraggito, sopra pensiero ma non sbalordito,
di corsa e non in fuga, si porta dove il bisogno lo chiede, a
premunire i luoghi minacciati, a raccoglier le truppe, a dar
nuovi ordini.
«La pace sia con voi,» disse, nell' entrare. «Non e' è
nulla da sperare dell'uomo: tanto più bisogna confidare in
Dio: e già ho qualche pegno della sua protezione.»
Sebbene nessuno dei tre sperasse molto nel tentativo del
padre Cristoforo, giacché il vedere un potente ritirarsi da
una soverchieria, senza esserci costretto, e per mera condi-
scendenza a preghiere disarmate, era cosa piuttosto inaudita
che rara; nulladimeno la trista certezza fu un colpo per tutti.
Le donne abbassarono il capo; ma nell'animo di Renzo, l' ira
prevalse all' abbattimento. Queir annunzio lo trovava già
amareggiato da tante sorprese dolorose, da tanti tentativi an-
dati a vóto, da tante speranze deluse, e, per di più, esacer-
bato, in quel momento, dalle ripulse di Lucia.
74 I PROMESSI SPOSI.
('Vorrei sapere,» gridò, digrignando i denti, e alzando ia
voce, quanto non aveva mai fatto prima d'allora, alla pre-
senza del padre Cristoforo: «vorrei sapere che ragioni ha
dette quel cane, per sostenere .... per sostenere che la mia
sposa non dev' esser la mia sposa.»
(Povero Renzo!-) rispose il frate, con una voce grave e
pietosa, e con uno sguardo che comandava amorevolmente la
pacatezza: «se il potente che vuol commettere l'ingiustizia
fosse sempre obbligato a dir le sue ragioni, le cose non an-
elerebbero come vanno.»
«Ha detto dunque quel cane, che non vuole, perchè non
vuole?»
«Non ha detto nemmen questo, povero Renzo! Sarebbe
ancora un vantaggio se, per commetter l'iniquità, dovessero
confessarla apertamente.»
«Ma qualcosa ha dovuto dire : cos' ha detto quel tizzone
d' inferno?»
«Le sue parole, io 1* ho sentite, e non te le saprei ripe-
tere. Le parole dell' iniquo che è forte, penetrano e sfuggono.
Può adirarsi che tu mostri sospetto di lui, e, nello stesso
tempo, farti sentire che quello di che tu sospetti è certo : può
insultare e chiamarsi offeso, schernire e chieder ragione, at-
terrire e lagnarsi, essere sfacciato e irreprensibile. Non chie-
der più in là. Colui non ha proferito il nome di questa in-
nocente, né il tuo, non ha figurato nemmen di conoscervi, non.
ha detto di pretender nulla; ma .... ma pur troppo ho do-
vuto intendere eh' è irremovibile. Nondimeno confidenza in
Dio! Voi, poverette, non vi perdete d'animo: e tu, Renzo
. . . . oh! credi pure, ch'io so mettermi ne' tuoi panni, eh' io
sento quello che passa nel tuo cuore. Ma pazienza! È una
magra parola, una parola amara, per chi non crede; ma tu!
.... non vorrai tu concedere a Dio un giorno, due giorni, il
tempo che vorrà prendere, per far trionfare la giustizia? Il
tempo è suo; e ce n'ha promesso tanto! Lascia fare a Lui,
Renzo ; e sappi . . . sappiate tutti eh' io ho già in mano un
filo, per aiutarvi. Per ora non posso dirvi di più. Domani
io non verrò quassù; devo stare al convento tutto il giorno,
per voi. Tu, Renzo, procura di venirci: o se, per caso im-
pensato, tu non potessi, mandate un uomo fidato, un garzon-
cello di giudizio, per mezzo del quale io possa farvi sapere
quello che occorrerà. Si fa bujo; bisogna ch'io corra al con-
vento. Fede, coraggio; e addio. ■>
Detto questo, uscì in fretta, e se n' andò, correndo, e quasi
saltelloni, giù per quella viottola storta e sassosa, per non
arrivar tardi al convento, a rischio di buscarsi una buona
sgridata, o quel che gli sarebbe pesato ancor più, una peni-
tenza, che gì' impedisse, il giorno dopo, di trovarsi pronto e
CAPITOLO VII. (0
spedito a ciò che potesse richiedere il bisogno de' suoi
protetti.
cAvete sentito cos' ha detto d' un non so che .... d' nn
filo che ha, per aiutarci?» disse Lucia. «Convien fidarsi a
lui; è un uomo che, quando promette dieci . . . .»
cSe non c'è altro....!» interruppe Agnese. ('Avrebbe
dovuto parlar più chiaro, o chiamar me da una parte, e dirmi
cosa sia questo .... »
(Chiacchiere! la finirò io: io la finirò!») interruppe Renzo,
questa volta, andando in su e in giù per la stanza, e con
una voce, con un viso da non lasciar dubbio sul senso di
quelle parole.
«Oh Renzo!» esclamò Lucia.
«Cosa volete dire?» esclamò Agnese.
«Che bisogno e' è di dire? La finirò io. Abbia pur
cento, mille diavoli nell' anima, finalmente è di carne e ossa
anche lui ... .»
«No, no, per amor del cielo . . . .!» cominciò Lucia, ma
il pianto le troncò la voce.
«Non son discorsi da farsi, neppur per burla,» disse
Agnese.
«Per burla?» gridò Renzo, fermandosi ritto in faccia ad
Agnese seduta, e piantandole in faccia due occhi stralunati.
(Per burla! vedrete se sarà burla.»
«Oh Renzo!» disse Lucia, a stento, tra i singhiozzi: «non
v' ho mai visto così.»
«Non dite queste cose , per amor del cielo,» riprese
ancora in fretta Agnese, abbassando la voce. «Non vi ri-
cordate quante braccia ha al suo comando colui? E quan-
d' anche .... Dio liberi! .... contro i poveri e' è sempre
giustizia.»
«La farò io, la giustizia, io! È ormai tempo. La cosa
non è facile: lo so anch'io. Si guarda bene, il cane assassino:
sa come sta; ma non importa. Risoluzione e pazienza ....
e il momento arriva. Sì, la farò io, la giustizia: lo libererò
io, il paese: quanta gente mi benedirà....! e poi in tre
salti !»
L'orrore che Lucia sentì di queste più chiare parole, le
sospese il pianto, e le diede forza di parlare. Levando dalle
palme il viso lagrimoso, disse a Renzo, con voce accorata,
ma risoluta: «non v' importa più dunque d* avermi per moglie.
Io m' era promessa a un giovine che aveva il timor di Dio ;
ma un uomo che avesse .... Fosse al sicuro d' ogni giustizia
e d'ogni vendetta, foss' anche il figlio del re ....»
«E bene!» gridò Renzo, con un viso più che mai stra-
volto: «io non v'avrò; ma non v'avrà né anche lui. Io qui
senza di voi, e lui a casa del .... »
76 I PROMESSI SPOSI.
«Ah no! per carità, non dite così, non fate quegli occhi:
no, non posso vedervi così,» esclamò Lucia, piangendo, sup-
plicando, con le mani giunte; mentre Agnese chiamava e ri-
chiamava il giovine per nome, e gli palpava le spalle, le
braccia, le mani per acquietarlo. Stette egli immobile e pen-
sieroso, qualche tempo, a contemplar quella faccia suppliche-
vole di Lucia; poi tutt' a un tratto, la guardò torvo, diede
addietro, tese il braccio e l'indice verso di essa, e gridò:
«questa! sì questa egli vuole. Ha da morire!-)
«E io che male ho fatto, perchè mi facciate morire ?»
disse Lucia, buttandosegli inginocchioni davanti.
«Voi!)) rispose, con una voce ch'esprimeva un'ira ben
diversa, ma un'ira tuttavia: «voi! Che bene mi volete voi?
Che prova m'avete data? Non v'ho io pregata, e pregata, e
pregata? E voi: no! no!»
«Sì, sì;» rispose precipitosamente Lucia: «verrò dal curato,
domani, ora, se volete; verrò. Tornate quello di prima; verrò.»
«Me lo promettete?» disse Renzo, con una voce e con un
viso divenuto, tutt' a un tratto, più umano.
»Ve lo prometto.»
«Me P avete promesso.»
«Signore, vi ringrazio!» esclamò Agnese, doppiamente
contenta.
In mezzo a quella sua gran collera, aveva Renzo pensato
di che profitto poteva esser per lui lo spavento di Lucia?
E non aveva adoperato un po' d' artifizio a farlo crescere,
per farlo fruttare? Il nostro autore protesta di non ne saper
nulla: e io credo che nemmen Renzo non lo sapesse bene.
Il fatto sta eh' era realmente infuriato contro don Rodrigo, e
che bramava ardentemente il consenso di Lucia; e, quando
due forti passioni schiamazzano insieme nel cuor d' un uomo,
nessuno, neppure il paziente, può sempre distinguer chiara-
mente una voce dall' altra, e dir con sicurezza qual sia quella
che predomini.
«Ve P ho promesso,') rispose Lucia, con un tono di rim-
provero timido e affettuoso: «ma anche voi avevate promesso
di non fare scandoli, di rimettervene al padre . . . .»
«Oh via! per amor di chi vado in furia? Volete tornar
indietro, ora? e farmi fare uno sproposito?»
«No, no,» disse Lucia, cominciando a rispaventarsi. «Ho
promesso, e non mi ritiro. Ma vedete voi come mi avete
fatto promettere. Lio non voglia . . . .»
«Perchè volete far de' cattivi augùri, Lucia? Dio sa che
non facciam male a nessuno.»
«Promettetemi almeno che questa sarà V ultima.»
«Ve lo prometto, da povero figliuolo.»
«Ma, questa volta, mantenete poi,» disse Agnese.
CAPITOLO VII 77
Qui l'autore confessa di non sapere un'altra cosa: se Lu-
cia fosse, in tutto e per tutto , malcontenta d' essere stata
spinta ad acconsentire. Noi lasciamo, come lui, la cosa in
dubbio.
Renzo avrebbe voluto prolungare il discorso, e fissare, a
parte a parte quello che si doveva fare il giorno dopo: ma
era già notte, e le donne gliel' augurarono buona non pa-
rendo loro cosa conveniente che a quell' ora si trattenesse più
a lungo.
La notte però fu a tutt' e tre così buona, come può essere
quella che succede a un giorno pieno d' agitazioni e di guai,
e d' esito incerto. Renzo si lasciò veder di buon' ora, e con-
certò con le donne, o piuttosto con Agnese, la grand' opera-
zione della sera, proponendo e sciogliendo a vicenda difficoltà,
antivedendo contrattempi, e ricominciando , ora 1' uno ora
l'altra, a descriver la faccenda, come si racconterebbe una
cosa fatta. Lucia ascoltava; e senza approvar con parole ciò
che non poteva approvare in cuor suo, prometteva di far
meglio che saprebbe.
«Andrete voi giù al convento, per parlare al padre Cri-
stoforo, come v'ha detto ier sera?» domandò Agnese a
Renzo.
«Le zucche!» rispose questo: «sapete che diavoli d'occhi
ha il padre: mi leggerebbe in viso, come sur un libro, che
e' è qualche cosa per aria ; e se cominciasse a farmi del-
l' interrogazioni, non potrei uscirne a bene. E poi, io devo
star qui, per accudire all' affare. Sarà meglio che mandiate
voi qualcheduno.»
«Manderò Menico.»
«Va bene,» rispose Renzo; e partì, per accudire all'af-
fare, come aveva detto.
Agnese andò a una casa vicina, a cercar Menico, eh' era
un ragazzetto di circa dodici anni, sveglio la sua parte, e
che, per via di cugini e di cognati, veniva a essere un
po' suo nipote. Lo chiese ai parenti, come in prestito, per
tutto quel giorno, «per un certo servizio,» diceva. Avutolo,
io condusse nella sua cucina, gli diede da colazione, e gli
disse che andasse a Pescarenico, e si facesse vedere al padre
Cristoforo, il quale lo rimanderebbe poi, con una risposta,
quando sarebbe tempo. «Il padre Cristoforo, quel bel
vecchio, tu sai, con la barba bianca, quello che chiamano il
santo . . .»
«Ho capito,» disse Menico: «quello che ci accarezza
sempre, noi altri ragazzi, e ci dà, ogni tanto, qualche
santino.»
«Appunto, Menico. E se ti dirà che tu aspetti qualche
poco, lì vicino al convento, non ti sviare: bada di non an-
78 I PROMESSI SPOSI.
dar, con de' compagni, al lago, a veder pescare, né a diver-
tirti con le reti attaccate al muro ad asciugare, né a far
quell' altro tuo giochetto solito . . . .»
Bisogna saper che Menico era bravissimo per fare a rim-
balzello; e si sa che tutti, grandi e piccoli, facciam volentieri
le cose alle quali abbiamo abilità; non dico quelle sole.
«Poh! zia; non sono poi un ragazzo.»
dBene, abbi giudizio; e quando tornerai con la rispo-
sta ... . guarda; queste due belle parlagliele nuove son
per te.»
«Datemele ora, eh' è lo stesso.»
«No, no, tu le giocheresti. Va, e portati bene; che n' a-
vrai anche di più.»
X.Xel rimanente di quella lunga mattinata, si videro certe
novità che misero non poco in sospetto V animo già contur-
bato delle donne. Un mendico, né rifinito né cencioso come
i suoi pari, e con un non so che d' oscuro e di sinistro nel
sembiante, entrò a chieder la carità, dando in qua e in là
cert' occhiate da spione. Gli fu dato un pezzo di pane, che
ricevette e ripose, con un' indifferenza mal dissimulata. Si
trattenne poi, con una certa sfacciataggine, e nello stesso
tempo, con esitazione, facendo molte domande, alle quali
Agnese s' affrettò di risponder sempre il contrario di quello
che era. Movendosi, come per andar via, finse di sbagliar
l' uscio, entrò in quello che metteva alla scala, e lì diede
un' altra occhiata in fretta, come potè. Gridatogli dietro :
«ehi! ehi! dove andate, galantuomo? di qua! di qua!»
tornò indietro, e uscì dalla parte che gli veniva indicata,
scusandosi, con una sommissione, con un' umiltà affettata, che
stentava a collocarsi nei lineamenti duri di quella faccia.
Dopo costui, continuarono a farsi vedere, di tempo in tempo,
altre strane figure. Che razza d'uomini fossero, non si sa-
rebbe potuto dir facilmente; ma non si poteva creder nep-
pure che fossero quegli onesti viandanti che volevan parere.
Uno entrava col pretesto di farsi insegnar la strada; altri,
passando davanti all' uscio, rallentavano il passo, e guardavan
sott' occhio nella stanza, a traverso il cortile, come chi vuol
vedere senza dar sospetto. Finalmente, verso il mezzogiorno,
quella fastidiosa processione finì. Agnese s' alzava ogni tanto,
attraversava il cortile, s' affacciava all' uscio di strada, guar-
dava a destra e a sinistra, e tornava dicendo: «nessuno:»
parola che proferiva con piacere, e che Lucia con piacere
sentiva, senza che né 1' una né V altra ne sapessero ben chia-
ramente il perchè. Ma ne rimase a tutt' e due una non so
buale inquietudine, che levò loro, e alla figliuola principal-
seente, una gran parte del coraggio che avevan messo ia
mrbo per la sera.
CAPITOLO VII. 79
Convien però che il lettore sappia qualcosa di più pre-
ciso, intorno a que' ronzatori misteriosi: e, per informarlo di
tutto, dobbiam tornare un passo indietro, e ritrovar don Ro-
drigo, che abbiam lasciato ieri, solo in una sala del suo pa-
lazzotto, al partir del padre Cristoforo.
Don Rodrigo, come abbiam detto, misurava innanzi e in-
dietro, a passi lunghi, quella sala, dalle pareti della quale
pendevano ritratti eli famiglia, di varie generazioni. Quando
si trovava col viso a una parete, e voltava, si vedeva in fac-
cia un suo antenato guerriero, terrore dei nemici e de' suoi
soldati, torvo nella guardatura, co' capelli corti e ritti, co' baffi
tirati e a punta che sporgevan dalle guance, col mento obli-
quo: ritto in piedi 1' eroe, con le gambiere, co' cosciali, con
la corazza, co' bracciali, co' guanti, tutto di ferro; con la de-
stra sul fianco, e la sinistra sul pomo della spada. Don Ro-
drigo lo guardava; e quando gli era arrivato sotto, e voltava,
ecco in faccia un altro antenato, magistrato, terrore de' liti-
ganti e degli avvocati, a sedere sur una gran seggiola coperta
di velluto rosso, ravvolto in un'ampia toga nera; tutto nero,
fuorché un collare bianco, con due larghe facciole, e una fo-
dera di zibellino arrovesciata era il distintivo de' senatori, e
non lo portavan che 1' inverno, ragion per cui non si troverà
mai un ritratto di senatore vestito d' estate); macilento, con
le ciglia aggrottate: teneva in mano una supplica, e pareva
che dicesse: vedremo. Di qua una matrona, terrore delle sue
cameriere: di là un abate, terrore de' suoi monaci: tutta
gente in somma che aveva fatto terrore, e lo spirava ancora
dalle tele. Alla presenza di tali memorie, don Rodrigo tanto
più s'arrovellava, si vergognava, non poteva darsi pace, che
un frate avesse osato venirgli addosso, con la prosopopea di
Nathan. Formava un disegno di vendetta, 1' abbandonava,
pensava come soddisfare insieme alla passione, e a ciò che
chiamava onore; e talvolta (vedete un poco!) sentendosi fischiare
ancora agli orecchi queir esordio di profezia, si sentiva ve-
nir, come si dice, i bordoni, e stava quasi per deporre il
pensiero delle due soddisfazioni. Finalmente per far qualche
cosa, chiamò un servitore, e gli ordinò, che lo scusasse con
la compagnia, dicendo eh' era trattenuto da un affare urgente.
Quando quello tornò a riferire che que' signori eran partiti,
lasciando i loro rispetti: «e il conte Attilio?» domandò, sem-
pre camminando, don Rodrigo.
cÈ uscito con que' signori, illustrissimo.»
«Bene: sei persone di seguito, per la passeggiata: subito.
La spada, la cappa, il cappello: subito.»
Il servitore partì, rispondendo con un inchino; e poco dopo,
tornò, portando la ricca spada, che il padrone si cinse; la
cappa, che si buttò sulle spalle; il cappello a gran penne,
80 I PROMESSI SPOSI.
che mise e inchiodò, con una manata, fieramente sul capo:
segno di marina torbida. Si mosse, e, alla porta, trovò i sei
ribaldi tutti armati, i quali, fatto ala, e inchinatolo, gli an-
daron dietro. Più burbero, più superbioso, più accigliato del
solito, uscì e andò passeggiando verso Lecco. I contadini, gli
artigiani, al vederlo venire, si ritiravan rasente al muro, e di
lì facevano scappellate e inchini profondi, ai quali non rispon-
deva. Come inferiori, l'inchinavano anche quelli che da
questi eran detti signori; che, in que' contorni, non ce n'era
uno che potesse, a mille miglia, competer con lui, di nome,
di ricchezze, d' aderenze e della voglia di servirsi di tutto
ciò, per istare al di sopra degli altri. E a questi corrispon-
deva con una degnazione contegnosa. Quel giorno non av-
venne, ma quando avveniva che s'incontrasse col signor ca-
stellano spagnolo, V inchino allora era ugualmente profondo
dalle due parti ; la cosa era come tra due potentati, i quali
non abbiano nulla da spartire tra loro; ma per convenienza,
fanno onore al grado V uno dell' altro. Per passare un poco
la mattina, e per contrapporre all' immagine del frate che
gli assediava la fantasia, immagini in tutto diverse, don Ro-
drigo entrò quel giorno, in una casa, dove andava, per il so-
lito, molta gente, e dove fu ricevuto con quella cordialità af-
faccendata e rispettosa, eh' è riserbata agli uomini che si
fanno molto amare o molto temere: e, a notte già fatta, tornò
al suo palazzotto. 11 conte Attilio era anche lui tornato in
quel momento: e fu messa in tavola la cena, durante la quale,
don Rodrigo fu sempre sopra pensiero, e parlò poco.
Cugino, quando pagate questa scommessa?') disse, con
un fare di malizia e di scherno, il conte Attilio, appena spa-
recchiato, e andati via i servitori.
«San Martino non è ancor passato.»
«Tant' è che la paghiate subito ; perchè passeranno tutti
i santi del lunario, prima che .... »
«Questo è quel che si vedrà.»
«Cugino, voi volete fare il politico; ma io ho capito tutto,
e son tanto certo d' aver vinta la scommessa, che son pronto
a farne un' altra.»
«Sentiamo.»
«Che il padre .... il padre .... che so io? quel frate in
somma v' ha convertito.»
«Eccone un' altra delle vostre.»
«Convertito, cugino; convertito, vi dico. Io per me, ne
godo. Sapete che sarà un bello spettacolo vedervi tutto com-
punto, e con gli occhi bassi! E che gloria per quel padre!
Come sarà tornato a casa gonfio e pettoruto! Xon son pesci
che si piglino tutti i giorni, né con tutte le reti. Siate certo
che vi porterà per esempio; e, quando anderà a far qualche
CAPITOLO VII» 81
missione un po' lontano, parlerà de' fatti vostri. Mi par di
sentirlo.» E qui, parlando col naso, e accompagnando^ le pa-
role con gesti caricati, continuò, in tono di predica: «in una
parte di questo mondo, che per degni rispetti non nomino,
viveva, uditori carissimi, e vive tuttavia, un cavaliere scape-
strato, amico più delle femmine che degli uomini dabbene, il
quale, avvezzo a far d' ogni erba un fascio, aveva messo gli
occhi .... »
«Basta, basta,» interruppe don Rodrigo, mezzo sogghi-
gnando, e mezzo annoiato. «Se volete raddoppiar la scom-
messa, son pronto anch'io.»
«Diavolo! che aveste voi convertito il padre!»
«Xon mi parlate di colui; e in quanto alla scommessa, san
Martino deciderà.» La curiosità del conte era stuzzicata; non
gli risparmiò interrogazioni, ma don Rodrigo le seppe eluder
tutte, rimettendosi sempre al giorno della decisione, e non
volendo comunicare alla parte avversa disegni che non erano
né incamminati, né assolutamente fissati.
La mattina seguente, don Rodrigo si destò don Rodrigo.
L' apprensione che quel verrà un giorno gli aveva messa in
corpo, era svanita del tutto co' sogni della notte e gli rima-
neva la rabbia sola, esacerbata anche dalla vergogna di quella
debolezza passeggiera. L' immagini più recenti della passeg-
giata trionfale, degl'inchini, dell'accoglienze, e il canzonare
del cugino, avevano contribuito non poco a rendergli V animo
antico. Appena alzato, fece chiamare il Griso. — Cose
grosse, — disse tra sé il servitore a cui fu dato l'ordine;
perchè 1' uomo che aveva quel soprannome, non era niente
meno che il capo de' bravi, quello a cui s'imponevano le im-
prese più rischiose e più inique, il fidatissimo del padrone,
l'uomo tutto suo, per gratitudine e per interesse. Dopo
aver ammazzato uno, di giorno, in piazza, era andato ad im-
plorar la protezione di don Rodrigo; e questo, vestendolo
della sua livrea , l' aveva messo al coperto da ogni ricerca
della giustizia. Così, impegnandosi a ogni delitto che gli ve-
nisse comandato, colui si era assicurata l' impunità del primo.
Per don Rodrigo, l'acquisto non era stato di poca impor-
tanza: perchè il Griso, oltre all'essere, senza paragone,
il più valente della famiglia, era anche una prova di ciò che
il suo padrone aveva potuto attentar felicemente contro le
leggi; di modo che la sua potenza ne veniva ingrandita nel
fatto e nell' opinione.
X'»' Griso!» disse don Rodrigo: «in questa congiuntura, si
vedrà quel che tu vali. Prima di domani quella Lucia deve
trovarsi in questo palazzo.»
«Xon si dirà mai che il Griso si sia ritirato da un co-
mando dell'illustrissimo signor padrone.»
Manzoni. 6
82 I PROMESSI SPOSI.
"Piglia quanti uomini ti possono bisognare, ordina, e dis-
poni, come ti par meglio; purché la cosa riesca a buon fiue.
Ma bada sopra tutto, che non le sia fatto male.»
«Signore, un po' di spavento, perchè la non faccia troppo
strepito non si potrà far di meno.»
«Spavento .... capisco .... è inevitabile. Ma non le si
torca un capello; e sopra tutto le si porti rispetto in ogni
maniera. Hai inteso?»
«Signore, non si può levare un fiore dalla pianta, e por-
tarlo a vossignoria, senza toccarlo. Ma non si farà che il
puro necessario.»
«Sotto la tua sicurtà. E . . .. come farai?»
«Ci stavo pensando, signore. Siam fortunati che la casa
è in fondo al paese. Abbiam bisogno di un luogo per an-
darci a postare: e appunto c'è, poco distante di là, quel
casolare disabitato e solo, in mezzo ai campi, quella casa ....
vossignoria non saprà niente di queste cose .... una casa
che bruciò pochi anni sono, e non hanno avuto danari da
riattarla, e l'banDO abbandonata, e ora ci vanno le streghe;
ma non è sabato e me ne rido. Questi villani che son pieni
d' ubbie, non ci bazzicherebbero, in nessuna notte della setti-
mana, per tutto l'oro del mondo: sicché possiamo andare
a fermarci là, con sicurezza che nessuno verrà a guastare i
fatti nostri.»
«Va bene! e poi?»
Qui il Griso a proporre , don Rodrigo a discutere, finché
d' accordo ebbero concertata la maniera di condurre a fine /
l'impresa, senza che rimanesse traccia degli autori J la ma-^..
niera anche di rivolgere, con falsi indizi, i sospetti altrove,
d' impor silenzio alla povera Agnese, d' incutere a Renzo tale
spavento, da fargli passare il dolore, e il pensiero di ricor-
rere alla giustizia, e anche la volontà di lagnarsi; e tutte l'al-
tre bricconerie necessarie alla riuscita della bricconeria prin-
cipale. Noi tralasciamo di riferir que' concerti, perchè, come
il lettore vedrà, non son necessari all'intelligenza della sto-
ria; e siam contenti, anche noi di non doverlo trattener più
lungamente a sentir parlamentare que' due fastidiosi ribaldi.
Basta che, mentre il Griso se n'andava, per metter mano
all'esecuzione, don Rodrigo lo richiamò, e gli disse: «senti:
se per caso, quel tanghero temerario vi desse nell'unghie
questa sera, non sarà male che gli sia dato anticipatamente
un buon ricordo sulle spalle. Così, V ordine che gli verrà in-
timato domani di stare zitto, farà più sicuramente 1' effetto.
Ma non l'andate a cercare, per non guastare quello che più
importa: tu nv hai inteso.»
«Lasci fare a me,» rispose il Griso, inchinandosi, con
atto d'ossequio e di millanteria; e se n'andò. La mattina
CAPITOLO VII. 83
fu spesa in giri, per riconoscere il paese. Quel falso pezzente
che s'era inoltrato a quel modo nella povera casetta, non
era altro che il Griso, il quale veniva per levarne a occhio
la pianta: i falsi viandanti eran suoi ribaldi, ai quali per
operare sotto i suoi ordini, bastava una cognizione più su-
perficiale del luogo. E, fatta la scoperta, non s' eran più la-
sciati vedere, per non dar troppo sospetto.
Tornati che furon tutti al palazzotto, il Griso rese conto,
e fissò definitivamente il disegno dell'impresa; assegnò le
parti, diede istruzioni. Tutto ciò non si potè fare senza che
quel vecchio servitore, il quale stava a occhi aperti, e a
orecchi tesi, s'accorgesse che qualche gran cosa si macchi-
nava. A forza di stare attento e di domandare; accattando
una mezza notizia di qua, una mezza di là, commentando
tra sé una parola oscura, interpretando un andare misterioso,
tanto fece, che venne in chiaro di ciò che si doveva eseguir
quella notte. Ma quando ci fu riuscito, essa era già poco
lontana, e già una piccola vanguardia di bravi era andata
a imboscarsi in quel casolare diroccato. Il povero vecchio,
quantunque sentisse bene a che rischioso giuoco giocava , e
avesse anche paura di portare il soccorso di Pisa, pure non
volle mancare: uscì, con la scusa di prendere un po' d'aria,
e s'incamminò in fretta in fretta al convento, per dare al
padre Cristoforo l'avviso promesso. Poco dopo, si mossero
gli altri bravi, e discesero spicciolati, per non parere una
compagnia: il Griso venne dopo; e non rimase indietro che
una bussola, la quale doveva esser portata al casolare, a sera
inoltrata: come fu fatto. Radunati che furono in quel luogo,
il Griso spedì tre di coloro all'osteria del paesetto; uno che
si mettesse sull'uscio, a osservar ciò che accadesse nella
strada, e a veder quando tutti gli abitanti fossero ritirati:
gli altri due stessero dentro a giocare e a bere, come dilet-
tanti; e attendessero intanto a spiare se qualche cosa da
spiare ci fosse. Egli, col grosso della truppa, rimase nell' ag-
guato ad aspettare.
Il povero vecchio trottava ancora, i tre esploratori arri-
vavano al loro posto; il sole cadeva; quando Renzo entrò
dalle donne, e disse: «Tonio e Gervaso m' aspettan fuori:
vo con loro all'osteria, a mangiare un boccone; e, quando
sonerà 1' ave maria, verremo a prendervi. Su, coraggio, Lu-
cia! tutto dipende da un momento.» Lucia sospirò, e ripetè:
«coraggio,» con una voce che smentiva la parola.
Quando Renzo e i due compagni giunsero all' osteria , vi
trovaron quel tale già piantato in sentinella, che ingombrava
mezzo il vano della porta, appoggiato con la schiena a uno
stipite, con le braccia incrociate sul petto; e guardava e ri-
guardava, a destra e a sinistra, facendo lampeggiare ora il
6*
84 I PROMESSI SPOSI.
bianco, ora il nero di due occhi grifagni. Un berretto piatto
di velluto chermisi, messo storto, gli copriva la metà del
ciuffo, che, dividendosi sur una fronte fosca, girava, da una
parte e dall'altra, sotto gli orecchi, e terminava in trecce,
fermate con un pettine sulla nuca. Teneva sospeso in una
mano un grosso randello; arme propriamente non ne portava
in vista; ma, solo a guardargli in viso, anche un fanciullo
avrebbe pensato che doveva averne sotto quante ce ne poteva
stare. Quando Renzo, ch'era innanzi agli altri, fu lì per
entrare, colui senza scomodarsi, lo guardò fisso fisso; ma il
giovine, intento a schivare ogni questione, come suole ognuno
che abbia un'impresa scabrosa alle mani, non fece vista d'ac-
corgersene, non disse neppure: fatevi in là; e, rasentando
l'altro stipite, passò per isbieco, col fianco innanzi, per l'a-
pertura lasciata da quella cariatide. I due compagni dovettero
far la stessa evoluzione, se vollero entrare. Entrati, videro
gli altri, de' quali avevan già sentita la voce, cioè que' due
bravacci, che seduti a un canto della tavola, giocavano alla
mora, gridando tutt' e due insieme (lì è il giuoco che lo
richiede), e mescendosi or 1' uno or 1' altro da bere, con un
gran fiasco eh' era tra loro. Questi pure guardaron fisso la
nuova compagnia; e un de' due specialmente, tenendo una
mano in aria, con tre ditacci tesi e allargati, e avendo la
bocca ancora aperta per un gran «sei» che n'era scoppiato
fuori in quel momento , squadrò Renzo da capo a piedi ; poi
diede d'occhio al compagno, poi a quel dell'uscio, che. ri-
spose con un cenno del capo. Renzo insospettito e incerto
guardava ai suoi due convitati, come se volesse cercare ne' loro
aspetti un' interpretazione di tutti que' segni: ma i loro
aspetti non indicavano altro che un buon appetito. L' oste
guardava in viso a lui, come per aspettar gli ordini: egli lo
fece venir con sé in una stanza vicina, e ordinò da cena.
«Chi sono que' forestieri?» gli domandò poi a voce bassa,
quando quello tornò, con una tovaglia grossolana sotto il
braccio, e un fiasco in mano.
«Xon li conosco,» rispose l'oste, spiegando la tovaglia.
«Come? né anche uno?»
«Sapete bene,« rispose ancora colui, stirando con tutt' e
due le mani, la tovaglia sulla tavola, «che la prima regola
del nostro mestiere , è di non domandare i fatti degli altri :
tanto che fin le nostre donne non son curiose. Si starebbe
freschi, con tanta gente che va e viene: è sempre un porto
di mare: quando le annate son ragionevoli, voglio dire; ma
stiamo allegri, che tornerà il buon tempo. A noi basta che
gli avventori siano galantuomini: chi siano poi, o chi non
siano, non fa niente. E ora vi porterò un piatto di polpette,
che le simili non le avete mai mangiate.»
CAPITOLO VII. 85
» Come potete sapere ....?•> ripigliava Renzo, ma 1' oste,
già avviato alla cucina, seguitò la sua strada. E lì, mentre
prendeva il tegame delle polpette summentovate, gli s'ac-
costò pian piano quel bravaccio che aveva squadrato il no-
stro giovine, e gli disse sottovoce. <■ Chi sono que' galantuo-
mini?»
« Buona gente qui del paese,» rispose l'oste, scodellando
le polpette nel piatto.
«Va bene; ma come si chiamano? chi sono?-) insistette
colui, con voce alquanto sgarbata.
«Uno si chiama Renzo,» rispose l'oste, pur sottovoce:
«un buon giovine, assestato; filatore di seta, che sa bene
il suo mestiere. L'altro è un contadino che ha nome Tonio:
buon camerata, allegro: peccato che n'abbia pochi; che gli
spenderebbe tutti qui. L' altro è un sempliciotto, che mangia
però volentieri, quando gliene danno. Con permesso.»
E, con uno sgambetto, usci tra il fornello e l'interrogante;
e andò a portare il piatto a chi si doveva. « Come potete
sapere,» riattaccò Renzo, quando lo vide ricomparire, «che
siano galantuomini, se non li conoscete?»
» Le azioni, caro mio: 1' uomo si conosce all' azioni. Quelli
che bevono il vino senza criticarlo, che pagano il conto senza
tirare, che non metton su lite con gli altri avventori, e se
hanno una coltellata da consegnare a uno, lo vanno ad aspet-
tar fuori, e lontano dall' osteria, tanto che il povero oste non
ne vada di mezzo, quelli sono i galantuomini. Però se si può
conoscer la gente bene, come ci conosciamo tra noi quattro,
è meglio. E che diavolo vi vien voglia di saper tante cose,
quando siete sposo, e dovete aver tutt' altro in testa? e con
davanti quelle polpette, che farebbero resuscitare un morto?')
Così dicendo, se ne tornò in cucina.
Il nostro autore, osservando al diverso modo che teneva
costui nel soddisfare alle domande, dice eh' era un uomo cosi
fatto, che, in tutti i suoi discorsi, faceva professione d'esser
molto amico de' galantuomini in generale; ma in atto pratico,
usava molto maggior compiacenza con quelli che avessero ri-
putazione o sembianza di birboni Che carattere singo-
lare! eh?
La cena non fu molto allegra. T due convitati avrebbero
voluto godersela con tutto loro comodo: ma l'invitante, pre-
occupato di ciò che il lettore sa, e infastidito, e anche un
po' inquieto del contegno strano di quegli sconosciuti , non
vedeva l'ora d'andarsene. Si parlava sottovoce, per causa
loro; ed eran parole tronche e svogliate.
"Che bella cosa,» scappo fuori di punto in bianco Ger-
vaso, «>che Renzo voglia prender moglie, e abbia biso-
86 l PROMESSI SPOSI.
gno !» Renzo gli fece un viso brusco. «Vuoi stare zitto,
bestia?» gli disse Tonio, accompagnando il titolo con una
gomitata. La conversazione fu sempre più fredda, fino alla
fine. Renzo, stando indietro nel mangiare, come nel bere,
attese a mescere ai due testimoni, con discrezione, in ma-
niera di dar loro un po' di brio, senza farli uscir di cervello.
Sparecchiato, pagato il conto da colui che aveva fatto men
guasto, dovettero tutti e tre passar nuovamente davanti a quelle
facce, le quali tutte si voltarono a Renzo, come quand'era
entrato. Questo, fatti ch'ebbe pochi passi fuori dell'osteria,
si voltò indietro, e vide che i due che aveva lasciati seduti
in cucina, lo seguitavano: si fermò allora,- co' suoi compagni,
come se dicesse: vediamo cosa voglion da me costoro. Ma i
due, quando s' accorsero d' essere osservati, si fermarono
anch' essi, si parlaron sottovoce, e tornarono indietro. Se
Renzo fosse stato tanto vicino da sentir le loro parole, gli
sarebbero parse molto strane. «Sarebbe però un bell'onore,
senza contar la mancia,» diceva uno de' malandrini, «se tor-
nando al palazzo, potessimo raccontare d'avergli spianate le
costole in fretta in fretta, e così da noi, senza che il signor
Griso fosse qui a regolare.»
«E guastare il negozio principale!» rispondeva 1' altro.
«Ecco: s'è avvisato di qualche cosa; si ferma a guardarci.
Ih! se fosse più tardi! Torniamo indietro, per non dar so-
spetto. Vedi che vien gente da tutte le parti: lasciamoli an-
dar tutti a pollaio.»
C era infatti quel brulichìo , quel ronzìo , che si sente in
un villaggio, sulla sera, e che, dopo pochi momenti, dà luogo
alla quiete solenne della notte. Le donne venivan dal campo,
portandosi in collo i bambini, e tenendo per la mano i ragazzi
più grandi, ai quali facevan dire le divozioni della sera;
venivan gli uomini, con le vanghe, e con le zappe sulle spalle.
AH' aprirsi degli usci si vedevan luccicare qua e là i fuochi
accesi per le povere cene : si sentiva nella strada barattare i
saluti, e qualche parola sulla scarsità della raccolta, e sulla
miseria dell'annata e più delle parole, si sentivano i tocchi
misurati e sonori della campana, che annunziava il finir del
giorno. Quando Renzo vide che i due indiscreti s' eran riti-
rati, continuò la sua strada nelle tenebre crescenti, dando
sottovoce ora un ricordo, ora un altro, ora all'uno, ora al-
l' altro fratello. Arrivarono alla casetta di Lucia, eh' era
già notte.
Tra il primo pensiero d'una impresa terribile, e l'esecu-
zione di essa, (ha detto un barbaro che non era privo d'in-
gegno) l' intervallo è un sogno, pieno di fantasmi e di paure.
Lucia era, da molte ore, nell' angosce d' un tal sogno : e Agne-
se, Agnese medesima, l'autrice del consiglio, stava sopra
CAPITOLO VII. 87
pensiero, e trovava a stento parole per rincorare la figlia. Ma
al momento di destarsi, al momento, cioè, di dar principio
all'opera, l'animo si trova tutto trasformato. Al terrore e
al coraggio che vi contrastavano, succede un altro terrore e
un altro coraggio: l'impresa s'affaccia alla mente, come una
nuova apparizione: ciò che prima spaventava di più, sembra
talvolta divenuto agevole tutt' a un tratto: talvolta comparisce
grande l'ostacolo a cui s'era appena badato; l'immagina-
zione dà indietro sgomentata; le membra par che ricusino
d'ubbidire; e il cuore manca alle promesse che aveva fatte con
più sicurezza. Al picchiare sommesso di Renzo, Lucia fu
assalita da tanto terrore, che risolvette, in quel momento, di
soffrire ogni cosa, di star sempre divisa da lui, piuttosto
ch'eseguire quella risoluzione; ma quando si fu fatto vedere, ed
ebbe detto: «son qui. andiamo;» quando tutti si mostraron
pronti ad avviarsi, senza esitazione, come a cosa stabilita,
irrevocabile; Lucia non ebbe tempo né forza di far difficoltà,
e, come strascinata, prese tremando un braccio della madre,
un braccio del promesso sposo, e si mosse con la brigata av-
venturiera.
I Zitti zitti, nelle tenebre, a passo misurato, usciron dalla
casetta, e preser la strada fuori del paese. La più corta sa-
rebbe stata d' attraversarlo : che s' andava diritto alla casa
di don Abbondio; ma scelsero quella, per non esser visti.
Per viottole, tra gli orti e i campi, arrivaron vicino a quella
casa, e lì si divisero. I due promessi rimaser nascosti dietro
l'angolo di essa; Agnese con loro, ma un po' più innanzi,
per accorrere in tempo a fermar Perpetua, e a impadronir-
sene; Tonio, con lo scempiato di Gervaso, che non sapeva
far nulla da sé, e senza il quale non si poteva far nulla, s' af-
facciaron bravamente alla porta, e picchiarono.
«Chi è, a quest'ora?» gridò una voce dalla finestra, che
s'aprì in quel momento: era la voce di Perpetua. «Amma-
lati non ce n' è, eh' io sappia. È forse accaduta qualche dis-
grazia? »
«Son io,» rispose Tonio, e con mio fratello, che abbiam
bisogno di parlare al signor curato.»
«È ora da cristiani questa?» disse bruscamente Perpetua.
«Che discrezione? Tornate domani.»
«Sentite: tornerò o non tornerò: ho riscosso non so che
danari, e venivo a saldar quel debituccio che sapete: aveva
qui venticinque belle berlinghe nuove; ma se non si può, pa-
zienza: questi, so come spenderli, e tornerò quando n'abbia
messi insieme degli altri.»
«Aspettate, aspettate: vo e torno. Ma perchè venire a
quest' ora?»
68 I PROMESSI SPOSI.
«Gli ho ricevuti anch' io, poco fa; e ho pensato, come vi
dico, che, se li tengo a dormir con me, non so di che parere
sarò domattina. Però, se Torà non vi piace, non so che
dire: per me son qui; e se non mi volete, me ne vo.<>
■ No, no, aspettate un momento: torno con la risposta.'
Così dicendo, richiuse la finestra. A questo punto, Agnese
si staccò dai promessi, e, detto sottovoce a Lucia: «corag-
gio; è un momento; è come farsi cavar un dente,» si riunì ai
due fratelli, davanti all'uscio; e si mise a ciarlare con Tonio
in maniera che Perpetua, venendo ad aprire, dovesse credere
che si fosse abbattuta lì a caso, e che Tonio l'avesse tratte-
nuta un momento.
CAPITOLO Vili.
— Cameade! Chi era costui? — ruminava tra sé don
Abbondio seduto sul suo seggiolone, in una stanza del piano
superiore, con un libricciolo aperto davanti, quando Perpetua
entrò a portargli l'imbasciata. — Cameade! questo nome mi
par bene d'averlo letto o sentito; doveva essere un uomo di
studio, un letteratone del tempo antico: è un nome di quelli;
ma chi diavolo era costui? — Tanto il pover uomo era lon-
tano da prevedere che burrasca gli si addensasse sul capo!
Bisogna sapere che don Abbondio si dilettava di leggere
un pochino ogni giorno; e un curato suo vicino, che aveva
un po' di libreria, gli prestava un libro dopo 1* altro, il primo
che gli veniva alle mani. Quello su cui meditava in quel mo-
mento don Abbondio, convalescente della febbre dello spa-
vento, anzi più guarito (quanto alla febbre) che non volesse
lasciar credere, era un panegirico in onore di san Carlo, detto
con molta enfasi, e udito con molta ammirazione nel duomo
di Milano, due anni prima. Il santo v'era paragonato, per
l'amore allo studio ad Archimede: e fin qui don Abbondio
non trovava inciampo ; perchè Archimede ne ha fatte di così
curiose, ha fatto dir tanto di sé, che, per saperne qualche
cosa, non e' è bisogno d' un' erudizione molto vasta. Ma, dopo
Archimede, l'oratore chiamava a paragone anche Cameade:
e lì il lettore era rimasto arrenato. In quel momento entrò
Perpetua ad annunziar la visita di Tonio.
«A quest' ora?; disse anche don Abbondio, com' era
naturale.
cCosa vuole? Non hanno discrezione: ma se non lo piglia
al volo . . . . »
CAPITOLO Vili 89
oGià: se non lo piglio ora, chi sa quando lo potrò pi-
gliare! Fatelo venire.... Ehi! ehi! siete poi ben sicura che
sia proprio lui?»
«Diavolo!)» rispose Perpetua, e scese: aprì l'uscio, e
disse: «dove siete?» Tonio si fece vedere: e, nello stesso
tempo, venne avanti anche Agnese, e salutò Perpetua per
nome.
«Buona sera, Agnese,» disse Perpetua: «di dove si viene,
a quest' ora?»
«Vengo da....» e nominò un paesetto vicino. «E se
sapeste....» continuò: «mi son fermata di più appunto in
grazia vostra. ■>
«Oh perchè?» dimandò Perpetua: e voltandosi a' due fra-
telli, «entrate», disse, «che vengo anch'io.»
«Perchè,» rispose Agnese, «una donna di quelle che non
sanno le cose, e voglion parlare .... credereste? s' ostinava
a dire che voi non vi siete maritata con Beppe Suolavecchia,
né con Anselmo Lunghina perchè non v" hanno voluta. Io
sostenevo che siete stata voi che gli avete rifiutati P uno e
P altro »
«Sicuro. Oh la bugiarda! la bugiardona! Chi è costei?»
«Nod me lo domandate, che non mi piace metter male.»
«Me lo direte, me l'avete a dire: oh la bugiarda!))
«Basta.... ma non potete credere quanto mi sia dispia-
ciuto di non saper bene tutta la storia, per confonder colei.»
Guardate se si può inventare, a questo modo!» esclamò
di nuovo Perpetua: e riprese subito: «in quanto a Beppe,
tutti sanno, e hanno potuto vedere.... Ehi, Tonio! acco-
state l'uscio, e salite pure, che vengo.» Tonio di dentro,
rispose di sì, e Perpetua continuò la sua narrazione appas-
sionata.
In faccia all'uscio di don Abbondio, s'apriva tra due
casipole, una stradetta, che, finite quelle, voltava in un campo.
Agnese vi s'avviò, come se volesse tirarsi alquanto in dis-
parte, per parlar più liberamente; e Perpetua dietro.
Quand' ebbero voltato, e furono in luogo, donde non si poteva
più veder ciò che accadesse davanti alla casa di don Abbon-
dio, Agnese tossì forte. Era il segnale: Ptenzo lo sentì, fece
coraggio a Lucia, con una stretta di braccio: e tutt' e due,
in punta di piedi, vennero avanti, rasentando il muro, zitti
zitti: arrivarono all'uscio, lo spinsero adagino adagino; cheti
e chinati entraron nell' andito , dov' erano i due fratelli ad
aspettarli. Renzo accostò di nuovo l'uscio pian piano: e
tutt' e quattro su per le scale, non facendo rumore neppur
per uno. Giunti sul pianerottolo, i due fratelli s' avvicinarono
all'uscio della stanza, ch'era di fianco alla scala: gli spesisi
strinsero al muro.
90 I PEOMESSI SPOSI.
vDeo gratias,» disse Tonio a voce chiara.
«Tonio, eh? Entrate.» rispose la voce di dentro.
Il chiamato aprì l'uscio, appena quanto bastava per poter
passar lui e il fratello, a un per volta. La striscia di luce,
che uscì d' improvviso per quella apertura, e si disegnò sul
pavimento oscuro del pianerottolo, fece riscoter Lucia, come
se fosse scoperta. Entrati i fratelli, Tonio si tirò dietro
1' uscio : gli sposi rimasero immobili nelle tenebre, con P orec-
chie tese, tenendo il fiato : il rumore più forte era il martellar
che faceva il povero cuore di Lucia.
Don Abbondio stava, come abbiam detto, sur una vecchia
seggiola, ravvolto in una vecchia zimarra, con in capo una
vecchia papalina, che gli faceva cornice intorno alla faccia,
al lume scarso d' una piccola lucerna. Due folte ciocche di
capelli, che gli scappavano fuor della papalina, due folti so-
praccigli, due folti baffi, un folto pizzo, tutti canuti, e sparsi
su quella faccia bruna e rugosa, potevano assomigliarsi a
cespugli coperti di neve, sporgenti da un dirupo, al chiaro
di luna.
«Ah! ah!» fu il suo saluto, mentre si levava gli occhiali,
e li riponeva nel libricciolo.
«Dirà il signor curato, che son venuto tardi,» disse To-
nio, inchinandosi, come pure fece, ma più goffamente, Ger-
vaso.
«Sicuro eh' è tardi: tardi in tutte le maniere. Lo sapete,
che sono ammalato?»
«Oh! mi dispiace.»
«L'avrete sentito dire; sono ammalato, e non so quando
potrò lasciarmi vedere .... Ma perchè vi siete condotto
dietro quel .... quel figliuolo?»
«Così per compagnia, signor curato.»
«Basta, vediamo.»
«Son venticinque berlinghe nuove, di quelle col sant'Am-
brogio a cavallo.» disse Tonio, levandosi un involtino di
tasca.
«Vediamo:» replicò don Abbondio: e, preso l'involtino,
si rimesse gli occhiali, l'aprì, cavò le berlinghe, le contò, le
voltò, le rivoltò, le trovò senza difetto.
«Ora, signor curato, mi darà la collana della mia Tecla.»
«È giusto,» rispose don Abbondio; poi andò a un arma-
dio, si levò una chiave di tasca, e, guardandosi intorno, come
per tener lontani gli spettatori, aprì una parte di sportello,
riempì l'apertura con la persona, mise dentro la testa, per
guardare, e un braccio, per prender la collana; la prese, e,
chiuso l'armadio, la consegnò a Tonio, dicendo: «va bene?»
CAPITOLO Vili. 91
cOra, » disse Tonio, «si contenti di mettere un po' di nero
sul bianco.»
«Anche questa !» disse don Abbondio; «le sanno tutte.
Ih! com' è divenuto sospettoso il mondo! Non vi fidate
di me?»
«Come, signor curato! s'io mi fido? Lei mi fa torto. Ma
siccome il mio nome è sul suo libraccio dalla parte del de-
bito .... dunque, giacché ha già avuto 1' incomodo di scrivere
una volta, così .... dalla vita alla morte . . . .»
«Bene bene,» interruppe don Abbondio, e brontolando,
tirò a sé una cassetta del tavolino, levò fuori carta, penna e
calamaio, e si mise a scrivere, ripetendo a viva voce le parole,
di mano in mano che gli uscivan dalla penna. Frattanto To-
nio, e, a un suo cenno, Gervaso, si piantaron ritti davanti al
tavolino, in maniera d'impedire allo scrivente la vista del-
l'uscio; e, come per ozio, andavano stropicciando, co' piedi,
il pavimento, per dar segno a quei eh' erano fuori, d' entrare,
e per confondere nello stesso tempo il rumore delle loro pe-
date. Don Abbondio, immerso nella sua scrittura, non badava
ad altro. Allo stropiccìo de' quattro piedi, Renzo prese un
braccio di Lucia, lo strinse, per darle coraggio, e si mosse,
tirandosela dietro tutta tremante, che da sé non vi sarebbe
potuta venire. Entraron pian piano, in punta di piedi, ratte-
nendo il respiro, e si nascosero dietro i due fratelli. Intanto
don Abbondio, finito di scrivere, rilesse attentamente, senza
alzar gli occhi dalla carta; la piegò in quattro, dicendo: «ora,
sarete contento?» e, levatosi con una mano gli occhiali dal
naso, la porse con l'altra a Tonio, alzando il viso. Tonio
allungando la mano per prender la carta, si ritirò da una
parte; Gervaso, a un suo cenno, dall'altra; e, nel mezzo,
come al dividersi d'una scena, apparvero Renzo e Lucia.
Don Abbondio vide confusamente, poi vide chiaro, si spa-
ventò, si stupì, s'infuriò, pensò, prese una risoluzione: tutto
questo nel tempo che Renzo mise a proferire le parole:
«signor curato, in presenza di questi testimoni, quest' è mia
moglie. » Le sue labbra non erano ancora tornate al posto,
che don Abbondio, lasciando cader la carta, aveva già affer-
rata, e alzata, con la mancina, la lucerna, ghermito, con la
diritta, il tappeto del tavolo, e tiratolo a sé, con furia, but-
tando in terra libro, carta, calamaio e polverino; e, balzando
tra la seggiola e il tavolino, s'era avvicinato a Lucia. La
poveretta, con quella sua voce soave, e allora tutta tremante,
aveva appena potuto proferire : « e questo .... » che don
Abbondio le aveva buttato sgarbatamente il tappeto sulla testa
e sul viso, per impedirla di pronunziare intera la formola.
E subito, lasciata cader la lucerna che teneva nell'altra ma-
92
I PROMESSI SPOSI.
no, s'aiutò anche con quella a imbacuccarla col tappeto, che
quasi la soffogava; e intanto gridava quanto n' aveva in canna:
«Perpetua! Perpetua! tradimento! aiuto!» Il lucignolo, che
moriva sul pavimento, mandava una luce languida e saltel-
lante sopra Lucia, la quale affatto smarrita, non tentava nep-
pure di svolgersi, e poteva parere una statua abbozzata in
creta, sulla quale V artefice ha gettato un umido panno. Ces-
sata ogni luce, don Abbondio lasciò la poveretta, e andò cer-
cando a tastoni 1' uscio che metteva a una stanza più interna ;
lo trovò, entrò in quella, si chiuse dentro, gridando tuttavia:
«Perpetua! tradimento! aiuto! fuori di questa casa! fuori di
questa casa!» Nell'altra stanza, tutto era confusione, Renzo,
cercando di fermare il curato, e remando con le mani: come
se facesse a mosca cieca, era arrivato all' uscio, e picchiava,
gridando: «apra, apra: non faccia schiamazzo.» Lucia chia-
mava Renzo, con voce fioca, e diceva pregando: «andiamo,
andiamo, per l'amor di Dio.» Tonio, carponi, andava spaz-
zando con le mani il pavimento, per veder di raccapezzare la
sua ricevuta. Gervaso, spiritato, gridava e saltellava, cer-
cando V uscio di scala, per uscire a salvamento.
In mezzo a questo serra serra, non possiam lasciar di fer-
marci un momento a fare una riflessione. Renzo che strepi-
tava di notte in casa altrui , che vi s' era introdotto di sop-
piatto, e teneva il padrone stesso assediato, in una stanza, ha
tutta l'apparenza d'un oppressore; eppure, alla fin de' fatti,
era 1' oppresso. Don Abbondio, sorpreso, messo in fuga, spa-
ventato , mentre attendeva tranquillamente a' fatti suoi , par-
rebbe la vittima: eppure, in realtà, era lui che faceva un so-
pruso. Così va spesso il mondo .... voglio dire, così andava
nel secolo decimosettimo.
L' assediato, vedendo che il nemico non dava segno di ri-
tirarsi, aprì una finestra che guardava sulla piazza della
chiesa, e si diede a gridare: «aiuto! aiuto!» Era il più
bel chiaro di luna; l'ombra della chiesa, e più in fuori 1' om-
bra lunga ed acuta del campanile, si stendeva bruna e spic-
cata sul piano erboso e lucente della piazza: ogni oggetto si
poteva distinguere, quasi come di giorno. Ma, fin dove arri-
vava lo sguardo, non appariva indizio di persona vivente.
Contiguo però al muro laterale della chiesa, e appunto dal
lato che rispondeva verso la casa parrocchiale, era un pic-
colo abituro, un bugigattolo, dove dormiva il sagrestano. Fu
questo riscosso da quel disordinato grido, fece un salto, scese
il letto in furia, aprì l'impannata d'una sua finestrina, mise
fuori la testa, con gli occhi tra' peli, e disse: «cosa c'è?»
«Correte, Ambrogio! aiuto! gente in casa,» gridò verso
lui don Abbondio. «Vengo subito,» rispose quello; tirò in
dietro la testa, richiuse la sua impannata, e, quantunque
CAPITOLO III. 93
mezzo tra 1' sonno, e più che mezzo sbigottito, trovò su due
piedi un espediente per dar più aiuto di quello che gli si
chiedeva, senza mettersi lui nel tafferuglio, quale si fosse.
Dà di piglio alle brache, che teneva sul letto; se le caccia
sotto il braccio, come un cappello di gala, e giù balzelloni
per una scaletta di legno ; corre al campanile, afferra la corda
della più grossa di due campanette che e' erano, e suona a
martello.
Ton, ton, ton, ton: i contadini balzano a sedere sul letto;
i giovinetti sdraiati sul fenile, tendon l'orecchio, si rizzano.
"Cos'è? Cos'è? Campana a martello! fuoco? ladri? banditi?»
Molte donne consigliano, pregano i mariti, di non moversi, di
lasciar correre gli altri: alcuni s'alzano, e vanno alla fine-
stra: i poltroni, come se si arrendessero alle preghiere,
ritornan sotto: i più curiosi e i più bravi scendono a prender
le forche e gli schioppi, per correre al rumore: altri stanno
a vedere.
>\Ma, prima che quelli fossero all'ordine, prima anzi che
fosser ben desti, il rumore era giunto agli orecchi d'altre
persone che vegliavano, non lontano, ritte e vestite: i bravi
in un luogo, Agnese e Perpetua in un altro. Diremo prima
brevemente ciò che facesser coloro, dal momento in cui gli
abbiamo lasciati, parte nel casolare e parte all' osteria. Que-
sti tre, quando videro tutti gli usci chiusi e la strada deserta,
uscirono in fretta, come se si fossero avvisti d' aver fatto
tardi, e dicendo di voler andar subito a casa; diedero una
giravolta per il paese, per venir in chiaro se tutti eran riti-
rati: e in fatti, non incontrarono anima vivente, né sentirono
il più piccolo strepito. Passarono anche, pian piano, davanti
alla nostra povera casetta: la più quieta di tutte, giacché non
e" era più nessuno. Andarono allora diviato al casolare, e
fecero la loro relazione al signor Griso. Subito, questo si
mise in testa un cappellaccio, sulle spalle un sanrocchino di
tela incerata, sparso di conchiglie; prese un bordone da pel-
legrino, disse: «andiam da bravi: zitti, e attenti agli ordini,»
s'incamminò il primo, gli altri dietro; e, in un momento, ar-
rivarono alla casetta, per una strada opposta a quella per
cui se n'era allontanata la nostra brigatella, andando anch'
essa alla sua spedizione. Il Griso trattenne la truppa, alcuni
passi lontano, andò innanzi solo ad esplorare, e, visto tutto
deserto e tranquillo di fuori, fece venire avanti due di quei
tristi, diede loro ordine di scalar adagino il muro che chiu-
deva il cortiletto, e, calati dentro, nascondersi in un angolo,
dietro un folto fico, sul quale aveva messo l'occhio la mat-
tina. Ciò fatto, picchiò pian piano, con intenzione di dirsi
un pellegrino smarrito , che chiedeva ricovero, fino a giorno.
94 I PROMESSI SPOSI.
Nessun risponde: ripicchia un po' più forte: nemmeno uno
zitto. Allora va a chiamare un terzo malandrino, lo fa scen-
dere nel cortiletto , come gli altri due, con V ordine di scon-
ficcare adagio il paletto, per aver libero l'ingresso e la riti-
rata. Tutto s' eseguisce con gran cautela, e con prospero
successo. Va a chiamar gli altri, li fa entrar con sé, li manda
a nascondersi accanto ai primi: accosta adagio adagio 1' uscio
di strada, vi posta due sentinelle di dentro; e va diritto
all'uscio del terreno. Picchia anche lì, e aspetta: e' poteva
ben aspettare. Sconficca pian pianissimo anche quell'uscio:
nessuno di dentro dice: chi va là? nessuno si fa sentire: me-
glio non può andare. Avanti dunque: «st,« chiama quei del
fico, entra con loro nella stanza terrena, dove, la mattina,
aveva scelleratamente accattato quel pezzo di pane. Cava fuori
esca, pietra, acciarino e zolfanelli, accende un suo lanternino,
entra nell' altra stanza più interna, per accertarsi che nessun
ci sia; non c'è nessuno. Torna indietro, va all'uscio di
scala, guarda, porge l'orecchio: solitudine e silenzio. Lascia
due altre sentinelle a terreno, si fa venir dietro il Grignapoco,
eh' era un bravo del contado di Bergamo , il quale solo do-
veva minacciare, acchetare, comandare, esser in somma il
dicitore, affinchè il suo linguaggio potesse far credere ad
Agnese che la spedizione veniva da quella parte. Con costui
al fianco, e gli altri dietro, il Griso sale adagio adagio, be-
stemmiando in cuor suo ogni scalino che scricchiolasse, ogni
passo di que' mascalzoni che facesse rumore. Finalmente è
in cima. Qui giace la lepre. Spinge mollemente l'uscio che
mette alla prima stanza; l'uscio cede, si fa spiraglio: vi mette
l'occhio; è buio: vi mette l'orecchio, per sentire se qualche-
duno russa, fiata, brulica là dentro; niente. Dunque avanti:
si mette la lanterna davanti al viso, per vedere, senza esser
veduto, spalanca l'uscio, vede un letto; addosso: il letto è
fatto e spianato, con la rimboccatura arrovesciata, e composta
sul capezzale. Si stringe le spalle, si volta alla compagnia,
accenna loro che va a vedere nell'altra stanza, e che gii
vengan dietro pian piano; entra, fa le stesse cerimonie, trova
la stessa cosa. «Che diavolo è questo?» dice allora, «che
qualche cane traditore abbia fatto la spia?» Si metton tutti
con men cautela a guardare, a tastare per ogni canto, buttan
sottosopra la casa. Mentre costoro sono in tali faccende,
i due che fan la guardia all' uscio di strada, sentono un cal-
pestìo di passini frettolosi, che s'avvicinano in fretta; s'im-
maginano che, chiunque sia, passerà diritto; stan quieti, e, a
buon conto, si mettono all' erta. In fatti, il calpestìo si ferma
appunto all' uscio. Era Menico che veniva di corsa, mandato
dal padre Cristoforo ad avvisar le due donne che, per l' amor
del cielo, scappassero subito di casa, e si rifugiassero al
CAPITOLO Vili. 95
convento, perchè .... il perchè lo sapete. Prende la mani-
glia del paletto, per picchiare, e se lo sente tentennare in
mano, schiodato e sconficcato. — Che è questo? — pensa;
e spinge l'uscio con paura; quello s'apre. Menico mette il
piede dentro, in gran sospetto , e si sente a un punto acchiap-
par per le braccia, e due voci sommesse, a destra e a sini-
stra, che dicono in tuono minaccioso: «zitto! o sei morto.»
Lui invece caccia un urlo: uno di quei malandrini gli mette
una mano alla bocca; l'altro tira fuori un coltellaccio, por
fargli paura. Il garzoncello trema come una foglia, e non
tenta neppur di gridare; ma, tutt' a un tratto, in vece di lui,
e con ben altro tono, si fa sentir quel primo tocco di cam-
pana così fatto, e dietro una tempesta di rintocchi in fila.
Chi è in difetto è in sospetto, dice il proverbio milanese:
all' uno e all' altro furfante parve di sentire in que' tocchi il
suo nome, cognome e soprannome; lasciano andar le braccia
di Menico, ritirano le loro in furia, spalancan la mano e la
bocca, si guardano in viso, e corrono alla casa, dov'era il
grosso della compagnia. Menico, via a gambe per la strada,
alla volta del campanile, dove a buon conto qualcheduno ci
doveva essere. Agli altri furfanti, che frugavan la casa,
dall'alto al basso, il terribile tocco fece la stessa impressione:
si confondono, si scompigliano, s'urtano a vicenda: ognuno
cerca la strada più corta per arrivare all' uscio. Eppure era
tutta gente provata e avvezza a mostrare il viso; ma non po-
terono star saldi contro un pericolo indeterminato, e che non
s'era fatto vedere un po' da lontano, prima di venir loro ad-
dosso. Ci volle tutta la superiorità del Griso a tenerli in-
sieme, tanto che fosse ritirata e non fuga. Come un cane che
scorta una mandra di porci, corre or qua or là a quei che si
sbandano; ne addenta uno per un orecchio, e lo tira in
ischiera; ne spinge un altro col muso; abbaia a un altro che
esce di fila in quel momento; così il pellegrino acciuffa un
di coloro, che già toccava la soglia, e lo strappa indietro;
caccia indietro col bordone uno e un altro che s' avviavan da
quella parte: grida agli altri che corron qua e là, senza sa-
per dove; tanto che li raccozzò tutti nel mezzo del cortiletto.
«Presto, presto! pistole in mano, coltelli in pronto, tutti in-
sieme: e poi anderemo: così si va. Chi volete che ci tocchi,
se stiam ben insieme, sciocconi'? Ma se ci lasciamo acchiap-
pare a uno a uno, anche i villani ce ne daranno. Vergogna!
Dietro a me, e uniti.» Dopo questa breve aringa, si mise
alla fronte, e uscì il primo. La casa, come abbiam detto, era
in fondo al villaggio; il Griso prese la strada che metteva
fuori, e tutti gli andaron dietro in buon ordine.
Lasciamoli" andare, e torniamo un passo indietro a pren-
dere Agnese e Perpetua, che abbiam lasciate in una certa
96 I PROMESSI SPOSI.
stradetta. Agnese aveva procurato d' allontanar 1' altra dalla
casa di don Abbondio, il più che fosse possibile; e, fino a
un certo punto, la cosa era andata bene. Ma tutt' a un tratto,
la serva s'era ricordata dell'uscio rimasto aperto, e aveva
voluto tornare indietro. Non e' era che ridire : Agnese per
non farle nascere qualche sospetto, aveva dovuto voltar con
lei, e andarle dietro, cercando però di trattenerla, ogni volta
che la vedesse riscaldata ben bene nel racconto di que' tali
matrimonii andati a monte. Mostrava di darle molta udienza :
e ogni tanto per far vedere che stava attenta, o per ravviare
il cicalio, diceva: «sicuro: adesso capisco: va benissimo:
è chiara: e poi? e lui? e voi?» Ma intanto, faceva un altro
discorso con sé stessa. — Saranno usciti a quest' ora? o sa-
ranno ancor dentro? Che sciocchi che siamo stati tutt' e tre,
a non concertar qualche segnale, per avvisarmi, quando la
cosa fosse riuscita! È stata proprio grossa! Ma è fatta: ora
non c'è altro che tener costei a bada, più che posso: alla
peggio sarà un po' di tempo perduto. — Così, a corserelle e
a fermatine, eran tornate poco distante dalla casa di don
Abbondio, la quale però non vedevano, per ragione di quella
cantonata: e Perpetua, trovandosi a un punto importante del
racconto, s'era lasciata fermare senza far resistenza, anzi
senza avvedersene; quando tutt' a un tratto, si sentì venir
rimbombando dall' alto, nel vano immoto dell' aria, per V ampio
silenzio della notte, quel primo sgangherato grido di don Ab-
bondio: «aiuto! aiuto!»
('Misericordia! cos' è stato?» gridò Perpetua, e volle
correre.
«Cosa c'è? cosa c'è?» disse Agnese, tenendola per la
sottana.
«Misericordia! non avete sentito?» replicò quella, svinco-
landosi.
«Cosa c'è? cosa c'è?» ripetè Agnese, annerandola per un
braccio.
«Diavolo d'una donna!» esclamò Perpetua, rispingendola,
per mettersi in libertà; e prese la rincorsa. Quando, più lon-
tano, più acuto, più instantaneo, si sente l'urlo di Menico.
«Misericordia!» grida anche Agnese; e di galoppo dietro
1' altra. Avevan quasi appena alzati i calcagni, quando scoccò
la campana: un tocco, e due, e tre, e seguita; sarebbero stati
spreni, se quelle ne avessero avuto bisogno. Perpetua arriva,
un momento prima dell'altra: mentre vuole spinger l'uscio,
V uscio si spalanca di dentro, e sulla soglia compariscono To-
nio, Gervaso, Renzo, Lucia, che. trovata la scala, eran venuti
giù saltelloni; e, sentendo poi quel terribile scampanìo, corre-
CAPITOLO Vili. 97
«Cosa c'è? cosa c'è?» domandò Perpetua ansante ai
fratelli, che le risposero con un urtone, e scantonarono. «E
voi! come! che fate qui voi?" domandò poscia all'altra cop-
pia, quando 1' ebbe raffigurata. Ma quelli pure usciron senza
rispondere. Perpetua, per accorrere dove il bisogno era
maggiore, non domandò altro, entrò in fretta neli' andito, e
corse, come poteva al buio, verso la scala.
I due sposi rimasti promessi si trovarono in faccia d'Agnese,
che arrivava tutt' affannata. «Ah siete qui!» disse questa,
cavando fuori la parola a stento: «com' è andata? cos' è la
campana? mi par d' aver sentito . . . .»
«A casa, a casa,» diceva Pienzo, «prima che venga
gente.» E s' avviavano; ma arriva Menico di corsa, li rico-
nosce, li ferma, e, ancor tutto tremante, con voce mezza
fioca, dice: «dove andate? indietro, indietro! per di qua, al
convento!»
«Sei tu che . . . .?» cominciava Agnese.
«Cosa c'è d'altro?» domandava Pienzo. Lucia, tutta
smarrita, taceva e tremava.
«C è il diavolo in casa,»-, riprese Menico ansante. «Gli
ho visto io: m' hanno voluto ammazzare- Y ha detto il padre
Cristoforo: e anche voi, Renzo, ha detto che veniate subito.
e poi gli ho visto io: provvidenza che vi trovo qui tutti! vi
dirò poi, quando saremo fuori.»
Renzo, eh' era il più in sé di tutti, pensò che, di qua o
di là, conveniva andar subito, prima che la gente accorresse;
e che la più sicura era di far ciò che Menico consigliava,
anzi comandava, con la forza d' uno spaventato. Per istrada
poi, e fuor del pericolo, si potrebbe domandare al ragazzo
una spiegazione più chiara. «Cammina avanti,» gli disse.
«Andiam con lui,» disse alle donne. Voltarono, s' incam-
minarono in fretta verso la chiesa, attraversaron la piazza,
dove, per grazia del cielo, non e' era ancora anima vivente;
entrarono in una stradetta che era tra la chiesa e la casa di
don Abbondio ; al primo buco che videro in una siepe, dentro.
e via per i campi.
Non s' eran forse allontanati un cinquanta passi, quando
la gente cominciò ad accorrere sulla piazza, e ingrossava ogni
momento. Si guardavano in viso gli uni con gli altri; ognuno
aveva una domanda da fare, nessuno una risposta da dare.
1 primi arrivati corsero alla porta della chiesa: era serrata.
Corsero al campanile di fuori; e uno di quelli, messa la
bocca a un finestrino, una specie di feritoia, cacciò dentro
un: «che diavolo e' è?» Quando Ambrogio sentì una voce
conosciuta, lasciò andar la corda; e assicurato dal ronzìo,
eh' era accorso molto popolo, rispose : «vengo ad aprire.» Si
TvTanzoxt. 7
98 I PROMESSI SPOSI.
mise in fretta P arnese che aveva portato sotto il braccio,
yenne, dalla parte di dentro, alla porta della chiesa, e l'aprì,
«Cos' è tutto questo fracasso? — Cos' è? — Dov' è? —
Chi è?»
«Come, chi è?) disse Ambrogio, tenendo con una mano
un battente della porta, e, con P altra il lembo di quel tale
arnese, che s' era messo così in fretta: «come! non lo sa-
pete? gente in casa del signor curato. Animo, figliuoli:
aiuto.» Si voltan tutti a quella casa, vi s' avvicinano in folla,
guardano in su, stanno in orecchi: tutto quieto. Altri cor-
rono dalla parte dove e' era 1' uscio: è chiuso, e non par
che sia stato toccato. Guardano in su anche loro: non e' è
una finestra aperta: non si sente uno zitto.
«Chi è là dentro? — Ohe, ohe! — Signor curato! — Si-
gnor curato!»
Don Abbondio, il quale appena accortosi della fuga de-
gl' invasori, s' era ritirato dalla finestra, e 1' aveva richiusa, e
che in questo momento stava a bisticciar sotto voce con
Perpetua, che P aveva lasciato solo in queir imbroglio, do-
vette, quando si sentì chiamare a voce di popolo, venir di
nuovo alla finestra: e visto quel gran soccorso, si pentì
d' averlo chiesto.
«Cos' è stato? — Che le hanno fatto? — Chi sono co-
storo? — Dove sono?» gli veniva gridato da cinquanta voci
a un tratto.
«Xon e' è più nessuno: vi ringrazio: tornate pure a
casa.»
«Ma chi è stato? — Dove sono andati? — Che è acca-
duto?»
«Cattiva gente, gente che gira di notte: ma sono fuggiti:
tornate a casa ; non e' è più niente : un' altra volta, figliuoli :
vi ringrazio del vostro buon cuore.» E detto questo si ri-
tirò, e chiuse la finestra. Qui alcuni cominciarono a bronto-
lare, altri a canzonare, altri a sagrare; altri si stringevan
nelle spalle, e se n' andavano : quando arriva uno tutto tra-
felato, che stentava a formar le parole. Stava costui di casa
quasi dirimpetto alle nostre donne, ed essendosi, al rumore,
affacciato alla finestra, aveva veduto nel cortiletto quello
scompiglio de' bravi, quando il Griso s' affannava a racco-
glierli. Quand' ebbe ripreso fiato, gridò: «che fate qui, figliuoli?
non è qui il diavolo; è giù in fondo alla strada, alla casa
d'Agnese biondella: gente armata; son dentro; par che vo-
gliano ammazzare un pellegrino; chi sa che diavolo e' è!»
«Che? — Che? — Che?» E comincia una consulta tu-
multuosa. «Bisogna andare. — Bisogna vedere. — Quanti
sono? — Quanti siamo? — Chi sono? — Il console! il con-
sole!»
CAPITOLO Vili. 99
«Son qui,» risponde il console, di mezzo alla folla: «son
qui, ma bisogna aiutarmi, bisogna ubbidire. Presto: dov'è
il sagrestano? Alla campana, alla campana. Presto: uno
che corra a Lecco a cercar soccorso: venite qui tutti . . . .»
Chi accorre, chi sguizza tra uomo e uomo, e se la batte ,
il tumulto era grande, quando arriva un altro, che gli aveva
veduti partire in fretta, e grida: (-correte, figliuoli: ladri, o
banditi che scappano con un pellegrino; son già fuori del
paese: addosso! addosso!» A quest'avviso, senza aspettar
gli ordini del capitano, si movono in massa, e giù alla rin-
fusa per la strada : di mano in mano che 1' esercito s' avanza,
qualcheduno di quei della vanguardia rallenta il passo, si
lascia sopravanzare, e si ficca nel corpo di battaglia: gli ul-
timi spingono innanzi: lo sciame confuso giunge finalmente
al luogo indicato. Le tracce dell' invasione eran fresche e
manifeste: 1' uscio spalancato, la serratura sconficcata; ma
gl'invasori erano spariti. S'entra nel cortile; si va al-
l'uscio del terreno : aperto e sconficcato anche quello; si chiama:
('Agnese! Lucia! Il pellegrino! Dov'è il pellegrino? L'avrà
sognato Stefano, il pellegrino. — No, no: l'ha visto anche
Carlandrea. Ohe, pellegrino! — Agnese! Lucia!» Nessuno
risponde. «Le hanno portate via! Le hanno portate via!»
Ci fu allora di quelli che, alzando la voce, proposero d'in-
seguire i rapitori: che era un'infamità; e sarebbe una ver-
gogna per il paese, se ogni birbone potesse a man salva ve-
nire a portar via le donne, come il nibbio i pulcini da
un' aia deserta. Nuova consulta e più tumultuosa: ma uno
(e non si seppe mai bene chi fosse stato) gettò nella brigata
una voce, che Agnese e Lucia s' eran messe in salvo in una
casa. La voce corse rapidamente, ottenne credenza; non si
parlò più di dar la caccia ai fuggitivi; e la brigata si spar-
pagliò, andando ognuno a casa sua. Era un bisbiglio, uno
strepito, un picchiare e un aprir d' usci, un apparire e uno
sparire di lucerne, uno interrogare di donne dalle finestre,
un rispondere dalla strada. Tornata questa deserta e silen-
ziosa, i discorsi continuaron nelle case, e moriron negli sba-
digli, per ricominciar poi la mattina. Fatti però, non ce ne
fu altri; se non che, quella medesima mattina, il console
stando nel suo campo, col mento in una mano, e il gomito
appoggiato sul manico della vanga mezza ficcata nel terreno,
e con un piede sul vangile; stando, dico, a specolare tra sé
sui misteri della notte passata, e sulla ragion composta di
ciò che gli toccasse a fare, e di ciò che gli convenisse fare,
vide venirsi incontro due uomini d' assai gagliarda presenza,
chiomati come due re de' Franchi della prima razza, e so-
migliantissimi nel resto a que' due che cinque giorni prima
avevano affrontato don Abbondio, se pur non eran que' me-
7*
100 I PROMESSI SPOSI.
desimi. Costoro, con un fare men cerimonioso, intimarono
al console che guardasse bene di non far deposizione al po-
destà dell' accaduto, di non rispondere il vero, caso che ne
venisse interrogato, di non ciarlare, di non fomentar le ciarle
de' villani, per quanto aveva cara la speranza di morir di
malattia.
I nostri fuggiaschi camminarono un pezzo di buon trotto,
in silenzio, voltandosi, ora 1' uno ora V altro, a guardare se
nessuno gV inseguiva, tutti in affanno per la fatica della
fuga, per il batticuore e per la sospensione in cui erano stati,
per il dolore della cattiva riuscita, per 1' apprensione confusa
del nuovo oscuro pericolo. E ancor più in affanno li teneva
l'incalzare continuo di que' rintocchi, i quali, quanto, per
1' allontanarsi, venivan più fiochi e ottusi , tanto pareva che
prendessero un non so che di più lugubre e sinistro. Final-
mente cessarono. I fuggiaschi allora, trovandosi in un campo
disabitato, e non sentendo un alito all' intorno, rallentarono
il passo; e fu la prima Agnese che, ripreso fiato, ruppe il
silenzio, domandando a Renzo com' era andata, domandando
a Menico cosa fosse quel diavolo in casa. Renzo raccontò
brevemente la sua trista storia; e tutt' e tre si voltarono al
fanciullo, il quale riferì più espressamente P avviso del pa-
dre, e raccontò quello eh' egli stesso aveva veduto e rischiato,
e che pur troppo confermava P avviso. Gli ascoltatori com-
presero più di quel che Menico avesse saputo dire: a
quella scoperta, si sentiron rabbrividire; si fermaron tutt' e
tre a un tratto, si guardarono in viso P un con P altro, spa-
ventati; e subito, con un movimento unanime, tutt' e tre po-
sero una mano, chi sul capo, chi sulle spalle del ragazzo,
come per accarezzarlo, per ringraziarlo tacitamente che fosse
stato per loro un angelo tutelare, per dimostrargli la com-
passione che sentivano dell'angoscia da lui sofferta, e del
pericolo corso, per la loro salvezza; e quasi per chiedergliene
scusa. «Ora torna a casa, perchè i tuoi non abbiano a star
più in pena per te,» gli disse Agnese; e rammentandosi delle
due parpagliole promesse, se ne levò quattro di tasca, e gliele
diede aggiungendo: «basta; prega il Signore che ci rivediamo
presto : e allora .... » Renzo gli diede una berlinga nuova,
e gli raccomandò molto di non dir nulla della commissione
avuta dal frate: Lucia P accarezzò di nuovo, Io salutò con
voce accorata; il ragazzo li salutò tutti, intenerito: e tornò
indietro. Quelli ripresero la loro strada, tutti pensierosi ; le
donne innanzi, e Renzo dietro, come per guardia. Lucia
stava stretta al braccio della madre, e scansava dolcemente,
e con destrezza, P aiuto che il giovine le offriva ne' passi
malagevoli di quel viaggio fuor di strada; vergognosa in se,
anche in un tale turbamento, d' esser già stata tanto sola
CAPITOLO Vili. 101
con lui, e tanto famigliarmente, quando s' aspettava di dive-
nir sua moglie, tra pochi momenti. Ora, svanito così doloro-
samente quel sogno, si pentiva d' essere andata troppo avanti;
e, tra tante cagioni di tremare, tremava anche per quel
pudore che non nasce dalla trista scienza del male, per quel
pudore che ignora sé stesso, somigliante alla paura del fan-
ciullo, che trema nelle tenebre, senza saper di che.
«E la casa?» disse a un tratto Agnese. Ma, per quanto
la domanda fosse importante, nessuno rispose, perchè nes-
suno poteva darle una risposta soddisfacente. Continuarono
in silenzio la loro strada, e poco dopo, sboccarono finalmente
sulla piazzetta davanti alla chiesa del convento.
^x^Renzo s' affacciò alla porta, e la sospinse bel bello. La
porta di fatto s'aprì; e la luna, entrando per lo spiraglio,
illuminò la faccia pallida, e la barba d' argento del pa-
dre Cristoforo, che stava quivi ritto in aspettativa. Visto
che non ci mancava nessuno, «Dio sia benedetto!» disse, e
fece lor cenno eh' entrassero. Accanto a lui stava un altro
cappuccino; ed era il laico sagrestano, ch'egli, con preghiere
e con ragioni, aveva persuaso a vegliar con lui, a lasciar
socchiusa la porta, e a starci in sentinella, per accogliere
que' poveri minacciati: e non si richiedeva meno dell' auto-
rità del padre, e della sua fama di santo, per ottener dal
laico una condiscendenza incomoda, pericolosa e irregolare.
Entrati che furono, il padre Cristoforo riaccostò la porta ada-
gio adagio. Allora il sagrestano non potè più reggere, e
chiamato il padre da una parte, gli andava susurrando al-
l' orecchio: «ma padre, padre! di notte .... in chiesa .... con
donne .... chiudere .... la regola .... ma padre!» E ten-
tennava la testa. Mentre diceva stentatamente quelle parole,
— vedete un poco! — pensava il padre Cristoforo, se fosse un
masnadiero inseguito, fra Fazio non gli farebbe una difficoltà
al mondo: e una povera innocente, che scappa dagli artigli
del lupo .... — «Omnia manda mundis,» disse poi, vol-
tandosi tutt' a un tratto a fra Fazio, e dimenticando che
questo non intendeva il latino. Ma una tale dimenticanza fu
appunto quella che fece 1' effetto. Se il padre si fosse messo
a questionare con ragioni, a fra Fazio non sarebber mancate
altre ragioni da opporre; e sa il cielo quando e come la cosa
sarebbe finita. Ma al sentir quelle parole gravide d' un senso
misterioso, e proferite così risolutamente, gli parve che in
quelle dovesse contenersi la soluzione di tutti i suoi dubbi.
S'acquietò, e disse: «basta! lei ne sa più di me.»
«Fidatevi pure,» rispose il padre Cristoforo; e all'in-
certo chiarore della lampada che ardeva davanti all' altare,
s' accostò ai ricoverati, i quali stavano sospesi aspettando, e
disse loro- «figliuoli! ringraziate il S'gnore. che v'ha scam-
102 1 PROMESSI SPOSI.
pati da un gran pericolo. Forse in questo momento .... U
E qui si mise a spiegare ciò che aveva fatto accennare dal
piceiol messo: giacché non sospettava eh' essi ne sapesser più
di lui. e supponeva che Menico gli avesse trovati tranquilli
in casa, prima che arrivassero i malandrini. Nessuno lo dis-
ingannò, nemmeno Lucia, la quale però sentiva un rimorso
segreto d'una tale dissimulazione, con un tal uomo; ma era
la notte degl'imbrogli e de' sotterfugi.
«Dopo di ciò,» continuò egli, «vedete bene, figliuoli, che
ora questo paese non è sicuro per voi. È il vostro; ci siete
nati; non avete fatto male a nessuno; ma Dio vuol così. È
una prova, figliuoli: sopportatela con pazienza, con fiducia,
senza odio, e siate sicuri che verrà un tempo in cui vi tro-
verete contenti di ciò che ora accade. Io ho pensato a tro-
varvi un rifugio, per questi primi momenti. Presto, io spero,
potrete ritornar sicuri a casa vostra; a ogni modo, Dio vi
provvederà, per il vostro meglio; e io certo mi studierò di
non mancare alla grazia che mi fa, scegliendomi per suo mi-
nistro, nel servizio di voi suoi poveri cari tribolati. Voi,»
continuò volgendosi alle due donne, «potrete fermarvi a***.
Là sarete abbastanza fuori d' ogni pericolo, e nello stesso
tempo, non troppo lontane da casa vostra. Cercate del nostro
convento, fate chiamare il padre guardiano, dategli questa let-
tera: sarà per voi un altro fra Cristoforo. E anche tu, il
mio Renzo, anche tu devi metterti, per ora, in salvo dalla
rabbia degli altri, e dalla tua. Porta questa lettera al padre
Bonaventura da Lodi, nel nostro convento di Porta Orientale
in Milano. Egli ti farà da padre, ti guiderà, ti troverà del
lavoro, per fin che tu non possa tornare a viver qui tranquil-
lamente. Andate alla riva del lago, vicino allo sbocco del
Bione.» È un torrente a pochi passi da Pescarenico. «Lì
vedrete un battello fermo; direte: barca; vi sarà domandato
per chi; rispondete: san Francesco. La barca vi riceverà, vi
trasporterà all' altra riva, dove troverete un baroccio che vi
condurrà addirittura sino a*'**.»
Chi domandasse come fra Cristoforo avesse cosi subito a
sua disposizione que' mezzi di trasporto, per acqua e per
terra, farebbe vedere di non conoscere qual fosse il potere
d' un cappuccino tenuto in concetto di santo.
Restava da pensare alla custodia delle case. Il padre ne
ricevette le chiavi, incaricandosi di consegnarle a quelli che
Renzo e Agnese gì' indicarono. Quest'ultima, levandosi di
tasca la sua, mise un gran sospiro, pensando che, in quel
momento, la casa era aperta, che e' era stato il diavolo, e
chi sa cosa ci rimaneva da custodire!
«Prima ■ che partiate,» disse il padre, «preghiamo tutti
insieme il Signore, perchè sia con voi, in codesto viaggio, e
CAPITOLO Vili. 103
sempre; e sopra tutto vi dia forza, vi dia amore di volere
ciò eh' Egli ha voluto.» Così dicendo s1 inginocchiò nel
mezzo della chiesa; e tutti fecer lo stesso. Dopo eh' ebbero
pregato, alcuni momenti, in silenzio, il padre con voce som-
messa, ma distinta, articolò queste parole : «noi vi preghiamo
ancora per quel poveretto che ci ha condotti a questo passo.
Noi saremmo indegni della vostra misericordia, se non ve la
chiedessimo di cuore per lui: ne ha tanto bisogno! Noi,
nella nostra tribolazione, abbiamo questo conforto, che siamo
nella strada dove ci avete messi Voi: possiamo offrirvi i no-
stri guai; e diventano un guadagno. Ma lui ... . è vostro
nemico. Oh disgraziato! compete con Voi! Abbiate pietà
di lui, o Signore, toccategli il cuore, rendetelo vostro amico,
concedetegli tutti i beni che noi possiamo desiderare a noi
stessi.»
Alzatosi poi, come in fretta, disse: «via, figliuoli, non c'è
tempo da perdere: Dio vi guardi, il suo angelo v' accompa-
gni : andate.» E mentre s' avviavano, con quella commozione
che non trova parole, e che si manifesta senza di esse, il
padre soggiunse, con voce alterata: «il cuor mi dice che ci
rivedremo presto.»
Certo, il cuore, chi gli dà retta, ha sempre qualche cosa
da dire su quello che sarà. Ma che sa il cuore? Appena
un poco di quello che è già accaduto.
Senza aspettar risposta, fra Cristoforo andò verso la sa-
grestia; i viaggiatori usciron di chiesa; e fra Fazio chiuse
la porta, dando loro un addio, con la voce alterata anche lui.
Essi s' avviarono zitti zitti alla riva eh' era stata loro indi-
cata; videro il battello pronto, e data e barattata la parola,
e' entrarono. 11 barcaiolo, puntando un remo alla proda, se
ne staccò; afferrato poi l'altro remo, e vogando a due brac-
cia, prese il largo, verso la spiaggia opposta Os'on tirava un
alito di vento; il lago giaceva liscio e piano, e sarebbe parso
immobile, se non fosse stato il tremolare e 1' ondeggiar leg-
giero della luna, che vi si specchiava da mezzo il cielo.
S' udiva soltanto il fiotto morto e lento frangersi sulle ghiaie
del lido, il gorgoglìo più lontanto dell' acqua rotta tra le pile
del ponte, e il tonfo misurato di que' due remi, che taglia-
vano la superficie azzurra del lago, uscivano a un colpo gron-
danti, e si rituffavano. L' onda segata dalla barca, riunen-
dosi dietro la poppa, segnava una striscia increspata, che
s' andava allontanando dal lido. I passeggieri silenziosi, con
la testa voltata indietro, guardavano i monti, e il paese ri-
schiarato dalla luna, e variato qua e là di grand' ombre. Si
distinguevano i villaggi, le case, le capanne: il palazzotto di
don Rodrigo, con la sua torre piatta, elevato sopra le casucce
ammucchiate alla falda del promontorio, pareva un feroce che,
104 I PROMESSI SPOSI.
ritto nelle tenebre, in mezzo a una compagnia d' addormen-
tati, vegliasse, meditando un delitto. Lucia lo vide, e rabbri-
vidì; scese con l'occhio giù giù per la china, fino al suo pae-
sello, guardò fisso all' estremità, scoprì la sua casetta, scoprì
la chioma folta del fico che sopravanzava il muro del cortile,,
scoprì la finestra della sua camera; e seduta, com' era, nel
fondo della barca, posò il braccio sulla sponda, posò sul brac-
cio la fronte, come per dormire, e pianse segretamente.
Addio, monti sorgenti dall' acqua, ed elevati al cielo; cime
inuguali, note a chi è cresciuto tra voi, e impresse nella sua
mente, non meno che lo sia V aspetto de' suoi più familiari ;
torrenti, de' quali distingue lo scroscio, come il suono delle
voci domestiche; ville sparse e biancheggianti sul pendìo, come
branchi di pecore pascenti; addio! Quanto è tristo il passo di
chi, cresciuto tra voi, se ne allontana! Alla fantasia di quello
stesso che se ne parte volontariamente, tratto dalla speranza di
fare altrove fortuna, si disabbelliscono, in quel momento, i sogni
della ricchezza; egli si maraviglia d' essersi potuto risolvere,
e tornerebbe allora indietro, se non pensasse che, un giorno,
tornerà dovizioso. Quanto più s' avanza nel piano, il suo
occhio si ritira, disgustato e stanco, da queir ampiezza uni-
forme; 1' aria gli par gravosa e morta: s' inoltra mesto e
disattento nelle città tumultuose; le case aggiunte a case, le
strade che sboccano nelle strade, pare che gli levino il re-
spiro: e davanti agli edifizi ammirati dallo straniero, pensa,
con desiderio inquieto, al campicello del suo paese, alla ca-
succia a cui ha già messi gli occhi addosso, da gran tempo,
e che comprerà, tornando ricco a' suoi monti.
Ma chi non aveva mai spinto al di là di quelli neppure
un desiderio fuggitivo, chi aveva composti in essi tutti i di-
segni dell' avvenire, e n' è sbalzato lontano, da una forza
perversa! Chi staccato, a un tempo dalle più care abitudini,
e disturbato nelle più care speranze, lascia que' monti, per
avviarsi in traccia di sconosciuti che non ha mai deside-
rato di conoscere, e non può con 1' immaginazione arri-
vare a un momento stabilito per il ritorno! Addio, casa
natia, dove, sedendo, con un pensiero occulto, s'imparò
a distinguere dal rumore de' passi communi il rumore d' un
passo aspettato con un misterioso timore. Addio, casa ancora
straniera, casa sogguardata tante volte alla sfuggita, passando,
e non senza rossore; nella quale la mente si figurava un
soggiorno tranquillo e perpetuo di sposa. Addio, chiesa,
dove V animo tornò tante volte sereno, cantando le lodi del
Signore; dov' era promesso, preparato un rito; dove il sospiro
segreto del cuore doveva essere solennemente benedetto, e
l'amore venir comandato, e chiamarsi santo; addio! Chi
dava a voi tanta giocondità è per tutto; e non turba mai la
CAPITOLO IX. 105
gioia de' suoi figli, se non per prepararne loro una più certa
e più grande.
Di tal genere, se non tali appunto, erano i pensieri di
Lucia, e poco diversi i pensieri degli altri due pellegrini,
mentre la barca gli andava avvicinando alla riva destra del-
l' Adda.
CAPITOLO IX.
L' urtar che fece la barca contro la proda, scosse Lucia,
la quale, dopo aver asciugate . in segreto le lagrime, alzò la
testa, come se si svegliasse. Renzo uscì il primo, e diede la
mano ad Agnese, la quale uscita pure, la diede alla figlia; e
tutt' e tre resero tristamente grazie al barcaiolo. «Di che
cosa?» rispose quello: «siam quaggiù per aiutarci 1' uno
con 1' altro,» e ritirò la mano, quasi con ribrezzo, come se
gli fosse proposto di rubare, allorché Renzo cercò di farvi
sdrucciolare una parte de' quattrinelli che si trovava indosso,
e che aveva presi quella sera, con intenzione di regalar ge-
nerosamente don Abbondio, quando questo 1' avesse, suo mal-
grado, servito. Il baroccio era lì pronto; il conduttore salutò
i tre aspettati, li fece salire, diede una voce alla bestia, una
frustata, e via.
Il nostro autore non descrive quel viaggio notturno, tace
il nome del paese dove fra Cristoforo aveva indirizzate le
due donne; anzi protesta espressamente di non lo voler dire.
Dal progresso della storia si rileva poi la cagione di queste
reticenze. Le avventure di Lucia in quel soggiorno, si tro-
vano avviluppate in un intrigo tenebroso di persona appar-
tenente a una famiglia, come pare, molto potente, al tempo
che 1' autore scriveva. Per render ragione della strana con-
dotta di quella persona, nel caso particolare, egli ha poi
anche dovuto raccontarne in succinto la vita antecedente; e
la famiglia ci fa quella figura che vedrà chi vorrà leggere.
Ma ciò che la circospezione del pover' uomo ci ha voluto
sottrarre, le nostre diligenze ce 1' hanno fatto trovare in altra
parte. Uno storico milanese*) che ha voluto far menzione
di quella persona medesima, non nomina, è vero, né lei, né
il paese; ma di questo dice eh' era un borgo antico e nobile,
a cui di città non mancava altro che il nome; dice altrove,
che ci passa il Lambro; altrove, che e' è un arciprete. Dal
riscontro di questi dati noi deduciamo che fosse Monza sen-
*) Josephi Uipamontii Historix Patriae. Decadi* V, Li'a. VI. Cap. HI. pac.
358 fcl seq.
106 I PROMESSI SPOSI.
z altro. Nel vasto tesoro dell' induzioni erudite ce ne potrà
ben essere delle più fine, ma delle più sicure, non crederei.
Potremmo anche, sopra congetture molto fondate, dire il nonw
della famiglia; ma, sebbene sia estinta da un pezzo, ci par
meglio lasciarlo nella penna, per non metterci a rischio di
far torto neppure ai morti, e per lasciare ai dotti qualche
soggetto di ricerca.
I nostri viaggiatori arrivaron dunque a Monza, poco dopo
il levar dei sole: il conduttore entrò in un' osteria, e lì, come
pratico del luogo, e conoscente del padrone, fece assegnar loro
una stanza, e ve li accompagnò. Tra i ringraziamenti, Renzo
tentò pure di fargli ricevere qualche danaro; ma quello, al
pari del barcaiolo, aveva in mira un' altra ricompensa, più
lontana, ma più abbondante: ritirò le mani, anche lui, e, come
fuggendo, corse a governare la sua bestia.
Dopo una sera quale 1' abbiamo descritta, e una notte quale
ognuno può immaginarsela, passata in compagnia di que' pen-
sieri, col sospetto incessante di qualche incontro spiacevole,
al soffio d' una brezzolina più che autunnale, e tra le conti-
nue scosse della disagiata vettura, che ridestavano sgarbata-
mente chi di loro cominciasse appena a velar V occhio, non
parve vero a tutt' e tre di sedersi sur una panca che stava
ferma, in una stanza, qualunque fosse. Fecero colazione,
come permetteva la penuria de' tempi, e i mezzi scarsi in
proporzione de' contingenti bisogni d' un avvenire incerto, e
il poco appetito. A tutt' e tre passò per la mente il ban-
chetto che, due giorni prima , s' aspettavan di fare : e cia-
scuno mise un gran sospiro. Renzo avrebbe voluto fermarsi
lì, almeno tutto quel giorno, veder le donne allogate, render
loro i primi servizi; ma il padre aveva raccomandato a
queste di mandarlo subito per la sua strada. Addussero quindi
esse e quegli ordini, e cento altre ragioni; che la gente
ciarlerebbe, che la separazione più ritardata sarebbe più do-
lorosa, eh' egli potrebbe venir presto a dar nuove e a sen-
tirne; tanto che si risolvette di partire. Si concertaron, come
poterono, sulla maniera di rivedersi, più presto che fosse pos-
sibile. Lucia non nascose le lacrime; Renzo trattenne a stento
le sue, e, stringendo forte forte la mano a Agnese, disse con
•voce soffogata : «a rivederci,» e partì.
Le donne si sarebber trovate ben impicciate, se non fosse
stato quel buon barocciaio, che aveva ordine di guidarle ai
convento de' cappuccini, e di dar loro ogn' altro aiuto che
potesse bisognare. S' awiaron dunque con lui a quel con-
vento; il quale, come ognun sa, era pochi passi distante da
Monza. Arrivati alla porta, il conduttore tirò il campanello,
fece chiamare il padre guardiano; questo venne subito, e ri-
CAPITOLO IX. 107
«Oh! fra Cristoforo?» disse riconoscendo il carattere. Il
tono della voce e i movimenti del volto indicavano manifesta-
mente che proferiva il nome d' un grand' amico. Convien poi
dire che il nostro buon Cristoforo avesse, in quella lettera,
raccomandate le donne con molto calore, e riferito il loro
caso con molto sentimento, perchè il guardiano faceva, di
tanto in tanto, atti di sorpresa e d' indegnazione; e, al-
zando gli occhi dal foglio, li fissava sulle donne con una
certa espressione di pietà e d' interesse. Finito eh' ebbe di
leggere, stette lì alquanto a pensare: poi disse: «non c; è
che la signora: se la signora vuol prendersi quest' impe-
gno ...»
Tirata quindi Agnese in disparte, sulla piazza davanti al
convento, le fece alcune interrogazioni, alle quali essa sod-
disfece; e, tornato verso Lucia, disse a tutt' e due: «donne
mie, io tenterò ; e spero di potervi trovare un ricovero più
che sicuro, più che onorato, fin che Dio non v' abbia prov-
vedute in miglior maniera. Volete venir con me?»
Le donne accennarono rispettosamente di sì; e il frate ri-
prese: «bene; io vi conduco subito al monastero della si-
gnora. State però discoste da me alcuni passi, perchè la
gente si diletta di dir male : e Dio sa quante belle chiacchiere
si farebbero, se si vedesse il padre guardiano per la strada,
con una bella giovine .... con donne voglio dire.»
Così dicendo, andò avanti. Lucia arrossì; il barocciaio
sorrise, guardando Agnese, la quale non potè tenersi di non
fare altrettanto; e tutt' e tre si mossero, quando il frate si
fu avviato; e gli andaron dietro, dieci passi discosto. Le
donne allora domandarono al barocciaio, ciò che non ave-
vano osato al padre guardiano, chi fosse la signora.
«La signora,» rispose quello, «è una monaca; ma non
è una monaca come l'altre. Non è che sia la badessa, né
la priora; che anzi, a quel che dicono, è una delle più gio-
vani: ma è della costola d'Adamo; e i suoi del tempo antico
erano gente grande, venuta di Spagna, dove son quelli che
comandano; e per questo la chiamano la signora, per dire
eh' è una gran signora; e tutto il paese la chiama con quel
nome, perchè dicono che in quel monastero non hanno avuto
mai una persona simile; e i suoi d'adesso laggiù a Milano,
contan molto, e son di quelli che hanno sempre ragione; e
in Monza anche di più, perchè suo padre, quantunque non
ci stia, è il primo del paese; onde anche lei può far alto e
basso nel monastero; e anche la gente di fuori le porta un
gran rispetto; e quando prende un impegno, le riesce anche
di spuntarlo; e perciò, se quel buon religioso lì, ottiene di
mettervi nelle sue mani, e che lei v' accetti, vi posso dire
che sarete sicure come sull' altare.» X*
108 I PROMESSI SPOSI.
Quando fu vicino alla porta del borgo, fiancheggiata al-
lora da un antico torracchione mezzo rovinato, e da un pezzo
di castellacelo, diroccato anch' esso, che forse dieci de' miei
lettori possono ancor rammentarsi d' aver veduto in piedi, il
guardiano si fermò, e si voltò a guardare se gli altri veni-
vano: quindi entrò, e s'avviò al monastero; dove arrivato, si
fermò di nuovo sulla soglia, aspettando la piccola brigata.
Pregò il barocciaio che, tra un par d' ore, tornasse da lui,
a prender la risposta: questo lo promise, e si licenziò dalle
donne, che lo caricaron di ringraziamenti, e di commissioni
per il padre Cristoforo. Il guardiano fece entrare la madre
e la figlia nel primo cortile del monastero, le introdusse nelle
camere della fattoressa; e andò solo a chieder la grazia. Dopc
qualche tempo, ricomparve giulivo a dir loro che venissero
avanti con lui; ed era ora, perchè la figlia e la madre non
sapevan più come fare a distrigarsi dall' interrogazioni pres-
santi della fattoressa. Attraversando un secondo cortile, diede
qualche avvertimento alle donne, sul modo di portarsi, con
la signora. «È ben disposta per voi altre,» disse, «e vi
può far del bene quanto vuole. Siate umili e rispettose, ri-
spondete con sincerità alle domande che le piacerà di farvi, e
quando non siete interrogate, lasciate fare a me.» Entrarono
in una stanza terrena, dalla quale si passava nel parlatorio:
prima di mettervi il piede, il guardiano, accennando 1' uscio,
disse sottovoce alle donne: «è qui,» come per rammentar
loro tutti quegli avvertimenti. Lucia, che non aveva mai visto
un monastero, quando fu nel parlatorio, guardò in giro dove
fosse la signora a cui fare il suo inchino, e, non iscorgendo
persona, stava come incantata; quando, visto il padre e
Agnese andar verso un angolo, guardò da quella parte, e vide
una finestra d' una forma singolare, con due grosse e fitte
grate di ferro, distanti 1' una dall'altra un palmo; e dietro
quelle una monaca ritta. Il suo aspetto, che poteva dimo-
strar venticinque anni, faceva a prima vista un' impressione
di bellezza, ma d' una bellezza sbattuta, sfiorita e, direi quasi
scomposta. Un velo nero, sospeso e stirato orizzontalmente
sulla testa, cadeva dalle due parti, discosto alquanto dal viso:
sotto il velo, una bianchissima benda di lino cingeva, fino al
mezzo una fronte di diversa, ma non d' inferiore bianchezza;
un' altra benda a pieghe circondava il viso, e terminava sotto
il mento in un soggolo, che si stendeva alquanto sul petto, a
coprire lo scollo d' un nero saio. Ma quella fronte si raggrin-
zava spesso, come per una contrazione dolorosa; e allora due
sopraccigli neri si ravvicinavano, con un rapido movimento.
Due occhi, neri neri anch'essi, si fissavano talora in viso
alle persone, con un' investigazione superba; talora si china-
vano in fretta, come per cercare un nascondiglio; in certi
CAPITOLO 1S. 109
momenti, un attento osservatore avrebbe argomentato che
chiedessero affetto, corrispondenza, pietà; altre volte avrebbe
creduto coglierci la rivelazione istantanea d' un odio inveterato
e compresso, un non so che di minaccioso e di feroce: quando
restavano immobili e fissi senza attenzione, chi ci avrebbe
immaginata una svogliatezza orgogliosa, chi avrebbe po-
tuto sospettarci il travaglio d'un pensiero nascosto, d'una
preoccupazione familiare all' animo, e più forte su quello che
gli oggetti circostanti. Le gote pallidissime scendevano con
un contorno delicato e grazioso, ma alterato e reso mancante
da una lenta estenuazione. Le labbra, quantunque ap-
pena tinte d'un roseo sbiadito, pure, spiccavano in quel
pallore: i loro moti erano, come quelli degli occhi, subitanei,
vivi, pieni d' espressione e di mistero. La grandezza ben
formata deila persona scompariva in un certo abbandono del
portamento, o compariva sfigurata in certe mosse repentine,
irregolari e troppo risolute per una donna, non che per una
monaca. Nel vestire stesso e' era qua e là qualcosa di stu-
diato o di negletto, che annunziava una monaca singolare: la
vita era attillata con una certa cura secolaresca, e dalla benda
usciva sur una tempia una ciocebettina di neri capelli; cosa
che dimostrava o dimenticanza o disprezzo della regola che
prescriveva di tenerli sempre corti, da quando erano stati ta-
gliati, nella cerimonia solenne del vestimento.
Queste cose non facevano specie alle due donne, non eser-
citate a distinguer monaca da monaca: e il padre guardiano,
che non vedeva la signora per la prima volta, era già av-
vezzo, come tant' altri, a quel non so che di strano, che ap-
pariva nella sua persona, come nelle sue maniere.
Era essa in quel momento, come abbiam detto, ritta vi-
cino alla grata, con una mano appoggiata languidamente a
quella, e le bianchissime dita intrecciate ne' vóti; e guardava
fisso Lucia, che veniva avanti esitando. «Reverenda madre,
e signora illustrissima,» disse il guardiano, a capo basso,
e con la mano al petto, «questa è quella povera giovine, per
la quale m' ha fatto sperare la sua valida protezione: e questa
è la madre.»
Le due presentate facevano grand' inchini: la signora ac-
cennò loro con la mano, che bastava, e disse, voltandosi al
padre: «è una fortuna per me il poter fare un piacere ai
nostri buoni amici i padri cappuccini. Ma,» continuò, «mi
dica un po' più particolarmente il caso di questa giovine, per
veder meglio cosa si possa fare per lei.»
Lucia diventò rossa, e abbassò la testa.
«Deve sapere, reverenda madre .... » incominciava Agnese;
ma il guardiano le troncò, con un' occhiata, le parole in
bocca, e rispose: «questa giovine, signora illustrissima, im
110 I PROMESSI SPOSI.
vien raccomandata, come le ho detto, da un mio confratello.
Essa ha dovuto partir di nascosto dal suo paese, per sot-
trarsi a de' gravi pericoli; e ha bisogno, per qualche tempo,
d' un asilo nel quale possa vivere sconosciuta, e dove nes-
suno ardisca venire a disturbarla, quand' anche »
«Quali pericoli?» interruppe la signora. «Di grazia,
padre guardiano, non mi dica la cosa così in enimma. Lei
sa che noi altre monache, ci piace di sentir le storie per
minuto.»
«Sono pericoli,» rispose il guardiano, «che all'orecchie
purissime della reverenda madre devon essere appena legger-
mente accennati. ...»
«Oh certamente,» disse in fretta la signora, arrossendo
alquanto. Era verecondia? Chi avesse osservata una rapida
espressione di dispetto che accompagnava quel rossore, avrebbe
potuto dubitarne ; e tanto più se 1' avesse paragonato con
quello che di tanto in tanto si spandeva sulle gote di Lucia.
«Basterà dire,» riprese il guardiano, «che un cavalier
prepotente . . . non tutti i grandi del mondo si servono dei
doni di Dio a gloria sua, e in vantaggio del prossimo, come
vossignoria illustrissima: un cavalier prepotente, dopo aver
perseguitato qualche tempo questa creatura con indegne lu-
singhe, vedendo eh' erano inutili, ebbe cuore di perseguitarla
apertamente con la forza, di modo che la poveretta è stata
ridotta a fuggir da casa sua.»
«Accostatevi, quella giovine,» disse la signora a Lucia,
facendole cenno col dito. «So che il padre guardiano è la
bocca della verità; ma nessuno può esser meglio informato
di voi, in quest' affare. Tocca a voi a dirci se questo cava-
liere era un persecutore odioso.» In quanto all' accostarsi,
Lucia ubbidì subito: ma rispondere era un' altra faccenda.
Una domanda su quella materia, quand' anche le fosse stata
fatta da una persona sua pari, 1' avrebbe imbrogliata non
poco : proferita da quella signora, e con una cert' aria di
dubbio maligno, le levò ogni coraggio a rispondere. «Si-
gnora .... madre reverenda . . . .» balbettò, e non dava se-
gno d' aver altro a dire. Qui Agnese, come quella che, dopo
di lei, era certamente la meglio informata, si credè autoriz-
zata a venirle in aiuto. «Illustrissima signora,» disse, «io
posso far testimonianza che questa mia figlia aveva in odio
quel cavaliere, come il diavolo l'acqua santa: voglio dire,
il diavolo era lui; ma mi perdonerà se parlo male, perchè
noi siam gente alla buona. Il fatto sta che questa povera
ragazza era promessa a un giovine nostro pari, timorato di
Dio, e ben avviato: e se il signor curato fosse stato un po'
più un uomo di quelli che m' intendo io ... . so che parlo
d' un religioso, ma il padre Cristoforo, amico qui del padre
CAPITOLO IX. Ili
guardiano, è religioso al par di lui, e quello è un uomo pieno
di carità, e, se fosse qui potrebbe attestare . . . .»
«Siete ben pronta a parlare senz' essere interrogata,»
interruppe la signora, con un atto altero e iracondo, che la
fece quasi parer brutta. «State zitta voi: già lo so che i
parenti hanno sempre una risposta da dare in nome de' loro
figliuoli!»
Agnese mortificata diede a Lucia un' occhiata che voleva
dire: vedi quel che mi tocca, per esser tu tanto impicciata.
Anche il guardiano accennava alla giovine, dandole d' occhio
e tentennando il capo, che quello era il momento di sgran-
chirsi, e di non lasciare in secco la povera mamma.
«Reverenda signora,» disse Lucia, «quanto le ha detto
mia madre è la pura verità. Il giovine che mi discorreva,»
e qui diventò rossa rossa, «lo prendevo io di mia volontà.
Mi scusi se parlo da sfacciata, ma è per non lasciar pensar
male di mia madre. E in quanto a quel signore (Dio gli
perdoni!) vorrei piuttosto morire che cadere nelle sue mani.
E se lei fa questa carità di metterci al sicuro, giacché siam
ridotte a far questa faccia di chieder ricovero, e ad incomo-
dare le persone dabbene; ma sia fatta la volontà di Dio; sia
certa, signora, che nessuno potrà pregare per lei più di
cuore che noi povere donne.»
«A voi credo,» disse la signora con voce raddolcita.
«Ma avrò piacere di sentirvi da solo a solo. Non che abbia
bisogno d' altri schiarimenti, né d'altri motivi, per servire
alle premure del padre guardiano,» aggiunse subito, rivol-
gendosi a lui, con una compitezza studiata. «Anzi,» con-
tinuò, «ci ho già pensato; ed ecco ciò che mi pare di poter
far di meglio, per ora. La fattoressa del monastero ha
maritata, pochi giorni sono, V ultima sua figliuola. Queste
donne potranno occupar la camera lasciata in libertà da
quella, e supplire que' pochi servizi che faceva lei. Vera-
mente . . . .» e qui accennò al guardiano che s' avvicinasse
alla grata, e continuò sottovoce: «veramente, attesa la scar-
sezza dell' annate, non si pensava di sostituir nessuno a quella
giovine; ma parlerò io alla madre badessa, e una mia paro-
la ... . e per una premura del padre guardiano In somma
do la cosa per l'atta.»
Il guardiano cominciava a ringraziare, ma la signora l' in-
terruppe: «Non occorron cerimonie: anch'io, in un caso, in
un bisogno, saprei far capitale dell' assistenza de' padri cap-
puccini. Alla fine,» continuò, con un sorriso, nel quale
traspariva un non so che d' ironico e d' amaro, «alla fine
non siam noi fratelli e sorelle?»
Così detto, chiamò una conversa, (due di queste erano,
per una distinzione singolare, assegnate al suo servizio pri-
112 1 PROMESSI SPOSI.
vato) e le ordinò che avvertisse di ciò la badessa, e pren-
desse poi i concerti opportuni, con la fattoressa e con Agnese.
Licenziò questa, accommiatò il guardiano, ritenne Lucia. Il
guardiano accompagnò Agnese alla porta, dandole nuove istru-
zioni, e se n' andò a scrivere la lettera di ragguaglio all' amico
Cristoforo. — Gran cervellino che è questa signora! —
pensava tra sé, per la strada: curiosa davvero! Ma chi la
sa prendere per il suo verso, le fa far ciò che vuole. Il
mio Cristoforo non s'aspetterà certamente ch'io l'abbia ser-
vito così presto e bene. Quel brav'uomo! non e' è rimedio:
bisogna che si prenda sempre qualche impegno : ma lo fa per
bene. Buon per lui questa volta, che ha trovato un amico,
il quale senza tanto strepito, senza tanto apparato, senza
tante faccende, ha condotto l'affare a buon porto, in un bat-
ter d' occhio. Sarà contento quel buon Cristoforo, e s' accor-
gerà che anche noi qui, siam buoni a qualche cosa.
La signora, che, alla presenza d' un provetto cappuccino,
aveva studiati gli atti e le parole, rimasta poi sola con una
contadina inesperta, non pensava più di contenersi; e i suoi
discorsi divennero a poco a poco così strani, che in vece di
riferirli, noi crediam più opportuno di raccontar brevemente
la storia antecedente di questa infelice; quel tanto cioè che
basti a render ragione dell' insolito e del misterioso che ab-
biam veduto in lei, e a far comprendere i motivi della sua
condotta in quello che avvenne dopo.
Era essa l'ultima figlia del principe***, gran gentiluomo
milanese, che poteva contarsi tra i più doviziosi della città.
Ma T alta opinione che aveva del suo titulo gli faceva parer
le sue sostanze appena sufficenti, anzi scarse, a sostenerne
il decoro: e tutto il suo pensiero era di conservarle, almeno
quali erano, unite in perpetuo, per quanto dipendeva da lui.
Quanti figliuoli avesse, la storia non lo dice espressamente;
fa solamente intendere che aveva destinati al chiostro tutti i
cadetti dell' uno e dell' altro sesso, per lasciare intatta la
sostanza al primogenito, destinato a conservar la famiglia, a
procrear cioè de' figliuoli, per tormentarsi a tormentarli nella
stessa maniera La nostra infelice era ancor nascosta nel
ventre della madre, che la sua condizione era già irrevocabil-
mente stabilita. Rimaneva soltanto da decidersi se sarebbe un
monaco o una monaca: decisione per la quale faceva bisogno non
il suo consenso, ma la sua presenza. Quando venne alle luce, il
principe suo padre, volendo darle un nome che risvegliasse
immediatamente 1' idea del chiostro, e che fosse stato portato
da una santa d' alti natali, la chiamò Gertrude. Bambole
vestite da monaca furono i primi balocchi che le si diedero
in mano, poi santini che rappresentavan monache; e que' re-
cali eran sempre accompagnati con gran raccomandazioni di
CAPITOLO IX. 113
tenerli ben di conto, come cosa preziosa, e con queir interro-
gare affermativo: «bello eh?» Quando il principe, o la prin-
cipessa o il principino, che solo de' maschi veniva allevato in
casa, volevano lodar l'aspetto prosperoso della fanciullina,
pareva che non trovasser modo d; esprimer bene la loro idea,
se non con le parole: «che madre badessa!» Nessuno però
le disse mai direttamente: tu devi farti monaca. Era un'idea
sottintesa e toccata incidentemente, in ogni discorso che ri-
guardasse i suoi destini futuri. Se qualche volta la Gertru-
dina trascorreva a qualche atto un po' arrogante e imperio-
so, al che la sua indole la portava molto facilmente, «tu sei
una ragazzina,» le si diceva; «queste maniere non ti con-
vengono : quando sarai madre badessa , allora comanderai a
bacchetta, farai alto e basso.» Qualche altra volta il prin-
cipe, riprendendola di cert' altre maniere troppo libere e
famigliari alle quali essa trascorreva con uguale facilità , «ehi!
ehi!» le diceva; «non è questo il fare d'una par tua: se
vuoi che un giorno ti si porti il rispetto che ti sarà dovuto,
impara fin d'ora a star sopra di te: ricordati che tu devi
essere; in ogni cosa, la prima del monastero: perchè il san-
gue si porta per tutto dove si va.»
Tutte le parole di questo genere stampavano nel cervello
della fanciullina l'idea che già lei doveva esser monaca; ma
quelle che venivan dalla bocca del padre, facevan più effetto
di tutte 1' altre insieme. Il contegno del principe era abitual-
mente quello d'un padrone austero; ma quando si trattava
dello stato futuro de' suoi figli, dal suo volto e da ogni sua
parola traspariva un'immobilità di risoluzione, un'ombrosa
gelosia di comando, che imprimeva il sentimento d' una neces-
sità fatale.
A sei anni, Gertrude fu collocata, per educazione e ancor
più per istradamento alla vocazione impostale, nel. monastero
dove l'abbiamo veduta: e la scelta del luogo non fu senza
disegno. Il buon conduttore delle due donne ha detto che il
padre della signora era il primo in Monza: e, accozzando
questa qualsisia testimonianza con alcune altre indicazioni che
1" anonimo lascia scappare sbadatamente qua e là. noi potrem-
mo anche asserire che fosse il feudatario di quel paese. Co-
munque sia. vi godeva d'una grandissima autorità; e pensò
che lì, meglio che altrove, la sua figlia sarebbe trattata con
quelle distinzioni e con quelle finezze che potesser più allet-
tarla a scegliere quel monastero per sua perpetua dimora.
Kè s'ingannava: la badessa e alcune altre monache faccen-
diere, che avevano, come si suol dire, il mestolo in mano,
esultarono nel vedersi offerto il pegno d' una protezione
tanto utile in ogni occorrenza, tanto gloriosa in ogni momen-
to; accettaron la proposta, con espressioni di riconoscenza,
Manzoni. 8
114 I PROMESSI SPOSI.
non esagerate per quanto fossero forti; e corrisposero piena-
mente all' intenzioni che il principe aveva lasciate trasparire suf
collocamento stabile della figliuola: intenzioni che andavan così
d'accordo con le loro. Gertrude, appena entrata nel mona-
stero, fu chiamata per antonomasia la signorina; posto distinto
a tavola, nel dormitorio; la sua condotta proposta all'altre
per esemplare; chicche e carezze senza fine, e condite con
quella famigliarità un po' rispettosa, che tanto adesca i fan-
ciulli, quando la trovano in coloro che vedon trattare gli altri
fanciulli con uu contegno abituale di superiorità. Non che
tutte le monache fossero congiurate a tirar la poverina nel
laccio: ce n' eran molte delle semplici e lontane da ogni in-
trigo, alle quali il pensiero di sacrificare una figlia a mire
interessate avrebbe fatto ribrezzo ; ma queste , tutte attente
alle loro occupazioni particolari, parte non s' accorgevan bene
di tutti que' maneggi, parte non distinguevano quanto vi fosse
di cattivo, parte s'astenevano dal farvi sopra esame, parte
stavano zitte, per non fare scandoli inutili. Qualcheduna
anche rammentandosi d'essere stata, con simili arti, condot-
ta a quello di cui s' era pentita poi, sentiva compassione del-
la povera innocentina, e si sfogava col farle carezze tenere e
malinconiche: ma questa era ben lontana dal sospettare che
ci fosse sotto mistero; e la faccenda camminava. Sarebbe forse
camminata così fino alla fine, se Gertrude fosse stata la sola
ragazza in quel monastero. Ma, tra le sue compagne d' edu-
cazione, ce n'erano alcune che sapevano d'esser destinate a)
matrimonio. Gertrudina, nudrita nelle idee della sua superio-
rità, parlava magnificamente de' suoi destini futuri di badessa,
di principessa del monastero, voleva a ogni conto esser per
le altre un soggetto d'invidia; e vedeva con maraviglia e con
dispetto, che alcune di quelle non ne sentivano punto. Al-
l'immagini maestose, ma circoscritte e fredde, che può som-
ministrare il primato in un monastero, contrapponevan esse
le immagini varie e luccicanti, di nozze, di pranzi, di conver-
sazioni, di festini, come dicevano allora, di villeggiature, di
vestiti, di carrozze. Queste immagini cagionarono nel cer-
vello di Gertrude quel movimento, quel brulichìo che produr-
rebbe un gran paniere di fiori appena colti, messo davanti a un
alveare. I parenti e l'educatrici avevan coltivata e accresciuta in
lei la vanità naturale, per farle piacere il chiostro; ma quando
questa passione fu stuzzicata da idee tanto più omogenee ad es-
sa, si gettò su quelle con un ardore ben più vivo e più spon-
taneo. Per non restare al di sotto di quelle sue compagne,
e per condiscendere nello stesso tempo al suo nuovo genio,
rispondeva che, alla fin de' conti, nessuno le poteva mettere
il velo in capo senza il suo consenso, che anche lei poteva
maritarsi, abitare un palazzo, godersi il mondo, e meglio di
CAPITOLO 12. 115
tutte loro; che lo poteva, pur che l'avesse voluto, che lo
vorrebbe, che lo voleva; e lo voleva in fatti. L'idea della
necessità del suo consenso, idea che, fino a quel tempo, era
stata come inosservata e rannicchiata in un angolo della sua
mente, si sviluppò allora, e si manifestò, con tutta la sua
importanza. Essa la chiamava ogni momento in aiuto , per
godersi più tranquillamente l' immagini d' un avvenire gra-
dito. Dietro quest' idea però ne compariva sempre infallibil-
mente un'altra: che quel consenso si trattava di negarlo
al principe padre, il quale lo teneva già, o mostrava di te-
nerlo per dato: e, a questa idea, l'animo della figlia era
ben lontano dalla sicurezza che ostentavano le sue parole.
Si paragonava allora con le compagne, eh' erano ben altri-
menti sicure, e provava per esse dolorosamente l'invidia che,
da principio, aveva creduto di far loro provare. Invidian-
dole, le odiava: talvolta l'odio s'esalava in dispetti, in isgar-
batezze, in motti pungenti; talvolta l'uniformità delle incli-
nazioni e delle speranze lo sopiva, e faceva nascere un' in-
trinsichezza apparente e passeggiera. Talvolta, volendo pure
godersi intanto qualche cosa di reale e di presente, si com-
piaceva delle preferenze che le venivano accordate, e faceva
sentire all'altre quella sua superiorità; talvolta, non potendo
più tollerar la solitudine de' suoi timori e de' suoi desideri,
andava, tutta buona, in cerca di quelle, quasi ad implorar
benevolenza, consigli, coraggio. Tra queste deplorabili guer-
ricciole con sé e con gli altri, aveva varcata la puerizia, e
s' inoltrava in quel!' età così critica, nella quale par che entri
nell'animo quasi una potenza misteriosa, che solleva, adorna,
rinvigorisce tutte l' inclinazioni , tutte V idee, e qualche volta
le trasforma, o le rivolge a un corso impreveduto. Ciò che
Gertrude aveva fino allora più distintamente vagheggiato in
que' sogni dell' avvenire , era lo splendore esterno e la pom-
pa: un non so che di molle e d'affettuoso, che da prima
v' era diffuso leggermente e come in nebbia, cominciò allora
a spiegarsi e a primeggiare nelle sue fantasie. S' era fatto,
nella parte più riposta della mente, come uno splendido ri-
tiro: ivi si rifugiava dagli oggetti presenti, ivi accoglieva certi
personaggi stranamente composti di confuse memorie della
puerizia, di quel poco che poteva vedere del mondo esteriore,
di ciò che aveva imparato dai discorsi delle compagne; si
tratteneva con essi, parlava loro, e si rispondeva in loro no-
me; ivi dava ordini, riceveva omaggi d' ogni genere. Di quan-
do in quando, i pensieri della religione venivano a disturbare
quelle feste brillanti e faticose. Ma la religione, come l' avevano
insegnata alla nostra poveretta, e come essai' aveva ricevuta,
non bandiva l'orgoglio, anzi lo santificava e lo proponeva
come un mezzo per ottenere una felicità terrena. Privata co-
8*
116 I PROMESSI SPOSI.
sì della sua essenza non era più la religione, ma una larva
come l' altre. Negl" intervalli in cui questa larva prendeva
il primo posto, e grandeggiava nella fantasia di Gertrude, l' in-
felice, sopraffatta da terrori confusi, e compresa da una con-
fusa idea di doveri, s'immaginava che la sua ripugnanza al
chiostro, e la resistenza all' insinuazioni de' suoi maggiori, nel-
la scelta dello stato, fossero una colpa; e prometteva in cuor
suo d: espiarla, chiudendosi volontariamente nel chiostro.
Era legge che una giovane non potesse venire accettata
monaca, prima d'essere stata esaminata da un ecclesiastico,
chiamato vicario delle monache, o da qualche altro deputato
a ciò, affinchè fosse certo che ci andava di sua libera scelta.
e questo esame non poteva aver luogo, se non un anno dopo
eh' ella avesse esposto a quel vicario il suo desiderio con una
supplica in iscritto. Quelle monache che avevan preso il tri-
sto incarico di far che Gertrude s' obbligasse per sempre, con
la minor possibile cognizione di ciò che faceva, colsero un
de' momenti che abbiam detto, per farle trascrivere e sotto-
scrivere una tal supplica. E a line d' indurla più facilmente
a ciò, non mancaron di dirle e di ripeterle, che finalmente
era una mera formalità, la quale (e questo era vero) non po-
teva avere efficacia, se non da altri atti posteriori, che dipen-
derebbero dalla sua volontà. Con tutto ciò, la supplica non
era forse ancor giunta al suo destino, che Gertrude s' era già
pentita d' averla sottoscritta. Si pentiva poi d' essersi pentita,
passando così i giorni e i mesi in un' incessante vicenda di
sentimenti contrari. Tenne lungo tempo nascosto alle com-
pagne quel passo, ora per timore d' esporre alle contraddizio-
ni una buona risoluzione , ora per vergogna di palesare uno
sproposito. Vinse finalmente il desiderio di sfogar 1' animo,
e d' accattar consiglio e coraggio. C era un' altra legge, che
una giovane non fosse ammessa a quell' esame della voca-
zione, se non dopo aver dimorato almeno un mese fuori del
monastero dove era stata in educazione. Era già scorso V an-
no da che la supplica era stata mandata; e Gertrude fu av-
vertita che tra poco verrebbe levata dal monastero, e condot-
ta nella casa paterna, per rimanervi quel mese, e far tutti ì
passi necessari al compimento dell' opera che aveva di fatto
cominciata. Il principe e il resto della famiglia tenevano tut-
to ciò per certo , come se fosse già avvenuto ; ma la giovine
aveva tutt' altro in testa : in vece di far gli altri passi , pen-
sava alla maniera di tirare indietro il primo. In tali angu-
stie, si risolvette d'aprirsi con una delle sue compagne, la
più franca, e pronta sempre a dar consigli risoluti. Questa
suggerì a Gertrude d'informar con una lettera il padre della
sua nuova risoluzione; giacché non le bastava l'animo di
spiattellargli sul viso un bravo: non voglio. E perchè i pa-
CAPITOLO IX. 117
reri gratuiti, in questo mondo, son molti rari, la consigliera
fece pagar questo a Gertrude, con tante beffe sulla sua dap-
pocaggine. La lettera fu concertata tra quattro o cinque con-
fidenti, scritta di nascosto, e fatta ricapitare per via d'arti-
fizi molto studiati. Gertrude stava con grand" ansietà, aspet-
tando una risposta che non venne mai. Se non che, alcuni
giorni dopo, la badessa la fece venir nella sua cella, e, con
un contegno di mistero, di disgusto e di compassione, le diede
un cenno oscuro d' una gran collera dei principe, e d' un fallo
eh' ella doveva aver commesso, lasciandole però intendere che,
portandosi bene, poteva sperare che tutto sarebbe dimenti-
cato. La giovinetta intese, e non osò domandar più in là.
Venne finalmente il giorno tanto temuto e bramato. Quan-
tunque Gertrude sapesse che andava a un combattimento, pure
1' uscir di monastero , il lasciar quelle mura nelle quali era
stata ott' anni rinchiusa, lo scorrere in carrozza per l'aperta
campagna, il riveder la città, la casa, furon sensazioni piene
d'una gioia tumultuosa. In quanto al combattimento, la po-
veretta, con la direzione di quelle confidenti, aveva già prese
le sue misure, e fatto, coni' ora si direbbe, il suo piano. —
0 mi vorranno forzare, — pensava, — e io starò dura: sarò umi-
le, rispettosa, ma non acconsentirò: non si tratta che di non
dire un altro sì-, e non lo dirò. Ovvero mi prenderanno con le
buone; e io sarò più buona di loro; piangerò, pregherò, li
moverò a compassione- finalmente non pretendo altro che di
non esser sacrificata — Ma, come accade spesso di simili
previdenze, non avvenne né una cosa né 1' altra. I giorni pas-
savano, senza che il padre né altri parlasse della supplica,
né della ritrattazione, senza che le venisse fatta proposta nes-
suna, né con carezze, né con minacce. I parenti eran seri,
tristi, burberi con lei, senza mai dirne il perchè. Si vedeva
solamente che la riguardavano come una rea , come un' inde-
gna: un anatema misterioso pareva che pesasse sopra di lei,
e la segregasse dalla famiglia, lasciandovela soltanto unita
quanto bisognava per farle sentire la sua suggezione. Di ra-
do, e solo a certe ore stabilite, era ammessa alla compa-
gnia de' parenti e del primogenito. Tra loro tre pareva che
regnasse una gran confidenza, la quale rendeva più sensibile
e più doloroso 1' abbandono in cui era lasciata Gertrude. Nes-
suno le rivolgeva il discorso; e quando essa arrischiava timi-
damente qualche parola, che non fosse per cosa necessaria,
o non attaccava, o veniva corrisposta con uno sguardo di-
stratto, o sprezzante, o severo. Che se, non potendo più sof-
frire una così amara e umiliante distinzione, insisteva, e ten-
tava di t'amigliarizzarsi ; se implorava un po' d' amore, si sen-
tiva subito toccare, in maniera indiretta ma chiara, quel tasto
della scelta dello stato; le si faceva copertamente sentire che
118 i PROMESSI SPOSI.
ci era un mezzo di riacquistar P affetto della famiglia- Allora
Gertrude, che non l'avrebbe voluto a quella condizione, era
costretta di tirarsi indietro, di rifiutar quasi i primi segni di
benevolenza che aveva tanto desiderati, di rimettersi da sé
al suo posto di scomunicata; e per di più, vi rimaneva con
uua certa apparenza del torto.
Tali sensazioni d' oggetti presenti facevano un contrasto do-
loroso con quelle ridenti visioni delle quali Gertrude s'era
già tanto occupata, e si occupava tuttavia, nel segreto della
sua mente. Aveva sperato che, nella splendida e frequentata
casa paterna, avrebbe potuto godere almeno qualche saggio
reale delle cose immaginate; ma si trovò del tutto ingannata.
La clausura era stretta e intera, come nel monastero; d'an-
dare a spasso non si parlava neppure; e un coretto che, dal-
la casa, guardava in una chiesa contigua, toglieva anche 1' u-
nica necessità che ci sarebbe stata d' uscire. La compagnia
era più trista, più scarsa, meno variata che nel monastero.
A ogni annunzio d' una visita , Gertrude doveva salire al-
l'ultimo piano, per chiudersi con alcune vecchie donne di
servizio: e lì anche desinava, quando c'era invito. I servi-
tori s'uniformavano, nelle maniere e ne' discorsi, all'esem-
pio e all'intenzioni de' padroni: e Gertrude, che, per sua
inclinazione, avrebbe voluto trattarli con una famigliarità si-
gnorile, e che, nello stato in cui si trovava, avrebbe avuto
di grazia che le facessero qualche dimostrazione d' affetto,
come a una loro pari, e scendeva anche a mendicarne, rima-
neva poi umiliata, e sempre più afflitta di vedersi corrisposta
con una noncuranza manifesta, benché accompagnata da un
leggiero ossequio di formalità. Dovette però accorgersi che
un paggio, ben diverso da coloro, le portava un rispetto, e
sentiva per lei una compassione d' un genere particolare. Il
contegno di quel ragazzotto era ciò che Gertrude aveva fino
allora visto di più somigliante a queir ordine di cose tanto
contemplato nella sua immaginativa, al contegno di quelle sue
creature ideali. A poco a poco si scoprì un non so che di
nuovo nelle maniere della giovinetta: una tranquillità e un' in-
quietudine diversa dalla solita, un fare di chi ha trovato
qualche cosa che gli preme, che vorrebbe guardare ogni mo-
mento , e non lasciar vedere agli altri. Le furon tenuti gli
occhi addosso più che mai: che è che non è, una mattina,
fu sorpresa da una di quelle cameriere, mentre stava piegan-
do alla sfuggita una carta, sulla quale avrebbe fatto meglio a
non iscriver nulla. Dopo un breve tira tira, la carta ri-
mase nelle mani della cameriera, e da queste passò in quelle
del principe.
Il terrore di Gertrude, al rumor de' passi di lui, non si
può descrivere né immaginare; era quel padre, era irritato,
CAPITOLO IX 119
« lei si sentiva colpevole. Ma quando lo vide comparire, con
<[uel cipiglio, con quella carta in mano, avrebbe voluto esser
«ento braccia sotto terra, non che in un chiostro. Le parole
non furon molte, ma terribili: il gastigo intimato subito non
fu che d'esser rinchiusa in quella camera, sotto la guardia
della donna che aveva fatta la scoperta; ma questo non era
che un principio, che un ripiego del momento; si promet-
teva, si lasciava vedere per aria, un altro gastigo oscuro,
indeterminato, e quindi più spaventoso.
Il paggio fu subito sfrattato, com'era naturale; e fu mi-
nacciato anche a lui qualcosa di terribile, se, in qualunque
tempo, avesse osato fiatar nulla dell'avvenuto. Nel fargli
questa intimazione, il principe gli appoggiò due solenni schiaf-
fi, per associare a quell'avventura un ricordo, che togliesse
al ragazzaccio ogni tentazion di vantarsene. Un pretesto
qualunque, per coonestare la licenza data a un paggio, non
era difficile a trovarsi: in quanto alla figlia si disse ch'era
incomodata.
Rimase essa adunque col batticuore, con la vergogna, col
rimorso, col terrore dell'avvenire, e con la sola compagnia
di quella donna odiata da lei, come il testimonio della sua
colpa, e la cagione della sua disgrazia. Costei odiava poi a
vicenda Gertrude, per la quale si trovava ridotta, senza sa-
per per quanto tempo, alla vita noiosa di carceriera, e dive-
nuta per sempre custode d' un segreto pericoloso.
Il primo confuso tumulto di que' sentimenti s' acquietò a
poco a poco; ma tornando essi poi a uno per volta nell'a-
nimo , vi s' ingrandivano , e si fermavano a tormentarlo più
distintamente e a beli' agio. Che poteva mai esser quella pu-
nizione minacciata in enimma? Molte e varie e strane se ne
affacciavano alla fantasia ardente e inesperta di Gertrude.
Quella che pareva più probabile, era di venir ricondotta al
monastero di Monza, di ricomparirvi, non più come la si-
gnorina, ma in forma di colpevole, e di starvi rinchiusa, chi
sa fino a quando! chi sa con quali trattamenti! Ciò che una
tale immaginazione, tutta piena di dolori, aveva forse di più
doloroso per lei, era 1' apprensione della vergogna. Le frasi,
le parole, le virgole di quel foglio sciagurato, passavano e
ripassavano nella sua memoria: le immaginava osservate, pe-
sate da un lettore tanto impreveduto, tanto diverso da quello
a cui eran destinate; si figurava che avesser potuto cader
sotto gli occhi anche della madre o del fratello, o di chi sa
altri: e, al paragon di ciò, tutto il rimanente le pareva quasi
un nulla. L' immagine di colui eh' era stato la prima origine
di tutto lo scandolo, non lasciava di venire spesso anch'essa
ad infestar la povera rinchiusa: e pensate che strana com-
parsa doveva far quel fantasma, tra quegli altri così diversi
120 1 PROMESSI SPOSI.
da lui, seri, freddi, minacciosi. Ma, appunto perchè non po-
teva separarlo da essi, né tornare un momento a quelle fug-
gitive compiacenze, senza che subito non le s'affacciassero i
dolori presenti che n' erano la conseguenza, cominciò a poco
a poco a tornarci più di rado, a rispingerne la rimembran-
za, a divezzarsene. Né più a lungo, o più volentieri, si fer-
mava in quelle liete e brillanti fantasie d'una volta: eran
troppo opposte alle circostanze reali, a ogni probabilità del-
l' avvenire. Il solo castello nel quale Gertrude potesse im-
maginare un rifugio tranquillo e onorevole, e che non fosse
in aria, era il monastero, quando si risolvesse d'entrarci
per sempre. Una tal risoluzione (non poteva dubitarne) avreb-
be accomodato ogni cosa, saldato ogni debito, e cambiata in
un attimo la sua situazione. Contro questo proposito insor-
gevano, è vero, i pensieri di tutta la sua vita: ma i tempi
eran mutati; e, nell'abisso in cui Gertrude era caduta, e al
paragone di ciò che poteva temere in certi momenti, la con-
dizione di monaca festeggiata, ossequiata, ubbidita, le pareva
uno zuccherino. Due sentimenti di ben diverso genere con-
tribuivan pure a intervalli a scemare quella sua antica avver-
sione: talvolta il rimorso del fallo, e una tenerezza fantastica
di divozione ; talvolta 1' orgoglio amareggiato e irritato dalle
maniere della carceriera, la quale (spesso, a dire il vero,
provocata da lei) si vendicava, ora facendole paura di quel mi-
nacciato gastigo, ora svergognandola del fallo. Quando poi
voleva mostrarsi benigna, prendeva un tono di protezione, più
odioso ancora dell' insulto. In tali diverse occasioni , il desi-
derio che Gertrude sentiva d' uscir dall' unghie di colei , e di
comparirle in uno stato al di sopra della sua collera e della
sua pietà, questo desiderio abituale diveniva tanto vivo e
pungente, da far parere amabile ogni cosa che potesse con-
durre ad appagarlo.
In capo a quattro o cinque lunghi giorni di prigionia, una
mattina, Gertrude stuccata e invelenita all'eccesso, per un
di que' dispetti della sua guardiana , andò a cacciarsi in un
angolo della camera, e lì, con la faccia nascosta tra le mani
stette qualche tempo a divorar la sua rabbia. Sentì allora
un bisogno prepotente di vedere altri visi, di sentire altre
parole, d'esser trattata diversamente. Pensò al padre, alla
famiglia: il pensiero se ne arretrava spaventato. Ma le venne
in mente che dipendeva da lei di trovare in loro degli ami-
ci; e provò una gioia improvvisa. Dietro questa, una confu-
sione e un pentimento straordinario del suo fallo, e un ugual
desiderio d' espiarlo. 2son già che la sua volontà si fermasse
in quel proponimento , ma giammai non e' era entrata con
tanto ardore. S'alzò di lì, andò a un tavolino, riprese quel-
la penna fatale, e scrisse al padre una lettera piena d' entu-
CAPITOLO a. 121
siasmo e d'abbattimento, d'afflizione e di speranza, implo-
rando il perdono, e mostrandosi indeterminatamente pronta a
tutto ciò che potesse piacere a chi doveva accorciarlo.
CAPITOLO X.
Vi son de' momenti in cui l' animo particolarmente de'
giovani, è disposto in maniera che ogni poco d'istanza basta
a ottenerne ogni cosa che abbia un* apparenza di bene e di
sacrifizio: come un fiore appena sbocciato, s'abbandona mol-
lemente sul suo fragile stelo, pronto a concedere le sue fra-
granze alla prim' aria che gli aliti punto d' intorno. Questi
momenti, che si dovrebbero dagli altri ammirare con timido
rispetto, son quelli appunto che l'astuzia interessata spia at-
tentamente e coglie di volo, per legare una volontà che non
si guarda.
Al legger quella lettera, il principe * M * vide subito le
spiraglio aperto alle sue antiche e costanti mire Mandò a
dire a Gertrude che venisse da lui; e aspettandola, si dispose
a batter il ferro, mentr' era caldo. Gertrude comparve, e,
senza alzar gli occhi in viso al padre, gli si buttò in ginoc-
chioni davanti, ed ebbe appena fiato di dire: «perdono!»
Egli le fece cenno che s'alzasse; ma, con una voce poco atta
a rincorare, le rispose che il perdono non bastava desiderarlo
ne chiederlo; ch'era cosa troppo agevole e troppo naturale a
chiunque sia trovato in colpa, e tema la punizione; che in
somma bisognava meritarlo. Gertrude domandò, sommessa-
mente e tremando, che cosa dovesse fare. Il principe (non
ci regge il cuore di dargli in questo momento il titolo di
padre) non rispose direttamente, ma cominciò a parlare a
lungo del fallo di Gertrude: e quelle parole frizzavano sul-
l'animo della poveretta, come lo scorrere d'una mano ru-
vida sur una ferita. Continuò dicendo che, quand1 anche ....
caso mai .... che avesse avuto prima qualche intenzione di
collocarla nel secolo, lei stessa ci aveva messo ora un osta-
colo insuperabile; giacché a un cavalier d'onore, com'era
lui, non sarebbe mai bastato l'animo di regalare a un ga-
lantuomo una signorina che aveva dato un tal saggio di sé.
La misera ascoltatrice era annichilata: allora il principe, rad-
dolcendo a grado a grado la voce e le parole , proseguì di-
cendo che però a ogni fallo e' era rimedio e misericordia-
che il suo era di quelli per i quali il rimedio è più chiara;
mente indicato: ch'essa doveva vedere, in questo tristo ac-
cidente, come un avviso che la vita del secolo era troppo
piena di pericolo per lei ....
122 1 PROMESSI SPOSI.
«Ah sì!» esclamò Gertrude, scossa dal timore, preparata
dalla vergogna, e mossa in quel punto da una tenerezza istan-
tanea.
«Ah! lo capite anche voi,» riprese incontanente il prin-
cipe. «Ebbene, non si parli più del passato: tutto è cancel-
lato. Avete preso il solo partito onorevole, conveniente, che
vi rimanesse ; ma perchè 1' avete preso di buona voglia, e con
buona maniera, tocca a me a farvelo riuscir gradito in tutto
e per tutto; tocca a me a farne tornare tutto il vantaggio e
tutto il merito sopra di voi. Ne prendo io la cura.» Così
dicendo, scosse un campanello che stava sul tavolino, e al ser-
vitore che entrò, disse: «la principessa e il principino subi-
to.» E seguitò poi con Gertrude: «voglio metterli subito a
parte della mia consolazione; voglio che tutti comincin subito
a trattarvi come si conviene. Avete sperimentato in parte il
padre severo; ma da qui innanzi proverete tutto il padre
amoroso. »
A queste parole, Gertrude rimaneva come sbalordita. Ora
ripensava come mai quel sì che le era scappato, avesse po-
tuto significar tanto, ora cercava se ci fosse maniera di ri-
prenderlo , di ristringerne il senso ; ma la persuasione del
principe pareva così intera, la sua gioia così gelosa, la be-
nignità così condizionata, che Gertrude non osò proferire una
parola che potesse turbarle menomamente.
Dopo pochi momenti, vennero i due chiamati, e vedendo
lì Gertrude, la guardarono in viso, incerti e maravigliati. Ma
il principe, con un contegno lieto e amorevole, che ne pre-
scriveva loro un somigliante, «ecco,» disse, «la pecora smar-
rita; e sia questa 1' ultima parola che richiami triste memo-
rie. Ecco la consolazione della famiglia. Gertrude non ha
più bisogno di consigli; ciò che noi desideravamo per suo
bene, 1' ha voluto lei spontaneamente. È risoluta, m' ha
fatto intendere che è risoluta . . . .» A questo passo, alzò
essa verso il padre uno sguardo tra atterrito e supplichevole,
come per chiedergli che sospendesse, ma egli proseguì fran-
camente: «che è risoluta di prendere il velo.»
«Brava! bene!» esclamarono, a una voce, la madre e il
figlio, e l'uno dopo l'altra abbracciaron Gertrude; la quale
ricevette queste accoglienze con lacrime, che furono interpre-
tate per lacrime di consolazione. Allora il principe si diffuse
a spiegar ciò che farebbe per render lieta e splendida la
sorte della figlia. Parlò delle distinzioni di cui goderebbe
nel monastero e nel paese; che, là sarebbe come una princi-
pessa, come la rappresentante della famiglia; che, appena
l'età l'avrebbe permesso, sarebbe innalzata alla prima di-
gnità; e, intanto, non sarebbe soggetta che di nome. La
principessa e il principino rinnovavano, ogni momento, le
CAPITOLO X. 123
-congratulazioni e gli applausi. Gertrude era come dominata
da un sogno.
«Converrà poi fissare il giorno, per andare a Monza, a
far la richiesta alla badessa,» disse il principe. «Come sarà
contenta! Vi so dire che tutto il monastero saprà valutar
1' onore che Gertrude gli fa. Anzi .... perchè non ci andia-
mo oggi? Gertrude prenderà volentieri un po' d'aria.»
«Andiamo pure,» disse la principessa.
«Vo a dar gli ordini,» disse il principino.
«Ma ... .» proferì sommessamente Gertrude.
«Piano, piano,» riprese il principe: «lasciam decidere
a lei: forse oggi non si sente abbastanza disposta, e le pia-
cerebbe più aspettar fino a domani. Dite: volete che andia-
mo oggi o domani?»
«Domani,» rispose, con voce fiacca Gertrude, alla quale
pareva ancora di far qualche cosa, prendendo un po' di
tempo.
«Domani,» disse solennemente il principe: «ha stabilito
che si vada domar.i. Intanto io vo dal vicario delle monache,
a fissare un giorno per l'esame.» Detto fatto, il principe
uscì, e andò veramente (che non fu piccola degnazione) dal
detto vicario; e concertarono che verrebbe di lì a due giorni.
In tutto il resto di quella giornata, Gertrude non ebbe un
minuto di bene. Avrebbe desiderato riposar l' animo da
tante commozioni, lasciar, per dir così, chiarire i suoi pen-
sieri, render conto a sé stessa di ciò che aveva fatto, di ciò
che le rimaneva da fare, sapere ciò che volesse, rallentare un
momento quella macchina che, appena avviata, andava così
precipitosamente; ma non ci fu verso. L'occupazioni si suc-
cedevano senza interruzione, s' incastravano 1' una con 1' altra.
Subito dopo partito il principe, fu condotta nel gabinetto della
principessa, per essere, sotto la sua direzione, pettinata e ri-
vestita della sua propria cameriera. Non era ancor terminato
di dar l'ultima mano, che furon avvertite ch'era in tavola.
Gertrude passò in mezzo agi' inchini della servitù, che accen-
nava di congratularsi per la guarigione, e trovò alcuni parenti
più prossimi, eh' erano stati invitati in fretta, per farle onore,
-e per rallegrarsi con lei de' due felici avvenimenti , la ricu-
perata salute, e la spiegata vocazione.
La sposina, (così si chiamavau le giovani monacande, e
Gertrude, al suo apparire, fu da tutti salutata con quel nome),
la sposina ebbe da dire e da fare a rispondere a' compli-
menti che le fioccavan da tutte le parti. Sentiva bene che
ognuna delle sue risposte era come un' accettazione e una
conferma; ma come rispondere diversamente? Poco dopo al-
zati da tavola, venne l'ora della trottata. Gertrude entrò in
carrozza con la madre, e con due zii eh' erano stati al pran-
124 I PROMESSI SPOSI.
zo. Dopo un solito giro, si riuscì alla strada Marina, che
allora attraversava lo spazio occupato ora dal giardin pubbli-
co, ed era il luogo dove i signori venivano in carrozza a ri-
crearsi delle fatiche della giornata. Gli -zii parlarono anche
a Gertrude, come portava la convenienza in quel giorno: e
uno di loro, il qual pareva che, più dell'altro, conoscesse
ogni persona, ogni carrozza, ogni livrea, e aveva ogni momento
qualcosa da dire del signor tale e della signora tal altra, si
voltò a lei tutt' a un tratto, e le disse: «ah furbetta! voi date
un calcio a tutte queste corbellerie; siete una dirittona voi;
piantate negl'impicci noi poveri mondani, vi ritirate a fare
una vita beata, e andate in paradiso in carrozza.»
Sul tardi, si tornò a casa ; e i servitori, scendendo in fret-
ta con le torce, avvertirono che molte visite stavano aspettan-
do. La voce era corsa; e i parenti e gli amici venivano a
fare il loro dovere. S' entrò nella sala della conversazione.
La sposina ne fu P idolo , il trastullo, la vittima. Ognuno la.
voleva per sé: chi si faceva prometter dolci, chi prometteva
visite, chi parlava della madre tale sua parente, chi della ma-
dre tal altra sua conoscente, chi lodava il cielo di Monza, chi
discorreva, con gran sapore, della gran figura ch'essa avreb-
be fatta là. Altri, che non avevan potuto ancora avvicinarsi
a Gertrude così assediata, stavano spiando l'occasione di
farsi innanzi, e sentivano un certo rimorso, fin che non aves-
sero fatto il loro dovere. A poco a poco, la compagnia s' an-
dò dileguando: tutti se n'andarono senza rimorso, e Gertrude
rimase sola co' genitori e il fratello.
«Finalmente,» disse il principe, «ho avuto la consola-
zione di veder mia figlia trattata da par sua. Bisogna però-
confessare che anche lei s'è portata benone, e ha fatto ve-
dere che non sarà impicciata a far la prima figura, e a so-
stenere il decoro della famiglia.»
Si cenò in fretta, per ritirarsi subito, ed esser pronti pre-
sto la mattina seguente.
Gertrude contristata, indispettita, e nello stesso tempo, un
po' gonfiata da tutti que' complimenti, si rammentò in quel
punto ciò che aveva patito dalla sua carceriera; e, vedendo
il padre così disposto a compiacerla in tutto, fuor che in una
cosa, volle approfittare dell' auge in cui si trovava, per acquie-
tare almeno una delle passioni che la tormentavano. Mostrò
quindi una gran ripugnanza a trovarsi con colei, lagnandosi
fortemente delle sue maniere.
«Come!» disse il principe: «v'ha mancato di rispetta
colei! Domani, domani, le laverò il capo come va. Lasciate
fare a me, che le farò conoscere chi è lei, e chi siete voi.
E a ogni modo, una figlia della quale io son contento, non
deve vedersi intorno una persona che le dispiaccia.» Così
CAPITOLO X. 125
•detto, fece chiamare un'altra donna, e le ordinò di servir
Gertrude; la quale intanto masticando e assaporando la sod-
disfazione che aveva ricevuta, si stupiva di trovarci così poco
sugo, in paragone del desiderio che n'aveva avuto. Ciò che,
anche suo malgrado, s'impossessava di tutto il suo animo,
era il sentimento de' gran progressi che aveva fatti, in quella
giornata, sulla strada del chiostro, il pensiero che a ritirar-
sene ora ci vorrebbe molta più forza e risolutezza di quella
che sarebbe bastata pochi giorni prima, e che pure non s' era
sentita d' avere.
La donna che andò ad accompagnarla in camera, era una
■vecchia di casa, stata già governante del principino, che ave-
va ricevuto appena uscito dalle fasce, e tirato su fino all' ado-
lescenza, e nel quale aveva riposte tutte le sue compiacenze,
le sue speranze, la sua gloria. Era essa contenta della de-
cisione fatta in quel giorno, come d'una sua propria fortuna;
e Gertrude per ultimo divertimento, dovette succiarsi le con-
gratulazioni, le lodi, i consigli della vecchia, e sentir parlare
di certe sue zie e prozie, le quali s" eran trovate ben contente
d'esser monache, perchè, essendo di quella casa, avevan
sempre goduto i primi onori, avevan sempre saputo tenere
uno zampino di fuori, e, dal loro parlatorio, avevano ottenuto
cose che le più gran dame, nelle loro sale, non e' eran po-
tute arrivare. Le parlò delle visite che avrebbe ricevute: un
giorno poi, verrebbe il signor principino con la sua sposa, la
quale doveva esser certamente una gran signorona ; e allora,
non solo il monastero, ma tutto il paese sarebbe in moto. La
vecchia aveva parlato mentre spogliava Gertrude, quando Ger-
trude era a letto; parlava ancora, che Gertrude dormiva. La
giovinezza e la fatica erano state più forti de' pensieri. Il
sonno fu affannoso, torbido, pieno di sogni penosi, ma non fu
rotto che dalla voce strillante della vecchia, che venne a sve-
gliarla, perchè si preparasse per la gita di Monza.
"Andiamo, andiamo, signora sposina: è giorno fatto; e
prima che sia vestita e pettinata, ci vorrà un'ora almeno.
La signora principessa si sta vestendo; e l'hanno svegliata
quatti-' ore prima del solito. Il signor principino è già sceso
alle scuderie, poi è tornato su, ed è ali ordine per partire
quando si sia. Vispo come una lepre, quel diavoletto; ma!
è stato così fin da bambino; e io posso dirlo, che l'ho por-
tato in collo. Ma quand' è pronto, non bisogna farlo aspet-
tare, perchè, sebbene sia della miglior pasta del mondo, allora
s'impazientisce e strepita. Poveretto! bisogna compatirlo: è
il suo naturale; e poi questa volta avrebbe anche un po' di
ragione, perchè s'incomoda per lei Guai chi lo tocca in
que' momenti! non ha riguardo per nessuno, fuorché per il
signor principe. Ma, un giorno, il signor principe, sarà lui;
126 I PBOMESSI SPOSI.
più tardi che sia possibile, però. Lesta, lesta, signorina?
Perchè mi guarda così incantata? A quest'ora dovrebbe
esser fuor della cuccia.»
Air immagine del principino impaziente, tutti gli altri pen-
sieri che s' erano affollati alla mente risvegliata di Gertrude,
si levaron subito, come uno stormo di passere air apparir del
nibbio. Ubbidì, si vestì ìd fretta, si lasciò pettinare, e com-
parve nella sala, dove i genitori e il fratello eran radunati.
Fu fatta sedere sur una sedia a braccioli, e le fu portata una
chicchera di cioccolata: il che a que' tempi, era quel che già
presso i Romani il dare le veste virili.
Quando vennero a avvertir ch'era attaccato, il principe
tirò la figlia in disparte, e le disse: «orsù, Gertrude, ieri vi
siete fatta onore: oggi dovete superar voi medesima. Si tratta
di fare una comparsa solenne nel monastero e nel paese dove
siete destinata a far la prima figura. V aspettano .... »
È inutile dire che il principe aveva spedito un avviso alla ba-
dessa, il giorno avanti. «T'aspettano, e tutti gli occhi saranno
sopra di voi. Dignità e disinvoltura. La badessa vi doman-
derà cosa volete: è una formalità. Potete rispondere che chie-
dete d' essere ammessa a vestir l' abito in quel monastero,
dove siete stata educata così amorevolmente, dove avete rice-
vute tante finezze: che è la pura verità. Dite quelle poche
parole, con un fare sciolto: che non s'avesse a dire che
v'hanno imboccata, e che non sapete parlare da voi. Quelle
buone madri non sanno nulla dell'accaduto: è un segreto che
deve restar sepolto nella famiglia; e perciò non fate una fac-
cia contrita e dubbiosa, che potesse dar qualche sospetto.
Fate vedere di che sangue uscite: manierosa, modesta; ma
ricordatevi che, in quel luogo, fuor della famiglia, ci sarà
nessuno sopra di voi.»
Senza aspettar risposta, il principe si mossp; Gertrude, la
principessa e il principino lo seguirono; scesero tutti le scale,
e montarono in carrozza. GÌ' impicci e le noie del mondo, e
la vita beata del chiostro, principalmente per le giovani di
sangue nobilissimo, furono il tema della conversazione, du-
rante il tragitto. Sul finir della strada, il principe rinnovò
1" istruzioni alla figlia, e le ripetè più volte la formola della
risposta. All' entrare in Monza, Gertrude si sentì stringere il
cuore; ma la sua attenzione fu attirata per un istante da non
so quali signori che, fatta fermar la carrozza, recitarono non
so qual complimento. Piipreso il cammino, s'andò quasi di
passo al monastero, tra gli sguardi de' curiosi, che accorre-
vano da tutte le parti sulla strada. Al fermarsi della carroz-
za, davanti a quelle mura, davanti a quella porta, il cuore si
strinse ancor più a Gertrude. Si smontò tra due ale di po-
polo, che i servitori facevano stare indietro. Tutti quegli oc-
CAPITOLO X. 127
chi addosso alla poveretta P obbligavano a studiar continua-
mente il suo contegno : ma più di tutti quelli insieme, la te-
nevano in suggezione i due del padre, a' quali essa, quantun-
que ne avesse così gran paura, non poteva lasciar di rivol-
gere i suoi, ogni momento. E quegli occhi governavano le
sue mosse e il suo volto, come per mezzo di redini invisibili.
Attraversato il primo cortile, si entrò in un altro, e lì si vide
la porta del chiostro interno, spalancata e tutta occupata da
monache. Nella prima fila, la badessa circondata da anziane;
dietro altre monache alla rinfusa, alcune in punta di piedi;
in ultimo le converse ritte sopra panchetti. Si vedevan pure
qua e là luccicare a mezz' aria alcuni occhietti, spuntar qual-
che visino tra le tonache: eran le più destre, e le più corag-
giose tra l'educande, che, ficcandosi e penetrando tra monaca
e monaca, eran riuscite a farsi un po' di pertugio, per vedere
anch' esse qualche cosa. Da quella calca uscivano acclama-
zioni; si vedevan molte braccia dimenarsi, iu segno d'acco-
glienza e di gioia. Giunsero alla porta; Gertrude si trovò a
viso a viso con la madre badessa. Dopo i primi complimenti,
questa, con una maniera tra il giulivo e il solenne, le doman-
dò cosa desiderasse in quel luogo, dove non e' era chi le po-
tesse negar nulla.
«Son qui ..'..» cominciò Gertrude; ma, al punto di pro-
ferir le parole che dovevano decider quasi irrevocabilmente
del suo destino, esitò un momento, e rimase con gli occhi
fissi sulla folla che le stava davanti. Vide, in quel momen-
to , una di quelle sue note compagne , che la guardava con
un'aria di compassione e di malizia insieme, e pareva che
dicesse: ah! la c'è cascata la brava. Quella vista risveglian-
do più vivi nell'animo suo tutti gli antichi sentimenti, le re-
stituì anche un po' di quel poco antico coraggio : e già stava
cercando una risposta qualunque diversa da quella che le
era stata dettata; quando, alzato lo sguardo alla faccia del
padre, quasi per esperimentar le sue forze, scorse su quella
un'inquietudine così cupa, un impazienza così minaccevole,
che, risoluta per paura, con la stessa prontezza che avrebbe
preso la fuga dinanzi un oggetto terribile, proseguì : « son qui
a chiedere d' esser ammessa a vestir P abito religioso , in
questo monastero, dove sono stata allevata così amorevol-
mente.» La badessa rispose subito, che le dispiaceva molto,
in una tale occasione, che le regole non le permettessero di
dare immediatamente una risposta, la quale doveva venire
dai voti comuni delle suore, e alla quale doveva precedere
la licenza de' superiori. Che però Gertrude, conoscendo i
sentimenti che s' avevan per lei in quel luogo, poteva pre-
veder con certezza qual sarebbe questa risposta; e che in-
tanto nessuna regola proibiva alla badessa e alle suore di
128 1 PROMESSI SPOSI.
manifestare la consolazione che sentivano di quella richiesta.
S' alzò allora un frastono confuso di congratulazioni e d' ac-
clamazioni. Vennero subito gran guantiere colme di dolci,
che furon presentati, prima alla sposina, e dopo ai parenti.
Mentre alcune monache facevano a rubarsela, e altre com-
plimentavan la madre, altre il principino, la badessa fece
pregare il principe che volesse venire alla grata del parla-
torio, dove l'attendeva. Era accompagnata da due anziane;
e quando lo vide comparire, «signor principe,» disse: «per
ubbidire alle regole .... per adempire una formalità indi-
spensabile, sebbene in questo caso .... pure devo dirlo ....
che, ogni volta che una figlia chiede d'essere ammessa a ve-
stir 1' abito .... la superiora, quale io sono indegnamente . . .
è obbligata d' avvertire i genitori .... che se, per caso ....
forzassero la volontà della figlia, incorrerebbero nella scomu-
nica. Mi scuserà . . , .»
«Benissimo, benissimo, reverenda madre. Lodo la sua
esattezza: è troppo giusto .... Ma lei non può dubita-
re >
«Oh! pensi, signor principe, .... ho parlato per obbligo
preciso, .... del resto . . . .»
«Certo, certo, madre badessa.»
Barattate queste parole, i due interlocutori s'inchinarono
vicendevolmente, e si separarono, come se a tutt' e due pe-
sasse di rimaner lì testa testa; e andarono a riunirsi ciascuno
alla sua compagnia, l'uno fuori, l'altra dentro la soglia
claustrale.
«Oh via,» disse il principe: «Gertrude potrà presto go-
dersi a suo beli' agio la compagnia di queste madri. Per ora.
le abbiamo incomodate abbastanza.» Così detto, fece un in-
chino; la famiglia si mosse con lui: si rinnovarono i compli-
menti, e si partì.
Gertrude, nel tornare, non aveva troppo voglia di discor-
rere. Spaventata del passo che aveva fatto, vergognosa della
sua dappocaggine, indispettita contro gli altri e contro sé
stessa, faceva tristamente il conto dell'occasioni, che le ri-
manevano ancora di dir di no; e prometteva debolmente e
confusamente a sé stessa che, in questa, o in quella, o in
quell'altra, sarebbe più destra e più forte. Con tutti questi
pensieri non le era però cessato affatto il terrore di quel ci-
piglio del padre; talché, quando, con un'occhiata datagli alla
sfuggita, potè chiarirsi che sul volto di lui non c'era più al-
cun vestigio di collera, quando anzi vide che si mostrava sod-
disfattissimo di lei, le parve una bella cosa, e fu per un istan-
te, tutta contenta.
Appena arrivati, bisognò rivestirsi e rilisciarsi; poi il desi-
CAPITOLO X. 129
nare, poi alcune visite, poi la trottata, poi la conversazione,
poi la cena. Sulla fine di questa, il principe mise in campo
un altro affare, la scelta della madrina. Così si chiamava
una dama, la quale, pregata da' genitori, diventava custode
e scorta della giovane monacanda, nel tempo tra la richiesta
e l'entratura nel monastero; tempo che veniva speso in visi-
tar le chiese, i palazzi pubblici, le conversazioni, le ville, i
santuari: tutte le cose insomma più notabili della città e
de' contorni; affinchè le giovani, prima di proferire un voto
irrevocabile, vedessero bene a cosa davano un calcio, e Bi-
sognerà pensare a una madrina,» disse il principe: «perchè
domani verrà il vicario delle monache per la formalità del-
l'esame, e subito dopo, Gertrude verrà proposta in capitolo,
per esser accettata dalle madri.» Xel dir questo, s' era vol-
tato verso la principessa; e questa credendo che fosse un in-
vito a proporre, cominciava: «ci sarebbe » Ma il prin-
cipe interruppe: «Xo, no, signora principessa: la madrina
deve prima di tutto piacere alla sposina; e benché l'uso
universale dia la scelta ai parenti, pure Gertrude ha tanto
giudizio, tanta assennatezza, che merita bene che si faccia
un' eccezione per lei. » E qui, voltandosi a Gertrude, in atto
di chi annunzia una grazia singolare, continuò : «ognuna delle
dame che si son trovate questa sera alla conversazione, ha
quel che si richiede per esser madrina d' una figlia della no-
stra casa; non ce n' è nessuna, crederei, che non sia per te-
nersi onorata della preferenza: scegliete voi.»
Gertrude vedeva bene che far questa scelta era dare un
nuovo consenso; ma la proposta veniva fatta con tanto ap-
parato, che il rifiuto, per quanto fosse umile, poteva parer
disprezzo, o almeno capriccio e leziosaggine. Fece dunque
anche quel passo; e nominò la dama che, in quella sera, le era
andata più a genio: quella cioè che le aveva fatto più carez-
ze, che l'aveva più lodata, che l'aveva trattata con quelle
maniere famigliari, affettuose e premurose, che, ne' primi mo-
menti d' una conoscenza, contraffanno un' antica amicizia
<t Ottima scelta.» disse il principe, che desiderava e aspettava
appunto quella. Fosse arte o caso, era avvenuto come quando
il giocator di bussolotti facendovi scorrere davanti agli occni
le carte d'un mazzo, vi dice che ne pensiate una, e lui poi
ve la indovinerà; ma le ha fatte scorrere in maniera che ne
vediate una sola. Quella dama era stata tanto intorno a
Gertrude tutta la sera, l'aveva tanto occupata di sé, che a
questa sarebbe bisognato uno sforzo di fantasia per pensarne
un'altra. Tante premure poi non eran senza motivo : la dama
aveva, da molto tempo, messo gli occhi addosso al principino,
per farlo suo genero: quindi riguardava le cose di quella casa
come sue proprie; ed era ben naturale che s' interessasse per
Manzoni. 9
130 I PPwOMESSI SPOSI.
quella cara Gertrude , niente meno de' suoi parenti più
prossimi.
Il giorno dopo, Gertrude si svegliò col pensiero dell' esa-
minatore che doveva venire ; e mentre stava ruminando se po-
tesse cogliere quell' occasione così decisiva, per tornare in-
dietro, e in qual maniera, il principe la fece chiamare. « Orsù,
figliuola,» le disse: «finora vi siete portata egregiamente:
oggi si tratta di coronar V opera. Tutto quel che s' è fatto
finora, s'è fatto di vostro consenso. Se in questo tempo vi
fosse nato qualche dubbio, qualche pentimentuccio, grilli di
gioventù, avreste dovuto spiegarvi; ma al punto a cui sono
ora le cose, non è più tempo di far ragazzate. Quell' uomo
dabbene che deve venire stamattina, vi farà cento domande
sulla vostra vocazione: e se vi fate monaca di vostra volontà,
e il perchè e il per come, e che so io? Se voi titubate nel
rispondere, vi terrà sulla corda chi sa quanto. Sarebbe
un'uggia, un tormento per voi; ma ne potrebbe anche venire
un altro guaio più serio. Dopo tutte le dimostrazioni pubbliche
che si son fatte, ogni più piccola esitazione che si vedesse in
voi, metterebbe a repentaglio il mio onore, potrebbe far cre-
dere eh' io avessi presa una vostra leggerezza per una ferma
risoluzione, che avessi precipitata la cosa, che avessi che
so io? In questo caso, mi troverei nella necessità di sce-
gliere tra due partiti dolorosi: o lasciar che il mondo formi
un tristo concetto della mia condotta partito che non può
stare assolutamente con ciò che devo a me stesso. 0 svelare
il vero motivo della vostra risoluzione e . . . . » Ma qui, ve-
dendo che Gertrude era diventata scarlatta, che le si gonfia-
van gli occhi, e il viso si contraeva, come le foglie d'un fiore
neir afa che precede la burrasca, troncò quel discorso, e, con
aria serena, riprese: «via, via, tutto dipende da voi, dal vo-
stro giudizio. So che n' avete molto, e non siete ragazza da
guastar sulla fine una cosa fatta bene ; ma io doveva preve-
der tutti i casi. Xon se ne parli più; e restiam d' accordo
che voi risponderete con franchezza, in maniera di non far
nascer dubbi nella testa di quell'uomo dabbene. Così anche
voi ne sarete fuori più presto.» E qui, dopo aver suggerita
qualche risposta all' interrogazioni più probabili, entrò nel so-
lito discorso delle dolcezze e de' godimenti eh' eran preparati
a Gertrude nel monastero; e la trattenne in quello, fin che
venne un servitore ad annunziare il vicario. Il principe rin-
novò in fretta gli avvertimenti più importanti, e lasciò la
figlia sola con lui, com' era prescritto.
L' uomo dabbene veniva con un po' d' opinione già fatta
che Gertrude avesse una gran vocazione al chiostro; perchè
così gli aveva detto il principe, quando era stato a invitarlo.
È vero che il buon prete, il quale sapeva che la diffidenza-
CAPITOLO X. 131
era una delle virtù più necessarie nel suo uffizio, aveva per
massima d'andar adagio nel credere a simili proteste, e di
stare in guardia contro le preoccupazioni; ma ben di rado
avviene che le parole affermative e sicure d' una persona
autorevole, in qualsivoglia genere, non tingano del loro colore
la mente di chi le ascolta.
Dopo i primi complimenti, « signorina, o le disse, ciò vengo
a far la parte del diavolo; vengo a mettere in dubbio ciò
che, nella sua supplica, lei ha dato per certo; vengo a met-
terle davanti agli occhi le difficoltà, e ad accertarmi se le ha
ben considerate. Si contenti eh1 io le faccia qualche interro-
gazione.»
«Dica pure,» rispose Gertrude.
Il buon prete cominciò allora a interrogarla, nella forma
prescritta dalle regole, e Sente lei in cuor suo una libera,
spontanea risoluzione di farsi monaca? Non sono state ado-
perate minacce, o lusinghe? Non s'è fatto uso di nessuna
autorità, per indurla a questo? Parli senza riguardi, e con
sincerità, a un uomo il cui dovere è di conoscere la sua vera
volontà, per impedire che non le venga usata violenza in nes-
sun modo.
La vera risposta a una tale domanda s' affacciò subito
alla mente di Gertrude, con un' evidenza terribile. Per dare
quella risposta bisognava venire a una spiegazione, dire di
che era stata minacciata, raccontare una storia .... L' in-
felice rifuggì spaventata da questa idea; cercò in fretta un'
altra risposta; ne trovò una sola che potesse liberarla presto
e sicuramente da quel supplizio, la più contraria al vero.
«Mi fo monaca,» disse nascondendo il suo turbamento, «mi
fo monaca, di mio genio, liberamente.»
«Da quanto tempo le è nato codesto pensiero?» domandò
ancora il buon prete.
«L'ho sempre avuto,» rispose Gertrude, divenuta, dopo
quel primo passo, più franca a mentire contro sé stessa.
«Ma quale è il motivo principale che la induce a farsi
monaca?»
Il buon prete non sapeva che terribile tasto toccasse; e
Gertrude si fece una gran forza per non lasciar trasparire
sul viso 1' effetto che quelle parole le producevano nell' animo.
«Il motivo,» disse, «è di servire a Dio e di fuggire i pericoli
del mondo, »
«Isoii sarebbe mai qualche disgusto? qualche .... mi
scusi .... capriccio? Alle volte, una cagione momentanea
può fare un' impressione che par che deva durar sempre;
e quando poi la cagione cessa, e 1' animo si muta, al-
lora . . . .»
132 I PROMESSI SPOSI.
No. oo,« rispose precipitosamente Gertrude; da cagione
è quella che le ho detto.»
Il vicario, più per adempire interamente il suo obbligo,
che per la persuasione che ce ne fosse bisogno, insistette eoa
le domande; ma Gertrude era determinata d'ingannarlo.
Oltre il ribrezzo che le cagionava il pensiero di render con-
sapevole della sua debolezza quel grave e dabben prete, che
pareva così lontano dal sospettar tal cosa di lei; la poveretta
pensava poi anche eh' egli poteva bene impedire che si fa-
cesse monaca; ma lì finiva la sua autorità sopra di lei, e la
sua protezione. Partito che fosse, essa rimarrebbe sola col
principe. E qualunque cosa avesse poi a patire in quella
casa, il buon prete non n'avrebbe saputo nulla, o sapendolo,
con tutta la sua buona intenzione, non avrebbe potuto far al-
tro che aver compassione di lei, quella compassione tranquilla
e misurata, che, in generale, s'accorda, come per cortesia,
a chi abbia dato cagione o pretesto al male che gli fanno.
L' esaminatore fu prima stanco d' interrogare , che la sventu-
rata di mentire: e, sentendo quelle risposte sempre conformi.
e non avendo alcun motivo di dubitare della loro schiettezza,
mutò finalmente linguaggio; si rallegrò con lei, le chiese, in
certo modo, scusa d' aver tardato tanto a far questo suo do-
vere; aggiunse ciò che credeva più atto a confermarla nel
buon proposito; e si licenziò.
Attraversando le sale per uscire, s'abbattè nel principe,
il quale pareva che passasse di là a caso; e con lui pure si
congratulò delle buone disposizioni in cui aveva trovata la
sua figliuola. Il principe era stato fino allora in una sospen-
sione molto penosa: a quella notizia, respirò, e dimenticando la
sua gravità consueta, andò quasi di corsa da Gertrude, la ri-
colmò di lodi, di carezze e di promesse, con un giubilo cor-
diale, con una tenerezza in gran parte sincera; così fatto è
questo guazzabuglio del cuore umano.
Noi non seguiremo Gertrude in quel giro continuato di
spettacoli e di divertimenti. E neppure descriveremo, in par-
ticolare e per ordine, i sentimenti dell'animo suo in tutto
quel tempo: sarebbe una storia di dolori e di fluttuazioni,
troppo monotona, e troppo somigliante alle cose già dette.
L'amenità de' luoghi, la varietà degli oggetti, quello svago
che pur trovava nello scorrere in qua e in là all'aria aperta,
le rendevan più odiosa l' idea del luogo dove alla fine si
smonterebbe per l'ultima volta, per sempre. Più pungenti
ancora eran l' impressioni che riceveva nelle conversazioni e
nelle feste. La vista delle spose alle quali si dava questo
titolo nel senso più ovvio e più usitato, le cagionava un'in-
vidia, un rodimento intollerabile; e talvolta l'aspetto di qual-
che altro personaggio le faceva parere che, nel sentirsi dare
CAPITOLO X. 133
quel titolo, dovesse trovarsi il colmo d' ogni felicità. Talvolta
la pompa de' palazzi, lo splendore degli addobbi, il brulichìo
o il fracasso giulivo delle feste, le comunicavano un'ebbrezza,
un ardor tale di viver lieto , che prometteva a sé stessa di
disdirsi, di soffrir tutto, piuttosto che tornare all' ombra fredda
e morta del chiostro. Ma tutte quelle risoluzioni sfumavano
alla considerazione più riposata delle difficoltà, al solo fissar
gli occhi in viso al principe. Talvolta anche, il pensiero di
dover abbandonare per sempre que' godimenti, gliene rendeva
amaro e penoso quel piccol saggio: come l'infermo assetato
guarda con rabbia, e quasi respinge con dispetto il cucchiaio
d' acqua che il medico gli concede a fatica. Intanto il vicario
delle monache ebbe rilasciata Y attestazione necessaria, e venne
la licenza di tenere il capitolo per Y accettazione di Ger-
trude. Il capitolo si tenne; concorsero, com'era da aspet-
tarsi, i due terzi de' voti segreti eh' eran richiesti da' regola-
menti; e Gertrude fu accettata. Lei medesima, stanca di quel
lungo strazio, chiese allora d'entrare più presto che fosse
possibile, nel monastero. Non c'era sicuramente chi volesse
frenare una tale impazienza. Fu dunque fatta la sua volontà;
e, condotta pomposamente al monastero, vestì l'abito. Dopo
dodici mesi di noviziato, pieni di pentimenti, e di ripenti-
menti, si trovò al momento della professione, al momento cioè
in cui conveniva, o dire un no più strano, più inaspettato,
più scandaloso che mai, o ripetere un sì tante volte detto;
lo ripetè; e fu monaca per sempre.
È una delle facoltà singolari e incomunicabili della reli-
gione cristiana, il poter indirizzare e consolare chiunque, in
qualsivoglia congiuntura, a qualsivoglia termine, ricorra ad
essa. Se al passato e* è rimedio, essa lo prescrive, lo som-
ministra, dà lume e vigore per metterlo in' opera, a qualun-
que costo; se non e' è, essa dà il modo di far realmente e in
effetto, ciò che si dice in proverbio, di necessità virtù. In-
segna a continuare con sapienza ciò eh' è stato intrapreso per
leggerezza; piega l'animo ad abbracciar con propensione ciò
che è stato imposto dalla prepotenza, e dà a una scelta che
fu temeraria, ma che è irrevocabile, tutta la santità, tutta la
saviezza,^ diciamolo pur francamente, tutte le gioie della voca-
zione. È una strada così fatta che, da qualunque laberinto,
da qualunque precipizio, l'uomo capiti ad essa, e vi faccia
un passo, può d'allora in poi camminare con sicurezza e di
buona voglia, e arrivar lietamente a un lieto fine. Con que-
sto mezzo, Gertrude avrebbe potuto essere una monaca santa
e contenta, comunque la fosse divenuta. Ma l' infelice si di-
batteva in vece sotto il giogo, e così ne sentiva più forte il
peso e le scosse. Un rammarico incessante della libertà per-
duta, 1' abborrimento dello stato presente, un vagar faticoso
134 I PROMESSI SPOSI.
dietro a desideri che non sarebbero mai soddisfatti, tali erano
le principali occupazioni dell' animo suo. Rimasticava quel-
l' amaro passato, ricomponeva nella memoria tutte le circo-
stanze per le quali si trovava lì; e disfaceva mille volte inu-
tilmente col pensiero ciò che aveva fatto con l'opera; accu-
sava sé di dappocaggine, altri di tirannia e di perfidia; e si
rodeva. Idolatrava e piangeva insieme la sua bellezza, de-
plorava una gioventù destinata a struggersi in un lento mar-
tirio, e invidiava in certi momenti, qualunque donna, in qua-
lunque condizione, con qualunque coscienza, potesse libera-
mente godersi nel mondo que' doni.
La vista di quelle monache che avevan tenuto di mano a
tirarla là dentro , le era odiosa. Si ricordava 1' arti e i rag-
giri che avevan messi in opera, e le pagava con tante sgar-
batezze, con tanti dispetti, e anche con aperti rinfacciamenti.
A quelle conveniva le più volte mandar giù e tacere: perchè
il principe aveva ben voluto tiranneggiar la figlia quanto era
necessario per ispingerla al chiostro; ma ottenuto l'intento,
non avrebbe così facilmente sofferto che altri pretendesse
d'aver ragione contro il suo sangue: e ogni po' di rumore
che avesser fatto, poteva esser cagione di far loro perdere
quella gran protezione, o cambiar per avventura il protettore
in nemico. Pare che Gertrude avrebbe dovuto sentire una
certa propensione per l'altre suore, che non avevano avuto
parte in quegl' intrighi , e che, senza averla desiderata per
compagna, l'amavano come tale; e pie, occupate e ilari, le
mostravano col loro esempio come anche là dentro si potesse
non solo vivere, ma starci bene. Ma queste pure le erano
odiose, per un alto verso. La loro aria di pietà e di conten-
tezza le riusciva come un rimprovero della sua inquietudine,
e della sua condotta bisbetica; e non lasciava sfuggire occa-
sione di deriderle dietro le spalle, come pinzochere, e di mor-
derle come ipocrite. Forse sarebbe stata meno avversa ad
esse, se avesse saputo o indovinato che le poche palle nere,
trovate nel bossolo che decise della sua accettazione, e' erano
appunto state messe da quelle.
Qualche consolazione le pareva talvolta di trovar nel co-
mandare, nell' esser corteggiata in monastero, nel ricever vi-
site di complimento da persone di fuori, nello spuntar qual-
che impegno, nello spendere la sua protezione, nel sentirsi
chiamar la signora: ma quali consolazioni! Il cuore, trovan-
dosene così poco appagato, avrebbe voluto di quando in quan-
do aggiungervi, e goder con esse le consolazioni della reli-
gione; ma queste non vengono se non a chi trascura quel-
1' altre: come il naufrago, se vuole afferrar la tavola che può
condurlo in salvo sulla riva, deve pure allargare il pugno,
CAPITOLO X. 135
« abbandonar V alghe, che aveva prese, per una rabbia
■d' istinto.
Poco dopo la professione, Gertrude era stata fatta maestra
dell'educande; ora pensate come dovevano stare quelle gio-
vinette sotto una tal disciplina. Le sue antiche confidenti
eran tutte uscite; ma lei serbava vive tutte le passioni di
quel tempo; e, in un modo o in un altro, l'allieve dovevan
portarne il peso. Quando le veniva in mente che molte di
loro eran destinate a vivere in quel mondo dal quale era
esclusa per sempre, provava contro quelle poverine un astio,
un desiderio quasi di vendetta; e le teneva sotto, le bistrat-
tava, faceva loro scontare anticipatamente i piaceri che avreb-
ber goduti un giorno. Chi avesse sentito, in que' momenti,
con che sdegno magistrale le gridava, per ogni piccola scap
patella, l'avrebbe creduta una donna d'una spiritualità sai
valica e indiscreta. In altri momenti, lo stesso orrore per i
chiostro, per la regola, per 1' ubbidienza, scoppiava in accessi
d'umore tutto opposto. Allora, non solo sopportava la sva
gatezza clamorosa delle sue allieve, ma l'eccitava; si mi
schiava ne' loro giochi, e li rendeva più sregolati; entrava a
parte de' loro discorsi, e li spingeva più in là dell'intenzioni
con le quali esse gli avevano incominciati. Se qualcheduna
diceva una parola sul cicalio della madre badessa, la maestra
lo imitava lungamente, e ne faceva una scena da commedia;
contraffaceva il volto d'una monaca, l'andatura d'un' altra:
rideva allora sgangheratamente; ma eran risa che non la la-
sciavano più allegra di prima. Così era vissuta alcuni anni
non avendo comodo, né occasione di far di più; quando la
sua disgrazia volle che un' occasione si presentasse.
Tra 1' altre distinzioni e privilegi che le erano stati con-
cessi, per compensarla di non poter esser badessa, c'era
anche quello di stare in un quartiere a parte. Quel lato del
monastero era contiguo a una casa abitata da un giovane,
scellerato di professione, uno de' tanti, che in que' tempi, e
•co' loro sgherri, e con l'alleanza d'altri scellerati, potevano,
fino a un certo segno, ridersi della forza pubblica e delle
leggi. Il nostro manoscritto lo nomina Egidio, senza parlar
del casato. Costui da una sua finestrina che dominava un
cortiletto di quel quartiere, avendo veduta Gertrude qualche
volta passare o girandolar lì per ozio, allettato anzi che atter-
rito dai pericoli e dall'empietà dell'impresa, un giorno osò
rivolgerle il discorso. La sventurata rispose.
In que' primi momenti, provò una contentezza, non schietta
al certo, ma viva. Nel vóto uggioso dell' animo suo s' era
venuta a infondere un'occupazione forte, continua e, direi
quasi, una vita prepotente; ma quella contentezza era simile
alla bevanda ristorativa che la crudeltà ingegnosa degli anti-
136 I PB0MESSI SPOSI.
chi mesceva al condannato, per dargli forza a sostenere i tor-
menti. Si videro, nello stesso tempo, di gran novità in tutta
la sua condotta: divenne, tutt' a un tratto, più regolare, più
tranquilla, smesse gli scherni e il brontolio, si mostrò anzi
carezzevole e manierosa, dimodoché le suore si rallegravano
a vicenda del cambiamento felice : lontane com' erano dal-
l'immaginarne il vero motivo, e dal comprendere che quella
nuova virtù non era altro che ipocrisia aggiunta all' antiche
magagne. Quell' apparenza però, quella, per dir così, imbian-
catura esteriore, non durò gran tempo, almeno con quella
continuità e uguaglianza: ben presto tornarono in campo i
soliti dispetti e i soliti capricci, tornarono a farsi sentire l' im-
precazioni e gli scherni contro la prigione claustrale, e tal-
volta espressi in un linguaggio insolito in quel luogo, e anche
in quella bocca. Però, ad ognuna di queste scappate veniva
dietro un pentimento, una gran cura di farle dimenticare, a
forza di moine e di buone parole. Le suore sopportavano
alla meglio tutti questi alt' e bassi e gli attribuivano all' in-
dole bisbetica e leggiera della signora.
Per qualche tempo, non parve che nessuna pensasse più
in là; ma un giorno che la signora, venuta a parole con una
conversa, per non so che pettegolezzo, si lasciò andare a mal-
trattarla fuor di modo, e non la finiva più, la conversa, dopo
aver sofferto, ed essersi morse le labbra un pezzo, scappatale
finalmente la pazienza, buttò là una parola, che lei sapeva
qualche cosa, e che, a tempo e luogo, avrebbe parlato. La
quel momento in poi la signora non ebbe più pace. Non
passò però molto tempo che la conversa fu aspettata in vano,
una mattina, a' suoi uffizi consueti: si va a veder nella sua
cella, e non si trova: è chiamata ad alta voce; non risponde:
cerca di qua, cerca di là, gira e rigira, dalla cima al fondo;
non e' è in nessun luogo. E chi sa quali congetture si sareb-
ber fatte, se, appunto nel cercare, non si fosse scoperta una
buca nel muro dell'orto; la qual cosa fece pensare a tutte,
che fosse sfrattata di là. Si fecero gran ricerche in Monza
e ne' contorni, e principalmente a Mada, di dov'era quella
conversa: si scrisse in varie parti: non se n' ebbe mai la più
piccola notizia. Forse se ne sarebbe potuto saper di più, se,
invece di cercar lontano, si fosse scavato vicino. Dopo molte
maraviglie, perchè nessuno l'avrebbe creduta capace di ciò,
e dopo molti discorsi, si concluse che doveva essere andata
lontano lontano. E perchè scappò detto a una suora: «s'è ri-
fugiata in Olanda di sicuro,» si disse subito, e si ritenne
per un pezzo nel monastero e fuori, che si fosse rifugiata in
Olanda. Non pare però che la signora fosse di questo pa-
rere. Non già che mostrasse di non credere, o combattesse
l'opinion comune, con sue ragioni particolari: se ne aveva,
CAPIIOLO IL 137
certo, ragioni non furono mai così ben dissimulate: né c'era
cosa da cui s" astenesse più volontieri che da rimestar quella
storia, cosa di cui si curasse meno che di toccare il fondo di
quel mistero. Ma quanto meno ne parlava, tanto più ci pen-
sava. Quante volte al giorno Y immagine di quella donna ve-
niva a cacciarsi d' improvviso nella sua mente, e si piantava
li, e non voleva moversi! Quante volte avrebbe desiderato di
vedersela dinanzi viva e reale, piuttosto che averla sempre
fissa nel pensiero, piuttosto che dover trovarsi, giorno e notte,
in compagnia di quella forma vana, terribile, impassibile!
Quante volte avrebbe voluto sentir davvero la voce di colei,
qualunque cosa avesse potuto minacciare, piuttosto che aver
sempre nell' intimo dell' orecchio mentale il susurro fanta-
stico di quella stessa voce, e sentirne parole ripetute con una
pertinacia, con un' insistenza infaticabile, che nessuna persona
vivente non ebbe mai !
Era scorso circa un anno dopo quel fatto , quando Lucia
fu presentata alla signora, ed ebbe con lei quel colloquio al
quale siam rimasti col racconto. La signora moltiplicava le
domande intorno alle persecuzioni di don Rodrigo, e entrava
in certi particolari, con una intrepidezza, che riuscì e doveva
riuscire più che nuova a Lucia, la quale non aveva mai pen-
sato che la curiosità delle monache potesse esercitarsi intorno
a simili argomenti. I giudizi poi che quella frammischiava
all'interrogazioni, o che lasciava trasparire, non eran meno
strani. Pareva quasi che ridesse del gran ribrezzo che Lucia
aveva sempre avuto di quel signore, e domandava se era un
mostro, da far tanta paura : pareva quasi che avrebbe trovato
irragionevole e sciocca la ritrosia della giovine, se non avesse
avuto per ragione la preferenza data a Renzo. E su questo
pure s' avanzava a domande, che facevano stupire e arrossire
V interrogata. Avvedendosi poi d' aver troppo lasciata correr
la lingua dietro agli svagamenti del cervello, cercò di correg-
gere e d'interpretare in meglio quelle sue ciarle; ma non
potè fare che a Lucia non ne rimanesse uno stupore dispia-
cevole, e come un confuso spavento. E appena potè trovarsi
sola con la madre, se n'aprì con lei; ma Agnese, come più
esperta, sciolse, con poche parole, tutti que' dubbi , e spiegò
tutto il mistero. «Non te ne far maraviglia, » disse: «quando
avrai conosciuto il mondo quanto me, vedrai che non son
cose da farsene maraviglia. I signori, chi più, chi meno, chi
per un verso, chi per un altro, han tutti un po' del matto.
Convien lasciarli dire, principalmente quando s' ha bisogno di
loro; far vista d' ascoltarli sul serio, come se dicessero delle
cose giuste. Hai sentito come m'ha dato sulla voce, come
se avessi detto qualche gran sproposito? Io non me ne son
fatto caso punto. Son tutti così E con tutto ciò, sia rin-
138 1 PROMESSI SPOSI.
graziato il cielo, che pare che questa signora t' abbia preso a
ben volere, e voglia proteggerci davvero. Del resto , se cam-
perai, figliuola mia, e se t' accaderà ancora d'aver che fare
con de' signori, ne sentirai, ne sentirai, ne sentirai.»
£ Il desiderio d' obbligare il padre guardiano, la compiacenza
di proteggere, il pensiero del buon concetto che poteva frut-
tare la protezione impiegata così santamente, una certa in-
clinazione per Lucia, e anche un certo sollievo nel far del
bene a una creatura innocente, nel soccorrere e consolare op-
pressi, avevan realmente disposta la signora a prendersi a
petto la sorte delle due povere fuggitive. A sua richiesta, e
a suo riguardo, furono alloggiate nel quartiere della fattoressa
attiguo al chiostro, e trattate come se fossero addette al ser-
vizio del monastero. La madre e la figlia si rallegrarono in-
sieme d' aver trovato così presto un asilo sicuro e onorato.
Avrebber anche avuto molto piacere di rimanervi ignorate da
ogni persona; ma la cosa non era facile in un monastero:
tanto più che e' era un uomo troppo premuroso d' aver no-
tizie d'una di loro, e nelP animo del quale, alla passione e alla
picca di prima, s' era aggiunta anche la stizza d' essere stato
prevenuto e deluso. E noi. lasciando le donne nel loro rico-
vero, torneremo al palazzotto di costui, nell'ora in cui stava
attendendo 1' esito della sua scellerata spedizione.
CAPITOLO XI.
Come un branco di segugi, dopo aver inseguita invano
una lepre, tornano mortificati verso il padrone, co' musi bassi,
e con le code ciondoloni, così, in quella scompigliata notte,
tornavano i bravi al palazzotto di don Rodrigo. Egli cam-
minava innanzi e indietro, al buio, per una stanzaccia disa-
bitata dell' ultimo piano, che rispondeva sulla spianata. Ogni
tanto si fermava, tendeva l'orecchio, guardava dalle fessure
dell'imposte intarlate, pieno d'impazienza e non privo d'in-
quietudine, non solo per l' incertezza della riuscita, ma anche
per le conseguenze possibili; perchè era la più grossa e la
più arrischiata a cui il brav' uomo avesse ancor messo mano.
S' andava però rassicurando col pensiero delle precauzioni
prese per distrugger gì' indizi, se non i sospetti. — In quanto
ai sospetti, — pensava — me ne rido. Vorrei un po' sa-
pere chi sarà quel voglioso che venga quassù a veder se e' è
o non e' è una ragazza. Venga, venga quel tanghero, che sarà
ben ricevuto. Venga il frate, venga. La vecchia? Vada a
Bergamo la vecchia. La giustizia? Poh la giustizia! Il podestà
CAPITOLO XI. 139
non è un ragazzo, né un matto. E a Milano? Chi si cura
di costoro a Milano? Chi gli darebbe retta? Chi sa che ci
siano? Son come gente perduta sulla terra; non hanno né
«mene un padrone: gente di nessuno. Via, via, niente paura.
Come rimarrà Attilio, domattina! Vedrà, vedrà s'io fo ciarle
o fatti. E poi .... se mai nascesse qualche imbroglio ....
che so io? qualche nemico che volesse cogliere quest'occa-
sione .... anche Attilio saprà consigliarmi: e' è impegnato
1' onore di tutto il parentado. — Ma il pensiero sul quale si
fermava di più, perchè in esso trovava insieme un acquieta-
mento de' dubbi, e un pascolo alla passion principale, era il
pensiero delle lusinghe, delle promesse che adoprerebbe per
abbonire Lucia. — Avrà tanta paura di trovarsi qui sola, in
mezzo a costoro, a queste facce, che .... il viso più umano
•qui son io, per bacco .... che dovrà ricorrere a me, toccherà
a lei a pregare; e se prega .... —
Mentre fa questi bei conti, sente un calpestìo, va alla fine-
stra, apre un poco, fa capolino; son loro. — E la bussola?
Diavolo! dov'è la bussola? Tre, cinque, otto: ci son tutti:
c'è anche il Griso; la bussola non c'è; diavolo! diavolo! il
■Griso me ne renderà conto. —
Entrati che furono, il Griso posò in un angolo d' una stanza
terrena il suo bordone, posò il cappellaccio e il sanrocchino,
e, come richiedeva la sua carica, che in quel momento nes-
suno gl: invidiava, salì a render quel conto a don Rodrigo.
Questo l'aspettava in cima alla scala; e vistolo apparire con
quella goffa e sguaiata presenza del birbone deluso, «ebbene,»
gli disse, o gli gridò: «signore spaccone, signor capitano,
signor lascifareame? »
«L'è dura;» rispose il Griso, restando con un piede sul
primo scalino, «l'è dura di ricever de' rimproveri, dopo aver
lavorato fedelmente, e cercato di fare il proprio dovere, e ar-
rischiata anche la pelle.»
«Com' è andata? Sentiremo, sentiremo,» disse don Ro-
drigo, e s' avviò verso la sua camera, dove il Griso lo seguì,
e fece subito la relazione di ciò che aveva disposto, fatto,
veduto e non veduto, sentito, temuto, riparato: e la fece con
quell'ordine e con quella confusione, con quella dubbiezza e
con quello sbalordimento, che dovevano per forza regnare in-
sieme nelle sue idee.
«Tu non hai torto, e ti sei portato bene,» disse don Ro-
drigo: «hai fatto quello che si poteva; ma.... ma, che sotto
questo tetto ci fosse una spia! Se c'è, se lo arrivo a sco-
prire, e lo scopriremo se e' è, te 1' accomodo io ; ti so dir io
Griso, che lo concio per il dì delle feste.»
«Anche a me, signore,» disse il Griso, «è passato per «a
mente un tal sospetto: e se t'osse vero, se si venisse a sco-
110 I PROMESSI SPOSI.
prire un birbone di questa sorte, il signor padrone lo deve
metter nelle mie mani. Uno che si fosse preso il diverti-
mento di farmi passare una notte come questa! toccherebbe a
me a pagarlo. Però da varie cose m' è parso di poter rile-
vare che ci dev' essere qualche altro intrigo, che per ora non
si può capire. Domani, signore, domani, se ne verrà in
chiaro.»
«Non siete stati riconosciuti almeno?»
Il Griso rispose che sperava di no; e la conclusione del
discorso fu che don Rodrigo gli ordinò, per il giorno dopo,
tre cose che colui avrebbe sapute ben pensare anche da sé.
Spedire la mattina presto due uomini a fare al console quella
tale intimazione, che fu poi fatta, come abbiam veduto; due
altri al casolare a far la ronda, per tenerne lontano ogni
ozioso che vi capitasse, e sottrarre a ogni sguardo la bussola
fino alla notte prossima, in cui si manderebbe a prenderla;
giacché per allora non conveniva fare altri movimenti da dar
sospetto; andar poi lui, e mandare anche altri de' più disin-
volti e di buona testa, a mescolarsi con la gente, per scovar
qualcosa intorno all' imbroglio di quella notte. Dati tali or-
dini, don Rodrigo se n'andò a dormire, e ci lasciò andare
anche il Griso, congedandolo con molte lodi, dalle quali tra-
spariva evidentemente l'intenzione di risarcirlo degl' improperi
precipitati coi quali lo aveva accolto.
Va a dormire, povero Griso, che tu ne devi aver bisogno.
Povero Griso ! In faccende tutto il giorno, in faccende mezza
la notte, senza contare il pericolo di cader solto l'unghie
de' villani, o di buscarti una taglia per rapto di donna ho-
nesta, per giunta di quelle che hai già addosso; e poi esser
ricevuto in quella maniera! Ma! così pagano spesso gli uo-
mini. Tu hai però potuto vedere, in questa circostanza, che
qualche volta la giustizia, se non arriva alla prima, arriva, o
presto o tardi anche in questo mondo. Va a dormire per
ora: che un giorno avrai forse a somministrarcene un'altra
prova e più notabile di questa.
La mattina seguente il Griso era fuori di nuovo in fac-
cende, quando don Rodrigo s'alzò. Questo cercò subito del
conte Attilio, il quale, vedendolo spuntare, fece un viso e un
atto canzonatorio, e gli gridò: «san Martino!»
«Non so cosa vi dire,» rispose don Rodrigo, arrivandogli
accanto: «pagherò la scommessa; ma non è questo quel che
più mi scotta. Non v'aveva detto nulla, perchè, lo confesso,
pensavo di farvi rimanere stamattina. Ma ... . basta, ora vi
racconterò tutto.»
«Ci ha messo uno zampino quel frate in quest'affare,"
disse il cugino, dopo aver sentito tutto, con più serietà che
non si sarebbe aspettato da un cervello così balzano. «Quel
capitolo xr. 141
frate,» continuò, e con quel suo fare di gatta morta, e con
quelle sue proposizioni sciocche, io l'ho per un dirittone, e
per un impiccione. E voi non vi siete fidato di me, non
m' avete mai detto chiaro cosa sia venuto qui a impastocchiarvi
l'altro giorno.» Don Rodrigo riferì il dialogo. «E voi avete
avuto tanta sofferenza?» esclamò il conte Attilio: «e l'avete
lasciato andare com'era venuto?»
«Che volevate ch'io mi tirassi addosso tutti i cappuccini
d'Italia?»
uXon so,» disse il conte Attilio, «se, in quel momento,
mi sarei ricordato che ci fossero al mondo altri cappuccini
che quel temerario birbante; ma via, anche nelle regole della
prudenza, manca la maniera di prendersi soddisfazione anche
d' un cappuccino? Bisogna saper raddoppiare a tempo le gen-
tilezze a tutto il corpo, e allora si può impunemente dare
un carico di bastonate a un membro. Basta; ha scansato la
punizione che gli stava più bene; ma lo prendo io sotto la
mia protezione, e voglio aver la consolazione d'insegnargli
come si parla co' pari nostri.»
«Non mi fate peggio.»
«Fidatevi una volta, che vi servirò da parente e da
amico.»
«Cosa pensate dì fare?»
«Non lo so ancora; ma lo servirò io di sicuro il frate.
Ci penserò, e . . . . il signor conte zio del Consiglio segreto è
lui che mi deve fare il servizio. Caro signor conte zio!
Quanto mi diverto ogni volta che lo posso far lavorare per
me, un politicone di quel calibro! Doman 1' altro sarò a Mi-
lano, e, in una maniera o in un'altra, il frate sarà servito.»
Venne intanto la colazione, la quale non interruppe il di-
scorso d' un affare di queir importanza. 11 conte Attilio ne
parlava con disinvoltura; e, sebbene ci prendesse quella parte
che richiedeva la sua amicizia per il cugino e 1' onore del
nome comune, secondo le idee che aveva d' amicizia e d'onore,
pure ogni tanto non poteva tenersi di non rider sotto i baffi,
di quella bella riuscita. Ma don Rodrigo, ch'era in causa
propria, e che, credendo di far quietamente un gran colpo,
gli era andato fallito con fracasso, era agitato da passioni
più gravi e distratto da pensieri più fastidiosi. «Di belle
ciarle,» diceva, «faranno questi mascalzoni, in tutto il con-
torno. Ma che m'importa? In quanto alla giustizia, me ne
rido: prove non ce n'ò; quando ce ne fosse, me ne riderei
ugualmente: a buon conto, ho fatto stamattina avvertire il
console che guardi bene di non far deposizione dell' avve-
nuto. Non ne seguirebbe nulla; ma le ciarle, quando mi
vanno in lungo, mi seccano. È anche troppo eh' io sia stato
burlato così barbaramente.»
142 I PROMESSI SPOSI.
«Avete fatto benissimo,» rispondeva il conte Attilio.
"Codesto vostro podestà .... gran caparbio, gran testa vota,.
gran seccatore d'un podestà .... è poi un galantuomo, un
uomo che sa il suo dovere; e appunto quando s' ha che fare
con persone tali, bisogna aver più riguardo di non metterle
in impicci. Se un mascalzone di console fa una deposizione^
il podestà, per quanto sia ben intenzionato, bisogna pure
che .... »
«Ma voi,» interruppe, con un po' di stizza, don Rodrigo,
«voi guastate le mie faccende, con quel vostro contraddirgli
in tutto, e dargli sulla voce, e canzonarlo anche, all' occorrenza.
Che diavolo, che un podestà non possa esser bestia e ostinato,
quando nel rimanente è un galantuomo!»
«Sapete, cugino,» disse guardandolo, maravigliato, il
conte Attilio, «sapete, che comincio a credere che abbiate
un po' di paura? Mi prendete sul serio anche il pode-
stà .... »
« Via
di conto?»
«L'ho detto: e quando si tratta d'un affare serio, vi farò
vedere che non sono un ragazzo. Sapete cosa mi basta
P animo di far per voi? Son uomo da andare in persona a
far visita al signor podestà. Ah! sarà contento dell'onore?
E son uomo da lasciarlo parlare per mezz' ora del conte duca,
e del nostro signor castellano spagnolo, e da dargli ragione
in tutto, anche quando ne dirà di quelle così massicce.
Butterò poi la qualche parolina sul conte zio del Consiglio
segreto: e sapete che effetto fanno quelle paroline neh" orec-
chio del signor podestà. Alla fin de' conti, ha più bisogno
lui della nostra protezione, che voi della sua condiscendenza.
Farò di buono, e ci anderò, e ve lo lascerò meglio disposto
che mai. »
Dopo queste e altre simili parole, il conte Attilio uscì, per
andare a caccia; e don Rodrigo stette aspettando con ansietà
il ritorno del Griso. Venne costui finalmente, sull'ora del
desinare, a far la sua relazione.
Lo scompiglio di quella notte era stato tanto clamoroso,
la sparizione di Tre persone da un paesello era un tal avve-
nimento, che le ricerche, e per premura e per curiosità, do-
vevano naturalmente essere molte e calde e insistenti; e dal-
l'altra parte, gl'informati di qualche cosa eran troppi, per
andar tutti d' accordo a tacer tutto. Perpetua non poteva
farsi veder sulT uscio, che non fosse tempestata da quello e
da queir altro, perchè dicesse chi era stato a far quella gran
paura al suo padrone: e Perpetua, ripensando a tutte le cir-
costanze del fatto, e raccapezzandosi finalmente eh' era stata
infinocchiata da Agnese, sentiva tanta rabbia di quella per-
CAPITOLO XI. 143
lìdia, che aveva proprio bisogno d'un po' di sfogo. Non già
che andasse lamentandosi col terzo e col quarto della maniera
tenuta per infinocchiar lei: su questo non fiatava; ma il tiro
fatto al suo proprio padrone non lo poteva passare affatto
sotto silenzio: e sopra tutto, che un tiro tale fosse stato con-
certato, e tentato da quel giovine dabbene, da quella buona
vedova, da quella madonnina infilzata. Don Abbondio poteva
ben comandarle risolutamente, e pregarla cordialmente che
stesse zitta; lei poteva bene ripetergli che non faceva bisogno
di suggerirle una cosa tanto chiara e tanto naturale; certo è
che un così gran segreto stava nel cuore della povera donna,
come, in una botte vecchia e mal cerchiata, un vino molto
giovine, che grilla e gorgoglia e ribolle, e, se non manda il
tappo per aria, gli geme all' intorno, e vien fuori in ischiuma,
e trapela tra doga e doga e gocciola di qua e di là, tanto che
uno può assaggiarlo, e dire a un di presso che vino è. Ger-
vaso, a cui non pareva vero d' essere una volta più informato
degli altri, a cui non pareva piccola gloria l'avere avuta una
gran paura, a cui, per aver tenuto di mano a una cosa che
puzzava di criminale, pareva d' esser diventato un uomo come
gli altri crepava di voglia di vantarsene. E quantunque To-
nio , che pensava seriamente all' inquisizioni e ai processi
possibili e al conto da rendere, gli comandasse, co' pugni sul
viso, di non dir nulla a nessuno, pure non ci fu verso di
soffogargli in bocca ogni parola. Del resto Tonio, anche lui,
dopo essere stato quella notte fuor di casa in ora insolita,
tornandovi, con un passo e con un sembiante insolito, e con
una agitazion d'animo che lo disponeva alla sincerità, non
potè dissimulare il fatto a sua moglie; la quale non era muta.
Chi parlò meno, fu Menico; perchè, appena ebbe raccontata
ai genitori la storia e il motivo della sua spedizione, parve a
questi una cosa così terribile che un loro figliuolo avesse avuto
parte a buttare all'aria un'impresa di don Rodrigo, che
quasi quasi non lasciaron finire al ragazzo il suo racconto.
Gli fecero poi subito i più forti e minacciosi comandi che
guardasse bene di non far neppure un cenno di nulla: e la
mattina seguente, non parendo loro d' essersi abbastanza assi-
curati, risolvettero di tenerlo chiuso in casa, per quel giorno,
e per qualche altro ancora. Ma che? essi medesimi poi
chiacchierando con la gente del paese, e senza voler mostrar
di saperne più di loro, quando si veniva a quel punto oscuro
della fuga de' nostri tre poveretti, e del come, e del perchè,
e del dove , aggiungevano, come cosa conosciuta , che s' eran
rifugiati a Pescarenico. Così anche questa circostanza entrò
ne' discorsi comuni.
Con tutti questi brani di notizie, messi poi insieme e uniti
come s'usa, e con la frangia che ci s'attacca naturalrnenic
Ili I PROMESSI SPOSI.
nel cucire, c'era da fare una storia d'una certezza e d' una
chiarezza tale, da esserne pago ogni intelletto più critico.
Ma quella invasion de' bravi, accidente troppo grave e troppo
rumoroso per esser lasciato fuori, e del quale nessuno aveva
una conoscenza un po' positiva, queir accidente era ciò che
imbrogliava tutta la storia. Si mormorava il nome di don
Rodrigo: in questo andavan tutti d'accordo; nel resto tutto
era oscurità e congetture diverse. Si parlava molto de' due
bravacci eh' erano stati veduti nella strada, sul far della sera,
e dell' altro che stava sulT uscio dell' osteria; ma che lume
si poteva ricavare da questo fatto così asciutto? Si doman-
dava bene all' oste chi era stato da lui la sera avanti ; ma
l'oste, a dargli retta, non si rammentava neppure se avesse
veduto gente quella sera; e badava a dire che 1' osteria è un
porto di mare. Sopra tutto, confondeva le teste, e disordinava
le congetture quel pellegrino veduto da Stefano e da Carlan-
drea, quel pellegrino che i malandrini volevano ammazzare,
e che se n'era andato con loro, o che essi avevano portato
via. Cos' era venuto a fare? Era un' anima del purgatorio
comparsa per aiutar le donne; era un'anima dannata d'un
pellegrino birbante e impostore, che veniva sempre di notte
a unirsi con chi facesse di quelle che lui aveva fatte vivendo;
era un pellegrino vivo e vero, che coloro avevan voluto am-
mazzare, per timor che gridasse, e destasse il paese; era
(vedete un po' cosa si va a pensare!) uno di quegli stessi ma-
landrini travestito da pellegrino; era questo, era quello, era
tante cose che tutta la sagacità e V esperienza del Griso non
sarebbe bastata a scoprire chi fosse, se il Griso avesse dovuto
rilevar questa parte della storia da' discorsi altrui. Ma, come
il lettore sa, ciò che la rendeva imbrogliata agli altri, era ap-
punto il più chiaro per lui: servendosene di chiave per inter-
pretare le altre notizie raccolte da lui immediatamente, o col
mezzo degli esploratori subordinati, potè di tutto comporne
per don Rodrigo una relazione bastantemente distinta. Si
chiuse subito con lui, e l'informò del colpo tentato dai po-
veri sposi, il che spiegava naturalmente la casa trovata vota
e il sonare a martello, senza che facesse bisogno di supporre
che in casa ci fosse qualche traditore, come dicevano que' due
galantuomini. L' informò della fuga; e anche a questa era
facile trovarci le sue ragioni: il timore degli sposi colti in
fallo, o qualche avviso dell' invasione, dato loro quand' era
scoperta, e il paese tutto a soqquadro. Disse finalmente che
s' eran ricoverati a Pescarenico: più in là non andava la sua
scienza. Piacque a don Rodrigo l' esser certo che nessuno
l'aveva tradito, e il vedere che non rimanevano tracce del
suo fatto; ma fu quella una rapida e leggiera compiacenza.
> Fuggiti insieme!-) gridò: «insieme! E quel frate birbante l
CAPITOLO XI. 145
Quel frate!» la parola gli usciva arrantolata dalla gola, e
smozzicata tra' denti, che mordevano il dito: il suo aspetto
era brutto come le sue passioni: oQuel frate me la pagherà.
Griso! non so chi sono .... voglio sapere, voglio trovare ....
questa sera, voglio saper dove sono. Xon ho pace. A Pe-
scarenico, subito, a sapere, a vedere, a trovare .... Quattro
scudi subito, e la mia protezione per sempre. Questa sera
lo voglio sapere. E quel birbone...! quel frate...! >
Il Griso di nuovo in campo; e, la sera di quel giorno me-
desimo, potè riportare al suo degno padrone la notizia desi-
derata: ed ecco in qual maniera.
Una delle più gran consolazioni di questa vita è 1' amici-
zia; e una delle consolazioni dell'amicizia è quell'avere a
cui confidare un segreto. Ora, gli amici non sono a due a
due, come gli sposi; ognuno, generalmente parlando, ne ha
più d'uno: il che forma una catena, di cui nessuno potrebbe
trovar la fine. Quando dunque un amico si procura quella
consolazione di deporre un segreto nel seno d' un altro, dà a
costui la voglia di procurarsi la stessa consolazione anche lui.
Lo prega, è vero, di non dir nulla a nessuno; e una tal con-
dizione, chi la prendesse nel senso rigoroso delle parole,
troncherebbe immediatamente il corso delle consolazioni. Ma
la pratica generale ha voluto che obblighi soltanto a non con-
fidare il segreto, se non a chi sia un amico ugualmente fidato,
e imponendogli la stessa condizione. Così, d'amico fidato
in amico fidato, il segreto gira e gira per queir immensa ca-
tena, tanto che arriva all' orecchio di colui o di coloro a cui
il primo che ha parlato intendeva appunto di non lasciarlo
arrivar mai. Avrebbe però ordinariamente a stare un gran
pezzo in cammino, se ognuno non avesse che due amici; quello
che gli dice, e quello a cui ridice la cosa da tacersi. Ma
ci son degli uomini privilegiati che li contano a centinaia; e
quando il segreto è venuto a uno di questi uomini, i giri di-
vengon sì rapidi e sì moltiplici, che non è più possibile di
seguirne la traccia. Il nostro autore non ha potuto accertarsi
per quante bocche fosse passato il segreto che il Griso aveva
ordine di scovare: il fatto sta che il buon uomo da cui
erano state scortate le donne a Monza, tornando, verso |le
ventitre, col suo baroccio, a Pescarenico, s'abbattè, prima
d'arrivare a casa, in un amico fidato, al quale raccontò in
gran confidenza, l'opera buona che aveva fatta, e il rima-
nente; e il fatto sta che il Griso potè, due ore dopo, correre
al palazzotto, a riferire a don Piodrigo che Lucia e sua ma-
dre s' eran ricoverate in un convento di Monza, e che Pienzo
aveva seguitata la sua strada fino a Milano.
Don Rodrigo provò una scellerata allegrezza di quella se-
parazione, e sentì rinascere un po' di quella scellerata spe-
Manzoni. 10
146 I PBOMESSI SPOSI.
ranza d'arrivare al suo intento. Pensò alla maniera, gran
parte della notte; e s'alzò presto, con due disegni, l'uno
stabilito, V altro abbozzato. Il primo era di spedire imman-
tinente il Griso a Monza, per aver più chiare notizie di Lu-
cia, e sapere se ci fosse da tentar qualche cosa. Fece dun-
que chiamar subito quel suo fedele, gli mise in mano i quat-
tro scudi, lo lodò di nuovo dell'abilità con cui gli aveva
guadagnati, e gli diede 1' ordine che aveva premeditato.
«Signore .» disse, tentennando, il Griso.
«Che? non ho io parlato chiaro?»
«Se potesse mandar qualchedun altro . . . .»
«Come?»
«Signore illustrissimo, io son pronto a metterci la pelle
per il mio padrone: è il mio dovere; ma so anche che lei
non vuole arrischiar troppo la vita de' suoi sudditi.»
«Ebbene?»
«Vossignoria illustrissima sa bene quelle poche taglie
ch'io ho addosso: e.... Qui son sotto la sua protezione;
siamo una brigata; il signor podestà è amico di casa; i birri
mi portan rispetto; e anch'io.... è cosa che fa poco onore,
ma per viver quieto .... li tratto da amici. In Milano la li-
vrea di vossignoria è conosciuta; ma in Monza.... ci sono
conosciuto io in vece. E sa vossignoria che, non fo per dire,
chi mi potesse consegnare alla giustizia, o presentar la mia
testa, farebbe un bel colpo? Cento scudi l'uno sull'altro, e
la facoltà di liberar due banditi.»
«Che diavolo!» disse don Rodrigo; «tu mi riesci ora un
can da pagliaio che ha cuore appena d' avventarsi alle gambe
di chi passa sulla porta, guardandosi indietro se quei di casa
lo spalleggiano, e non si sente d'allontanarsi!»
«Credo, signor padrone, d' aver date prove ....>•
«Dunque !»
«Dunque,» ripigliò francamente il Griso, messo così al
punto, «dunque vossignoria faccia conto eh' io non abbia
parlato: cuor di leone, gamba di lepre, e son pronto a
partire.»
«E io non ho detto che tu vada solo. Piglia con te un
paio de' meglio .... lo Sfregiato, e il Tiradritto; e va di buon
animo, e sii il Griso. Che diavolo! Tre figure come le
vostre, e che vanno per i fatti loro, chi vuoi che non sia con-
tento di lasciarle passare? Bisognerebbe che a' birri di Monza
fosse ben venuta a noia la vita, per metterla su contro cento
scudi a un gioco così rischioso. E poi, e poi, non credo
d' esser così sconosciuto da quelle parti, che la qualità di mio
servitore non ci si conti per nulla.»
Svergognato cosi un poco il Griso, gli diede poi più am-
pie e particolari istruzioni. Il Griso prese i due compagni,
CAPITOLO XI. 147
e partì con faccia allegra e baldanzosa, ma bestemmiando in
cuor suo Monza e le taglie e le donne e i capricci de' pa-
droni : e camminava come il lupo , che spinto dalla fame,
col ventre raggrinzato, e con le costole che gli si potrebber
contare, scende da' suoi monti, dove non c'è che neve, s'a-
vanza sospettosamente nel piano, si ferma ogni tanto, con una
zampa sospesa, dimenando la coda spelacchiata,
Leva il muso, odorando il vento infido,
se mai gli porti odore d' uomo o di ferro , rizza gli orecchi
acuti, e gira due occhi sanguigni, da cui traluce insieme l'ar-
dore della preda, e il terrore della caccia. Del rimanente
quel bel verso, chi volesse saper donde venga, è tratto da
una diavoleria inedita di crociate e di lombardi, che presto
non sarà più inedita, e farà un bel rumore; e io l'ho preso,
perchè mi veniva in taglio: e dico dove, per non farmi bello
della roba altrui : che qualcheduno non pensasse che sia una
mia astuzia per far sapere che V autore di quella diavoleria
ed io siamo come fratelli, e eh' io frugo a piacer mio ne' suoi
manoscritti.
L' altra cosa che premeva a don Rodrigo , era di trovar
la maniera che Renzo non potesse più tornar con Lucia, né
metter piede in paese; e, a questo fine, macchinava di fare
sparger voci di minacce e d'insidie, che, venendogli all'o-
recchio, per mezzo di qualche amico, gli facessero passar la
voglia di tornar da quelle parti. Pensava però che la più
sicura sarebbe se si potesse farlo sfrattar dallo stato: e per
riuscire in questo, vedeva che più della forza gli avrebbe po-
tuto servir la giustizia. Si poteva, per esempio, dare un po' di
colore al tentativo fatto nella casa parrocchiale, dipingerlo
come un'aggressione, un atto sedizioso, e per mezzo del
dottore fare intendere al podestà eh' era il caso di spedir
contro Renzo una buona cattura. Ma pensò che non con-
veniva a lui di rimestar quella brutta faccenda: e senza star
altro a lambiccarsi il cervello, si risolvette d' aprirsi col dot-
tor Azzecca-garbugli , quanto era necessario per fargli com-
prendere il suo desiderio. — Le gride son tante! — pen-
sava: — e il dottore non è un'oca: qualcosa che faccia al
caso mio saprà trovare, qualche garbuglio da azzeccare a
quel villanaccio: altrimenti gli muto nome. — Ma (come vanno
alle volte le cose di questo mondo !) intanto che colui pensava
al dottore, come all' uomo, più abile a servirlo in questo, un
altr' uomo, 1' uomo che nessuno s' immaginerebbe, Renzo me-
desimo, per dirla, lavorava di cuore a servirlo, in un modo
più certo e più spedito di tutti quelli che il dottore avrebbe
mai saputi trovare.
Ho visto più volte un caro fanciullo, vispo, per dire il
10*
148 I PROMESSI SPOST.
vero, più del bisogno, ma che, a tutti i segnali, mostra di
voler riuscire un galantuomo; 1' ho visto, dico, più volte affaccen-
dato sulla sera a mandare al coperto un suo gregge di porcel-
lini d' India, che aveva lasciati scorrer liberi il giorno, in un
giardinetto. Avrebbe voluto fargli andar tutti insieme al co-
vile: ma era fatica buttata; uno si sbandava a destra, e men-
tre il piccolo pastore correva per cacciarlo nel branco, un al-
tro, due. tre ne uscivano a sinistra, da ogni parte. Dimo-
doché, dopo essersi un po' impazientito, s'adattava ai loro
genio, spingeva prima dentro quelli eh' eran più vicini al-
l'uscio, poi andava a prender gli altri, a uno, a due, a tre.
come gli riusciva. Un gioco simile ci convien fare co' nostri
personaggi: ricoverata Lucia, siam corsi a don Rodrigo; e
ora lo dobbiamo abbandonare, per andar dietro a Renzo,
che avevam perduto di vista.
- Dopo la separazione dolorosa che abbiam raccontata, cam-
minava Renzo da Monza verso Milano, in quello stato dr ani-
mo che ognuno può immaginarsi facilmente. Abbandonar la
casa, tralasciare il mestiere, e quel eh' era più di tutto, al-
lontanarsi da Lucia, trovarsi sur una strada, senza saper
dove anderebbe a posarsi: e tutto per causa di quel birbone!
Quando si tratteneva col pensiero sali' una o sulP altra di
queste cose. sr ingolfava tutto nella rabbia, nel desiderio della
vendetta; ma gli tornava poi in mente quella preghiera che
aveva recitata anche lui col suo buon frate, nella chiesa di
Pescarenico; e si ravvedeva: gli si risvegliava ancora la
stizza: ma vedendo un'immagine sul muro, si levava il cap-
pello, e si fermava un momento a pregar di nuovo: tanto che,
in quel viaggio, ebbe ammazzato in cuor suo don Rodrigo, e
risuscitatolo, almeno venti volte. La strada era allora tutta
sepolta tra due alte rive, fangosa, sassosa, solcata da rotaie
profonde, che. dopo una pioggia, divenivan rigagnoli; e in
"certe parti più basse, s'allargava tutta, che si sarebbe po-
tuto andarci in barca. A que: passi, un piccol sentiero erto,
a scalini, sulla riva, indicava che altri passeggieri s' eran
fatta una strada ne' campi. Renzo, salito per un di que" vali-
chi sul terreno più elevato, vide quella gran macchina del
duomo sola sul piano, come se, non di mezzo a una città,
ma sorgesse in un deserto; e si fermò su due piedi, dimen-
ticando tutti i suoi guai, a contemplare anche da lontano
queir ottava maraviglia, di cui aveva tanto sentito parlare fin
da bambino. Ma dopo qualche momento, voltandosi indietro,
vide all' orizzonte quella cresta frastagliata di montagne, vide
distinto e alto tra quelle il suo Resego?ie, si sentì tutto ri-
mescolare il sangue, stette lì alquanto a guardar tristamente
da quella parte, poi tristamente si voltò, e seguitò la sua
strada. A poco a poco cominciò poi a scoprir campanili e
CAPITOLO XI. 149
torri e cupole e tetti; scese allora nella strada, camminò
ancora qualche tempo, e quando s' accorse d' esser ben vicino
alla città, s' accostò a un viandante, e inchinatolo, con tutto
quel garbo che seppe, gli disse: < di grazia, quel signore.»
"Che volete, bravo giovine?»
«Saprebbe insegnarmi la strada più corta, per andare al
convento de' cappuccini dove sta il padre Bonaventura?»
L' uomo a cui Renzo s' indirizzava, era un agiato abitante
del contorno, che, andato quella mattina a Milano, per certi
suoi affari, se ne tornava, senza aver fatto nulla, in gran
fretta, che non vedeva 1' ora di trovarsi a casa, e avrebbe
fatto volontieri di meno di quella fermata. Con tutto ciò,
senza dar segno d'impazienza, rispose gentilmente: «figliuol
caro, de' conventi ce n' è più d' uno: bisognerebbe che mi
sapeste dir più chiaro quale è quello che voi cercate.» Renzo
allora si levò di seno la lettera del padre Cristoforo, e la
fece vedere a quel signore, il quale, lettovi : porta orientale,
gliela rendette, dicendo: «siete fortunato, bravo giovine: il
convento che cercate è poco lontano di qui. Prendete per
questa viottola a mancina: è una scorciatoia: in pochi minuti
arriverete a una cantonata d" una fabbrica lunga e bassa: è
il lazzaretto; costeggiate il fossato che lo circonda, e riu-
scirete a porta orientale. Entrate, e, dopo tre o quattrocento
passi, vedrete una piazzetta con de5 begli olmi: la è il con-
vento: non potete sbagliare. Dio v'assista, bravo giovine.»
E, accompagnando 1' ultime parole con un gesto grazioso della
mano, se n' andò. Renzo rimase stupefatto e edificato della
buona maniera de' cittadini verso la gente di campagna; e
2ion sapeva eh' era un giorno fuor dell' ordinario, un giorno
in cui le cappe s' inchinavano ai farsetti. Fece la strada che
gli era stata insegnata, e si trovo a porta orientale. Non
bisogna però, che a questo nome, il lettore si lasci correre
alla fantasia 1' immagini che ora vi sono associate. Quando
Renzo entrò per quella porta, la strada al di fuori non an-
dava diritta che per tutta la lunghezza del lazzaretto: poi
scorreva serpeggiante e stretta, tra due siepi. La porta con-
sisteva in due pilastri, con sopra una tettoia, per riparare i
battenti, e da una parte, una casuccia per i gabellini. I ba-
stioni scendevano in pendìo irregolare, e il terreno era una
superficie aspra e inuguale di rottami e di cocci buttati là a
caso. La strada che s' apriva dinanzi a chi entrava per quella
porta, non si paragonerebbe male a quella che ora si pre-
senta a chi entri da porta Tosa. Un fossatello le scorreva
nel mezzo, fino a poca distanza dalla porta, e la divideva così
in due stradette tortuose, ricoperte di polvere o di fanso,
secondo la stagione. Al punto dov* era, e dov' è tuttora quella
viuzza chiamata di Borghetto, il fossatello si perdeva in
150 I PROMESSI SPOSI.
una fogna. Lì e' era una colonna, con sopra una croce, detta
di san Dionigi: a destra e a sinistra, erano orti cinti di
siepe e, ad intervalli, casucce, abitate per lo più da lavandai.
Renzo entra, passa; nessuno de' gabellini gli bada: cosa che
gli parve strana, giacché, da que' pochi del suo paese che
potevan vantarsi d' essere stati a Milano, aveva sentito rac-
contar cose grosse de' frugamenti e dell' interrogazioni a cui
venivan sottoposti quelli che arrivavan dalla campagna. La
strada era deserta, dimodoché, se non avesse sentito un ron-
zìo lontano che indicava un gran movimento, gli sarebbe parso
d' entrare in una città disabitata. Andando avanti, senza
saper cosa si pensare, vide per terra certe strisce bianche e
soffici, come di neve: ma neve non poteva essere, che non
viene a strisce, né, per il solito, in quella stagione. Si chinò
sur una di quelle, guardò, toccò, e trovò eh' era farina. —
— Grand' abbondanza, — disse tra sé, — ci dev' essere in
Milano, se straziano in questa maniera la grazia di Dio. Ci
davan poi ad intendere che la carestia è per tutto. Ecco
come fanno, per tener quieta la povera gente di campagna. —
Ma. dopo pochi altri passi, arrivato a fianco della colonna,
vide, appiè di quella, qualcosa di più strano; vide sugli sca-
lini del piedestallo certe cose sparse, che certamente non eran
ciottoli, e se fossero state sul banco d' un fornaio, non si sa-
rebbe esitato un momento a chiamarli pani. Ma Renzo non
ardiva creder così presto a' suoi occhi; perchè, diamine!
non era luogo da pani quello. — Vediamo un po' che affare
è questo, — disse ancora tra sé; andò verso la colonna, si
chinò, ne raccolse uno: era veramente un pan tondo bian-
chissimo, di quelli che Renzo non era solito mangiarne che
nelle solennità. — È pane davvero! — disse ad alta voce;
tanta era la sua maraviglia: — così lo seminano in questo
paese? in quest' anno? e non si scomodano neppure per rac-
coglierlo, quando cade? Che sia il paese di cuccagna questo?
— Dopo dieci miglia di strada, all' aria fresca della mat-
tina, quel pane, insieme con la maraviglia, gli risvegliò 1' ap-
petito. — Lo piglio? deliberava tra sé: — poh! l'hanno
lasciato qui alla discrezion de' cani: tant' è che ne goda anche
un cristiano. Alla fine, se comparisce il padrone, glielo pa-
gherò. — Così pensando, si mise in una tasca quello che aveva
in mano, ne prese un secondo, e lo mise nelF altra; un terzo,
e cominciò a mangiare; e si rincamminò, più incerto che
mai, e desideroso di chiarirsi che storia fosse quella. Appena
mosso, vide spuntar gente che veniva dall' interno della città,
e guardò attentamente quelli che apparivano i primi. Erano
un uomo, una donna e, qualche passo indietro, un ragazzotto;
tutt' e tre con un carico addosso, che pareva superiore alle
loro forze, e tutt' e tre in una figura strana. I vestiti o
CAPITOLO XI. 151
gli stracci infarinati; infarinati i visi, e di più stravolti e ac-
cesi; e andavano, non solo curvi, per il peso, ma sopra do-
glia, come se gli fossero state peste V ossa. L' uomo reggeva
a stento sulle spalle un gran sacco di farina, il quale, bucato
qua e là, ne seminava un poco, a ogni intoppo, a ogni mossa
disequilibrata. Ma più sconcia era la figura della donna :
un pancione smisurato, che pareva tenuto a fatica da due
braccia piegate: come una pentolaccia a due manichi; e di
sotto a quel pancione uscivan due gambe, nude fin sopra il
ginocchio, che venivano innanzi barcollando. Renzo guardò
più attentamente, e vide che quel gran corpo era la sottana
che la donna teneva per il lembo, con dentro farina quanta
ce ne poteva stare, e un po' di più; dimodoché, quasi a ogni
passo, ne volava via una ventata. Il ragazzotto teneva con
tutt' e due le mani sul capo una paniera colma di pani; ma
per aver le gambe più corte de' suoi genitori, rimaneva a
poco a poco indietro, e, allungando poi il passo ogni tanto,
per raggiungerli, la paniera perdeva l'equilibrio, e qualche
pane cadeva.
«Buttane via ancor un altro, buono a niente che sei,»
disse la madre, digrignando i denti verso il ragazzo.
«Io non li butto via; cascan da sé: com' ho a fare?»
rispose quello.
«Ih! buon per te, che ho le mani impicciate,» riprese la
donna, dimenando i pugni, come se desse una buona scossa
ai povero ragazzo; e, con quel movimento, fece volar via più
farina, di quel che ci sarebbe voluto per farne i due pani
lasciati cadere allora dal ragazzo. «Via, via,» disse l'uomo:
«torneremo indietro a raccoglierli, o qualcheduno li raccoglierà.
Si stenta da tanto tempo: ora che viene un po' d'abbondanza,
godiamola in santa pace.»
Intanto arrivava altra gente dalla porta; e uno di questi,
accostatosi alla donna, le domandò: «dove si va a prendere
il pane?»
«Più avanti,» rispose quella; e quando furon lontani dieci
passi, soggiunse borbottando: «questi contadini birboni ver-
ranno a spazzar tutti i forni e tutti i magazzini, e non re-
sterà più niente per noi.»
«Un po' per uno, tormento che sei,» disse il marito: «ab-
bondanza, abbondanza.»
Da queste e da altrettali cose che vedeva e sentiva, Renzo
cominciò a raccapezzarsi eh' era arrivato in una città sol-
levata, e che quello era un giorno di conquista, vale a dire
che ognuno pigliava, a proporzione della voglia e della forza,
dando busse in pagamento. Per quanto noi desideriamo di
far fare buona figura al nostro povero montanaro, la sincerità
152 I PROMESSI SPOSI.
storica ci obbliga a dire che il suo primo sentimento fu di
piacere. Aveva così poco da lodarsi dell' andamento ordi-
nario delle cose, che si trovava inclinato ad approvare ciò
che lo mutasse in qualunque maniera. E del resto, non es-
sendo punto un uomo superiore al suo secolo, viveva anche
lui in queir opinione o in quella passione comune, che la
scarsezza del pane fosse cagionata dagP incettatori e da' for-
nai; ed era disposto a trovar giusto ogni modo di strappar
loro dalle mani l'alimento che essi, secondo quell'opinione,
negavano crudelmente alla fame di tutto un popolo. Pure,
si propose di star fuor del tumulto, e si rallegrò d' esser
diretto a un cappuccino, che gli troverebbe ricovero, e gli
farebbe da padre. Così pensando, e guardando intanto i
nuovi conquistatori che venivano carichi di preda, fece
quello pò" di strada che gli rimaneva per arrivare al con-
vento.
Dove ora sorge quel bel palazzo, con quell' alto loggiato,
e' era allora, e e' era ancora, non son molt' anni, una piaz-
zetta, e in fondo a quella la chiesa e il convento de' cappuc-
cini, con quattro grand' olmi davanti. Noi ci rallegriamo,
non senza invidia, con que' nostri lettori che nou bau viste
le cose in quello stato: ciò vuol dire che son molto giovani,
e non hanno avuto tempo di far molte corbellerie. Renzo
andò diritto alla porta, si ripose in seno il mezzo pane che
gli rimaneva, levò fuori e tenne preparata la lettera, e tirò il
campanello. S' aprì uno sportellino che aveva una grata, e
vi comparve la faccia del frate portinaio a domandar chi era.
«Uno di campagna, che porta al padre Bonaventura una
lettera pressante del padre Cristoforo.»
«Date qui,» disse il portinaio, mettendo una mano alla
grata.
«No, no,» disse Renzo : «gliela devo consegnare in proprie
mani.»
«Xon è in convento.»
«Mi lasci entrare, che 1' aspetterò.»
«Fate a mio modo.» rispose il frate: «andate a aspet-
tare in chiesa, che intanto potrete fare un po' di bene. In
convento, per adesso, non s' entra.» E detto questo, rin-
chiuse lo sportello. Renzo rimase lì, con la sua lettera in
mano. Fece dieci passi verso la porta della chiesa, per se-
guire il consiglio del portinaio: ma poi pensò di dar prima
un' altra occhiata al tumulto. Attraversò la piazzetta, si portò
sull' orlo della strada, e si fermò, con le braccia incrociate
sul petto, a guardare a sinistra , verso l' interno della città,
dove il brulichìo era più folto e più rumoroso. Il vortice at-
trasse lo spettatore. — Andiamo a vedere, — disse tra sé;
tirò fuori il suo mezzo pane, e sbocconcellando, si mosse
CAPITOLO XII. 153
verso quella parte. Intanto che s'incammina, noi racconte-
remo, più brevemente che sia possibile, le cagioni e il prin-
cipio di quello sconvolgimento.
CAPITOLO XII.
Era quello il second' anno di raccolta scarsa. Neil' ante-
cedente, le provvisioni rimaste degli anni addietro avevan
supplito, fino a un certo segno, al difetto; e la popolazione
era giunta, non satolla né affamata, ma, certo, affatto sprov-
veduta, alla messe del 1628, nel quale siamo con la nostra
storia. Ora, questa messe tanto desiderata riuscì ancor più
misera della precedente, in parte per maggior contrarietà
delle stagioni (e questa non solo nel milanese, ma in un buon
tratto di paese circonvicino); in parte per colpa degli uomini.
Il guasto e lo sperperìo della guerra, di quella bella guerra
di cui abbiam fatto menzione di sopra, era tale, che, nella
parte dello stato più vicina, ad essa, molti poderi più del-
l' ordinario rimanevano incolti e abbandonati da' contadini,
i quali, in vece di procacciar col lavoro pane per sé e per gli
altri, eran costretti d' andare ad accattarlo per carità. Ho
detto: più dell' ordinario; perchè le insopportabili gravezze,
imposte con una cupidigia e con un' insensatezza del pari
sterminate, la condotta abituale, anche in piena pace, delle
truppe alloggiate nei paesi, condotta che i dolorosi documenti
di que' tempi uguagliano a quella d' un nemico invasore, al-
tre cagioni che non è qui il luogo di mentovare, andavano
già da qualche tempo operando lentamente quel tristo effetto
in tutto il milanese: le circostanze particolari di cui ora par-
liamo, erano come una repentina esacerbazione d' un mal
cronico. E quella qualunque raccolta non era ancor finita di
riporre, che le provvisioni per 1' esercito, e lo sciupinìo
che sempre le accompagna, ci fecero dentro un tal voto,
che la penuria si fece subito sentire, e con la penuria quel
suo doloroso, ma salutevole come inevitabile effetto, il rin-
caro.
Ma quando questo arriva a un certo segno, nasce sempre
(o almeno è sempre nata finora; e se ancora, dopo tanti scritti
di valentuomini, pensate in quel tempo!), nasce un' opinione
ne' molti, che non ne sia cagione la scarsezza. Si dimentica
d'averla temuta, predetta; si suppone tutt' a un tratto che
ci sia grano abbastanza, e che il male venga dal non vender-
gene abbastanza, per il consumo : supposizioni che non stanno né
154 I PROMESSI SPOSI.
in cielo, uè in terra; ma che lusingano a un tempo la collera
e la speranza. GÌ" incettatori di grano, reali o immaginari, i
possessori di terre, che non lo vendevano tutto in un giorno,
i fornai che ne compravano, tutti coloro in somma che ne
avessero o poco o assai, o che avessero il nome d' averne, a
questi si dava la colpa della penuria e del rincaro, questi
erano il bersaglio del lamento universale, 1' abbominio della
moltitudine male e ben vestita. Si diceva di sicuro dor erano
i magazzini, i granai, colmi, traboccanti, appuntellati; s' in-
dicava il numero de' sacchi, spropositato; si parlava con cer-
tezza delP immensa quantità di granaglie che veniva spedita
segretamente in altri paesi; ne; quali probabilmente si gri-
dava, con altrettanta sicurezza e con fremito uguale, che le
granaglie di là venivano a Milano. S' imploravan da' magi-
strati que1 provvedimenti, che alla moltitudine paion sempre
o almeno sono sempre parsi finora, così giusti, così semplici,
così atti a far saltar fuori il grano, nascosto, murato, sepolto,
come dicevano, e a far ritornar 1; abbondanza. I magistrati
qualche cosa facevano: come di stabilire il prezzo massimo
d* alcune derrate, d' intimar pene a chi ricusasse di vendere,
e altri editti di quel genere. Siccome però tutti i provvedi-
menti di questo mondo, per quanto siano gagliardi, non hanno
virtù di diminuire il bisogno del cibo, né di far venire der-
rate fuor di stagione; e siccome questi in ispecie non avevan
certamente quella d' attirarne da dove ce ne potesse
di soprabbondanti: così il male durava e cresceva. La mol-
titudine attribuiva un tale effetto alla scarsezza e alla debo-
lezza de' rimedi, e ne sollecitava ad alte grida de? più gene-
rosi e decisivi. E per sua sventura, trovò 1* uomo secondo il
suo cuore.
Xeir assenza del governatore don Gonzalo Fernandez de
Cordova, che comandava 1' assedio di Casale del Monferrato,
faceva le sue veci in Milano il gran cancelliere Antonio Fer-
rer, pure spagnolo. Costui vide, e chi non 1' avrebbe veduto?
che 1' essere il pane a un prezzo giusto, è per sé una cosa
molto desiderabile: e pensò, e qui fu lo sbaglio, che un suo
ordine potesse bastare a produrla. Fissò la meta (così chia-
mano qui la tariffa in materia di commestibili), fissò la meta
del pane al prezzo che sarebbe stato il giusto, se il grano si
fosse comunemente venduto trentatre lire il moggio: e si ven-
deva fino a ottanta. Fece come una donna stata giovine,
che pensasse di ringiovinire , alterando la sua fede di bat-
tesimo.
Ordini meno insensati e meno iniqui eran, più d'una volta,
per la resistenza delle cose stesse, rimasti ineseguiti; ma
all' esecuzione di questo vegliava la moltitudine, che, vedendo
finalmente convertito in legge il suo desiderio, non avrebbe
CAPITOLO XII. 155
sofferto che fosse per celia. Accorse subito ai forni, a chie-
der pane al prezzo tassato ; e lo chiese con quel fare di riso-
lutezza e di minaccia, che danno la passione, la forza e la
legge riunite insieme. Se i fornai strillassero, non lo doman-
date. Intridere, dimenare, infornare e sfornare senza posa;
perchè il popolo, sentendo in confuso, che V era una cosa
violenta, assediava i forni di continuo, per goder quella cuc-
cagna fin che durava; affacchinarsi, dico, e scalmanarsi più
del solito, per iscapitarci, ognun vede che bel piacere dovesse
essere. Ma, da una parte i magistrati che intimavan pene,
dall' altra il popolo che voleva esser servito, e, punto punto
che qualche fornaio indugiasse, pressava e brontolava, con
quel suo vocione, e minacciava una di quelle sue giustizie,
che sono delle peggio che si facciano in questo mondo ; non
e' era redenzione, bisognava rimenare, infornare, sfornare e
vendere. Però, a fargli continuare in queir impresa, non ba-
stava che fosse lor comandato, né che avessero molta paura;
bisognava potere: e un po' più che la cosa fosse durata, non
avrebbero più potuto. Facevan vedere ai magistrati l' ini-
quità e V insopportabilità del carico imposto loro, protesta-
vano di voler gettar la pala nel forno, e andarsene; e intanto
tiravano avanti come potevano, sperando, sperando che, una
volta o 1' altra, il gran cancelliere avrebbe inteso la ragione.
Ma Antonio Ferrer, il quale era quel che ora si direbbe un
uomo di carattere, rispondeva che i fornai s' erano avvantag-
giati molto e poi molto nel passato, che s' avvantaggerebbero
molto e poi molto col ritornar dell' abbondanza; che anche si
vedrebbe, si penserebbe forse a dar loro qualche risarcimento;
e che intanto tirassero ancora avanti. 0 fosse veramente
persuaso lui di queste ragioni che allegava agli altri, o che,
anche conoscendo dagli effetti l' impossibilità di mantener
quel suo editto, volesse lasciare agli altri 1' odiosità di rivo-
carlo; giacché, chi può ora entrar nel cervello d' Antonio
Ferrer? il fatto sta che rimase fermo su ciò che aveva sta-
bilito. Finalmente i decurioni (un magistrato municipale
composto di nobili, che durò fino al novantasei del secolo
scorso) informaron per lettera il governatore, dello stato in
cui eran le cose: trovasse lui qualche ripiego, che le facesse
andare.
Don Gonzalo, ingolfato fin sopra i capelli nelle faccende
della guerra, fece ciò che il lettore s' immagina certamente :
nominò una giunta, alla quale conferì 1' autorità di stabilire
al pane un prezzo che potesse correre; una cosa da poterci
campar tanto una parte che 1' altra. I deputati si radunarono,
o come si diceva spagnolescamente nel gergo segretariesco
d' allora, si giuntarono; e dopo mille riverenze, compli-
menti, preamboli, sospiri, sospensioni, proposizioni in aria,
15fc> I PEOMESSI SPOSI.
tergiversazioni, strascinati tutti verso una deliberazione da
una necessità sentita da tutti, sapendo che giocavano una
gran carta, convinti che non e' era da far altro, conclusero
di rincarare il pane. I fornai respirarono; ma il popolo im-
bestialì.
La sera avanti questo giorno in cui Renzo arrivò in Mi-
lano, le strade e le piazze brulicavano d' uomini, che traspor-
tati da una rabbia comune, predominati da un pensiero co-
mune, conoscenti o estranei, si riunivano in crocchi, senza
essersi dati V intesa, quasi senza avvedersene, come gocciole
sparse sullo stesso pendìo. Ogni discorso accresceva la per-
suasione e la passione degli uditori, come di colui che l'aveva
proferito. Tra tanti appassionati, e' eran pure alcuni, più di
sangue freddo, i quali stavano osservando con molto piacere»
che 1' acqua s' andava intorbidando : e s' ingegnavano d' in-
torbidarla di più, con que' ragionamenti, e con quelle storie
che i furbi sanno comporre e che gli animi alterati sanno
credere; e si proponevano di non lasciarla posare, quell' ac-
qua, senza farci un po' di pesca. Migliaia d' uomini anda-
rono a letto con sentimento indeterminato che qualche cosa
bisognava fare, che qualche cosa si farebbe. Avanti giorno,
le strade eran di nuovo sparse di crocchi; fanciulli, donne,
uomini, vecchi, operai, poveri, si radunavano a sorte: qui era
un bisbiglio confuso di molte voci; là uno predicava, e gli al-
tri applaudivano: questo faceva al più vicino la stessa domanda
eh' era allora stata fatta a lui ; quest' altro ripeteva 1' escla-
mazione che s' era sentita risuonare agli orecchi; per tutto
lamenti, minacce, maraviglie: un picco! numero di vocaboli
era il materiale di tanti discorsi.
Non mancava altro che un' occasione, una spinta, un av-
viamento qualunque, per ridurre le parole a fatti; e non tardò
molto. Uscivano, sul far del giorno, dalle botteghe de' fornai
i garzoni che, con una gerla carica di pane, andavano a
portarne alle solite case. 11 primo comparire d' uno di
que' malcapitati ragazzi dov' era un crocchio di gente, fu
come il cadere d' un salterello acceso in una polveriera.
«Ecco se e' è il pane!» gridarono cento voci insieme. «Sì»
per i tiranni, che notano nell' abbondanza, e voglion far mo-
rire noi di fame,» dice uno; s'accosta al ragazzetto, avventa
la mano all' orlo della gerla, dà una stratta, e dice: «lascia
vedere.» 11 ragazzetto diventa rosso, pallido, trema, vorrebbe
dire: lasciatemi andare; ma la parola gli muore in bocca,
allenta le braccia, e cerca di liberarle in fretta dalle cigne
«Giù quella gerla,» si grida intanto. Molte mani 1' afferrano
a un tempo; è in terra; si butta per aria il canovaccio che
la copre: una tepida fragranza si diffonde all' intorno. «Siam
cristiani anche noi: dobbiamo mangiar pane anche noi,» dice
CAPITOLO XII. 157
il primo; prende un pan tondo, l'alza, facendolo veder alla
folla, 1' addenta: mani alla gerla, pani per aria; in men che
non si dice, fu sparecchiato. Coloro a cui non era toccato
nulla, irritati alla vista del guadagno altrui, e animati dalla
facilità dell' impresa, si mossero a branchi, in cerca d' altre
gerle: quante incontrate, tante svaligiate. E non e' era nep-
pur bisogno di dar l'assalto ai portatori: quelli che, per loro
disgrazia, si trovavano in giro, visto la mala parata, posavano
volontariamente il carico, e via a gambe. Con tutto ciò, co-
loro che rimanevano a denti secchi, erano senza paragone i
più; anche i conquistatori non eran soddisfatti di prede così
piccole, e mescolati poi con gli uni e con gli altri, e' eran
coloro che avevan fatto disegno sopra un disordine più co' fioc-
chi. «Al forno! al forno!» si grida.
Nella strada chiamata la Corsia de' Servi, c'era, e e' è
tuttavia un forno, che conserva lo stesso nome, nome che
in toscano viene a dire il forno delle grucce, e in milanese
è composto di parole così eteroclite, così bisbetiche, così sal-
vatiche, che 1' alfabeto della lingua non ha i segni per in-
dicarne il suono*). A quella parte s'avventò la gente. Quelli
della bottega stavano interrogando il garzone tornato scarico,
il quale, tutto sbigottito e abbaruffato, riferiva balbettando
la sua trista avventura: quando si sente un calpestìo e un
urlìo insieme; cresce e s'avvicina; compariscono i forieri della
masnada.
Serra, serra; presto, presto: uno corre a chiedere aiuto
al capitano di giustizia; gli altri chiudono in fretta la bot-
tega, e appuntellano i battenti. La gente comincia a affol-
larsi di fuori, e a gridare: «pane! pane! aprite! aprite!»
Pochi momenti dopo, arriva il capitano di giustizia, con
una scorta d' alabardieri. «Largo , largo , figliuoli : a casa,
a casa; fate luogo al capitano di giustizia,» grida lui e
gli alabardieri. La gente, che non era ancor troppo fitta, fa
un po' di luogo; dimodoché quelli poterono arrivare e po-
starsi, insieme, se non in ordine, davanti alla porta della
bottega.
«Ma figliuoli,» predicava di lì il capitano, «che fate
qui? A casa, a casa. Dov' è il timor di Dio? Che dirà il
re nostro signore? Non vogliano farvi male; ma andate a
casa. Da bravi! Che diamine volete far qui, così ammon-
tati? Niente di bene, né per 1' anima, né per il corpo. A
casa, a casa.»
Ma quelli che vedevan la faccia del dicitore, e sentivan
le sue parole, quand' anche avessero voluto ubbidire, dite
un poco in che maniera avrebber potuto, spinti coni' erano,
*) El prestiti di scansc.
158 I PKOMESSI SPOSI.
e incalzati da quelli di dietro, spinti anch' essi da altri,
come flutti da flutti, via via fino all'estremità della folla,
che andava sempre crescendo. Al capitano, cominciava a
mancargli il respiro. «Fateli dare addietro eh' io possa ri-
prender fiato,» diceva agli alabardieri: «ma non fate male a
nessuno. Vediamo d'entrare in bottega: picchiate: fateli
stare indietro.»
«Indietro! indietro!» gridano gli alabardieri, buttandosi
tutti insieme addosso ai primi, e respingendoli con P aste del-
l'alabarde. Quelli urlano, si tirano indietro, come possono;
danno con le schiene ne' petti, co' gomiti nelle pance, co' cal-
cagni sulle punte de' piedi a quelli che son dietro a loro: si
fa un pigìo, una calca, che quelli che si trovano in mezzo,
avrebbero pagato qualcosa a essere altrove. Intanto un po' di
vóto s' è fatto davanti alla porta: il capitano picchia, ripic-
chia, urla che gli aprano: quelli di dentro vedono dalle fine-
stre, scendon di corsa, aprono; il capitano entra, chiama gli
alabardieri, che si ficcan dentro anch' essi 1' un dopo V altro,
gli ultimi rattenendo la folla con 1' alabarde. Quando sono
entrati tutti, si mette tanto di catenaccio, si riappuntella; il
capitano sale di corsa, e s'affaccia a una finestra. Uh, che
formicolaio!
«Figliuoli,» grida: molti si voltano in su; «figliuoli, an-
date a casa. Perdono generale a chi torna subito a casa.»
«Pane! pane! aprite! aprite!» eran le parole più distinte
nell' urlìo orrendo, che la folla mandava in risposta.
«Giudizio, figliuoli! badate bene! siete ancora a tempo.
Via, andate, tornate a casa. Pane, ne avrete; ma non è que-
sta la maniera. Eh!.... eh! che fate laggiù! Eh! a quella
porta! Oibò oibò! Vedo, vedo: giudizio! badate bene! è un
delitto grosso. Or ora vengo io. Eh! eh! smettete con que'
ferri: giù quelle mani. Vergogna! Voi altri milanesi, che,
per la bontà, siete nominati in tutto il mondo! Sentite, sen-
tite: siete sempre stati buoni fi... . Ah canaglia!»
Questa rapida mutazione di stile fu cagionata da una pie-
tra che, uscita dalle mani d' uno di que' buoni figliuoli, venne
a batter nella fronte del capitano, sulla protuberanza sinistra
della profondità metafisica. «Canaglia! canaglia!» continuava
a gridare, chiudendo presto presto la finestra, e ritirandosi.
Ma quantunque avesse gridato quanto n' aveva in canna, le
sue parole, buone e cattive, s' eran tutte dileguate e disfatte
a mezz' aria, nella tempesta delle grida che venivan di giù.
Quello poi che diceva di vedere, era un gran lavorare di pie-
tre, di ferri (i primi che coloro avevano potuto procacciarsi
per la strada), che si faceva alla porta, per sfondarla, e alle
finestre, per svellere l'inferriate: e già l'opera era molto
avanzata
CAPITOLO XII. 159
Intanto, padroni e garzoni della bottega, eh' erano ^ alle
finestre de' piani di sopra, con una munizione di pietre
(avranno probabilmente disselciato un cortile), urlavano e fa-
cevan versacci a quelli di giù, perchè smettessero; facevan
vedere le pietre, accennavano di volerle buttare. Visto
eh' era tempo perso, cominciarono a buttarle davvero. Nep-
pur una ne cadeva in fallo; giacché la calca era tale che un
granello di miglio, come si suol dire, non sarebbe andato in
terra.
cAh birboni! ah furfantoni! È questo il pane che date
alla povera gente? Ahi! Ahimè! Ohi! Ora, ora!» s'ur-
lava di giù. Più d' uno fu conciato male; due ragazzi vi ri-
masero morti. Il furore accrebbe le forze della moltitudine:
la porta fu sfondata, 1' inferriate svelte ; e il torrente pene-
trò per tutti i varchi. Quelli di dentro, vedendo la mala pa-
rata, scapparono in soffitta: il capitano, gli alabardieri, e al-
cuni della casa stettero lì rannicchiati ne' cantucci: altri,
uscendo per gli abbaini, andavano su pe' tetti, come i gatti.
La vista della preda fece dimenticare ai vincitori i disegni
di vendette sanguinose. Si slanciano ai cassoni; il pane è
messo a ruba. Qualcheduno invece corre al banco, butta giù
la serratura, agguanta le ciotole, piglia a manate, intasca, ed
esce carico di quattrini, per tornar poi a rubar pane, se ne
rimarrà. La folla si sparge ne' magazzini. Metton mano ai
sacchi, li strascicano, li rovesciano: chi se ne caccia uno
tra le gambe, gli scioglie la bocca, e per ridurlo a un
carico da potersi portare, butta via una parte della fa-
rina: chi, gridando: «aspetta, aspetta,» si china a parare il
grembiule, un fazzoletto, il cappello, per ricever quella grazia
di Dio; uno corre a una madia, e prende un pezzo di pasta,
che s' allunga, e gli scappa da ogni parte ; un altro, che ha
conquistato un burattello, lo porta per aria: chi va, chi viene:
uomini, donne, fanciulli, spinte, respinte, urli, e un bianco
polverìo che per tutto si posa, per tutto si solleva, e tutto
vela e annebbia. Di fuori una calca composta di due pro-
cessioni opposte, che si rompono e s' intralciano a vicenda,
di chi esce con la preda, e di chi vuol entrare a farne.
Mentre quel forno veniva così messo sottosopra, nessun
altro della città era quieto e senza pericolo. Ma a nessuno
la gente accorse in numero tale da potere intraprender tutto;
in alcuni i padroni avevan raccolto degli ausiliari, e stavan
sulle difese; altrove, trovandosi in pochi, venivano in certo
modo a patti: distribuivan pane a quelli che s' eran comin-
ciati a affollare davanti alle botteghe, con questo che se
n'andassero. E quelli se n'andavano, non tanto perchè fos-
ser soddisfatti, quanto perchè gli alabardieri e la sbirraglia,
stando alla larga da quel tremendo forno delle grucce, si fa-
160 I PROMESSI SPOSI.
cevau però vedere altrove, in forza bastante a tenere in ri-
spetto i tristi che non fossero una folla. Così il trambusto
andava sempre crescendo a quel primo disgraziato forno; per-
chè tutti coloro che gli pizzicavan le mani di far qualche
bell'impresa, correvan là, dove gli amici erano i più forti, e
l' impunità sicura.
A questo punto eran le cose, quando Renzo, avendo or-
mai sgranocchiato il suo pane, veniva avanti per il borgo di
porta orientale, e s'avviava, senza saperlo, proprio al luogo
centrale del tumulto. Andava, ora lesto, ora ritardato dalla
folla: e andando, guardava e stava in orecchi, per ricavar da
quel ronzìo confuso di discorsi qualche notizia più positiva
dello stato delle cose. Ed ecco a un di presso le parole che
gli riuscì di rilevare in tutta la strada che fece.
«Ora è scoperta, >; gridava uno, «l'impostura infame
di que' birboni, che dicevano che non e' era né pane, né fa-
rina, né grano. Ora si vede la cosa chiara e lampante: e
non ce la potranno più dare ad intendere. Viva V abbon-
danza!»
«Vi dico io che tutto questo non serve a nulla,» diceva
un altro; «è un buco nell' acqua: anzi sarà peggio se non
si fa una buona giustizia. Il pane verrà a buon mercato, ma
ci metteranno il veleno, per far morir la povera gente, come
mosche. Già lo dicono che siam troppi; V hanno detto nella
giunta ; e lo so di certo, per averlo sentito dir io, con quest" orec-
chi, da una mia comare che è amica d' un parente d' uno
sguattero d' uno di que' signori.»
Parole da non ripetersi diceva, con la schiuma alla bocca,
un altro, che teneva con una mano un cencio di fazzoletto
su' capelli arruffati e insanguinati. E qualche vicino come
per consolarlo gli faceva eco.
«Largo, largo, signori, in cortesia; lascin passare un po-
vero padre di famiglia, che porta da mangiare a cinque
figliuoli.» Così diceva uno che veniva barcollando sotto un
gran sacco di farina; e ognuno s' ingegnava di ritirarsi, per
fargli largo.
«Io,» diceva un altro, quasi sottovoce, a un suo com-
pagno: (do me la batto. Son uomo di mondo, e so come
vanno queste cose. Questi merlotti che fanno ora tanto fra-
casso, domani o doman 1' altro, se ne staranno in casa, tutti
pieni di paura. Ho già visti certi visi, certi galantuomini
che giran facendo l'indiano, e notano chi e' è e chi non c'è:
quando poi tutto è finito, si raccolgono i conti, e a chi tocca,
tocca.»
«Quello che protegge i fornai,» gridava una voce sonora,
che attirò P attenzione di Renzo, «è il vicario di prov-
visione.»
CAPITOLO XII. 161
«Son tutti birboni," diceva un vicino.
wSì; ma il capo è lui,» replicava il primo.
Il vicario di provvisione, eletto ogn' anno dal governatore
tra sei nobili proposti dal consiglio de' decurioni, era il pre-
sidente di questo, e del tribunale di provvisione; il quale, com-
posto di dodici, anche questi nobili, aveva con altre attribu-
zioni, quella principalmente dell'annona. Chi occupava un
tal posto doveva necessariamente, in tempi di fame e d' igno-
ranza, esser detto l'autore de' mali: meno che non avesse
fatto ciò che fece Ferrer; cosa che non era nelle sue facoltà,
se anche fosse stata nelle sue idee.
«Scellerati!» esclamava un altro: «si può far di peggio?
sono arrivati a dire che il gran cancelliere è un vecchio rim-
bambito, per levar il credito, e comandar loro soli; bisogne-
rebbe fare una grande stia, e mettergli dentro, a viver di vecce
e di loglio, come volevano trattar noi. »
«Pane eh?» diceva uno che cercava d'andar in fretta:
«sassate di libbra: pietre di questa fatta, che venivan giù
come la grandine. E che schiacciata di costole! Non vedo
l'ora d'essere a casa mia.»
Tra questi discorsi, dei quali non saprei dire se fosse più
informato o sbalordito, e tra gli urtoni, arrivò Renzo final-
mente davanti a quel forno. La gente era già molto diradata,
dimodoché potè contemplare il brutto e recente soqquadro.
Le mura scalcinate e ammaccate da sassi, da mattoni, le fine-
stre sgangherate, diroccata la porta.
— Questa poi non è una bella cosa, — disse Renzo tra
sé: — se concian così tutti i forni, dove voglion fare il pane?
Ne' pozzi? —
Ogni tanto, usciva dalla bottega qualcheduno che portava
un pezzo di cassone, o di madia, o di frullone, la stanga d' una
gramola, una panca, una paniera, un libro di conti, qualche
cosa in somma di quel povero forno; e gridando: «largo,
largo» passava tra la gente. Tutti questi s'incamminavano
dalla stessa parte, e a un luogo convenuto, si vedeva. — Cos' è
quest'altra storia? — pensò di nuovo Renzo; e andò dietro
a uno che, fatto un fascio d'asse spezzate e di schegge, se
lo mise in ispalla, avviandosi, come gli altri, per la strada
che costeggia il fianco settentrionale del duomo, e ha preso
nome dagli scalini che e' erano, e da poco in qua non ci sou
più. La voglia d' osservar gli avvenimenti non potè fare che
il montanaro, quando gli si scoprì davanti la gran mole, non
si soffermasse a guardare in su, con la bocca aperta. Studiò
poi il passo, per raggiunger colui che aveva preso come per
guida; voltò il canto, diede un'occhiata anche alla facciata
del duomo, rustica allora in gran parte e ben lontana dal
compimento; e sempre dietro a colui, che andava verso il
Manzoni. 11
162 I PROMESSI SPOSI.
mezzo delia piazza. La gente era più fitta quanto più s' an-
dava avanti, ma al portatore gli si taceva largo: egli fendeva
l'onda del popolo, e Renzo, standogli sempre attaccato, ar-
rivò con lui al centro della folla. Lì c: era uno spazio vóto,
e in mezzo, un mucchio di brace, reliquie degli attrezzi detti
di sopra. All' intorno era un batter di mani e di piedi , un
frastono di mille grida di trionfo e d' imprecazione.
L' uomo del fascio lo buttò su quel mucchio ; un altro con
un mozzicone di pala mezzo abbruciacchiato, sbracia il fuoco :
il fumo cresce e s'addensa: la fiamma si ridesta; con essa
le grida sorgon più forti. «Viva l' abbondanza! Muoiano
gli affamatomi Muoia la carestia! Crepi la provvisione!
Crepi la giunta! Viva il pane!<>
Veramente, la distruzion de' frulloni e delle madie, la de-
vastazion de' forni, e io scompiglio de' fornai, non sono i
mezzi più spicci per far vivere il pane: ma questa è una di
quelle sottigliezze metafisiche , che una moltitudine non ci
arriva. Però, senza esser un gran metafisico, un uomo ci
arriva talvolta alla prima, finch' è nuovo nella questione; e
solo a forza di parlarne, e di sentirne parlare, diventerà in-
abile anche a intenderle. A Renzo in fatti quel pensiero gli
era venuto da principio, e gli tornava, come abbiam visto,
ogni momento. Lo tenne per altro in sé; perchè, di tanti
visi, non ce n' era uno che sembrasse dire: fratello, se
fallo, correggimi, che 1' avrò caro.
Già era di nuovo finita la fiamma: non si vedeva più ve-
nir nessuno con altra materia, e la gente cominciava a an-
noiarsi: quando si sparse la voce, che, al Cordusio (una piaz-
zetta o un crocicchio non molto distante di li), s' era messo
P assedio a un forno. Spesso, in simili circostanze, 1" annun-
zio d' una cosa la fa essere. Insieme con quella voce, si diffuse
nella moltitudine una voglia di correr là: «io vo; tu vai?
vengo; andiamo,» si sentiva per tutto: la calca si rompe, e
diventa una processione. Renzo rimaneva indietro, non mo-
vendosi quasi, se non quanto era strascinato dal torrente; e
teneva intanto consiglio in cuor suo, se dovesse uscir dal bac-
cano, e ritornare al convento in cerca del padre Bonaventura,
o andare a vedere anche quesr altra. Prevalse di nuovo la
curiosità. Però risolvette di non cacciarsi nel fitto della mi-
schia, a farsi ammaccar P ossa, o a risicar qualcosa di peg-
gio; ma di tenersi in qualche distanza, a osservare. E tro-
vandosi già un poco al largo, si levò di tasca il secondo pane,
attaccandoci un morso, s' avviò alla coda dell" esercito tu-
multuoso.
Questo, dalla piazza, era già entrato nella strada corta e
stretta di Peschiera vecchia, e di là per queir arco a sbieco,
nella piazza de' Mercanti. £ lì eran ben pochi quelli che,
CAPITOLO XII. 1G3
nel passar davanti alla nicchia che taglia il mezzo della log-
gia dell' edilizio chiamato allora il collegio de' dottori, non
dessero un' occhiatina alla grande statua che vi campeggiava,
a quel viso serio, burbero, accipigliato, e non dico abbastanza,
di don Filippo II, che, anche dal marmo, imponeva un non
so che di rispetto, e, con quel braccio teso, pareva che fosse
lì per dire: ora vengo io, marmaglia.
Quella statua non e' è più, per un caso singolare. Circa
centosettant' anni dopo quello che stiam raccontando, un
giorno le fu cambiata la testa, le fu levato di mano lo scet-
tro, e sostituito a questo un pugnale; e alla statua fu messo
nome Marco Bruto. Così accomodata stette forse un par
d' anni; ma, una mattina, certuni che non avevan simpatia con
Marco Bruto, anzi dovevano avere con lui una ruggine segreta,
gettarono una fune intorno alla statua, la tiraron giù, le
fecero cento angherie; e, mutilata e ridotta a un torso in-
forme, la strascinarono, con gli occhi in fuori, e con le lingue
fuori, per le strade, e quando furono stracchi bene, la ruzzo-
larono non so dove. Chi 1' avesse detto a Andrea Biffi, quando
la scolpiva!
Dalla piazza de' Mercanti, la marmaglia insaccò, per quel-
1' altr' arco, nella via de' Fustagnai, e di lì si sparpagliò
nel Cordusio. Ognuno, al primo sboccarvi, guardava subito
verso il forno eh' era stato indicato. Ma in vece della molti-
tudine d' amici che s' aspettavano di trovar lì già al lavoro,
videro soltanto alcuni starsene, come esitando, a qualche di-
stanza della bottega, la quale era chiusa, e alle finestre gente
armata, in atto di star pronti a difendersi. A quella vista chi
si maravigliava, chi sagrava, chi rideva: chi si voltava, per
informar quelli che arrivavan via via; chi si fermava, chi vo-
leva tornare indietro, chi diceva: «avanti, avanti.» C era
un incalzare e un rattenere, come un ristagno, una titubazione,
un ronzìo confuso di contrasti e di consulte. In questa, scop-
piò di mezzo alla folla una maledetta voce: «e' è qui vicino
la casa del vicario di provvisione: andiamo a far giustizia, e
a dare il sacco. « Parve il rammentarsi comune d' un con-
certo preso, piuttosto che l' accettazione d' una proposta.
«Dal vicario! dal vicario!» è il solo grido che si possa sen-
tire. La turba si move, tutta insieme, verso la strada dov' era
la casa nominata in un così cattivo punto.
lì*
164 I PROMESSI SPOSI.
CAPITOLO XIII.
Lo sventurato vicario stava, in quel momento, facendo un
chilo agro e stentato d' un desinare biascicato senza appetito,
e senza pan fresco; e attendeva con gran sospensione, come
avesse a finire quella burrasca, lontano però dal sospettare,
che dovesse cader così spaventosamente addosso a lui. Qual-
che galantuomo precorse di galoppo la folla, per avvertirlo
di quel che gli sovrastava. I servitori, attirati già dal rumore
sulla porta, guardavano sgomentati lungo la strada, dalla
parte donde il rumore veniva avvicinandosi. Mentre ascolta n
1' avviso, vedon comparire la vanguardia: in fretta e in fu-
ria, si porta l'avviso al padrone: mentre questo pensa a fug-
gire, e come fuggire, un altro viene a dirgli che non è più a
tempo. I servitori ne hanno appena tanto che basti per chiu-
der la porta. Metton la stanga, metton puntelli, corrono a chiu-
der le finestre, come quando si vede venire avanti un tempo
nero, e s' aspetta la grandine, da un momento all' altro. L1 ur-
lìo crescente, scendendo dall'alto come un tuono, rimbomba
nel vóto cortile; ogni buco della casa ne rintrona: e di mezzo
al vasto e confuso strepito, si senton forti e fitti colpi di pie-
tre alla porta.
«Il vicario! Il tiranno! L' affamatore! Lo vogliamo! vivo
o morto!»
Il meschino girava di stanza in stanza, pallido, senza fiato,
battendo palma a palma, raccomandandosi a Dio, e a' suoi
servitori che tenessero fermo, che trovassero la maniera di
farlo scappare. Ma come, e di dove? Salì in soffitta; da un
pertugio, guardò ansiosamente nella strada; e la vide piena
zeppa di furibondi; sentì le voci che chiedevan la sua morte;
e più smarrito che mai si ritirò e andò a cercare il più si-
curo e riposto nascondiglio. Lì rannicchiato, stava attento
attento, se mai il funesto rumore s' affievolisse, se il tumulto
s' acquietasse un poco ; ma sentendo in vece il muggito al-
zarsi più feroce e più rumoroso, e raddoppiare i picchi, preso
da un nuovo soprassalto al cuore , si turava gli orecchi in
fretta. Poi, come fuori di sé, stringendo i denti, e raggrin-
zando il viso, stendeva le braccia, e puntava i pugni, come se
volesse tener ferma la porta Del resto, quel che facesse
precisamente non si può sapere, giacché era solo; e la storia
è costretta a indovinare. Fortuna che e' è avvezza.
Renzo, questa volta, si trovava nel forte del tumulto, non
già portatovi dalla piena, ma cacciatovisi deliberatamente.
A quella prima proposta di sangue, aveva sentito il suo ri-
mescolarsi tutto: in quanto al saccheggio, non avrebbe saputo
CAPITOLO XIII. 165
dire se fosse bene o male in quel caso; ma l'idea dell' omi-
cìdio gli cagionò un orrore pretto e immediato. E, quantun-
que, per quella funesta docilità degli animi appassionati al-
l' affermare appassionato di molti, fosse persuasissimo che il
vicario era la cagion principale della fame, il nemico de' po-
veri, pure, avendo, al primo moversi della turba, sentita a
caso qualche parola che indicava la volontà di fare ogni sforzo
per salvarlo, s' era subito proposto d' aiutare anche lui
un' opera tale ; e, con quest' intenzione, s' era cacciato quasi
fino a quella porta, che veniva travagliata in cento modi. Chi
con ciottoli picchiava su' chiodi della serratura, per isconfic-
caria; altri con pali e scarpelli e martelli, cercavano di lavo-
rar più in regola: altri poi, con pietre, con coltelli spuntati,
con chiodi, con bastoni, con l'unghie, non avendo altro, scal-
cinavano il muro, e s' ingegnavano di levare i mattoni, e fare
una breccia. Quelli che non potevano aiutare, facevan corag-
gio con gli urli; ma nello stesso tempo con lo star lì a pi-
giare, impicciavan di più il lavoro già impicciato dalla gara
disordinata de' lavoranti: giacché per grazia del cielo, accade
talvolta anche nel male quella cosa troppo frequente nel benet
che i fautori più ardenti divengono un impedimento.
I magistrati eh' ebbero i primi V avviso di quel che acca-
deva, spediron subito a chieder soccorso al comandante del
castello, che allora si diceva di porta Giovia; il quale mandò
alcuni soldati. Ma, tra l'avviso, e l'ordine, e il radunarsi,
e il mettersi in cammino, e il cammino, essi arrivaron che la
casa era già cinta di vasto assedio; e fecero alto lontano da
quella, all' estremità della folla. L' ufiziale che li comandava,
non sapeva che partito prendere. Lì non era altro che una,
lasciatemi dire, accozzaglia di gente varia d' età e di sesso,
che stava a vedere. All' intimazioni che gli venivan fatte, di
sbandarsi, e di dar luogo, rispondevano con un cupo e lungo
mormorio; nessuno si moveva. Far fuoco sopra quella ciur-
ma, pareva all' ufiziale cosa non solo crudele, ma piena di
pericolo; cosa che, offendendo i meno terribili, avrebbe irri-
tato i molti violenti: e del resto, non aveva una tale istruzione.
Aprire quella prima folla, rovesciarla a destra e a sinistra, e
andare avanti a portar la guerra a chi la faceva, sarebbe
stata la meglio; ma riuscirvi, lì stava il punto. Chi sapeva
se i soldati avrebber potuto avanzarsi uniti e ordinati? Che
se, invece di romper la folla, si fossero sparpagliati loro tra
quella, si sarebber trovati a sua discrezione, dopo averla aiz-
zata. L'irresolutezza del comandante e l'immobilità de' sol-
dati parve, a diritto o a torto, paura. La gente che si tro-
vavan vicino a loro, si contentavano di guardargli in viso, con
un'aria come si dice, di me n'impipo; quelli ch'erano un
po' più lontani, non se ne stavano di provocarli, con visacci
1(36 I PROMESSI SPOSI.
e con grida di scherno: più in là. pochi sapevano o si cura-
vano che ci fossero; i guastatori seguitavano a smurare, sen-
z'altro pensiero che di riuscir presto nell'impresa; gii spet-
tatori non cessavano d' animarla con gli urli.
Spiccava tra questi, ed era lui stesso spettacolo, un vec-
chio mal vissuto, che, spalancando due occhi affossati e info-
cati, contraendo le grinze a un sogghigno di compiacenza dia-
bolica, con le mani alzate sopra una canizie vituperosa, agi-
tava in aria un martello, una corda, quattro gran chiodi, con
che diceva di volere attaccare il vicario a un battente della
sua porta, ammazzato che fosse.
«Oibò! vergogna!» scappò fuori Renzo, inorridito a quelle
parole, alla vista di tant' altri visi che davan segno d' appro-
varle, e incoraggito dal vederne degli altri, sui quali, benché
muti, traspariva lo stesso orrore del quale era compreso lui.
«Vergogna! Vogliam noi rubare il mestiere al boia? assassi-
nare un cristiano? Come volete che Dio ci dia del pane, se
facciamo di queste atrocità? Ci manderà de' fulmini, e non
del pane!»)
«Ah cane! ah traditor della patria!)) gridò voltandosi a
Renzo, con un viso da indemoniato, un di coloro che avevan
potuto sentire tra il frastono quelle sante parole. «Aspetta,
aspetta! È un servitore del vicario, travestito da contadino;
è una spia: dalli, dalli!» Cento voci si spargono all'intorno.
«Cos'è? dov'è? chi è? Un servitore del vicario. Una spia.
Il vicario travestito da contadino, che scappa. Dov'è? dov' è?
dalli, dalli!»
Renzo ammutolisce, diventa piccino piccino, vorrebbe spa-
rire; alcuni suoi vicini lo prendono in mezzo; e con alte e
diverse grida cercano di confondere quelle voci nemiche e
omicide. Ma ciò che più di tutto lo servì fu un «largo, lar-
go,» che si sentì gridar lì vicino : «largo ! è qui 1' aiuto : lar-
go! ohe!»
Cos' era? Era una lunga scala a mano, che alcuni porta-
vano per appoggiarla alla casa, e entrarci da una finestra.
Ma per buona sorte, quel mezzo, che avrebbe resa la cosa
facile, non era facile esso a mettere in opera. I portatori, al-
l' una e all' altra cima, e di qua e di là della macchina, ur-
tati, scompigliati, divisi dalla calca, andavano a onde: uno,
con la testa tra due scalini e gli staggi sulle spalle, oppresso
come sotto un giogo scosso, mugghiava; un altro veniva stac-
cato dal carico, con una spinta; la scala abbandonata picchiava
spalle, braccia, costole; pensate cosa dovevan dire coloro
de' quali erano. Altri sollevano con le mani il peso morto,
vi si caccian sotto, se lo mettono addosso, gridando: «animo!
andiamo!» La macchina fatale s' avanza balzelloni, e ser-
peggiando. Arrivò a tempo a distrarre e a disordinare i ne-
CAPITOLO XIII. 167
mici di Renzo, il quale profittò della confusione nata nella
confusione; e, quatto quatto sul principio, poi giocando di go-
mita a più non posso, s' allontanò da quel luogo , dove non
e' era buon' aria per lui, con V intenzione anche d: uscire,
più presto che potesse, dal tumulto, e d' andar davvero a tro-
vare o aspettare il padre Bonaventura.
Tutt' a un tratto, un movimento straordinario cominciato
a una estremità, si propaga per la folla, una voce si sparge,
viene avanti di bocca in bocca: "Ferrer! Ferrera Una mara-
viglia, una gioia, una rabbia, un' inclinazione, una ripugnanza,
scoppiano per tutto dove arriva quel nome; chi lo grida, chi
vuol soffogarlo; chi afferma, chi nega, chi benedice, chi be-
stemmia,
i-È qui Ferrer! — Non è vero, non è vero! — Si. sì; viva
Ferrer! quello che ha messo il pane a buon mercato. — No,
no! — È qui, è qui in carrozza. — Cosa importa? che c'en-
tra lui? non vogliamo nessuno! — Ferrer! viva Ferrer!
l'amico della povera gente! viene per condurre in prigione
il vicario. — No, no: vogliamo far giustizia noi: indietro, in-
dietro! — Sì, sì: Ferrer! venga Ferrer! in prigione il vi-
cario!»
E tutti alzandosi in punta di piedi, si voltano a guardare
da quella parte donde s' annunziava 1" inaspettato arrivo. Al-
zandosi tutti, vedevano né più né meno che se fossero stati
tutti con le piante in terra; ma tant' è, tutti s' alzavano.
In fatti, ali* estremità della folla, dalla parte opposta a
quella dove stavano i soldati, era arrivato in carrozza Antonio
Ferrer, il gran cancelliere; il quale rimordendogli probabil-
mente la coscienza d' essere, co' suoi spropositi e con la sua
ostinazione, stato causa, o almeno occasione di quella som-
mossa, veniva ora a cercar d; acquietarla, e d' impedirne al-
meno il più terribile e irreparabile effetto: veniva a spender
bene una popolarità mal acquistata.
Ne' tumulti popolari e' é sempre un certo numero d' uo-
mini che, o per un riscaldamento di passione, o per una
persuasione fanatica, o per un disegno scellerato, o per un
maledetto gusto del soqquadro, fanno di tutto per ispinger le
cose al peggio; propongono o promovono i più spietati con-
sigli, soffian nel fuoco ogni volta che principia a illanguidire :
non è mai troppo per costoro; non vorrebbero che il tu-
multo avesse né fine né misura. Ma per contrappeso, e' è
sempre anche un certo numero d' altri uomini che, con pari
ardore e con insistenza pari, s' adoprano per produr I' effetto
contrario; taluni mossi da amicizia o da parzialità per le per-
sone minacciate; altri senz' altro impulso che d; un pio e
spontaneo orrore del sangue e de' fatti atroci. Il cielo li be-
168 I PROMESSI SPOSI.
nedica. In ciascuna di queste due parti opposte, anche quan-
do non ci siano concerti antecedenti, l'uniformità de' voleri
crea un concerto istantaneo nell' operazioni. Chi forma poi
la massa, e quasi il materiale del tumulto, è un miscuglio ac-
cidentale d' uomini, che, più o meno per gradazioni indefinite,
tengono dell'uno e dell'altro estremo: un po' riscaldati, un
po' furbi, un po' inclinati a una certa giustizia, come P in-
teri don loro, un po' vogliosi di vederne qualcheduna grossa,
pronti alla ferocia e alla misericordia, a detestare e ad ado-
rare, secondo che si presenti 1' occasione di provar con pie-
nezza l'uno o l'altro sentimento; avidi ogni momento di sa-
pere, di credere qualche cosa grossa, bisognosi di gridare,,
d' applaudire a qualcheduno, o d' urlargli dietro. Viva e
muoia, son le parole che mandan fuori più volentieri; e chi
è riuscito a persuaderli che un tale non meriti d'essere squar-
tato, non ha bisogno di spender più parole per convincerli
che sia degno d'essere portato in trionfo: attori, spettatori,
strumenti, ostacoli, secondo il vento; pronti anche a stare zitti,
quando non sentan più grida da ripetere, a finirla, quando
manchino gì' istigatori, a sbandarsi, quando molte voci con-
cordi e non contradette abbiano detto: andiamo; e a tornar-
sene a casa, domandandosi P uno con P altro: cos' è stato?
Siccome però questa massa, avendo la maggior forza, la può
dare a chi vuole, così ognuna delle due parti attive usa ogni
arte per tirarla dalla sua, per impadronirsene: sono quasi due
anime nemiche, che combattono per entrare in quel cor-
paccio, e farlo movere. Fanno a chi saprà sparger le voci
più atte a eccitar le passioni, a dirigere i movimenti a fa-
vore dell' uno o dell' altro intento ; a chi saprà più a pro-
posito trovare le nuove che riaccendano gli sdegni, o gli
affievoliscano, risveglino le speranze o i terrori : a chi sa-
prà trovare il grido, che ripetuto dai più e più forte, espri-
ma, attesti e crei nello stesso tempo il voto della pluralità,
per P una o per P altra parte. Tutta questa chiacchierata
s' è fatta per venire a dire che, nella lotta tra le due parti
che si contendevano il voto della gente affollata alla casa del
vicario, l'apparizione d'Antonio Ferrer diede, quasi in un
momento, un gran vantaggio alla parte degli umani, la quale
era manifestamente al di sotto e, un po' più che quel soccorso
fosse tardato, non avrebbe avuto più, né forza, né motivo di
combattere. L' uomo era gradito alla moltitudine, per quella
tariffa di sua invenzione così favorevole a' compratori, e per
quel suo eroico star duro contro ogni ragionamento in contra-
rio. Gli animi già propensi erano ora ancor più innamorati
dalla fiducia animosa del vecchio che, senza guardie, senza
apparato, veniva così a trovare, ad affrontare una moltitudine
irritata e procellosa. Faceva poi un effetto mirabile il sentire
CAPITOLO XIII. 169
che veniva a condurre in prigione il vicario: così il furore
contro costui, che si sarebbe scatenato peggio, chi 1" avesse
preso con le brusche, e non gli avesse voluto conceder nulla,
ora con quella promessa di soddisfazione, con quell'osso in
bocca, s' acquietava un poco, e dava luogo agli altri opposti
sentimenti, che sorgevano in una gran parte degli animi.
I partigiani della pace, ripreso fiato, secondavano Ferrer
in cento maniere: quelli che si trovavan vicini a lui, eccitando
e rieccitando col loro il pubblico applauso, e cercando insieme
di far ritirare la gente, per aprire il passo alla carrozza; gli
altri, applaudendo, ripetendo e facendo passare le sue parole,
o quelle che a lor parevano le migliori che potesse dire,
dando sulla voce ai furiosi ostinati, e rivolgendo contro di
loro la nuova passione della mobile adunanza. «Chi è che
non vuole che si dica: viva Ferrer? Tu non vorresti eh, che
il pane fosse a buon mercato? Son birboni che non vogliono
una giustizia da cristiani: e e' è di quelli che schiamazzano
più degli altri, per fare scappare il vicario. In prigione il
vicario! Viva Ferrer! Largo a Ferrer!) E crescendo sem-
pre più quelli che parlavan così, s' andava a proporzione ab-
bassando la baldanza della parte contraria: di maniera che i
primi dal predicare vennero anche a dar sulle mani a quelli
che diroccavano ancora, a cacciarli indietro, a levar loro dal-
l' unghie gli ordigni. Questi fremevano, minacciavano anche,
cercavano di rifarsi; ma la causa del sangue era perduta: il
grido che predominava era: prigione, giustizia, Ferrer! Dopo
un po' di dibattimento, coloro furon respinti: gli altri s' im-
padroniron della porta, e per tenerla difesa da nuovi assalti,
e per prepararvi 1' adito a Ferrer; e alcuno di essi, mandando
dentro una voce a quelli di casa (fessure non ne mancava)
gli avvisò che arrivava soccorso, e che facessero star pronto
il vicario, «per andar subito.... in prigione: ehm, avete
inteso.»
«È quel Ferrer che aiuta a far le gride?» domandò a un
nuovo vicino il nostro Renzo, che si rammentò del vidit Fer-
rer che il dottore gli aveva gridato all'orecchio, facendoglielo
vedere in fondo di quella tale.
«Già: il gran cancelliere,» gli fu risposto.
«È un galantuomo, n' è vero?»
(Eccome se è un galantuomo! è quello che aveva messo
il pane a buon mercato; e gli altri non hanno voluto: e ora
viene a condurre in prigione il vicario che non ha fatto le
cose giuste.»
Non fa bisogno di dire che Renzo fu subito per Ferrer.
Volle andargli incontro addirittura: la cosa non era facile;
ma con certe sue spinte e gomitate da alpigiano, riuscì a
ITO 1 PROMESSI SPOSI.
farsi largo, e a arrivare in prima fila, proprio di fianco alla
carrozza.
Era questa già un po' inoltrata nelia folla; e in quel mo-
mento stava ferma, per uno di quegF incagli inevitabili e fre-
quenti, in unr andata di quella sorte. Il vecchio Ferrer pre-
sentava ora all' uno, ora all' altro sportello, un viso che aveva
tenuto sempre in serbo per quando si trovasse alla presenza
di don Filippo IV; ma fu costretto a spenderlo anche in
quest* occasione. Parlava anche; ma il chiasso e il ronzìo di
tante voci, gli evviva stessi che si facevano a lui, lasciavano
ben poco e a ben pochi sentir le sue parole. S' aiutava dun-
que co' gesti, ora mettendo la punta delle mani sulle labbra,
a prendere un bacio che le mani, separandosi subito, distri-
buivano a destra e a sinistra in ringraziamento alla pubblica
benevolenza; ora stendendole e movendole lentamente fuori
d'uno sportello, per chiedere un po' di luogo: ora abbassan-
dole garbatamente, per chiedere un po' di silenzio. Quando
n' aveva ottenuto un poco, i più vicini sentivano e ripetevano
le sue parole: <pane. abbondanza: vengo a far giustizia: un
po' di luogo di grazia.» Sopraffatto poi e come soffogato dal
fracasso di tante voci, dalla vista di tanti visi fitti, di tant' oc-
chi addosso a lui, si tirava indietro un momento, gonfiava le
gote, mandava un gran soffio, e diceva tra sé: — por tra vida,
qué de gerite.
'Viva Ferrer! Non abbia paura. Lei è un galantuomo.
Pane, pane!»
■Sì; pane, pane,» rispondeva Ferrer: "abbondanza; lo
prometto io,» e metteva la mano al petto.
"Un po' di luogo," aggiungeva subito : «vengo per con-
durlo in prigione, per dargli il giusto gastigo che si merita.»
e soggiungeva sotto voce: <s? es culpabìe.» Chinandosi poi
innanzi verso il cocchiere, gli diceva in fretta: «addante,
Fedro, si jmedes.*
Il cocchiere sorrideva anche lui alla moltitudine, con una
grazia affettuosa, come se fosse stato un gran personaggio ; e
con un garbo ineffabile, dimenava adagio adagio la frusta, a
destra e a sinistra, per chiedere agi" incomodi vicini che si
nsf tingessero e si ritirassero un poco. «Di grazia." dicetS.
anche lui, ^signori miei, un po' di luogo, un pochino ; appena
appena da poter passare.»
Intanto i benevoli più attivi s' adopravano a far fare il
luogo chiesto così gentilmente. Alcuni davanti ai cavalli fa-
cevano ritirar le persone, con buone parole, con un mettere
le mani sui petti, con certe spinte soavi: <in là, via, un
po' di luogo, signori;-' alcuni facevan lo stesso dalle due
parti della carrozza, perchè potesse passare senza arrotar
piedi, né ammaccar mostacci; che, oltre il male delle persone,
CAPITOLO XIII. ITI
sarebbe stato porre a un gran repentaglio I1 auge d' Antonio
Ferrer.
Renzo, dopo essere stato qualche momento a vagheggiare
quella decorosa vecchiezza, conturbata un po' dall' angustia,
aggravata dalla fatica, ma animata dalla sollecitudine, ab-
bellita, per dir così, dalla speranza di togliere un uomo
all' angosce mortali, Renzo, dico, mise da parte ogni pen-
siero d'andarsene; e si risolvette d'aiutare Ferrer, e
di non abbandonarlo, fin che non fosse ottenuto 1* inten-
to. Detto fatto, si mise con gli altri a far largo; e non
era certo dei meno attivi. Il largo si fece; «venite pure
avanti,» diceva più d' uno al cocchiere, ritirandosi e an-
dando a fargli un po' di strada più innanzi. «Addante,
presto, con juicio,» gli disse anche il padrone; e la carrozza
si mosse. Ferrer, in mezzo ai saluti che scialacquava al pub-
blico in massa, ne faceva certi particolari di ringraziamento,
•con un sorriso d' intelligenza, a quelli che vedeva adoprarsi
per lui: e di questi sorrisi ne toccò più d' uno a Renzo, il
quale per verità se li meritava, e serviva in quel giorno il
gran cancelliere meglio che non avrebbe potuto fare il più
bravo de' suoi segretari. Al giovane montanaro, invaghito di
quella buona grazia, pareva quasi d' aver fatto amicizia con
Antonio Ferrer.
La carrozza, una volta incamminata, seguitò poi più o
meno adagio, e non senza qualche altra fermatina. Il tragitto
non era forse più che un tiro di schioppo; ma riguardo al
tempo impiegatovi, avrebbe potuto parere un viaggetto, anche
a chi non avesse avuto la santa fretta di Ferrer. La gente
si moveva, davanti e di dietro, a destra e a sinistra della car-
rozza, a guisa di cavalloni intorno a una nave che avanza nel
forte della tempesta. Più acuto, più scordato, più assordante
di quello della tempesta era il frastono. Ferrer, guardando
ora da una parte, ora dall' altra, atteggiandosi e gestendo
insieme, cercava d' intender qualche cosa, per accomodar le
risposte al bisogno; voleva far alla meglio un po' di dialogo
con quella brigata d'amici; ma la cosa era difficile, la più
difficile forse che gli fosse ancora capitata, in tant' anni di
grancancellierato. Ogni tanto però qualche parola, anche qual-
che frase, ripetuta da un crocchio nel suo passeggio, gli si
faceva sentire, come lo scoppio d' un razzo più forte si fa
sentire nell' immenso scoppiettio d' un fuoco artifiziale. E
lui, ora ingegnandosi di rispondere in modo soddisfacente a
queste grida, ora dicendo a buon conto le parole che sapeva
dover esser più accette, o che qualche necessità istantanea
pareva richiedere, parlò anche lui per tutta la strada: «Si,
signori; pane, abbondanza. Lo condurrò io in prigione: sarà
gastigato .... si es cuìpable. Sì, sì, comanderò io: il pane
172 1 PROMESSI SPOSI.
a buon mercato. Asi es, . . . così è, voglio dire: il re nostro-
signore non vuole che codesti fedelissimi vassalli patiscan la-
fame. Oxì Oxl guarddos: non si facciano male, signori. Fe-
dro, addante con juicio. Abbondanza, abbondanza. Un.
po' di luogo, per carità. Pane, pane. In prigione, in pri-
gione. Cosa?» domandava poi a uno che s'era buttato mezzo
dentro lo sportello, a urlargli qualche suo consiglio o pre-
ghiera o applauso che fosse. Ma costui, senza poter nep-
pure ricevere il «cosa?», era stato tirato indietro da uno
che lo vedeva lì lì per essere schiacciato da una rota. Con
queste botte e risposte, tra le incessanti acclamazioni, tra
qualche fremito anche d' opposizione, che si faceva sentire
qua e là, ma era subito soffogato, ecco alla fine Ferrer
arrivato alla casa, per opera principalmente di que' buoni
ausiliari.
Gli altri che, come abbiam detto, eran già lì con le me-
desime buone intenzioni, avevano intanto lavorato a fare e-
a rifare un po' di piazza. Prega, esorta, minaccia, pigia, ri-
pigia, incalza di qua e di là, con quel raddoppiare di voglia^
e con quel rinnovamento di forze che viene dal veder vicino
il fine desiderato; gli era finalmente riuscito di divider la calca
in due, e poi di spingere indietro le due calche; tanto che,
tra la porta e la carrozza, che vi si fermò davanti, v' era
un piccolo spazio vóto. Ptenzo, che, facendo un po' da batti-
strada, un po' da scorta, era arrivato con la carrozza, pote-
collocarsi in una di queile due frontiere di benevoli, che face-
vano, nello stesso tempo, ala alla carrozza e argine alle due
onde prementi di popolo. E aiutando a rattenerne una cop-
ie poderose sue spalle, si trovò anche in un bel posto per po-
ter vedere.
Ferrer mise un gran respiro, quando vide quella piazzetta
libera, e la porta ancor chiusa. Chiusa qui vuol dire non.
aperta; del resto i gangheri eran quasi sconficcati fuor dei
pilastri: i battenti scheggiati, ammaccati, sforzati e scomba-
ciati nel mezzo lasciavano veder fuori da un largo spiraglio
un pezzo di catenaccio storto, allentato, e quasi divelto, che,
se vogliam dir così, li teneva insieme. Un galantuomo s' era
affacciato a quel fesso, a gridar che aprissero; un altro spa-
lancò in fretta lo sportello della carrozza, il vecchio mise
fuori la testa, s' alzò, e afferrando con la destra il braccio
di quel galantuomo, uscì e scese sul predellino.
La folla, da una parte e dall' altra, stava tutta in punta
di piedi per vedere: mille visi, mille barbe in aria: la curio-
sità e 1' attenzione generale creò un momento di generale si-
lenzio. Ferrer, fermatosi quel momento sul predellino, diede
un'occhiata in giro, salutò con un inchino la moltitudine,
come da un pulpito, e messa la mano sinistra al petto, gri-
CAPITOLO XIII. 173
dò: «pane e giustizia;-) e franco, diritto, togato, scese in
terra, tra 1' acclamazioni che andavano alle stelle.
Intanto quelli di dentro avevano aperto, ossia avevano
finito d' aprire, tirando via il catenaccio insieme con gli anelli
già mezzi sconficcati, e allargando lo spiraglio, appena quanto
bastava per fare entrare il desideratissimo ospite. aPresto,
presto,'» diceva lui : «aprite bene, eh' io possa entrare : e voi,
da bravi, tenete indietro la gente: non mi lasciate venire ad-
dosso .... per V amor del cielo! Serbate un po' di largo per
tra poco.... Ehi! ehi! signori, un momento,» diceva poi
ancora a quelli di dentro: «adagio con quel battente, lascia-
temi passare: eh! le mie costole; vi raccomando le mie co-
stole. Chiudete ora: no; eh! eh! la toga! la toga!» Sarebbe
infatti rimasta presa tra i battenti, se Ferrer non n' avesse
ritirato con molta disinvoltura lo strascico, che disparve come
la coda d' una serpe, che si rimbuca inseguita.
Riaccostati i battenti, furono anche riappuntellati alla me-
glio. Di fuori, quelli che s; eran costituiti guardia del corpo
di Ferrer, lavoravano di spalle, di braccia e di grida, a man-
tener la piazza vota, pregando in cor loro il Signore che lo
facesse far presto.
'Presto, presto,» diceva anche Ferrer di dentro, sotto il
portico, ai servitori, che gli si eran messi d' intorno ansanti
gridando: «sia benedetto! ah eccellenza! oh eccellenza! uh,
eccellenza!»
«Presto, presto,» ripeteva Ferrer: «dov' è questo bene-
detta uomo?»
Il vicario scendeva le scale, mezzo strascicato e mezzo
portato da altri suoi servitori, bianco come un panno lavato.
Quando vide il suo aiuto, mise un gran respiro, gli tornò il
polso, gli scorse un po' di vita nelle gambe, un po' di colore
sulle gote; e corse, come potè, verso Ferrer, dicendo: «sono
nelle mani di Dio e di vostra eccellenza. Ma come uscir di
qui? Per tutto e' è gente che mi vuol morto.»
«Venga usted conmigo, e si faccia coraggio: qui fuori
c'è la mia carrozza; presto, presto.» Lo prese per la mano,
e lo condusse verso la porta, facendogli coraggio tuttavia; ma
diceva intanto tra sé: — aqni està ci bùsilis; Dios nos
valga! — »
La porta s' apre; Ferrer esce il primo; l'altro, dietro, ran-
nicchiato, attaccato, incollato alla toga salvatrice, come un
bambino alla sottana della mamma. Quelli che avevan man-
tenuta la piazza vota, fanno ora, con un alzar di mani, di cap-
pelli, come una rete, una nuvola, per sottrarre alla vista pe-
ricolosa della moltitudine il vicario; il quale entra il primo
nella carrozza, e vi si rimpiatta in un angolo.
Ferrer sale dopo; lo sportello vien chiuso. La moltitu-
17-4 I PEOMESSI SPOSI.
dine vide in confuso, riseppe, indovinò quel eh' era accaduto ;
e mandò un urlo d' applausi e d' imprecazioni.
La parte della strada che rimaneva da farsi, poteva parer
la più difficile e la più pericolosa. Ma il voto pubblico era
abbastanza spiegato per lasciar andare in prigione il vicario;
e nel tempo della fermata, molti di quelli che avevano age-
volato 1' arrivo di Ferrer, s' eran tanto ingegnati a preparare
e a mantener come una corsia nel mezzo della folla, che la
carrozza potè, questa seconda volta, andare un po' più lesta,
e di seguito. Di mano in mano che s' avanzava, le due folle
rattenute dalle parti, si ricadevano addosso e si rimischiavano,
dietro a quella.
Ferrer appena seduto, s'era chinato per avvertire il vi-
cario, che stesse ben rincantucciato nel fondo, e non si fa-
cesse vedere, per l'amor del cielo; ma l'avvertimento era
superfluo. Lui, in vece, bisognava che si facesse vedere per
occupare e attirare a sé tutta 1' attenzione del pubblico. E
per tutta questa gita, come nella prima, fece al mutabile udi-
torio un discorso, il più continuo nel tempo, e il più scon-
nesso nel senso che fosse mai ; interrompendolo però ogni tanto
con qualche parolina spagnola, che in fretta si voltava a bi-
sbigliameli' orecchio del suo acquattato compagno. «Sì, signori;
pane e giustizia: in castello, in prigione, sotto la mia guardia.
Grazie, grazie^ grazie tante. Xo, no: non iscapperà! Por
abìandarìos. È troppo giusto; s'esaminerà, si vedrà. Anch'io
voglio bene a lor signori. Un gastigo severo. Erto lo diga
%>or su bien. Una meta giusta, una meta onesta, e gastigo
agli affamatori. Si tirin da parte, di grazia. Si, sì; io sono
un galantuomo, amico del popolo. Sarà gastigato; è vero, è
un birbante, uno scellerato. Perdane usted. La passerà
male, la passerà male si es culpabìe. Sì, sì, li faremo
rigar diritto i fornai. Viva il re, e i buoni milanesi, suoi fe-
delissimi vassalli! Sta fresco, sta fresco. Animo; estamos ya
quasi fuera.^
Avevano in fatti attraversata la maggior calca, e già eran
vicini a uscir al largo, del tutto. Lì Ferrer, mentre comin-
ciava a dare un po' di riposo a' suoi polmoni, vide il soccorso
di Pisa, que' soldati spagnoli, che però sulla fine non erano
stati affatto inutili, giacche sostenuti e diretti da qualche cit-
tadino, avevano cooperato a mandare in pace un po' di gente,
e a tenere il passo libero all' ultima uscita. All' arrivar della
carrozza, fecero ala, e presentaron l'arme al gran cancelliere,
il quale fece anche qui un saluto a destra e un saluto a si-
nistra; e all' uffiziale, che venne più vicino a fargli il suo,
disse, accompagnando le parole con un cenno della destra:
«freso a usted las manos:» parole che 1' uffiziale intese per
quel che volevano dir realmente, cioè: mi avete dato un
CAPITOLO XIII. 175
bell'aiuto! In risposta, fece un altro saluto, e si ristrinse
nelle spalle. Era veramente il caso di dire: cecìant arma
togae; ma Ferrer non aveva in quel momento la testa a cita-
zioni: e del resto sarebbero state parole buttate via, perchè
1' uffiziale non intendeva il latino.
A Fedro nel passar tra quelle due file di micheletti, tra
que' moschetti così rispettosamente alzati, gli tornò in petto
il cuore antico. Si riebbe affatto dallo sbalordimento, si ram-
mentò chi era, e chi conduceva; e gridando: «ohe! ohe!»
senz' aggiunta d' altre cerimonie, alla gente ormai rada ab-
bastanza per poter esser trattata così, e sferzando i cavalli,
fece loro prender la rincorsa verso il castello.
«Levàntese, levàntese; estamos ya fuera,» disse Ferrer
al vicario; il quale rassicurato dal cessar delle grida, e dal
rapido moto della carrozza, e da quelle parole, si svolse, si
sgruppò, s'alzò: e riavutosi alquanto, cominciò a render
grazie, grazie e grazie al suo liberatore. Questi, dopo es-
sersi condoluto con lui del pericolo e rallegrato della salvezza:
«ah!» esclamò battendo la mano sulla sua zucca monda,
«qué dirà de esto su excelencia, che ha già tanto la luna a
rovescio, per quel maledetto Casale, che non vuole arrendersi?
Qué dirà eì concie duque, che piglia ombra se una foglia fa
più rumore del solito? Qué dirà el rey nuestro senor, che
pur qualche cosa bisognerà che venga a risapere d' un fra-
casso così? E sarà poi finito? Dios io sabe.»
«Ah! per me, non voglio più impicciarmene,» diceva il
vicario: «me ne chiamo fuori; rassegno la mia carica nelle
mani di vostra eccellenza, vo a vivere in una grotta, sur una
montagna, a far l'eremita, lontano, lontano da questa gente
bestiale.»
« Usted farà quello che sarà più conveniente 'por el ser-
vicio de su majestad,» rispose gravemente il gran can-
celliere.
«Sua maestà non vorrà la mia morte,» replicava il vi-
cario: cin una grotta, in una grotta, lontano da costoro.»
Che avvenisse poi di questo suo proponimento non lo dice
il nostro autore, il quale dopo avere accompagnato il po-
ver} uomo in castello, non fa più menzione de' fatti suoi.
176 I PE0ME3SI SPOSI.
CAPITOLO XIV.
La folla rimasta indietro cominciò a sbandarsi, a dira-
marsi a destra e a sinistra, per questa e per quella strada.
Chi andava a casa, a accudire anche alle sue faccende; chi
s'allontanava per respirare un po' al largo, dopo tante ore
di stretta; chi, in cerca d'amici, per ciarlare de' gran fatti
della giornata. Lo stesso sgombero s' andava facendo dal-
l'altro sbocco della strada, nella quale la gente restò abba-
stanza rada perchè quel drappello di spagnoli potesse, senza
trovar resistenza, avanzarsi, e postarsi alla casa del vicario.
Accosto a quella stava ancor condensato il fondaccio, per dir
così, del tumulto; un branco di birboni, che malcontenti
d' una fine così fredda e così imperfetta d' un così grand' ap-
parato, parte brontolavano, parte bestemmiavano, parte tene-
van consiglio, per veder se qualche cosa si potesse ancora in-
traprendere; e, come per provare, andavano urtacchiando e
pigiando quella povera porta, eh' era stata di nuovo appun-
tellata alla meglio. All' arrivar del drappello, tutti coloro,
chi diritto diritto, chi baloccandosi, e come a stento, se n' an-
darono dalla parte opposta, lasciando il campo libero a' sol-
dati, che lo presero, e vi si postarono a guardia della casa
e della strada. Ma tutte le strade del contorno erano semi-
nate di crocchi : dove e' eran due o tre persone ferme, se ne
fermavano tre, quattro, venti altre: qui gualcheduno si stac-
cava; là tutto un crocchio si moveva insieme: era come quel-
la nuvolaglia che talvolta rimane sparsa, e gira per Y azzurro
del cielo, dopo una burrasca; e fa dire a chi guarda in su:
questo tempo non è rimesso bene. Pensate poi che babilo-
nia di discorsi. Chi raccontava con enfasi i casi particolari
che aveva visti; chi raccontava ciò che lui stesso aveva fatto;
chi si rallegrava che la cosa fosse finita bene, e lodava Fer-
rer, e pronosticava guai seri per il vicario; chi, sghignazzan-
do, diceva: «non abbiate paura che non 1' ammazzeranno; il
lupo non mangia la carne del lupo;» chi più stizzosamente
mormorava che non s' eran fatte le cose a dovere, eh' era un
inganno, e eh' era stata una pazzia il far tanto chiasso, per
lasciarsi poi canzonare in quella maniera.
Intanto il sole era andato sotto, le cose diventavan tutte
d' un colore ; e molti, stanchi della giornata e annoiati di ciar-
lare al buio, tornavano verso casa. Il nostro giovine, dopo
avere aiutato il passaggio della carrozza, finché e' era stato
bisogno d' aiuto, e esser passato anche lui dietro a quella, tra
le file de' soldati, come in trionfo, si rallegrò quando la vide
correr liberamente, e fuor di pericolo; fece un po' di strada
CAPITOLO XIV. 177
con la folla, e n'uscì, alla prima cantonata, per respirare
anche lui un po' liberamente. Fatto eh' ebbe pochi passi al
largo, in mezzo all'agitazione di tanti sentimenti, di tante
immagini, recenti e confuse, sentì un gran bisogno di man-
giare e di riposarsi; e cominciò a guardare in su, da una
parte e dall' altra, cercando un' insegna d' osteria, giacché, per
andare al convento de' cappuccini , era troppo tardi. Cam-
minando così con la testa per aria, si trovò a ridosso a un
crocchio; e fermatosi, sentì che vi discorrevan di congetture,
di disegni, per il giorno dopo. Stato un momento a sentire,
non potè tenersi di non dire anche lui la sua; parendogli che
potesse senza presunzione proporre qualche cosa chi aveva
fatto tanto. E persuaso, per tutto ciò che aveva visto in quel
giorno, che ormai, per mandare a effetto una cosa, bastasse
farla entrare in grazia a quelli che giravano per le strade,
«signori miei!» gridò in tono d'esordio: «devo dire anch'io
il mio debol parere? Il mio debol parere è questo: che non
è solamente nell' affare del pane che si fanno delle bricco-
nerie: e giacché oggi s' è visto chiaro che, a farsi sentire,
s' ottiene quel che è giusto ; bisogna andar avanti così, fin che
non si sia messo rimedio a tutte quelle altre scelleratezze, e
che il mondo vada un po' più da cristiani. Non è vero, si-
gnori miei, che c'è una mano di tiranni, che fanno proprio
al rovescio dei dieci comandamenti, e vanno a cercar la gente
quieta, che non pensa a loro, per farle ogni male, e poi han-
no sempre ragione? anzi quando n'hanno fatta una più
grossa del solito, camminano con la testa più alta, che par
che gli s'abbia a rifare il resto? Già anche in Milano ce ne
dev' essere la sua parte. »
«Pur troppo,» disse una voce.
«Lo dicevo io,» riprese Renzo: «già le storie si raccon-
tano anche da noi. E poi la cosa parla da sé. Mettiamo,
per esempio, che qualcuno di costoro che voglio dir io stia
un po' in campagna, un po' in Milano: se è un diavolo là,
non vorrà essere un angiolo qui, mi pare. Dunque mi dicano
un poco, signori miei, se hanno mai visto uno di questi col
muso alV inferriata. E quel che è peggio (e questo lo posso
dir io di sicuro), è che le gride ci sono, stampate per gasti-
garli: e non già gride senza costrutto; fatte benissimo, che
noi non potremmo trovar niente di meglio; ci son nominate
le bricconerie chiare, proprio come succedono; e a ciasche-
duna, il suo buon gastigo. E dice: sia chi si sia, vili e
plebei, e che so io. Ora, andate a dire ai dottori, scribi e
farisei, che vi facciano far giustizia, secondo che canta la
grida: vi danno retta come il papa ai furfanti: cose da far
girare il cervello a qualunque galantuomo. Si vede dunque
chiaramente che il re, e quelli che comandano, vorrebbero
Manzoni. 12
173 I PROMESSI SPOSI.
che i birboni fossero gastigati: ma non se ne fa nulla, per-
chè c'è una lega. Dunque bisogna romperla; bisogna andar
domattina da Ferrer, che quello è un galantuomo, un signore
alla mano; e oggi s'è potuto vedere com'era contento di tro-
varsi con la povera gente, e come cercava di sentir le ragioni
che gli venivan dette, e rispondeva con buona grazia. Bi-
sogna andar da Ferrer, e dirgli come stanno le cose; e io
per la parte mia, gliene posso raccontar delle belle; che ho
visto io, co' miei occhi, una grida con tanto d' arme in cima,
ed era stata fatta da tre di quelli che possono, che d'ognuno
e' era sotto il suo nome beli' e stampato, e uno di questi no-
mi era Ferrer, visto da me, co' miei occhi: ora. questa grida
diceva proprio le cose giuste per me; e un dottore al quale
io gli dissi che dunque mi facesse render giustizia, com! era
l'intenzione di que* tre signori, tra i quali c'era anche Fer-
rer, questo signor dottore, che m'aveva fatto veder la grida
lui medesimo, che è il più bello, ah! ah! pareva che gli di-
cessi delle pazzie. Son sicuro che, quando quel caro vec-
chione sentirà queste belle cose; che lui non le può saper
tutte, specialmente quelle di fuori: non vorrà più che il mon-
do vada così, e ci metterà un buon rimedio. E poi, anche
loro, se fanno le gride, devono aver piacere che s' ubbidisca:
che è anche un disprezzo, un pitaffio col loro nome, contarlo
per nulla. E se i prepotenti non vogliono abbassar la testa,
e fanno il pazzo, siam qui noi per aiutarlo come s" è fatto
oggi. Xon dico che deva andar lui in giro, in carrozza, ad
acchiappar tutti i birboni, prepotenti e tiranni: sì; ci vorrebbe
l'arca di Noè. Bisogna che lui comandi a chi tocca, e non
solamente in Milano, ma per tutto, che faccian le cose con-
forme dicon le gride; e formare un buon processo addosso
a tutti quelli che hanno commesso di quelle bricconerie; e
dove dice prigione, prigione; dove dice galera, galera; e dire
ai podestà che faccian davvero; se no, mandarli a spasso, e
metterne de' meglio; e poi, come dico, ci saremo anche noi
a dare una mano. E ordinare a' dottori che stiano a sentire
i poveri e parlino in difesa della ragione. Dico bene, signori
miei?o
Renzo aveva parlato tanto di cuore, che, fin dall'esordio,
una gran parte de' radunati, sospeso ogni altro discorso, s'eran
rivoltati a lui e, a un certo punto, tutti eran divenuti suoi
uditori. Un grido confuso d'applausi, di «bravo: sicuro: ha
ragione: è vero pur troppo,» fu come la risposta dell'udienza.
Xon mancarono però i critici. «E sì,» diceva uno: «dar
retta a' montanari : son tutti avvocati ; » e se ne andava.
«Ora,» mormorava un altro, «ogni scalzacane vorrà dir la
sua; e a furia di metter carne a fuoco non s' avrà il pane a
buon mercato, che è quello per cui ci siam mossi.» Pienzo
CAPITOLO XIV. 179
però non sentì che i complimenti; chi gli prendeva una mano,
chi gli prendeva 1' altra. «A rivederci a domani. — Dove?
— Sulla piazza del duomo. — Va bene. — Va bene. — E
qualcosa si farà. — E qualcosa si farà.*
«Chi è di questi bravi signori che voglia insegnarmi
un'osteria, per mangiare un boccone, e dormir da povero
figliuolo?» disse Renzo.
«Son qui io a servirvi, quel bravo giovine,» disse uno,
che aveva ascoltata attentamente la predica, e non aveva detto
ancor nulla. «Conosco appunto un'osteria che farà al caso
vostro; e vi raccomanderò al padrone, che è mio amico, e ga-
lantuomo.»
«Qui vicino?)) domandò Renzo. «Poco distante,» rispose
colui.
La radunata si sciolse; e Renzo, dopo molte strette di
mani sconosciute, s' avviò con lo sconosciuto, ringraziandolo
della sua cortesia.
«Di che cosa?» diceva colui: «una mano lava l'altra, e
tutte due lavano il viso. Non siamo obbligati a far servizio
al prossimo?» E camminando, faceva a Renzo, in aria di
discorso, ora una, ora un' altra domanda. «Non per sapere
i fatti vostri; ma voi mi parete molto stracco: da che paese
venite?»
«Vengo,» rispose Renzo, «fino, fino da Lecco.»
«Fin da Lecco? Di Lecco siete?»
«Di Lecco .... cioè del territorio.»
«Povero giovine! per quanto ho potuto intendere da' vostri
discorsi, ve n'hanno fatte delle grosse.»
«Eh! caro il mio galantuomo! ho dovuto parlare con un
po' di politica, per non dire in pubblico i fatti miei; ma....
basta, qualche giorno si saprà; e allora .... Ma qui vedo
un" insegna d'osteria; e, in fede mia, non ho voglia d'andar
più lontano.»
«No, no; venite dov'ho detto io, che c'è poco,» disse la
guida: «qui non istareste bene.»
«Eh, sì;» rispose il giovine: «non sono un signorino av-
vezzo a star nel cotone: qualcosa alla buona da mettere in
castello, e un saccone, mi basta: quel che mi preme è di
provar presto l'uno e l'altro. Alla provvidenza!» Ed entrò
in un usciaccio , sopra il quale pendeva V insegna della luna
piena. «Bene; vi condurrò qui, giacché vi piace così,» disse
lo sconosciuto; e gli andò dietro.
«Non occorre che v'incomodiate di più,» rispose Renzo.
«Però,» soggiunse, «se venite a bere un bicchiere con me,
mi fate piacere.»
«Accetterò le vostre grazie,» rispose colui; e andò, come
più pratico del luogo, innanzi a Renzo, per un cortiletto;
12*
180 I PROMESSI SPOSI.
s' accontò all'uscio che metteva in cucina, alzò il saliscendi,
aprì, e v'entrò col suo compagno. Due lumi a mano, pen-
denti da due pertiche attaccate alla trave del palco, vi span-
devano una mezza luce. Molta gente era seduta, non però
in ozio, su due panche, di qua e di là d'una tavola stretta
e lunga, che teneva quasi tutta una parte della stanza: a in-
tervalli, tovaglie e piatti; a intervalli, carte voltate e rivol-
tate, dadi buttati e raccolti; fiaschi e bicchieri per tutto. Sì
vedevano anche correre berlinghe reali e parjjagliole, che se
avessero potuto parlare, avrebbero detto probabilmente, —
noi eravamo stamattina nella ciotola d'un fornaio, o nelle
tasche di qualche spettatore del tumulto, che tutt' intento a
vedere come andassero gli affari pubblici, si dimenticava di
vigilar le sue faccendole private. — Il chiasso era grande.
Un garzone girava innanzi e indietro, in fretta e in furia, al
servizio di quella tavola insieme e tavoliere: 1' oste era a se-
dere sur una piccola panca, sotto la cappa del cammino, occu-
pato, in apparenza, in certe figure che faceva e disfaceva nella
cenere, con le molle; ma in realtà intento a tutto ciò che
accadeva intorno a lui. S'alzò al rumore del saliscendi; e
andò incontro ai soprarrivati. Visto ch'ebbe la guida, —
maledetto! — disse tra sé: — che tu m' abbia a venir sempre
tra' piedi, quando meno ti vorrei! — Data poi un' occhiata in
fretta a Renzo, disse ancora tra sé: — non ti conosco; ma
venendo con un tal cacciatore, o cane o lepre sarai: quando
avrai detto due parole, ti conoscerò. — Però, di queste rifles-
sioni nulla trasparve sulla faccia dell' oste, la quale stava im-
mobile come un ritratto: una faccia pienotta e lucente, con
una barbetta folta, rossiccia, e due occhietti chiari e fissi.
«Cosa comandan questi signori?» disse ad alta voce.
«Prima di tutto, un buon fiasco di vino sincero,» disse
Pienzo: «e poi un boccone.» Così dicendo si buttò a sedere
sur una panca, verso la cima della tavola, e mandò un «ah!»
sonoro, come se volesse dire: fa bene un po' di panca, dopo
essere stato ,; tanto tempo, ritto e in faccende. Ma gli venne
subito in mente quella panca e quella tavola, a cui era stato
seduto l'ultima volta, con Lucia e con Agnese: e mise un
sospiro. Scosse poi la testa, come per iscacciar quel pensiero;
e vide venir 1' oste col vino. D compagno s' era messo a se-
dere in faccia a Eenzo. Questo gli mescè subito da bere,
dicendo: «per bagnar le labbra.» E riempito 1' altro bicchiere,
lo tracannò in un sorso.
«Cosa mi darete da mangiare?» disse poi all'oste.
«Ho dello stufato: vi piace?» disse questo.
«Sì, bravo; dello stufato.»
«Sarete servito,» disse l'oste a Renzo; e al garzone:
«servite questo forestiero.» E s'avviò verso il cammino.
CAPITOLO XIV. 181
«Ma » riprese poi, tornando verso Renzo: «ma pane non
ce n'ho in questa giornata.»
«Al pane,» disse Renzo, ad alta voce e ridendo, «ci ha
pensato la provvidenza.» E tirato fuori il terzo e ultimo di
que' pani raccolti sotto la croce di san Dionigi, l'alzò per
aria, gridando: «ecco il pane della provvidenza!»
All'esclamazione, molti si voltarono: e vedendo quel tro-
feo in aria, uno gridò: «viva il pane a buon mercato!»
«A buon mercato?» disse Renzo: « gratis et amore.»
«Meglio, meglio.»
«Ma,» soggiunse subito Renzo, «non vorrei che lor si-
gnori pensassero a male. Non è eh' io 1' abbia, come si suol
dire, sgraffignato. L'ho trovato in terra; e se potessi trovare
anche il padrone, son pronto a pagarglielo.»
«Bravo! bravo!» gridarono, sghignazzando più forte, i com-
pagnoni; a nessuno dei quali passò per la mente che quelle
parole fossero dette davvero.
«Credono eh' io canzoni; ma 1' è proprio così,» disse
Renzo alla sua guida; e, girando in mano quel pane, sog-
giunse: vedete come l'hanno accomodato; pare una schiac-
ciata: ma ce n'era del prossimo! Se ci si trovavan di quelli
che han l'ossa un po' tenere, saranno stati freschi.» E su-
bito, divorati tre o quattro bocconi di quel pane, gli mandò
dietro un secondo bicchier di vino; e soggiunse: «da sé non
vuol andar giù questo pane. Non ho avuto mai la gota tanto
secca. S' è fatto un gran gridare!»
«Preparate un buon letto a questo bravo giovine,» disse
la guida: «perchè ha intenzione di dormir qui.»
«Volete dormir qui?» domandò l'oste a Renzo, avvicinan-
dosi alla tavola.
«Sicuro,» rispose Renzo: «un letto alla buona: basta che
i lenzoli sian di bucato; perchè son povero figliuolo, ma av-
vezzo alla pulizia.»
«Oh, in quanto a questo!» disse l'oste: andò al banco
ch'era in un angolo della cucina; e ritornò, con un calamaio
e un pezzetto di carta bianca in una mano, e una penna
nell' altra.
«Cosa vuol dir questo?» esclamò Renzo, ingoiando un
boccone dello stufato che il garzone gli aveva messo davanti,
e, sorridendo poi con meraviglia, soggiunse: «è il lenzolo di
bucato, codesto?»
L'oste, senza rispondere, posò sulla tavola il calamaio e
la carta: poi appoggiò sulla tavola medesima il braccio sini-
stro e il gomito destro; e, con la penna in aria, e il viso
alzato verso Renzo, gli disse: «fatemi il piacere di dirmi il
vostro nome, cognome e patria.»
182 I PROMESSI SPOSI.
«Cosa?» disse Renzo: «cosa c'entrano codeste storie col
letto?»
«Io fo il mio dovere,» disse l'oste, guardando inviso alla
guida: «noi siamo obbligati a render conto di tutte le per-
sone che vengono a alloggiar da noi: nome e cognome, e di
che nazione sarà, a che negozio viene, se ha seco armi ....
quanto tempo ha di fermarsi in questa città Son parole
della grida.»
Prima di rispondere, Renzo votò un altro bicchiere: era
il terzo; e d'ora in poi ho paura che non li potremo più
contare. Poi disse: «ah ah! avete la grida! E io fo conto
d'esser dottor di legge; e allora so subito che caso si fa
delle gride.»
«Dico davvero,» disse l'oste, sempre guardando il muto
compagno di Renzo; e, andato di nuovo al banco, ne levò
dalla cassetta un gran foglio, un proprio esemplare della
grida; e venne a spiegarlo davanti agli occhi di Renzo.
«Ah! ecco!» esclamò questo, alzando con una mano il
bicchiere riempito di nuovo, e rivotandolo subito, e stendendo
poi l'altra mano, con un dito teso, verso la grida: «ecco
quel bel foglio di messale. Me ne rallegro moltissimo La
conosco quell'arme; so cosa vuol dire quella faccia d'ariano,
con la corda al collo.» (In cima alle gride si metteva allora
l'arme del governatore, e in quella di don Gonzalo Fernan-
dez de Cordova, spiccava un re moro incatenato per la gola.)
«Vuol dire, quella faccia: comanda chi può, e ubbidisce chi
vuole. Quando questa faccia avrà fatto andare in galera il
signor don.... basta, lo so io; come dice in un altro foglio
di messale compagno a questo: quando avrà fatto in maniera
che un giovine onesto possa sposare una giovine onesta che è
contenta di sposarlo, allora le dirò il mio nome a questa fac-
cia; le darò anche un bacio per di più. Posso aver delle
buone ragioni per non dirlo, il mio nome. Oh bella! E se.
un furfantone, che avesse al suo comando una mano d' altri
furfanti: perchè se fosse solo . . . . » e qui finì la frase con
un gesto: «se un furfantone volesse saper dov' io sono, per
farmi qualche brutto tiro, domando io se questa faccia si mo-
verebbe per aiutarmi. Devo dire i fatti miei! Anche questa
è nuova Son venuto a Milano per confessarmi, supponiamo,
ma voglio confessarmi da un padre cappuccino, per modo di
dire, e non da un oste.»
L'oste stava zitto, e seguitava a guardar la guida, la
quale non faceva dimostrazione di sorte veruna. Renzo, ci
dispiace il dirlo, tracannò un altro bicchiere, e proseguì: «ti
porterò una ragione, il mio caro oste, che ti capaciterà. Se
le gride che parlan bene, in favore de' buoni cristiani, non
contano; tanto meno devon contare quelle che parlan maie.
CAPITOLO XIV. 183
Dunque leva tutti quest'imbrogli, e porta in vece un altro
fiasco, perchè questo è fesso.» Così dicendo, lo percosse leg-
germente con le nocca, e soggiunse: «senti, senti, oste, come
crocchia.»
Anche questa volta, Renzo aveva, a poco a poco, attirata
l'attenzione di quelli che gli stavan d'intorno: e anche que-
sta volta fu applaudito dal suo uditorio.
«Cosa devo fare?» disse l'oste, guardando quello scono-
sciuto, che non era tale per lui.
«Via. via,» gridaron molti di que' compagnoni: «ha ra-
gione quel giovine: son tutte angherie, trappole, impicci:
legge nuova oggi, legge nuova.»
In mezzo a queste grida, lo sconosciuto, dando all'oste
un' occhiata di rimprovero, per quell' interrogazione troppo
scoperta, disse: «lasciatelo un po' fare a suo modo: non fate
scene.»
«Ho fatto il mio dovere,» disse l'oste, forte; e poi tra
sé: — ora ho le spaile al muro. — E prese la carta, la
penna, il calamaio, la grida, e il fiasco vóto, per consegnarlo
al garzone.
«Porta del medesimo,» disse Renzo: «che lo trovo galan-
tuomo; e lo metteremo a letto come l'altro, senza doman-
dargli nome e cognome, e di che nazione sarà, e cosa viene
a fare, e se ha a stare un pezzo in questa città.»
«Del medesimo,» disse l'oste al garzone, dandogli il fia-
sco; e ritornò a sedere sotto la cappa del cammino. — Altro
che lepre! — pensava, istoriando di nuovo la cenere: — e in
che mani sei capitato! Pezzo d'asino! se vuoi affogare, affoga;
ma l'oste della luna piena non deve andarne di mezzo, per
le tue pazzie. — v^
Renzo ringrazio la guida, e tutti quegli altri che avevan
prese le sue parti. «Bravi amici!» disse: «ora vedo pro-
prio che i galantuomini si danno la mano, e si sostengono.»
Poi, spianando la destra per aria sopra la tavola, e metten-
dosi di nuovo in attitudine di predicatore, «gran cosa:»
esclamò, «che tutti quelli che regolano il mondo, voglian fare
entrar per tutto carta, penna e calamaio! Sempre la penna
per aria! Grande smania che hanno que' signori d' adoprar
la penna!»
«Ehi, quel galantuomo di campagna! volete saperne la
ragione?» disse ridendo uno di que' giocatori che vinceva.
«Sentiamo un poco,» rispose Renzo.
«La ragione è questa,» disse colui: «che que' signori son
loro che mangian l'oche, e si trovai! lì tante penne, tante
penne, che qualcosa bisogna che ne facciano.»
Tutti si misero a ridere, fuor che il compagno che per-
deva.
184 I PROMESSI SPOSI.
«To',» disse Renzo: «è un poeta costui. Ce n' è anche
qui de' poeti: già ne nasce per tutto. N' ho una vena anch'io,
e qualche volta ne dico delle curiose .... ma quando le cose
vanno bene.»
Per capire questa baggianata del povero Renzo, bisogna
sapere che, presso il volgo di Milano, e del contado ancora
più, poeta non significa già, come per tutti i galantuomini,
un sacro ingegno, un abitator di Pindo, un allievo delle Muse;
vuol dire un cervello bizzarro e un po' balzano, che, ne' dis-
corsi e ne' fatti, abbia più dell'arguto e del singolare che
del ragionevole. Tanto quel guastamestieri del volgo è ardito
a manomettere le parole, e a far dir loro le cose più lontane
dal loro legittimo significato! Perchè, vi domando io, cosa ci
ha che fare poeta con cervello balzano?
«Ma la ragione giusta la dirò io,» soggiunse Renzo: «è
perchè la penna la tengon loro: e così, le parole che dicon
loro, volan via, e spariscono; le parole che dice un povero
figliuolo, stanno attenti bene, e presto presto le infilzan per
aria, con quella penna, e te le inchiodano sulla carta, per
servirsene a tempo e luogo. Hanno poi anche un' altra mali-
zia, che, quando vogliono imbrogliare un povero figliuolo, che
non abbia studiato, ma che abbia un po' di . . . . so io quel
che voglio dire . . . .» e, per farsi intendere, andava picchian-
do, e come arietando la fronte con la punta dell'indice;
«e s'accorgono che comincia a capir l'imbroglio, taffete, but-
tan dentro nel discorso qualche parola in latino, per fargli
perdere il filo, per confondergli la testa. Basta; se ne deve
smetter dell'usanze! Oggi, a buon conto, s'è fatto tutto in
volgare, e senza carta, penna e calamaio: e domani, se la
gente saprà regolarsi, se ne farà anche delle meglio; senza
torcere un capello a nessuno, però; tutto per via di giu-
stizia.»
Intanto alcuni di que' compagnoni s' erano rimessi a giuo-
care, altri a mangiare, molti a gridare; alcuni se n'andavano;
altra gente arrivava; l'oste badava agli uni e agli altri; tutte
cose che non hanno che fare colla nostra storia. Anche la
sconosciuta guida non vedeva l'ora d'andarsene; non aveva,
a quel che paresse, nessun affare in quel luogo; eppure non
voleva partire prima d' aver chiacchierato un altro poco con
Renzo in particolare. Si voltò a lui, riattaccò il discorso del
pane; e dopo alcune di quelle frasi che, da qualche tempo,
correvano per tutte le bocche, venne a metter fuori un suo
progetto. «Eh! se comandassi io,» disse, «lo troverei il verso
di fare andar le cose bene.»
«Come vorreste fare?» domandò Renzo, guardandolo con
due occhietti brillanti più del dovere, e storcendo un po' la
bocca come per star più attento.
CAPITOLO XIV. 185
«Come vorrei fare?" disse colui: «vorrei che ci fosse pane
per tutti; tanto per i poveri, come per i ricchi..)
«Ah! così va bene,') disse Renzo.
«Ecco come farei. Una meta onesta, che tutti ci potes-
sero campare. E poi , distribuire il pane in ragione delle
bocche: perchè c'è degl'ingordi indiscreti, che vorrebbero
tutto per loro, e fanno a ruffa rafia, pigliano a buon conto;
e poi manca il pane alla povera gente. Dunque dividere il pane.
E come si fa? Ecco: dare un bel biglietto a ogni famiglia,
in proporzion delle bocche, per andare a prendere il pane
dal fornaio. A me. per esempio, dovrebbero rilasciare un
biglietto in questa forma: Ambrogio Fusella, di professione
spadaio, con moglie e quattro figliuoli, tutti in età da man-
giar pane (notate bene): gli si dia pane tanto, e paghi soldi
tanti. Ma far le cose giuste, sempre in ragion delle bocche.
A voi, per esempio, dovrebbero fare un biglietto per .... il
vostro nome?»
«Lorenzo Tramaglino,» disse il giovine; il quale, inva-
ghito del progetto, non fece attenzione eh' era tutto fondato
su carta, penna e calamaio; e che per metterlo in opera,
la prima cosa doveva essere di raccogliere i nomi delle
persone.
«Benissimo,» disse lo sconosciuto: «ma avete moglie e
figliuoli ? •
«Dovrei bene .... figliuoli no ... . troppo presto .... ma
la moglie .... se il mondo andasse come dovrebbe an-
dare .... »
Ah siete solo! Dunque abbiate pazienza, ma una porzione
più piccola.»
«È giusto: ma se presto come spero .... e con l'aiuto
di Dio .... Basta; quando avessi moglie anch' jo?
«Allora si cambia il biglietto, e si cresce la porzione.
Come v'ho detto sempre in ragion delle bocche,» disse lo
sconosciuto alzandosi.
«Così va bene,'> gridò Renzo; e continuò, gridando e bat-
tendo il pugno sulla tavola: «e perchè non la fanno una legge
così?»
«Cosa volete che vi dica? intanto vi do la buona notte,
e me ne vo; perchè penso che la moglie e i figliuoli m'aspet-
teranno da un pezzo »
«Un altro gocciolino, un altro gocciolino,» gridava Renzo,
riempiendo in fretta il bicchiere di colui; e subito alzatosi,
e acchiappatolo per una falda del farsetto, tirava forte, per
farlo seder di nuovo. «Un altro gocciolino: non mi fate
quest" affronto. »
Ma 1' amico, con una stratta, si liberò, e lasciando Renzo
fare un gazzabuglio d'istanze e di rimproveri, disse di nuovo:
186 I PROMESSI SPOSI.
«buona notte, » e se n' andò. Renzo seguitava ancora a pre-
dicargli, che quello era già in istrada; e poi ripiombò sulla
panca. Fissò gli occhi su quel bicchiere che aveva riempito;
e vedendo passar davanti alla tavola il garzone, gli accennò
di fermarsi, come se avesse qualche affare da comunicargli;
poi gli accennò il bicchiere, e con una pronuncia lenta e so-
lenne, spiccando le parole in un certo modo particolare, disse:
« ecco, 1" avevo preparato per quel galantuomo : vedete ; pieno
raso, proprio da amico; ma non l'ha voluto. Alle volte, la
gente ha dell' idee curiose. Io non ci ho colpa: il mio buon
cuore l'ho fatto vedere. Ora, giacché la cosa è fatta, non
bisogna lasciarlo andare a male.» Così detto, lo prese, e lo
votò in un sorso.
«Ho inteso,» disse il garzone; andandosene.
«Ah! avete inteso, anche voi,» riprese Renzo, «dunque è
vero. Quando le ragioni son giuste....!»
Qui è necessario tutto 1' amore , che portiamo alla verità,
per farci proseguire fedelmente un racconto di così poco onore
a un personaggio tanto principale , si potrebbe quasi dire al
primo uomo della nostra storia. Per questa stessa ragione
d' imparzialità, dobbiamo però anche avvertire eh' era la prima
volta, che a Renzo avvenisse un caso simile: e appunto que-
sto suo non esser uso a stravizi fu cagione in gran parte che
il primo gli riuscisse così fatale. Que' pochi bicchieri che
aveva buttati giù da principio, l'uno dietro l'altro, contro il
suo solito, parte per quell'arsione che si sentiva, parte per
una certa alterazione d'animo, che non gli lasciava far nulla
con misura, gli diedero subito alla testa; a un bevitore un
po' esercitato non avrebbero fatto altro che levargli la sete.
Su questo il nostro anonimo fa una osservazione, che noi ri-
peteremo : e conti quel che può contare. Le abitudini tempe-
rate e oneste, dice, recano anche questo vantaggio, che, quanto
più sono inveterate e radicate in un uomo, tanto più facil-
mente, appena appena se n'allontani, se ne risente subito;
dimodoché se ne ricorda poi per un pezzo; e anche uno spro-
posito gli serve di scola.
Comunque sia, quando que' primi fumi furono saliti alla
testa di Renzo, vino e parole continuarono a andare, 1' uno
in giù e l'altre in su, senza misura né regola: e, al punto a
cui 1' abbiam lasciato, stava già come poteva. Si sentiva una
gran voglia di parlare; ascoltatori, o almeno uomini presenti
che potesse prender per tali, non ne mancava; e, per qualche
tempo, anche le parole eran venute via senza farsi pregare,
e s' eran lasciate collocare in un certo qual ordine. Ma a
poco a poco, quella faccenda di finir le frasi cominciò a di-
venirgli fieramente difficile. Il pensiero, che s' era presentato
vivo e risoluto alla sua mente, s' annebbiava e svaniva tutt' a
CAPITOLO XIV. 18?
un tratto; e la parola dopo essersi fatta aspettare un pezzo,
non era quella che fosse al caso. In queste angustie, per uno
di que' falsi instinti che, in tante cose, rovinan gli uomini,
ricorreva a quel benedetto fiasco.
Ma di che aiuto gli potesse essere il nasco, in una tale
circostanza, chi ha fior di senno lo dica.
Noi riferiremo soltanto alcune delle moltissime parole che
mandò fuori, in quella sciagurata sera: le molte più che tra-
lasciamo disdirebbero troppo; perchè, non solo non hanno
senso, ma non fanno visto d' averlo : condizione necessaria in
un libro stampato.
«Ah oste, oste!» ricominciò, accompagnandolo con l'occhio
intorno alla tavola, o sotto la cappa del cammino; talvolta
fissandolo dove non era, e parlando sempre in mezzo al
chiasso della brigata: «oste che tu sei! Non posso mandarla
giù .... quel tiro del nome, cognome e negozio. A un
figliuolo par mio ... ! Non ti sei portato bene. Che soddis-
fazione, che sugo, che gusto .... di mettere in carta un po-
vero figliuolo? Parlo bene, signori? Gli osti dovrebbero te-
nere dalla parte de' buoni figliuoli .... Senti, senti, oste; ti
voglio fare un paragone .... per la ragione .... Ridono eh?
Ho un po' di brio, sì . . . ma le ragioni le dico giuste. Dimmi
un poco; chi è che ti manda avanti la bottega? I poveri
figliuoli, n' è vero? dico bene? Guarda un po' se que' si*
gnori delle gride vengono mai da te a bere un bicchie-
rino ? »
«Tutta gente che beve acqua,» disse un vicino di Renzo.
«Vogliono stare in sé,» soggiunse un altro, « per poter dir
le bugie a dovere.»
«Ah!» gridò Renzo: «ora è il poeta che ha parlato. Dun-
que intendete anche voi altri le mie ragioni. Rispondi dun-
que, oste: e Ferrer, che è il meglio di tutti, è mai venuto
qui a fare un brindisi, e a spendere un becco d' un quattrino?
E quel cane assassino di don .... Sto zitto, perchè, sono in
cervello anche troppo. Ferrer e il padre Crr so io, son
due galantuomini; ma ce n' è pochi de' galantuomini. I vecchi
peggio de' giovani, e i giovani..-, peggio ancora de' vecchi
Però, son contento che non si sìa fatto sangue oibò; bar-
barie, da lasciarle fare al boia Pane, oh questo sì. Ne ho
ricevuti degli urtoni, ma .... ne ho anche dati. Largo! ab-
bondanza! viva! ... Eppure, anche Ferrer . . . qualche pa-
rolina in latino .... siès baraòs trapolorum . . Maledetto
vizio! Viva! giustizia! pane! ah, ecco le parole giuste!
Là ci volevano que' galantuomini .... quando scappò fuori
quel maledetto ton ton ton, e poi ancora tou ton ton. Non
si sarebbe fuggiti, ve', allora. Tenerlo lì quel signor curato . . .
So io a chi penso!»
188 I PROMESSI SPOSI.
A questa parola, abbassò la testa, e stette qualche tempo,
come assorto in un pensiero; poi mise un gran sospiro, e alzò
il viso, con due occhi inumiditi e lustri con un certo accora-
mento così svenevole, così sguaiato, che guai se chi n'era
1' oggetto avesse potuto vederlo un momento. Ma quegli
omacci che già avevan cominciato a prendersi spasso del-
l'eloquenza appassionata e imbrogliata di Renzo, tanto più
se ne presero della sua aria compunta; i più vicini dicevano
agli altri: guardate; e tutti si voltavano a lui; tanto che di-
venne lo zimbello della brigata. Non già che tutti fossero nel
loro buon senno, o nel loro qual si fosse senno ordinario; ma,
per dire il vero, nessuno n' era tanto uscito, quanto il povero
Renzo; e per di più era contadino. Si misero, or l'uno or
l'altro, a stuzzicarlo con domande sciocche e grossolane, con
cerimonie canzonatorie. Renzo, ora dava segno d' averselo
per male, ora prendeva la cosa in ischerzo, ora, senza badare
a tutte quelle voci, parlava di tutt* altro, ora rispondeva, ora
interrogava; sempre a salti, e fuor di proposito. Per buona
sorte, in quel vaneggiamento, gli era però rimasta come un'at-
tenzione istintiva a scansare i nomi delle persone; dimodoché
anche quello che doveva esser più altamente fitto nella sua
memoria, non fu proferito; che troppo ci dispiacerebbe se
quel nome, per il quale anche noi sentiamo un po' d'affetto
e di riverenza, fosse stato strascinato per quelle boccacce,
fosse divenuto trastullo di quelle lingue sciagurate.
CAPITOLO XV.
L'oste vedendo che il giuoco andava in lungo, s'era ac-
costato a Renzo; e pregando, con buona grazia, quegli altri
che lo lasciassero stare, l'andava scuotendo per un braccio,
e cercava di fargli intendere e di persuaderlo che andasse
a dormire. Ma Renzo tornava sempre da capo, col nome e
cognome, e con le gride, e co' buoni figliuob'. Però quelle
parole: letto e dormire, ripetute al suo orecchio, gli entraron
finalmente in testa ; gli fecero sentire un po' più distintamente
il bisogno di ciò che significavano, e produssero un momento
di lucido intervallo. Quel po' di senno che gli tornò, gli fece
in certo modo capire che il più se n' era andato; a un di
presso come 1' ultimo moccolo rimasto acceso d' un' illumina-
zione, fa vedere gli altri spenti. Si fece coraggio; stese le
mani, e le appuntellò sulla tavola, tentò, una o due volte,
d'alzarsi; sospirò, barcollò; alla terza, sorretto dall'oste, si
rizzò. Quello, reggendolo tuttavia, lo fece uscire di tra la
tavola e la panca; e, preso con una mano un lume, con l'ai-
CAPITOLO XV. 189
tra, parte lo condusse, parte Io tirò, alla meglio verso 1' uscio
di scala. Lì Renzo, al chiasso de' saluti che coloro gli ur-
lavan dietro, si voltò in fretta: e se il suo sostenitore non
fosse stato ben lesto a tenerlo per un braccio, la voltata sa-
rebbe stata un capitombolo; si voltò dunque, e, con l'altro
braccio che gli rimaneva libero, andava trinciando e iscrivendo
nell' aria certi saluti, a guisa d' un nodo di Salomone.
«Andiamo a letto, a letto,» disse 1' oste strascicandolo; gli
fece imboccar l'uscio; e con più fatica ancora, lo tirò in
cima di quella scaletta, e poi nella camera che gli aveva de-
stinata. Renzo, visto il letto che l'aspettava, si rallegrò;
guardò amorevolmente V oste con due occhietti che ora scin-
tillavano più che mai, ora s' ecclissavano come due lucciole:
cercò d'equilibrarsi sulle gambe; e stese la mano al viso del-
l'oste, per prendergli il ganascino, in segno d'amicizia e di
riconoscenza; ma non gli riuscì. «Bravo oste!» gli riuscì
però di dire: «ora vedo che sei un galantuomo: questa è
un' opera buona, dare un letto a un buon figliuolo : ma quella
figura che m'hai fatta sul nome e cognome, quella non era
da galantuomo. Per buona sorte che anch' io son furbo la
mia parte ...»
L' oste, il quale non pensava che colui potesse ancor tanto
connetterò; l'oste che, per lunga esperienza, sapeva quanto
gli uomini, in quello stato, sian più soggetti del solito a cam-
biar di parere, volle approfittare di quel lucido intervallo, per
fare un altro tentativo. «Figliuol caro,» disse, con una voce
e con un fare tutto gentile: «non l'ho fatto per seccarvi, né
per sapere i fatti vostri, Cosa volete? è legge: anche noi
bisogna ubbidire; altrimenti siamo i primi a portarne la pena.
È meglio contentarli, e . . Di che si tratta finalmente?
Gran cosa! dir due parole. Non per loro, ma per fare un
piacere a me: via; qui tra noi, a quattr'occhi, facciam le
nostre cose; ditemi il vostro nome, e ... e poi andate a letto
col cuor quieto.»
«Ah! birbone!» esclamò Renzo: «mariolo! tu mi torni
ancora in campo con quell'infamità del nome, cognome e
negozio!»
«Sta zitto, buffone; va a letto,») diceva l'oste.
Ma Renzo continuava più forte: «ho inteso: sei della lega
anche tu. Aspetta, aspetta, che t'accomodo io.» E voltando
la testa verso la scaletta, cominciava a urlare più forte an-
cora: «amici! V oste è della .... »
«Ho detto per celia,» gridò questo sul viso di Renzo,
spingendolo verso il letto: «per celia; non hai inteso che ho
detto per celia?»
«Ah! per celia: ora parli bene. Quando hai detto per
celia.... Son proprio celie.» E cadde bocconi sul letto.
190 I PROMESSI SPOSI.
«Animo; spogliatevi presto,-) disse l'oste, e al consiglio
aggiunse 1' aiuto, che ce n' era bisogno. Quando Renzo si fu
levato il farsetto (e ce ne volle), Toste l'agguantò subito, e
corse con le mani alle tasche , per vedere se e' era il morto.
Lo trovò: e pensando che, il giorno dopo, il suo ospite
avrebbe avuto a fare i conti con tutt" altri che con lui, e che
quel morto sarebbe probabilmente caduto in mani di dove un
oste non avrebbe potuto farlo uscire: volle provarsi se almeno
gli riusciva di concluder quest' altro affare.
"Voi siete un buon figliuolo, un galantuomo; n' è vero?»
disse.
«Buon figliuolo, galantuomo,» rispose Renzo, facendo tut-
tavia litigar le dita co' bottoni de' panni che non s' era ancor
potuto levare.
cBene,» replicò l'oste: «saldate ora dunque quel poco
conticino , perchè domani io devo uscire per certi miei af-
fari .... »
« Quest' è giusto,» disse Renzo. «Son furbo, ma galan-
tuomo .... Ma i danari? Andare a cercare i danai 1
ora! »
«Eccoli qui.» disse l'oste: e mettendo in opera tutta la
sua pratica, tutta la sua pazienza, tutta la sua destrezza, gli
riuscì di fare il conto con Renzo, e di pagarsi.
«Dammi una mano, ch'io possa finir di spogliarmi, oste,»
disse Renzo. «Lo vedo anch'io, ve', che ho addosso un gran
sonno.»
L'oste gli diede l'aiuto richiesto; gli stese per di più la
coperta addosso, e gli disse sgarbatamente «buona notte.»
che già quello russava. Poi, per quella specie d'attrattiva,
che alle volte ci tiene a considerare un oggetto di stizza, al
pari che un oggetto d'amore, e che forse non è altro che il
desiderio di conoscere ciò che opera fortemente sull' animo
nostro, si fermò un momento a contemplare l'ospite cosi
noioso per lui, alzandogli il lume sul viso, e facendovi, colla
mano stesa, ribatter sopra la luce; in quell' atto a un dipresso
che vien dipinta Psiche, quando sta a spiare furtivamente le
forme del consorte sconosciuto. «Pezzo d'asino!» disse nella
sua mente al povero addormentato: -sei andato proprio a
cercartela. Domani poi, mi saprai dire che bel gusto ci
avrai. Tangheri, che volete girare il mondo, senza saper da
che parte si levi il sole; per imbrogliar voi e il prossimo.»
Così detto o pensato, ritirò il lume, si mosse, uscì dalla
camera , e chiuse 1" uscio a chiave. Sul pianerottolo della
scala chiamò 1' ostessa: alla quale disse che lasciasse i figliuoli
in guardia a una loro servetta, e scendesse in cucina a far
le sue veci. «Bisogna ch'io vada fuori, in grazia d'un
CAPITOLO XV. 191
forestiero capitato qui, non so come diavolo, per mia disgra-
zia,» soggiunse: e le raccontò in compendio il noioso acci-
dente. Poi soggiunse ancora: «occhio a tutto; e sopra tutto
prudenza, in questa maledetta giornata. Abbiamo laggiù una
mano di scapestrati che, tra il bere, e tra che di natura sono
sboccati, ne dicon di tutti 1 colori. Basta, se qualche teme-
rario .... »
« Oh ! non sono una bambina , e so anch' io quel che va
fatto. Finora, mi pare che non si possa dire ...»
«Bene, bene; e badar che paghino; e tutti que' discorsi
che fanno, sul vicario di provvisione e il governatore Ferrer
e i decurioni e i cavalieri e Spagna e Francia e altre simili
corbellerie, far vista di non sentire; perchè, se si contraddice,
la può andar male subito; e se si dà ragione, la può andar
male in avvenire; e già sai anche tu che qualche volta quelli
che le dicon più grosse .... Basta; quando si senton certe
proposizioni, girar la testa, e dire: vengo; come se qualche-
duno chiamasse da un' altra parte. Io cercherò di tornare più
presto che posso.»
Ciò detto, scese con lei in cucina, diede un'occhiata in
giro, per veder se c'era novità di rilievo; staccò da un ca-
vicchio il cappello e la cappa, prese un randello da un can-
tuccio, ricapitolò, con un'altra occhiata alla moglie, l'istru-
zioni che le aveva date; e uscì. Ma, già nel far quelle ope-
razioni, aveva ripreso, dentro di sé, il filo dell'apostrofe co-
minciata al letto del povero Renzo; e la proseguiva, cammi-
nando in istrada.
— Testardo d'un montanaro! — Che, per quanto Renzo
avesse voluto tener nascosto l'esser suo, questa qualità si
manifestava da sé, nelle parole, nella pronunzia, nell'aspetto
e negli atti. — Una giornata come questa, a forza di politica,
a forza d'aver giudizio, io n'usciva netto; e dovevi venir tu
sulla fine, a guastarmi l'uova nel paniere. Manca osterie in
Milano, che tu dovessi proprio capitare alla mia? Fossi al-
meno capitato solo; che avrei chiuso un occhio, per questa
sera; e domattina t'avrei fatto intender la ragione. Ma no,
signore: in compagnia ci vieni; e in compagnia d' un bargello,
per far meglio! —
A ogni passo, 1' oste incontrava o passeggieri scompagnati,
o coppie, o brigate di gente, che giravano susurrando. A
questo punto della sua muta allocuzione, vide venir una pat-
tuglia di soldati; e tirandosi da parte, per lasciarli passare,
li guardò con la coda dell'occhio, e continuò tra sé: — ec-
coli i gastigamatti. E tu, pezzo d'asino, per aver visto un
po' di gente in giro a far baccano, ti sei cacciato in testa che
il mondo abbia a mutarsi. Su questo bel fondamento, ti sei
rovinato te, e volevi anche rovinar me; che non è giusto. Io
192 I PROMESSI SPOSI.
facevo di tutto per salvarti; o tu, bestia, in contraccambio.
e' è mancato poco che non nv hai messo sottosopra 1' osteria.
Ora toccherà a te a levarti d'impiccio: per me ci penso io.
Come se io volessi sapere il tuo nome per una mia curiosità.
Cosa m'importa a me che tu ti chiami Taddeo o Bartolomeo?
Ci ho un bel gusto anch'io a prender la penna in mano! ma
non siete voi altri soli a voler le cose a modo vostro. Lo so
anch'io che ci son delle gride che non contan nulla: bella
novità, da venircela a dire un montanaro! Ma tu non sai che
le gride contro gli osti contano. E pretendi girare il mondo.
e parlare; e non sai che, a voler fare a modo suo, e impi-
parsi delle gride, la prima cosa è di parlarne con gran ri-
guardo. E per un povero oste che fosse del tuo parere, e non
domandasse il nome di chi capita a favorirlo, sai tu, bestia,
cosa c'è di bello? Sotto pena a guai si voglia dei detti
osti, tavernai ed altri, come sopra, di trecento scudi: sì, son
lì che covano trecento scudi; e per ispenderli così bene; da
essere applicati per i due terzi alla regia Camera, e V altro
air accusatore o delatore: quel bel cecino! Ed in caso di
inabilità, cinque anni di galera, e maggior pena, pecuniaria
o corporale, all' arbitrio di sua eccellenza. Obbligatissimo
alle sue grazie. —
A queste parole, 1' oste toccava la soglia del palazzo di
giustizia.
Lì, come a tutti gli altri ufizi, e1 era un gran da fare : per
tutto s' attendeva a dar gli ordini che parevan più atti a pre-
occupare il giorno seguente, a levare i pretesti e l'ardire
agli animi vogliosi di nuovi tumulti, ad assicurare la forza
nelle mani solite ad adoprarla. S' accrebbe la soldatesca alla
casa del vicario; gli sbocchi della strada furono sbarrati di
travi, trincerati di carri. S'ordinò a tutti i fornai che fa-
cessero pane senza intermissione; si spedirono staffette a' paesi
circonvicini, con ordini di mandar grano alla città; a ogni
forno furono deputati nobili, che vi si portassero di buon
mattino, a invigilare sulla distribuzione e a tenere a freno
gì' inquieti, con l' autorità della presenza', e con le buone pa-
role. Ma per dar, come si dice, un colpo al cerchio e uno
alla botte, render più efficaci i consigli con un po' di spa-
vento, si pensò anche a trovar la maniera di metter le mani
addosso a qualche sedizioso; e questa era principalmente la
parte del capitano di giustizia; il quale, ognuno può pensare
che sentimenti avesse per le sollevazioni e per i sollevati, con
una pezzetta d'acqua vulneraria sur uno degli organi della
profondità metafìsica. I suoi bracchi erano in campo fino dal
principio del tumulto: e quel sedicente Ambrogio Fusella era,
come ha detto l'oste, un bargello travestito, mandato in giro
appunto per cogliere sul fatto qualcheduno da potersi rico-
CAPITOLO XV. 193
noscere, e tenerlo in petto, e appostarlo, e acchiapparlo poi,
a notte affatto quieta, o il giorno dopo. Sentite quattro pa-
role di quella predica di Renzo, colui gli aveva fatto subito
assegnamento sopra: parendogli quello un reo buon uomo,
proprio quel che ci voleva. Trovandolo poi nuovo affatto del
paese, aveva tentato il colpo maestro di condurlo caldo caldo
alle carceri, come alla locanda più sicura della città; ma gli
andò fallito, come avete visto. Potè però portare a casa la
notizia sicura del nome, cognome e patria, oltre cent' altre
belle notizie congetturali; dimodoché, quando l'oste capitò lì,
a dir ciò che sapeva intorno a Renzo, ne sapevan già più di
lui. Entrò nella solita stanza, e fece la sua deposizione-
come era giunto ad alloggiar da lui un forestiero, che non
aveva mai voluto manifestare il suo nome.
«Avete fatto il vostro dovere a informar la giustizia:»
disse un notaio criminale, mettendo giù la penna, «ma già lo
sapevamo.»
— Bel segreto: pensò l'oste: — ci vuole un gran talen-
to! — «E sappiamo anche,» continuò il notaio, «quel riverito
nome.»
— Diavolo! il nome poi, com' hanno fatto! — pensò l'oste
questa volta.
«Ma voi,» riprese l'altro, con volto serio, «voi non dite
tutto sinceramente.»
«Cosa devo dire di più?»
«Ah! ah! sappiamo benissimo che colui ha portato nella
vostra osteria una quantità di pane rubato e rubato con vio-
lenza, per via di saccheggio e di sedizione.»
«Vien uno con un pane in tasca; so assai dov'è andato
a prenderlo. Perchè, a parlar come in punto di morte, posso
dire di non avergli visto che un pane solo.»
«Già sempre scusare, difendere: chi sente voi altri, son
tutti galantuomini. Come potete provare che quel pane fosse
di buon acquisto?»
«Cosa ho da provare io? io non c'entro: io fo l'oste.»
«Xon potrete però negare che codesto vostro avventore
non abbia avuta la temerità di proferir parole ingiuriose con-
tro le gride, e di fare atti mali e indecenti contro l'arme di
sua eccellenza.»
a Mi faccia grazia, vossignoria: come può mai essere mio
avventore, se lo vedo per la prima volta? È il diavolo, con
rispetto parlando, che l'ha mandato a casa mia: e se lo co-
noscessi, vossignoria vede bene che non avrei avuto bisogno di
domandargli il suo nome.»
«Però, nella vostra osteria, alla vostra presenza si son
dette cose di fuoco: parole temerarie, proposizioni sediziose,
mormorazioni, strida, clamori.»
Manzoni. 13
194 i PEOiiessi sposi.
«Come vuole vossignoria ch'io badi agli spropositi che
posson dire tanti urloni che parlan tutti insieme? Io devo
attendere a' miei interessi, che sono un pover' uomo. E poi
vossignoria sa bene che chi è di lingua sciolta, per il solito
è anche lesto di mano, tanto più quando sono una brigata ;
è . . . .»
«Sì, sì; lasciateli fare e dire: domani, domani, vedrete se
gli sarà passato il ruzzo. Cosa credete?»
do non credo nulla.»
«Che la canaglia sia diventata padrona di Milano?»
«Oh giusto!»
«Vedrete, vedrete.»
«Intendo benissimo;
riscosso avrà riscosso: e naturalmente un povero padre di fa-
miglia non ha voglia di riscotere. Lor signori hanno la for-
za: a lor signori tocca.»
Avete molta gente in casa?»
«Un visibilio.»
«E quel vostro avventore cosa fa? Continua a schia-
mazzare, a metter su la gente, a preparar tumulti per do-
mani?))
«Quel forestiero, vuol dire vossignoria: è andato a letto.»
«Dunque avete molta gente .... Basta; badate a non la-
sciarlo scappare. »
— Che devo fare il birro io? — pensò l'oste; ma non
disse né sì né no.
«Tornate pure a casa; e abbiate giudizio,» riprese il
notaio.
«Io ho sempre avuto giudizio. Vossignoria può dire se
ho mai dato da fare alla giustizia.-)
«E non crediate che la giustizia abbia perduta la sua
forza.»
«Io? per carità! io non credo nulla; abbado a far l'oste.»
«La solita canzone: non avete mai altro da dire.»
«Che ho da dire altro? La verità è una sola.»
«Basta; per ora riteniamo ciò che avete deposto; se verrà
poi il caso, informerete più minutamente la giustizia intorno
a ciò che vi potrà venir domandato.»
«Cosa ho da informare? io non so nulla; appena ho la
testa da attendere ai fatti miei.»
«Badate a non lasciarlo partire.»
«Spero che l'illustrissimo signor capitano saprà che son
venuto subito a fare il mio dovere. Bacio le mani a vossi-
gnoria. »
Allo spuntar del giorno, Renzo russava da circa sett' ore,
ed era ancora, poveretto! sul più bello, quando due forti
scosse alle braccia, e una voce che dappiè del letto gridava:
CAPITOLO XV. 195
«Lorenzo Tramaglino!)', lo fecero riscotere. Si risentì, ritirò
le braccia, aprì gli occhi a stento; e vide ritto appiè del
letto un uomo vestito di nero, e due armati, uno di qua,
uno di Là, del capezzale. E, tra la sorpresa e il non esser
desto bene, e la spranghetta di quel vino che sapete, rimase
un momento come incantato; e credendo di sognare, e non
piacendogli quel sogno, si dimenava come per isvegliarsi
affatto.
«Ah! avete sentito una volta, Lorenzo Tramaglino?» disse
l'uomo dalla cappa nera, quel notaio medesimo della sera
avanti. «Animo dunque; levatevi e venite con noi.»
«Lorenzo Tramaglino!» disse Renzo Tramaglino: «cosa
vuol dir questo? Cosa volete da me? Chi v'ha detto il mie
nome?»
«Meno ciarle, e fate presto,» disse un de' birri che gli
stavano a fianco, prendendogli di nuovo il braccio.
«Ohe! che prepotenza è questa?» gridò Renzo, ritirando
il braccio. «Oste! o l'oste!»
«Lo portiam via in camicia?» disse ancora quel birro,
voltandosi al notaio.
«Avete inteso?» disse questo a Renzo: «si farà così, se
non vi levate subito subito per venir con noi.»
«E perchè?» domandò Renzo.
«Il perchè lo sentirete dal signor capitano di giustizia.»
«Io? io sono un galantuomo: non ho fatto nulla; e mi
maraviglio .... »
«Meglio per voi, meglio per voi; così, in due parole sa-
rete spicciato, e potrete andarvene per i fatti vostri.»
«Mi lascino andare ora,» disse Renzo: «io non ho che
far nulla con la giustizia.»
«Orsù, finiamola!» disse un birro.
«Lo portiamo via davvero?» disse l'altro.
«Lorenzo Tramaglino!» disse il notaio.
«Come sa il mio nome, vossignoria?»
«Fate il vostro dovere,» disse il notaio a' birri, 1 quali
misero subito le mani addosso a Renzo, per tirarlo fuori del
letto.
«Eh! non toccate la carne d'un galantuomo, che ....
Mi so vestir da me. »
«Dunque vestitevi subito,» disse il notaio.
«Mi vesto,» rispose Renzo; e andava di fatti raccoglien
do qua e là i panni sparsi sul letto, come gli avanzi d'un
naufragio sul lido. E cominciando a metterseli, proseguiva
tuttavia dicendo: «ma io non ci voglio andare dal capitano
di giustizia. Non ho che far nulla con lui. Giacché mi si
fa quest' affronto ingiustamente, voglio esser condotto da Fer-
13*
196 1 PEOMESSI SPOSI.
rei*. Quello lo conosco, so che è un galantuomo; e m'ha
delle obbligazioni. >
«Sì, sì, figliuolo, sarete condotto da Ferrer,» rispose ii
notaio. In altre circostanze, avrebbe riso, proprio di gusto,
d'una richiesta simile; ma non era momento da ridere. Già
nel venire, aveva visto per le strade un certo movimento, da
non potersi ben definire se fossero rimasugli d' una soileva-
zione non del tutto sedata, o principii d'una nuova: uno sbu-
car di persone, un accozzarsi, un andare a brigate, un far
crocchi. E ora, senza farne sembiante, o cercando almeno di
non farlo, stava in orecchi, e gli pareva che il ronzìo andasse
crescendo. Desiderava dunque di spicciarsi; ma avrebbe an-
che voluto condur via Renzo d'amore e d'accordo; giacché,
se si fosse venuti a guerra aperta con lui, non poteva esser
certo, quando fossero in istrada, di trovarsi tre contr' uno
Perciò dava d'occhi a' birri, che avessero pazienza, e non
inasprissero il giovine; e dalla parte sua, cercava di persua-
derlo con buone parole. Il giovine intanto, mentre si vestiva
adagino adagino, richiamandosi, come poteva, alla memoria
gli avvenimenti del giorno avanti, indovinava bene, a un di
presso, che le gride e il nome e il cognome dovevano esser
la causa di tutto: ma come diamine colui lo sapeva quel nome?
E che diamine era accaduto in quella notte, perchè la giusti-
zia avesse preso tant' animo, da venire a colpo sicuro, a met-
ter le mani addosso a uno de' buoni figliuoli che il giorno
avanti, avevan tanta voce in capitolo? e che non dovevan esser
tutti addormentati , poiché Renzo s' accorgeva anche lui d' un
ronzìo crescente nella strada. Guardando poi in viso il no-
taio, vi scorgeva in pelle in pelle la titubazione che costui si
sforzava invano di tener nascosta. Onde, così per venire in
chiaro delle sue congetture, e scoprir pae3e, come per tirare
in lungo, e anche per tentare un colpo, disse: «vedo bene
cos'è l'origine di tutto questo: gli è per amor del nome e
del cognome. Ier sera veramente ero un po' allegro: questi
osti alle volte hanno certi vini traditori; e alle volte, come
dico, si sa. quando il vino è giù è lui che parla. Ma, se non
si tratta d* altro, ora son pronto a darle ogni soddisfazione.
E poi, già lei lo sa il mio nome. Chi diamine gliel' ha
detto?-)
«Bravo, figliuolo, bravo!» rispose il notaio, tutto manie-
roso: «vedo che avete giudizio; e, credete a me che son del
mestiere, voi siete più furbo che tant' altri. È la miglior
maniera d'uscirne presto e bene: con codeste buone disposi-
zioni, in due parole siete spicciato, e lasciato in libertà. Ma
io, vedete, figliuolo, ho le mani legate, non posso rilasciarvi
qui, come vorrei. Via fate presto, e venite pure senza timore-
CAPITOLO XV. 197
che quando vedranno chi siete; e poi io dirò .... Lasciate
fare a me .... Basta: sbrigatevi, figliuolo.)
«Ah! lei non può: intendo,» disse Renzo; e continuava
a vestirsi, rispingendo con de' cenni i cenni che i birri face-
vano di mettergli le mani addosso, per farlo spicciare.
"Passeremo dalla piazza del duomo?- domandò poi al
notaio.
«Di dove volete; per la più corta, affine di lasciarvi più
presto in libertà,» disse quello, rodendosi dentro di sé, di
dover lasciar cadere in terra quella domanda misteriosa di
Renzo, che poteva divenire un tema di cento interrogazioni.
— Quando uno nasce disgraziato! pensava. — Ecco, mi
viene alle mani uno che, si vede, non vorrebbe altro che can-
tare, e un po' di respiro che s'avesse, così, extra formam,
accademicamente, in via di discorso amichevole, gli si farebbe
confessar, senza corda, quel che uno volesse; un uomo da
condurlo in prigione già beli' e esaminato, senza che se ne
fosse accorto: e un uomo di questa sorte mi deve per l'ap-
punto capitare in un momento còsi angustiato. Eh! non c'è
scampo, — continuava a pensare, tendendo gli orecchi, e pie-
gando la testa all' indietro: — non e" è rimedio; e' risica
d'essere una giornata peggio di ieri. — Ciò che lo fece pen-
sar così, fu un rumor straordinario che si sentì nella strada:
e non potè tenersi di non aprir l' impannata, per dare un' oc-
chiatina. Vide ch'era un crocchio di cittadini, i quali al-
l'intimazione di sbandarsi, fatta loro da una pattuglia, ave-
van da principio risposto con cattive parole, e finalmente si
separavan continuando a brontolare: e quel che al notaio parve
un segno mortale, i soldati eraD pieni di civiltà. Chiuse l' im-
pannata, e stette un momento in forse, se dovesse condur
l'impresa a termine, o lasciar Renzo in guardia de' due bir-
ri, e correr dal capitano di giustizia, a render conto di ciò
che accadeva. — Ma, pensò subito, — mi si dirà che sono
un huono a nulla, un pusillanime, e che dovevo eseguir gli
ordini. Siamo in ballo : bisogna ballare. Malannaggia la fu-
ria! .Maledetto il mestiere! —
Renzo era levato ; i due satelliti gli stavano a' fianchi. Il
notaio accennò a costoro che non lo sforzasser troppo, e disse
a lui: "da bravo, figliuolo; a noi, spicciatevi.»
Anche Renzo sentiva, vedeva e pensava. Era ormai tutto
vestito, salvo il farsetto, che teneva con una mano, frugando
con l'altra nelle tasche. "Ohe!» disse, guardando il notaio,
con un viso molto significante: «qui c'era de' soldi e una
lettera, signor mio.»
«Vi sarà dato ogni cosa puntualmente,» disse il notaio,
«dopo adempite quelle poche formalità. Andiamo, an-
diamo.»
198
I PROMESSI SPOSI.
«No, no, no,» disse Renzo, tentennando il capo: «questa
non mi va: voglio la roba mia, signor mio. Renderò conto
delle mie azioni: ma voglio la roba mia.»
«Voglio farvi vedere che mi fido di voi; tenete, e fate
presto.'- disse il notaio, levandosi di seno, e consegnando, con
un sospiro, a Renzo le cose sequestrate. Questo, riponendole
al loro posto, mormorava tra' denti: «alla larga! bazzicate
ranto co* ladri, che avete un poco imparato il mestiere.» I
"idrri non potevan più stare alle mosse; ma il notaio li teneva
a freno con gli occhi, e diceva intanto tra se: — se tu arrivi
a metter piede dentro quella soglia, l'hai da pagar con usu-
ra, l'hai da pagare. —
Mentre Renzo si metteva il farsetto, e prendeva il cap-
pello, il notaio fece cenno a un de' birri, che s'avviasse per
la scala: gli mandò dietro il prigioniero, poi l'altro amico;
poi si mosse anche lui. In cucina che furono, mentre Renzo
dice: «e quest'oste benedetto dove s'è cacciato?» il notaio
fa un altro cenno a' birri: i quali afferrano, l'uno la destra,
l'altro la sinistra del giovine, e in fretta in fretta gli legano
i polsi con certi ordigni, per quell'ipocrita figura d'eufemi-
smo, chiamati manichini. Consistevano questi (ci dispiace di
dover discendere a particolari indegni della gravità storica:
ma la chiarezza lo richiede), consistevano in una cordicella
lunga un po' più che il giro d'un polso ordinario, la quale
aveva nelle cime due pezzetti di legno, come due piccole
stanghette. La cordicella circondava il polso del paziente; i
legnetti passati tra il medio e l'anulare del prenditore, gli
rimanevano chiusi in pugno, di modo che, girandoli, ristrin-
geva la legatura a volontà; e con ciò aveva mezzo, non solo
d'assicurare la presa, ma anche di martirizzare un ricalci-
trante: e a questo fine, la cordicella era sparsa di nodi.
Renzo si divincola, grida: «che tradimento è questo? A
un galantuomo ....!< Ma il notaio, che per ogni tristo fatto
aveva le sue buone parole, «abbiate pazienza,» diceva: «fanno
il loro dovere. Cosa volete? son tutte formalità; e anche noi
non possiamo trattar la gente a seconda del nostro cuore.
Se non si facesse quello che ci vien comandato, staremmo fre-
schi noi altri, peggio di voi. Abbiate pazienza.»
Mentre parlava, i due a cui toccava fare, diedero una gi-
rata a' legnetti. Renzo s'acquietò, come un cavallo bizzarro
che si sente il labbro stretto tra le morse, e esclamò: «pa-
zienza!»
«Bravo, figliuolo!» disse il notaio: «questa è la vera ma-
niera d'uscirne a bene. Cosa volete? è una seccatura: lo
vedo anch'io: ma, portandovi bene, in un momento ne siete
fuori. E giacché vedo che siete ben disposto, e io mi sento
inclinato a aiutarvi, voglio darvi anche un altro parere, per
CAPITOLO XV. 199
vostro bene. Credete a me, che son pratico di queste cose:
andate via diritto diritto, senza guardare in qua e in là, senza
farvi scorgere: così nessuno bada a voi, nessuno s'avvede di
quel che è; e voi conservate il vostro onore. Di qui a un' ora
voi siete in libertà : e' è tanto da fare, che avranno fretta an-
che loro di sbrigarvi: e poi parlerò io .... Ve n'andate per
i fatti vostri : e nessuno saprà che siete stato nelle mani della
giustizia. E voi altri , » continuò poi , voltandosi a' birri, con
un viso severo: «guardate bene di non fargli male, perchè lo
proteggo io : il vostro dovere bisogna che lo facciate , ma ri-
cordatevi che è un galantuomo, un giovine civile, il quale, di
qui a poco, sarà in libertà; e che gli deve premere il suo
onore. Andate in maniera che nessuno s'avveda di nulla:
come se foste tre galantuomini che vanno a spasso.» E con
tono imperativo, e con sopracciglio minaccioso, concluse: «m'a-
vete inteso.» Voltatosi a Renzo, col sopracciglio spianato, e
col viso divenuto a un tratto ridente, che pareva volesse dire:
oh noi sì che siamo amici! gli bisbigliò di nuovo: «giudizio;
fate a mio modo; andate raccolto e quieto; fidatevi di chi vi
vuol bene: andiamo.» E la comitiva s'avviò.
Però di tante belle parole, Renzo non ne credette una: né
che il notaio volesse più bene a lui che a' birri, né. che pren-
desse tanto a cuore la sua riputazione, né che avesse inten-
zion d'aiutarlo; capì benissimo che il galantuomo, temendo
che si presentasse per la strada qualche buona occasione di
scappargli dalle mani, metteva innanzi que' bei motivi, per
istornar lui dallo starci attento e da approfittarne, dimodoché
tutte quelle esortazioni non servirono ad altro che a con-
fermarlo nel disegno che già aveva in testa, di far tutto il
contrario.
Nessuno concluda da ciò che il notaio fosse un furbo ine-
sperto o novizio; perchè s'ingannerebbe. Era un furbo ma-
tricolato, dice il nostro storico, il quale pare che fosse nel
numero de' suoi amici: ma, in quel momento si trovava con
l'animo agitato. A sangue freddo, vi so dir io come si sa-
rebbe fatto beffe di chi per indurre un altro a fare una cosa
per sé sospetta, fosse andato suggerendogliela e inculcando-
gliela caldamente, con quella miserabile finta di dargli un pa-
rere disinteressato, da amico. Ma è una tendenza generale degli
uomini, quando sono agitati e angustiati, e vedono ciò che un
altro potrebbe fare per levarli l' impiccio di chiederglielo con
istanza e ripetutamente e con ogni sorte di pretesti; e i furbi,
quando sono angustiati e agitati, cadono anche loro sotto
questa legge comune. Quindi è che, in simili circostanze,
fanno per lo più una così meschina figura. Que' ritrovati
maestri, quelle belle malizie, con le quali sono avvezzi a vin-
cere, che son diventate per loro quasi una seconda natura, e
200 I PROMESSI SPOSI.
che, messe in opera a tempo, e condotte con la pacatezza,
d'animo, con la serenità di mente necessaria, fanno il colpo
così bene e così nascostamente, e conosciute auche, dopo la
riuscita, riscotono l'applauso universale; i poverini quando
sono alle strette, le adoprano in fretta, all'impazzata, senza
garbo né grazia. Di maniera che a uno che li veda inge-
gnarsi e arrabbattarsi a quel modo, fanno pietà e movon le
risa, e l'uomo che pretendono allora di mettere in mezzo,,
quantunque meno accorto di loro, scopre benissimo tutto il
loro gioco, e da quegli artifizi ricava lume per se, contro di
loro. Perciò non si può mai abbastanza raccomandare a' furbi
di professione di conservar sempre il loro sangue freddo, o
d* esser sempre i più forti, che è la più sicura.
Renzo adunque, appena furono in istrada, cominciò a gi-
rar gli occhi in qua e in là, a sporgersi con la persona, a
destra e a sinistra, a tender gli orecchi. Non c'era però
concorso straordinario; e benché sul viso di più d'unpasseg-
giero si potesse legger facilmente un certo non so che di se-
dizioso, pure ognuno andava diritto per la sua strada; e se-
dizione propriamente detta, non e* era.
e Giudizio, giudizio!» gli susurrava il notaio dietro le
spalle: e il vostro onore: l'onore, figliuolo.» Ma quando
Renzo, badando attentamente a tre che venivano con visi ac-
cesi . sentì che parlavan d' un forno , di farina nascosta , di
giustizia, cominciò anche a far loro de' cenni col viso, e a
tossire in quel modo che indica tutt' altro che un raffreddore.
Quelli guardarono più attentamente la comitiva, e si ferma-
rono; con loro si fermarono altri che arrivavano; altri, che
gli eran passati davanti, voltatisi al bisbiglio, tornavano in-
dietro, e facevan coda.
('Badate a voi; giudizio, figliuolo; peggio per voi, vedete;
non guastate i fatti vostri: l'onore, la riputazione,» conti-
nuava a susurrare il notaio. Renzo faceva peggio. I birri,
dopo essersi consultati con l'occhio, pensando di far bene
(ognuno è soggetto a sbagliare), gli diedero una stretta di
manichini.
(-Ahi! ahi! ahi!» grida il tormenfato; al grido, la gente
s'affolla intorno; n'accorre da ogni parte della strada: la
comitiva si trova incagliata. «È un malvivente,» bisbigliava
il notaio a quelli che gli erano a ridosso : « è un ladro colto
sul fatto. Si ritirino, lascin passar la giustizia.» Ma Renzo,
visto il bel momento, visti i birri diventar bianchi, o almeno
pallidi, — se non m'aiuto ora, pensò, mio danno. — E su-
bito alzò la voce: «figliuoli! mi menano in prigione, perchè
ieri ho gridato: pane e giustizia. Non ho fatto nulla; son
galantuomo- aiutatemi, non m'abbandonate, figliuoli!»
CAPITOLO XVI. 201
Un mormorio favorevole, voci più chiare di protezione
s'alzano in risposta: i birri sul principio comandano, poi
chiedono, poi pregano i più vicini d'andarsene, e di far lar-
go; la folla in vece incalza e pigia sempre più. Quelli, vista
la mala parata, lascian andare i manichini, e non si curan
più d'altro che di perdersi nella folla, per uscirne inosser-
vati. Il notaio desiderava ardentemente di far lo stesso; ma
c'era de' guai, per amor della cappa nera. Il pover' uomo,
pallido e sbigottito, cercava di farsi piccino piccino, s1 andava
storcendo, per isgusciar fuor della folla; ma non poteva alzar
gli occhi, che non se ne vedesse venti addosso. Studiava
tutte le maniere di comparire un estraneo che passando di lì
a caso, si fosse trovato stretto nella calca, come una pagliu-
cola nel ghiaccio; e riscontrandosi a viso a viso con uno
che lo guardava fisso, con un cipiglio peggio degli altri, lui,
composta la bocca al sorriso, con suo fare sciocco, gli do-
mandò: «cos'è stato?»
«Uh corvaccio!» rispose colui. «Corvaccio! coivaccio!»
risonò all'intorno. Alle grida s'aggiunsero gli urtoni; di
maniera che, in poco tempo, parte con le gambe proprie,
parte con le gomita altrui, ottenne ciò che più gli premeva
in quel momento, d' esser fuori di quel serra serra.
CAPITOLO XVI.
«Scappa, scappa, galantuomo: lì c'è un convento, ecco là
una chiesa: di qui, di là.» si grida a Renzo da ogni parte.
In quanto allo scappare, pensate se aveva bisogno di consigli.
Fin dal primo momento che gli era balenato in nente una
speranza d'uscir da quell'unghie, aveva cominciato a fare i
suoi conti, e stabilito, se questo gli riusciva, d'andare senza
fermarsi, fin che non fosse fuori, non solo della città, ma del
ducato. — Perchè, — aveva pensato, — il mio nome P hanno
su' loro libracci in qualunque maniera l'abbiano avuto; e col
nome e cognome, mi vengono a prendere quando vogliono. E
in quanto a un asilo, non vi si sarebbe cacciato che quando
avesse avuto i birri alle spalle. — Perchè, se posso essere
uccel di bosco, — aveva anche pensato, — non voglio diven-
' tare uccel di gabbia. — Aveva dunque disegnato per suo ri-
! fugio quel paese nel territorio di Bergamo, dov'era accasato
quel suo cugino Bortolo, se ve ne rammentate, che più volte
I l'aveva invitato a andar là. Ma trovar la strada, lì stava il
j male. Lasciato in una parte sconosciuta d' una città si può
dire sconosciuta, Renzo non sapeva neppure da che porta
202 I PROMESSI SPOSI.
s'uscisse per andare a Bergamo; e quando l'avesse saputo,
non sapeva poi andare alla porta. Fu li lì per farsi inse-
gnare la strada da qualcheduno de' suoi liberatori : ma sicco-
me nel poco tempo che aveva avuto per meditare su' cast
suoi, gli eran passate per la mente certe idee su quello 'spa-
daio così obbligante, padre di quattro figliuoli, così, a buon
conto, non volle manifestare i suoi disegni a una gran bri-
gata, dove ce ne poteva essere qualche altro di quel conio: e
risolvette subito d'allontanarsi in fretta di lì: che la strada
se la farebbe poi insegnare, in luogo dove nessuno sapesse
chi era, né il perchè la domandasse. Disse a' suoi liberatori:
«'grazie tante, figliuoli: siate benedetti,» e, uscendo per il
largo che gli fu fatto immediatamente, prese la rincorsa, e
via; dentro per un vicolo, giù per una stradetta, galoppò un
pezzo, senza saper dove. Quando gli parve d'essersi allon-
tanato abbastanza, rallentò il passo per non dar sospetto; e
cominciò a guardare in qua e in là, per iscegliere la persona
a cui far la sua domanda, una faccia che ispirasse confidenza.
Ma anche qui e' era dell' imbroglio. La domanda per sé
era sospetta; il tempo stringeva; i birri, appena liberati da
quel piccolo intoppo, dovevan senza dubbio essersi rimessi in
traccia del loro fuggitivo; la voce di quella fuga poteva es-
sere arrivata fin là. e in tali strette, Renzo dovette fare forse
dieci giudizi fisionomici, prima di trovar la figura che gli pa-
resse a proposito. Quel grassotto, che stava ritto sulla so-
glia della sua bottega, a gambe larghe, con le mani di dietro.
con la pancia in fuori, col mento in aria, dal quale pendeva
una gran pappagorgia, e che, non avendo altro che fare, an-
dava alternativamente sollevando sulla punta de' piedi la sua
massa tremolante, e lasciandola ricadere sui calcagni, aveva
un viso di cicalone curioso, che invece di dar delle risposte,
avrebbe fatto delle interrogazioni. Queir altro che veniva in-
nanzi, con gli occhi fìssi, e col labbro in fuori, non che inse-
gnar presto e bene la strada a un altre, appena pareva co-
noscer la sua. Quel ragazzotto, che, a dire il vero, mostrava
d'esser molto sveglio, mostrava però d'essere anche più ma-
lizioso; e probabilmente avrebbe avuto un gusto matto a far
andare un povero contadino dalla parte opposta a quella che
desiderava. Tant' è vero che all' uomo impicciato, quasi ogni
cosa è un nuovo impiccio! Visto finalmente uno che veniva
in fretta, pensò che questo, avendo probabilmente qualche
affare pressante, gli risponderebbe subito senz' altre chiac-
chiere: e sentendolo parlar da sé, giudicò Ghe dovesse essere
un uomo sincero. Gli s'accostò, e disse: «di grazia, quel
signore, da che parte si va per andare a Bergamo?»
«Per andare a Bergamo? Da porta orientale.»
«Grazie tante; e per andare a porta orientale?»
CAPITOLO XVI. 203
^Prendete questa strada a mancina: vi troverete sulla
piazza del duomo; poi . . . .»
«Basta, signore; il resto lo so. Dio gliene renda meri-
to.» E deviato s'incamminò dalla parte che gli era stata
indicata. L' altro gli guardò dietro un momento, e, accozzan-
do nel suo pensiero quella maniera di camminare con la do-
manda, disse tra sé: — o n' ha fatta una, o qualcheduno la
vuol fare a lui. —
Renzo arriva sulla piazza del duomo: l'attraversa, passa
accanto a un mucchio di cenere e di carboni spenti, e rico-
nosce gli avanzi del falò di cui era stato spettatore il giorno
avanti: costeggia gli scalini del duomo, rivede il forno delle
gruccie, mezzo smantellato, e guardato da soldati; e tira di-
ritto per la strada da cui era venuto insieme con la folla:
arriva al convento dei cappuccini; dà un'occhiata a quella
piazza e alla porta della chiesa, e dice tra sé, sospirando:
— m'aveva però dato un buon parere quel frate di ieri:
che stessi in chiesa a aspettare, e a fare un po' di bene. —
Qui, essendosi fermato un momento a guardare attenta-
mente alla porta per cui doveva passare, e vedendovi, così da
lontano, molta gente a guardia, e avendo la fantasia un po'
riscaldata (bisogna compatirlo ; aveva i suoi motivi) , provò
una certa ripugnanza ad affrontare quel passo. Si trovava
così a mano un luogo d'asilo, e dove, con quella lettera, sa-
rebbe ben raccomandato; fu tentato fortemente d'entrarvi.
Ma, subito ripreso animo, pensò: — uccel di bosco, fin che
si può. Chi mi conosce? Di ragione, i birri non si saran
fatti in pezzi, ,per andarmi ad aspettare a tutte le porte. —
Si voltò, per vedere se mai venissero da quella parte: non
vide né quelli, né altri che paressero occuparsi di lui. Va
innanzi; rallenta quelle gambe benedette, che volevan sempre
correre, mentre conveniva soltanto camminare; e adagio ada-
gio, fischiando in semitono, arriva alla porta.
C'era, proprio sul passo, un mucchio di gabellini, e per
rinforzo, anche de' micheletti spagnoli, ma stavan tutti attenti
verso il di fuori, per non lasciare entrar di quelli che, alla
notizia d'una sommossa, v'accorrono, come i corvi al campo
dove è stata data battaglia; di maniera che Renzo, con un1
aria indifferente, con gli occhi bassi, e con un andare così tra
il viandante e uno che vada a spasso, uscì, senza che nessuno
gli dicesse nulla: ma il cuore di dentro faceva un gran bat-
tere. Vedendo a diritta una viottola, entrò in quella, per
evitare la strada maestra; e camminò un pezzo prima di vol-
tarsi neppure indietro.
Cammina, cammina; trova cascine, trova villaggi, tira in-
nanzi senza domandarne il nome; è certo d'allontanarsi da
Milano; spera d'andar verso Bergamo; questo gli basta per
204 ] PROMESSI SPOSI.
ora. Ogni tanto, si voltava indietro: ogni tanto, andava an-
che guardando e strofinando or 1" uno or l'altro polso, an-
cora_ un po' indolenziti, e segnati in giro d'una striscia ros-
seggiante, vestigio della cordicella. I suoi pensieri erano,
come ognuno può immaginarsi, un guazzabuglio di pentimenti,
d'inquietudini, di rabbie, di tenerezze; era uno studio fati-
coso di raccapezzare le cose dette e fatte la sera avanti, di
scoprir la parte segreta della sua dolorosa storia, e sopra-
tutto come avevan potuto risapere il suo nome. I suoi sospetti
cadevan naturalmente sullo spadaio, al quale si rammentava
bene d' averlo spiattellato. E ripensando alla maniera con
cui gliel' aveva cavato di bocca, e a tutto il fare di colui, e a
tutte queir esibizioni che riuscivan sempre a voler saper
qualcosa, il sospetto diveniva quasi certezza. Se non che si
rammentava poi anche , in confuso , d' aver , dopo la partenza
dello spadaio, continuato a cicalare; con chi, indovinala grillo ;
di cosa, la memoria per quanto venisse esaminata, non lo sa-
peva dire: non sapeva dir altro che d'essersi in quel tempo
trovata fuor di casa. Il poverino si smarriva in quella ricor-
ca: era come un uomo che ha sottoscritti molti fogli bianchi,,
e gb* ha affidati a uno che credeva il fior de" galantuomini ;
e scoprendolo poi un imbroglione, vorrebbe conoscere lo stato
de' suoi affari: che conoscere? è un caos. Un altro studio
penoso era quello di far sull'avvenire un disegno che gli
potesse piacere: quelli che non erano in aria, eran tutti ma-
linconici.
Ma ben presto, lo studio più penoso fu quello di trovar
la strada. Dopo aver camminato un pezzo, si può dire, alla
ventura, vide che da sé non poteva uscire. Provava bensì
una certa ripugnanza a metter fuori quella parola Bergamo,
come se avesse un non so che di sospetto, di sfacciato; ma
non si poteva far di meno. Risolvette dunque di rive
come aveva fatto in Milano, al primo viandante la cui fisono-
mia gli andasse a genio; e così fece.
cSiete fuor di strada,» gli rispose questo; e, pensatoci
un poco, parte con parole, parte co' cenni, gl'indico il giro
che doveva fare, per rimettersi sulla strada maestra. Renzo
lo ringraziò, fece le viste di far come gli era stato detto,
prese in fatti da quella parte, con intenzione però d'avvici-
narsi bene a quella benedetta strada maestra, di non perderla
di vista, di costeggiarla, più che fosse possibile; ma senza
mettervi piede. Il disegno era più facile da concepirsi che
da eseguirsi. La conclusione fu che, andando così da destra
a sinistra, e come si dice, a zig zag, parte seguendo 1* altre
indicazioni che si faceva coraggio a pescar qua e là, parte
correggendole secondo i suoi lumi , e adattandole al suo in-
tento, parte lasciandosi guidar dalle strade in cui si trovava.
CAPITOLO xvt. 205
incamminato , il nostro fuggitivo aveva fatte forse dodici mi-
glia, che non era distante da Milano più di sei; e in quanto
a Bergamo, era molto se non se n'era allontanato. Cominciò
a persuadersi che, anche in quella maniera, non se n'usciva
a bene; e pensò a trovar qualche altro ripiego. Quello che
gli venne in mente, fu di scovar, con qualche astuzia, il nome
di qualche paese vicino al confine, e al quale si potesse an-
dare per istrade comunali: e domandando di quello, si fa-
rebbe insegnar la strada, senza seminar qua e là quella do-
manda di Bergamo, che gli pareva puzzar tanto di fuga, di
sfratto, di criminale.
Mentre cerca la maniera di pescar tutte quelle notizie,
senza dar sospetto, vede pendere una frasca da una casuccia
solitaria, fuori d'un paesello. Da qualche tempo, sentiva
anche crescere il bisogno di ristorar le sue forze; pensò che
lì sarebbe il luogo di fare i due servizi in una volta; entrò.
Non e' era che una vecchia, con la rocca al fianco, e col fuso
in mano. Chiese un boccone; gli fu offerto un po' di strac-
chino e del vino buono; accettò lo stracchino: del vino la
ringraziò (gli era venuto in odio , per quello scherzo che gli
aveva fatto la sera avanti); e si mise a sedere pregando la
donna che facesse presto. Questa, in un momento, ebbe
messo in tavola; e subito dopo cominciò a tempestare il suo
ospite di domande, e sul suo essere, e sui gran fatti di Mi-
lano: che la voce n'era arrivata fin là. Renzo, non solo
seppe schermirsi dalle domande, con molta disinvoltura; ma
approfittandosi della difficoltà medesima, fece servire al suo
intento la curiosità della vecchia, che gli domandava dove
fosse incamminato.
«Devo andare in molti luoghi,» rispose; «e se trovo un
ritaglio di tempo, vorrei anche passare un momento da quel
paese, piuttosto grosso, sulla strada di Bergamo, vicino al
confine, però nello stato di Milano .... Come si chiama?
— Qualcheduno ce ne sarà, — pensava intanto tra se.
«Gorgonzola, volete dire,» rispose la vecchia.
«Gorgonzola!» ripetè Renzo, quasi per mettersi meglio
in mente la parola. «È molto lontano di qui?» ripre-
se poi.
«Xon lo so precisamente: saranno dieci, saranno dodici
miglia. Se ci fosse qualcheduno de' miei figliuoli, ve lo sa-
prebbe dire. «
«E credete che ci si possa andare per queste belle viot-
tole, senza prender la strada maestra? dove c'è una polvere,
una polvere! Tanto tempo che non piove!»
«A me mi par di sì: potete domandare nel primo paese
che troverete andando a diritta. > E glielo nominò.
206 I PROMESSI SPOSI.
Va bene:» disse Renzo, s'alzò, prese un pezzo di pane
che gli era avanzato della magra colazione, un pane ben di-
verso da quello che aveva trovato, il giorno avanti, appiè del-
la croce di san Dionigi: pagò il conto, uscì, e prese a di-
ritta. E, per non ve 1' allungar più del bisogno, col nome di
Gorgonzola in bocca, di paese in paese, ci arrivò, un'ora
circa prima di sera.
Già cammin facendo, aveva disegnato di far lì un'altra
fermatina, per fare un pasto un po' più sostanzioso. Il corpo
avrebbe anche gradito un po' di letto: ma prima che conten-
tarlo in questo, Renzo l'avrebbe lasciato cader rifinito sulla
strada. Il suo proposito era d' informarsi all' osteria della
distanza dell'Adda, di cavar destramente notizia di qualche
traversa che mettesse là, e di rincamminarsi da quella parte,
subito dopo essersi rinfrescato. Xato e cresciuto alla seconda
sorgente, per dir così, di quel fiume, aveva sentito dir più
volte, che, a un certo punto, e per un certo tratto, esso fa-
ceva confine tra lo stato milanese e il veneto: del punto e del
tratto non aveva un' idia precisa; ma, allora come allora, 1' af-
fai- più urgente era di passarlo, dovunque si fosse. Se non
gli riusciva in quel giorno, era risoluto di camminare fin che
Torà e la lena glielo permettessero: e d'aspettar poi l'alba
in un campo, in un deserto; dove piacesse a Dio; pur che
non fosse un' osteria.
Fatti alcuni passi in Gorgonzola, vide un'insegna, entrò:
e all'oste, che gli venne incontro, chiese un boccone, e una
mezzetta di vino: le miglia di più, e il tempo gli avevan
fatto passare quell' odio così estremo e fanatico. «Vi prego
di far presto,» soggiunse: «perchè ho bisogno di rimet-
termi subito in istrada.» E questo lo disse, non solo perchè
era vero, ma anche per paura che l'oste, immaginandosi che
volesse dormir lì, non gli uscisse fuori a domandar del nome
e del cognome, e donde veniva, e per che negozio .... Alla
larga!
L'oste rispose a Renzo che sarebbe servito: e questo si
mise a sedere in fondo della tavola, vicino all'uscio: il posto
de" vergognosi.
C'erano in quella stanza alcuni sfaccendati del paese, i
quali, dopo aver discusse e commentate le gran notizie di Mi-
lano del giorno avanti, si struggevano di sapere un poco co-
me fosse andata anche in quel giorno: tanto più che quelle
prime eran più atte a stuzzicar la curiosità, che e soddi-
sfarla; una sollevazione, né soggiogata, né vittoriosa, sospesa
più che terminata dalla notte; una cosa tronca, la fine d" un
atto piuttosto che d' un dramma. Un di coloro si staccò
dalla brigata, s'accostò al soprarrivato, e gli domandò se ve-
niva da Milano.
CAPITOLO XVI. 207
alo?» disse Renzo sorpreso, per prender tempo a ri-
spondere.
«Voi, se la domanda è lecita.»
Renzo, tentennando il capo, stringendo le labbra, e fa-
cendone uscire un suono inarticolato, disse: e Milano, da
quel che ho sentito dire .... non dev' essere un luogo da
andarci in questi momenti, meno che per una gran ne-
cessità.»
('Continua dunque anche oggi il fracasso?» domandò con
più costanza il curioso.
«Bisognerebbe esser là per saperlo,» disse Renzo.
Ma voi non venite da Milano?»
«Vengo da Liscate.» rispose lesto il giovine, che intanto
aveva pensata la sua risposta. 2Se veniva in fatti, a rigor di
termini, perchè c'era passato: e il nome l'aveva saputo, a
un certo punto della strada, da un viandante che gli aveva
indicato quel paese come il primo che doveva attraversar»?.
per arrivare a Gorgonzola.
«Oh!» disse l'amico; come se volesse dire: faresti me-
glio a venir da Milano, ma pazienza. «E a Liscate,» sog-
giunse, «non si sapeva niente da Milano?»
«Potrebb' essere benissimo che qualcheduno là sapesse
qualche cosa,» rispose il montanaro: «ma io non ho sentito
dir nulla.»
E queste parole le proferì in quella maniera particolare
che par che voglia dire: ho finito. Il curioso ritornò al
suo posto; e un momento dopo, l'oste venne a mettere in
tavola.
«Quanto c'è di qui all'Adda?» gli disse Renzo, mezzo
tra* denti, con un fare da addormentato, che gli abbiam visto
qualche altra volta.
«All'Adda per passare?» disse l'oste.
«Cioè .... sì ... . ali" Adda.»
«Volete passare dal ponte di Cassano, o sulla chiatta di
Canonica?»
«Dove si sia .... Domando così per curiosità.»
«Eh, volevo dire, perchè quelli sono i luoghi dove passa: i
i galantuomini, la gente che può dar conto di sé.»
«Va bene: e quanto c'è?»
«Fate conto che, tanto a un luogo, come all'altro poco
più, poco meno, ci sarà sei miglia.»
«Sei miglia! non credevo tanto,» disse Renzo. «E già,»
riprese poi, con un'aria d'indifferenza, portata fino all' af-
fettazione: «e già chi avesse bisogno di prendere una scor-
ciatoia, ci saranno altri luoghi da poter passare?»
«Ce n' è sicuro,» rispose l'oste, ficcandogli in viso due
occhi pieni d' una curiosità maliziosa. Bastò questo per far
208 i promessi srosi.
morir tra' denti al giovine l' altre domande che aveva pre-
parate, si tirò davanti il piatto; e guardando la mezzetta che
l'oste aveva posata, insieme con quella, sulla tavola, disse:
«il vino è sincero?»
«Come l'oro,» disse l'oste: «domandatene pure a tutta
la gente del paese e del contorno, che se n' intende : e poi lo
sentirete.» E così dicendo, tornò verso la brigata.
— Maledetti gli osti! — esclamò Renzo tra sé: — più ne
conosco, peggio li trovo. — Non ostante, si mise a mangiare
con grand' appetito, stando, nello stesso tempo, in orecchi,
senza che paresse suo fatto, per veder di scoprir paese, di
rilevare come si pensasse colà sul grand' avvenimento nel
quale egli aveva avuta non piccola parte, e d'osservare spe-
cialmente se, tra que' parlatori, ci fosse qualche galantuomo,
a cui un povero figliuolo potesse fidarsi di domandar la strada
senza timore d' esser messo alle strette , e forzato a ciarlare
de' fatti suoi.
«Ma!» diceva uno: «questa volta par proprio che i mi-
lanesi abbian voluto far davvero. Basta; domani al più tardi,
si saprà qualcosa.»
«Mi pento di non esser andato a Milano stammattina,» di-
ceva un altro.
«Se vai domani, vengo anch'io,» disse un terzo; poi un
altro, poi un altro.
«Quel che vorrei sapere,» riprese il primo, «è se que' si-
gnori di Milano penseranno anche alla povera gente di cam-
pagna, o se faranno far la legge buona solamente per loro.
Sapete come sono, eh? Cittadini superbi, tutto per loro; gli
altri, come se non ci fossero.»
«La bocca l'abbiamo anche noi, sia per mangiare, sia
per dir la nostra ragione,» disse un altro, con voce tanto più
modesta, quanto più la proposizione era avanzata: «e quando
la cosa sia incamminata ....» Ma credette meglio di non
finir la frase.
«Del grano nascosto, non ce n' è solamente in Milano,»
cominciava un altro, con un' aria cupa e maliziosa; quando
sentono avvicinarsi un cavallo. Corron tutti all'uscio; e ri-
conosciuto colui che arrivava, gli vanno incontro. Era un
mercante di Milano , che , andando più volte l' anno a Ber-
gamo , per i suoi traffichi , era solito passar la notte in quel-
1' osteria; e siccome ci trovava quasi sempre la stessa com-
pagnia, li conosceva tutti. Gli s' affollano intorno: uno
prende la briglia, un altro la staffa. «Benarrivato, benarri-
vato ! »
«Ben trovati.»
«Avete fatto buon viaggio?»
«Bollissimo; e voi altri, come state?»
CAPITOLO XVI. 209
«Bene, bene. Che nuove ci portate di Milano?»
«Ah! ecco quelli delle novità,» disse il mercante, smon-
tando e lasciando il cavallo in mano d' un garzone. « E poi,
e poi,» continuò, entrando con la compagnia, «a quest'orale
saprete forse meglio di me.»
«Non sappiamo nulla, davvero,» disse più d'uno, metten-
dosi la mano al petto.
«Possibile?» disse il mercante. «Dunque ne sentirete
delle belle . . . . o delle brutte. Ehi, oste, il mio letto solito
è in libertà? Bene: un bicchier di vino, e il mio solito boc-
cone subito, perchè voglio andare a letto presto, per partir
presto domattina, e arrivare a Bergamo per l'ora del desi-
nare. E voi altri,» continuò, mettendosi a sedere, dalla parte
opposta a quella dove stava Renzo, zitto e attento, «voi altri
non sapete di tutte quelle diavolerie di ieri?»
«Di ieri sì.»
«Vedete dunque,» riprese il mercante, «se le sapete le
novità. Lo dicevo io, che stando qui sempre di guardia, per
frugar quelli che passano .... »
«Ma oggi, com'è andata oggi?»
«Ah oggi. Non sapete niente d'oggi?»
«Niente affatto: non è passato nessuno.»
«Dunque lasciatemi bagnar le labbra; e poi vi dirò le
cose d' oggi. Sentirete.» Empì il bicchiere, lo prese con
una mano, poi con le prime due dita dell'altra sollevò i
baffi, poi si lisciò la barba, bevette, e riprese: «oggi, amici
cari, ci mancò poco, che non fosse una giornata brusca come
ieri, o peggio. E non mi par quasi vero d' esser qui a chiac-
chierar con voi altri; perchè avevo già messo da parte ogni
pensiero di viaggio, per restare a guardar la mia povera
bottega. »
«Che diavolo c'era?» disse uno degli ascoltanti.
«Proprio il diavolo: sentirete.» E trinciando la pietanza
che gli era stata messa davanti, e poi mangiando, continuò il
suo racconto. I compagni, ritti di qua e di là della tavola,
lo stavano a sentire, con la bocca aperta; Renzo, al suo
posto, senza che paresse suo fatto, stava attento, forse più
di tutti, masticando adagio adagio gli ultimi suoi bocconi.
«Stamattina dunque que' birboni che ieri avevano fatto
quel chiasso orrendo, si trovarono a' posti convenuti (già
c'era un'intelligenza: tutte cose preparate); si riunirono, e
ricominciarono quella bella storia di girare di strada in stra-
da, gridando per tirar altra gente. Sapete che è come quando
si spazza, con riverenza parlando, la casa; il mucchio di
sudiciume ingrossa quanto più va avanti. Quando parve loro
d'esser gente abbastanza, s'avviarono verso la casa del si-
gnor vicario di provvisione; come se non bastassero le tiran-
Manzoni. 14
210 I PROMESSI SPO?I.
nie che gli hanno fatte ieri: a un signore di quella sorte! oh
che birboni! E la roba che dicevan contro di lui! Tutte in-
venzioni: un signor dabbene, puntuale; e io lo posso dire,
che son tutto di casa, e lo servo di panno per le livree della
servitù. S' incamminaron dunque verso quella casa: bisognava
veder che canaglia, che facce; figuratevi che son passati da-
vanti alla mia bottega: facce che . . . . i giudei della Via Cru-
cis non ci son per nulla. E le cose che uscivan da quelle
bocche! da turarsene gli orecchi, se non fosse stato che non
tornava conto di farsi scorgere. Andavan dunque con la
buona intenzione di dare il sacco; ma . . . .» E qui, alzata
in aria, e stesa la mano sinistra, si mise la punta del pollice
alla punta del naso.
«Ma?» dissero forse tutti gli ascoltatori.
«Ma,» continuò il mercante, «trovaron la strada chiusa
con travi e con carri, e, dietro quella barricata, una bella fila
di mich eletti, con gli archibusi spianati per riceverli come si
meritavano. Quando videro questo beli' apparato .... Cosa
avreste fatto voi altri?»
«Tornare indietro.»
«Sicuro; e così fecero. Ma vedete un poco se non era il
demonio che li portava. Son lì sul Cordusio, vedon lì quel
forno che, fin da ieri avevan voluto saccheggiare; e cosa si
faceva in quella bottega? si distribuiva il pane agli avventori;
c'era de' cavalieri, e fior di cavalieri, a invigilare che tutto
andasse bene: e costoro (avevano il diavolo addosso, vi dico,
e poi c'era chi gli aizzava), costoro, dentro come disperati;
piglia tu, che piglio anch'io: in un batter d' occhio, cavalieri,
fornai, avventori, pani, banco, panche, madie, casse, sacchi,
frulloni, crusca, farina, pasta, tutto sottosopra.»
«E i micheletti?»
«I micheletti avevan la casa del vicario da guardare: non
si può cantare, e portar la croce. Fu in un batter d' occhio,
vi dico: piglia piglia: tutto ciò che c'era buono a qualcosa,
fu preso. E poi torna in campo quel bel ritrovato di ieri,
di portare il resto sulla piazza, e di farne una fiammata, e
igià cominciavano, i manigoldi, a tirar fuori roba: quando uno
più manigoldo degli altri, indovinate un po' con che bella
proposta venne fuori.»
«Con che cosa?»
« Di fare un mucchio di tutto nella bottega, e di dar fuoco
al mucchio e alla casa insieme. Detto fatto .... »
«Ci han dato fuoco?»
«Aspettate. Un galantuomo del vicinato ebbe un'ispira-
zione del cielo. Corse su nelle stanze, cercò d' un Crocifisso,
lo trovò, l'attaccò all'archetto d'una finestra, prese da capo
d'un letto due candele benedette, le accese, e le mise sul
CAPITOLO XVI. 211
davanzale, a destra e a sinistra del Crocifisso. La gente
guarda in su. In un Milano, bisogna dirla, c'è ancora del
timor di Dio; tutti tornarono in sé. La più parte, voglio
dire; c'era bensì de' diavoli che, per rubare, avrebbero dato
fuoco anche al paradiso; ma visto che la gente non era del
loro parere, dovettero smettere e star cheti. Indovinate ora
chi arrivò all'improvviso. Tutti i monsignori del duomo, in
processione, a croce alzata, in abito corale: e monsignor
Mazenta, arciprete, cominciò a predicare da una parte, e
monsignor Settala, penitenziere, da un' altra, e gli altri anche
loro; ma, brava gente! ma cosa volete fare? ma è questo
l'esempio che date a' vostri figliuoli? ma tornate a casa; ma
non sapete che il pane è a buon mercato, più di prima? ma
andate a vedere, che c'è l'avviso sulle cantonate.»
«Era vero?»
«Diavolo! Volete che i monsignori del duomo venissero in
cappa magna a dir delle fandonie?»
«E la gente cosa fece?»
«A poco a poco se n'andarono; corsero alle cantonate;
e, chi sapeva leggere, la c'era proprio la meta. Indovinate
un poco: un pane d' ott' once, per un soldo.»
«Che bazza!»
«La vigna è bella; pur che la duri. Sapete quanta farina
hanno mandata a male, tra ieri e stamattina? Da mantenerne
il ducato per due mesi.»
«E per fuori di Milano, non s'è fatta nessuna legge
buona?»
«Quel che s' è fatto per Milano, è tutto a spese della città.
Non so che vi dire : per voi altri sarà quel che Dio vorrà.
A buon conto, i fracassi son finiti. Xon v'ho detto tutto;
ora viene il buono.»
«Cosa e' è ancora?»
«C'è che ier sera o stamattina che sia, ne sono stati ag-
guantati molti ; e subito s' è saputo che i capi saranno im-
piccati. Appena cominciò a spargersi questa voce, ognuno
andava a casa per la più corta , per non arrischiare d' esser
nel numero. Milano, quand' io ne sono uscito, pareva un con-
vento di frati.»
«GÌ' impiccheranno poi davvero?»
«Eccome! e presto,» rispose il mercante.
«E la gente cosa farà?» domandò ancora colui che aveva
fatto 1' altra domanda.
«La gente? anderà a vedere,» disse il mercante. «Ave-
van tanta voglia di veder morire un cristiano all' aria aperta,
che volevano, birboni! far la festa al signor vicario di prov-
visione. In vece sua, avranno quattro tristi, serviti con tutte
I-i*
212 1 PROMESSI SPOSI.
le formalità, accompagnati da' cappuccini, e da' confratelli
della buona morte ; e gente che se 1' è meritato. È una prov-
videnza, vedete; era una cosa necessaria. Cominciavan già a
prender il vizio d'entrar nelle botteghe, e di servirsi, senza
metter mano alla borsa; se li lasciavan fare, dopo il pane sa-
rebbero venuti al vino, e così di mano in mano .... Pen-
sate se coloro volevano smettere, di loro spontanea volontà,
una usanza così comoda. E vi so dir io che, per un galan-
tuomo che ha bottega aperta, era un pensier poco allegro.-)
«Davvero,» disse uno degli ascoltatori. «Davvero,» ripe-
teron gli altri, a una voce.
«E,» continuò il mercante, asciugandosi la barba col
tovagliolo, «l'era ordita da un pezzo: c'era una lega, sa-
pete?»
« C era una lega ?»
« C era una lega. Tutte cabale ordite da' navarrini , da
quel cardinale là di Francia, sapete chi voglio dire, che ha
un certo nome mezzo turco, e che ogni giorno ne pensa una,
per far qualche dispetto alla corona di Spagna. Ma sopra
tutto, tende a far qualche tiro a Milano; perchè vede bene, il
furbo, che qui sta la forza del re.»
« Già. »
«Ne volete una prova? Chi ha fatto il più gran chiasso,
eran forestieri; andavano in giro facce, che in Milano non
s' eran mai vedute. Anzi mi dimenticavo di dirvene una che
m' è stata data per certa. La giustizia aveva acchiappato uno
in un'osteria . . . .» Renzo, il quale non perdeva un ette di
quel discorso, al tocco di questa corda, si sentì venir freddo,
e diede un guizzo, prima che potesse pensare a contenersi.
Nessuno però se n'avvide; e il dicitore, senza interrompere il
filo del racconto, seguitò: «uno che non si sa bene ancora da
che parte fosse venuto, da chi fosse mandato, né che razza
d'uomo si fosse; ma certo era uno de' capi. Già ieri, nel
forte del baccano, aveva fatto il diavolo; e poi, non contento
di questo, s'era messo a predicare, e a proporre, così una
galanteria, che s'ammazzassero tutti i signori! Birbante! Chi
farebbe viver la povera gente, quando i signori fossero am-
mazzati? La giustizia, che 1' aveva appostato, gli mise l'unghie
addosso; gli trovarono un fascio di lettere; e lo menavano in
gabbia; ma che? i suoi compagni, che facevan la ronda in-
torno all' osteria, vennero in gran numero, e lo liberarono , il
manigoldo. »
«E cosa n' è stato?»
«Non si sa; sarà scappato, o sarà nascosto in Milano:
son gente che non ha né casa né tetto, e trovan per tutto da
alloggiare e da rintanarsi: però finché il diavolo può, e vuole
aiutarli: ci dan poi dentro quando meno se lo pensano; per-
CAPITOLO XVI. 213
che, quando la pera è matura, convien che caschi. Per ora
si sa di sicuro che le lettere son rimaste in mano della giu-
stizia, e che c'è descritta tutta la cabala; e si dice che n'an-
derà di mezzo molta gente. Peggio per loro; che hanno messo
a soqquadro mezzo Milano, e volevano anche far peggio. Di-
cono che i fornai son birboni. Lo so anch'io; ma bisogna
impiccarli per via di giustizia. C è del grano nascosto. Chi
non lo sa? Ma tocca a chi comanda a tener buone spie, e
andarlo a disotterrare, e mandare anche gl'incettatori a dar
calci all' aria in compagnia de' fornai. E se chi comanda non
fa nulla, tocca alla città a ricorrere; e se non danno retta alla
prima, ricorrere ancora; che a forza di ricorrere s'ottiene;
e non metter su un' usanza così scellerata d' entrar nelle bot-
teghe e ne' fondachi, a prender la roba a man salva.»
A Jlenzo quel poco mangiare era andato in tante veleno.
Gli pareva mill' anni d' esser fuori e lontano da queir osteria,
da quel paese; e più di dieci volte aveva detto a sé stesso:
andiamo, andiamo. Ma quella paura di dar sospetto, cre-
sciuta allora oltremodo, e fatta tiranna di tutti i suoi pen-
sieri, 1' aveva tenuto sempre inchiodato sulla panca. In quella
perplessità, pensò che il ciarlone doveva poi finire di parlar
di lui; e concluse tra sé, di moversi, appena sentisse attac-
care qualche altro discorso.
«E per questo,» disse uno della brigata, -io che so come
vanno queste faccende, e che ne: tumulti i galantuomini non
ci stanno bene, non mi son lasciato vincere dalla curiosità, e
son rimasto a casa mia. »
«E io, mi son mosso?» disse un altro.
«Io?» soggiunse un terzo: «se per caso mi fossi trovato
in Milano, avrei lasciato imperfetto qualunque affare , e sarei
tornato subito a casa mia. Ho moglie e figliuoli; e poi, dico
la verità, i baccani non mi piacciono.»
A questo punto, l'oste, ch'era stato anche lui a sentire,
andò verso V altra cima della tavola, per veder cosa faceva
quel forestiero. Pienzo colse 1' occasione, chiamò 1' oste con
un cenno, gli chiese il conto, lo saldò senza tirare, quantun-
que l'acque fossero molto basse; e, senza far altri discorsi,
andò diritto all'uscio, passò la soglia, e a guida della Prov-
videnza, s'incamminò dalla pa^.te opposta a quella per cui
era venuto.
214 I PEOMESSI SPOSI.
CAPITOLO XYIL
Basta spesso una voglia, per non lasciar ben avere un
uomo; pensate poi due alla volta, 1' una in guerra coli' altra.
Il povero Renzo n'aveva, da molte ore, due tali in corpo,
come sapete: la voglia di correre, e quella di star nascosto:
e le sciagurate parole del mercante gli avevano accresciuta
oltremodo 1' una e 1' altra a un colpo. Dunque la sua avven-
tura aveva fatto chiasso; dunque lo volevano a qualunque
patto ; chi sa quanti birri erano in campo per dargli la caccia !
quali ordini erano stati spediti di frugar ne' paesi, nell' oste-
rie, per le strade! Pensava bensì che finalmente i birri che
lo conoscevano eran due soli, e che il nome non lo portava
scritto in fronte; ma gli tornavano in mente certe storie che
aveva sentito raccontare, di fuggitivi colti e scoperti per
istrane combiuazioni, riconosciuti all'andare, all'aria sospet-
tosa, ad altri segnali impensati: tutto gli faceva ombra. Quan-
tunque, nel momento che usciva di Gorgonzola, scoccassero
le ventiquattro, e le tenebre che venivano innanzi, diminuis-
sero sempre più que' pericoli, ciò non ostante prese contro
voglia la strada maestra, e si propose d'entrar nella prima
viottola che gli paresse condur dalla parte dove gli premeva
di riuscire. Sul principio, incontrava qualche viandante;
ma, pieno la fantasia di quelle brutte apprensioni, non
ebbe cuore d' abbordarne nessuno, per informarsi della
strada. — Ha detto sei miglia, colui, — pensava: — se an-
dando fuor di strada, dovessero anche diventar otto o dieci.
le gambe che hanno fatte l'altre, faranno anche queste.
Verso Milano non vo di certo; dunque vo verso l'Adda.
Cammina, cammina, o presto o tardi ci arriverò. L' Adda ha
buona voce; e, quando le sarò vicino, non ho più bisogno di
chi me l'insegni. Se qualche barca c'è, da poter passare,
passo subito; altrimenti mi fermerò fino alla mattina, in un
campo, sur una pianta, come le passere, meglio sur una pianta,
clie in prigione. —
Ben presto vide aprirsi una straducola a mancina; e vi
entrò. A quell' ora, se si fosse abbattuto in qualcheduno, non
avrebbe più fatte tante cerimonie per farsi insegnar la strada ;
ma non sentiva anima vivente. Andava dunque dove la strada
lo conduceva; e pensava.
— Io fare il diabolo! Io ammazzare tutti i signori! Un
fascio di lettere, io! I miei compagni che mi stavano a far
la guardia! Pagherei qualche cosa a trovarmi a viso a viso
con quel mercante, di là dall' Adda (ah quando l'avrò pas-
sata quest' Adda benedetta!), e fermarlo, e domandargli con
comodo dov' abbia pescate tutte quelle belle notizie. Sappiate
CAPITOLO XVII. 215
ora, mio caro signore, che la cosa è andata così e così, e
che il diavolo eh' io ho fatto, è stato d'aiutar Ferrer, come
se fosse stato un mio fratello; sappiate che que' birboni che,
a sentir voi, erano i miei amici, perchè in un certo momento,
io dissi una parola da buon cristiano, mi vollero fare un
brutto scherzo; sappiate che, intanto che voi stavate a guar-
dar la vostra bottega, io mi faceva schiacciar le costole, per
salvare il vostro signor vicario di provvisione, che non l'ho
mai né visto né conosciuto. Aspetta che mi mova un' altra
volta, per aiutar signori .... È vero che bisogna farlo per
l'anima: son prossimo anche loro. E quel gran fascio di
lettere, dove c'era tutta la cabala, e che adesso è in mano
della giustizia, come voi sapete di certo; scommettiamo che
ve lo fo comparir qui, senza l'aiuto del diavolo? Avreste cu-
riosità di vederlo quel fascio? Eccolo qui.... Una lettera
sola?.... Sì signore, una lettera sola; e questa lettera, se lo
volete sapere, 1' ha scritta un religioso che vi può insegnar
la dottrina, quando si sia; un religioso che, senza farvi torto,
vai più un pelo della sua barba che tutta la vostra; e è
scritta, questa lettera, come vedete, a un altro religioso, un
uomo anche lui .... Vedete ora quali sono i furfanti miei
amici. E imparate a parlare un'altra volta; principalmente
quando si tratta del prossimo. —
Ma dopo qualche tempo, questi pensieri ed altri simili
cessarono affatto: le circostanze presenti occupavan tutte le
facoltà del povero pellegrino. La paura d' essere inseguito o
scoperto, che aveva tanto amareggiato il viaggio in pieno
giorno, non gli dava ormai più fastidio, ma quante cose ren-
devan questo molto più noioso! Le tenebre, la solitudine,
la stanchezza cresciuta, e ormai dolorosa; tirava una boz-
zolina sorda, uguale, sottile, che doveva far poco servizio a
chi si trovava ancora indosso quegli stessi vestiti che s' era
messi per andare a nozze in quattro salti, e tornare subito
trionfante a casa sua; e ciò che rendeva ogni cosa più grave,
quell'andare alla ventura, e per dir così, al tasto, cercando
un luogo di riposo e di sicurezza.
Quando s'abbatteva a passare per qualche paese, andava
adagio adagio, guardando però se ci fosse ancora qualche
uscio aperto; ma non vide mai altro segno di gente desta,
che qualche lumicino trasparente da qualche impannata. Nella
strada fuor dell' abitato, si soffermava ogni tanto ; stava in
orecchi, per veder se sentiva quella benedetta voce dell'Adda;
ma invano. Altre voci non sentiva, che un mugolìo di cani.
che veniva da qualche cascina isolata, vagando per l'aria,
lamentevole insieme e minaccioso. Al suo avvicinarsi a qual-
cheduna di quelle, il mugolìo si cambiava in un abbaiar
frettoloso e rabbioso: nel passar davanti alla porta, sentiva,
216 I PROMESSI SPOSI.
vedeva quasi, il bestione, col muso al fessolino della porta,
raddoppiar gli urli: cosa che gli faceva andar via la tenta-
zione di picchiare, e di chieder ricovero. E forse anche senza
i cani, non ci si sarebbe risolto. — Chi è là? — pensava: —
cosa volete a quest'ora? Come siete venuto qui? Fatevi co-
noscere. Non e* è osterie da alloggiare? Ecco, andandomi
bene, quel che mi diranno, se picchio: quand'anche non ci
dorma qualche pauroso che, a buon conto, si metta a gri-
dare: aiuto! al ladro! Bisogna aver subito qualcosa dichiaro
da rispondere: e cosa ho da rispondere io? Chi sente un
rumore la notte, non gli viene in testa altro che ladri, mal-
viventi, trappole; non si pensa mai che un galantuomo possa
trovarsi in istrada di notte, se non è un cavaliere in car-
rozza. — Allora serbava quel partito all' estrema necessità,
e tirava innanzi, colla speranza di scoprire almeno l'Adda,
se non passarla in quella notte; e di non dover andarne alla
cerca, di giorno chiaro.
Cammina, cammina; arrivò dove la campagna coltivata
moriva in una sodaglia sparsa di felci e di scope. Gli parve,
se non indizio, almeno un certo qual argomento di fiume vi-
cino, e s'inoltrò per quella, seguendo un sentiero che l'at-
traversava. Fatti pochi passi, si fermò ad ascoltare; ma an-
cora in vano. La noia del viaggio veniva accresciuta dalla
salvatichezza del luogo, da quel non veder più né un gelso,
né una vite, né altri segni di coltura umana, che prima pa-
reva quasi che gli facessero una mezza compagnia. Ciò non
ostante andò avanti; e siccome nella sua mente cominciavano
a suscitarsi certe immagini, certe apparizioni, lasciatevi in
serbo dalle novelle sentite raccontar da bambino, così, per
discacciarle, o per acquietarle, recitava camminando, dell'ora-
zioni per i morti.
A poco a poco, si trovò tra macchie più alte, di pruni,
di quercioli, di marruche. Seguitando a andare avanti, e
allungando il passo, con più impazienza che voglia, cominciò
a veder tra le macchie qualche albero sparso, e andando
ancora sempre per lo stesso sentiero, s'accorse d'entrare in
un bosco. Provava un certo ribrezzo a inoltrarvisi ; ma lo
vinse, e contro voglia andò avanti; ma più s' inoltrava, più il
ribrezzo cresceva, più ogni cosa gli dava fastidio. Gli alberi
che vedeva in lontananza, gli rappresentavan figure strane,
deformi , mostruose ; l' annoiava 1' ombra delle cime legger-
mente agitate, che tremolava sul sentiero illuminato qua e là
dalla luna; lo stesso scrosciar delle foglie secche che cal-
pestava o moveva camminando , aveva per il suo orecchio un
non so che d' odioso. Le gambe provavano come una sma-
nia, un impulso di corsa, e nello stesso tempo pareva che
durassero fatica a regger la persona. Sentiva la brezza not-
CAPITOLO XVII. 217
turna batter più rigida e maligna sulla fronte e sulle gote; se
la sentiva scorrer tra i panni e le carni, e raggrinzarle, e
penetrar più acuta nelle ossa rotte dalla stanchezza, e spe-
gnervi quell' ultimo rimasuglio di vigore. A un certo punto,
quell'uggia, queir orrore indefinito con cui l'animo combat-
teva da qualche tempo, parve che a un tratto lo soverchiasse.
Era per perdersi affatto; ma attenuto, più che d'ogni altra
cosa, del suo terrore, richiamò al cuore gli antichi spiriti, e
gli comandò che reggesse. Così rinfrancato un momento, si
fermò su' due piedi a deliberare ; e risolveva d' uscir subito di
lì per la strada già fatta, d' andar diritto all' ultimo paese per
cui era passato, di ritornar fra gli uomini, e di cercare un
ricovero, anche all'osteria. E stando così fermo, sospeso il
fruscio de' piedi nel fogliarne , tutto tacendo d' intorno a lui,
cominciò a sentire un mormorio d' acqua corrente. Sta in
orecchi; n' è certo; esclama: «è l'Adda!» Fu il ritrovamento
d'un amico, d'un fratello, d'un salvatore. La stanchezza
quasi scomparve, gli tornò il polso, sentì il sangue scorrer li-
bero e tepido per tutte le vene, sentì crescer la fiducia
de' pensieri, e svanire in gran parte quell'incertezza e gra-
vità delle cose; e non esitò a internarsi sempre più nel bo-
sco, dietro all' amico rumore.
Arrivò in pochi momenti all' estremità del piano, sull' orlo
d' una riva profonda ; e guardando in giù tra le macchie che
tutta la rivestivano, vide 1' acqua luccicare e correre. Alzando
poi lo sguardo, vide il vasto piano dell'altra riva, sparso di
paesi, e al di là i colli, e sur uno di quelli una gran macchia
biancastra, che gli parve dover essere una città, Bergamo si-
curamente. Scese un po' sul pendìo, e, separando e dira-
mando, con le mani e con le braccia, il prunaio, guardò giù,
se qualche barchetta si movesse nel fiume, ascoltò se sentisse
batter de' remi; ma non vide né sentì nulla. Se fosse stato
qualcosa di meno dell' Adda, Renzo scendeva subito, per ten-
tarne il guado; ma sapeva bene che l'Adda non era fiume da
trattarsi così in confidenza.
Perciò si mise a consultar tra sé, molto a sangue freddo,
sul partito da prendere. Arrampicarsi sur una pianta, e star
lì a aspettar l'aurora, per forse sei ore che poteva ancora
indugiare, con quella brezza, con quella brina, vestito così,
e' era più che non bisognasse per intirizzir davvero. Passeg-
giare innanzi e indietro tutto quel tempo , oltre che sarebbe
stato poco efficace aiuto contro il rigore del sereno, era un
richieder troppo da quelle povere gambe, che già avevan fatto
più del loro dovere. Gli venne in mente d'aver veduto, in
uno de' campi più vicini alla sodaglia, una di quelle capanne
coperte di paglia, costrutte di tronchi e di rami, intonacati
poi con la mota, dove i contadini del milanese usan, 1' estate,
£13 I PROMESSI SPOSI.
depositar la raccolta, e ripararsi la notte a guardarla:
nell'altre stagioni, rimangono abbandonate. La disegnò su-
bito per suo albergo; si rimise sul sentiero, ripassò il bosco,
le macchie, la sodaglia; e andò verso la capanna. Un
lisciacelo intarlato e sconnesso, era rabbattuto, senza chiave né
catenaccio; Renzo l'aprì, entrò; vide sospeso per aria, e so-
stenuto da ritorte di rami, un graticcio, a foggia A'hatnac;
ma non si curò di salirvi. Vide in terra un po' di paglia, e
pensò che, anche lì, una dormitina sarebbe ben saporita.
Prima però di sdraiarsi su quel letto che la Provvidenza
gli aveva preparato, vi s'inginocchiò, a ringraziarla di quel
benefizio, e di tutta l'assistenza che aveva avuta da essa, in
quella terribile giornata. Disse poi le sue solite divozioni;
e per di più, chiese perdono a Domeneddio di non averle
dette la sera avanti; anzi, per dir le sue parole, d'essere an-
dato a dormire come un cane, e peggio. — E per questo —
soggiunse poi tra sé, appoggiando le mani sulla paglia, e
d' inginocchiimi mettendosi a giacere: — per questo, ni' è
toccata, la mattina, quella bella svegliata. — Raccolse poi
tutta la paglia che rimaneva all' intorno, e se P accomodò ad-
dosso, facendosene, alla meglio, una specie di coperta, per
temperare il freddo, che anche là dentro si faceva sentir
molto bene; e vi si rannicchiò sotto, con l'intenzione di dor-
mire un bel sonno, parendogli d'averlo comprato anche più
caro del dovere.
Ma appena ebbe chiusi gli occhi, cominciò nella sua me-
moria o nella sua fantasia (il luogo preciso non ve lo saprei
dire), cominciò, dico, un andare e venire di gente, così af-
follato, così incessante, che addio sonno. Il mercante, il no-
taio, i birri, lo spadaio, l'oste, Ferrer, il vicario, la brigata
dell'osteria, tutta quella turba delle strade, poi don Abbon-
dio, poi don Rodrigo: tutta gente con cui Renzo aveva che
dire.
Tre sole immagini gli si presentavano non accompagnate
da alcuna memoria amara, nette d'ogni sospetto, amabili in
tutto; e due principalmente, molto differenti al certo, ma
strettamente legate nel cuore del giovine: una treccia nera
e una barba bianca. Ma anche la consolazione che provava
nel fermare sopra di esse il pensiero, era tutt' altro che pretta
e tranquilla. Pensando al buon frate, sentiva più vivamente
la vergogna delle proprie scappate, della turpe intemperanza,
del bel caso che aveva fatto de' patemi consigli di lui;
e contemplando P immagine di Lucia! non ci proveremo a
dire ciò che sentisse: il lettore conosce le circostanze; se lo
figuri. E quella povera Agnese, come 1' avrebbe potuta di-
menticare? Quell'Agnese, che l'aveva scelto, che l'aveva già
considerato come una cosa sola con la sua unica figlia, e
CAPITOLO XVII. 219
prima di ricever da lui il titolo di madre, n' aveva preso il
linguaggio e il cuore, e dimostrata co' fatti la premura. Ma
eia un dolore di più, e non il meno pungente, quel pensiero,
che in grazia appunto di così amorevoli intenzioni, di tanto
bene che voleva a lui, la povera donna si trovava ora sni-
data, quasi raminga, incerta dell'avvenire, e raccoglieva guai
e travagli da quelle cose appunto da cui aveva sperato il ri-
poso e la giocondità degli ultimi suoi anni. Che notte, povero
Eenzo! Quella che doveva esser la quinta delle sue nozze!
Che stanza! che letto matrimoniale! e dopo qual giornata!
e per arrivare a qual domani, a qual serie di giorni! —
Quel che Dio vuole, — rispondeva ai pensieri che gli davan
più noia: — quel che Dio vuole. Lui sa quel chefa: c'è
anche per noi. Vada tutto in isconto de' miei peccati. Lucia
è tanto buona! non vorrà poi farla patire un pezzo, un pezzo,
un pezzo ! —
Tra questi pensieri, e disperando ormai d' attaccar sonno,
e facendosegli il freddo sentir sempre più, a segno eh' era
costretto ogni tanto a tremare e a battere i denti . sospirava
la venuta del giorno, e misurava con impazienza il lento scor-
rer dell'ore. Dico misurava, perchè, ogni mezz' ora, sentiva
in quel vasto silenzio, rimbombare i tocchi d'un orologio:
m'immagino che dovesse esser quello di Trezzo. E la prima
volta che gli ferì gli orecchi quello scocco, così inaspettato,
senza che potesse avere alcuna idea del luogo donde venisse,
gli fece un senso misterioso e solenne, come d'un avverti-
mento che venisse da persona non vista , con una voce sco-
nosciuta.
Quando finalmente quel martello ebbe battuto undici toc-
chi, eh' era 1' ora disegnata da Renzo per levarsi, s' alzò mezzo
intirizzito, si mise inginocchioni, disse, e con più fervore del
solito, le divozioni della mattina, si rizzò, si stirò in lungo e
in largo, scosse la vita e le spalle, come per mettere insieme
tutte le membra, che ognuno pareva che facesse da sé, soffiò
in una mano, poi nell'altra, se le stropicciò, aprì l'uscio
della capanna; e, per la prima cosa, diede un' occhiata in qua
e in là, per veder se e' era nessuno. E non vedendo nessuno,
cercò con l'occhio il sentiero della sera avanti; la riconobbe
subito, e prese per quello.
Il cielo prometteva una bella giornata : la luna, in un canto,
pallida e senza raggio, pure spiccava nel campo immenso
d'un bigio ceruleo," che, giù giù verso l'oriente, s* andava
sfumando leggermente in un giallo roseo. Più giù, ali" oriz-
zonte, si stendevano, a lunghe falde ineguali, poche nuvole,
tra 1' azzurro e il bruno, le più basse orlate al di sotto d'una
striscia quasi di fuoco, che di mano in mano si faceva più
viva e tagliente : da mezzogiorno, altre nuvole ravvolte in-
220 I PROMESSI SPOSI.
sieme, leggieri e soffici, per dir così, s' andavan lumeggiando
di mille colori senza nome: quel cielo di Lombardia, così
bello quand' è bello, così splendido, così in pace. Se Renzo
si fosse trovato lì andando a spasso, certo avrebbe guardato
in su, e ammirato queir albeggiare così diverso da quello
eh' era solito vedere ne' suoi monti ; ma badava alla sua stra-
da, e camminava a passi lunghi, per riscaldarsi, e per arri-
var presto. Passa i campi, passa la sodaglia, passa le macchie,
attraversa il bosco, guardando in qua e in là, e ridendo e
vergognandosi nello stesso tempo, del ribrezzo che vi aveva
provato poche ore prima: è sul ciglio della riva, guarda giù;
e, di tra i rami, vede una barchetta di pescatore, che veniva
adagio, contr1 acqua, radendo quella sponda. Scende subito
,per la più corta, tra i pruni; è sulla riva: dà una voce leg-
giera leggiera al pescatore; e, con l'intenzione di far come
se chiedesse un servizio di poca importanza, ma senza avve-
dersene, in una maniera mezzo supplichevole, gli accenna
che approdi. Il pescatore gira uno sguardo lungo la riva,
guarda attentamente lungo 1' acqua che viene, si volta a
guardare indietro, lungo 1' acqua che va, e poi dirizza la
prora verso Renzo, e approda. Renzo che stava sub" orlo della
riva, quasi con un piede nell' acqua, afferra la punta del bat-
tello, ci salta dentro, e dice: «mi fareste il servizio, col pa-
gare, di tragittarmi di là?» Il pescatore l'aveva indovinato,
e già voltava da quella parte. Renzo, vedendo sul fondo
della barca un altro remo, si china, e 1" atterra.
«Adagio, adagio;» disse il padrone; ma nel veder poi
con che garbo il giovine aveva preso lo stromento, e si di-
sponeva a maneggiarlo, «ah, ah,> rispose; e siete del me-
stiere.»
«Un pochino,» rispose Renzo, e ci si mise con un vigore
e con una maestria, più che da dilettante. E senza mai ral-
lentare, dava ogni tanto un' occhiata ombrosa alla riva da
cui s'allontanavano, e poi una impaziente a quella dov* eran
rivolti, e si coceva di non poterci andar per la più certa;
che la corrente era, in quel luogo, troppo rapida, per ta-
gliarla direttamente: e la barca, parte rompendo, parte secon-
dando il filo dell'acqua, doveva fare un tragitto diagonale.
Come accade in tutti gli affari un po' imbrogliati, che le diffi-
coltà alla prima si presentino all' ingrosso, e nell' eseguire
poi, vengan fuori per minuto , Renzo, ora che 1' Adda era, si
può dir, passata, gli dava fastidio il non saper di certo se lì
essa fosse confine, o se, superato quell'ostacolo, gliene rima-
nesse un altro da superare. Onde, chiamato il pescatore, e
accennando col capo quella macchia biancastra che aveva ve-
duta la notte avanti, e che allora gli appariva ben più di-
stinta, disse: «è Bergamo quel paese?-)
CAPITOLO XVII. 221
«La città di Bergamo,') rispose il pescatore.
«E quella riva lì, è bergamasca?»
«Terra di san Marco.»
«Viva san Marco!» esclamò Renzo. Il pescatore non
disse nulla.
Toccano finalmente quella riva; Renzo vi si slancia: rin-
grazia Dio tra sé, e poi con la bocca il barcaiuolo; mette le
mani in tasca, tira fuori una berlinga, che, attese le circo-
stanze, non fu un piccolo sproprio, e la porge al galantuomo ;
il quale, data ancora una occhiata alla riva milanese, e al
fiume di sopra e di sotto, stese la mano, prese la mancia,
la ripose, poi strinse le labbra, e per di più si mise il dito
in croce, accompagnando quel gesto con un' occhiata espres-
siva; e disse poi: «buon viaggio,» e tornò indietro.
Perchè la così pronta e discreta cortesia di costui verso
uno sconosciuto non faccia troppo maravigliare il lettore, dob-
biamo informarlo che quell'uomo, pregato spesso d'un simile
servizio da contrabbandieri e da banditi, era avvezzo a farlo;
non tanto per amore del poco e incerto guadagno che gliene
poteva venire, quanto per non farsi de' nemici in quelle classi.
Lo faceva, dico, ogni volta che potesse esser sicuro che non
lo vedessero né gabellieri, né birri, né esploratori. Così,
senza voler più bene ai primi che ai secondi, cercava di sod-
disfarli tutti , con quell' imparzialità, che è la dote ordinaria
di chi è obbligato a trattar con cert' uni, e soggetto a render
conto a cert' altri.
Renzo si fermò un momentino sulla riva a contemplar la
riva opposta, quella terra che poco prima scottava tanto sotto
i suoi piedi. — Ah! ne son proprio fuori! — fu il suo primo
pensiero. — Sta lì, maledetto paese — fu il secondo, 1' addio
alla patria. Ma il terzo corse a chi lasciava in quei paese.
Allora incrociò le braccia sul petto, mise un sospiro, abbassò
gli occhi sull'acqua che gli scorreva a' piedi, e pensò — è
passata sotto il ponte! — Così, all'uso del suo paese, chia-
mava, per antonomasia, quello di Lecco. — Ah mondo bir-
bone! Basta; quel che Dio vuole. —
Voltò le spalle a que' tristi oggetti , e s' incamminò , pren-
dendo per punto di mira la macchia biancastra sul pendìo del
monte, finché trovasse qualcheduno da farsi insegnar la stra-
da giusta. E bisognava vedere con che disinvoltura s' acco-
stava a' viandanti, e, senza tanti rigiri, nominava il paese dove
abitava quel suo cugino. Dal primo a cui si rivolse, seppe
che gli rimanevano ancor nove miglia da fare.
Quel viaggio non fu lieto. Senza parlare de' guai che
Renzo portava con sé, il suo occhio veniva ogni momento rat-
tristato da oggetti dolorosi, da' quali dovette accorgersi che
troverebbe nel paese in cui s'inoltrava, la penuria che aveva
222 I PROMESSI SPOSI.
lasciata nel suo. Per tutta la strada, e più ancora nelle terre
e ne' borghi, incontrava a ogni passo poveri, che non eran
poveri di mestiere, e mostravan la miseria più nel viso che
nel vestiario: contadini, montanari, artigiani, famiglie intere;
e un misto ronzìo di preghiere, di lamenti e di vagiti. Quella
vista, oltre la compassione e la malinconia, lo metteva anche
in pensiero de' casi suoi.
— Chi sa, — andava meditando, — se trovo da far
bene? se c'è lavoro, come negli anni passati? Basta; Bor-
tolo mi voleva bene, è un buon figliuolo, ha fatto danari,
m'ha invitato tante volte; non m'abbandonerà. E poi, la
Provvidenza m' ha aiutato finora; m'aiuterà anche per 1' av-
venire. —
Intanto l'appetito, risvegliato già da qualche tempo, an-
dava crescendo di miglio in miglio; e quantunque Renzo,
quando cominciò a dargli retta, sentisse di poter reggere,
senza grand' incomodo, per quelle due o tre che gli potevan
rimanere; pensò, da un'altra parte, che non sarebbe una
bella cosa di presentarsi al cugino, come un pitocco, e dirgli,
per primo complimento: dammi da mangiare. Si levò di tasca
tutte le sue ricchezze, le fece scorrere sur una mano, tirò la
somma. Non era conto che richiedesse una grande aritmetica;
una però e' era abbondantemente da fare una mangiatina.
Entrò in un' osteria a ristorarsi lo stomaco ; e in fatti, pagato
che ebbe, gli rimase ancor qualche soldo.
X eli' uscire, vide, accanto alla porta, che quasi v'inciam-
pava, sdraiate in terra, più che sedute, due donne, una at-
tempata, un' altra più giovane, con un bambino, che dopo aver
succhiata invano 1' una e l'altra mammella, piangeva, pian-
geva; tutti del color della morte: e ritto vicino a loro, un
uomo, nel viso del quale e nelle membra si potevano ancor
vedere i segni d' un' antica robustezza, domata e quasi spenta
dal lungo disagio. Tutt' e tre stesero la mano verso colui
che usciva con passo franco, e con l'aspetto rianimato: nes-
suno parlò; che poteva dir di più una preghiera?
«La c'è la Provvidenza!» disse Renzo; e, cacciata subito
la mano in tasca, la votò di que' pochi soldi: li mise nella
mano che si trovò più vicina, e riprese la sua strada.
La refezione e 1' opera buona (giacché siam composti
d' anima e di corpo) avevano riconfortati e rallegrati tutti i
suoi pensieri. Certo, dall' essersi così spogliato degli ultimi
danari, gli era venuto più di confidenza per l'avvenire, che
non gliene avrebbe dato il trovarne dieci volte tanti. Perchè,
se a sostenere in quel giorno que' poverini che mancavano
sulla strada, la Provvidenza aveva tenuti in serbo proprio gli
ultimi quattrini d' un estraneo, fuggitivo, incerto anche lui del
come vivrebbe; chi poteva credere che volesse poi lasciare in
CAPITOLO XVII. 223
secco colui del quale s' era servita a ciò, e a cui aveva dato
un sentimento così vivo di sé stessa, così efficace, così riso-
luto? Questo era, a un di presso, il pensiero del giovine;
però men chiaro ancora di quello eh' io 1' abbia saputo espri-
mere. Nel rimanente della strada, ripensando a' casi suoi,
tutto gli si spianava. La carestia doveva poi finire: tutti gli
anni si miete: intanto aveva il cugino Bortolo e la propria
abilità: aveva, per di più, a casa un po' di danaro, che si fa-
rebbe mandar subito. Con quello, alla peggio, camperebbe,
giorno per giorno, finché tornasse 1' abbondanza. — Ecco poi
tornata finalmente l'abbondanza, — proseguiva Renzo nella
sua fantasia: — rinasce la furia de' lavori: i padroni fanno
a gara per aver degli operai milanesi, che son quelli che san-
no bene il mestiere; gli operai milanesi alzan la cresta; chi
vuol gente abile, bisogna che la paghi: si guadagna da vivere
per più d'uno, e da metter qualcosa da parte; e si fa scri-
vere alle donne che vengano .... E poi, perchè aspettar
tanto? Non è vero che, con quel poco che abbiamo in serbo,
si sarebbe campati là, anche quest'inverno? Così camperemo
qui. De' curati ce n' è per tutto. Tengono quelle due care
donne: si mette su casa. Che piacere, andar passeggiando su
questa stessa strada tutti insieme! andar fino all'Adda in ba-
roccio, e far merenda sulla riva, proprio sulla riva, e far ve-
dere alle donne il luogo dove mi sono imbarcato, il prunaio
da cui sono sceso, quel posto dove sono stato a guardare se
e' era un battello. —
Arriva al paese del cugino: nell' entrare, anzi prima di
mettervi piede, distingue una casa alta alta, a più ordini di
finestre lunghe lunghe; riconosce un filatoio, entra, domanda
ad alta voce, tra il rumore dell'acqua cadente e delle rote,
se sta lì un certo Bortolo Castagneri.
«Il signor Bortolo! Eccolo là.»
— Signore? buon segno, — pensa Renzo; vede il cugino,
gli corre incontro. Quello si volta, riconosce il giovine, che
gli dice: «son qui.» Un oh! di sorpresa, un alzar di brac-
cia, un gettarsele al collo scambievolmente. Dopo quelle
prime accoglienze, Bortolo tira il nostro giovine lontano dallo
strepito degli ordigni, e dagli occhi de' curiosi, iu un'altra
stanza, e gli dice: «ti vedo volentieri; ma sei un benedetto
figliuolo. T'avevo invitato tante volte; non sei mai voluto ve-
nire; ora arrivi in un momento un po' critico. »
«Se te lo devo dire, non sono venuto via di mia volontà, >
disse Renzo ; e, con la più gran brevità, non però senza molta
commozione, gli raccontò la dolorosa storia.
«È un altro par di maniche,» disse Bortolo. «Oh po-
vero Renzo! Ma tu hai fatto capitale di me; e io non t' ab-
qandonerò. Veramente, ora non e' è ricerca d'operai; anzi
224 I PEOMESSI SPOSI.
appena appena ognuno tiene i suoi, per non perderli e di-
sviare il negozio; ma il padrone mi vuol bene, e ha della
roba. E, a dirtela, in gran parte la deve a me, senza van-
tarmi : lui il capitale, e io quella poca abilità. Sono il primo
lavorante, sai? e poi, a dirtela, sono il factotum. Povera
Lucia Mondella! Me ne ricordo, come se fosse ieri: una
buona ragazza! sempre la più composta in chiesa: e quando
si passava da quella sua casuccia .... Mi par di vederla,
quella casuccia, appena fuor del paese, con un bel fico che
passava il muro .... »
«No, no; non ne parliamo.»
«Volevo dire che, quando si passava da quella casuccia,
sempre si sentiva quell'aspo, che girava, girava, girava. E
quel Don Rodrigo! già, anche al mio tempo, era per quella
strada; ma ora fa il diavolo affatto, a quel che vedo: fin che
Dio gli lascia la briglia sul collo. Dunque, come ti dicevo;
anche qui si patisce un po' la fame .... A proposito, come
stai d' appetito? »
«Ho mangiato poco fa, per viaggio.»
«E a danari, come stiamo?»
Renzo stese una mano, l'avvicinò alla bocca, e vi fece
scorrer sopra un piccol soffio.
«Xon importa,» disse Bortolo: «n' ho io; e non ci pen-
sare, che presto presto, cambiandosi le cose, se Dio vorrà,
me li renderai, e te n'avanzerà anche per te.»
«Ho qualcosina a casa; e me li farò mandare.»
«Va bene; e intanto fa conto di me. Dio m' ha dato del
bene, perchè faccia del bene; e se non ne fo a' parenti e agli
amici, a chi ne farò?»
«L'ho detto io della Provvidenza!» esclamò Renzo strin-
gendo affettuosamente la mano al buon cugino.
«Dunque,» rispose questo, «in Milano hanno fatto tutto
quel chiasso. Mi paiono un po' matti coloro. Già, n' era
corsa la voce anche qui; ma voglio che tu mi racconti poi la
cosa più minutamente. Eh! n'abbiamo delle cose da discor-
rere. Qui però, vedi, la va più quietamente, e si fanno le
cose con un po' più di giudizio. La città ha comprate due-
mila some di grano da un mercante che sta a Venezia : grano
che vien di Turchia: ma quando si tratta di mangiare, la
non si guarda tanto per il sottile. Ora senti un po' cosa
nasce: nasce che i rettori di Verona e Brescia chiudono i
passi, e dicono: di qui non passa grano. Che ti fanno i ber-
gamaschi? Spediscono a Venezia Lorenzo Torre, un dottore,
ma di quelli! È partito in fretta, s'è presentato al doge, e
ha detto: che idea è venuta a que' signori rettori? Ma un
discorso! un discorso, dicono, da dare alle stampe. Cosa
vuol dire avere un uomo che sappia parlare! Subito un ordine
CAPITOLO XVII. 225
che si lasci passare il grano; e i rettori, non solo lasciarlo
passare, ma bisogna che lo facciano scortare; ed è in viaggio.
E s'è pensato anche al contado. Giovanbatista Biava, nunzio
di Bergamo in Venezia (un uomo anche quello!) ha fatto in-
tendere al senato che, anche in campagna, si pativa la fame;
e il senato ha concesso quattromila staia di miglio. Anche
questo aiuto a far pane. E poi, lo vuoi sapere? se non ci
sarà pane, mangeremo del companatico. Il Signore m' ha da-
to del bene, come ti dico. Ora ti condurrò dal mio padrone:
gli ho parlato di te tante volte, e ti farà buona accoglienza.
Un bergamascone all'antica, un uomo di cuor largo. Vera-
mente, ora non t'aspettava; ma quando sentirà la storia ....
E poi gli operai sa tenerli di conto, perchè la carestia pas-
sa, e il negozio dura. Ma prima di tutto, bisogna che t'av-
verta d' una cosa. Sai come ci chiamano in questo paese, noi
altri dello stato di Milano?»
«Come ci chiamano?»
«Ci chiaman baggiani.»
«Non è un bel nome.»
«Tant'è: chi è nato nel milanese, e vuol vivere nel ber-
gamasco, bisogna prenderselo in santa pace. Per questa
gente, dar del baggiano a un milanese è come dar dell'illu-
strissimo a un cavaliere.»
«Lo diranno, m'immagino, a chi se lo vorrà lasciar dire.»
« Figliuolo mio, se tu non sei disposto a succiarti del bag-
giano a tutto pasto , non far conto di poter viver qui. Bi-
sognerebbe esser sempre col coltello in mano: e quando, sup-
poniamo, tu n'avessi ammazzati due, tre, quattro, verrebbe
poi quello che ammazzerebbe te: e allora, che bel gusto di
comparire al tribunal di Dio, con tre o quattro omicidi sul-
1' anima!»
«E un milanese che abbia un po' di . . . .» e qui picchiò
la fronte col dito , come aveva fatto nell' osteria della luna
piena. «Voglio dire, uno che sappia bene il suo mestiere?»
«Tutt'uno: qui è un baggiano anche lui. Sai come dice
il mio padrone, quando parla di me co' suoi amici? — Quel
baggiano è stato la man di Dio, per il negozio; se non
avessi quel baggiano, sarei ben impicciato. — L'è usanza
così. »
«L'è un'usanza sciocca. E vedendo quello che sappiam
fare (che finalmente chi ha portata qui quest'arte, e chi la
fa andare, siamo noi), possibile che non si sian corretti?»
«Finora no: col tempo può essere; i ragazzi che vengon
su; ma gli uomini fatti, non c'è rimedio: hanno preso quel
vizio: non lo smetton più. Cos'è poi finalmente? Era ben
un'altra cosa quelle galanterie che t'hanno fatto, e il di più
che ti volevan fare i nostri cari compatriotti. »
Manzoni. 15
226 I PROMESSI SPOSI.
« Già, è vero : se non e' è altro di male .... »
«Ora che sei persuaso di questo, tutto anderà bene. "Vieni
dal padrone, e coraggio.»
Tutto in fatti andò bene, e tanto a seconda delle promes
se di Bortolo, che crediamo inutile di farne particolar rela-
zione. E fu veramente provvidenza; perchè la roba e i quat
trini che Renzo aveva lasciati in casa, vedremo or ora quan-
to fosse da farci assegnamento.
CAPITOLO XVIII.
Quello stesso giorno, 13 di novembre, arriva un espresso
al signor podestà di Lecco, e gli presenta un dispaccio del
signor capitano di giustizia, contenente un ordine di fare ogni
possibile e più opportuna inquisizione, per iscoprire se un
certo giovine nominato Lorenzo Tramaglino, filatore di seta,,
scappato dalle forze praedicti egregii domini capitanti, sia
tornato, palavi vel clam, al suo paese, ignotum quale per
l'appunto, rerum in territorio Leuci; quod si compertum
fuerit sic esse, cerchi il detto signor podestà, quanta maxi-
via diligenti a fieri poterti, d'averlo nelle mani; e, legato a
dovere, videlicet con buone manette, attesa 1' esperimentata
insufficienza de' manichini pel nominato soggetto, lo faccia con-
durre nelle carceri, e lo ritenga lì, sotto buona custodia, per
farne consegna a chi sarà spedito a prenderlo; e tanto nel
caso del sì, come nel caso del no, accedati s ad domum prae-
dicti Laurentii Tramatimi; et, facta debita diligentia,
quidquid ad rem repertum fuerit auf erati s ; et informatio-
nes de illius prava qualitate, vita et complicibus sumatis ;
e di tutto il detto e il fatto, il trovato e il non trovato, il
preso e il lasciato, diligenter referatis. Il signor podestà,
dopo essersi umanamente cerziorato che il soggetto non era
tornato in paese, fa chiamare il console del villaggio, e si fa
condur da lui alla casa indicata, con gran treno di notaio e
di birri. La casa è chiusa; chi ha le chiavi non c'è, o non
si lascia trovare. Si sfonda l'uscio; e si fa la debita diligen-
za, vale a dire che si fa come in una città presa d'assalto.
La voce di quella spedizione si sparge immediatamente per
tutto il contorno; viene agli orecchi del padre Cristoforo; il
quale, attonito non meno che afflitto, domanda al terzo e al
quarto, per aver qualche lume intorno alla cagione d'un fat-
to così inaspettato; ma non raccoglie altro che congetture in
aria, e scrive subito al padre Bonaventura, dal quale spera
di poter ricevere qualche notizia più precisa. Intanto i pa-
renti e gli amici di Renzo vengono citati a deporre ciò che
capitolo xviii. 227
posson sapere della sua prava qualità: aver nome Tramagli-
no è una disgrazia: una vergogna, un delitto: il paese è sot-
tosopra. A poco a poco, si viene a sapere che Renzo è scap-
pato dalla giustizia nel bel mezzo di Milano, e poi scompar-
so; corre voce che abbia fatto qualcosa di grosso; ma la
cosa poi non si sa dire, o si racconta in cento maniere. Quan-
do più è grossa, tanto meno viene creduta nel paese, dove Ren-
zo è conosciuto per un bravo giovine: i più presumono, e
vanno susurrandosi agli orecchi F uno con F altro, che è una
macchina mossa da quel prepotente di don Rodrigo, per ro-
vinare il suo povero rivale. Tant' è vero che, a giudicar per
induzione, e senza la necessaria cognizione de' fatti, si fa alle
volte gran torto anche ai birbanti.
Ma noi, co' fatti alla mano, come si suol dire, possiamo
affermare che, se colui non aveva avuto parte nella sciagura
di Renzo, se ne compiacque però, come se fosse opera sua,
e ne trionfò co' suoi fidati, e principalmente col conte Attilio.
Questo, secondo i suoi primi disegni, avrebbe dovuto a quel-
l'ora trovarsi già in Milano; ma, alle prime notizie del tu-
multo, e della canaglia che girava per le strade, in tutt' altra
attitudine che di ricever bastonate, aveva creduto bene di trat-
tenersi in campagna, fino a cose quiete. Tanto più che, aven-
do offeso molti, aveva qualche ragion di temere che alcuno
de' tanti, che solo per impotenza stavano cheti, non prendesse
animo dalle circostanze, e giudicasse il momento buono da
far le vendette di tutti. Questa sospensione non fu di lunga
durata: l'ordine venuto da Milano dell'esecuzione da farsi
contro Renzo era già un indizio che le cose avevan ripreso
il corso ordinario; e, quasi nello stesso tempo, se n'ebbe la
certezza positiva. Il corate Attilio partì immediatamente, ani-
mando il cugino a persister nell'impresa, e spuntar l'impe-
gno, e promettendogli che, dal canto suo, metterebbe subito
mano a sbrigarlo dal frate; al qual affare, il fortunato acci-
dente dell' abietto rivale doveva fare un gioco mirabile. Ap-
pena partito Attilio, arrivò il Griso da Monza sano e salvo,
e riferì al suo padrone ciò che aveva potuto raccogliere: che
Lucia era ricoverata nel tal monastero, sotto la protezione
della tal signora; e stava sempre nascosta, come se fosse una
monaca anche lei, non mettendo mai piede fuor della porta,
e assistendo alle funzioni di chiesa da una finestrina con la
grata: cosa che dispiaceva a molti, i quali avendo sentito
motivar non so che di sue avventure, e dir gran cose del suo
viso, avrebbero voluto un poco vedere come fosse fatto.
Questa relazione mise il diavolo addosso a don Rodrigo,
o, per dir meglio, rendè più cattivo quello che già ci stava di
casa. Tante circostanze favorevoli al suo disegno infiamma-
vano sempre più la sua passione, cioè quel misto di punti-
lo*
228 I PROMESSI SPOSI.
glio, di rabbia e d'infame capriccio, di cui la sua passione
era composta. Renzo assente, sfrattato, bandito, di maniera
che ogni cosa diventava lecita contro di lui , e anche la sua
sposa poteva esser considerata, in certo modo, come roba di
rubello: il solo uomo al mondo che volesse e potesse pren-
der le sue parti, e fare rumore da esser sentito anche lontano
e da persone alte, 1" arrabbiato frate, tra poco sarebbe pro-
babilmente anche lui fuor del caso di nuocere. Ed ecco che
un nuovo impedimento , non che contrappesare tutti que' van-
taggi, li rendeva, si può dire, inutili. Un monastero di Mon-
za, quand'anche non ci fosse stata una principessa, era un
osso troppo duro per i denti di don Rodrigo; e per quanto
egli ronzasse con la fantasia intorno a quel ricovero, non sa-
peva immadnar né via nò verso d'espugnarlo, ne con la
forza, né per insidie. Fu quasi quasi per abbandonar l'im-
presa: fu per risolversi d'andare a Milano, allungando anche
la strada, per non passar neppure da Monza; e a Milano get-
tarsi in mezzo agli amici e ai divertimenti, per discacciar, con
pensieri affatto allegri, quel pensiero divenuto ormai tutto tor-
mentoso. Ma. ma, ma, gli amici; piano un poco con questi
amici. In vece d' una distrazione, poteva aspettarsi di trovar
nella loro compagnia nuovi dispiaceri: perchè Attilio certa-
mente avrebbe già preso la tromba e messo tutti in aspetta-
tiva. Da ogni parte gli verrebbero domandate notizie della
montanara: bisognava render ragione. S'era voluto, s'era
tentato; cosa s'era ottenuto? S'era preso un impegno: un
impegno un po' ignobile, a dire il vero: ma, via, uno non
può alle volte regolare i suoi capricci: il punto è di soddi-
sfarli; e come s'usciva da quest'impegno? Dandola vinta a
un villano e a un frate! Uh! E quando una buona sorte
inaspettata, senza fatica del buon a nulla, aveva tolto di mezzo
l'uno, e un abile amico l'altro, il buon a nulla non aveva
saputo valersi della congiuntura, e si ritirava vilmente dal-
l'impresa. Ce n'era più del bisogno, per non alzar mai più
il viso tra i galantuomini, o avere ogni momento la spada
alle mani. E poi, come tornare, o come rimanere in quella
villa, in quel paese, dove, lasciando da parte i ricordi inces-
santi e pungenti della passione, si porterebbe lo sfregio d' un
colpo fallito? dove, nello stesso tempo, sarebbe cresciuto 1' odio
pubblico, e scemata la riputazion del potere? dove sul viso
d'ogni mascalzone, anche in mezzo agl'inchini, si potrebbe
leggere un amaro: l'hai ingoiata, ci ho gusto? La strada
dell'iniquità, dice qui il manoscritto, è larga: ma questo non
vuol dire che sia comoda: ha i suoi buoni intoppi, i suoi
passi scabrosi; è noiosa la sua parte, e faticosa, benché vada
all' ingiù.
A don Rodrigo il quale non voleva uscirne, né dare ad-
CAPITOLO XVIII. 229
dietro, né fermarsi, e non poteva andare avanti da sé, veniva
bensì in mente un mezzo con cui potrebbe; ed era di chieder
l'aiuto d'un tale, le cui mani arrivavano spesso dove non
arrivava la vista degli altri: un uomo o un diavolo, per cui
la difficoltà dell' imprese era spesso uno stimolo a prenderle
sopra di sé. Ma questo partito aveva anche i suoi inconve-
nienti e i suoi rischi, tanto più gravi quanto meno si potevano
calcolar prima; giacché nessuno avrebbe saputo prevedere fin
dove anderebbe, una volta che si fosse imbarcato con quel-
l'uomo, potente ausiliario certamente, ma non meno assoluto
e pericoloso condottiere.
Tali pensieri tennero per più giorni don Rodrigo fra un
sì e un no, V uno e 1' altro più che noiosi. Venne intanto una
lettera del cugino, la quale diceva che la trama era ben av-
viata. Poco dopo il baleno, scoppiò il tuono; vale a dire che
una bella mattina, si sentì che il padre Cristoforo era partito
dal convento di Pescarenico. Questo buon successo così
pronto, la lettera d'Attilio che faceva un gran coraggio, e
minacciava di gran canzonature, fecero inclinar sempre più
don Rodrigo al partito rischioso: ciò che gli diede l'ultima
spinta, fu la notizia inaspettata che Agnese era tornata a
casa sua: un impedimento di meno vicino a Lucia. Ren-
diam conto di questi due avvenimenti, cominciando dal-
l' ultimo.
Le due povere donne s' erano appena accomodate nel loro
ricovero che si sparse per Monza, e per conseguenza anche
nel monastero, la nuova di quel gran fracasso di Milano; e
dietro alla nuova grande, una serie infinita di particolari, che
andavano crescendo e variandosi ogni momento. La fattores-
sa, che, dalla sua casa, poteva tenere un orecchio alla strada,
e uno al monastero , raccoglieva notizie di qui , notizie di lì,
e ne faceva parte all'ospiti. «Due, sei, otto, quattro, sette
ne hanno messi in prigione : gì' impiccheranno davanti al
forno delie grucce, parte in cima alla strada dove c'è la
casa del vicario di provvisione .... Ehi, ehi, sentite questa:
ir è scappato uno, che è di Lecco, o di quelle parti. Il nome
non lo so: ma verrà qualcheduno che me lo saprà dire; per
veder se lo conoscete.»
Quest' annunzio, con la circostanza d'esser Renzo ap-
punto arrivato in Milano nel giorno fatale, diede qualche in-
quietudine alle donne, e principalmente a Lucia: ma pensate
cosa fu quando la fattoressa venne a dir loro: «è proprio
del vostro paese quello che se l'è battuta, per non essere
impiccato, un filatore di seta, che si chiama Tramaglino: lo
conoscete?»
A Lucia, ch'era a sedere, orlando non so che cosa, cadde
il lavoro di mano; impallidì, si cambiò tutta, di maniera che
230 I PBOMESSI SPOSI.
la fattoressa se ne sarebbe avvista certamente, se le fosse
stata più vicina. Ma era ritta sulla soglia con Agnese; la
quale, conturbata anche lei, però non tanto, potè star forte;
e, per risponder qualcosa, disse che. in un piccolo paese,
tutti si conoscono, e che lo conosceva; ma che non sapeva
pensare come mai gli fosse potuto seguire una cosa simile:
perchè era un giovine posato. Domandò poi se era scappato
di certo, e dove.
('Scappato, lo dicon tutti: dove, non si sa; può essere
che l'acchiappino ancora, può essere che sia in salvo; ma
se gli torna sotto 1" unghie, il vostro giovine posato . . . .»
Qui, per buona sorte, la fattoressa fu chiamata, esen' an-
dò; figuratevi come rimanessero la madre e la figlia. Più
d' un giorno , dovettero la povera donna e la desolata fan-
ciulla stare in una tale incertezza, e mulinare sul come, sul
perchè, sulle conseguenze di quel fatto doloroso, a commen-
tare, ognuna tra sé, o sottovoce tra loro, quando potevano,
quelle terribili parole.
Un giovedì, finalmente, capitò al monastero un uomo a
cercar d' Agnese. Era un pesciaiolo di Pescarenico, che an-
dava a Milano, secondo l'ordinario, a spacciar la sua mer-
canzia; e il buon frate Cristoforo l'aveva pregato che, pas-
sando per Monza, facesse una scappata al monastero, salu-
tasse le donne da parte sua, raccontasse loro quel che si sa-
peva del tristo caso di Pienzo, raccomandasse loro d' aver pa-
zienza, e confidare in Dio: e che lui povero frate non si di-
menticherebbe certamente di loro, e spierebbe l'occasione
di poterle aiutare: e intanto non mancherebbe, ogni setti-
mana, di far loro saper le sue nuove, per quel mezzo, o al-
trimenti. Intorno a Renzo, il messo non seppe dir altro di
nuovo e di certo, se non la visita fattagli in casa, e le ri-
cerche per averlo nelle mani; ma insieme ch'erano tutte an-
date a vóto, e si sapeva di certo che s'era messo in salvo
sul bergamasco. Una tale certezza, e non fa bisogno di dirlo,
fu un gran balsamo per Lucia: d'allora in poi le sue lacrime
scorsero più facili e più dolci; provò maggior conforto negli
sfoghi segreti con la madre; e in tutte le sue preghiere, c'era
mescolato un ringraziamento.
Gertrude la faceva venire spesso in un suo parlatorio pri-
vato, e la tratteneva talvolta lungamente, compiacendosi del-
l'ingenuità e della dolcezza della poverina, e nel sentirsi rin-
graziare e benedire ogni momento. Le raccontava anche, in
confidenza, una parte (la parte netta) della sua storia, di ciò
che aveva patito, per andar lì a patire; e quella prima ma-
raviglia sospettosa di Lucia s' andava cambiando in compas-
sione. Trovava in quella storia ragioni più che sufficienti a
spiegar ciò che e' era d' un po' strano nelle maniere della
CAPITOLO XVIII. 231
sua benefattrice ; tanto più con V aiuto di quella dottrina
d' Agnese su' cervelli de' signori. Per quanto però si sen-
tisse portata a contraccambiare la confidenza che Gertrude le
dimostrava, non le passò neppur per la testa di parlarle delle
sue nuove inquietudini, della sua nuova disgrazia, di dirle
chi fosse quel filatore scappato; per non rischiare di spargere
una voce così piena di dolore e di scandolo. Si schermiva
anche, quanto poteva, dal rispondere alle domande curiose di
quella, sulla storia antecedente alla promessa; ma qui non
eran ragioni di prudenza. Era perchè alla povera innocente
quella storia pareva più spinosa, più difficile da raccontarsi,
di tutte quelle che aveva sentite, e che credesse di poter sen-
tire dalla signora. In queste e' era tirannia , insidie, pati-
menti; cose brutte e dolorose, ma che pur si potevan nomi-
nare: nella sua c'era mescolato per tutto un sentimento, una
parola, che non le pareva possibile di proferire, parlando di
sé; e alla quale non avrebbe mai trovato da sostituire una
perifrasi che non le paresse sfacciata: l'amore!
Qualche volta, Gertrude quasi s; indispettiva di quello star
così sulle difese; ma vi traspariva tanta amorevolezza, tanto
rispetto, tanta riconoscenza, e anche tanta fiducia! Qualche
volta forse, quel pudore così delicato, così ombroso, le dispia-
ceva ancor più per un altro verso ; ma tutto si perdeva nella
soavità d'un pensiero che le tornava ogni momento, guar-
dando Lucia: — a questa fo del bene. — Ed era vero;
perchè oltre il ricovero, que' discorsi, quelle carezze fami-
gliari erano di non poco conforto a Lucia. Un altro ne tro-
vava nel lavorar di continuo; e pregava sempre che le des-
sero qualcosa da fare: anche nel parlatorio, portava sempre
qualche lavoro da tener le mani in esercizio: ma, come i
pensieri dolorosi si caccian per tutto ! cucendo, cucendo, eh' era
un mestiere quasi nuovo per lei, le veniva ogni poco in mente
il suo aspo; e dietro all'aspo, quante cose!
Il secondo giovedì, tornò quel pesciaiolo o un altro messo,
co' saluti del padre Cristoforo, e con la conferma della fuga
felice di Renzo. Notizie più positive intorno a' suoi guai,
nessuna; perchè, come abbiam detto al lettore, il cappuccino
aveva sperato d'averle dal suo confratello di Milano, a cui
l'aveva raccomandato; e questo rispose di non aver veduto
né la persona, né la lettera; che uno di campagna era bensì
venuto al convento, a cercar di lui; ma che non avendocelo
trovato, era andato via, e non era più comparso.
Il terzo giovedì, non si vide nessuno; e, per le povere
donne, fu non solo una privazione d' un conforto desiderato e
sperato, ma, come accade per ogni piccola cosa a chi è af-
flitto e impicciato, una cagione d'inquietudine, di cento so-
spetti molesti. Già prima d'allora, Agnese aveva pensato a
232 I TKOMESSI SPOSI.
fare una scappata a casa; questa novità di non vedere l'am-
basciatore promesso, la fece risolvere. Per Lucia era una
faccenda seria il rimanere distaccata dalla gonnella della ma-
dre; ma la smania di saper qualche cosa, e la sicurezza che
trovava in queir asilo così guardato e sacro, vinsero le sue
ripugnanze. E fu deciso tra loro che Agnese anderebbe il
giorno seguente ad aspettar sulla strada il pesciaiolo che do-
veva passar di lì, tornando da Milano; e gli chiederebbe in
cortesia un posto sul baroccio, per farsi condurre a' suoi
monti. Lo trovò infatti, gli domandò se il padre Cristoforo
non gli aveva data qualche commissione per lei: il pesciaiolo,
tutto il giorno avanti la sua partenza era stato a pescare, e
non aveva saputo niente del padre. La donna non ebbe bi-
sogno di pregare, per ottenere il piacere che desiderava : prese
congedo dalla signora e dalla figlia, non senza lacrime, pro-
mettendo di mandar subito le sue nuove, e di tornar presto;
e parti.
Nel viaggio, non accadde nulla di particolare. Riposarono
parte della notte in un' osteria, secondo il solito; ripartirono
innanzi giorno; e arrivaron di buon' ora a Pescarenico. Agnese
smontò sulla piazzetta del convento, lasciò andare il suo con-
duttore con molti: Dio ve ne renda merito; e giacché era lì,
volle, prima d' andare a casa, vedere il suo buon frate be-
nefattore. Sonò il campanello; chi venne ad aprire, fu fra
Galdino, quel delle noci.
«Oh! la mia donna, che vento v' ha portata?»
«Vengo a cercare il padre Cristoforo »
«Il padre Cristoforo? Non e' è.»
«Oh! starà molto a tornare?»
«Ma....?» disse il frate, alzando le spalle, e ritirando
nel cappuccio la testa rasa.
«Dov' è andato?»
«A Rimini.»
«A?»
«A Rimini.»
«Dov' è questo paese?»
«Eh eh eh!» rispose il frate, trinciando verticalmente
l' aria con la mano distesa, per significare una gran di-
stanza.
«Oh povera me! Ma perchè è andato via così all' im-
provviso?»
«Perchè ha voluto cosi il padre provinciale.»
«E perchè mandarlo via? che faceva tanto bene qui? Ob
Signore!»
«Se i superiori dovessero render conto degli ordini che
danno, dove sarebbe 1' ubbidienza, la mia donna?»
«Si; ma questa è la mia rovina.»
CAPITOLO XVIII. 233
«Sapete cosa sarà? Sarà che a Rimini avranno avuto
bisogno d' un buon predicatore (ce n'abbiamo per tutto; ma
alle volte ci vuol quell'uomo fatto apposta); il padre pro-
vinciale di là avrà scritto al padre provinciale di qui, se
aveva un soggetto così e così; e il padre provinciale avrà
detto: qui ci vuole il padre Cristoforo. Dev'esser proprio
così, vedete.»
«Oh poveri noi! Quand' è partito?»
«Jerlaltro.»
«Ecco! s'io davo retta alla mia ispirazione di venir via
qualche giorno prima! E non si sa quando possa tornare?
così a un di presso?»
«Eh la mia donna! lo sa il padre provinciale; se lo sa
anche lui. Quando un nostro padre predicatore ha preso
il volo, non si può prevedere su che ramo potrà andarsi a
posare. Li cercan di qua, li cercan di là; e abbiamo con-
venti in tutte le quattro parti del mondo. Supponete che, a
Rimini, il padre Cristoforo faccia un gran fracasso col suo
quaresimale; perchè non predica sempre a braccio, come fa-
ceva qui, per i pescatori e i contadini: per i pulpiti delle
città, ha le sue belle prediche scritte; e fior di roba. Si
sparge la voce, da quelle parti, di questo gran predicatore;
e lo possono cercare da ... . da che so io? E allora, biso-
gna mandarlo; perchè noi viviamo della carità di tutto il
mondo, ed è giusto che serviamo tutto il mondo.»
«Oh Signore! Signore!» esclamò di nuovo Agnese, quasi
piangendo: «come devo fare, senza quell'uomo? Era quello
che ci faceva da padre! Per noi è una rovina.»
«Sentite, buona donna; il padre Cristoforo era veramente
un uomo: ma ce n; abbiamo degli altri, sapete? pieni di ca-
rità e di talento, e che sanno trattare ugualmente co' signori
e co' poveri. Volete il padre Atanasio? volete il padre Gi-
rolamo? volete il padre Zaccaria? È un uomo di vaglia,
vedete, il padre Zaccaria. E non istate a badare, come fanno
certi ignoranti, che sia così mingherlino, con una vocina fessa,
e una barbetta, misera misera: non dico per predicare,
perchè ognuno ha i suoi doni; ma per dar pareri, è un uomo,
sapete?»
«Oh per carità!» esclamò Agnese, con quel misto di gra-
titudine e d' impazienza, che si prova a un' esibizione in cui
si trovi più la buona volontà altrui, che la propria conve-
nienza : «cosa m' importa a me che uomo sia o non sia un
altro, quando quel pover' uomo che non e' è più, era quello
che sapeva le nostre cose, e aveva preparato tutto per
aiutarci?»
«Allora, bisogna aver pazienza.»
234 I PEOMESSI SPOSI.
('Questo lo so,» rispose Agnese: «scusate dell' inco
modo.»
«Di che cosa, la mia donna? mi dispiace per voi. E sa
vi risolvete di cercar qualcheduno de' nostri padri, il con-
vento è qui che non si move. Ehi, mi lascerò poi veder pre-
sto, per la cerca dell' olio.»
State bene.» disse Agnese; e s'incamminò verso il suo
paesetto, desolata, confusa, sconcertata, come il povero cieco
che avesse perduto il suo bastone.
Un po' meglio informati che fra Galdino, noi possiamo
dire come andò veramente la cosa. Attilio, appena arrivate
a Milano, andò, come aveva promesso a don Rodrigo, a fai
visita al loro comune zio del Consiglio segreto. (Era una
consulta, composta allora di tredici personaggi di toga e di
spada, da cui il governatore prendeva parere, e che, mo-
rendo uno di questi, o venendo mutato, assumeva tempora-
riamente il governo.) Il conte zio, togato, e uno degli an-
ziani del consiglio, vi godeva un certo credito; ma nel farlo
valere, e nel farlo rendere con gli altri, non e' era il suo
compagno. Un parlare ambiguo, un tacere significativo, un
restare a mezzo, uno stringer (Tocchi che esprimeva: non
posso parlare; un lusingare senza promettere, un minacciare
in cerimonia: tutto era diretto a quel fine; e tutto, o più o
meno, tornava in prò. A segno che fino a un: io non posso
niente in questo affare: detto talvolta per la pura verità, ma
detto in modo che non gli era creduto, serviva ad accrescere
il concetto, e quindi la realtà del suo potere: come quelle
scatole che si vedono ancora in qualche bottega di speziale,
con su certe parole arabe, e dentro non e' è nulla; ma ser-
vono a mantenere il credito alla bottega. Quello del conte
zio, che, da gran tempo, era sempre andato crescendo a len-
tissimi gradi, ultimamente aveva fatto in una volta un passo,
come si dice, di gigante, per un' occasione alla corte; dove,
che accoglienza gli fosse fatta, bisognava sentirlo raccontar
da lui. Per non dir altro, il conte duca 1' aveva trattato con
una degnazione particolare, e ammesso alla sua confidenza, a
segno d'avergli una volta domandato, in presenza, si può
dire, di mezza la corte, come gli piacesse Madrid, e d' aver-
gli un'altra volta detto a quattr'occhi, nel vano d'una
finestra, che il duomo di Milano era il tempio più grande che
fosse negli stati del re.
Fatti i suoi complimenti al conte zio, e presentatigli quelli
del cugino, Attilio, con un suo contegno serio, che sapeva
prendere a tempo, disse: "credo di fare il mio dovere, senza
mancare alla confidenza di Rodrigo, avvertendo il signore zio
d' un affare che. se lei non ci mette una mano, può diventar
serio, e portar delle conseguenze....»
CAPITOLO XVIII.
235
«Qualcheduna delle sue, rn' immagino.»
«Per giustizia, devo dire che il torto non è dalla parte
di mio cugino. Ma è riscaldato; e, come dico, non e' è che
il signore zio, che possa . . . .»
«Vediamo, vediamo.»
«C è da quelle parti un frate cappuccino che l' ha con
Rodrigo; e la cosa è arrivata a un punto, che . . . .»
«Quante volte v' ho detto, all' uno e all' altro, che i frati
bisogna lasciarli cuocere nel loro brodo? Basta il da fare
che danno a chi deve .... a chi tocca . . . .» E qui soffiò.
«Ma voi altri che potete scansarli . . . .»
«Signore zio, in questo, è mio dovere di dirle che Ro-
drigo Y avrebbe scansato, se avesse potuto. È il frate che
V ha con lui, che ha preso a provocarlo in tutte le ma-
niere ....»
«Che diavolo ha codesto frate con mio nipote?»
«Prima di tutto, è una testa inquieta, conosciuto per tale,
e che fa professione di prendersela coi cavalieri. Costui pro-
tegge, dirige, che so io? una contadinotta di là; e ha per
questa creatura una carità, una carità .... non dico pelosa,
ma una carità molto gelosa, sospettosa, permalosa.»
«Intendo,» disse il conte zio; e sur un certo fondo di
goffaggine, dipintogli in viso dalla natura, velato poi e rico-
perto, a più mani, di politica, balenò un raggio di malizia,
che vi faceva un bellissimo vedere.
«Ora da qualche tempo,» continuò Attilio: «s' è cacciato
in testa questo frate, che Rodrigo avesse non so che disegni
sopra questa . . . .»
«S' è cacciato in testa, s' è cacciato in testa: lo conosco
anch' io il signor don Rodrigo ; e ci vuol altro avvocato che
vossignoria, per giustificarlo in queste materie.»
«Signore zio, che Rodrigo possa aver fatto qualche scherzo
a quella creatura, incontrandola per la strada, non sarei lon-
tano del crederlo: è giovine, e finalmente non è cappuccino;
ma queste son bazzecole da non trattenerne il signore zio:
il serio è che il frate s' è messo a parlar di Rodrigo come
si farebbe d' un mascalzone, cerca d' aizzargli contro tutto il
paese . . . .»
«E gli altri frati?»
«Non se ne impicciano, perchè lo conoscono per una te-
sta calda, e hanno tutto il rispetto per Rodrigo; ma, dal-
l' altra parte, questo frate ha un gran credito presso i villani,
perchè fa poi anche il santo, e . . . .»
mM' immagino che non sappia che Rodrigo è mio ni-
pote.»
«Se lo sa! Anzi questo è quel che gli mette più il dia-
volo addosso.»
236 1 PROMESSI SPOSI.
(■Come? come?»
«Perchè, e lo va dicendo lui, ci trova più gusto a farla
vedere a Rodrigo, appunto perchè questo ha un protettor na-
turale, di tanta autorità come vossignoria: e che lui se la ride
de' grandi e de' politici, e che il cordone di san Francesco
tien legate anche le spade, e che . . . . »
«Oh frate temerario! Come si chiama costui?»
«Fra Cristoforo da***.» disse Attilio; e il conte zio,
preso da una cassetta del suo tavolino, un libriccino di me-
morie, vi scrisse, soffiando, soffiando, quel povero nome. In-
tanto Attilio seguitava: «è sempre stato di quell'umore, co-
stui: si sa la sua vita. Era un plebeo che, trovandosi aver
quattro soldi, voleva competere coi cavalieri del suo paese;
e, per rabbia di non poterla vincer con tutti, ne ammazzò
uno; onde, per iscansar la forca, si fece frate.»
«Ma bravo! ma bene! La vedremo, la vedremo,» diceva
il conte zio seguitando a soffiare.
«Ora poi,» continuava Attilio, «è più arrabbiato che
mai perchè gli è andato a mont-e un disegno che gli premeva
molto molto : e da questo il signore zio capirà che uomo
sia. Voleva costui maritare quella sua creatura: fosse per
levarla dai pericoli del mondo, lei nr intende, o perchè altro
si fosse, la voleva maritare assolutamente; e aveva trovato il
.... P uomo: un' altra sua creatura, un soggetto, che, forse
e senza forse, anche il signore zio lo conoscerà di nome;
perchè tengo per certo che il Consiglio segreto avrà dovuto
occuparsi di quel degno soggetto.»
«Chi è costui?»
«Un filatore di seta, Lorenzo Tramaglino, quello che »
«Lorenzo Tramaglino!» esclamò il conte zio. «Ma bene!
ma bravo, padre ! Sicuro .... in fatti aveva una lettera
per un ... . Peccato che .... Ma non importa ; va bene.
E perchè il signor don Piodrigo non mi dice nulla di tutto
questo? perchè lascia andar le cose tant' avanti e non si ri-
volge a chi lo può e vuole dirigere e sostenere?»
«Dirò il vero anche in questo,» proseguiva Attilio. «Da
una parte, sapendo quante brighe, quante cose ha per la te-
sta il signore zio . . . .» (questo, soffiando, vi mise la mano,
come per significare la gran fatica eh' era a farcele star tutte»
«s' è fatto scrupolo di darle una briga di più. E poi, dirò
tutto: da quello che ho potuto -capire, è così irritato, così
fuor de' gangheri, così stucco delle villanie di quel frate, che
ha più voglia di farsi giustizia da sé, in qualche maniera
sommaria, che d; ottenerla in una maniera regolare, dalla pru-
denza e dal braccio del signore zio. Io ho cercato di smor-
care; ma vedendo che la cosa andava per le brutte, ho
zreduto che fosse mio dovere d' avvertir di tutto il si-
CAPITOLO XVIII. 237
gnore zio, che alla fine è il capo e la colonna della
casa .... »
('Avresti fatto meglio a parlare un poco prima.)»
«È vero : ma io andavo sperando che la cosa svanirebbe
da sé, o che il frate tornerebbe finalmente in cervello, o che
se n' anderebbe da quel convento, come accadde di questi
frati, che ora sono qua, ora sono là; e allora tutto sarebbe
finito. Ma .... »
«Ora toccherà a me a raccomodarla.»
«Così ho pensato anch'io. Ho detto tra me: il signore
zio, con la sua avvedutezza, con la sua autorità, saprà lui
prevenire uno scandolo, e insieme salvar 1' onore di Rodrigo,
che è poi anche il suo. Questo frate, dicevo io, l'ha sem-
pre col cordone di san Francesco, ma per adoprarlo a pro-
posito, il cordone di san Francesco non è necessario d'averlo
intorno alla pancia. Il signore zio ha cento mezzi eh' io
non conosco: so che il padre provinciale ha, com' è giusto,
una gran deferenza per lui; e se il signore zio crede che in
questo caso il miglior ripiego sia di far cambiar aria al frate,
lui con due parole . . . .»
«Lasci il pensiero a chi tocca, vossignoria,)) disse un
po' ruvidamente il conte zio.
«Ah è vero!» esclamò Attilio con una tentennatina di te-
sta, e con un sogghigno di compassione per sé stesso. «Son
io 1' uomo da dar pareri al signore zio! Ma è la passione
che ho della riputazione del casato che mi fa parlare. E ho
anche paura d' aver fatto un altro male,» soggiunse con un'
aria pensierosa: «ho paura d'aver fatto torto a Rodrigo nel
concetto del signore zio. Non mi darei pace, se fossi cagione
di farle pensare che Rodrigo non abbia tutta quella fede in
lei, tutta quella sommissione che deve avere. Creda, signore
zio, che in questo caso è proprio . . . .»
«Via, via; che torto, che torto tra voi altri due? che sa-
rete sempre amici, finché l' uno non metta giudizio. Scape-
strati, scapestrati, che sempre ne fate una; e a me tocca di
rattopparle: che .... mi fareste dire uno sproposito, mi date
più da pensare voi altri due, che,» e qui immaginatevi che
soffio mise, «tutti questi benedetti aiFari di stato.»
Attilio fece ancora qualche scusa, qualche promessa, qual-
che complimento; poi si licenziò e se n' andò, accompagnato
da un «e abbiamo giudizio,» eh' era la formola di commiati
del conte zio per i suoi nipoti.
238 I PROMESSI SPOSI.
CAPITOLO XIX.
Chi, vedendo in un campo mal coltivato, un' erbaccia, per
esempio un bel lapazio, volesse proprio sapere se sia venuto
da un seme maturato nel campo stesso, o portatovi dal vento
o lasciatovi cader da un uccello, per quanto ci pensasse, non
ne verrebbe mai a una conclusione. Così anche noi non sa-
premmo dire se dal fondo naturale del suo cervello, o dal-
l' insinuazione d' Attilio, venisse al conte zio la risolu-
zione di servirsi del padre provinciale per troncare nella mi-
glior maniera quel nodo imbrogliato. Certo è che Attilio non
aveva detta a caso quella parola: e quantunque dovesse aspet-
tarsi che, a un suggerimento così scoperto, la boria ombrosa
del conte zio avrebbe ricalcitrato, a ogni modo volle fargli
balenar dinanzi V idea di quel ripiego, e metterlo sulla strada
dove desiderava che andasse. Dall' altra parte, il ripiego era
talmente adattato all' umore del conte zio, talmente indicato
dalle circostanze, che, senza suggerimento di chi si sia, si può
scommettere che 1' avrebbe trovato da sé. Si trattava cher
in una guerra pur troppo aperta, uno del suo nome, un suo
nipote, non rimanesse al di sotto: punto essenzialissimo alla
riputazione del potere che gli stava tanto a cuore. La sod-
disfazione che il nipote poteva prendersi da sé, sarebbe stata
un rimedio peggior del male, una sementa di guai: e biso-
gnava impedirla, in qualunque maniera, e senza perder tem-
po. Comandargli che partisse in quel momento dalla sua vil-
la; già non avrebbe ubbidito; e quand'anche avesse, era un
cedere il campo, una ritirata delia casa dinanzi a un convento.
Ordini, forza legale, spauracchi di tal genere, non valevano
contro un avversario di quella condizione: il clero regolare e
secolare era affatto immune da ogni giurisdizione laicale: non
solo le persone, ma i luoghi ancora abitati da esso: come
deve sapere anche chi non avesse letta altra storia che la
presente; che starebbe fresco. Tutto quel che si poteva con-
tro un tale avversario era cercar d' allontanarlo, e il mezzo a
ciò era il padre provinciale, in arbitrio del quale era P an-
dare e lo stare di quello.
Ora, tra il padre provinciale e il conte zio passava un'an-
tica conoscenza: s' eran veduti di rado, ma sempre con gran
dimostrazioni d' amicizia, e con esibizioni sperticate di ser-
vizi. E alle volte, e meglio aver che fare con uno che sia
sopra a molti indivìdui, che con un solo di questi, il quale
non vede che la sua causa, non sente che la sua passione,
non cura che il suo punto; mentre l'altro vede in un tratto
cento relazioni, cento conseguenze, cento interessi, cento cose da
CAPITOLO XIX. 239
scansare, cento cose da salvare; e si può quindi prendere
da cento parti.
Tutto ben ponderato, il conte zio invitò un giorno a pranzo
il padre provinciale, e gli fece trovare una corona di com-
mensali assortiti con un intendimento sopraffino. Qualche pa-
rente de' più titolati, di quelli il cui solo casato era un gran
titolo; e che, col solo contegno, con una certa sicurezza na-
tiva, con una sprezzatura signorile, parlando di cose grandi
con termini famigliari, riuscivano, anche senza farlo apposta,
a imprimere e rinfrescare, ogni momento, l'idea della supe-
riorità e della potenza; e alcuni clienti legati alla casa per
una dipendenza ereditaria, e al personaggio per una servitù
di tutta la vita; i quali, cominciando dalla minestra a dir sì,
con la bocca, con gli occhi, con gli orecchi, con tutta la te-
sta, con tutto il corpo, con tutta 1' anima, alle frutte v' ave-
van ridotto un uomo a non ricordarsi più come si facesse a
dir di no.
A tavola, il conte padrone fece cader ben presto il dis-
corso sul tema di Madrid. A Roma si va per più strade; a
Madrid egli andava per tutte. Parlò della corte, del conte duca,
de' ministri, della famiglia del governatore, delle cacce del
toro, che lui poteva descriver benissimo, perchè le aveva go-
dute da un posto distinto, dell' Escuriale di cui poteva render
conto a un puntino, perchè un creato del conte duca 1' aveva
condotto per tutti i buchi. Per qualche tempo, tutta la com-
pagnia stette, come un uditorio, attenta a lui solo, poi si
divise in colloqui particolari; e lui allora continuò a raccon-
tare altre di quelle belle cose, come in confidenza, al padre
provinciale che gli era accanto, e che lo lasciò dire, dire e
dire. Ma a un certo punto, diede una giratina al discorso, lo
staccò da Madrid, e di corte in corte, di dignità in dignità,
lo tirò sul cardinal Barberini, eh' era cappuccino, e fratello
del papa allora sedente, Urbano Vili: niente meno. Il conte
zio dovette anche lui lasciar parlare un poco, e stare a sen-
tire, e ricordarsi che finalmente, in questo mondo, non e' era
soltanto i personaggi che facevan per lui. Poco dopo alzati
da tavola, pregò il padre provinciale di passar con lui in
un' altra stanza.
Due potestà, due canizie, due esperienze consumate si
trovavano a fronte. Il magnifico signore fece sedere il padro
molto reverendo, sedette anche lui, e cominciò: «stante l'a-
micizia che passa tra di noi, ho creduto di far parola a vo-
stra paternità d' un affare di comune interesse, da concluder
tra di noi, senz'andar per altre strade, che potrebbero....
E perciò, alla buona, col cuore in mano, le dirò di che si
tratta; e in due parole son certo che anderemo d'accordo.
240 I PROMESSI SPOSI.
Mi dica: nel loro convento di Pescarenico e' è un padre Cri-
stoforo da***?»
Il provinciale fece cenno di sì.
«Mi dica un poco vostra paternità, schiettamente, da buon
amico .... questo soggetto .... questo padre .... Di per-
sona io non lo conosco; e sì che de' padri cappuccini ne co-
nosco parecchi: uomini d' oro, zelanti, prudenti, umili: sono
stato amico dell' ordine fin da ragazzo .... Ma in tutte le
famiglie un po' numerose e' è sempre qualche individuo,
qualche testa .... E questo padre Cristoforo, so da certi
ragguagli che è un uomo .... un po' amico de' contrasti ....
che non ha tutta quella prudenza, tutti que' riguardi ....
Scommetterei che ha dovuto dar più d' una volta da pensare
a vostra paternità.»
— Ho inteso: è un impegno, — pensava intanto il pro-
vinciale: — Colpa mia; lo sapevo che quel benedetto Cristo-
foro era un soggetto da farlo girare di pulpito in pulpito, e
non lasciarlo fermare sei mesi in un luogo, specialmente in
conventi di campagna. —
«Oh!» disse poi: «mi dispiace davvero di sentire che vo-
stra magnificenza abbia in un tal concetto il padre Cristoforo;
mentre, per quanto ne so io, è un religioso .... esemplare
in convento, e tenuto in molta stima anche di fuori.»
«Intendo benissimo; vostra paternità deve .... Però, però,
da amico sincero, voglio avvertirla d'una cosa che le sarà
utile di sapere; e se anche ne fosse già informata, posso,
senza mancare a' miei doveri, metterle sott' occhio certe conse-
guenze .... possibili: non dico di più. Questo padre Cristo-
foro, sappiamo che proteggeva un uomo di quelle parti, un
uomo .... vostra paternità n'avrà sentito parlare; quello che,
con tanto scandolo, scappò dalle mani della giustizia, dopo
aver fatto, in quella terribile giornata di san Martino, cose
. . . . cose .... Lorenzo Tramaglino!»
— Ahi! — pensò il provinciale; e disse: «questa circo-
stanza mi riesce nuova; ma vostra magnificenza sa bene che
una parte del nostro ufizio è appunto d' andare in cerca de'
traviati, per ridurli . . . .»
«Va bene; ma la protezione de' traviati d'una certa spe-
cie....! Son cose spinose, affari delicati ...» E qui, in
vece di gonfiar le gote e di soffiare, strinse le labbra, e tirò
dentro tant' aria quanta ne soleva mandar fuori, soffiando. E
riprese: «ho creduto bene di darle un cenno su questa cir-
costanza, perchè se mai sua eccellenza.... Potrebbe esser
fatto qualche passo a Roma .... non so niente .... e da
Roma venirle . . . .»
«Son ben tenuto a vostra magnificenza di codesto avviso;
però son certo che, se si prenderanno informazioni su questo
CAPITOLO XIX. 241
proposito, si troverà che il padre Cristoforo non avrà avuto
che fare con 1' uomo che lei dice, se non a fine di mettergli
il cervello a partito. Il padre Cristoforo, lo conosco.»
«Già lei sa meglio di me che soggetto fosse al secolo, le
cosette che ha fatte in gioventù.»
«È la gloria dell'abito questa, signor conte, che un uomo,
il quale al secolo ha potuto far dir di sé, con questo in-
dosso, diventi un altro. E da che il padre Cristoforo porta
quest' abito .... »
«Vorrei crederlo: lo dico di cuore: vorrei crederlo; ma
alle volte, come dice il proverbio .... i' abito non fa il mo-
naco.»
Il proverbio non veniva in taglio esattamente; ma il conte
P aveva sostituito in fretta a un altro che gli era venuto
sulla punta della lingua: il lupo cambia il pelo, ma non il
vizio.
«Ho de' riscontri,» continuava, «ho de! contrassegni . . . .»
«Se lei sa positivamente,» disse il provinciale, «che que-
sto religioso abbia commesso qualche errore (tutti si può
mancare) , avrò per un vero favore 1' esserne informato. Son
superiore: indegnamente; ma lo sono appunto per correggere,
per rimediare. »
«Le dirò: insieme con questa circostanza dispiacevole
della protezione aperta di questo padre per chi le ho detto,
c'è un'altra cosa disgustosa, e che potrebbe.... Ma, tra
di noi, accomoderemo tutto in una volta. C'è, dico, che lo
stesso padre Cristoforo ha preso a cozzare con mio nipote,
don Rodrigo * * *. »
«Oh! questo mi dispiace, mi dispiace, mi dispiace dav-
vero.»
«Mio nipote è giovine, vivo, si sente quello che è, non è
avvezzo a esser provocato . . . .»
«Sarà mio dovere di prender buone informazioni d'un
fatto simile. Come ho già detto a vostra magnificenza, e parlo
con un signore che non ha meno giustizia che pratica di
mondo, tutti siamo di carne, soggetti a sbagliare .... tanto
da una parte, quanto dall'altra: e se il padre Cristoforo avrà
mancato .... »
«Veda vostra paternità; son cose, come io le dicevo, da
finirsi tra di noi, da seppellirsi qui, cose che a rimestarle
troppo .... si fa peggio. Lei sa cosa segue: quest'urti, que-
ste picche, principiano talvolta da una bagattella, e vanno
avanti , vanno avanti .... A voler trovarne il fondo , o non
se ne viene a capo, o vengon fuori cent' altri imbrogli. So-
pire, troncare, padre molto reverendo: troncare, sopire. Mio
nipote è giovine: il religioso, da quel che sento, ha ancora
tutto lo spirito, le ... . inclinazioni d'un giovine; e tocca a noi,
Manzoni. 16
242 I PROMESSI SPOSL
che abbiamo 1 nostri anni .... pur troppo ehj padre molto
reverendo ! ... »
Chi fosse stato lì a vedere, in quel punto, fu come quan-
do, nel mezzo d' un' opera seria, s'alza, per isbaglio, uno
scenario, prima del tempo, e si vede un cantante che, non
pensando, in quel momento, che ci sia un pubblico al mondo,
discorre alla buona con un suo compagno. Il viso, 1' atto, la
voce del conte zio, nel dir quel pur troppo! tutto fu natu-
rale: lì non e' era politica: era proprio vero che gli dava noia
d'avere i suoi anni. Non già che piangesse i passatempi, il
brio, l'avvenenza della gioventù: frivolezze, sciocchezze, mi-
serie! La cagion del suo dispiacere era ben più soda e im-
portante: era che sperava un certo posto più alto, quando
fosse vacato; e temeva di non arrivare a tempo. Ottenuto
che l'avesse, si poteva esser certi che non si sarebbe più
curato degli anni, non avrebbe desiderato altro, e sarebbe
morto contento, come tutti quelli che desideran molto una
cosa, assicurano di voler fare, quando siano arrivati a otte-
nerla.
Ma per lasciarlo parlar lui, «tocca a noi,» continuò, «a
aver giudizio per i giovani, e a rassettar le loro malefatte.
Per buona sorte, siamo ancora a tempo; la cosa non ha fatto
chiasso: è ancora il caso d'un buon principiis obsta, allon-
tanare il fuoco dalla paglia. Alle volte un soggetto che, in
un luogo, non fa bene, o che può esser causa di qualche in-
conveniente, riesce a maraviglia in un altro. Vostra paternità
saprà ben trovare la nicchia conveniente a questo religioso.
C'è giusto anche l'altra circostanza, che possa esser caduto
in sospetto di chi ... . potrebbe desiderare che fosse rimosso :
e, collocandolo in qualche posto un po' lontanetto , facciamo
un viaggio e due servizi; tutto s'accomoda da sé, o per dir
meglio, non c'è nulla di guasto.»
Questa conclusione, il padre provinciale se F aspettava fino
dal principio del discorso. — Eh già! — pensava tra sé: —
vedo dove vuoi andar a parare: delle solite; quando un po-
vero frate è preso a noia da voi altri, o da uno di voi altri,
o vi dà ombra, subito, senza cercar se abbia torto o ragione,
il superiore deve farlo sgomberare. —
E quando il conte ebbe finito, e messo un lungo soffio, che
equivaleva a un punto fermo, «intendo benissimo,» disse il
provinciale, «quel che il signor conte vuol dire; ma prima di
fare un passo , . . . »
«È un passo e non è un passo, padre molto reverendo:
è una cosa naturale, una cosa ordinaria; e se non si prende
questo ripiego, e subito, prevedo un monte di disordini,
un' iliade di guai. Uno sproposito .... mio nipote non cre-
derei .... ci son io, per questo .... Ma, al punto a cui la
CAPITOLO XIX. 243
cosa è arrivata, se non la tronchiamo noi, senza perder tempo,
con un colpo netto, non è possibile che si fermi, che resti
segreta .... e allora non è più solamente mio nipote ....
Si stuzzica un vespaio, padre molto reverendo. Lei vede;
siamo una casa, abbiamo attinenze . . . .»
«Cospicue.»
«Lei m'intende; tutta gente che ha sangue nelle vene, e
che, a questo mondo .... è qualche cosa. C entra il punti-
glio; diviene un affare comune; e allora.... anche chi è
amico della pace .... Sarebbe un vero crepacuore per me,
di dovere .... di trovarmi .... io che ho sempre avuta tanta
propensione per i padri cappuccini ... ! Loro padri, per far
del bene, come fanno con tanta edificazione del pubblico,
hanno bisogno di pace, di non aver contese, di stare in buona
armonia con chi ... . E poi, hanno de' parenti al secolo ....
e questi affaracci di puntiglio, per poco che vadano in lungo,
B1 estendono, si ramificano, tiran dietro .... mezzo mondo.
Io mi trovo in questa benedetta carica, che m'obbliga a so-
stenere un certo decoro .... Sua eccellenza . . . . i miei si-
gnori colleghi .... tutto diviene affar di corpo .... tanto più
con quell' altra circostanza .... Lei sa come vanno queste
cose. »
«Veramente,» disse il padre provinciale, «il padre Cristo-
foro è predicatore; e avevo già qualche pensiero .... Mi si
richiede appunto .... Ma in questo momento, in tali circo-
stanze, potrebbe parere una punizione; e una punizione prima
d" aver ben messo in chiaro . . . .)
«Xo punizione, no; un provvedimento prudenziale, un ri-
piego di comune convenienza, per impedire i sinistri che po-
trebbero .... mi sono spiegato.»
«Tra il signor conte e me, la cosa rimane in questi ter-
mini; intendo. Ma, stando il fatto come fu riferito a vostra
magnificenza, è impossibile, mi pare, che nel paese non sia
traspirato qualcosa. Per tutto e' è degli aizzatori , de' metti-
male, o almeno de' curiosi maligni che, se posson vedere alle
prese signori e religiosi, ci hanno un gusto matto; e fiutano,
interpretano, ciarlano .... Ognuno ha il suo decoro da con-
servare; e io poi, come superiore (indegno), ho un dovere
espresso .... L' onor dell' abito .... non è cosa mia .... è
un deposito del quale .... Il suo signor nipote, giacché è così
alterato, come dice vostra magnificenza, potrebbe prender la
cosa come una soddisfazione data a lui, e . . . . non dico van-
tarsene, trionfarne, ma .... »
«Le pare, padre molto reverendo? Mio nipote è un ca-
valiere che nel mondo è considerato .... secondo il suo grado
e il dovere: ma davanti a me è un ragazzo; e non farà né
più ne meno di quello che gli prescriverò io. Le dirò di
1G*
244 I PROMESSI SPOSI.
più: mio nipote non ne saprà nulla. Che bisogno abbiamo
noi di render conto? Son cose che facciamo tra di noi, da
buoni amici: e tra di noi hanno da rimanere. Non si dia
pensiero di ciò. Devo essere avvezzo a non parlare.» E soffiò.
«In quanto ai cicaloni,» riprese, «che vuol che dicano? Un
religioso che vada a predicare in un altro paese, è cosa così
ordinaria! E poi, noi che vediamo .... noi che preve-
diamo .... noi che ci tocca .... non dobbiamo poi curarci
delle ciarle.»
«Però, affine di prevenirle, sarebbe bene che, in quest' oc-
casione, il suo signor nipote facesse qualche dimostrazione,
desse qualche segno palese d'amicizia, di riguardo .... non
per noi, ma per T abito .... »
«Sicuro, sicuro; quest' è giusto .... Però non e' è bisogno:
so che i cappuccini son sempre accolti come si deve da mio
nipote. Lo fa per inclinazione: è un genio in famiglia: e poi
sa di far cosa grata a me. Del resto, in questo caso ....
qualcosa di straordinario .... è troppo giusto. Lasci fare a
me, padre molto reverendo ; che comanderò a mio nipote ....
Cioè bisognerà insinuargli con prudenza, affinchè non s'avveda
di quel che è passato tra di noi. Perchè non vorrei alle
volte che mettessimo un impiastro dove non e' è ferita. E per
quel che abbiamo concluso, quanto più presto sarà, meglio.
E se si trovasse qualche nicchia un po' lontana .... per levar
proprio ogni occasione . . . .»
«Mi vien chiesto per l'appunto un predicatore da Rimini:
e fors' anche, senz'altro motivo, avrei potuto metter gli
occhi .... »
«Molto a proposito, molto a proposito. E quando . . . ?»
«Giacché la cosa si deve fare, si farà presto.»
«Presto, presto, padre molto reverendo: meglio oggi che
domani. E,» continuava poi, alzandosi da sedere, «se posso
qualche cosa, tanto io, come la mia famiglia, per i nostri
buoni padri cappuccini .... »
«Conosciamo per prova la bontà della casa,» disse il pa-
dre provinciale, alzatosi anche lui, e avviandosi verso 1' uscio,
dietro al suo vincitore.
«Abbiamo spento una favilla,» disse questo, soffermandosi,
«una favilla, padre molto reverendo, che poteva destare un
grand' incendio. Tra buoni amici, con due parole s' accomo-
dano di gran cose. »
Arrivato all'uscio, lo spalancò, e volle assolutamente che
il padre provinciale andasse avanti: entrarono nell'altra stanza,
e si riunirono al resto della compagnia.
Un grande studio, una grand' arte, di gran parole, met-
teva quel signore nel maneggio d'un affare: ma produceva
poi anche effetti corrispondenti. Infatti, col colloquio che
CAPITOLO XIX. 245
ahbiam riferito, riuscì a far andar fra Cristoforo a piedi da
Pescarenico a Rimini, che è una bella passeggiata.
Una sera, arriva a Pescarenico un cappuccino di Milano,
con un plico per il padre guardiano. C; è dentro 1' obbedienza
per fra Cristoforo, di portarsi a Rimini, dove predicherà la
quaresima. La lettera al guardiano porta 1* istruzione d' in-
sinuare al detto frate che deponga ogni pensiero d' affari che
potesse avere avviati nel paese da cui deve partire, e che non
vi mantenga corrispondenze: il frate latore dev' essere il com-
pagno di viaggio. Il guardiano non dice nulla la sera; mattina,
fa chiamar fra Cristoforo, gli fa vedere 1' obbedienza, gli dice
che vada a prender la sporta, il bastone, il sudario e la cin-
tura, e con quel padre compagno che gli presenta, si metta
poi subito in viaggio.
Se fu un colpo" per il nostro frate, lo lascio pensare a voi.
Renzo, Lucia, Agnese, gli vennero subito in mente ; e esclamò,
per dir così, dentro di sé: — Oh Dio! cosa faranno que' me-
schini, quando io non sarò più qui! — Ma alzò gli occhi al
cielo, e s'accusò d'aver mancato di fiducia, d' essersi creduto
necessario a qualche cosa. Mise le mani in croce sul petto,
in segno d' ubbidienza, e chinò la testa davanti al padre guar-
diano: il quale lo tirò poi in disparte, e gli diede quell'altro
avviso, con parole di consiglio, e con significazione di precetto.
Fra Cristoforo andò alla sua cella, prese la sporta, vi ripose
il breviario, il suo quaresimale, e il pane del perdono, s' al-
lacciò la tonaca con la sua cintura di pelle, si licenziò
da* suoi confratelli che si trovavano in convento, andò da ul-
timo a prender la benedizione del guardiano, e col compagno,
prese la strada che gli era stata prescritta.
Abbiamo detto che don Rodrigo, intestato più che mai di
venire a fine della sua bella impresa, s' era -risoluto di cer-
care il soccorso d' un terribile uomo. Di costui non possiam
dare né il nome, né il cognome, né un titolo, e nemmeno una
congettura sopra nulla di tutto ciò: cosa tanto più strana,
che del personaggio troviamo memoria in più d* un libro
(libri stampati, dico) di quel tempo. Che il personaggio sia
quel medesimo, l'identità de* fatti non lascia luogo a dubi-
tarne; ma per tutto un grande studio a scansarne il nome,
quasi avesse dovuto bruciar la penna, la mano dello scrittore.
Francesco Rivola, nella vita del cardinal Federigo Borromeo,
dovendo parlar di queir uomo, lo chiama un signore altret-
tanto potente per ricchezze, quanto nobile per nascita, e
fermi lì. Giuseppe Ripamonti, che, nel quinto libro della
quinta decade della sua Stona Faina, ne fa più distesa
menzione, lo nomina uno, costui, colui, quest'uomo, quel
personaggio. «"Riferirò,» dice, nel suo bel latino, da cui
traduciamo come ci riesce, «il caso d'un tale che essendo
246 I PE01IE3SI SPOSI.
de' primi tra i grandi della città, aveva stabilita la sua dimora
in una campagna, situata sul confine; e lì, assicurandosi a
forza di delitti, teneva per niente i giudizi, i giudici, ogni
magistratura, la sovranità: menava una vita affatto indipen-
dente: ricettatore di forusciti. foruscito un tempo anche lui;
poi tornato, come se niente fosse . ...» Da questo scrittore
prenderemo qualche altro passo, che ci venga in taglio per
confermare e per dilucidare il racconto del nostro anonimo;
col quale tiriamo avanti.
Fare ciò ch'era vietato dalle leggi, o impedito da una
forza qualunque; esser arbitro, padrone negli affari altrui,
senz' altro interesse che il gusto di comandare; esser temuto
da tutti, aver la mano da coloro eh' eran soliti averla dagli
altri; tali erano state in ogni tempo le passioni principali di
costui. Fino dall' adolescenza, allo spettacolo e al rumore di
tante prepotenze, di tante gare, alla vista di tanti tiranni,
provava un misto sentimento di sdegno e d' invidia impaziente.
Giovine, e vivendo in città, non tralasciava occasione, anzi
n'andava in cerca, d'aver che dire co' più famosi di quella
professione, d' attraversarli, per provarsi con loro, e farli stare
a dovere, o tirarli a cercare la sua amicizia. Superiore di
ricchezze e di seguito alla più parte, e forse a tutti d" ardire
e di costanza, ne ridusse molti a ritirarsi da ogni rivalità.
molti ne conciò male, molti n' ebbe amici; non già amici del
pari, ma, come soltanto poteva piacere a lui. amici subordi-
nati, che si riconoscessero suoi inferiori, che gli stessero alla
sinistra. Nel fatto però, veniva anche lui a essere il faccen-
diere, lo strumento di tutti coloro: essi non mancavano di
richiedere ne' loro impegni l'opera d'un tanto ausiliario: per
lui. tirarsene indietro sarebbe stato decadere dalla sua ripu-
tazione, mancare al suo assunto. Di maniera che, per conto
suo, e per conto d'altri, tante ne fece che, non bastando né
il nome, né il parentado, né gli amici, né la sua audacia a
sostenerlo contro i bandi pubblici, e contro tante animosità
potenti, dovette dar luogo, e uscir dallo stato. Credo che a
questa circostanza si riferisca un tratto notabile raccontato
dal Ripamonti. «Una volta che costui ebbe a sgomberare il
paese, la segretezza che usò, il rispetto, la timidezza, furon
tali: attraversò la città a cavallo, con un seguito di cani, a
suon di tromba; e passando davanti al palazzo di corte,
lasciò alla guardia un' imbasciata d" impertinenze per il gover-
natore.
Nell'assenza, non ruppe le pratiche, né tralasciò le cor-
rispondenze con que' suoi tali amici, i quali rimasero uniti
con lui, per tradurre letteralmente dal Ripamonti, «in lega
occulta di consigli atroci, e di cose funeste.» Pare anzi che
allora contraesse con più alte persone, certe nuove terribili
CAPITOLO XIX. 247
pratiche, delle quali lo storico summentovato parla con una
brevità misteriosa. «Anche alcuni principi esteri,» dice, «si
valsero più volte dell' opera sua, per qualche importante omi-
cidio, e spesso gli ebbero a mandar da lontano rinforzi di
gente che servisse sotto i suoi ordini. »
Finalmente (non si sa dopo quanto tempo) o fosse levato
il bando, per qualche potente intercessione, o l'audacia di
quell'uomo gli tenesse luogo d'immunità, si risolvette di tor-
nare a casa, e vi tornò difatti ; non però in Milano, ma in un
castello confinante col territorio bergamasco, che allora era.
come ognun sa, stato veneto. «Quella casa,» cito ancora il
Ripamonti, «era come un'officina di mandati sanguinosi:
servitori, la cui testa era messa a taglia, e che avevan per
mestiere di troncar teste: né cuoco, né sguattero dispensati
dall'omicidio: le mani de' ragazzi insanguinate.» Oltre questa
bella famiglia domestica, n' aveva, come afferma lo stesso sto-
rico, un' altra di soggetti simili, dispersi e posti come a quar-
tiere in vari luoghi de' due stati sul lembo de' quali viveva, e
pronti sempre a' suoi ordini.
Tutti i tiranni, per un bel tratto di paese all'intorno, ave-
van dovuto, chi in un'occasione e chi in un'altra, scegliere
tra P amicizia e P inimicizia di quel tiranno straordinario.
Ma ai primi che avevano voluto provar di resistergli, la gli
era andata così male, che nessuno si sentiva più di mettersi
a quella prova. E neppur col badare a' fatti suoi, con lo
stare a sé, uno non poteva rimanere indipendente da lui.
Capitava un suo messo a intimargli che abbandonasse la tale
impresa, che cessasse di molestare il debitore, o cose simili :
bisognava rispondere sì o no. Quando una parte, con un
omaggio vassallesco, era andata a rimettere in lui un affare
qualunque, l'altra parte si trovava a quella dura scelta, o di
stare alla sua sentenza, o di dichiararsi suo nemico: il che
equivaleva a esser, come si diceva altre volte, tisico in terzo
grado. Molti, avendo il torto, ricorrevano a lui, per aver ra-
gione in effetto; molti anche, avendo ragione, per preoccupare
un così gran patrocinio, e chiuderne l'adito all'avversario:
gli uni e gli altri divenivano più specialmente suoi dipendenti.
Accadde qualche volta che un debole oppresso, vessato da un
prepotente, si rivolse a lui; e lui, prendendo le parti del de-
bole, forzò il prepotente a finirla, a riparare il mal fatto, a
chiedere scusa; o, se stava duro, gli mosse tal guerra, da
costringerlo a sfrattar dai luoghi che aveva tiranneggiati, o
gli fece anche pagare un più pronto e più terribile fio. E in
quei casi, quel nome tanto temuto e abborrito era stato be-
nedetto un momento: perchè, non dirò quella giustizia, ma
quel rimedio, quel compenso qualunque, non si sarebbe potuto,
in que' tempi, aspettarlo da nessun' altra forza né privata, né
248 I PROMESSI SPOSI.
pubblica. Più spesso, anzi per l'ordinario, la sua era stata
ed era ministra di voleri iniqui, di soddisfazioni atroci, di
capricci superbi. Ma gli usi così diversi di quella forza pro-
ducevan sempre l'effetto medesimo, d'imprimere negli animi
una grand' idea di quanto egli potesse volere e eseguire in
onta dell'equità e dell'iniquità, quelle due cose che metton
tanti ostacoli alla volontà degli uomini, e li fanno così spesso
tornare indietro. La fama de' tiranni ordinari rimaneva per
lo più ristretta in quel piccolo tratto di paese dov' erano i
più ricchi e i più forti; ogni distretto aveva i suoi; e si ras-
somigliavan tanto, che non e' era ragione che la gente s' occu-
passe di quelli che non aveva a ridosso. Ma la fama di
questo nostro era già da gran tempo diffusa in ogni parte del
milanese: per tutto, la sua vita era un soggetto di racconti
popolari; e il suo nome significava qualcosa d' irresistibile, di
strano, di favoloso. Il sospetto che per tutto s'aveva de' suoi
collegati e de' suoi sicari , contribuiva anch' esso a tener viva
per tutto la memoria di lui. Non eran più che sospetti:
giacché chi avrebbe confessata apertamente una tale dipen-
denza? ma ogni tiranno poteva essere un suo collegato, ogni
malandrino, uno de' suoi; e l'incertezza stessa rendeva più
vasta l'opinione, e più cupo il terrore della cosa. E ogni
volta che in qualche parte si vedessero comparire figure di
bravi sconosciute e più brutte dell' ordinario , a ogni fatto
enorme di cui non si sapesse alla prima indicare o indovinar
P autore, si proferiva, si mormorava il nome di colui che noi,
grazie a quella benedetta, per non dir altro, circospezione de'
nostri autori, saremo costretti a chiamare Y innominato.
Dal castellacelo di costui al palazzotto di don Rodrigo,
non c'era più di sette miglia: e quest'ultimo, appena divenuto
padrone e tiranno, aveva dovuto vedere che, a così poca di-
stanza da un tal personaggio, non era possibile far quel me-
stiere senza venire alle prese, o andar d' accordo con lui. Gli
8' era perciò offerto e gli era divenuto amico , al modo di
tutti gli altri, s'intende: gli aveva reso più d'un servizio (il
manoscritto non dice di più); e n' aveva riportato ogni volta
promesse di contraccambio e d'aiuto, in qualunque occasione.
Metteva però molta cura a nascondere una tale amicizia, o
almeno a non lasciare scorgere quanto stretta, e di che na-
tura fosse. Don Rodrigo voleva bensì fare il tiranno, ma non
il tiranno salvatico: la professione era per lui un mezzo, non
uno scopo: voleva dimorar liberamente in città, godere i co-
modi, gli spassi, gli onori della vita civile ; e perciò bisognava
che usasse certi riguardi, tenesse di conto parenti, coltivasse
l' amicizia di persone alte, avesse una mano sulle bilance
della giustizia, per farle a un bisogno traboccare dalla sua
parte, o per farle sparire, o per darle anche, in qualche oc-
CAPITOLO XX. 249
casione, sulla testa di qualcheduno che in quel modo si po-
tesse servir più facilmente che con P armi della violenza pri-
vata. Ora, l'intrinsichezza, diciam meglio, una lega con un
uomo di quella sorte, con un aperto nemico della forza
pubblica, non gli avrebbe certamente fatto buon gioco a ciò,
specialmente presso il conte zio. Però quel tanto d' una tale
amicizia che non era possibile di nascondere, poteva passare
per una relazione indispensabile con un uomo la cui inimici-
zia era troppo pericolosa; e così ricevere scusa dalla neces-
sità; giacché chi ha l'assunto di provvedere, e non n'ha la
volontà, o non ne trova il verso, alla lunga acconsente che
altri provveda da sé, fino a un certo segno, a' casi suoi: e se
non acconsente espressamente, chiude un occhio.
Una mattina, don Rodrigo uscì 'a cavallo, in treno da
caccia, con una piccola scorta di bravi a piedi: il Griso alla
staffa, e quattro altri in coda; e s'avviò al castello dell'in-
nominato.
CAPITOLO XX.
Il castello dell'innominato era a cavaliere a una valle an-
gusta e uggiosa, sulla cima d'un poggio che sporge in fuori
da un' aspra giogaia di monti, ed è, non si saprebbe dir bene,
se congiunto ad essa o separatone, da un mucchio di massi
e di dirupi, e da un andirivieni di tane e di precipizi, che si
prolungano anche dalle due parti. Quella che guarda la valle
è la sola praticabile, un pendìo piuttosto erto, ma uguale e
continuato; a prati in alto; nelle falde a campi, sparsi qua
e là di casucce. Il fondo è un letto di ciottoloni, dove
scorre un rigagnolo o torrentaccio, secondo la stagione: allora
serviva di confine ai due stati. I gioghi opposti, che formano,
per dir così, l'altra parete della valle, hanno anch'essi un
po' di falda coltivata; il resto è schegge e macigni, erte ripide,
senza strada e nude, meno qualche cespuglio nei fessi e sui
ciglioni.
Dall'alto del castellacelo, come l'aquila dal suo nido in-
sanguinato, il selvaggio signore dominava all'intorno tutto lo
spazio dove piede d'uomo potesse posarsi, e non vedeva mai
nessuno al di sopra di sé, né più in alto. Dando un' occhiata
in giro, scorreva tutto quel recinto, i pendii, il fondo, le
strade praticate là dentro. Quella che, a gomiti e a giravolte,
saliva al terribile domicilio, si spiegava davanti a chi guar-
dasse di lassù, come un nastro serpeggiante; dalle finestre,
dalle feritoie, poteva il signore contare a suo beli' agio i passi
di chi veniva, e spianargli P arme contro, cento volte. E anche
250 I PROMESSI SPOSI.
d'una grossa compagnia, avrebbe potuto, con quella guarni-
gione di bravi che teneva lassù, stenderne sul sentiero, o
farne ruzzolare al fondo parecchi, prima che uno arrivasse a
toccar la cima. Del resto non che lassù, ma neppure nella
valle, e neppur di passaggio, non ardiva metter piede nessuno
che non fosse ben visto dal padrone del castello. Il birro
poi che vi si fosse lasciato vedere, sarebbe stato trattato come
una spia nemica che venga colta in un accampamento. Si
raccontavano le storie tragiche degli ultimi che avevano vo-
luto tentar l'impresa; ma eran già storie antiche; e nessuno
iler giovani si rammentava d' aver veduto nella valle uno di
quella razza, né vivo, né morto.
Tale è la descrizione che 1' anonimo fa del luogo: del no-
me, nulla; anzi, per non metterci sulla strada di scoprirlo,
non dice niente del viaggio di don Rodrigo, e lo porta ad-
dirittura nel mezzo della valle, appiè del poggio, all'imboc-
catura dell' erto e tortuoso sentiero. Lì e' era una taverna,
che si sarebbe anche potuta chiamare un corpo di guardia.
Sur una vecchia insegna che pendeva sopra 1' uscio , era di-
pinto da tutt' e due le parti un sole raggiante ; ma la voce
pubblica, che talvolta ripete i nomi come le vengono inse-
gnati, talvolta li rifa a modo suo, non chiamava quella taverna
che col nome della Malanotte.
Al rumore d' una cavalcatura che s' avvicinava, comparve
sulla soglia un ragazzaccio armato come un Saracino; e data
un'occhiata, entrò ad informare tre sgherri, che stavan gio-
cando, con certe carte sudice e piegate in forma di tegoli.
Colui che pareva il capo s'alzò, s'affacciò all'uscio, e rico-
nosciuto un amico del suo padrone, lo salutò rispettosamente.
Don Rodrigo, resogli con molto garbo il saluto, domandò se
il signore si trovasse al castello; e rispostogli da quel capo-
ralaccio che credeva di sì, smontò da cavallo, e buttò la bri-
glia al Tiradritto, uno del sho seguito. Si levò lo schioppo,
e lo consegnò al Montanarolo, come per isgravarsi d' un peso
inutile, e salir più lesto; ma, in realtà, perchè sapeva bene,
che su quell' erta non era permesso d' andar con lo schioppo.
Si cavò poi di tasca alcune berlinghe, e le diede al Tanabuso,
dicendogli: voi altri state ad aspettarmi; e intanto starete
un po' allegri con questa brava gente. Cavò finalmente alcuni
scudi d'oro e li mise in mano al caporalaccio; assegnandone
metà a lui, e metà da dividersi tra i suoi uomini. Final-
mente, col Griso, che aveva anche lui posato lo schioppo, co-
minciò a piedi la salita. Intanti i tre bravi sopradetti, e lo
Squinternotto ch'era il quarto (oh! vedete che bei nomi, da
serbarceli con tanta cura) , rimasero coi tre dell' innominato,
e con quel ragazzo allevato alle forche, a giocare, a trincare,
e raccontarsi a vicenda le loro prodezze.
CAPITOLO XX. 251
Un altro bravaccio dell'innominato, che saliva, raggiunse
poco dopo don Rodrigo: lo guardò, lo riconobbe; e s'accom-
pagnò con lui: e gli risparmiò così la noia di dire il suo
nome, e di rendere altro conto di sé a quant' altri avrebbe
incontrati, che non lo conoscessero. Arrivato al castello, e
introdotto (lasciando però il Griso alla porta), fu fatto pas-
sare per un andirivieni di corridoi bui, e per varie sale tap-
pezzate di moschetti, di sciabole e di partigiane, e in ognuna
delle quali c'era di guardia qualche bravo; e, dopo avere
alquanto aspettato, fu ammesso in quella dove si trovava
1' innominato.
Questo gli andò incontro, rendendogli il saluto, e insieme
guardandogli le mani e il viso, come faceva per abitudine, e
ormai quasi involontariamente, a chiunque venisse da lui, per
quanto fosse de' più vecchi e provati amici. Era grande,
bruno, calvo; bianchi i pochi capelli che gli rimanevano; ru-
gosa la faccia: a prima vista, gli si sarebbe dato più de' ses-
santanni che aveva; ma il contegno, le mosse, la durezza
risentita de' lineamenti, il lampeggiar sinistro, ma vivo degli
occhi, indicavano una forza di corpo e d" animo, che sarebbe
stata straordinaria in un giovine.
Don Rodrigo disse che veniva per consiglio e per aiuto:
che, trovandosi in un impegno difficile, dal quale il suo onore
non gli permetteva di ritirarsi, s'era ricordato delle promesse
di quell'uomo che non prometteva mai troppo, né invano; e
si fece ad esporre il suo scellerato imbroglio. L' innominato
che ne sapeva già qualcosa, ma in confuso, stette a sentire
con attenzione, e come curioso di simili storie, e per essere
in questa mischiato un nome a lui noto e odiosissimo, quello
di fra Cristoforo, nemico aperto de' tiranni, e in parole e,
dove poteva, in opere. Don Rodrigo, sapendo con chi par-
lava, si mise poi a esagerare le difficoltà dell'impresa: la di-
stanza del luogo, un monastero, la signora! ... A questo, l'in-
nominato, come se un demonio nascosto nel suo cuore gliel
avesse comandato, interruppe subitamente, dicendo che pren-
deva l' impresa sopra di sé. Prese 1' appunto del nome della
nostra povera Lucia, e licenziò don Rodrigo, dicendo: «tra
poco avrete da me 1' avviso di quel che dovrete fare. »
Se il lettore si ricorda di quello sciagurato Egidio che
abitava accanto al monastero dove la povera Lucia stava ri-
coverata , sappia ora che costui era uno de' più stretti ed in-
timi colleghi di scelleratezze che avesse l'innominato: perciò
questo aveva lasciata correre così prontamente e risolutamente
la sua parola. Ma appena rimase solo, si trovò, non dirò
pentito, ma indispettito d' averla data. Già da qualche tempo
cominciava a provare, se non un rimorso, una cert' uggia
delle sue scelleratezze. Quelle tante eh' erano ammontate, se
252 1 PEOMESSI SPOSI.
non sulla sua coscienza, almeno nella sua memoria, si risve-
gliavano ogni volta che ne commettesse una di nuovo, e si
presentavano nell' animo brutte e troppe ; era come il crescere
e crescere d' un peso già incomodo. Una certa ripugnanza
provata ne' primi delitti, e vinta poi, e scomparsa quasi af-
fatto , tornava ora a farsi sentire. Ma in que' primi tempi
l'immagine d'un avvenire lungo, indeterminato, il sentimento
d' una vitalità vigorosa , riempivano 1' animo d' una fiducia
spensierata; ora all'opposto, i pensieri dell'avvenire eran
quelli che rendevano più noioso il passato. — Invecchiare!
morire! e poi? — E, cosa notabile! l'immagine della morte,
che, in un pericolo vicino, a fronte d'un nemico, soleva rad-
doppiar gli spiriti di quell' uomo , e infondergli un' ira piena
di coraggio, quella stessa immagine, apparendogli nel silenzio
della notte, nella sicurezza del suo castello, gli metteva ad-
dosso una costernazione repentina. Non era la morte minac-
ciata da un avversario mortale anche lui; non si poteva
rispingerla con armi migliori, e con un braccio più pronto;
veniva sola, nasceva di dentro; era forse ancor lontana, ma
faceva un passo ogni momento; e, intanto che la mente com-
batteva dolorosamente per allontanarne il pensiero, quella
s'avvicinava. Ne' primi tempi, gli esempi così frequenti, lo
spettacolo, per dir così, continuo della violenza, della ven-
detta, dell'omicidio, inspirandogli un' emulazione feroce, gli
avevano anche servito come d' una specie d' autorità contro
la coscienza: ora, gli rinasceva ogni tanto nell'animo l'idea
confusa , ma terribile , d' un giudizio individuale , d' una ra-
gione indipendente dall'esempio; ora, l'essere uscito dalla
turba volgare de' malvagi, l'essere innanzi a tutti, gli dava
talvolta il sentimento d' una solitudine tremenda. Quel Dio di
cui aveva sentito parlare, ma che, da gran tempo, non si
curava di negare né di riconoscere, occupato soltanto a vivere
come se non ci fosse, ora, in certi momenti d'abbattimento
senza motivo, di terrore senza pencolo, gli pareva sentirlo
gridar dentro di sé: Io sono però. Nel primo bollor delle
passioni, la legge che aveva, se non altro, sentita annunziare
in nome di Lui, non gli era parsa che odiosa: ora, quando
gli tornava d'improvviso alla mente, la mente, suo malgrado,
la concepiva come una cosa che ha il suo adempimento. M$,
non che aprirsi con nessuno su questa sua nuova inquietudine,
la copriva anzi profondamente e la mascherava con 1' appa-
renze d'una più cupa ferocia; e con questo mezzo, cercava
anche di nasconderla a sé stesso, o di soffogarla. Invidiando
(giacché non poteva annientarli né dimenticarli) que' tempi in
cui era solito commettere l' iniquità senza rimorso, senz' altro
pensiero che della riuscita, faceva ogni sforzo per farli tor-
nare, per ritenere, o per riafferrare quell' antica volontà,
CAPITOLO XX. 253
pronta, superba, imperturbata, per convincer sé stesso eh' era
ancor quello.
Così in quest' occasione, aveva subito impegnata la sua
parola a don Rodrigo, per chiudersi 1' adito a ogni esitazione.
Ma appena partito costui, sentendo scemare quella fermezza
che s' era comandata per promettere, sentendo a poco a poco
venirsi innanzi nella mente pensieri che lo tentavano di man-
care a quella parola, e l'avrebbero condotto a scomparire in
faccia a un amico, a un complice secondario; per troncare a
un tratto quel contrasto penoso, chiamò il Nibbio, uno de' più
destri ed arditi ministri delle sue enormità, e quello di cui
era solito servirsi per la corrispondenza con Egidio. E con
aria risoluta, gli comandò che montasse subito a cavallo , an-
dasse diritto a Monza, informasse Egidio: dell'impegno con-
tratto, e richiedesse il suo aiuto per adempirlo.
Il messo ribaldo tornò più presto che il suo padrone non
se l'aspettasse, con la risposta d'Egidio: che l'impresa era
facile e sicura; gli si mandasse subito una carrozza, con due
o tre bravi ben travisati; e lui prendeva la cura di tutto il
resto, e guiderebbe la cosa. A quest' annunzio, V innominato,
comunque stesse di dentro, diede ordine in fretta al Nibbio
stesso, che disponesse tutto secondo aveva detto Egidio, e an-
dasse con due altri che gli nominò, alla spedizione^
Se per rendere l'orribile servizio che gli era stato chiesto,
Egidio avesse dovuto far conto de' soli suoi mezzi ordinari,
non avrebbe certamente data così subito una promessa così
decisa. Ma, in quell'asilo stesso dove pareva che tutto do-
vesse essere ostacolo, 1' atroce giovine aveva un mezzo noto a
lui solo, e ciò che per gli altri sarebbe stata la maggior diffi-
coltà, era strumento per lui. Noi abbiamo riferito come la
sciagurata signora desse una volta retta alle sue parole; e il
lettore può avere inteso che quella volta non fu 1' ultima, non
fu che un primo passo in una strada d' abbominazione e di
sangue. Quella stessa voce che aveva acquistato forza e, direi
quasi, autorità dal delitto, le impose ora il sagrifizio dell'in-
nocente che aveva in custodia.
La proposta riuscì spaventosa a Gertrude. Perder Lucia
per un caso impreveduto, senza colpa, le sarebbe parsa una
sventura, una punizione amara: e le veniva comandato di pri-
varsene con una scellerata perfidia, di cambiare in un nuovo
rimorso un mezzo d' espiazione. La sventurata tentò tutte le
strade per esimersi dall'orribile comando: tutte, fuorché la
sola eh' era sicura, e che le stava pur sempre aperta davanti.
Il delitto è un padrone rigido e inflessibile, contro cui non
divien forte se non chi se ne ribella interamente. A questo
Gertrude non voleva risolversi; e ubbidì.
Era il giorno stabilito; l'ora convenuta s'avvicinava; Ger-
254 I PROMESSI SPOSI.
trucie ritirata con Lucia nel suo parlatorio privato, le faceva
più carezze dell'ordinario, e Lucia le riceveva e le contrac-
cambiava con tenerezza crescente: come la pecora, tremolando
senza timore sotto la mano del pastore che la palpa e la
strascina mollemente, si volta a leccar quella mano; e non sa
che fuori della stalla, l'aspetta il macellaio, a cui il pastore
1' ha venduta un momento prima.
cHo bisogno d'un gran servizio; e voi sola potete farmelo.
Ho tanta gente a' miei comandi; ma di cui mi fidi nessuno.
Per un affare di grand' importanza, che vi dirò poi, ho bi-
sogno di parlar subito con quel padre guardiano de' cappuc-
cini che v'ha condotto qui da me, la mia povera Lucia; ma
è anche necessario che nessuno sappia che l' ho mandato a
chiamare io. Xon ho che voi per far segretamente quest' im-
basciata. »
Lucia fu atterrita d'una tale richiesta; e con quella sua
suggezione, ma senza nascondere una gran maraviglia, addusse
subito, per disimpegnarsene, le ragioni che la signora doveva
intendere, che avrebbe dovute prevedere; senza la madre,
senza nessuno, per una strada solitaria, in un paese scono-
sciuto .... Ma Gertrude, ammaestrata a una scola infernale,
mostrò tanta maraviglia anche lei, e tanto dispiacere di tro-
vare una tal ritrosìa nella persona di cui credeva poter far
più conto, figurò di trovar così vane quelle scuse! di giorno
chiaro, quattro passi, una strada che Lucia aveva fatta pochi
giorni prima, e che quand'anche non l'avesse mai veduta, a
insegnargliela, non la poteva sbagliare ! . . . . Tanto disse, che
la poverina, commossa e punta a un tempo, si lasciò sfuggir
di bocca: «e bene; cosa devo fare?»
«Andate al convento de' cappuccini:') e le descrisse la
strada di nuovo: «fate chiamare il padre guardiano, ditegli,
da solo a solo, che venga da me subito subito; ma che non
dica a nessuno che son io che lo mando a chiamare.))
Ma cosa dirò alla fattoressa che non m' ha mai vista
uscire, e mi domanderà dove vo?»
«Cercate di passare senz'esser vista: e se non vi riesce,
ditele che andate alla chiesa tale, dove avete promesso di fare
orazione. »
Nuova difficoltà per la povera giovine; dire una bugia;
ma la signora si mostrò di nuovo così afflitta delle ripulse,
le fece parer così brutta cosa 1' anteporre un vano scrupolo
alla riconoscenza, che Lucia, sbalordita più che convinta, e
soprattutto commossa più che mai, rispose: «e bene; anderò.
Dio m'aiuti!» E si mosse.
Quando Gertrude, che dalla grata la seguiva con l'occhio
fisso e torbido, la vide metter piede sulla soglia, come so-
CAPITOLO XX 255
praffatta da un sentimento irresistibile, apri la bocca, e disse
« sentite, Lucia !»
Questa si voltò, e tornò verso la grata. Ma già un altro
pensiero, un pensiero avvezzo a predominare, aveva vinto di
nuovo nella mente sciagurata di Gertrude. Facendo le viste
di non esser contenta dell' istruzioni già date, spiegò di nuovo
a Lucia la strada che doveva tenere, e la licenziò dicendo
«fate ogni cosa come v'ho detto, e tornate presto o Lucia
partì.
Passò inosservata la porta del chiostro, prese la strada,
con gli occhi bassi, rasente al muro- trovò, con 1' indicazioni
avute e con le proprie rimembranze, la porta del borgo,
n'uscì, andò tutta raccolta e un po' tremante, per la strada
maestra, arrivò in pochi momenti a quella che conduceva al
convento; e la riconobbe. Quella strada era, ed è tutt' ora,
affondata, a guisa d' un letto di fiume, tra due alte rive orlate
di macchie, che vi forman sopra una specie di vòlta. Lucia,
entrandovi e vedendola affatto solitaria, sentì crescere la
paura, e allungava il passo: ma poco dopo si rincorò alquanto,
nel vedere una carrozza da viaggio ferma, e accanto a quella,
davanti allo sportello aperto, due viaggiatori, che guardavano
in qua e in là, come incerti della strada. Andando avanti,
sentì uno di que' due, che diceva: «ecco una buona giovine
che c'insegnerà la strada.» Infatti, quando fu arrivata alla
carrozza, quel medesimo, con un fare più gentile che non fosse
l'aspetto, si voltò, e disse: «quella giovine, ci sapreste in-
segnar la strada di Monza?»
«Andando di lì, vanno a rovescio,» rispondeva la poverina:
«Monza è di qua . . . .» e si voltava, per accennar col dito;
quando l'altro compagno (era il Nibbio), afferrandola d'im-
provviso per la vita, 1' alzò da terra. Lucia girò la testa in-
dietro atterrita, e cacciò un urlo; il malandrino la mise per
forza nella carrozza: uno che stava a sedere davanti, la prese
e la cacciò, per quanto lei si divincolasse e stridesse, a se-
dere dirimpetto a sé: un altro, mettendole un fazzoletto alla
bocca, le chiuse il grido in gola. Intanto il Nibbio entrò
presto presto anche lui nella carrozza: lo sportello si chiuse,
e la carrozza partì di carriera. L' altro che le aveva fatta
quella domanda traditora, rimasto nella strada, diede un'oc-
chiata in qua e in là, per veder se fosse accorso qualcheduno
agli urli di Lucia: non c'era nessuno; saltò sur una riva, at-
taccandosi a un albero della macchia; e disparve. Era costui
uno sgherro d' Egidio ; era stato , facendo 1' indiano , sulla
porta del suo padrone, per veder quando Lucia usciva dal
monastero; l'aveva osservata bene, per poterla riconoscere;
ed era corso per una scorciatoia, ad aspettarla al posto con-
venuta.
256 I PROMESSI SPOSI.
Chi potrà ora descrivere il terrore, l'angoscia di costei,
esprimere ciò che passava nel suo animo? Spalancava gli
occhi spaventati, per ansietà di conoscere la sua orribile si-
tuazione, e li richiudeva subito, per il ribrezzo e perii ter-
rore di que'visacci: si storceva, ma era tenuta da tutte le
parti, raccoglieva tutte le sue forze, e dava delle stratte per
buttarsi verso lo sportello; ma due braccia nerborute la tene-
vano come conficcata nel fondo della carrozza; quattro altre
manacce ve 1' appuntellavano. Ogni volta che aprisse la boc-
ca per cacciare un urlo, il fazzoletto veniva a soffogarglielo
in gola. Intanto tre bocche d' inferno, con la voce più umana
che sapessero formare, andavan ripetendo: «zitta, zitta, non
abbiate paura, non vogliamo farvi male.» Dopo qualche mo-
mento d; una lotta così angosciosa, parve che s'acquietasse;
allentò le braccia, lasciò cader la testa all' indietro, alzò a
stento le palpebre, tenendo l'occhio immobile; e quegli orridi
visacci che le stavan davanti le parvero confondersi e ondeg-
giare insieme in un mescuglio mostruoso, le fuggì il colore
dal viso; un sudor freddo glielo coprì; s' abbandonò, e svenne.
«Su, su, coraggio,» diceva il Nibbio. «Coraggio, corag-
gio,» ripetevan gli altri due birboni; ma lo smarrimento
d' ogni senso preservava in quel momento Lucia dal sentire
i conforti di quelle orribili voci.
«Diavolo! par morta,» disse uno di coloro; «se fosse morta
davvero?»
«Oh! morta!» disse l'altro: «è uno di quegli svenimenti
che vengono alle donne. Io so che, quando ho voluto man-
dare all'altro mondo qualcheduno, uomo o donna che fosse,
e' è voluto altro.»
«Via!» disse il Nibbio: «attenti al vostro dovere, e non
andate a cercar altro. Tirate fuori dalla cassetta i tromboni,
e teneteli pronti; che in questo bosco dove s'entra ora, c'è
sempre de' birboni annidati. Non così in mano , diavolo ! ri-
poneteli dietro le spalle, lì stesi: non vedete che costei è un
pulcin bagnato che basisce per nulla? Se vede armi è capace
di morir davvero. E quando sarà rinvenuta, badate bene di
non farle paura; non la toccate se non vi fo segno; a tenerla
basto io. E zitti; lasciate parlare a me.»
Intanto la carrozza , andando sempre di corsa, s' era inol-
trata nel bosco.
Dopo qualche tempo la povera Lucia cominciò a risen-
tirsi come da un sonno profondo e affannoso, e aprì gli occhi.
Penò alquanto a distinguere gli spaventosi oggetti che la cir-
condavano, a raccogliere i suoi pensieri: alfine comprese di
nuovo la sua terribile situazione. Il primo uso che fece delle
poche forze ritornatele, fu di buttarsi ancora verso lo spor-
capitolo xx. 257
tello , per slanciarsi fuori : ma fu ritenuta e non potè che ve-
dere un momento la solitudine selvaggia del luogo per cui
passava. Cacciò di nuovo un urlo: ma il Nibbio alzando la
manaccia col fazzoletto, «via,» le disse, più dolcemente che
potè: «state zitta, che sarà meglio per voi: non vogliamo
farvi male; ma se non istate zitta, vi faremo star noi.»
"Lasciatemi andare! Chi siete voi? Dove mi conducete?
Perchè mi avete presa? Lasciatemi andare, lasciatemi an-
dare!»
«Vi dico che non abbiate paura; non siete una bambina,
e dovete capire che noi non vogliamo farvi male. Non vedete
che avremmo potuto ammazzarvi cento volte se avessimo cat-
tive intenzioni? Dunque state quieta.»
"No, no, lasciatemi andare per la mia strada: io non vi
conosco.»
«Vi conosciamo noi.»
«Oh santissima Vergine! come mi conoscete? Lasciatemi
andare, per carità, chi siete voi? Perchè m'avete presa?»
«Perchè e' è stato comandato.»
«Chi? chi? chi ve lo può aver comandato?»
«Zitta!» disse con un visaccio severo il Nibbio: «a noi
non si fa di codeste domande.»
Lucia tentò un' altra volta di buttarsi d' improvviso allo
sportello; ma vedendo ch'era inutile, ricorse di nuovo alle
preghiere; e con la testa bassa, con le gote irrigate di la-
grime, con la voce interrotta dal pianto, con le mani giunte
dinanzi alle labbra, «ah!» diceva: «per l'amor di Dio, e
della Vergine santissima, lasciatemi andare! Cosa v'ho fatto
di male io? Sono una povera creatura che non v'ha fatto
niente. Quello che m'avete fatto voi ve lo perdono di cuore;
e pregherò Dio per voi. Se avete anche voi una figlia, una
moglie, una madre, pensate quello che patirebbero, se fos-
sero in questo stato. Ricordatevi che dobbiam morir tutti,
e che un giorno desidererete che Dio vi usi misericordia.
Lasciatemi andare, lasciatemi qui : il Signore mi farà trovare
la mia strada.»
(■Non possiamo.»
«Non potete? Oh Signore! perchè non potete? Dove vo-
lete condurmi? Perchè . . . .?»
«Non possiamo: è inutile: non abbiate paura, che non
vogliamo farvi male: state quieta, e nessuno vi toccherà."
Accorata, affannata, atterrita sempre più nel vedere che
le sue parole non facevano nessun colpo, Lucia si rivolse a
Colui che tiene in mano il cuore degli uomini, e può quando
voglia, intenerire i più duri. Si strinse il più che potè, nel
canto della carrozza, mise le braccia in croce sul petto, e
pregò qualche tempo con la mente; poi, tirata fuori la corona,
Manzoni. 17
258 I PROMESSI SPOSI.
cominciò a dire il rosario con più fede e con più affetto che
non avesse ancor fatto in vita sua. ,Ogni tanto sperando
d'aver impetrata la misericordia che implorava, si voltava a
ripregar coloro; ma sempre inutilmente. Poi ricadeva an-
cora senza sentimenti, poi si riaveva di nuovo, per rivivere a
nuove angosce. Ma ormai non ci regge il cuore a descriverle
più a lungo: una pietà troppo dolorosa ci affretta al termine
di quel viaggio, che durò più di quattr'ore; e dopo il quale
avremo altre ore angosciose da passare. Trasportiamoci al
castello dove l'infelice era aspettata.
Era aspettata dall'innominato, con un'inquietudine, con
una sospension d'animo insolita. Cosa strana! quell'uomo,
che aveva disposto a sangue freddo di tante vite, che in tan-
ti suoi fatti non aveva contato per nulla i dolori da lui ca-
gionati, se non qualche volta per assaporare in essi una sel-
vaggia voluttà di vendetta, ora, nel metter le mani addosso
a questa sconosciuta, a questa povera contadina, sentiva come
un ribrezzo, direi quasi un terrore. Da un'alta finestra del
suo castellacelo , guardava da qualche tempo verso uno sboc-
co della valle; ed ecco spuntar la carrozza, e venire innanzi
lentamente; perchè quel primo andar di carriera aveva con-
sumata la foga, e domate le forze de' cavalli. E benché, dal
punto dove stava a guardare, la non paresse che una di
quelle carrozzine che si danno per balocco ai fanciulli, la ri-
conobbe subito, e si sentì il cuore batter più forte.
— Ci sarà? — pensò subito: e continuava tra sé: — che
noia mi dà costei! Liberiamocene. —
E voleva chiamare uno de' suoi sgherri, e spedirlo subito
incontro alla carrozza, a ordinare al Nibbio che voltasse, e
conducesse colei al palazzo di don Rodrigo. Ma un no im-
perioso che risonò nella sua mente, fece svanire quel di-
segno. Tormentato però dal bisogno di dar qualche ordine,
riuscendogli intollerabile lo stare aspettando oziosamente quel-
la carrozza che veniva avanti passo passo, come un tradi-
mento, che so io? come un gastigo, fece chiamare una sua
vecchia donna.
Era costei nata in quello stesso castello, da un antico cu-
stode di esso, e aveva passata lì tutta la sua vita. Ciò che
aveva veduto e sentito fin dalle fasce, le aveva impresso nel-
la mente un concetto magnifico e terribile del potere de' suoi
padroni; e la massima principale che aveva attinta dall' istru-
zioni e dagli esempi, era che bisognava ubbidirli in ogni co-
sa, perchè potevano far del gran male e del gran bene.
L'idea del dovere, deposta come un germe nel cuore di tutti
gli uomini, svolgendosi nel suo, insieme co' sentimenti d'un
rispetto, d'un terrore, d'una cupidigia servile, s'era asso-
ciata e adattata a quelli. Quando l' innominato divenuto pa-
CAPITOLO XX. 259
drone , cominciò a far queir uso spaventevole della sua forza,
costei ne provò da principio un certo ribrezzo insieme, e un
sentimento più profondo di sommissione. Col tempo, s'era
avvezzata a ciò che aveva tutto giorno davanti agli occhi e
negli orecchi: la volontà potente e sfrenata d'un così gran
signore era per lei come una specie di giustizia fatale. Ra-
gazza già fatta, aveva sposato un servitor di casa, il quale,
poco dopo, essendo andato a una spedizione rischiosa, lasciò
V ossa sur una strada, e lei vedova nel castello. La vendet-
ta che il signore ne fece subito, le diede una consolazione
feroce, e le accrebbe l'orgoglio di trovarsi sotto una tal pro-
tezione. !>' allora in poi non mise piede fuor del castello,
che molto di rado, e a poco a poco non le rimase del vivere
umano quasi altre idee salvo quelle che ne riceveva in qut(
luogo. Non era addetta ad alcun servizio particolare, ma, in quella
masnada di sgherri , ora i' uno ora 1' altro , le davan da fare
ogni poco; eh' era il suo rodimento. Ora aveva cenci da rat-
toppare, ora da preparare in fretta da mangiare a chi tor-
nasse da una spedizione, ora feriti da medicare. I comandi
poi di coloro, i rimproveri, i ringraziamenti, eran conditi di
beffe e d'improperi: vecchia, era il suo appellativo usuale;
gli aggiunti, che qualcheduno sempre ci se n'attaccava, va-
riavano secondo le circostanze e 1' umore dell' amico. E co-
lei, disturbata nella pigrizia, e provocata nella stizza, ch'e-
rano due delle sue passioni predominanti, contraccambiava
alle volte que' complimenti con parole, in cui Satana avrebbe
riconosciuto più del suo ingegno, che in quelle de' provocatori.
«Tu vedi laggiù quella carrozza!» le disse il signore.
«La vedo,» rispose la vecchia, cacciando avanti il mento
appuntato, e aguzzando gli occhi infossati come se cercasse
di spingerli su gli orli dell' occhiaie.
«Fa allestir subito una bussola, entraci, è fatti portare
alla Malanotte. Subito subito; che tu ci arrivi prima di quel-
la carrozza: già la viene avanti col passo della morte. In quel-
la carrozza e' è .... ci dev' essere .... una giovine. Se e' è,
dì al Nibbio, in mio nome, che la metta nella bussola, e lui
venga su subito da me. Tu starai quassù, la condurrai nella
tua camera. Se ti domanda dove la meni, di chi è il castello,
guarda di non . . . .»
«Oh!» disse la vecchia.
«Ma,» continuò l'innominato, «falle coraggio.»
«Cosa le devo dire?»
«Cosa le devi dire? Falle coraggio, ti dico. Tu sei venuta
a codesta età, senza sapere come si fa coraggio a una creatura
quando si vuole? Hai tu mai sentito affanno di cuore? Hai
tu mai avuto paura? Xon sai le parole che fanno piacere in
que' momenti? Dille di quelle parole: trovale,, alla malora! Va n
17*
260 I PROMESSI SPOSI.
E partita che fu, si fermò alquanto alla finestra, con gli
occhi fissi a quella carrozza, che già appariva più grande
di molto, poi gli alzò al sole, che in quel momento si na-
scondeva dietro la montagna; poi guardò le nuvole sparse al
di sopra, che di brune si fecero, quasi a un tratto, di
fuoco. _ Si ritirò, chiuse la finestra, e si mise a camminare
innanzi e indietro per la stanza, con un passo di viaggiatore
frettoloso.
CAPITOLO XXI.
La vecchia era corsa a ubbidire e a comandare, con V au-
torità di quel nome che, da chiunque fosse pronunziato in
quel luogo , li faceva spicciar tutti ; perchè a nessuno veniva
in testa che ci fosse uno tanto ardito da servirsene falsa-
mente. Si trovò infatti alla Malanotte un po' prima che la
carrozza ci arrivasse: vistala venire, usci di bussola, fece se-
gno al cocchiere che fermasse, s'avvicinò allo sportello; e
al Nibbio, che mise il capo fuori, riferì sottovoce gli ordini
del padrone.
Lucia, al fermarsi della carrozza, si scosse, e rinvenne da
una specie di letargo. Si sentì da capo rimescolare il san-
gue, spalancò la bocca e gli occhi, e guardò. Il Nibbio s1 era
tirato indietro; e la vecchia, col mento sullo sportello, guar-
dando Lucia, diceva: «venite, la mia giovine; venite, pove-
rina: venite con me, che ho ordine di trattarvi bene e di far-
vi coraggio.»
Al suono d" una voce di donna, la poverina provò un con-
forto, un coraggio momentaneo; ma ricadde subito in uno spa-
vento più cupo. «Chi siete?» disse con voce tremante, fis-
sando lo sguardo attonito in viso alla vecchia.
«Venite, venite, poverina,» andava questa ripetendo. H
Nibbio e gli altri due, argomentando dalle parole e dalla vo-
ce così straordinariamente raddolcita di colei, quali fossero
l'intenzioni del signore, cercavano di persuadere con le buo-
ne 1' oppressa a ubbidire. Ma lei seguitava a guardar fuori ;
e benché il luogo selvaggio e sconosciuto, e la sicurezza
de' suoi guardiani non le lasciassero concepire speranza di
soccorso, apriva non ostante la bocca per gridare; ma veden-
do il Nibbio far gli occhiacci del fazzoletto, ritenne il grido,
tremò, si storse, fu presa e messa nella bussola. Dopo e' en-
trò la vecchia; il Nibbio disse ai due altri manigoldi che an-
dassero dietro, e prese speditamente la salita, per accorrere
ai comandi del padrone.
«Chi siete?» domandava con ansietà Lucia al ceffo sco-
CAPITOLO Sii. 261
nosciuto e deforme: «perchè son con voi? dove sono? dove
mi conducete?»
«Da chi vuol farvi del bene,» rispondeva la vecchia, «da
un gran .... Fortunati quelli a cui vuol far del bene! Buon
per voi, buon per voi. Non abbiate paura, state allegra, che
m'ha comandato di farvi coraggio. Glielo direte, eh? che
v'ho fatto coraggio?»
«Chi è? perchè? che vuol da me? Io non son sua. Dite-
mi dove sono; lasciatemi andare; dite a costoro che mi la-
scino andare, che mi portino in qualche chiesa. Oh! voi che
siete una donna, in nome di Maria Vergine . . . .»
Quel nome santo e soave, già ripetuto con venerazione
nei primi anni, e poi non più invocato per tanto tempo, né
forse sentito proferire, faceva nella mente della sciagurata che
lo sentiva in quel momento, un'impressione confusa, strana,
lenta, come la rimembranza della luce, in un vecchione ac-
cecato da bambino.
Intanto l'innominato, ritto sulla porta del castello, guar-
dava in giù; e vedeva la bussola venir passo passo, come
prima la carrozza, e avanti, a una distanza che cresceva ogni
momento, salir di corsa il Nibbio. Quando questo fu in cima,
il signore gli accennò che lo seguisse; e andò con lui in una
stanza del castello.
«Ebbene?» disse, fermandosi lì.
«Tutto a un puntino,» rispose, inchinandosi, il Nibbio:
«ravviso a tempo, la donna a tempo, nessuno sul luogo, un
urlo solo, nessuno comparso, il cocchiere pronto, i cavalli
bravi, nessun incontro: ma . . . .»
«Ma che?»
«Ma .... dico il vero, che avrei avuto più piacere che
l'ordine fosse stato di darle una schioppettata nella schiena,
senza sentirla parlare, senza vederla iu viso.»
«Che? cosa? che vuoi tu dire?»
«Voglio dire che tutto quel tempo, tutto quel tempo ....
M'ha fatto troppa compassione.»
«Compassione! Che sai tu di compassione? Cos' è la com-
passione?»
«Non l'ho mai capito così bene come questa volta: è una
storia la compassione un poco come la paura: se uno la la-
scia prender possesso, non è più uomo.»
«Sentiamo un poco come ha fatto costei per moverti a
compassione.»
«0 signore illustrissimo! tanto tempo ....! piangere, pre-
gare, e far cert' occhi, e diventar bianca bianca come mor- ■
ta, e poi singhiozzare, e pregar di nuovo, e certe parole >
— Non la voglio in casa costei, — pensava intanto 1* in-
nominato. — Sono stato una bestia a impegnarmi; ma ho
262 I PROMESSI SPOSI.
promesso, ho promesso. Quando sarà lontana .... — E al-
zando la testa, in atto di comando, verso il Nibbio, «ora,-)
gli disse, «metti da parte la compassione: monta a cavallo,
prendi un compagno, due se vuoi; e va di corsa a casa di
quel don Rodrigo che tu sai. Digli che mandi .... ma subi-
to subito, perchè altrimenti . .. .»
Ma un altro no interno più imperioso del primo gli proibì
di finire. «No, a disse con voce risoluta, quasi per esprimere
a sé stesso il comando di quella voce segreta, «no: va a ri-
posarti; e domattina .... farai quello che ti dirò!»
— Un qualche demonio ha costei dalla sua, — pensava
poi, rimasto solo, ritto con le braccia incrociate sul petto, e
con lo sguardo immobile sur una parte del pavimento, dove
il raggio della luna, entrando da una finestra alta alta, dise-
gnava un quadrato di luce pallida, tagliata a scacchi dalle
grosse inferriate, e intagliata più minutamente dai piccoli com-
partimenti delle vetriate. — Un qualche demonio, o .... un
qualche angelo che la protegge .... Compassione al Nibbio ! . . .
Domattina, domattina di buon'ora, fuor di qui costei; al suo
destino, e non se ne parli più, e, — proseguiva tra sé, con
queir animo con cui si comanda a un ragazzo indocile, sapen-
do che non ubbidirà, e non ci si pensi più. Quell'animale
di don Rodrigo non mi venga a romper la testa con ringra-
ziamenti; che.... non voglio più sentir parlar di costei. L'ho
servito perchè .... perchè ho promesso: e ho promesso per-
chè .... è il mio destino. Ma voglio che me lo paghi bene
questo servizio, colui. Vediamo un poco .... —
E voleva almanaccare cosa avrebbe potuto richiedergli di
scabroso, per compenso, e quasi per pena; ma gli si attra-
versaron di nuovo alla mente quelle parole: compassione al
Nibbio! — Come può aver fatto costei? — continuava, stra-
scinato da quei pensiero. — Voglio vederla .... Eh! no ... .
Sì, voglio vederla.
E d'una stanza in un'altra, trovò una scaletta, e su a
tastone, andò alla camera della veccbia, e picchiò all'uscio
con un calcio.
«Chi è?»
«Apri.»
A quella voce, la vecchia fece tre salti; e subito si sentì
scorrere il paletto negli anelli, e 1' uscio si spalancò. L; inno-
minato, dalla soglia, diede un'occhiata in giro; e, al lume
d" una lucerna che ardeva sur un tavolino , vide Lucia ran-
nicchiata in terra, nel cauto più lontano dall'uscio.
«Chi t'ha detto che tu la buttassi là come un sacco di
cenci, sciagurata?» disse alla vecchia, con un cipiglio ira-
condo.
«S'è messa dove le è piaciuto,» rispose umilmente co-
CAPITOLO XXI. 263
lei: (ào ho fatto di tutto per farle coraggio: lo può dire an-
che lei; ma non c'è stato verso.»
«Alzatevi,» disse l'innominato a Lucia, andandole vicino.
Ma Lucia, a cui il picchiare, l'aprire, il comparir di quel-
l'uomo, le sue parole, avevan messo un nuovo spavento nel-
1' animo spaventato, stava più che mai raggomitolata nel can-
tuccio, col" viso nascosto tra le mani, e non movendosi, se non
che tremava tutta.
«Alzatevi, che non voglio farvi del male .... e posso farvi
del bene,» ripetè il signore .... «Alzatevi!» tonò poi quella
voce, sdegnata d' aver due volte comandato invano.
Come rinvigorita dallo spavento , l' infelicissima si rizzò
subito inginocchioni ; e giungendo le mani, come avrebbe fat-
to davanti a un'immagine, alzò gli occhi in viso all'innomi-
nato, e riabbassandoli subito, disse: «son qui: m' am-
mazzi.»
«Y'ho detto che non voglio farvi del male,» rispose, con
voce mitigata, l'innominato, fissando quel viso turbato dal-
l' accoramento e dal terrore.
«Coraggio, coraggio,» diceva la vecchia: «se ve lo dice
lui, che non vuol farvi male .... »
«E perchè,» riprese Lucia con una voce, in cui, col tre-
mito della paura, si sentiva una certa sicurezza dell' indegna-
zione disperata, «perchè mi fa patire le pene dell'inferno?
Cosa le ho fatto io? . . . .»
«V'hanno forse maltrattata? Parlate.»
«Oh maltrattata! M'hanno presa a tradimento, per for-
za! perchè? perchè m'hanno presa? perchè son qui? dove
sono? Sono una povera creatura: cosa le ho fatto? In nome
di Dio . . . .»
«Dio, Dio,» interruppe l'innominato: «sempre Dio colo-
ro che non possono difendersi da sé, che non hanno la forza,
sempre han questo Dio da mettere in campo, come se gli
avessero parlato. Cosa pretendete con codesta vostra parola?
di farmi ... ?» e lasciò la frase a mezzo.
«Oh Signore! pretendere! Cosa posso pretendere io me-
schina, se non che lei mi usi misericordia? Dio perdona tante
cose, per un'opera di misericordia! Mi lasci andare; per ca-
rità mi lasci andare! Non torna conto a uno che un giorno
deve morire di far patir tanto una povera creatura. Oh! lei
che può comandare, dica che mi lascino andare! M'hanno
portata qui per forza. Mi mandi con questa donna a * * *,
dov' è mia madre. Oh Vergine santissima! mia madre! mia
madre, per carità, mia madre ! Forse non è lontana di qui . . .
ho veduto i miei monti! Perchè lei mi fa patire? Mi faccia
condurre in una chiesa. Pregherò per lei tutta la mia vita.
Cosa le costa dire una parola? Oh ecco! vedo che si move a
264 I PEOMESSI SPOSI.
compassione: dica una parola, la dica. Dio perdona tante
cose per un'opera di misericordia!»
— Oh perchè non è figlia d' uno di quei cani che m' han-
no bandito! — pensava l'innominato: — d'uno di quei vili
che mi vorrebbero morto! che ora godrei di questo suo stril-
lare; e in vece .... —
«Xon iscacci una buona ispirazione!» proseguiva fervida-
mente Lucia, rianimata dal vedere una cert' aria d' esitazione
nel viso e nel contegno del suo tiranno. «Se lei non mi fa
questa carità, me la farà il Signore: mi farà morire, e per me
sarà finita; ma lei! ... . Forse un giorno anche lei .... Ma
no^ no; pregherò sempre io il Signore che la preservi da
ogni male. Cosa le costa dire una parola? Se provasse lei
a patir queste pene ....!»
■ Via, fatevi coraggio,» interruppe l'innominato, con una
dolcezza che fece trasecolar la vecchia. «V'ho fatto nessun
male? V'ho minacciata?»
«Oh no! Vedo che lei ha buon cuore, e che sente pietà
di questa povera creatura. Se lei volesse, potrebbe farmi
paura più di tutti gli altri, potrebbe farmi morire; e in vece
mi ha .... un po' allargato il cuore. Dio gliene renderà
merito. Compisca l'opera di misericordia: mi liberi, mi
liberi.»
«Domattina . . . .»
«Oh mi liberi ora, subito . . . .»
«Domattina ci rivedremo, vi dico. Via, intanto fatevi co-
raggio. Riposate. Dovete aver bisogno di mangiare. Ora ve
ne porteranno.»
«Xo, no, io moio se alcuno entra qui: io moio. Mi con-
duca lei in chiesa .... que' passi Dio glielo conterà. »
«Verrà una donna a portarvi da mangiare,» disse l'in-
nominato; e dettolo, rimase stupito anche lui che gli fosse
venuto in mente un tal ripiego, e che gli fosse nato il biso-
gno di cercarne uno, per assicurare una donnicciola.
E tu,.) riprese poi subito, voltandosi alla vecchia, «falle
coraggio che mangi; mettila a dormire in questo letto: e se
ti vuole in compagnia, bene; altrimenti, tu puoi ben dormire
una notte in terra. Falle coraggio, ti dico; tienla allegra.
E che non abbia a lamentarsi di te!»
Così detto, si mosse rapidamente verso l'uscio. Lucia
8' alzò e corse per trattenerlo, e rinnovare la sua preghiera;
ma era sparito.
«Oh povera me! Chiudete, chiudete subito.» E sentito
eh' ebbe accostare i battenti e scorrere il paletto , tornò a
rannicchiarsi nel suo cantuccio. «Oh povera me!» esclamò
di nuovo singhiozzando: chi pregherò ora? Dove sono? Di-
CAPITOLO XXI. 265
temi voi, ditemi per carità, chi è quel signore .... quello che
m'ha parlato?»
«Chi è, eh? chi è? Volete ch'io ve lo dica. Aspetta
ch'io te lo dica. Perchè vi protegge, avete messo su super-
bia; e volete essere soddisfatta voi, e farne andar di mezzo
me. Domandatene a lui. S' io vi contentassi anche in que-
sto, non mi toccherebbe di quelle buone parole che avete sen-
tite voi.» — Io son vecchia, son vecchia, — continuò mor-
morando tra i denti. — Maledette le giovani; che fan belve-
dere a piangere e a ridere, e hanno sempre ragione. — Ma
sentendo Lucia singhiozzare, e tornandole minaccioso alla
mente il comando del padrone, si chinò verso la povera rin-
cantucciata, e, con voce raddolcita, riprese: «via, non v'ho
detto niente di male: state allegra. Non mi domandate di
quelle cose che non vi posso dire: e del resto state di buon
animo. Oh se sapeste quanta gente sarebbe contenta di sen-
tirlo parlare come ha parlato a voi! State allegra, che or
ora verrà da mangiare; e io che capisco .... nella maniera
che v' ha parlato , ci sarà della roba buona. E poi anderete
a letto, e .... mi lascerete un cantuccino anche a me, spero,»
soggiunse, con una voce, suo malgrado, stizzosa.
«Xon voglio mangiare, non voglio dormire. Lasciatemi
stare, non v'accostate; non partite di qui!»
«No, no, via,» disse la vecchia, ritirandosi e mettendosi
a sedere sur una seggiolaccia, donde dava alla poverina certe
occhiate di terrore e d'astio insieme; e poi guardava il suo
covo, rodendosi d'esserne forse esclusa per tutta la notte, e
brontolando contro il freddo. Ma si rallegrava col pensiero
della cena, e con la speranza che ce ne sarebbe anche per
lei. Lucia non s'avvedeva del freddo, non sentiva la fame,
e come sbalordita, non aveva de' suoi dolori, de' suoi terrori
stessi, che un sentimento confuso, simile all' immagini sognate
da un febbricitante.
Si riscosse quando sentì picchiare; e, alzando la faccia
atterrita, gridò: «chi è? chi è? Xon venga nessuno!»
«Nulla, nulla; buone nuove,» disse la vecchia: «è Marta
che porta da mangiare.»
«Chiudete, chiudete,» gridava Lucia.
«Ih! subito, subito,» rispondeva la vecchia; e presa una
paniera dalle mani di quella Marta, la mandò via, richiuse, e
venne a posar la paniera sur una tavola nel mezzo della ca-
mera. Invitò poi più volte Lucia che venisse a goder di quel-
la buona roba. Adoprava le parole più efficaci, secondo lei,
a mettere appetito alla poverina, prorompeva in esclamazioni
sulla squisitezza de' cibi: «di que' bocconi che, quando le
persone come noi possono arrivare a assaggiarne, se ne ricor-
dan per un pezzo! Del vino che beve il padrone co' suoi
266 I PEOMESSI SPOSI.
amici .... quando capita qualcheduno di quelli .... ! e vo-
gliono stare allegri! Ehm!» Ma vedendo che tutti gl'in-
canti riuscivano inutili, «siete voi che non volete,» disse.
«Non istate poi a dirgli domani ch'io non v'ho fatto corag-
gio. Mangerò io; e ne resterà più che abbastanza per voi,
per quando metterete giudizio, e vorrete ubbidire.» Così
detto, si mise a mangiare avidamente. Saziata che fu, s' alzò,
andò verso il cantuccio, e, chinandosi sopra Lucia, l'invitò
di nuovo a mangiare, per andar poi a ietto.
«No, no, non voglio nulla,» rispose questa, con voce fiac-
ca e come sonnolenta. Poi, con più risolutezza, riprese: «è
serrato l'uscio? è serrato bene?» E dopo aver guardato in
giro per la camera, s'alzò, e con le mani avanti, con passo
sospettoso, andava verso quella parte.
La vecchia ci corse prima di lei, stese la mano al paletto,
lo scosse, e disse: «sentite? vedete? è serrato bene? siete
contenta ora?»
«Oh contenta! contenta io qui?» disse Lucia, rimetten-
dosi di nuovo nel suo cantuccio. «Ma il Signore lo sa che
ci sono!»
«Venite a letto: cosa volete far lì, accucciata come un
cane? S'è mai visto rifiutare i comodi, quando si possono
avere?»
«No, no; lasciatemi stare.»
«Siete voi che lo volete. Ecco, io vi lascio il posto buo-
no: mi metto sulla sponda; starò incomoda per voi. Se vo-
lete venire a letto, sapete come avete a fare. Ricordatevi ciie
v'ho pregata più volte.» Così dicendo, si cacciò sotto, ve-
stita; e tutto tacque.
Lucia stava immobile in quel cantuccio, tutta in un gomi-
tolo, con le ginocchia alzate, con le mani appoggiate sulle
ginocchia, e col viso nascosto nelle mani. Non era il suo né
sonno né veglia, ma una rapida successione, una torbida vi-
cenda di pensieri, d'immaginazioni, di spaventi. Ora, più
presente a sé stessa, e rammentandosi più distintamente gli
orrori veduti e sofferti in quella giornata, s'applicava dolo-
rosamente alle circostanze dell' oscura e formidabile realtà in
cui si trovava avviluppata; ora la mente, trasportata in una
regione ancor più oscura, si dibatteva contro i fantasmi nati
dall'incertezza e dal terrore. Stette un pezzo in quest'an-
goscia; alfine, più che mai stanca e abbattuta, stese le mem-
bra intormentite, si sdraiò, o cadde sdraiata, e rimase al-
quanto in uno stato più somigliante a un sonno vero. Ma
tutt' a un tratto si risentì, come a una chiamata interna, e
provò il bisogno di risentirsi interamente, di riaver tutto il
suo pensiero, di conoscere dove fosse, come, perchè. Tese
l'orecchio a un suono: era il russare lento, arrantolato dolla
CAPITOLO XXI. 267
vecchia; spalancò gli occhi, e vide un chiarore fioco apparire
e sparire a vicenda : era il lucignolo della lucerna, che, vicino
a spegnersi, scoccava una luce tremola, e subito la ritirava,
per dir così, indietro, come è il venire e l'andare dell' onda
sulla riva: e quella luce, fuggendo dagli oggetti, prima che
prendessero da essa rilievo e colore distinto, non rappresen-
tava allo sguardo che una successione di guazzabugli. Ma
ben presto le recenti impressioni, ricomparendo nella mente,
1' aiutarono a distinguere ciò che appariva confuso al senso.
L' infelice risvegliata riconobbe la sua prigione : tutte le me-
morie dell' orribil giornata trascorsa, tutti i terrori dell'avve-
nire, l'assalirono in una volta: quella nuova quiete stessa
dopo tante agitazioni, quella specie di riposo, queir abban-
dono in cui era lasciata, le facevano un nuovo spavento; e fu
vinta da un tale affanno, che desiderò di morire. Ma in quel
momento, si rammentò che poteva almen pregare, e insieme
con quel pensiero, le spuntò in cuore come un'improvvisa
speranza. Prese di nuovo la sua corona, e ricominciò a dire
il rosario; e, di mano in mano che la preghiera usciva dal
suo labbro tremante, il cuore sentiva crescere una fiducia in-
determinata. Tutt'a un tratto, le passò per la mente un al-
tro pensiero: che la sua orazione sarebbe stata più accetta e
più certamente esaudita, quando, nella sua desolazione, facesse
anche qualche offerta. Si ricordò di quello che aveva di più
caro, o che di più caro aveva avuto; giacché, in quel momen-
to, 1' animo suo non poteva sentire altra affezione che di spa-
vento, né concepire altro desiderio che della liberazione; se
ne ricordò , e risolvette subito di farne un sacrifizio. S' alzò,
e si mise in ginocchio, e tenendo giunte al petto le mani,
dalle quali pendeva la corona, alzò il viso e le pupille al
cielo, e disse: «o Vergine santissima! Voi, a cui m'i sono
raccomandata tante volte, e che tante volte m'avete conso-
lata ! Voi che avete patito tanti dolori, e siete ora tanto glo-
riosa, e avete fatti tanti miracoli per i poveri tribolati; aiu-
tatemi! fatemi uscire da questo pericolo, fatemi tornar salva
con mia madre, o Madre del Signore; e fo voto a voi di ri-
maner vergine; rinunzio per sempre a quel mio poveretto, pei
non esser mai d'altri che vostra.»
Proferite queste parole, abbassò la testa, e si mise la co-
rona intorno al collo, quasi come un segno di consecrazione,
e una salvaguardia a un tempo, come un' armatura della
nuova milizia a cui s' era ascritta. Rimessasi a sedere in
terra, sentì entrar nell'animo una certa tranquillità, una lar-
ga fiducia. Le venne in mente quei domattina ripetuto dallo
sconosciuto potente, e le parve di sentire in quella parola una
promessa di salvazione. I sensi affaticati da tanta guerra
s' assopirono a poco a poco in quel!' acquietamento di pen-
268
I PROMESSI SPOSI.
sieri; e finalmente, già vicino a giorno, col nome della sua
protettrice tronco tra le labbra, Lucia s'addormentò d'un
sonno perfetto e continuo.
Ma e' era qualchedun altro in quello stesso castello , che
avrebbe voluto fare altrettanto, e non potè mai. Partito, o
quasi scappato da Lucia, dato l'ordine per la cena di lei,
fatta una consueta visita a certi posti del castello, sempre con
queir immagine viva nella mente , e con quelle parole riso-
nanti all' orecchio , il signore s' era andato a cacciare in ca-
mera, s' era chiuso dentro in fretta e in furia, come se avesse
avuto a trincerarsi contro una squadra di nemici; e spoglia-
tosi, pure in furia, era andato a letto. Ma quell'immagine,
più che mai presente, parve che in quel momento gli dicesse:
tu non dormirai. — Che sciocca curiosità da donnicciola, —
pensava, — in' è venuta di vederla? Ha ragione quel be-
stione del Nibbio; uno non è più uomo; è vero, non è più
uomo! .... Io? .... io non son più uomo, io? Cos'è stato?
che diavolo m' è venuto addosso? che c'è di nuovo? Non
lo sapevo io prima d'ora, che le donne strillano? Strillano
anche gli uomini alle volte, quando non si possono rivoltare.
Che diavolo! non ho mai sentito belar donne? —
E qui, senza che s'affaticasse molto a rintracciare nella
memoria, la memoria da sé gli rappresentò più d' un caso in
cui né preghi né lamenti non Y avevano punto smosso dal
compire le sue risoluzioni. Ma la rimembranza di tali im-
prese, non che gli ridonasse la fermezza, che già gli man-
cava, di compir questa; non che spegnesse nell'anima quella
molesta pietà; vi destava in vece una specie di terrore, una
non so qual rabbia di pentimento. Di maniera che gli parve
un sollievo il tornare a quella prima immagine di Lucia, con-
tro la quale aveva cercato di rinfrancare il suo coraggio. —
È viva costei, — pensava, è qui; sono a tempo; le posso
dire: andate, rallegratevi; posso veder quel viso cambiarsi, le
posso anche dire: perdonatemi .... Perdonatemi? io doman-
dar perdono? a una donna? io . . . . ! Ah, eppure! se una
parola, una parola tale mi potesse far bene, levarmi d'ad-
dosso un po' di questa diavoleria, la direi; eh! sento che la
direi. A che cosa son ridotto! Xon son più uomo, non
son più uomo! .... Via! — disse poi, rivoltandosi arrabbia-
tamente nel letto divenuto duro duro, sotto le coperte dive-
nute pesanti pesanti: — via! sono sciocchezze che mi son
passate per la testa altre volte. Passerà anche questa. —
E per farla passare, andò cercando col pensiero qualche
cosa importante, qualcheduna di quelle che solevano occu-
parlo fortemente, onde applicarvelo tutto; ma non ne trovò
nessuna. Tutto gli appariva cambiato: ciò che altre volte sti-
molava più fortemente i suoi desidèri, ora non aveva jiù
CAPITOLO XXI. 269
nulla di desiderabile: la passione, come un cavallo divenuto
tutt' a un tratto restìo per un'ombra, non voleva più andare
avanti. Pensando all'imprese avviate e non finite, in vece
d" animarsi al compimento , in vece d' irritarsi degli ostacoli
(che l'ira in quel momento gli sarebbe parsa soave), sentiva
una tristezza, quasi uno spavento dei passi già fatti. Il tem-
po gli s' allacciò davanti vóto d" ogni intento , d' ogni occu-
pazione, d'ogni volere, pieno soltanto di memorie intollera-
bili; tutte l'ore somiglianti a quella che gli passava così len-
ta, così pesante sul capo. Si schierava nella fantasia tutti i
suoi malandrini, e non trovava da comandare a nessuno di
loro una cosa che gì' importasse: anzi l'idea di rivederli, di
trovarsi tra loro, era un nuovo peso, un'idea di schifo e
d' impiccio. E se volle trovare un' occupazione per l' indo-
mani, un'opera fattibile, dovette pensare che all'indomani
poteva lasciare in libertà quella poverina.
— La libererò, sì: appena spunti il giorno, correrò da
lei, e le dirò: andate, andate. La farò accompagnare ... E
la promessa? e l' impegno? e don Rodrigo? .... Chi è don
Rodrigo? —
A guisa di chi è colto da una interrogazione inaspettata
e imbarazzante d'un superiore, 1* innominato pensò subito a
rispondere a questa che s'era fatta lui stesso, o piuttosto
quel nuovo lui, che cresciuto terribilmente a un tratto, sor-
geva come a giudicare 1' antico. Andava dunque cercando le
ragioni per cui, prima quasi d'esser pregato, s'era potuto
risolvere a prender l' impegno di far tanto patire , senz' odio,
senza timore, un'infelice sconosciuta, per servire colui; ma,
non che riuscisse a trovar ragioni che in quel momento gli
paressero buone a scusare il fatto, non sapeva quasi spiegare
a sé stesso come ci si fosse indotto. Quel volere, piuttosto
che una deliberazione, era stato un movimento istantaneo del-
l'animo ubbidiente a sentimenti antichi, abituali, una con-
seguenza di mille fatti antecedenti ; e il tormentato esaminator
di sé stesso, per rendersi ragione d" un sol fatto, si trovò in-
golfato nell'esame di tutta la sua vita. Indietro, indietro,
d'anno in anno, d'impegno in impegno, di sangue in san-
gue, di scelleratezza in scelleratezza: ognuna ricompariva al-
l'animo consapevole e nuovo, separata da' sentimenti che
V avevan fatta volere e commettere , ricompariva con una mo-
struosità che que' sentimenti non avevano allora lasciato scor-
gere in essa. Eran tutte sue, eran lui: l'orrore di questo
pensiero, rinascente a ognuna di queir immagini, attaccato a
tutte, crebbe fino alla disperazione. S' alzò in furia a sedere,
gettò in furia le mani alla parete accanto al letto , afferrò una
pistola, la staccò, e .... al momento di finire una vita dive-
270 I PROMESSI SPOSI.
nuta insopportabile, il suo pensiero sorpreso da un terrore,
da un'inquietudine, per dir così, superstite, si slanciò nel
tempo che pure continuerebbe a scorrere dopo la sua fi-
ne. S' immaginava con raccapriccio il suo cadavere sfor-
mato, immobile, in balìa del più vile sopravvissuto; la
sorpresa, la confusione nel castello, il giorno dopo : ogni cosa
sottosopra; lui, senza forza, senza voce, buttato chi sa dove.
Immaginava \ discorsi che se ne sarebber fatti lì, d'intorno,
lontano, la gioia de' suoi nemici. Anche le tenebre, anche il
silenzio, gli facevan veder nella morte qualcosa di più tristo,
di spaventevole; gli pareva che non avrebbe esitato, se fosse
stato di giorno , all' aperto , in faccia alla gente : buttarsi in
un fiume e sparire. E assorto in queste contemplazioni tor-
mentose, andava alzando e riabbassando, con una forza con-
vulsiva del pollice, il cane della pistola; quando gli balenò in
mente un altro pensiero. — Se queir altra vita di cui m' han-
no parlato quand'ero ragazzo, di cui parlano sempre, come
se fosse cosa sicura , se quella vita non e' è , se è un' inven-
zione de' preti; che fo io? perchè morire? cos'importa quel-
lo che ho fatto? cos'importa? è una pazzia la mia .... E
se e' è quest' altra vita .... ! —
A un tal dubbio, a un tal rischio, gli venne addosso una
disperazione più nera, più grave, dalla quale non si poteva
fuggire, neppur con la morte. Lasciò cader l'arme, e stava
con le mani ne' capelli, battendo i denti, tremando. Tutt' a
un tratto, gli tornarono in mente parole che aveva sentite e
risentite, poche ore prima: — Dio perdona tante cose, per
un' opera di misericordia ! — e non gli tornavan già con
quell'accento d'umile preghiera, con cui erano state profe-
rite; ma con un suono pieno d'autorità, e che insieme indu-
ceva una lontana speranza. Fu quello un momento di sol-
lievo: levò le mani dalle tempie, e, in un'attitudine più com-
posta, fissò gli occhi della mente in colei da cui aveva sentite
quelle parole: e la vedeva, non come la sua prigioniera, non
come una supplichevole, ma in atto di chi dispensa grazie e
consolazioni. Aspettava ansiosamente il giorno, per correre a
liberarla, a sentire dalla bocca di lei altre parole di refrigerio
e di vita; s'immaginava di condurla lui stesso alla madre. —
E poi? che farò domani, il resto della giornata? che farò do-
man l'altro? che farò dopo doman l'altro? E la notte? la
notte, che tornerà tra dodici ore! 0 la notte! no, no, la not-
te! — E ricaduto nel vóto penoso dell'avvenire, cercava in-
darno un impiego dei tempo, una maniera di passare i gior-
ni, le notti. Ora si proponeva d'abbandonare il castello, e
d' andarsene in paesi lontani, dove nessun lo conoscesse nep-
pur di nome; ma sentiva che lui, lui sarebbe sempre con sé;
ora gli rinasceva una fosca speranza di ripigliar 1' animo an-
CAPITOLO XXI. 271
tico, le antiche voglie; e che quello fosse come un delirio pas-
seggiero; ora temeva il giorno, che doveva farlo vedere a' suoi
così miserabilmente mutato ; ora lo sospirava, come se dovesse
portar la luce anche ne' suoi pensieri. Ed ecco, appunto sul-
l' albeggiare , pochi momenti dopo che Lucia s' era addor-
mentata, ecco che, stando, così immoto a sedere, sentì arri-
varsi all' orecchio come un' onda di suono non bene espres-
so , ma che pure aveva non so che d' allegro. Stette attento,
e riconobbe uno scampanare a festa lontano; e dopo qualche
momento, sentì anche l'eco del monte, che ogni tanto ripe-
teva languidamente il concento, e si confondeva con esso. Di
lì a poco, sente un altro scampanìo più vicino, anche quello
a festa; poi un altro. — Che allegria e' è? — Cos'hanno di
bello tutti costoro? — Saltò fuori da quel covile di pruni; e
vestitosi a mezzo, corse a aprir una finestra; e guardò. Le
montagne eran mezze velate di nebbia; il cielo, piuttosto che
nuvoloso, era tutto una nuvola cenerognola; ma, al chiarore
che pure andava a poco a poco crescendo, si distingueva,
nella strada in fondo alla valle, gente che passava, altra che
usciva dalle case, e s'avviava, tutti dalla stessa parte, verso
lo sbocco, a destra del castello, tutti col vestito delle feste, e
con un' alacrità straordinaria.
— Che diavolo hanno costoro? che c'è d'allegro in que-
sto maledetto paese? dove va tutta quella canaglia? — E data
una voce a un bravo fidato che dormiva in una stanza ac-
canto, gli domandò qual fosse la cagione di quel movimento.
Quello, che ne sapeva quanto lui, rispose che anderebbe su-
bito a informarsene. Il signore rimase appoggiato alla fine-
stra, tutto intento al mobile spettacolo. Erano uomini, donne,
fanciulli, a brigate, a coppie, soli; uno raggiungendo chi gli
era avanti, s'accompagnava con lui; un altro, uscendo di
casa, s'univa col primo che rintoppasse; e andavano insieme,
come amici a un viaggio convenuto. Gli atti indicavano ma-
nifestamente una fretta e una gioia comune: e quel rimbombo
non accordato ma consentaneo delle varie campane, quali più.
quali meno vicine, pareva, per dir così, la voce di que' gesti.
e il supplimento delle parole che non potevano arrivar lassù.
Guardava, guardava; e gli cresceva in cuore una più che cu-
riosità di saper cosa mai potesse comunicare un trasporto
uguale a tanta gente diversa.
274 I PROMESSI SPOSI.
poi disse o balbettò: «non saprei se monsignore illustrissimo
... in questo momento .... si trovi .... sia ... . possa ....
Basta, vado a vedere.» E andò a malincorpo a far P imba-
sciata nella stanza vicina, dove si trovava il cardinale.
A questo punto della nostra storia, noi non possiam far
a meno di non fermarci qualche poco, come il viandante
stracco e tristo da un lungo camminare per un terreno aride
e salvatico, si trattiene e perde un po' di tempo all' ombr
d' un beli' albero, sulF erba, vicino a una fonte d' acqua viva.
Ci siamo abbattuti in un personaggio, il nome e la memoria
dei quale, affacciandosi in qualunque tempo, alla mente, la
ricreano con una placida commozione di riverenza, e con un
senso giocondo di simpatia: ora, quanto più dopo tante im-
magini di dolore, dopo la contemplazione d' una moltiplico
e fastidiosa perversità! Intorno a questo personaggio bisogna
assolutamente che noi spendiamo quattro parole: chi non si
curasse di sentirle, e avesse però voglia d' andare avanti
nella storia, salti addirittura al capitolo seguente.
Federigo Borromeo, nato nel 1564, fu degli uomini rari in
qualunque tempo, che abbiano impiegato un ingegno egregio,
tutti i mezzi d'una grand' opulenza, tutti i vantaggi d'una
condizione privilegiata, un intento continuo, nella ricerca e
neh" esercizio del meglio. La sua vita è come un ruscello
che, scaturito limpido dalla roccia senza ristagnare né intor-
bidarsi mai, in un lungo corso per diversi terreni, va limpido
a gettarsi nel fiume. Tra gli agi e le pompe, baciò fin dalla
puerizia a quelle parole d' annegazione e di umiltà, a quelle
massime intorno alla vanità de' piaceri, all' ingiustizia del-
l' orgoglio, alla vera dignità, e a' veri beni, che, sentite o non
sentite ne' cuori, vengono trasmesse da una generazione al-
l' altra, nel più elementare insegnamento della religione. Ba-
dò, dico, a quelle parole, a quelle massime, le prese sul se-
rio, le gustò, le trovò vere; vide che non potevan dunque
esser vere altre parole e altre massime opposte, che pure si
trasmettono di generazione in generazione, con la stessa si-
curezza, e talora dalle stesse labbra: e propose di prender
per norma dell' azioni e de' pensieri quelle che erano il vero.
Persuaso che la vita non è già destinata ad essere un pese
per molti, e una festa per alcuni, ma per tutti un impiego,
del quale ognuno renderà conto, cominciò da fanciullo a pen-
sare come potesse render la sua utile e santa.
Nel 1580, manifestò la risoluzione di dedicarsi al ministero
ecclesiastico, e ne prese P abito dalle mani di quel suo cugino
Carlo, che una fama, già fin d' allora antica e universale,
predicava santo. Entrò poco dopo nel collegio fondato da
questo in Pavia, e che porta ancora il nome del loro casato;
e li, applicandosi assiduamente alle occupazioni che trovò pre-
CAPITOLO XXII. 275
scritte, due altre ne assunse di sua volontà; e furono d" in-
segnar la dottrina cristiana ai più rozzi e derelitti del popolo,
e di visitare, servire, consolare e soccorrere gl'infermi. Si
valse dell'autorità che tutto gli conciliava in quel luogo, per
attirare i suoi compagni a secondarlo in tali opere; e in ogni
cosa onesta e profittevole esercitò come un primato d' esem-
pio, un primato che le sue doti personali sarebbero forse ba-
state a procacciargli, se fosse anche stato l' infimo per con-
dizione. I vantaggi d' un altro genere, che la sua gli avrebbe
potuto procurare, non solo non li ricercò, ma mise ogni stu-
dio a schivarli. Volle una tavola piuttosto povera che frugale,
usò un vestiario piuttosto povero che semplice; a conformità
di questo, tutto il tenore della vita e il contegno. Né cre-
dette mai di doverlo mutare, per quanto alcuni congiunti gri-
dassero e si lamentassero che avvilisse così la dignità della
casa. Un' altra guerra ebbe a sostenere con gì' istitutori, i
quali, furtivamente e come per sorpresa, cercavano di metter-
gli davanti, addosso, intorno, qualche suppellettile più signo-
rile, qualcosa che lo facesse distinguere dagli altri, e figurare
come il principe del luogo: o credessero di farsi alla lunga
ben volere con ciò; o fossero mossi da quella svisceratezza
servile che s'invanisce e si ricrea dello splendore altrui; o
fossero di quei prudenti che s' adombrano delle virtù come
de' vizi, predicano sempre che la perfezione sta nel mezzo; e
il mezzo lo fissan giusto in quel punto dov' essi sono arrivati,
e ci stanno comodi. Federigo, non che lasciarsi vincere da
que' tentativi, riprese coloro che li facevano ; e ciò tra la pu-
bertà e la giovinezza.
Che, vivente il cardinal Carlo, maggiore di lui di ventisei
anni, davanti a quella presenza grave, solenne, eh' esprimeva
così al vivo la santità, e ne rammentava le opere^ e alla quale,
se ce ne fosse stato bisogno, avrebbe aggiunto autorità ogni
momento l' ossequio manifesto e spontaneo de' circostanti,
quali e quanti si fossero, Federigo fanciullo e giovinetto cer-
casse di conformarsi al contegno e al pensare d' un tal su-
periore, non è certamente da farsene maraviglia; ma è bensì
cosa molto notabile che, dopo la morte di lui, nessuno si sia
potuto accorgere che a Federigo, allor di ventanni, fosse
mancata una guida e un censore. La fama crescente del suo
ingegno, della sua dottrina e della sua pietà, la parentela e
gì3 impegni di più d' un cardinale potente, il credito della
sua famiglia, il nome stesso, a cui Carlo aveva quasi annessa
nelle menti un' idea di santità e di preminenza, tutto ciò che
deve, e tutto ciò che può condurre gli uomini alle dignità ec-
clesiastiche, concorreva a pronosticargliele. Ma egli, persuaso
in cuore di ciò che nessuno il quale professi cristianesimo
può negar con la bocca, non ci esser giusta superiorità
18*
276 I PROMESSI SPOSI.
d' uomo sopra gli uomini, se non in loro servizio , temeva le
dignità, e cercava di scansarle: non certamente perchè sfug-
gisse di servire altrui, che poche vite furono spese in questo
come la sua; ma perchè non si stimava abbastanza degno né
capace di così alto e pericoloso servizio. Perciò, venendogli,
nel 1595, proposto da Clemente YIII 1* arcivescovado di Mi-
lano, apparve fortemente turbato, e ricusò senza esitare. Ce-
dette poi al comando espresso del papa.
Tali dimostrazioni, e chi non lo sa? non sono né diffìcili
né rare; e l'ipocrisia non ha bisogno d' un più grande sforzo
d' ingegno per farle, che la buffoneria per deriderle a buon
conto, in ogni caso. Ma cessan forse per questo d' esser
l'espressione naturale d'un sentimento virtuoso e sapiente?
La vita è il paragone delle parole; e le parole ch'esprimono
quel sentimento, fossero anche passate sulle labbra di tutti
gì' impostori e di tutti i beffardi del mondo, saranno sempre
belle, quando siano precedute e seguite da una vita di disin-
teresse e di sacrifizio.
In Federigo arcivescovo apparve uno studio singolare e
continuo di non prender per se, delle ricchezze, del tempo,
delle cure, di tutto sé stesso in somma, se non quanto fosse
strettamente necessario. Diceva, come tutti dicono, che le
rendite ecclesiastiche sono patrimonio de' poveri: come poi
intendesse una tal massima, si veda da questo. Volle che si
stimasse a quanto poteva ascendere il suo mantenimento e
quello della sua servitù; e dettogli che seicento scudi (scudo
si chiamava allora quella moneta d; oro che, rimanendo sem-
pre dello stesso peso e titolo, fu poi detta zecchino), diede
ordine che tanti se ne contasse ogni anno dalla sua cassa
particolare a quella della mensa; non credendo che a lui
ricchissimo fosse lecito vivere di quel patrimonio. Del suo
poi era così scarso e sottile misuratore a sé stesso, che ba-
dava di non ismettere un vestito, prima che fosse logoro af-
fatto : unendo però, come fu notato da scrittori contemporanei,
al genio della semplicità quello d'una squisita pulizia: due
abitudini notabili infatti, in quell' età sudicia e sfarzosa. Si-
milmente, affinchè nulla si disperdesse degli avanzi della sua
mensa frugale, gli assegnò a un ospizio di poveri: e uno di
questi, per suo ordine, entrava ogni giorno nella sala del
pranzo a raccoglier ciò che fosse rimasto. Cure, che potreb-
bero forse indur concetto d' una virtù gretta, misera, angu-
stiosa, d'una mente impaniata nelle minuzie, e incapace di
disegni elevati: se non fosse in piedi questa biblioteca ambro-
siana, che Federigo ideò con si animosa lautezza, ed eresse,
con tanto dispendio, da' fondamenti; per fornir la quale di
libri e di manoscritti, oltre il dono de' già raccolti con grande
studio e spesa da lui, spedì otto uomini, de' più colti ed
CAPITOLO XXII. 277
esperti che potè avere, a farne incetta per V Italia, per la
Francia, per la Spagna, per la Germania, per le Fiandre,
nella Grecia, al Libano, a Gerusalemme. Così riuscì a radu-
narvi circa trentamila volumi stampati, e quattordicimila ma-
noscritti. Alla biblioteca unì un collegio di dottori (furon
nove, e pensionati da lui fin che visse, dopo, non bastando a
quella spesa l'entrate ordinarie, furon ristretti a due); e il
loro ufìzio era di coltivare vari studi, teologia, storia, lettere,
antichità ecclesiastiche, lingue orientali, con l'obbligo ad
ognuno di pubblicar qualche lavoro sulla materia assegnatagli;
v" unì un collegio da lui detto trilingue, per lo studio delle
lingue greca, latina ed italiana; un collegio d'alunni, che ve-
nissero istruiti in quelle facoltà e lingue, per insegnarle un
giorno; v'unì una stamperia di lingue orientali, dell'ebraica,
cioè, della caldea, dell'arabica, della persiana, dell'armena;
una galleria di quadri, una di statue, e una scuola delle tre
principali arti del disegno. Per queste, potè trovar professori
già formati; per il rimanente, abbiam visto che da fare gli
avesse dato la raccolta de' libri e de' manoscritti ; certo più
difficili a trovarsi dovevano essere i tipi di quelle lingue, al-
lora molto men coltivate in Europa che al presente; più an-
cora de' tipi, gli uomini. Basterà il dire che, di nove dot-
tori, otto ne prese tra i giovani alunni del seminario ; e da
questo si può argomentare che giudizio facesse degli studi
consumati e delle riputazioni fatte di quel tempo: giudizio
conforme a quello che par che n' abbia portato la posterità,
col mettere gli uni e le altre in dimenticanza. Xelle regole
che stabilì per 1' uso e per il governo della biblioteca, si vede
un intento d'utilità perpetua, non solamente bello in sé, ma
in molte parti sapiente e gentile molto al di là dell' idee e
dell'attitudini comuni di quel tempo. Prescrisse al biblio-
tecario che mantenesse commercio con gli uomini più dotti
d' Europa, per aver da loro notizie dello stato delle scienze,
e avviso de' libri migliori che venissero fuori in ogni genere,
e farne acquisto ; gli prescrisse d' indicare agli studiosi i libri
che non conoscessero, e potesser loro esser utili; ordinò che
a tutti, fossero cittadini o forestieri, si desse comodità e tempo
di servirsene, secondo il bisogno. Una tale intenzione deve
ora parere ad ognuno troppo naturale, e immedesimata con
la fondazione d'una biblioteca: allora non era così. E in
una storia dell' ambrosiana, scritta (col costrutto e con 1' ele-
ganze comuni del secolo) da un Pierpaolo Bosca, che vi fu
bibliotecario dopo la morte di Federigo, vien notato espressa-
mente, come cosa singolare, che in questa libreria, eretta da
un privato quasi tutta a sue spese, i libri fossero esposti alla
vista del pubblico, dati a chiunque li chiedesse, e datogli an-
che da sedere, e carta, penne e calamaio, per prender gli ap-
278 I PROMESSI SPOSI.
punti che gli potessero bisognare: mentre in qualche insigne
biblioteca pubblica (T Italia, i libri non erano nemmen visi-
bili, ma chiusi in armadi, donde non si levavano se non per
gentilezza de' bibliotecari, quando si sentivano di farli vedere
un momento; di dare ai concorrenti il comodo di studiare,
non se n' aveva neppur V idea. Dimodoché arricchir tali bi-
blioteche era un sottrar libri all'uso comune; una di quelle
coltivazioni, come ce n' era e ce n' è tuttavia molte, che iste-
riliscono il campo.
Non domandate quali siano stati gli effetti di questa fon-
dazione del Borromeo sulla coltura pubblica; sarebbe facile
dimostrare in due frasi, al modo che si dimostra, che furon
miracolosi, o che non furon niente; cercare a spiegare, fino a
un certo segno, quali siano stati veramente, sarebbe cosa di
molta fatica, di poco costrutto, e fuor di tempo. Ma pensate
che generoso, che giudizioso, che benevolo, che perseverante
amatore del miglioramento umano, dovess' essere colui che
volle una tal cosa, la volle in quella maniera, e l'eseguì, in
mezzo a quell'ignorantaggine, a quell'inerzia, a quell'anti-
patia generale per ogni applicazione studiosa, e per conse-
guenza in mezzo ai cos'importa? e e3 era altro da pensare?
e che beli' invenzione? e mancava anche Questa, e simili; che
saranno certissimamente stati più che gli scudi spesi da lui
in queir impresa ; i quali furon centocinquemila, la più parte
de' suoi.
Per chiamare un tal uomo sommamente benefico e libe-
rale, può parer che non ci sia bisogno di sapere se n' abbia
spesi molt' altri in soccorso immediato de' bisognosi; e ci son for-
se ancora di quelli che pensano che le spese di quel genere, e sto
per dire tutte le spese, siano la migliore e la più utile elemosina.
Ma Federigo teneva V elemosina propriamente detta per un
dovere principalissimo; e qui, come nel resto, i suoi fatti fu-
ron consentanei all' opinione. La sua vita fu un continuo
profondere ai poveri; e a proposito di questa stessa carestia
di cui ha già parlato la nostra storia, avremo tra poco occa-
sione di riferire alcuni tratti, dai quali si vedrà che sapienza
e che gentilezza abbia saputo mettere anche in questa libera-
lità. De' molti esempi singolari che d' una tale sua virtù
hanno notati i suoi biografi, ne citeremo qui un solo. Avendo
risaputo cne un nobile usava artifizi e angherie per far mo-
naca una sua figlia, la quale desiderava piuttosto di maritarsi,
fece venire il padre ; e cavatogli di bocca che il vero motivo
di quella vessazione era il non avere quattromila scudi che,
secondo lui, sarebbero stati necessari a maritar la figlia con-
venevolmente, Federigo la dotò di quattromila scudi. Forse
a taluno parrà questa una larghezza eccessiva, non ben pon-
CAPITOLO XXII. 279
derata, troppo condiscendente agli stolti capricci d' un super-
bo; e che quattromila scudi potevano esser meglio impiegati
in cent' altre maniere. A questo non abbiam nulla da ri-
spondere, se non che sarebbe da desiderarsi che si vedessero
spesso eccessi d' una virtù così libera dall' opinioni domi-
nanti (ogni tempo ha le sue), così indipendente dalla ten-
denza generale, come, in questo caso, fu quella che mosse un
uomo a dar quattromila scudi, perchè una giovine non fosse
fatta monaca.
La carità inesausta di quest' uomo, non meno che nel da-
re, spiccava in tutto il suo contegno. Di facile abbordo con
tutti, credeva di dovere specialmente a quelli che si chiamano
di bassa condizione, un viso gioviale, una cortesia affettuosa;
tanto più, quanto ne trovan meno nel mondo. E qui pure
ebbe a combattere co' galantuomini del ne quid nimis, i
quali in ogni cosa, avrebbero voluto farlo star ne' limiti, cioè
ne' loro limiti. Uno di costoro, una volta che, nella visita
d'un paese alpestre e salvatico, Federigo istruiva certi po-
veri fanciulli, e tra l'interrogare e l'insegnare, gli andava
amorevolmente accarezzando, 1' avvertì che usasse più riguardo
nel far tante carezze a que' ragazzi, perchè eran troppo su-
dici e stomacosi: come se supponesse il buon uomo, che Fe-
derigo non avesse senso abbastanza per fare una tale scoper-
ta, o non abbastanza perspicacia, per trovar da sé quel ri-
piego così fino. Tale è, in certe condizioni di tempi e di
cose, la sventura degli uomini costituiti in certe dignità: che
mentre così di rado si trova chi gli avvisi de' loro manca-
menti, non manca poi gente coraggiosa a riprenderli del loro
far bene. Ma il buon vescovo, non senza un certo risenti-
mento, rispose: «sono mie anime e forse non vedranno mai
più la mia faccia; e non volete che gli abbracci?»
Ben raro era però il risentimento in lui, ammirato per la
soavità de' suoi modi, per una pacatezza imperturbabile, che
si sarebbe attribuita a una felicità straordinaria di tempera-
mento; ed era l'effetto d'una disciplina costante sopra un'
indole viva e risentita. Se qualche volta si mostrò severo,
anzi brusco, fu co' pastori suoi subordinati che scoprisse rei
d' avarizia o di negligenza o d' altre tacce specialmente op-
poste allo spirito del loro nobile ministero. Per tutto ciò che
potesse toccare o il suo interesse, o la sua gloria temporale,
non dava mai segno di gioia, né di rammarico, né d' ardore.
né d' agitazione : mirabile se questi moti non si destavano
neh" animo suo, più mirabile se vi si destavano. Non solo
da' molti conclavi ai quali assistette, riportò il concetto di
non aver mai aspirato a quel posto così desiderabile all' am-
bizione, e così terribile alla pietà; ma una volta che un col-
lega, il quale contava molto, venne a offrirgli il suo voto e
280 1 promessi SPOSI.
quelli della sua fazione (brutta parola, ma era quella che usa-
vano), Federigo rifiutò una tal proposta in modo, che quello
depose il pensiero, e si rivolse altrove. Questa stessa mode-
stia, quest' avversione al predominare apparivano ugualmente
nelP occasioni più comuni della vita. Attento e infaticabile
a disporre e a governare, dove riteneva che fosse suo dovere
il farlo, sfuggì sempre d' impicciarsi negli affari altrui; anzi
si scusava a tutto potere dall' ingerirvisi ricercato : discrezione
e ritegno non comune, come ognuno sa, negli uomini zelatori
del bene, qual era Federigo.
Se volessimo lasciarci andare al piacere di raccogliere i
tratti notabili del suo carattere, ne risulterebbe certamente un
complesso singolare di meriti in apparenza opposti, e certo
difficili a trovarsi insieme. Però non ometteremo di notare
un' altra singolarità di quella bella vita: che piena come fu
d' attività, di governo, di funzioni, d' insegnamento, d' udienze,
di visite diocesane, di viaggi, di contrasti, non solo lo studio
c'ebbe una parte, ma ce n'ebbe tanta, che per un letterato
di professione sarebbe bastato. E infatti, con tant' altri e
diversi titoli di lode, Federigo ebbe anche, presso i suoi
contemporanei, quello d'uom dotto.
Non dobbiamo però dissimulare che tenne con ferma per-
suasione, e sostenne in pratica, con lunga costanza, opinioni,
che al giorno d' oggi parrebbero a ognuno piuttosto strane
che mal fondate; dico anche a coloro che avrebbero una gran
voglia di trovarle giuste. Chi lo volesse difendere in questo,
ci sarebbe quella scusa così corrente e ricevuta, eh' erano
errori del suo tempo, piuttosto che suoi : scusa che, per certe
cose, e quando risulti dall'esame particolare de' fatti, può
aver qualche valore, o anche molto; ma che applicata così
nuda e alla cieca, come si fa d'ordinario, non significa pro-
prio nulla. E perciò, non volendo risolvere con foratole sem-
plici questioni complicate, né allungar troppo un episodio,
tralasceremo anche d'esporle; bastandoci d'avere accennato
così alla sfuggita che, d'un uomo così ammirabile in com-
plesso, noi non pretendiamo che ogni cosa lo fosse ugual-
mente; perchè non paia che abbiam voluto scrivere un' ora-
zion funebre.
Xon è certamente fare un' ingiuria ai nostri lettori il sup-
porre che qualcheduno di loro domandi se di tanto ingegno e
di tanto studio quest' uomo abbia lasciato qualche monumento.
Se n'ha lasciati! Circa cento son l'opere che rimangon di
lui, tra grandi e piccole, tra latine e italiane, tra stampate e
manoscritte, che si serbano nella biblioteca da lui fondata;
trattati di morale, orazioni, dissertazioni di storia, d' antichità
sacra e profana, di letteratura, d' arti e d' altro.
CAPITOLO XXIII. 281
— E come mai. dirà codesto lettore, tante opere sono di-
menticate, o almeno così poco conosciute, così poco ricercate?
Come mai, con tanto ingegno, con tanto studio, con tanta pra-
tica degli uomini e delle cose, con tanto meditare, con
tanta passione per il buono e per il bello, con tanto can-
dor d'animo, come tant' altre di quelle qualità che fanno
il grande scrittore, questo, in cento opere, non ne ha lasciata
neppur una di quelle che son riputate insigni anche da chi
non le approva in tutto, e conosciute di titolo anche da chi
non le legge? Come mai, tutte insieme, non sono bastate a
procurare, almeno col numero, al suo nome una fama lettera-
ria presso noi posteri? —
La domanda è ragionevole senza dubbio, e la questione
molto interessante; perchè le ragioni di questo fenomeno si
troverebbero con l'osservar molti fatti generali: e trovate,
condurrebbero alla spiegazione di più altri fenomeni simili.
Ma sarebbero molte e prolisse: e poi se non v'andassero a
genio? se vi facessero arricciare il naso? Sicché sarà meglio
che riprendiamo il filo della storia, e che, in vece di cicalar
più a lungo intorno a quest' uomo, andiamo a vederlo in
azione, con la guida del nostro autore.
CAPITOLO XXIII.
Il cardinal Federigo, intanto che aspettava 1' ora d' andar
in chiesa a celebrar gli uffizi divini, stava studiando, com'era
solito di fare in tutti i ritagli di tempo: quando entrò il cap-
pellano crocifero, con un viso alterato.
«Una strana visita, strana davvero, monsignore illustris-
simo ! »
«Chi è?» domandò il cardinale.
«Niente meno che il signor....» riprese il cappellano; e
spiccando le sillabe con una gran significazione, proferì quel
nome che noi non possiamo scrivere ai nostri lettori. Poi
soggiunse: «è qui fuori in persona; e chiede nient' altro che
d' esser introdotto da vossignoria illustrissima.»
«Lui!» disse il cardinale, con un viso animato, chiu-
dendo il libro, e alzandosi da sedere: «venga! venga su-
bito!»
«Ma....» replicò il cappellano, senza moversi: «vossi-
gnoria illustrissima deve sapere chi è costui: quel bandito,
quel famoso »
«E non è una fortuna per un vescovo, che a un tal uomo
sia nata la volontà di venirlo a trovare?»
232 I PE0ME3SI SPOSI.
«Ma....» insistette il cappellano: «noi non possiamo mai
parlare di certe cose, perchè monsignore dice che le son
ciance: però quando viene il caso, mi pare che sia un dovere
Lo zelo fa de' nemici, monsignore; e noi sappiamo po-
sitivamente che più d' un ribaldo ha osato vantarsi che, un
giorno o 1' altro .... «
«E che hanno fatto?» interruppe il cardinale.
«Dico che costui è un appaltatore di delitti, un disperato,
che tiene corrispondenza co' disperati più furiosi, e che può
esser mandato . . , . »
«Oh, che disciplina è codesta,» interruppe ancora sorri-
dendo Federigo, «che i soldati esortino il generale ad aver
paura?» Poi, divenuto serio e pensieroso, riprese: «san Carlo
non si sarebbe trovato nel caso di dibattere se dovesse rice-
vere un tal uomo: sarebbe andato a cercarlo. Fatelo entrar
subito: ha già aspettato troppo.»
Il cappellano si mosse dicendo tra sé: — non e' è rime-
dio: tutti questi santi sono ostinati. —
Aperto V uscio e affacciatosi alla stanza dov' era il signore
e la brigata, vide questa ristretta in una parte, a bisbigliare
e a guardar di sott' occhio quello lasciato solo in un canto.
S'avviò verso di lui; e intanto squadrandolo, come poteva,
con la coda dell' occhio, andava pensando che diavolo d' ar-
meria poteva esser nascosta sotto quella casacca; e che vera-
mente, prima d' introdurlo, avrebbe dovuto proporgli almeno
.... ma non si seppe risolvere. Gli s'accostò, e disse:
«monsignore aspetta vossignoria. Si contenti di venir con
me.» E precedendolo in quella piccola folla, che subito fece
ala, dava a destra ed a sinistra occhiate, le quali significa-
vano: cosa volete? non lo sapete anche voi altri, che fa sempre
a modo suo?
Appena introdotto l'innominato, Federigo gli andò incon-
tro, con un volto premuroso e sereno, e con le braccia aperte,
come a una persona desiderata, e fece subito cenno al cap-
pellano che uscisse: il quale ubbidì.
I due rimasti stettero alquanto senza parlare, e diversa-
mente sospesi. L'innominato, che era stato come portato lì
per forza da una smania inesplicabile, piuttosto che condotto
da un determinato disegno, ci stava anche come per forza,
straziato da due passioni opposte, quel desiderio e quella
speranza confusa di trovare un refrigerio al tormento interno,
e dall'altra parte una stizza, una vergogna di venir lì come
un pentito, come un sottomesso, come un miserabile, a con-
fessarsi in colpa, a implorare un uomo: e non trovava parole,
né quasi ne cercava. Però alzando gli occhi in viso a quel-
P uomo, si sentiva sempre più penetrare da un sentimento di
venerazione imperioso insieme e soave, che, aumentando Za
CArnoLO xxin. 283
fiducia, mitigava il dispetto , e senza prender V orgoglio di
fronte, 1' abbatteva e dirò così gì' imponeva silenzio.
La presenza di Federigo era infatti di quelle che annun-
ziano una superiorità, e la fanno amare. Il portamento era
naturalmente composto, e quasi involontariamente maestoso,
non incurvato né impigrito punto dagli anni; 1' occhio grave
e vivace, la fronte serena e pensierosa; con la canizie, nel
pallore, tra i segni dell'astinenza, della meditazione, della
fatica, una specie di floridezza verginale: tutte le forme del
volto indicavano che, in altre età, e' era stata quella che più
propriamente si chiama bellezza; l'abitudine de' pensieri
solenni e benevoli, la pace interna d' una lunga vita, 1' amore
degli uomini, la gioia continua d'una speranza ineffabile, vi
avevano sostituita una, direi quasi, bellezza senile, che spic-
cava ancor più in quella magnifica semplicità della porpora.
Tenne anche lui, qualche momento, fisso nell' aspetto del-
l' innominato il suo sguardo penetrante, ed esercitato da lun-
go tempo a ritrarre dai sembianti i pensieri; e, sotto a quel
fosco e a quel turbato, parendogli di scoprire sempre più
qualcosa di conforme alla speranza da lui concepita al primo
annunzio d'una tal visita, tutt' animato, «oh!» disse: «che
preziosa visita è questa! e quanto vi devo esser grato d' una
sì buona risoluzione: quantunque per me abbia un po' del
rimprovero!»
«Rimprovero!» esclamò il signore maravigliato, ma rad-
dolcito da quelle parole e da quel fare, e contento che il car-
dinale avesse rotto il ghiaccio, e avviato un discorso qua-
lunque.
«Certo m' è un rimprovero,» riprese questo, «ch'io mi
sia lasciato prevenir da voi; quando da tanto tempo, tante
volte, avrei dovuto venir da voi io.»
«Da me, voi! Sapete chi sono? V hanno detto bene il
mio nome?»
«E questa consolazione ch'io sento, e che, certo, vi si
manifesta nel mio aspetto, vi par egli ch'io dovessi _ provarla
all'annunzio, alla vista d'uno sconosciuto? Siete voi che me
la fate provare; voi, dico, che avrei dovuto cercare; voi che
almeno ho tanto amato e pianto, per cui ho tanto pregato;
voi de' miei figli, che pure amo tutti e di cuore, quello che
avrei più desiderato d' accogliere e d' abbracciare, se avessi
creduto di poterlo sperare. Ma Dio sa fare Egli solo le ma-
raviglie, e supplisce alla debolezza, alla lentezza de' suoi po-
veri servi.»
L' innominato stava attonito a quel dire così infiammato.
a quelle parole che rispondevano tanto risolutamente a ciò
che non aveva ancor detto, né era ben determinato di dire;
e commosso ma sbalordito, stava in silenzio. «E che?» ri-
284 I PROMESSI SPOSI.
prese, ancor più affettuosamente Federigo: «voi avete una
buona nuova da darmi, e me la fate tanto sospirare?;)
cUna buona nuova, io ? Ho V inferno nel cuore ; e vi
darò una buona nuova? Ditemi voi, se lo sapete, qual è que-
sta buona nuova che aspettate da un par mio.»
-CLe Dio v' ha toccato il cuore, e vuol farvi suo,» ri-
spose pacatamente il cardinale.
«Dio! Dio! Dio! Se lo vedessi! Se lo sentissi! Dov'è
questo Dio?»
«Voi me lo domandate? voi? E chi più di voi l'ha vi-
cino? Non ve lo sentite in cuore, che v' opprime, che v'agi-
ta, che non vi lascia stare, e nello stesso tempo v' attira, vi
fa presentire una speranza di quiete, di consolazione, d'una
consolazione che sarà piena, immensa, subito che voi lo ri-
conosciate, lo confessiate, V imploriate?»
«Oh certo! ho qui qualche cosa che m'opprime, che mi
rode ! Ma Dio ! Se e' è questo Dio, se è quello che dicono,
cosa volete che faccia di me?»
Queste parole furon dette con un accento disperato; ma
Federigo, con un tono solenne come di placida ispirazione,
rispose: «cosa può far Dio di voi? cosa vuol farne? Un se-
gno della sua potenza e della sua bontà; vuol cavar da voi
una gloria che nessun altro gli potrebbe dare. Che il mondo
gridi da tanto tempo contro di voi, che mille e mille voci de-
testino le vostre opere....» (l'innominato si scosse, e ri-
mase stupefatto un momento nel sentir quel linguaggio così
insolito, più stupefatto ancora di non provarne sdegno, anzi
quasi un sollievo): «che gloria,» proseguiva Federigo, «ne
viene a Dio? Son voci di terrore, son voci d'interesse, voci
forse anche di giustizia, ma d' una giustizia così facile, così
naturale! alcune forse, pur troppo d' invidia di codesta vostra
sciagurata potenza, di codesta, fino ad oggi, deplorabile sicu-
rezza d' animo. Ma quando voi stesso sorgerete a condan-
nare la vostra vita, ad accusar voi stesso, allora! allora Dio
sarà glorificato! E voi domandate cosa Dio possa far di voi?
Chi son io pover' uomo, che sappia dirvi fin d' ora che pro-
fìtto possa ricavar da voi un tal Signore? cosa possa fare di
codesta volontà impetuosa, di codesta imperturbata costanza,
quando l'abbia animata, infiammata d'amore, di speranza,
di pentimento? Chi siete voi pover' uomo, che vi pensiate
d' aver saputo da voi immaginare e fare cose più grandi nel
male, che Dio non possa farvene volere e operare nel bene?
Cosa può Dio far di voi? E perdonarvi? e farvi salvo? e
compire in voi 1' opera della redenzione? Xon son cose ma-
gnifiche e degne di Lui? Oh pensate! se io omicciattolo, io
miserabile, e pur così pieno di me stesso, io qual mi sono,
mi struggo ora tanto della vostra salute, che per essa darei
CAPITOLO XXIII. 285
con gaudio (Egli m' è testimonio) questi pochi giorni che mi
rimangono; oh pensate! quanta, quale debba essere la carità
di Colui che m" infonde questa così imperfetta, ma così viva ;
come vi ami, come vi voglia Quello che mi comanda e
m' ispira un amore per voi che mi divora !»
A misura che queste parole uscivan dal suo labbro, il
volto, lo sguardo, ogni moto ne spirava il senso. La faccia
del suo ascoltatore, di stravolta e convulsa, si fece da prin-
cipio attonita e intenta: poi si compose a una commozione
più profonda e meno angosciosa; i suoi occhi che dall' infan-
zia più non conoscevan le lacrime, si gonfiarono, quando le
parole furon cessate, si coprì il viso con le mani; e diede in
un dirotto pianto, che fu come 1' ultima e più chiara risposta.
«Dio grande e buono!» esclamò Federigo, alzando gli oc-
chi e le mani al cielo: «che ho mai fatto, io servo inutile, pa-
store sonnolento, perchè Voi mi chiamaste a questo convito
di grazia, perchè mi faceste degno d' assistere a un sì gio-
condo prodigio !» Così dicendo stese la mano a prender quella
dell' innominato.
«Xo!» gridò questo, «no! lontano, lontano da me voi:
non lordate quella mano innocente e benefica. Non sapete
tutto ciò che ha fatto questa che volete stringere.»
«Lasciate,» disse Federigo, prendendola con amorevole
violenza, «lasciate eh' io stringa codesta mano che riparerà
tanti torti, che spargerà tante beneficenze, che solleverà tanti
afflitti, che si stenderà disarmata, pacifica, umile a tanti nemici. ■>
«È troppo!» disse singhiozzando l'innominato. «Lascia-
temi, monsignore; buon Federigo, lasciatemi. Un popolo af-
follato v'aspetta; tant' anime buone, tant' innocenti, tanti ve-
nuti da lontano, per vedervi una volta, per sentirvi; e voi vi
trattenete .... con chi !»
«Lasciamo le novantanove pecorelle,» rispose il cardinale:
«sono in sicuro sul monte: io voglio ora stare con quella
eh' era smarrita. Quell' anime son forse ora ben più contente,
che di vedere questo povero vescovo. Forse Dio che ha ope-
rato in voi il prodigio della misericordia, diffonde in esse una
gioia di cui non sentono ancora la cagione. Quel popolo è
forse unito a noi senza saperlo: forse lo Spirito mette ne'
loro cuori un ardore indistinto di carità, una preghiera
eh' esaudisce per voi, un rendimento di grazie di cui voi siete
1' oggetto non ancor conosciuto.» Così dicendo, stese le brac-
cia al collo dell'innominato, il quale dopo aver tentato di
sottrarsi, e resistito un momento, cedette, come vinto da quel-
l' impeto di carità, abbracciò anche lui il cardinale, e abban-
donò sull' omero di lui il suo volto tremante e mutato. Le
sue lacrime ardenti cadevano sulla porpora incontaminata di
Federigo ; e le mani incolpevoli di questo stringevano aflettuo-
286 I PBOMESSI SPOSI.
samente quelle membra, premevano quella casacca, avvezza a
portar 1' armi della violenza e del tradimento.
L'innominato, sciogliendosi da quell'abbraccio, si coprì
di nuovo gli occhi con una mano, e, alzando insieme la fac-
cia, esclamò: «Dio veramente grande! Dio veramente buono!
io mi conosco ora, comprendo chi sono; le mie iniquità mi
stanno davanti, ho ribrezzo di me stesso; eppure . . . .! eppure
provo un refrigerio, una gioia, sì una gioia, quale non ho
provata mai in tutta questa mia orribile vita!»
«È un saggio,» disse Federigo, «che Dio vi dà per catti-
varvi al suo servizio, per animarvi ad entrar risolutamente
nella nuova vita in cui avrete tanto da disfare, tanto da ri-
parare, tanto da piangere!»
cMe sventurato!» esclamò il signore, «quante, quante
cose, le quali non potrò se non piangere! Ma almeno ne ho
d' intraprese, d' appena avviate, che posso, se non altro, rom-
pere a mezzo; una ne ho che posso romper subito, disfare,
riparare.»
Federigo si mise in attenzione: e l'innominato raccontò
brevemente, ma con parole d' esecrazione anche più forti di
quelle che abbiamo adoprate noi, la prepotenza fatta a Lucia,
i terrori, i patimenti della poverina, e come aveva implorato,
e la smania che queir implorare aveva messa addosso a lui,
e come essa era ancor nel castello ....
«Ah, non perdiam tempo!» esclamò Federigo, ansante
di pietà e di sollecitudine. «Beato voi! Questo è pegno del
perdono di Dio! far che possiate diventare strumento di sal-
vezza a chi volevate esser di rovina. Dio vi benedica! Dio
v'ha benedetto! Sapete di dove sia questa povera nostra
travagliata?»
Il signore nominò il paese di Lucia.
«Xon è lontano di qui,» disse il cardinale: «lodato sia
Dio; e probabilmente....» Così dicendo, corse a un tavo-
lino, e scosse un campanello. E subito entrò con ansietà il
cappellano crocifero, e per la prima cosa, guardò V innomi-
nato; e vista quella faccia mutata, e quegli occhi rossi di
pianto, guardò il cardinale; e sotto quell' inalterabile compo-
stezza, scorgendogli in volto come un grave contento, e una
premura quasi impaziente, era per rimanere estatico con la
bocca aperta, se il cardinale non V avesse subito svegliato da
quella contemplazione, domandandogli se tra i parrochi ra-
dunati lì, si trovasse quello di***.
«C è, monsignore illustrissimo,» rispose il cappellano.
«Fatelo venir subito,» disse Federigo, «e con lui il par-
roco qui della chiesa.»
Il cappellano uscì, e andò nella stanza dov' eran que' preti
riuniti: tutti gli occhi si rivolsero a lui. Lui, con la bocca tut-
CAPITOLO XXIII. 287
tavia aperta, col viso ancor tutto dipinto di quell' estasi: al
zando le mani, e movendole per aria, disse: «signori! si
gnori! haec mutatio dexterae Excelsi.» E stette un mo-
mento senza dir altro. Poi, ripreso il tono e la voce della
carica, soggiunse: «sua signoria illustrissima e reverendissima
vuole il signor curato della parrocchia, e il signor curato
di***.»
Il primo chiamato venne subito avanti, e nello stesso tem-
po, uscì di mezzo alla folla un: «io?» strascicato, con un' in-
tonazione di maraviglia.
(Non è lei il signor curato di***?» riprese il cap-
pellano.
«Per V appunto ; ma .... »
«Sua signoria illustrissima e reverendissima vuol lei.»
«Me?» disse ancora quella voce, significando chiaramente
in quel monosillabo: come ci posso entrar io? Ma questa
volta, insiem con la voce, venne fuori V uomo, don Abbondio
in persona, con un passo forzato, e con un viso tra V attonito
e il disgustato. Il cappellano gli fece un cenno con la mano,
che voleva dire: a noi; andiamo; ci vuol tanto? E prece-
dendo i due curati, andò all'uscio, l'aprì, e gì' introdusse.
Il cardinale lasciò andar la mano dell' innominato, col
quale intanto aveva concertato quello che dovevan fare; si di-
scostò un poco, e chiamò con un cenno il curato delia chiesa.
Gli disse in succinto di che si trattava; e se sapesse trovar
subito una buona donna che volesse andare in una lettiga al
castello, a prender Lucia: una donna di cuore e di testa, da
sapersi ben governare in una spedizione così nuova, e usar
le maniere più a proposito, trovar le parole più adattate, a
rincorare, a tranquillizzare quella poverina, a cui dopo tante
angoscie, e in tanto turbamento, la liberazione stessa poteva
metter nell' animo una nuova confusione. Pensato un mo-
mento, il curato disse che aveva la persona a proposito, e
uscì. Il cardinale chiamò con un altro cenno il cappellano, al
quale ordinò che facesse preparare subito la lettiga e i let-
tighieri, e sellare due mule. Uscito anche il cappellano, si
voltò a don Abbondio.
Questo, che già gli era vicino, per tenersi lontano da quel-
V altro signore, e che intanto dava un' occhiatina di sotto in
su ora all' uno ora all' altro, seguitando a almanaccar tra sé
che cosa mai potesse essere tutto quel rigirìo, s' accostò di
più, fece una riverenza, e disse: «m'hanno significato che
vossignoria illustrissima mi voleva me; ma io credo che ab-
biano sbagliato. ><
«Non hanno sbagliato,» rispose Federigo; «ho una buona
nuova a darvi, e un consolante, un soavissimo incarico. l\ia
vostra parrocchiana, che avrete pianta per ismarrita, Lucia
288 I PROMESSI SPOSI.
Mondella, è ritrovata, è qui vicino, in casa di questo mio caro
amico; e voi anderete ora con lui, e con una" donna che il
signor curato di qui è andato a cercare, anderete, dico, a
prendere quella vostra creatura, e 1' accompagnerete qui.»
Don Abbondio fece di tutto per nascondere la noia, che
dico? l'affanno e l'amaritudine che gli dava una tale pro-
posta, o comando che fosse; non essendo più a tempo a scio-
gliere e a scomporre un versaccio già formato sulla sua fac-
cia, lo nascose, chinando profondamente la testa, in segno
d' ubbidienza. E non 1' alzò che per fare un profondo in-
chino all'innominato, con un'occhiata pietosa che diceva:
sono nelle vostre mani: abbiate misericordia: parcere siib-
jectis.
Gli domandò poi il cardinale, che parenti avesse Lucia.
«Di stretti, e con cui viva o vivesse, non ha che la ma-
dre,» rispose don Abbondio.
«E questa si trova al suo paese?»
«Monsignor, sì.»
«Giacché,» riprese Federigo, «quella povera giovine non
potrà esser così presto restituita a casa sua, le sarà una gran
consolazione di veder subito la madre: quindi, se il signor
curato di qui non torna prima eh' io vada in chiesa, fatemi
voi il piacere di dirgli che trovi un baroccio o una cavalcatura;
e spedisca un uomo di giudizio a cercar quella donna, per
condurla qui.»
«E se andassi io?» disse don Abbondio.
«No, no, voi : v' ho già pregato d' altro,» rispose il car-
dinale.
«Dicevo,» replicò don Abbondio, «per disporre quella
povera madre. È una donna molto sensitiva: e ci vuole uno
che la conosca, e la sappia prendere per il suo verso, per
non farle male invece di bene.»
«E per questo vi prego d' avvertire il signor curato che
scelga un uomo di proposito: voi siete molto più necessario
altrove,» rispose il cardinale. E avrebbe voluto dire: quella
povera giovine ha molto più bisogno di veder subito una fac-
cia conosciuta, una persona sicura, in quel castello, dopo tan-
V ore di spasimo, e in una terribile oscurità dell' avvenire. Ma
questa non era ragione da dirsi così chiaramente davanti a
quel terzo. Parve però strano al cardinale che don Abbondio
non V avesse intesa per aria, anzi pensata da sé ; e così fuor
di luogo gli parve la proposta e 1' insistenza, che pensò do-
verci esser sotto qualche cosa. Lo guardò in viso e vi sco-
prì facilmente la paura di viaggiare con quell' uomo tremen-
do, d'andare in quella casa, anche per pochi momenti. Vo-
lendo quindi dissipare affatto quell' ombre codarde, e non
piacendogli di tirare in disparte il curato e di bisbigliar con
CAPITOLO XXIII. 289
lui in segreto, mentre il suo nuovo amico era lì in terzo,
pensò che il mezzo più opportuno era di far ciò che avrebbe
fatto anche senza questo motivo, parlare all'innominato me-
desimo; e dalle sue risposte don Abbondio intenderebbe fi-
nalmente che quello non era più uomo da averne paura. S' av-
vicinò dunque all' innominato , e con quelP aria di spontanea
confidenza, che si trova in una nuova e potente affezione,
come in un'antica intrinsichezza, «non crediate,» gli disse,
« eh' io mi contenti di questa visita per oggi. Voi tornerete,
n' è vero? in compagnia di questo ecclesiastico dabbene?»
«S'io tornerò?» rispose l'innominato: «quando voi mi
rifiutaste, rimarrei ostinato alla vostra porta, come il povero.
Ho bisogno di parlarvi! ho bisogno di sentirvi, divedervi! ho
bisogno di voi!»
Federigo gli prese la mano, gliela strinse, e disse: «fa-
vorirete dunque di restare a desinare con noi. V aspetto.
Intanto, io vo a pregare, e a render grazie col popolo; e voi
a cogliere i primi frutti della misericordia.»
Don Abbondio, a quelle dimostrazioni, stava come un ra-
gazzo pauroso, che veda uno accarezzar con sicurezza un suo
cagnaccio grosso , rabbuffato , con gli occhi rossi , con un no-
macelo famoso per morsi e per ispaventi, e senta dir al pa-
drone che il suo cane è un buon bestione, quieto, quieto:
guarda il padrone, e non contraddice né approva: guarda il
cane, e non ardisce accostargli , per timore che il buon be-
stione non gli mostri i denti, fosse anche per fargli le feste;
non ardisce allontanarsi, per non farsi scorgere; e dice in cuor
suo: o se fossi a casa mia!
Al cardinale, che s' era mosso per uscire, tenendo sempre
per la mano e conducendo seco l'innominato, diede di nuovo
nell' occhio il pover' uomo, che rimanevo indietro , mortificato,
malcontento, facendo il muso senza volerlo. E pensando che
forse quel dispiacere gli potesse anche venire dal parergli
d'esser trascurato, e come lasciato in un canto, tanto più in
paragone d' un facinoroso così ben accolto, così accarezzato, se
gli voltò nel passare, si fermò un momento, e con un sorriso
amorevole gli disse: «signor curato, voi siete sempre con me
nella casa del nostro buon Padre; ma questo .... questo pe-
rierat, et inventus est.»
«Oh quanto me ne rallegro!» disse don Abbondio, facendo
una gran riverenza a tutt' e due in comune.
L'arcivescovo andò avanti, spinse l'uscio, che fu subito
spalancato di fuori da due servitori che stavano uno di qua
e uno di là: e la mirabile coppia apparve agli sguardi bra-
mosi del clero raccolto nella stanza. Si videro que' due
volti sui quali era dipinta una commozione diversa, ma ugual-
mente profonda; una tenerezza riconoscente, un' umile gioia
Manzoni. 19
290 I PEOMESSI SPOSI.
nell' aspetto venerabile di Federigo : in quello dell' innomi-
nato, una confusione temperata di conforto, un nuovo pudore,
una compunzione, dalla quale però traspariva tuttavia il vi-
gore di quella selvaggia e risentita natura. E si seppe poi,
che a più d'uno dei riguardanti era venuto in mente quel
detto d'Isaia: II lupo e V agnello andranno ad un pascolo ;
il leone e il bue mangeranno insieme lo strame. Dietro veniva
don Abbondio, a cui nessuno badò.
Quando furono nel mezzo della stanza , entrò dall' altra
parte l'aiutante di camera del cardinale, e gli s'accostò per
dirgli che aveva eseguiti gli ordini comunicatigli dal cappel-
lano; che la lettiga e le due mule eran preparate, s'aspet-
tava soltanto la donna che il curato avrebbe condotta. Il
cardinale gli disse che, appena arrivato questo, lo facesse
parlar subito con don Abbondio: e tutto poi fosse agli or-
dini di questo e dell'innominato; al quale strinse di nuovo
la mano, in atto di commiato, dicendo: «v' aspetto.» Si
voltò a salutar don Abbondio, e s'avviò dalia parte che con-
duceva alla chiesa. Il clero gli andò dietro, tra in folla e in
processione: i due compagni di viaggio rimasero soli nella
stanza.
Stava l'innominato tutto raccolto in sé, pensieroso, impa-
ziente che venisse il momento d' andare a levar di pene e
di carcere la sua Lucia: sua ora in un senso così diverso da
quello che lo fosse il giorno avanti; e il suo viso esprimeva
un' agitazione concentrata , che all' occhio ombroso di don
Abbondio poteva facilmente parere qualcosa di peggio. Lo
sogguardava, avrebbe voluto attaccare un discorso amichevole:
ma, — cosa devo dirgli? — pensava: — devo dirgli ancora:
mi rallegro? Mi rallegro di che? che essendo stato finora un
demonio, vi siate finalmente risoluto di diventare un galan-
tuomo come gli altri? Bel complimento! Eh eh eh! in qua-
lunque maniera io le rigiri, le congratulazioni non vorrebbero
dir altro che questo. ET se sarà poi vero che sia diventato
galantuomo: così a un tratto! delle dimostrazioni se ne fanno
tante a questo mondo, e per tante cagioni! Che so io, alle
volte? E intanto mi tocca a andar con lui! in quel castello!
Oh che storia! che storia! che storia! Chi me l'avesse detto sta-
mattina! Ah, se posso uscirne a salvamento, m'ha da sentire la
signora Perpetua, d' avermi cacciato qui per forza, quando non
e' era necessità , fuor della mia pieve ; e che tutti i parrochi
d'intorno accorrevano, anche più da lontano; e che non bi-
sognava stare indietro; e che questo, e che quest' altro ; e im-
barcarmi in un affare di questa sorte! Oh povero me! Ep-
pure qualcosa bisognerà dirgli a costui. — E pensa e ripen-
sa, aveva trovato che gli avrebbe potuto dire: non mi sarei
mai aspettato questa fortuna d' incontrarmi in una così ri-
CAPITOLO XXIII. 291
spettabile compagnia; e stava per aprir bocca, quando entrò
1' aiutante di camera , col curato del paese , il quale annunziò
che la donna era pronta nella lettiga, e poi si voltò a don
Abbondio, per ricevere da lui l'altra commissione del cardi-
nale. Don Abbondio se ne sbrigò come potè, in quella con-
fusione di mente; e accostatosi poi all'aiutante, gli disse:
«mi dia almeno una bestia quieta; perchè, dico la verità,
sono un povero cavalcatore. ■
«Si figuri,» rispose l'aiutante, con un mezzo sogghigno:
«è la mula del segretario, che è un letterato.»
• Basta . . . .» replicò don Abbondio, e continuò pensando:
— il cielo me la mandi buona. —
Il signore s'era incamminato di corsa, al primo avviso:
arrivato all'uscio, s'accorse di don Abbondio, eh' era rima-
sto indietro. Si fermò ad aspettarlo; e quando questo arrivò
frettoloso, in aria di chieder perdono, l'inchinò, e lo fece
passare avanti, con un atto cortese e umile: cosa che racco-
modò alquanto lo stomaco al povero tribolato. Ma appena
messo piede nel cortiletto , vide un' altra novità che gli gua-
stò quella poca consolazione; vide l'innominato andar verso
un canto, prender per la canna, con una mano, la sua cara-
bina, poi per la cigna con l'altra, e, con un movimento spe-
dito, come se facesse V esercizio, mettersela ad armacollo.
— Ohi! ohi! ohi! — pensò don Abbondio: — cosa vuol
farne di quell'ordigno, costui? Bel cilizio, bella disciplina
da convertito! £ se gli salta qualche grillo? Oh che spedi-
zione! oh che spedizione! —
Se quel signore avesse potuto appena sospettare che razza
di pensieri passavano per la testa al suo compagno, non si
può dire cosa avrebbe fatto per rassicurarlo; ma era lontano
le mille miglia da un tal sospetto; e don Abbondio stava at-
tento a non far nessun atto che significasse chiaramente: non
mi fido di vossignoria. Arrivati all' uscio di strada, trovarono
le due cavalcature in ordine: l'innominato saltò su quella
che gli fu presentata da un palafreniere.
«Vizi non ne ha?» disse all'aiutante di camera don Ab-
bondio, rimettendo in terra il piede, che aveva già alzato verso
la staffa.
«Vada pur su di buon animo; è un agnello.» Don Ab-
bondio, arrampicandosi alla sella, sorretto dall'aiutante, su,
su, su, è a cavallo.
La lettiga, ch'era innanzi qualche passo, portata da due
mule, si mosse, a una voce del lettighiero; e la comitiva
partì.
Si doveva passar davanti alla chiesa piena zeppa di po-
polo, per una piazzetta piena anch'essa d'altro popolo, del
paese e forestieri, che non avevan potuto entrare in quella.
10*
292 I PEOMESSI SPOSI.
Già la gran nuova era corsa; e all'apparir della comitiva,
all' apparir di queir uomo , oggetto ancor poche ore prima di
teiTore e d'esecrazione, ora di lieta maraviglia, s'alzò nella
follo un mormorio quasi d' applauso ; e facendo largo , si fa-
ceva insieme alle spinte, per vederlo da vicino. La lettiga
passò, l'innominato passò; e, davanti alla porta spalancata
della chiesa, si levò il cappello, e chinò quella fronte tanto
temuta, fin sulla criniera della mula, tra il susurro di cento
voci che dicevano: Dio la benedica! Don Abbondio si levò
anche lui il cappello, si chinò, si raccomandò al cielo; ma
sentendo il concerto solenne de' suoi confratelli che cantavano
a distesa, provò un'invidia, una mesta tenerezza, un accora-
mento tale, che durò fatica a tener le lacrime.
Fuori poi dell'abitato, nell'aperta campagna, negli andiri-
vieni talrolta affatto deserti della strada, un velo più nero
si stese sui suoi pensieri. Altro oggetto non aveva su cui ri-
posar con fiducia lo sguardo, che il lettighiero, il quale, es-
sendo al servizio del cardinale, doveva essere certamente un
uomo dabbene, e insieme non aveva aria d'imbelle. Ogni
tanto, comparivano viandanti, anche a comitive, che accorre-
vano per vedere il cardinale; ed era un ristoro per don Ab-
bondio; ma passeggiero, ma s'andava verso quella valle tre-
menda , dove non s' incontrerebbe che sudditi dell' amico : e
che sudditi! Con V amico avrebbe desiderato ora più che
mai d' entrare in discorso , tanto per tastarlo sempre più,
come per tenerlo in buona ; ma vedendolo così soprappen-
siero, gliene passava la voglia. Dovette dunque parlar con
sé stesso; ed ecco una parte di ciò che il pover' uomo si
disse in quel tragitto ; che. a scriver tutto, ci sarebbe da farne
un libro.
— È un gran dire che tanto i santi come i birboni gli
abbiano a aver l'argento vivo addosso, e non si contentino
d' esser sempre in moto loro , ma voglian tirare in ballo , se
potessero, tutto il genere umano; e che i più faccendoni mi
devan proprio venire a cercar me, che non cerco nessuno, e
tirarmi per i capelli ne' loro affari: io che non chiedo altro
che d'esser lasciato vivere! Quel matto birbone di don Ro-
drigo! Cosa gli mancherebbe per esser l'uomo il più felice
di questo mondo, se avesse appena un pochino di giudizio?
Lui ricco, lui giovine, lui rispettato, lui corteggiato: gli dà
noia il bene stare; e bisogna che vada accattando guai per
sé e per gli altri. Potrebbe far 1' arte di Michelaccio : no,
signore: vuol fare il mestiere di molestar le femmine: il più
pazzo, il più ladro, il più arrabbiato mestiere di questo mon-
do ; potrebbe andare in paradiso in carrozza, e vuol andare a
casa del diavolo a pie zoppo. E costui! .... — E qui lo
guardava, come se avesse sospetto che quel costui sentisse i
CAPITOLO XXIII. 293
suoi pensieri, — costui, dopo aver messo sottosopra il mondo
con le scelleratezze, ora lo mette sottosopra con la, conver-
sione .... se sarà vero. Intanto tocca a me a farne F espe-
rienza! .... È finita: quando son nati con quella smania in
corpo, bisogna che faccian sempre fracasso. Ci vuol tanto
a fare il galantuomo tutta la vita , com' ho fatt' io ? No , si-
gnore: si deve squartare, ammazzare, fare il diavolo .... oh
povero me ! ... . e poi uno scompiglio, anche per far peniten-
za. La penitenza, quando s' ha buona volontà, si può farla
a casa sua, quietamente, senza tant' apparato, senza dar tanto
incomodo al prossimo. E sua signoria illustrissima, subito
subito, a braccia aperte, caro amico, amico caro; stare a tutto
quel che gli dice costui , come se 1' avesse visto far miracoli,
e prendere addirittura una risoluzione, mettercisi , dentro con
le mani e co' piedi, presto di qua, presto di là: a casa mia
si chiama precipitazione. E senza avere una minima caparra,
dargli in mano un povero curato ! questo si chiama giocare
un uomo a pari e caffo. Un vescovo santo, com'è lui, de'
curati dovrebbe esserne geloso, come della pupilla degli occhi
suoi. Un pochino di flemma, un pochino di prudenza, un
pochino di carità, mi pare che possa stare anche con la san-
tità .... E se fosse tutto un'apparenza? Chi può conoscer
tutti i fini degli uomini? e dico degli uomini come costui?
A pensare che mi tocca a andar con lui, a casa sua ! Ci può
esser sotto qualche diavolo: o povero me! è meglio non ci
pensare. Che imbroglio è questo di Lucia? Che ci fosse un'
intesa con don Rodrigo? che gente! ma almeno la cosa sa-
rebbe chiara. Ma come l'ha avuta nell'unghie costui? Chi
lo sa? È tutto un segreto con monsignore: e a me che mi
fanno trottare in questa maniera, non si dice nulla. Io non
mi curo di sapere i fatti degli altri; ma quando uno ci ha a
metter la pelle, ha anche ragione di sapere. Se fosse proprio
per andare a prendere quella povera creatura, pazienza!
Benché, poteva ben condurla con sé addirittura. E poi, se è
così convertito, se è diventato un santo padre, che bisogno
c'era di me? Oh che caos! Basta: voglia il cielo che la
sia così: sarà stato un incomodo grosso, ma pazienza! Sarò
contento anche per quella povera Lucia: anche lei deve averla
scampata grossa: sa il cielo cos'ha patito; la compatisco,
ma è nata per la mia rovina .... Almeno potessi vedergli
proprio in cuore a costui, come la pensa. Chi lo può cono-
scere? Ecco lì, ora pare sant'Antonio nel deserto; ora pare
Oloferne in persona. Oh povero me! povero me! Basta: il
cielo è in obbligo d'aiutarmi, perchè non mi ci son messo
io di mio capriccio. —
Infatti, sul volto dell' innominato si vedevano, per dir così,
passare i pensieri, come, in un' ora burrascosa, le nuvole tra-
294 I PEOMESSI SPOSI.
scorrono dinanzi alla faccia del sole, alternando ogni mo-
mento una luce arrabbiata e un freddo buio. L' animo,
ancor tutto inebriato dalle soavi parole di Federigo, e
come rifatto e ringiovanito nella nuova vita, s' elevava
a quell'idee di misericordia, di perdono e d'amore; poi
ricadeva sotto il peso del terribile passato. Correva con
ansietà a cercare quali fossero le iniquità riparabili , cosa si
potesse troncare a mezzo, quali i rimedi più espedienti e
più sicuri, come scioglier tanti nodi, che fare di tanti com-
plici: era uno sbalordimento a pensarci. A quella stessa spe-
dizione , eh' era la più facile e così vicina al termine , andava
con un'impazienza mista d'angoscia, pensando che intanto
quella creatura pativa. Dio sa quanto, e che lui, il quale pure
si struggeva di liberarla, era lui che la teneva intanto a pa-
tire. Dove e' eran due strade, il lettighiero si voltava, per
saper quale dovesse prendere : l' innominato gliel' indicava con
la mano e insieme accennava di far presto.
Entrano nella valle. Come stava allora il povero don Ab-
bondio! Quella valle famosa, della quale aveva sentito rac-
contar tante storie orribili, esserci dentro: que' famosi uomi-
ni, il fiore della braverìa d'Italia, quegli uomini senza paura
e senza misericordia, vederli in carne e in ossa, incontrarne
uno o due o tre a ogni voltata di strada. Si chinavano som-
messamente al signore: ma certi visi abbronzati! certi baffi
irti! eerti occhiacci, che a don Abbondio pareva che voles-
sero dire: fargli la festa a quel prete? A segno che in un
punto di somma costernazione, gli venne detto tra sé: — gli
avessi maritati! non mi poteva accader di peggio. — Intanto
s'andava avanti per un sentiero sassoso, Lungo il torrente:
al di là quel prospetto di balze aspre, scure, disabitate; al di
qua quella popolazione da far parer desiderabile ogni deserto:
Dante non istava peggio nel mezzo di Malebolge.
Passan davanti al Malanotte: bravacci sull'uscio, inchini
al signore, occhiate al suo compagno e alla lettiga. Coloro
non sapevan cosa si pensare: già la partenza dell'innomi-
nato solo, la mattina, aveva dello straordinario; il ritorno non
lo era meno. Era una preda che conduceva? E come 1' ave-
va fatta da sé? E come una lettiga forestiera? E di chi
poteva esser quella livrea? Guardavano, guardavano, ma nes-
suno si moveva, perchè questo era l'ordine che il padrone
dava loro con dell' occhiate.
Fanno la salita, sono in cima. I bravi che si trovan sulla
spianata e sulla porta, si ritirano di qua e di là, per lasciare
il passo libero: l'innominato fa segno che non si movan di
più; sprona, e passa davanti alla lettiga; accenna al lettighiero
e a don Abbondio che lo seguano; entra in un primo cortile,
da quello in un secondo; va verso un usciolino; fa stare in-
Capitolo xxiv. 295
dietro con un gesto un bravo che accorreva per tenergli la
staffa, e gli dice : « tu sta costì, e non venga nessuno.» Smon-
ta, lega in fretta la mula a un'inferriata, va alla lettiga,
s' accosta alla donna , che aveva tirata la tendina , e le dice
sotto voce: «consolatela subito; fatele subito capire che è li-
bera, in mano d'amici. Dìo ve ne renderà merito.» Poi fa
cenno al lettighiero, che apra; poi s'avvicina a don Abbondio,
e, con un sembiante così sereno come questo non gliel aveva
ancor visto, né credeva che lo potesse avere, con dipintavi la
gioia dell' opera buona che finalmente stava per compire , gli
dice, ancora sotto voce: «signor curato, non le chiedo scusa
dell'incomodo che ha per cagion mia: lei lo far per Uno che
paga bene, e per questa sua poverina.» Ciò detto, prende
con una mano il morso, con l'altra la staffa, per aiutar don
Abbondio a scendere.
Quel volto, quelle parole, quell'atto, gli avevan dato la
vita. Mise un sospiro , che da un' ora gli s' aggirava dentro,
senza mai trovar l'uscita; si chinò verso l'innominato, ri-
spose a voce bassa bassa: «le pare? Ma, ma, ma, ma....!»
e sdrucciolò alla meglio dalla sua cavalcatura. L' innominato
legò anche quella, e detto al lettighiero che stesse lì a aspet-
tare, si levò una chiave di tasca, aprì 1' uscio, entrò, fece en-
trare il curato e la donna, s' avviò davanti a loro alla sca-
letta; e tutt e tre salirono in silenzio.
CAPITOLO XXIV.
Lucia s' era risentita da poco tempo ; e di quel tempo una
parte aveva penato a svegliarsi affatto, a separar le torbide
visioni del sonno dalle memorie e dall' immagini di quella
realtà troppo somigliante a una funesta visione d' infermo.
La vecchia le si era subito avvicinata, e, con quella voce for-
zatamente umile, le aveva detto: «ah! avete dormito? Avreste
potuto dormire in letto : ve l' ho pur detto tante volte ier
sera.» E non ricevendo risposta, aveva continuato, sempre
con un tono di supplicazione stizzosa: «mangiate una volta:
abbiate giudizio. Uh come siete brutta! Avete bisogno di
mangiare. E poi se, quando torna, la piglia con me?»
«No, no; voglio andar via, voglio andar da mia madre.
Il padrone me l'ha promesso, ha detto: domattina. Dov'è
il padrone?»
«È uscito; m'ha detto che tornerà presto, e che farà
tutto quel che volete.»
296 I PROMESSI SPOSI
«Ha detto così? Ha detto -così? Ebbene, io voglio andar
da mia madre; subito, subito.»
Ed ecco si sente un calpestìo nella stanza vicina; poi un
picchio all'uscio. La vecchia accorre, domanda: «chi è?»
_ «Apri,» risponde sommessamente la nota voce. La vec-
chia tira il paletto; l' innominato, spingendo leggermente i bat-
tenti, fa un po' di spiraglio; ordina alla vecchia ai venir fuo-
ri, fa entrar subito don Abbondio con la buona donna. Soc-
chiude poi di nuovo 1' uscio, si ferma dietro a quello, e manda
la vecchia in una parte lontana del castellacelo ; come aveva
già mandata via anche l'altra donna che stava fuori, di
guardia.
Tutto questo movimento , quel punto d' aspetto , il primo
apparire di persone nuove, cagionarono un soprassalto d' agi-
tazione a Lucia, alla quale, se lo stato presente era intolle-
rabile, ogni cambiamento però era motivo di sospetto e di
nuovo spavento. Guardò, vide un prete, una donna: si rincorò
alquanto: guarda più attenta: è lui, o non è lui? Riconosce
don Abbondio, e rimane con gli occhi fissi, come incantata.
La donna andatale vicino, si chinò sopra di lei, e, guardandola
pietosamente, prendendole le mani, come per accarezzarla e
alzarla a un tempo, le disse: «oh poverina! venite, venite
con noi. b
«Chi siete?» le domandò Lucia; ma, senza aspettar la
risposta, si voltò ancora a don Abbondio, che s' era trattenuto
discosto due passi, con un viso anche lui, tutto compassione-
vole; lo fissò di nuovo, e esclamò: «lei! è lei? il signor cu-
rato? Dove siamo? .... Oh povera me! son fuori di sen-
timento ! »
«No, no,» rispose don Abbondio: «son io davvero: fatevi
coraggio. Vedete? siam qui per condurvi via. Son proprio
il vostro curato, venuto qui apposta, a cavallo . . . .»
Lucia, come riacquistate in un tratto tutte le sue forze, si
rizzò precipitosamente ; poi fissò ancora lo sguardo su que'
due visi, e disse: "è dunque la Madonna che vi ha man-
dati. »
«Io credo di si,» disse la buona donna.
«Ma possiamo andar via, possiamo andar via davvero?»
riprese Lucia, abbassando la voce, e con uno sguardo timido
e sospettoso. «E tutta quella gente ....?» continuò, con le
labbra contratte e tremanti di spavento e d' orrore: «e
quel signore .... ! queir uomo .... ! Già, me P aveva pro-
messo .... »
«È qui anche lui in persona, venuto apposta con noi,»
disse don Abbondio; «è qui fuori che aspetta. Andiamo
presto; non lo facciamo aspettare, un par suo.»
CAPITOLO XXIV. 297
Allora quello di cui si parlava, spinse P uscio, e si fece
vedere; Lucia, che poco primo lo desiderava, anzi, non aven-
do speranza in altra cosa del mondo, non desiderava che lui,
ora, dopo aver veduti visi, e sentite voci amiche, non potè
reprimere un subitaneo ribrezzo; si riscosse, ritenne il respi-
ro, si strinse alla buona donna, e le nascose il viso in seno.
L' innominato alla vista di quell' aspetto sul quale già la sera
avanti non aveva potuto tener fermo lo sguardo, di quel-
1' aspetto reso ora più squallido, sbattuto, affannato dal patire
prolungato "e" dal digiuno, era rimasto lì fermo, quasi sul-
F uscio, nel veder poi quell' atto di terrore, abbassò gli occhi,
stette ancora un momento immobile e muto; indi rispondendo
a ciò che la poverina non aveva detto, «è vero,» esclamò:
«perdonatemi!»
«Viene a liberarvi; non è più quello; è diventato buono:
sentite che vi chiede perdono?» diceva la buona donna al-
l' orecchio di Lucia.
«Si può dir di più? Via, su quella testa; non fate la
bambina; che possiamo andar presto,» le diceva don Abbon-
dio. Lucia alzò la testa, guardò l'innominato, e, vedendo
bassa quella fronte, atterrato e confuso quello sguardo, presa
da un misto sentimento di conforto, di riconoscenza e di
pietà, disse: «oh, il mio signore! Dio le renda merito della
sua misericordia!»
«E a voi, cento volte, il bene che mi fanno codeste vo-
stre parole.»
Così detto, si voltò, andò verso l'uscio, e uscì il primo.
Lucia, tutta rianimata, con la donna che le dava braccio, gli
andò dietro; don Abbondio in coda. Scesero la scala, arri-
varono all' uscio che metteva nel cortile. L' innominato lo
spalancò, andò alla lettiga, aprì lo sportello, e, <;on una certa
gentilezza quasi timida (due cose nuove in lui) sorreggendo
il braccio di Lucia, V aiutò ad entrarvi, poi la buona donna.
Slegò quindi la mula di don Abbondio, e l'aiutò anche lui a
montare.
« Oh che degnazione ! » disse questo ; e montò molto più
lesto che non avesse fatto la prima volta. La comitiva si
mosse quando l' innominato fu anche lui a cavallo. La sua
fronte s' era rialzata; lo sguardo aveva ripreso la solita
espressione d'impero. I bravi che incontrava, vedevan bene
sul suo viso i segni d'un forte pensiero, d'una preoccupa-
zione straordinaria; ma non capivano, né potevan capire più
in là. Al castello non si sapeva ancor nulla della gran mu-
tazione di quell' uomo ; e per congettura, certo, nessun di co-
loro vi sarebbe arrivato.
La buona donna aveva subito tirate le tendine della letti-
ga; prese poi affettuosamente le mani di Lucia, s'era messa
298 I PROMESSI SPOSI.
a confortarla, con parole di pietà, di congratulazione e di
tenerezza, e vedendo come, oltre la fatica di tanto travaglio
sofferto, la confusione e l'oscurità degli avvenimenti impe-
divano alla poverina di sentir pienamente la contentezza della
sua liberazione, le disse quanto poteva trovar di più atto a
distrigare, a ravviare, per dir così, i suoi poveri pensieri.
Le nominò il paese dove andavano.
«Sì?» disse Lucia, la qual sapeva ch'era poco discosto
dal suo. «Ah Madonna santissima, vi ringrazio! Mia madre!
mia madre ! »
«La manderemo a cercar subito,» disse la buona donna,
la quale non sapeva che la cosa era già fatta.
«Sì, sì; che Dio ve ne renda merito .... E voi, chi siete?
Come siete venuta . . . .»
«M"ha mandata il nostro curato,» disse la buona donna:
«perchè questo signore, Dio gli ha toccato il cuore (sia bene-
detto!), ed è venuto al nostro paese, per parlare al signor
cardinale arcivescovo (che 1' abbiamo là in visita quel san-
t' uomo), e s' è pentito de' suoi peccatucci, e vuol mutar
vita; e ha detto al cardinale che aveva fatto rubare una
povera innocente, che siete voi, d' intesa con un altro senza
timor di Dio, che il curato non m'ha detto chi possa es-
sere.»
Lucia alzò gli occhi al cielo.
«Lo saprete forse voi,» continuò la buona donna: «basta:
dunque il signor cardinale ha pensato che, trattandosi d'una
giovine, ci voleva una donna per venire in compagnia, e ha
detto al curato che ne cercasse una: e il curato, per sua
bontà, è venuto da me . . . .»
«Oh! il Signore vi ricompensi della vostra carità!»
«Che dite mai, la mia povera giovine? E m'ha detto il
signor curato, che vi facessi coraggio, e cercassi di sollevarvi
subito , e farvi intendere come il Signore v' ha salvata mira-
colosamente . . . .»
«Ah sì! proprio miracolosamente; per intercession della
Madonna.»
«Dunque, che stiate di buon animo, e perdonare a chi
v' ha fatto del male, e esser contenta che Dio gli abbia usata
misericordia, anzi pregare per lui; che, oltre all'acquistarne
merito, vi sentirete anche allargare il cuore.»
Lucia rispose con uno sguardo che diceva di sì, tanto
chiaro come avrebbero potuto far le parole, e con una dol-
cezza che le parole non avrebbero saputo esprimere.
«Brava giovine!» riprese la donna, «e trovandosi al no-
stro paese anche il vostro curato (che ce n' è tanti tanti . di
tutto il contorno, da mettere insieme quattro ufizi generali),
ha pensato il signor cardinale di mandarlo anche lui in com-
CAPITOLO XXIV. 299
pagnia; ma è stato di poco aiuto. Già l'avevo sentito dire
ch'era un uomo da poco, ma in quest'occasione, Lo dovuto
proprio vedere che è più impicciato che un pulcin nella stoppa. ■>
«E questo . . . .» domandò Lucia, «questo che è diventato
buono .... chi è?
«Come! non lo sapete?» disse la buona donna, e lo
nominò.
«Oh misericordia! esclamò Lucia. Quel nome, quante
volte F aveva sentito ripetere con orrore in più d' una storia.
in cui figurava sempre come in altre storie quello dell' orco !
E ora, al pensiero d'essere stata nel suo terribil potere, e
d' essere sotto la sua guardia pietosa ; al pensiero d' una così
orrenda sciagura, e d'una così improvvisa redenzione; a con-
siderare di chi era quel viso che aveva veduto burbero, poi
commosso, poi umiliato, rimaneva come estatica, dicendo solo,
ogni poco : « oh misericordia ! »
«È una gran misericordia davvero!» diceva la buona don-
na: «dev'essere un gran sollievo per mezzo mondo. A pen-
sare quanta gente teneva sottosopra ; e ora, come m' ha detto
il nostro curato .... e poi. solo a guardarlo in viso è diven-
tato un santo! E poi si vedon subito le opere.»
Dire che questa buona donna non provasse molta curiosi-
tà di conoscere un po' più distintamente la grande avventura
nella quale si trovava a fare una parte, non sarebbe la veri-
tà. Ma bisogna dire a sua gloria che, compresa d' una pietà
rispettosa per Lucia, sentendo in certo modo la gravità e la
dignità dell' incarico che le era stato affidato, non pensò nep-
pure a farle una domanda indiscreta, né oziosa: tutte le sue
parole in quel tragitto, furono di conforto e~di premura per
la povera giovine.
«Dio sa quant' è che non avete mangiato!»
«Non me ne ricordo più .... Da un pezzo.»
«Poverina! avrete bisogno di ristorarvi.»
«Sì,» rispose Lucia con voce fioca.
«A casa mia, grazie a Dio, troveremo subito qualcosa.
Fatevi coraggio che ormai c'è poco.»
Lucia si lasciava poi cader languida sul fondo della let-
tiga, come assopita; e allora la buona donna la lasciava in
riposo.
Per don Abbondio questo ritorno non era certo così an-
goscioso come V andata di poco prima; ma non fu neppur
esso un viaggio di piacere. Al cessar di quella pauraccia, s' era
da principio sentito tutto scarico, ma ben presto cominciarono
a spuntargli in cuore cent' altri dispiaceri, come, quando è
stato sbarbato un grand' albero , il terreno rimane sgombro
per qualche tempo, ma poi si copre tutto d' erbacce. ^Era
diventato più sensibile a tutto il resto; e tanto nel presente,
300 I PROMESSI SPOSI.
quanto nei pensieri dell' avvenire, non gli mancava pur troppo
materia di tormentarsi. Sentiva ora, molto più che nell'an-
dare, l'incomodo di quel modo di viaggiare, al quale non
era molto avvezzo; e specialmente sul principio, nella scesa
dal castello al fondo della valle. Il lettighiero stimolato
da' cenni dell' innominato , faceva andar di buon passo le
sue bestie: le due cavalcature andavan dietro dietro, con lo
stesso passo; onde seguiva che, a certi luoghi più ripidi, il
povero don Abbondio, come se fosse messo a leva per di die-
tro, tracollava sul davanti, e, per reggersi, doveva appuntel-
larsi con la mano all'arcione; e non osava però pregare che
s'andasse più adagio; e dall'altra parte avrebbe voluto esser
fuori di quel paese più presto che fosse possibile. Oltre di
ciò, dove la strada era sur un rialto, sur un ciglione, la mula,
secondo l'uso de' pari suoi, pareva che facesse per dispetto
a tener sempre dalla parte di fuori, e a metter proprio le
zampe sull'orlo, e don Abbondio vedeva sotto di sé quasi a
perpendicolo, un salto, o come pensava lui, un precipizio. —
Anche tu, — diceva tra sé alla bestia, — hai quel male-
detto gusto d'andare a cercare i pericoli, quando c'è tanto
sentiero ! — E tirava la briglia dall' altra parte ; ma inutil-
mente. Sicché, al solito rodendosi di stizza e di paura, si
lasciava condurre a piacere altrui. I bravi non gli facevan
più tanto spavento, ora che sapeva più di certo come la pen-
sava il padrone. — Ma, — rifletteva però, — se la notizia
di questa gran conversione si sparge qua dentro, intanto che
ci siamo ancora, chi sa come l'intenderanno costoro! Chi sa
cosa nasce! che s'andassero a immaginare che sia venuto io
a fare il missionario ! Povero me ! mi martirizzano ! — Il ci-
piglio dell'innominato non gli dava fastidio. — Per tenere a
segno quelle facce lì, — pensava, — non ci vuol meno di
questa qui; lo capisco anch'io; ma perchè deve toccare a me
a trovarmi tra tutti costoro! —
Basta; s'arrivò in fondo alla scesa, e s'uscì finalmente
anche dalla valle. La fronte dell' innominato s' andò spia-
nando. Anche don Abbondio prese una faccia più naturale,
sprigionò alquanto la testa di tra le spalle, sgranchì le brac-
cia e le gambe, si mise a stare un po' più sulla vita, che fa-
ceva un tutt' altro vedere, mandò più larghi respiri, e, con
animo più riposato, si mise a considerare altri lontani peri-
coli. — Cosa dirà quel bestione di don Ptodrigo? Ptimaner
con tanto di naso a questo modo, col danno e con le beffe,
figuriamoci se la gli deve parere amara. Ora è quando fa il
diavolo davvero. Sta a vedere che se la piglia anche con me,
perchè mi son trovato dentro in questa cerimonia. Se ha
avuto cuore fin d' allora di mandare que' due demoni a farmi
una figura di quella sorte sulla strada, ora poi, chi sa cosa
CAPITOLO XXIV. 301
farà! Con sua signoria illustrissima non la può prendere, che
è un pezzo molto più grosso di lui; lì bisognerà rodere il freno.
Intanto il veleno V avrà in corpo , e sopra qualcheduno lo
vorrà sfogare. Come finiscono queste faccende? I colpi ca-
scano sempre all' ingiù ; i cenci vanno all' aria. Lucia , di
ragione, sua signoria illustrissima penserà a metterla in salvo :
quell'altro poveraccio mal capitato è fuor del tiro, e ha già
avuto la sua: ecco che il cencio son diventato io. La sa-
rebbe barbara, dopo tanti incomodi, dopo tante agitazioni,
e senza acquistarne merito, che ne dovessi portar la pena io.
Cosa farà ora sua signoria illustrissima per difendermi, dopo
avermi messo in ballo? Mi può star mallevadore lui che quel
dannato non mi faccia un' azione peggio della prima? E poi
La tanti affari per la testa! mette mano a tante cose! Come
si può badare a tutto? Lascian poi alle volte le cose più
imbrogliate di prima. Quelli che fanno il bene lo fanno
all' ingrosso : quand' hanno provato quella soddisfazione, n' han-
no abbastanza, e non si voglion seccare a star dietro a tutte
le conseguenze: ma coloro che hanno quel gusto di fare il
male, ci mettono più diligenza, ci stanno dietro fino alla
fine, non prendon mai requie, perchè hanno quel canchero
che li rode. Devo andar io a dire che son venuto qui per
comando espresso di sua signoria illustrissima, e non di mia
volontà? Parrebbe che volessi tenere dalla parte dell' iniquità.
Oh santo cielo! Dalla parte dell'iniquità io! Per gli spassi
che la mi dà! Basta: il meglio sarà a raccontare a Perpetua
la cosa com' è : e lascia poi fare a Perpetua a mandarla in
giro. Purché a monsignore non venga il grillo di far qualche
pubblicità, qualche scena inutile, e mettermici dentro anche
me. A buon conto, appena siamo arrivati, se è uscito di
chiesa, vado a riverirlo in fretta in fretta: se jio, lascio le
mie scuse, e me ne vo dritto dritto a casa mia. Lucia
è bene appoggiata; di me non e' è più bisogno; e dopo
tant' incomodi, posso pretendere anch'io d'andarmi a ripo-
sare. E poi .... che non venisse anche curiosità a monsi-
gnore di saper tutta la storia, e mi toccasse a render conto
dell' affare del matrimonio ! Non ci mancherebbe altro. E se
viene in visita anche alla mia parrocchia! .... Oh! sarà quel
che sarà; non vo' confondermi prima del tempo: n'ho abba-
stanza de' guai. Per ora vo a chiudermi iu casa. Fin che
monsignore si trova da queste parti, don Rodrigo non avrà
faccia di far pazzie. E poi.... E poi? Ah! vedo che i miei
ultimi anni ho da passarli male! —
La comitiva arrivò che le funzioni di chiesa non erano
ancor terminate; passò per mezzo alla folla medesima non
meno commossa della prima volta: e poi si divise. I due a
cavallo voltarono sur una piazzetta di fianco, in fondo a cui
302 I PROMESSI SPOSI.
era la casa del parroco; la lettiga andò avanti verso quella
della buona donna.
Don Abbondio fece quello che aveva pensato: appena
smontato, fece i più sviscerati complimenti all'innominato, e
lo pregò di volerlo scusar con monsignore; che lui doveva
tornare alla parrocchia addirittura, per affari urgenti. Andò
a cercare quel che chiamava il suo cavallo, cioè il bastone
che aveva lasciato in un cantuccio del salotto, e s' incamminò.
L'innominato stette a aspettare che il cardinale tornasse di
chiesa.
La buona donna, fatta seder Lucia nel miglior luogo della
sua cucina, s'affaccendava a preparar qualcosa da ristorarla,
licusando, con una certa rustichezza cordiale, i ringraziamenti
e le scuse che questa rinnovava ogni tanto.
Presto, presto, rimettendo stipa sotto un calderotto, dove
notava un buon cappone, fece alzare il bollore al brodo, e
riempitane una scodella già guarnita di fette di pane, potè
finalmente presentarla a Lucia. E nel vedere la poverina a
riaversi a ogni cucchiaiata, si congratulava ad alta voce con
sé stessa che la cosa fosse accaduta in un giorno in cui, co-
m'essa diceva, non c'era il gatto nel fuoco. «Tutti s'inge-
gnano oggi a far qualcosina,» aggiungeva: «meno que' poveri
poveri che stentano a aver pane di vecce e polenta di sag-
gina; però oggi da un signore così caritatevole sperano di
buscar tutti qualcosa. Noi, grazie al cielo, non siamo in
questo caso: tra il mestiere di mio marito, e qualcosa che
abbiamo al sole, si campa. Sicché mangiate senza pensieri
intanto; che presto il cappone sarà a tiro, e potrete ristorar-
vi un po' meglio.» Così detto ritornò ad accudire al desinare,
e ad apparecchiare.
Lucia, tornatele alquanto le forze, e acquietandosele sem-
pre più 1' animo , andava intanto assettandosi , per un' abitu-
dine, per un istinto di pulizia e di verecondia: rimetteva e
fermava le treccie allentate e arruffate, raccomodava il fazzo-
letto sul seno, e intorno al collo. In far questo, le sue dita
s'intralciarono nella corona che ci aveva messa, la notte
avanti; lo sguardo vi corse; si fece nella mente un tumulto
istantaneo; la memoria del voto, oppressa fino allora e sof-
fogata da tante sensazioni presenti, vi si suscitò d'improvvi-
so, e vi comparve chiara e distinta. Allora tutte le potenze
del suo animo, appena riavute, furon sopraffatte di nuovo, a
un tratto : e se queir animo non fosse stato così preparato da
una vita d' innocenza, di rassegnazione e di fiducia, la costerna-
zione che provò in quel momento, sarebbe stata disperazione.
Dopo un ribollimento di que' pensieri che non vengono con
parole; le prime che si formarono nella sua mente furono:
— oh povera me, cos'ho fatto! —
CAPITOLO XXIV. 303
Ma non appena l'ebbe pensata, ne risentì come uno spa-
vento. Le tornarono in mente tutte ie circostanze del voto,
l'angoscia intollerabile, il non avere una speranza di soccor-
so, il fervore della preghiera, la pienezza del sentimento con
cui la promessa era stata fatta. E dopo avere ottenuta la
grazia, pentirsi della promessa, le parve un'ingratitudine sa-
crilega, una perfidia verso Dio e la Madonna; le parve che
una tale infedeltà le attirerebbe nuove e più terribili sventure,
in mezzo alle quali non potrebbe più sperare neppur nella
preghiera; e s'affrettò di rinnegare quel pentimento momen-
taneo. Si levò con divozione la corona dal collo, e tenendola
nella mano tremante , confermò , rinnovò il voto , chiedendo
nello stesso tempo, con una supplicazione accorata, che le
fosse concessa la forza d' adempirlo , che le fossero rispar-
miati i pensieri e l'occasioni le quali avrebbero potuto, se
non ismovere il suo animo, agitarlo troppo. La lontananza
di Renzo, senza nessuna probabilità di ritorno, quella lonta-
nanza che fin allora le era stata così amara, le parve ora una
disposizione della Provvidenza, che avesse fatti andare in-
sieme i due avvenimenti per un fine solo; e si studiava di
trovar nell' uno la ragione d' esser contenta dell' altro. E
dietro a quel pensiero, s'andava figurando ugualmente che
quella Provvidenza medesima, per compir 1' opera, saprebbe
trovar la maniera di far che Renzo si rassegnasse anche lui,
non pensasse più .... Ma una tale idea, appena trovata, mise
sottosopra la mente eh' era andata a cercarla. La povera
Lucia, sentendo che il cuore era lì lì per pentirsi, ritornò alla
preghiera, alle conferme, al combattimento, dal quale s'alzò,
se ci si passa quest' espressione , come il vincitore stanco e
ferito, di sopra il nemico abbattuto : non dico ucciso.
Tutt' a un tratto , si sente uno scalpiccio e un chiasso di
voci allegre. Era la famigliola che tornava di chiesa. Due
bambinette e un fanciullo entran saltando; si fermano un
momento a dare un' occhiata curiosa a Lucia, poi corrono alla
mamma, e le s'aggruppano intorno; chi domanda il nome
deh" ospite sconosciuta, e il come e il perchè; chi vuol rac-
contar le maraviglie vedute; la buona donna risponde a tutto
e a tutti con un «zitti, zitti.» Entra poi, con un passo più
quieto, ma con una premura cordiale dipinta in viso, il pa-
drone di casa. Era, se non l'abbiamo ancor detto, il sarto
del villaggio, e de' contorni ; un uomo che sapeva leggere, che
aveva letto infatti più d' una volta il Leggendario de' Santi,
il Guerrin meschino e i Reali di Francia, e passava in quelle
parti, per un uomo di talento e di scienza: lode però che
rifiutava modestamente, dicendo soltanto che aveva sbagliato
la vocazione; e che se fosse andato agli studi, invece di tan-
t' altri ... ! Con questo, la miglior pasta del mondo. Essen-
304 I PROMESSI SPOSI.
dosi trovato presente quando sua moglie era stata pregata
dal curato d' intraprendere quel viaggio caritatevole , non solo
ci aveva data la sua approvazione, ma le avrebbe fatto corag-
gio, se ce ne fosse stato bisogno. E ora che la funzione, la
pompa, il concorso, e soprattutto la predica del cardinale
avevano, come si dice, esaltati tutti i suoi buoni sentimenti,
tornava a casa con un' aspettativa , con un desiderio ansioso
di sapere come la cosa fosse riuscita, e di trovare la povera
innocente salvata.
«Guardate un poco,» gli disse, al suo entrare, la buona
donna, accennando Lucia; [la quale fece il viso rosso, s'alzò,
e cominciava a balbettar qualche scusa. Ma lui, avvicinato-
sele, l'interruppe facendole una gran festa, e esclamando:
cben venuta, ben venuta! Siete la benedizione del cielo in
questa casa. Come son contento di vedervi qui! Già ero si-
curo che sareste arrivata a buon porto; perchè non ho mai
trovato che il Signore abbia cominciato un miracolo senza fi-
nirlo bene; ma son contento di vedervi qui! Povera giovine!
Ma è però una gran cosa d'aver ricevuto un miracolo!»
Né si creda che fosse lui il solo a qualificar così quell' av-
venimento, perchè aveva letto il Leggendario: per tutto il
paese e per tutt' i contorci non se ne parlò con altri termini,
fin che ce ne rimase la memoria. E, a dir la verità, con le
frange che vi s'attaccarono, non gli poteva convenire altro
nome.
Accostatosi poi passo passo alla moglie, che staccava il
calderotto dalla catena, le disse sottovoce: «è andato bene
ogni cosa?»
«Benone: ti racconterò poi tutto.»
«Sì, sì, con comodo.»
Messo poi subito in tavola, la padrona andò a prender
Lucia, ve l'accompagnò, la fece sedere; e staccata un'ala di
quel cappone, gliela mise davanti; si mise a sedere anche
lei e il marito, facendo tutt' e due coraggio all'ospite abbat-
tuta e vergognosa, perchè mangiasse. Il sarto cominciò, ai
primi bocconi, a discorrere con grand' enfasi, in mezzo alle
interruzioni de' ragazzi , che mangiavano intorno alla tavola,
e che in verità avevano viste troppe cose straordinarie, per
fare alla lunga la sola parte d' ascoltatori. Descriveva le ce-
rimonie solenni, poi saltava a parlare della conversione mi-
racolosa. Ma ciò che gli aveva fatto più impressione, e su
cui tornava più spesso, era la predica del cardinale.
«A vederlo lì davanti all'altare,» diceva, «un signore di
quella sorte, come un curato . . . .»
«E quella cosa d'oro che aveva in testa . . . .» diceva una
bambinetta.
«Sta zitta. A pensare, dico, che un signore di quella sorte,
CAPITOLO XXIV. 305
e un uomo tanto sapiente, che a quel che dicono, ha letto
tutti i libri che ci sono, cosa a cui non è mai arrivato nessun
altro, né anche in Milano; a pensare che sappia adattarsi
a dir quelle cose in maniera che tutti intendano . . . .»
«Ho inteso anch' io,» disse 1' altra chiacchierina.
«Sta zitta! cosa vuoi avere inteso, tu?»
«Ho inteso che spiegava il Vangelo invece del signor
curato.»
«Sta zitta. Non dico chi sa qualche cosa; che allora uno
è obbligato a intendere; ma anche i più duri di testa, i più
ignoranti, andavan dietro al filo del discorso. Andate ora a
domandar loro se saprebbero ripeter le parole che diceva:
si; non ne ripescherebbero una; ma il sentimento lo hanno
qui. E senza mai nominare quel signore, come si capiva che
voleva parlar di lui! E poi, per capire sarebbe bastato os-
servare quando aveva le lacrime agli occhi. E allora tutta
la gente a piangere . . . .»
«È proprio vero,» scappò fuori il fanciullo: «ma perchè
piangevan tutti a quel modo, come bambini?»
«Sta zitto. E sì che e' è de' cuori duri in questo paese.
E ha fatto proprio vedere che, benché ci sia la carestia, bi-
sogna ringraziare il Signore ed esser contenti: far quel che
si può, industriarsi, aiutarsi, e poi esser contenti. Perchè la
disgrazia non è il patire e l'esser poveri; la disgrazia è il
far del male. E non son belle parole; perchè si sa che an-
che lui vive da pover uomo, e si leva il pane di bocca per
darlo agli affamati; quando potrebbe far vita scelta, meglio
di chi si sia. Ah! allora un uomo dà soddisfazione a sen-
tirlo discorrere; non come tant' altri, fate quello che dico, e
non fate quel che fo. E poi ha fatto proprio vedere che an-
che coloro che non son signori, se hanno più del necessario,
sono obbligati di farne parte a chi patisce.»
Qui interruppe il discorso da sé, come sorpreso da un
pensiero. Stette un momento; poi mise insieme un piatto
delle vivande eh' eran sulla tavola, e aggiuntovi un pane, mise
il piatto in un tovagliolo, e preso questo per le quattro coc-
che, disse alla bambinetta maggiore: «piglia qui.» Le diede
nell' altra mano un fiaschetto di vino, e soggiunse : «va qui
da Maria vedova; lasciale questa roba, e dille che è per
stare un po' allegra co' suoi bambini. Ma con buona ma-
niera, ve'; che non paia che tu le faccia l'elemosina. E
non dir niente, se incontri qualcheduno; e guarda di non
rompere.»
Lucia fece gli occhi rossi, e sentì in cuore una tenerezza
ricreatrice; come già da' discorsi di prima aveva ricevuto un
sollievo che un discorso fatto apposta non le avrebbe potuto
darò. L' animo attirato da quelle descrizioni, da quelle fan-
Manzoni. 20
306 I PROMESSI SPOSI.
tasie di pompa, da quelle commozioni di pietà e di mara-
viglia, preso dall' entusiasmo medesimo del narratore, si stac-
cava da' pensieri dolorosi di sé; e anche ritornandoci sopra,
si trovava più forte contro di essi. Il pensiero stesso del
gran sacrifizio, non già che avesse perduto il suo amaro, ma
insiem con esso aveva un non so che d' una gioia austera e
solenne.
Poco dopo, entrò il curato del paese, e disse d' esser man-
dato dal cardinale a informarsi di Lucia, ad avvertirla che
monsignore voleva vederla in quel giorno, e a ringraziare in
suo nome il sarto e la moglie. E questi e quella, commossi
e confusi, non trovavan parole per corrispondere a tali di-
mostrazioni d' un tal personaggio.
«E vostra madre non è ancora arrivata?-) disse il curato
a Lucia.
«Mia madre!) esclamò questa. Dicendole poi il curato,
che 1' aveva mandata a prendere, d'ordine dell'arcivescovo,
si mise il grembiule agli occhi, e diede in un dirotto pianto,
che durò un pezzo dopo che fu andato via il curato. Quando
poi gli affetti tumultuosi che le si erano suscitati a queir an-
nunzio, cominciarono a dar luogo a pensieri più posati, la
poverina si ricordò che quella consolazione allora così vicina,
di riveder la madre, una consolazione così inaspettata poche
ore prima, era stata da lei espressamente implorata in quel-
1' ore terribili, e messa quasi come una condizione al voto.
Fatemi tornar salva con mia madre, aveva detto; e queste
parole le ricomparvero ora distinte nella memoria. Si con-
fermò più che mai nel proposito di mantener la promessa, e
si fece di nuovo, e più amaramente scrupolo di quel povera
me! che le era scappato detto tra sé, nel primo momento.
Agnese infatti, quando si parlava di lei, era già poco lon-
tana. È facile pensare come la povera donna fosse rimasta,
a quell'invito così inaspettato, e a quella notizia, necessaria-
mente tronca e confusa, d'un pericolo, si poteva dir, cessato,
ma spaventoso: d'un caso terribile, che il messo non sapeva
né circostanziare né spiegare; e lei non aveva a che attac-
carsi per ispiegarlo da sé. Dopo essersi cacciate le mani
ne' capelli, dopo aver gridato più volte: "ah Signore! ah Ma-
donna!^ dopo aver fatte al messo varie domande, alle quali
questo non sapeva che rispondere, era entrata in fretta e in
furia nel baroccio, continuando per la strada a esclamare e
interrogare, senza profitto. Ma, a un certo punto, aveva in-
contrato don Abbondio che veniva adagio adagio, mettendo
avanti, a ogni passo, il suo bastone. Dopo un «oh!» di
tutt' e due le parti, lui s' era fermato, lei aveva fatto fermare,
ed era smontata, e s' eran tirati in disparte in un castagneto
che costeggiava la strada. Don Abbondio 1' aveva ragguagliata
CAPITOLO XXIV. 307
di ciò che aveva potuto sapere e dovuto vedere. La cosa non
era chiara: ma almeno Agnese fu assicurata che Lucia era
affatto in salvo; e respirò.
Dopo, don Abbondio era voluto entrare in un altro di-
scorso, e darle una lunga istruzione sulla maniera di rego-
larsi con l'arcivescovo, se questo, com'era probabile, avesse
desiderato di parlar con lei e con la figliuola; e soprattutto
che non conveniva far parola del matrimonio Ma Agnese,
accorgendosi che il brav' uomo non parlava che per il suo
proprio interesse, l'aveva piantato senza promettergli, anzi
senza risolver nulla; che aveva tutt' altro da pensare. E s'era
rimessa in istrada.
Finalmente il baroccio arriva, e si ferma alla casa del
sarto. Lucia s'alza precipitosamente; Agnese scende, e den-
tro di corsa; sono nelle braccia 1' una dell'altra. La moglie
del sarto, eh' era la sola che si trovava lì presente, fa co-
raggio a tutt' e due, le acquieta, si rallegra con loro, e poi,
sempre discreta, le lascia sole, dicendo che andava a prepa-
rare un letto per loro; che aveva il modo, senza incomodarsi;
ma che, in ogni caso, tanto lei, come suo marito, avrebbero
piuttosto voluto dormire in terra, che lasciarle andare a cer-
care un ricovero altrove.
Passato quel primo .sfogo d' abbracciamenti e di singhiozzi,
Agnese volle sapere i casi di Lucia, e questa si mise affan-
nosamente a raccontarglieli. Ma, come il lettore sa, era una
storia che nessuno la conosceva tutta; e per Lucia stessa e' e-
ran delle parti oscure, inesplicabili affatto. E principalmente
quella fatale combinazione d' essersi la terribile carrozza tro-
vata lì sulla strada, per 1' appunto quando Lucia vi passava
per un caso straordinario: su di che la madre e la figlia fa-
cevan cento congetture, senza mai dar nel segno, anzi senza
neppur andarci vicino.
In quanto all' autor principale della trama, tanto 1' una che
1' altra non potevano fare a meno di non pensare che fosse
don Rodrigo.
«Ah anima nera! ah tizzone d' inferno !» esclamava Agnese:
«ma verrà la sua ora anche per lui. Domeneddio lo pagherà
secondo il merito; e allora proverà anche lui .... )
«No, no, mamma; no!» interruppe Lucia: «non gli au-
gurate di patire, non 1' augurate a nessuno! Se sapeste cosa
sia patire! Se aveste provato! No, no! preghiamo piuttosto
Dio e la Madonna per lui: che Dio gli tocchi il cuore, come
ha fatto a quest'altro povero signore, ch'era peggio di lui;
e ora è un santo.»
Il ribrezzo che Lucia provava nel tornare sopra memorie
così recenti e così crudeli, la fece più d' una volta restare a
mezzo; più d'una volta disse che non le bastava l'animo di
20*
308 1 PROMESSI SPOSI.
continuare, e dopo molte lacrime riprese la parola a stento.
Ma un sentimento diverso la tenne sospesa, a un certo punto
del racconto: quando fu al voto. Il timore che la madre le
desse dell'imprudente e della precipitosa; e che, come aveva
fatto neh" affare del matrimonio, mettesse in campo qualche
sua regola larga di coscienza, e volesse fargliela trovar giu-
sta per forza; o che, povera donna, dicesse la cosa a qualche-
duno in confidenza, se non altro per aver lume e consiglio,
e la facesse così divenir puhhlica, cosa che Lucia, solamente
a pensarci, si sentiva venire il rosso; anche una certa ver-
gogna della madre stessa, una ripugnanza inesplicabile a en-
trare in quella materia; tutte queste cose insieme fecero che
nascose quella circostanza importante, proponendosi di farne
prima la confidenza al padre Cristoforo. Ma come rimase
allorché, domandando di lui, si sentì rispondere che non e' era
più, eh' era stato mandato in un paese lontano lontano, in un
paese che aveva un certo nome!
«E Renzo?» disse Agnese.
«È in salvo, n' è vero?» disse ansiosamente Lucia.
«Questo è sicuro, perchè tutti lo dicono; si tien per certo
che si sia ricoverato sul bergamasco; ma il luogo proprio nes-
suno lo sa dire: e lui finora non ha mai fatto saper nulla.
Che non abbia ancora trovata la maniera.»
"Ah, se è in salvo, sia ringraziato il Signore!» disse
Lucia; e cercava di cambiar discorso; quando il discorso fu
interrotto da una novità inaspettata: la comparsa del cardi-
nale arcivescovo.
Questo, tornato di chiesa, dove 1' abbiam lasciato , sentito
dall' innominato che Lucia era arrivata, sana e salva, era an-
dato a tavola con lui, facendoselo sedere a destra, in mezzo
a una corona di preti, che non potevano saziarsi di dare oc-
chiate a quell' aspetto così ammansato senza debolezza, così
umiliato senza abbassamento, e ^11 paragonarlo con l' idea che
da lungo tempo s' eran fatta del personaggio.
Finito di desinare, loro due s' eran ritirati di nuovo in-
sieme. Dopo un colloquio che durò molto più del primo,
l? innominato era partito per il suo castello, su quella stessa
mula della mattina; e il cardinale, fatto chiamare il curato,
gli aveva detto che desiderava d' esser condotto alla casa do-
v' era ricoverata Lucia.
«Oh! monsignore,» aveva risposto il curato, «non s' inco-
modi: manderò io subito ad avvertire che venga qui la gio-
vine, la madre, se è arrivata, anche gli ospiti, se mon-
signore li vuole, tutti quelli che desidera vossignoria illu-
strissima.»
«Desidero d' andar io a trovarli,» aveva replicato Fe-
derigo.
CAPITOLO XXIV.
309
((Vossignorìa illustrissima non deve incomodarsi: manderò
io subito a chiamarli: è cosa d'un momento,» aveva insistito
il curato guastamestieri (buon uomo del resto), non intenden-
do che il cardinale voleva con quella visita rendere onore al-
la sventura, all' innocenza, all' ospitalità e al suo proprio mi-
nistero in un tempo. Ma. avendo il superiore espresso di
nuovo il medesimo desiderio, l'inferiore s'inchinò e si
mosse.
Quando i due personaggi furon veduti spuntar nella stra-
da, tutta la gente che e' era andò verso di loro: e in pochi
momenti n'accorse da ogni parte, camminando loro ai fian-
chi chi poteva, e gli altri dietro, alla rinfusa. Il curato ba-
dava a dire: «via, indietro, ritiratevi; ma! ma!» Federigo
gli diceva: «lasciateli fare,» e andava avanti, ora alzando
la mano a benedir la gente, ora abbassandola ad accarezzare
i ragazzi che gli venivan tra' piedi. Così arrivarono alla ca-
sa, e c'entrarono: la folla rimase ammontata al di fuori.
Ma nella folla si trovava anche il sarto, il quale era andato
dietro come gli altri, con gli occhi fissi e con la bocca aper-
ta, non sapendo dove si riuscirebbe. Quando vide quel dove
inaspettato, si fece far largo, pensate con che strepito, gri-
dando e rigridando: «lasciate passare chi ha da passare;»
e entrò.
Agnese e Lucia sentirono un ronzìo crescente nella strada,
mentre pensavano cosa potesse essere, videro 1" uscio spalan-
carsi, e comparire il porporato col parroco.
«È quella?» domandò il primo al secondo; e, a un cenno
affermativo, andò verso Lucia, eh" era rimasta lì con la ma-
dre, tutt' e due immobili e mute dalla sorpresa e dalla ver-
gogna. Ma il tono di quella voce, l'aspetto, il contegno, e
soprattutto le parole di Federigo 1' ebbero subito rianimate.
(Povera giovine,» cominciò: «Dio ha permesso che foste messa
a una gran prova; ma v'ha anche fatto vedere che non aveva
levato 1' occhio da voi, che non v' aveva dimenticata. V ha
rimessa in salvo: es'è servito di voi per una grand' opera,
per fare una gran misericordia a uno, e per sollevar molti
nello stesso tempo.»
Qui comparve nella stanza la padrona, la quale, al rumore,
s' era affacciata anch' essa alla finestra , e avendo veduto chi
le entrava in casa, aveva sceso le scale, di corsa, dopo
essersi raccomodata alla meglio; e quasi nello stesso tempo,
entrò il sarto da un altr' uscio. Vedendo avviato il discorso,
andarono a riunirsi in un canto, dove rimasero con gran ri-
spetto. Il cardinale, salutatili cortesemente, continuò a par-
lar con le donne, mescolando ai conforti qualche domanda,
per veder se nelle risposte potesse trovar qualche congiuntura
di far del bene a chi aveva tanto patito.
310 I PROMESSI SPOSI.
'Bisognerebbe che tutti i preti fossero come vossignoria,
che tenessero un po' dalla parte de' poveri, e non aiutassero
a metterli in imbroglio, per cavarsene loro,» disse Agnese,
animata dal contegno così famigliare e amorevole di Federi-
go, e stizzita dal pensare che il signor don Abbondio, dopo
aver sempre sacrificati gli altri, pretendesse poi anche d' im-
pedir loro un piccolo sfogo, un lamento con chi era al di
sopra di lui, quando, per un caso raro, n" era venuta 1" occa-
sione.
«'Dite pure tutto quel che pensate,» disse il cardinale:
«parlate liberamente.)
"Voglio dire che, se il nostro signor curato avesse fatto
il suo dovere, la cosa non sarebbe andata così.
Ma facendone il cardinale nuove istanze perchè si spiegasse
meglio, quella cominciò a trovarsi impicciata a dover raccon-
tare una storia nella quale aveva anch' essa una parte che
non si curava di far sapere, specialmente a un tal personag-
gio. Trovò però il verso d' accomodarla con un piccolo stral-
cio: raccontò del matrimonio concertato, del rifiuto di don
Abbondio, non lasciò fuori il pretesto de' superiori che lui
aveva messo in campo (ah, Agnese!); e saltò ali" attentato
di don Rodrigo, e come essendo stati avvertiti, avevano po-
tuto scappare. «Ma sì,» soggiunse e concluse: ('scappare
per inciamparci di nuovo. Se invece il signor curato ci avesse
detto sinceramente la cosa, e avesse subito maritati i miei po-
veri giovani, noi ce n'andavamo via subito, tutti insieme, di
nascosto, lontano, in luogo che né anche 1' aria non 1' avrebbe
saputo. Così s'è perduto tempo; ed è nato quel che è nato.»
di signor curato mi renderà conto di questo fatto,- di-se
il cardinale.
«No, signore, no, signore.» disse subito Agnese: «non ho
parlato per questo: non lo gridi, perchè già quel che è stato
è stato; e poi non serve a nulla: è un uomo fatto così: tor-
nando il caso, farebbe lo stesso.»
Ma Lucia, non contenta di quella maniera di raccontar la
storia, soggiunse: «anche noi abbiamo fatto del male: si
vede che non era la volontà del Signore che la cosa dovesse
riuscire.»
(Che male avete potuto far voi, povera giovine?» disse
Federigo.
Lucia, malgrado gli occhiacci che la madre cercava di
farle alla sfuggita, raccontò la storia del tentativo fatto in
casa di don Abbondio: e concluse dicendo: «abbiam fatto
male: e Dio ci ha castigati.»
(Prendete dalla sua mano i patimenti che avete sofferti,
e state di buon animo.- disse Federigo: (perchè chi avrà
CAPITOLO XXIV. 311
ragione di rallegrarsi e di sperare, se con chi ha patito, e
pensa ad accusar sé medesimo?»
Domandò allora dove fosse il promesso sposo, e sentendo
da Agnese (Lucia stava zitta, con la testa e gli occhi bassi)
eh' era scappato dal suo paese, ne provò e ne mostrò mara-
viglia e dispiacere; e voIIp sapere il perche,
Agnese raccontò alla meglio tutto quel poco che sapeva
della storia di Renzo.
«Ho sentito parlare di questo giovine,» disse il cardinale;
«ma come mai uno che si trovò involto in affari di quella
sorte, poteva essere in trattato di matrimonio con una ra-
gazza così?»
«Era un giovine dabbene,» disse Lucia, facendo il viso
rosso, ma con voce sicura.
«Era un giovino quieto fin troppo.» soggiunse Agnese:
«e questo lo può domandare a chi si sia. anche al signor
curato. Chi sa che imbroglio avranno fatto laggiù, che cabale?
I poveri, ci vuol poco a farli comparir birboni.»
«È vero pur troppo,» disse il cardinale: «m'informerò
di lui senza dubbio:» e fattosi dire nome e cognome del gio-
vine, ne prese 1" appunto sur un libriccin di memorie. Ag-
giunse poi che contava di portarsi al loro paese tra pochi
giorni, che allora Lucia potrebbe venir là senza timore, e
che intanto penserebbe lui a provvederla d' un luogo dove
potesse esser al sicuro, fin che ogni cosa fosse accomodata
per il meglio.
Si voltò quindi ai padroni di casa, che vennero subito
avanti. Rinnovò i ringraziamenti che aveva fatti fare dal cu-
rato, e domandò se sarebbero stati contenti di ricoverare, per
que' pochi giorni, le ospiti che Dio aveva loro mandate.
«Oh! sì signore,» rispose la donna, con un tono di voce
e con un viso eh' esprimeva molto più di quell' asciutta rispo-
sta, strozzata dalla vergogna. Ma il marito, messo in orga-
smo dalla presenza d' un tale interrogatore, dal desiderio di
farsi onore in un' occasion di tanta importanza, studiava an-
siosamente qualche bella risposta. Raggrinzò la fronte, torse
gli occhi in traverso, strinse le labbra, tese a tutta forza
l'arco dell'intelletto, cercò, frugò, sentì di dentro un cozzo
d' idee, monche e di mezze parole: ma il momento stringeva:
il cardinale accennava già d'avere interpretato il silenzio: il
pover' uomo aprì la bocca, e disse: «si figuri!» Altro non
gli volle venire. Cosa, di cui non solo rimase avvilito sul
momento; ma sempre poi quella rimembranza importuna gli
guastava la compiacenza del grand' onore ricevuto. E quante
volte, tornandoci sopra, e rimettendosi col pensiero in quella
circostanza, gli venivano in mente, quasi per dispetto, parole
che tutte sarebbero state meglio di quell'insulso si figari!
312 I PEOMESSI SPOSI.
Ma, come dice un antico proverbio, del senno di poi ne son
piene le fosse.
Il cardinale partì, dicendo: «la benedizione del Signore
sia sopra questa casa.»
Domandò poi la sera al curato come si sarebbe potuto in
modo convenevole ricompensare quel!' uomo, che non doveva
esser ricco, dell' ospitalità costosa, specialmente in que' tempi.
Il curato rispose che, per verità, né i guadagni della profes-
sione, né le rendite di certi campicelli, che il buon sarto
aveva del suo, non sarebbero bastate, in quell' annata, a met-
terlo in istato d'essere liberale con gli altri; ma che, avendo
fatto degli avanzi negli anni addietro, si trovava de' più agiati
del contorno, e poteva far qualche spesa di più, senza dis-
sesto, come certo faceva questa volentieri; e che del rima-
nente, non ci sarebbe stato verso di fargli accettare nessuna
ricompensa.
«Avrà probabilmente,» disse il cardinale, «crediti con
gente che non può pagare.»
«Pensi, monsignore illustrissimo; questa povera gente pa-
ga con quel che le avanza della raccolta: l'anno scorso, non
avanzò nulla; in questo, tutti rimangono indietro del neces-
sario.»
«Ebbene,» disse Federigo: «prendo io sopra di me tutti
quei debiti; e voi mi farete il piacere d'aver da lui la nota
delle partite, e di saldarle.»
«Sarà una somma ragionevole.»
«Tanto meglio; e avrete pur troppo di quelli ancor più
bisognosi, che non hanno debiti perchè non trovan cre-
denza.»
«Eh, pur troppo! Si fa quel che si può; ma come arri-
vare a tutto, in tempi di questa sorte?»
«Fate che lui li vesta a mio conto, e pagatelo bene. Ve-
ramente, in quesf anno, mi par rubato tutto ciò che non va
in pane; ma questo è un caso particolare.»
Non vogliam però chiudere la storia di quella giornata,
senza raccontar brevemente come la terminasse l 'innominato.
Questa volta la nuova della sua conversione V aveva pre-
ceduto nella valle; vi s'era subito sparsa, e aveva messo per
tutto uno sbalordimento, un'ansietà, un cruccio, un susurro.
Ai primi bravi o servitori (era tutt' uno) che vide, accennò
che lo seguissero; e così di mano in mano. Tutti venivan
dietro, con una sospensione nuova, e con la suggezione solita;
finché, con un seguito sempre crescente, arrivò al castello.
Accennò a quelli che si trovavan sulla porta, che gli venissero
dietro con gli altri; entrò nel primo cortile, andò verso il
mezzo, e lì, essendo ancora a cavallo, mise un suo grido
tonante; era il segno usato, al quale accorrevano tutti que' suoi
CAPITOLO XXIV. 313
che l'avessero sentito. In un momento, quelli ch'erano
sparsi per il castello, vennero dietro alla voce, e s'univano
ai già radunati, guardando tutti il padrone.
cAndate ad aspettarmi nella sala grande,» disse loro: e
dall' alto della sua cavalcatura, gli stava a veder partire. Ne
scese poi, la menò lui stesso alla stalla , e andò dov' era
aspettato. Al suo apparire, cessò subito un gran bisbiglio
che c'era; tutti si ristrinsero da una parte, lasciando vóto
per lui un grande spazio della sala: potevano essere una
trentina.
L' innominato alzò la mano, come per mantener quel si-
lenzio improvviso; alzò la testa, che passava tutte quelle del-
la brigata, e disse: (.ascoltate tutti, e nessuno parli, se non
è interrogato. Figliuoli! la strada per la quale siamo andati
finora, conduce nel fondo dell' inferno. Non è un rimprovero
ch'io voglia farvi, io che sono avanti a tutti, il peggiore di
tutti; ma sentite ciò che v'ho da dire. Dio misericordioso
m' ha chiamato a mutar vita : e io la muterò ; 1' ho già muta-
ta; così faccia con tutti voi. Sappiate dunque, e tenete per
fermo che son risoluto di prima morire che far più nulla
contro la sua santa legge. Levo a ognun di voi gli ordini
scellerati che avete da me; voi m'intendete: anzi vi comando
di non far nulla di ciò che v* era comandato. E tenete per
fermo ugualmente, che nessuno da qui avanti, potrà far del
male con la mia protezione, al mio servizio. Chi vuol restare
a questi patti, sarà per me come un figliuolo: e mi troverei
contento alla fine di quel giorno, in cui non avessi mangiato
per satollar 1' ultimo di voi, con 1' ultimo pane che mi rima-
nesse in casa. Chi non vuole, gli sarà dato quello che gli è
dovuto di salario, e un regalo di più: potrà andarsene; ma
non metta più piede qui: quando non fosse per mutar vita;
che per questo sarà sempre ricevuto a braccia aperte. Pen-
sateci questa notte: domattina vi chiamerò, a uno a uno, a
darmi la risposta; e allora vi darò nuovi ordini. Per ora ri-
tiratevi, ognuno al suo posto. E Dio che ha usato con me
tanta misericordia, vi mandi il buon pensiero.»
Qui finì, e tutto rimase in silenzio. Per quanto vari e tu-
multuosi fossero i pensieri che ribollivano in quei cervellacci
non ne apparve di fuori nessun segno. Erano avvezzi a pren-
der la voce del loro signore come la manifestazione d" una
volontà con la quale non c'era da ripetere; e quella voce,
annunziando che la volontà era mutata, non dava punto indi-
zio che fosse indebolita. A nessuno di loro passò neppur per
la mente che, per esser lui convertito, si potesse prendergli
il sopravvento, rispondergli come a un altr' uomo. Vedevano
in lui un santo, ma uno di que' santi che si dipingono con
la testa alta, e con la spada in pugno. Oltre il timore ave-
311 I PROMESSI SPOSI.
vano anche per lui (principalmente quelli eh' eran nati sul suo,
ed erano ima gran parte) un' affezione come d' uomini ligi :
avevan poi tutti una benevolenza d'ammirazione; e alla sua
presenza sentivano una specie di quella, dirò pur così, vere-
condia, che anche gli animi più zotici e più petulanti provano
davanti a una superiorità che hanno già riconosciuta. Le cose
poi che allora avevan sentite da quella bocca, erano bensì
odiose a' loro orecchi, ma non false né affatto estranee ai loro
intelletti: se mille volte se n' eran fatti beffe, non era già
perchè non le credessero, ma per prevenir con le beffe la
paura che gliene sarebbe venuta, a pensarci sul serio. E
ora, a veder V effetto di quella paura in un animo come quello
del loro padrone, chi più, chi meno, non ce ne fu uno che
non gli se n'attaccasse, almeno per qualche tempo. S'ag-
giunga a tutto ciò. che quelli tra loro che, trovandosi la mat-
tina fuor della valle, avevan risaputa per i primi la gran nuova,
avevano insieme veduto, e avevano anche riferito la gioia, la
baldanza della popolazione, l'amore e la venerazione per
l'innominato, ch'erano entrati in luogo dell'antico odio e
dell' antico terrore. Di maniera che, nell' uomo che avevan
sempre riguardato, per dir così, di basso in alto, anche
quando loro medesimi erano in gran parte la sua forza, vede-
vano ora la maraviglia, l' idolo d'una moltitudine; lo vedevano
al di sopra degli altri, ben diversamente di prima, ma non
meno ; sempre fuori della schiera comune, sempre capo.
Stavano adunque sbalorditi, incerti 1' uno dell' altro, e
ognun di sé. Chi si rodeva, chi faceva disegni del dove sa-
rebbe andato a cercar ricovero e impiego; chi s'esaminava
se avrebbe potuto adattarsi a diventar galantuomo ; chi anche,
tocco da quelle parole, se ne sentiva una certa inclinazione;
chi, senza risolver nulla, proponeva di prometter tutto a buon
conto, di rimaner intanto a mangiare quel pane offerto così
di buon cuore, e allora così scarso, e d'acquistar tempo:
nessuno fiatò. E quando l'innominato, alla fine delle sue
parole, alzò di nuovo quella mano imperiosa per accennar
che se n'andassero, quatti quatti, come un branco di pecore,
tutti insieme se la batterono. Uscì anche lui. dietro a loro,
e, piantatosi prima nel mezzo del cortile, stette a vedere al
barlume come si sbrancassero, e ognuno s'avviasse al suo
posto. Salito poi a prendere una sua lanterna, girò di nuovo
i cortili, i corridoi, le sale, visitò tutte 1' entrature, e, quando
vide ch'era tutto quieto, andò finalmente a dormire. Sì, a
dormire: perchè aveva sonno.
Affari intralciati, e insieme urgenti, per quanto ne fosse
sempre andato in cerca, non se n'era mai trovati addosso
tanti, in nessuna congiuntura, come allora; eppure aveva
sonno. I rimorsi che gliel avevan levato la notte avanti, non
CAPITOLO XXIV. 315
che essere acquietati, mandavano anzi grida più alte, più se-
vere, più assolute; eppure aveva sonno. L'ordine, la specie
di governo stabilito là dentro da lui in tant'anni, con tante
cure, con un tanto singolare accoppiamento d' audacia e di
perseveranza, ora l'aveva lui medesimo messo in forse, con
poche parole; la dipendenza illimitata di que' suoi, quel loro
esser disposti a tutto, quella fedeltà da masnadieri, sulla
quale era avvezzo da tanto tempo a riposare, 1' aveva ora
smossa lui medesimo ; i suoi mezzi, gli aveva fatti diventare
un monte d'imbrogli, s'era messa la confusione e l'incertezza
in casa; eppure aveva sonno.
Andò dunque in camera, s' accostò a quel letto in cui la
notte avanti aveva trovate tante spine: e vi s'inginocchiò ac-
canto, con l' intenzione di pregare. Trovò in fatti in un can-
tuccio riposto e profondo della mente, le preghiere ch; era
stato ammaestrato a recitar da bambino; cominciò a recitarle,
e quelle parole, rimaste lì tanto tempo ravvolte insieme, ve-
nivano l' una dopo l' altra come sgomitolandosi. Provava in
questo un misto di sentimenti indefinibile; una certa dolcezza
in quel ritorno materiale all' abitudini dell' innocenza; un
inasprimento di dolore al pensiero dell' abisso che aveva
messo tra quel tempo e questo; un ardore d'arrivare, con
opere di espiazione, a una coscienza nuova, a uno stato il
più vicino all'innocenza, a cui non poteva tornare; una ri-
conoscenza, una fiducia in quella misericordia che lo poteva
condurre a quello stato, e che gli aveva già dati tanti segni
di volerlo. Rizzatosi poi, andò a letto, e s' addormentò im-
mediatamente.
Così terminò quella giornata, tanto celebre ancora quando
scriveva il nostro anonimo; e ora se non era lui, non se ne
saprebbe nulla, almeno de' particolari; giacche il Ripamonti
e il Ri vola, citati di sopra, non dicono se non che quel sì
segnalato tiranno, dopo un abboccamento con Federigo, mutò
mirabilmente vita, e per sempre. E quanti son quelli che
hanno letto i libri di que' due? Meno ancora di quelli che
leggeranno il nostro. E chi sa se, nella valle stessa, chi
avesse voglia di cercarla, e 1' abilità di trovarla, sarà rimasta
qualche stracca e confusa tradizione del fatto? Son nate
tante cose da quel tempo in poi!
110 I PROMESSI SPOSI.
CAPITOLO XXV.
Il giorno seguente, nel paesetto di Lucia e in tutto il ter-
ritorio di Lecco, non si parlava che di lei, dell'innominato,
dell" arcivescovo e d' un altro tale, che. quantunque gli pia-
cesse molto d" andar per le bocche degli uomini , n' avrebbe
in quella congiuntura, fatto volentieri di meno: vogliam dire
il signor don Rodrigo.
Non già che prima d'allora non si parlasse de' fatti suoi:
ma eran discorsi rotti, segreti : bisognava che due si conosces-
sero bene bene tra di loro, per aprirsi sur un tale argomento.
E anche, non ci mettevano tutto il sentimento di che sareb-
bero stati capaci: perchè gli uomini, generalmente parlando,
quando 1" indegnazione non si possa sfogare senza grave pe-
ricolo, non solo dimostran meno, o tengono affatto in sé quella
che sentono, ma ne senton meno in effetto. Ma ora, chi si
sarebbe tenuto d' informarsi, e di ragionare d; un fatto così
strepitoso, in cui s' era visto la mano del cielo, e dove face-
van buona figura due personaggi tali? uno, in cui un amore
della giustizia tanto animoso andava unito a tanta autorità;
1* altro, con cui pareva che la prepotenza in persona si fosse
umiliata, che la braverìa fosse venuta, per dir così, a render
Tarmi, e a chiedere il riposo. A tali paragoni, il signor-
don Rodrigo diveniva un po' piccino. Allora si capiva da
tutti cosa fosse tormentar V innocenza per poterla disono-
rare, perseguitarla con un' insistenza così sfacciata, con sì
atroce violenza, con sì abborninevoli insidie. Si faceva in
quell'occasione, una rivista di tant' altre prodezze di quel
signore: e su tutto la dicevan come la sentivano, incoraggilo
ognuno dal trovarsi d' accordo con tutti. Era un susurro, un
fremito generale: alla larga però, per ragione di tutti que' bravi
che colui aveva d' intorno.
Una buona parte di quest' odio pubblico cadeva ancora
sui suoi amici e cortigiani. Si rosolava bene il signor pode-
stà, sempre sordo e cieco e muto sui fatti di quel tiranno ; ma
alla lontana anche lui. perchè, se non aveva i bravi, aveva i
birri. Col dottor Azzecca-garbugli, che non aveva se non
chiacchiere e cabale, e con altri cortigianelli suoi pari, non
s'usava tanti riguardi: eran mostrati a dito, e guardati con
occhi torti: di maniera che per qualche tempo, stimaron bene
di non farsi vedere per le strade.
Don Rodrigo, fulminato da quella notizia così impensata,
così diversa dall' avviso che aspettava di giorno in giorno, di
momento in momento, stette rintanato nel suo palazzotto, solo
co' suoi bravi, a rodersi, per due giorni; il terzo, partì per
CAPITOLO XXV.
317
Milano. Se non fosse stato altro che quel mormoracchiare
della gente, forse, poiché le cose erano andate tant' avanti,
sarebbe rimasto apposta per affrontarlo, anzi per cercar 1* oc-
casione di dare un esempio a tutti sopra qualcheduno de' più
arditi; ma chi lo cacciò, fu 1' essersi saputo per certo, che il
cardinale veniva anche da quelle parti. Il conte zio, il quale
di tutta quella storia non sapeva se non quello che gli aveva
detto Attilio, avrebbe certamente preteso che, in una congiun-
tura simile, don Rodrigo facesse una gran figura, e avesse in
pubblico dal cardinale le più distinte accoglienze; ora, ognun
vede come ci fosse incamminato. L' avrebbe preteso, e se ne
sarebbe fatto render conto minutamente; perchè era un' oc-
casione importante di far vedere in che stima fosse tenuta la
famiglia da una primaria autorità. Per levarsi da un impic-
cio così noioso, don Rodrigo, alzatosi una mattina prima del
sole, si mise ,in una carrozza col Griso e con altri bravi, di
fuori, davanti e di dietro; e, lasciato l'ordine che il resto
della servitù venisse poi in seguito, partì come un fuggitivo,
come (ci sia un po; lecito di sollevare i nostri persona-,
qualche illustre paragone), come Catilina da Roma, sbuffando,
e giurando di tornar ben presto, in altra comparsa, a far le
sue vendette.
Intanto, il cardinale veniva visitando, a una per giorno, le
parrocchie del territorio di Lecco. Il giorno in cui doveva
arrivare a quella di Lucia, già una gran parte degli abitanti
erano andati sulla strada a incontrarlo. All' entrata del paese,
proprio accanto alla casetta delle nostre due donne, e' era un
arco trionfale, costrutto di stili per il ritto, e di pali per il
traverso, rivestito di paglia e di borraccina, e ornato di rami
verdi di pugnìtopo e d'agrifoglio, distinti di bacche scarlatte:
la facciata della chiesa era parata di tappezzerie; al davan-
zale d' ogni finestra pendevano coperte e lenzoli distesi,
fasce di bambini disposte a guisa di pendoni: tutto quel poco
necessario che fosse atto a fare, o bene o male, figura di
superfluo. Verso le ventidue, ch'era l'ora in cui s'aspet-
tava il cardinale, quelli eh' eran rimasti in casa, vecchi, donne
e fanciulli la più parte, s' avviarono anche loro a incontrarlo,
parte in fila, parte in truppa preceduti da don Abbondio,
uggioso in mezzo a tanta festa, e per il fracasso che lo sbalor-
diva, e per il brulicar della gente innanzi e indietro, che,
come andava ripetendo, gli faceva girar la testa, e per il ro-
dio segreto che le donne avesser potuto cicalare, e dovesse
toccargli a render conto del matrimonio.
Quand' ecco si vede spuntare il cardinale o, per dir me-
glio, la turba in mezzo a cui si trovava nella sua lettiga, col
suo seguito d'intorno; perchè di tutto questo non si vedeva
altro che un indizio in aria, al disopra di tutte le teste, un
318 I PROMESSI SPOSI.
pezzo della croce portata dal cappellano che cavalcava una
mula. La gente che andava con don Abbondio, s' affrettò
alla rinfusa, a raggiunger quell'altra: e lui, dopo aver detto,
tre o quattro volte: «adagio: in fila; cosa fate?» si voltò in-
dispettito; e seguitando a borbottare: <è una babilonia, è una
babilonia,» entrò in chiesa, intanto ch'era vota; e stette lì
ad aspettare.
Il cardinale veniva avanti, dando benedizioni con la mano
e ricevendone dalle bocche della gente, che quelli del seguito
avevano un bel da fare a tenere un po' indietro. Per esser
del paese di Lucia, avrebbe voluto quella gente fare all' ar-
civescovo dimostrazioni straordinarie; ma la cosa non era fa-
cile, perchè era uso che per tutto dove arrivava, tutti facevano
più che potevano. Già sul principio stesso del suo pontificato,
nel primo solenne ingresso in duomo, la calca e l'impeto
della gente addosso a lui era stato tale, da far temere della
sua vita; e alcuni gentiluomini che gli eran più vicini, avevano
sfoderate le spade, per atterrire e respinger la folla. Tanto
c'era in que' costumi di scomposto e di violento, che, anche
nel far dimostrazioni di benevolenza a un vescovo in chiesa,
e nel moderarle, si dovesse andar vicino all' ammazzare. E
quella difesa non sarebbe forse bastata, se il maestro e il sot-
tomaestro delle cerimonie, un Clerici e un Picozzi, giovani
preti che stavan bene di oorpo e d'animo, non l'avessero
alzato sulle braccia, e portato di peso, dalla porta fino al-
l' aitar maggiore. D' allora in poi, in tante visite episcopali
eh' ebbe a fare, il primo entrar nella chiesa si può senza
scherzo contarlo tra le sue pastorali fatiche, e qualche volta
tra i pericoli passati da lui.
Entrò anche in questa come potè; andò all'altare e, dopo
essere stato alquanto in orazione, fece, secondo il suo solito,
un piccol discorso al popolo, sul suo amore per loro, sul suo
desiderio della loro salvezza, e come dovessero disporsi alle
funzioni del giorno dopo. Ritiratosi poi nella casa del par-
roco, tra gli altri discorsi, gli domandò informazione di Pienzo.
Don Abbondio disse eh' era un giovine un po' vivo, un po' te-
stardo, un po' collerico. Ma, a più particolari e precise do-
mande, dovette rispondere eh' era un galantuomo, e che anche
lui non sapeva capire come, in Milano, avesse potuto fare
tutte quelle diavolerie che avevan detto.
«In quanto alla giovine.» riprese il cardinale, «pare
anche a voi che possa ora venir sicuramente a dimorare in
casa sua?»
«Per ora,» rispose don Abbondio, «può venire e starei
come vuole: dico, per ora; ma» soggiunse poi, con un so-
spiro, «bisognerebbe che vossignoria illustrissima fosse sem-
pre qui, o almeno vicino.»
CAPITOLO XXV. 319
'Il Signore è sempre vicino.» disse il cardinale: «del
resto, penserò io a metterla al sicuro.) E diede subito or-
dine che il giorno dopo, di buon' ora si spedisse una lettiga,
con una scorta, a prender le due donne.
Don Abbondio uscì di lì tutto contento che il cardinale
gli avesse parlato de' due giovani, senza chiedergli conto del
suo rifiuto 'di maritarli. — Dunque non sa niente, — diceva
tra sé: — Agnese è stata zitta: miracolo! È vero che
s' hanno a tornare a vedere ; ma le daremo un' altra istru-
zione, le daremo. — E non sapeva il pover' uomo, che Fe-
derigo non era entrato in quell' argomento, appunto perchè
intendeva di parlargliene a lungo in tempo più libero; e, prima
di dargli ciò che gli era dovuto, voleva sentire anche le sue
ragioni.
Ma i pensieri del buon prelato per metter Lucia al sicuro
eran divenuti inutili : dopo che 1" aveva lasciata eran nate delle
cose che dobbiamo raccontare.
Le due donne, in que' pochi giorni eh' ebbero a passare
nella casuccia ospitale del sarto, avevan ripreso, per quanto
avevan potuto, ognuna il suo antico tenor di vita. Lucia
aveva subito chiesto da lavorare: e, come aveva fatto nel mo-
nastero, cuciva, cuciva, ritirata in una stanzina, lontana dagli
occhi della gente. Agnese andava un po' fuori, un pò* lavo-
rava in compagnia della figlia. I loro discorsi eran tanto più
tristi, quanto più affettuosi: tutt" e due eran preparate a una
separazione: giacché la pecora non poteva tornare a star così
vicino alla tana del lupo: e quando, quale, sarebbe il termine
di questa separazione? L'avvenire era oscuro, imbrogliato;
per una di loro principalmente. Agnese tanto ci andava fa-
cendo dentro le sue congetture allegre: che Renzo finalmente,
se non gli era accaduto nulla di sinistro, dovrebbe presto dar
le sue nuove; e se aveva trovato da lavorare e da stabilirsi,
se (e come dubitarne?) stava fermo nelle sue promesse, per-
chè non si potrebbe andare a star con lui? E di tali spe-
ranze, ne parlava e riparlava alla figlia, per la quale non
saprei dire se fosse maggior dolore il sentire, o pena il ri-
spondere. Il suo gran segreto l'aveva sempre tenuto in sé;
e, inquietata bensì dal dispiacere di fare a una madre cosi
buona un sotterfugio, che non era il primo; ma trattenuta
come invincibilmente, dalla vergogna e da' vari timori che
abbiam detto di sopra, andava d' oggi in domani, senza dir
nulla; i suoi disegni eran ben diversi da quelli della madre,
o, per dir meglio, non n'aveva; s'era abbandonata alla Prov-
videnza. Cercava dunque di lasciar cadere, o di stornare
quel discorso; o diceva, in termini generali, di non aver più
speranza, né desiderio di cosa di questo mondo, fuorché il
3Ì0 I PROMESSI SPOSI.
poter presto riunirsi con sua madre; le più volte, il pianto
veniva opportunamente a troncar le parole.
(Sai perchè ti par così?» diceva Agnese: cperchè hai
tanto patito, e non ti par vero che la possa voltarsi in bene.
Ma lascia fare al Signore; e se.... Lascia che si veda un
barlume, appena un barlume di speranza; e allora mi saprai
dire se non pensi più a nulla.» Lucia baciava la madre, e
piangeva.
Del resto tra loro e i loro ospiti era nata subito una
grand' amicizia: e dove nascerebbe se non tra i beneficati e
benefattori, quando gli uni e gli altri son buona gente?
Agnese specialmente faceva di gran chiacchiere con la pa-
drona. Il sarto poi dava loro un po' di svago con delle sto-
rie, e con de' discorsi morali; e, a desinare soprattutto, aveva
sempre qualche bella cosa da raccontare, di Bovo d' Antona
o de' Padri del deserto.
Poco distante da quel paesetto, villeggiava una coppia
d'alto affare; don Ferrante e donna Prassede; il casato, al
solito, nella penna dell'anonimo. Era donna Prassede una
vecchia gentildonna molto inclinata a far del bene: mestiere
certamente il più degno che 1' uomo possa esercitare : ma che
pur troppo può anche guastare, come tutti gli altri. Per fare
il bene, bisogna conoscerlo; e, al pari d'ogni altra cosa, non
possiamo conoscerlo, che in mezzo alle nostre passioni, per
mezzo de' nostri giudizi, con le nostre idee; le quali bene
spesso stanno come possono. Con V idee donna Prassede si
regolava come dicono che si deve far con gli amici : n' aveva
poche; ma a quelle poche era molto affezionata. Tra le po-
che ce n' era per disgrazia molte delle storte; e non eran
quelle che le fossero men care. Le accadeva quindi , o di
proporsi per bene ciò che non lo fosse, o di prender per
mezzi, cose che potessero piuttosto far riuscire dalla parte
opposta, o di crederne leciti di quelli che non lo fossero punto,
per una certa supposizione in confuso che chi fa più del suo
dovere possa far più di quel che avrebbe diritto ; le accadeva
di non vedere nel fatto ciò che e' era di reale, o di vederci
ciò che non c'era; e molte altre cose simili, che possono
accadere, e che accadono a tutti, senza eccettuarne i mi-
gliori; ma a donna Prassede, troppo spesso e, non di rado,
tutte in una volta.
Al sentire il gran caso di Lucia, e tutto ciò che, in quel-
V occasione, si diceva della giovine, le venne la curiosità di
vederla; e mandò una carrozza, con un vecchio bracciere, a
prender la madre e la figlia. Questa si ristringeva nelle
spalle, e pregava il sarto, il quale aveva fatta loro l'imba-
sciata, che trovasse maniera di scusarla. Finché s'era trat-
tato di gente alla buona che ceicava di conoscer la giovine
CAPITOLO XXV. 321
del miracolo, il sarto le aveva reso volentieri un tal servizio;
ma in questo caso, il rifiuto gli pareva una specie di ribel-
lione. Fece tanti versi, tant' esclamazioni, disse tante cose;
e che non si faceva così, e ch'era una casa grande, e che
ai signori non si dice di no, e che poteva esser la loro for-
tuna, e che la signora donna Prassede, oltre il resto, era an-
che una santa; tante cose insomma, che Lucia si dovette ar-
rendere: molto più che Agnese confermava tutte quelle ragioni
con altrettanti « sicuro, sicuro.»
Arrivate davanti alla signora, essa fece loro grande acco-
glienza, e molte congratulazioni: interrogò, consigliò: il tutto
con una certa superiorità quasi innata, ma corretta da tante
espressioni umili, temperata da tanta premura, condita di
tanta spiritualità, che, Agnese quasi subito, Lucia poco dopo,
cominciarono a sentirsi sollevate dal rispètto opprimente che
da principio aveva loro incusso quella signorile presenza, anzi
ci trovarono una certa attrattiva. E per venire alle corte,
donna Prassede, sentendo che il cardinale s' era incaricato di
trovare a Lucia un ricovero, punta dal desiderio di secondare
e di prevenire a un tratto quella buona intenzione, s' esibì di
prender la giovine in casa, dove, senz' essere addetta ad alcun
servizio particolare, potrebbe, a piacer suo, aiutar l'altre
donne ne' loro lavori. E soggiunse che penserebbe lei a darne
parte a monsignore.
Oltre il bene chiaro e immediato che e' era in un' opera
tale, donna Prassede ce ne vedeva e se ne proponeva un al-
tro, forse più considerabile, secondo lei: di raddirizzare un
cervello, di metter sulla buona strada chi n'aveva gran bi-
sogno. Perchè, fin da quando aveva sentito la prima volta
parlar di Lucia, s'era subito persuasa che una giovine la
quale aveva potuto promettersi a un poco di buono, a un se-
dizioso, a uno scampaforca in somma, qualche magagna, qual-
che pecca nascosta la doveva avere. Dimmi chi pratichi, e ti
dirò chi sei. La visita di Lucia aveva confermata quella per-
suasione. .Non che in fondo, come si dice, non le paresse
una buona giovine; ma c'era molto di ridire. Quella testina
bassa, col mento inchiodato sulla fontanella della gola, quel
non rispondere, o risponder secco secco, come per forza, po-
tevano indicar verecondia; ma denotavano sicuramente molta
caparbietà: non ci voleva molto a indovinare che quella te-
stina aveva le sue idee. E quell' arrossire ogni momento, e
quel rattenere i sospiri .... Due occhioni poi, che a donna
Prassede non piacevan punto. Teneva essa per certo, come
se lo sapesse di buon luogo, che tutte le sciagure di Lucia
erano una punizione del cielo per la sua amicizia con quel
poco di buono, e un avviso per far che se ne staccasse af-
fatto; e stante questo, si proponeva di cooperare a un così
Manzoni. 21
322 I PROMESSI SPOSI.
buon fine. Giacché,' come diceva spesso agli altri e a sé
stessa, tutto il suo studio era di secondare i voleri del cielo :
ma faceva spesso uno sbaglio grosso, ch'era di prender per
cielo il suo cervello. Però, della seconda intenzione che ab-
biami detto, si guardò bene di darne il minimo indizio. Era
una delle sue massime questa, che, per riuscire a far del bene
alla gente, la prima cosa, nella maggior parte de' casi, è di
non metterli a parte del disegno.
La madre e la figlia si guardarono in viso. Xella dolorosa
necessità di dividersi, 1' esibizione parve a tutt' e due da ac-
cettarsi, se non altro per esser quella villa così vicina al loro
paesetto: per cui, alla peggio de' peggi, si ravvicinerebbero
e potrebbero trovarsi insieme, alla prossima villeggiatura.
Visto, l'una negli occhi dell'altra, il consenso, si voltaron
tutt' e due a donna Prassede con quel ringraziare che ac-
cetta. Essa rinnovò le gentilezze e le promesse, e disse
che manderebbe subito una lettera da presentare a monsi-
gnore.
Partite le donne, la lettera sé la fece distendere da don
Ferrante, di cui, per esser letterato, come diremo più in par-
ticolare, si serviva per segretario, nell'occasioni d'importanza.
Trattandosi d' una di questa sorte, don Ferrante ci mise tutto
il suo sapere, e, consegnando la minuta da copiare alla con-
sorte, le raccomandò caldamente 1' ortografia; eh' era una delle
molte cose che aveva studiate, e delle poche sulle quali avesse
lui il comando in casa. Donna Prassede copiò diligentissi-
mamente, e spedì la lettera alla casa del sarto. Questo fu
due o tre giorni prima che il cardinale mandasse la lettiga
per ricondur le donne al loro paese.
Arrivate, smontarono alla casa parrocchiale, dove si tro-
vava il cardinale. C'era ordine d' introdurle subito: il cap-
pellano, che fu il primo a vederle, l'eseguì, trattenendole
solo quant' era necessario per dar loro, in fretta in fretta, un
po' d' istruzione sul cerimoniale da usarsi con monsignore, e
sui titoli da dargli; cosa che soleva fare, ogni volta che lo
potesse di nascosto a lui. Era per il pover uomo un tormento
continuo il vedere il poco ordine che regnava intorno al car-
dinale, su quel particolare: «tutto,» diceva con gli altri della
famiglia, «per la troppa bontà di quel benedett' uomo, per
quella gran famigliarità.» E raccontava d'aver perfino sen-
tito più d'una volta co' suoi orecchi, rispondergli: messer sì,
e messer no.
Stava in quel momento il cardinale discorrendo con don
Abbondio, sugli affari della parrocchia: dimodoché questo non
ebbe campo di dare anche lui, come avrebbe desiderato, le
sue istruzioni alle donne. Solo, nel passar loro accanto, men-
tre usciva, e quelle venivano avanti, potè dar loro d'occhio,
CAPITOLO XXV. 323
per accennare ch'era contento di loro, e che continuassero,
da brave, a non dir nulla.
Dopo le prime accoglienze da una parte, e i primi inchini
dall'altra, Agnese si cavò di seno la lettera, e la presentò
al cardinale, dicendo: «è della signora donna Prassede, la
quale dice che conosce molto vossignoria illustrissima, mon-
signore; come naturalmente tra loro signori grandi, si devon
conoscer tutti. Quand'avrà letto, vedrà.»
«Bene,» disse Federigo, letto che ebbe, e ricavato il sugo
del senso da' fiori di don Ferrante. Conosceva quella casa
quanto bastasse per esser certo che Lucia e' era invitata con
buona intenzione, e che lì sarebbe sicura dall' insidie e dalla
violenza del suo persecutore. Che concetto avesse della testa
di donna Prassede, non n' abbiam notizia positiva. Probabil-
mente, non era quella la persona che avrebbe scelta a un tal
intento: ma, come abbiam detto o fatto intendere altrove, non
era suo costume di disfar le cose che non toccavano a lui,
per rifarle meglio.
«Prendete in pace anche questa separazione, e l1 incer-
tezza in cui vi trovate,» soggiunse poi: «confidate che sia
per finir presto, e che il Signore voglia guidar le cose a quel
termine a cui pare che le avesse indirizzate: ma tenete per
certo che quello che vorrà Lui, sarà il meglio per voi.»
Diede a Lucia in particolare qualche altro ricordo amorevole;
qualche altro conforto a tutt' e due: le benedisse, e le lasciò
andare. Appena fuori, si trovarono addosso uno sciame
d'amici e d'amiche, tutto il comune, si può dire, che le
aspettava, e le condusse a casa, come in trionfo. Era tra
tutte quelle donne una gara di congratularsi, di compiangere,
di domandare; e tutte esclamavano dal dispiacere, sentendo
che Lucia se n' anderebbe il giorno dopo. Gli uomini gareg-
giavano nelì' offrir servizi : ognuno voleva star quella notte a
far la guardia alla casetta. Sul qual fatto, il nostro anonimo
credè bene di formare un proverbio: volete aver molti in
aiuto? cercate di non averne bisogno.
Tante accoglienze confondevano e sbalordivano Lucia;
Agnese non s' imbrogliava così per poco. Ma in sostanza fe-
cero bene anche a Lucia, distraendola alquanto da' pensieri
e dalle rimembranze che, pur troppo, anche in mezzo al fra-
stono, le si risvegliavano, su quell'uscio, in quelle stanzucce,
alla vista d' ogni oggetto.
Al tocco della campana che annunziava vicino il cominciar
delle funzioni, tutti si mossero verso la chiesa, e fu per le
nostre donne un' altra passeggiata trionfale.
Terminate le funzioni don Abbondio, ch'era corso a ve-
dere se Perpetua aveva ben disposto ogni cosa per il desinare,
fu chiamato dal cardinale. Andò subito dal grand' ospite, il
21*
324 I PROMESSI SPOSI.
quale, lasciatolo venir vicino, «signor curato,» cominciò, e
quelle parole furon dette in maniera, da dover capire eh' erano
il principio d'un discorso lungo e serio: «signor curato,
perchè non avete voi unita in matrimonio quella povera Lucia
col suo promesso sposo?»
— Hanno votato il sacco stamattina coloro, — pensò don
Abbondio; e rispose borbottando: «monsignore illustrissimo
avrà ben sentito parlare degli scompigli che son nati in quel-
1' affare : è stata una confusione tale , da non poter neppure
al giorno d'oggi, vederci chiaro; come anche vossignoria il-
lustrissima può argomentare da questo, che la giovine è qui,
dopo tanti accidenti, come per miracolo; e il giovine, dopo
altri accidenti, non si sa dove sia.»
«Domando,» riprese il cardinale, «se è vero che, prima
di tutti codesti casi, abbiate rifiutato di celebrare il matri-
monio, quando n'eravate richiesto, nel giorno fissato; e il
perchè.»
«Veramente .... se vossignoria illustrissima sapesse ....
che intimazioni .... che comandi terribili ho avuti di non
parlare....» E restò lì senza concludere, in un cert' atto,
da far rispettosamente intendere che sarebbe indiscrezione di
voler saperne di più.
«Ma!» disse il cardinale, con voce e con aria grave fuor
del consueto; «è il vostro vescovo che, per suo dovere e per
vostra giustificazione, vuol saper da voi il perchè non abbiate
fatto ciò che, nella via regolare, era obbligo vostro di fare.»
«Monsignore.» disse don Abbondio, facendosi piccino pic-
cino, «non ho già voluto dire.... Ma m' è parso che, es-
sendo cose intralciate, cose vecchie e senza rimedio, fosse
inutile di rimestare .... Però, però, dico .... so che vossi-
gnoria illustrissima non vuol tradire un suo povero parroco.
Perchè vede bene, monsignore; vossignoria illustrissima non
può esser per tutto; e io resto qui esposto Però, quando
Lei me lo comanda, dirò, dirò tutto.»
«Dite; io non vorrei altro che trovarvi senza colpa.»
Allora don Abbondio si mise a raccontare la dolorosa sto-
ria; ma tacque il nome principale, e vi sostituì: un gran si-
gnore; dando così alla prudenza tutto quel poco che si po-
teva, in una tale stretta.
«E non avete avuto altro motivo?» domandò il cardinale,
quando don Abbondio ebbe finito.
«Ma forse non mi sono spiegato abbastanza,» rispose que-
sto: «sotto pena della vita, m' hanno intimato di non far quel
matrimonio.»
«E vi par codesta una ragion bastante, per lasciar d'adem-
pire un dovere preciso?»
CAPITOLO XXV.
325
«Io ho sempre cercato di farlo, il mio dovere, anche con
mio grave incomodo, ma quando si tratta della vita . . . .»
«E quando vi siete presentato alla Chiesa.» disse, con ac-
cento ancor più grave, Federigo, '«per addossarvi codesto mi-
nistero, v'ha essa fatto sicurtà della vita? V'ha detto che
i doveri annessi al ministero fossero liberi da ogni ostacolo,
immuni da ogni pericolo? 0 v'ha detto forse che dove co-
minciasse il pericolo, ivi cesserebbe il dovere? 0 non v'ha
espressamente detto il contrario? Xon v'ha avvertito che vi
mandava come un agnello tra i lupi? Xon sapevate voi che
e' eran de' violenti, a cui potrebbe dispiacere ciò che a voi
sarebbe comandato? Quello da Cui abbiam la dottrina e
l'esempio, ad imitazione di Cui ci lasciam nominare e ci no-
miniamo pastori, venendo in terra a esercitarne 1' ufizio, mise
forse per condizione d'aver salva la vita? E per salvarla,
per conservarla, dico, qualche giorno di più sulla terra, a
spese della carità e del dovere, c'era bisogno dell'unzione
santa, dell' imposizion delle mani, della grazia del sacerdozio?
Basta il mondo a dar questa virtù, a insegnar questa dottrina.
Che dico? oh vergogna! il mondo stesso la rifiuta; il mondo
fa anch' esso le sue leggi, che prescrivono il male come il bene,
ha il suo vangelo anch'esso, un vangelo di superbia e d'odio;
e non vuol che si dica che 1' amore della vita sia una ragione
per trasgredirne i comandamenti. Xon lo vuole; ed è ubbi-
dito. E noi! noi figli e annunziatori della promessa! Che sa-
rebbe la Chiesa, se codesto vostro linguaggio fosse quello di
tutti i vostri confratelli? Dove sarebbe, se fosse comparsa nel
mondo con codeste dottrine?»
Don Abbondio stava a capo basso; il suo spirito si tro-
vava tra quelli argomenti, come un pulcino negli artigli del
falco, che lo tengono sollevato in una regione sconosciuta, in
un' aria che non ha mai respirata. Vedendo che qualcosa
bisognava rispondere, disse, con una certa sommissione for-
zata: «monsignore illustrissimo, avrò torto. Quando la vita
non si deve contare, non so cosa mi dire. Ma quando s' ha
che fare con certa gente, con gente che ha la forza, e che
non vuol sentir ragioni, anche a voler fare il bravo, non sa-
prei cosa ci si potesse guadagnare. È un signore quello, con
cui non si può né vincerla né impattarla.»
« E non sapete voi che il soffrire per la giustizia è il no-
stro vincere? E se non sapete questo, che cosa predicate?
di che siete maestro? qual è la buona nuova che annunziate
a' poveri? Chi pretende da voi che vinciate la forza con la
forza? Certo non vi sarà domandato, un giorno, se abbiate
saputo fare stare a dovere i potenti; che a questo non vi fu
dato né missione, né modo. Ma vi sarà ben domandato se
avrete adoprati i mezzi eh' erano in vostra mano per far ciò
326 I PEOMESSI SPOSI.
che v'era prescritto, anche quando avessero la temerità di
proibircelo.»
— Anche questi santi son curiosi, — pensava intanto don
Abbondio: — in sostanza a spremerne il sugo, gli stanno più
a cuore gli amori di due giovani, che la vita d' un povero sa-
cerdote. — E , in quant' a lui , si sarebbe volentieri conten-
tato che il discorso finisse lì; ma vedeva il cardinale, a ogni
pausa, restare in atto di chi aspetti una risposta, una confes-
sione, o un; apologia, qualcosa in somma.
«Torno a dire, monsignore,» rispose dunque, «che avrò
torto io ... . Il coraggio, uno non se lo può dare. »
«E perchè dunque, potrei dirvi, vi siete voi impegnato in
un ministero che v' impone di stare in guerra con le passioni
del secolo? Ma come, vi dirò piuttosto, come non pensate
che, se in codesto ministero, comunque vi ci siate messo, v'è
necessario il coraggio per adempir le vostre obbligazioni, e' è
Chi ve lo darà infallibilmente, quando glielo chiediate? Cre-
dete voi che tutti que' milioni di martiri avessero natural-
mente coraggio? che non facessero naturalmente nessun conto
della vita? tanti giovinetti che cominciavano a gustarla, tanti
vecchi avvezzi a rammaricarsi che fosse già vicina a finire,
tante donzelle, tante spose, tante madri? Tutti hanno avuto
coraggio; perchè il coraggio era necessario, ed essi confida-
vano. Conoscendo la vostra debolezza e i vostri doveri, avete
voi pensato a prepararvi ai passi difficili a cui potevate tro-
varvi, a cui vi siete trovato in effetto? Ah! se per tant' anni
d" ufìzio pastorale, avete (e come non avreste?) amato il vostro
gregge, se avete riposto in esso il vostro cuore, le vostre cure,
le vostre delizie, il coraggio non doveva mancarvi al bisogno:
l'amore è intrepido. Ebbene, se voi gli amavate, quelli che
sono affidati alle vostre cure spirituali, quelli che voi chia-
mate figliuoli; quando vedeste due di loro minacciati insieme
con voi, ah certo! come la debolezza della carne v'ha fatto
tremar per voi . così la carità v' avrà fatto tremar per loro.
Vi sarete umiliato di quel primo timore, perchè era un effetto
della vostra miseria: avrete implorato la forza per vincerlo,
per discacciarlo, perchè era una tentazione: ma il timor santo
e nobile per gli altri, per i vostri figliuoli, quello l'avrete
ascoltato, quello non v' avrà dato pace, quello v' avrà eccitato,
costretto a pensare, a fare ciò che si potesse, per riparare al
pericolo che lor sovrastava .... Cosa v' ha ispirato il timore,
l'amore? Cosa avete fatto per loro? Cosa avete pensato?»
E tacque in atto di chi aspetta.
CAPITOLO XXVI. 327
CAPITOLO XXVI.
A una siffatta domanda, don Abbondio, che pur s' era in-
gegnato di risponder qualcosa a delle meno precise, restò lì
senza articolar parola. E per dir la verità, anche noi, con
questo manoscritto davanti, con una penna in mano, non aven-
do da contrastare che con le frasi, né altro da temere che le
critiche de' nostri lettori; anche noi, dico, sentiamo una certa
ripugnanza a proseguire: troviamo un non so che di strano
in questo mettere in campo, con così poca fatica, tanti bei
precetti di fortezza e di carità, di premura operosa per gli
altri, di sacrifizio illimitato di sé. Ma pensando che quelle
cose erano dette da uno che poi le faceva, tiriamo avanti cod
colaggio.
«Voi non rispondete?» riprese il cardinale. «Ah, se aveste
fatto, dalla parte vostra, ciò che la carità, ciò che il dovere
richiedeva; in qualunque maniera poi le cose fossero andate.
non vi mancherebbe ora una risposta. Vedete dunque voi
stesso cosa avete fatto. Avete ubbidito all'iniquità, non cu-
rando ciò che il dovere vi prescriveva. L' avete ubbidita pun-
tualmente: s'era fatta vedere a voi, per intimarvi il suo de-
siderio; ma voleva rimanere occulta a chi avrebbe potuto
ripararsi da essa, e mettersi in guardia; non voleva che si
facesse rumore, voleva il segreto, per maturare a suo beli' agio
1 suoi disegni d" insidie o di forza; vi comando la trasgres-
sione e il silenzio: voi avete trasgredito, e non parlavate.
Domando ora a voi se non avete fatto di più: voi mi direte
se è vero che abbiate mendicati de' pretesti al vostro rifiuto,
per non rivelarne il motivo." E stette lì alquanto aspettando
di nuovo una risposta.
— Anche questa gli hanno rapportata le chiacchierone, —
pensava don Abbondio ; ma non dava segno d" aver nulla a
dire; onde il cardinale riprese: «se è vero, che abbiate detto
a que' poverini ciò che non era, per tenerli nell'ignoranza,
nell'oscurità, in cui l'iniquità li voleva .... Dunque lo devo
credere; dunque non mi resta che d'arrossirne con voi, e di
sperare che voi ne piangerete con me. Vedete a che v' ha
condotto (Dio buono! e pur ora voi la adducevate per iscusaì
quella premura per la vita che deve finire. V ha condotto ....
ribattete liberamente queste parole, se vi paiono ingiuste,
prendetele in umiliazione salutare, se non lo sono .... v* ha
condotto a ingannare i deboli, a mentire ai vostri figliuoli.»
— Ecco come vanno le cose, — diceva ancora tra sé don
Abbondio; — a quel satanasso, — e pensava all'innominato,
— le braccia al collo; e con me, per una mezza bugia, detta
328 I PROMESSI SPOSI.
a solo fine di salvare la pelle, tanto chiasso. Ma sono supe-
riori: hanno sempre ragione. È il mio pianeta, che tutti
m'abbiano a dare addosso; anche i santi. — E ad alta voce,
disse: «ho mancato: capisco che ho mancato; ma cosa dovevo
fare in un frangente di quella sorte?»
«E ancor lo domandate? E non ve l'ho detto? E dovevo
dirvelo? Amare, figliuolo; amare e pregare. Allora avreste
sentito che l' iniquità può aver bensì delle minacce da fare,
de" colpi da dare, ma non de' comandi; avreste unito, secondo
la legge di Dio, ciò che l'uomo voleva separare; avreste
prestato a quegl' innocenti infelici il ministero che avevan ra-
gione di richieder da voi: delle conseguenze sarebbe stato
mallevadore Iddio, perchè si sarebbe andato per la sua strada:
avendone presa un'altra, ne restate mallevadore voi; e di
quali conseguenze! Ma forse che tutti i ripari umani vi man-
cavano? forse che non era aperta alcuna via di scampo,
quand'aveste voluto guardarvi d'intorno, pensarci, cercare?
Ora voi potete sapere che que' vostri poverini, quando fossero
stati maritati, avrebbero pensato da sé al loro scampo, eran
disposti a fuggire dalla faccia del potente, s' eran già dise-
gnato il luogo di rifugio. Ma anche senza questo, non vi
venne in mente che alla fine avevate un superiore? Il quale,
come mai avrebbe quest' autorità di riprendervi d' aver man-
cato al vostro ufizio, se non avesse anche 1' obbligo d' aiutarvi
ad adempirlo? Perchè non avete pensato a informare il vo-
stro vescovo dell' impedimento che un; infame violenza met-
teva all'esercizio del vostro ministero?»
— I pareri di Perpetua! — pensava stizzosamente don
Abbondio, a cui, in mezzo a que' discorsi, ciò che stava più
vivamente davanti, era 1' immagine di que' bravi e il pensiero
che don Rodrigo era vivo e sano, e, un giorno o l'altro,
tornerebbe glorioso e trionfante, e arrabbiato. E benché
quella dignità presente, quell' aspetto e quel linguaggio, lo
facessero star confuso, e gì' incutessero un certo timore, era
però un timore che non lo soggiogava affatto, né impediva al
pensiero di ricalcitrare: perchè c'era in quel pensiero, che
alla fine delle fini, il cardinale non adoperava né schioppo,
né spada, né bravi.
«Come non avete pensato,» proseguiva questo, «che se a
quegl' innocenti insidiati non fosse stato aperto altro rifugio,
e' ero io, per accoglierli, per metterli in salvo, quando voi me
li aveste indirizzati, indirizzati dei derelitti a un vescovo,
come cosa sua, come parte preziosa, non dico del suo carico,
ma delle sue ricchezze? E in quanto a voi, io, sarei dive-
nuto inquieto per voi; io, avrei dovuto non dormire, fin che
non fos^.i sicuro che non vi sarebbe torto un capello. Ch' io
non avessi come, dove, mettere in sicuro la vostra vita! Ma
capitolo xxv:
329
quell' uomo che fu tanto ardito, credete voi che non gli si sa-
rebbe scemato punto l' ardire , quando avesse saputo che le
sue trame eran note fuor di qui, note a me , eh' io vegliavo,
ed ero risoluto d' usare in vostra difesa tutti i mezzi che fos-
sero in mia mano? Xon sapevate che, se l'uomo promette
troppo spesso più che non sia per mantenere, minaccia anche
non di rado, più che non s'attenti poi di commettere? Xon
sapevate che V iniquità non si fonda soltanto sulle sue forze,
ma anche sulla credulità e sullo spavento altrui?»
— Proprio le ragioni di Perpetua, — pensò anche qui don
Abbondio, senza riflettere che quel trovarsi d' accordo la sua
serva e Federigo Borromeo su ciò che si sarebbe potuto e
dovuto fare, voleva dir molto contro di lui.
e Ma voi,» prosegui e concluse il cardinale, «non avete
visto, non avete voluto veder altro che il vostro pericolo tem-
porale; qual maraviglia che vi sia parso tale, da trascurar per
esso ogni altra cosa?»
«Gli è perchè le ho viste io quelle facce,» scappò detto
a don Abbondio; «le ho sentite io quelle parole. Vossignoria
illustrissima parla bene; ma bisognerebbe esser ne' panni d'un
povero prete, e essersi trovato al punto.»
Appena ebbe proferite queste parole, si morse la lingua;
s' accorse d' essersi lasciato troppo vincere dalla stizza, e disse
tra sé: — ora vien la grandine. — Ma alzando dubbiosa-
mente lo sguardo, fu tutto maravigliato, nel veder l'aspetto
di quell'uomo, che non gli riusciva mai d'indovinare né di
capire, nel vederlo, dico, passare da quella gravità autorevole
e correttrice, a una gravità compunta e pensierosa.
«Pur troppo!» disse Federigo, «tale è la misera e terri-
bile nostra condizione. Dobbiamo esigere rigorosamente dagli
altri quello che Dio sa se noi saremmo pronti a dare: dob-
biamo giudicare, correggere, riprendere; e Dio sa quel che
faremmo noi nel caso stesso, quel che abbiam fatto in casi so-
miglianti! Ma guai s'io dovessi prender la mia debolezza per
misura del dovere altrui, per norma del mio insegnamento!
Eppure è certo che insieme con le dottrine, io devo dare
agli altri 1' esempio, non rendermi simile al dottor della legge,
che carica gli altri di pesi che non posson portare, e che lui
non toccherebbe con un dito. Ebbene, figliuolo e fratello:
poiché gli errori di quelli che presiedono, sono spesso più
noti agli altri che a loro; se voi sapete ch'io abbia, per pu-
sillanimità, per qualunque rispetto trascurato qualche mio
obbligo, ditemelo francamente, fatemi ravvedere, affinchè dov' è
mancato 1' esempio , supplisca almeno la confessione. Pdm-
proveratemi liberamente le mie debolezze; e allora le parole
acquisteranno più valore nella mia bocca, perchè sentirete
330 I PROMESSI SPOSI.
più vivamente, che non son mie, ma di Chi può dare a voi e
a me la forza necessaria per far ciò che prescrivono.»
— Oh che sant'uomo! ma che tormento! — pensava don
Abbondio: — anche sopra di sé: purché frughi, rimesti, cri-
tichi, inquisisca; anche sopra di sé. — Disse poi ad alta
voce: «oh monsignore! che mi fa celia? Chi non conosce il
petto forte, lo zelo imperterrito dì vossignoria illustrissima?»
E tra sé soggiunse : — anche troppo. —
«Io non vi chiedevo una lode, che mi fa tremare.» disse
Federigo, «perchè Dio conosce i miei mancamenti, e quello
che ne conosco anch' io, basta a confondermi. Ma avrei vo-
luto, vorrei che ci confondessimo insieme davanti a Lui per
confidare insieme. Vorrei, per amor vostro, che intendeste
quanto la vostra condotta sia stata opposta, quanto sia oppo-
sto il vostro linguaggio alla legge che pur predicate, e se-
condo la quale sarete giudicato.»
«Tutto casca addosso a me,» disse don Abbondio: «ma
queste persone che son venute a rapportare, non le hanno
poi detto d'essersi introdotte in casa mia, a tradimento, per
sorprendermi, e per fare un matrimonio contro le regole.»
«Me l'hanno detto, figliuolo: ma questo m'accora, questo
m'atterra, che voi desideriate ancora di scusarvi; che pen-
siate di scusarvi, accusando; che prendiate materia d'accusa
da ciò che dovrebb' esser parte della vostra confessione. Chi
gli ha messi, non dico nella necessità, ma nella tentazione di
far ciò che hanno fatto? Avrebbero essi cercata quella via
irregolare, se la legittima non fosse loro stata chiusa? pensato
a insidiare il pastore, se fossero stati accolti nelle sue brac-
cia, aiutati, consigliati da lui? a sorprenderlo, se non si fosse
nascosto? E a questi voi date carico? e vi sdegnate perchè,
dopo tante sventure, che dico? nel mezzo della sventura, ab-
bian detto una parola di sfogo al loro, al vostro pastore?
Che il ricorso dell'oppresso, la querela dell'afflitto siano
odiosi al mondo, il mondo è tale, ma noi! E che prò sarebbe
stato per voi, se avessero taciuto? Yi tornava conto che la
loro causa andasse intera al giudizio di Dio? Non è per voi
una nuova ragione d'amar queste persone (e già tante ragioni
n; avete) che v' abbian dato occasione di sentir la voce sincera
del vostro vescovo, che v' abbian dato un mezzo di conoscer
meglio, e di scontare in parte il gran debito che avete con
loro? Ah! se v' avessero provocato, offéso, tormentato, vi direi
(e dovrei io dirvelo?) d'amarli, appunto per questo. Amateli
perchè hanno patito, perchè patiscono, perchè son vostri,
perchè son deboli, perchè avete bisogno d'un perdono, a ot-
tenervi il quale, pensate di qual forza possa essere la loro
preghiera.»
CAPITOLO XXVI. 331
Don Abbondio stava zitto; ma non era più quel silenzio
forzato e impaziente: stava zitto come chi ha più cose da
pensare che da dire. Le parole che sentiva, eran conseguenze
inaspettate, applicazioni nuove, ma d" una dottrina antica però
nella sua mente, e non contrastata. Il male degli altri, dalla
considerazion del quale 1' aveva sempre distratto la paura del
proprio, gli faceva ora un' impressione nuova. E se non sen-
tiva tutto il rimorso che la predica voleva produrre (che quella
stessa paura era sempre lì a far 1' ufizio di difensore), ne
sentiva però; sentiva un certo dispiacere di sé. una compassione
per gli altri, un misto di tenerezza e di confusione. Era, se
ci si lascia passare questo paragone, come lo stoppino umido
e ammaccato d'una candela, che presentato alla fiamma di
una gran torcia, da principio fuma, schizza, schioppetta, non
ne vuol saper nulla; ma alla fine s'accende e. bene o male,
brucia. Si sarebbe apertamente accusato, avrebbe pianto, se
non fosse stato il pensiero di don Rodrigo; ma tuttavia si
mostrava abbastanza commosso, perchè il cardinale dovesse
accorgersi che le sue parole non erano state senza effetto.
«Ora,» proseguì questo, «uno fuggitivo da casa sua, l'altra
in procinto d'abbandonarla, e tutt' e due con troppo forti
motivi di starne lontani, senza probabilità di riunirsi mai qui,
e, coutenti di sperare che Dio li riunisca altrove; ora, pur
troppo, non hanno bisogno di voi; pur troppo, voi non avete
occasione di far loro del bene; uè il corto nostro preve-
dere può scoprirne alcuna nell' avvenire. Ma chi sa se Dio
misericordioso non ve ne prepara? Ah non le lasciate sfug-
gire! cercatele, state alle velette, pregatelo che le faccia
nascere.»
«Xon mancherò, monsignore, non mancherò davvero,»
rispose don Abbondio, con una voce che, in quel momento,
veniva proprio dal cuore.
«Ah sì, figliuolo, sì!» esclamò Federigo; e con una di-
gnità piena d' affetto , concluse : o lo sa il cielo se avrei de-
siderato di tener con voi tutt' altri discorsi. Tutt' e due ab-
biamo già vissuto molto: lo sa il cielo se m' è stato duro
di dover contristar con rimproveri codesta vostra canizie, e
quanto sarei stato più contento di consolarci insieme delle
nostre cure comuni, de' nostri guai, parlaudo della beata spe-
ranza, alla quale siamo arrivati così vicino. Piaccia a Dio
che le parole le quali ho pur dovuto usar con voi, servano a
voi e a me. Non fate che m'abbia a chieder conto, in quel
giorno d' avervi mantenuto in un ufizio al quale avete così
infelicemente mancato. Ricompriamo il tempo : la mezzanotte
è vicina ; lo Sposo non può tardare ; teniamo accese le nostre
lampade. Presentiamo a Dio i nostri cuori miseri, vóti, per-
chè Gli piaccia riempirli di quella carità, che ripara al pas-
332 I PROMESSI SPOSI.
sato, che assicura P avvenire, che tene e confida, piange e si
rallegra, con sapienza; che diventa in ogni caso la virtù di
cui abbiamo bisogno.»
Così detto, si mosse; e don Abbondio gli andò dietro.
Qui P anonimo ci avvisa che non fu questo il solo abboc-
camento di que' due personaggi, né Lucia il solo argomento
de' loro abboccamenti ; ma che lui s' è ristretto a questo , per
non andar lontano dal soggetto principale del racconto. E che,
per lo stesso motivo, non farà menzione d' altre cose notabili,
dette da Federigo in tutto il corso della visita, né delle sue
liberalità, né delle discordie sedate, degli odi antichi tra per-
sone, famiglie, terre intere, spenti, o (cosa eh' era pur troppo
più frequente) sopiti, né di qualche bravaccio o tirannello am-
mansato, o per tutta la vita, o per qualche tempo; cose tutte
delle quali ce n' era sempre più o meno, in ogni luogo della
diocesi dove quell' uomo eccellente facesse qualche sog-
giorno.
Dice poi, che, la mattina seguente, venne donna Prassede,
secondo il fissato, a prender Lucia, e a complimentare il car-
dinale, il quale gliela lodò, e raccomandò caldamente. Lucia
si staccò dalla madre, potete pensar con che pianti: e uscì
dalla sua casetta; disse per la seconda volta addio al paese,
con quel senso di doppia amarezza, che si prova lasciando un
luogo che fu unicamente caro, e che non può esserlo più. Ma
i congedi con la madre non eran gli ultimi; perchè donna
Prassede aveva detto che si starebbe ancor qualche giorno in
quella sua villa, la quale non era molto lontana; e Agnese
promise alla figlia d' andar là a trovarla, a dare e a ricevere
un più doloroso addio.
Il cardinale era anche lui sulle mosse per continuar la
sua visita, quando arrivò, e chiese di parlargli il curato della
parrocchia, in cui era il castello dell'innominato. Introdotto,
gli presentò un gruppo e una lettera di quel signore, la quale
lo pregava di far accettare alla madre di Lucia cento scudi
d' oro eh' eran nel gruppo , per servir di dote alla giovine, o
per quell'uso che ad esse sarebbe parso migliore; lo pregava
insieme di dir loro, che, se mai, in qualunque tempo, avessero
creduto che potesse render loro qualche servizio, la povera
giovine sapeva pur troppo dove stesse; e per lui, quella sa-
rebbe una delle fortune più desiderate. Il cardinale fece su-
bito chiamare Agnese, le riferì la commissione che fu sentita
con altrettanta soddisfazione che maraviglia: e le presentò il
rotolo, ch'essa prese, senza far gran complimenti. «Dio
gliene renda merito, a quel signore,» disse: «e vossignoria
illustrissima lo ringrazi tanto tanto. E non dica nulla a nes-
suno, perchè questo è un certo paese .... Mi scusi, veda'
CAPITOLO XXVI.
333
so bene che un par suo non va a chiacchierare di queste
cose; ma .... lei m' intende.»
Andò a casa, zitta, zitta: si chiuse in camera, svoltò il
rotolo, e quantunque preparata, vide con ammirazione, tutti
in un mucchietto e suoi , tanti di que' ruspi , de' quali non
aveva forse mai visto più d' uno per volta, e anche di rado:
li contò, penò alquanto a metterli di nuovo per taglio, e a
tenerli lì tutti, che ogni momento facevan pancia, e sguscia-
vano dalle sue dita inesperte; ricomposto finalmente un rotolo
alla meglio, lo mise in un cencio, ne fece un involto, un ba-
tuffoletto, e legatolo ben in giro con della cordellina, l'andò
a ficcare in un cantuccio del suo saccone. Il resto di quel
giorno, non fece altro che mulinare, far disegni sull'avvenire,
e sospirar l' indomani. Andata a letto, stette desta un pezzo,
col pensiero in compagnia di que' cento che aveva sotto ; ad-
dormentata, li vide in sogno. All'alba, s'alzò e s'incarnino
subito verso la viha, dov' era Lucia.
Questa, dal canto suo, quantunque non le fosse diminuita
quella gran ripugnanza a parlar del voto, pure era risoluta
di farsi forza, e d'aprirsene con la madre in quell'abbocca-
mento, che per lungo tempo doveva chiamarsi 1' ultimo.
Appena poterono esser sole, Agnese, con una faccia tutta
animata, e insieme a voce bassa, come se ci fosse stato pre-
sente qualcheduno a cui non volesse farsi sentire, cominciò:
«ho a dirti una gran cosa;» e le raccontò 1' inaspettata
fortuna.
«Iddio lo benedica, quel signore,» disse Lucia: «così
avrete da star bene voi, e potrete anche far del bene a qual-
chedun altro. »
«Come?» rispose Agnese: «non vedi quante cose pos-
siamo fare, con tanti danari? Senti; io non ho altro che te,
che voi due, posso dire; perchè Renzo, da che cominciò a
discorrerti, l'ho sempre riguardato come un mio figliuolo.
Tutto sta che non gli sia accaduta qualche disgrazia, a ve-
dere che non ha mai fatto saper nulla: ma eh! deve andar
tutto male? Speriamo di no, speriamo. Per me avrei avuto
caro di lasciar l'ossa nel mio paese; ma ora che tu non ci
puoi stare, in grazia di quel birbone, e anche solamente a
pensarlo d'averlo vicino colui, m' è venuto in odio il mio
paese; e con voi altri io sto per tutto. Ero disposta, fin d'al-
lora, a venir con voi altri, anche in capo al mondo; e son
sempre stata di quel parere, ma senza danari come si fa?
Intendi ora? Que' quattro che quel poverino aveva messi da
parte, con tanto stento e con tanto risparmio, è venuta la
giustizia e ha spazzato ogni cosa; ma, per ricompensa, il Si-
gnore ha mandato la fortuna a noi. Dunque, quando avrà
trovato il bandolo di far sapere se è vivo e dov'è, e che in-
334 I PROMESSI SPOSI.
tenzioni ha, ti vengo a prender io a Milano, io ti vengo a
prendere. Altre volte mi sarebbe parso un gran che; ma le
disgrazie fanno diventar disinvolti; fino a Monza ci sono an-
data, e so cos'è viaggiare. Prendo con me un uomo di pro-
posito, un parente, come sarebbe a dire Alessio di Maggianico:
che, a voler dir proprio in paese , un uomo di proposito non
e' è: vengo con lui: già la spesa la facciamo noi, e . . . . in-
tendi?»
Ma vedendo che, in vece d'animarsi, Lucia s'andava ac-
corando , e non dimostrava che una tenerezza senz' allegria,
lasciò il discorso a mezzo, e disse: «ma cos'hai? non ti
pare?»
«Povera mamma!» esclamò Lucia, gettandole un braccio
al collo, e nascondendo il viso nel seno di lei.
«Cosa c'è?» domandò di nuovo ansiosamente la madre.
«Avrei dovuto dirvelo prima,» rispose Lucia, alzando il
viso, e asciugandosi le lacrime; «ma non ho mai avuto cuore:
compatitemi.»
«Ma dì su, dunque.»
«Io non posso più esser moglie di quel poverino!»
«Come? come?»
Lucia col capo basso, col petto ansante, lacrimando senza
piangere, come chi racconta una cosa che, quand' anche di-
spiacesse, non si può cambiare, rivelò il voto ; e insieme giun-
gendo le mani, chiese di nuovo perdono alla madre, di non
aver parlato fin allora; la pregò di non ridir la cosa ad
anima vivente, e d' aiutarla ad adempire ciò che aveva pro-
messo.
Agnese era rimasta stupefatta e costernata. Voleva sde-
gnarsi del silenzio tenuto con lei; ma i gravi pensieri del
caso soffogavano quel dispiacere suo proprio: voleva dirle:
cos'hai fatto? ma le pareva che sarebbe un prendersela col
cielo; tanto più che Lucia tornava a dipinger co' più vivi co-
lori quella notte, la desolazione così nera, e la liberazione
così impreveduta, tra le quali la promessa era stata fatta, così
espressa, così solenne. E intanto ad Agnese veniva anche in
mente questo e quell' esempio, che aveva sentito raccontar più
volte, che lei stessa aveva raccontato alla figlia, di gastighi
strani e terribili, venuti per la violazione di qualche voto.
Dopo esser rimasta un poco come incantata, disse: «e ora
cosa farai?»
«Ora,» rispose Lucia, «tocca al Signore a pensarci; al Si-
gnore e alla Madonna. Mi son messa nelle lor mani: non
m'hanno abbandonata finora; non m'abbandoneranno ora
che .... La grazia che chiedo per me al Signore, la sola
grazia, dopo la salvazion dell'anima, è che mi faccia tornar
con voi : e me la concederà, sì, me la concederà. Quel giorno
CAPITOLO XXVI. 335
.... in quella carrozza .... ah Vergine santissima! .... que-
gli uomini !..-.. chi m' avrebbe detto che mi menavano da
colui che mi doveva menare a trovarmi con voi, il giorno
dopo?»
Ma non parlarne subito a tua madre!» disse Agnese con
una certa stizzetta temperata d' amorevolezza e di pietà.
«Compatitemi; non avevo cuore .... e che sarebbe giovato
d'affliggervi qualche tempo prima? -
«E Renzo?» disse Agnese tentennando il capo.
«Ah!» esclamò Lucia, risedendosi , «io non ci devo pen-
sar più a quel poverino. Già si vede che non era destinato
.... Vedete come pare che il Signore ci abbia voluti pro-
prio tener separati. E chi sa .... ? ma no, no : 1' avrà pre-
servato Lui da' pericoli, e lo farà esser fortunato anche di
più, senza di me.»
«Ma intanto,» riprese la madre, «se non fosse che tu ti
sei legata per sempre, a tutto il resto, quando a Renzo non
gli sia accaduta qualche disgrazia, con que' danari io ci avevo
trovato rimedio.»
«Ma que5 danari,» replicò Lucia, «ci sarebbero venuti,
s'io non avessi passata quella notte? È il Signore che ha
voluto che andasse così: sia fatta la sua volontà.» E la pa-
rola morì nel pianto.
A quell'argomento inaspettato, Agnese rimase lì pensie-
rosa. Dopo qualche momento, Lucia, rattenendo i singhiozzi,
riprese: «ora che la cosa è fatta bisogna adattarsi di buon"
animo; e voi, povera mamma, voi mi potete aiutare, prima,
pregando il Signore per la vostra povera figlia, e poi ... .
bisogna bene che quel poverino lo sappia. Pensateci voi, fa-
temi anche questa carità: che voi ci potete pensare. Quando
saprete dov' è, fategli scrivere, trovate un uomo .... appunto
vostro cugino Alessio, che è un uomo prudente e caritatevole,
e ci ha sempre voluto bene, e non ciarlerà: fategli scriver
da lui la cosa com'è andata, dove mi son trovata, come ho
patito, e che Dio ha voluto così, e che metta il cuore in pace,
e che io non posso mai mai esser di nessuno. E fargli capir
la cosa con buona grazia, spiegargli che ho promesso, che ho
proprio fatto voto. Quando saprà che ho promesso alla Ma-
donna .... ha sempre avuto il timor di Dio. E voi, la prima
volta che avrete le sue nuove, fatemi scrivere, fatemi saper
che è sano; e poi ... . non mi fate più saper nulla.»
Agnese, tutta intenerita, assicurò la figlia che ogni cosa si
farebbe come desiderava.
«Vorrei dirvi un'altra cosa.» riprese questa: «quel po-
verino, se non avesse avuto la disgrazia di pensare a me, non
gli sarebbe accaduto ciò che gli è accaduto. È per il mondo;
gli hanno troncato il suo avviamento, gli hanno portato via Ià
336 I PROMESSI SPOSI.
sua roba, que' risparmi che aveva fatti, poverino, sapete per-
chè ... . E noi abbiamo tanti danari! Oh mamma! giacché
il Signore ci ha mandato tanto bene, e quel poverino, è pro-
prio vero che la riguardavate come vostro .... sì, come un
figliuolo, oh! fate mezzo per uno; che sicuro, Iddio non ci
mancherà. Cercate un'occasione fidata, e mandateglieli, che
sa il cielo come n'ha bisogno!»
«Ebbene, cosa credi?» riprese Agnese: «glieli manderò
davvero. Povero giovine! Perchè pensi tu ch'io fossi così
contenta di que' danari? Ma . . . . ! io era proprio venuta qui
tutta contenta. Basta, io glieli manderò, povero Renzo! ma
anche lui .... so quel che dico; certo che i danari fanno
piacere a chi n' ha bisogno ; ma questi non saranno quelli che
lo faranno ingrassare.»
Lucia ringraziò la madre di quella pronta e liberale con-
discendenza, con una gratitudine, con un affetto, da far ca-
pire a chi l'avesse osservata, che il suo cuore faceva an-
cora a mezzo con Renzo, forse più che lei medesima non lo
credesse.
«E senza di te, che farò io povera donna?» disse Agnese,
piangendo anch' essa.
«E io senza di voi, povera mamma? e in casa di fore-
stieri? e laggiù in quel Milano . . .! Ma il Signore sarà con
tutt" e due ; "e poi ci farà tornare insieme. Tra otto o nove
mesi ci rivedremo ; e di qui allora, e anche prima, spero avrà
accomodate le cose Lui, per riunirci. Lasciamo fare a Lui.
La chiederò sempre sempre alla Madonna questa grazia. Se
avessi qualche altra cosa da offrirle, lo farei; ma è tanto mi-
sericordiosa, che me l'otterrà per niente.»
Con queste ed altre simili, e più volte ripetute parole di
lamento e di conforto, di rammarico e di rassegnazione, con
molte raccomandazioni e promesse di non dir nulla, con molte
lacrime, dopo lunghi e rinnovati abbracciamenti, le donne
si separarono, promettendosi a vicenda di rivedersi il prossimo
autunno, al più tardi; come se il mantenere dipendesse da
loro, e come però si fa sempre in casi simili.
Intanto cominciò a passar molto tempo senza che Agnese
potesse saper nulla di Renzo. Né lettere né imbasciate da
parte di lui, non ne veniva; di tutti quelli del paese, o del
contorno, a cui potè domandare, nessuno ne sapeva più
di lei.
E non era la sola che facesse invano una tal ricerca; il
cardinal Federigo, che non aveva detto per cerimonia alle
povere donne, di voler prendere informazioni del povero gio-
vine, aveva infatti scritto subito per averne. Tornato poi
dalla visita a Milano, aveva ricevuto la risposta in cui gli si
diceva che non s: era potuto trovar recapito dell' indicato
CAPITOLO XXVI. àài
soggetto; che veramente era stato qualche tempo in casa cTun
suo parente, nel tal paese, dove non aveva fatto dir di sé;
ma una mattina, era scomparso all'improvviso, e quel suo
parente stesso non sapeva cosa ne fosse stato, e non poteva
che ripetere certe voci in aria e contradittorie che correvano,
essersi il giovine arrolato per il Levante, esser passato in
Germania, perito nel guadare un fiume: che non si manche-
rebbe di stare alle velette, se mai si potesse saper qualcosa
di più positivo, per farne subito parte a sua signoria illustris-
sima e reverendissima.
Più tardi, quelle ed altre voci si sparsero anche nel terri-
torio di Lecco, e vennero per conseguenza agli orecchi
d'Agnese. La povera donna faceva di tutto per venire in chiaro
qual fosse la vera, per arrivare alla fonte di questa e di quella,
ma non riusciva mai a trovar di più di quel dicono, che,
anche al giorno d'oggi, basta da sé ad attestar tante cose.
Talora, appena glien' era stata raccontata una, veniva uno e
le diceva che non era vero nulla; ma per dargliene in cam-
bio un'altra, ugualmente strana o sinistra. Tutte ciarle; ecco
il fatto.
Il governatore di Milano e capitano generale in Italia, don
Gonzalo Fernandez di Cordova, aveva fatto un gran fracasso
col signor residente di Venezia in Milano, perchè un malan-
drino, un ladrone pubblico, un promotore di saccheggio e
d'omicidio, il famoso Lorenzo Tramaglino, che, nelle mani
stesse della giustizia, aveva eccitato sommossa per farsi li-
berare, fosse accolto e ricettato nel territorio bergamasco. Il
residente avea risposto che la cosa gli riusciva nuova, e che
scriverebbe a Venezia, per poter dare a sua eccellenza quella
spiegazione che il caso avesse portato.
A Venezia avevan per massima di secondare e di coltivare
P inclinazione degli operai di seta milanesi a trasportarsi nel
territorio bergamasco , e quindi di far che ci trovassero molti
vantaggi e, soprattutto quello senza di cui ogni altro è nulla,
la sicurezza. Siccome però, tra due grossi litiganti, qualche
cosa, per poco che sia, bisogna sempre che il terzo goda;
così Bortolo fu avvisato in confidenza, non si sa da chi, che
Renzo non istava bene in quel paese, e che farebbe meglio
a entrare in qualche altra fabbrica, cambiando anche nome
per qualche tempo. Bortolo intese per aria, non domandò
altro, corse a dir la cosa al cugino, lo prese con sé in un
calessino, lo condusse a un altro filatoio, discosta da quello
forséquindici miglia, e lo presentò, sotto il nome d'Antonio
Rivolta, al padrone, ch'era nativo anche lui dello stato di
Milano, e suo antico conoscente. Questo, quantunque l'an-
nata fosse scarsa, non si fece pregare a ricevere un operaio
che gli era raccomandato come onesto e abile, da un galan-
Mavzom. 22
338 1 PROMESSI SPOSI.
tuomo che se n'intendeva. Alla prova poi, non ebbe che a
lodarsi dell'acquisto: meno che, sul principio gli era parso
che il giovane dovesse essere un po' stordito, perchè quando
si chiamava: Antonio! le più volte non rispondeva.
Poco dopo, venne un ordine da Venezia, in istile pacato,
al capitano di Bergamo, che prendesse e desse informazione,
se nella sua giurisdizione, e segnatamente nel tal paese, si
trovasse il tal soggetto. Il capitano, fatte le sue diligenze,
come avea capito che si volevano, trasmise la risposta nega-
tiva, la quale fu trasmessa al residente in Milano, che la tra-
smettesse a don Gonzalo Fernandez di Cordova.
Non mancavan poi curiosi, che volessero saper da Bortolo
il perchè quel giovine non c'era più, e dove fosse andato.
Alla prima domanda Bortolo rispondeva: «ma! è scomparso.»
Per mandar poi in pace i più insistenti, senza dar loro so-
spetto di quel che n' era davvero , aveva creduto bene di re-
galar loro, a chi V una , a chi 1' altra delle notizie da noi ri-
ferite di sopra: però, come cose incerte, che aveva sentite
dire anche lui, senza averne un riscontro positivo.
Ma quando la domanda gli venne fatta per commission del
cardinale, senza nominarlo, e con un certo apparato d' impor-
tanza e di mistero, lasciando capire ch'era in nome d'un
gran personaggio , tanto più Bortolo s' insospettì, e credè ne-
cessario di rispondere secondo il solito; anzi, trattandosi d'un
gran personaggio, diede in una volta tutte le notizie che aveva
stampate a una a una, in quelle diverse occorrenze.
Non si creda però che don Gonzalo, un signore di quella
sorte , 1' avesse proprio davvero col povero filatore di monta-
gna; che informato forse del poco rispetto usato, e delle cat-
tive parole dette da colui al suo re moro incatenato per la
gola, volesse fargliela pagare: o che lo credesse un soggetto
tanto pericoloso, da perseguitarlo anche fuggitivo , da non la-
sciarlo vivere anche lontano, come il senato romano con An-
nibale. Don Gonzalo aveva troppe e troppo gran cose in
testa, per darsi tanto pensiero de' fatti di Pienzo, e se parve
che se ne desse, nacque da un concorso singolare di circo-
stanze, per cui il poveraccio, senza volerlo, e senza saperlo
né allora né mai, si trovò, con un sottilissimo e invisibile nlo,
attaccato a quelle troppe e troppo gran cose.
CAPITOLO XXVII. 339
CAPITOLO XXVII.
Già più d1 una volta e' è occorso di far menzione della
guerra che allora bolliva, per la successione agli stati del
duca Vincenzo Gonzaga, secondo di quel nome: ma c'è oc-
corso sempre io momenti di gran fretta: sicché non abbiam
mai potuto darne più che un cenno alla sfuggita. Ora però,
all' intelligenza del nostro racconto si richiede proprio d' a-
verne qualche notizia più particolare. Son cose che chi co-
nosce la storia le deve sapere; ma siccome, per un giusto
sentimento di noi medesimi, dobbiam supporre che quest'o-
pera non possa esser letta se non da ignoranti, così non sarà
male che ne diciamo qui quanto basti per infarinarne chi
n'avesse bisogno.
Abbiam detto che, alla morte di quel duca, il primo chia-
mato, in linea di successione, Carlo Gonzaga, capo d*un ramo
cadetto trapiantato in Francia, dove possedeva i ducati di
Kevers e di Réthel, era entrato al possesso di Mantova; e
ora aggiungiamo, del Monferrato: che la fretta appunto ce
1" aveva fatto lasciar nella penna. La corte di Madrid , che
voleva a ogni patto (abbiam detto anche questo) escludere da
que' due feudi il nuovo principe, e per escluderlo aveva biso-
gno d' una ragione (perchè le guerre fatte senza una ragione
sarebbero ingiuste), s'era dichiarato sostenitore di quella che
pretendevano avere, su Mantova un altro Gonzaga, Ferrante,
principe di Guastalla; sul Monferrato Carlo Emanuele I, duca
di Savoia, e Margherita Gonzaga, duchessa vedova di Lorena.
Don Gonzalo, ch'era della casa del gran capitano, e ne por-
tava il nome, e che aveva già fatto la guerra in Fiandra,
voglioso oltremodo di condurne una in Italia, era forse quello
che faceva più fuoco, perchè questa si dichiarasse; e intanto,
interpretando l' intenzioni e precorrendo gli ordini della corte
suddetta, aveva concluso col duca di Savoia un trattato d' in-
vasione e di divisione del Monferrato; e n'aveva poi ottenuta
facilmente la ratificazione dal conte duca, facendogli creder
molto agevole 1' acquisto di Casale, eh' era il punto più difeso
della parte pattuita al re di Spagna. Protestava però, in
nome di questo, di non voler occupar paese, se non a titolo
di deposito, fino alla seutenza dell'imperatore; il quale, in
parte per gli ufizi altrui, in parte per suoi propri motivi,
aveva intanto negata l' investitura al nuovo duca, e intimatogli
che rilasciasse a lui in sequestro gli stati controversi : lui poi,
sentite le parti, li rimetterebbe a chi fosse di dovere. Cosa
alla quale il Xevers non s' era voluto piegare
Aveva anche lui amici d'importanza: il cardinale di Ri-
chelieu, i signori veneziani, e il papa, ch'era, come abbiam
22 *
340 I PROMESSI SPOSI.
detto Urbano Vili. Ma il primo impegnato allora nell' asse-
dio della Roccella e in una guerra con l'Inghilterra, attra-
versato dal partito della regina madre, Maria de' Medici, con-
traria, per certi suoi motivi, alla casa di Xevers, non poteva
dare che delle speranze. I Veneziani non volevan moversi, e
nemmeno dichiararsi, se prima un esercito francese non fosse
calato in Italia; e, aiutando il duca sotto mano, come pote-
vano, con la corte di Madrid e col governatore di Milano
stavano sulle proteste, sulle proposte, sull' esortazioni, placide
o minacciose, secondo i momenti. Il papa raccomandava il
Xevers agli amici, intercedeva in suo favore presso gli avver-
sari, faceva progetti d'accomodamento; di metter gente in
campo non ne voleva saper nulla.
Così i due alleati alle offese poterono, tanto più sicura-
mente, cominciar V impresa concertata. Il duca di Savoia era
entrato, dalla sua parte, nel Monferrato: don Gonzalo aveva
messo, con gran voglia, 1' assedio a Casale ; ma non ci trovava
tutta quella soddisfazione che s' era immaginato : che non
credete che nella guerra sia tutto rose. La corte non
l'aiutava a seconda de' suoi desidèri, anzi gli lasciava man-
care i mezzi più necessari; l'alleato l'aiutava troppo: voglio
dire che, dopo aver presa la sua porzione, andava spizzi-
cando quella assegnata al re di Spagna. Don Gonzalo se ne
rodeva quanto mai si possa dire; ma temendo, se faceva ap-
pena un po' di rumore, che quel Carlo Emanuele, così attivo
ne' maneggi e mobile ne' trattati, come prode nell'armi, si
voltasse alla Francia, doveva chiudere un occhio, mandarla
giù, e stare zitto. L' assedio poi andava male, in lungo, ogni
tanto all' indietro, e per il contegno saldo, vigilante, risoluto
degli assediati, e per aver lui poca gente, e, al dire di qual-
che storico, per i molti spropositi che faceva. Su questo noi
lasciamo la verità a suo luogo, disposti anche, quando la cosa
fosse realmente così, a trovarla bellissima, se fu cagione che
in quell' impresa sia restato morto, smozzicato, storpiato
qualche uomo di meno e, ceteris paribus, anche soltanto un
po' meno danneggiati i tegoli di Casale. In questi frangenti
ricevette la nuova della sedizione di Milano, e ci accorse in
persona.
Qui, nel ragguaglio che gli si diede, fu fatta anche men-
zione della fuga ribelle e clamorosa di Renzo, de' fatti veri
e supposti ch'erano stati cagione del suo arresto: e gli si
seppe anche dire che questo tale s' era rifugiato sul territorio
di Bergamo. Questa circostanza fermò l'attenzione di don
Gonzalo. Era informato da tutt' altra parte, che a Venezia
avevano alzata la cresta, per la sommossa di Milano; che da
principio avevan creduto che sarebbe costretto a levar l' as-
sedio da Casale ; e pensavan tuttavia che ne fosse ancora sba-
CAPITOLO XXVII. 341
lordito, e in gran pensiero: tanto più che, subito dopo quel-
l'avvenimento, era arrivata la notizia, sospirata da que' si-
gnori e temuta da lui, della resa della Roccella. E scottan-
dogli molto, e come uomo e come politico, che que' signori
avessero un tal concetto de' fatti suoi , spiava ogni occasione
di persuaderli, per via d' induzione, che non aveva perso nulla
dell'antica sicurezza; giacché il dire espressamente: non ho
paura, è come non dir nulla. Un buon mezzo è di fare il
disgustato, di querelarsi, di reclamare; e perciò essendo ve-
nuto il residente di Venezia a fargli un complimento, e ad
esplorare insieme, nella sua faccia e nel suo contegno , come
stesse dentro di sé (notate tutto; che questa è politica di
quella vecchia fine), don Gonzalo, dopo aver parlato del tu-
multo, leggermente e da uomo che ha già messo riparo a
tutto; fece quel fracasso che sapete a proposito di Renzo;
come sapete anche quel che ne venne in conseguenza. Dopo,
non s' occupò più d' un affare così minuto e, in quanto a lui,
terminato; e quando poi, che fu un pezzo dopo, gli arrivò la
risposta, al campo sopra Casale, dov'era tornato, e dove
aveva tutt' altri pensieri , alzò e dimenò la testa , come un
baco da seta che cerchi la foglia; stette lì un momento, per
farsi tornar vivo nella memoria quel fatto, di cui non ci rima-
neva più che un'ombra; si rammentò della cosa, ebbe un'idea
fugace e confusa del personaggio* passò ad altro, e non ci
pensò più.
Ma Renzo il quale , da quel poco che gli s' era fatto ve-
der per aria, doveva supporre tutt' altro che una così benigna
noncuranza, stette un pezzo senz'altro pensiero o, per dir
meglio, senz'altro studio, che di viver nascosto. Pensate se
si struggeva di mandar le sue nuove alle donne, e d'aver le
loro, ma e' eran due gran difficoltà. Una, che avrebbe do-
vuto anche lui confidarsi a un segretario, perchè il poverino
non sapeva scrivere, e neppur leggere, nel senso esteso della
parola; e se, interrogato di ciò, come forse vi ricorderete,
dal dottor Azzecca-garbugli, aveva risposto di sì, non fu un
vanto, una sparata, come si dice; ma era la verità che lo
stampato lo sapeva leggere, mettendoci il suo tempo: lo scrit-
to è un altro par di maniche. Era dunque costretto a met-
tere im terzo a parte de' suoi interessi, d: un segreto così ge-
loso: e un uomo che sapesse tener la penna in mano, e di
cui uno si potesse fidare, a que' tempi non si trovava così fa-
cilmente; tanto più in un paese dove non s' avesse nessuna
antica conoscenza. L' altra difficoltà era d' avere anche un
corriere; un uomo che andasse appunto da quelle parti, che
volesse incaricarsi della lettera, e darsi davvero il pensiero
di recapitarla; tutte cose, anche queste, difficili a trovarsi in
un uomo solo.
342 I PROMESSI SPOSI.
Finalmente, cerca e ricerca, trovò chi scrivesse per lui.
Ma, non sapendo se le donne fossero ancora a Monza, o dove,
credè bene di fare accluder la lettera per Agnese in un' altra
diretta al padre Cristoforo. Lo scrivano prese anche V incarico
di far recapitare il plico; lo consegnò a uno che doveva 'pas-
sare non lontano da Pescarenico: costui lo lasciò, con molte
raccomandazioni, in un'osteria sulla strada, al punto più vi-
cino ; trattandosi che il plico era indirizzato a un convento,
ci arrivò: ma cosa n'avvenisse dopo, non s'è mai saputo.
Renzo, non vedendo comparir risposta, fece stendere un' altra
lettera, a un di presso come la prima, e accluderla in un'altra
a un suo amico di Lecco, o parente che fosse. Si cercò un
altro latore, si trovò; questa volta la lettera arrivò a chi era
diretta. Agnese trottò a Maggianico, se la fece leggere e
spiegare da quell'Alessio suo cugino: concertò con lui una
risposta, che questo mise in carta; si trovò il mezzo diman-
darla ad Antonio Rivolta nel luogo del suo domicilio; tutto
questo però non così presto come noi lo raccontiamo. Renzo
ebbe la risposta, e fece riscrivere. In somma, s'avviò tra le
due parti un carteggio, né rapido né regolare, ma pure, a
balzi e ad intervalli, continuato.
Ma per avere un' idea di quel carteggio , bisogna sapere
un poco come andassero allora tali cose, anzi come vadano:
perchè, in questo particolare, credo che ci sia poco o nulla
di cambiato.
Il contadino che non sa scrivere, e che avrebbe bisogno di
scrivere, si rivolge a uno che conosca queir arte, scegliendolo,
per quanto può, fra quelli della sua condizione, perchè degli
altri si perita, o si fida poco: l'informa, con più o meno
ordine e chiarezza, degli antecedenti: e gli espone, nella
stessa maniera, la cosa da mettere in carta. Il letterato,
parte intende, parte frantende, dà qualche consiglio, propone
qualche cambiamento, dice: lasciate fare a me; piglia la pen-
na, mette come può in forma letteraria i pensieri dell'altro,
li corregge, li migliora, carica la mano, oppure smorza, la-
scia anche fuori, secondo gli pare che torni meglio alla cosa;
perchè non c'è rimedio, chi ne sa più degli altri non vuol
essere strumento materiale nelle loro mani; e quando entra
negli affari altrui, vuol anche fargli andare un po' a modo
suo. Con tutto ciò, al letterato suddetto non gli riesce sem-
pre di dire tutto quel che vorrebbe; qualche volta gli accade
di dire tutt' altro: accade anche a noi altri, che scriviamo per
la stampa. Quando la lettera così composta arriva alle mani
del corrispondente, che anche lui non abbia pratica dell'ab-
biccì, la porta a un altro dotto di quel calibro, il quale gliela
legge e gliela spiega. Nascono delle questioni sul modo
d'intendere; perchè l'interessato, fondandosi sulla cognizione
CAPITOLO XXVII. 343
de' fatti antecedenti, pretende che certe parole voglian dire
una cosa; il lettore, stando alla pratica che ha della compo-
sizione, pretende che ne voglian dire un'altra. Finalmente
bisogna che chi non sa si metta nelle mani di chi sa, e dia
a lui l'incarico della risposta: la quale, fatta sul gusto della
proposta, va poi soggetta a un' interpretazione simile. Che
se, per di più, il soggetto della corrispondenza è un po' ge-
loso; se c'entrano affari segreti, che non si vorrebbero
lasciar capire a un terzo, caso mai che la lettera andasse
persa; se, per questo riguardo, c'è stata anche l'intenzione
positiva di non dir le cose affatto chiare; allora, per poco
che la corrispondenza duri, le parti finiscono a intendersi tra
di loro come altre volte due scolastici che da quattr' ore di-
sputassero sull'entelechia: per non prendere una similitudine
da cose vive; che ci avesse poi a toccare qualche scap-
pellotto.
Ora il caso de' nostri due corrispondenti era appunto
quello che abbiam detto. La prima lettera scritta in nome di
Renzo conteneva molte materie. Da principio , oltre un rac-
conto della fuga, molto più conciso, ma anche più arruffato
di quello che avete letto, un ragguaglio delle sue circostanze
attuali; dal quale, tanto Agnese quanto il suo turcimanno fu-
rono ben lontani di ricavare un costrutto chiaro e intero : av-
viso segreto, cambiamento di nome, esser sicuro, ma dovere
star nascosto; cose per sé non troppo famigliari a' loro intel-
letti, e nella lettera dette anche un po' in cifra. C'era poi
delle domande affannose, appassionate su' casi di Lucia, con
de' cenni oscuri e dolenti , intorno alle voci che n' erano arri-
vate fino a Renzo. C erano finalmente speranze incerte, e
lontane, disegni lanciati nell'avvenire, e intanto promesse e
preghiere di mantener la fede data, di non perder la pazien-
za né il coraggio, d' aspettar migliori circostanze.
Dopo un po' di tempo , Agnese trovò un mezzo fidato di
far pervenire nelle mani di Renzo una risposta, co' cinquanta
scudi assegnatigli da Lucia. Al veder tant'oro, Renzo non
sapeva cosa si pensare; e con l'animo agitato da una mara-
viglia e da una sospensione che non davan luogo a conten-
tezza, corse in cerca del segretario, per farsi interpretar la
lettera, e aver la chiave d' un così strano mistero.
Nella lettera, il segretario d'Agnese, dopo qualche la-
mento sulla poca chiarezza della proposta, passava a descri-
vere, con chiarezza a un di presso uguale, la tremenda sto-
ria di quella persona (così diceva); e qui rendeva ragione
de' cinquanta scudi; poi veniva a parlar del voto, ma per
via di perifrasi, aggiungendo con parole più dirette e aperte,
il consiglio di mettere il cuore in pace, e di non pen-
sarci più.
344 I PROMESSI SPOSI.
Renzo, poco mancò che non se la prendesse col lettore
interprete: tremava, inorridiva, s'infuriava, di quel che aveva
capito, e di quel che non aveva potuto capire. Tre o quattro
volte si fece rileggere il terribile scritto, ora parendogli d'in-
tender meglio, ora divenendogli buio ciò che prima gli era
parso chiaro. E in quella febbre di passioni, volle che il se-
gretario mettesse subito mano alla penna, e rispondesse. Dopo
1' espressioni più forti che si possano immaginare di pietà e
di terrore per i casi di Lucia, «scrivete,» proseguiva dettando,
«che io il cuore in pace non lo voglio mettere, e non lo met-
terò mai ; e che non son pareri da darsi a un figliuolo par
mio; e che i danari non li toccherò; che li ripongo, e li tengo
in deposito, per la dote della giovine; che già la giovine
dev'esser mia; che io non so di promessa; e che ho ben
sempre sentito dire che la Madonna e' entra per aiutare i tri-
bolati, e per ottener delle grazie, ma per far dispetto e per
mancar di parola, non l'ho sentito mai; e che codesto non
può stare; e che, con questi danari, abbiamo a metter su casa
qui; e che, se ora sono un po' imbrogliato, l'è una burrasca
che passerà presto:» e cose simili.
Agnese ricevè poi quella lettera, e fece riscrivere; e il
carteggio continuò, nella maniera che abbiam detto.»
Lucia, quando la madre ebbe potuto, non so per qual
mezzo, farle sapere che quel tale era vivo e in salvo e av-
vertito, sentì un gran sollievo, e non desiderava più altro, se
non che si dimenticasse di lei; o, per dir la cosa proprio a
un puntino, che pensasse a dimenticarla. Dal canto suo, fa-
ceva cento volte al giorno una risoluzione simile riguardo a
lui; e adoprava anche ogni mezzo per mandarla ad effetto.
Stava assidua al lavoro, cercava d'occuparsi tutta in quello:
quando l'immagine di Renzo le si presentava, e lei a dire o
a cantare orazioni a mente. Ma quelP immagine, proprio come
se avesse avuto malizia, non veniva per lo più, così alla sco-
perta; s' introduceva di soppiatto dietro all'altre, in modo
che la mente non s' accorgesse d' averla ricevuta, se non dopo
qualche tempo che la e' era. Il pensiero di Lucia stava
spesso con la madre; come non ci sarebbe stato? e il Renzo
ideale veniva pian piano a mettersi in terzo, come il reale
aveva fatto tante volte. Così con tutte le persone, in tutti
i luoghi, in tutte le memorie del passato, colui si veniva a
ficcare. E se la poverina si lasciava andar qualche volta a
fantasticar sul suo avvenire, anche lì compariva colui, per
dire, se non altro, io a buon conto non ci sarò. Però, se il
non pensare a lui era impresa disperata, a pensarci meno, e
meno intensamente che il cuore avrebbe voluto, Lucia ci
riusciva fino a un certo segno: ci sarebbe anche riuscita
meglio, se fosse stata sola a volerlo. Ma c'era donna Pras-
CAPITOLO XXVII. 345
sede, la quale, tutta impegnata dal canto suo a levarle
dall'animo colui, non aveva trovato migliore espediente che
di parlargliene spesso, e Ebbene?» le diceva: «non ci pen-
siam più a colui?»
«Io non penso a nessuno,» rispondeva Lucia.
Donna Prassede non s'appagava d'una risposta simile;
replicava che ci volevan fatti e non parole; si diffondeva a
parlare sul costume delle giovani, le quali, diceva, «quando
hanno nel cuore uno scapestrato (ed è lì che inclinano sem-
pre), non se lo staccan più. Un partito onesto, ragionevole,
d'un galantuomo, d'un uomo assestato, che, per qualche ac-
cidente, vada a monte, son subito rassegnate, ma un rompi-
collo, è piaga incurabile.» E allora principiava il panegirico
del povero assente, del birbante venuto a Milano, per rubare
e scannare: e voleva far confessare a Lucia le bricconate che
colui doveva aver fatte, anche al suo paese.
Lucia, con la voce tremante di vergogna, di dolore, e di
quello sdegno che poteva aver luogo nel suo animo dolce e
nella sua umile fortuna, assicurava e attestava, che, al suo
paese, quel poveretto non aveva mai fatto parlar di sé, altro
che in bene; avrebbe voluto, diceva, che fosse presente qual-
cheduno di là, per fargli far testimonianza. Anche sull'av-
venture di Milano, delle quali non era ben informata, lo di-
fendeva, appunto con la cognizione che aveva di lui e de' suoi
portamenti tino dalla fanciullezza. Lo difendeva o si propo-
neva di difenderlo, per puro dovere di carità, per amore del
vero, e, a dir proprio la parola con la quale spiegava a sé
stessa il suo sentimento, come prossimo. Ma da queste apo-
logie donna Prassede ricavava nuovi argomenti per convincer
Lucia, che il suo cuore era ancor perso dietro a colui. E
per verità, in que' momenti, non saprei ben dire come la co»
sa stesse. L'indegno ritratto che la vecchia faceva del pove-
rino, risvegliava, per opposizione, più viva e più distinta che
mai, nella mente della giovine l'idea che vi si era formata
in una così lunga consuetudine; le rimembranze compresse a
forza, si svolgevano in folla: l'avversione e il disprezzo ri-
chiamavano tanti antichi motivi di stima; l'odio cieco e vio-
lento faceva sorger più forte la pietà; e con questi affetti,
chi sa quanto ci potesse essere o non essere di queir altro
che dietro ad essi s'introduce così facilmente negli animi;
figuriamoci cosa farà in quelli, donde si tratti di scacciarlo
per forza. Sia come si sia, il discorso, per la parte di Lu-
cia, non sarebbe mai andato molto in lungo; che le parole
finivan presto in pianto.
Se donna Prassede fosse stata spinta a trattarla in quella
maniera da qualche odio inveterato contro di lei, forse quelle
lacrime l'avrebbero tocca, e fatta smettere; ma parlando a
34G I PROMESSI SPOSI.
fin di bene, tirava avanti senza lasciarsi smovere: come i ge-
miti, i gridi supplichevoli, potranno ben trattenere Tarme
d'un nemico, ma non il ferro d'un chirurgo. Fatto però
bene il suo dovere per quella volta , dalle stoccate e da' rab-
buffi veniva all' esortazioni, ai consigli, conditi anche di qual-
che lode, per temperar così Pagro col dolce, e ottener me-
glio l'effetto, operando sull'animo in tutti i versi. Certo, di
quelle baruffe (che avevan sempre a un di presso lo stesso
principio, mezzo e fine), non rimaneva alla buona Lucia pro-
priamente astio contro l' acerba predicatrice, la quale poi nel
resto la trattava con gran dolcezza; e anche in questo si vp-
deva una buona intenzione. Le rimaneva bensì un ribolli-
mento, una sollevazione di pensieri e d' affetti tale che ci vo-
leva molto tempo e molta fatica per tornare a quella qualunque
calma di prima.
Buon per lei, che non era la sola a cui donna Prassede
avesse a far dei bene; sicché le baruffe non potevano esser
così frequenti. Oltre il resto della servitù, tutti cervelli che
avevan bisogno, più o meno, d'esser raddirizzati e guidati;
oltre tutte l'altre occasioni di prestar lo stesso ufizio, per
buon cuore, a molti con cui non era obbligata a niente: oc-
casioni che cercava, se non s' offrivan da sé; aveva anche cin-
que figlie, nessuna in casa, ma che le davan più da pensare,
che se ci fossero state. Tre eran monache, due maritate; e
donna Prassede si trovava naturalmente aver tre monasteri e
due case a cui soprintendere ; impresa vasta e complicata,
e tanto più faticosa, che due mariti, spalleggiati da padri, da
madri, da fratelli, e tre badesse, fiancheggiate da altre dignità
e da molte monache, non volevano accettare la sua soprain-
tendenza. Era una guerra, anzi cinque guerre, coperte, gen-
tili, fino a un certo segno, ma vive e senza tregua: era in tutti
que' luoghi un' attenzione continua a scansare la sua premura,
a chiuder l'adito a' suoi pareri, a eludere le sue richieste, a
far che fosse al buio , più che si poteva, d' ogni affare. Non
parlo de' contrasti, delle difficoltà che incontrava nel maneggio
d'altri affari anche più estranei: si sa che agli uomini il be-
ne bisogna, le più volte, farlo per forza. Dove il suo zelo
poteva esercitarsi liberamente, era in casa: lì ogni persona
era soggetta, in tutto e per tutto, alla sua autorità, fuorché
don Ferrante, col quale le cose andavano in un modo affatto
particolare.
Uomo di studio, non gli piaceva né di comandare né di
ubbidire. Che, in tutte le cose di casa, la signora moglie
fosse la padrona, alla buon'ora; ma lui servo, no. E se,
pregato, le prestava a un' occorrenza V ufizio della penna, era
perchè ci aveva il suo genio; del rimanente, anche in questo
sapeva dir di no, quando non fosse persuaso di ciò che lei
CAPITOLO XXVII. 347
voleva fargli scrivere. «La s'ingegni,» diceva in que' casi :
sfaccia da sé, giacché la cosa le par tanto chiara.» Donna
Prassede, dopo aver tentato per qualche tempo, e inutilmente,
di tirarlo, dal lasciar fare al fare: s'era ristretta a brontolare
spesso contro di lui, a nominarlo uno schivafatiche, un uomo
fisso nelle sue idee, un letterato ; titolo nel quale, insieme con
la stizza, e' entrava anche un po' di compiacenza.
Don Ferrante passava di grand' ore nel suo studio, dove
aveva una raccolta di libri considerabile, poco meno di tre-
cento volumi; tutta roba scelta, tutte opere delle più ripu-
tate, in varie materie; in ognuna delle quali era più o meno
versato. Nell'astrologia, era tenuto, e con ragione, per più
che un dilettante; perchè non ne possedeva soltanto quelle
nozioni generiche, e quel vocabolario comune, d'influsso,
d'aspetti, di congiunzioni; ma sapeva parlare a proposito, e
come dalla cattedra, delle dodici case del cielo, de' circoli
massimi, de' gradi lucidi e tenebrosi, d'esaltazione e di deie-
zione , di transiti e di rivoluzioni, de' princìpi in somma più
certi e più reconditi della scienza. Ed eran forse veni' anni
che, in dispute frequenti e lunghe, sosteneva la domificazione
del Cardano contro un altro dotto attaccato ferocemente a
quella dell' Alcabizio, per mera ostinazione, diceva don Fer-
rante; il quale, riconoscendo volentieri la superiorità degli
antichi, non poteva però soffrire quel non voler dar ragione
a' moderni, anche dove l'hanno chiara che la vedrebbe
ognuno. Conosceva anche, più che mediocremente, la storia
della scienza; sapeva a un bisogno citare le più celebri pre-
dizioni avverate, e ragionar sottilmente ed eruditamente sopra
altre celebri predizioni andate a voto, per dimostrar che la
colpa non era della scienza, ma di chi non l'aveva saputa
adoprar bene.
Della filosofia antica aveva imparato quanto poteva bastare,
e n'andava di continuo imparando di più, dalla lettura di
Diogene Laerzio. Siccome però que' sistemi, per quanto sian
belli, non si può adottarli tutti; e, a voler essere filosofo,
bisogna scegliere un autore, così don Ferrante aveva scelto
Aristotile, il quale, come diceva lui, non è né antico né mo-
derno: è il filosofo. Aveva anche varie opere de' più savi
e sottili seguaci di lui, tra i moderni: quelle de' suoi impu-
gnatori non aveva mai voluto leggerle, per non buttar via il
tempo, diceva; né comprarle, per non buttar via i danari.
Per eccezione però, dava luogo nella sua libreria a que' cele-
bri ventidue libri De subtihtate, e a qualche altr' opera an-
tiperipatetica del Cardano, in grazia del suo valore in astro-
logia; dicendo che chi aveva potuto scrivere il trattato De
restitutione temporum et motuum calestium , e il libro Duo-
348 1 PROMESSI SPOSI.
decim geniturarum, meritava d' essere ascoltato, anche quando
spropositava; e che il gran difetto di queir uomo era stato
d'aver troppo ingegno; e che nessuno si può immaginare
dove sarebbe arrivato, anche in filosofia, se fosse stato sempre
nella strada retta. Del rimanente, quantunque, nel giudizio
de' dotti, don Ferrante passasse per un peripatetico consu-
mato, non ostante a lui non pareva di saperne abbastanza;
e più d'una volta disse, con gran modestia, che 1' essenza,
gli universali, 1' anima del mondo, e la natura delle cose non
eran cose tanto chiare, quanto si potrebbe credere.
Della filosofia naturale s' era fatto più un passatempo che
uno studio; l'opere stesse d'Aristotile su questa materia, e
quelle di Plinio le aveva piuttosto lette che studiate: non di
meno, con questa lettura, con le notizie raccolte incidente-
mente da' trattati di filosofìa generale, con qualche scorsa data
alla Magia naturale del Porta, alle tre storie lapidimi, ani-
medium, pìantarum, del Cardano, al Trattato dell'erbe, delle
piante, degli animali, d' Alberto Magno , a qualche altr' opera
di minor conto, sapeva a tempo trattenere una conversazione
ragionando delle virtù più mirabili e delle curiosità più singo-
lari di molti semplici; descrivendo esattamente le forme e
l'abitudini delle sirene e dell'unica fenice; spiegando come
la salamandra stia nel fuoco senza bruciare; come la remora,
quel pesciolino, abbia la forza e 1' abilità di fermare di punto
in bianco, in alto mare, qualunque gran nave; come le gocciole
della rugiada diventin perle in seno delle conchiglie; come il
camaleonte si cibi d'aria; come dal ghiaccio lentamente in-
durato, con l'andar de' secoli, si formi il cristallo; e altri
de' più maravigliosi segreti della natura.
In quelli della magia e della stregoneria s'era internato
di più, trattandosi, dice il nostro anonimo, di scienza molto
più in voga e più necessaria, e nella quale i fatti sono di
molto maggiore importanza, e più a mano, da poterli verifi-
care. Xon c'è bisogno di dire che, in un tale studio, non
aveva mai avuto altra mira che d'istruirsi e di conoscere a
fondo le pessime arti de' maliardi, per potersene guardare, e
difendere. E, con la scorta principalmente del gran Martino
Delrio (1' uomo della scienza) , era in grado di discorrere ex
professo del maleficio amatorio, del maleficio sonnifero, del
maleficio ostile, e dell'infinite specie che, pur troppo, dice
ancora 1' anonimo, si vedono in pratica alla giornata, di questi
tre generi capitali di malìe, con effetti così dolorosi. Ugual-
mente vaste e fondate eran le cognizioni di don Ferrante in
fatto di storia, specialmente universale: nella quale i suoi
autori erano il Tarcagnota, il Dolce, il Bugatti, il Campana,
il Guazzo, i più riputati insomma.
Ma cos1 è mai la storia, diceva spesso don Ferrante, senza
CAPITOLO XXVII. 349
la politica? Una guida che cammina, cammina, con nessuno
dietro che impari la strada, e per conseguenza butta via i
suoi passi; come la politica senza la storia è uno che cam-
mina senza guida. C: era dunque ne' suoi scaffali un pal-
chetto assegnato agli statisti, dove, tra molti di piccola mole,
e di fama secondaria, spiccavano il Bodino, il Cavalcanti, il
Sansovino, il Paruta, il Boccalini. Due però erano i libri
che don Ferrante anteponeva a tutti, e di gran lunga, in
questa materia: due che, fino a un certo tempo, fu solito di
chiamare i primi, senza mai potersi risolvere a qual de' due
convenisse unicamente quel grado; l'uno, il Principe e i Di-
scorsi del celebre segretario fiorentino; mariolo, sì, diceva
don Ferrante, ma profondo: l'altro, la Ragio?i di Stato del
non men celebre Giovanni Boterò; galantuomo sì, diceva pure,
ma acuto. Ma. poco prima del tempo nel quale è circoscritta
la nostra storia, era venuto fuori il libro che terminò la
questione del primato , passando avanti anche all' opere di
que' due matadori, diceva don Ferrante; il libro in cui si
trovan racchiuse e come stillate tutte le malizie, per poterle
conoscere, e tutte le virtù, per poterle praticare: quel libro
piccino, ma tutto d'oro; in una parola lo Statista Regnante
di don Valeriane Castiglione, di quell' uomo celeberrimo di
cui si può dire, che i più gran letterati lo esaltavano a gara,
e i più gran personaggi facevano a rubarselo; di quell'uomo
che il papa Urbano VILI onorò, come è noto, di magnifiche
lodi: che il cardinal Borghese e il viceré di Napoli, don Pie-
tro di Toledo, sollecitarono a descrivere, il primo i fatti di
papa Paolo V, l'altro le guerre del re cattolico in Italia,
l'uno e l'altro invano; di quell'uomo, che Luigi XIII, re di
Francia, per suggerimento del Cardinal Richelieu, nominò suo
istoriografo; a cui il duca Carlo Emanuele di Savoia conferì
la stessa carica; in lode di cui, per tralasciare altre gloriose
testimonianze, la duchessa Cristina, figlia del cristianissimo
re Enrico IV, potè in un diploma, con molti altri titoli, an-
noverare «la certezza della fama eh' egli ottiene in Italia, di
primo scrittore de' nostri tempi.»
Ma se, in tutte le scienze suddette, don Ferrante poteva
dirsi addottrinato, una ce n'era in cui meritava e godeva il
titolo di professore: la scienza cavalleresca. Non solo ne ra-
gionava con vero possesso, ma pregato frequentemente d'in-
tervenire in affari d'onore, dava sempre qualche decisione.
Aveva nella sua libreria, e si può dire in testa, le opere de-
gli scrittori più riputati in tal materia: Paride dal Pozzo,
Fausto da Longiano, 1' Urrea, il Muzio, il Romei, l'Alber-
gato, il Forno primo e il Forno secondo di Torquato Tasso,
di cui aveva anche in pronto, e a un bisogno sapeva citare
& memoria tutti i passi della Gerusalemme Liberata, come
350 I PROMESSI SPOSI.
della Conquistata, che possono far testo in materia di caval-
leria. L'autore però degli autori, nel suo concetto, era il
nostro celebre Francesco Birago, con cui si trovò anche più
d'una volta, a dar giudizio sopra casi d'onore; e il quale,
dal canto suo, parlava di don Ferrante in termini di stima
particolare. E fin da quando venner fuori i Discorsi Caval-
iereschi di quell'insigne scrittore, don Ferrante pronosticò,
senza esitazione, che quest'opera avrebbe rovinata l'autorità
dell' Olevano, e sarebbe rimasta, insieme con l'altre sue no-
bili sorelle, come codice di primaria autorità presso ai po-
steri; profezia, dice l'anonimo, che ognun può vedere come
si sia avverata.
Da questo passa poi alle lettere amene, ma noi comin-
ciamo a dubitare se veramente il lettore abbia una gran
voglia d'andar avanti con lui in questa rassegna, anzi a te-
mere di non aver già buscato il titolo di copiator servile per
noi, e quello di seccatore da dividersi con l'anonimo sullo-
dato, per averlo bonariamente seguito fin qui, in cosa
estranea al racconto principale, e nella quale probabilmente
non s' è tanto disteso , che per isfoggiar dottrina , e far ve-
dere che non era indietro del suo secolo. Però, lasciando
scritto quel che è scritto, per non perder la nostra fatica,
ometteremo il rimanente, per rimetterci in istrada: tanto
più che ne abbiamo un bel pezzo da percorrere, senza in-
contrare alcun de' nostri personaggi, e uno più lungo ancora,
prima di trovar quelli ai fatti de' quali certamente il lettore
s'interessa di più, se a qualche cosa s'interessa in tutto
questo.
Fino all' autunno del seguente anno 1629, rimasero tutti,
chi per volontà chi per forza, nello stato a un di presso in
cui gli abbiam lasciati, senza che ad alcuno accadesse, né
che alcun altro potesse far cosa degna d' esser riferita. Venne
l'autunno, in cui Agnese e Lucia avevan fatto conto di ritro-
varsi insieme: ma un grande avvenimento pubblico mandò
quel conto all' aria : e fu questo certamente uno de' suoi più
piccoli effetti. Seguiron poi altri grandi avvenimenti, che
però non portaron nessun cambiamento notabile nella sorte
de' nostri personaggi. Finalmente nuovi casi, più generali,
più forti, più estremi . arrivarono anche fino a loro, fino agli
infimi di loro, secondo la scala del mondo; come un turbine
vasto, incalzante, vagabondo, scoscendendo e sbarbando al-
beri, arruffando tetti, scoprendo campanili, abbattendo mura-
glie e sbattendone qua e là i rottami, solleva anche i fuscelli
nascosti tra 1' erba , va a cercare negli angoli le foglie passe
e leggieri, che un minor vento vi aveva confinate, e le porta
in giro involte nella sua rapina.
Ora, perchè i fatti privati che ci rimangon da raccontare
CAPITOLO XXVIII. 351
riescan chiari, dobbiamo assolutamente premettere un rac-
conto alla meglio di quei pubblici, prendendola anche un
po' da lontano.
CAPITOLO XXVIII.
Dopo quella sedizione del giorno di san Martino e del se-
guente, parve che V abbondanza fosse tornata in Milano, come
per miracolo. Pane in quantità da tutti i fornai; il prezzo,
come nell'annate migliori; le farine a proporzione. Coloro
che, in que' due giorni, s'erano addati a urlare o a far an-
che qualcosa di più, avevano ora (meno alcuni pochi stati
presi) di che lodarsi: e non crediate che se ne stessero, appena
cessato quel primo spavento delle catture. Sulle piazze, sulle
cantonate, nelle bettole, era un tripudio palese, un congratu-
larsi e un vantarsi tra1 denti d' aver trovata la maniera di far
rinviliare il pane. In mezzo però alla festa e alla baldanza,
e' era (e come non ci sarebbe stata?) un' inquietudine, un pre-
sentimento che la cosa non avesse a durare. Assediavano
i fornai e farinaiuoli , come già avevan fatto in queir altra
fattizia e passeggiera abbondanza prodotta dalla prima tariffa
d' Antonio Ferrer; tutti consumavano senza risparmio; chi
aveva qualche quattrino da parte, l'investiva in pane e in
farine; facevan magazzino delle casse, delle botticine, delle
caldaie. Così, facendo a gara a goder del buon mercato pre-
sente, ne rendevano, non dico impossibile la lunga durata,
che già lo era per sé, ma sempre più difficile anche la con-
tinuazione momentanea. Ed ecco che, il 15 di novembre,
Antonio Ferrer, De órden de Su Excelencia, pubblicò una
grida, con la quale, a chiunque avesse granaglie o farine in
casa, veniva proibito di comprarne uè punto né poco, e ad
ognuno di comprar pane, per più che il bisogno di due giorni,
sotto pene pecuniarie e corporali, alV arbitrio di Sua Eccel-
lenza; intimazione a chi toccava per ufizio, e a ogni persona,
di denunziare i trasgressori; ordine a' giudici, di far ricerche
nelle case che potessero venir indicate; insieme però, nuovo
comando a' fornai di tener le botteghe ben fornite di pane,
sotto pena, in caso di mancamento , di cinque anni di galera,
et maggiore, aìV arbitrio di S. E. Chi sa immaginarsi una
grida tale eseguita, deve avere una bella immaginazione:
e certo, se tutte quelle che si pubblicavano in quel tempo
erano eseguite, il ducato di Milano doveva avere almeno tanta
gente in mare, quanta ne possa avere ora la gran Bretagna.
Sia coni' e&ser si voglia, ordinando ai fornai di far tanto
362 1 PROMESSI SPOSI.
pane, bisognava anche fare in modo che la materia del pane
non mancasse loro. S' era immaginato (come sempre in tempo
di carestia rinasce uno studio di ridurre in pane de' prodotti
che d'ordinario si consumano sott' altra forma), s'era, dico,
immaginato di far entrare il riso nel composto del pane detto
di mistura. Il 23 novembre, grida che sequestra, agli ordini
del vicario e de' dodici di provvisione, la metà del riso vestito
(risone lo dicevano qui, e lo dicon tuttora) che ognuno pos-
segga; pena a chiunque ne disponga senza il permesso di
que' signori, la perdita della derrata, e una multa di tre
scudi per moggio. È, come ognun vede, la più onesta.
Ma questo riso bisognava pagarlo, e un prezzo troppo
sproporzionato da quello del pane. 11 carico di supplire
all'enorme differenza era stato imposto alla città; ma il Con-
siglio de' decurioni, che l'aveva assunto per essa, deliberò lo
stesso giorno 23 dì novembre, di rappresentare al governatore
T impossibilità di sostenerlo più a lungo. E il governatore,
con grida del 7 di dicembre, fissò il prezzo del riso suddetto
a lire dodici il moggio: a chi ne chiedesse di più, come a
chi ricusasse di vendere, intimò la perdita della derrata e
una multa d' altrettanto valore, et maggior pena pecuniaria
et ancora corporale sin(\ alla galera, all'arbitrio di S. E.,
secondo la qualità de1 casi et delle persone.
Al riso brillato era già stato fissato il prezzo prima della
sommossa; come probabilmente la tariffa o, per usare quella
denominazione celeberrima negli annali moderni, il maximum
del grano e dell' altre granaglie più ordinarie sarà stato fis-
sato con altre gride, che non e' è avvenuto di vedere.
Mantenuto così il pane e la farina a buon mercato in Mi-
lano, ne veniva di conseguenza che dalla campagna accorresse
gente a processione a comprarne. Don Gonzalo, per riparare
a questo, come dice lui, inconveniente, proibì, con un'altra
grida del 15 di dicembre, di portar fuori della città pane, per
più del valore di venti soldi; pena la perdita del pane mede-
simo, e venticinque scudi, et in caso di intuibilità, di due
tratti di corda in pubblico, et maggior pena ancora, secondo
il solito, alV arbitrio dì S. E. Il 22 dello stesso mese (e non
si vede perchè così tardi), pubblicò un ordine somigliante per
le farine e per i grani.
La moltitudine aveva voluto far nascere l' abbondanza col
saccheggio e con l'incendio; il governo voleva mantenerla
con la galera e con la corda. I mezzi erano convenienti tra
loro; ma cosa avessero a fare col fine, il lettore lo vede:
come valessero infatto ad ottenerlo, lo vedrà a momenti. È
poi facile anche vedere, e non inutile l'osservare come tra
quegli strani provvedimenti ci sia però una connessione ne-
cessaria: ognuno era una conseguenza inevitabile dell'ante-
CAPITOLO XXVIII. 353
cedente, e tutti del primo, che fissava al pane un prezzo così
lontano dal prezzo reale, da quello cioè che sarebbe risultato
naturalmente dalla proporzione tra il bisogno e la quantità.
Alla moltitudine un tale espediente è sempre parso, e ha
sempre dovuto parere, quanto conforme all'equità, altrettanto
semplice e agevole a mettersi in esecuzione: è quindi cosa
naturale che, nell' angustie e ne' patimenti della carestia, essa
lo desideri, l'implori e, se può, l'imponga. Di mano in
mano poi che le conseguenze si fanno sentire, conviene che
coloro a cui tocca, vadano al riparo di ciascheduna, con una
legge la quale proibisca agli uomini di far quello a che eran
portati dall' antecedente. Ci si permetta d' osservar qui di
passaggio una combinazione singolare. In un paese e in un'
epoca vicina, nell'epoca la più clamorosa e la più notabile
della storia moderna, si ricorse, in circostanze simili, a simili
espedienti (i medesimi, si potrebbe quasi dire, nella sostanza,
con la sola differenza di proporzione, e a un di presso nel
medesimo ordine) ad onta dei tempi tanto cambiati, e delle
cognizioni cresciute in Europa, e in quel paese forse più che
altrove; e ciò principalmente perchè la gran massa popolare,
alla quale quelle cognizioni non erano arrivate, potè far pre-
valere a lungo il suo giudizio, e forzare, come colà si dice,
la mano a quelli che facevan la legge.
Così, tornando a noi, due erano stati, alla fin dei conti, i
frutti principali della sommossa; guasto e perdita effettiva di
viveri, nella sommossa medesima; consumo, fin che durò la
tariffa, largo, spensierato, senza misura, a spese di quel poco
grano, che pur doveva bastare fino alla nuova raccolta. A
questi effetti generali s'aggiunga quattro disgraziati, impic-
cati come capi del tumulto: due davanti al forno delle grucce,
due in cima della strada dov' era la casa del vicario di prov-
visione.
Del resto, le relazioni storiche di que' tempi son fatte così
a caso, che non ci si trova neppur la notizia del come e del
quando cessasse quella tariffa violenta. Se, in mancanza di
notizie positive, è lecito propor congetture, noi incliniamo a
credere che sia stata abolita poco prima o poco dopo il 24
di dicembre, che fu il giorno di quell' esecuzione. E in quanto
alle gride, dopo V ultima che abbiam citata del 22 dello stesso
mese, non ne troviamo altre in materia di grasce; sian esse
perite, o siano sfuggite alle nostre ricerche, o sia finalmente
che il governo, disanimato, se non ammaestrato dall'ineffi-
cacia di que' suoi rimedi, e sopraffatto dalle cose, le abbia
abbandonate al loro corso. Troviamo bensì nelle relazioni di
più d' uno storico (inclinati, com' erano, più a descriver gran-
d' avvenimenti , che a notarne le cagioni e il progresso) il ri-
tratto del paese, e della città principalmente, nell' inverno
Manzoni. 23
354 I PEOMESSI SPOSI.
avanzato e nella primavera, quando la cagion del male, la
sproporzione cioè tra i viveri e il bisogno, non distrutta, anzi
accresciuta dai rimedi che ne sospesero temporariamente gli
effetti , e neppure da un' introduzione sufficiente di granaglie
estere, alla quale ostavano l'insufficienza de' mezzi pubblici
e privati, la penuria de' paesi circonvicini, la scarsezza, la
lentezza e i vincoli del commercio, e le leggi stesse tendenti a
produrre e mantenere il prezzo basso, quando, dico, la cagion
vera della carestia, o per dir meglio, la carestia stessa ope-
rava senza ritegno, e con tutta la sua forza. Ed ecco la co-
pia di quel ritratto doloroso.
A ogni passo botteghe chiuse; le fabbriche in gran parte
deserte; le strade, un indicibile spettacolo, un corso incessante
di miserie, un soggiorno perpetuo di patimenti. Gli accattoni
di mestiere, diventati ora il minor numero, confusi e perduti
in una nuova moltitudine, ridotti a litigar 1' elemosina con
quelli talvolta da cui in altri giorni l' avevan ricevuta. Gar-
zoni e giovani licenziati da padroni di bottega, che scemato
o mancato affatto il guadagno giornaliero, vivevano stentata-
mente degli avanzi e del capitale; de' padroni stessi, per cui il
cessar delle faccende era stato fallimento e rovina; operai, e
anche maestri d'ogni manifattura e d'ogni arte, delle più
comuni come delle più raffinate, delle più necessarie come di
quelle di lusso, vaganti di porta in porta, di strada in istra-
da, appoggiati alle cantonate, accovacciati sulle lastre, lungo
le case e le chiese, chiedendo pietosamente l'elemosina, o
esitanti tra il bisogno e una vergogna non ancor domata,
smunti, spossati, rabbrividiti dal freddo e dalla fame ne' panni
logori e scarsi, ma che in molti serbavano ancora i segni
d' un' antica agiatezza; come nell' inerzia e nell' avvilimento,
compariva non so quale indizio d1 abitudini operose e franche.
Mescolati tra la deplorabile turba, e non piccola parte di
essa, servitori licenziati da padroni caduti allora dalla medio-
crità nella strettezza, o che quantunque facoltosissimi si tro-
vavano inabili, in una tale annata, a mantenere quella solita
pompa di seguito. E a tutti questi diversi indigenti s' ag-
giunga un numero d' altri , avvezzi in parte a vivere del gua-
dagno di essi; bambini, donne, vecchi, aggruppati co' loro
antichi sostenitori, o dispersi in altre parti all' accatto.
C eran pure, e si distinguevano ai ciuffi arruffati, ai cenci
sfarzosi, o anche a un certo non so che nel portamento e nel
gesto, a quel marchio che le consuetudini stampano su' visi,
tanto più rilevato e chiaro, quanto più sono strane, molti di
quella genìa de' bravi che, perduto, per la condizion comune,
quel loro pane scellerato, ne andavan chiedendo per carità.
Domati dalla fame, non gareggiando con gli altri che di pre-
ghiere, spauriti, incantati, si strascicavan per le strade che
CAPITOLO XXVIII. 355
avevano per tanto tempo passeggiate a testa alta, con isguar-
do sospettoso e feroce, vestiti dì livree ricche e bizzarre, con
gran penne, guarniti di ricche armi, attillati, profumati; e pa-
ravano umilmente la mano, che tante volte avevano alzata in-
solente a minacciare, o traditrice a ferire.
Ma forse il più brutto e insieme il più compassionevole
spettacolo erano i contadini, scompagnati, a coppie, a fami-
glie intere; mariti, mogli, con bambini in collo, o attaccati
dietro le spalle, con raggazzi per la mano, con vecchi dietro.
Alcuni che, invase e spogliate le loro case dalla soldatesca,
alloggiata lì o di passaggio, n' eran fuggiti disperatamente;
e tra questi ce n' era di quelli che , per far più compassione,
e come per distinzione di miseria, facevan vedere i lividi e
le margini de' colpi ricevuti nel difendere quelle loro poche
ultime provvisioni, o scappando da una sfrenatezza cieca e
brutale. Altri, andati esenti da quel flagello particolare, ma
spinti da que' due da cui nessun angolo era stato immune,
la sterilità e le gravezze, più esorbitanti che mai, per soddi-
sfare a ciò che si chiamava i bisogni della guerra, eran ve-
nuti, venivano alla città, come a sede antica e ad ultimo asilo
di ricchezza e di pia munificenza. Si potevan distinguere gli
arrivati di fresco, più ancora che all' andare incerto e al-
l' aria nuova, a un fare maravigliato e indispettito di trovare
una tal piena, una tale rivalità di miseria, al termine dove
avevan creduto di comparire oggetti singolari di compassione,
e d' attirare a sé gli sguardi e i soccorsi. Gli altri, che da
più o men tempo giravano e abitavano le strade della città,
tenendosi ritti co' sussidi ottenuti o toccati come in sorte, in
una tanta sproporzione tra i mezzi e il bisogno; avevan di-
pinta ne' volti e negli atti una più cupa e stanca costerna-
zione. Vestiti diversamente, quelli che ancora si potevano
dir vestiti: e diversi anche nell'aspetto: facce dilavate del
basso paese, abbronzate del pian di mezzo e delle colline,
sanguigne di montanari; ma tutte affilate e stravolte, tutte
con occhi incavati, con isguardi fissi, tra il torvo e 1' insen-
sato; arruffati i capelli, lunghe e irsute le barbe: corpi cre-
sciuti e indurati alla fatica, esausti ora dal disagio; raggrin-
zata la pelle sulle braccia aduste e sugli stinchi e sui petti
scarniti, che si vedevan di mezzo ai cenci scomposti. E di-
versamente, ma non meno doloroso di questo aspetto di vi-
gore abbattuto, 1' aspetto d' una natura più presto vinta, d' un
languore e d'uno sfinimento più abbandonato, nel sesso e
nelP età più deboli.
Qua e là per le strade, rasente ai muri delle case, qual-
che po' di paglia pesta, trita e mista d'immondo ciarpume.
E una tal porcheria era però un dono e uno studio della
carità; eran covili apprestati a qualcheduno di que' meschini,
23*
356 I PROMESSI SPOSI.
per posarci il capo la notte. Ogni tanto, ci si vedeva, anche
di giorno, giacere o sdraiarsi taluno a cui la stanchezza o il
digiuno aveva levate le forze e tronche le gambe, qualche
volta quel tristo letto portava un cadavere: qualche volta si
vedeva uno cader come un cencio all'improvviso, e rimaner
cadavere sul selciato.
Accanto a qualcheduno di que' covili, si vedeva pure chi-
nato qualche passeggiero o vicino, attirato da una compassion
subitanea. In qualche luogo appariva un soccorso ordinato
con più lontana previdenza, mosso da una mano ricca di
mezzi, e avvezza a beneficare in grande; ed era la mano del
buon Federigo. Aveva scelto sei preti ne' quali una carità
viva e perseverante fosse accompagnata e servita da una com-
plessione robusta; gli aveva divisi in coppie, e ad ognuno as-
segnata una terza parte della città da percorrere, con dietro
facchini carichi di vari cibi, d' altri più sottili e più pronti
ristorativi, e di vesti. Ogni mattina, le tre coppie si mette-
vano in istrada da diverse parti, s'avvicinavano a quelli che
vedevano abbandonati per terra, e davano a ciascheduno aiuto
secondo il bisogno. Taluno già agonizzante e non più in caso
di ricevere alimento, riceveva gli ultimi soccorsi e le conso-
lazioni della religione. Agli affamati dispensavano minestra,
ova, pane, vino; ad altri, estenuati da più antico digiuno,
porgevano consumati, stillati, vino più generoso, riavendoli
prima, se faceva il bisogno, con cose spiritose. Insieme, di-
stribuivano vesti alle nudità più sconce e più dolorose.
Né qui finiva la loro assistenza; il buon pastore aveva
voluto che, almeno dov' essa poteva arrivare, recasse un sol-
lievo efficace e non momentaneo. Ai poverini a cui quel pri-
mo ristoro avesse rese forze bastanti per reggersi e per cam-
minare, davano un po' di danaro affinchè il bisogno rinascente
e la mancanza d' altro soccorso non li rimettesse ben presto
nello stato di prima; agli altri cercavano ricovero e manteni-
mento, in qualche casa delle più vicine. In quelle de' bene-
stanti, erano per lo più ricevuti per carità, e come racco-
mandati dal cardinale ; in altre, dove alla buona volontà man-
cassero i mezzi, chiedevan que' preti che il poverino fosse
ricevuto a dozzina, fissavano il prezzo, e ne sborsavan subito
una parte a conto. Davano poi, di questi ricoverati, la nota
ai parrochi, acciocché li visitassero, e tornavano essi mede-
simi a visitarli.
Non e' è bisogno di dire che Federigo non ristringeva le
sue cure a questa estremità di patimenti, né l'aveva aspet-
tata per commoversi. Quella carità ardente e versatile do-
veva tutto sentire, in tutto adoprarsi, accorrere dove non aveva
potuto prevenire, prender, per dir così, tante forme, in quante
variava il bisogno. Infatti, radunando tutti i suoi mezzi, ren-
CAPITOLO XXVIII. 357
dendo più rigoroso il risparmio, mettendo mano a risparmi
destinati ad altre liberalità, divenute ora d' un' importanza
troppo secondaria, aveva cercato ogni maniera di far danari,
per impiegarli tutti in soccorso degli affamati. Aveva fatte
gran compre di granaglie, e speditane una buona parte ai
luoghi della diocesi, che n' eran più scarsi; ed essendo il
soccorso troppo inferiore al bisogno, mandò anche del sale,
«con cui,» dice raccontando la cosa il Ripamonti1), «l'erbe
del prato e le cortecce degli alberi si convertono in cibo. »
Granaglie pure e danari aveva distribuiti ai parrochi della
città; lui stesso la visitava, quartiere per quartiere, dispen-
sando elemosine; soccorreva in segreto molte famiglie povere;
nel palazzo arcivescovile, come attesta uno scrittore contem-
poraneo, il medico Alessandro Tadino, in un suo 'Ragguaglio
che avremo spesso occasion di citare andando avanti, si di-
stribuivano ogni mattina due mila scodelle di minestra di
riso 2).
Ma questi effetti di carità, che possiamo certamente chia-
mar grandiosi, quando si consideri che venivano da un sol
uomo e dai soli suoi mezzi (giacché Federigo ricusava, per
sistema, di farsi dispensatore delle liberalità altrui), questi,
insieme con le liberalità d'altre mani private, se non così
feconde, pur numerose; insieme con le sovvenzioni che il Con-
siglio de' decurioni aveva decretate, dando al tribunal di prov-
visione l'incombenza di distribuirle: erano ancor poca cosa
in paragone del bisogno. Mentre ad alcuni montanari vicini
a morir di fame, veniva, per la carità del cardinale prolun-
gata la vita, altri arrivavano a quell'estremo; i primi, finito
quel misurato soccorso, ci ricadevano; in altre parti non di-
menticate, ma posposte, come meno angustiate, da una carità
costretta a scegliere, l'angustie divenivan mortali: per tutto
si periva, da ogni parte s'accorreva alla città. Qui, due mi-
gliaia, mettiamo, d'affamati più robusti ed esperti a superar
la concorrenza e a farsi largo, avevano acquistata una mi-
nestra, tanto da non morire in quel giorno; ma più altre mi-
gliaia rimanevano indietro, invidiando quei, diremo noi, più
fortunati, quando, tra i rimasti indietro, e' erano spesso le
mogli, i figli, i padri loro? E mentre in alcune parti della
città, alcuni di que1 più abbandonati e ridotti all' estremo
venivan levati di terra, rianimati, ricoverati e provveduti per
1) Hisioriae Pairiae Decadi* V, Lib. VI, pag. 386.
2) Ragguaglio dell' origine el giornali successi della gran peste conta-
giosa. venefica et malefica, seguita nella città di Milano etc. Milano 1648,
pag- 10.
358 I PROMESSI SPOSI.
qualche tempo: in cent' altre parti, altri cadevano, languivano
o anche spiravano, senza aiuto, senza refrigerio.
Tutto il giorno, si sentiva per le strade un ronzìo con-
fuso di voci supplichevoli; la notte, un susurro di gemiti, rotto
di quando in quando da alti lamenti scoppiati all' improvviso,
da urli, da accenti profondi d'invocazione, che terminavano
in istrida acute.
È cosa notabile che, in un tanto eccesso di stenti, in una
tanta varietà di querele, non si vedesse mai un tentativo, non
iscappasse mai un grido di sommossa; almeno non se ne trova
il minimo cenno. Eppure, tra coloro che vivevano e morivano
in quella maniera, c'era un buon numero d'uomini educati
a tutt' altro che a tollerare; c'erano a centinaia, di que' me-
desimi, che il giorno di san Martino, s' erano tanto fatti sen-
tire. Né si può pensare che l1 esempio de' quattro disgra-
ziati che n'avevano portato la pena per tutti, fosse quello
che ora li tenesse a freno : qua! forza poteva avere , non la
presenza, ma la memoria de' supplizi sugli animi di una mol-
titudine vagabonda e riunita, che si vedeva come condannata
a un lento supplizio, che già lo pativa? Ma noi uomini siam
in generale fatti così : ci rivoltiamo sdegnati e furiosi contro
i mali mezzani, e ci curviamo in silenzio sotto gli estremi;
sopportiamo, non rassegnati ma stupidi, il colmo di ciò che
da principio avevamo chiamato insopportabile.
Il vóto che la mortalità faceva ogni giorno in quella de-
plorabile moltitudine, veniva ogni giorno più che riempito:
era un concorso continuo, prima da' paesi circonvicini, poi
da tutto il contado, poi dalle città dello stato, alla fine anche
da altre. E intanto, anche da questa partivano ogni giorno
antichi abitatori: alcuni per sottrarsi alla vista di tante piaghe;
altri, vedendosi, per dir così, preso il posto da' nuovi con-
correnti d' accatto, uscivano a un' ultima disperata prova di
chieder soccorso altrove, dove si fosse, dove almeno non fosse
così fitta e così incalzante la folla e la rivalità del chiedere.
S' incontravano neh" opposto viaggio questi e que' pellegrini,
spettacolo di ribrezzo gli uni agli altri, e saggio doloroso,
augurio sinistro del termine a cui gli uni e gli altri erano
incamminati. Ma seguitavano ognuno la sua strada, se non
più per la speranza di mutar sorte , almeno per non tornare
sotto un cielo divenuto odioso, per non rivedere i luoghi dove
avevan disperato. Se non che taluno, mancandogli affatto le
forze, cadeva per la strada, e rimaneva lì morto: spettacolo
ancor più funesto ai suoi compagni di miseria, oggetto d'or-
rore, forse di rimprovero agli altri passeggieri. «Vidi io,»
scrive il Ripamonti, «nella strada che gira le mura, il cada-
vere d' una donna .... Le usciva di bocca dell' erba mezza
rosicchiata, e le labbra facevano ancora quasi un atto di sforzo
CAPITOLO XXVIII. 359
rabbioso .... Aveva un fagottino in ispalla, e attaccato con
le fasce al petto un bambino, che piangendo chiedeva la pop-
pa ... . Ed erano sopraggiunte persone compassionevoli, le
quali, raccolto il mescninello di terra, lo portavan via, adem-
piendo così intanto il primo ufizio materno.»
Quel contrapposto di gale e di cenci, di superfluità e di
miseria, spettacolo ordinario de' tempi ordinari, era allora af-
fatto cessato. I cenci e la miseria eran quasi per tutto; e
ciò che se ne distingueva, era appena un'apparenza di parca
mediocrità. Si vedevano i nobili camminare in abito semplice
e dimesso, o anche logoro e gretto; alcuni, perchè le cagioni
comuni della miseria avevan mutata a quel segno anche la
loro fortuna, o dato il tracollo a patrimoni già sconcertati:
gli altri o che temessero di provocare col fasto la pubblica
disperazione, o che si vergognassero d' insultare alla pubblica
calamità. Que' prepotenti odiati e rispettati, soliti a andare
in giro con uno strascico di bravi, andavano ora quasi soli, a
capo basso, con visi che parevano offrire e chieder pace.
Altri che, anche nella prosperità, erano stati di pensieri più
umani, e di portamenti più modesti, parevano anch'essi con-
fusi, costernati , e come sopraffatti dalla vista continua d' una
miseria che sorpassava, non solo la possibilità del soccorso,
ma direi quasi, le forze della compassione. Chi aveva il modo
di far qualche elemosina, doveva però fare una trista scelta
tra fame e fame, tra urgenze e urgenze. E appena si vedeva
una mano pietosa avvicinarsi alla mano d' un infelice, nasceva
all' intorno una gara d' altri infelici ; coloro a cui rimaneva
più vigore , si facevano avanti a chieder con più istanza ; gli
estenuati, i vecchi, i fanciulli, alzavano le mani scarne; le
madri alzavano e facevan vedere da lontano i bambini pian-
genti, mal rinvoltati nelle fasce cenciose, e ripiegati, per lan-
guore nelle loro mani.
Così passò l'inverno e la primavera: e già da qualche
tempo il tribunale della sanità andava rappresentando a quello
della provvisione il pericolo del contagio, che sovrastava alla
città, per tanta miseria ammontata in ogni parte di essa; e
proponeva che gli accattoni venissero accolti in diversi ospizi.
Mentre si discute questa proposta, mentre s'approva, mentre
si pensa ai mezzi, ai modi, ai luoghi, per mandarla ad effet-
to, i cadaveri crescono nelle strade ogni giorno più; a pro-
porzion di questo, cresce tutto 1' altro ammasso di miserie.
Nel tribunale di provvisione vien proposto, come più facile e
più speditivo, un altro ripiego, di radunar tutti gli accattoni,
sani e infermi, in un sol luogo, nel lazzeretto, dove fosser
mantenuti e curati a spese del pubblico; e così vien risoluto,
contro il parere della Sanità, la quale opponeva che, in una
360 I PROMESSI SPOSI.
così gran riunione, sarebbe cresciuto il pericolo a cui si vo-
leva metter riparo.
Il lazzeretto di Milano (se, per caso, questa storia capi-
tasse nelle mani di qualcheduno che non lo conoscesse, né di
vista né per descrizione) è un recinto quadrilatero e quasi
quadrato, fuori della città, a sinistra della porta detta orien-
tale, distante, dalle mura lo spazio della fossa, d' una strada
di circonvallazione, e d' una gora che gira il recinto mede-
sima. I due lati maggiori son lunghi a un di presso cinque-
cento passi; gli altri due, forse quindici meno; tutti, dalla
parte esterna, son divisi in piccole stanze d'un piano solo;
di dentro gira intorno a tre di essi un portico continuo a
volta, sostenuto da piccole e magre colonne.
Le stanzine eran dugent' ottantotto , o giù di lì: a' nostri
giorni, una grande apertura fatta nel mezzo, e una piccola,
in un canto della facciata del lato che costeggia la strada
maestra, ne hanno portate via non so quante. Al tempo del-
la nostra storia, non e' eran che due entrature: una nel mezzo
dal lato che guarda le mura della città, l'altra di rimpetto,
nell'opposto. Nel centro dello spazio interno, c'era, e c'è
tutt' ora, una piccola chiesa ottangolare.
La prima destinazione di tutto l'edifizio, cominciato nel-
l'anno 1489, co' danari d'un lascito privato, continuato poi
con quelli del pubblico e d'altri testatori e donatori, fu, co-
me l' accenna il nome stesso , di ricoverarvi all' occorrenza,
gli ammalati di peste; la quale, già molto prima di quel-
l'epoca, era solita, e lo fu per molto tempo dopo, a com-
parire quelle due, quattro, sei, otto volte per secolo, ora in
questo, ora in quel paese d'Europa, prendendone talvolta
una gran parte, o anche scorrendola tutta, per il lungo e per
il largo. Nel momento di cui parliamo, il lazzeretto non
serviva che per deposito delle mercanzie soggette a con-
tumacia.
Ora, per metterlo in libertà, non si stette al rigor delle
leggi sanitarie, e fatte in fretta in fretta le purghe e gli
esperimenti prescritti, si rilasciaron tutte le mercanzie a un
tratto. Si fece stender della paglia in tutte le stanze, si fe-
cero provvisioni di viveri, della qualità e nella quantità che
si potè ; e s' invitarono, con pubblico editto, tutti gli accattoni
a ricoverarsi lì.
Molti vi concorsero volontariamente; tutti quelli che gia-
cevano infermi per le strade e per le piazze , ci vennero tra-
sportati; in pochi giorni, ce ne fu, tra gli uni e gli altri, più
di tre mila. Ma molti più furon quelli che restaron fuori.
0 che ognun di loro aspettasse di veder gli altri andarsene,
e di rimanere in pochi a goder l'elemosine della città, o
fosse quella naturai ripugnanza alla clausura, o quella diffi-
CAPITOLO XXVIII. 361
denza de' poveri per tutto ciò che vien loro proposto da chi
possiede le ricchezze e il potere (diffidenza sempre propor-
zionata all' ignoranza comune di chi la sente e di chi l' ispi-
ra, al numero de' poveri, e al poco giudizio delle leggi), o il
saper di fatto quale fosse in realtà il benefizio offerto, o
fosse tutto questo insieme, o che altro, il fatto sta che la più
parte , non facendo conto dell' invito , continuavano a strasci-
carsi stentando per le strade. Visto ciò, si credè bene di
passar dall' invito alla forza. Si mandaranci in ronda birri
che cacciassero gli accattoni al lazzeretto, e vi menassero le-
gati quelli che resistevano; per ognun de' quali fu assegnato
a coloro il premio di dieci soldi: ecco se, anche nelle mag-
giori strettezze, i danari del pubblico si trovan sempre, per
impiegargli a sproposito. E quantunque, com'era stata con-
gettura, anzi intento espresso della Provvisione, un certo nu-
mero d'accattoni sfrattasse dalla città, per andare a vivere
o a morire altrove, in libertà almeno; pure la caccia fu tale
che, in poco tempo, il numero de' ricoverati, tra ospiti e pri-
gionieri, s' accostò a dieci mila.
Le donne e i bambini, si vuol supporre che saranno stati
messi in quartieri separati, benché le memorie del tempo non
ne dican nulla. Regole poi e provvedimenti per il buon or-
dine, non ne saranno certamente mancati; ma si figuri ognuno
qual ordine potesse essere stabilito e mantenuto, in que' tem-
pi specialmente e in quelle circostanze, in una così vasta e
varia riunione, dove coi volontari si trovavano i forzati; con
quelli per cui 1' accatto era una necessità, un dolore, una ver-
gogna, coloro di cui era il mestiere; con molti cresciuti nel-
1' onesta attività de' campi e dell' officine , molti altri educati
nelle piazze, nelle taverne, ne' palazzi de' prepotenti, all'ozio,
alla truffa, allo scherno, alla violenza.
Come stessero poi tutti insieme d'alloggio e di vitto, si
potrebbe tristamente congetturarlo, quando non n'avessimo
notizie positive; ma le abbiamo. Dormivano ammontati a
venti, a trenta per ognuna di quelle cellette, o accovacciati
sotto i portici, sur un po' di paglia putrida e fetente, o sulla
nuda terra: perchè, s'era bensì ordinato che la paglia fosse
fresca e a sufficienza, e cambiata spesso; ma in effetto era
stata cattiva , scarsa e non si cambiava. S' era ugualmente
ordinato che il pane fosse di buona qualità: giacché, quale
amministratore ha mai detto che si faccia e si dispensi roba
cattiva? ma ciò che non si sarebbe ottenuto nelle circostanze
solite, anche per un più ristretto servizio, come ottenerlo in
quel caso, e per quella moltitudine? Si disse allora, come tro-
viamo nelle memorie, che il pane del lazzeretto fosse alterato
con sostanze pesanti e non nutrienti: ed è pur troppo credi-
bile che non fosse uno di que' lamenti in aria. D' acqua
dbZ I PROMESSI SPOSI.
perfino c'era scarsità; d'acqua, voglio dire, viva e salubre:
il pozzo comune, doveva esser la gora che gira le mura del
recinto, bassa, lenta, dove anche motosa, e divenuta poi quale
poteva renderla 1' uso e la vicinanza d5 una tanta e tal mol-
titudine.
A tutte queste cagioni di mortalità, tanto più attive, che
operavano sopra corpi ammalati o ammalazzati, s'aggiunga
una gran perversità della stagione; pioggie ostinate, seguite
da una siccità ancor più ostinata, e con essa un caldo anti-
cipato e violento. Ai mali s' aggiunga il sentimento de' mali,
la noia e la smania della prigionia, la rimembranza dell'an-
tiche abitudini, il dolore di cari perduti, la memoria inquieta
di cari assenti, il tormento e il ribrezzo vicendevole, tant' al-
tre passioni d'abbattimento o di rabbia, portate o nate là
dentro; l'apprensione poi e lo spettacolo continuo della morte
resa frequente da tante cagioni, e divenuta essa medesima
una nuova e potente cagione. E non farà stupore che la
mortalità crescesse e regnasse in quel recinto a segno di
prendere aspetto e, presso molti, nome di pestilenza, sia che
la riunione e P aumento di tutte quelle cause non facesse che
aumentare 1' attività d' un' influenza puramente epidemica,
sia (come par che avvenga nelle carestie anche men gravi e
men prolungate di quella) che vi avesse luogo un certo con-
tagio, il quale ne' corpi affetti e preparati dai disagio e dalla
cattiva qualità degli alimenti, dall'intemperie', dal sudiciume,
dal travaglio e dall' avvilimento trovi la tempera, per dir
così, e la stagione sua propria, le condizioni necessarie in
somma per nascere, nutrirsi e moltiplicare (se a un ignorante
è lecito buttar là queste parole, dietro l'ipotesi proposta da
alcuni fisici e riproposta da ultimo, con molte ragioni e con
molta riserva, da uno, diligente quanto ingegnoso 2): sia poi
che il contagio scoppiasse da principio nel lazzeretto mede-
simo, come da un'oscura e inesatta relazione, par che pen-
sassero i medici dalla Sanità; sia che vivesse e andasse co-
vando prima d' allora (ciò che par forse più verisimile , chi
pensi come il disagio era già antico e generale, e la morta-
lità già frequente), e che portato in quella folla permanente,
vi si propagasse con nuova e terribile rapidità. Qualunque
di queste congetture sia la vera, il numero giornaliero de'
morti nel lazzeretto oltrepassò in poco tempo il centinaio.
Mentre in quel luogo tutto il resto era languore, angoscia,
spavento, rammarichìo, fremito, nella Provvisione era vergo-
gna, stordimento, incertezza. 01 discusse, si sentì il parere
1) Del morbo petecchiale .... e degli altri contagi un generale ; opera del
dott. F. Enrico Acerbi, Cap. HI, § 1 e 2.
CAPITOLO XXVIII. 363
della Sanità; non si trovò altro che di disfare ciò che s'era
fatto con tanto apparato, con tanta spesa, con tante vessazioni.
S'aprì il lazzeretto, si licenziaron tutti i poveri non amma-
lati che ci rimanevano, e scapparon fuori con una gioia furi-
bonda. La città tornò a risonare dell' antico lamento, ma più
debole e interrotto; rivide quella turba più rada e più com-
passionevole, dice il Ripamonti, per il pensiero del come
fosse di tanto scemata. GF infermi furon trasportati a Santa
Maria della Stella, allora ospizio di poveri ; dove la più parte
perirono.
Intanto però cominciavano quei benedetti campi a bion-
dire. Gli accattoni venuti dal contado se n' andarono, ognuno
dalla sua parte, a quella tanto sospirata segatura. Il buon
Federigo gli accomiatò con un ultimo sforzo, e con un
nuovo ritrovato di carità: a ogni contadino che si presen-
tasse all' arcivescovado , fece dare un giulio , e una falce da
mietere.
Con la messe finalmente cessò la carestia: la mortalità,
epidemica o contagiosa, scemando di giorno in giorno, si pro-
lungò però fin nell'autunno. Era sul finire, quand' ecco un
nuovo flagello.
Molte cose importanti, di quelle a cui più specialmente si
dà titolo di storiche, erano accadute in questo frattempo. D
cardinal di Richelieu, presa, come s'è detto, la Roccella, ab-
bracciata alla meglio una pace col re d'Inghilterra, aveva
proposto e persuaso con la sua potente parola, nel Consiglio
di quello di Francia, che si soccorresse efficacemente il duca
di Nevers; e aveva insieme determinato il re medesimo a
condurre in persona la spedizione. Mentre si facevan gli ap-
parecchi, il conte di Nassau, commissario imperiale, intimava
in Mantova al nuovo duca, che desse gli Stati in mano a
Ferdinando, o questo manderebbe un esercito ad occuparli.
Il duca che, in più disperate circostanze, s' era schermito
d'accettare una condizione così dura e così sospetta, inco-
raggito ora dal vicino soccorso di Francia, tanto più se no
schermiva; però con termini in cui il no fosse rigirato e al-
lungato, quanto si poteva, e con proposte di sommissione, an-
che più apparente, ma meno costosa. Il commissario se n' era
andato protestandogli che si verrebbe alla forza. In marzo,
il cardinal di Richelieu era poi calato infatti col re, alla te-
sta d'un esercito; aveva chiesto il passo al duca di Savoia;
s'era trattato; non s'era concluso; dopo uno scontro, col
vantaggio de' Francesi, s'era trattato di nuovo, e concluso
un accordo, nel quale il duca, tra l'altre cose, aveva sti-
pulato che il Cordova leverebbe l'assedio da Casale; ob-
bligandosi, se questo ricusasse, a unirsi co' Francesi, per in-
vadere il ducato di Milano. Don Gonzalo, parendogli anche
364 I PROMESSI SPOSI.
d'uscirne con poco, aveva levato l'assedio da Casale, do-
v' era subito entrato un corpo di Francesi, a rinforzar la guar-
nigione.
Fu in questa occasione che F Achillini scrisse al re Luigi
quel suo famoso sonetto:
Sudate, o fochi, a preparar metalli;
e un altro, con cui l'esortava a portarsi subito alla libera-
zione di Terra santa. Ma è un destino che i pareri de' poeti
non siano ascoltati: e se nella storia trovate de' fatti conformi
a qualche loro suggerimento , dite pur francamente eh' eran
cose risolute prima. Il cardinal di Richelieu aveva invece
stabilito di ritornare in Francia, per affari che a lui parevano
più urgenti. Girolamo Soranzo, inviato de' Veneziani, potè
bene addurre ragioni per combattere quella risoluzione; che
il re e il cardinale, dando retta alla sua prosa come ai versi
dell' Achillini, se ne ritornarono col grosso dell'esercito, la-
sciando soltanto sei mila uomini in Susa, per mantenere il
passo, e per caparra del trattato.
Mentre quell' esercito se n" andava da una parte , quello
di Ferdinando s'avvicinava dall'altra; aveva invaso il paese
de' Grigioni e la Valtellina: si disponeva a calar nel mila-
nese. Oltre tutti i danni che si potevan temere da un tal
passaggio, eran venuti espressi avvisi al tribunale della sa-
nità, che in quell' esercito covasse la peste, della quale allora
nelle truppe alemanne e1 era sempre qualche sprazzo, come
dice il Varchi, parlando di quella che, un secolo avanti, ave-
van portata in Firenze. Alessandro Tadino, uno de' conser-
vatori della sanità (eran sei, oltre il presidente: quattro ma-
gistrati e due medici), fu incaricato dal tribunale, come rac-
conta lui stesso, in quel suo ragguaglio già citato1), di rap-
presentare al governatore lo spaventoso pericolo che sovra-
stava al paese, se quella gente ci passava, per andare ali" as-
sedio di Mantova, come s'era sparsa la voce. Da tutti i
portamenti di don Gonzalo, pare che avesse una gran smania
d'acquistarsi un posto nella storia, la quale infatti non potè
non occuparsi di lui; ma (come spesso le accade) non conob-
be, o non si curò di registrare Fatto di lui più degno di
memoria, la risposta che diede al Tadino in quella circostanza.
Rispose che non sapeva cosa farci ; che i motivi d1 interesse
e di riputazione , per i quali s' era mosso quell' esercito , pe-
savan più che il pericolo rappresentato ; che con tutto ciò si
cercasse di riparare alla meglio, e si sperasse nella Prov-
videnza.
capitolo xxvirr. 365
Per riparar dunque alla meglio, i due medici della Sanità
(il Tadino suddetto e Senatore Settala , figlio del celebre Lo-
dovico) proposero in quel tribunale che si proibisse sotto se-
verissime pene di comprar roba di nessuna sorte da' soldati
eh' eran per passare; ma non fu possibile far intendere la
necessità d'un tal ordine al presidente, '«uomo» dice il Ta-
dino, «di molta bontà, che non poteva credere dovesse succe-
dere incontri di morte di tante migliaia di persone, per il
comercio di questa gente, et loro robbe." Citiamo questo
tratto, per uno de' singolari di quel tempo: che di certo, da
che ci son tribunali di sanità, non accadde mai a un altro
presidente d' un tal corpo , di fare un ragionamento simile ;
se ragionamento si può chiamare.
In quanto a don Gonzalo, poco dopo quella risposta, se
n'andò da Milano; e la partenza fu trista per lui, come lo
era la cagione. Veniva rimosso per i cattivi successi della
guerra, della quale era stato il promotore e il capitano; e il
popolo lo incolpava della fame sofferta sotto il suo governo
(Quello che aveva fatto per la peste, o non si sapeva, o certo
nessuno se n'inquietava, come vedremo più avanti, fuorché
il tribunale della sanità, e i due medici specialmente.) Al-
l'uscir dunque, in carrozza da viaggio, dal palazzo di corte,
in mezzo a una guardia d'alabardieri, con due trombetti a
cavallo davanti, e con altre carrozze di nobili che gli facean
seguito, fu accolto con gran fischiate da ragazzi eh' eran ra-
dunati sulla piazza del duomo, e che gli andaron dietro alla
rinfusa. Entrata la comitiva nella strada che conduce a porta
Ticinese, di dove si doveva uscire, cominciò a trovarsi in
mezzo a una folla di gente che, parte era lì ad aspettare,
parte accorreva; tanto più che i trombetti, uomini di forma-
lità, non cessaron di sonare, dal palazzo di corte, fino alla
porta. E nel processo che si fece poi su quel tumulto, uno
di costoro, ripreso che, con quel suo trombettare, fosse stato
cagione di farlo crescere, risponde: «caro signore, questa è
la nostra professione: et se S. E. non hauesse hauuto acaro
che noi auessimo sonato, doveva comandarne che tacessimo^
Ma don Gonzalo, o per ripugnanza a far cosa che mostrasse
timore, o per timore di render con questo più ardita la mol-
titudine, o perchè fosse in effetto un po' sbalordito, non dava
nessun ordine. La moltitudine, che le guardie avean tentato
in vano di respingere, procedeva, circondava, seguiva le car-
rozze, gridando: «la va via la carestia, va via il sangue de'
poveri,» e peggio. Quando furon vicini alla porta, comincia-
rono anche a tirar sassi, mattoni, torsoli, bucce d' ogni sorte,
la munizione solita in somma di quelle spedizioni; una parte
corse sulle mura, e di là fecero un'ultima scarica sulle car-
rozze che uscivano. Subito dopo ai sbandarono.
366 I PROMESSI SPOSI.
In luogo di don Gonzalo., fu mandato il marchese Ambro-
gio Spinola, il cui nome aveva già acquistato, nelle guerre di
Fiandra, quella celebrità militare che ancor gli rimane.
Intanto 1' esercito alemanno, sotto il comando supremo del
conte Rambaldo di Collalto, altro condottiero italiano, di mi-
nore , ma non d' ultima fama, aveva ricevuto 1' ordine defini-
tivo di portarsi all' impresa di Mantova; e nel mese di set-
tembre, entrò nel ducato di Milano.
La milizia, a que' tempi era ancor composta in gran parte
di soldati di ventura arrolati da condottieri di mestiere, per
commissione di questo o di quel principe, qualche volta an-
che per loro proprio conto, e per vendersi poi insieme con
essi. Più che dalle paghe, erano gli uomini attirati a quel
mestiere dalle speranze del saccheggio e da tutti gli alletta-
menti della licenza. Disciplina stabile e generale non ce
n'era; né avrebbe potuto accordarsi così facilmente con l'au-
torità in parte indipendente de' vari condottieri. Questi poi
in particolare, né erano molti raffinatori in fatto di discipline,
né , anche volendo , si vede come avrebbero potuto riuscire a
stabilirla e a mantenerla: che soldati di quella razza, o si
sarebbero rivoltati contro un condottiere novatore che si fosse
messo in testa d'abolire il saccheggio; o per lo meno, l'a-
vrebbero lasciato solo a guardar le bandiere. Oltre di ciò>
siccome i principi, nel prendere, per dir così, ad affitto quelle
bande, guardavan più ad aver gente in quantità per assicurar
l'imprese, che a proporzionare il numero alla loro facoltà di
pagare, per il solito molto scarsa; così le paghe venivano per
lo più tarde, a conto , a spizzico ; e le spoglie de' paesi a cui
la toccava, ne divenivano come un supplimento tacitamente
convenuto. È celebre, poco meno del nome di Wallenstein,
quella sua sentenza: esser più facile mantenere un esercito
di cento mila uomini , che uno di dodici mila. E questo di
cui parliamo era in gran parte composto della gente che,
sotto il suo comando, avea desolata la Germania, in quella
guerra celebre tra le guerre, e per sé e per i suoi effetti, che
ricevette poi il nome da' trent' anni della sua durata: e al-
lora ne correva l' undecime C'era anzi, condotto da un
suo luogotenente, il suo proprio reggimento: degli altri con-
dottieri, la più parte avevan comandato sotto di lui, e ci si
trovava più d' uno di quelli che, quattr' anni dopo , dovevano
aiutare a fargli far quella cattiva fine che ognuno sa.
Eran vent' otto mila fanti, e settemila cavalli; e, scenden-
do dalla Valtellina per portarsi nel mantovano, dovevan se-
guire tutto il corso che fa l'Adda per due rami di lago, e
poi di nuovo come fiume fino al suo sbocco in Po, e dopo
avevano un buon tratto di questo da costeggiare : in tutto otto
giornate nel ducato di Milano.
CAPITOLO XXVIII.
3G7
Una gran parte degli abitanti si rifugiavano su per i mon-
ti, portandovi quel che avevan di meglio, e cacciandosi in-
nanzi le bestie ; altri rimanevano, o per non abbandonar qual-
che ammalato, o per preservar la casa dall'incendio, o per
tener d'occhio cose preziose nacoste, sotterrate; altri perchè
non avean nulla da perdere, o anche facean conto d'acqui-
stare. Quando la prima squadra arrivava al paese della fer-
mata, si spandeva subito per quello e per i circonvicini, e li
metteva a sacco addirittura: ciò che c'era da godere o da
portar via, spariva; il rimanente, lo distruggevano e lo rovi-
navano; i mobili diventavan legna, le case, stalle: senza par-
lar delle busse, delle ferite, degli stupri. Tutti i ritrovati,
tutte V astuzie per salvar la roba, riuscivano per lo più inu-
tili, qualche volta portavano danni maggiori. I soldati, gente
ben più pratica degli stratagemmi anche di questa guerra,
frugavano per tutti i buchi delle case, smuravano, diroccava-
no; conoscevan facilmente negli orti la terra smossa di fre-
sco; andarono fino su per i monti a rubare il bestiame; an-
darono nelle grotte, guidati da qualche birbante del paese, in
cerca di qualche ricco che vi si fosse rimpiattato: lo strasci-
navano alla sua casa, e con tortura di minacce e di percosse,
lo costringevano a indicare il tesoro nascosto.
Finalmente se n'andavano; erano andati; si sentiva da
lontano morire il suono de' tamburi o delle trombe ; succe-
devano alcune ore d'una quiete spaventata: e poi un nuovo
maledetto batter di cassa, un nuovo maledetto suon di trom-
be, annunziava un'altra squadra. Questi, non trovando più
da far preda, con tanto più furore facevano sperpero del re-
sto, bruciavan !e botti votate da quelli, gli usci delle stanze
dove non c'era più nulla, davan fuoco anche alle case; e
con tanta più rabbia, s'intende, maltrattavan le persone; e
così di peggio in peggio, per venti giorni; che in tante squa-
dre era diviso 1' esercito.
Colico fu la prima terra del ducato , che invasero que' de-
mòni; si gettarono poi sopra Bellano; di là entrarono e si
sparsero nella Yalsassina, da dove sboccarono nel territorio
di Lecco.
368 I PROMESSI SPOSI.
CAPITOLO XXIX.
Qui, tra i poveri spaventati, troviamo persone di nostra
conoscenza.
Chi non ha visto don Abbondio, il giorno che si sparsero
tutte in una volta le notizie della calata dell'esercito, del
suo avvicinarsi, e de' suoi portamenti, non sa bene cosa sia
impiccio e spavento. Vengono; son trenta, son quaranta, son
cinquanta mila; son diavoli, sono ariani, sono anticristi; han-
no saccheggiato Cortenuova; han dato fuoco a Primaluna;
devastano Introbbio , Pasturo, Barsio; sono arrivati a Balab-
bio; domani son qui: tali eran le voci che passavan di bocca
in bocca; e insieme un correre, un fermarsi a vicenda, un
consultare tumultuoso, un'esitazione tra il fuggire e il re-
stare, un radunarsi di donne, un metter le mani ne' capelli.
Don Abbondio, risoluto di fuggire, risoluto prima di tutti e
più di tutti, vedeva però in ogni strada da prendere, in ogni
luogo da ricoverarsi, ostacoli insuperabili e pericoli spaventosi.
«Come fare?» esclamava: «dove andare?» I monti, lascian-
do da parte la difficoltà del cammino, non eran sicuri: già
s' era saputo che i lanzichenecchi vi s' arrampicavano come
gatti, dove appena avessero indizio o speranza di far preda.
Il lago era grosso; tirava un gran vento; oltre di questo, la
più parte dei barcaioli , temendo d' esser forzati a tragittar
soldati o bagagli, s' eran rifugiati, con le loro barche, all'al-
tra riva: alcune poche rimaste, eran poi partite stracariche
di gente; e, travagliate dal peso e dalla burrasca, si diceva
che pericolassero ogni momento. Per portarsi lontano e fuori
della strada che l'esercito aveva a percorrere, non era pos-
sibile trovar né un calesse, né un cavallo, né alcun altro mez-
zo: a piedi, don Abbondio non avrebbe potuto far troppo
cammino e temeva d' esser raggiunto per istrada. Il territo-
rio bergamasco non era tanto distante, che le sue gambe non
ce lo potessero portare in una tirata; ma si sapeva ch'era
stato spedito in fretta da Bergamo uno squadrone di cappel-
letti, il qual doveva costeggiare il confine, per tenere in sog-
gezione i lanzichenecchi; e quelli eran diavoli in carne, né
più né meno di questi, e facevan dalla parte loro il peggio
che potevano. Il pover' uomo correva stralunato e mezzo
fuor di sé, per la casa; andava dietro a Perpetua, per concer-
tare una risoluzione con lei; ma Perpetua, affaccendata a rac-
cogliere il meglio di casa, e a nasconderlo in soffitta, o per i
bugigattoli, passava di corsa, affannata, preoccupata, con le
mani e con le braccia piene, e rispondeva: «or ora finisco
di metter questa roba al sicuro, e poi faremo anche noi come
CAPITOLO XXIX. 369
fanno gli altri.» Don Abbondio voleva trattenerla, e discutef
con lei i vari partiti; ma lei, tra il da fare, e la fretta, e lo
spavento che aveva anch'essa in corpo, e la rabbia che le
faceva quello del padrone, era, in tal congiuntura, meno trat-
tabile di quel che fosse stata mai. «S' ingegnano gli altri ;
c'ingegneremo anche noi. Mi scusi, ma non è capace che
d' impedire. Crede lei che anche gli altri non abbiano una
pelle da salvare? Che vengono per far la guerra a lei i sol-
dati? Potrebbe anche dare una mano, in questi momenti, in
vece di venire tra' piedi a piangere e a impicciare.» Con
queste e simili risposte si sbrigava da lui, avendo già stabi-
lito, finita che fosse alla meglio quella tumultuaria operazione,
di prenderlo per un braccio, come un ragazzo, e di strasci-
narlo su di una montagna. Lasciato così solo, s' affacciava
alla finestra, guardava, tendeva gli orecchi; e vedendo passar
qualcheduno, gridava con una voce mezza di pianto e mezza
di rimprovero: «fate questa carità al vostro povero curato di
cercargli qualche cavallo, qualche mulo, qualche asino. Pos-
sibile che nessuno mi voglia aiutare! Oh che gente! Aspet-
tatemi almeno, che possa venire anch' io con voi, aspettate
d' esser quindici o venti, da condurmi via insieme, eh' io non
sia abbandonato. Volete lasciarmi in man de' cani? Non
sapete che sono luterani la più parte, che ammazzare un sa-
cerdote V hanno per opera meritoria? Volete lasciarmi qui
a ricevere il martirio? Oh che gente! Oh che gente!»
Ma a chi diceva queste cose? Ad uomini che passavano
curvi sotto il peso della loro povera roba, pensando a quella
che lasciavano in casa, spingendo le loro vaccherelle, condu-
cendosi dietro i figli, carichi anch' essi quanto potevano, e
le donne con in collo quelli che non potevano camminare.
Alcuni tiravan di lungo, senza rispondere né guardare in su:
qualcheduno diceva: «eh messere! faccia anche lei come può;
fortunato lei che non ha da pensare alla famiglia; s'aiuti,
s' ingegni.»
«Oh povero me!» esclamava don Abbondio: «oh che
gente! che cuori! Non c'è carità: ognuno pensa a sé: e
a me nessuno vuol pensare.» E tornava in cerca di Per-
petua.
«Oh appunto!» gli disse questa: «e i danari?»
«Come faremo?»
«Li dia a me , che anderò a sotterrarli qui nell' orto di
casa, insieme con le posate.»
«Ma »
«Ma, ma; dia qui; tenga qualche soldo, per quel che può
occorrere; e poi lasci fare a me.»
Don Abbondio ubbidì, andò allo scrigno, cavò il suo teso-
retto, e lo consegnò a Perpetua, la quale disse: «vo a sotter-
Manzoni. 24
370 1 PROMESSI SPOSI.
rarli nell'orto, appiè del fico;» e andò. Ricomparve poco
dopo, con un paniere dove e' era della munizione da bocca,
e con una piccola gerla vota; e si mise in fretta a collocarvi
nel fondo un po' di biancheria sua e del padrone, dicendo
intanto: «il breviario almeno lo porterà lei.»
«Ma dove andiamo?»
«Dove vanno tutti gli altri? Prima di tutto, anderemo in
istrada; e là sentiremo, e vedremo cosa convenga di fare.»
In quel momento entrò Agnese con una gerìetta sulle spalle,
e in aria di chi viene a fare una proposta importante.
Agnese, risoluta anche lei di non aspettare ospiti di quel-
la sorte, sola in casa, com' era, e con ancora un po' di quel-
1' oro dell' innominato, era stata qualche tempo in forse del
luogo dove ritirarsi. Il residuo appunto di quegli scudi, che
ne' mesi della fame le avevan fatto tanto prò, era la cagion
principale della sua angustia e della irresoluzione, per aver
essa sentito che ne' paesi già invasi, quelli che avean danari.
s' eran trovati a più terribil condizione esposti insieme alla
violenza degli stranieri, e alle insidie dei paesani. Era vero
che, del bene piovutole, come si dice, dal cielo, non aveva
fatta la confidenza a nessuno, fuorché a don Abbondio; dal
quale andava, volta per volta, a farsi spicciolare uno scudo,
lasciandogli sempre qualcosa da dare a qualcheduno più po-
vero di lei. Ma i danari nascosti, specialmente chi non è av-
vezzo a maneggiarne molti, tengono il possessore in un so-
spetto continuo del sospetto altrui. Ora, mentre andava an-
eli" essa rimpiattando qua e là alla meglio ciò che non poteva
portar con sé, e pensava agli scudi, che teneva cuciti nel bu-
sto, si rammentò che, insieme con essi, V innominato, le aveva
mandate le più larghe oiferte di servizi; si rammentò le cose
che aveva sentito raccontare di quel suo castello posto in luo-
go così sicuro, e dove, a dispetto del padrone, non potevano
arrivar se non gli uccelli; e si risolvette d'andare a chiedere
un asilo lassù. Pensò come potrebbe farsi conoscere da quel
signore, e le venne subito in mente don Abbondio; il quale,
dopo quel colloquio così fatto coli' arcivescovo le aveva sem-
pre fatto festa, e tanto più di cuore, che lo poteva senza
compromettersi con nessuno, e che, essendo lontani i due gio-
vani, era anche lontano il caso che a lui venisse fatta una
richiesta la quale avrebbe messa quella benevolenza a un gran
cimento. Suppose che, in tal parapiglia, il pover' uomo do-
veva esser ancor più impicciato e più sbigottito di lei, e che
il partito potrebbe parer molto buono anche a lui; e glielo
veniva a proporre. Trovatolo con Perpetua, fece la proposta
a tutt' e due.
«Che ne dite. Perpetua ?^ domandò don Abbondio.
CAPITOLO XXIX. 371
"Dico che è un' ispirazione del cielo, e che non bisogna
perder tempo, e mettersi la strada tra le gambe.»
«E poi .... »
«E poi, e poi, quando saremo là, ci troveremo ben con-
tenti. Quel signore, ora si sa che non vorrebbe altro che
far servizio al prossimo ; e sarà ben contento anche lui di ri-
coverarci. Là, sul confine, e così per aria, soldati non ne
verrà certamente. E poi, e poi, ci troveremo anche da man-
giare; che, su per i monti, finita questa poca grazia di Dio,»
e così dicendo, P accomodava nella gerla, sopra la biancheria,
«ci saremmo trovati a mal partito.»
«Convertito, è convertito davvero, eh?»
«Che e' è da dubitarne ancora, dopo tutto quello che si
sa, dopo quello che anche lei ha veduto?»
«E se andassimo a metterci in gabbia?»
«Che gabbia? Con tutti codesti suoi casi, mi scusi, non
si verrebbe mai a una conclusione. Brava Agnese! v' è pro-
prio venuto un buon pensiero.» E messa la gerla sul tavo-
lino, passò le braccia nelle cigne, e la prese sulle spalle.
«Non si potrebbe,» disse don Abbondio, «trovar qualche
uomo che venisse con noi, per far la scorta al suo curato?
Se incontrassimo qualche birbone, che pur troppo ce n' è in
giro parecchi, che aiuto m'avete a dar voi altre?»
«Un'altra, per perder tempo!» esclamò Perpetua. «An-
darlo a cercar ora l' uomo, che ognuno ha da pensare
a' fatti suoi. Animo ! vada a prender il breviario e il cap-
pello; e andiamo.»
Don Abbondio andò, tornò di lì a un momento, col brevia-
rio sotto il braccio, col cappello in capo, e col suo bordone
in mano ; e uscirono tutt' e tre per un usciolino che mette-
va sulla piazzetta. Perpetua richiuse, più per non trascu-
rare una formalità, che per fede che avesse in quella toppa e
in que' battenti, e mise la chiave in tasca. Don Abbondio
diede, nel passare, un' occhiata alla chiesa, e disse tra i
denti: «al popolo tocca a custodirla, che serve a lui. Se
hanno un po' di cuore per la loro chiesa, ci penseranno; se
poi non hanno cuore, tal sia di loro.»
Presero per i campi, zitti zitti, pensando ognuno a' casi
suoi, e guardandosi intorno, specialmente don Abbondio, se
apparisse qualche figura sospetta, qualcosa di straordinario.
!Non s'incontrava nessuno: la gente era, o nelle case a guar-
darle, a far fagotto, a nascondere, o per le strade che condu-
cevan direttamente all' alture.
Dopo aver sospirato e risospirato, e poi lasciato scappar
qualche interiezione, don Abbondio cominciò a brontolare più
di seguito. Se la prendeva col duca di Nevers, che avrebbe
potuto stare in Francia a godersela, a fare il principe, e vo-
24*
372 I PROMESSI SPOSI.
leva esser duca di Mantova a dispetto del mondo; con l'im-
peratore, che avrebbe dovuto aver giudizio per gli altri, la-
sciar correr l'acqua all' ingiù, non istar su tutti i puntigli:
che finalmente lui sarebbe sempre stato V imperatore , fosse
duca di Mantova Tizio o Sempronio. L' aveva principalmente
col governatore, a cui sarebbe toccato a far di tutto, per te-
ner lontani i flagelli dal paese, ed era lui che ce gli attira-
va: tutto per il gusto di far la guerra. «Bisognerebbe,» di-
ceva, «che fossero qui que' signori a vedere, a provare, che
gusto è. Hanno da render un bel conto! Ma intanto, ne va
di mezzo chi non ci ha colpa.»
«Lasci un po' star codesta gente ; che già non son quelli
che ci verranno a aiutare,» diceva Perpetua. «Codeste, mi
scusi, sono di quelle sue solite chiacchiere che non concludon
nulla. Piuttosto, quel che mi dà noia....»
«Cosa e' è?»
Perpetua, la quale, in quel pezzo di strada aveva pensato
con comodo al nascondimento fatto in furia, cominciò a lamen-
tarsi d' aver dimenticata la tal cosa, d' aver mal riposta la
tal altra; qui, d'aver lasciata una traccia che poteva guidare
i ladroni, là ... .
«Brava!» disse don Abbondio, ormai sicuro della vita,
quanto bastava per poter angustiarsi della roba: «brava! così
avete fatto? Dove avevate la testa?»
«Come!» esclamò Perpetua, fermandosi un momento su
due piedi, e mettendo i pugni su' fianchi, in quella maniera
che la gerla glielo permetteva: «come! verrà ora a farmi co-
desti rimproveri, quand' era lei che me la faceva andar via,
la testa, invece d'aiutarmi e farmi coraggio! Ho pensato
forse più alla roba di casa che alla mia; non ho avuto chi
mi desse una mano; ho dovuto far da Marta e Maddalena;
se qualcosa anderà a male, non so cosa mi dire: ho fatto an-
che più del mio dovere.»
Agnese interrompeva questi contrasti, entrando anche lei a
parlare de' suoi guai : e non si rammaricava tanto dell' incomo-
do e del danno, quanto di vedere svanita la speranza di riab-
bracciar presto la sua Lucia; che, se vi rammentate, era ap-
punto quell'autunno sul quale avevan fatto assegnamento; né
era da supporre che donna Prassede volesse venire a villeg-
giare da quelle parti, in tali circostanze: piuttosto ne sarebbe
partita, se ci si fosse trovata, come facevan tutti gli altri
villeggianti.
La vista de' luoghi rendeva ancor più vivi que' pensieri
d' Agnese, e più pungente il suo dispiacere. Usciti da' sen-
tieri, avean presa la strada pubblica, quella medesima per cui
la povera donna era venuta riconducendo, per così poco tem-
CAPITOLO XXIX. 373
pò, a casa la figlia, dopo aver soggiornato con lei in casa
del sarto. E già si vedeva il paese.
«Andremo bene a salutar quella brava gente,» disse
Agnese.
«E anche a riposare un pochino: che di questa gerla io
comincio ad averne abbastanza; e poi per mangiare un boc-
cone,» disse Perpetua.
«Con patto di non perder tempo; che non siamo in viag-
gio per divertimento,» concluse don Abbondio.
Furono ricevuti a braccia aperte, e veduti con gran pia-
cere: rammentavano una buona azione. Fato del bene a
quanti più potete, dice qui il nostro autore ; e vi seguirà tanto
più spesso d' incontrar de' visi che vi mettano allegria.
Agnese all' abbracciar la buona donna, diede in un di-
rotto pianto, che fu d'un gran sollievo: e rispondeva con
singhiozzi alle domande che quella e il marito le facevan di
Lucia.
«Sta meglio di noi,» disse don Abbondio: «è a Milano,
fuori de' pericoli, lontana da queste diavolerie.»
«Scappano, eh? il signor curato e la compagnia,» disse
il sarto.
«Sicuro,» risposero a una voce il padrone e la serva.
«Li compatisco.»
«Siamo incamminati,» disse don Abbondio, «al castello
di***.»
«L'hanno pensata bene: sicuri come in chiesa.»
«E qui, non hanno paura?» disse don Abbondio.
«Dirò, signor curato: propriamente in ospitazione, come
lei sa che si dice, a parlar bene, non dovrebbero venire co-
loro; siam troppo fuori della loro strada, grazia al cielo. Al
più al più, qualche scappata, che Dio non voglia: ma in ogni
caso e' è tempo; s' hanno a sentir prima altre notizie da' po-
veri paesi dove andranno a fermarsi.»
Si concluse di star lì un poco a prender fiato; e siccome
era l'ora del desinare, «signori,» disse il sarto: «devono
onorare la mia povera tavola: alla buona: ci sarà un piatto
di buon viso.»
Perpetua disse d' aver con sé qualcosa da rompere il di-
giuno. Dopo un po' di cerimonie da una parte e dall' altra,
si venne a patti d' accozzar, come si dice, il pentolino, e di
desinare in compagnia.
I ragazzi s' eran messi con gran festa intorno ad Agnese
loro amica vecchia. Presto, presto; il sarto ordinò a una
bambina (quella che aveva portato quel boccone a Maria ve-
dova: chi sa se ve ne rammentate più!), che andasse a diric-
ciar quattro castagne primati cce, eh' eran riposte in un can-
tuccio: e le mettesse a arrostire.
374 I PROMESSI SPOSI.
«E tu,» disse a un ragazzo, «va nell' orto, a dare una
scossa al pesco, da farne cader quattro, e portale qui: tutte
ve'. E tu,» disse a un altro, ava sul fico, a coglierne quat-
tro dei più maturi. Già lo conoscete anche troppo quel me-
stiere.» Lui andò a spillare una sua botticina: la donna a
prendere un po' di biancheria da tavola. Perpetua cavò fuori
le provvisioni ; s' apparecchiò un tovagliolo e un piatto di
maiolica al posto d'onore, per don Abbondio, con una po-
sata che Perpetua aveva nella gerla. Si misero a tavola, e
desinarono, se non con grand' allegria, almeno con molta più
che nessuno de' commensali si fosse aspettato d' averne in
quella giornata.
«Cosa ne dice, signor curato, d' uno scombussolamento di
questa sorte?» disse il sarto: «mi par di leggere la storia
dei mori in Francia.»
«Cosa devo dire? Mi doveva cascare addosso anche
questa!»
«Però hanno scelto un buon ricovero,» riprese quello :
«chi diavolo ha a andar lassù per forza? E troveranno com-
pagnia; che già s' è sentito che ci sia rifugiata molta gente,
e che ce ne arrivi tuttora.»
«Voglio sperare,» disse don Abbondio,» che saremo ben
accolti. Lo conosco quel bravo signore; e quando ho avuto
un' altra volta V onore di trovarmi con lui , fu così com-
pito!»
«E a me,» disse Agnese, «m' ha fatto dire dal signor mon-
signor illustrissimo, che quando avessi bisogno di qualcosa,
bastava che andassi da lui.»
«Gran bella conversione!» riprese don Abbondio: «e si
mantiene, n' è vero? si mantiene.»
Il sarto si mise a parlare alla distesa della santa vita del-
l' innominato, e come, dall'essere il flagello de' contorni,
n' era divenuto 1' esempio e il benefattore.
«E quella gente che teneva con sé?... tutta quella ser-
vitù...» riprese don Abbondio, il quale n' avea più d'una
volta sentito dir qualcosa, ma non era mai quieto ab-
bastanza.
«Sfrattati la più parte,» rispose il sarto: «e quelli che
son rimasti, han mutato sistema, ma come! In somma è di-
ventato quel castello una Tebaide; lei le sa queste cose.»
Entrò poi a parlar con Agnese della visita del cardinale.
«Grand' uomo !» diceva : «grand' uomo ! Peccato che sia pas-
sato di qui così in furia, che non ho né anche potuto fargli
un po' di onore. Quanto sarei contento di potergli parlare
un' altra volta, un po' più con comodo.»
Alzati poi da tavola, le fece osservare una stampa rappre-
sentante il cardinale, che teneva attaccata a un battente
CAPITOLO XXIX. 375
•
d'uscio, in venerazione del personaggio, e anche per poter
dire a chiunque capitasse, che non era somigliante; giacché
lui aveva potuto esaminar da vicino e con comodo il cardi-
nale in persona, in quella medesima stanza.
«L'hanno voluto far lui, con questa cosa qui?» disse Agne-
se. cXel vestito gli somiglia, ma...»
«N' è vero che non somiglia?» disse il sarto: «lo dico
sempre anch' io; noi, non c'ingannano, eh? ma, se non altro,
e' è sotto il suo nome: è una memoria.»
Don Abbondio faceva fretta ; il sarto s' impegnò di trovare
un baroccio che li conducesse appiè della salita: n; andò su-
bito in cerca, e poco dopo tornò a dire che arrivava. Si voltò
poi a don Abbondio, e gli disse: «signor curato, se mai de-
siderasse di portar lassù qualche libro, per passare il tempo,
da pover' uomo posso servirla : che anch' io mi diverto un
po' a leggere. Cose non da par suo, libri in volgare; ma
però . . . .»
«Grazie, grazie,» rispose don Abbondio: «son circostanze,
che si ha appena testa d' occuparsi di quel che è di pre-
cetto.»
Mentre si fanno e si ricusano ringraziamenti, e si barat-
tano saluti e buoni augùri, inviti e promesse d' un' altra fer-
mata al ritorno, il baroccio è arrivato davanti ali* uscio di
strada. Ci metton le gerle, Saigon su, e principiano, con un
po' più d' agio e di tranquillità d" animo, la seconda metà del
viaggio.
Il sarto aveva detto la verità a don Abbondio, intorno al-
l'innominato. Questo, dal giorno che 1' abbiam lasciato, ave-
va sempre continuato a far ciò che allora s' era proposto,
compensar danni, chieder pace, soccorrer poveri, sempre del
bene in somma, secondo l1 occasione. Quel coraggio che altre
volte aveva mostrato nell' offendere e nel difendersi, ora lo
mostrava nel non fare né 1* una cosa né 1' altra. Andava sem-
pre solo e senz' armi, disposto a tutto quello che gli potesse
accadere dopo tante violenze commesse, e persuaso che sa-
rebbe commetterne una nuova 1' usar la forza in difesa di
chi era debitore di tanto e a tanti; persuaso che ogni male
che gli venisse fatto, sarebbe un' ingiuria riguardo a Dio, ma
riguardo a lui una giusta retribuzione; e che dell' ingiuria,
lui meno d' ogni altro, aveva diritto di farsi punitore. Con
tutto ciò, era rimasto non meno inviolato di quando teneva
armate, per la sua sicurezza, tante braccia e il suo. La ri-
membranza dell' antica ferocia, e la vista della mansuetudine
presente, una, che doveva aver lasciati tanti desidèri di ven-
detta, 1' altra che la rendeva tanto agevole, cospiravano in-
vece a procacciargli e a mantenergli un' ammirazione, che gli
serviva principalmente di salvaguardia. Era quell' uomo che
376 I PROMESSI SPOSI.
nessuno aveva potuto umiliare, e che s' era umiliato da sé.
I rancori, irritati altre volte dal suo disprezzo e dalla paura
degli altri, si dileguavano ora davanti a quella nuova umiltà;
gli offesi avevano ottenuta, contro ogni aspettativa, e senza
pericolo, una soddisfazione che non avrebbero potuta promet-
tersi dalla più fortunata vendetta, la soddisfazione di vedere
un tal uomo pentito de' suoi torti, e partecipe, per dir così,
della loro indegnazione. Molti, il cui dispiacere più amaro e
più intenso era stato per molf' anni, di non veder probabilità
di trovarsi in nessun caso più forti di colui, per ricattarsi di
qualche gran torto; incontrandolo poi solo, disarmato, e in
atto di chi non farebbe resistenza, non s' eran sentiti altro
impulso che di fargli dimostrazioni d' onore. In quell' ab-
bassamento volontario, la sua presenza e il suo contegno
avevano acquistato, senza che lui lo sapesse , un non so che
di più alto e di più nobile: perchè ci si vedeva, ancor me-
glio di prima, la noncuranza d' ogni pericolo. Gli odi, anche
i più rozzi e rabbiosi, si sentivano come legati e tenuti in
rispetto dalla venerazione pubblica per Y uomo penitente e
benefico. Questo era tale, che spesso queir uomo si trovava
impicciato a schermirsi dalle dimostrazioni che gliene venivan
fatte, e doveva star attento a non lasciar troppo trasparire
nel volto e negli atti il sentimento interno di compunzione, a
non abbassarsi troppo, per non esser troppo esaltato. S' era
scelto nella chiesa l'ultimo luogo; e non c'era pericolo che
nessuno glielo prendesse: sarebbe stato come usurpare un
posto d'onore. Offender poi quell'uomo, o anche trattarlo
con poco riguardo, poteva parere non tanto un'insolenza e
una viltà, quanto un sacrilegio: e quelli stessi a cui questo
sentimento degli altri poteva servir di ritegno, ne partecipa-
vano anche loro, più o meno.
Queste medesime ed altre cagioni, allontanavano pure da
lui le vendette della forza pubblica, gli procuravano, anche
da questa parte, la sicurezza della quale non si dava pensiero.
II grado e le parentele, che in ogni tempo gli erano state di
qualche difesa, tanto più valevano per lui, ora che a quel
nome già illustre e infame , andava aggiunta la lode d' una
condotta esemplare, la gloria della conversione. I magistrati
e i grandi s' eran rallegrati di questa, pubblicamente come il
popolo; e sarebbe parso strano l'infierire contro chi era stato
soggetto di tante congratulazioni. Oltre di ciò, un potere oc-
cupato in una guerra perpetua, e spesso infelice, contro ribel-
lioni vive e rinascenti, poteva trovarsi abbastanza contento
d' esser liberato dalla più indomabile e molesta, per non an-
dar a cercar altro; tanto più, che quella conversione produ-
ceva riparazioni che non era avvezzo ad ottenere, e nemmeno
a richiedere. Tormentare un santo, non pareva un buon mezzo
CAPITOLO XXIX. 377
di cancellar la vergogna di non aver saputo fare stare a do-
vere un facinoroso : e 1' esempio che si fosse dato col punirlo,
non avrebbe potuto aver altro effetto, che di stornare i suoi
simili dal divenire inoffensivi. Probabilmente anche la parte
che il cardinal Federigo aveva avuta nella conversione, e il suo
nome associato a quello del convertito, servivano a questo
come d' uno scudo sacro. E in quello stato di cose e d' idee,
in quelle singolari relazioni dell' autorità spirituale e del po-
ter civile, eh' eran così spesso alle prese tra loro, senza mi-
rar mai a distruggersi, anzi mischiando sempre alle ostilità
atti di riconoscimento e proteste di deferenza, e che, spesso
pure, andavan di conserva a un fine comune, senza far mai
pace, potè parere, in certa maniera, che la riconciliazione
della prima portasse con sé 1' oblivione, se non 1' assoluzione
del secondo, quando quella s' era sola adoprata a produrre
un effetto voluto da tutt' e due.
Così queir uomo sul quale, se fosse caduto, sarebbero
corsi a gara grandi e piccoli a calpestarlo: messosi volonta-
riamente a terra, veniva risparmiato da tutti, e inchinato da
molti.
È vero eh' eran molti anche a cui quella strepitosa muta-
zione dovette far tutt' altro che piacere: tanti esecutori sti-
pendiati di delitti, tanti compagni nel delitto, che perdevano
una così gran forza sulla quale erano avvezzi a fare assegna-
mento, che anche si trovavano a un tratto rotti i fili di trame
ordite da un pezzo, nel momento forse che aspettavano la
nuova dell' esecuzione, ma già abbiam veduto quali diversi
sentimenti quella conversione facesse nascere negli sgherri
che si trovavano allora con lui, e che la sentirono annunziare
dalla sua bocca: stupore, dolore, abbattimento, stizza; un po'
di tutto, fuorché disprezzo né odio. Lo stesso accadde agli
altri che teneva sparsi in diversi posti, lo stesso a' complici
di più alto affare, quando riseppero la terribile nuova, e a
tutti per le cagioni medesime. Molt' odio, come trovo nel luo-
go, altrove citato, del Ripamonti, ne venne piuttosto al car-
dinal Federigo. Riguardavan questo come uno che s' era mi-
schiato ne' loro affari, per guastarli; l'innominato aveva vo-
luto salvar l'anima sua, nessuno aveva ragion di lagnarsene.
Di mano in mano poi, la più parte degli sgherri di casa,
non potendo accomodarsi alla nuova disciplina, né vedendo
probabilità che s'avesse a mutare, se n'erano andati. Chi
avrà cercato altro padrone, e fors' anche fra gli antichi amici
di quello che lasciava; chi si sarà arrolato in qualche terzo,
come allora dicevano, di Spagna o di Mantova, o di qualche
altra parte belligerante; chi si sarà messo alla strada, per
far la guerra a minuto, e per conto suo; chi si sarà anche
contentato d' andar birboneggiando in libertà. E il simile
378 I PKOMESSI SPOSI.
avranno fatto quegli altri che stavano prima a' suoi ordini, in
diversi paesi. Di quelli poi che s" eran potuti avvezzare al
nuovo tenor di vita, o che lo avevano abbracciato volentieri,
i più, nativi della valle, eran tornati ai campi, o ai mestieri
imparati nella prima età, e poi abbandonati; i forestieri eran
rimasti nel castello, come servitori: gli uni e gli altri, quasi
ribenedetti nello stesso tempo che il loro padrone, se la pas-
savano, al par di lui, senza fare né ricever torti, inermi e
rispettati.
Ma quando, al calar delle bande alemanne, alcuni fuggia-
schi di paesi invasi o minacciati capitarono su al castello a
chieder ricovero, V innominato, tutto contento che quelle sue
mura fossero cercate come asilo da' deboli, che per tanto
tempo le avevan guardate da lontano come un enorme spau-
racchio, accolse quegli sbandati, con espressione piuttosto di
riconoscenza che di cortesia; fece sparger la voce, che la sua
casa sarebbe aperta a chiunque ci si volesse rifugiare, e pen-
sò subito a mettere, non solo questa, ma anche la valle, in
istato di difesa, se mai lanzichenecchi o cappelletti volessero
provarsi di venirci a far delle loro. Radunò i servitori che
gli eran rimasti, pochi e valenti, come i versi di Torti; fece
loro una parlata sulla buona occasione che Dio dava a loro
e a lui, d'impiegarsi una volta in aiuto del prossimo, che
avevan tanto oppresso e spaventato; e, con quel tono natu-
rale di comando, ch'esprimeva la certezza dell'ubbidienza,
annunziò loro in generale ciò che intendeva che facessero, e
soprattutto prescrisse come dovessero contenersi, perchè la
gente che veniva a ricoverarsi lassù, non vedesse in loro che
amici e difensori. Fece poi portar giù da una stanza a tetto
Tarmi da fuoco, da taglio, in asta, che da un pezzo stavan
lì ammucchiate, e gliele distribuì; fece dire a' suoi contadini
e affittuari della valle, che chiunque si sentiva buona voglia,
venisse con armi al castello; a chi non n' aveva, ne diede;
scelse alcuni, che fossero come ufiziali, e avessero altri sotto
il loro comando; assegnò i posti ali' entrature e in altri
luoghi della valle, sulla salita , alle porte del castello; stabilì
1' ore e i modi di dar la muta, come in un campo, o come
già s' era costumato in quel castello medesimo, ne' tempi della
sua vita disperata.
In un canto di quella stanza a tetto, e' erano in disparte
P armi che lui solo aveva portate: quella sua famosa carabina,
moschetti, spade, spadoni, pistole, coltellacci, pugnali, per
terra, o appoggiati al muro. Nessuno de' servitori le toccò;
ma concertarono di domandare al padrone quali voleva che
gli fossero portate. «Nessuna.» rispose: e, fosse voto, fosse
proposito, restò sempre disarmato, alla testa di quella specie
di guarnigione.
CAPITOLO XXX. 379
Nello stesso tempo, aveva messo in moto altr7 uomini e
donne di servizio, o suoi dipendenti, a preparar nel castello
alloggio a quante più persone fosse possibile, a rizzar letti, a
disporre sacconi e strapunti nelle stanze, nelle sale^ che di-
ventavan dormitòri. E aveva dato ordine di far venire prov-
visioni abbondanti, per ispesare gli ospiti che Dio gli mande-
rebbe, e i quali infatti andavan crescendo di giorno in giorno.
Lui intanto non istava mai fermo; dentro e fuori del castello,
su e giù per la salita, in giro per la valle, a stabilire, a rin-
forzare, a visitar posti, a vedere, a farsi vedere, a mettere e
a tenere in regola, con le parole, con gli occhi, con la pre-
senza. In casa, per la strada, faceva accoglienza a quelli che
arrivavano; e tutti, o lo avessero già visto, o lo vedessero per
la prima volta, lo guardavano estatici, dimenticando un mo-
mento i guai e timori che gli avevano spinti lassù; e si vol-
tavano a guardarlo, quando, staccatosi da loro, seguitava la
sua strada.
CAPITOLO XXX.
Quantunque il concorso maggiore non fosse dalla parte per
cui i nostri tre fuggitivi s' avvicinavano alla valle, ma all' im-
boccatura opposta, con tutto ciò, cominciarono a trovar com-
pagni di viaggio e di sventura, che da traverse e viottole
erano sboccati o sboccavano nella strada. In circostanze si-
mili, tutti quelli che s' incontrano, è come se si conoscessero.
Ogni volta che il baroccio aveva raggiunto qualche pedone,
si barattavan domande e risposte. Chi era scappato, come i
nostri, senza aspettar l'arrivo de' soldati; chi aveva sentiti i
tamburi o le trombe; chi aveva visti coloro, e li dipingeva
come gli spaventati soglion dipingere.
«Siamo ancora fortunati,» dicevan le due donne: «rin-
graziamo il cielo. Vada la roba; ma almeno siamo in
salvo.»
Ma don Abbondio non trovava che ci fosse tanto da ralle-
grarsi; anzi quel concorso, e più ancora il maggiore che sen-
tiva esserci dall' altra parte, cominciava a dargli ombra. «Oh
che storia!» borbottava alle donne, in un momento che non
c'era nessuno d'intorno: «oh che storia! Non capite, che
radunarsi tanta gente in un luogo è lo stesso che volerci ti-
rare i soldati per forza? Tutti nascondono, tutti portan
via; nelle case non resta nulla; crederanno che lassù ci siano
tesori. Ci vengono sicuro. Oh povero me! dove mi sono im-
barcato !»
380 1 PROMESSI SPOSI.
«Oh! voglion far altro che venir lassù,» diceva Perpe-
tua: «anche loro devono andar per la loro strada. E poi,
io ho sempre sentito dire che, ne' pericoli, è meglio essere
in molti.»
«In molti? in molti?» replicava don Abbondio: «povera
donna! Non sapete che ogni lanzichenecco ne mangia cento
di costoro? E poi, se volessero far delie pazzie, sarebbe un
bel gusto, eh? di trovarsi in una battaglia. Oh povero me!
Era meno male andar su per i monti. Che abbian tutti a
voler cacciarsi in un luogo! Seccatori!» borbottava poir
a voce più bassa: «tutti qui: e via, e via; l'uno dietro l'al-
tro, come pecore senza ragione.»
«A questo modo,» disse Agnese, «anche loro potrebbero
dir lo stesso di noi.»
«Chetatevi un po',» disse don Abbondio: «che già le
chiacchiere non servono a nulla. Quel che è fatto è fatto:
ci siamo, bisogna starci. Sarà quel che vorrà la Provviden-
za: il cielo ce la mandi buona.»
Ma fu ben peggio quando, all' entrata della valle, vide un
buon posto d'armati, parte sull'uscio d* una casa, e parte
nelle stanze terrene: pareva una caserma. Li guardò con la-
coda dell' occhio: non eran quelle facce che gli era toccato
a vedere nell' altra dolorosa sua gita, o se ce n' era di quelle,
erano ben cambiate; ma con tutto ciò, non si può dire che
noia gli desse quella vista. — Oh povero me! — pensava: —
ecco se le fanno le pazzie. Già non poteva essere altrimenti:
me lo sarei dovuto aspettare da un uomo di quella qualità.
Ma cosa vuol fare? vuol far la guerra? vuol fare il re, lui?
Oh povero me ! In circostanze che si vorrebbe potersi na-
scondere sotto terra, e costui cerca ogni maniera di farsi scor-
gere, di dar nell'occhio; par che li voglia invitare! —
«Vede ora, signor padrone,» gli disse Perpetua, «se c'è
della brava gente qui, che ci saprà difendere. Tengano ora
i soldati: qui non sono come que' nostri spauriti, che non
sono buoni che a menar le gambe.»
«Zitta!» rispose, con voce bassa ma iraconda, don Ab-
bondio; «zitta! che non sapete quel che vi dite. Pregate il
cielo che abbian fretta i soldati, o che non vengano a sapere
le cose che si fanno qui, e che si mette all'ordine questo
luogo come una fortezza. Non sapete che i soldati è il loro
mestiere di prender le fortezze? Non cercan altro; per loro,
dare un assalto è come andare a nozze; perchè tutto quel
che trovano è per loro, e passano la gente a fil di spada. Oh
povero me! Basta, vedrò se ci sarà maniera di mettersi in
salvo su per queste balze. In una battaglia non mi ci col-
gono: oh! in una battaglia non mi ci colgono.»
«Se ha poi paura anche d'esser difeso e aiutato....»
CAPITOLO XXX. 381
ricominciava Perpetua; ma don Abbondio P interruppe aspra-
mente, sempre però a voce bassa: «zitta! E badate bene di
non riportare questi discorsi. Ricordatevi che qui bisogna
far sempre viso ridente, e approvare tutto quel che si vede.»
Alla Malanotte, trovarono un altro picchetto d' armati, ai
quali don Abbondio fece una scappellata, dicendo intanto tra
sé: — oimè, oimè: son proprio venuto in un accampamento!
Qui il baroccio si fermò: ne scesero; don Abbondio pagò in
fretta, e licenziò il condottiere; e s'incamminò con le due
compagne per la salita, senza far parola. La vista di que'
luoghi gli andava risvegliando nella fantasia, e mescolando
all' angosce presenti, la rimembranza di quelle che vi aveva
sofferte V altra volta. E Agnese, la quale non gli aveva mai
visti que' luoghi, e se n' era fatta in mente una pittura fan-
tastica che le si rappresentava ogni volta che pensava al viag-
gio spaventoso di Lucia, vedendoli ora quali eran davvero,
provava come un nuovo e più vivo sentimento di quelle cru-
deli memorie. «Oh signor curato!» esclamò: «a pensare
che la mia povera Lucia è passata per questa strada !»
«Volete star zitta? donna senza giudizio!» le gridò in un
orecchio don Abbondio: «son discorsi codesti da farsi qui?
Non sapete che siamo in casa sua? Fortuna che ora nessun
vi sente; ma se parlate in questa maniera . . . .»
«Oh!» disse Agnese: «ora che è santo ....!»
«State zitta,» le replicò don Abbondio: «credete voi che
ai santi si possa dire, senza riguardo, tutto ciò che passa per
la mente? Pensate piuttosto a ringraziarlo del bene che v" ha
fatto.»
«Oh! per questo, ci avevo già pensato: che crede che non
le sappia un pochino le creanze?»
«La creanza è di non dir le cose che posson dispiacere,
specialmente a chi non è avvezzo a sentirne. E intendetela
bene tutt' e due, che qui non è luogo da far pettegolezzi, e
da dir tutto quello che vi può venire in testa. È casa d' un
gran signore, già lo sapete: vedete che compagnia e' è d'in-
torno: ci vien gente di tutte le sorte: sicché, giudizio, se po-
tete: pesar le parole, e soprattutto dirne poche, e solo quan-
do e' è necessità; che a stare zitti non si sbaglia mai.»
«Fa peggio lei con tutte codeste sue . . . .» riprendeva
Perpetua.
Ma: «zitta!» gridò sottovoce don Abbondio, e insieme si
levò il cappello in fretta, e fece un profondo inchino, che,
guardando in su, aveva visto V innominato scender verso di
loro. Anche questo aveva visto e riconosciuto don Abbondio;
e affrettava il passo per andargli incontro.
«Signor curato,» disse, quando gli fu vicino, «avrei vo-
luto offrirle la mia casa in miglior occasione; ma, a ogni
382 I PROMESSI SPOSI.
modo, son ben contento di poterle esser utile in qualche
cosa.»
«Confidato nella gran bontà di vossignoria illustrissima,»
rispose don Abbondio, «mi son preso l'ardire di venire, in
queste triste circostanze, a incomodarla: e, come vede vossi-
gnoria illustrissima, mi son preso anche la libertà di menar
compagnia. Questa è la mia governante . . . .»
«Benvenuta,» disse Y innominato.
«E questa.» continuò don Abbondio, «è una donna a cui
vossignoria ha già fatto del bene: la madre di quella .... di
quella .... »
«Di Lucia,» disse Agnese.
«Di Lucia!») esclamò l'innominato, voltandosi, con la te-
sta bassa, ad Agnese. «Del bene, io! Dio immortale! Voi,
mi fate del bene, a venir qui .... da me ... . in questa casa.
Siate la benvenuta. Voi ci portate la benedizione.»
«Oh giusto!» disse Agnese: «vengo a incomodarla. An-
zi,» continuò avvicinandosegli all'orecchio, «ho anche a rin-
graziarla »
L'innominato troncò quelle parole, domandando premu-
rosamente le nuove di Lucia; e sapute che l'ebbe, si voltò
per accompagnare al castello i nuovi ospiti, come fece, mal-
grado la loro resistenza cerimoniosa. Agnese diede al curato
un' occhiata che voleva dire : veda un poco se e' è bisogno
che lei entri di mezzo tra noi due a dar pareri.
«Sono arrivati alla sua parrocchia?» gli domandò l'in-
nominato.
«Xo, signore, che non gli ho voluti aspettare que' dia-
voli.» rispose don Abbondio. «Sa il cielo se avrei potuto
uscir vivo dalle loro mani, e venire a incomodare vossignoria
illustrissima.»
«Bene, si faccia coraggio,» riprese l'innominato: «che
ora è in sicuro. Qua su non verranno, e se si volessero pro-
vare, siam pronti a riceverli.»
«Speriamo che non vengano,» disse don Abbondio. «E
sento,» soggiunse, accennando col dito i monti che chiude-
vano la valle di rimpetto, «sento che, anche da quella parte,
giri un' altra masnada di gente, ma ma »
«È vero,» rispose l'innominato: «ma non dubiti, che
siam pronti anche per loro.»
— Tra due fuochi, — diceva tra se don Abbondio: —
proprio tra due fuochi. Dove mi son lasciato tirare! e da
due pettegole? E costui par proprio che ci sguazzi dentro!
Oh che gente e' è a questo mondo. —
Entrati nel castello, il signore fece condurre Agnese e Per-
petua in una stanza del quartiere assegnato alle donne, che
occupava tre lati del secondo cortile, nella parte posteriore
CAPITOLO XXX. 383
dell' edifìzio situata sur un masso sporgente e isolato, a cava-
liere a un precipizio. Gli uomini alloggiavano ne' lati del-
l' altro cortile a destra e a sinistra, e in quello che rispon-
deva sulla spianata. Il corpo di mezzo che separava i due
cortili, e dava passaggio dall' uno all' altro per un vasto an-
dito di rimpetto alla porta principale, era in parte occupato
dalle provvisioni, e in parte doveva servir di deposito per la
roba che i rifugiati volessero mettere in salvo lassù. Nel
quartiere degli uomini, e' erano alcune camere destinate agli
ecclesiastici, che potessero capitare. L'innominato v'accom-
pagnò in persona don Abbondio, che fu il primo a prenderne
il possesso.
Ventitré o ventiquattro giorni stettero i nostri fuggitivi nel
castello, in mezzo a un movimento continuo, in una gran com-
pagnia, e che ne' primi tempi, andò sempre crescendo; ma
senza che accadesse nulla di straordinario. Non passò forse
giorno, che non si desse all' armi. Yengon lanzichenecchi
di qua; si son veduti cappelletti di là. A ogni avviso, l'in-
nominato mandava uomini a esplorare e, se faceva bisogno,
prendeva con sé della gente che teneva sempre pronta a ciò,
e andava con essa fuor della valle, dalla parte dov' era in-
dicato il pericolo. Ed era cosa singolare, vedere una schiera
d' uomini armati da capo a piedi, schierati come una truppa,
condotti da un uomo senz' armi. Le più volte non erano che
foraggieri e saccheggiatori sbandati, che se n' andavano pri-
ma d' esser sorpresi. Ma una volta, cacciando alcuni di
costoro, per insegnar loro a non venir più da quelle parti,
l' innominato ricevette avviso che un paesetto vicino era in-
vaso e messo a sacco. Erano lanzichenecchi di vari corpi
che rimasti indietro per rubare, s' eran riuniti, e andavano
a gettarsi all' improvviso sulle terre vicine a quelle dove al-
loggiava l'esercito; spogliavano gli abitanti, e gliene facevan
di tutte le sorte. L' innominato fece un breve discorso a' suoi
uomini, e li condusse al paesetto.
Arrivarono inaspettati. I ribaldi che avevan creduto di
non andar che alla preda, vedendosi venire addosso gente
schierata e pronta a combattere, lasciarono il saccheggio a
mezzo, e se n'andarono in fretta, senz'aspettarsi l'uno con
1' altro , dalla parte dond' eran venuti. L' innominato gì' in-
seguì per un pezzo di strada; poi fatto far alto, stette qual-
che tempo aspettando, se vedesse qualche novità; e finalmente
se ne ritornò. E ripassando nel paesetto salvato, non si po-
trebbe dire con quali applausi e benedizioni fosse accompa-
gnato il drappello liberatore e il condottiero.
Nel castello, tra quella moltitudine, formata a caso, di
persone, varie di condizione, di costumi, di sesso e d' età,
non nacque mai alcun disordine d' importanza. L' innomi-
384: I PROMESSI SPOSI.
nato aveva messe guardie in diversi luoghi, le quali tutte in-
vigilavano che non seguisse nessun inconveniente, con quella
premura che ognuno metteva nelle cose di cui s' avesse a
rendergli conto.
Aveva poi pregati gli ecclesiastici, e gli uomini più auto-
revoli che si trovavan tra i ricoverati, d'andare in giro e
d' invigilare anche loro. E più spesso che poteva, girava an-
che lui, e si faceva veder per tutto: ma, anche in sua assen-
za, il ricordarsi di chi s" era in casa, serviva di freno a chi
ne potesse aver bisogno. E, del resto, era tutta gente scap-
pata, e quindi inclinata in generale alla quiete: i pensieri
della casa e della roba, per alcuni anche di congiunti o
d' amici rimasti nel pericolo, le nuove che venivan di fuori,
abbattendo gli animi, mantenevano e accrescevano sempre più
quella disposizione.
C'era però anche de' capi scarichi, degli uomini d'una
tempra più salda e d" un coraggio più verde , che cercavano
di passar que' giorni in allegria. Avevano abbandonate le
loro case, per non esser forti abbastanza da difenderle; ma
non trovavan gusto a piangere e a sospirare sur una cosa
che non e' era rimedio, né a figurarsi e a contemplar con la
fantasia il guasto che vedrebbero pur troppo co' loro occhi.
Famiglie amiche erano andate di conserva, o s' eran ritrovate
lassù, s' eran fatte amicizie nuove: e la folla s'era divisa in
crocchi, secondo gli umori e V abitudini. Chi aveva danari e
discrezione, andava a desinare giù nella valle, dove in quella
circostanza, s' eran rizzate in fretta osterie: in alcune, i boc-
coni erano alternati co' sospiri, e non era lecito parlar d" al-
tro che di sciagure: in altre, non si rammentavan le scia-
gure, se non per dir che non bisognava pensarci. A chi non
poteva o non voleva farsi le spese, si distribuiva nel castello
pane, minestra e vino: oltre alcune tavole eh' eran servite
ogni giorno, per quelli che il padrone vi aveva espressamente
invitati: e i nostri eran di questo numero.
Agnese e Perpetua, per non mangiare il pane a ufo, ave-
van voluto essere impiegate ne' servizi che richiedeva una
così grande ospitalità ; e in questo spendevano una buona
parte della giornata; il resto nel chiacchierare con certe ami-
che che s' eran fatte, o col povero don Abbondio. Questo non
aveva nulla da fare, ma non s'annoiava però; la paura gli
teneva compagnia. La paura proprio d'un assalto, credo
che la gli fosse passata, o se pur gliene rimaneva, era quella
che gli dava meno fastidio; perchè, pensandoci appena ap-
pena, doveva capire quanto poco fosse fondata. Ma 1" imma-
gine del paese circonvicino inondato, da una parte e dall' al-
tra, da soldatacci, le armi e gli armati che vedeva sempre in
giro, un castello, quel castello, il pensiero di tante cose che
CAPITOLO XXX. 385
potevan nascere ogni momento in tali circostanze, tutto gli te-
neva addosso uno spavento indistinto, generale, continuo; la-
sciando stare il rodio che gli dava il pensare alla sua povera
casa. In tutto il tempo che stette in queir asilo, non se ne
discostò mai quanto un tiro di schioppo, né mai mise piede
sulla discesa: l'unica sua passeggiata era d'uscire sulla spia-
nata, e d'andare, quando da una parte e quando dall'altra
del castello, a guardar giù per le balze e per i burroni per
istudiare se ci t'osse qualche passo un po' praticabile, qualche
po' di sentiero, per dove andar cercando un nascondiglio in
caso d'un serra serra. A tutti i suoi compagni di rifugio
faceva gran riverenze o gran saluti, ma bazzicava con pochis-
simi: la sua conversazione più frequente era con le due donne,
come abbiam detto: con loro andava a fare i suoi sfoghi,
a rischio che talvolta gli fosse dato sulla voce da Perpetua,
e che lo svergognasse anche Agnese. A tavola poi, dove stava
poco e parlava pochissimo, sentiva le nuove del terribile
passaggio, le quali arrivavano ogni giorno, o di paese in paese
e di bocca in bocca, o portate lassù da qualcheduno, che da
principio aveva voluto restarsene a casa, e scappava in ulti-
mo, senza aver potuto salvar nulla, e a un bisogno anche mal-
concio: e in ogni giorno c'era qualche nuova storia di scia-
gura. Alcuni novellisti di professione, raccoglievan diligente-
mente tutte le voci, abburattavan tutte le relazioni, e ne davan
poi il fiore agli altri. Si disputava quali fossero i reggimenti
più indiavolati, se fosse peggio la fanteria o la cavalleria; si
ripetevano, il meglio che si poteva, certi nomi di condottieri,
d'alcuni si raccontavan le imprese passate, si specifìcavan le
stazioni e le marce: quel giorno il tale reggimento si span-
deva ne' tali paesi, domani anderebbe addosso ai tali altri,
dove intanto il tal altro faceva il diavolo e peggio. Sopra
tutto si cercava d' aver informazioni , e si teneva il conto
de' reggimenti che passavan di mano in mano il ponte di
Lecco, perchè quelli si potevan considerare come andati, e
fuori veramente del paese. Passano i cavalli di VTallenstein,
passano i fanti di Merode, passano i cavalli di Anhalt, pas-
sano i fanti di Brandeburgo, e poi i cavalli di Montecuccoli,
e poi quelli di Ferrari; passa Altringer, passa Furstenberg,
passa Colloredo; passano i Croati, passa Torquato Conti, pas-
sano altri e altri; quando piacque al cielo, passò anche Ga-
lasso, che fu l'ultimo. Lo squadron volante de' Veneziani
finì d'allontanarsi, e tutto il paese, a destra e a sinistra, si
trovò libero anch' esso. Già quelli delle terre invase e sgom-
brate le prime, eran partiti dal castello; e ogni giorno ne par-
tiva: come, dopo un temporale d'autunno, si vede dai palchi
fronzuti d' un grand' albero uscire da ogni parte gli uccelli
che ci s' erano riparati. Credo che i nostri tre fossero gli
Manzoni. 25
356 I PROMESSI SPOSI.
ultimi ad andarsene; e ciò per volere di don Abbondio, il
quale temeva, se si tornasse subito a casa, di trovare ancora
in giro lanzichenecchi rimasti indietro sbrancati, in coda
all' esercito. Perpetua ebbe un bel dire che, quanto più s' in-
dugiava, tanto più si dava agio ai birboni del paese d' entrare
in casa a portar via il resto; quando si trattava d'assicurar
la pelle, era sempre don Abbondio che la vinceva; meno che
V imminenza del pericolo non gli avesse fatto perdere affatto
la testa.
Il giorno fissato per la partenza, l' innominato fece trovar
pronta alla Malanotte una carrozza , nella quale aveva già
fatto mettere un corredo di biancheria per Agnese. E tiratala
in disparte, le fece anche accettare un gruppetto di scudi,
per riparare al guasto che troverebbe in casa; quantunque
battendo la mano sul petto, essa andasse ripetendo che ne
aveva lì ancora de' vecchi.
«Quando vedrete quella vostra buona, povera Lucia . . . . »
le disse in ultimo: «già son certo che prega per me, poiché
le ho fatto tanto male : ditele adunque eh' io la ringrazio, e
confido in Dio, che la sua preghiera tornerà anche in tanta
benedizione per lei.»
Volle poi accompagnar tutti e tre gli ospiti, fino alla car-
rozza. I ringraziamenti umili e sviscerati di don Abbondio
e i complimenti di Perpetua, se gl'immagini il lettore. Par-
tirono; fecero, secondo il fissato, una fermatina, ma senza
neppur mettersi a sedere, nella casa del sarto, dove sentirono
raccontar cento cose del passaggio; la solita storia di ruberie,
di percosse, di sperpero, di sporchizie: ma lì, per buona
sorte, non s' eran visti lanzichenecchi.
«Ah signor curato!» disse il sarto, dandogli di braccio a
rimontare in carrozza: « s' ha da far de' libri in istampa,
sopra un fracasso di questa sorte.»
Dopo un altro po' di strada, cominciarono i nostri viag-
giatori a veder co' loro occhi qualche cosa di quello che ave-
van tanto sentito descrivere: vigne spogliate, non come dalla
vendemmia, ma come dalla grandine e dalla bufera che fos-
sero venute in compagnia: tralci a terra, sfrondati e scom-
pigliati: strappati i pali, calpestato il terreno, e sparso di
schegge, di foglie, di sterpi; schiantati, scapezzati gli alberi;
Eforacchiate le siepi: i cancelli portati via. Ne" paesi poi,
usci sfondati, impannate lacere, rottami d'ogni sorte, cenci
a mucchi, o seminati per le strade; un'aria pesante, zaffate
di puzzo più forte che uscivan dalle case; la gente, chi a
buttar fuori porcherie, chi a raccomodar le imposte alla me-
glio, chi in crocchio a lamentarsi insieme; e, al passar della
CAPITOLO XXX. 387
carrozza, mani di qua e di là tese agli sportelli, per chieder
1' elemosina.
Con queste immagini, ora davanti agli occhi, ora nella
mente, e con l'aspettativa di trovare altrettanto a casa loro,
ci arrivarono; e trovarono infatti quello che s'aspettavano.
Agnese fece posare i fagotti in un canto del cortiletto,
ch'era rimasto il luogo più pulito della casa; si mise poi a
spazzarla, a raccogliere e a rigovernare quella poca roba che
le avevan lasciata; fece venir un legnatolo e un fabbro, per
riparare i guasti più grossi, e guardando poi, capo per capo,
la biancheria regalata, e contando que' nuovi ruspi, diceva
tra sé: — son caduta in piedi; sia ringraziato Iddio e la Ma-
donna e quel buon signore: posso proprio dire d'esser ca-
duta in piedi. —
Don Abbondio e Perpetua entrano in casa, senza aiuto di
chiavi; ogni passo che fanno nell' andito, senton crescere un
tanfo, un veleno, una peste, che li respinge indietro; con la
mano al naso, vanno all'uscio di cucina, entrano in punta di
piedi, studiando dove metterli, per iscansar più che possono
la porcheria che copre il pavimento; e danno un'occhiata in
giro. Non e' era nulla d' intero ; ma avanzi e frammenti di
quel che e' era stato, lì e altrove, se ne vedeva in ogni canto:
piume e penne delle galline di Perpetua, pezzi di biancheria,
fogli de' calendari di don Abbondio, cocci di pentole e di
piatti; tutto insieme o sparpagliato. Solo nel focolare si po-
tevan vedere i segni d' un vasto saccheggio accozzati insieme,
come molte idee sottintese, in un periodo steso da un uomo
di garbo. C era, dico, un rimasuglio di tizzi e tizzoni spenti,
i quali mostravano d'essere stati, un bracciolo di seggiola,
un piede di tavola, uno sportello d'armadio, una panca di
letto, una doga della botticina, dove ci stava il vino che
rimetteva lo stomaco a don Abbondio. Il resto era cenere e
carboni; e con que' carboni stessi, i guastatori, per ristoro,
avevano scarabocchiati i muri di figuracce, ingegnandosi, con
certe berrettine o con certe cheriche, e con certe larghe fac-
ciole, di farne de' preti, e mettendo studio a farli orribili e
ridicoli: intento, che per verità, non poteva andar fallito a
tali artisti.
■ Ah porci!» esclamò Perpetua. «Ah baroni!» esclamò
don Abbondio; e, come scappando andaron fuori, per un
altr' uscio che metteva nell'orto. Respirarono; andaron di-
viato al fico; ma già prima d'arrivarci, videro la terra smossa,
e misero un grido tutt' e due insieme; arrivati, trovarono
effettivamente, invece del morto, la buca aperta. Qui nacquero
de' guai: don Abbondio cominciò a prenderla con Perpetua,
che non avesse nascosto bene: pensate se questa rimase zitta:
dopo ch'ebbero ben gridato, tutt' e due col braccio teso, e
25*
333 I PE0MES3I SPOSI.
con l' indice appuntato verso la buca, se ne tornarono insieme,
brontolando. E fate conto che per tutto trovarono a un di
presso la medesima cosa. Penarono non so quanto, a far ri-
pulire e smorbare la casa, tanto più che, in que' giorni , era
difficile trovar aiuto; e non so quanto dovettero stare come
accampati, accomodandosi alla meglio, o alla peggio, e rifa-
cendo a poco a poco usci, mobili, utensili, con danari pre-
stati da Agnese.
Per giunta poi. quel disastro fu una semenza d' altre que-
stioni molto noiose; perchè Perpetua, a forza di chiedere e
domandare, di spiare e fiutare, venne a saper di certo che
alcune masserizie del suo padrone, credute preda o strazio
de' soldati, erano in vece sane e salve in casa di gente del
paese; e tempestava il padrone che si facesse sentire, e ri-
chiedesse il suo. Tasto più odioso non si poteva toccare per
don Abbondio; giacché la sua roba era in mano di birboni,
cioè di quella specie di persone con cui gli premeva più di
stare in pace.
«Ma se non voglio saper nulla di queste cose,» diceva.
'Quante volte ve lo devo ripetere, che quel che è andato è
andato? Ho da esser messo anche in croce, perchè m' è stata
spogliata la casa?»
«Se lo dico.» rispondeva Perpetua, «che lei si lascerebbe
cavar gli occhi di testa. Rubare agli altri è peccato, ma a
lei, è peccato non rubare.»
cMa vedete se codesti sono spropositi da dirsi!') replicava
don Abbondio: ama volete stare zitta?')
Perpetua sì chetava, ma non subito subito; e prendeva
pretesto da tutto per riprincipiare. Tanto che il pover' uomo
s' era ridotto a non lamentarsi più, quando trovava mancante
qualche cosa, nel momento che ne avrebbe avuto bisogno;
perchè, più d'una volta, gli era toccato a sentirsi dire: *<vada
a chiederlo al tale che l' ha , e non V avrebbe tenuto fino
a quesr ora, se non avesse che fare con un buon uomo.';
Un'altra e più viva inquietudine gli dava il sentire, che
giornalmente continuavano a passar soldati alla spicciolata,
come aveva troppo bene congetturato; onde stava sempre in
sospetto di vedersene capitar qualcheduno o anche una com-
pagnia siili' uscio, che aveva fatto raccomodare in fretta per la
prima cosa, e che teneva chiuso con gran cura; ma, per gra-
zia del cielo, ciò non avvenne mai. ~ Né però questi terrori
erano ancora cessati, che un nuovo ne sopraggiunse.
Ma qui lasceremo da parte il pover' uomo: si tratta ben
d'altro che di sue apprensioni private, che de' guai d'alcuni
paesi, che d* un disastro passeggiero.
CAPITOLO XXXI. 389
CAPITOLO XXXI.
La peste che iì tribunale della sanità aveva temuto che
potesse entrar con le bande alemanne nel milanese, e" era en-
trata davvero, come è noto; ed è noto parimente che non si
fermò qui , ma invase e spopolò una buona parte d' Italia.
Condotti dal filo della nostra storia, noi passiamo a raccontar
gli avvenimenti principali di quella calamità; nel milanese,
s'intende, anzi io Milano quasi esclusivamente: che della
città quasi esclusivamente trattano le memorie del tempo,
come a un di presso accade sempre e per tutto, per buone e
per cattive ragioni. E in questo racconto, il nostro line non
è, per dir la verità, soltanto di rappresentar lo stato delle
cose nel quale verranno a trovarsi i nostri personaggi, ma di
far conoscere insieme, per quanto si può da noi. un tratto di
storia patria più famoso che conosciuto.
Delle molte relazioni contemporanee, non ce n" è alcuna
che basti da sé a darne un'idea un po' distinta e ordinata;
cerne non ce n1 è alcuna che non possa aiutare a formarla.
In ognuna di queste relazioni, senza eccettuarne quella del
Ripamonti1), la quale le supera tutte, per la quantità e per
la scelta de" fatti , e ancor più per il modo d' osservarli , in
ognuna sono omessi fatti essenziali, che son registrati in altre;
in ognuna ci sono errori materiali, che si posson riconoscere
e rettificare con l'aiuto di qualche altra, o di que' pochi atti
della pubblica autorità, editi e inediti, che rimangono; spesso
in una si vengono a trovar le cagioni di cui nell'altra s' eran
visti, come in aria, gli effetti. In tutte poi regna una strana
confusione di tempi e di cose; è un continuo andare e venire,
come alla ventura, senza disegno generale, senza disegno
ne1 particolari: carattere, del resto, de' più comuni e de' più
apparenti ne' libri di quel tempo, principalmente in quelli
scritti in lingua volgare, almeno in Italia, se anche nel resto
d'Europa, i dotti lo sapranno, noi lo sospettiamo. Nessuno
scrittore d' epoca posteriore s' è proposto d' esaminare e di
confrontare quelle memorie, per ritrarne una serie concatenata
degli avvenimenti, una storia di quella peste; sicché l'idea
che se ne ha generalmente, dev'essere, di necessità, molto
incerta, e un po' confusa: un'idea indeterminata di gran mali
e di grand' errori (e per verità ci fu dell ' uno e dell' altro, al
di là di quel che si possa immaginare), un' idea composta più
l] Josephi Ripamontii, canonici scalensis, chroni<iae urbis Mediolani, Vs
peste quae fuii anno 1630. libri V. Mediolani. 1640. apud Muia'.estas.
390 I PEOMESSI SPOSI.
di giudizi che di fatti, alcuni fatti dispersi, . non di rado
scompagnati dalle circostanze più caratteristiche, senza distin-
zion di tempo, cioè senza intelligenza di causa e d' effetto, di
corso, di progressione. Noi, esaminando e confrontando, con
molta diligenza se non altro, tutte le relazioni stampate, più
d'una inedita, molti (in ragione del poco che ne rimane) do-
cumenti, come dicono, ufiziali, abbiam cercato di farne non
già quel che si vorrebbe, ma qualche cosa che non è stato
ancor fatto. Xon intendiamo di riferire tutti gli atti pubblici,
e nemmeno tutti gli avvenimenti degni, in qualche modo, di
memoria. Molto meno pretendiamo di rendere inutile a chi
voglia farsi un'idea più compita della cosa, la lettura delle
relazioni originali: sentiamo troppo che forza viva, propria,
e per dir così, incomunicabile, ci sia sempre nell" opere di
quel genere, comunque concepite e condotte. Solamente ab-
biam tentato di distinguere e di verificare i fatti più generali
e più importanti, di disporli nell'ordine reale della loro suc-
cessione, per quanto lo comporti la ragione e la natura d'essi,
d'osservare la loro efficienza reciproca, e di dar così, per
ora e finché qualchedun altro non faccia meglio, una notizia
succinta, ma sincera e continuata, di quel disastro
Per tutta adunque la striscia di territorio percorsa dal-
l' esercito, s' era trovato qualche cadavere nelle case , qualche-
dun o sulla strada. Poco dopo, in questo e in quel paese,
cominciarono ad ammalarsi, a morire persone, famiglie, di
mali violenti, strani, con segni sconosciuti alla più parte
de' viventi. C" eran soltanto alcuni a cui non riuscissero nuovi :
que' pochi che potessero ricordarsi della peste che. cinquan-
tatre anni avanti, aveva desolata pure una buona parte d'Ita-
lia, e in ispecie il milanese, dove fu chiamata, ed è tuttora*
la peste di san Carlo. Tanto è forte la carità! Tra le me-
morie così varie e così solenni d' un infortunio generale, può
essa far primeggiare quella d' un uomo, perchè a quest' uomo
ha ispirati sentimenti e azioni più memorabili ancora de' mali;
stamparlo nelle menti, come un sunto di tutti que' guai, perchè
in tutti l'ha spinto e intromesso, guida, soccorso, esempio,
vittima volontaria; d' una calamità per tutti, far per quest'uomo
come un'impresa; nominarla da lui, come una conquista o
una scoperta.
Il protofisico Lodovico Settala, che, non solo aveva veduta
quella peste, ma n'era stato uno de' più attivi e intrepidi, e,
quantunque allor giovinissimo, de' più riputati curatori; e che
ora, in gran sospetto di questa, stava all' erta e sull' informa-
zioni, riferì, il 20 d' ottobre, nel tribunale della sanità, come,
nella terra di Chiuso (1' ultima del territorio di Lecco, e confi-
nante col bergamasco), era scoppiato indubitabilmente il eoa-
CAPITOLO XXXI. 391
tagio. Non fu per questo presa veruna risoluzione, come si
ha dal Ragguaglio del Tadino ]).
Ed ecco sopraggiungere avvisi somiglianti da Lecco e da
Bellano. Il tribunale allora si risolvette e si contentò di spe-
dire un commissario che, strada facendo, prendesse un medico
a Como, e si portasse con lui a visitare i luoghi indicati.
Tutt' e due, «o per ignoranza o per altro, si lasciarono per-
suadere da un vecchio et ignorante barbiero di Bellano, che
-'quella sorta di mali non era Peste;2)» ma, in alcuni luoghi,
effetto consueto dell' emanazioni autunnali delle paludi, e negli
altri, effetto de' disagi e degli strapazzi sofferti, nel passaggio
degli Alemanni. Una tale assicurazione fu riportata al tri-
bunale, il quale par che ne mettesse il cuore in pace.
Ma arrivando senza posa altre e altre notizie di morte da
diverse parti, furono spediti due delegati a vedere e a prov-
vedere: il Tadino suddetto, e un auditore del tribunale. Quan-
do questi giunsero, il male s'era già tanto dilatato, che le
prove si offrivano, senza che bisognasse andare in cerca.
Scorsero il territorio di Lecco, la Valsassina, le coste del lago
di Como, i distretti denominati il Monte di Brianza, e la Gera
d'Adda; e per tutto trovarono paesi chiusi da cancelli all' en-
trature, altri quasi deserti, e gli abitanti scappati e attendati
alla campagna, o dispersi; «et ci parevano,» dice il Tadino,
«tante creature seluatiche, portando in mano chi 1' herba
-menta, chi la ruta, chi il rusmarino et chi una ampolla
« d' aceto. » S' informarono del numero de' morti : era spaven-
tevole; visitarono infermi e cadaveri, e per tutto trovarono le
brutte e terribili marche della pestilenza. Diedero subito,
per lettere, quelle sinistre nuove al tribunale della sanità, il
quale, al riceverle, che fu il 30 d'ottobre, «si dispose,» dice
il medesimo Tadino, a prescriver le bullette per chiuder
fuori della Città le persone provenienti da' paesi dove il con-
tagio s'era manifestato; «et mentre si compilaua la grida,»
ne diede anticipatamente qualche ordine sommario a' ga-
bellieri.
Intanto i delegati presero in fretta e in furia quelle mi-
sure che parver loro migliori; e se ne tornarono, con la trista
persuasione che non sarebbero bastate a rimediare e a fer-
mare un male già tanto avanzato e diffuso.
Arrivati il 14 di novembre, dato ragguaglio, a voce e di
nuovo in iscritto, al tribunale, ebbero da questo commissione
di presentarsi al governatore, e d' esporgli lo stato delle cose.
1) Pa?. 24.
2) Tadino, pag. 24.
392 I PROMESSI SPOSI.
V'andarono e riportarono: aver lui di tali nuove provato
molto dispiacere, mostratone un gran sentimento; ma i pen-
sieri della guerra esser più pressanti: sed belli graviores esse
curas. Così il Ripamonti, il quale aveva spogliati i registri
della Sanità, e conferito col Tadino, incaricato specialmente
della missione: era la seconda, se il lettore se ne ricorda,
per quella causa, e con quell'esito. Due o tre giorni dopo,
il 18 di novembre, emanò il governatore una grida, in cui
ordinava pubbliche feste, per la nascita dei principe Carlo,
primogenito del re Filippo IV, senza sospettare o senza cu-
rare il pericolo d'un gran comcorso, in tali circostanze: tutto
come in tempi ordinari, come se non gli fosse stato parlato
di nulla.
Era quest' uomo, come già s' è detto , il celebre Ambrogio
Spinola, mandato per raddirizzar quella guerra e riparare
agli errori di don Gonzalo, e incidentemente, a governare;
e noi pure possiamo qui incidentemente rammentar che morì
dopo pochi mesi, in quella stessa guerra che gli stava tanto
a cuore; e morì, non già di ferite sul campo, ma in letto,
d'affanno e di struggimento, per rimproveri, torti, disgusti
d' ogni specie ricevuti da quelli a cui serviva. La storia ha
deplorata la sua sorte, e biasimata l'altrui sconoscenza; ha
descritte con molta diligenza le sue imprese militari e poli-
tiche, lodata la sua previdenza, l'attività, la costanza: poteva
anche cercare cos'abbia fatto di tutte queste qualità, quando
la peste minacciava, invadeva una popolazione datagli in cura,
o piuttosto in balìa.
Ma ciò che, lasciando intero il biasimo, scema la maravi-
glia di quella sua condotta , ciò che fa nascere un' altra e
più forte maraviglia, è la condotta della popolazione mede-
sima, di quella, voglio dire, che, non tocca ancora dal contagio,
aveva tanta ragion di temerlo. All' arrivo di quelle nuove de*
paesi che n'erano così malamente imbrattati, di paesi che
l'ormano intorno alla città quasi un semicircolo, in alcuni punti
distante da essa non più di diciotto o venti miglia: chi non
crederebbe che vi si suscitasse un movimento generale, un
desiderio di precauzioni bene o male intese, almeno una ste-
rile inquietudine? Eppure, se in qualche cosa le memorie di
quel tempo vanno d'accordo, è nell' attestare che non ne fu
nulla. La penuria dell'anno antecedente, le angherie della
soldatesca, le afflizioni d'animo, parvero più che bastanti a
render ragione della mortalità: sulle piazze, nelle botteghe,
nelle case, chi buttasse là una parola del pericolo, chi moti-
vasse peste, veniva accolto con beffe incredule, con disprezzo
iracondo. La medesima miscredenza, la medesima, per dir
meglio, cecità e fissazione prevaleva nel senato, nel Consiglio
de' decurioni, in ogni magistrato.
CAPITOLO XXXI.
393
Trovo che il cardinal Federigo , appena riseppe i primi
casi di mal contagioso, prescrisse con lettera pastorale a' par-
rochi, tra le altre cose, che ammonissero più e più volte i
popoli dell' importanza e dell* obbligo stretto di rivelare ogni
simile accidente, e di consegnar le robe infette o sospette '):
e anche questa può essere contata tra le sue lodevoli singo-
larità.
Il tribunale della sanità chiedeva, implorava cooperazione,
ma otteneva poco o niente. E nel tribunale stesso, la pre-
mura era ben lontana da uguagliare l'urgenza: erano, come
afferma più volte il Tadino, e come appare ancor meglio da
tutto il contesto della sua relazione, i due fisici che, persuasi
della gravità e dell'imminenza del pericolo, stimolavan quel
corpo, il quale aveva poi a stimolare gli altri.
Abbiam già veduto come, al primo annunzio della peste,
andasse freddo nell' operare, anzi nell'informazioni: ecco un
altro fatto di lentezza non men portentosa, se però non era
forzata, per ostacoli frapposti da magistrati superiori. Quella
grida per le bullette, risoluta il 3<J d'ottobre, non fu stesa
che il 23 del mese seguente, non fu pubblicata che il 29.
La peste era già entrata in Milano.
Il Tadino e il Ripamonti vollero notare il nome di chi ce
la portò il primo, e altre circostanze della persona e del caso:
e infatti nell' osservare i princìpi d'una vasta mortalità, in
cui le vittime, non che esser distinte per nome, appena si
potranno indicare all' incirca, per il numero delle migliaia,
nasce una non so qual curiosità di conoscere que' primi e
pochi nomi che poterono essere notati e conservati: questa
specie di distinzione, la precedenza nell' esterminio, par che
faccian trovare in essi, e nelle particolarità, per altro più in-
differenti, qualche cosa di fatale e di memorabile.
L' uno e l' altro storico dicono che fu un soldato italiano
al servizio di Spagna; nel resto non son ben d'accordo, nep-
pur sul nome. Fu, secondo il Tadino, Pietro Antonio Lovato,
di quartiere nel territorio di Lecco; secondo il Ripamonti,
un Pier Paolo Locati, di quartiere a Chiavenna. Differiscono
anche nel giorno della sua entrata in Milano: il primo la
mette al 22" d' ottobre, il secondo ad altrettanti del mese se-
guente: e non si può stare né all'uno né all'altro. Tutt' e
due P epoche sono in contradizione con altre ben più verifi-
cate. Eppure il Ripamonti, scrivendo per ordine del Con-
siglio generale de' decurioni, doveva avere al suo comando
molti mezzi di prender l'informazioni necessarie; e il Tadi-
1 Vita di Federigo Borromeo, compilata da Francesco Rivola. Milano,
166S. pag. 5S2.
394 I PROMESSI SPOSI.
no, per ragione del suo impiego, poteva, meglio d' ogni altro,
essere isformato d'un fatto di questo genere. Del resto, dal
riscontro d'altre date che ci paiono, come abbiam detto, più
esatte, risulta che fu, prima della pubblicazione della grida
sulle bullette; e, se ne mettesse conto, si potrebbe anche pro-
vare o quasi provare, che dovette essere ai primi di quel
mese; ma certo il lettore ce ne dispensa.
Sia come si sia, entrò questo fante sventurato e portator
di sventura , con un gran fagotto di vesti comprate o rubate
a soldati alemanni; andò a fermarsi in una casa di suoi pa-
renti, nel borgo di porta orientale, vicino a' cappuccini; ap-
pena arrivato s'ammalò; fu portato allo spedale; dove un
bubbone che gli si scoprì sotto un' ascella, mise chi lo curava
in sospetto di ciò eh' era infatti ; il quarto giorno morì.
11 tribunale della sanità fece segregare e sequestrare in
casa la di lui famiglia: i suoi vestiti e il letto in cui era stato
allo spedale, furon bruciati. Due serventi che l'avevano
avuto in cura, e un buon frate che l'aveva assistito, caddero
anch'essi ammalati in pochi giorni, tutt' e tre di peste. 11
dubbio che in quel luogo s' era avuto , fin da principio, della
natura del male, e le cautele usate in conseguenza, fecero sì
che il contagio non si propagasse di più.
Ma il soldato ne aveva lasciato di fuori un seminìo che
non tardò a germogliare. Il primo a cui s' attaccò , fu il pa-
drone della casa dove quello aveva alloggiato, un Carlo Co-
lonna sonator di liuto. Allora tutti i pigionali di quella casa
furono, d'ordine della Sanità, condotti al lazzeretto, dove la
più parte s'ammalarono; alcuni morirono, dopo poco tempo,
di manifesto contagio.
Nella città, quello che già c'era stato disseminato da co-
storo, da' loro panni, dai lori mobili trafugati da parenti, da
pigionali, da persone di servizio, alle ricerche e al fuoco pre-
scritto dal tribunale, e di più quello che c'entrava di nuovo,
per l'imperfezion degli editti, per la trascuranza nell' eseguirli,
e per la destrezza nell' eluderli, andò covando e serpendo
lentamente, tutto il restante dell'anno, e ne' primi mesi del
susseguente 1630. Di quando in quando, ora in questo, ora
in quel quartiere a qualcheduno s' attaccava, qualcheduno ne
moriva: e la radezza stessa de' casi allontanava il sospetto
della verità, confermava sempre più il pubblico in quella stu-
pida e micidiale fiducia che non ci fosse peste, né ci fosse
stata neppure un momento. Molti medici ancora, facendo eco
alla voce del popolo (era, anche in questo caso, voce di Dio?),
deridevan gli augùri sinistri, gli avvertimenti minacciosi
de' pochi: e avevan pronti nomi di malattie comuni, per
qualificare ogni caso di peste che fossero chiamati a curare;
capitolo xxxi. 395
con qualunque sintomo, con qualunque segno fosse com-
parso.
Gli avvisi di questi accidenti, quando pur pervenivano alla
Sanità, ci pervenivano tardi per lo più e incerti. Il terrore
della contumacia e del lazzeretto aguzzava tutti gl'ingegni:
non si denuiiziavaii gli ammalati, si corrompevano i becchini
e i loro soprintendenti; da subalterni del tribunale stesso, de-
putati da esso a visitare i cadaveri, s'ebbero, con danari, falsi
attestati.
Siccome però a ogni scoperta che gli riuscisse a fare, il tri-
bunale ordinava di bruciar robe, metteva in sequestro case,
mandava famiglie al lazzeretto, così è facile argomentare
quanta dovesse esser contro di esso l' ira e la mormorazione
del pubblico, ideila Nobilita, delli Mercanti et della plebe.)
dice il Tadino; persuasi, coni' eran tutti, che fossero vessa-
zioni senza motivo e senza costrutto. L' odio principale ca-
deva sui due medici: il suddetto Tadino, e Senatore Settala,
figlio del prototìsico; a tal segno, che ormai non potevano
attraversar le piazze senza essere assaliti da parolacce, quan-
do non eran sassi. E certo fu singolare, e merita che ne sia
fatta memoria, la condizione in cui, per qualche mese, si
trovaron quegli uomini, di veder venire avanti un orribile fla-
gello, d'affaticarsi in ogni maniera a stornarlo, d'incontrare
ostacoli dove cercavano aiuti, volontà, e dr essere insieme ber-
saglio delle grida, avere il nome di nemici della patria: prò
patriae hostibus, dice il Ripamonti.
Di quell' odio ne toccava una parte anche agli altri me-
dici che, convinti come loro, della realtà del contagio, sugge-
rivano precauzioni , cercavano di comunicare a tutti la loro
dolorosa certezza. I più discreti li tacciavano di credulità e
d'ostinazione: per tutti gli altri, era manifesta impostura, ca-
bala ordita per far bottega sul pubblico spavento.
Il protofisico Lodovico Settala, allora poco men che ottua-
genario, stato professore di medicina all'università di Pavia,
poi di filosofia morale a Milano, autore di molte opere ripu-
tatissime allora, chiaro per inviti a cattedre d'altre univer-
sità, Ingolstadt. Pisa, Bologna, Padova, e per il rifiuto di
tutti questi inviti, era certamente uno degli uomini più auto-
revoli del suo tempo. Alla riputazione della scienza s' aggiun-
geva quella della vita, e ali ammirazione la benevolenza, per
la sua gran carità nel curare e nel beneficare i poveri.
E, una cosa che in noi turba e contrista il sentimento di stima
ispirato da questi meriti, ma che allora doveva renderlo più
generale e più forte, il pover' uomo partecipava de' pregiudizi
più comuni e più funesti de' suoi contemporanei: era più
avanti di loro, ma senza allontanarsi dalla schiera, che ò
quello che attira i guai, e fa molte volte perdere l'autorità
39G I PROMESSI SPOSI.
acquistata in altre maniere. Eppure quella grandissima che
godeva, non solo non bastò a vincere, in questo caso, T opinion
di quello che i poeti chiamavan volgo profano, e i capoco-
mici, rispettabile pubblico; ma non potè salvarlo dall'animo-
sità e dagl'insulti di quella parte di esso, che corre più fa-
cilmente da' giudizi alle dimostrazioni e ai fatti.
Un giorno che andava in bussola a visitare i suoi amma-
lati, principiò a radunarglisi intorno gente, gridando esser lui
il capo di coloro che volevano per forza che ci fosse la peste;
lui che metteva in ispavento la città, con quel suo cipiglio,
con quella sua barbacela: tutto per dar da fare ai medici.
La folla e il furore andavan crescendo: i portantini, vedendo
la mala parata, ricoverarono il padrone in una casa d" amici,
che per sorte era vicina. Questo gli toccò per aver veduto
chiaro, detto ciò che era, e voluto salvar dalla peste molte
migliaia di persone: quando con un suo deplorabile consulto,
cooperò a far torturare , tanagliare e bruciare , come strega,
una povera infelice sventurata, perchè il suo padrone pativa
dolori strani di stomaco, e un altro padrone di prima era
stato fortemente innamorato di lei ]) , allora ne avrà avuta
presso il pubblico nuova lode di sapiente e, ciò che è intol-
lerabile a pensare, nuovo titol di benemerito.
Ma sul finire del mese di marzo, cominciarono, prima nel
borgo di porta Orientale, poi in ogni quartiere della città, a
farsi frequenti le malattie, le morti, con accidenti strani di
spasimi, di palpitazioni, di letargo, di delirio, con quelle in-
segne funeste di lividi e di bubboni; morti per lo più celeri,
violente, non di rado repentine, senza alcun indizio antece-
dente di malattia. I medici opposti alla opinion del contagio,
non volendo ora confessare ciò che avevan deriso, e dovendo
pur dare un nome generico alla nuova malattia, divenuta
troppo comune e troppo palese per andarne senza, trovarono
quello di febbri maligne, di febbri pestilenti; miserabile tran-
sazione, anzi trufferia di parole, e che pur faceva gran danno;
perchè, figurando di riconoscere la verità, riusciva ancora a
non lasciar credere ciò che più importava di credere, di ve-
dere, che il male s'attaccava per mezzo del contatto. I ma-
gistrati, come chi si risente da un profondo sonno, principia-
rono a dare un po' più orecchio agli avvisi, alle proposte
della Sanità, a far eseguire i suoi editti, i sequestri ordinati,
le quarantene prescritte da quel tribunale. Chiedeva esso di
continuo anche danari per supplire alle spese giornaliere, cre-
scenti, del lazzeretto, di tanti altri servizi: e li chiedeva ai
1 S.oria di Milano del Come Pietro Verri; Milano 1525, Tom. 4,
pt>£. 155.
CAPITOLO XXXI. 397
decurioni, intanto che fosse deciso (che non fu, credo, mai,
se non col fatto), se tali spese toccassero alla città, o all'era-
rio regio. Ai decurioni faceva pure istanza il gran cancelliere,
per ordine anche del governatore, ch'era andato di nuovo a
metter l'assedio a quel povero Casale; faceva istanza il se-
nato, perchè pensassero alla maniera di vettovagliar la città,
prima che dilatandovisi per isventura il contagio, le venisse
negata pratica dagli altri paesi; perchè trovassero il mezzo
di mantenere una gran parte della popolazione, a cui eran
mancati lavori. 1 decurioni cercavano di far danari per via
d'imprestiti, d'imposte; e di quel che ne raccoglievano, ne
davano un po' alla Sanità, un po' a' poveri; un po' di grano
compravano: supplivano a una parte del bisogno. E le grandi
angosce non erano ancor venute.
Nel lazzeretto, dove la popolazione, quantunque decimata
ogni giorno, andava ogni giorno crescendo, era un" altra ardua
impresa quella d' assicurare il servizio e la subordinazione,
di conservar le separazioni prescritte , di mantenervi in som-
ma o, per dir meglio, di stabilirvi il governo ordinato dal
tribunale della sanità: che, fin da' primi momenti, c'era stata
ogni cosa in confusione, per la sfrenatezza di molti rinchiusi,
per la trascuratezza e per la connivenza de' serventi. Il tri-
bunale e i decurioni, non sapendo dove battere il capo, pen-
saron di rivolgersi ai cappuccini, e supplicarono il padre
commissario della provincia, il quale faceva le veci del pro-
vinciale, morto poco prima, acciò volesse dar loro de' sog-
getti abili a governare quel regno desolato. Il commissario
propose loro, per principale, un padre Felice Casati, uomo
d' età matura, il quale godeva una gran fama di carità , d' at-
tività, di mansuetudine insieme e di fortezza d' animo, a quel
che il seguito fece vedere, ben meritata; e per compagno e
come ministro di lui, un padre Michele Pozzobonelli ancor
giovine, ma grave e severo, di pensieri come d'aspetto. Fu-
rono accettati con gran piacere ; e il 30 di marzo entrarono
nel lazzeretto. Il presidente della Sanità li condusse in giro,
come per prenderne il possesso; e, convocati i serventi e
gl'impiegati d'ogni grado, dichiarò, davanti a loro, presidente
di quel luogo il padre Felice, con primaria e piena autorità.
Di mano in mano poi che la miserabile radunanza andò cre-
scendo, v'accorsero altri cappuccini; e furono in quel luogo
soprintendenti, confessori, amministratori, infermieri, cucinieri,
guardarobi, lavandai, tutto ciò che occorresse. Il padre Fe-
lice, sempre affaticato e sempre sollecito, girava di giorno,
girava di notte, per i portici, per le stanze, per quel vasto
spazio interno, talvolta portando un' asta, talvolta non armato
che di cilizio: animava e regolava ogni cosa ; sedava i tumulti,
faceva ragione alle querele, minacciava, puniva, riprendeva,
398 I PROMESSI SPOSI.
confortava, asciugava e spargeva lacrime. Prese, sul prin-
cipio, la peste; ne guarì, e si rimise, con nuova lena, alle
cure di prima. I suoi confratelli ci lasciarono la più parte
la vita, e tutti con allegrezza.
Certo, una tale dittatura era uno strano ripiego: strano
come la calamità, come i tempi; e quando non ne sapessimo
altro, basterebbe per argomento, anzi per saggio d'una so-
cietà molto rozza e mal regolata, il veder che quelli a cui
toccava un così importante governo, non sapesse più farne
altro che cederlo, né trovassero a chi cederlo, che uomini,
per istituto, il più alieni da ciò. Ma è insieme un saggio
non ignobile della forza e dell' abilità che la carità può dare
in ogni tempo, e in qualunque ordin di cose, il veder
quest'uomini sostenere un tal carico così bravamente. E fu
bello lo stesso averlo accettato, senz' altra ragione che il non
esserci chi lo volesse, senz'altro fine che di servire, senz' al-
tra speranza in questo mondo, che d' una morte molto più in-
vidiabile che invidiata: fu bello lo stesso esser loro offerto,
solo perchè era difficile e pericoloso, e si supponeva che il
vigore e il sangue freddo, così necessario e raro in que' mo-
menti, essi lo dovevano avere. E perciò l'opera e il cuore
di que' frati meritano che se ne faccia memoria, con ammira-
zione, con tenerezza, con quella specie di gratitudine che è
dovuta, come in solido, per i gran servizi resi da uomini, e
più dovuta a quelli che non se la propongono per ricompensa.
«Che se questi Padri iui non si ritrouauano,» dice il Tadino,
«al sicuro tutta la Città annichilata si trouaua: puoichè fu
«cosa miracolosa l'hauer questi Padri fatto in così puoco
«spatio di tempo tante cose per benefitio publico, che non
«hauendo hauuto agiutto, o almeno puoco dalla Città, con
«la sua industria e prudenza haueuano mantenuto nel La-
«zeretto tante migliaia de' poueri.» Le persone ricoverate
in quel luogo, durante i sette mesi che il padre Felice n' ebbe
il governo, furono circa cinquantamila, secondo il Ripamonti;
il quale dice con ragione , che d' un uomo tale avrebbe do-
vuto ugualmente parlare, se in vece di descriver le miserie
d" una città, avesse dovuto raccontar le cose che posson farle
onore.
Anche nel pubblico, quella caparbietà di negar la peste
andava naturalmente cedendo e perdendosi, di mano in mano
che il morbo si diffondeva, e si diffondeva per via del con-
tatto e della pratica; e tanto più quando, dopo esser qualche
tempo rimasto solamente tra' poveri, cominciò a toccar per-
sone più conosciute. E tra queste, come allora fu il più
notato, così merita anche adesso un'espressa menzione il
protofisico Settala. Avranno almen confessato che il povero
vecchio aveva ragione? Chi lo sa? Caddero infermi di peste,
CAPITOLO XXXI. 399
lui, la moglie, due figliuoli, sette persone di servizio. Lui e
uno de' figliuoli n'uscirono salvi: il resto morì. «Questi
«casi,» dice il Tadino, «occorsi nella Città in case Nobili,
«disposero la Nobiltà, et la plebe a pensare, et gli in-
« creduli Medici, et la plebe ignorante et temeraria comin-
«ciò stringere le labra, chiudere li denti, et inarcare le
«ciglia.»
.Ma 1' uscite, i ripieghi, le vendette, per dir così, della ca-
parbietà convinta, sone alle volte tali da far desiderare che
fosse rimasta ferma e invitta , fino all' ultimo , contro la ra-
gione e l'evidenza: e questa fu bene una di quelle volte.
Coloro i quali avevano impugnato così risolutamente, e così
a lungo, che ci fosse vicino a loro, tra loro, un germe di
male, che poteva, per mezzi naturali, propagarsi e fare una
strage; non potendo ormai negare il propagamento di esso,
e non volendo attribuirlo a que' mezzi (che sarebbe stato con-
fessare a un tempo un grand' inganno e una gran colpa),
erano tanto più disposti a trovarci qualche altra causa, a
menar buona qualunque ne venisse messa in campo. Per
disgrazia, ce n' era una in pronto nelle idee e nelle tradizioni
comuni allora, non qui soltanto, ma in ogni parte d'Europa:
arti venefiche, operazioni diaboliche, gente congiurata a spar-
ger la peste, per mezzo di veleni contagiosi, di malìe. Già
cose tali o somiglianti, erano state supposte e credute in molte
altre pestilenze, e qui segnatamente, in quella di mezzo se-
colo innanzi. S'aggiunga che, fin dall'anno antecedente, era
venuto un dispaccio, sottoscritto dal re Filippo IV, al gover-
natore, per avvertirlo ch'erano scappati da Madrid quattro
Francesi, ricercati come sospetti di spargere unguenti velenosi,
pestiferi: stesse all'erta, se mai coloro fossero capitati a Mi-
lano. Il governatore aveva comunicato il dispaccio al senato
e al tribunale della sanità; né, per allora, pare che ci si ba-
dasse più che tanto. Però, scoppiata e riconosciuta la peste.
il tornar nelle menti quell' avviso potè servir di conferma al
sospetto indeterminato d'una frode scellerata; potè anche es-
sere la prima occasione di farlo nascere.
Ma due fatti, V uno di cieca e indisciplinata paura, l'altro
di non so quale attività, furon quelli che convertirono quel
sospetto indeterminato ci' un attentato possibile, in sospetto, e
per molti in certezza, d5 un attentato positivo, e d' una trama
reale. Alcuni ai quali era parso di vedere, la sera del 17 di
maggio, persone in duomo andare ungendo un assito che ser-
viva a dividere gli spazi assegnati a' due sessi, fecero, nella
notte, portar fuori della chiesa l'assito e una quantità di
panche rinchiuse in quello; quantunque il presidente della
Sanità, accorso a far la visita, con quattro persone dell' ufizio,
avendo visitato l'assito, le panche, le pile dell'acqua bene-
400 I PBOMESSI SPOSI.
detta, senza trovar nulla che potesse confermare l'ignorante
sospetto d'un attentato venefico, avesse, per compiacere all' im-
maginazioni altrui, e più tosto per abbondare in cautela,
che per bisogno, avesse, dico, deciso che bastava dar una la-
vata all' assito. Quel volume di roba accatastata produsse una
grand' impressione di spavento nella moltitudine, per cui un
oggetto diventa così facilmente un argomento. Si disse e si
credette generalmente che fossero state unte in duomo tutte
le panche, le pareti, e fin le corde delle campane. Né si
disse soltanto allora: tutte le memorie de' contemporanei che
parlano di quel fatto (alcune scritte molt' anni dopo), ne par-
lano con ugual sicurezza: e la storia sincera di esso, bisogne-
rebbe indovinarla, se non si trovasse in una lettera del tribu-
nale della sanità al governatore, che si conserva nell' archivio
detto di san Fedele: dalla quale l'abbiamo cavata, e della
quale sono le parole che abbiam messe in corsivo.
La mattina seguente, un nuovo e più strano, più signifi-
cante spettacolo colpì gli occhi e le menti de' cittadini. In
ogni parte della città, si videro le porte delle case e le mu-
raglie, per lunghissimi tratti , intrise di non so che sudiceria,
giallognola, biancastra, sparsavi come con delle spugne. 0
sia stato un gusto sciocco di far nascere uno spavento più ru-
moroso e più generale? o sia stato un più reo disegno d' ac-
crescer la pubblica confusione, o non saprei che altro; la cosa
è attestata di maniera, che ci parrebbe men ragionevole 1' at-
tribuirla a un sogno di molti che al fatto d'alcuni: fatto, del
resto, che non sarebbe stato, né il primo né l'ultimo di tal
genere. Il Ripamonti, che spesso, su questo particolare
dell'unzioni, deride, e più spesso deplora la credulità popo-
lare, qui afferma d'aver veduto quell' impiastramento, e lo
descrive1). Xclla lettera sopraccitata, i signori della Sanità
raccontan la cosa ne' medesimi termini; parlan di visite,
d'esperimenti fatti con quella materia sopra de' cani, e senza
cattivo effetto; aggiungono esser loro opinione, che cotale
temerità sia più tosto proceduta da insolenza, che da fine
scellerato: pensiero che indica in loro, fino a quel tempo, pa-
catezza d' animo bastante per non vedere ciò che non ci fosse
stato. L'altre memorie contemporanee, raccontando la cosa,
accennano anche essere stata sulle prime, opinion di molti
che fosse fatta per burla, per bizzarria; nessuna parla di
nessuno che la negasse; n' avrebbero parlato certamente, se
1) .... et nos quoque ivirnus visere. Maculae erant sparsim inaequali-
terque manantes, veluti si quis haustam spongia saniem adspersisset, impres-
sisselve paridi; et ianuae passim, ostiaque aedium eadem adspergine conta-
minata cerneban'.ui. Pag. 75.
CAPITOLO XXXI. 401
ce ne fosse stati; se non altro, per chiamarli stravaganti. Ho
creduto che non fosse fuor di proposito il riferire e il mettere
insieme questi particolari, in parte poco noti, in parte affatto
ignorati, d'un celebre delirio; perchè, negli errori e massi-
me negli errori di molti, ciò che è più interessante e più
utile a osservarsi, mi pare che sia appunto la strada che
hanno fatta, V apparenze, i modi con cui hanno potuto entrar
nelle menti, e dominarle.
La città già agitata ne fu sottosopra : i padroni delle case,
con paglia accesa, abbruciacchiavano gli spazi unti; i passeg-
geri si fermavano, guardavano, inorridivano, fremevano. I
forestieri, sospetti per questo solo, e che allora si conosce-
van facilmente al vestiario, venivano arrestati nelle strade
dal popolo, e condotti alla giustizia. Si fecero interrogatóri,
esami d'arrestati, d' arrestatori, di testimoni, non si trovò
reo nessuno: le menti erano ancor capaci di dubitare, d'esa-
minare, d' intendere. Il tribunale della sanità pubblicò una
grida, con la quale prometteva premio e impunità a chi met-
tesse in chiaro 1' autore o gli autori del fatto. Ad ogni mo-
do non parendoci conveniente, dicono que' signori nella ci-
tata lettera, che porta la data del 21 di maggio, ma che fu
evidentemente scritta il 19, giorno segnato nella grida stam-
pata, che questo delitto in qualsiuoglia modo resti impunito,
massime in tempo tanto pericoloso e sospettoso, per conso-
latione, e quiete di questo Popolo, e per cauare indicio del
fatto, habbiamo oggi publicata grida, etc. Nella grida stes-
sa però, nessun cenno, almen chiaro, di quella ragionevole e
acquietante congettura, che partecipavano al governatore: si-
lenzio che accusa a un tempo una preoccupazione furiosa nel
popolo, e in loro una condiscendenza, tanto più biasimevole,
quanto più poteva essere perniciosa.
Mentre il tribunale cercava, molti nel pubblico, come ac-
cade, avevan già trovato. Coloro che credevano esser quella
un' unzione velenosa, chi voleva che la fosse una vendetta
di don Gonzalo Fernandez de Cordova, per gli insulti rice-
vuti nella sua partenza, chi un ritrovato del cardinal di Ri-
chelieu, per spopolar Milano, e impadronirsene senza fatica;
altri e non si sa per quali ragioni, ne volevano autore il
conte di Collalto, Wallenstein, questo, quell'altro gentiluomo
milanese. Non mancavan, come abbiam detto, di quelli che
non vedevano in quel fatto altro che uno sciocco scherzo , e
1' attribuivano a scolari, a signori , a ufiziali che s' annoias-
sero all'assedio di Casale. Il non veder poi, come si sarà
temuto, che ne seguisse addirittura un infettamento , un ecci-
dio universale, fu probabilmente cagione che quel primo spa-
vento s' andasse per allora acauietando, e la cosa fosse o pa-
resse messa in oblìo.
Manzoni. 2G
402 I PROMESSI SPOSI.
C era del resto un certo numero di persone non ancora
persuase che questa peste ci fosse. E perchè, tanto nel laz-
zeretto come per la città, alcuni pur ne guarivano, «si di-
«ceua,» (gli ultimi argomenti d' una opinione battuta dall' e-
videnza son sempre curiosi a sapersi) «si diceua dalla plebe,
«et ancora da molti medici partiali, non essera vera peste,
«perchè tutti sarebbero morti» 1). Per levare ogni dubbio,
trovò il tribunale della sanità un espediente proporzionato al
bisogno, un modo di parlare agli occhi, quale i tempi pote-
vano richiederlo o suggerirlo. In una delle feste della Pente-
coste, usavano i cittadini di concorrere al cimitero di san
Gregorio, fuori di porta Orientale, a pregar per i morti del-
l'altro contagio, ch'eran sepolti là; e, prendendo dalla divo-
zione opportunità di divertimento e di spettacolo, ci an-
davano, ognuno più in gala che potesse. Era in quel giorno
morta di peste, tra gli altri un' intera famiglia. Neil' ora del
maggior concorso, in mezzo alle carrozze, alla gente a caval-
lo, e a piedi, i cadaveri di quella famiglia furono, d' ordine
della Sanità, condotti al cimitero suddetto, sur un carro,
ignudi, affinchè la folla potesse vedere in essi il marchio ma-
nifesto della pestilenza. Un grido di ribrezzo, di terrore,
s'alzava per tutto dove passava il carro; un lungo mormorio
regnava dove era passato; un altro mormorio lo precorreva.
La peste fu più creduta: ma del resto andava acquistandosi
fede da sé, ogni giorno più; e quella riunione medesima non
dovè servir poco a propagarla.
In principio dunque, non peste, assolutamente no, per
nessun conto: proibito anche di proferire il vocabolo. Poi,
febbri pestilenziali: l'idea s'ammette per isbieco in un ag-
gettivo. Poi, non vera peste; vale a dire peste sì, ma in un
certo senso; non peste proprio, ma una cosa alla quale non
si sa trovare un altro nome. Finalmente peste senza dubbio,
e senza contrasto: ma già ci s'è attaccata un' altra idea, l'i-
dea del venefizio e del malefizio, la quale altera e confonde
l'idea espressa dalla parola che non si può più mandare
indietro.
Non è, credo, necessario d' esser molto versato nella sto-
ria dell' idee e delle parole, per vedere che molte hanno fat-
to un simil corso. Per grazia del cielo , che non sono molte
quelle d'una tal sorte, e d'una tale importanza, e che con-
quistino la loro evidenza, a un tal prezzo, e alle quali si pos-
sano attaccare accessòri d' un tal genere. Si potrebbe però,
tanto nelle cose piccole, come nelle grandi, evitare, in gran
parte, quel corso così lungo e così storto, prendendo il me-
1) Tadino, pag. 93.
CAPITOLO XXXII. 403
eodo proposto da tanto tempo d' osservare, ascoltare, parago-
nare, pensare, prima di parlare.
Ma parlare, questa cosa così sola, è talmente più facile
di tutte quell'altre insieme, che anche noi, dico noi uomini
in generale, siamo un po' da compatire.
CAPITOLO XXXII.
Divenendo sempre più difficile il supplire all' esigenze do-
lorose delia circostanza, era stato, il 4 di maggio, deciso nel
consiglio de' decurioni, di ricorrer per aiuto al governatore.
E, il 22, furono spediti al campo due di quel corpo, che gli
rappresentassero i guai e le strettezze della città: le spese
enormi, le casse vote, le rendite degli anni avvenire impe-
gnate, le imposte correnti non pagate, per la miseria gene-
rale, prodotta da tante cause, e dal guasto militare in ispecie;
gli mettessero in considerazione che, per leggi e consuetudini
non interrotte, e per decreto speciale di Carlo V, le spese
della peste dovean essere a carico del fisco; in quella del
1576, avere il governatore, marchese d'Ayamonte, non solo
sospese tutte le imposizioni camerali, ma data alla città una
sovvenzione di quarantamila scudi della stessa Camera; chie-
dessero finalmente quattro cose: che P imposizioni fossero so-
spese come allora s'era fatto; la Camera desse danari: il
governatore informasse il re, delle miserie della città e della
provincia; dispensasse da nuovi alloggiamenti militari il paese
già rovinato dai passati. Il governatore scrisse in risposta
condoglianze, e nuove esortazioni: dispiacergli di non poter
trovarsi nella città, per impiegare ogni sua cura in sollievo
di quella; ma sperare che a tutto avrebbe supplito lo zelo
di que' signori: questo essere il tempo di spendere senza ri-
sparmio, d'ingegnarsi in ogni maniera. In quanto alle richie-
ste espresse, proueeré en eì mejor modo que eì tiempo y ne-
cesidades presentes permitieren. E sotto, un girigogolo, che
voleva dire Ambrogio Spinola, chiaro come le sue promesse.
Il gran cancelliere Ferrer gli scrisse che quella risposta era
stata letta dai decurioni, con gran desconsuelo; ci furono al-
tre andate e venute, domande e risposte: ma non trovo che
se ne venisse a più strette conclusioni. Qualche tempo dopo,
nel colmo della peste, il governatore trasferì, con lettere pa-
tenti, la sua autorità a Ferrer medesimo, avendo lui, come
scrisse, da pensare alla guerra. La quale, sia detto qui in-
cidentemente, dopo aver portato via, senza parlar de' soldati,
un milion di persone, a dir poco, per mezzo del contagio,
26*
404 I PROMESSI SPOSI.
tra la Lombardia, il Veneziano, il Piemonte, la Toscana, e
una parte della Romagna; dopo aver desolati, come s'è visto
di sopra, i luoghi per cui passò e figuratevi quelli dove fu
fatta; dopo la presa e il sacco atroce di Mantova; finì con ri-
conoscerne tutti il nuovo duca, per escludere il quale la guer-
ra era stata intrapresa. Bisogna però dire che fu obbligato
a cedere al duca di Savoia un pezzo del Monferrato, della
rendita di quindicimila scudi, e a Ferrante duca di Guastalla
altre terre, della rendita di seimila; e che ci fu un altro
trattato a parte e segretissimo, col quale il duca di Savoia
suddetto cede Pinerolo alla Francia, trattato eseguito qualche
tempo dopo, sott' altri pretesti, e a furia di furberie.
Insieme con quella risoluzione, i decurioni ne avevan pre-
sa un'altra: di chiedere al cardinale arcivescovo, che si fa-
cesse una processione solenne, portando per la città il corpo
di san Carlo.
Il buon prelato rifiutò, per molte ragioni. Gli dispiaceva
quella fiducia in un mezzo arbitrario, e temeva che, se l'ef-
fetto non avesse corrisposto, come pure temeva, la fiducia si
cambiasse in iscandolo :). Temeva di più, che se pur e' era
di questi untori, la processione fosse un' occasion troppo co-
moda al delitto: se non ce »' era, il radunarsi tanta gente
non poteva che spander sempre più il contagio: pericolo ben
più reale2). Che il sospetto sopito dell'unzioni s'era intanto
ridestato, più generale e più furioso di prima.
S' era visto di nuovo, o questa volta era parso di vedere,
unte muraglie, porte d' edifizi pubblici, usci di case, martelli.
Le nuove di tali scoperte volavan di bocca in bocca; e, come
accade più che mai, quando gli animi son preoccupati, il
sentire faceva l'effetto del vedere. Gli animi, sempre più
amareggiati dalla presenza de' mali, irritati dall' insistenza
del pericolo, abbracciavano più volentieri quella credenza : che
la collera aspira a punire: e, come osservò acutamente, a
questo stesso proposito, un uomo d'ingegno3), le piace più
d' attribuire i mali a una perversità umana, contro cui possa
far le sue vendette, che di riconoscerli da una causa, con la
1) Memoria delle cose notabili successe in Milano intorno al mal contag-
gioso l'anno 1630, ec. raccolte da D. Pio la Croce. Milano, 1730. É tratta
evidentemente da scritto inedito d'autore vissuto al tempo della pestilenza;
se pure non è una semplice edizione, piuttosto che una nuova compilazione.
2) Si unguenta scelerata et unctores in urbe essent .... Si non essent
.... Certiusque adeo malum. Ripamonti, pag. 155.
3) P. Verri. Osservazioni sulla tortura: Scrittori italiani d'economia poli-
tica ; parte moderna, ioni. 17, pag. 203.
CAriTOLO XXXII.
405
quale non ci sia altro da fare che rassegnarsi. Un veleno
squisito, istantaneo, penetrantissimo, eran parole più che ba-
stanti a spiegar la violenza, e tutti gli accidenti più oscuri
e disordinati del morbo. Si diceva composto, quel veleno, di
rospi, di serpenti, di bava e di materia d' appestati, di peg-
gio, di tutto ciò che selvagge e stravolte fantasie sapessero
trovar di sozzo e d' atroce. Vi s' aggiunsero poi le malìe,
per le quali ogni effetto diveniva possibile, ogni obiezione per-
deva la forza, si scioglieva ogni difficoltà. Se gli effetti non
s' eran veduti subito dopo quella prima unzione, se ne capiva
il perchè; era stato un tentativo sbagliato di venefici ancor
novizi, ora 1' arte era perfezionata, e le volontà più accanite
nell' infernale proposito. Ormai chi avesse sostenuto ancora
eh' era stata una burla, chi avesse negata 1' esistenza d' una
trama, passava per cieco, per ostinato; se pur non cadeva
in sospetto d' uomo interessato a stornar dal vero 1' attenzion
del pubblico, di complice, d'untore: il vocabolo fu ben pre-
sto comune, solenne, tremendo. Con una tal persuasione che
ci fossero untori, se ne doveva scoprire, quasi infallibilmente :
tutti gli occhi stavano all'erta; ogni atto poteva dar ge-
losia. E la gelosia diveniva facilmente certezza, la certezza
furore.
Due fatti ne adduce in prova il Ripamonti, avvertendo
d" averli scelti, non come i più atroci tra quelli che seguivano
giornalmente, ma perchè dell' uno e dell' altro era stato pur
troppo testimonio.
Nella chiesa di sant' Antonio, un giorno di non so quale
solennità, un vecchio più che ottuagenario, dopo aver pregato
alquanto inginocchioni, volle mettersi a sedere; e prima, con
la cappa, spolverò la panca. «Quel vecchio unge le panche!»
gridarono a una voce alcune donne che vider 1' atto. La gente
che si trovava in chiesa (in chiesa!), fu addosso al vecchio;
lo prendon per i capelli, bianchi com' erano; lo carican di
pugni e di calci; parte lo tirano, parte lo spingon fuori; se
non lo finirono, fu per istrascinarlo, così semivivo, alla pri-
gione, ai giudici, alle torture. «Io lo vidi mentre lo stra-
«scinavan così,» dice il Ripamonti: «e non ne seppi più al-
otro : credo bene che non abbia potuto sopravvivere più di
«qualche momento.»
L' altro caso (e seguì il giorno dopo) fu ugualmente strano,
ma non ugualmente funesto. Tre giovani compagni francesi,
un letterato, un pittore, un meccanico, venuti per veder 1' I-
talia, per istudiarvi le antichità, e per cercarvi occasion di
guadagno, s' erano accostati a non so qual parte esterna del
duomo, e stavan lì guardando attentamente. Uno che passa-
va, li vide e si ferma; gli accenna a un altro, ad altri che
arrivano : si formò un crocchio, a guardare, a tener d' occhio
406 I PROMESSI SPOSI.
coloro, che il vestiario, la capigliatura, le bisacce, accusa-
vano di stranieri e, quel eh' era peggio, di francesi. Come per
accertarsi eh' era marmo, stesero essi la mano a toccare. Ba-
stò. Furono circondati, afferrati, malmenati, spinti, a furia di
percosse, alle carceri. Per buona sorte, il palazzo di giustizia
è poco lontano dal duomo; e, per una sorte ancor più felice,
furon trovati innocenti, e rilasciati.
Né tali cose accadevan soltanto in città: la frenesia s'era
propagata come il contagio. li viandante che fosse incontrato
da de' contadini , fuor della strada maestra, o che in quella
si dondolasse a guardar in qua e in là, o si buttasse giù per
riposarsi; lo sconosciuto a cui si trovasse qualcosa di strano,
di sospetto nel volto, nel vestito, erano untori: al primo av-
viso di chi si fosse, al grido d' un ragazzo, si sonava a mar-
tello, s'accorreva; gl'infelici eran tempestati di pietre, o,
presi, venivan menati, a furia di popolo, in prigione. Così il
Ripamonti medesimo. E la prigione, fino a un certo tempo,
era un porto di salvamento.
Ma i decurioni, non disanimati dal rifiuto del savio pre-
lato, andavan replicando le loro istanze, che il voto pubblico
secondava rumorosamente. Federigo resistette ancor qualche
tempo, cercò di convincerli; questo è quello che potè il senno
di un uomo, contro la forza dei tempi, e V insistenza di mol-
ti. In quello stato d' opinioni, con 1* idea del pericolo, con-
fusa coni' era allora, contrastata, ben lontana dall' evidenza che
ci si trova ora, non è difficile a capire come le sue buone ra-
gioni potessero, anche neUa sua mente, esser soggiogate dalle
cattive degli altri. Se poi, nel ceder che fece, avesse o non
avesse parte un po' di debolezza della volontà, sono misteri
del cuore umano. Certo, se in alcun caso par che si possa
dare in tutto 1' errore all' intelletto, e scusarne la coscienza,
è quando si tratti di que' pochi (e questo fu ben del nu-
mero), nella vita intera de' quali apparisca un ubbidir riso-
luto alla coscienza, senza riguardo a interessi temporali di
nessun genere. Al replicar dell' istanze, cedette egli dunque,
acconsentì che si facesse la processione, acconsentì di più
al desiderio, alla premura generale, che la cassa dov' eran
rinchiuse le reliquie di san Carlo, rimanesse dopo esposta,
per otto giorni, sull" aitar maggiore del duomo.
Non trovo che il tribunale della sanità, né altri, facessero
rimostranza né opposizione di sorte alcuna. Soltanto, il tri-
bunale suddetto ordinò alcune precauzioni che, senza riparare
al pericolo, ne indicavano il timore. Prescrisse più strette
regole per V entrata delle persone in città; e per assicurarne
l'esecuzione, fece star chiuse le porte: come pure a fine
d' escludere, per quanto fosse possibile, dalla radunanza gli
infetti e i sospetti, fece inchiodar gli usci delle case seque-
CAPITOLO XXXII.
407
strate: le quali, per quanto può valere, in un fatto di que-
sta sorte, la semplice affermazione d'uno scrittore, e d'uno
scrittore di quel tempo, eran circa cinquecento 1).
Tre giorni furono spesi in preparativi : 1' undici di giugno,
ch'era il giorno stabilito, la processione uscì sull'alba dal
duomo. Andava dinanzi una lunga schiera di popolo, donne
la più parte; coperte il volto d'ampi zendali, molte scalze,
e vestite di sacco. Venivan poi 1' arti, precedute da' loro gon-
faloni, le confraternità, in abiti vari di forme e di colori;
poi le fraterie, poi il clero secolare, ognuno con l'insegne
del grado, e con una candela o un torcetto in mano.^ Nel
mezzo, tra il chiarore di più fitti lumi, tra un rumor più alto
di canti, sotto un ricco baldacchino, s' avanzava la cassa,
portata da quattro canonici, parati in gran pompa, che si
cambiavano ogni tanto. Dai cristalli traspariva il venerato
cadavere, vestito di splendidi abiti pontificali, e mitrato il
teschio; e nelle forme mutilate e scomposte, si poteva ancora
distinguere qualche vestigio dell'antico sembiante, quale lo
rappresentano l' immagini, quali alcuni si ricordavan d' averlo
visto e onorato in vita. Dietro la spoglia del morto pastore
(dico il Ripamonti, da cui principalmente prendiamo questa
descrizione), e vicino a lui, come di meriti e di _ sangue e di
dignità, così ora anche di persona, veniva l'arcivescovo Fe-
derigo. Seguiva l'altra parte del clero; poi i magistrati, con
gli abiti di maggior cerimonia; poi i nobili, quali vestiti sfar-
zosamente, come a dimostrazione solenne di culto, quali, in
segno di penitenza, abbrunati, o scalzi e incappati, con la
buffa sul viso; tutti con torcetti. Finalmente una coda d'al-
tro popolo misto.
Tutta la strada era parata a festa; i ricchi avevan cavate
fuori le suppellettili più preziose; le facciate delle case po-
vere erano state ornate da de' vicini benestanti, o a pubbli-
che spese ; dove in luogo di parati, dove sopra i parati, _ e' e-
ran de' rami fronzuti; da ogni parte pendevano quadri, iscri-
zioni, imprese; su' davanzali delle finestre stavano in mostra
vasi, anticaglie, rarità diverse; per tutto lumi. A molte di
quelle finestre, infermi sequestrati guardavan la processione,
e 1' accompagnavano con le loro preci. L' altre strade, mute,
deserte; se non che alcuni, pur dalle finestre, tendevan 1' o-
recchio al ronzìo vagabondo; altri, e tra questi si videro fin
delle monache, eran saliti sui tetti, se di lì potessero veder
da lontano quella cassa, il corteggio, qualche cosa.
La processione passò per tutti i quartieri della città: a
l) Alleggiamene dello Stato di Milano etc. di C. G. Cavatio delia Scana-
glia. Milano 1653. pag. 432.
408 I PROMESSI SPOSI.
ognuno di que' crocicchi, o piazzette, dove le strade princi-
pali sboccan ne' borghi, e che allora serbavan l' antico nome
di carrobi, ora rimasto a uno solo, si faceva una fermata,
posando la cassa accanto alla croce che in ognuno era stata
eretta da san Carlo, nella peste antecedente, e delle quali al-
cune sono tuttavia in piedi, di maniera che si tornò in duomo
un pezzo dopo il mezzogiorno.
Ed ecco che, il giorno seguente, mentre appunto regnava
quella presontuosa fiducia, anzi in molti una fanatica sicu-
rezza che la processione dovesse aver troncata la peste, le
morti crebbero, in ogni classe, in ogni parte della città, a
un tal eccesso, con un salto così subitaneo, che non ci fu
chi non ne vedesse la causa o V occasione, nella processione
medesima. Ma, oh forze mirabili e dolorose d' un pregiudi-
zio generale! non già al trovarsi insieme tante persone e per
tanto tempo, non all' infinita moltiplicazione de' contatti for-
tuiti, attribuivano i più quell'effetto: l'attribuivano alla fa-
cilità che gli untori ci avessero trovata d' eseguire in grande
il loro empio disegno. Si disse che, mescolati nella folla,
avessero infettati col loro unguento quanti più avevan potuto.
Ma siccome questo non pareva un mezzo bastante, né appro-
priato a una mortalità così vasta, e così diffusa in ogni classe
di persone; siccome a quel che pare, non era stato possibile
all' occhio così attento, e pur così travedente, del sospetto,
di scorgere untumi, macchie di nessuna sorte, su' muri, né
altrove: così si ricorse, per la spiegazion del fatto, a quel-
1 altro ritrovato, già vecchio , e ricevuto allora nella scienza
comune d? Europa, delle polveri venefiche e malefiche; si
disse che polveri tali, sparse lungo la strada, e specialmente
ai luoghi delle fermate, si fossero attaccate agli strascichi
de' vestiti, e tanto più ai piedi, che in gran numero erano
q'uel giorno andati in giro scalzi. < Vide pertanto,» dice uno
scrittore contemporaneo1), «1' istesso giorno della proces-
sione, la pietà cozzar con 1' empietà, la perfidia con la sin-
cerità, la perdita con 1' acquisto.» Ed era invece il povero
senno umano che cozzava co' fantasmi creati da sé.
Da quel giorno, la furia del contagio andò sempre cre-
scendo: in poco tempo, non ci fu quasi più casa che non
fosse toccata: in poco tempo la popolazione del lazzeretto, al
dir del Somaglia citato di sopra, montò da duemila a dodici
mila: più tardi, al dir di quasi tutti, arrivò fino a sedici mi-
la. Il 4 di luglio, come trovo in un' altra lettera de' conser-
vatori della sanità al governatore, la mortalità giornaliera ol-
l) Agostino Lampugnano; La pestilenza seguita in Milano, l'anno 1630.
Milano. 1634. pog. 44.
CAPITOLO XXXII. 409
trepassava i cinquecento. Più innanzi, e nel colmo, arrivò,
secondo il calcolo più comune, a' mille dugento, mille cinque-
cento; e a più di tre mila cinquecento; se vogliam credere al
Tadino. Il quale anche afferma che, «per le diligenze fatte,"
dopo la peste, si trovò la popolazion di Milano ridotta a
poco più di sessantaquattro mila anime, e che prima pas-
sava le dugento cinquanta mila. Secondo il Ripamonti, era
di sole dugento mila: de' morti, dice che ne risulta cento qua-
ranta mila da' registri civici, oltre quelli di cui non si
potè tener conto. Altri dicon più o meno, ma ancor più
a caso.
Si pensi ora in che angustie dovessero trovarsi i decurioni,
addosso ai quali era rimasto il peso dì provvedere alle pub-
bliche necessità, di riparare a ciò che e' era di riparabile in
un tal disastro. Bisognava ogni giorno sostituire, ogni giorno
aumentare serventi pubblici di varie specie: monatti, ajjjjciri-
tori, commissari. 1 primi erano addetti ai servizi più penosi
e pericolosi della pestilenza: levar dalle case, dalle strade,
dal lazzeretto, i cadaveri: condurli sui carri alle fosse, sot-
terrarli; portare o guidare al lazzeretto gì' infermi, e go-
vernarli: bruciare, purgare la roba infetta e sospetta. Il no-
me vuole il Ripamonti che venga dal greco monos; Gaspare
Bugatti (in una descrizion della peste antecedente), dal latino
monere; ma insieme dubita, con più ragione, che sia parola
tedesca, per esser quegli uomini arrolati la più parte nella
Svizzera e ne' Grigioni. Né sarebbe infatti assurdo il crederlo
una troncatura del vocabolo monatìich (mensuale); giacche,
nell'incertezza di quanto potesse durare il bisogno, è proba-
bile che gli accordi non fossero che di mese in mese. L' im-
piego speciale degli apparitori era di precedere i carri, av-
vertendo, col suono d'un campanello, i passeggieri, che si
ritirassero. I commissari regolavano gli uni e gli altri, sotto
gli ordini immediati del tribunale della sanità. Bisognava te-
ner fornito il lazzeretto di medici, di chirurghi, di medicine,
di vitto, di tutti gli attrezzi d'infermeria; bisognava trovare
e preparar nuovo alloggio per gli ammalati che sopraggiun-
gevano ogni giorno. Si fecero a quest' effetto costruire in
fretta capanne di legno e di paglia nello spazio interno del
lazzeretto; se ne piantò un nuovo, tutto di capanne, cinto da
un semplice assito, e capace di contener quattromila persone.
E non bastando, ne furon decretati due altri ; ci si mise an-
che mano: ma, per mancanza di mezzi d' ogni genere, rima-
sero in tronco. I mezzi, le persone, il coraggio, diminuivano
di mano in mano che il bisogno cresceva.
E non solo 1' esecuzione rimaneva sempre addietro de' pro-
getti e degli ordini: non solo, a molte necessità, pur troppo
riconosciute, si provvedeva scarsamente, anche in parole;
410 I PROMESSI SPOSI.
s'arrivò a quest'eccesso d'impotenza e di disperazione, che
a molte, e delle più pietose, come delle più urgenti, non si
provvedeva in nessuna maniera. Moriva, per esempio, d' ab-
bandono una gran quantità di bambini, ai quali eran morte
le madri di peste: la Sanità propose che s' instituisse un ri-
covero per questi e per le partorienti bisognose, che qualcosa
si facesse per loro; e non potè ottener nulla. «Si doueua
non di meno,» dice il Tadino, «compatire ancora alli Decu-
rioni della Città, li quali si trouauano afflitti, mesti et lacerati
dalla Soldatesca senza regola, et rispetto alcuno ; come molto
meno nell'infelice Ducato, atteso che agiutto alcuno, né
prouisione si poteua hauere dal Gouernatore, se non che si
trouaua tempo di guerra, et bisognava trattar bene li Solda-
ti.» x) Tanto importava il prender Casale! Tanto par bella
la lode del vincere, indipendentemente dalla cagione, dallo
scopo per cui si combatta!
Così pure, trovandosi colma di cadaveri un'ampia, ma
unica fossa, eh' era stata scavata vicino al lazzeretto, e ri-
manendo, non solo in quello, ma in ogni parte della città,
insepolti i nuovi cadaveri, che ogni giorno eran di più, i ma-
gistrati, dopo avere invano cercato braccia per il tristo la-
voro, s' eran ridotti a dire di non saper più che partito pren-
dere. Né si vede come sarebbe andata a finire, se non veni-
va un soccorso straordinario. Il presidente deila Sanità ri-
corse, per disperato, con le lagrime agli occhi, a que' due
bravi frati che soprintendevano al lazzeretto, e il padre Mi-
chele s'impegnò a dargli, in capo a quattro giorni, sgombra
la città di cadaveri; in capo a otto, aperte fosse sufficienti,
non solo al bisogno presente, ma a quello che si potesse ve-
der di peggio nell' avvenire. Con un frate compagno, e con
persone del Tribunale, dategli dal presidente, andò fuor della
città, in cerca di contadini; e, parte con l'autorità del tribu-
nale, parte con quella dell'abito e delle sue parole, ne rac-
colse circa dugento, ai quali fece scavar tre grandissime fos-
se; spedì poi dal lazzeretto monatti a raccogliere i morti;
tanto che, il giorno prefisso, la sua promessa si trovò
adempita.
Una volta, il lazzeretto rimase senza medici; e con offerte
di grosse paghe e d' onori, a fatica e non subito, se ne potè
avere; ma molto men del bisogno. Fu spesso lì lì per man-
care affatto di viveri; a segno di temere che ci s'avesse a
morire anche di fame; e più d'una volta, mentre non si sa-
peva più dove batter la testa per trovare il bisognevole, ven-
nero a tempo abbondanti sussidi, per inaspettato dono di mi-
1) Pag. in.
CAPITOLO XXXII. 411
sericordia privata; che, in mezzo allo stordimento generale,
ali* indifferenza per gli altri, nata dal continuo temer per sé,
ci furono degli animi sempre desti alla carità, ce ne furon
degli altri in cui la carità nacque al cessare d' ogni allegrez-
za terrena; come, nella strage e nella fuga di molti a cui
toccava di soprintendere e di provvedere, ce ne furono alcuni,
sani sempre di corpo, e saldi di coraggio al loro posto: ci
furon pure altri che, spinti dalla pietà, assunsero e sosten-
nero virtuosamente le cure a cui non eran chiamati per im-
piego.
Dove spiccò una più generale e più pronta e costante fe-
deltà ai doveri difficili della circostanza, fu negli ecclesiastici.
Ai lazzeretti, nella città, non mancò mai la loro assistenza :
dove si pativa, ce n' era; sempre si videro mescolati, confusi
co' languenti, co' moribondi, languenti e moribondi qualche
volta loro medesimi; ai soccorsi spirituali aggiungevano, per
quanto potessero, i temporali: prestavano ogni servizio che
richiedessero le circostanze. Più di sessanta parrochi, della
città solamente, moriron di contagio : gli otto noni, all' incirca.
Federigo dava a tutti, coni' era da aspettarsi da lui, inci-
tamento ed esempio. Mortagli intorno quasi tutta la famiglia
arcivescovile, e facendogli istanza parenti, alti magistrati, prin-
cipi circonvicini, che s'allontanasse dal pericolo, ritirandosi
in qualche villa, rigettò un tal consiglio, resistette all' istanze,
con quell' animo, con cui scriveva ai parrochi : «siate dispo-
sti ad abbandonar questa vita mortale, piuttosto che questa
famiglia, questa figliolanza nostra: andate con amore incontro
alla peste, come a un premio, come a una vita, quando ci sia
da guadagnare un' anima a Cristo l).u Non trascurò quelle
cautele che non gì' impedissero di fare il suo dovere (sulla
qual cosa diede anche istruzioni e regola al clero); e insieme
non curò il pericolo, né parve che se n' avvedesse, quando
per far del bene, bisognava passar per quello. Senza parlare
degli ecclesiastici, coi quali era sempre per lodare e regolare
il loro zelo, per eccitare chiunque di loro andasse freddo nel
lavoro, per mandarli ai posti dove altri eran morti, volle che
fosse aperto V adito a chiunque avesse bisogno di lui. Visi-
tava i lazzeretti, per dar consolazione agi' infermi, e per ani-
mare i serventi; scorreva la città portando soccorso ai poveri
sequestrati nelle case, fermandosi agli usci, sotto le finestre,
ad ascoltare i loro lamenti, a dare in cambio parole di con-
solazione e di coraggio. Si cacciò in somma e visse nel mezzo
della pestilenza, maravigliato anche lui alla fine, d'esserne
uscito illeso.
1} Ripamonti, pag. 164.
412 I PEOMESSI SPOSI.
Così, ne' pubblici infortuni, e nelle lunghe perturbazioni
di quel qual si sia ordine consueto, si vede sempre un au-
mento, una sublimazione di virtù; ma, pur troppo, non manca
mai insieme un aumento, e d'ordinario ben più generale, di
perversità. E questo pure fu segnalato. I birboni che la peste
risparmiava e non atterriva, trovarono nella confusion comune,
nel rilasciamento d' ogni forza pubblica, una nuova occasione
d' attività, e una nuova sicurezza d' impunità a un tempo.
Che anzi, l'uso della forza pubblica stessa venne a trovarsi
in gran parte nelle mani de' peggiori tra loro. All' impiego
di monatti e d' apparitori non s' adattavano generalmente che
uomini sui quali 1' attrattiva delle rapine e della licenza po-
tesse più che il terror del contagio, che ogni naturale ribrez-
zo. Eran a costoro prescritte strettissime regole, intimate se-
verissime pene, assegnati posti, dati per superiori de' com-
missari: sopra questi e quelli eran delegati, come abbiam
detto, in ogni quartiere, magistrati e nobili, con l'autorità
di provveder sommariamente a ogni occorrenza di buon go-
verno. Un tal ordin di cose camminò, e fece effetto, fino a
un certo tempo; ma crescendo, ogni giorno, il numero di
quelli che morivano, di quelli che andavan via, di quelli che
perdevan la testa, venner coloro a non aver quasi più nessuno
che gli tenesse a freno ; si fecero , i monatti principalmente,
arbitri d'ogni cosa. Entravano da padroni, da nemici nelle
case, e, senza parlar de' rubamenti, e come trattavano gì' in-
felici ridotti dalla peste a passar per tali mani, le mettevano,
quelle mani infette e scellerate, sui sani, figliuoli, parenti, mo-
gli, mariti, minacciando di strascinarli al lazzeretto, se non
si riscattavano, o non venivano riscattati con danari. Altre
volte, mettevano a prezzo i loro servizi, ricusando di portar
via i cadaveri già putrefatti, a meno di tanti scudi. Si disse
(e tra la leggerezza degli uni e la malvagità degli altri, è
egualmente malsicuro il credere e il non credere), si disse, e
V afferma anche il Tadino r), che monatti e apparitori lascias-
sero cadere apposta dai carri robe infette, per propagare e
mantenere la pestilenza, divenuta per essi un' entrata, un re-
gno, una festa. Altri sciagurati, fingendosi monatti, portando
un campanello attaccato a un piede, com' era prescritto a
quelli, per distintivo e per avviso del loro avvicinarsi, s' in-
troducevano nelle case a farne di tutte le sorte. In alcune,
aperte e vote d' abitanti, o abitate soltanto da qualche lan-
guente, da qualche moribondo, entravan ladri, a man sal-
va, a saccheggiare: altre venivan sorprese, invase da birri
che facevan lo stesso, e anche cose peggiori. Del pari
1) Pag. 102.
CAPITOLO XXXII. 413
con la perversità, crebbe la pazzia: tutti gli errori già domi-
canti più o meno, presero dallo sbalordimento, e dall' agita-
zione delle menti, una forza straordinaria, produssero effetti
più rapidi e più vasti. E tutti servirono a rinforzare e a in-
grandire quella paura speciale dell' unzioni, la quale, ne' suoi
effetti, ne' suoi sfoghi, era spesso, come abbiam veduto, un'
altra perversità. L' immagine di quel supposto pericolo asse-
diava e martirizzava gli animi, molto più che il pericolo reale
e presente. «E mentre,» dice il Ripamonti, «i cadaveri
sparsi, o i mucchi di cadaveri, sempre davanti agli occhi,
sempre tra' piedi, facevano della città tutta come un solo mor-
torio, e' era qualcosa di più brutto, di più funesto, in quel-
P accanimento vicendevole, in quella sfrenatezza e mostruosità
di sospetti .... Non del vicino soltanto si prendeva ombra,
dell'amico, dell'ospite; ma que' nomi, que' vincoli dell'uma-
na carità, marito e moglie, padre e figlio, fratello e fratello,
eran di terrore: e, cosa orribile, e indegna a dirsi! la mensa
domestica, il letto nuziale, si temevano, come agguati, come
nascondigli di venefìzio.»
La vastità immaginata, la stranezza della trama turbavan
tutti i giudizi, alteravan tutte le ragioni della fiducia recipro-
ca. Da principio, si credeva soltanto che quei supposti un-
tori fosser mossi dall' ambizione e dalla cupidigia; andando
avanti, si sognò, si credette che ci fosse una non so quale
voluttà diabolica in quell' ungere, un' attrattiva che dominasse
la volontà. I vaneggiamenti degl' infermi che accusavan sé
stessi di ciò che avevan temuto dagli altri, parevano rivela-
zioni, e rendevano ogni cosa, per dir così, credibile d' ognu-
no. E più delle parole, dovevan far colpo le dimostrazioni,
se accadeva che appestati in delirio andasser facendo di que-
gli atti che s' erano figurati che dovessero fare gli untori:
cosa insieme molto probabile, e atta a dar miglior ragione
della persuasion generale e dell' affermazioni di molti scrit-
tori. Così, nel lungo e tristo periodo de' processi per stre-
goneria, le confessioni, non sempre estorte, degl' imputati, non
serviron poco a promovere e a mantener 1' opinione che re-
gnava intorno ad essa: che, quando un'opinione regna per
lungo tempo, e in una buona parte del mondo, finisce a espri-
mersi in tutte le maniere, e tentar tutte P uscite, a scorrer
per tutti i gradi della persuasione; ed è difficile che tutti o
moltissimi credano a lungo che una cosa strana si faccia,
senza che venga alcuno il quale creda di farla.
Tra le storie che quel delirio dell' unzioni fece immagi-
nare, una merita che se ne faccia menzione, per il credito
che acquistò, e per il giro che fece. Si raccontava, non dal
tutti neh" istessa maniera (che sarebbe un troppo singo lai-
privilegio delle favole), ma a un dipresso, che un tale, il tal
414 I PROMESSI SPOSI.
giorno, aveva visto arrivar sulla piazza del duomo un tiro a
sei, e dentro, con altri, un gran personaggio, con una faccia
fosca e infocata, con gli occhi accesi, coi capelli ritti, e il
labbro atteggiato di minaccia. Mentre quel tale stava intento
a guardare, la carrozza s'era fermata; e il cocchiere l'aveva
invitato a salirvi; e lui non aveva saputo dir di no. Dopo
diversi rigiri, erano smontati alla porta d' un tal palazzo,
dove entrato anche lui, con la compagnia, aveva trovato ame-
nità e orrori, deserti e giardini, caverne e sale; e in esso,
fantasime sedute a consiglio. Finalmente, gli erano state
fatte vedere gran casse di denaro, e detto che ne prendesse
quanto gli fosse piaciuto, con questo però, che accettasse
un vasetto d' unguento, e andasse con esso ungendo per la
città. Ma non avendo voluto acconsentire, s' era trovato in
an batter d' occhio, nel medesimo luogo dove era stato preso.
Questa storia, creduta qui generalmente dal popolo, e, al dir
del Ripamonti, non abbastanza derisa da qualche uomo di
peso J), girò per tutta Italia e fuori. In Germania se ne fece
una stampa; l'elettore arcivescovo di Magonza scrisse al car-
dinal Federigo, per domandargli cosa si dovesse credere de'
fatti maravigliosi che si raccontavan di Milano : e n' ebbe in
risposta eh' eran sogni.
D' ugual valore, se non in tutto d' ugual natura, erano i
sogni de' dotti; come disastrosi del pari n' eran gli effetti.
Vedevano, la più parte di loro, l'annunzio e la ragione in-
sieme de' guai in una cometa apparsa V anno 1628, e in una
congiunzione di Saturno con Giove, «inclinando,» scrive il
Tadino, «la congiontione sodetta sopra questo anno 1630,
tanto chiara, che ciascun le poteua intendere. Mortales pa-
rat morbos, miranda videntur.» Questa predizione, cavata,
dicevano, da un libro intitolato Specchio degli almanacchi
perfetti, stampato in Torino, nel 1623, correva per le bocche
di tutti. Un' altra cometa, apparsa nel giugno dell' anno
stesso della peste, si prese per un nuovo avviso; anzi per una
prova manifesta dell' unzioni. Pescavan ne' libri, e pur trop-
po ne trovavano in quantità, esempi di peste, come dicevano,
manufatta: citavano Livio, Tacito, Dione, che dico? Omero
e Ovidio, i molti altri antichi che hanno raccontati o accen-
nati fatti somiglianti : di moderni ne avevano ancor più in ab-
bondanza. Citavano cent' altri autori che hanno trattato dot-
trinalmente, o parlato incidentemente di veleni, di malìe,
d' unti, di polveri: il Cesalpino, il Cardano, il Grevino, il
Salio, il Pareo, lo Schenchio, lo Zachia e, per finirla, quel
l) Apud prudentium prelosque, non siculi debuerat irrisa. De peste, etc
pag. 77.
CAPITOLO XXXII. 415
funesto Delrio, il quale, se la rinomanza degli autori fosse in
ragione del bene e del male prodotto dalle loro opere, do-
vrebb' essere uno de' più famosi; quel Delrio, le cui veglie
costaron la vita a più uomini che l'imprese di qualche con-
quistatore: quel Delrio, le cui Disquisizioni Magiche (il ri-
stretto di tutto ciò che gli uomini avevano, fino a' suoi tempi,
sognato in quella materia), divenute il testo più autorevole,
più irrefragabile, furono, per più d'un secolo, norma e im-
pulso potente di legali, orribili, non interrotte carnificine.
Da' trovati del volgo, la gente istruita prendeva ciò che
si poteva accomodar con le sue idee; da' trovati della gente
istruita, il volgo prendeva ciò che ne poteva intendere, e come
lo poteva; e di tutto si formava una massa enorme e confusa
di pubblica follia.
Ma ciò che reca maggior maraviglia, è il vedere i medici,
dico i medici che fin da principio avevan creduta la peste,
dico in ispecie il Tadino, il quale 1' aveva pronosticata, vista
entrare, tenuta d'occhio, per dir così, nel suo progresso, il
quale aveva detto e predicato che V era peste, e s' attaccava
col contatto, che non mettendovi riparo, ne sarebbe infettato
tutto il paese, vederlo poi, da questi effetti medesimi cavare
argomento certo dell' unzioni venefiche e malefiche ; lui che in
quel Carlo Colonna, il secondo che morì di peste in Milano,
aveva notato il delirio come un accidente della malattia, ve-
derlo poi addurre in prova dell' unzioni e della congiura dia-
bolica, un fatto di .questa sorte: che due testimoni deponeva-
no d' aver sentito raccontare da un loro amico infermo, come
una notte, gli eran venute persone in camera, a esibirgli
la guarigione e danari, se avesse voluto unger le case del
contorno; e come, al suo rifiuto, quelli se n' erano andati, e
in loro vece, era rimasto un lupo sotto il letto, e tre gattoni
sopra, «che sino al far del giorno vi dimororno J).»
Se fosse stato uno solo che connettesse così, si dovrebbe
dire che aveva una testa curiosa; o piuttosto non ci sarebbe
ragion di parlarne; ma siccome eran molti, anzi quasi tutti,
così è storia dello spirito umano, e dà occasion d' osservare
quanto una serie ordinata e ragionevole d' idee possa essere
scompigliata da un' altra serie d' idee, che ci si getti a tra-
verso. Del resto, quel Tadino era qui uno degli uomini più
riputati del suo tempo.
Due illustri e benemeriti scrittori hanno affermato che il
cardinal Federigo dubitasse del fatto dell' unzioni2). Noi
vorremmo poter dare a quell' inclita e amabile memoria una
1) Pag. 123. 124.
2) Muratori: Del governo della peste: Modena, 1714, pag. 117. — P.
Verri: opuscolo citato, pag. 261.
416 I PROMESSI SPOSI.
lode ancor più intera, e rappresentare il buon prelato, in que-
sto, come in tant' altre cose, superiore alla più parte de' suoi
contemporanei, ma siamo invece costretti di notar di nuovo
in lui un esempio della forza d' un' opinione comune anche
sulle menti più nobili. S' è visto, almeno da quel che ne
dice il Ripamonti, come da principio, veramente stesse in dub-
bio: ritenne poi sempre che in quell'opinione avesse gran
parte la credulità, P ignoranza, la paura, il desiderio di scu-
sarsi d'aver così tardi riconosciuto il contagio, e pensato a
mettervi riparo; che molto ci fosse d'esagerato, ma insieme,
che qualche cosa ci fosse di vero. Nella biblioteca ambrosiana
si conserva un' operetta scritta di sua mano intorno a quella
peste; e questo sentimento e' è accennato spesso, anzi una
volta enunciato espressamente. «Era opinion comune,» dice
a un di presso, «che di questi unguenti se ne componesse in
vari luoghi, e che molte fossero P arti di metterlo in opera:
delle quali alcune ci paion vere, altre inventate.» Ecco le
sue parole: Unguenta vero haec aiebant componi conficique
jnultifariam, frandisque vias fuisse compìures; quartini sane
fraudum et artium, aìiis quidem assentimur, alias vero ficias
fuisse commentiti o èque arlitramur l).
Ci furon però di quelli che pensarono fino alla fine e fin
che vissero, che tutto fosse immaginazione: e lo sappiamo,
non da loro, che nessuno fu abbastanza ardito per esporre
al pubblico un sentimento così opposto a quello del pubblico;
lo sappiamo dagli scrittori che lo deridono o lo riprendono o
lo ribattono, come un pregiudizio d' alcuni, un errore che non
s' attentava di venire a disputa palese, ma che pur viveva; lo
sappiamo anche da chi ne aveva notizia per tradizione. «Ho
trovato gente savia in Milano,» dice il buon Muratori, nel
luogo sopraccitato, «che aveva buone relazioni dai loro mag-
giori, e non era molto persuasa che fosse vero il fatto di
quegli unti velenosi.» Si vede eh' era uno sfogo segreto del-
la verità, una confidenza domestica: il buon senso c'era; ma
se ne stava nascosto, per paura del senso comune.
I magistrati, scemati ogni giorno, e sempre più smarriti e
confusi, tutta, per dir così, quella poca risoluzione di cui eran
capaci, l' impiegarono a cercar di questi untori. Tra le carte
del tempo della peste, che si conservano nell5 archivio nomi-
nato di sopra, e' è una lettera (senza alcun altro documento
relativo) in cui il gran cancelliere informa, sul serio e con
gran premura, il governatore d' aver ricevuto un avviso che,
in una casa di campagna de' fratelli Girolamo e Giulio Monti,
gentiluomini milanesi, si componeva veleno in tanta quantità,
che quaranta uomini erano occupati eti este exercicio, con
l) De Pesti'.entia, quae Mediolani anno 1630 magnani strageni edidit.
CAPITOLO XXXII. 417
l'assistenza di quattro cavalieri bresciani, i quali facevano
venir materiali dal veneziano, para la fàbbrica del veneno.
Soggiunge che lui aveva preso, in gran segreto, i concerti ne-
cessari per mandar là il podestà di Milano e V auditore del-
la Sanità, con trenta soldati di cavalleria; che pur troppo uno
de' fratelli era stato avvertito a tempo per poter trafugare
gì' indizi del delitto , e probabilmente dall' auditor medesimo,
suo amico; e che questo trovava delle scuse per non partire;
ma che non ostante, il podestà co' soldati era andato a re-
conocer la casa, y a ver si hallarà àlgunos vestigios, e pren-
dere informazioni, e arrestar tutti quelli che fossero in-
colpati.
La cosa dovè finire in nulla, giacché gli scritti del tempo
che parlano de' sospetti che e' eran su que' gentiluomini, non
citano alcun fatto. Ma pur troppo, in un'altra occasione, si
credè d' aver trovato.
I processi che ne vennero in conseguenza, non eran cer-
tamente i primi d' un tal genere : e non si può neppur con-
siderarli come una rarità nella storia della giurisprudenza.
Che, per tacere dell' antichità, e accennar solo qualcosa de'
tempi più vicini a quello di cui trattiamo, in Palermo, del
1526; in Ginevra, del 1530; poi del 1545, poi ancora del
157-4; in Casal Monferrato, del 1536; in Padova, del 1555;
in Torino, del 1599, e di nuovo, in quel medesimo anno 1630,
furon processati e condannati a supplizi , per lo più atrocis-
simi, dove qualcheduno, dove molti infelici, come rei d'aver
propagata la peste, con polveri, o con unguenti, o con malìe,
o con tutto ciò insieme. Ma 1' affare delle così dette unzioni
di Milano, come fu il più celebre, così è fors' anche il più
osservabile; o, almeno, c'è più campo di farci sopra osser-
vazione, per esserne rimasti documenti più circostanziati e più
autentici. E quantunque uno scrittore lodato poco sopra se
ne sia occupato, pure, essendosi lui proposto, non tanto di
farne propriamente la storia, quanto di cavarne sussidio di
ragioni, per un assunto di maggiore, o certo di più immediata
importanza , e' è parso che la storia potesse esser materia
d' un nuovo lavoro. Ma non è cosa da uscirne con poche
parole; e non è qui il luogo di trattarla con l'estensione che
merita. E oltre di ciò, dopo essersi fermato su que' casi, il
lettore non si curerebbe più certamente di conoscere ciò che
rimane del nostro racconto. Serbando però a un altro scritto
la storia e l'esame di quelli, torneremo finalmente a' nostri
personaggi, per non lasciarli più, fino alla fine.
Manzoni. 27
418 I PROMESSI SPOSI.
CAPITOLO XXXIII.
Una notte, verso la fine d' agosto, proprio nel colmo della
peste, tornava don Rodrigo a casa sua, in Milano, accom-
pagnato dal fedel Griso, l'uno de' tre o quattro che, di tutta
la famiglia, gli eran rimasti vivi. Tornava da un ridotto
d'amici soliti a straviziare insieme, per passar la malinconia
di quel tempo: e ogni volta ce n' eran de' nuovi, e ne man-
cava de' vecchi. Quel giorno, don Rodrigo era stato uno de'
più allegri; e tra l'altre cose, aveva fatto" rider tanto la com-
pagnia, con una specie d'elogio funebre del conte Attilio,
portato via dalla peste, due giorni prima.
Camminando però, sentiva un mal essere, un abbattimento,
una fiacchezza di gambe, una gravezza di respiro, un' arsione
interna, che avrebbe voluto attribuir solamente al vino, alla
veglia, alla stagione. Non aprì bocca, per tutta la strada; e
la prima parola, arrivati a casa, fu d'ordinare al Griso che
gli facesse lume per andare in camera. Quando ci furono, il
Griso osservò il viso del padrone, stravolto, acceso, con gli
occhi in fuori, e lustri lustri; e gli stava alla lontana: perchè,
in quelle circostanze, ogni mascalzone, aveva dovuto acquistar,
come si dice, V occhio medico.
«Sto bene, ve',» disse don Rodrigo, che lesse nel fare
del Griso il pensiero che gli passava per la mente. «Sto
benone, ma ho bevuto , ho bevuto forse un po' troppo. C era
una vernaccia! . . . .Ma, con una buona dormita, tutto se ne va.
Ho un gran sonno .... Levami un po' quel lume dinanzi,
che m' accieca .... mi dà una noia! . . . .»
«Scherzi della vernaccia,» disse il Griso, tenendosi sem-
pre alla larga. «Ma vada a letto subito, che il dormire le
farà bene.»
«Hai ragione: se posso dormire .... Del resto, sto bene.
Metti qui vicino, a buon conto, quel campanello, se per caso,
stanotte, avessi bisogno di qualche cosa: e sta attento, ve', se
mai senti sonare. Ma non avrò bisogno di nulla .... Porta
via presto quel maledetto lume,» riprese poi, intanto che il
Griso eseguiva V ordine, avvicinandosi meno che poteva.
«Diavolo! che m'abbia a dar tanto fastidio!»
Il Griso prese il lume, e, augurata la buona notte al pa-
drone, se n' andò in fretta, mentre quello si cacciava sotto.
Ma le coperte gli parvero una montagna. Le buttò via, e
si rannicchiò, per dormire; che infatti moriva dal sonno. Ma,
appena velato l'occhio, si svegliava con un riscossone, come
se uno, per dispetto, fosse venuto a dargli una tentennata; e
sentiva cresciuto il caldo; cresciuta la smania. Ricorreva col
CAPITOLO XXXIII. 419
pensiero all'agosto, alla vernaccia, al disordine; avrebbe vo-
luto poter dar loro tutta la colpa; ma a queste idee si sosti-
tuiva sempre da sé quella che allora era associata con tutte,
ch'entrava, per dir così, da tutti i sensi, che s'era ficcata
in tutti i discorsi dello stravizio, giacché era ancor più fa-
cile prenderla in ischerzo, che passarla sotto silenzio: la
peste,
Dopo un lungo rivoltarsi, finalmente s'addormentò, e co-
minciò a fare i più brutti e arruffati sogni del mondo. E
d'uno in un altro, gli parve di trovarsi in una gran chiesa,
in su, in su, in mezzo a una folla; di trovarcisi, che non sa-
peva come ci fosse andato, come gliene fosse venuto il pen-
siero, in quel tempo specialmente; e n'era arrabbiato, Guar-
dava i circostanti; eran tutti visi gialli, distrutti, con cer-
t' occhi incantati, abbacinati, con le labbra spenzolate; tutta
gente con certi vestiti che cascavano a pezzi; e da' rotti si
vedevano macchie e bubboni. -Largo, canaglia!») gli pareva
di gridare, guardando alla porta, ch'era lontana lontana, e
accompagnando il grido con un viso minaccioso, senza però
moversi, anzi ristringendosi, per non toccar que' sozzi corpi,
che già lo toccavano anche troppo da ogni parte. Ma nessu-
no di quegl' insensati dava segno di volersi scostare, e nem-
meno d'avere inteso; anzi gli stavan più addosso: e sopra
tutti gli pareva che qualeheduno di loro, con le gomita o con
altro, lo pigiasse a sinistra, tra il cuore e 1' ascella, dove sen-
tiva una puntura dolorosa, e come pesante. E se si storce-
va, per veder di liberarsene, subito un nuovo non so che
veniva a puntarglisi al luogo medesimo. Infuriato, volle met-
ter mano alla spada; e appunto gli parve che, per la calca,
gli fosse andata in su, e fosse il pomo di quella che lo pre-
messe in quel luogo; ma mettendoci la mano, non ci trovò la
spada, e sentì invece una trafitta più forte. Strepitava ora
tutt* affannato, e voleva gridar più forte; quando gli parve
che tutti que' visi si rivolgessero a una parte. Guardò an-
che lui, vide un pulpito, e dal parapetto di quello spuntar su
un non so che di convesso, liscio e luccicante; poi alzarsi e
comparir distinta una testa pelata, poi due occhi, un viso, una
barba lunga e bianca, un frate ritto, fuor del parapetto fino
alla cintola, fra Cristoforo. Il quale, fulminato uno sguardo
in giro su tutto l'uditorio, parve a don Rodrigo che lo fer-
masse, in viso a lui, alzando insieme la mano, nell' attitudine
appunto che aveva presa in quella sala a terreno del suo pa-
lazzotto. Allora alzò anche lui la mano in furia, fece uno
sforzo, come per islanciarsi ad acchiappar quel braccio teso
per aria; una voce che gli andava brontolando sordamente
nella gola, scoppiò in un grand' urlo; e si destò. Lasciò ca-
dere il braccio che aveva alzato davvero; stentò alquanto a
27*
420 I PEOSIESSI SPOSI.
ritrovarsi, ad* aprir ben gli occhi; che la luce del giorno già
inoltrato gli dava noia, quanto quella della candela la sera
avanti; riconobbe il suo letto, la sua camera; si raccapezzò
che tutto era stato un sogno: la chiesa, il popolo, il frate,
tutto era sparito; tutto fuorché una cosa, quel dolore dalla
parte sinistra. Insieme si sentiva al cuore una palpitazion
violenta, affannosa, negli orecchi un ronzìo, un fischio conti-
nuo, un fuoco di dentro, una gravezza in tutte le membra,
peggio di quando era andato a letto. Esitò qualche momento,
prima di guardar la parte dove aveva il dolore; finalmente
la scoprì, ci diede un'occhiata paurosa; e vide un sozzo bub-
bone d' un livido paonazzo.
L' uomo si vide perduto : il terror della morte l' invase
e, con un senso per avventura più forte, il terrore di diventar
preda de' monatti, d'esser portato, buttato al lazzeretto. E
cercando la maniera d'evitare quest'orribile sorte, sentiva i
suoi pensieri confondersi e oscurarsi, sentiva avvicinarsi il
momento che non avrebbe più testa, se non quanto bastasse
per darsi alla disperazione. Afferrò il campanello, e lo scosse
con violenza. Comparve subito il Griso, il quale stava al-
l'erta. Si fermò a una certa distanza dal letto; guardò at-
tentamente il padrone, e s'accertò di quello che, la sera,
aveva congetturato.
«Griso!» disse don Rodrigo, rizzandosi stentatamente a
sedere: «tu sei sempre stato il mio fido.»
«Sì, signore.»
«T'ho sempre fatto del bene.»
«Per sua bontà.»
«Di te mi posso fidare ....!»
«Diavolo! »
«Sto male, Griso.»
«Ma n' era accorto.»
«Se guarisco, ti farò del bene ancor più di quello che te
n'ho fatto per il passato.»
Il Griso non rispose nulla, e stette aspettando dove andas-
sero a parare questi preamboli.
«Non voglio fidarmi d'altri che di te,» rispose don Ro-
drigo: «fammi un piacere, Griso.»
«Comandi,» disse questo, rispondendo con la formola so-
lita a quell' insolita.
«Sai dove sta di casa il Chiodo chirurgo?»
«Lo so benissimo.»
«È un galantuomo, che, chi lo paga bene, tien segreti
gli ammalati. Va a chiamarlo: digli che gli darò quattro,
sei scudi per visita, di più, se di più ne chiede; ma che ven-
ga qui subito; e fa la cosa bene, che nessun se n'avveda.»
«Ben pensato,» disse il Griso: «vo e torno subito.»
CAPITOLO XXXIII. 421
«Senti, Griso: dammi prima un po' d'acqua. Mi sento
un'arsione, che non ne posso più.»
«No, signore,» rispose il Griso: «niente senza il parere
del medico. Son mali bisbetici; non c'è tempo da perdere.
Stia quieto; in tre salti son qui col Chiodo.»
Così detto, uscì, raccostando l'uscio.
Don Rodrigo, tornato sotto, l'accompagnava con l'imma-
ginazione alla casa del Chiodo, contava i passi, calcolava il
tempo. Ogni tanto ritornava a guardare il suo bubbone: ma
voltava subito la testa dall'altra parte, con ribrezzo. Dopo
qualche tempo, cominciò a stare in orecchi, per sentire se il
chirurgo arrivava: e quello sforzo d'attenzione sospendeva il
sentimento del male, e teneva in sesto i suoi pensieri. Tutt' a
un tratto, sente uno squillo lontano, ma che gli par che ven-
ga dalle stanze, non dalla strada. Sta attento; lo sente più
forte, più ripetuto, e insieme uno stropiccìo di piedi: un or-
rendo sospetto gli passa per la mente. Si rizza a sedere, e
si mette ancor più attento; sente un rumor cupo nella stanza
vicina, come d'un peso che venga messo giù con riguardo;
butta le gambe fuor del letto, come per alzarsi, guarda al-
l' uscio, lo vede aprirsi, vede presentarsi e venire avanti due
logori e sudici vestiti rossi, due facce scomunicate, due mo-
natti, in una parola; vede mezza la faccia del Griso che, na-
scosto dietro un battente socchiuso, riman lì a spiare. .
«Ah traditore infame! .... Vìa, canaglia! Biondino!
Carlotto ! aiuto! sono assassinato!» grida don Rodrigo; caccia
una mano sotto il capezzale, per cercare una pistola; l'af-
ferra, la tira fuori; ma al primo suo grido, i monatti avevan
preso la rincorsa verso il letto; il più pronto gli è addosso,
prima che lui possa far nulla; gli strappa la pistola di mano,
la getta lontano, io butta a giacere, e lo tien lì, gridando con
un versacelo di rabbia insieme e di scherno: «ah birbone!
contro i monatti! contro i ministri del tribunale! contro quelli
che fanno l'opere di misericordia!»
«Tienlo bene, fin che lo portiam via,» disse il compagno,
andando verso uno scrigno. E in quella il Griso entrò, e si
mise con lui a scassinar la serratura.
«Scellerato!» urlò don Rodrigo, guardandolo per di sotto
all' altro che lo teneva, e divincolandosi tra quelle braccie
forzute. «Lasciatemi ammazzar quell'infame,» diceva quindi
ai monatti, «e poi fate di me quel che volete.» Poi ritor-
nava a chiamar con quanta voce aveva, gli altri suoi servito-
ri; ma era inutile, perchè l' abbominevole Griso gli aveva
mandati lontano, con finti ordini del padrone stesso, prima
d' andare a fare ai monatti la proposta di venire a quella
spedizione, e divider le spoglie.
«Sta buono, sta buono,» diceva allo sventurato Rodrigo
422 I PROMESSI SPOSI.
1" aguzzino che lo teneva appuntellato sul letto. E voltando
poi il viso ai due che facevan bottino, gridava: e fate le cose
da galantuomini! »
«Tu. tu!" mugghiava don Rodrigo verso il Griso, che
vedeva affaccendarsi a spezzare, a cavar fuori danaro, roba,
a far le parti. «Tu! dopo ....! Ah diavolo dell'inferno!
Posso ancora guarire! posso guarire!» Il Griso non fiata-
va, e neppure, per quanto poteva, si voltava dalla parte di
dove venivan quelle parole.
■ Tienlo forte,» diceva l'altro monatto: «è fuor di sé.»
Ed era ormai vero. Dopo un grand' urlo, dopo un ultimo
più violento sforzo per mettersi in libertà, cadde tutt' a un
tratto rifinito e stupido: guardava però ancora, come incantato,
e ogni tanto si riscoteva, o si lamentava.
I monatti lo presero, uno per i piedi, e l'altro per le
spalle, e andarono a posarlo sur una barella che avevan la-
sciata nella stanza accanto; poi uno tornò a prender la pre-
da; quindi alzato il miserabil peso lo portaron via.
II Griso rimase a scegliere in fretta quel di più che po-
tesse far per lui; fece di tutto un fagotto, e se n'andò.
Aveva bensì avuto cura di non toccar mai i monatti, di non
lasciarsi toccar da loro ; ma, in queir ultima furia del frugare,
aveva poi presi, vicino al letto, i panni del padrone, e gli
aveva scossi, senza pensare ad altro, per veder se ci fosse
danaro. C; ebbe però a pensare il giorno dopo , che, mentre
stava gozzovigliando in una bettola, gli vennero a un tratto
de' brividi, gli s' abbagliarono gli occhi, gli mancaron le forze
e cascch Abbandonato da' compagni , andò in mano de' mo-
natti, che spogliatolo di quanto aveva indosso di buono, lo
buttaron sur un carro; sul quale spirò, prima d'arrivare al
lazzeretto, dov' era stato portato il suo padrone.
Lasciando ora questo nel soggiorno de' guai, dobbiamo an-
dare in cerca d' un altro, la cui storia non sarebbe mai stata
intralciata con la sua, se lui non l'avesse voluto per forza;
anzi si può dir di certo che non avrebbero avuto storia né
l'uno, né l'altro: Renzo, voglio dire, che abbiam lasciato al
nuovo filatoio, sotto il nome d'Antonio Rivolta. C'era stato
cinque o sei mesi, salvo il vero; dopo i quali, dichiarata
1' inimicizia tra la repubblica e il re di Spagna, e cessata
quindi ogni timore di ricerche e d' impegni dalla parte di
qui, Bortolo s'era dato premura d'andarlo a prendere, e
di tenerlo ancora con sé, e perchè gli voleva bene, e perchè
Renzo, come giovane di talento , e abile nel mestiere , era, in
una fabbrica, di grande aiuto al factotum, senza poter mai
aspirare a divenirlo lui, per quella benedetta disgrazia di non
saper tener la penna in mano. Siccome anche questa ra-
gione e' era entrata per qualche cosa, così abbiam dovuto ac-
CAFITOLO XXXIII. 423
cennarla. Forse voi vorreste un Bortolo più ideale : non so
che dire: fabbricatevelo. Quello era così.
Renzo era poi sempre rimasto a lavorare presso di lui.
Più d'una volta, e specialmente dopo aver ricevuta qualche-
duna di quelle benedette lettere da parte d'Agnese, gli era
saltato il grillo di farsi soldato, e finirla: e l'occasioni non
mancavano; che appunto in quell'intervallo di tempo, la re-
pubblica aveva avuto bisogno di far gente. La tentazione era
qualche volta stata per Renzo tanto più forte, che s' era an-
che parlato d'invadere il milanese: e naturalmente a lui pa-
reva che sarebbe stata una bella cosa, tornar in figura di vin-
citore a casa sua, riveder Lucia e spiegarsi una volta con
lei. Ma Bortolo, con buona maniera, aveva sempre saputo
smontarlo da quella risoluzione.
«Se ci hanno da andare,» gli diceva, «ci aneleranno an-
che senza di te, e tu potrai andarci dopo, con tuo comodo;
se tornano col capo rotto, non sarà meglio essere stato a casa
tua? Disperati che vadano a far la strada, non ne mancherà.
E, prima che ci possan mettere i piedi .... ! Per me sono
eretico: costoro abbaiano; ma sì; lo stato di Milano non è
un boccone da ingoiarsi così facilmente. Si tratta della Spa-
gna, figliuolo mio: sai che affare è la Spagna? San Marco è
forte a casa sua; ma ci vuol altro. Abbi pazienza: non istai
bene qui? .... Vedo cosa vuoi dire; ma se è destinato lassù
che la cosa riesca, sta sicuro che, a non far pazzie, riuscirà
anche meglio. Qualche santo ti aiuterà. Credi pure che non
è mestiere per te. Ti par che convenga lasciare d' incannar
seta, per andare a ammazzare? Cosa vuoi fare con quella
razza di gente? Ci vuol degli uomini fatti apposta.»
Altre volte Renzo si risolveva d'andar di nascosto, tra-
vestito, e con un nome finto. Ma anche da questo Bortolo
seppe svolgerlo ogni volta, con ragioni troppo facili a indo-
vinarsi.
Scoppiata poi la peste nel milanese, e appunto, come ab-
biam detto, sul confine del bergamasco, non tardò molto a
passarlo, e non vi sgomentate, eh' io non vi voglio raccon-
tar la storia anche di questa: chi la volesse, la c'è, scritta
per ordine pubblico da un certo Lorenzo Ghirardelli: libro
raro però e sconosciuto, quantunque contenga forse più roba
che tutte insieme le descrizioni più celebri di pestilenze; da
tante cose dipende la celebrità de' libri! Quel ch'io volevo
dire è che Renzo prese anche lui la peste, si curò da sé,
cioè non fece nulla; ne fu in fin di morte, ma la sua buona
complessione vinse la forza del male: in pochi giorni, si trovò
fuor del pericolo. Col tornar della vita, risorsero più che mai
rigogliose nell' animo suo le memorie, i desidèri, le speranze,
i disegni della vita; vai a dire che pensò più che mai a Lu«
424 I PROMESSI SPOSI.
eia. Cosa uè sarebbe di lei, in quel tempo, che il vivere era
come un'eccezione? E, a così poca distanza, non poterne
saper nulla? E rimaner, Dio sa quanto, in una tale incer-
tezza! E quand'anche questa si fosse poi dissipata, quando,
cessato ogni pericolo, venisse a risaper che Lucia fosse in
vita; c'era sempre quell'altro mistero, quell'imbroglio del
voto. — Anderò io, anderò a sincerarmi di tutto in una volta,
— disse tra sé, e lo disse prima d'essere ancora in caso
di reggersi. — Purché sia viva! — Trovarla, la troverò io;
sentirò una volta da lei proprio, cosa sia questa promessa, le
farò conoscere che non può stare, e la conduco via con me,
lei e quella povera Agnese, se è viva! che m'ha sempre vo-
luto bene, e son sicuro che me ne vuole ancora. La cattura?
eh! adesso hanno altro da pensare, quelli che son vivi. Giran
sicuri, anche qui, certa gente che n'hann' addosso .... Ci
ha a esser salvocondotto solamente per i birboni? E a Mi-
lano , dicono tutti che 1' è una confusione peggio. Se lascio
scappare una occasion così bella, — (La peste! Yedete un
poco come ci fa qualche volta adoprar le parole quel bene-
detto istinto di riferire e di subordinar tutto a noi medesimi)
— non ne ritorna più una simile! —
Giova sperare, caro il mio Renzo.
Appena potè strascinarsi, andò in cerca di Bortolo, il qua-
le, fino allora, aveva potuto scansar la peste, e stava riguar-
dato. Xon gli entrò in casa, ma, datogli una voce dalla stra-
da, lo fece affacciare alla finestra.
«Ah ah!» disse Bortolo: «l'hai scampata, tu. Buon
per te!»
«Sto ancora un po' male in gambe, come vedi, ma in
quanto al pericolo, ne son fuori.»
«Eh! vorrei esser io ne' tuoi piedi. A dire: sto bene, le
altre volte, pareva di dir tutto: ma ora conta poco. Chi può
arrivare a dire: sto meglio; quella sì è una bella parola!
Renzo, fatto al cugino qualche buon augurio, gli comunicò
la sua risoluzione.
«Va, queste volta, che il cielo ti benedica,» rispose quel-
lo: «cerca di schivar la giustizia, coni' io cercherò di schi-
vare il contagio; e, se Dio vuole che la ci vada bene a tutt' e
due, ci rivedremo.»
«Oh! torno sicuro: e se potessi non tornar solo! Basta;
spero.»
«Torna pure accompagnato; che, se Dio vuole, ci sarà da
lavorar per tutti, e ci faremo buona compagnia. Purché tu
mi ritrovi, e che sia finito questo diavolo d'influsso!»
Ci rivedremo, ci rivedremo; ci dobbiam rivedere!»
«Torno a dire: Dio voglia!»
Per alquanti giorni, Renzo si tenne in esercizio, per espe-
CAPITOLO XXXIII. 425
rimeritar le sue forze, e accrescerle: e appena gli parve di
poter far la strada, si dispose a partire. Si mise sotto panni
una cintura, con dentro que' cinquanta scudi che non aveva
mai intaccati, e de' quali non aveva mai fatto parola, neppur
con Bortolo ; prese alcuni altri pochi quattrini, che aveva messi
da parte giorno per giorno, risparmiando su tutto; prese sotto
il braccio un fagottino di panni; si mise in tasca un benser-
vito, che s' era fatto fare a buon conto, dal secondo padrone,
sotto il nome d'Antonio Rivolta; in un taschino de' calzoni
si mise un coltellaccio, ch'era il meno che un galantuomo
potesse portare a que' tempi; e s'avviò, agli ultimi d'ago-
sto, tre giorni dopo che don Rodrigo era stato portato al laz-
zeretto. Prese verso Lecco, volendo, per non andar così alla
cieca a Milano, passar dal suo paese, dove sperava di trovare
Agnese viva, e di cominciare a saper da lei qualcheduna delle
tante cose che si struggeva di sapere.
I pochi guariti dalla peste erano, in mezzo al resto della
popolazione, veramente come una classe privilegiata. Una
gran parte dell'altra gente languiva o moriva; e quelli ch'era-
no stati fin allora illesi dal morbo, ne vivevano in continuo
timore; andavan riservati, guardinghi, con passi misurati, con
visi sospettosi, con fretta ed esitazione insieme: che tutto po-
teva essere contro di loro arme di ferita moitale. Quegli al-
tri all'opposto, sicuri a un di presso del fatto loro (giacché
aver due volte la peste era caso piuttosto prodigioso che raro),
giravano per mezzo al contagio franchi e risoluti; come i ca-
valieri d' un' epoca del medio evo , ferrati fin dove ferro ci
poteva stare, e sopra palafreni accomodati anch'essi, per
quanto era fattibile, in quella maniera, andavano a zonzo
(donde quella loro gloriosa denominazione d' erranti), a zonzo
e alla ventura, in mezzo a una povera marmaglia pedestre di
cittadini e di villani, che, per ribattere e ammortire i colpi,
non avevano indosso altro che cenci. Bello, savio ed utile
mestiere! mestiere, proprio da far la prima figura in un trat-
tato d' economia politica.
Con una tale sicurezza, temperata però dall'inquietudini
che il lettore sa, e contristata dallo spettacolo frequente, dal
pe nsiero incessante della calamità comune, andava Renzo ver-
so casa sua, sotto un bel cielo e per un bel paese, ma non
incontrando, dopo lunghi tratti di tristissima solitudine, se
non qualche ombra vagante piuttosto che persona viva, o ca-
daveri portati alla fossa, senza onor d'esequie, senza canto,
senza accompagnamento A mezzo circa della giornata, si
fermò in un boschetto, a mangiare un po' di pane e di com-
panatico che aveva portato con sé. Frutte, n'aveva a sua
disposizione, lungo la strada, anche più del bisogno: fichi
pesche, susine, mele, quante n'avesse volute; bastava eh' en
426 1 PROMESSI SPOSI.
trasse ne' campi a coglierne, o a raccattarle sotto gli alberi,
dove ce n'era come se fosse grandinato, giacché l'anno era
straordinariamente abbondante, di frutte specialmente; e non
c'era quasi chi se ne prendesse pensiero: anche l'uve na-
scondevano, per dir così, i pampani, ed eran lasciate in ba-
lìa del primo occupante.
Verso sera, scoprì il suo paese. A quella vista, quantun-
que ci dovesse esser preparato, si sentì dare come una stretta
al cuore; fu assalito in un punto da una folla di rimembran-
ze dolorose, e di dolorosi presentimenti: gli pareva d'aver
negli orecchi que' sinistri tocchi a martello che 1' avevan co-
me accompagnato, inseguito, quand'era fuggito da que' luo-
ghi; e insieme sentiva, per dir così, un silenzio di morte che
ci regnava attualmente. Un turbamento ancor più forte pro-
vò allo sboccare sulla piazzetta davanti alla chiesa; e ancora
peggio s'aspettava al termine del cammino; che dove aveva
disegnato d' andare a fermarsi, era a queila casa eh' era stato
solito altre volte di chiamar la casa di Lucia. Ora non po-
teva essere, tutt'al più, che quella d'Agnese; e la sola gra-
zia, che sperava dal cielo, era di trovarcela in vita e in sa-
lute. E in quella casa si proponeva di chiedere alloggio,
congetturando bene che la sua non dovesse esser più abita-
zione che da topi e da faine.
Non volendo farsi vedere, prese per una viottola di fuori,
quella stessa per cui era venuto in buona compagnia, quella
notte così fatta, per sorprendere il curato. A mezzo circa,
c'era da una parte la vigna, e dall'altra la casetta di Ren-
zo; sicché, passando, potrebbe entrare un momento nell'una
e nell' altra, a vedere un poco come stesse il fatto suo.
Andando, guardava innanzi, ansioso insieme e timoroso di
veder qualcheduno; e, dopo pochi passi, vide infatti un uomo
in camicia, seduto in terra, con le spalle appoggiate a una
siepe di gelsomini, in un'attitudine d'insensato: e, a que-
sta, e poi anche alla flsonomia, gli parve di raffigurar quel
povero mezzo scemo di Gervaso eh' era venuto per secondo
testimonio alla sciagurata spedizione. Ma essendosegli avvi-
cinato, dovette accertarsi ch'era invece quel Tonio così sve-
glio che ce 1' aveva condotto. La peste, togliendogli il vigore
del corpo insieme e della mente, gli aveva svolto in faccia e
in ogni suo atto un piccolo e velato germe di somiglianza che
aveva con l'incantato fratello.
«Oh Tonio!» gli disse Renzo, fermandosegli davanti:
«sei tu?»
Tonio alzò gli occhi, senza mover la testa.
«Tonio! non mi riconosci?»
«A chi la tocca, la tocca,» rispose Tonio, rimanendo poi
con la bocca aperta.
CAPITOLO XXXIII.
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« L'hai addosso eh? povero Tonio; ma non mi riconosci
più?»
«A chi la tocca, la tocca,» replicò quello, con un certo
sorriso sciocco. Renzo, vedendo che non ne caverebbe altro,
seguitò la sua strada, più contristato. Ed ecco spuntar da
una cantonata, e venire avanti una cosa nera, che riconobbe
subito per don Abbondio. Camminava adagio adagio, portan-
do il bastone come chi n' è portato a vicenda; e di mano in
mano che s'avvicinava, sempre più si poteva conoscere nel
suo volto pallido e smunto, e in ogni atto, che anche lui do-
veva aver passata la sua burrasca. Guardava anche lui: gli
pareva e non gli pareva: vedeva qualcosa di forestiero nel
vestiario ; ma era appunto forestiero di quel di Bergamo.
— È lui senz'altro! — disse tra sé, e alzò le mani al
cielo, con un movimento di maraviglia scontenta, restandogli
sospeso in aria il bastone che teneva nella destra ; e si vede-
vano quelle povere braccia ballar nelle maniche, dove altre
volte stavano appena per 1' appunto. Renzo gli andò incon-
tro, allungando il passo, e gli fece una riverenza; che. seb-
bene si fossero lasciati come sapete, era però sempre il suo
curato.
«Siete qui, voi?» esclamò don Abbondio.
»Son qui, come lei vede. Si sa niente di Lucia?»
a Che volete che se ne sappia? Xon se ne sa niente.
È a Milano, se pure è ancora in questo mondo. Ma voi . . . .»
«E Agnese, è viva?»
«Può essere; ma chi volete che lo sappia? non è qui.
Ma »
«Dov'è?»
«È andata a starsene nella Yalsassina, da que" suoi parenti,
a Pasturo, sapete bene: che là dicono che la peste non faccia
il diavolo come qui. Ma voi, dico .... »
«Questa la mi dispiace. E il padre Cristoforo ....?»
È andato via che è un pezzo. Ma .... »
<Lo sapevo; me l'hanno fatto scrivere: domandavo se
per caso fosse tornato da queste parti.»
«Oh giusto! non se n' è più sentito parlare. Ma
voi .... »
«La mi dispiace anche questa.»
«Ma voi. dico, cosa venite a far da queste parti, per
l'amor del cielo! Non sapete che bagattella di cattura . ..?»
«Cosa m'importa? Hanno altro da pensare. Ho voluto
venire anch' io una volta a vedere i fatti miei. E non si sa
«Cosa volete vedere? che or ora non e' è più nessuno,
non c'è più niente. E dico, con quella bagattella di cattu-
ra, venir qui, proprio in paese, in bocca al lupo, e' è giudizio?
428 I PROMESSI SPOSI.
Fate a modo d' un vecchio che è obbligato ad averne più di
voi, e che vi parla per l'amore che vi porta; legatevi le scar-
pe bene, e, prima che nessuno vi veda, tornate di dove siete
venuto; e se siete stato visto, tanto più tornatevene di corsa.
Vi pare che sia aria per voi, questa? Non sapete che sono
venuti a cercarvi, che hanno frugato, frugato, buttato sotto-
sopra .... »
«Lo so pur troppo, birboni!»)
«Ma dunque ....!»
«Ma se le dico che non ci penso. E colui, è vivo anco-
ra? è qui?»
«Vi dico che non c'è nessuno; vi dico che non pensiate
alle cose di qui ; vi dico che .... »
«Domando se è qui, colui.»
«Oh santo cielo! Parlate meglio. Possibile che abbiate
ancora addosso tutto quel fuoco, dopo tante cose!»
«C'è, o non c'è?»
«Non c'è, via. Ma, e la peste, figliuolo, la peste! Chi
è che vada in giro, in questi tempi?»
«Se non ci fosse altro che la peste in questo mondo
dico per me: l'ho avuta, e son franco.»
«Ma dunque! ma dunque! non sono avvisi questi? Quando
se n' è scampata una di questa sorte, mi pare che si dovreb-
be ringraziare il cielo, e .... »
«Lo ringrazio bene.»
«E non andarne a cercar dell'altre, dico. Fate a modo
mio .... »
«L' ha avuta anche lei, signor curato, se non m' in-
ganno.»
«Se l'ho avuta! Perfida e infame è stata; son qui per
miracolo: basta dire che m'ha conciato in questa maniera
che vedete. Ora avevo proprio bisogno d' un po' di quiete,
per rimettermi in tono: via, cominciavo a stare un po' me-
glio .... In nome del cielo, cosa venite a far qui? Tor-
nate .... »
«Sempre l'ha con questo tornare, lei. Per tornare, tanto
n'avevo a non movermi. Dice: cosa venite? cosa venite?
Oh bella! vengo, anch'io a casa mia.»
« Casa vostra .... »
«Mi dica; ne son morti molti qui? .... »
«Eh eh!» esclamò don Abbondio; e, cominciando da Per-
petua, nominò una filastrocca di persone e di famiglie intere.
Renzo s'aspettava pur troppo qualcosa di simile; ma al sentir
tanti nomi di persone che conosceva, d' amici, di parenti, sta-
va addolorato, col capo basso, esclamando ogni momento:
» poverino! poverina! poverini!»
CAPITOLO XXXIII. 429
«Vedete!» continuò don Abbondio: "e non è finita. Se
quelli che restano non metton giudizio questa volta, e scac-
ciali tutti i grilli dalla testa, non e' è più altro che la fine
del mondo.»
«Non dubiti; che già non fo conto di fermarmi qui.»
«Ah! sia ringraziato il cielo, che la v' è entrata! E, già
s'intende, fate ben conto di ritornar sul bergamasco.»
«Di questo non si prenda pensiero.»
«Che! non vorreste già farmi qualche sproposito peggio
di questo?»
«Lei non ci pensi, dico: tocca a me: non son più un
bambino: ho l'uso della ragione. Spero che, a buon conto,
non dirà a nessuno d'avermi visto. È sacerdote; sono una
sua pecora: non mi vorrà tradire.»
«Ho inteso,» disse don Abbondio, sospirando stizzosamen-
te: «ho inteso. Volete rovinarvi voi, e rovinarmi me. Non
vi basta di quelle che avete passate voi; non vi basta di quel-
le che ho passate io. Ho inteso, ho inteso.» E, continuan-
do a borbottar tra i denti quest' ultime parole, riprese per la
sua strada.
Renzo rimase lì tristo e scontento, a pensar dove ande-
rebbe a fermarsi. In quella enumerazione di morti fattagli
da don Abbondio, e' era una famiglia di contadini portata via
tutta dal contagio, salvo un giovinotto , dell'età di Renzo, a
un di presso, e suo compagno fin da piccino: la casa era po-
chi passi fuori del paese. Pensò d' andar lì.
E andando, passò davanti alla sua vigna; e già dal di
fuori potè subito argomentare in che stato la fosse. Una vet-
ticciola , una fronda d' albero di quelli che ci aveva lasciati,
non si vedeva passare il muro; se qualcosa si vedeva, eia
tutta roba venuta in sua assenza. S' affacciò all' apertura
(del cancello non e' eran più neppure i gangheri) ; diede un'
occhiata in giro: povera vigna! Per due inverni di seguito,
la gente del paese era andata a far legna «nel luogo di quel
poverino,» come dicevano. Viti, gelsi, frutti d' ogni sorte,
tutto era stato strappato alla peggio, o tagliato al piede. Si
vedevano però ancora i vestigi dell'antica coltura: giovani
tralci, in righe spezzate, ma che pure segnavano la traccia
de7 filari desolati; qua e là, rimessiticci o getti di gelsi, di
fichi, di peschi, di ciliegi, di susini; ma anche questo si ve-
deva sparso, soffogato, in mezzo a una nuova, varia e fitta
generazione, nata e cresciuta senza 1' aiuto della man del-
l'uomo. Era una marmaglia d'ortiche, di felci, di logli, di
gramigne, di farinelli, d'avene selvatiche, d'amaranti verdi,
di radicchielle, d'acetoselle, di panicastrelle e d'altrettali
piante ; di quelle, voglio dire, di cui il contadino d' ogni paese
ha fatto una gran classe a modo suo, denominandole erbacce,
430 I PROMESSI SPOSI.
o qualcosa di simile. Era un guazzabuglio di steli, che fa-
cevano a soverchiarsi l'uno con l'altro nell'aria, o a pas-
sarvi avanti, strisciando sul terreno, a rubarsi insomma il po-
sto per ogni verso, una confusione di foglie, di fiori, di frutti,
di cento colori, di cento forme, di' cenlo grandezze: spighette,
pannocchiette, ciocche, mazzetti, capolini bianchi, rossi, gialli,
azzurri. Tra questa marmaglia di piante ce n' era alcune di
più rilevate e vistose, non però migliori, almeno la più parte:
l'uva turca, più alta di tutte, co' suoi rami allargati, rosseg-
giane, co' suoi pomposi foglioni verde cupi, alcuni già orlati
di porpora, co' suoi grappoli ripiegati, guarniti di bacche pao-
nazze al basso, più su di porporine, poi di verdi, e in cima
di fiorellini biancastri: il tasso barbasso, con le sue gran fo-
glie lanose a terra, e lo stelo diritto all'aria, e le lunghe
spighe sparse e come stellate di vivi fiori gialli : cardi, ispidi
ne' rami, nelle foglie, ne' calici, donde uscivano ciuffetti di
fiori bianchi o porporini, ovvero si staccavano, portati via dal
vento, pennacchioli argentei e leggieri. Qui una quantità di
vilucchioni arrampicati e avvoltati a' nuovi rampolli d' un
gelso, gli avevan tutti ricoperti delle lor foglie ciondoloni, e
spenzolavano dalla cima di quelli le lor campanelle candide
e molli: là una zucca selvatica, co' suoi chicchi vermigli, s'era
avviticchiata ai nuovi tralci d'una vite; la quale, cercato in-
vano un più saldo sostegno, aveva attaccati a vicenda i suoi
viticci a quella; e, mescolando i loro deboli steli e le loro fo-
glie poco diverse, si tiravan giù, pure a vicenda, come accade
spesso ai deboli che si prendon 1' uno con 1' altro per ap-
poggio. Il rovo era per tutto; andava da una pianta all'al-
tra, saliva, scendeva, ripiegava i rami o gli stendeva, secondo
gli riuscisse; e, attraversato davanti al limitare stesso, pareva
che fosse lì per contrastare il passo, anche al padrone.
Ma questo non si curava d' entrare in una tal vigna; e
forse non istette tanto a guardarla, quanto noi a farne questo
po' di schizzo. Tirò di lungo: poco lontano c'era la sua,
casa; attraversò l'orto, camminando fino a mezza gamba tra
1' erbacce di cui era popolato, coperto, come la vigna. Mise
piede sulla soglia d' una delle due stanze che e' era a terre-
no: ai rumore de' suoi passi, al suo affacciarsi, uno scompi-
glio, uno scappare incrocicchiato di topacci, un cacciarsi den-
tro il sudiciume che copriva tutto il pavimento: era ancora il
letto de' lanzichenecchi. Diede un'occhiata alle pareti: scro-
state, imbrattate, affumicate. Alzò gli occhi al palco : un pa-
rato di ragliateli. Non e' era altro. Se n' andò anche di là,
mettendosi le mani ne' capelli: tornò indietro, rifacendo il
sentiero che aveva aperto lui, un momento prima; dopo po-
chi passi, prese un'altra straducola a mancina, che metteva
ne* campi; e senza veder né sentire anima vivente, arrivò vi-
CAPITOLO XXXIII. 431
cino alla casetta dove aveva pensato di fermarsi. Già prin-
cipiava a farsi buio. L'amico era sull'uscio, a sedere sur
un panchetto di legno, con le braccia incrociate, con gli occhi
fissi al cielo, come un uomo sbalordito dalle disgrazie, e in-
salvatichito dalla solitudine. Sentendo un calpestìo, si voltò
a guardar chi fosse, e, a quel che gli parve di vedere così
al barlume, tra i rami e le fronde, disse, ad alta voce, rizzan-
dosi e alzando le mani: «non ci son che io? non ne ho fatto
abbastanza ieri? Lasciatemi un po' stare, che sarà anche
questa un'opera di misericordia.))
Renzo, non sapendo cosa volesse dir questo, gli rispose
chiamandolo per nome.
«Renzo! .... » disse quello, esclamando insieme e inter-
rogando.
«Proprio,» disse Renzo; e si corsero incontro.
«Sei proprio tu!» disse l'amico, quando furon vicini:
«oh che gusto ho di vederti? Chi l'avrebbe pensato? T'ave-
vo preso per Paolin de' morti, che vien sempre a tormentar-
mi, perchè vada a sotterrare. Sai che son rimasto solo? so-
lo! solo, come un romito!»
«Lo so pur troppo,» disse Renzo. E così, barattando e
mescolando in fretta saluti, domande e risposte, entrarono in-
sieme nella casuccia. E lì, senza sospendere i discorsi, 1' ami-
co si mise in faccende per fare un po' d' onore a Renzo, co-
me si poteva così all' improvviso e in quel tempo. Mise F ac-
qua al fuoco e cominciò a far la polenta; ma cede poi il mat-
terello a Renzo, perchè la dimenasse: e se n'andò dicendo:
«son rimasto solo; ma! son rimasto solo!»
Tornò con un piccol secchio di latte, con un po' di carne
secca, con un paio di raveggioli, con fichi e pesche; e posato
il tutto, scodellata la polenta sulla tafferia, si misero insieme
a tavola, ringraziandosi scambievolmente, l'uno della visit^-
l' altro del ricevimento. E, dopo un'assenza di forse due
anni, si trovarono a un tratto molto più amici di quello che
avesser mai saputo d' essere nel tempo che si vedevano quasi
ogni giorno; perchè all'uno e all'altro, dice qui il mano-
scritto, eran toccate di quelle cose che fanno conoscere che
balsamo sia all'animo la benevolenza; tanto quella che si
sente, quanto quella che si trova negli altri.
Certo, nessuno poteva tenere presso di Renzo il luogo
d'Agnese, né consolarlo della di lei assenza, non solo per
queir antica e speciale affezione, ma anche perchè, tra le cose
che a lui premeva di decifrare, ce n' era una di cui essa sola
aveva la chiave. Stette un momento tra due, se dovesse con-
tinuare il suo viaggio, o andar prima in cerca d'Agnese,
giacché n'era così poco lontano; ma, considerato che della
salute di Lucia, Agnese non ne saprebbe nulla, restò nel pri-
432 I PROMESSI SPOSI.
mo proposito, d'andare addirittura a levarsi questo dubbio,
e aver la sua sentenza, e di portar poi lui le nuove alla ma-
dre. Però , anche dall' amico seppe molte cose che ignorava.
e di molte venne in chiaro che non sapeva bene, sui casi di
Lucia, e sulle persecuzioni che gli avevan fatte a lui, e come
don Rodrigo se n'era andato con la coda tra le gambe, e
non s'era più veduto da quelle parti; insomma su tutto quel-
T intreccio di cose. Seppe anche (e non era per Renzo co-
gnizione di poca importanza) come fosse proprio il casato di
don Ferrante: che Agnese gliel aveva bensì fatto scrivere dal
suo segretario; ma sa il cielo com'era stato scritto; e l'in-
terprete bergamasco, nel leggergli la lettera, n'aveva fatta
una parola tale, che se Renzo fosse andato con essa a cercar
ricapito di quella casa in Milano, probabilmente non avrebbe
trovato persona che indovinasse di chi voleva parlare. Ep-
pure quello era l'unico filo che avesse, per andar in cerca
di Lucia. In quanto alla giustizia potè confermarsi sempre
più ch'era un pericolo abbastanza lontano, per non darsene
gran pensiero: il signor podestà era morto di peste: chi sa
quando se ne manderebbe un altro; anche la sbirraglia se
n'era andata la più parte; quelli che rimanevano avevan tut-
t' altro da pensare che alle cose vecchie.
Raccontò anche lui all'amico le sue vicende, e n'ebbe in
contraccambio cento storie, del passaggio dell'esercito, della
peste, d'untori, di prodigi. «Son cose brutte,» disse l'ami-
co, accompagnando Renzo in una camera che il contagio ave-
va resa disabitata; «cose che non si sarebbe mai creduto di
vedere; cose da levarvi l'allegria per tutta la vita; ma però,
a parlarne tra amici, è un sollievo.»
Allo spuntar del giorno, eran tutt' e due in cucina; Ren-
zo in arnese di viaggio, con la sua cintura nascosta sotto il
farsetto, e il coltellaccio nel taschino de' calzoni: il fagottino,
per andar più lesto, lo lasciò in deposito presso all' ospite,
a Se la mi va bene,» gli disse, «se la trovo in vita, se ....
basta .... ripasso di qui; corro a Pasturo, a dar la buona
nuova a quella povera Agnese, e poi, e poi .... Ma se, per
disgrazia, per disgrazia che Dio non voglia .... allora, non
so quel che farò, non so dov'anderò: certo, da queste parti
non mi vedete più.» E così parlando, ritto sulla soglia del-
l'uscio, con la testa per aria, guardava con un misto di te-
nerezza e d'accoramento, l'aurora del suo paese che non
aveva più veduta da tanto tempo. L' amico gli disse, come
s' usa, di sperar bene; volle che prendesse con sé qualcosa
da mangiare; 1' accompagnò per un pezzetto di strada, e lo
lasciò con nuovi augùri.
Renzo s'incamminò con la sua pace, bastandogli d'arri-
var vicino a Milano in quel giorno, per entrarci il seguente
CAPITOLO XXXIV. 433
di buon' ora. e cominciar subito la sua ricerca. Il viaggio fu
senza accidenti e senza nulla che potesse distrai' Renzo
da' suoi pensieri, fuorché le solite miserie e malinconie. Come
aveva fatto il giorno avanti, si fermò a suo tempo, in un bo-
schetto a mangiare un boccone, e a riposarsi. Passando per
Monza, davanti a una bottega aperta, dove c'era de' pani in
mostra, ne chiese due. per non rimanere sprovvisto, in ogni
caso. Il fornaio gì' intimò di non entrare, e gli porse sur
una piccola pala una scodeìletta, con dentro acqua e aceto,
dicendogli che buttasse lì i denari; e fatto questo, con certe
molle, gli porse, l'uno dopo l'altro, i due pani, che Renzo
si mise uno per tasca.
Verso sera, arriva a Greco, senza però saperne il nome:
ma. tra un po' di memoria de' luoghi, che gli era rimasta
dell'altro viaggio, e il calcolo del cammino fatto da Monza
in poi, congetturando che doveva esser poco lontano dalla
città, uscì dalla strada maestra, per andar ne' campi in cerca
di qualche cascinotto, e lì passar la notte; che con osterie
non si voleva impicciare. Trovò meglio di quel che cercava :
vide un' apertura in una siepe che cingeva il cortile d' una
cascina; entrò a buon conto. Non c'era nessuno: vide da
un canto un gran portico, con sotto del fieno ammontato, e a
quello appoggiata una scala a mano: diede un' occhiata in
giro, e poi salì alla ventura; s'accomodò per dormire, e in-
fatti s'addormentò subito, per non destarsi che all'alba. Al-
lora, andò carpon carponi verso l'orlo di quel gran letto;
mise la testa fuori, e non vedendo nessuno, scese di dov' era
salito, uscì di dov'era entrato, s'incamminò per viottole,
prendendo per sua stella polare il duomo; e dopo un brevis-
simo cammino, venne a sbucar sotto le mura di Milano, tra
porta Orientale e porta Nuova, e molto vicino a questa.
CAPITOLO XXXIV.
In quanto alla maniera di penetrare in città, Renzo aveva
sentito, così all'ingrosso, che e' eran ordini severissimi di
non lasciar entrar nessuno, senza bulletta di sanità; ma che
invece ci s'entrava benissimo, chi appena sapesse un po'aiu-
tarsi a cogliere il momento. Era infatti così; e lasciando an-
che da parte le cause generali, per cui in que' tempi ogni
ordine era poco eseguito: lasciando da parte le speciali, che
rendevano così malagevole la rigorosa esecuzione di questo:
Milano si trovava ormai in tale stato, da non veder cosa gio-
vasse guardarlo, e da cosa: e chiunque ci venisse, poteva pa-
Manzoki. 23
434 I PROMESSI SPOSI.
rer piuttosto noncurante della propria salute, che pericoloso
a quella de' cittadini.
Su queste notizie, il disegno di Renzo era di tentare d'en-
trar dalla prima porta a cui si fosse abbattuto; se ci fosse
qualche intoppo, riprender le mura di fuori, finché ne trovasse
un' altra di più facile accesso. E sa il cielo quante porte
s' immaginava che Milano dovesse avere. Arrivato dunque
sotto le mura, si fermò a guardar d'intorno, come fa chi,
non sapendo da che parte gli convenga di prendere, par che
n' aspetti , e ne chieda qualche indizio da ogni cosa. Ma , a
destra e a sinistra, non vedeva che due pezzi d'una strada
storta; dirimpetto, un tratto di mura; da nessuna parte, nes-
sun segno d'uomini viventi; se non che, da un certo punto
del terrapieno, s'alzava una colonna d'un fumo oscuro e
denso, che salendo s'allargava e s'avvolgeva in ampi globi,
perdendosi poi nell' aria immobile e bigia. Eran vestiti,
letti e altre masserizie infette che si bruciavano: e di tali
triste fiammate se ne faceva di continuo , non lì soltanto , ma
in varie parti delle mura.
Il tempo era chiuso, l'aria pesante, il cielo velato per
tutto da una nuvola o da un nebbione uguale, inerte, che pa-
reva negare il sole, senza prometter la pioggia; la campagna
d'intorno parte incolta, e tutta arida; ogni verzura scolorita,
e neppure una gocciola di rugiada sulle foglie passe e ca-
scanti. Per di più, quella solitudine, quel silenzio, così vi-
cino a una gran città, aggiungevano una nuova costernazione
all' inquietudine di Renzo, e rendevan più tetri tutti i suoi
pensieri.
Stato lì alquanto, prese la diritta, alla ventura, andando,
senza saperlo, verso porta Nuova, della quale, quantunque vi-
cina, non poteva accorgersi, a cagione d'un baluardo, dietro
cui era allora nascosta. Dopo pochi passi principiò a sen-
tire un tintinnìo di campanelli, che cessava e ricominciava
ogni tanto, e poi qualche voce d' uomo. Andò avanti e, pas-
sato il canto del baluardo, vide per la prima cosa, un casotto
di legno, e sull'uscio, una guardia appoggiata al moschetto,
con una cert' aria stracca e trascurata: dietro c'era uno
stecconato, e dietro quello, la porta, cioè due alacce di muro,
con una tettoia sopra, per riparare i battenti; i quali erano
spalancati, come pure il cancello dello stecconato. Però, da-
vanti all'apertura, c'era in terra un tristo impedimento: una
barella, sulla quale due monatti accomodavano un poverino,
per portarlo via. Era il capo de' gabellieri, a cui, poco pri-
ma, s'era scoperta la peste. Renzo si fermò, aspettando la
fine: partito il convoglio, e non venendo nessuno a richiudere
il cancello, gli parve tempo, e ci s'avviò in fretta; ma la
guardia, con una manieracela, gli gridò: «olà!» Renzo si
CAPITOLO XXXÌV. 435
fermo di nuovo su due piedi, e, datogli d'occhio, tirò fuori
un mezzo ducatene, e glielo fece vedere. Colui, o che avesse
già avuta la peste, o che la temesse meno di quel che amava
i mezzi ducatoni, accennò a Renzo che glielo buttasse; e, vi-
stoselo volar subito a' piedi, suscitò: va innanzi presto.)
Renzo non se lo fece dir due volte; passò lo stecconato, pas-
sò la porta, andò avanti, senza che nessuno s'accorgesse dì
lui, o gli badasse; se non che quando ebbe latti forse qua-
ranta passi, sentì un altro «olà» che un gabelliere gli gridava
dietro. Questa volta, fece le viste di non sentire, e, senza
voltarsi nemmeno, allungò il passo. «Olà!') gridò di nuovo il
gabelliere, con una voce però che indicava più impazienza
che risoluzione di farsi ubbidire; e, non essendo ubbidito,
alzò le spalle, e tornò nella sua casaccia, come persona a cui
premesse più di non accostarsi troppo ai passeggieri, che
d' informarsi de' fatti loro.
La strada che Renzo aveva presa, andava allora, come
adesso, diritta fino al canale detto il Naviglio: i lati erano
siepi o muri d' orti, chiese e conventi, e poche case. In cima
a questa strada, e nel mezzo di quella che costeggia il ca-
nale, c'era una colonna, con una croce detta la croce di
sant" Eusebio. E per quanto Renzo guardasse innanzi, non
vedeva altro che quella croce. Arrivato al crocicchio che di-
vide la strada circa alla metà, e guardando dalle due pani,
vide a diritta, in quella strada che si chiama lo stradone di
santa Teresa, un cittadino che veniva appunto verso lui. —
Un cristiano finalmente! — disse tra sé; e si voltò subito da
quella parte pensando di farsi insegnar la strada da lui.
Questo pure aveva visto il forestiero che s'avanzava; e an-
dava squadrandolo da lontano, con uno sguardo sospettoso;
e tanto più quando s'accorse che, in vece d'andarsene per i
fatti suoi, gli veniva incontro. Renzo, quando fu poco di-
stante, si levò il cappello, da quel montanaro rispettoso che
era; e tenendolo con la sinistra, mise l1 altra mano nel co-
cuzzolo, e andò più direttamente verso lo sconosciuto. Ma
questo, stralunando gli occhi affatto, fece un passo addietro,
alzò un noderoso bastone e voltata la punta, eh' era di ferro,
alla vista di Renzo, gridò: «via! via! via!»
■Oli oh!' gridò il giovine anche lui; rimise il cappello in
testa, e, avendo tutt' altra voglia, come diceva poi, quando
raccontava la cosa, che di metter su lite in quel momento,
voltò le spalle a quello stravagante, e continuò la sua strada,
o, per meglio dire, quella in cui si trovava avviato.
L'altro tirò avanti anche lui per la sua, tutto fremente,
e voltandosi ogni momento indietro. E arrivato a casa, rac-
contò che gli s' era accostato un untore con un' aria umile,
mansueta, con un viso d' infame impostore, con lo scatolino
28*
436 I PROMESSI SPOSI.
dell' unto , o Y involtino della polvere (non era ben certo qual
de' due) in mano, nel cocuzzolo del cappello, per fargli il tiro,
se lui non l'avesse saputo tener lontano. «Se mi s'accostava
un passo di più,» soggiunse, e l'infilavo addirittura, prima
che avesse tempo d' accomodarmi me, il birbone. La disgra-
zia fu eh' eravamo in un luogo così solitario , che se era in
mezzo Milano, chiamavo gente, e mi facevo aiutare a acchiap-
parlo. Sicuro che gli si trovava quella scellerata porcheria
nel cappello. Ma lì da solo a solo, mi son dovuto contentare
di fargli paura, senza risicare di cercarmi un malanno; per-
chè un po' di polvere è subito buttata: e coloro hanno una
destrezza particolare; e poi hanno il diavolo dalla loro. Ora
sarà in giro per Milano: chi sa che strage fa!» E fin che
visse, che fu per molt'anni, ogni volta che si parlasse d'un-
tori, ripeteva la sua storia, e soggiungeva: «quelli che so-
stengono ancora che non era vero, non lo vengano a dire a
me; perchè le cose bisogna averle viste.»
Renzo, lontano dall' immaginarsi come l'avesse scampata
bella, e agitato più dalla rabbia che dalla paura, pensava,
camminando, a quell'accoglienza, e indovinava bene a un di
presso ciò che lo sconosciuto aveva pensato di lui; ma la cosa
gli pareva così irragionevole, che concluse tra sé che colui
doveva essere un qualche mezzo matto. — La principia male,
— pensava però: — par che ci sia un pianeta per me, in
questo Milano. Per entrare, tutto mi va a seconda, e poi,
quando ci son dentro, trovo i dispiaceri lì apparecchiati.
Basta .... coli' aiuto di Dio .... se trovo .... se ci riesco
a trovare .... eh ! tutto sarà stato niente. —
Arrivato al ponte, voltò, senza esitare, a sinistra, nella
strada di san Marco, parendogli, a ragione, che dovesse con-
durre verso l' interno della città. E andando avanti, guardava
in qua e in là, per veder se poteva scoprire qualche creatura
umana; ma non ne vide altra che uno sformato cadavere nel
piccol fosso che corre tra quelle poche case (che allora erano
anche meno) e un pezzo della strada. Passato quel pezzo,
sentì gridare: «o quell'uomo!» e guardando da quella parte,
vide poco lontano a un terrazzino d'una casuccia isolata, UEa
povera donna, con una nidiata di bambini intorno; la quale,
seguitandolo a chiamare, gli fece cenno anche con la mano.
Ci andò di corsa; e quando fu vicino, <<o quel giovine,» disse
quella donna: «per i vostri poveri morti, fate la carità d'an-
dare a avvertire il commissario che siamo qui dimenticati.
Ci hanno chiusi in casa come sospetti, perchè il mio povero
marito è morto; ci hanno inchiodato l'uscio, come vedete; e
da ier mattina, nessuno è venuto a portarci da mangiare. In
tante ore che siam qui, non m' è mai capitato un cristiano
CAPITOLO XXXIV. 437
che me la facesse questa carità: e questi poveri innocenti
moion di fame.»
«Di fame!» esclamò Renzo: e, cacciate le mani nelle ta-
sche, «ecco, ecco.» disse, tirando fuori i due pani: «calatemi
giù qualcosa da metterli dentro.»
«Dio ve ne renda merito; aspettate un momento,» disse
quella donna; e andò a cercare un paniere, e una fune da
calarlo , come fece. A Renzo intanto gli vennero in mente
que' pani che aveva trovati vicino alla croce, nell'altra sua
entrata in Milano, e pensava: — ecco: è una restituzione, e
forse meglio che se gli avessi restituiti al proprio padrone;
perchè qui è veramente un' opera di misericordia. —
«In quanto al commissario che dite, la mia donna,» disse
poi, mettendo i pani nel paniere, «io non vi posso servire in
nulla; perchè per dirvi la verità -3 son forestiero, e non son
niente pratico di questo paese. Però, se incontro qualche
uomo un po' domestico e umano, da potergli parlare, lo dirò
a lui.»
La donna lo pregò che facesse così, e gli disse il nome
della strada, onde lui sapesse indicarla.
«Anche voi,» riprese Renzo, «credo che potrete farmi un
piacere, una vera carità, senza vostro incomodo. Una casa di
cavalieri, di gran signoroni; qui di Milano, casa***, sapreste
insegnarmi dove sia?»
«So che la c'è questa casa,» rispose la donna: «ma dove
sia non lo so davvero. Andando avanti di qua, qualcheduno
die ve la insegni, lo troverete. E ricordatevi di dirgli anche
di noi.»
«Non dubitate,» disse Renzo, e andò avanti.
A ogni passo, sentiva crescere e avvicinarsi un rumore,
che già aveva cominciato a sentire mentre era lì fermo a di-
scorrere: un rumor di ruote e di cavalli, con un tintinnìo di
campanelli, e ogni tanto un chiocchiar di fruste, con un ac-
compagnamento d'urli. Guardava innanzi, ma non vedeva
nulla. Arrivato allo sbocco di quella strada, scoprendosegli
davanti la piazza di san Marco, la prima cosa che gli diede
nell'occhio, furon due travi ritte, con una corda, e con certe
carrucole; e non tardò a riconoscere (ch'era cosa famigliare
in quel tempo) 1' abbominevole macchina della tortura. Era
rizzata in quel luogo, e non in quello soltanto, ma in tutte le
piazze e nelle strade più spaziose, affinchè i deputati d'ogni
quartiere, muniti a questo d' ogni facoltà più arbitraria, po-
tessero farci applicare immediatamente chiunque paresse loro
meritevole di pena: o sequestrati che uscissero di casa, o sub-
alterni che non facessero il loro dovere, o chiunque altro.
Era uno di que' rimedi eccessivi e inefficaci de1 quali a quel
438 I PROMESSI SPOSI.
tempo, e in que' momenti specialmente, sì faceva tanto scia-
lacquìo.
Ora, mentre Renzo guarda quello strumento, pensando
perchè possa essere alzato in quel luogo, sente avvicinarsi
sempre più il rumore, e vede spuntar dalla cantonata della
chiesa un uomo che scoteva un campanello: era un appari-
tore; e dietro a lui due cavalli che, allungando il collo, e
puntando le zampe, venivano avanti a fatica; e strascinato da
quelli, un carro di morti, e dopo quello un altro, e poi un
altro e un altro; e di qua e di là, monatti alle costole de' ca-
valli, spingendoli, a frustate, a punzoni, a bestemmie. Eran
que' cadaveri, la più parte ignudi, alcuni mal involtati di
qualche cencio; ammonticchiati, intrecciati insieme, come un
gruppo di serpi che lentamente si svolgano al tepore della
primavera; che, a ogni intoppo, a ogni scossa, si vedevan
que' mucchi funesti tremolare e scompaginarsi bruttamente, e
ciondolar teste, e chiome verginali arrovesciarsi, e braccia
svincolarsi, e batter sulle rote, mostrando all' occhio già in-
orridito come un tale spettacolo poteva divenire più doloroso
e più sconcio.
Il giovine s'era fermato sulla cantonata della piazza, vi-
cino alla sbarra del canale, e pregava intanto per que' morti
sconosciuti. Un atroce pensiero gli balenò in mente: — forse
là, là insieme, là sotto .... Oh, Signore! fate che non sia
vero ! fate eh' io non ci pensi ! —
Passato il convoglio funebre, Renzo si mosse, attraversò
la piazza, prendendo lungo il canale a mancina, senz' altra
ragione della scelta, se non che il convoglio era andato dal-
l'altra parte. Fatti que' quattro passi tra il fianco della chie-
sa e il canale, vide a destra il ponte Marcellino; prese di lì
e riuscì in Borgo Nuovo. E, guardando innanzi, sempre con
quella mira di trovar qualcheduno da farsi insegnar la strada,
vide in fondo a quella un prete in farsetto, con un bastoncino
in mano, ritto vicino a un uscio socchiuso, col capo chinato,
e l'orecchio allo spiraglio; e poco dopo lo vide alzar la mano
e benedire. Congetturò quello eh' era di fatto, cioè che finisse
di confessar qualcheduno; e disse tra sé: — questo è l'uomo
che fa per me. Se un prete, in funzion di prete, non ha un
po' di carità, un po' d' amore e di buona grazia, bisogna dire
che non ce ne sia più in questo mondo. —
Intanto il prete, staccatosi dall'uscio, veniva dalla parte
di Renzo, tenendosi, con gran riguardo, nel mezzo della strada.
Renzo, quando gli fu vicino, si levò il cappello, e gli accennò
che desiderava parlargli , fermandosi nello stesso tempo in
maniera da fargli intendere che non si sarebbe accostato di
più. Quello pure si fermò, in atto di stare a sentire, pun-
tando però in terra il suo bastoncino davanti a sé, come per
CAPITOLO XXXIV. 439
farsene un baluardo. Renzo espose la sua domanda, alla
quale il prete soddisfece, non solo col dirgli il nome della
strada dove la casa era situata, ma dandogli anche, come vide
che il poverino n'aveva bisogno, un po' d: itinerario; indican-
dogli, cioè, a forza di diritte e di mancine, di chiese e di
croci, queir altre sei o otto strade che aveva da passare per
arrivarci.
«Dio la mantenga sano in questi tempi, e sempre,» disse
Renzo: e mentre quello si moveva per andarsene, «un'altra
carità,» soggiunse; e gli disse della povera donna dimenticata.
Il buon prete ringraziò lui d' avergli dato occasion di fare
una carità così necessaria; e, dicendo che andava ad avver-
tire chi bisognava, tirò avanti. Renzo si mosse anche lui, e,
camminando , cercava di fare a sé una ripetizione dell' itine-
rario, per non esser da capo a dover domandare a ogni can-
tonata. Ma non potreste immaginarvi come quell' operazione
gli riuscisse penosa, e non tanto per la difficoltà della cosa
in sé, quanto per un nuovo turbamento che gli era nato nel-
T animo. Quel nome della strada, quella traccia del cammino
l' aveva messo così sottosopra. Era 1' indizio che aveva de-
siderato e domandato, e del quale non poteva far di meno;
nò gli era stato detto nient' altro, da che potesse ricavare
nessun augurio sinistro; ma che volete? quell'idea un po' più
distinta d'un termine vicino, dove uscirebbe d'una grand' in-
certezza, dove potrebbe sentirsi dire: è viva, o sentirsi dire:
è morta: quell'idea l'aveva così colpito, che, in quel mo-
mento , gli sarebbe piaciuto più di trovarsi ancora al buio di
tutto, d'essere al principio del viaggio, di cui ormai toccava
la line. Raccolse però le sue forze, e disse a sé stesso: —
ehi! se principiamo ora a fare il ragazzo, com' anderà? —
Così rinfrancato alla meglio, seguitò la sua strada, inoltran-
dosi nella città.
Quale città! o cos'era mai al paragone, quello ch'era
stata l'anno avanti, per la cagion della fame!
Renzo s' abbatteva appunto a passare per una delle parti
più squallide e più desolate: quella crociata di strade che si
chiamava il carrobio di porta Nuova. (C era allora una
croce nel mezzo, e, dirimpetto ad essa, accanto a dove ora è
san Francesco di Paola, una vecchia chiesa col titolo di
sant' Anastasia.) Tanta era stata in quel vicinato la furia del
contagio, e il fetor de' cadaveri lasciati lì, che i pochi rimasti
vivi, erano stati costretti a sgomberare: sicché, alla mestizia
che dava al passeggiero quell' aspetto di solitudine e d' ab-
bandono, s'aggiungeva l'orrore e lo schifo delle tracce e
degli avanzi della recente abitazione. Renzo affrettò il passo,
facendosi coraggio col pensare che la meta non doveva essere
così vicina, e sperando che, prima d'arrivarci, troverebbe
440 I PROMESSI SPOSI.
mutata, almeno in parte, la scena; e infatti, di lì a non molto,
riuscì in un luogo che poteva pur dirsi città di viventi; ma
quale città ancora, e quali viventi! Serrati, per sospetto e
per terrore, tutti gli usci di strada, salvo quelli che fossero
spalancati per esser le case disabitate, o invase; altri inchio-
dati e sigillati, per esser nelle case morta o ammalata gente
di peste; altri segnati d'una croce fatta col carbone, per in-
dizio ai monatti, che e* eran dei morti da portar via: il tutto
più alla ventura che altro, secondo che si fosse trovato piut-
tosto qua che là un qualche commissario della Sanità o altro
impiegato, che avesse voluto eseguir gli ordini, o fare
un" angheria. Per tutto cenci e, più ributtanti de" cenci, fasce
marciose, strame ammorbato, o lenzoli buttati dalle finestre;
talvolta corpi, o di persone morte all' improvviso, nella
strada, e lasciati lì fin che passasse un carro da portarli via,
o cascati da' carri medesimi, o buttati anch'essi dalle fine-
stre: tanto l'insistere e l'imperversar del disastro aveva in-
salvatichiti gli animi, e fatto dimenticare ogni cura di pietà,
ogni riguardo sociale! Cessato per tutto ogni rumor di bot-
teghe, ogni strepito di carrozze, ogni grido di venditori, ogni
chiacchierìo di passeggieri, era ben raro che quel silenzio di
morte fosse rotto da altro che da rumor di carri funebri, da
lamenti di poveri, da rammarichìo d" infermi, da urli di fre-
netici, da grida di monatti. All' alba, a mezzogiorno, a sera,
una campana del duomo dava il segno di recitar certe preci
assegnate dall' arcivescovo : a quel tocco rispondevan le cam-
pane dell' altre chiese ; e allora avreste veduto persone affac-
ciarsi alle finestre, a pregare in comune; avreste sentito un
bisbiglio di voci e di gemiti, che spirava una tristezza mista
pure di qualche conforto.
Morti a quell' ora forse i due terzi de' cittadini, andati via
o ammalati una buona parte del resto, ridotto quasi a nulla
il concorso della gente di fuori, de" pochi che andavan per le
strade, non se ne sarebbe per avventura, in un lungo giro,
incontrato uno solo in cui non si vedesse qualcosa di strano,
e che dava indizio d' una funesta mutazione di cose. Si ve-
devano gli uomini più qualificati, senza cappa né mantello,
parte allora essenzialissima del vestiario civile: senza sottana
i preti, e anche de' religiosi in farsetto; dismessa in somma
ogni sorta di vestito che potesse con gli svolazzi toccar qual-
che cosa, o dare (ciò che si temeva più di tutto il resto) agio
agli untori. E fuor di questa cura d" andar succinti e ristretti
il più che fosse possibile, negletta e trasandata ogni persona;
lunghe le barbe di quelli che usavan portarle, cresciute a
quelli che prima costumavan di raderle; lunghe pure e arruf-
late le capigliature, non solo per quella trascuranza che nasce
eia un invecchiato abbattimento, ma per esser divenuti sospetti
CAPITOLO XXXIV. 441
i barbieri, da che era stato preso e condannato, come untor
famoso, uno di loro, Giangiacomo Mora: nome che per un
pezzo, conservò una celebrità municipale d' infamia, e ne me-
riterebbe una ben più diffusa e perenne di pietà. I più tene-
vano da una mano un bastone, alcuni anche una pistola, per
avvertimento minaccioso a chi avesse voluto avvicinarsi trop-
po; dall'altra pasticche odorose, o palle di metallo o di le-
gno traforate, con dentro spugne inzuppate d'aceti medicati;
e se le andavano ogni tanto mettendo al naso, o ce le tene-
vano di continuo. Portavano alcuni attaccata al collo una
boccetta con dentro un po' d' argento vivo, persuasi che avesse
la virtù d' assorbire e di ritenere ogni esalazione pestilen-
ziale; e avevan poi cura di rinnovarlo ogni tanti giorni. I
gentiluomini, non solo uscivano senza il solito seguito, ma si
vedevano, con una sporta in braccio, andare a comprar le
cose necessarie al vitto. Gli amici, quando pur due s' incon-
trassero per la strada, si salutavan da lontano, con cenni ta-
citi e frettolosi. Ognuno, camminando, aveva molto da fare,
per iscansare gli schifosi e mortiferi inciampi di cui il terreno
era sparso e, in qualche luogo, anche affatto ingombro : ognu-
no cercava di stare in mezzo alla strada, per timore d' altro
sudiciume, o d' altro più funesto peso che potesse venir giù
dalle finestre; per timore delle polveri venefiche che si diceva
essere spesso buttate da quelle su' passeggieri ; per timore
delle muraglie che potevan esser unte. Così l'ignoranza, co-
raggiosa e guardinga alla rovescia, aggiungeva ora angustie
all' angustie, e dava falsi terrori, in compenso de' ragionevoli
e salutari che aveva levati da principio.
Tal era ciò che di meno deforme e di men compassione-
vole si faceva vedere intorno, i sani, gli agiati: che, dopo
tante immagini di miseria, e pensando a quella ancor più
grave, per mezzo alla quale dovrem condurre il lettore, non
ci fermeremo ora a dir qual fosse lo spettacolo degli appestati
che si strascicavano o giacevano per le strade, de' poveri, de'
fanciulli, delle donne. Era tale, che il riguardante poteva tro-
var quasi un disperato conforto in ciò che ai lontani e ai po-
steri fa la più forte e dolorosa impressione; nel pensare, di-
co, nel vedere quanto quei viventi fossero ridotti a pochi.
In mezzo a questa desolazione aveva Renzo fatto già una
buona parte del suo cammino, quando, distante ancor molti
passi da una strada in cui doveva voltare, sentì venir da
quella un vario frastono, nel quale si faceva distinguere quel
solito orribile tintinnìo.
Arrivato alla cantonata della strada, eh' era una delle più
larghe, vide quattro carri fermi nel mezzo; e come, in un
mercato di granaglie, si vede un andare e venire di gente,
un caricare e un rovesciar di sacchi, tale era il movimento
442 I PROMESSI SPOSI.
in quel luogo: monatti eh' entravan nelle -case, monatti
che n' uscivano con un peso su le spalle, e lo mettevano su
l'uno o l'altro carro: alcuni con la divisa rossa, altri senza
quel distintivo, molti con uno ancor più odioso, pennacchi e
fiocchi di vari colori, che quegli sciagurati portavano come per
segno d' allegria, in tanto pubblico lutto. Ora da una, ora
da un'altra finestra, veniva una voce lugubre: «qua, monat-
ti!-) E con suono ancor più sinistro, da quel tristo brulichìo
usciva qualche vociacela che rispondeva: «ora, ora.» Ovvero
eran pigionali che brontolavano, e dicevano di far presto: ai
quali i monatti rispondevano con bestemmie.
Entrato nella strada, Renzo allungò il passo, cercando di
non guardar quegl' ingombri, se non quanto era necessario
per iscansarli; quando il suo sguardo s'incontrò in un og-
getto singolare di pietà, d' una pietà che invogliava 1" animo
a contemplarlo; di maniera che si fermò, quasi senza volerlo.
Scendeva dalla soglia d' uno di quegli usci, e veniva verso
il convoglio, una donna, il cui aspetto annunciava una giovi-
nezza avanzata, ma non trascorsa; e vi traspirava una bellez-
za velata e offuscata, ma non guasta, da una gran passione,
e da un languor mortale : quella bellezza molle a un tempo
e maestosa, che brilla nel sangue lombardo. La sua andatura
era affaticata, ma non cascante; gli occhi non davan lacrime,
ma portavan segno d" averne sparse tante: c'era in quel do-
lore un non so che di pacato e di profondo, che attestava
un' anima tutta consapevole e presente a sentirlo. Ma non
era il solo suo aspetto che, tra tante miserie, la indicasse
così particolarmente alla pietà, e ravvivasse per lei quel sen-
timento ormai stracco e ammortito ne' cuori. Portava essa
in collo una bambina di forse nov' anni, morta; ma tutta ben
accomodata, co' capelli divisi sulla fronte, con un vestito bian-
chissimo, come se quelle mani 1' avessero adornata per una
festa promessa da tanto tempo, e data per premio. Né la
teneva a giacere, ma sorretta, a sedere sur un braccio, col
petto appoggiato al petto, come se fosse stata viva; se non
che una manina bianca a guisa di cera spenzolava da una parte,
con una certa inanimata gravezza, e il capo posava siili' ome-
ro della madre, con un abbandono più forte del sonno: della
madre, che, se anche la somiglianza de* volti non n' avesse
tatto fede, 1' avrebbe detto chiaramente quello de' due eh' espri-
meva ancora un sentimento.
Un turpe monatto andò per levarle la bambina dalle brac-
cia, con una specie però d'insolito rispetto, con un'esita-
zione involontaria. Ma quella, tirandosi indietro, senza però
mostrare sdegno né disprezzo, «no!" disse: «non me la toc-
cate per ora: devo metterla io su quel carro: prendete.;)
Così dicendo, aprì una mano, fece vedere una borsa, e la la-
CAPITOLO XXXIV. 443
sciò cadere in quella che il monatto le tese. Poi continuò:
-promettetemi di non levarle un filo d; intorno, né di la-
sciar che altri ardisca di farlo, e di metterla sotto terra
così.
Il monatto si mise una mano al petto; e poi, tutto pre-
muroso, e quasi ossequioso, più per il nuovo sentimento da
cui era come soggiogato, che per l'inaspettata ricompensa.
s' affaccendò a far un po' di posto sul carro per la morti-
cina. La madre, dato a questa un bacio in fronte, la mise
lì come sur un letto, ce 1' accomodò, le stese sopra un panno
bianco, e disse l'ultime parole: «addio, Cecilia! riposa in
pace ! Stasera verremo anche noi. per restar sempre in-
sieme. Prega intanto per noi; ch'io pregherò per te e per
gli altri.) Poi voltatasi di nuovo al monatto, <voi.» disse.
• passando di qui verso sera, salirete a prendere anche me, e
non me sola.»
Così detto, rientrò in casa, e, un momento dopo, s' affac-
ciò alla finestra, tenendo in collo un' altra bambina, più pic-
cola, viva, ma coi segni della morte in volto. Stette a con-
templare quelle cosi indegne esequie della prima, finché il
carro non si mosse, finché lo potè vedere: poi disparve. E
che altro potè fare, se non posar sul letto 1' unica che le ri-
maneva, e mettersele accanto per morire insieme? come il
flore già rigoglioso sullo stelo cade insieme col fiorellino an-
cora in boccia, al passar della falce che pareggia tutte Y erbe
del prato.
cOh Signore!-) esclamò Pienzo: «esauditela! tiratela a voi,
lei e la sua creaturina: hanno patito abbastanza! hanno pa-
tito abbastanza!
Riavuto da quella commozione straordinaria, e mentre cer-
ca di tirarsi in mente 1* itinerario per trovare se alla prima
strada deve voltare, e se a diritta o a mancina, sente anche
da questa venire un altro e diverso strepito, un suono con-
fuso di grida imperiose, di fiochi lamenti, un pianger di don-
ne, un mugolìo di fanciulli.
Andò avanti, con in cuore quella solita trista e oscura
aspettativa. Arrivato al crocicchio, vide da una parte una
moltitudine confusa che s' avanzava, e si fermò lì, per lasciar-
la passare. Erano ammalati che venivan condotti al lazzeret-
to ; alcuni, spinti a forza, resistevano in vano . invano giuda-
vano che volevan morire sul loro letto, e rispondevano con
inutili imprecazioni alle bestemmie e ai comandi de' monatti
che li guidavano ; altri camminavano in silenzio senza mostrar
dolore, né alcun altro sentimento, come insensati; donne coi
bambini in collo; fanciulli spaventati dalle grida, da quegli
ordini, da quella compagnia, più che dal pensiero confuso
della morte, i quali ad alte strida imploravano la madre e le
444 I PBOMESSI SPOSI.
sue braccia fidate, e la casa loro. Ahi! e forse la madre,
che credevano d'aver lasciata addormentata sul suo letto, ci
s'era buttata sorpresa tutt' a un tratto dalla peste; e stava
lì senza sentimento, per esser portata sur un carro al lazze-
retto, o alla fossa, se il carro veniva più tardi. Forse,
o sciagura degna di lacrime ancor più amare! la madre,
tutta occupata de' suoi patimenti, aveva dimenticato ogni
cosa, anche i figli, e non aveva più che un pensiero : di mo-
rire in pace. Pure, in tanta confusione, si vedeva ancora
qualche esempio di fermezza e di pietà: padri,, madri, fratel-
li, figli, consorti, che sostenevano i cari loro, e gli accompa-
gnavano con parole di conforto: né adulti soltanto, ma ra-
gazzetti, ma fanciulline che guidavano i fratellini più teneri,
e, con giudizio e con compassione da grandi, raccomandavano
loro d' essere ubbidienti, gli assicuravan che s' andava in un
luogo dove e' era chi avrebbe cura di loro per farli guarire.
In mezzo alla malinconia e alla tenerezza di tali viste,
una cosa toccava più sul vivo, e teneva in agitazione il no-
stro viaggiatore. La casa doveva esser lì vicina, e chi sa
se tra quella gente .... Ma passata tutta la comitiva, e ces-
sato quel dubbio, si voltò a un monatto che veniva dietro, e
gli domandò della strada e della casa di don Ferrante. «In
malora, tanghero,» fu la risposta che n'ebbe. Né si curò
di dare a colui quella che si meritava; ma, visto, a due pas-
si, un commissario che veniva in coda al convoglio, e aveva
un viso un po' più di cristiano, fece a lui la stessa doman-
da. Questo accennando con un bastone la parte donde ve-
niva, disse: «la prima strada a diritta, l'ultima casa grande
a sinistra.»
Con una nuova e più forte ansietà in cuore, il giovine
prende da quella parte. È nella strada; distingue subito la
casa tra l'altre, più basse e meschine; s'accosta al portone
che è chiuso, mette la mano sul martello, e ce la tien so-
spesa, come in un' urna prima di tirar su la polizza dove
fosse scritta la sua vita, o la sua morte. Finalmente alza il
martello, e dà un picchio risoluto.
Dopo qualche momento, s'apre un poco la finestra: una
donna fa capolino, guardando chi era, con un viso ombroso
che par che dica: monatti? vagabondi? commissari? untori?
diavoli?
«Quella signora,» disse Renzo guardando in su, e con
voce non troppo sicura: «ci sta qui a servire una giovine di
campagna, che ha nome Lucia?»
«La non e' è più; andate,» rispose quella donna, facendo
atto di chiudere.
«Un momento, per carità! La non c'è più? Dov'è?»
«Al lazzeretto;» e di nuovo voleva chiudere.
CAPITOLO XXXIV. 445
Ma un momento, per l'amor del cielo! Con la peste?»
«'Già. Cosa nuova, eh? Andate.»
(Oh povero me! Aspetti: era ammalata molto? Quanto
tempo è . . ..?»
Ma intanto la finestra fu chiusa davvero.
('Quella signora! quella signora! una parola, per carità!
per i suoi poveri morti! Xon le chiedo niente del suo: ohe!»
Ma era come dire al muro.
Afflitto della nuova, e arrabbiato della maniera, Renzo af-
ferrò ancora il martello, e, così appoggiato alla porta, andava
stringendolo e storcendolo, l'alzava per picchiar di nuovo
alla disperata, poi lo teneva sospeso. In quest' agitazione, >i
voltò per vedere se mai ci fosse d'intorno qualche vicino, da
cui potesse forse aver qualche informazione più precisa, qual-
che indizio, qualche lume. Ma la prima, 1' unica persona
che vide, fu un'altra donna, distante forse un venti passi;
la quale, con un viso eh' esprimeva terrore, odio, impazienza
e malizia, con cert' occhi stravolti che volevano insieme guar-
dar lui, e guardar lontano, spalancando la bocca come in atto
di gridare a più non posso, ma rattenendo anche il respiro,
alzando due braccia scarne, allungando e ritirando due mani
grinzose e piegate a guisa d' artigli, come se cercasse d' ac-
chiappar qualcosa, si vedeva che voleva chiamar gente, in
modo che qualcheduno ' non se nT accorgesse. Quando s' in-
contrarono a guardarsi, colei, fattasi ancor più brutta, si ri-
scosse come persona sorpresa.
'Che diamine....?» cominciava Renzo, alzando anche
lui le mani verso la donna; ma questa perduta la speranza
di poterlo far cogliere all' improvviso, lasciò scappare il gri-
do che aveva rattenuto fin allora: d'untore! dagli! dagli!
dagli all' untore!»
«Chi? io! ah strega bugiarda! sta zitta,» gridò Renzo;
e fece un salto verso lei, per impaurirla e farla chetare. Ma
s'avvide subito, che aveva bisogno piuttosto di pensare ai
casi suoi. Allo strillar della vecchia, accorreva gente di qua
e di là; non la folla che, in un caso simile, sarebbe stata,
tre mesi prima; ma più che abbastanza per poter fare d' un
uomo solo quel che volessero. Xello stesso tempo, s' aprì di
nuovo la finestra, e quella medesima sgarbata di prima ci
s'affacciò questa volta, e gridava anche lei: «pigliatelo, pi-
gliatelo; che dev'essere uno di que' birboni che vanno in
giro a unger le porte de' galantuomini.»
Renzo non istette lì a pensare: gli parve subito miglior
partito sbrigarsi da coloro, che rimanere a dir le sue ragio-
ni: diede un'occhiata a destra e a sinistra, da che parte ci
fosse men gente, e svignò di là. Rispinse con un urtone uno
che gli parava la strada; con un gran punzone nel petto, fece
446 I PROMESSI SPOSI.
dare indietro otto o dieci passi un altro che gli correva in-
contro; e via di galoppo, col pugno in aria, stretto, nocchiu-
to, pronto per qualunque altro gli fosse venuto tra' piedi. La
strada davanti era sempre libera; ma dietro le spalle sentiva
il calpestìo, e più forti del calpestìo, quelle grida amare
«dagli! dagli! all'untore!» Non sapeva quando fossero per
fermarsi ; non vedeva dove si potrebbe metter in salvo. L' ira
divenne rabbia, 1' angoscia si cangiò in disperazione, e, per-
so il lume degli occhi, mise mano al suo coltellaccio, lo
sfoderò, si fermò su due piedi, voltò indietro il viso più
torvo e più cagnesco che avesse fatto a' suoi giorni; e, col
braccio teso, brandendo in aria la lama luccicante, gridò:
echi ha cuore venga avanti , canaglia ! che 1' ungerò io dav-
vero con questo.»
Ma, con maraviglia, e con un sentimento confuso di con-
solazione, vide che i suoi persecutori s' eran già fermati, e
stavan lì come titubanti, e che, seguitando a urlare, facevan,
con le mani per aria, certi cenni da spiritati, come a gente
che venisse di lontano dietro a lui. Si voltò di nuovo, e vide
(che il gran turbamento non gliel aveva lasciato vedere un
momento prima, un carro che s' avanzava, anzi una fila di
que' soliti carri funebri, col solito accompagnamento, e die-
tro, a qualche distanza, un altro mucchietto di gente che
avrebbero voluto anche loro dare addosso all' untore, e pren-
derlo in mezzo; ma eran trattenuti dall' impedimento medesi-
mo. Vistosi così tra due fuochi, gli venne in mente che ciò
che era di terrore a coloro, poteva essere a lui di salvezza;
penò che non era tempo di far lo schizzinoso; rimise il col-
tellaccio nel fodero, si tirò da una parte, prese la rincorsa
verso i carri, passò il primo, e adocchiò nel secondo un
buono spazio vóto. Prende la mira, spicca un salto; è su,
piantato sul piede destro, col sinistro in aria, e con le brac-
cia alzate.
«Bravo! bravo!)) esclamarono a una voce i monatti, al-
cuni de' quali seguivano il convoglio a piedi, altri eran sedu-
ti sui carri, altri, per dire 1' orribil cosa com' era, sui cada-
veri, trincando da un gran fiasco che andava in giro. «Bra-
vo! bel colpo!-)
«Sei venuto a metterti sotto la protezione de' monatti; fa
conto d' essere in chiesa,» gli disse uno de' due che stavano
sul carro dov' era montato.
I nemici, all' avvicinarsi del treno, avevano, i più, voltate
le spalle, e se n'andavano, non lasciando di gridare: «da-
gli! dagli! all'untore!)) Qualcheduno si ritirava più adagio,
fermandosi ogni tanto, e voltandosi, con versacci e con gesti
di minaccia, a Renzo: il quale, dal carro, rispondeva loro
dibattendo i pugni in aria.
CAPITOLO XXXIV. 417
«Lascia fare a me," gli disse un monatto; e strappato
d'addosso a un cadavere un laido cencio, l'annodò in fretta.
e, presolo per una delle cocche, V alzò come una fionda ver-
so quegli ostinati, e fece le viste di buttarglielo, gridando:
«aspetta canagliata A quell'atto fuggiron tutti, inorriditi; e
Renzo non vide più che schiene di nemici, e calcagni che
ballavano rapidamente per aria, a guisa di gualchiere.
Tra i monatti s' alzò un urlo di trionfo, uno scroscio pro-
celloso di risa, un «uh» prolungato, come per accompagnar
quella fuga.
«Ah ah! vedi se noi sappiamo proteggere i galantuomi-
ni?') disse a Renzo quel monatto: «vai più uno di noi che
cento di que' poltroni.»
'Certo, posso dire che vi devo la vita,» rispose Renzo:
«e vi ringrazio con tutto il cuore.»
«Di che cosa?» disse il monatto: «tu lo meriti: si vede
che sei un bravo giovine. Fai bene a ungere questa canaglia:
ungili, estirpali costoro, che non vaglion qualcosa, se non
quando son morti; che, per ricompensa della vita che faccia-
mo, ci maledicono, e vanno dicendo che, finita la morìa ci
voglion fare impiccar tutti. Hanno a finir prima loro, che
la morìa; e i monatti hanno a restar soli, a cantar vittoria,
e a sguazzar per Milano.»
«Viva la morìa, e moia la marmaglia!» esclamò l'altro;
e, con questo bel brindisi, si mise il fiasco alla bocca, e, te-
nendolo con tutt' e due le mani, tra le scosse del carro, diede
una buona bevuta, poi Io porse a Renzo, dicendo: «bevi alla
nostra salute.'
«Ve l'auguro a tutti, con tutto il cuore,» disse Renzo:
"ma non ho sete; non ho proprio voglia di bere in questo
momento.»
«Tu hai avuto una bella paura, a quel che mi pare.>
disse il monatto: «m'hai aria d'un pover' uomo; ci vuol al-
tri visi a far 1' untore.»
«Ognuno s' ingegna come può,» disse V altro. -
«Dammelo qui a me.» disse uno di quelli che venivano
a piedi accanto al carro," che ne voglio bere anch' io un al-
tro sorso, alla salute del suo padrone, che si trova qui in
questa bella compagnia lì, lì, appunto, mi pare, in quella
bella carrozzata.»
E, con un suo atroce e maledetto ghigno, accennava il
carro davanti a quello su cui stava il povero Renzo. Poi, com-
posto il viso a un atto di serietà ancor più bieco e fellonesco,
fece una riverenza da quella parte, e riprese: «si contenta,
padron mio, che un povero monattuccio assaggi di quello del-
la sua cantina? Vede bene: si fa certe vite: siam quelli che
l'abbiam messo in carrozza, per condurlo in villeggiatura. E
448 I PBOMESSI SPOSI.
poi. già a loro signori il vino fa suLito male; i poveri mo-
natti han lo stomaco buono.»
E tra le risate de' compagni, prese il fiasco, e l'alzò;
ma, prima di bere, si voltò a Renzo, gli fissò gli occhi in
viso, e gli disse, con una cert" aria di compassione sprezzante:
«bisogna che il diavolo col quale hai fatto il patto, sia ben
giovine; che, se non eravamo lì noi a salvarti, lui ti dava un
beli' aiuto.» E tra un nuovo scroscio di risa, s' attaccò il
fiasco alle labbra.
e E noi? eh! e noi?» gridaron più voci dal carro ch'era
avanti. Il birbone, tracannato quanto ne volle, porse, con
tutt' e due le mani, il gran fiasco a quegli altri suoi simili.
i quali se lo passaron dall' uno all' altro, fino a uno che, vo-
tatolo, lo prese per il collo, gli fece fare il mulinello, e lo
scagliò a fracassarsi sulle lastre, gridando: «viva la morìa!»
Dietro a queste parole, intOLÒ una loro canzonacela; e su-
bito alla sua voce s' accompagnaron tutte V altre di quel tur-
pe coro. La cantilena infernale, mista al tintinnìo de' campa-
nelli, al cigolìo de' carri, al calpestìo de' cavalli, risonava
nel vóto silenzioso delle strade, e, rimbombando nelle case,
stringeva amaramente il cuore de' pochi che ancor le abi-
tavano.
Ma cosa non può alle volte venire in acconcio? Cosa non
può far piacere in qualche caso? Il pericolo d' un momento
prima aveva resa più che tollerabile a Renzo la compagnia
di que' morti e di quer vivi ; e ora fu a' suoi orecchi una mu-
sica, sto per dire, gradita, quella che lo levava dall' impiccio
d' una tale conversazione. Ancor mezzo affannato, e tutto sot-
tosopra, ringraziava intanto alla meglio in cuor suo la Prov-
videnza, d'essere uscito d'un tal frangente, senza ricever
male né farne; la pregava che l'aiutasse ora a liberarsi an-
che da' suoi liberatori; e dal canto suo, stava all' erta, guar-
dava quelli, guardava la strada, per cogliere il tempo di
sdrucciolar giù quatto quatto, senza dar loro occasione di
far qualche rumore, qualche scenata, che mettesse in malizia
i passeggieri.
Tutt' a un tratto, a una cantonata, gli parve di riconoscere
il luogo : guardò più attentamente, e ne fu sicuro. Sapete
dov' era? Sul corso di porta Orientale, in quella strada per
cui era venuto adagio, e tornato via in fretta, circa venti
mesi prima. Gli venne subito in mente che di lì s' andava
diritto al lazzeretto; e questo trovarsi sulla strada giusta,
senza studiare, senza domandare, 1' ebbe per un tratto spe-
ciale della Provvidenza, e per buon augurio del rimanente.
In quel punto, veniva incontro ai carri un commissario, gri-
dando ai monatti di fermare , e non so che altro : il fatto è
che il convoglio si fermò, e la musica si cambiò in un diver-
CAPITOLO XXXIV.
449
bio rumoroso. Uno de' monatti eh1 eran sul carro di Renzo.
saltò giù: Renzo disse all'altro: «vi ringrazio della vostra
carità: Dio ve ne renda merito;» e giù anche lui dall'altra
parte.
«Va, va, povero untorello,» rispose colui: «non sarai tu
quello che spianti Milano.»
Per fortuna, non e' era chi potesse sentire. Il convoglio
era fermato sulla sinistra del corso: Renzo prende in fretta
dall'altra parte, e, rasentando il muro, trotta innanzi verso
il ponte; lo passa, continua per la strada del borgo, ricono-
sce ii convento de' cappuccini, è vicino alla porta, vede spun-
tare l'angolo del lazzeretto, passa il cancello, e gli si spiega
davanti la scena esteriore di quel recinto: un indizio appena
e un saggio, e già una vasta, diversa, indescrivibile scena.
Lungo i due lati che si presentano a chi guardi da quel
punto, era tutto un brulichìo; erano ammalati che andavano,
in compagnie, al lazzeretto; altri che sedevano o giacevano
sulle sponde del fossato che lo costeggia; sia che le forze
non fosser loro bastate per condursi fin dentro al ricovero, sia
che, usciti di là per disperazione, le forze fosser loro ugual-
mente mancate per andar più avanti. Altri meschini errava-
no sbandati, come stupidi, e non pochi fuor di sé affatto:
uno stava tutto infervorato a raccontar le sue immaginazioni
a un disgraziato che giaceva oppresso dal male; un altro dava
nelle smanie; un altro guardava in qua e in là con un visi-
no ridente, come se assistesse a un lieto spettacolo. Ma la
specie più strana e più rumorosa d' una tal trista allegrezza,
era un cantare alto e continuo, il quale pareva che non ve-
nisse fuori da quella miserabile folla, e pure si faceva sentire
più che tutte l'altre voci- una canzone contadinesca d'amore
gaio e scherzevole, di quelle che chiamavan villanelle; e an-
dando con lo sguardo dietro al suono, per iscoprire chi mai
potesse esser contento, in quel tempo, in quel luogo, si ve-
deva un meschino che, seduto tranquillamente in fondo al
fossato, cantava a più non posso, con la testa per aria.
Renzo aveva appena fatti alcuni passi lungo il lato meri-
dionale dell' edifizio, che si sentì in quella moltitudine un ru-
more straordinario, e di lontano voci che gridavano: guarda,
piglia! S'alza in punta di piedi, e vede un cavallaccio che
andava di carriera, spinto da un più strano cavaliere: era
un frenetico che, vista quella bestia sciolta e non guardata,
accanto a un carro, c'era montato in fretta a bisdosso, e,
martellandole il collo co' pugni, e facendo sproni de' calcagni,
la cacciava in furia ; e monatti dietro, urlando ; e tutto si rav-
volse in un nuvolo di polvere, che volava lontano
Così, già sbalordito e stanco di veder miserie, il giovine
arrivò alla porta di quel luogo dove ce n' erano adunate forse
Manzoni. 29
450 I PKOMESSI SPOSI.
più che non ce ne fosse di sparse in tutto lo spazio che gli
era già toccato di percorrere. S'affaccia a quella porta, en-
tra sotto la vòlta, e rimane un momento immobile a mezzo
del portico.
CAPITOLO XXXV.
S' immagini il lettore il recinto del lazzeretto popolato dì
sedici mila appestati; quello spazio tutt' ingombro, dove di
capanne e di baracche, dove di carri, dove di gente; quelle
due interminate fughe di portici, a destra e a sinistra, piene,
gremite di languenti o di cadaveri confusi, sopra sacconi, o
sulla paglia; e su tutto quel quasi immenso covile, un bru-
lichìo, come un ondeggiamento; e qua e là, un andare e ve-
nire, un fermarsi, un correre, un chinarsi, un alzarsi, di con-
valescenti, di frenetici, di serventi. Tale fu lo spettacolo che
riempì a un tratto la vista di Renzo , e lo tenne lì, sopraffat-
to e compreso. Questo spettacolo, noi non ci proponiam certo
di descriverlo a parte a parte, né il lettore lo desidera; so-
lo, seguendo il nostro giovine nel suo penoso giro, ci ferme-
remo alle sue fermate, e di ciò che gli toccò di vedere diremo
quanto sia necessario a raccontar ciò che fece, e ciò che
gli seguì.
Dalla porta dove s' era fermato , fino alla cappella del
mezzo, e di là all' altra porta in faccia, e' era come un viale,
sgombro di capanne, e d' ogni altro impedimento stabile; e
alla seconda occhiata, Renzo vide in quello un tramenìo di
carri, un portar via roba, per far luogo; vide cappuccini e
secolari che dirigevano queir operazione, e insieme mandavan
via chi non ci avesse che fare. E temendo d' essere anche
lui messo fuori in quella maniera, si cacciò addirittura tra le
capanne, dalla parte a cui si trovava casualmente voltato, al-
la diritta.
Andava avanti, secondo che vedeva posto da poter met-
tere il piede da capanna a capanna, facendo capolino in
ognuna, e osservando i letti eh' eran fuori allo scoperto, esa-
minando volti abbattuti dal patimento, o contratti dallo spa-
simo, o immobili nella morte, se mai gli venisse fatto di
trovar quello che pur temeva di trovare. 3Ia aveva già fatto
un bel pezzetto di cammino, e ripetuto più e più volte quel
doloroso esame, senza veder mai nessuna donna: onde s' im-
maginò che dovessero essere in un luogo separato. E indo-
vinava: ma dove fosse, non n' aveva indizio, né poteva argo-
mentarlo. Incontrava ogni tanto ministri, tanto diversi d' a-
CAPITOLO XXXV. 451
spetto e di maniere e d' abito, quanto diverso e opposto era
il principio che dava agli uni e agli altri una forza uguale di
vivere in tali servizi: negli uni l' estinzione d' ogni senso di
pietà, negli altri una pietà sovrumana. Ma né agli uni
né agli altri si sentiva di far domande, per non procacciar-
si alle volte un inciampo; e deliberò d'andare, andare, fin
che arrivasse a trovar donne. E andando non lasciava di
spiare intorno: ma di tempo in tempo era costretto a
ritirare lo sguardo contristato, e come abbagliato da tante
piaghe. Ma dove rivolgerlo, dove riposarlo, che sopra altre
piaghe?
L' aria stessa e il cielo accrescevano, se qualche cosa po-
teva accrescerlo, 1' orrore di quelle viste. La nebbia s' era a
poco a poco addensata e accavallata in nuvoloni che, rabbu-
iandosi sempre più, davano idea d'un annottar tempestoso,
se non che, verso il mezzo di quel cielo cupo e abbassato,
traspariva, come da un fìtto velo, la spera del sole, pallida,
che spargeva intorno a sé un barlume fioco e sfumato, e
pioveva un calore morto e pesante. Ogni tanto, tra mezzo al
ronzìo continuo di quella confusa moltitudine, si sentiva un
borbottar di tuoni, profondo, come tronco, irresoluto; né, ten-
dendo 1: orecchio, avreste saputo distinguere da che parte ve-
nisse; o avreste saputo crederlo un correr lontano di carri,
che si fermassero improvvisamente. Xon si vedeva, nelle
campagne d' intorno, moversi un ramo d' albero, né un uc-
cello andarvisi a posare, o staccarsene: solo la rondine, com-
parendo subitamente di sopra il tetto del recinto, sdrucciola-
va in giù con 1' ali tese, come per rasentare il terreno del
campo: ma sbigottita da quel brulichìo, risaliva rapidamen-
te, e fuggiva. Era uno di que' tempi, in cui, tra una com-
pagnia di viandanti non e' è nessuno che rompa il silenzio ;
e il cacciatore cammina pensieroso, con lo sguardo a terra;
e la villana, zappando nel campo, smette di cantare, senza
avvedersene; di que' tempi forieri della burrasca, in cui la
natura, come immota al di fuori, e agitata da un travaglio
interno, par che opprima ogni vivente, e aggiunga non so
quale gravezza a ogni operazione, all'ozio, all'esistenza
stessa. Ma in quel luogo destinato per sé al patire e al mo-
rire, si vedeva 1' uomo già alle prese col male soccombere
alla nuova oppressione; si vedevan centinaia e centinaia peg-
giorar precipitosamente; e insieme P ultima lotta era più af-
fannosa, e, nell'aumento de' dolori, i gemiti più soffogati;
né forse su quel luogo di miserie era ancor passata un' ora
crudele al par di questa.
Già aveva il giovane girato un bel pezzo, e senza frutto
per quell'andirivieni di capanne, quando, nella varietà de'
lamenti e nella confusione del mormorio, cominciò a distin-
29*
452 I PEOMESSI SPOSI.
guere un misto singolare di vagiti e di belati: fin che arrivò
a un assito scheggiato e sconnesso, di dentro il quale veniva
quel suono straordinario. Mise un occhio a un largo spi-
raglio, tra due asse, e vide un recinto con dentro capanne
sparse, e, così in quelle, come nel piccol campo, non la so-
lita infermeria, ma bambinelli a giacere sopra materassine,
o guanciali, o lenzoli distesi, o topponi ; e balie e altre donne
in faccende; e ciò che più di tutto attraeva e fermava lo
sguardo, capre mescolate con quelle, e fatte loro aiutanti: uno
spedale _ d'innocenti, quale il luogo e il tempo poteva darlo.
Era, dico, una cosa singolare a vedere alcune di quelle be-
stie, ritte e quiete sopra questo o quel bambino, dargli la
poppa; e qualche altra accorrere a un vagito, come con sen-
so materno, e fermarsi presso il piccolo allievo, e procurar
d' accomodarcisi sopra, e belare, e dimenarsi, quasi chiaman-
do chi venisse in aiuto a tutt' e due.
Qua e là eran sedute balie con bambini al petto; alcune
in tal atto d' amore da far nascer dubbio nel riguardante, se
fossero state attirate in quel luogo dalla paga, o da quella
carità spontanea che va in cerca de' bisogni e de* dolori. Una
di esse, tutta accorata, staccava dal suo petto esausto un me-
schinello piangente, e andava tristamente cercando la bestia,
che potesse far le sue veci. Un' altra guardava con occhio di
compiacenza quello che le si era addormentato alla poppa, e
baciatolo mollemente, andava in una capanna a posarlo sur
una materassina. Ma una terza, abbandonando il suo petto
al lattante straniero, con una cert' aria però non di trascuran-
za, ma di preoccupazione, guardava fissa il cielo: a che pen-
sava essa, in queir atto, con quello sguardo, se non a un
nato dalle sue viscere, che forse poco prima, aveva succhiato
quel petto, che forse e' era spirato sopra? Altre donne più
attempate attendevano ad altri servizi. Una accorreva alle
grida d' un bambino affamato, lo prendeva, e lo portava vi-
cino a una capra che pascolava a un mucchio d' erba fresca,
e glielo presentava alle poppe, gridando V inesperto animale
e accarezzandolo insieme, affinchè si prestasse dolcemente al-
l' ufizio. Questa correva a prendere un poverino, che una
capra tutt' intenta a allattarne un altro, pestava con una
zampa: quella portava in qua e in là il suo, ninnandolo, cer-
cando , ora d' addormentarlo col canto, ora di acquietarlo con
dolci parole, chiamandolo con un nome eh' essa medesima gli
aveva messo. Arrivò in quel punto un cappuccino con la
barba bianchissima, portando due bambini strillanti, uno per
braccio, raccolti allora vicino alle madri spirate; e una don-
na corse a riceverli, e andava guardando tra la brigata e nel
gregge, per trovar subito chi tenesse lor luogo di madre.
Più d' una volta il giovine, spinto da quello eh' era il
CAPITOLO XXXV. 453
primo, e il più forte de' suoi pensieri, s"era staccato dallo
spiraglio per andarsene; e poi ci aveva rimesso 1' occhio, per
guardare ancora un momento.
Levatosi di lì finalmente, andò costeggiando P assito fin
che un mucchietto di capanne appoggiate a quello, lo costrin-
se a voltare. Andò allora lungo le capanne, con la mira di
riguadagnar l'assito, d'andar fino alla fine di quello, e sco-
prir paese nuovo. Ora, mentre guardava innanzi, per istudiar
la strada, un'apparizione repentina, passeggiera, istantanea,
gli ferì lo sguardo, e gli mise l'animo sottosopra. Vide, a
un cento passi di distanza, passare e perdersi subito tra le
baracche un cappuccino, un cappuccino che, anche così da
lontano e così di fuga, aveva tutto l'andare, tutto il fare,
tutta la forma del padre Cristoforo. Con la smania che po-
tete pensare, corse verso quella parte; e lì, a girare, a cer-
care, innanzi, indietro, dentro e fuori, per quegli andirivieni,
tanto che rivide con altrettanta gioia, quella forma, quel frate
medesimo; lo vide poco lontano, che scostandosi da una cal-
daia, andava, con una scodella in mano, verso una capan-
na; poi lo vide sedersi sull' uscio di quella, fare un segno di
croce sulla scodella che teneva dinanzi; e, guardando intorno,
come uno che stia sempre all' erta, mettersi a mangiare. Era
proprio il padre Cristoforo.
La storia del quale, dal punto che P abbiam perduto di
vista, fino a quest'incontro, sarà raccontata in due parole.
Non s' era mai mosso da Rimini, né aveva pensato a mover-
sene, se non quando la peste scoppiata in Milano gli offrì oc-
casione di ciò che aveva sempre tanto desiderato, di dar la
sua vita per il prossimo. Pregò, con grand' istanza, d* es-
serci richiamato, per assistere e servire gli appestati. Il
conte zio era morto ; e del resto e' era più bisogno d' infer-
mieri che di politici: sicché fu esaudito senza difficoltà. Ven-
ne subito a Milano; entrò nel lazzeretto; e e' era da circa
tre mesi.
Ma la consolazione di Renzo nel ritrovare il suo buon
frate, non fu intera neppure un momento: nell'atto stesso
d' accertarsi eh' era lui, dovette vedere quant' era mutato. Il
portamento curvo e stentato; il viso scarno e smorto; e in
tutto si vedeva una natura esausta, una carne rotta e caden-
te, che s' aiutava e si sorreggeva, ogni momento, con uno
sforzo dell' animo.
Andava anche lui fissando lo sguardo nel giovine che ve-
niva verso di lui e che, col gesto, non osando con la voce,
cercava di farsi distinguere e riconoscere. «Oh padre Cri-
stoforo!» disse poi, quando gli fu vicino da poter esser sen-
tito senza alzar la voce.
454 I PROMESSI SPOSI.
cTu qui!» disse il frate, posando in terra la scodella, e
alzandosi da sedere.
«Come sta, padre? come sta?»
(Meglio di tanti poverini che tu vedi qui,» rispose il
frate: e la sua voce era fioca, cupa, mutata come tutto il
resto. L'occhio soltanto era quello di prima, e un non so
che più vivo e più splendido; quasi la carità, sublimata nel-
T estremo deli' opera, ed esultante di sentirsi vicina al suo
principio, ci rimettesse un fuoco più ardente e più puro di
quello che V infermità ci andava a poco a poco spegnendo.
Ma tu,» proseguiva, e come sei qui? perchè vieni così
ad affrontar la peste?»
o L' ho avuta, grazie al cielo. Vengo .... a cercar di ... .
Lucia.»
«Lucia! è qui Lucia?»
«È qui: almeno spero in Dio che ci sia ancora.»
«È tua moglie?»
«Oh caro padre! no che non è mia moglie. Non sa nulla
di tutto quello che è accaduto?»
«No, figliuolo: da che Dio m'ha allontonato da voi altri,
io non n'ho saputo più nulla; ma ora ch'Egli mi ti manda,
dico la verità che desidero molto di saperne. Ma .... e il
bando?»
cLe sa dunque, le cose che m'hanno fatto?»
«Ma tu che avevi fatto?»
«Senta; se volessi dire d'aver avuto giudizio, quel giorno
in Milano, direi una bugia; ma cattive azioni non n'ho fatte
punto. »
«Te lo credo, e lo credeva anche prima.»
«Ora dunque le potrò dir tutto.»
"Aspetta,» disse il frate: e andato alcuni passi fuor della
capanna, chiamò: «padre Vittore!» Dopo qualche momento
comparve un giovine cappuccino, al quale disse: «fatemi la
carità, padre Vittore, di guardare, anche per me, a questi
nostri poverini, intanto ch'io me ne sto ritirato; e se alcuno
però mi volesse, chiamatemi. Quel tale principalmente! se
mai desse il più piccolo segno di tornare in sé, avvisatemi
subito, per carità.»
<Non dubitate,» rispose il giovine; e il vecchio, tornato
verso Renzo, «entriamo qui. > gli disse. «Ma . . . .» soggiun-
se subito, fermandosi, «tu mi pari ben rifinito: devi aver bi-
sogno^ di mangiare.»
«È vero,» disse Renzo; «ora che lei mi ci fa pensare, mi
ricordo che sono ancora digiuno.»
«Aspetta,» disse il frate; e, presa un' altra scodella,
l'andò a empire alla caldaia: tornato, la diede, con un cuc-
chiaio, a Renzo; lo fece sedere sur un saccone che gli ser-
CAPITOLO XXXV. 455
viva di letto; poi andò a una botte ch'era in un canto, e ne
spillò un bicchier di vino, che mise sur un tavolino, davanti
al suo convitato; riprese quindi la sua scodella, e si mise a
seder accanto a lui.
cOh padre Cristoforo!» disse Renzo: «tocca a lei a far
codeste cose? Ma già lei è sempre quel medesimo. La rin-
grazio proprio di cuore.»
«Non ringraziar me,» disse il frate: «è roba de' poveri;
ma anche tu sei un povero, in questo momento. Ora dimmi
quello che non so, dimmi di quella nostra poverina; e cerca
di spicciarti; che c'è poco tempo, e molto da fare, come tu
vedi.»
Renzo principiò, tra una cucchiaiata e 1' altra, la storia
di Lucia; com'era stata ricoverata nel monastero di Monza,
come rapita .... AH" immagine di tali patimenti e di tali pe-
ricoli, al pensiero d'essere stato lui quello che aveva indi-
rizzata in quel luogo la povera innocente, il buon frate ri-
mase senza fiato: ma lo riprese subito, sentendo com'era
stata mirabilmente liberata, resa alla madre, e allogata da
questa presso donna Prassede.
«Ora le racconterò di me,» proseguì Renzo: e raccontò
in succinto la giornata di Milano, la fuga; e come era sem-
pre stato lontano da casa, e ora, essendo ogni cosa sottoso-
pra, s' era arrischiato d' andarci; come non ci aveva trovato
Agnese; come in Milano aveva saputo che Lucia era al laz-
zeretto. «E son qui,» concluse, «son qui a cercarla, a
veder se è viva, e se .... mi vuole ancora . . . perchè . . . alle
volte ....»
«Ma,» domandò il frate, «hai qualche indizio dove sia
stata messa, quando ci sia venuta V
«Niente, caro padre; niente se non che è qui, se pur la
e' è, che Dio voglia ! o
«Oh poverino! ma che ricerche hai tu finora fatte qui?»
«Ho girato e rigirato; ma, tra V altre cose non ho mai
visto quasi altro che uomini. Ho ben pensato che le donne
devono essere in un luogo a parte, ma non ci sono mai po-
tuto arrivare; se è così, ora lei me l'insegnerà.
«Non sai, figliuolo, che è proibito d'entrarci agli uomini
che non ci abbiano qualche incombenza?»
«Ebbene, cosa mi può accadere?»
«La regola è giusta e santa, figliuolo caro; e se la quan-
tità e la gravezza de' guai non lascia che si possa farla os-
servar con tutto il rigore, è una ragione questa perchè un
galantuomo la trasgredisca?»
«Ma, padre Cristoforo!» disse Renzo: «Lucia doveva
essser mia moglie; lei sa come siamo stati separati : son venti
456 I PROMESSI SPOSI.
mesi che patisco e ho pazienza; son venuto fin qui, a rischio
di tante cose, 1' una peggio dell'altra, e ora . . . .»
«Non so cosa dire,» riprese il frate, rispondendo piut-
tosto a' suoi pensieri che alle paro^ del giovine: «tu vai con
buona intenzione, e piacesse a Dio che tutti quelli che hanno
libero 1' accesso in quel luogo , ci si comportassero come pos-
so fidarmi che farai tu. Dio, il quale certamente benedice
questa tua perseveranza d' affetto, questa tua fedeltà in volere
e in cercare colei ch'Egli t'aveva data; Dio, che è più rigo-
roso degli uomini, ma più indulgente, non vorrà guardare a
quel che ci possa essere d'irregolare in codesto tuo modo di
cercarla Ricordati solo, che, della tua condotta in quel
luogo, avremo a render conto tutt' e due; agli uomini facil-
mente no, ma a Dio senza dubbio. Vien qui.» In così dire
s'alzò, e nel medesimo tempo anche Renzo; il quale non
lasciando di dar retta alle sue parole, s'era intanto consi-
gliato tra sé di non parlare, come s' era proposto prima, di
quella tal promessa di Lucia. — Se sente anche questo, —
aveva pensato, — mi fa dell' altre difficoltà sicuro. 0 la tro-
vo; e saremo sempre a tempo a discorrerne; o . . . . e allora!
che serve? —
Tiratolo sull'uscio della capanna, ch'era a settentrione,
il frate riprese: «Senti; il nostro padre Felice, che è il pre-
sidente qui del lazzeretto, conduce oggi a far la quarantina
altrove i pochi guariti che ci sono. Tu vedi quella chiesa
lì nel mezzo . ...» e, alzando la mano scarna e tremolante,
indicava a sinistra nell' aria torbida la cupola della cappella,
che torreggiava sopra le miserabili tende; e proseguì: «là
intorno si vanno ora radunando, per uscire in processione
dalla porta per la quale tu devi essere entrato.»
«Ah! era per questo dunque, che lavoravano a sbrattare
la strada.»
«Per l'appunto; e tu devi anche aver sentito qualche toc-
co di quella campana.»»
«N' ho sentito uno.»
«Era il secondo: al terzo saran tutti radunati: il padre
Felice farà loro un piccol discorso; e poi s' awierà con loro.
Tu, a quel tocco, portati là; cerca di metterti dietro quella
gente, da una parte della strada, dove senza disturbare, né
dar nell'occhio, tu possa vederli passare; e vedi . . . vedi . . .
se la ci fosse. Se Dio non ha voluto che la ci sia; quella
parte,» e alzò di nuovo la mano, accennando il lato dell' e-
difizio che avevan dirimpetto: «quella parte della fabbrica, e
una parte del terreno che è lì davanti, è assegnata alle don-
ne. Vedrai uno stecconato che divide questo da quel quar-
iere, ma in certi luoghi interrotto, in altri aperto, sicché
non troverai difficoltà per entrare. Dentro poi, non facendo
CAPITOLO XXXV. 457
tu nulla che dia ombra a nessuno, nessuno probabilmente
non dirà nulla a te. Se però ti si facesse qualche ostacolo,
di' che il padre Cristoforo da * * * ti conosce, e renderà
conto di te. Cercala lì; cercala con fiducia e . . . . con ras-
segnazione. Perchè, ricordati che non è poco ciò che tu
sei venuto a cercar qui: tu chiedi una persona viva al lazze-
retto! Sai tu quante volte io ho veduto rinnovarsi questo mio
povero popolo! quanti ne ho veduti portar via! quanti pochi
uscire! .... Va preparato a fare un sacrifizio . . . .»
«Già; intendo anch'io,» interruppe Renzo stravolgendo
gli occhi, e cambiandosi tutto in viso: «intendo! Vo: guar-
derò, cercherò, in un luogo, nell'altro, e poi ancora, per
tutto il lazzeretto, in lungo e in largo .... e se non la
trovo! ....»
«Se non la trovi?» disse il frate, con un' aria di serietà
e d' aspettativa, e con uno sguardo che ammoniva.
Ma Renzo, a cui la rabbia riaccesa dall' idea di quel dub-
bio aveva fatto perdere il lume degli occhi, ripetè e seguitò:
«se non la trovo, vedrò di trovare qualchedun altro. 0 in
Milano, o nel suo scellerato palazzo, o in capo al mondo, o a
casa del diavolo, lo troverò quel furfante che ci ha separati;
quel birbone che, se non fosse stato lui, Lucia sarebbe mia,
da venti mesi; e se eravamo destinati a morire, almeno sa-
remmo morti insieme. Se e' è ancora colui, lo troverò . . . .»
«Renzo!» disse il frate, afferrandolo per un braccio, e
guardandolo ancor più severamente.
«E se lo trovo,» continuò Renzo cieco affatto dalla col-
lera, «se la peste non ha già fatto giustizia .... Non è più
il tempo che un poltrone, co' suoi bravi d'intorno, possa
metter la gente alla disperazione, e ridersene: è venuto un
tempo che gli uomini s'incontrino a viso a viso: e .... la
farò io la giustizia!»
«Sciagurato!» gridò il padre Cristoforo, con una voce che
aveva ripresa tutta l'antica pienezza e sonorità: «sciagurato,)
e la sua testa cadente sul petto s' era sollevata, le gote si colori-
vano dell' antica vita ; e il fuoco degli occhi aveva un non so
che di terribile. «Guarda, sciagurato!» E mentre con una
mano stringeva e scoteva forte il braccio di Renzo , girava
V altra davanti a sé, accennando quanto più poteva della do-
lorosa scena all' intorno. «Guarda chi è Colui che gastiga! Co-
lui che giudica, e non è giudicato ! Colui che flagella e che perdo-
na! Ma tu, verme della terra, tu vuoi far giustizia! Tu lo sai, tu,
quale sia la giustizia! Va, sciagurato, vattene! Io speravo. ...
sì, ho sperato che, prima della mia morte, Dio m'avrebbe
data questa consolazione di sentir che la mia povera Lucia
fosse viva; forse di vederla, e di sentirmi prometter da lei
che rivolgerebbe una preghiera là verso quella fossa dov' io
458 r promessi sposi.
sarò. Va, tu m'hai levata la mia speranza. Dio non l'ha
lasciata in terra per te: e tu. certo, non hai l'ardire di cre-
derti degno che Dio pensi a consolarti. Avrà pensato a lei,
perchè lei è una di quell' anime a cui son riservate le con-
solazioni eterne. Va! non ho più tempo di darti retta.»
E così dicendo, rigettò da se il braccio di Renzo, e si
mosse verso una capanna d' infermi.
«Ah padre!» disse Renzo, andandogli dietro in atto sup-
plichevole: «mi vuol mandar via in questa maniera ?»
«Come!» riprese, con voce non meno severa, il cappuc-
cino. «Ardiresti tu di pretendere eh' io rubassi il tempo a
questi afflitti, i quali aspettano eh' io parli loro del perdono
di Dio, per ascoltar le tue voci di rabbia, i tuoi proponimen-
ti di vendetta? T'ho ascoltato quando tu chiedevi consola-
zione e aiuto; ho lasciata la carità per la carità; ma ora tu
hai la tua vendetta in cuore; che vuoi da me? vattene. Ne
ho visti morire qui degli offesi che perdonavano; degli offen-
sori che gemevano di non potersi umiliare davanti all'offeso:
ho pianto con gli uni e con gli altri; ma con te che ho da
fare?»
«Ah gli perdono! gli perdono davvero, gli perdono per
sempre!» eslamò il giovine.
.Renzo!» disse, con una serietà più tranquilla il frate:
«pensaci; e dimmi un poco quante volte gli hai perdonato. »
E, stato alquanto senza ricever risposta, tutt' a un tratto
abbassò il capo, e con voce cupa e lenta, riprese: «tu sai
perchè io porto quest'abito.»
Renzo esitava.
« Tu lo sai?» riprese il vecchio.
«Lo so,» rispose Renzo,
«Ho odiato anch'io: io, che t'ho ripreso per un pensiero,
per una parola, 1' uomo eh' io odiavo cordialmente, che odia-
vo da gran tempo, io l'ho ucciso.»
«Sì, ma un prepotente, uno di quelli. . . .»
(Zitto!» interruppe il frate : e credi tu che, se ci fosse
una buona ragione, io non 1' avrei trovata in trent' anni?
Ah ! s' io potessi ora metterti in cuore il sentimento che dopo
ho avuto sempre, e che ho ancora, per l'uomo ch'io odia-
vo! S'io potessi! io? ma Dio lo può: Egli lo faccia! ... . Sen-
ti, Renzo: Egli ti vuol più bene di quel che te ne vuoi tu:
tu hai potuto macchinar la vendetta; ma Egli ha abbastanza
forza e abbastanza misericordia per impedirtela; ti fa una
grazia di cui qualchedun altro era troppo indegno. Tu sai,
tu l'hai detto tante volte, ch'Egli può fermar la mano d'un
prepotente: ma sappi che può anche fermar quella d'un ven-
dicativo. E perchè sei povero, perchè sei offeso, credi tu
eh' Egli non possa difendere contro di te un uomo che ha
CAPITOLO XXXV. 459
creato a sua immagine? Credi tu ch'Egli ti lascerebbe fare
tutto quello che vuoi? No! ma sai tu cosa puoi fare? Puoi
odiare e perderti; puoi con un tuo sentimento, allontanar da
te ogni benedizione. Perchè, in qualunque maniera t'andas-
sero le cose, qualunque fortuna tu avessi, tien per certo che
tutto sarà gastigo, finché tu non abbia perdonato in maniera
da non poter più dire: io gli perdono.»
5ì, sì,» disse Renzo, tutto commosso, e tutto confuso:
«capisco che non gli avevo mai perdonato davvero, capisco
che ho parlato da bestia, e non da cristiano: e ora con la
grazia del Signore, sì, gli perdono proprio di cuore. •>
e E se tu lo vedessi?-
(Pregherei il Signore di dar pazienza a me, e di toccare
il cuore a lui.»
' Ti ricorderesti che il Signore non ci ha detto di perdo-
nare a' nostri nemici, ci ha detto d'amarli? Ti ricorderesti
ch'Egli lo ha amato a segno di morir per lui?»
( Sì. col suo aiuto.»
(Ebbene, vieni con me. Hai detto lo troverò: lo troverai.
Vieni, e vedrai con chi tu potevi tener odio, a chi potevi de-
siderar del male, volergliene fare, sopra che vita tu volevi
far da padrone.»
E. presa la mano di Renzo, e strettala come avrebbe po-
tuto fare un giovine sano, si mosse. Quello, senza osar di
domandar altro, gli andò dietro.
Dopo pochi passi, il frate si fermò vicino all' apertura
d' una capanna, fissò gli occhi in viso a Renzo, con un mi-
sto di gravità e di tenerezza: e lo condusse dentro.
La prima cosa che si vedeva, nell'entrare, era un infer-
mo seduto sulla paglia nel fondo: un infermo però non ag-
gravato, e che anzi poteva parer vicino alla convalescenza: il
quale visto il padre, tentennò la testa, come accennando di
no: il padre abbassò la sua, con un atto di tristezza e di
rassegnazione. Renzo intanto, girando, con una curiosità in-
quieta, lo sguardo sugli altri oggetti, vide tre o quattro in-
fermi, ne distinse uno da una parte sur una materassa, in-
voltato in un lenzolo, con una cappa signorile indosso, a
guisa di coperta: lo fissò, riconobbe don Rodrigo, e fece un
passo indietro; rna il frate, facendogli di nuovo sentir for-
temente la mano con cui lo teneva, lo tirò appiè del covile,
e, stesavi sopra P altra mano, accennava col dito P uomo che
vi giaceva.
Stava 1" infelice, immoto; spalancati gli occhi, ma senza
sguardo; pallido il viso e sparso di macchie nere; nere ed
enfiate le labbra; l'avreste detto il viso d'un cadavere, se
una contrazione violenta non avesse reso testimonio d' una
vita tenace. 11 petto si sollevava di quando in quando, con
460 I PBOMESSI SPOSI.
un respiro affannoso; la destra, fuor della cappa, lo preme-
va vicino al cuore, con uno stringere adunco delle dita, livide
tutte, e sulla punta nere.
«Tu vedila disse il frate, con voce bassa e grave. «Può
esser castigo, può esser misericordia. Il sentimento che tu
proverai ora per quest' uomo che t' ha offeso, sì; lo stesso
sentimento, il Dio, che tu pure hai offeso, avrà per te in
quel giorno. Beneficilo, e sei benedetto. Da quattro giorni
e qui come tu lo vedi, senza dar segno di sentimento. Forse
il Signore è pronto a concedergli un' ora di ravvedimento;
ma voleva esserne pregato da te: forse vuole che tu ne lo
preghi con quella innocente; forse serba la grazia alla tua
sola preghiera, alla preghiera d; un cuore afflitto e rassegna-
to. Forse la salvezza di quest' uomo e la tua dipende ora da
te, un tuo sentimento di perdono, e di compassione . . . .
d" amore!»
Tacque; e, giunte le mani, chinò il viso sopra di esse, e
pregò: Renzo fece lo stesso.
Erano da pochi momenti in quella positura, quando scoc-
cò la campana. Si mossero tutt' e due, come di concerto; e
uscirono. Xè 1' uno fece domande, né 1' altro proteste: i loro
visi parlavano.
«Ya ora,» riprese il frate, «va preparato, sia a ricevere
una grazia, sia a fare un sacrifizio; a lodar Dio, qualunque
sia 1' esito delle tue ricerche. E qualunque sia, vieni a dar-
mene notizia: noi lo loderemo insieme..;
Qui, senza dir altro, si separarono; uno tornò d' ond' era
venuto; 1' altro b' avviò alla cappella, che non era lontana
più d' un cento passi.
CAPITOLO XXXVI.
Chi avrebbe mai detto a Renzo, qualche ora prima, che,
nel forte d' una tal ricerca , al cominciar de' momenti più
dubbiosi e più decisivi, il suo cuore sarebbe stato diviso tra
Lucia e don Rodrigo? Eppure era così: quella figura veniva
a mischiarsi con tutte l' immagini care o terribili che la spe-
ranza o il timore gli mettevan davanti a vicenda, in quel tra-
gitto: le parole sentite appiè di quel covile, si cacciavano
tra i sì e i no, ond' era combattuta la sua mente; e non po-
teva terminare una preghiera per 1' esito felice del gran ci-
mento, senza attaccarci quella che aveva principiata là, e che
lo scocco della campana aveva troncata.
La cappella ottangolare che sorge, elevata d' alcuni sca-
CAPITOLO XXXVI. 461
lini nel mezzo del lazzeretto, era, nella sua costruzione primitiva,
aperta da tutti i lati, senz' altro sostegno che di pilastri e di
colonne, una fabbrica, per dir così, traforata: in ogni faccia-
ta un arco tra due intercolunni; dentro girava un portico in-
torno a quella che si direbbe più propriamente chiesa, non
composta che d' otto archi, rispondenti a quelli delle facciate,
con sopra una cupola; di maniera che l'altare eretto nel cen-
tro, poteva esser veduto da ogni finestra delle stanze del re-
cinto , e quasi da ogni punto del campo. Ora, convertito l' e-
difizio a tutt' altr' uso , i vani delle facciate son murati; ma
l'antica ossatura, rimasta intatta, indica chiaramente l'antico
stato e V antica destinazione di quello.
Renzo s' era appena avviato, che vide il padre Felice com-
parire nel portico della cappella, e affacciarsi sull' arco di
mezzo del lato che guarda verso la città; davanti al quale
era radunata la comitiva, al piano, nella strada di mezzo e
subito dal suo contegno s' accorse che aveva cominciata la
predica
Girò per quelle viottole, per arrivare alla coda dell' udito-
rio, come gli era stato suggerito. Arrivatoci, si fermò cheto
cheto, lo scorse tutto con lo sguardo; ma non vedeva di là
altro che un folto, direi quasi un selciato di teste. Nel mez-
zo, ce n' era un certo numero coperte di fazzoletti, o di veli:
in quella parte ficcò più attentamente gli occhi: ma, non ar-
rivando a scoprirci dentro nulla di più, gli alzò anche lui
dove tutti tenevan fissi i loro. Rimase tocco e compunto dalla
venerabil figura del predicatore; e con quel che gli poteva
restar d'attenzione in un tal momento d'aspettativa, senti
questa parte del solenne ragionamento.
«Diamo un pensiero ai mille e mille che sono usciti di
là;» e, col dito alzato sopra la spalla, accennava dietro sé
la porta che mette al cimitero detto di san Gregorio, il quale
allora era tutto, si può dire, una gran fossa: «diamo intor-
no un' occhiata ai mille e mille che rimangon qui , troppo
incerti di dove sian per uscire; diamo un' occhiata a noi, così
pochi, che n'usciamo a salvamento. Benedetto il Signore!
Benedetto nella giustizia, benedetto nella misericordia! bene-
detto nella morte, benedetto n^lla salute! benedetto in questa
scelta che ha voluto far di noi! Oh! perchè l'ha voluto, fi-
gliuoli, se non per serbarsi un piccol popolo corretto dall' af-
flizione, e infervorato dalla gratitudine? se non a fine che,
sentendo ora più vivamente, che la vita è un suo dono, ne
facciamo quella stima che merita una cosa data da Lui, l'im-
pieghiamo nell'opere che si possono offrire a Lui? se non a
fine che la memoria de' nostri patimenti ci renda compassione-
voli e soccorrevoli ai nostri prossimi? Questi intanto, in
compagnia de' quali abbiamo penato, sperato, temuto; tra j
462 I PROMESSI SPOSI.
quali lasciamo degli amici, de' congiunti; e che tutti son poi
finalmente nostri fratelli; quelli tra questi, che ci vedranno
passare in mezzo a loro, mentre forse riceveranno qualche sol-
lievo nel pensare che qualcheduno esce pur salvo di qui, rice-
vano edificazione dal nostro contegno. Dio non voglia che
possano vedere in noi una gioia rumorosa, una gioia mon-
dana d'avere scansata quella morte, con la quale essi stanno
ancor dibattendosi. Vedano che partiamo ringraziando per
noi, e pregando per loro; e possan dire: anche fuor di qui,
questi si ricorderanno di noi, continueranno a pregare per
noi meschini. Cominciamo da questo viaggio, da' primi pas^i
che siam per fare, una vita tutta di carità. Quelli che sou
tornati nell'antico vigore diano un braccio fraterno ai fiacchi;
giovani, sostenete i vecchi; voi che siete rimasti senza figliuo-
li, vedete, intorno a voi, quanti figliuoli rimasti senza padre!
siatelo per loro! E questa carità, ricoprendo i vostri peccati,
raddolcirà anche i vostri dolori.»
Qui un sordo mormorio di gemiti, un singhiozzìo che an-
dava crescendo nell'adunanza fu sospeso a un tratto, nel ve-
dere il predicatore mettersi una corda al collo, e buttarsi in
S'inocchio : e si stava in gran silenzio, aspettando quel che
fosse per dire.
«Per me,» disse, «e per tutti i miei compagni, che, sen-
za alcun nostro merito siamo stati scelti all' alto privilegio di
servir Cristo in voi; io vi chiedo umilmente perdono se non
abbiamo degnamente adempito un sì gran ministero. Se la pi-
grizia, se l'indocilità della carne ci ha resi meno attenti alle
vostre necessità, men pronti alle vostre chiamate; se un'in-
giusta impazienza, se un colpevol tedio ci ha fatti qualche-
volta comparirvi davanti con un volto annoiato e severo: se
qualche volta il miserabile pensiero che voi aveste bisogno di
noi, ci ha portati a non trattarvi con tutta queir umiltà che
si conveniva, se la nostra fragilità ci ha fatti trascorrere a
qualche azione che vi sia stata di scandolo; perdonateci!
Così Dio rimetta a voi ogni vostro debito, e vi benedica.»
E, fatto sull' udienza un gran segno di croce, s' alzò.
Noi abbiam potuto riferire, se non le precise parole, il
senso almeno, il tema di quelle che proferì davvero; ma la
maniera con cui furon dette non è cosa da potersi descrivere.
Era la maniera d' un uomo che chiamava privilegio quello di
servir gli appestati, perchè lo teneva per tale; che confessa-
va di non averci degnamente corrisposto; perchè sentiva di
non averci corrisposto degnamente; che chiedeva perdono,
perchè era persuaso d' averne bisogno. Ma la gente che
s' era veduti d' intorno que' cappuccini non occupati d' altro
che di servirla, e tanti n' aveva veduti morire e quello che
CAPITOLO XXXVI. 463
parlava per tutti, sempre il primo alla fatica, come nell'au-
torità, se non quando s'era trovato anche lui in fin di morte:
pensate con che singhiozzi, con che lagrime rispose a tali
parole. Il mirabil frate prese poi una gran croce eh' era ap-
poggiata a un pilastro, se la inalberò davanti, lasciò siili' orlo
del portico esteriore i sandali, scese gli scalini, e tra la folla
che gli fece rispettosamente largo, s' avviò per mettersi alla
testa di essa.
Renzo, tutto lacrimoso, né più né meno che se fosse stato
uno di quelli a cui era chiesto quel singolare perdono, si ri-
tirò anche lui, e andò a mettersi di fianco a una capanna;
e stette lì aspettando, mezzo nascosto, con la persona indie-
tro e la testa avanti, con gli occhi spalancati, con una gran
palpitazion di cuore, ma insieme con una certa nuova e par-
ticolare fiducia, nata, cred'io, dalla tenerezza che gli aveva
ispirata la predica, e io spettacolo della tenerezza generale.
Ed ecco arrivare il padre Felice, scalzo, con quella corda
al collo, con quella lunga e pesante croce alzata; paUido
e scarno il viso, un viso che spirava compunzione insieme
e coraggio; a passo lento, ma risoluto, come di chi pensa
soltanto a risparmiare l'altrui debolezza; e in tutto come un
uomo a cui un di più di fatiche e di disagi desse la forza
di sostenere i tanti necessari e inseparabili da quel suo in-
carico. Subito dopo lui, venivano i fanciulli più grandi,
scalzi una gran parte, ben pochi interamente vestiti, chi
affatto in camicia. Venivan poi le donne, tenendo quasi tutte
per la mano una bambina, e cantando alternativamente il
Miserere; e il suono fiacco di quelle voci, il pallore e la
languidezza di que' visi eran cose da occupar tutto di com-
passione Y animo di chiunque si fosse trovato lì come sem-
plice spettatore. Ma Renzo guardava, esaminava, di fila in
fila, di viso in viso, senza passarne uno; che la processione
andava tanto adagio, da dargliene tutto il comodo. Passa e
passa; guarda e guarda; sempre inutilmente; dava qualche
occhiata di corsa alle file che rimanevano ancora indietro:
sono ormai poche; siamo all' ultima; son passate tutte; fu-
ron tutti visi sconosciuti. Con le braccia ciondoloni, e con
la testa ^piegata sur una spalla, accompagnò con l'occhio
quella schiera, mentre gli passava davanti quella degli uo-
mini. Una nuova attenzione, una nuova speranza gli nacque
nel veder, dopo questi, comparire alcuni carri, su cui erano
i convalescenti che non erano ancora in istato di cammi-
nare. Lì le donne venivan 1* ultime; e il treno andava cosi
adagio che Renzo potè ugualmente esaminarle tutte, senza
che gliene sfuggisse una. Ma che? esamina il primo carro,
il secondo, il terzo, e via discorrendo, sempre con la stessa
riuscita, fino a uno, dietro al quale non veniva più che un
464 I PROMESSI SPOSI.
altro cappuccino con un aspetto serio, e con un bastone in
mano, come regolatore della comitiva. Era quel padre Mi-
chele che abbiam detto essere stato dato per compagno nel
governo al padre Felice.
Così svanì affatto quella cara speranza; e, andandosene,
non solo portò via il conforto che aveva recato, ma, come
accade le più volte, lasciò V uomo in peggiore stato di pri-
ma. Ormai quel che ci poteva esser di meglio, era di trovar
Lucia ammalata. Pure, all' ardore d' una speranza presente
sottentrando quello del timore cresciuto, il poverino s' attaccò
con tutte le forze dell' animo a quel tristo e debole filo ; en-
trò nella corsia, e s' incamminò da quella parte di dove era
venuta la processione. Quando fu appiè della cappella, andò
a inginocchiarsi sull' ultimo scalino ; e lì fece a Dio una pre-
ghiera, o, per dir meglio, una confusione di parole arruffa-
te, di frasi interrotte, d' esclamazioni, d' istanze, di lamenti, di
promesse: uno di que' discorsi che non si fanno agli uomini,
perchè non hanno abbastanza penetrazione per intenderli, né
pazienza per ascoltarli; non son grandi abbastanza per sen-
tirne compassione senza disprezzo.
S' alzò alquanto più rincorato; girò intorno alla cappella;
si trovò nell' altra corsia che non aveva ancora veduta, e che
riusciva all'altra porta; dopo pochi passi, vide lo stecconato
di cui gli aveva parlato il frate, ma interrotto qua e là, ap-
punto come questo aveva detto; entrò per una eli quelle aper-
ture, e si trovò nel quartiere delle donne. Quasi al primo
passo che fece, vide in terra un campanello, di quelli che i
monatti portavano a un piede; gli venne in mente che un
tale strumento avrebbe potuto servirgli come di passaporto là
dentro; lo prese, guardò se nessuno lo guardava, e se lo le-
gò come usavan quelli. E si mise subito alla ricerca, a
quella ricerca, che, per la quantità sola degli oggetti sarebbe
stata fieramente gravosa, quand'anche gli oggetti fossero sta-
ti tutt' altri; cominciò a scorrer con V occhio, anzi a contem-
plar nuove miserie, così simili in parte alle già vedute, in
parte cosi diverse; che, sotto la stessa calamità, era qui un
altro patire, per dir così, un altro languire, un altro lamen-
tarsi, un altro sopportare, un altro compatirsi e soccorrersi a
vicenda; era, in chi guardasse, un' altra pietà e un altro ri-
brezzo.
Aveva già fatto non so quanta strada, senza frutto e senza
accidenti; quando si sentì dietro le spalle un «oh!» una
chiamata, che pareva diretta a lui. Si voltò e vide, a una
certa distanza, un commissario, che alzò una mano, accen-
nando proprio a lui, e gridando; «là nelle stanze, che e' è
bisogno d'aiuto: qui s'è finito ora di sbrattare.»
CAPITOLO XXXVI. 465
Renzo s' avvide subito per chi veniva preso, e che il cam-
panello era la cagione dell'equivoco: si diede della bestia
d' aver pensato solamente agi' impicci che queir insegna gli po-
teva scansare, e non a quelli che gli poteva tirare addosso;
ma pensò nello stesso tempo alla maniera di sbrigarsi subito
da colui. Gli fece replicatamele e in fretta un cenno col
capo, come per dire che aveva inteso, e che ubbidiva; e
si levò dalla sua vista, cacciandosi da una parte tra le ca-
panne.
Quando gli parve d' essere abbastanza lontano, pensò an-
che a liberarsi dalla causa dello scandolo; e, per far quel-
1' operazione senz' essere osservato, andò a mettersi in un pic-
colo spazio tra due capanne che si voltavan, per dir così, la
schiena. Si china per levarsi il campanello, e stando così col
capo appoggiato alla parete di paglia d' una delle capanne, gli
vien da quella all'orecchio una voce.... Oh cielo! è pos-
sibile? Tutta la sua anima è in quell' orecchio; la respira-
zione è sospesa Sì! sì! è quella voce! «Paura di
che?» diceva quella voce soave: «abbiam passato ben altro
che un temporale. Chi ci ha custodite finora, ci custodirà
anche adesso.-
Se Renzo non cacciò un urlo, non fu per timore di farsi
scorgere, fu perchè non n' ebbe il fiato. Gli mancaron le gi-
nocchia, gli s'appannò la vista; ma fu un primo momento;
al secondo, era ritto, più desto, più vigoroso di prima; in tre
salti girò la capanna, fu Bull' uscio, vide colei che aveva par-
lato, la vide levata, chinata sopra un lettuccio. Si volta essa
al rumore; guarda, crede di travedere, di sognare: guarda
più attenta, e grida: «oh Signor benedetto!»
>Lucia! v'ho trovata! vi trovo! siete proprio voi! siete
viva!» esclamò Renzo, avanzandosi tutto tremante.
«Oh Signor benedetto!» replicò, ancor più tremante. Lu-
cia: «voi? che cosa è questa! in che maniera? perchè? La
peste!»
«L'ho avuta. E voi . . . .?»
«Ah! .... anch' io. E di mia madre ....?»
«Non l'ho vista, perchè è a Pasturo; credo però che stia
bene. Ma voi.... come siete ancora pallida! come parete
ancora debole! Guarita però, siete guarita?-)
«Il Signore m' ha voluto lasciare ancora quaggiù. Ah
Renzo! perchè siete voi qui?»
«Perchè?» disse Renzo avvicinandosele sempre più: «mi
domandate perchè? Perchè ci dovevo venire? Avete bisogno
che ve lo dica? Chi ho io a cui pensi? Xon mi chiamo più
Renzo, io? Non siete più Lucia, voi?»
«Ah cosa dite! cosa dite! Ma non v'ha fatto scrivere
mia madre ....?»
Manzoni. 30
46G I PROMESSI SPOSI.
(■Sì: pur troppo m'ha fatto scrivere. Belle cose da fare
scrivere a un povero disgraziato, tribolato, ramingo, a un gio-
vine che, dispetti almeno, non ve n'aveva mai fatti'
Ma Renzo! Renzo! giacché sapevate.... perchè venire?
perchè?»
c.Perchè venire? Oh Lucia! perchè venire, mi dite? Dopo
tante promesse! Xon siam più noi? Non vi ricordate più?
Che cosa ci mancava?»
«Oh Signore!» esclamò dolorosamente Lucia, giungendo le
mani, e alzando gli occhi al cielo: «perchè non m' avete fatta
la grazia di tirarmi a Voi....! Oh Renzo! cos'avete mai
fatto? Ecco; cominciavo a sperare che .... col tempo ....
mi sarei dimenticata . . . .»
«Bella speranza! belle cose da dirmele proprio sul viso!»
«Ah, cos'avete fatto! E in questo luogo! tra queste mi-
serie! tra questi spettacoli! qui dove non si fa altro che mo-
rire, avete potuto. . . .!»
«Quelli che muoiono, bisogna pregare Iddio per loro, e
sperare che anderanno in un buon luogo; ma non è giusto,
né anche per questo, che quelli che vivono abbiano a viver
disperati . . . .»
«Ma, Renzo! Renzo! voi non pensate a quel che dite. Una
promessa alla Madonna! .... Un voto!»
«E io vi dico che son promesse che non contan nulla.»
«Oh Signore! Cosa dite? Dove siete stato in questo
tempo? Con chi avete trattato? Come parlate?»
«Parlo da buon cristiano; e della Madonna penso meglio
io che voi; perchè credo che non vuol promesse in danno del
prossimo. Se la Madonna avesse parlato, oh, allora! Ma
cos' è stato? una vostra idea. Sapete cosa dovete promettere
alla Madonna? Promettetele che la prima figlia che avremo,
le metteremo nome Maria : che questo son qui anch' io a
prometterlo: queste son cose che fanno ben più onore alla
Madonna: queste son divozioni che hanno più costrutto, e non
portan danno a nessuno.»
«Xo no; non dite così: non sapete quello che vi dite: non
lo sapete voi cosa sia fare un voto: non ci siete stato voi in
quel caso: non avete provato. Andate, andate, per amor del
cielo!»
E si scostò impetuosamente da lui, tornando verso il let-
tuccio.
«Lucia!» disse Renzo, senza moversi: (ditemi almeno,
ditemi: se non fosse questa ragione sareste la stessa per
me?»
«Uomo senza cuore!» rispose Lucia, voltandosi, e ratte-
nendo a stento le lacrime: «quando m' avreste fatte dir delle
parole inutili, delle parole che mi farebbero male, delle pa-
CAPITOLO XXXVI.
407
role che sarebbero forse peccati, sareste contento? Andate,
oh andate! dimenticatevi di me: si vede che non eravamo de-
stinati! Ci rivedremo lassù: già non ci si deve star molto in
questo mondo. Andate; cercate di far sapere a mia madre
che son guarita, che anche qui Dio m'ha sempre assistita,
che ho trovato un' anima buona, questa brava donna, che mi
fa da madre; ditele che spero che lei sarà preservata da que-
sto male, e che ci rivedremo quando Dio vorrà, e come vor-
rà Andate, per amor del cielo, e non pensate a me
se non quando pregherete il Signore.»
E, come chi non ha più altro da dire, né vuol sentir al-
tro, come chi vuol sottrarsi a un pericolo, si ritirò ancor
più vicino al lettuccio, dov1 era la donna di cui aveva
parlato.
(■Sentite, Lucia, sentite!» disse Renzo, senza però acco-
starsele di più.
hNo, no; andate per carità!»
«Sentite: il padre Cristoforo....»
«Che?»
«È qui.)
(•Qui? dove? come lo sapete?»
«Gli ho parlato poco fa; sono stato un pezzo con lui: e
un religioso della sua qualità, mi pare ....->
«È qui! per assistere i poveri appestati, sicuro. Ma lui?
P ha avuta la peste?»
«Ah Lucia! ho paura, ho paura pur troppo....» e men-
tre Renzo esitava così a proferir la parola dolorosa per lui,
e che doveva esserlo tanto a Lucia, questa s' era staccata di
nuovo dal lettuccio, e si ravvicinava a lui: «ho paura che
l'abbia adesso!»
«Oh povero sant'uomo! Ma cosa dico, pover' uomo? Po-
veri noi! Com'è? è a letto? è assistito?»
«È levato, gira, assiste gli altri; ma se lo vedeste, che
colore che ha, come si regge! Se n' è visti tanti e tanti, che
pur troppo .... non si sbaglia!»
«Oh poveri noi! E è proprio qui!»
«Qui, e poco lontano: poco più che da casa vostra a casa
mia .... se vi ricordate ....!»
«Oh Vergine santissima!»
«Bene, poco più. E pensate se abbiamo parlato di voi!
M' ha detto delle cose E se sapeste cosa m' ha fatto
vedere! Sentirete; ma ora voglio cominciare a dirvi quel che
m' ha detto prima, lui, con la sua propria bocca. M' ha
detto che facevo bene a venirvi a cercare, e che al Signore
gli piace che un giovine tratti così , e m' avrebbe aiutato a
far che vi trovassi; come è proprio stato la verità: ma già è
un santo. Sicché, vedetelo
30*
4G8 I PROMESSI SPOSI.
(Ma se ha parlato così, è perchè lui non sa . . . .»
«Che volete che sappia lui delle cose che avete fatte voi
di vostra testa, senza regola e senza il parere di nessuno?
Un brav' uomo, un uomo di giudizio, come è lui , non va a
pensare cose di questa sorte. Ma quel che m' ha fatto ve-
dere!-) E qui raccontò la visita fatta a quella capanna. Lu-
cia, quantunque i suoi sensi e il suo animo avessero, in quel
soggiorno, dovuto avvezzarsi alle più forti impressioni, stava
tutta compresa d' orrore e di compassione.
«E anche lì,» proseguì Renzo, «ha parlato da santo: ha
detto che il Signore forse ha destinato di far la grazia a
quel meschino (ora non potrei proprio dargli un altro no-
me) che aspetta di prenderlo in un buon punto: ma
vuole che noi preghiamo insieme per lui ... . Insieme! avete
inteso?»
«Sì, sì; lo pregheremo, ognuno dove il Signore ci terrà:
le orazioni le sa mettere insieme Lui.»
Ma se vi dico le sue parole ....!»
«Ma, Renzo, lui non sa . . . .»
«Ma non capite che, quando è un santo che parla, è il
Signore che lo fa parlare? e che non avrebbe parlato così,
se non dovesse esser proprio così E P anima di quel
poverino? Io ho bensì pregato, e pregherò per lui: di cuore
ho pregato, proprio come se fosse stato per un mio fratello.
Ma come volete che stia nel mondo di là, il poverino, se di
qua non s; accomoda questa cosa, se non è disfatto il male
che ha fatto lui? Che se voi intendete la ragione, allora tutto
è come prima: quel che è stato è stato: lui ha fatto la sua
penitenza di qua . . .»
«No, Renzo, no. Il Signore non vuole che facciamo del
male, per far Lui misericordia. Lasciate fare a Lui, per
questo: noi il nostro dovere è di pregarlo. S'io fossi morta
quella notte, non gli avrebbe dunque potuto perdonare? E
se non son morta, se sono stata liberata . . . .»
«E vostra madre, quella povera Agnese, che m' ha sem-
pre voluto tanto bene, e che si struggeva tanto di vederci
marito e moglie, non ve 1* ha detto anche lei che P è un'
idea storta? Lei, che v' ha fatto intender la ragione anche
dell' altre volte, perchè, in certe cose, pensa più giusto di
voi .... »
«Mia madre! volete che mia madre mi desse il parere di
mancare a un voto ! Ma, Renzo ! non siete in voi.»
«Oh! volete che ve la dica? Voi altre donne, queste cose
non le potete sapere. Il padre Cristoforo m' ha detto che
tornassi da lui a raccontargli se v'avevo trovata. Vo: lo
sentiremo, quel che dirà lui .... »
«Sì, sì; andate da quel sant'uomo; ditegli che prego per
CAPITOLO XXXVI. 469
lui, e che preghi per me, che n'ho bisogno tanto tanto! Ma,
per amor del cielo, per l'anima vostra, per l'anima mia,
non venite più qui, a farmi del male, a . . . . tentarmi. Il
padre Cristoforo, lui saprà spiegarvi le cose, e farvi tornare
in voi; lui vi farà mettere il cuore in pace.»
oli cuore in pace! Oh! questo, levatevelo dalla testa.
Già me l'avete fatta scrivere questa parolaccia: e so io quel
che m'ha fatto patire; e ora avete anche il cuore di dirme-
la. E io invece vi dico chiaro e tondo che il cuore in pace
non lo metterò mai. Voi volete dimenticarvi di me; io non
voglio dimenticarmi di voi. E vi prometto, vedete, che, se
mi fate perdere il giudizio, non lo acquisto più. Al diavolo
il mestiere, al diavolo la buona condotta! Volete condannar-
mi a essere arrabbiato per tutta la vita; e da arrabbiato vi-
vere .... E quel disgraziato ! Lo sa il Signore se gli ho
perdonato di cuore; ma voi Volete dunque farmi pen-
sare per tutta la vita che se non era lui . . . .? Lucia, avete
detto ch'io vi dimentichi! ch'io vi dimentichi! Come devo
fare? A chi credete eh' io pensassi in tutto questo tempo?
.... È dopo tante cose! dopo tante promesse! Cosa v' ho
fatto io, dopo che ci siamo lasciati? Perchè ho patito, mi
trattate così? perchè ho avuto delle disgrazie? perchè la
gente del mondo m' ha perseguitato ? perchè ho passato tanto
tempo fuori di casa, tristo, lontano da voi? perchè, al primo
momento che ho potuto, son venuto a cercarvi?-)
Lucia, quando il pianto le permise di formar parole,
esclamò giungendo di nuovo le mani, e alzando al cielo gli
occhi pregni di lacrime: «0 Vergine santissima, aiutatemi
voi! Voi sapete che, dopo quella notte, un momento come
questo non l'ho mai passato. M'avete soccorsa allora; soc-
corretemi anche adesso!»
«Sì, Lucia; fate bene d'invocar la Madonna; ma perchè
volete credere che Lei che è tanto buona, la madre delle mi-
sericordie, possa aver piacere di farci patire me alme-
no ... . per una parola scappata in un momento che non sa-
pevate quello che vi dicevate? Volete credere che v' abbia
aiutata allora, per lasciarci imbrogliati dopo? ... Se poi que-
sta fosse una scusa; se è eh' io vi sia venuto in odio ....
ditemelo .... parlate chiaro.»
«Per carità, Renzo, per carità, per i vostri poveri morti,
finitola; non mi fate morire Non sarebbe un buon momento.
Andate dal padre Cristoforo, raccomandatemi a. lui, non tor-
nate più qui, non tornate più qui.»
«Vo; ma pensate se non voglio tornare; tornerei se fosse
in capo al mondo, tornerei.» E disparve.
Lucia andò a sedere, o piuttosto si lasciò cadere in terra,
accanto al lettuccio; e, appoggiata a quello la testa, continuò
470 I PROMESSI SPOSI.
a piangere dirottamente. La donna, che fin allora era stata
a occhi e orecchi aperti, senza tìatare, domandò cosa fosse
quell' apparizione, quella contesa, questo pianto. Ma forse
il lettore domanda dal canto suo chi fosse costei; e, per sod-
disfarlo, non ci vorranno, né anche qui, troppe parole.
Era un' agiata mercantessa, di forse trent' anni. Nello
spazio di pochi giorni, s' era visto morire in casa il marito
e tutti i figliuoli: di lì a poco, venutale la peste anche a lei,
era stata trasportata al lazzeretto, e messa in quella capan-
nuccia, nel tempo che Lucia, dopo aver superata, senza av-
vedersene, la furia del male, e cambiate ugualmente senza av-
vedersene più compagne, cominciava a riaversi, e a tornare
in sé; che, fin dal principio della malattia, trovandosi ancora
in casa di don Ferrante, era rimasta come insensata. La
capanna non poteva contenere che due persone: e tra queste
due, afflitte, derelitte, sbigottite, sole in tanta moltitudine, era
presto nata un' intrinsichezza, un' affezione, che appena sa-
rebbe potuta venire da un lungo vivere insieme. In poco
tempo, Lucia era stata in grado di potere aiutar 1' altra, che
s' era trovata aggravatissima. Ora che questa pure era fuori
di pericolo, si facevano compagnia e coraggio e guardia a vi-
cenda; s' eran promesse di non uscir dal lazzeretto, se non
insieme: e avevan presi altri concerti per non separarsi neppur
dopo. La mercantessa, che, avendo lasciato in custodia d' un
suo fratello commissario della sanità, la casa e il fondaco e
la cassa, tutto ben fornito, era per trovarsi sola e trista pa-
drona di molto più di quel che le bisognasse per viver como-
damente, voleva tener Lucia con sé, come una figliuola o una
sorella. Lucia aveva aderito, pensate con che gratitudine per
lei, e per la Provvidenza; ma soltanto fin che potesse aver
nuove di sua madre, e sapere, come sperava, la volontà di
essa. Del resto, riservata com' era, né della promessa dello
sposalizio, né dell' altre sue avventure straordinarie, non aveva
mai detta una parola. Ma ora, in un così gran ribollimento
d' affetti, aveva almen tanto bisogno di sfogarsi, quanto V al-
tra desiderio di sentire. E, stretta con tutt' e due le mani la
destra di lei, si mise subito a soddisfare alla domanda, sen-
z' altro ritegno, che quello che le facevano i singhiozzi.
Renzo intanto trottava verso il quartiere del buon frate.
Con un po' di studio, e non senza dover rifare qualche pez-
zetto di strada, gli riuscì finalmente d' arrivarci. Trovò la
capanna; lui non ce lo trovò; ma, ronzando e cercando nel
contorno, lo vide in una baracca, che, piegato a terra, e quasi
bocconi, stava confortando un moribondo. Si fermò lì, aspet-
tando in silenzio. Poco dopo, lo vide chiuder gli occhi a quel
poverino, poi mettersi in ginocchio, far orazione un momento,
e alzarsi. Allora si mosse, e gli andò incontro.
CAPITOLO xxxvi 471
«Oh!» disse il frate, vistolo venire: «ebbene ?«
<La e' è: 1" ho trovata!"
«•In che stato?;)
«Guarita, o almeno levata.»
«Sia ringraziato il Signore!»
-Ma ) disse Renzo, quando gli fu vicino da poter
parlar sottovoce: «e' è un altro imbroglio.»
«Cosa e' è?»
«Voglio dire che .... Già lei lo sa come è buona quella
povera giovine; rna alle volte è un po' fissa nelle sue idee.
])opo tante promesse, dopo tutto quello che sa anche lei, ora
dice che non mi può sposare, perchè dice che so io? che,
quella notte della paura, s' è scaldata la testa, e s' è, come
a dire, votata alla Madonna. Cose senza costrutto, n' è vero?
Cose buone, chi ha la scienza e il fondamento da farle, ma
per noi gente ordinaria, che non sappiamo bene come si de-
von fare .... n' è vero che son cose che non valgono ?»
«Dimmi : è molto lontana di qui?»
«Oh no : pochi passi di là dalla chiesa.»
«Aspettami qui un momento,» disse il frate: «e poi ci
anderemo insieme.)
«Vuol dire che lei le farà intendere .... »
«Non so nulla, figliuolo; bisogna eh' io senta lei.»
«Capisco,» disse Renzo; e stette con gli occhi fissi a ter-
ra, e con le braccia incrociate sul petto, a masticarsi la sua
incertezza, rimasta intera. Il frate andò di nuovo in cerca
di quel padre Vittore, lo pregò di supplire ancora per lui,
entrò nella sua capanna, n' uscì con la sporta in braccio,
tornò da Renzo, gli disse: «andiamo,» e andò innanzi, avvian-
dosi a quella tal capanna, dove qualche tempo prima, erano
entrati insieme. Questa volta, entrò solo, e dopo un momen-
to ricomparve, e disse: «niente! Preghiamo; preghiamo.»
Poi riprese: «ora conducimi tu.»
E senza dir altro, s' avviarono.
Il tempo s' era andato sempre più rabbuiando, e annun-
ziava ormai certa e poco lontana la burrasca. De' lampi fitti
rompevano l'oscurità cresciuta, e lumeggiavano d'un chiarore
istantaneo i lunghissimi tetti e gli archi de' portici, la cupola
della cappella, i bassi comignoli delle capanne; e i tuoni
scoppiati con istrepito repentino, scorrevano rumoreggiando
dall' una all' altra regione del cielo. Andava innanzi il gio-
vine, attento alla strada, con un grand' impazienza d'arri-
vare, e rallentando però il passo, per misurarlo alle forze del
compagno; il quale, stanco dalle fatiche, aggravato dal male,
oppresso dall' afa, camminava stentatamente, alzando ogni
tanto al cielo la faccia smunta, come per cercare un respiro
più libero.
472 I PROMESSI SPOSI.
Renzo, quando vide la capanna, si fermò, si voltò indietro,
disse con voce tremante: «è qui.»
Entrano ((Eccoli!» grida la donna del lettuccio. Lu-
cia si volta, s' alza precipitosamente, va incontro al vecchio,
gridando: «oh chi vedo! 0 padre Cristoforo!»
«Ebbene, Lucia! da quante angustie v'ha liberata il Si-
gnore! Dovete esser ben contenta d' aver sempre sperato in
Lui.»
«Oh sì! Ma lei, padre? Povera me, come è cambiato!
Come sta? dica: come sta?»
«Come Dio vuole, e come, per sua grazia, voglio an-
ch' io,» rispose, con volto sereno, il frate. E, tiratala in un
canto, soggiunse: «sentite: io non posso rimaner qui che po-
chi momenti. Siete voi disposta a confidarvi in me, come
altre volte?»
«Oh! non è lei sempre il mio padre?»
Figlinola, dunque: cos' è codesto voto che m' ha detto
Renzo ?»
«È un voto che ho fatto alla Madonna.... oh! in una
gran tribolazione! .... di non maritarmi.»
«Poverina ! Ma avete pensato allora, eh' eravate legata
da una promessa?»
«Trattandosi del Signore e della Madonna! .... non ci
ho pensato.»
«Il Signore, figliuola, gradisce i sacrifizi, 1' offerte, quan-
do le facciamo del nostro. È il cuore che vuole, è la volon-
tà: ma voi non potevate offrirgli la volontà d' un altro al
quale r eravate già obbligata.
«Ho fatto male?"
«No, poverina, non pensate a questo: io credo anzi che
la Vergine santa avrà gradita l' intenzione del vostro cuore
afflitto, e T avrà offerta a Dio per voi. Ma ditemi: non vi
siete mai consigliata con nessuno su questa cosa?»
«Io non pensavo che fosse male, da dovermene confessa-
re: e quel poco bene che si può fare, si sa che non bisogna
raccontarlo.»
«Non avete nessun altro motivo che vi trattenga dal man-
tener la promessa che avete fatta a Renzo?»
«In quanto a questo .... per me ... . che motivo .... ?
Non potrei proprio dire....» rispose Lucia, con un'esita-
zione che indicava tutt' altro che un' incertezza del pensiero ;
e il suo viso ancora scolorito dalla malattia fiorì tutt' a un
tratto del più vivo rossore.
«Credete voi,» riprese il vecchio, abbassando gli occhi,
< che Dio ha dato alla sua Chiesa 1' autorità di rimettere e
di ritenere, secondo che torni in maggior bene, i debiti e gli
obblighi che gli uomini possono aver contratti con Lui?»
CAPITOLO XXXVI. 473
«Sì, che lo credo.»
«Ora sappiate che noi, deputati alla cura dell' anime in
questo luogo, abbiamo, per tutti quelli che ricorrono a noi,
le più ampie facoltà della Chiesa, e che per conseguenza, io
posso, quando voi lo chiediate, sciogliervi dall' obbligo, qua-
lunque sia, che possiate aver contratto a cagion di codesto
voto.»
Ma non è peccato tornare indietro, pentirsi d' una pro-
messa fatta alla Madonna? Io allora 1' ho fatta proprio di
cuore....» disse Lucia, violentemente agitata dall'assalto
d' una tale inaspettata, bisogna pur dire speranza, e dall' in-
sorgere opposto d' un terrore fortificato da tutti i pensieri
che, da tanto tempo, eran la principale occupazione dell' ani-
mo suo.
«Peccato, figliuola?^ disse il padre: «peccato il ricorrere
alla Chiesa, e chiedere al suo ministro che faccia uso del-
l' autorità che ha ricevuta da essa, e che essa ha ricevuta da
Dio? Io ho veduto in che maniera voi due siete stati con-
dotti ad unirvi; e, certo, se mai m' è parso che due fossero
uniti da Dio, voi altri eravate quelli: ora non vedo perchè
Dio v' abbia a voler separati. E lo benedico che m' abbia
dato, indegno come sono, il potere di parlare in suo nome, e
di rendervi la vostra parola. E se voi mi chiedete eh' io vi
dichiari sciolta da codesto voto, io non esiterò a farlo, e de-
sidero anzi che me lo chiediate.»
«Allora . . . .! allora. ... ! lo chiedo;» disse Lucia, con un
volto non turbato più che di pudore.
Il frate chiamò con un cenno il giovine, il quale se ne
stava nel cantuccio il più lontano, guardando (giacché non
poteva far altro) fisso fisso al dialogo in cui era tanto inte-
ressato; e, quando quello fu lì, disse, a voce più alta, a Lu-
cia: «con 1' autorità che ho dalla Chiesa, vi dichiaro sciolta
dal voto di verginità, annullando ciò che ci potè essere d' in-
considerato, e liberandovi da ogni obbligazione che poteste
averne contratta.»
Pensi il lettore che suono facessero all' orecchio di Ren-
zo tali parole. Ringraziò vivamente con gli occhi colui
che le aveva proferite, e cercò subito, ma invano, quelli di
Lucia.
«Tornate con sicurezza e con pace, ai pensieri d' una
volta,» seguì a dirle il cappuccino: «chiedete di nuovo al
Signore le grazie che Gli chiedevate, per essere una moglie
santa; e confidate che ve le concederà più abbondanti, dopo
tanti guai. E tu,» disse, voltandosi a Renzo, «ricordati,
figliuolo, che se la Chiesa ti rende questa compagna, non lo
fa per procurarti una consolazione temporale e mondana, la
quale, se anche potesse essere intera e senza mistura d' alcun
474 I PROMESSI SPOSI.
dispiacere, dovrebbe finire in un gran dolore, al momento di
lasciarvi ; ma lo fa per avviarvi tutt' e due sulla strada della
consolazione che non avrà fine. Amatevi come compagni di
viaggio, con questo pensiero d'avere a lasciarvi, e con la
speranza di ritrovarvi per sempre. Ringraziate il cielo che
v' ha condotti a questo stato, non per mezzo dell' allegrezze
turbolente e passeggiere, ma co' travagli e tra le miserie, per
disporvi a un' allegrezza raccolta e tranquilla. Se Dio vi con-
ceda figliuoli, abbiate in mira d'allevarli per Lui, d'istillar
loro l'amore di Lui e di tutti gli uomini: e allora li guide-
rete bene in tutto il resto. Lucia! v' ha detto,»' e accennava
Renzo, echi ha visto qui?
«Oh padre, me V ha detto!"
Voi pregherete per lui! Non ve ne stancate. E anche
per me pregherete! . . . Figliuoli! voglio che abbiate un ri-
cordo del povero frate.» E qui levò dalla sporta una scatola
d'un legno ordinario, Nma tornita e lustrata con una certa
finitezza cappuccinesca; e proseguì: "qui dentro c'è il resto
di quel pane .... il primo che ho chiesto per carità; quel
pane, di cui avete sentito parlare! Lo lascio a voi altri:
serbatelo: fatelo vedere ai vostri figliuoli. Verranno in un
tristo mondo, e in tristi tempi, in mezzo a* superbi e a' pro-
vocatori: dite loro che perdonino sempre, sempre! tutto, tutto!
e che preghino, anche loro, per il povero frate !
E porse la scatola a Lucia, che la prese con rispetto, co-
me si farebbe d' una reliquia. Poi con voce più tranquilla,
riprese: «ora ditemi: che appoggi avete qui in Milano? Dove
pensate d; andare a alloggiare, appena uscita di qui? E chi
vi condurrà da vostra madre, che Dio voglia aver conservata
in salute?»
('Questa buona signora mi fa lei intanto da madre: noi
due usciremo di qui insieme, e poi essa penserà a tutto.
«Dio la benedica,» disse il frate accostandosi al lettuccio.
«La ringrazio anch'io,» disse la vedova, «della consola-
zione che ha data a queste povere creature: sebbene io avessi
fatto conto di tenerla sempre con me, questa cara Lucia. Ma
la terrò intanto; l'accompagnerò io al suo paese, la conse-
gnerò a sua madre; e,» soggiunse poi sotto voce, «voglio
farle io il corredo. N'ho troppa della roba; e di quelli che
uovevan goderla con me, non ho più nessuno!»
«Così.- rispose il frate, «lei può fare un gran sacrifizio
al Signore, e del bene al prossimo. Non le raccomando que-
sta giovine: già vedo che è come sua: non e' è che da lodare
il Signore, il quale sa mostrarsi padre anche ne' flagelli, e
che, col farle trovare insieme, ha dato un così chiaro segno
d' amore all' una e all' altra. Orsù,» riprese poi, voltandosi
a Renzo, e prendendolo per una mano: «noi due non abbiam
CAPITOLO XXXVI. 475
più nulla da far qui: e ci siamo stati anche troppo. An-
diamo.»
«0 padre!» disse Lucia: la vedrò ancora? Io sono
guarita, io che non fo nulla di bene a questo mondo: e
lei . . . !»
«È già molto tempo,» rispose con tono serio e dolce iì
■vecchio, «che chiedo al Signore una grazia, e ben grande: di
finire i miei giorni in servizio del prossimo. Se me la vo-
lesse ora concedere, ho bisogno che tutti quelli che hanno
carità per me, m' aiutino a ringraziarlo. Via; date a Renzo
le vostre commissioni per vostra madre.»
«Raccontatele quel che avete veduto.» disse Lucia al pro-
messo sposo: «che ho trovata qui un' altra madre, che verrò
con questa più presto che potrò, e che spero, spero di tro-
varla sana.»
«Se avete bisogno di danari.» disse Renzo, «ho qui tutti
quelli che m' avete mandati, e . . . .»
«No, no,» interruppe la vedova: -ne ho io anche
troppi.»
«Andiamo,» replicò il frate.
«A rivederci. Lucia ... ! e anche lei, dunque, quella buo-
na signora.» disse Renzo non trovando parole che significas-
sero quello che sentiva.
«•Chi sa che il Signore ci faccia la grazia di rivederci
ancora tutti!- esclamò Lucia.
«Sia Egli sempre con voi, e vi benedica,» disse alle due
compagne fra Cristoforo; e uscì con Renzo dalla capanna.
Mancava poco alla sera, e il tempo pareva sempre più vi-
cino a risolversi. 11 cappuccino esibì di nuovo al giovine di
ricoverarlo per quella notte nella sua baracca. «Compagnia,
non te ne potrò fare,» soggiunse: «ma avrai da stare al co-
perto.»
Renzo però si sentiva una smania d' andare . e non si cu-
rava di rimaner più a lungo in un luogo simile, quando non
poteva profittarne per veder Lucia, e non avrebbe neppur po-
tuto starsene un po' col buon frate In quanto all' ora e al
tempo, si può dire che notte e giorno, sole e pioggia, seffiro
e tramontano, eran tutt' uno per lui in quel momento. Rin-
graziò dunque il frate, dicendo che voleva andar più presto
che fosse possibile in cerca d" Agnese.
Quando furono nella strada di mezzo, il frate gli strinse
la mano, e disse: «se la trovi, che Dio voglia! quella buona
Agnese, salutala anche in mio nome, e a lei. e a tutti quelli
che rimangono, e si ricordano di fra Cristoforo, di' che pre-
ghin per lui. Dio t' accompagni, e ti benedica per sempre.»
«Oh caro padre . . .! ci rivedremo? ci rivedremo?»
«Lassù, spero.» E con queste parole, si staccò da Reo-
476 1 PROMESSI SPOSI.
zo, il quale, stato lì a guardarlo fin che non 1' ebbe perso di
vista, prese in fretta verso la porta, dando a destra e a si-
nistra V ultime occhiate di compassione a quel luogo di do-
lori. C era un movimento straordinario, un correr di monatti,
un trasportar di roba, un accomodar le tende delle baracche,
uno strascicarsi di convalescenti a queste e ai portici, per
ripararsi dalla burrasca imminente.
CAPITOLO XXXVII.
Appena infatti ebbe Renzo passata la soglia del lazzeretto,
e preso a diritta, per ritrovar la viottola di dov' era sboccato
la mattina sotto le mura, principiò come una grandine di
goccioloni radi e impetuosi, che, battendo e risaltando sulla
strada bianca e arida, sollevavano un minuto polverìo; in un
momento, diventaron fitti; e prima che arrivasse alla viottola,
la veniva giù a secchie. Renzo, invece d' inquietarsene, ci
sguazzava dentro, se la godeva in quella rinfrescata, in quel
susurrìo, in quel brulichìo dell' erbe e delle foglie, tremolanti,
gocciolanti, rinverdite, lustre ; metteva certi respironi larghi e
pieni ; e in quel risolvimento della natura sentiva come più
liberamente e più vivamente quello che s' era fatto nel suo
destino.
Ma quanto più schietto e intero sarebbe stato questo sen-
timento, se Renzo avesse potuto indovinare quel che si vide
pochi giorni dopo: che queir acqua portava via il contagio;
che, dopo quella, il lazzeretto, se non era per restituire ai
viventi tutti i viventi che conteneva, almeno non n' avrebbe
più ingoiati altri; che, tra una settimana, si vedrebbero ria-
perti usci e botteghe, non si parlerebbe quasi più che di qua-
rantina; e della peste non rimarrebbe se non qualche restic-
ciolo qua e là; quello strascico che un tal flagello lasciava
sempre dietro a sé per qualche tempo.
Andava adunque il nostro viaggiatore allegramente, senza
aver disegnato né dove, né come, né quando, né se avesse da
fermarsi la notte, premuroso soltanto di portarsi avanti, d' ar-
rivar presto al suo paese, di trovar con chi parlare, a chi
raccontare, soprattutto di poter presto rimettersi in cammino
per Pasturo, in cerca d'Agnese. Andava, con la mente tutta
sottosopra dalle cose di quel giorno; ma dì sotto le miserie,
gli orrori, i pericoli, veniva sempre a galla un pensierino:
l'ho trovata; è guarita; è mia! E allora faceva uno sgam-
betto, e con ciò dava un' annaffiata all' intorno, come un can
barbone uscito dall'acqua; qualche volta si contentava d'una
CAPITOLO XXXVII. 4( <
fregatina di mani; e avanti, con più ardore di prima. Guar-
dando per la strada, raccattava, per dir così, i pensieri, che
ci aveva lasciati la mattina e il giorno avanti, nel venire; e
con più piacere quelli appunto che allora aveva più cercato
di scacciare, i dubbi, le difficoltà, trovarla, trovarla viva, tra
tanti morti e moribondi! — E l'ho trovata viva! — conclu-
deva. Si rimetteva col pensiero nelle circostanze più terribili
di quella giornata; si figurava con quel martello in mano: ci
sarà o non ci sarà? e una risposta così poco allegra; e non
aver nemmeno il tempo di masticarla, che addosso quella fu-
ria di matti birboni: e quel lazzeretto, e quel mare! lì ti vole-
vo a trovarla! E averla trovata! Ritornava su quel momento
quando fu finita di passare la processione de' convalescenti:
che momento! che crepacuore non trovarcela! e ora non glie-
ne importava più nulla. E quel quartiere delle donne! E là
dietro a quella capanna, quando meno se Y aspettava, quella
voce, quella voce proprio! E vederla, vederla Levata! Ma
che? e' era ancora quel nodo del voto, e più stretto che mai.
Sciolto anche questo. E queir odio contro don Rodrigo, quel
rodio continuo che esacerbava tutti i guai, e avvelenava tutte
le consolazioni, scomparso anche quello. Talmentechè non
saprei immaginare una contentezza più viva, se non fosse stata
T incertezza intorno ad Agnese: il tristo presentimento in-
torno al padre Cristoforo, e quel trovarsi ancora in mezzo a
una peste.
Arrivò a Sesto, sulla sera: né pareva che l'acqua volesse
cessare. Ma, sentendosi più in gambe che mai, e con tante
difficoltà di trovar dove alloggiare, e così inzuppato, non ci
pensò neppure. La sola cosa che l'incomodasse, era un
grand' appetito: che una consolazione come quella gli avrebbe
fatto smaltire altro che la poca minestra del cappuccino.
Guardò se trovasse anche qui una bottega da fornaio: ne vide
una: ebbe due pani con le molle, e con quelì" altre cerimonie.
Uno in tasca e 1' altro alla bocca, e avanti.
Quando passò per Monza, era notte fatta; nonostante, gli
riuscì di trovar la porta che metteva sulla strada giusta. Ma
meno questo, che per dir la verità, era un gran merito, po-
tete immaginarvi come fosse quella strada, e come andasse
facendosi di momento in momento. Affondata (coni' eran tut-
te: e dobbiamo averlo detto altrove) tra due rive, quasi un
letto di fiume, si sarebbe a quell' ora potuta dire, se non un
fiume, una gora davvero; e ogni tanto pozze, da volerci del
buono e del bello a levarne i piedi, non che le scarpe. Ma
Renzo n' usciva come poteva, senz'atti d'impazienza, senza
parolacce, senza pentimenti; pensando che ogni passo, per
quando costasse, lo conduceva avanti, e che l'acqua ces-
serebbe quando a Dio piacesse, e che a suo tempo, spunte-
478 I PROMESSI SPOSI.
rebbe il giorno, e che la strada che faceva intanto, allora sa-
rebbe fatta.
E dirò anche che non ci pensava se non proprio quando
non poteva far di meno. Eran distrazioni queste; il gran la-
voro della sua mente era di riandare la storia di que' tristi
anni passati: tant" imbrogli , tante traversìe, tanti momenti in
cui era stato per perdere anche la speranza, e fare andata
ogni cosa: e di contrapporci 1! immaginazioni d'un avvenire
così diverso: e l'arrivar di Lucia, e le nozze, e il metter su
casa, e il raccontarsi le vicende passate, e tutta la vita.
Come la facesse quando trovava due strade: se quella po-
ca pratica, con quel poco barlume, fossero quelli che 1' aiu-
tassero a trovar sempre la buona, o se V indovinasse sempre
alla ventura, non ve lo saprei dire; che lui medesimo, il quale
soleva raccontar la sua storia molto per minuto, lunghetta-
mente anzi che no (e tutto conduce a credere che il nostro
anonimo l'avesse sentita da lui più d'una volta), lui mede-
simo a questo punto, diceva che, di quella notte, non se ne
rammentava che come se 1' avesse passata in letto a sognare.
Il fatto sta che, sul finir di essa, si trovò alla riva del-
l' Adda.
>~on era mai spiovuto: ma, a un certo tempo, da diluvio
era diventata pioggia, e poi un' acqueruggiola fine fine, cheta
cheta, ugual uguale: i nuvoli alti e radi stendevano un velo
non interrotto, ma leggiero e diafano, e il lume del crepu-
scolo fece vedere a Renzo il paese d' intorno. C era dentro
il suo; e quel che sentì, a quella vista, non si saprebbe spie-
gare. Altro non vi so dire, se non che que' monti, quel Ite-
segone vicino, il territorio di Lecco, era diventato tutto come
roba sua. Diede un' occhiata anche a sé, e si trovò un po'
strano, quale, per dir la verità, da quel che si sentiva, s'im-
maginava già di dover parere: sciupata e attaccata addosso
ogni cosa: dalla testa alla vita, tutto un fradiciume, una gron-
daia: dalla vita alla punta de' piedi, melletta e mota; le parti
dove non ce ne fosse si sarebbero potute chiamare esse zac-
chere e schizzi. E se si fosse visto tutt' intero in uno spec-
chio, con la tesa del cappello floscia e cascante, e i capelli
stesi e incollati sul viso, si sarebbe fatto ancor più specie.
In quanto a stanco, lo poteva essere, ma non ne sapeva nul-
la: e il frescolino dell'alba aggiunto a quello della notte e
di quel poco bagno, non gli dava altro che una fierezza, una
voglia di camminar più presto.
È a Pescate: costeggia queir ultimo tratto dell' Adda,
dando però un' occhiata malinconica a Pescarenico; passa il
ponte; per istrade e campi, arriva in un momento alla casa
dell' ospite amico. Questo, che s' era levato allora, e stava
sull* uscio, a guardare il tempo, alzò gli occhi a quella figu-
CAPITOLO XXXVII. 479
ra così inzuppata, così infangata, diciam pure così lercia, e
insieme così viva e disinvolta: a' suoi giorni non aveva visto
un uomo peggio conciato e più contento.
Ohe!» disse: «già qui? e con questo tempo? Com'è
andata?"
«La e' è,» disse Renzo: -la e' è; la e' è.»
«Sana?»
«Guarita, che è meglio. Devo ringraziare il Signore e la
Madonna fin che campo. Ma cose grandi, cose di fuoco: ti
racconterò poi tutto.»
Ma come sei conciato!»
«Son bello eh?»
«A dir la verità, potresti adoprare il da tanto in su, per
levare il da tanto in giù. Ma, aspetta, aspetta; che ti faccia
un buon fuoco.»
Non dico di no. Sai dove la m'ha preso? proprio alla
porta del lazzeretto. Ma niente! il tempo il suo mestiere, e
io il mio.»
L'amico andò e tornò con due bracciate di stipa: ne mise
una in terra, P altra sul focolare, e, con un po' di brace ri-
masta della sera avanti, fece presto una bella fiammata. Ren-
zo intanto s' era levato il cappello, e, dopo averlo scosso due
o tre volte, 1' aveva buttato in terra: e, non così facilmente,
s' era tirato via anche il farsetto. Levò poi dal taschino de'
calzoni il coltello, coi fodero tutto fradicio, che pareva stato
in molle; lo mise su un panchetto, e disse: (-anche costui è
accomodato a dovere: ma l'è acqua! l'è acqua! sia ringra-
ziato il Signore .... Sono stato lì lì . . . . ! Ti dirò poi.»
E si fregava le mani. "Ora fammi un altro piacere,» sog-
giunse: «quel fagottino che ho lasciato su in camera, va a
prendermelo, che prima che s' asciughi questa roba che ho
addosso . . . . !»
Tornato col fagotto, l'amico disse: «penso che avrai an-
che appetito: capisco che da bere, per la strada, non te ne
sarà mancato; ma da mangiare . . . .»
«Ho trovato da comprar due pani, ieri sul tardi; ma per
dir la verità, non m' hanno toccato un dente.»
«Lascia fare,-) disse l'amico; mise l'acqua in un paiolo,
che attaccò poi alla catena; e soggiunse: «vado a mungere:
quando tornerò col latte, P acqua sarà all' ordine ; e si fa una
buona polenta. Tu intanto fa il tuo comodo.»
Renzo, rimasto solo, si levò non senza fatica, il resto de'
panni, che gli eran come appiccicati addosso; s'asciugò, si
rivestì da capo a piedi. L'amico tornò, e andò al suo pa-
iuolo: Renzo intanto si mise a sedere, aspettando.
«Ora sento che sono stanco,» disse: "ma è una bella ti-
rata! Però questo è nulla. Xe ho da raccontartene per tut-
480 I PROMESSI SPOSI.
ta la giornata. Com' è conciato Milano! Le cose che biso-
gna vedere! Le cose che bisogna toccare! Cose da farsi poi
schifo a sé medesimo. Sto per dire che non ci voleva meno
di quel bucatino che ho avuto. E quel che m' hanno voluto
fare que' signori di laggiù ! Sentirai. Ma se tu vedessi il
lazzeretto! C' è da perdersi nelle miserie. Basta; ti raccon-
terò tutto .... E la e' è, e la verrà qui, e sarà mia moglie;
e tu devi far da testimonio, e peste o non peste, almeno qual-
che ora, voglio che stiamo allegri.»
Del resto mantenne ciò, che aveva detto all' amico, di vo-
ler raccontargliene per tutta la giornata; tanto più, che aven-
do sempre continuato a piovigginare, questo la passò tutta in
casa, parte seduto accanto all' amico, parte in faccende intor-
no a un suo piccolo tino, e a una botticina, e ad altri lavori,
in preparazione della vendemmia; ne' quali Renzo non lasciò
di dargli una mano; che, come soleva dire, era di quelli che
si stancano più a star senza far nulla, che a lavorare. Non
potè però tenersi di non fare una scappatina alla casa d' Agne-
se, per rivedere una certa finestra, e per dare anche lì una
fregatina di mani. Tornò senza essere stato visto da nessu-
no; e andò subito a letto. S'alzò prima che facesse giorno;
e, vedendo cessata 1' acqua, se non ritornato il sereno, si mise
in cammino per Pasturo.
Era ancor presto quando ci arrivò: che non aveva meno
fretta e voglia di finire, di quel che possa averne il lettore.
Cercò d' Agnese; sentì che stava bene, e gli fu insegnata una
casuccia isolata dove abitava. Ci andò; la chiamò dalla stra-
da: a una tal voce, essa s' affacciò di corsa alla finestra; e,
mentre stava a bocca aperta per mandar fuori non so che pa-
rola, non so che suono, Renzo la prevenne dicendo: «Lucia
è guarita: l'ho veduta ierlaltro; vi saluta; verrà presto. E
poi ne ho, ne ho delle cose da dirvi.»
Tra la sorpresa dell' apparizione, e la contentezza della
notizia, e la smania di saperne di più, Agnese cominciava
ora un'esclamazione, ora una domanda, senza finir nulla; poi,
dimenticando le precauzioni eh' era solita a prendere da mol-
to tempo, disse: «vengo ad aprirvi.»
«Aspettate: e la peste?» disse Renzo: «voi non l'avete
avuta, credo.»
«Io no: e voi?»
«Io sì ; ma voi dunque dovete aver giudizio. Vengo da
Milano;^, sentirete, sono proprio stato nel contagio fino agli
occhi. È vero che mi son mutato tutto da capo a piedi ; ma
V è una porcheria che s' attacca alle volte come un malefizio.
E giacché il Signore v' ha preservata finora, voglio che stiate
riguardata fin che non è finito quest' influsso; perchè siete
la nostra mamma: e voglio che campiamo insieme un bel
capitolo xxxvrr. 43!
pezzo allegramente a conto del gran patire che abbiamo fatto,
almeno io. »
Ma .... » cominciava Agnese.
«Eh!» interruppe Renzo: non c'è ma che tenga. So
quel che volete dire; ma sentirete, sentirete, che de' ma non
ce n' è più. Andiamo in qualche luogo all' aperto, dove si
possa parlar con comodo, senza pericolo; e sentirete.)
Agnese gì' indicò un orto ch'era dietro alla casa; e sog-
giunse: «entrate lì, e vedrete che e' è due panche, V una in
faccia all'altra, che paion messe apposta. Io vengo subito.»
Renzo andò a mettersi a sedere sur una: un momento
dopo, Agnese si trovò lì sull'altra: e son certo che, se il let-
tore, informato come è delle cose antecedenti, avesse potuto
trovarsi lì in terzo, a veder con gli occhi quella conversazio-
ne così animata, a sentir con gli orecchi que' racconti, quelle
domande, quelle spiegazioni, quel]' esclamare, quel condolersi,
quel rallegrarsi, e don Rodrigo, e il padre Cristoforo, e tutto
il resto, e quelle descrizioni dell' avvenire chiare e positive co-
me quelle del passato, son certo, dico, che ci avrebbe preso
gusto, e sarebbe stato 1' ultimo a venir via. Ma d' averla
sulla carta tutta quella conversazione, con parole mute, fatte
d' inchiostro, e senza trovarci un solo fatto nuovo, son di pa-
rere che non se ne curi molto , e che gli piaccia più d' indo-
vinarla da sé. La conclusione fu che s' anderebbe a metter
su casa tutti insieme in quel paese del bergamasco dove Ren-
zo aveva già un buon avviamento: in quanto al tempo, non
si poteva decider nulla, perche dipendeva dalla peste, e da
altre circostanze: appena cessato il pericolo, Agnese torne-
rebbe a casa, ad aspettarvi Lucia, o Lucia ve l'aspetterebbe:
intanto Renzo farebbe spesso qualche altra corsa a Pasturo, a
veder la sua mamma, e a tenerla informata di quel che po-
tesse accadere.
Prima di partire, offrì anche a lei danari, dicendo: «gli
ho qui tutti, vedete, que' tali, avevo fatto voto anch'io di
non toccarli, fin che la cosa non fosse venuta in chiaro. Ora,
se n'avete bisogno, portate qui una scodella d'acqua e ace-
to; vi butto dentro i cinquanta scudi belli e lampanti.
«No, no,» disse Agnese: «ne ho ancora più del bisogno
per me: i vostri serbateli, che saran buoni per metter su
casa.»
Renzo tornò al paese con questa consolazione di più d' aver
trovata sana e salva una persona tanto cara. Stette il rima-
nente di quella giornata, e la notte, in casa dell'amico: il
giorno dopo, in viaggio di nuovo, ma da un altra parte, cioè
verso il paese adottivo.
Trovò Bortolo, in buona salute anche lui, e in minor ti-
more di perderla; che, in que' pochi giorni, le cose, anche là
Manzoni. 31
482 I PROMESSI SPOSI.
avevan preso rapidamente una bonissima piega. Pochi eran
quelli che s' ammalavano; e il male non era più quello; non
più qu e' lividi mortali, uè quella violenza di sintomi; ma
febbricciatole, intermittenti la maggior parte, con al più qual-
che piccol bubbone scolorito, che si curava come un fìgnol >
ordinario. Già 1' aspetto del paese compariva mutato; i ri-
masti vivi cominciavano a uscir fuori, a contarsi tra loro, a
farsi a vicenda condoglianze e congratulazioni. Si parlava già
di ravviare i lavori; i padroni pensavano già a cercare e a
caparrare operai, e in quell'arti principalmente dove il nu-
mero n' era stato scarso anche prima del contagio, coni' era
quella della seta. Renzo, senza fare il lezioso, promise (sal-
ve però le debite approvazioni) al cugino di rimettersi al la-
voro, quando verrebbe accompagnato, a stabilirsi in paese.
S'occupò intanto de' preparativi più necessari: trovò una
casa più grande: cosa divenuta pur troppo facile e poco co-
stosa e la fornì di mobili e d' attrezzi, intaccando questa volta
il tesoro, ma senza farci un gran buco, che tutto era a buon
mercato , essendoci molta più roba che gente che la com-
prassero.
Dopo non so quanti giorni, ritornò al paese nativo, che
trovò ancor più notabilmente cambiato in bene. Trottò su-
bito a Pasturo; trovò Agnese rincoraggita affatto, e disposta
a ritornare a casa quando si fosse; di maniera che ce la con-
dusse lui: né diremo quali fossero i loro sentimenti, quali le
parole al rivedere insieme que' luoghi.
Agnese trovò ogni cosa come 1' aveva lasciata. Sicché non
potè far a meno di non dire che questa volta, trattandosi
d'una povera vedova e d'una povera fanciulla, avevan fatto
la guardia gli angioli. «E 1' altra volta, <> soggiungeva, «che
si sarebbe creduto che il Signore guardasse altrove, e non
pensasse a noi, giacché lasciava portar via il povero fatto
nostro; ecco che ha fatto vedere il contrario, perchè m'ha
mandato da un' altra parte di bei danari, con cui ho potuto
rimettere ogni cosa. Dico ogni cosa, e non dico bene; per-
chè il corredo di Lucia che coloro avevan portato via beli' e
nuovo, insieme col resto, quello mancava ancora; ma ecco che
ora ci viene da un' altra parte. Chi nr avesse detto, quando
io m' arrapinavo tanto a allestir quell' altro: tu credi di la-
vorar per Lucia: eh povera donna! lavori per chi non sai:
sa il cielo, questa tela, questi panni a che sorta di creature
auderanno indosso; quelli per Lucia, il corredo davvero che
ha da servire per lei, ci penserà un' anima buona, la quale
tu non sai né anche che la sia in questo mondo-»
Il primo pensiero d' Agnese fu quello di preparare nella
sua povera casuccia 1' alloggio il più decente che potesse, a
capitolo xxxvii. 483
quell'anima buona: poi andò in cerca di seta da annaspare,
e lavorando ingannava il tempo.
Renzo, dal canto suo, non passò in ozio qu e' giorni già
tanto lunghi per sé: sapeva far due mestieri per buona sorte;
si rimise a quello del contadino. Parte aiutava il suo ospite,
per il quale era una gran fortuna 1' avere in tal tempo spes-
so al suo comando un'opera, e un'opera di quell'abilità;
parte coltivava, anzi dissodava P orticello d' Agnese, trasan-
dato affatto nell' assenza di lei. In quanto al suo proprio
podere, non se n'occupava punto, dicendo ch'era una par-
rucca troppo arruffata, e che ci voleva altro che due braccia
a ravviarla. E non ci metteva neppure i piedi: come né an-
che in casa: che gli avrebbe fatto male a vedere quella deso-
lazione; e aveva già preso il partito di disfarsi d' ogni cosa,
a qualunque prezzo, e di impiegar nella nuova patria quel
tanto che ne potrebbe ricavare.
Se i rimasti vivi erano, 1' uno per 1' altro, come morti ri-
suscitati, Renzo, per quelli del suo paese, lo era, come a dire
due volte: ognuno gli faceva accoglienze e congratulazioni,
ognuno voleva sentir da lui la sua storia. Direte forse: come
andava col bando? L'andava benone: lui non ci pensava
quasi più, supponendo che quelli i quali avrebbero potuto
eseguirlo, non ci pensassero più né anche loro: e non s' in-
gannava. E questo non nasceva solo dalla peste che aveva fatto
monte di tante cose; ma era, come s' è potuto vedere anche
in vari luoghi di questa storia, cosa comune a que' tempi,
che i decreti, tanto generali quanto speciali, contro le perso-
ne, se non e' era qualche animosità privata e potente che li
tenesse vivi, e li facesse valere, rimanevano spesso senza ef-
fetto, quando non 1' avessero avuto sul primo momento; come
palle di schioppo, che, se non fanno colpo, restano in terra,
dove non danno fastidio a nessuno. Conseguenza necessaria
della gran facilità con cui li seminavano que' decreti. L' at-
tività dell'uomo è limitata; e tutto il di più che c'era nel
comandare, doveva tornare in tanto meno nell' eseguire. Quel
che va nelle maniche, non può andar ne' gheroni.
Chi volesse anche sapere come Renzo se la passasse con
don Abbondio, in quel tempo d' aspetto, dirò che stavano alla
larga 1' uno dall' altro : don Abbondio per timore di sentir
intonar qualcosa di matrimonio: e al solo pensarci, si vedeva
davanti agli occhi don Rodrigo da una parte, co' suoi bravi,
il cardinale dall' altra, co' suoi argomenti: Renzo, perchè
aveva fissato di non parlargliene che al momento di conclu-
dere, non volendo risicare di farlo inalberar prima del tem-
po, eli suscitar, chi sa mai? qualche difficoltà, e d'imbrogliar
le cose con chiacchiere inutili. Le sue chiacchiere, le faceva
con Agnese, « Credete voi che verrà presto?;) domandava
4SI I PROMESSI SPOSI.
l'uno. «Io sporo di sì,» rispondeva V altro: e spesso quello
che aveva data la risposta, faceva poco dopo la domanda me-
desima. E con queste e con simili furberie , s' ingegnavano
a far passare il tempo, che pareva loro più lungo, di mano in
mano, che n' era più passato.
Al lettore noi lo faremo passare in un momento tutto quel
tempo, dicendo in compendio che, qualche giorno dopo la vi-
sita di Renzo al lazzeretto, Lucia n'uscì con la buona vedo-
va; che, essendo stata ordinata una quarantina generale, la
fecero insieme, rinchiuse nella casa di quest'ultima; che una
parte del tempo fu spesa in allestire il corredo di Lucia, al
quale, dopo aver fatto un po' di cerimonie, dovette lavorare
anche lei; e che, terminata che fu la quarantina, la vedova
lasciò in consegna il fondaco e la casa a quel suo fratello
commissario; e si fecero i preparativi per il viaggio. Potrem-
mo anche soggiunger subito: partirono, arrivarono, e quel che
segue; ma, con tutta la volontà che abbiamo di secondar la
fretta del lettore , ci son tre cose appartenenti a queir inter-
vallo di tempo, che non vorremmo passar sotto silenzio; e,
per due almeno, crediamo che il lettore stesso dirà che avrem-
mo fatto male.
La prima, che, quando Lucia tornò a parlare alla vedova
delle sue avventure, più in particolare, e più ordinatamente
di quel che avesse potuto in queir agitazione della prima con-
fidenza, e fece menzione più espressa della signora che V aveva
ricoverata nel monastero di Monza, venne a sapere di costei
cose che, dandole la chiave di molti misteri, le riempiron
T anima d' una dolorosa e paurosa maraviglia. Seppe dalla
vedova che la sciagurata, caduta in sospetto d'atrocissimi
fatti, era stata, per ordine del cardinale, trasportata in un
monastero di Milano ; che lì , dopo molto infuriare e dibat-
tersi, s" era ravveduta, s' era accusata; e che la sua vita at-
tuale era supplizio volontario tale, che nessuno, a meno di
non togliergliela, ne avrebbe potuto trovare un più severo.
Chi volesse conoscere un po' più in particolare questa trista
storia, la troverà nel libro e al luogo che abbiamo citato al-
trove, a proposito della stessa persona. J)
L' altra cosa è che Lucia, domandando del padre Cristo-
foro a tutti i cappuccini che potè vedere nel lazzeretto, sentì
con più dolore che maraviglia, eh' era morto di peste.
Finalmente, prima di partire, avrebbe anche desiderato di
saper qualcosa de' suoi antichi padroni, e di fare, come di-
ceva, un atto del suo dovere, se alcuno ne rimaneva. La ve-
dova 1' accompagnò alla casa, dove seppero che 1' uno e 1' al-
1, Ripam. Hbt. Pat., Dee. V. Lib. VI, Cap. CI.
CAPITOLO XXXVII. 485
tra erano andati tra que' più. Di donna Prassede, quando
si dice eh' era morta, è detto tutto; ma intorno a don Fer-
rante, trattandosi eh* era stato dotto, Y anonimo ha creduto
d'estendersi un po' più: e noi. a nostro rischio, trascrivere-
mo a un di presso quello che ne lasciò scritto.
Dice adunque che, al primo parlar che si fece di peste,
don Ferrante fu uno de" più risoluti a negarla, e che sosten-
ne costantemente fino all'ultimo, quell'opinione: non già con
ischiamazzi, come il popolo; ma con ragionamenti, ai quali
nessuno potrà dire almeno che mancasse la concatenazione.
•In rerum natura,'' diceva, e non ci son che due generi
di cose: sostanze e accidenti: e se io provo che il contagio
non può esser né 1' uno né 1' altro, avrò provato che non esi-
ste, che è una chimera. E son qui. Le sostanze sono, o
spirituali, o materiali. Che il contagio sia sostanza spirituale,
è uno sproposito che nessuno vorrebbe sostenere; sicché è
inutile parlarne. Le sostanze materiali sono, o semplici, o
composte. Ora, sostanza semplice il contagio non è: e si di-
mostra in quattro parole. Non è sostanza aerea; perchè, se
fosse tale, in vece di passar da un corpo ali" altro, volerebbe
subito alla sua sfera. Xon è acquea; perchè bagnerebbe, e
verrebbe asciugata da' venti. Non è ignea: perchè brucereb-
be. Non è terrea: perchè sarebbe visibile. Sostanza com-
posta, neppure, perchè a ogni modo dovrebbe esser sensibile
all'occhio o al tatto: e questo contagio, chi l'ha veduto?
chi 1' ha toccato? Rirnan da vedere se possa essere acciden-
te. Peggio che peggio. Ci dicono questi signori dottori che
si comunica da un corpo all' altro : che questo è il loro achil-
le, questo il pretesto per far tante prescrizioni senza costrutto.
Ora supponendolo accidente, verrebbe a essere un accidente
trasportato: due parole che fanno ai calci, non essendoci
in tutta la filosofia, cosa più chiara, più liquida di questa:
che un accidente non può passar da un soggetto all' altro.
Che se, per evitar questa Scilla, si riducono a dire che sia
accidente prodotto, danno in Cariddi: perchè, se è prodotto,
non si comunica, non si propaga, come vanno blaterando.
Posti questi princìpi, cosa serve venirci tanto a parlare di
vibici, d' esantemi, d' antraci ....?»
«Tutte corbellerie,» scappò fuori una volta un tale.
«No, no,» riprese don Ferrante: «non dico questo: la
scienza è scienza; solo bisogna saperla adoprare. Vibici,
esantemi, antraci, parotidi, bubboni violacei, furoncoli nigri-
canti, son tutte parole rispettabili, che hanno il loro signifi-
cato beli' e buono; ma dico che non han che fare con la que-
stione. Chi nega che ci possa essere di queste cose, anzi
che ce ne sia? Tutto sta a veder di dove vengano.»
486 I PROMESSI SPOSI.
Qui cominciavano i guai anche per don Ferrante. Fin che
non faceva che dar addosso all' opinion del contagio, trova-
va per tutto orecchi attenti e ben disposti: perchè non si può
spiegare quanto sia grande 1' autorità d' un dotto di profes-
sione, allorché vuol dimostrare agli altri le cose di cui sono
già persuasi. Ma quando veniva a distinguere , e a voler di-
mostrare che 1' errore di que' medici non consisteva già nel-
1' affermare che ci fosse un male terribile e generale, ma nel-
1' assegnare la cagione; allora (parlo de' primi tempi, in cui
non si voleva sentir discorrer di peste), allora, in vece d'orec-
chi, trovava lingue ribelli, intrattabili; allora, di predicare
a distesa era finita; e la sua dottrina non poteva più metter-
la fuori, che a pezzi e bocconi.
«La e' è pur troppo la vera cagione,» diceva, «e son co-
stretti a riconoscerla anche quelli che sostengono poi quel-
1' altra così in aria.... La neghino un poco, se possono,
quella fatale congiunzione di Saturno con Giove. E quando
mai s' è sentito dire che V influenze si propaghino ? E lor
signori mi vorranno negar 1' influenze? Mi negheranno che
ci sia degli altri? 0 mi vorranno dire che stian lassù a far
nulla, come tante capocchie di spilli ficcati in un guanciali-
no? .. . Ma quel che non mi può entrare, è di questi signori
medici; confessare che ci troviamo sotto una congiunzione
così maligna, e poi venirci a dire, con faccia tosta: non toc-
cate qui, non toccate là, e sarete sicuri! Come se questo
schivare il contatto materiale de' corpi terreni, potesse im-
pedir l'affetto virtuale de' corpi celesti! E tanto affannarsi a
bruciar de' cenci! Povera gente! brucerete Giove? brucerete
Saturno?»
His frehis, vale a dire su questi bei fundamenti, non prese
nessuna precauzione contro la peste; gli s'attaccò; andò a
letto, a morire, come un eroe di Metastasio, prendendosela
con le stelle.
E quella sua famosa libreria? È forse ancora dispersa su
per i muricciuoli.
CAPITOLO XXXVIII.
Una sera, Agnese sente fermarsi un legno all' uscio. — È
lei, di certo! — Era proprio lei, con la buona vedova. L'ac-
coglienze vicendevoli se le immagini il lettore.
La mattina seguente, di buon' ora, capita Renzo che non
sa nulla, e vien solamente per isfogarsi un po' con Agnese
su quel gran tardare di Lucia. Gli atti che fece, e le cose
CAPITOLO XXXVIII. 487
che disse, al trovarsela davanti, si rimettono anche quelli al-
l' immaginazione del lettore. Le dimostrazioni di Lucia in
vece furon tali, che non ci vuol molto a descriverle. «Vi
saluto: come state?» disse, a occhi bassi, e senza scompor-
si. E non crediate che Renzo trovasse quel fare troppo
asciutto, e se V avesse per male. Prese benissimo la cosa
per il suo verso; e, come tra gente educata, si sa far la ta-
ra ai complimenti, così lui intendeva bene che quelle parole
non esprimevan tutto ciò che passava nel cuore di Lucia.
Del resto, era facile accorgersi che aveva due maniere di pro-
nunziarle: una per Renzo, e un' altra per tutta la gente che
potesse conoscere.
«Sto bene quando vi vedo,- rispose il giovine, con
una frase vecchia, ma che avrebbe inventata lui, in quel
momento.
« Il nostro povero padre Cristoforo ....!» disse Lucia :
«pregate per l'anima sua: benché si può esser quasi sicuri
che a quest' ora prega lui per noi lassù, a
«Me l'aspettavo, pur troppo,» disse Renzo. E non fu
questa la sola trista corda che si toccasse in quel colloquio.
Ma che? di qualunque cosa si parlasse, il colloquio gli riu-
sciva sempre delizioso. Come que' cavalli bisbetici che s' im-
puntano, e si piantan lì, e alzano una zampa e poi un' altra,
e le ripiantano al medesimo posto, e fanno mille cerimonie
prima di fare un passo, e poi tutto a un tratto prendon V an-
dare, come se il vento li portasse, così era divenuto il tem-
po per lui: prima i minuti gli parevan ore; poi V ore gli pa-
revan minuti.
La vedova, non solo non guastava la compagnia; ma ci
faceva dentro molto bene; e certamente, Renzo, quando la
vide in quel lettuccio , non se la sarebbe potuta immaginare
d' un umore così socievole e gioviale. Ma il lazzeretto e la
campagna, la morte e le nozze, non son tutt' uno. Con
Agnese essa aveva già fatto amicizia; con Lucia poi era un pia-
cere a vederla, tenera e scherzevole, e come la stuzzicava
garbatamente, e senza spinger troppo, appena quanto ci vole-
va per obbligarla a dimostrar tutta 1' allegria che aveva ia
cuore.
Renzo disse finalmente che andava da don Abbondio a
prendere i concerti per lo sposalizio. Ci andò, e, con un
certo fare tra burlevole e rispettoso, «signor curato,» gli
disse: «le è poi passato quel dolor di capo, per cui mi dice-
va di non poterci maritare? Ora siamo a tempo; la sposa
c'è; e son qui per sentire quando le sia di comodo: ma
questa volta, sarei a pregarla di far presto.» Don Abbondio
non disse di no; ma cominciò a tentennare, a trovar cert' al-
tre scuse, a far cert' altre insinuazioni: e perchè mettersi in
488 I PROMESSI SPOSI.
piazza, e far gridare il suo nome: con quella cattura ad-
dosso? e che la cosa potrebbe farsi ugualmente altrove; e
questo e quest' altro.
«Ho inteso,» disse Renzo: «lei ha ancora un po' di quel
mal di capo. Ma senta, senta. » E cominciò a descrivere in
che stato aveva visto quel povero don Rodrigo; e che già a
queir ora doveva sicuramente essere andato. « Speriamo , »
concluse, «che il Signore gli avrà usato misericordia.»
«Questo non ci ha che lare,» disse don Abbondio: «v'ho
forse detto di no? Io non dico di no; parlo .... parlo per
delle buone ragioni. Del resto, vedete, fin che e* è fiato ....
Guardatemi me: sono una conca fessa: sono stato, anch* io,
più di là che di qua: e son qui; e .... se non mi vengono
addosso de' guai .... basta .... posso sperare di starci ancora
un pochino. Figuratevi poi certi temperamenti. Ma, come
dico, questo non ci ha che far nulla.»
Dopo qualche botta e risposta, né più ne meno conclu-
denti, Renzo strisciò una bella riverenza, se ne tornò alla sua
compagnia, fece la sua relazione e finì con dire: «son venu-
to via, che n' ero pieno, e per non risicar di perdere la pa-
zienza, e di levargli il rispetto. In certi momenti, pareva
proprio quello dell'altra volta: proprio quella mutria, quelle
ragioni: son sicuro che, se la durava ancora un poco, mi tor
nava in campo con qualche parola in latino. Velo che vuol
essere un'altra lungagnata: è meglio fare addirittura come
dice lui, andare a maritarsi dove andiamo a stare.»
«Sapete cosa faremo?» disse la vedova: «voglio che an-
diamo noi altre donne a fare un' altra prova, a vedere se
ci riesce meglio. Così avrò anch' io il gusto di conoscerlo
quest'uomo, se è proprio come dite. Dopo desinare voglio
che andiamo; per non tornare a dargli addosso subito. Ora,
signore sposo, menateci un po' a spasso noi altre due, intan-
to che Agnese è in faccende: che a Lucia farò io da mam-
ma: e ho proprio voglia di vedere un po' meglio queste mon-
tagne, questo lago, di cui ho sentito tanto parlare; e il poco
che n'ho già visto, mi pare una gran bella cosa.»
Renzo la condusse prima di tutto alla casa del suo ospite,
dove fu un" altra festa: e gli fecero promettere che, non sol
quel giorno, ma tutti i giorni, se potesse, verrebbe a desinare
con loro.
Passeggiato, desinato, Renzo se n'andò, senza dir dove.
Le donne rimasero un pezzetto a discorrere, a concertarsi
sulla maniera di prender don Abbondio; e finalmente anda-
rono all' assalto.
— Son qui loro — disse questo tra sé; ma fece faccia
tosta: gran congratulazioni a Lucia, saluti ad Agnese ^com-
plimenti alla forestiera. Le fece mettere a sedere, e p i en-
CAPITOLO XXXVIIJ. 489
trò subito a parlar della peste: volle sentir da Lucia come
P aveva passata in que' guai : il lazzeretto diede opportunità
di far parlare anche quella che l'era stata compagna: poi co-
ni' era giusto, don Abbondio parlò anche della sua burrasca;
poi de' gran mirallegri anche a Agnese, che l'aveva passata
liscia. La cosa andava in lungo, già dal primo momento, le
due anziane stavano alle velette, se mai venisse 1' occasione
d' entrar nel discorso essenziale: finalmente non so quale
delle due ruppe il ghiaccio. Ma cosa volete? Don Abbondio
era sordo da queir orecchio. Non so che dicesse di no: ma
eccolo di nuovo a quel suo serpeggiare, volteggiare e saltar
di palo in frasca. «Bisognerebbe,') diceva, «poter far le-
vare quella catturacela. Lei, signora, che è di Milano, co-
noscerà più e meno il filo delle cose, avrà delle buone pro-
tezioni, qualche cavaliere di peso: che con questi mezzi si
sana ogni piaga. Se poi si volesse andar per la più corta,
senza imbarcarsi in tante storie: giacché codesti giovani, e
qui la nostra Agnese, hanno già intenzione di spatriarsi (e
io non soprei cosa dire: la patria è dove si sta bene), mi
pare che si potrebbe far tutto là, dove non e' è cattura che
tenga. Non vedo proprio 1' ora di saperlo concluso questo
parentado, ma lo vorrei concluso bene, tranquillamente. Dico
la verità: qui, con quella cattura viva, spiattellar dall' altare
quel nome di Lorenzo Tramaglino, non lo farei col cuor quie-
to: gli voglio troppo bene; avrei paura di fargli un cattivo
servizio. Veda lei; vedete voi altre.»
Qui, parte Agnese, parte la vedova, a ribatter quelle ra-
gioni; don Abbondio rimetterle in campo, sott' altra forma;
s' era sempre da capo; quando entra Renzo, con un passo
risoluto, e con una notizia in viso, e dice: «è arrivato il
signor marchese***.»
■ C'osa vuol dir questo? arrivato dove?» domanda don Ab-
bondio, alzandosi.
«È arrivato nel suo palazzo, ch'era quel di don Rodrigo;
perchè questo signor marchese è 1' erede per fidecommisso,
come dicono; sicché non e' è più dubbio. Per me, ne sarei
contento, se potessi sapere che quel pover' uomo fosse morto
bene. A buon conto, finora ho detto per lui dei paternostri,
adesso gli dirò de' De profundis. E questo signor marchese
è un bravissim' uomo. »
«Sicuro,» disse don Abbondio: «1' ho sentito nominar
più d' una volta per un bravo signore davvero , per un uomo
della stampa antica. Ma che sia proprio vero ....?»
«Al sagrestano gli crede?»
«Perchè?»
«Perchè lui l'ha veduto co' suoi occhi. Io sono stato so-
lamente lì ne' contorni, e, per dir la verità, ci sono andato
490 I PROMESSI SP03I.
appunto perchè ho pensato: qualcosa là si dovrebbe sapere.
E più d' uno m' ha detto lo stesso. Ho poi incontrato Am-
brogio che veniva proprio di lassù, e che l'ha veduto, come
dico, far da padrone. Lo vuol sentire, Ambrogio? L'ho
fatto aspettar qui fuori apposta.')
('Sentiamo,» disse don Abbondio. Renzo andò a chiamare
il sagrestano. Questo confermò la cosa in tutto e per tutto,
ci aggiunse altre circostanze, sciolse tutti i dubbi; e poi se
n' andò.
«Ah! è morto dunque! è proprio andato!» esclamò don
Abbondio. «Vedete, figliuoli, se la Provvidenza arriva alla
fine certa gente. Sapete che 1' è una gran cosa! un gran re-
spiro per questo povero paese! che non ci si poteva vivere
con colui. È stata un gran flagello questa peste; ma è an-
che stata una scopa; ha spazzato via certi soggetti, che, fi-
gliuoli miei, non ce ne liberavamo più: verdi, freschi, pro-
sperosi: bisognava dire che chi era destinato a far loro V e-
sequie, era ancora in seminario, a fare i latinucci. E in un
batter d' occhio, sono spariti, a cento per volta. Non lo ve-
dremo più andare in giro con quegli sgherri dietro, con quel-
1' albagìa, con quell'aria, con quel palo in corpo, con quel
guardar la gente , che pareva che si stesse tutti al mondo
per sua degnazione. Intanto lui non c'è più, e noi ci sia-
mo. Non manderà più di queir imbasciate ai galantuomini.
Ci ha dato un gran fastidio a tutti, vedete: che adesso lo
possiamo dire.»
«Io gli ho perdonato di cuore,» disse Renzo.
«E fai il tuo dovere,» rispose don Abbondio: «ma si
può anche ringraziare il cielo , che ce n' abbia liberati. Ora,
tornando a noi, vi ripeto: fate voi altri quel che credete. Se
volete che vi mariti io, son qui; se vi torna più comodo in
altra maniera, fate voi altri. In quanto alla cattura, vedo
anch' io che, non essendoci ora più nessuno che vi tenga di
mira, e voglia farvi del male, non è cosa da prendersene
gran pensiero: tanto più, che c'è stato di mezzo quel decre-
to grazioso, per la nascita del serenissimo infante. E poi la
peste! la peste! ha dato di bianco a di gran cose la. peste!
Sicché, se volete .... oggi è giovedì .... domenica vi dico in
chiesa; perchè quel che s'è fatto l'altra volta, non conta
più niente, dopo tanto tempo; e poi ho la consolazione di
maritarvi io. »
«Lei sa bene eh' eravamo venuti appunto per questo?»
disse Renzo.
«Benissimo; e io vi servirò: e voglio darne parte subito
a sua eminenza.»
«Chi è sua eminenza?» domandò Agnese.
CAPITOLO XXXVIII. 491
«Sua eminenza,» rispose don Abbondio, «è il nostro car-
dinale arcivescovo, che Dio conservi.»
«Oh! in quanto a questo mi scusi.» replicò Agnese: «che,
sebbene io sia una povera ignorante, le posso accertare che
non gli si dice così; perchè, quando siamo state la seconda
volta per parlargli, come parlo a lei, uno di que' signori preti
mi tirò da parte, e m'insegnò come si doveva trattare con
quel signore, e che gli si doveva dire vossignoria illustrissi-
ma, e monsignore.»
«E ora, se vi dovesse tornare a insegnare, vi direbbe che
gli va dato dell'eminenza: avete inteso? Perchè il papa, che
Dio lo conservi anche lui, ha prescritto, fin dal mese di giu-
gno , che ai cardinali si dia questo titolo. E sapete perchè
sarà venuto a questa risoluzione? Perchè 1' illustrissimo,
eh' era riservato a loro e a certi principi, ora, vedete anche
voi altri, eoa' è diventato, a quanti si dà: e come se lo suc-
ciano volentieri! E cosa doveva fare il papa? Levarlo a
tutti? Lamenti, ricorsi, dispiaceri, guai; e per di più, con-
tinuar come prima. Dunque ha trovato un bollissimo ripiego.
A poco a poco poi, si comincerà a dar dell' eminenza ai ve-
scovi: poi lo vorranno gli abati, poi i proposti: perchè gli uo-
mini son fatti così: sempre voglion salire, sempre salire: poi
i canonici . . . .»
«Poi i curati,» disse la vedova.
«No, no,» riprese don Abbondio: «i curati a tirar la
carretta: non abbiate paura che gli avvezzili male, i curati:
del reverendo fino alla fin del mondo. Piuttosto, non mi ma-
raviglierei punto che i cavalieri, i quali sono avvezzi a sentirsi
dar dell'illustrissimo, a esser trattati come i cardinali, un
giorno volessero dell' eminenza anche loro. E se la vogliono,
vedete, troveranno chi gliene darà. E allora, il papa che ci
sarà allora, troverà qualche altra cosa per i cardinali. Orsù,
ritorniamo alle nostre cose: domenica vi dirò in chiesa; e in-
tanto, sapete cos'ho pensato per servirvi meglio? Intanto
chiederemo la dispensa per 1' altre due denunzie. Hanno a
avere un bel da fare laggiù in curia, a dar dispense, se la
va per tutto come qui. Per domenica ne ho già .... uno ....
due ... .tre; senza contarvi voi altri: e ne può capitare an-
cora. E poi vedrete, andando avanti, che affare vuol essere:
non ne deve rimanere uno scompagnato. Ha proprio^ fatto
uno sproposito Perpetua a morire ora; che questo era il mo-
mento che trovava l'avventore anche lei. E a Milano, si-
gnora, mi figuro che sarà lo stesso.»
«Eccome! si figuri che, solamente nella mia cura, dome-
nica passata, cinquanta denunzie.»
«Se lo dico; il mondo non vuol finire. E lei, signora,
non hanno principiato a ronzarle intorno de' mosconi?»
492 I PEOMESSI SPOSI.
«No, no; io non ci penso, né ci voglio pensare.»
«Sì, sì, che vorrà esser lei sola. Anche Agnese, veda;,
anche Agnese . . . .»
«Uh! ha voglia di scherzare, lei,» disse questa.
«Sicuro che ho voglia di scherzare: e mi pare che sia
ora finalmente. Ne abbiam passate delle brutte, n' è vero , i
miei giovani? delle brutte n' abbiam passate: questi quattro
giorni che dobbiamo stare in questo mondo, si può sperare
che vogliano essere un po' meglio. Ma! fortunati voi altri
che, non succedendo disgrazie, avete ancora un pezzo da
parlare de' guai passati: io invece, sono alle ventitré e tre
quarti, e....i birboni posson morire; della peste si può gua-
rire: ma agli anni non c'è rimedio: e, come dice, senectus
ipsa est morbus.»
«Ora,» disse Renzo, « parli pur latino quanto vuole; che
non me n' importa nulla.»
«Tu l'hai ancora col latino, tu: bene bene, t'accomoderò
io: quando mi verrai davanti, con questa creatura, per sen-
tirvi dire appunto certe paroline in latino, ti dirò: latino tu
non ne vuoi: vattene in pace. Ti piacerà?»
«Eh! so io quel che dico,» riprese Renzo: «non è quel
latino lì che mi fa paura: quello è un latino sincero, sacro-
santo, come quel della messa: anche loro, lì bisogna che
leggano quel che e' è sul libro. Parlo di quel latino birbone,
fuor di chiesa, che viene addosso a tradimento, nel buono
d' un discorso. Per esempio, ora che siam qui, che tutto è
finito; quel latino che andava cavando fuori, lì proprio, in
quel canto, per darmi ad intendere, che non poteva, e che
ci voleva dell' altre cose, e che so io? me lo volti un po' in
volgare ora.»
«Sta zitto, buffone, sta zitto: non rimestar queste cose;
che, se dovessimo ora fare i conti, non so chi avanzerebbe.
Io ho perdonato tutto: non ne parliam più; ma me n'avete
fatti de' tiri. Di te non mi fa specie, che sei un malandri-
naccio: ma dico quest'acqua cheta, questa santerella, que-
sta madonnina infilzata, che si sarebbe creduto far peccato a
guardarsene. Ma già, lo so io chi 1' aveva ammaestrata, lo
so io, lo so io.» Così dicendo, accennava Agnese col dito,
che prima aveva tenuto rivolto a Lucia: e non si potrebbe
spiegare con che bonarietà, con che piacevolezza facesse
que' rimproveri. Quella notizia gli aveva dato una disinvol-
tura, una parlantina insolita da gran tempo; e saremmo an-
cor ben lontani dalla fine, se volessimo riferir tutto il rima-
nente di que' discorsi, che lui tirò in lungo, ritenendo più
d'una volta la compagnia che voleva andarsene, e ferman-
dola poi ancora un pochino sulT uscio di strada, sempre a
parlar di bubbole.
CAPITOLO XXXVIII. 493
fi giorno seguente, gli capitò una visita, quanto meno
aspettata tanto più gradita: il signor marchese del quale s'era
parlato : un uomo tra la virilità e la vecchiezza, il cui aspetto
era come un attestato dì ciò che la fama diceva di lui: aper-
to, cortese, placido, umile, dignitoso, e qualcosa che indica-
va una mestizia rassegnata.
«Vengo,» disse, «portarle i saluti del cardinale arci-
vescovo.)
«Oh che degnazione di tutt' e due!»
«Quando fui a prender congedo da quest' uomo incompa-
rabile, che m' onora della sua amicizia, mi parlò di due gio-
vani di codesta cura, eh' eran promessi sposi, e che hanno
avuto dei guai, per causa di quel povero don Rodrigo. Mon-
signore desidera averne notizia. Son vivi? E le loro cose
sono accomodate?»
«Accomodato ogni cosa. Anzi, io m'era proposto di scri-
verne a sua eminenza; ma ora che ho 1' onore . . . .»
Si trovan qui?»
Qui; e, più presto che si potrà, saranno marito e mo-
glie. »
E io la prego di volermi dire se si possa far loro del
bene, e anche d'insegnarmi la maniera più conveniente. In
questa calamità, ho perduto i due soli figli che avevo, e la
madre loro, e ho avute tre eredità considerabili. Del super-
fluo, n'avevo anche prima: sicché lei vede che il darmi una
occasione d' impiegarne, e tanto più una come questa, è far-
mi veramente un servizio.»
«Il cielo la benedica! Perchè non sono tutti come lei
i....? Basta; la ringrazio anch'io di cuore per questi miei
figliuoli. E giacché vossignoria illustrissima mi dà tanto co-
raggio, sì signore, che ho un espediente da suggerirle, il
quale forse non le dispiacerà. Sappia dunque che questa
buona gente son risoluti d' andare a metter su casa altrove,
e di vender quel poco che hanno al sole qui: una vignetta il
giovine, di nove o dieci pertiche, salvo il vero, ma trasan-
data affatto: bisogna far conto del terreno, rrient' altro; di
più una casuccia lui, e un' altra la sposa: due topaie, veda.
Un signore come vossignoria non può sapere come la vada
per i poveri, quando voglion disfarsi del loro. Finisce sem-
pre a andare in bocca di qualche furbo, che forse sarà già
un pezzo che fa all' amore a quelle quattro braccia di terra,
e quando sa che l'altro ha bisogno di vendere, si ritira, fa
lo svogliato; bisogna corrergli dietro, e dargliele per un pez-
zo di pane: specialmente poi in circostanze come queste. Il
signor marchese ha già veduto dove vada a parare il mio di-
scorso. La carità più fiorita che vossignoria illustrissima
possa fare a questa gente, è di cavarli da quest'impiccio,
494 I PROMESSI SPOSI.
comprando quel poco fatto loro. Io , per dire la verità, do
un parere interessato, perchè verrei ad acquistare nella mia
cura un compadrone come il signor marchese; ma vossi-
gnoria deciderà secondo che le parrà meglio: io ho parlato
per ubbidienza.»
Il marchese lodò molto il suggerimento; ringraziò don Ab-
bondio, e lo pregò di voler esser arbitro del prezzo, e di
fissarlo alto bene; e lo fece poi restar di sasso, col propor-
gli che s' andasse subito insieme a casa della sposa, dove sa-
rebbe probabilmente anche lo sposo.
Per la strada, don Abbondio, tutto gongolante, come vi
potete immaginare, ne pensò e ne disse un' altra. «Giacché
vossignoria illustrissima è tanto inclinato a far del bene a
questa gente, ci sarebbe un altro servizio da render loro. Il
giovine ha addosso una cattura, una specie di bando, per
qualche scappatuccia che ha fatta in Milano, due anni sono,
quel giorno del gran fracasso, dove s' è trovato impicciato,
senza malizia, da ignorante, come un topo nella trappola:
nulla di serio, veda; razzagate, scappataggini: di far del male
veramente, non è capace: e io posso dirlo, che 1' ho battez-
zato, l'ho veduto venir su: e poi, se vossignoria vuol pren-
dersi il divertimento di sentir questa povera gente ragionar
su alla carlona, potrà fargli raccontar la storia a lui, e sen-
tirà. Ora, trattandosi di cose vecchie, nessuno gli dà fasti-
dio; e, come ho detto, lui pensa d'andarsene fuor di stato;
ma, col tempo, o tornando qui, o altro, non si sa mai, lei
m' insegna che è sempre meglio non esser su que' libri. Il
signor marchese, in Milano, conta, come è giusto, e per quel
gran cavaliere, e per quel grand' uomo che è No, no, mi
lasci dire; che la verità vuole avere il suo luogo. Una rac-
comandazione, una parolina d' un par suo; è più del bisogno
per ottenere una buona assolutoria.»
e Non e' è impegni forti contro codesto giovine?»
«No, no: non crederei. Gli hanno fatto fuoco addosso
nel primo momento; ma ora credo che non ci sia più altro
che la semplice formalità.»
«Essendo così la cosa, sarà facile; e la prendo volentieri
sopra di me.»
«E poi non vorrà che si dica che è un grand' uomo. Lo
dico, e lo voglio dire; a suo dispetto, lo voglio dire. E an-
che se io stessi zitto, già non servirebbe a nulla, perchè par-
lan tutti; e vox jpopuli, vox Dei.»
Trovarono appunto le tre donne e Renzo. Come questi
rimanessero, lo lascio considerare a voi; io credo che anche
quelle nude e ruvide pareti, e V impannate, e i panchetti, e
le stoviglie si maravigliassero di ricever tra loro una visita
così straordinaria. Avviò lui la conversazione, parlando del
CAPITOLO XXXVIII. 495
cardinale e dell'altre cose, con aperta cordialità, e insieme
con delicati riguardi. Passò poi a far la proposta per cu-
ora venuto. Don Abbondio, pregato da lui di rissare il prezi
zo , si fece avanti; e dopo un po' di cerimonie e di scuse, e
che non era sua farina, e che non potrebbe altro che andare
a tastoni, e che parlava per ubbidienza, e che si rimetteva,
proferì, a parer suo, uno sproposito. Il compratore disse
che, per la parte sua era contentissimo, e, come se avesse
franteso, ripetè il doppio: non volle sentir rettificazioni, e
troncò e concluse ogni discorso invitando la compagnia a de-
sinare per il giorno dopo le nozze, al suo palazzo, dove si
farebbe V istru mento in regole.
— Ah! — diceva poi tra sé don Abbondio, tornato a ca-
sa: — se la peste facesse sempre e per tutto le cose in que-
sta maniera, sarebbe proprio peccato il dirne male: quasi
quasi ce ne vorrebbe una ogni generazione: e si potrebbe
stare a patti d' averla: ma guarire, ve'. —
Venne la dispensa, venne l'assolutoria, venne quel bene-
detto giorno: i due promessi andarono, con sicurezza trion-
fale, proprio a quella chiesa, dove, proprio per bocca di don
Abbondio, furono sposi. Un altro trionfo, e ben più singo-
lare, fu P andare a quel palazzotto : e vi lascio pensare che
cose dovessero passar loro per la mente in far quella salita,
all' entrar in quella porta! e che discorso dovessero fare, ognu-
no secondo il suo naturale. Accennerò soltanto che in mezzo
all' allegria, ora 1' uno ora P altro motivò più d" una volta,
che per compir la festa, ci mancava il povero padre Cristo-
foro! «Ma per lui,» dicevan poi, «sta meglio di noi sicura-
mente.))
Il marchese fece loro una gran festa, li condusse in un
bel tinello, mise a tavola gli sposi, con Agnese e con la mer-
cantessa, e prima di ritirarsi a pranzare altrove con don Ab-
bondio, volle star lì un poco a far compagnia agl'invitati, e
aiutò anzi a servirli. A nessuno verrà, spero, in testa di
dire che sarebbe stata cosa più semplice fare addirittura una
tavola sola. Ve 1' ho dato per un brav' uomo, ma non per
un originale, come si direbbe ora; v' ho detto eh' era umile,
non già che fosse un portento d' umiltà. N' aveva quanta
ne bisognava per mettersi al di sotto di quella buona gente,
ma non per istar loro in pari.
Dopo i due pranzi, fu steso il contratto per mano d'un
dottore, il quale non fu 1' Azzecca-garbugli. Questo, voglio
dire, la sua spoglia, era ed è tuttavia a Canterelli. E per
chi non è di quelle parti, capisco anch'io che qui ci vuoie
una spiegazione.
Sopra Lecco forse un mezzo miglio, e quasi sul fianco
dell' altro paese chiamato Castello, e' è un luogo detto Can-
496 I PROMESSI SPOSI.
terelli, dove s' incrociali due strade; e da una parte del cro-
cicchio, si vede un rialto, come un poggetto artificiale, con
una croce in cima; il quale non è altro che un gran mucchio
di morti in quel contagio. La tradizione, per dir la verità,
dice semplicemente i morti del contagio; ma dev'essere quel-
lo senz' altro, che fu 1' ultimo, e il più micidiale di cui ri-
manga memoria. E sapete che le tradizioni, chi non le aiu-
ta, da sé dicon sempre troppo poco.
Nel ritorno non ci fu altro inconveniente, se non che Ren-
zo era un po' incomodato dal peso de' quattrini che portava
via. Ma V uomo, come sapete, aveva fatte ben altre vite.
Non parlo del lavoro della mente, che non era piccolo, a pen-
sare alla miglior maniera di farli fruttare. A vedere i pro-
getti che passava per quella mente, le riflessioni, l'immagi-
nazioni; a sentire i prò e i contro, per l'agricoltura e per
T industria, era come se ci fossero incontrate due accade-
mie del secolo passato. E per lui 1' impiccio era ben più
reale; perchè essendo un uomo solo, non gli si poteva dire:
che bisogno c'è di scegliere? l'uomo e l'altro, alla buo-
n'ora; che i mezzi, in sostanza, sono i medesimi; e son due
cose come le gambe, che due vanno meglio d' una sola.
Non si pensò più che a fare i fagotti, e a mettersi in
viaggio; casa Tramaglino per la nuova patria, e la vedova
per Milano. Le lagrime, i ringraziamenti, le promesse d' an-
darsi a trovare furon molte. Non meno tenera, eccettuate le
lacrime, fu la separazione di Renzo e della famiglia dell' ospi-
te amico: e non crediate che con don Abbondio le cose pas-
sassero freddamente. Quelle buone creature avevan sempre
conservato un certo attaccamento rispettoso per il suo cura-
to; e questo, in fondo, aveva sempre voluto bene a loro. Son
que' benedetti affari, che imbrogliano gli affetti.
Chi domandasse se non ci fu anche del dolore in distac-
carsi dal paese nativo, da quelle montagne; ce ne fu sicuro:
che del dolore, ce n' è, sto per dire, un po' per tutto. Biso-
gna però che non fosse molto forte, giacché avrebbero po-
tuto risparmiarselo, stando a casa loro, ora che i due gran-
d' inciampi, don Rodrigo e il bando, eran levati. Ma, già da
qualche tempo, erano avvezzi tutt' e tre a riguardar come
loro il paese dove andavano. Renzo 1' aveva fatto entrare in
grazia alle donne, raccontando 1' agevolezze che ci trovavano,
gli operai, e cento cose della bella vita che si faceva là. Del
resto, avevan tutti passato de' momenti ben amari in quello
a cui voltavan le spalle; e le memorie triste, alla lunga gua-
stan sempre nella mente i luoghi che le richiamano. E se
que' luoghi son quelli dove siam nati, c'è forse in tali me-
morie qualcosa di più aspro e pungente. Anche il bambino,
dice il manoscritto, riposa volentieri sul seno della balia, cer-
CAPITOLO XXXVIII.
497
ca con avidità e con fiducia la poppa che V ha dolcemente
alimentato fino allora; ma se la balia, per divezzarlo, la ba-
gna d'assenzio, il bambino ritira la bocca, poi torna a
provare, ma finalmente se ne stacca; piangendo sì, ma se ne
stacca! 9
Cosa direte ora, sentendo che, appena arrivati e accomo-
dati nel nuovo paese, Renzo ci trovò de' disgusti beli' e pre-
parati? Miserie: ma ci vuol così poco a disturbare uno sta-
to felice! Ecco, in poche parole, la cosa.
Il parlare che, in quel paese, s' era fatto di Lucia, molto
tempo prima che la ci arrivasse; il saper che Renzo aveva
avuto a patir tanto per lei. e sempre fermo, sempre fedele: forse
qualche parola di qualche amico parziale per lui e per tinte
le cose sue, avevan fatto nascere una certa curiosità di veder
la giovine, e una certa aspettativa della sua bellezza. Ora
sapete come è V aspettativa: immaginosa, credula, sicura;
alla prova poi, diffìcile, schizzinosa: non trova mai tanto che
le basti, perchè, in sostanza, non sapeva quello che si volesse;
e fa scontare senza pietà il dolce che aveva dato senza ra-
gione. Quando comparve questa Lucia , molti i quali crede-
van forse che dovesse avere i capelli proprio d' oro, e le gote
proprio di rosa, e due occhi l'uno più bello dell'altro, e che
so io? cominciarono a alzar le spalle, ad arricciare il naso,
e a dire: «eh: l'è questa? Dopo tanto tempo, dopo tanti
discorsi, s'aspettava qualcosa di meglio. Cos'è poi? Una
contadina come tant' altre. Eh! di queste e delle meglio, ce
n' è per tutto.» Venendo poi a esaminarla in particolare,
notavan chi un difetto, chi un altro: e ci furon fin di quelli
che la trovavan brutta affatto.
Siccome però nessuno le andava a dir sul viso a Renzo,
queste cose; così non e' era gran male fin lì. Chi lo fece il
male, furon certi tali che gliene rapportarono: e Renzo, che
volete? ne fu tocco sul vivo. Cominciò a ruminarci sopra, a
farne di gran lamenti, e con chi gliene parlava, e più a lun-
go tra sé. — E cosa v'importa a voi altri? E chi v'ha
detto d' aspettare? Son mai venuto io a parlarcene? a dirvi
che la fosse bella? E quando me lo dicevate voi altri, v' ho
mai risposto altro, se non che era una buona giovine? È
una contadina! V'ho detto mai che v'avrei menato qui una
principessa? Non vi piace? Non la guardate. N'avete delle
belle donne: guardate quelle. —
E vedete un poco come alle volte una corbelleria basta a
decidere dello stato d' un uomo per tutta la vita. Se Renzo
avesse dovuto passar la sua vita in quel paese, secondo il suo
primo disegno, sarebbe stata una vita poco allegra. A forza
" esser disgi
Manzoni.
498 I PROMESSI SPOSI.
bato con tutti, perchè ognuno poteva essere uno de' critici di
Lucia. Non già che trattasse proprio contro il galateo; ma
sapete quante belle cose si posson fare senza offender le re-
gole della buona creanza: fino sbudellarsi. Aveva un non so
che di sardonico in ogni sua parola; in tutto trovava anche
lui da criticare, a segno che, se faceva cattivo tempo due
giorni di seguito, subito diceva: «eh già, in questo paese!»)
Vi^ dico che non eran pochi quelli che F avevan già preso a
noia, e anche persone che prima gli volevan bene ; e col tem-
po, d' una cosa nelF altra, si sarebbe trovato per dir così, in
guerra con quasi tutta la popolazione, senza poter forse né
anche lui conoscer la prima cagione d' un così gran male.
Ma si direbbe che la peste avesse preso F impegno di
raccomodar tutte le malefatte di costui. Aveva essa portato
via il padrone d' un altro filatoio , situato quasi sulle porte
di Bergamo; e l'erede, giovine scapestrato, che in tutto quel-
F edilìzio non trovava che ci fosse nulla di divertente, era
deliberato, anzi smanioso di vendere, anche a mezzo prezzo;
ma voleva i danari F uno sopra F altro, per poterli impie-
gar subito in consumazioni improduttive. Venuta la cosa agli
orecchi di Bortolo, corse a vedere; trattò; patti più grassi
non si sarebbero potuti sperare; ma quella condizione de5
pronti contanti guastava tutto, perchè quelli che aveva messi
da parte, a poco a poco, a forza di risparmi, erano ancor
lontani da arrivare alla somma. Tenne 1' amico in mezza
parola, tornò indietro in fretta, comunicò l'affare al cugino,
e gli propose di farlo a mezzo. Una così bella proposta tron-
cò i dubbi economici di Renzo, che si risolvette subito per
F industria, e disse di sì. Andarono insieme, e si strinse il
contratto. Quando poi i nuovi padroni vennero a stare sul
loro, Lucia, che lì non era aspettata per nulla, non solo non
andò soggetta a critiche, ma si può dire che non dispiacque;
e Renzo venne a risapere che s'era detto da più d'uno:
«avete veduto quella bella baggiana che c'è venuta?» L'epi-
teto faceva passare il sostantivo.
E anche del dispiacere che aveva provato nell' altro pae-
se , gli restò un utile ammaestramento. Prima d' allora era
stato un po' lesto nel sentenziare, e si lasciava andar volen-
tieri a criticar la donna d' altri, e ogni cosa. Allora s' ac-
corse che le parole fanno un effetto in bocca, e un altro ne-
gli orecchi, e prese un po' più d'abitudine d'ascoltar di
dentro le sue, prima di proferirle.
Non crediate però che non ci fosse qualche fastidiuccio
anche lì. L' uomo (dice il nostro anonimo: e già sapete per
prova che aveva un gusto un po' strano in fatto di similitu-
dini; ma passategli anche questa, che avrebbe a essere F ul-
tima), 1' uomo, fin che sta in questo mondo, è un infermo che
CAPITOLO XXXVIII, 499
si trova sur un letto scomodo più o meno, e vede incorno a
sé altri Ietti, ben rifatti al di fuori, piani, a livello: e si figu-
ra che ci si deve star benone. Ma se gli riesce di cambiare,
appena s' è accomodato nel nuovo, comincia, pigiando, a sen-
tire, qui una lisca che lo punge, lì un bernoccolo che lo pre-
me: siamo in somma, a un di presso, alla storia di prima,
E per questo, soggiunge 1' anonimo , si dovrebbe pensare più
a far bene, che a star bene: e così si finirebbe anche a star
meglio. È tirata un po' con gli argani , e proprio da secen-
tista; ma in fondo ha ragione. Per altro, prosegue, dolori e
imbrogli della qualità e della forza di quelli che abbiam rac-
contati, non ce ne furon più per la nostra buona gente: fu,
da quel punto in poi, una vita delle più tranquille, delle più
felici, delle più invidiabili: di maniera che, se ve l'avessi
a raccontare, vi seccherebbe a morte.
Gli affari andavan d* incanto: sul principio ci fu un po'
d' incaglio per la scarsezza de' lavoranti e per lo sviamento
e le pretensioni de' pochi eh* eran rimasti. Furon pubblicati
editti che limitavano le paghe degli operai: malgrado que-
st' aiuto, le cose si rincamminarono, perchè alla fine bisogna
che si rincamminino. Arrivò da Venezia un altro editto, un
po' più ragionevole: esenzione, per dieci anni, da ogni carico
reale e personale ai forestieri che venissero a abitare in quel-
lo staio. Per i nostri fu una nuova cuccagna.
Prima che finisse l'anno di matrimonio, venne alla luce
una bella creatura: e, come se fosse fatto apposta per dar
subito opportunità a Renzo d' adempire quella sua magnani-
ma promessa, fu una bambina; e potete credere che le fu
messo nome Maria. Xe vennero poi col tempo non so quan-
t' altri, dell* uno e dell'altro sesso: e Agnese affaccendata a
portarli in qua e in là, Y uno dopo 1' altro, chiamandoli cat-
tivacci, e stampando loro in viso de' bacioni, che ci lasciava-
no il bianco per qualche tempo. E furon tutti ben inclinati;
e Picnzo volle che imparassero tutti a leggere e scrivere, di-
cendo che, giacché la e' era questa birberia, dovevano alme-
no profittarne anche loro.
Il bello era a sentirlo raccontar le sue avventure: e finiva
sempre col dire le gran cose che ci aveva imparate, per go-
vernarsi meglio in avvenire. «Ho imparato,» diceva, «a non
mettermi ne' tumulti : ho imparato a non predicare in piazza:
ho imparato a non alzar troppo il gomito: ho imparato a non
tenere in mano il martello delle porte, quando e' è lì d' in-
torno gente che ha la testa calda: ho imparato a non attac-
carmi un campanello al piede, prima d'aver pensato quel
che ne possa nascere.» E cent' altre cose.
Lucia però , non che trovasse la dottrina falsa in sé , ma
non n' era soddisfatta; le pareva, così in confuso, che ci
500 I PROMESSI SPOSI.
mancasse qualcosa. A forza di sentir ripetere la stessa can-
zone, e di pensarci sopra ogni volta, «e io.» disse un giorno
al suo moralista, «cosa volete che abbia imparato? Io non
sono andata a cercare i guai: son loro che sono venuti a cer-
car me. Quando non voleste dire,» aggiunse, soavemente
sorridendo, «che il mio sproposito sia stato quello di volervi
bene, e di promettermi a voi.»
Renzo, alla prima, rimase impicciato. Dopo un lungo di-
battere e cercare insieme, conclusero che i guai vengono ben-
sì spesso, perchè ci si è dato cagione; ma che la condo'.ta
più cauta e più innocente non basta a tenerli lontani; e che
quando vengono, o per colpa o senza colpa, la fiducia in Dio
li raddolcisce, e li rende utili per una vita migliore. Questa
conclusione, benché trovata da povera gente, e' è parsa così
giusta, che abbiam pensato di metterla qui, come il sugo di
tutta la storia.
La quale, se non v' è dispiaciuta affatto, vogliatene bene
a chi 1' ha scritta, e anche un pochino a chi V ha raccomo-
data. Ma se invece fossimo riusciti ad annoiarvi, credete che
non s' è fatto apposta.
Leipzig, coi tipi di F. A. Brockhais.
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