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Full text of "I promessi sposi, storia milanese del secolo XVII"

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University  of  Toronto 


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te,  -BIBLIOTECA  D'AUTORI  ITALIANI 


Tomo  I. 


^1  PROMESSI  SPOSI. 


STOKIA  MILANESE  DEL  SECOLO  XVII 


SCOPERTA    E    RIFATTA 


ALESSANDRO  MANZONI. 


EDIZIONE  CONSENTITA   DALL'  EDITORE  PROPRIETARIO. 


LEIPZIG: 
F.   A.   BROCKHAUS. 


1882. 


4 


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V 


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INTRODUZIONE, 


•  L'  historia  si  può  veramente  de/finire  una  guerra  illu- 
stre contro  il  Tempo,  perche  togliendogli  di  mano  gV  anni 
suoi  prigionieri,  anzi  già  fatti  cadaueri,  li  richiama  in  vi- 
ta, li  passa  in  rassegna,  e  li  schiera  di  nuovo  in  battaglia. 
Ma  gì  illustri  Campioni  che  in  tal  Arringo  fanno  messe  di 
Palme  e  d1  Allori,  rapiscono  solo  che  le  sole  spoglie  più 
sfarzose  e  brillanti,  imbalsamando  co'  loro  inchiostri  le  Im- 
prese de'  Principi  e  Potentati ,  e  qualificati  Personaggi,  e 
trapontando  colV  ago  finissimo  dell1  ingegno  i  fili  d'  oro  e 
di  seta,  che  formano  un  perpetuo  ricamo  di  Attioni  gloriose. 
Però  alla  mia  debolezza  non  e  lecito  solleuarsi  a  tal'  argo- 
menti, e  sublimità  pericolose,  con  aggirarsi  tra  Labirinti  de1 
Politici  maneggf,  et  il  rimbombo'  de'  bellici  Oricalchi:  solo 
che  hauendo  hauuto  notitia  di  fatti  memorabili,  se  ben  ca- 
pitorno  a  gente  meccaniche,  e  di  piccol  affare,  mi  accingo 
di  lasciarne  memoria  a  Posteri,  con  far  di  tutto  schietta  e 
genuinamente  il  Racconto,  ouuero  sia  Relatione.  Xella 
quale  si  vedrà  in  angusto  Teatro  luttuose  Traggedie  d'  hor- 
rori,  e  scene  di  malvaggità  grandiosa,  con  intermedi  d'  Im- 
prese virtuose  e  buontà  angeliche,  opposte  alle  operationi 
diaboliche.  E  veramente,  considerando  che  questi  nostri  cli- 
mi sijno  sotto  V  amparo  del  Re  Cattolico  nostro  Signore, 
che  e  quel  Sole  che  mai  tramonta,  e  che  sopra  di  essi,  con 
riflesso  Lume,  qual  Luna  giamai  calante,  ritplenda  V  Hc- 
roe  di  uubil  Prosapia  che  prò  tempore  ne  tiene  le  sue  parti, 


VI  INTRODUZIONE. 

e  gV  Amplissimi  Senatori  quali  Stelle  fisse,  e  gV  altri  Spet- 
tabili Magistrati  qua?  erranti  Pianeti  spandino  la  luce  per 
ogni  doue,  venendo  così  a  formare  un  nobilissimo  Cielo,  ah 
tra  causale  trottar  non  si  può  del  vederlo  tramutato  in  in- 
ferno d'atti  tenebrosi,  malvaggittà  e  sevitie  che  dagV  huo- 
tnini  temerari,]  si  vanno  moltiplicando,  se  non  se  arte  e  fat- 
tura diabolica,  attesoché  V  umana  malitia  per  se  sola  bastar 
non  dourebbe  a  resistere  a  tanti  Heroi,  che  con  occhij  d'  Ar- 
go e  braccj  di  Briareo,  si  vanno  trafficando  per  li  pubblici 
emolumenti.  Per  lo  celie  descriuendo  questo  Bacconto  auue- 
nuto  ne1  tempi  di  miù,  icrde  staggionc,  abbenchè  la  più  parte 
delle  persone  che  vi  rappressentano  le  loro  parti,  sijno  spa- 
rite dalla  Scena  del  Mondo,  con  rendersi  tributar j  delle 
Parche,  pure  per  degni  rispetti,  si  tacerà  li  loro  nomi,  cioè 
la  parentela,  et  il  medemo  si  farà  de''  luochi,  solo  indican- 
do li  Territori,)  generaliter.  Ne  alcuno  dirà  questa  sij  im- 
perfettione  del  Bacconto,  e  defformità  di  questo  mio  rozzo 
Parto,  a  meno  questo  tale  Critico  non  sij  persona  affatto 
diggiuna  della  Filosofia:  che  quanto  agV  huomini  in  essa 
versati,  ben  veder  anno  nulla  mancare  alla  sostanza  di  detta 
narratione.  Imperciocché,  essendo  cosa  evidente,  e  da  verun 
negata  non  essere  i  nomi  se  non  puri  purissimi  accidenti .  .  .* 

—  Ma,  quando  io  avrò  durata  1'  eroica  fatica  di  trascriver 
questa  storia  da  questo  dilavato  e  graffiato  autografo,  e  I1  avrò 
data  come  si  suol  dire,  alla  luce,  si  troverà  poi  chi  duri  la 
fatica  di  leggerla?  — 

Questa  riflessione  dubitativa,  nata  nel  travaglio  del  deci- 
frare uno  scarabocchio  che  veniva  dopo  accidenti,  mi  fece 
sospender  la  copia,  e  pensar  più  seriamente  a  quello  che  con- 
venisse di  fare.  —  Ben  è  vero,  dicevo  tra  me,  scartabellando 
il  manoscritto,  ben  è  vero  che  quella  grandine  di  concettini 
e  di  tigure  non  continua  così  alla  distesa  per  tutta  1'  opera- 
li buon  secentista  ha  voluto  sul  principio  mettere  in  mostra 
la  sua  virtù;  ma  poi,  nel  corso  della  narrazione,  e  talvolta  per 
lunghi  tratti,  lo  stile  cammina  ben  più  naturale  e  più  piano. 
Sì;  ma  com'è  dozzinale!  com'è  sguaiato!  com'è  scorretto! 
Idiotismi  lombardi  a  iosa,  frasi  della  lingua  adoperate  a  spro- 
posito, grammatica  arbitraria,  periodi  sgangherati.  E  poi 
qualche  eleganza  spagnola  seminata  qua  e  là;  e  poi,  eh' è  peg- 
gio,  ne' luoghi  più  terribili  o  più  pietosi  della  storia,  a  ogni 


INTRODUZIONE.  VII 

occasione  d'eccitar  maraviglia,  o  di  far  pensare,  a  tutti  qne' 
passi  insomma  che  richiedono  bensì  un  po'  di  rettorica,  ma 
rettorica  discreta,  fine,  di  buon  gusto,  costui  non  manca  mai 
di  metterci  di  quella  sua  così  fatta  del  proemio.  E  allora, 
accozzando,  con  un'abilità  mirabile,  le  qualità  più  opposte, 
trova  la  maniera  di  riuscir  rozzo  insieme  e  affettato,  nella 
stessa  pagina,  nello  stesso  periodo,  nello  stesso  vocabolo. 
Ecco  qui  :  declamazioni  ampollose  composte  a  forza  di  sole- 
cismi pedestri,  e  da  per  tutto  quella  goffaggine  ambiziosa? 
eh'  è  il  proprio  carattere  degli  scritti  di  quel  secolo,  in  que- 
sto paese.  In  vero,  njon  è  cosa  da  presentare  a  lettori  d'  og- 
gigiorno: son  troppo  ammaliziati,  troppo  disgustati  di  questo 
genere  di  stravaganze.  Meno  male,  che  il  buon  pensiero 
m' è  venuto  sul  principio  di  questo  sciagurato  lavoro:  e  me 
ne  lavo  le  mani.  — 

Neil'  atto  però  di  chiudere  lo  scartafaccio,  per  riporlo,  mi 
sapeva  male  che  una  storia  così  bella  dovesse  rimanersi  tut- 
tavia sconosciuta;  perchè,  in  quanto  storia,  può  essere  che  al 
lettore  ne  paia  altrimenti,  ma  a  me  era  parsa  bella,  come 
dico;  molto  bella.  —  Perchè  non  si  potrebbe,  pensai,  prender 
a  serie  de'  fatti  da  questo  manoscritto,  e  rifarne  la  dicitura? 
—  Non  essendosi  presentato  alcuna  obiezion  ragionevole,  il 
partito  fu  subito  abbracciato.  Ed  ecco  V  origine  del  presente 
libro,  esposta  con  un'ingenuità  pari  all'importanza  del  libro 
medesimo. 

Taluni  però  di  que'  fatti,  certi  costumi  descritti  dal  nostro 
autore,  e'  eran  sembrati  così  nuovi,  così  strani,  per  non  dir 
peggio,  che,  prima  di  prestargli  fede,  abbiam  voluto  interro- 
gare altri  testimoni;  e  ci  siam  messi  a  frugar  nelle  memorie 
di  quel  tempo,  per  chiarirci  se  veramente  il  mondo  cammi- 
nasse allora  a  quel  modo.  Una  tale  indagine  dissipò  tutti  i 
nostri  dubbi:  a  ogni  passo  ci  abbattevamo  in  cose  consimili, 
e  in  cose  più  forti:  e,  quello  che  ci  parve  più  decisivo,  ab- 
biam perfino  ritrovati  alcuni  personaggi,  de'  quali  non  avendo 
mai  avuto  notizia  fuor  che  dal  nostro  manoscritto,  eravamo  in 
dubbio  se  fossero  realmente  esistiti.  E,  all'occorrenza,  ci- 
teremo alcuna  di  quelle  testimonianze,  per  procacciar  fede  alle 
cose,  alle  quali,  per  la  loro  stranezza,  il  lettore  sarebbe  più 
tentato  di  negarla. 


Vili  INTRODUZIONE. 

Ma.  rifiutando  come  intollerabile  la  dicitura  del  nostro  au- 
tore, che  dicitura  vi  abbiam  noi  sostituita?    Qui  sta  il  punto. 

Chiunque,  senza  esser  pregato,  s'intromette  a  rifar  l'ope- 
ra altrui,  s'espone  a  rendere  uno  stretto  conto  della  sua,  e 
ne  contrae  in  certo  modo  1'  obbligazione  :  è  questa  una  rego 
la  di  fatto  e  di  diritto,  alla  quale  non  pretendiam  punto  di 
sottrarci.  Anzi,  per  conformarci  ad  essa  di  buon  grado,  ave- 
vam  proposto  di  dar  qui  minutamente  ragione  del  modo  di 
scrivere  da  noi  tenuto;  e,  a  questo  fine,  siamo  andati,  per 
tutto  il  tempo  del  lavoro,  cercando  d'  indovinare  le  critiche 
possibili  e  contingenti,  con  intenzione  di  ribatterle  tutte  anti- 
cipatamente. 2sè  in  questo  sarebbe  stata  la  difficoltà;  giacché 
(dobbiam  dirlo  a  onor  del  vero)  non  ci  si  presentò  alla  mente 
una  critica,  che  non  le  venisse  insieme  una  risposta  trionfante, 
di  quelle  risposte  che,  non  dico  risolvon  le  questioni,  ma  le 
mutano.  Spesso  anche,  mettendo  due  critiche  alle  mani  tra 
loro,  le  facevam  battere  1' una  dall'altra;  o,  esaminandole 
ben  a  fondo,  riscontrandole  attentamente,  riuscivamo  a  sco- 
prire e  a  mostrare  che,  così  opposte  in  apparenza,  eran  però 
d'  uno  stesso  genere,  nascevan  tutt'  e  due  dal  non  badare 
ai  fatti  e  ai  princìpi  su  cui  il  giudizio  doveva  esser  fondato; 
e  messele,  con  loro  gran  sorpresa,  insieme,  le  mandavamo  in- 
sieme a  spasso.  Non  ci  sarebbe  mai  stato  autore  che  pro- 
vasse così  ad  evidenza  d'  aver  fatto  bene.  Ma  che?  quando 
siamo  stati  al  punto  di  raccapezzar  tutte  le  dette  obiezioni 
e  risposte,  per  disporle  con  qualche  ordine,  misericordia!  ve- 
nivano a  fare  un  libro.  Veduta  la  qual  cosa,  abbiam  messo 
da  parte  il  pensiero,  per  due  ragioni  che  il  lettore  troverà 
certamente  buone:  la  prima,  che  un  libro  impiegato  a  giusti- 
ficarne un  altro,  anzi  lo  stile  d'  un  altro,  potrebbe  parer  cosa 
ridicola:  la  seconda,  che  di  libri  basta  uno  per  volta,  quando 
non  è  d'  avanzo. 


I  PROMESSI  SPOSI, 


CAPITOLO  I. 

Quel  ramo  del  lago  di  Corno,  che  volge  a  mezzogiorno, 
tra  due  catene  non  interrotte  di  monti,  tutto  a  seni  e  a  golfi, 
a  seconda  dello  sporgere  e  del  rientrare  di  quelli,  vien,  quasi 
a  un  tratto,  a  ristringersi,  e  a  prender  corso  e  figura  di  fiume, 
tra  un  promontorio  a  destra,  e  un'ampia  costiera  dall'altra 
parto  :  e  il  ponte,  che  ivi  congiunge  le  due  rive,  par  che  ren- 
da ancor  più  sensibile  all'  occhio  questa  trasformazione,  e 
segni  il  punto  in  cui  il  lago  cessa,  e  1*  Adda  rincomincia,  per 
ripigliar  poi  nome  di  lago  dove  le  rive,  allontanandosi  di  nuo- 
vo ,  lascian  P  acqua  distendersi  e  rallentarsi  in  nuovi  golfi  e 
in  nuovi  seni.  La  costiera,  formata  dal  deposito  di  tre  grossi 
torrenti,  scende  appoggiata  a  due  monti  contigui,  P  uno  detto 
di  san  Martino,  l'altro,  con  voce  lombarda,  il  JResegone,  dai 
molti  suoi  cocuzzoli  in  fila,  che  in  vero  lo  fanno  somigliare  a 
una  sega:  talché  non  è  cli^,  al  primo  vederlo,  purché  sia  di 
fronte,  come  per  esempio  di  su  le  mura  di  Milano  che  guar- 
dano a  settentrione,  non  lo  discerna  tosto,  a  un  tal  contras- 
segno, in  quella  lunga  e  vasta  giogaia,  dagli  altri  monti  di 
nome  più  oscuro  e  di  forma  più  comune.  Per  un  buon  pezzo, 
la  costa  sale  con  un  pendìo  lento  e  continuo;  poi  si  rompe  in 
poggi  e  in  valloncelli,  in  erte  e  in  ispianate,  secondo  l'ossa- 
tura de'  due  monti,  e  il  lavoro  dell'  acque.  11  lembo  estremo, 
tagliato  dalle  foci  de' torrenti,  è  quasi  tutto  ghiaia  e  ciotto- 
loni;  il  resto,  campi  e  vigne,  sparse  di  terre,  di  ville,  di  ca- 
sali; in  qualche  parte  boschi,  che  si  prolungano  su  per  la 
montagna.  Lecco,  la  principale  di  quelle  terre,  e  che  dà  nome 
al  territorio,  giace  poco  discosto  dal  ponte  alla  riva  del  lago, 
anzi  viene  in  parte  a  trovarsi  nel  lago  stesso,  quando  questo 

Manzoni.  * 


2  I    PROMESSI    SPOSI. 

ingrossa:  un  gran  borgo  al  giorno  d'oggi,  e  che  s'incammina 
a  diventar  città.  Ai  tempi  in  cui  accaddero  i  fatti  che  pren- 
diamo a  raccontare,  quel  borgo,  già  considerabile,  era  anche 
un  castello,  e  aveva  perciò  l'onore  d'alloggiare  un  coman- 
dante, e  il  vantaggio  di  possedere  una  stabile  guarnigione  di 
soldati  spagnoli,  che  insegnavan  la  modestia  alle  fanciulle  e 
alle  donne  del  paese,  accarezzavan  di  tempo  in  tempo  le 
spalle  a  qualche  marito,  o  a  qualche  padre:  e,  sul  finir  del- 
l' estate,  non  mancavan  mai  di  spandersi  nelle  vigne,  per  dira- 
dar Y  uve ,  e  alleggerire  a'  contadini  le  fatiche  della  vendem- 
mia. Dall'una  all'altra  di  quelle  terre,  dall'alture  alla  riva, 
da  un  poggio  all'  altro,  correvano,  e  corrono  tuttavia,  strade  e 
stradette,  più  o  men  ripide,  o  piane;  ogni  tanto  affondate,  se- 
polte tra  due  muri,  donde  alzando  lo  sguardo,  non  iscoprite 
che  un  pezzo  di  cielo  e  qualche  vetta  di  monte:  ogni  tanto 
elevate  su  terrapieni  aperti;  e  da  qui  la  vista  spazia  per  pro- 
spetti più  o  meno  estesi,  ma  ricchi  sempre  e  sempre  qualcosa 
nuovi,  secondo  che  i  diversi  punti  piglian  più  o  meno  della 
vasta  scena  circostante,  e  secondo  che  questa  o  quella  parte 
campeggia  o  si  scorcia,  spunta  o  sparisce  a  vicenda.  Dove 
un  pezzo,  dove  un  altro,  dove  una  lunga  distesa  di  quel  vasto 
e  variato  specchio  dell'acqua;  di  qua  Iago,  chiuso  all'estre- 
mità o  piuttosto  smarrito  in  un  gruppo,  in  un  andirivieni  di 
montagne,  e  di  mano  in  mano  più  allargato  tra  altri  monti 
che  si  spiegano,  a  uno  a  uno,  allo  sguardo,  e  che  l'acqua 
riflette  capovolti,  co' paesetti  posti  sulle  rive;  di  là  braccio  di 
fiume,  poi  lago,  poi  fiume  ancora,  che  va  a  perdersi  in  lucido 
serpeggiamento  pur  tra  monti  che  1'  accompagnano,  degradando 
via  via,  e  perdendosi  quasi  anch' essi  nell'orizzonte.  Il  luogo 
stesso  da  dove  contemplate  que'  vari  spettacoli,  vi  fa  spetta- 
colo da  ogni  parte:  il  monte  di  cui  passeggiate  le  falde,  vi 
svolge,  al  di  sopra,  d' intorno,  le  sue  cime  e  le  balze,  distinte, 
rilevate,  mutabili  quasi  a  ogni  passo,  aprendosi  e  contornan- 
dosi in  gioghi  ciò  che  v'  era  sembrato  prima  un  sol  giogo ,  e 
comparendo  in  vetta  ciò  che  poco  innanzi  vi  si  rappresentava 
sulla  costa:  e  l'ameno,  il  domestico  di  quelle  falde  tempera 
gradevolmente  il  selvaggio,  e  orna  vie  più  il  magnifico  del- 
l' altre  vedute 

Per  una  di  queste  stradicciole,  tornava  bel  bello  dalla  pas- 
seggiata verso  casa,  sulla  sera  del  giorno  7  novembre  dell'  an- 
no 1628,  don  Abbondio,  curato  d'  una  delle  terre  accennate  di 
sopra:  il  nome  di  questa,  né  il  casato  del  personaggio,  non  si 
trovan  nel  manoscritto,  né  a  questo  luogo  né  altrove.  Diceva 
tranquillamente  il  suo  ufizio,  e  talvolta,  tra  un  salmo  e  1'  altro, 
chiudeva  il  breviario  tenendovi  dentro,  per  segno,  l' indice  della 
mano  destra,  e,  messa  poi  questa  nelT  altra  dietro  la  schiena, 
proseguiva  il  suo  cammino,  guardando  a  terra,  e  buttando  con 


CAPITOLO    I.  3 

un  piede  verso  il  muro  i  ciottoli  che  facevano  inciampo  nel 
sentiero:  poi  alzava  il  viso,  e,  girati  oziosamente  gli  occhi 
all'  intorno,  li  fissava  alla  parte  d'  un  monte,  dove  la  luce  del 
sole  già  scomparso,  scappando  per  i  fessi  del  monte  opposto, 
si  dipingeva  qua  e  là  sui  massi  sporgenti,  come  a  larghe  e 
inuguali  pezze  di  porpora.  Aperto  poi  di  nuovo  il  breviario, 
e  recitato  un  altro  squarcio,  giunse  a  una  voltata  della  stra- 
detta,  dov'era  solito  d'alzar  sempre  gli  occhi  dal  libro,  e  di 
guardarsi  dinanzi;  e  così  fece  anche  quel  giorno.  Dopo  la 
voltata,  la  strada  correva  diritta,  forse  un  sessanta  passi,  e 
poi  si  divideva  in  due  viottole,  a  foggia  d' un  ipsilon:  quella  a 
destra  saliva  verso  il  monte,  e  menava  alla  cura:  1'  altra 
scendeva  nella  valle  fino  a  un  torrente;  e  da  questa  parte  il 
muro  non  arrivava  che  all'  anche  del  passeggiero.  I  muri  in- 
terni delle  due  viottole,  in  vece  di  riunirsi  ad  angolo,  termi- 
navano in  un  tabernacolo,  sul  quale  eran  dipinte  certe  figure 
lunghe ,  serpeggianti,  che  finivano  in  punta,  e  che,  nell'  inten- 
zion  dell'  artista,  e  agli  occhi  degli  abitanti  del  vicinato,  vole- 
van  dir  fiamme;  e,  alternate  con  le  fiamme,  cert' altre  figure 
da  non  potersi  descrivere,  che  volevan  dire  anime  del  purga- 
torio: anime  e  fiamme  a  color  di  mattone,  sur  un  fondo  bi- 
giognolo, con  qualche  scalcinatura  qua  e  là.  Il  curato,  voltata 
la  stradetta,  e  dirizzando,  com'  era  solito,  lo  sguardo  al  taber- 
nacolo, vide  una  cosa  che  non  s'  aspettava  e  che  non  avrebbe 
voluto  vedere.  Due  uomini  stavano,  1'  uno  dirimpetto  all'  altro, 
al  confluente,  per  dir  così,  delle  due  viottole:  un  di  costoro, 
a  cavalcioni  sul  muricciolo  basso,  con  una  gamba  spenzolata 
al  di  fuori,  e  V  altro  piede  posato  sul  terreno  della  strada;  il 
compagno,  in  piedi,  appoggiato  al  muro,  con  le  braccia  incro- 
ciate sul  petto.  L'  abito,  il  portamento,  e  quello  che,  dal  luogo 
ov' era  giunto  il  curato,  si  poteva  distinguer  dell'aspetto,  non 
lasciavan  dubbio  intorno  alla  lor  condizione.  Avevano  entram- 
bi intorno  al  capo  una  reticella  verde,  che  cadeva  sull'  omero 
sinistro,  terminata  in  una  gran  nappa,  e  dalla  quale  usciva 
sulla  fronte  un  enorme  ciuffo:  due  lunghi  mustacchi  arricciati 
in  punta:  una  cintura  lucida  di  cuoio,  e  a  quella  attaccate  due 
pistole:  un  piccol  corno  ripieno  di  polvere,  cascante  sul  pet- 
to, come  una  collana:  un  manico  di  coltellaccio  che  spuntava 
fuori  d'  un  taschino  degli  ampi  e  gonfi  calzoni,  uno  spadone, 
con  una  gran  guardia  traforata  a  lamine  d'  ottone,  congegnate 
come  in  cifra,  forbite  e  lucenti;  a  prima  vista  si  davano  a 
conoscere  per  individui  della  specie  de'  bravi, 
i"  Questa  specie,  ora  del  tutto  perduta,  era  allora  floridissima 
in  Lombardia,  e  già  molto  antica.  Chi  non  ne  avesse  idea, 
ecco  alcuni  squarci  autentici,  che  potranno  darne  una  bastante 
de'  suoi  caratteri  principali,  degli  sforzi  fatti  per  ispegnerla,  e 
della  sua  dura  e  rigogliosa  vitalità. 

1* 


4  I    PROMESSI    SPOSI. 

Fino  dall'  8  aprile  dell'  anno  1583,  P  Illustrissimo  ed  Eccel- 
lentissimo signor  don  Carlo  d'Aragon,  Principe  di  Castelve- 
trano,  Duca  di  Terranuova,  Marchese  d'  Avola,  Conte  di  Bur- 
geto,  grande  Ammiraglio,  e  gran  Contestabile  di  Sicilia,  Go- 
vernatore di  Milano  e  Capitan  Generale  di  Sua  Maestà  Cattolica 
in  Italia,  pienamente  informato  della  intollerabile  miseria  in 
che  e  vivuta  e  vive  questa  Città  di  Milano,  per  cagione  dei 
bravi  e  vagabondi,  pubblica  un  bando  contro  di  essi.  Di- 
chiara e  diffinisce  tutti  coloro  essere  compresi  in  questo  ban- 
do, e  doversi  ritenere  bravi  e  vagabondi  .  .  .  i  quali,  essendo 
forestieri  o  del  paese,  non  hanno  esercizio  alcuno,  od  aven- 
dolo, non  lo  fanno  .  .  .  ina  senza  salario,  o  pur  con  esso, 
s'appoggiano  a  qualche  cavaliere  o  gentiluomo,  officiale  o 
mercante  ....  per  fargli  spalle  e  favore,  o  veramente,  come 
si  può  presumere,  per  tender  insidie  ad  altri  ....  A  tutti 
costoro  ordina  che,  nel  termine  di  giorni  sei,  abbiano  a  sgom- 
berare il  paese,  intima  la  galera  a' renitenti,  e  dà  a  tutti  gli 
ufìziali  della  giustizia  le  più  stranamente  ampie  e  indefinite 
facoltà,  per  V  esecuzione  dell'  ordine.  Ma  nel!'  anno  seguente, 
il  12  aprile,  scorgendo  il  detto  signore,  che  questa  Città  è 
tuttavia  piena  di  detti  bravi  ....  tornati  a  vivere  come  pri- 
ma vivevano,  non  un  punto  mutato  il  costume  loro,  ne  sce- 
mato il  numero,  dà  fuori  un'  altra  grida,  ancor  più  vigorosa  e 
notabile,  nella  quale,  tra  l'altre  ordinazioni,  prescrive: 

Che  qualsivoglia  persona,  così  di  questa  Città,  come  fo- 
restiera, che  per  due  testimoni  consterà  esser  tenuto,  e  comu- 
nemente riputato  per  bravo,  et  aver  tal  nome,  ancorché  non 
si  verifichi  avìr  fatto  delitto  alcuno  ....  per  questa  sola  ri- 
putazione di  bravo,  senza  altri  indizj ,  possa  dai  detti  giu- 
dici e  da  ognuno  di  loro  esser  posto  alla  corda  et  al  tor- 
mento, per  processo  informativo  .  ...  et  ancorché  non  con- 
fessi delitto  alcuno,  tuttavia  sia  mandato  alla  galea,  per 
detto  triennio,  per  la  sola  opinione  e  nome  di  bravo,  come 
di  sopra.  Tutto  ciò,  e  il  di  più  che  si  tralascia,  per- 
chè Sua  Eccellenza  è  risoluta  di  voler  essere  obbedita  da 
ognuno. 

All'  udir  parole  d'  un  tanto  signore,  così  gagliarde  e  sicure, 
e  accompagnate  da  tali  ordini,  viene  una  gran  voglia  di  cre- 
dere che,  al  solo  rimbombo  di  esse,  tutti  i  bravi  siano  scom- 
parsi per  sempre.  Ma  la  testimonianza  d'  un  signore  non 
meno  autorevole,  né  meno  dotato  di  nomi,  ci  obbliga  a  cre- 
dere tutto  il  contrario.  È  questi  l'Illustrissimo  ed  Eccellen- 
tissimo Signor  Juan  Fernandez  de  Yelasco,  Contestabile  di 
Castiglia,  Cameriero  maggiore  di  Sua  Maestà,  Duca  della  Città 
di  Frias ,  Conte  di  Haro  e  Castelnovo,  Signore  della  Casa  di 
Yelasco,  e  di  quella  delli  sette  Infanti  di  Lara,  Governatore 
dello  Stato  di  Milano,  etc.    Il  5  giugno  dell'anno  1593,  piena- 


CAPITOLO    la  5 

mente  informato  anche  lui  di  quanto  danno  e  rovine  sieno 
.  .  .  .  i  bravi,  e  vagabondi,  e  del  pessimo  effetto  chetai  sorta 
di  gente  fa  contra  il  ben  pubblico,  et  in  delusione  della  giu- 
stizia, intima  loro  di  nuovo  che,  nel  termine  di  giorni  sei, 
abbiano  a  sbrattare  il  paese,  ripetendo  a  un  dipresso  le  pre- 
scrizioni e  le  minacce  medesime  del  suo  predecessore.  Il  23 
maggio  poi  dell'anno  1598,  informato,  con  non  poco  dispia- 
cere deW  animo  suo,  che  ....  ogni  dì  più  in  questa  Città  e 
Stato  va  crescendo  il  numero  di  questi  tali  (bravi  e  vaga- 
bondi),  ne  di  loro,  giorno  e  notte,  altro  si  sente  che  ferite 
appostatamele  date,  omicida  e  ruberie  et  ogni  altra  qualità 
di  delitti,  ai  quali  si  rendono  più  facili,  confidati  essi  bravi 
d'  essere  aiutati  dai  capi  e  fautori  loro  ....  prescrive  di 
nuovo  gli  stessi  rimedi,  accrescendo  la  dose,  come  s'  usa  nelle 
malattie  ostinate.  Ovunque  dunque,  conchiude  poi,  onnina- 
mente si  guardi  di  contravvenire  in  parte  alcuna  alla  grida 
presente,  perchè,  in  luogo  di  provare  la  clemenza  di  Sua 
Eccellenza,  proverà  il  rigore,  e  Vira  sua  ....  essendo  ri- 
soluta e  determinata  che  questa  sia  V  ultima  e  perentoria 
monizione. 

Non  fu  però  di  questo  parere  l' Illustrissimo  ed  Eccellen- 
tissimo Signore,  il  Signor  Don  Pietro  Enriquez  de  Acevedo, 
Conte  di  Fuentes,  Capitano,  e  Governatore  dello  Stato  di  Mi- 
lano; non  fu  di  questo  parere,  e  per  buone  ragioni.  Piena- 
mente informato  della  miseria  in  che  vive  questa  Città  e 
Stato  per  cagione  del  gran  numero  di  bravi  che  in  esso  ab- 
bonda ....  e  risoluto  di  totalmente  estirpare  seme  tanto  per- 
nizioso,  dà  fuori  il  5  decembre  1600,  una  nuova  grida  piena 
anch'  essa  di  severissime  comminazioni,  con  fermo  proponi- 
mento che,  con  ogni  rigore,  e  senza  speranza  di  remissione, 
siano  onninamente  eseguite. 

Convien  credere  però  che  non  ci  si  mettesse  con  tutta 
quella  buona  voglia  che  sapeva  impiegare  nell'  ordir  cabale,  e 
nel  suscitar  nemici  al  suo  gran  nemico  Enrico  IV;  giacché  per 
questa  parte,  la  storia  attesta' come  riuscisse  ad  armare  con- 
tro quel  re  il  duca* di  Savoia,  a  cui  fece  perder  più  d'una 
città;  come  riuscisse  a  far  congiurare  il  duca  di  Biron,  a  cui 
fece  perder  la  testa  ;  ma  per  ciò  che  riguarda  quel  seme  tanto 
pernizioso  de'  bravi,  certo  è  che  esso  continuava  a  germogliare, 
il  22  settembre  dell'anno  1612.  In  quel  giorno  l'Illustrissimo 
ed  Eccellentissimo  Signore,  Don  Giovanni  de  Mendozza,  Mar- 
chese de  la  Hvnoiosa,  Gentiluomo  etc.  Governatore  etc,  pensò 
seriamente  ad"  estirparlo.  A  quest'  effetto,  spedì  a  Pandolfo  e 
Marco  Tullio  Malatesti ,  stampatori  'regi  camerali ,  la  solita 
grida,  corretta  ed  accresciuta,  perchè  la  stampassero  ad  ester- 
minio de' bravi.  Ma  questi  vissero  ancora  per  ricevere,  il  2-4 
decembre  dell'anno  1618,   gli   stessi  e  più  forti  colpi  daini- 


6  I   PROMESSI    SPOSI. 

lustrissimo  ed  Eccellentissimo  Signore,  il  Signor  Don  Gomez 
Suarez  de  Figueroa,  Duca  di  Feria,  etc,  Governatore,  etc. 
Però  non  essendo  essi  morti  neppur  di  quelli,  l'Illustrissimo 
ed  Eccellentissimo  Signore,  il  Signor  Gonzalo  Fernandez  di  Cor- 
dova, sotto  il  cui  governo  accadde  la  passeggiata  di  don  Ab- 
bondio, s'  era  trovato  costretto  a  ricorreggere  e  ripubblicare  la 
solita  grida  contro  i  bravi,  il  giorno  5  ottobre  1627,  cioè  un 
anno,  un  mese  e  due  giorni  prima  di  quel  memorabile  avve- 
nimento. 

Né  fu  questa  l'ultima  pubblicazione;  ma  noi  delle  poste- 
riori non  crediamo  dover  far  menzione,  come  di  cosa  che  esce 
dal  periodo  della  nostra  storia.  Ne  accenneremo  soltanto 
una  del  13  febbraio  dell'  anno  1632,  nella  quale  l' Illustrissimo 
ed  Eccellentissimo  Signore,  el  Daque  de  Feria,  per  la  se- 
conda volta  governatore,  ci  avvisa  che  le  maggiori  sceVerag- 
gini  procedono  da  quelli  che  chiamano  bravi.  Questo  basta 
ad  assicurarci  che ,  nel  tempo  di  cui  noi  trattiamo ,  e1  era  de' 
bravi  tuttavia. 
-^Che  i  due  descritti  di  sopra  stessero  ivi  ad  aspettar  qual- 
cheduno,  era  cosa  troppo  evidente;  ma  quel  che  più  dispiac- 
que a  don  Abbondio  fu  il  dover  accorgersi,  per  certi  atti,  che 
V  aspettato  era  lui.  Perchè  al  suo  apparire,  coloro  s'  eran  guar- 
dati in  viso,  alzando  la  testa,  con  un  movimento  dal  quale 
si  scorgeva  che  tutt'  e  due  a  un  tratto  avevan  detto  :  è  lui  ; 
quello  che  stava  a  cavalcioni  s'  era  alzato,  tirando  la  sua  gamba 
sulla  strada;  V  altro  s'  era  staccato  dal  muro;  e  tutt'  e  due  gli 
s'  avviavano  incontro.  Egli,  tenendosi  sempre  il  breviario  aperto 
dinanzi,  come  se  leggesse,  spingeva  lo  sguardo  in  su,  per  is- 
piar  le  mosse  di  coloro;  e  vedendoseli  venir  proprio  incontro, 
fu  assalito  a  un  tratto  da  mille  pensieri.  Domandò  subito  in 
fretta  a  sé  stesso,  se,  tra  i  bravi  e  lui,  ci  fosse  qualche  uscita 
di  strada,  a  destra  o  a  sinistra;  e  gli  sovvenne  subito  di  no. 
Fece  un  rapido  esame,  se  avesse  peccato  contro  qualche  po- 
tente, contro  qualche  vendicativo;  ma,  anche  in  quel  turba- 
mento, il  testimonio  consolante  della  coscienza  lo  rassicurava 
alquanto  :  i  bravi  però  s'  avvicinavano,  guardandolo  fisso.  Mise 
l'indice  e  il  medio  della  mano  sinistra  nel  collare,  come  per 
raccomodarlo;  e,  girando  le  due  dita  intorno  al  collo,  volgeva 
intanto  la  faccia  all'  indietro,  torcendo  insieme  la  bocca,  e  guar- 
dando con  la  coda  dell'occhio,  fin  dove  poteva,  se  qualche- 
duno  arrivasse;  ma  non  vide  nessuno.  Diede  un'occhiata,  al 
di  sopra  del  muricciolo,  ne' campi-  nessuno;  un'altra  più  mo- 
desta sulla  strada  dinanzi  :  nessuno ,  fuorché  i  bravi.  Che 
fare?  tornare  indietro,  non  era  a  tempo:  darla  a  gambe,  era 
lo  stesso  che  dire,  inseguitemi,  o  peggio.  Non  potendo  schi- 
vare il  pericolo,  vi  corse  incontro,  perchè  i  momenti  di 
quell'  incertezza  erano  allora  così  nenosi   per   lui ,    che   non 


CAPITOLO    I.  < 

desiderava  altro  che  d'abbreviarli.  Affrettò  il  passo,  recitò 
un  versetto  a  voce  più  alta,  compose  la  faccia  a  tutta  quella 
quiete  e  ilarità  che  potè,  fece  ogni  sforzo  per  preparare  un 
sorriso;  quando  si  trovò  a  fronte  dei  due  galantuomini,  disse 
mentalmente:  ci  siamo;  e  si  fermò  su  due  piedi.  «Signor 
curato,»  disse  un  di  que'  due,  piantandogli  gli  occhi  in  faccia. 

«Cosa  comanda?»  rispose  subito  don  Abbondio  alzando  i 
suoi  dal  libro,  che  gli  restò  spalancato  nelle  mani  come  sur 
un  leggìo. 

«Lei  ha  intenzione,»  proseguì  1'  altro,  con  1'  atto  minaccioso 
e  iracondo  di  chi  coglie  un  suo  inferiore  siili'  intraprendere 
una  ribalderia,  «lei  ha  intenzione  di  maritar  domani  Renzo 
Tramaglino  e  Lucia  Mondella!» 

«  Cioè  ....  »  rispose  con  voce  tremolante  don  Abbondio  : 
«cioè.  Lor  signori  son  uomini  di  mondo,  e  sanno  benissimo 
come  vanno  queste  faccende.  Il  povero  curato  non  e'  entra: 
fanno  i  loro  pasticci  tra  loro ,  e  poi  ....  e  poi ,  vengon  da 
noi,  come  s'andrebbe  a  un  banco  a  riscotere;  e  noi  ....  noi 
siamo  i  servitori  del  comune.» 

«Or  bene,»  gli  disse  il  bravo,  all'orecchio,  ma  in  tono 
solenne  di  comando ,  «  questo  matrimonio  non  s' ha  da  lare, 
né  domani,  né  mai.» 

«Ma,  signori  miei,»  replicò  don  Abbondio,  con  la  voce 
mansueta  e  gentile  di  chi  vuol  persuadere  un  impaziente,  «ma, 
signori  miei,  si  degnino  di  mettersi  ne'  miei  panni.  Se  la  cosa 
dipendesse  dame  ....  vedon  bene  che  a  me  non  me  ne  vien 
nulla  in  tasca  .  . .  .» 
^  «Orsù,»  interruppe  il  bravo,  «se  la  cosa  avesse  a  deci- 
dersi a  ciarle,  lei  ci  metterebbe  in  sacco.  Noi  non  ne  sap- 
piamo ,  né  vogliam  saperne  di  più.  Uomo  avvertito  ....  lei 
c'intende.» 

«Ma  lor  signori  son  troppo  giusti,  troppo  ragionevoli ... .» 

«Ma,»  interruppe  questa  volta  l'altro  compagnone,  che 
non  aveva  parlato  fin  allora,  «ma  il  matrimonio  non  si  farà 
o  .  .  .  .»  e  qui  una  buona  bestemmia,  «o  chi  lo  farà  non  se 
ne  pentirà,  perchè  non  ne  avrà  tempo,  e >  un'altra  be- 
stemmia. 

«  Zitto,  zitto,»  riprese  il  primo  oratore,  «il  signor  curato 
è  un  uomo  che  sa  il  viver  del  mondo;  e  noi  siam  galantuo- 
mini, che  non  vogliam  fargli  del  male,  purché  abbia  giudizio. 
Signor  curato,  1'  illustrissimo  signor  don  Rodrigo  nostro  pa- 
drone la  riverisce  caramente.) 

Questo  nome  fu,  nella  mente  di  don  Abbondio,  come,  nel 
forte  d'  un  temporale  notturno,  un  lampo  che  illumina  momen- 
taneamente e  in  confuso  gli  oggetti,  e  accresce  il  terrore. 
Fece,  come  per  istinto,  un  grand' inchino,  e  disse:  «se  mi 
sapessero  suggerire  ....  » 


8  I    TBOMESSI    SPOSI. 

«Oh!  suggerire  a  lei  che  sa  di  latino  %  interruppe  an- 
cora il  bravon,  con  un  riso  tra  lo  sguaiato  e  il  feroce.  A 
lei  tocca.  E  sopra  tutto,  non  si  lasci  uscir  parola  su  questo 
avviso  che  le  abbiam  dato  per  suo  bene;  altrimenti  .  .  .  . 
ehm  ....  sarebbe  lo  stesso  che  fare  quel  tal  matrimonio.  Via, 
che  vuol  che  si  dica  in  suo  nome  all'  Illustrissimo  signor  don 
Rodrigo?» 

-Il  mio  rispetto  ....»> 

«Si  spieghi  meglio!.) 

<'....  Disposto  ....  disposto  sempre  all'  ubbidienza.  >  E 
proferendo  queste  parole,  non  sapeva  nemmen  lui  se  faceva 
una  promessa,  o  un  complimento.  I  bravi  le  presero,  o  mo- 
straron  di  prenderle  nel  significato  più  serio. 

«Benissimo,  e  buona  notte,  messere.»  disse  1' un  d' essi,  in 
atto  di  partir  col  compagno.  Don  Abbondio,  che,  pochi  mo- 
menti prima,  avrebbe  dato  un  occhio  per  scansarli,  allora 
avrebbe  voluto  prolungar  la  conversazione  e  le  trattative.  Si- 
gnori .  ...»  cominciò,  chiudendo  il  libro  con  le  due  mani;  ma 
quelli,  senza  più  dargli  udienza,  presero  la  strada  dond' era 
lui  venuto,  e  s'  allontanarono,  cantando  una  canzonaccia  che  non 
voglio  trascrivere.  Il  povero  don  Abbondio  rimase  un  mo- 
mento a  bocca  aperta,  come  incantato;  poi  prese  quella  delle 
due  stradette  che  conduceva  a  casa  sua,  mettendo  innanzi  a 
stento  una  gamba  dopo  l'altra,  che  parevano  aggranchiate. 
Come  stesse  di  dentro,  s' intenderà  meglio,  quando  avrem  detto 
qualche  cosa  del  suo  naturale,  e  de' tempi  in  cui  gli  era  toc- 
cato di  vivere. 

Don  Abbondio  (il  lettore  se  n'  è  già  avveduto)  non  era  nato 
con  un  cuor  di  leone.  Ma,  fin  da'  primi  suoi  anni,  aveva  do- 
vuto comprendere  che  la  peggior  condizione,  a  que'  tempi,  era 
quella  d'un  animale  senza  artigli  e  senza  zanne,  e  che  pure 
non  si  sentisse  inclinazione  d'  esser  divoratoX  La  forza  legale 
non  proteggeva  in  alcun  conto  1'  uomo  tranquillo,  inoifensivo,  e 
che  non  avesse  altri  mezzi  di  far  paura  altrui.  Non  già  che 
mancassero  leggi  e  pene  contro  le  violenze  private.  Le  leggi 
anzi  diluviavano:  i  delitti  erano  enumerati,  e  particolareggiati, 
con  minuta  prolissità;  le  pene,  pazzamente  esorbitanti  e,  se 
non  basta,  aumentabili,  quasi  per  ogni  caso,  ad  arbitrio  del 
legislatore  stesso  e  di  cento  esecutori;  le  procedure,  studiate 
soltanto  a  liberare  il  giudice  da  ogni  cosa  che  potesse  esser- 
gli d'impedimento  a  proferire  una  condanna:  gli  squarci  che 
abbiam  riportati  delle  gride  contro  i  bravi,  ne  sono  un  pic- 
colo, ma  fedel  saggio^  Con  tutto  ciò,  anzi  in  gran  parte  a 
cagion  di  ciò,  quelle  gride,  ripubblicate  e  rinforzate  di  go- 
verno in  governo,  non  servivano  ad  altro  che  ad  attestare  am- 
pollosamente l'impotenza  de' loro  autori;   o,  se  producevan 


capitolo  i.  y 

qualche  effetto  immediato,  era  principalmente  d' aggiunger  molte 
vessazioni  a  quelle  che  i  pacifici  e  i  deboli  già  soffrivano  da' 
perturbatori,  e  d'accrescer  le  violenze  e  l'astuzia  di  questi. 
L'impunità  era  organizzata,  e  aveva  radici  che  le  gride  non 
toccavano,  o  non  potevano  smovere.  Tali  eran  gli  asili,  tali  i 
privilegi  d'  alcune  classi ,  in  parte  riconosciuti  dalla  forza  le- 
gale, in  parte  tollerati  con  astioso  silenzio,  o  impugnati  con 
vane  proteste,  ma  sostenuti  in  fatto  e  difesi  da  quelle  classi' 
con  attività  d'interesse,  e  con  gelosia  di  puntiglio.  Ora.  que- 
st'impunità minacciata  e  insultata,  ma  non  distratta  dalle  gride? 
doveva  naturalmente,  a  ogni  minaccia,  e  a  ogni  insulto,  ado- 
perar nuovi  sforzi  e  nuove  invenzioni ,  per  conservarsi.  Così 
accadeva  in  effetto;  e,  all'apparire  delle  gride  dirette  a  com- 
primere i  violenti,  questi  cercavano  nella  loro  forza  reale  i 
nuovi  mezzi  più  opportuni,  per  continuare  a  far  ciò  che  le 
gride  venivano  a  proibire.  Potevan  ben  esse  inceppare  a  ogni 
passo,  e  molestare  V  uomo  bonario,  che  fosse  senza  forza  pro- 
pria e  senza  protezione:  perchè  col  line  d'  aver  sotto  la  mano 
ogni  uomo,  per  prevenire  o  per  punire  ogni  delitto,  assogget- 
tavano ogni  mossa  del  privato  al  volere  arbitrario  d'  esecutori 
d'  ogni  genere.  Ma  chi.  prima  di  commettere  il  delitto,  aveva 
prese  le  sue  misure  per  ricoverarsi  a  tempo  in  un  convento, 
in  un  palazzo,  dove  i  birri  non  avrebber  mai  osato  metter 
piede:  chi,  senz;  altre  precauzioni,  portava  una  livrea  che  im- 
pegnasse a  difenderlo  la  vanità  e  V  interesse  d'  una  famiglia 
potente,  di  tutto  un  ceto,  era  libero  nelle  sue  operazioni,  e 
poteva  ridersi  di  tutto  quel  fracasso  delle  gride.  Di  quegli 
stessi  eh'  eran  deputati  a  farle  eseguire,  alcuni  appartenevano 
per  nascita  alla  parte  privilegiata,  alcuni  ne  dipendevano  per 
clientela:  gli  uni  e  gli  altri,  per  educazione,  per  interesse,  per 
consuetudine,  per  imitazione,  ne  avevano  abbracciate  le  mas- 
sime, e  si  sarebbero  ben  guardati  dall' offenderle,  per  amor 
d'  un  pezzo  di  carta  attaccato  sulle  cantonate.  Gli  uomini  poi 
incaricati  dell'esecuzione  immediata,  quando  fossero  stati  in- 
traprendenti come  eroi,  ubbidienti  come  monaci,  e  pronti  a 
sacrificarsi  come  martiri,  non  avrebber  però  potuto  venirne 
alla  fine,  inferiori  com'  eran  di  numero  a  quelli  che  si  trattava 
di  sottomettere,  e  con  una  gran  probabilità  d'essere  abban- 
donati da  chi,  in  astratto  e.  per  così  dire,  in  teoria,  imponeva 
loro  di  operare.  Ma,  oltre  di  ciò,  costoro  eran  generalmente 
de' più  abbietti  e  ribaldi  soggetti  del  loro  tempo:  l'incarico 
loro  era  tenuto  a  vile  anche  da  quelli  che  potevano  averne 
terrore,  e  il  loro  titolo  un  improperio.  Era  quindi  ben  na- 
turale che  costoro,  in  vece  d'  arrischiare,  anzi  di  gettar  la  vita 
in  un'  impresa  disperata,  vendessero  la  loro  inazione,  o  anche 
la  loro  connivenza  ai  potenti,  e  si  riservassero  a  esercitare 
la  loro  esecrata  autorità  e  la  forza  che  pure  avevano,  in  quelle 


10  I    PROMESSI    SPOSI. 

occasioni  dove  non  c'era  pericolo;  nell' opprimer  cioè,  e  n^l 
vessare  gli  uomini  pacifici  e  senza  difesa.^ 

L'uomo  che  vuole  offendere,  o  che  teme,  ogni  momento, 
dr  essere  offeso,  cerca  naturalmente  alleati  e  compagni.  Quindi 
era,  in  que'  tempi,  portata  al  massimo  punto  la  tendenza  de- 
gl'  individui  a  tenersi  collegati  in  classi,  a  formarne  delle  nuo- 
ve, e  a  procurare  ognuno  la  maggior  potenza  di  quella  a  cui 
apparteneva.  Il  clero  vegliava  a  sostenere  e  ad  estendere  le 
sue  immunità,  la  nobiltà  i  suoi  privilegi,  il  militare  le  sue 
esenzioni.  I  mercanti,  gli  artigiani  erano  arrolati  in  mae- 
stranze e  in  confraternità,  i  giurisperiti  formavano  una  lega,  i 
medici  stessi  una  corporazione.  Ognuna  di  queste  piccole  oli- 
garchie aveva  una  sua  forza  speciale  e  propria;  in  ognuna 
l' individuo  trovava  il  vantaggio  d' impiegar  per  sé,  a  propor- 
zione della  sua  autorità  e  della  sua  destrezza,  le  forze  riu- 
nite di  molti.  I  più  onesti  si  valevan  di  questo  vantaggio  a 
difesa  soltanto;  gli  astuti  e  i  facinorosi  ne  approfittavano,  per 
condurre  a  termine  ribalderie,  alle  quali  i  loro  mezzi  perso- 
nali non  sarebber  bastati,  e  per  assicurarsene  V  impunità.  Le 
forze  però  di  queste  varie  leghe  eran  molto  disuguali;  e,  nelle 
campagne  principalmente,  il  nobile  dovizioso  e  violento,  con 
intorno  uno  stuolo  di  bravi,  e  una  popolazione  di  contadini 
avvezzi,  per  tradizione  famigliare,  e  interessati  o  forzati  di 
riguardarsi  quasi  come  sudditi  e  soldati  del  padrone,  eser- 
citava un  potere,  a  cui  difficilmente  nessun' altra  frazione  di 
lega  avrebbe  ivi  potuto  resistere. 

il  nostro  Abbondio,  non  nobile,  non  ricco,  coraggioso  an- 
cor meno,  s*  era  dunque  accorto,  prima  quasi  di  toccar  gli  anni 
della  discrezione,  d'  essere,  in  quella  società,  come  un  vaso  di 
terra  cotta,  costretto  a  viaggiare  in  compagnia  di  molti  vasi 
di  ferro.  Aveva  quindi,  assai  di  buon  grado,  ubbidito  ai  pa- 
renti, che  lo  vollero  prete.  Per  dir  la  verità,  non  aveva  gran 
fatto  pensato  agli  obblighi  e  ai  nobili  fini  del  ministero  al 
quale  si  dedicava;  procacciarsi  di  che  vivere  con  qualche  agio, 
e  mettersi  in  una  classe  riverita  e  forte,  gli  eran  sembrate  due 
ragioni  più  che  sufficienti  per  una  tale  scelta.  Ma  una  classe 
qualunque  non  protegge  un  individuo,  non  lo  assicura,  che 
fino  a  un  certo  segno:  nessuno  lo  dispensa  dal  farsi  un  suo 
sistema  particolare.  Don  Abbondio,  assorbito  continuamente 
ne'  pensieri  della  propria  quiete,  non  si  curava  di  que'  vantaggi, 
per  ottenere  i  quali,  facesse  bisogno  d'adoperarsi  molto,  o 
d' arrischiarsi  un  poco.  Il  suo  sistema  consisteva  principal- 
mente nello  scansar  tutti  i  contrasti,,  e  nel  cedere,  in  quelli 
che  non  poteva  scansare.  Neutralità  disarmata  in  tutte  le 
guerre  che  scoppiavano  intorno  a  lui,  dalle  contese,  allora 
frequentissime,  tra  il  clero  e  le  podestà  laiche,  tra  il  militare 


CAPITOLO    I.  11 

e  il  civile,  tra  nobili  e  nobili,  fino  alle  questioni  tra  due  con- 
tadini, nate  da  una  parola,  e  decise  coi  pugni  o  con  le  col- 
tellate. Se  si  trovava  assolutamente  costretto  a  prender  parte 
tra  due  contendenti,  stava  col  più  forte,  sempre  però  alla  re- 
troguardia, e  procurando  di  far  vedere  all'  altro  eh'  egli  non 
gli  era  volontariamente  nemico:  pareva  che  gli  dicesse:  ma 
perchè  non  avete  saputo  esser  voi  il  più  forte?  eh'  io  mi  sa- 
rei messo  dalla  vostra  parte.  Stando  alla  larga  da"  prepotenti, 
dissimulando  le  loro  soverchierie  passeggiere  e  capricciose, 
corrispondendo  con  sommissioni  a  quelle  che  venissero  da 
un'intenzione  più  seria  e  più  meditata,  costringendo,  a  forza 
d' inchini  e  di  rispetto  gioviale,  anche  i  più  burberi  e  sdegnosi, 
a  fargli  un  sorriso,  quando  gì'  incontrava  per  la  strada,  il 
pover'  uomo  era  riuscito  a  passare  i  sessant'  anni,  senza  gran 
burrasche. 

Non  è  però  che  non  avesse  anche  lui  il  suo  po'  di  fiele 
in  corpo;  e  quel  continuo  esercitar  la  pazienza,  quel  dar  così 
spesso  ragione  agli  altri,  que'  tanti  bocconi  amari  inghiottiti  in 
silenzio,  glielo  avevano  esacerbato  a  segno  che,  se  non  avesse, 
di  tanto  in  tanto,  potuto  dargli  un  po' di  sfogo,  la  sua  salute 
n'  avrebbe  certamente  sofferto.  Ma  siccome  v'  eran  poi  final- 
mente al  mondo,  e  vicino  a  lui,  persone  eh'  egli  conosceva  ben 
bene  per  incapaci  di  far  male,  così  poteva  con  quelle  sfogare 
qualche  volta  il  mal  umore  lungamente  represso,  e  cavarsi 
anche  lui  la  voglia  d'  essere  un  po'  fantastico ,  e  di  gridare  a 
torto.  Era  poi  un  rigido  censore  degli  uomini  che  non  si  re- 
golavan  come  lui,  quando  però  la  censura  potesse  esercitarsi 
senza  alcuno,  anche  lontano,  pericolo.  Il  battuto  era  almeno 
almeno  un  imprudente;  1'  ammazzato  era  sempre  stato  un  uomo 
torbido.  A  chi,  messosi  a  sostener  le  sue  ragioni  contro  un  po- 
tente, rimaneva  col  capo  rotto,  don  Abbondio  sapeva  trovar 
sempre  qualche  torto,  cosa  non  difficile,  perchè  la  ragione  e 
il  torto  non  si  dividon  mai  con  un  taglio  così  netto,  che  ogni 
parte  abbia  soltanto  dell'  uno  o  dell'  altro.  Sopra  tutto  poi, 
declamava  contra  que'  suoi  confratelli  che,  a  loro  rischio,  pren- 
devan  le  parti  d'un  debole  oppresso,  contro  un  soverchiatile 
potente.  Questo  chiamava  un  comprarsi  gì'  impicci  a  contanti, 
un  voler  raddrizzar  le  gambe  ai  cani;  diceva  anche  severa- 
mente, eh'  era  un  mischiarsi  nelle  cose  profane,  a  danno  della 
dignità  del  sacro  ministero.  E  contro  questi  predicava,  sem- 
pre però  a  quattr'occhi,  o  in  un  piccolissimo  crocchio,  con 
tanto  più  di  veemenza,  quanto  più  essi  eran  conosciuti  per 
alieni  dal  risentirsi,  in  cosa  che  li  toccasse  personalmente. 
Aveva  poi  una  sua  sentenza  prediletta,  con  la  quale  sigillava 
sempre  i  discorsi  su  queste  materie:  che  a  un  galantuomo,  il 
quale  badi  a  sé,  e  stia  ne'  suoi  panni,  non  accadon  mai  brutti 
incontri. 


12  I   PROMESSI    SPOSI. 

Pensino  ora  i  miei  venticinque  lettori  che  impressione  do- 
vesse fare  sull'animo  del  poveretto,  quello  che  s'è  raccontato. 
Lo  spavento  di  que*  visacci  e  di  quelle  parolacce,  la  minaccia 
d'  un  signore  noto  per  non  minacciare  invano ,  un  sistema  di 
quieto  vivere,  eh'  era  costato  tant'  anni  di  studio  e  di  pazienza, 
sconcertato  in  un  punto ,  e  un  passo  dal  quale  non  si  poteva 
veder  come  uscirne;  tutti  questi  pensieri  ronzavano  tumultua- 
riamente nel  capo  basso  di  don  Abbondio.  -4  Se  Renzo  si 
potesse  mandare  in  pace  con  un  bel  no,  via;  eia  vorrà  delle 
ragioni;  e  cosa  ho  da  rispondergli,  per  amor  del  cielo?  E, 
e,  e,  anche  costui  è  una  testa:  un  agnello  se  nessun  lo  tocca, 
ma  se  uno  vuol  contraddirgli  ....  ih  !  E  poi,  e  poi,  perduto 
dietro  a  quella  Lucia,  innamorato  come  ....  Ragazzacci,  che, 
per  non  saper  che  fare,  s' innamorano,  voglion  maritarsi,  e  non 
pensano  ad  altro;  non  si  fanno  carico  de' travagli  in  che  met- 
tono un  povero  galantuomo.  Oh  povero  me!  vedete  se  quelle 
due  figuracce  dovevau  proprio  piantarsi  sulla  mia  strada,  e 
prenderla  con  me!  Che  c'entro  io?  Son  io  che  voglio  mari- 
tarmi? Perchè  non  son  andati  piuttosto  a  parlare  ....  Oh 
vedete  un  poco:  gran  destino  è  il  mio,  che  le  cose  a  propo- 
sito mi  vengau  sempre  in  mente  un  momento  dopo  1*  occasione. 
Se  avessi  pensato  di  suggerir  loro  che  andassero  a  portar  la 
loro  ambasciata  ....  —  Ma,  a  questo  punto,  s'  accorse  che  il 
pentirsi  di  non  essere  stato  consigliere  e  cooperatore  dell'  ini- 
quità era  cosa  troppo  iniqua;  e  rivolse  tutta  la  stizza  de' suoi 
pensieri  contro  queir  altro  che  veniva  così  a  togliergli  la  sua 
pace.  Xon  conosceva  don  Rodrigo  che  di  vista  e  di  fama,  né 
aveva  mai  avuto  che  far  con  lui,  altro  che  di  toccare  il  petto 
col  mento,  e  la  terra  colla  punta  del  suo  cappello,  quelle  po- 
che volte  che  1*  aveva  incontrato  per  la  strada.  Gli  era  oc- 
corso di  difendere,  in  più  d' un' occasione,  la  riputazione  di 
quel  signore,  contro  coloro  che,  a  bassa  voce,  sospirando,  e 
alzando  gli  occhi  al  cielo,  maledicevano  qualche  suo  fatto: 
aveva  detto  cento  volte  eh'  era  un  rispettabile  cavaliere.  Ma 
in  qufìl  momento,  gli  diede  in  cuor  suo  tutti  que'  titoli  che  non 
aveva  mai  udito  applicargli  da  altri,  senza  interrompere  in 
fretta  con  un  oibò.  Giunto,  tra  il  tumulto  di  questi  pensieri, 
alla  porta  di  casa  sua,  eh'  era  in  fondo  del  paesello ,  mise  in 
fretta  nella  toppa  la  chiave,  che  già  teneva  in  mano;  aprì, 
entrò,  richiuse  diligentemente,  e,  ansioso  di  trovarsi  in  una 
compagnia  fidata,  chiamò  subito:  «Perpetua!  Perpetua!»,  av- 
viandosi pure  verso  il  salotto,  dove  questa  doveva  esser  certa- 
mente ad  apparecchiar  la  tavola  per  la  cena.  Era  Perpetua, 
come  ognun  se  n'avvede,  la  serva  di  don  Abbondio:  serva  af- 
fezionata e  fedele,  che  sapeva  ubbidire  e  comandare,  secondo 
1'  occasione,  tollerare  a  tempo  il  brontolìo  e  le  fantasticaggini 
del  padrone,  e  fargli  a  tempo  tollerar  le  proprie,  che  diveni- 


CAPITOLO    I.  13 

van  di  giorno  in  giorno  più  frequenti ,  da  che  aveva  passata 
l'età  sinodale  dei  quaranta,  rimanendo  celibe,  per  aver  rifiu- 
tati tutti  i  partiti  che  le  si  erano  offerti,  come  diceva  lei,  o 
per  non  aver  mai  trovato  un  cane  che  la  volesse,  come  dice- 
yan  le  sue  amiche. 

«Vengo,»  rispose  mettendo  sul  tavolino,  al  luogo  solito, 
il  fiaschetto  del  vino  prediletto  di  don  Abbondio,  e  si  mosse 
lentamente;  ma  non  aveva  ancor  toccata  la  soglia  del  salotto, 
ch'egli  v'entrò,  con  un  passo  così  legato,  con  uno  sguardo 
così  adombrato,  con  un  viso  così  stravolto,  che  non  ci  sareb- 
bero nemmen  bisognati  gli  occhi  esperti  di  Perpetua,  per 
iscoprire  a  prima  vista  che  gli  era  accaduto  qualche  cosa  di 
straordinario  davvero. 

«Misericordia!  cos'ha,  signor  padrone?» 

«Niente,  niente,»  rispose  don  Abbondio,  lasciandosi  an- 
dar tutto  ansante  sul  suo  seggiolone. 

«Come,  niente?  La  vuol  dare  ad  intendere  a  me?  così 
brutto  com'è?     Qualche  gran  caso  è  avvenuto.» 

«Oh,  per  amor  del  cielo!  Quando  dico  niente,  o  è  niente, 
o  è  cosa  che  non  posso  dire.» 

«Che  non  può  dir  neppure  a  me?  Chi  si  prenderà  cura 
della  sua  salute?     Chi  le  darà  un  parere?  .  .  .  .» 

«Ohimè!  tacete,  e  non  apparecchiate  altro:  datemi  un 
bicchier  del  mio  vino.» 

«E  lei  mi  vorrà  sostenere  che  non  ha  niente!»  disse  Per- 
petua, empiendo  il  bicchiere,  e  tenendolo  poi  in  mano,  come 
se  non  volesse  darlo  che  in  premio  della  confidenza  che  si 
faceva  tanto  aspettare. 

«Date  qui,  date  qui,»  disse  don  Abbondio,  prendendole  il 
bicchiere  con  la  mano  non  ben  ferma;  e  votandolo  poi  in 
fretta,  come  se  fosse  una  medicina. 

«Vuol  dunque  ch'io  sia  costretta  di  domandar  qua  e  là 
cos'è  accaduto  al  mio  padrone?»  disse  Perpetua,  ritta  dinanzi 
a  lui,  con  le  mani  arrovesciate  sui  fianchi,  e  le  gomita  ap- 
puntate davanti,  guardandolo  fisso,  quasi  volesse  succhiargli 
dagli  occhi  il  segreto. 

«Per  amor  del  cielo!  non  fate  pettegolezzi,  non  fate  schia- 
mazzi: ne  va  ...  .  ne  va  la  vita!» 

«La  vita!» 

«La  vita.» 

«Lei  sa  bene,  che  ogni  volta  che  m'ha  detto  qualche  cosa 
•sinceramente,  in  confidenza,  io  non  ho  mai  .  .  .  .» 

«Brava!  come  quando  .  .  .  .» 

Perpetua  s'avvide  d' aver  toccato  un  tasto  falso;  onde,  cam- 
biando subito  il  tono,  «signor  padrone,»  disse,  con  voce  com- 
mossa e  da  commovere,  «io  le  sono  sempre  stata  affezionata; 


14  I    PROMESSI    SPOSI. 

e,  se  ora  voglio  sapere,  è  per  premura,  perchè  vorrei  poterla 
soccorrere,  darle  un  buon  parere,  sollevarle  1'  animo  ....  » 

Il  fatto  sta  che  don  Abbondio  aveva  forse  tanta  voglia  di 
scaricarsi  del  suo  doloroso  segreto,  quanta  ne  avesse  Perpetua 
di  conoscerlo:  onde,  dopo  aver  respinti  sempre  più  debolmente 
i  nuovi  e  più  incalzanti  assalti  di  lei,  dopo  averle  fatto  più 
d'una  volta  giurare  che  non  fiaterebbe,  finalmente,  con  molte 
sospensioni,  con  molti  ohimè,  le  raccontò  il  miserabile  caso. 
Quando  si  venne  al  nome  terribile  del  mandante,  bisognò  che 
Perpetua  proferisse  un  nuovo  e  più  solenne  giuramento;  e 
don  Abbondio,  pronunziato  quel  nome,  si  rovesciò  sulla  spal- 
liera della  seggiola,  con  un  gran  sospiro,  alzando  le  maui  in 
atto  insieme  di  comando  e  di  supplica,  e  dicendo:  «per  amor 
del  cielo!» 

«Delle  sue!»  esclamò  Perpetua.  «Oh  che  birbone!  oh 
che  soverchiatore!  o  che  uomo  senza  timor  di  Dio!» 

«Volete  tacere?  o  volete  rovinarmi  del  tutto?» 

«Oh!  siam  qui  soli  che  nessun  ci  sente.  Ma  come  farà, 
povero  signor  padrone?» 

«Oh  vedete,»  disse  don  Abbondio,  con  voce  stizzosa,  «ve- 
dete che  bei  pareri  mi  sa  dar  costei!  Viene  a  domandarmi 
come  farò,  come  farò;  quasi  fosse  lei  nell' impiccio,  e  toccasse 
a  me  di  levamela.» 

«Ma!  io  l'avrei  bene  il  mio  povero  parere  da  darle;  ma 
poi  .  .  .  .» 

«Ma  poi,  sentiamo.» 

«Il  mio  parere  sarebbe  che,  siccome  tutti  dicono  che  il 
nostro  arcivescovo  è  un  sant'uomo,  un  uomo  di  polso,  e  che 
non  ha  paura  di  nessuno,  e  quando  può  fare  star  a  dovere 
un  di  questi  prepotenti,  per  sostenere  un  curato,  ci  gongola; 
io  'direi,  e  dico  che  lei  gli  scrivesse  una  bella  lettera,  per  in- 
formarlo come  qualmente  ....  » 

Volete  tacere?  volete  tacere?  Son  pareri  codesti  da  dare 
a  un  pover'uomo?  Quando  mi  fosse  toccata  una  schioppet- 
tata nella  schiena,  Dio  liberi!  l'arcivescovo  me  la  leverebbe?  » 

«Eh!  le  schioppettate  non  si  danno  via  come  confetti;  e 
guai  se  questi  cani  dovessero  mordere  tutte  le  volte  che  ab- 
baiano! E  io  ho  sempre  veduto  che  a  chi  sa  mostrare  i 
denti,  e  farsi  stimare,  gli  si  porta  rispetto;  e  appunto  perchè 
lei  non  vuol  mai  dir  la  sua  ragione,  siam  ridotti  a  segno  che 
tutti  vengono,  con  licenza  a  ....  » 
Volete  tacere?» 

«Io  tacio  subito;  ma  è  però  certo  che,  quando  il  mondo 
s'  accorge  che  uno,  sempre,  in  ogni  incontro,  è  pronto  a  calar 
le  .  .  .  .» 

«Volete  tacere?  È  tempo  ora  di  dir  codeste  baggia- 
nate?» 


CAUTOLO    li  15 

«Basta:  ci  penserà  questa  notte;  mi  intanto  non  cominci 
a  farsi  male  da  sé,  rovinarsi  la  salute,  mangi  un  boccone.» 

«Ci  penserò  io,»  rispose,  brontolando,  don  Abbondio: 
(-sicuro;  io  ci  penserò,  io  ci  ho  da  pensare.»  E  s'alzò,  con- 
tinuando: e  non  voglio  prender  niente:  niente;  ho  altra  vo- 
glia: lo  so  anch'io  che  tocca  a  pensarci  a  me.  Ma!  la  do- 
veva accader  per  l'appunto  a  me.» 

Mandi  almen  giù  quest'altro  gocciolo,»  disse  Perpetua, 
mescendo.    «Lei  sa  che  questo  le  rimette  sempre  lo  stomaco.» 

«Eh!  ci  vuol  altro,  ci  vuol  altro,  ci  vuol  altro.» 

Così  dicendo,  prese  il  lume,  e,  brontolando  sempre:  «una 
piccola  bagattella!  a  un  galantuomo  par  mio!  e  domani  co- 
ni'andrà?»  e  altre  simili  lamentazioni,  s'avviò  per  salire  in 
camera.  Giunto  su  la  soglia,  si  voltò  indietro  verso  Perpetua, 
mise  il  dito  sulla  bocca,  disse,  con  tono  lento  e  solenne:  «per 
amor  del  ciclo!»  e  disparve. 


CAPITOLO  II. 


Si  racconta  che  il  principe  di  Condé  dormì  profondamente 
la  notte  avanti  la  giornata  di  Rocroi;  ma,  in  primo  luogo,  era 
molto  affaticato;  secondariamente  aveva  già  date  tutte  le  dis- 
posizioni necessarie,  e  stabilito  ciò  che  dovesse  fare,  la  mat- 
tina. Don  Abbondio  in  vece  non  sapeva  altro  ancora  se  non 
che  l'indomani  sarebbe  giorno  di  battaglia;  quindi  una  gran 
parte  della  notte  fu  spesa  in  consulte  angosciose.  Non  far 
caso  dell'  intimazione  ribalda,  né  delle  minacce,  e  fare  il  ma- 
trimonio, era  un  partito,  che  non  volle  neppur  mettere  in 
deliberazione.  Confidare  a  Renzo  l' occorrente ,  e  cercar  con 
lui  qualche  mezzo  ....  Dio  liberi!  «Non  si  lasci  scap- 
par parola  ....  altrimenti  ....  ehm!»  aveva  detto  uno  di 
quei  bravi;  e,  al  sentirsi  rimbombar  quell' e//wi .'  nella  mente, 
don  Abbondio,  non  che  pensare  a  trasgredire  una  tal  legge, 
si  pentiva  anche  dell'aver  ciarlato  con  Perpetua.  Fuggire? 
Dove?  E  poi!  Quant' impicci,  e  quanti  conti  da  rendere!  A 
ogni  partito  che  rifiutava,  il  pover' uomo  si  rivoltava  nel  let- 
to Quello  che,  per  ogni  verso,  gli  parve  il  meglio  o  il  men 
male,  fu  di  guadagnar  tempo,  menando  Renzo  per  le  lunghe. 
Si  rammentò  a  proposito,  che  mancavan  pochi  giorni  al  tempo 
proibito  alle  nozze;  —  e,  se  posso  tener  a  bada,  per  questi 
pochi  giorni,  quel  ragazzone,  ho  poi  due  mesi  di  respiro;  e, 
in  due  mesi,  può  nascer  di  gran  cose.  —  Ruminò  pre- 
testi da  metter  in  campo;  e,  benché  gli  paressero  un  po' leg- 
gieri, pur  s'  andava  rassicurando  col  pensiero  che  la  sua  auto- 


16  I    PROMESSI    SPOSI. 

rità  gli  avrebbe  fatti  parer  di  giusto  peso,  e  che  la  sua  antica 
esperienza  gli  darebbe  gran  vantaggio  sur  un  giovanetto 
ignorante.  —  Vedremo,  —  diceva  tra  se:  —  egli  pensa  all'a- 
morosa; ma  io  penso  alla  pelle:  il  più  interessato  son  io, 
lasciando  stare  che  sono  il  più  accorto.  Figliuol  caro,  se  tu 
ti  senti  il  bruciore  addosso,  non  so  che  dire;  ma  io  non  vo- 
glio andarne  di  mezzo.  —  Fermato  così  un  poco  l'animo  a 
una  deliberazione,  potè  finalmente  chiuder  occhio:  ma  che 
sonno!  che  sogni!  Bravi,  don  Rodrigo,  Renzo,  viottole,  rupi, 
fughe,  inseguimenti,  grida,  schioppettate. 

Il  primo  svegliarsi,  dopo  una  sciagura,  e  in  un  impiccio, 
è  un  momento  molto  amaro.  La  mente,  appena  risentita,  ri- 
corre all'idee  abituali  della  vita  tranquilla  antecedente;  ma  il 
pensiero  del  nuovo  stato  di  cose  le  si  affaccia  subito  sgarba- 
tamente; e  il  dispiacere  ne  è  più  vivo  in  quel  paragone 
istantaneo.  Assaporato  dolorosamente  questo  momento,  don 
Abbondio  ricapitolò  subito  i  suoi  disegni  della  notte,  si  con- 
fermò in  essi,  gli  ordinò  meglio,  s'alzò,  e  sfette  aspettando 
Renzo  con  timore  e,  ad  un  tempo,  con  impazienza. 
-"*  Lorenzo  o,  come  dicevan  tutti,  Renzo  non  si  fece  molto 
aspettare.  Appena  gli  parve  ora  di  poter,  senza  indiscrezione, 
presentarsi  al  curato,  v'  andò  con  la  lieta  furia  d'  un  uomo  di 
vent' anni,  che  deve  in  quel  giorno  sposare  quella  che  ama. 
Era,  fin  dall'adolescenza,  rimasto  privo  de' parenti ,  ed  eser- 
citava la  professione  di  filatore  di  seta,  ereditaria,  per  dir 
così,  nella  sua  famiglia;  professione,  negli  anni  indietro,  assai 
lucrosa;  allora  già  in  decadenza,  ma  non  però  a  segno  che 
un  abile  operaio  non  potesse  cavarne  di  che  vivere  onesta- 
mente. Il  lavoro  andava  di  giorno  in  giorno  scemando,  ma 
l'emigrazione  continua  de"  lavoranti,  attirati  negli  stati  vicini 
da  promesse,  da  privilegi  e  da  grosse  paghe,  faceva  sì  che 
non  ne  mancasse  ancora  a  quelli  che  rimanevano  in  paese. 
Oltre  di  questo,  possedeva  Renzo  un  poderetto  che  faceva  la- 
vorare e  lavorava  egli  stesso,  quando  il  filatoio  stava  fermo; 
di  mode  che,  per  la  sua  condizione,  poteva  dirsi  agiato.  E 
quantunque  quell'  annata  fosse  ancor  più  scarsa  delle  antece- 
denti, e  già  si  cominciasse  a  provare  una  vera  carestia,  pure 
il  nostro  giovine,  che,  da  quando  aveva  messi  gli  occhi  ad- 
dosso a  Lucia,  era  divenuto  massaio,  si  trovava  provvisto  ba- 
stantemente, e  non  aveva  a  contrastar  con  la  fame.  Comparve 
davanti  a  don  Abbondio,  in  gran  gala,  con  penne  di  vario 
colore  al  cappello,  col  suo  pugnale  del  manico  bello,  nel  ta- 
schino de' calzoni,  con  una  cert' aria  di  festa  e  nello  stesso 
tempo  di  braveria,  comune  allora  anche  agli  uomini  più 
quieti.  L'  accoglimento  incerto  e  misterioso  di  don  Abbondio 
fece  un  contrapposto  singolare  ai  modi  gioviali  e  risoluti  del 
giovinotto. 


CAPITOLO    II.  17 

—  Che  abbia  qualche  pensiero  per  la  testa,  —  argomentò 
Renzo  tra  sé,  poi  disse:  «son  venuto,  signor  curato,  per  sa- 
pere a  che  ora  le  comoda  che  ci  troviamo  in  chiesa.') 

«Di  che  giorno  volete  parlare?) 

cCome,  di  che  giorno?  non  si  ricorda  che  s'è  fissato  per 
oggi?,» 

«Oggi?»  replicò  don  Abbondio,  come  se  ne  sentisse  par- 
lare per  la  prima  volta.  <  Oggi,  oggi  ....  abbiate  paziènza, 
ma  oggi  non  posso.» 

«Oggi  non  può!     Cos'  è  nato?» 

«Prima  di  tutto,  non  mi  sento  bene,  vedete.» 

«Mi  dispiace;  ma  quello  che  ha  da  fare  è  cosa  di  così 
poco  tempo,  e  di  così  poca  fatica  ....»> 

«  E  poi,  e  poi,  e  poi  ....  » 

«E  poi  che  cosa?» 

«E  poi  c'è  degli  imbrogli.» 

«Degli  imbrogli? 

«Bisognerebbe  trovarsi  nei  nostri  piedi,  per  conoscer  quanti 
impicci  nascono  in  queste  materie,  quanti  conti  s'ha  da  ren- 
dere. Io  scn  troppo  dolce  di  cuore,  non  penso  che  a  levar 
di  mezzo  gli  ostacoli,  a  facilitar  tutto,  a  far  le  cose  secondo 
il  piacere  altrui,  e  trascuro  il  mio  dovere;  e  poi  mi  tocca 
de'  rimproveri,  e  peggio.» 

Ma  col  nome  del  cielo,  non  mi  tenga  così  sulla  corda,  e 
mi  dica  chiaro  e  netto  cosa  e'  è.  » 

Sapete   voi    quante    e    quante   formalità    ci   vogliono    per 
fare  un  matrimonio  in  regola?» 

«Bisogna  ben  ch'io  ne  sappia  qualche  cosa,»  disse  Ren- 
zo, cominciando  ad  alterarsi,  «poiché  me  ne  ha  già  rotta 
bastantemente  la  testa,  questi  giorni  addietro.  Ma  ora  non 
s'è  sbrigato  ogni  cosa?  non  s'è  fatto  tutto  ciò  che  s'aveva 
a  fare?» 

«Tutto,  tutto,  pare  a  voi:  perchè  abbiate  pazienza,  la 
bestia  son  io,  che  trascuro  il  mio  dovere,  per  non  far  penare 
la  gente.  Ma  ora  ....  basta,  so  quel  che  dico.  Xoi  poveri 
curati  siamo  tra  1'  ancudine  e  il  martello  :  voi  impaziente  ;  vi 
compatisco,  povero  giovine;  e  i  superiori  ....  basta,  non  si 
può  dir  tutto.  E  noi  siam  quelli  che  ne  andiam  di  mezzo.» 
Ma  mi  spieghi  una  volta  cos'  è  quest'  altra  formalità  che 
s'  ha  a  fare,  come  dice  ;  e  sarà  subito  fatta.  » 

«Sapete  voi  quanti  sieno  gl'impedimenti  dirimenti?» 

«Che  vuol  ch'io  sappia  d'impedimenti?» 

i  Error,  conditio,  votum,  cognatio,  crimen, 

Cuìtus,  dispariteti,  vis,  orcio,  ìigamen,  honestas, 

Si  sis  affini s  .  .  .  .» 
cominciava  don  Abbondio,  contando  sulla  punta  delle  dita. 

Manzoni.  * 


18  I   PROMESSI   SPOSI. 

«Si  piglia  gioco  di  me?)  interruppe  il  giovine.  «Che 
vuol  ch'io  faccia  del  suo  latinorum?» 

«Dunque,  se  noa  sapete  le  cose,  abbiate  pazienza,  e  ri- 
mettetevi a  chi  le  sa.» 

«  Orsù  !  .-...» 

«Via,  caro  Renzo,  non  andate  in  collera,  che  son  pronto 
a  fare  ....  tutto  quello  che  dipende  da  me.  Io,  io  vorrei 
vedervi  contento;  vi  voglio  bene  io.  Eh!  ...  .  quando  penso 
che  stavate  così  bene;  cosa  vi  mancava?  v' è  saltato  il  grillo 
di  maritarvi  ....  » 

Che  discorsi  son  questi,  signor  mio?»  proruppe  Renzo, 
con  un  volto  tra  P  attonito  e  1*  adirato. 

'«Dico  per  dire,  abbiate  pazienza,  dico  per  dire.  Vorrei 
vedervi  contento.') 

«In  somma  .  .  .  .» 

«In  somma,  figliaci  caro,  io  non  ci  ho  colpa;  la  legge 
non  V  ho  fatta  io.  E  prima  di  conchiudere  un  matrimonio, 
noi  siam  proprio  obbligati  a  far  molte  e  molte  ricerche,  per 
assicurarci  che  non  ci  siano  impedimenti.» 

«Ma  via,  mi  dica  una  volta  che  impedimento  è  soprav- 
venuto?» 

Abbiate  pazienza,  non  son  cose  da  potersi  decifrare  così 
su  due  piedi.  Non  ci  sarà  niente,  così  spero;  ma,  nonostan- 
te, queste  ricerche  noi  le  dobbiam  fare.  Il  testo  è  chiaro  e 
lampante:  antequam  matrimonium  denunciet  .  .  .  .» 

«Le  ho  detto  che  non  voglio  latino.» 

«iMa  bisogna  pur  che  vi  spieghi  .  .  .  .» 

«Ma  non  le  ha  già  fatte  queste  ricerche?» 

«Non  le  ho  fatte  tutte,  come  avrei  dovuto,  vi  dico.» 

«Perchè  non  le  ha  fatte  a  tempo?  perchè  dirmi  che  tutto 
era  finito?  perchè  aspettare  .  .  .  .» 

«Ecco!  mi  rimproverate  la  mia  troppa  bontà.  Ho  facili- 
tato ogni  cosa  per  servirvi  più  presto:  ma  ....  ma  ora  mi 
son  venute  ....  basta,  so  io.  » 

<. E  che  vorrebbe  eh'  io  facessi?» 

«Che  aveste  pazienza  per  qualche  giorno.  Figliuol  caro, 
qualche  giorno  non  è  poi  l'eternità:  abbiate  pazienza.» 

«Per  quanto?» 

—  Siamo  a  buon  porto,  —  pensò  tra  sé  don  Abbondio; 
e,  con  un  fare  più  manieroso  che  mai,  «via,»  disse:  «in 
quindici  giorni  cercherò  ....  procurerò  ....  » 

«Quindici  giorni!  oh  questa  sì  eh' è  nuova!  s'  è  fatto  tutto 
ciò  che  ha  voluto  lei;  s'è  fissato  il  giorno;  il  giorno  arriva; 
e  ora  lei  mi  viene  a  dire  che  aspetti  quindici  giorni!  Quin- 
dici ....»  riprese  poi,  con  voce  più  alta  e  stizzosa,  stenden- 
do il  braccio,  e  battendo  il  pugno  nell'aria;  e  chi  sa  qual 
diavoleria  avrebbe  attaccata  a  quel  numero,  se  don  Abbondio 


CAPITOLO   II.  19 

non  l'avesse  interrotto,  prendendogli  l'altra  mano,  con  una 
amorevolezza  timida  e  premurosa:  «via,  via  non  v'  alterate, 
per  amor  del  cielo.   Vedrò,  cercherò  se,  in  una  settimana  ....  » 

«E  a  Lucia  che  devo  dire?» 

«Ch'è  stato  un  mio  sbaglio.» 

«E  i  discorsi  del  mondo?» 

«Dite  pure  a  tutti,  che  ho  sbagliato  io,  per  troppa  furia, 
per  troppo  buon  cuore;  gettate  tutta  la  colpa  addosso  a  me. 
Posso  parlar  meglio?  via  per  una  settimana.» 

«E  poi,  non  ci  sarà  più  altri  impedimenti?» 

«  Quando  vi  dico  ....  » 

«Ebbene:  avrò  pazienza  per  una  settimana;  ma  ritenga 
bene  che,  passata  questa,  non  m'appagherò  più  di  chiac- 
chiere. Intanto  la  riverisco.»  E  così  detto,  se  n'andò,  fa- 
cendo a  don  Abbondio  un  inchino  men  profondo  del  solito, 
e  dandogli  un'  occhiata  più  espressiva  che  riverente. 

Uscito  poi,  e  camminando  di  mala  voglia,  per  la  prima 
volta,  verso  la  casa  della  sua  promessa,  in  mezzo  alla  stizza, 
tornava  con  la  mente  su  quel  colloquio;  e  sempre  più  lo  tro- 
vava strano.  L'  accoglienza  fredda  e  impicciata  di  don  Abbon- 
dio, quel  suo  parlare  stentato  insieme  e  impaziente,  que'  due 
occhi  grigi  che,  mentre  parlava,  eran  sempre  andati  scappan- 
do qua  e  là,  come  se  avesser  avuto  paura  d'incontrarsi  con 
le  parole  che  gli  uscivan  di  bocca,  quel  farsi  quasi  nuovo  del 
matrimonio  così  espressamente  concertato,  e  sopra  tutto  quel- 
1'  accennar  sempre  qualche  gran  cosa,  non  dicendo  mai  nulla  di 
chiaro;  tutte  queste  circostanze  messe  insieme  facevan  pensare 
a  Renzo  che  ci  fosse  sotto  un  mistero  diverso  da  quello  che 
don  Abbondio  aveva  voluto  far  credere.  Stette  il  giovine  in 
forse  un  momento  di  tornare  indietro,  per  metterlo  alle  stret- 
te, e  farlo  parlar  più  chiaro;  ma  alzando  gli  occhi,  vide  Per- 
petua che  camminava  dinanzi  a  lui,  ed  entrava  in  un  orticello 
pochi  passi  distante  dalla  casa.  Le  diede  una  voce,  mentre 
essa  apriva  l'uscio;  studiò  il  passo,  la  raggiunse,  la  ritenne 
sulla  soglia,  e,  col  disegno  di  scovar  qualche  cosa  di  più  po- 
sitivo, si  fermò  ad  attaccar  discorso  con  essa. 

«Buon  giorno,  Perpetua:  io  speravo  che  oggi  si  sarebbe 
stati  allegri  insieme.» 

«Ma!  quel  che  Dio  vuole,  il  mio  povero  Renzo.» 

«Fatemi  un  piacere:  quel  benedett' uomo  del  signor  curato 
m'ha  impastocchiate  certe  ragioni  che  non  ho  potuto  ben  ca- 
pire; spiegatemi  voi  meglio  perchè  non  può  o  non  vuole  ma- 
ritarci oggi.» 

«Oh!  vi  par  egli  ch'io  sappia  i  segreti  del  mio  padrone?» 

—  L'ho  detto  io,  che  c'era  mistero  sotto,  —  pensò  Ren- 
zo; e,  per  tirarlo  in  luce,  continuò:  «via,  Perpetua;  siamo 
amici;  ditemi  quel  che  sapete,  aiutate  un  povero  figliuolo.» 

2* 


20  1   PROMESSI    SPOSI. 

cMala  cosa  nascer  povero,  il  mio  caro  Renzo.» 

«È  vero,»  riprese  questo,  sempre  più  confermandosi  ne' 
suoi  sospetti;  e.  cercando  d'accostarsi  più  alla  questione,  «è 
vero,»  soggiunse,  «ma  tocca  ai  preti  a  trattar  male  co' po- 
veri?» 

«Sentite  Renzo:  io  non  posso  dir  niente,  perchè  ....  non 
so  niente;  ma  quello  che  vi  posso  assicurare  è  che  il  mio  pa- 
drone non  vuol  far  torto,  né  a  voi  né  a  nessuno;  e  lui  non 
ci  ha  colpa.» 

«Chi  è  dunque  che  ci  ha  colpa?»  domandò  Renzo,  con 
un  cert'  atto  trascurato,  ma  col  cuor  sospeso,  e  con  1'  orecchio 
all'  erta. 

«Quando  vi  dico  che  non  so  niente  ...  In  difesa  del 
mio  padrone,  posso  parlare;  perchè  mi  fa  male  sentire  che 
gli  si  dia  carico  di  voler  far  dispiacere  a  qualcheduno.  Po- 
veruomo! se  pecca,  è  per  troppa  bontà.  C'è  bene  a  questo 
mondo  de'  birboni,  dei  prepotenti,  degli  uomini  senza  timor  di 
Dio  ....  » 

—  Prepotenti!  birboni!  —  pensò  Renzo:  —  questi  non 
sono  i  superiori.  «Via,»  disse  poi  nascondendo  a  stento 
l'agitazione  crescente,  «via  ditemi  chi  è.» 

«Ah!  voi  vorreste  farmi  parlare:  e  io  non  posso  parlare, 
perchè  ....  non  so  niente:  quando  non  so  niente,  è  come 
se  avessi  giurato  di  tacere.  Potreste  darmi  la  corda,  che  non 
mi  cavereste  nulla  di  bocca.  Addio;  è  tempo  perduto  per 
tutte  due.»  Così  dicendo,  entrò  in  fretta  nell'orto,  e  chiuse 
l'uscio.  Renzo,  rispostole  con  un  saluto,  tornò  indietro  pian 
piano,  per  non  farla  accorgere  del  cammino  che  prendeva; 
ma  quando  fu  fuor  del  tiro  dell'  orecchio  della  buona  donna, 
allungò  il  passo;  in  un  momento  fu  all'uscio  di  don  Abbon- 
dio; entrò,  andò  diviato  al  salotto  dove  l'aveva  lasciato,  velo 
trovò,  e  corse  verso  lui,  con  un  fare  ardito,  e  con  gli  occhi 
stralunati. 

«Eh!  eh!  che  novità  è  questa?»  disse  don  Abbondio. 

«Chi  è  quel  prepotente,»  disse  Renzo,  con  la  voce  d'un 
uomo  risoluto  d'ottenere  una  risposta  precisa,  «chi  è  quel 
prepotente  che  non  vuol  ch'io  sposi  Lucia?» 

cChe?  che?  che?»  balbettò  il  povero  sorpreso,  con  un 
volto  fatto  in  un  istante  bianco  e  floscio,  come  un  cencio  che 
esca  del  bucato.  E,  pur  brontolando,  spiccò  un  salto  dal  suo 
seggiolone,  per  lanciarsi  all'uscio.  Ma  Renzo,  che  doveva 
aspettarsi  quella  mossa,  e  stava  all'  erta,  vi  balzò  prima  di  lui, 
girò  la  chiave,  e  se  la  mise  in  tasca. 

«Ah!  ah!  parlerà  ora,  signor  curato?  Tutti  sanno  i  fatti 
miei,  fuori  di  me.  Voglio  saperli,  per  bacco,  anch'  io.  Come 
si  chiama  colui?» 


CAPITOLO    li.  21 

«Renzo!  Renzo!  per  carità,  badate  a  quel  che  fate;  pen- 
sate all'  anima  vostra.» 

«Penso  che  voglio  saper  subito,  sul  momento.»  E,  così 
dicendo,  mise,  forse  senz'  avedersene,  la  mano  sul  manico  del 
coltello  che  gli  usciva  dal  taschino. 

('Misericordia!»  sclamò  con  voce  fioca  don  Abbondio. 

«Lo  voglio  sapere.» 

«  Chi  v'  ha  detto  ....  » 

«No,  no;  non  più  fandonie.     Parli  chiaro  e  subito.» 

«Mi  volete  morto?» 

«Voglio  sapere  ciò  che  ho  ragion  di  sapere.  > 

«Ma  se  parlo,  son  morto.  Non  m'ha  da  premere  la  mia 
vita?» 

«Dunque  parli.» 

Quel  «dunque»  fu  proferito  con  una  tal  energia,  l'aspetto 
di  Renzo  divenne  così  minaccioso,  che  don  Abbondio  non 
potè  più  nemmen  supporre  la  possibilità  di  disubbidire. 

Mi  promettete,  mi  giurate,»  disse,  «di  non  parlarne  con 
nessuno,  di  non  dir  mai  ....?» 

«Le  prometto  che  fo  uno  sproposito,  se  lei  non  mi  dice 
subito  subito  il  nome  di  colui.  » 

A  quel  nuovo  scongiuro,  don  Abbondio,  col  voltò,  e  con 
lo  sguardo  di  chi  ha  in  bocca  le  tenaglie  del  cavadenti,  pro- 
ferì :  «  don  ....»> 

«Don»  ripetè  Renzo,  come  per  aiutare  il  paziente  a  but- 
tar fuori  il  resto  ;  e  stava  curvo  con  1"  orecchio  chino  sulla 
bocca  di  lui,  con  le  braccia  tese,  e  i  pugni  stretti  all' in- 
dietro. 

«Don  Rodrigo!»  pronunziò  in  fretta  il  forzato,  precipi- 
tando quelle  poche  sillabe,  e  strisciando  le  consonanti,  parte 
per  il  turbamento,  parte  perchè,  rivolgendo  pure  quella  poca 
attenzione  che  gli  rimaneva  libera,  a  fare  una  transazione 
tra  le  due"  paure,  pareva  che  volesse  sottrarre  e  fare  scom- 
parir la  parola,  nel  punto  stesso  ch'era  costretto  a  metterla 
fuori. 

«Ah  cane!»  urlò  Renzo.  «E  come  ha  fatto?  Cosa  le 
ha  detto  per  ....?» 

«Come  eh?  come?»  rispose,  con  voce  quasi  sdegnosa,  don 
Abbondio,  il  quale,  dopo  un  sì  gran  sacrifizio,  si  sentiva  in 
certo  modo  divenuto  creditore,  e  Come  eh?  Vorrei  che  la 
fosse  toccata  a  voi,  come  è  toccata  a  me,  che  non  e'  entro  per 
nulla;  che  certamente  non  vi  sarebber  rimasti  tanti  grilli  in 
capo.  »  E  qui  si  fece  a  dipinger  con  colori  terribili  il  brutto 
incontro:  e,  nel  discorrere,  accorgendosi  sempre  più  d'una 
gran  collera  che  aveva  in  corpo,  e  che  fin  allora  era  stata 
nascosta  e  involta  nella  paura,  e  vedendo  nello  stesso  tempo 
che  Renzo,  tra  la  rabbia  e  la  confusione,  stava  immobile,  col 


22  I    PROMESSI    SPOSI. 

capo  basso,  continuò  allegramente:  «avete  fatta  una  bella 
azione!  M'avete  reso  un  bel  servizio!  Un  tiro  di  questa  sorte 
a  un  galantuomo,  al  vostro  curato!  in  casa  sua!  in  luogo  sa- 
cro! Avete  fatta  una  bella  prodezza!  Per  cavarmi  di  bocca 
il  mio  malanno ,  il  vostro  malanno  !  ciò  eh'  io  vi  nascondeva 
per  prudenza,  per  vostro  bene!  E  ora  che  lo  sapete?  Vor- 
rei vedere  che  mi  faceste  . . .  .!  Per  amor  del  cielo!  Non  si 
scherza.  Non  si  tratta  di  torto  o  di  ragione  ;  si  tratta  di  for- 
za. E  quando,  questa  mattina,  vi  dava  un  buon  parere  .... 
eh!  subito  nelle  furie.  Io  aveva  giudizio  per  me  e  per  voi: 
ma  come  si  fa?    Aprite  almeno;  datemi  la  mia  chiave.» 

«Posso  aver  fallato,»  rispose  Renzo,  con  voce  raddolcita 
verso  don  Abbondio,  ma  nella  quale  si  sentiva  il  furore  con- 
tro il  nemico  scoperto:  «posso  aver  fallato;  ma  si  metta  la 
mano  al  petto,  e  pensi  se  nel  mio  caso  .  .  .  .» 

Così  dicendo,  s'era  levata  la  chiave  di  tasca,  e  andava  ad 
aprire.  Don  Abbondio  gli  andò  dietro,  e,  mentre  quegli  gi- 
rava la  chiave  nella  toppa,  se  gli  accostò,  e,  con  volto  serio 
e  ansioso,  alzandogli  davanti  agli  occhi  le  tre  dita  della  de- 
stra, come  per  aiutarlo  anche  lui  dal  canto  suo,  «giurate  al- 
meno ....  »  gli  disse. 

«Posso  aver  fallato;  e  mi  scusi,»  rispose  Renzo,  apren- 
do, e  disponendosi  ad  uscire. 

«Giurate  .  .  .  .  »  replicò  don  Abbondio,  afferrandogli  il 
braccio  con  la  mano  tremante. 

«Posso  aver  fallato,»  ripetè  Renzo,  sprigionandosi  da 
lui;  e  partì  in  furia,  troncando  così  la  questione,  che,  al  pari 
d'  una  questione  di  letteratura  o  di  filosofia  o  d' altro,  avrebbe 
potuto  durar  dei  secoli,  giacché  ognuna  delle  parti  non  fa- 
ceva che  replicare  il  suo  proprio  argomento. 

«Perpetua!  Perpetua!»  gridò  don  Abbondio,  dopo  avere 
invano  richiamato  il  fuggitivo.  Perpetua  non  risponde:  don 
Abbondio  non  sapeva  più  in  che  mondo  si  fosse. 

È  accaduto  più  d'  una  volta  a  personaggi  di  ben  più  alto 
affare  che  don  Abbondio,  di  trovarsi  in  frangenti  cosi  fasti- 
diosi, in  tanta  incertezza  di  partiti,  che  parve  loro  un  ottimo 
ripiego  mettersi  a  letto  con  la  febbre.  Questo  ripiego,  egli 
non  lo  dovette  andare  a  cercare,  perchè  gli  si  offerse  da  sé. 
La  paura  del  giorno  avanti,  la  veglia  angosciosa  della  notte, 
la  paura  avuta  in  quel  momento,  l'ansietà  dell'avvenire,  fe- 
cero 1'  effetto.  Affannato  e  balordo,  si  ripose  sul  suo  seggiolo- 
ne, cominciò  a  sentirsi  qualche  brivido  nell'ossa,  si  guardava 
le  unghie  sospirando,  e  chiamava  di  tempo  in  tempo,  con  voce 
remolante  e  stizzosa.  «Perpetua!»  La  venne  finalmente, 
ton  un  gran  cavolo  sotto  il  braccio ,  e  con  la  faccia  tosta, 
ome  se  nulla  fosse  stato.  Risparmio  al  lettore  i  lamenti,  le 
ondoglianze,  le  accuse,  le  difese,  i  «voi  sola  potete  aver  par- 


CAPITOLO    II.  23 

lato,»  e  i  e  non  ho  parlato,  »  tutti  i  pasticci  in  somma  di 
quel  colloquio.  Basti  dire  che  don  Abbondio  ordinò  a  Per- 
petua di  metter  la  stanga  all'uscio,  di  non  aprir  più  per 
nessuna  cagione,  e,  se  alcun  bussasse,  risponder  dalla  fine- 
stra che  il  curato  era  andato  a  letto  con  la  febbre.  Salì  poi 
lentamente  le  scale  dicendo,  ogni  tre  scalini,  «son  servi- 
to;» e  si  mise  davvero  a  letto,  dove  lo  lasceremo. 

Renzo  intanto  camminava  a  passi  infuriati  verso  casa, 
senza  aver  determinato  quel  che  dovesse  fare,  ma  con  una 
smania  addosso  di  far  qualcosa  di  strano  e  di  terribile.  I 
provocatori,  i  soverchiatori,  tutti  coloro  che.  in  qualunque 
modo,  fanno  torto  altrui,  sono  rei,  non  solo  del  male  che 
commettono ,  ma  del  pervertimento  ancora  a  cui  portano  gli 
animi  degli  offesi.  Renzo  era  un  giovine  pacifico^  e  alieno 
dal  sangue,  un  giovine  schietto  e  nemico  d'ogni  insidia: 
ma,  in  que'  momenti,  il  suo  cuore  non  batteva  che  per  V  o- 
micidio,  la  sua  mente  non  era  occupata  che  a  fantasticare 
un  tradimento.  Avrebbe  voluto  correre  alla  casa  di  don  Ro- 
drigo, afferrarlo  per  il  collo,  e  .  .  .  .  ma  gli  veniva  in  mente 
ch'era  come  una  fortezza,  guarnita  di  bravi  al  di  dentro,  e 
guardata  al  di  fuori  ;  che  i  soli  amici  e  servitori  ben  cono- 
sciuti v'  entravan  liberamente,  senza  esser  squadrati  da  capo 
a  piedi;  che  un  artigianello  sconosciuto  non  vi  potrebb"  en- 
trare senza  un  esame,  e  ch'egli  sopra  tutto  ....  egli  vi  sa- 
rebbe forse  troppo  conosciuto.  Si  figurava  allora  di  prendere 
il  suo  schioppo,  d'appiattarsi  dietro  una  siepe,  aspettando  se 
mai,  se  mai  colui  venisse  a  passar  solo;  e,  internandosi  con 
feroce  compiacenza,  in  quell'immaginazione,  si  figurava  di 
sentire  una  pedata,  quella  pedata,  d*  alzar  chetamente  la  te- 
sta; riconosceva  lo  scellerato,  spianava  lo  schioppo,  prendeva 
la  mira,  sparava,  lo  vedeva  cadere  e  dare  i  tratti,  gli  lan- 
ciava una  maledizione,  e  correva  sulla  strada  del  confine  a 
mettersi  in  salvo.  —  E  Lucia?  —  Appena  questa  parola  si 
fu  gettata  a  traverso  di  quelle  bieche  fantasie,  i  migliori 
pensieri  a  cui  era  avvezza  la  mente  di  Renzo,  v'entrarono 
in  folla.  Si  rammentò  degli  ultimi  ricordi  de'  suoi  parenti, 
si  rammentò  di  Dio,  della  Madonna  e  de' santi,  pensò  alla 
consolazione  che  aveva  tante  volte  provata  di  trovarsi  senza 
delitti ,  all'  orrore  che  aveva  tante  volte  provato  al  rac- 
conto d'un  omicidio:  e  si  risvegliò  da  quel  sogno  di  sangue. 
con  ispavento,  con  rimorso,  e  insieme  con  una  specie  di 
gioia  di  non  aver  fatto  altro  che  immaginare.  Ma  il  pensiero 
di  Lucia,  quanti  pensieri  tirava  seco!  Tante  speranze,  tante 
promesse,  un  avvenire  così  vagheggiato,  e  così  tenuto  sicuro, 
e  quel  giorno  così  sospirato!  E  come,  con  che  parole 
annunziarle  una  tal  nuova?  E  poi,  che  partito  prendere? 
Come  farla  sua,  a  dispetto  della  forza  di  quell'iniquo  potente? 


24  I    PROMESSI    SPOSI. 

e  insieme  a  tutto  questo,  non  un  sospetto  formato,  ma  un'  om- 
bra tormentosa  gli  passava  la  mente.  Quella  soverchieria  di 
don  Rodrigo  non  poteva  esser  mossa  che  da  una  brutale 
passione  per  Lucia.  E  Lucia?  Che  avesse  data  a  colui  la 
più  piccola  occasione,  la  più  leggiera  lusinga,  non  era  un 
pensiero  che  potesse  fermarsi  un  momento  nella  testa  di 
Renzo.  Ma  n'  era  informata?  Poteva  colui  aver  concepita 
queir  infame  passione  senza  che  lei  se  ir  avvedesse?  Avrebbe 
spinte  le  cose  tanto  in  là,  prima  d'averla  tentata  in  qualche 
modo?  E  Lucia  non  ne  aveva  mai  detta  una  parola  a  lui! 
al  suo  promesso! 

Dominato  da  questi  pensieri,  passò  davanti  a  casa  sua,  ch'era 
nel  mezzo  del  villaggio  e  attraversatolo ,  s'  avviò  a  quella 
di  Lucia,  ch'era  in  fondo,  anzi  un  po' fuori.  Aveva  quella 
casetta  un  piccolo  cortile  dinanzi,  che  la  separava  dalla  stra- 
da, ed  era  cinta  da  un  murettino.  Renzo  entrò  nel  cortile,  e 
sentì  un  misto  e  continuo  ronzìo  che  veniva  da  una  stanza 
di  sopra.  S'immaginò  che  sarebbero  amiche  e  comari,  ve- 
nute a  far  corteggio  a  Lucia:  e  non  si  volle  mostrare  a 
quel  mercato  con  quella  nuova  in  corpo  e  sul  volto.  Una 
fanciullata  che  si  trovava  nel  cortile,  gli  corse  incontro  gri- 
dando: do  sposo!  lo  sposo.' 

«  Zitta,  Bettina,  zitta!)  disse  Renzo.  «Yien  qua;  va  su 
da  Lucia,  tirala  in  disparte,  e  dille  all'orecchio  ....  ma  che 
nessun  senta,  né  sospetti  di  nulla,  ve'  ....  dille  che  ho  da 
parlarle,  che  1'  aspetto  nella  stanza  terrena,  e  che  venga  subito.» 
La  fanciulletta  salì  in  fretta  le  scale,  lieta  e  superba  d'  avere 
una  commission  segreta  da  eseguire. 

Lucia  usciva  in  quel  momento  tutta  attillata  dalle  mani 
della  madre.  Le  amiche  si  rubavano  la  sposa,  e  le  facevan 
forza  perchè  si  lasciasse  vedere;  e  lei  s'andava  schermendo, 
con  quella  modestia  un  po' guerriera  delle  contadine,  facen- 
dosi scudo  alla  faccia  col  gomito,  chinandola  sul  busto,  e 
aggrottando  i  lunghi  e  neri  sopraccigli,  mentre  però  la  bocca 
s:  apriva  al  sorriso.  I  neri  e  giovanili  capelli,  spartiti  sopra  la 
fronte,  con  una  bianca  e  sottile  dirizzatura,  si  ravvolgeva:], 
dietro  il  capo,  in  cerchi  moltiplici  di  trecce,  trapassate  da 
lunghi  spilli  d'argento,  che  si  dividevano  all'intorno,  quasi 
a  guisa  de' raggi  d' un' aureola,  come  ancora  usano  le  conta- 
dine nel  Milanese.  Intorno  al  collo  aveva  un  vezzo  di  gra- 
nati alternati  con  bottoni  d'oro  a  filigrana:  portava  un  bel 
busto  di  broccato  a  fiori,  con  le  maniche  separate  e  allacciate 
da  bei  nastri:  una  corta  gonnella  di  filaticcio  di  seta,  a  pie- 
ghe fitte  e  minute,  due  calze  vermiglie,  due  pianelle,  di  seta 
anch'esse,  a  ricami.  Oltre  a  questo,  ch'era  l'ornamento  par- 
ticolare del  giorno  delle  nozze.  Lucia  aveva  quello  quotidiano 
d'una  modesta  bellezza,   rilevata  allora  e    accresciuta    dalle 


CAPITOLO    II.  25 

varie  affezioni  che  le  si  dipingerai!  sul  viso:  una  gioia  tem- 
perata da  un  turbamento  leggiero,  quel  placido  accoramento 
che  si  mostra  di  quand'  in  quando  sul  volto  delle  spose,  e 
senza  scompor  la  bellezza,  le  dà  un  carattere  particolare. 
La  piccola  Bettina  si  cacciò  nel  crocchio,  s'accostò  a  Lucia, 
le  fece  intendere  accortamente  che  aveva  qualcosa  da  comu- 
nicarle, e  le  disse  la  sua  parolina  all'  orecchio. 

«Vo  un  momento,  e  torno,»  disse  Lucia  alle  donne;  e 
scese  in  fretta.  Al  veder  la  faccia  mutata,  e  il  portamento 
inquieto  di  Renzo,  «cosa  c'è?»  disse,  non  senza  un  presen- 
timento di  terrore. 

(Lucia!»  rispose  Renzo,  «per  oggi  tutto  è  a  monte;  e  Dio 
sa  quando  potremo  esser  marito  e  moglie.» 

«Che?»  disse  Lucia  tutta  smarrita.  Renzo  le  raccontò 
brevemente  la  storia  di  quella  mattina:  ella  ascoltava  con 
angoscia;  e  quando  udì  il  nome  di  don  Rodrigo,  «ah!» 
sclamò,  arrossendo  e  tremando,  «fino  a  questo  segno!» 

«Dunque  voi  sapevate  ....?»  disse  Renzo. 

«Pur  troppo!»  rispose  Lucia;  «ma  a  questo  segno!» 

«Che  cosa  sapevate?» 

«Non  mi  fate  ora  parlare,  non  mi  fate  piangere.  Corro 
a  chiamar  mia  madre,  e  a  licenziar  le  donne:  bisogna  che 
siam  soli.» 

Mentre  ella  partiva,  Renzo  susurrò:  «non  m'avete  mai 
detto  niente.» 

«Ah,  Renzo!»  rispose  Lucia,  rivolgendosi  un  momento, 
senza  fermarsi.  Renzo  intese  benissimo  che  il  suo  nome  pro- 
nunziato in  quel  momento,  con  quel  tono,  da  Lucia,  vo- 
leva dire  :  potete  voi  dubitare  eh'  io  abbia  taciuto  se  non  per 
motivi  giusti  e  puri? 

Intanto  la  buona  Agnese  (cosi  si  chiamava  la  madre  di 
Lucia),  messa  in  sospetto  e  in  curiosità  dalla  parolina  all'o- 
recchio, e  dallo  sparir  della  figlia,  era  discesa  a  veder  cosa 
c'era  di  nuovo.  La  figlia  la  lasciò  con  Renzo,  tornò  alle 
donne  radunate,  e,  accomodando  l'aspetto  e  la  voce,  come 
potè  meglio,  disse:  «il  signor  curato  è  ammalato;  e  oggi 
non  si  fa  nulla.»  Ciò  detto,  le  salutò  tutte  in  fretta,  e  scese 
di  nuovo. 

Le  donne  sfilarono,  e  si  sparsero  a  raccontar  l'accaduto. 
Due  o  tre  andaron  fino  all'uscio  del  curato,  per  verificar  se 
era  ammalato  davvero. 

«Un  febbrone,»  rispose  Perpetua  dalla  finestra;  e  la  tri- 
sta parola,  riportata  all'altre,  troncò  le  congetture  che  già 
cominciavano  a  brulicar  ne'  loro  cervelli,  e  ad  annunziarsi 
tronche  e  misteriose  ne'  loro  discorsi. 


20  I    PROMESSI    SPOSI. 


CAPITOLO  III. 

Lucia  entrò  nella  stanza  terrena,  mentre  Renzo  stava 
angosciosamente  informando  Agnese,  la  quale  angosciosa- 
mente ascoltava.  Tutt'  e  due  si  volsero  a  chi  ne  sapeva 
più  di  loro,  e  da  cui  aspettavano  uno  schiarimento,  il  quale 
non  poteva  essere  che  doloroso:  tutt' e  due,  lasciando  tra- 
vedere, in  mezzo  al  dolore,  e  con  1'  amore  diverso,  che  ognun 
d'  essi  portava  a  Lucia,  un  cruccio  pur  diverso  perchè  avesse 
taciuto  loro  qualche  cosa,  e  una  tal  cosa.  Agnese,  benché 
ansiosa  di  sentir  parlare  la  figlia,  non  potè  tenersi  di  non 
farle  un  rimprovero.  «  A  tua  madre  non  dir  niente  d'  una 
cosa  simile!» 

«Ora  vi  dirò  tutto,»  rispose  Lucia,  asciugandosi  gli  oc- 
chi col  grembiule 

«Parla,  parla!  —  Parlate,  parlate !>  gridarono  a  un  tratto 
la  madre  e  lo  sposo. 

«Santissima  Vergine!»  esclamò  Lucia:  «chi  avrebbe  cre- 
duto che  le  cose  potessero  arrivare  a  questo  segno  !  »  E,  con 
voce  rotta  dal  pianto,  raccontò  come,  pochi  giorni  prima, 
mentre  tornava  dalla  filanda,  ed  era  rimasta  indietro  dalle 
sue  compagne,  le  era  passato  innanzi  don  Rodrigo,  in  com- 
pagnia d'un  altro  signore;  che  il  primo  aveva  cercato  di  trat- 
tenerla con  chiacchiere,  com' ella  diceva,  non  punto  belle; 
ma  essa  senza  dargli  retta,  aveva  affrettato  il  passo,  e  rag- 
giunte le  compagne  ;  e  intanto  aveva  sentito  queir  altro  signore 
rider  forte,  e  don  Rodrigo  dire:  scommettiamo.  Il  giorno  do- 
po, coloro  s'  eran  trovati  ancora  sulla  strada;  ma  Lucia  era 
nel  mezzo  delle  compagne,  con  gli  occhi  bassi;  e  l'altro  si- 
gnore sghignazzava,  e  don  Rodrigo  diceva:  vedremo,  ve- 
dremo. « Per  grazia  del  cielo,»  continuò  Lucia,  «quel  giorno 
era  l'ultimo  della  filanda.     Io  raccontai  subito  .  .  .  .» 

«A  chi  hai  raccontato?»  domandò  Agnese,  andando  in- 
contro, non  senza  un  po' di  sdegno,  al  nome  del  confidente 
preferito. 

«Al  padre  Cristoforo,  in  confessione,  mamma,'!  rispose 
Lucia,  con  un  accento  soave  di  scusa.  «Gli  raccontai  tutto 
1'  ultima  volta  che  siamo  andate  insieme  alla  chiesa  del  con- 
vento; e,  se  vi  ricordate,  quella  mattina,  io  andava  mettendo 
mano  ora  a  una  cosa,  ora  a  un'altra,  per  indugiare,  tanto 
che  passasse  altra  gente  del  paese  avviata  a  quella  volta,  e 
far  la  strada  in  compagnia  con  loro;  perchè,  dopo  quell'in- 
contro, le  strade  mi  facevan  tanta  paura  .  .  .  .» 

Al  nome  riverito  del  padre  Cristoforo,  lo  sdegno  d'  Agnese 
si  raddolcì.  «Hai  fatto  bene,»  disse,  una  perchè  non  rac- 
contar tutto  anche  a  tua  madre?» 


CAPITOLO    III.  27 

Lucia  aveva  avute  due  buone  ragioni:  l'una,  di  non  con- 
tristare né  spaventare  la  buona  donna,  per  cosa  alla  quale 
essa  non  avrebbe  potuto  trovar  rimedio  ;  1'  altra ,  di  non  met- 
ter a  rischio  di  viaggiar  per  molte  bocche  una  storia  che 
voleva  esser  gelosamente  sepolta:  tanto  più  che  Lucia  spe- 
rava che  le  sue  nozze  avrebber  troncata,  sul  principiare,  quel- 
1' abbominata  persecuzione.  Di  queste  due  ragioni  però,  non 
allegò  che  la  prima. 

«E  a  voi,»  disse  poi  rivolgendosi  a  Renzo,  con  quella 
voce  che  vuol  far  riconoscere  a  un  amico  che  ha  avuto 
torto:  «e  a  voi  doveva  io  parlar  di  questo?  Pur  troppo  lo 
sapete  ora!» 

«E  che  t'ha  detto  il  padre?»  domandò  Agnese. 

<  M"  ha  detto  che  cercassi  d'  affrettar  le  nozze  il  più  che 
potessi,  e  intanto  stessi  rinchiusa;  che  pregassi  bene  il  Si- 
gnore; e  che  sperava  che  colui,  non  vedendomi,  non  si  cu- 
rerebbe più  di  me.  E  fu  allora  che  mi  sforzai,»  proseguì, 
rivolgendosi  di  nuovo  a  Renzo,  senza  alzargli  però  gli  occhi 
in  viso,  e  arrossendo  tutta,  «fu  allora  che  feci  la  sfacciata, 
e  che  vi  pregai  io  che  procuraste  di  far  presto,  e  di  con- 
cludere prima  del  tempo  che  s'era  stabilito.  Chi  sa  cosa  avrete 
pensato  di  me!  Ma  io  facevo  per  bene,  ed  ero  stata  consi- 
gliata, e  tenevo  per  certo  ....  e  questa  mattina,  ero  tanto 
lontana  da  pensare  .  .  .  .»  Qui  le  parole  furon  troncate  da 
un  violento  scoppio  di  pianto. 

«Ah  birbone!  ah  dannato!  ah  assassino!»  gridava  Renzo, 
correndo  innanzi  e  indietro  per  la  stanza,  e  stringendo  di 
tanto  in  tanto  il  manico  del  suo  coltello. 

«Oh  che  imbroglio,  per  amor  di  Dio!»  esclamava  Agnese. 
Il  giovine  si  fermò  d' improvviso  davanti  a  Lucia  che  piange- 
va; la  guardò  con  un  atto  di  tenerezza  mesta  e  rabbiosa,  e 
disse:  «questa  è  l'ultima  che  fa  queir  assassino.» 

«Ah!  no,  Renzo,  per  amor  del  cielo!»  gridò  Lucia.  «No, 
no,  per  amor  del  cielo!  Il  Signore  c'è  anche  per  i  poveri, 
e  come  volete  che  ci  aiuti,  se  facciam  del  male?» 

«No,  no,  per  amor  del  cielo!»  ripeteva  Agnese. 

«Renzo»,  disse  Lucia,  con  un'  aria  di  speranza  e  di  ri- 
soluzione più  tranquilla:  «voi  avete  un  mestiere  e  io  so  la- 
vorare: andiamo  tanto  lontano,  che  colui  non  senta  più  par- 
lar di  noi.» 

«Ah  Lucia!  e  poi?  Non  siamo  ancora  marito  e  moglie! 
Il  curato  vorrà  farci  la  fede  di  stato  libero?  Un  uomo  come 
quello?     Se  fossimo  maritati,  oh  allora  ....!» 

Lucia  si  rimise  a  piangere:  e  tutt'  e  tre  rimasero  in  si- 
lenzio, e  in  un  abbattimento  che  faceva  un  tristo  contrapposto 
alla  pompa  festiva  de'  loro  abiti. 

«Sentite,  figliuoli;  date   retta  a  me,»   disse  dopo  qualche 


28  I    PROMESSI   SPOSI. 

momento  Agnese.  «Io  son  venuta  al  mondo  prima  di  voi; 
e  il  mondo  lo  conosco  un  poco.  Non  bisogna  poi  spaven- 
tarsi tanto:  il  diavolo  non  è  brutto  quanto  si  dipinge.  A  noi 
poverelli  le  matasse  paion  più  imbrogliate,  perchè  non  sap- 
piam  trovarne  il  bandolo:  ma  alle  volte  un  parere,  una  paro- 
lina d' un  uomo  che  abbia  studiato  ....  so  ben  io  quel  che 
voglio  dire.  Fate  a  mio  modo,  Renzo;  andate  a  Lecco;  cer- 
cate del  dottor  Azzecca -garbugli,  raccontategli  ....  Ma  non 
lo  chiamate  così,  per  amor  del  cielo:  è  un  soprannome.  Biso- 
gna dire  il  signor  dottor  ....  Come  si  chiama  ora?  Oh  to'  ì 
nonio  so  il  nome  vero:  lo  chiaman  tutti  a  quel  modo.  Basta, 
cercate  di  quel  dottore  alto,  asciutto,  pelato,  col  naso  rosso, 
e  una  voglia  di  lampone  sulla  guancia.» 

«Lo  conosco  di  vista,»  disse  Renzo. 

«Bene,»  continuò  Agnese:  «quello  è  una  cima  d'uomo! 
Ho  visto  io  più  d'  uno  eh'  era  più  impicciato  che  un  pulcin 
nella  stoppa,  e  non  sapeva  dove  batter  la  testa,  e,  dopo  es- 
sere stato  un'ora  a  quattr'occhi  col  dottor  Azzecca- garbugli, 
(badate  bene  di  non  chiamarlo  così!)  l'ho  visto,  dico,  rider- 
sene. Pigliate  quei  quattro  capponi,  poveretti!  a  cui  dovevo 
tirare  il  collo,  per  il  banchetto  di  domenica,  e  portateglieli; 
perchè  non  bisogna  mai  andar  con  le  mani  vuote  da  que'  si- 
gnori. Raccontategli  tutto  V  accaduto  ;  e  vedrete  che  vi  dirà, 
su  due  piedi,  di  quelle  cose  che  a  noi  non  verrebbero  in  te- 
sta, a  pensarci  un  anno.» 

Renzo  abbracciò  molto  volentieri  questo  parere;  Lucia  1'  ap- 
provò; e  Agnese,  superba  d'averlo  dato,  levò  a  una  a  una, 
le  povere  bestie  dalla  stia,  riunì  le  loro  otto  gambe,  come 
se  facesse  un  mazzetto  di  fiori,  le  avvolse  e  le  strinse  con 
uno  spago,  e  le  consegnò  in  mano  a  Renzo:  il  quale,  date 
e  ricevute  parole  di  speranza,  uscì  dalla  parte  dell'orto,  per 
non  esser  veduto  da' ragazzi,  che  gli  correrebber  dietro,  gri- 
dando: lo  sposo!  lo  sposo!  Così  attraversando  i  campi,  o, 
come  dicon  colà,  i  luoghi,  se  n'andò  per  viottole,  fremendo, 
ripensando  alla  sua  disgrazia ,  e  ruminando  il  discorso  da 
fare  al  dottor  Azzecca -garbugli.  Lascio  poi  pensare  al  lettore, 
come  dovessero  stare  in  viaggio  quelle  povere  bestie,  così 
legate  e  tenute  per  le  zampe,  a  capo  all' ingiù,  nella  mano 
d'un  uomo  il  quale,  agitato  da  tante  passioni,  accompagnava 
col  gesto  i  pensieri  che  gli  passavan  a  tumulto  per  la  mente. 
Ora  stendeva  il  braccio  per  collera,  ora  l'alzava  per  dispe- 
razione, ora  lo  dibatteva  in  aria  come  per  minaccia,  e,  in 
tutti  i  modi,  dava  loro  di  fiere  scosse,  e  faceva  balzare  quelle 
quattro  teste  spenzolate;  le  quali  intanto  s' ingegnavano  a  bec- 
carsi l'una  con  l'altra,  come  accade  troppo  sovente  tra  com- 
pagni di  sventura. 

Giunto  al  borgo,  domandò  dell'abitazione  del  dottore;  gli 


CAPITOLO    IH.  29 

fu  indicata,  e  v'andò.  All'entrare  si  sentì  preso  da  quella 
suggezione  che  i  poverelli  illetterati  provano  in  vicinanza  d'  un 
signore  e  d'  un  dotto,  e  dimenticò  tutti  i  discorsi  che  aveva 
preparati:  ma  diede  un'occhiata  ai  capponi,  e  si  rincorò.  En- 
trato in  cucina,  domandò  alla  serva  se  si  poteva  parlare  al 
signor  dottore.  Adocchiò  essa  le  bestie,  e,  come  avvezza  a 
somiglianti  doni,  mise  loro  le  mani  addosso,  quantunque  Ren- 
zo andasse  tirando  indietro,  perchè  voleva  che  il  dottore  ve- 
desse e  sapesse  che  egli  portava  qualche  cosa.  Capitò  appun- 
to mentre  la  donna  diceva:  -date  qui,  e  andate  innanzi..) 
Renzo  fece  un  grande  inchino  :  il  dottore  P  accolse  umana- 
mente, con  un  venite,  figliuolo,"  e  lo  fece  entrar  con  sé 
nello  studio.  Era  questo  uno  stanzone,  su  tre  pareti  del 
quale  eran  distribuiti  i  ritratti  de' dodici  Cesari;  la  quarta, 
coperta  da  un  grande  scaffale  di  libri  vecchi  e  polverosi:  nel 
mezzo  una  tavola  gremita  d'allegazioni,  di  suppliche,  di  li- 
belli, di  gride,  con  tre  o  quattro  seggiole  ali"  intorno,  e  da 
una  parte  un  seggiolone  a  braccioli,  con  una  spalliera  alta  e 
quadrata,  terminata  agli  angoli  da  due  ornamenti  di  legno, 
che  s'alzavano  a  foggia  di  corna,  coperta  di  vacchetta,  con 
grosse  borchie,  alcune  delle  quali,  cadute  da  gran  tempo,  la- 
sciavano in  liberta  gli  angoli  della  copertura,  che  s'accartoc- 
ciava qua  e  là.  Il  dottore  era  in  veste  da  camera,  cioè  co- 
perto d'una  toga  ormai  consunta,  che  gli  aveva  servito,  niol- 
t' anni  addietro,  per  perorare,  nei  giorni  d'apparato,  quando 
andava  a  Milano,  per  qualche  causa  d!  importanza.  Chiuse 
l'uscio,  e  fece  animo  al  giovine,  con  queste  parole:  -'figliuolo, 
ditemi  il  vostro  caso.» 

■  Vorrei  dirle  una  parola  in  confidenza.» 

cSon  qui.»  rispose  il  dottore;  «parlate.»  E  s'accomo- 
dò sul  seggiolone.  Renzo,  ritto  davanti  alla  tavola,  con  una 
mano  nel  cocuzzolo  del  capello,  che  faceva  girar  con  l'altra, 
ricominciò:  «vorrei  sapere  da  lei  che  ha  studiato  .  .  .  .» 

«Ditemi  il  fatto  come  sta,"  interruppe  il  dottore. 

cLei  m'ha  da  scusare:  noi  altri  poveri  non  sappiamo 
parlar  bene.     Vorrei  dunque  sapere  .  .  .  .» 

«Benedetta  gente!  siete  tutti  così:  in  vece  di  raccontar 
il  fatto,  volete  interrogare,  perchè  avete  già  i  vostri  disegni 
in  testa.» 

-  Mi  scusi,  signor  dottore.  Vorrei  sapere  se,  a  minacciare 
un  curato,  perchè  non  faccia  un  matrimonio,  e'  è  penale. 

—  Ho  capito,  —  diss-3  tra  sé  il  dottore,  che  in  verità  non 
aveva  capito.  —  Ho  capito  —  E  subito  si  fece  serio,  ma 
d'una  serietà  mista  di  compassione  e  di  premura;  strinse  for- 
temente le  labbra,  facendone  uscire  un  suono  inarticolato 
che  accennava  un  sentimento,  espresso  poi  più  chiara 
nelle  sue  prime  parole.     (Caso  serio,   figliuolo;   caso  contem- 


30  1   PROMESSI    SPOSI. 

piato.  Avete  fatto  bene  a  venir  da  me.  È  un  caso  chiaro, 
contemplato  in  cento  gride,  e  .  .  .  .  appunto  in  una  dell'anno 
scorso ,  deir  attuale  signor  governatore.  Ora  vi  fo  vedere ,  e 
toccar  con  mano.» 

Così  dicendo,  s'alzò  dal  suo  seggiolone,  e  cacciò  le  mani 
in  quel  caos  di  carte,  rimescolandole  dal  sotto  in  su,  come 
se  mettesse  grano  in  uno  staio. 

«Dov'è  ora?  Vien  fuori,  vien  fuori.  Bisogna  aver  tante 
cose  alle  mani!  Ma  la  dev'essere  qui  sicuro,  perchè  è  una 
grida  d'importanza.  Ah!  ecco,  ecco.»  La  prese,  la  spiegò, 
guardò  alla  data,  e,  fatto  un  viso  ancor  più  serio,  esclamò: 
«il  15  d'ottobre  1627!  Sicuro;  è  dell'anno  passato;  grida 
fresca;  son  quelle  che  fanno  più  paura.  Sapete  leggere,  fi- 
gliuolo?» 

«Un  pochino,  signor  dottore.» 

«Bene,  venitemi  dietro  con  l'occhio,  e  vedrete.» 

E,  tenendo  la  grida  sciorinata  in  aria,  cominciò  a  leggere, 
borbottando  a  precipizio  in  alcuni  passi  e  fermandosi  distin- 
tamente, con  grand' espressione,  sopra  alcuni  altri,  secondo 
il  bisogno: 

ytaSe  bene,  per  la  grida  pubblicata  d'ordine  dei  signor 
Duca  di  Feria  ai  14  di  dicembre  1620,  et  confirmata  dal- 
l' Illustrisi .  et  Eccellenti  ss.  Signore  il  Signor  Gonzalo  Fer- 
nandez  de  Cordova,  eccetera,  fu  con  rimedii  straordinarii 
e  rigorosi  provvisto  alle  oppressioni,  concussioni  ed  atti  ti- 
rannici che  alcuni  ardiscono  di  commettere  contro,  questi 
Vassalli  tanto  dicoti  di  S.  M.,  ad  ogni  modo  la  frequenza 
degli  eccessi,  e  la  malitia,  eccetera,  e  cresciuta  a  segno,  che 
ha  posto  in  necessità  V  Eccell.  Sua,  eccetera.  Onde  col 
parere  del  Senato  et  di  una  Giunta,  eccetera,  ha  risoluto 
che  si  pubblichi  la  presente. 

«E  cominciando  dagli  atti  tirannici,  mostrando  V  espe- 
rienza che  molti,  così  nelle  Gitici,  come  nelle  Ville  ....  sen- 
tite? di  questo  Stato,  con  tirannide  esercitano  concussioni 
et  opprimono  i  più  deboli  in  varii  modi,  come  in  operare 
che  si  facciano  contratti  violenti  di  compre,  d1  affitti  .... 
eccetera:  dove  sei?  ah!  ecco:  sentite:  che  seguano  o  non  se- 
guano matrimonii.    Eh?» 

«È  il  mio  caso,»  disse  Renzo. 

«Sentite,  sentite,  c'è  ben  altro;  e  poi  vedremo  la  pena. 
Si  testifichi,  o  non  si  testifichi,  che  uno  si  parta  dal  luogo 
dove  abita,  eccetera;  che  quello  paghi  un  debito;  quelV  al- 
tro non  lo  molesti,  quello  vada  ed  suo  molino:  tutto  questo 
non  ha  che  far  con  noi.  Ah  ci  siamo  :  quel  prete  non  faccia 
quello  che  è  obbligato  per  V  uficio  suo,  o  faccia  cose  che  non 
gli  toccano.     Eli? 

(■Pare  che  abbian  fatta  la  grida  apposta  per  me.» 


CAPITOLO   III.  31 

«Eh?  non  è  vero?  sentite,  sentite:  et  altre  simili  violenze, 
quali  seguono  da  feudatari! ,  nobili,  mediocri,  vili,  e  plebei. 
Non  se  ne  scappa;  ci  son  tutti:  è  come  la  valle  di  Giosafat. 
Sentite  ora  la  pena.  Tutte  queste  et  altre  simili  male  attio- 
ni,  benché  siano  proibite,  nondimeno,  convenendo  metter  ma- 
no a  maggiore  rigore,  S.  E.,  per  la  presente,  non  derogan- 
do,  eccetera,  ordina  e  comanda  che  contro-  li  contravven- 
tori in  qualsivoglia  dei  suddetti  capi,  o  altro  simile,  si 
proceda  da  tutti  li  giudici  ordinarti  di  questo  Stato  a  pe- 
na pecuniaria  e  corporale,  ancora  di  relegatione  o  di  ga- 
lera, e  fino  alla  morte  ....  una  piccola  bagattella!  alV  arbi- 
trio dell1  Eccellenza  Sua,  o  del  Senato,  secondo  la  qualità 
dei  casi,  persone  e  circostanze.  E  questo  ir-re-mis-si-bil- 
men-te  e  con  ogni  rigore,  eccetera.  Ce  n' è  della  roba,  eh? 
E  vedete  qui  le  sottoscrizioni:  Gonzalo  Fernandez  de  Cor- 
dova; e  più  in  giù:  Platonus;  e  qui  ancora:  Vidit  Ferver: 
non  ci  manca  niente.»  /\ 

Mentre  il  dottore  leggeva,  Renzo  gli  andava  dietro  len- 
tamente con  l'occhio,  cercando  di  cavar  il  costrutto  chiaro, 
o  di  mirar  proprio,  quelle  sacrosante  parole,  che  gli  pare- 
vano dover  essere  il  suo  aiuto.  Il  dottore,  vedendo  il  nuovo 
cliente  più  attento  che  atterrito,  ei  maravigliava.  —  Che  sia 
matricolato  costui,  —  pensava  tra  sé:  «Ah!  Ah!»  gli  disse 
poi:  «vi  siete  però  fatto  tagliare  il  ciuffo.  Avete  avuto  pru- 
denza: però,  volendo  mettervi  nelle  mie  mani,  non  faceva 
bisogno.  Il  caso  è  serio;  ma  voi  non  sapete  quel  che  mi 
basti  l'animo  di  fare,  in  un'occasione.» 

Per  intender  quest'uscita  del  dottore,  bisogna  sapere,  o 
rammentarsi  che,  a  quel  tempo,  i  bravi  di  mestiere,  e  i  fa- 
cinorosi d'ogni  genere,  usavan  portarsi  un  lungo  ciuffo,  che 
si  tiravan  poi  sul  volto,  come  una  visiera,  all'  atto  d'  affrontar 
qualcheduno,  ne' casi  in  cui  stimasser  necessario  di  travisar- 
si, e  l'impresa  fosse  di  quelle,  che  richiedevan  nello  stesso 
tempo  forza  e  prudenza.  Le  gride  non  erano  state  in  silen- 
zio su  questa  moda.  Comanda  sua  Eccellenza  (il  marchese 
de  la  Hynoiosa)  che  chi  porterà  i  capelli  di  tal  lunghezza 
che  coprano  il  fronte  fino  olii  cigli  esclusivamente,  ovvero 
porterà  la  trezza,  o  avanti  o  dopo  le  orecchie,  incorra  la 
pena  di  trecento  scudi;  et  in  caso  d'  instabilità,  di  tre  anni 
di  galera,  per  la  prima  volta,  e  per  la  seconda,  oltre  la  sud- 
detta, maggiore  ancora,  pecuniaria  et  corporale,  alV  arbitrio 
di  Sua  Eccellenza. 

Permette  però  che,  per  occasione  di  trovarsi  alcuno  cal- 
vo, o  per  altra  ragionevole  causa  di  segnale  o  ferita,  pos- 
sano quelli  tali,  per  maggior  decoro  e  sanità  loro,  portare 
i  capelli  tanto  lunghi,  quanto  sia  bisogno  per  coprire  ci- 
mili mancamenti  e  niente  di  più;  avvertendo  bene  a  non  ce- 


32  I    PEOMESSI    SPOSI. 

cedere  il  dovere  e  pura  necessito.,  per  (non)  incorrere  nella 
pena  agli  altri  contraffaci  enti  imposta. 

E  parimente  comanda  a'  barbieri,  sotto  pena  di  cento 
scudi  o  di  tre  tratti  di  corda  da  esser  dati  loro  in  pubblico, 
et  maggiore  anco  corporale,  all'  arbitrio  come  sopra,  che 
non  lascino  a  quelli  che  toseranno,  sorte  alcuna  di  dette 
trezze,  zuffi ,  rizzi,  ne  capelli  più  lunghi  dell  ordinario,  così 
nella  fronte  come  dalle  bande,  e  dopo  le  orecchie,  ma  che 
siano  tutti  uguali,  come  sopra,  salvo  nei  casi  dei  calvi,  o 
altri  difettosi,  come  si  e  detto.  Il  ciuffo  era  dunque  quasi  una 
parte  dell'armatura,  e  un  distintivo  de' bravacci  e  degli  sca- 
pestrati: i  quali  poi  da  ciò  vennero  comunemente  chiamati 
ciuffi.  Questo  termine  è  rimasto  e  vive  tuttavia,  con  signifi- 
cazione più  mitigata,  nel  dialetto:  e  non  ci  sarà  forse  nes- 
suno de'  nostri  lettori  milanesi ,  che  non  si  rammenti  d'  aver 
sentito,  nella  sua  fanciullezza,  o  i  parenti  o  il  maestro,  o 
qualche  amico  di  casa,  o  qualche  persona  di  servizio,  dir  di 
lui  :  è  un  ciuffo,  è  un  ciuffetto. 

uln  verità,  da  povero  figliuolo,»  rispose  Renzo,  ciò  non 
ho  mai  portato  ciuffo  in  vita  mia.» 

«Non  facciam  niente.»  rispose  il  dottore  scotendo  il  capo, 
con  un  sorriso,  tra  malizioso  e  impaziente.  «Se  non  avete 
fede  in  me,  non  facciam  niente.  Chi  dice  le  bugie  al  dot- 
tore, vedete  figliuolo,  è  uno  sciocco  che  dirà  la  verità  al  giu- 
dice. All'  avvocato  bisogna  raccontar  le  cose  chiare:  a  noi 
tocca  poi  a  imbrogliarle.  Se  volete  eh'  io  v*  aiuti ,  bisogna 
dirmi  tutto,  dall' a  fino  alla  zetta,  col  cuore  in  mano,  come 
al  confessore.  Dovete  nominarmi  la  persona  da  cui  avete  avu- 
to il  mandato,  sarà  naturalmente  persona  di  riguardo;  e 
in  questo  caso,  io  anderò  da  lui  a  fare  un  atto  di  dovere. 
Kon  gli  dirò,  vedete,  ch'io  sappia  da  voi  che  v'ha  mandato 
lui:  fidatevi.  Gli  dirò  che  vengo  ad  implorar  la  sua  prote- 
zione, per  un  povero  giovine  calunniato.  E  con  lui  prenderò 
i  concerti  opportuni,  per  finir  1'  affare  lodevolmente.  Capite 
bene  che,  salvando  sé,  salverà  anche  voi.  Se  poi  la  scappa- 
ta fosse  tutta  vostra,  via,  non  mi  ritiro:  ho  cavato  altri  da 
peggio  imbrogli  ....  Purché  non  abbiate  offeso  persona  di 
riguardo ,  intendiamoci ,  m' impegno  a  togliervi  d' impiccio  : 
con  un  po'  di  spesa,  intendiamoci.  Dovete  dirmi  chi  sia 
l'offeso,  come  si  dice:  e,  secondo  la  condizione,  la  qualità  e 
l'umore  dell'amico,  si  vedrà  se  convenga  più  di  tenerlo  a 
segno  con  le  protezioni,  o  trovar  qualche  modo  d'attaccarlo 
noi  in  criminale,  e  mettergli  una  pulce  nell'orecchio;  perchè, 
vedete,  a  saper  ben  maneggiare  le  gride,  nessuno  è  reo,  e 
nessuno  è  innocente.  In  quanto  al  curato,  se  è  persona  di 
giudizio,  se  ne  starà  zitto;  se  fosse  una  testolina,  c'è  rimedio 
anche  per  quelle.    D'  ogni  intrigo  si  può  uscire,    ma  ci  vuole 


CAPITOLO    III,  33 

un  uomo:  e  il  vostro  caso  è  serio;  serio,  vi  dico,  serio;  la 
grida  canta  chiaro;  e  se  la  cosa  si  deve  decider  tra  la  giu- 
stizia e  voi,  così  a  quatti-'  occhi,  state  fresco.  Io  vi  parlo  da 
amico:  le  scappate  bisogna  pagarle:  se  volete  passarvela  li- 
scia, danari  e  sincerità,  ridarvi  di  chi  vi  vuol  bene,  ubbidire, 
far  tutto  quello  che  vi  sarà  suggerito.  » 

Mentre  il  dottore  mandava  fuori  tutte  queste  parole,  Renzo 
lo  stava  guardando  con  un'  attenzione  estatica,  come  un  ma- 
terialone  sta  sulla  piazza  guardando  al  giocator  di  bussolotti 
che,  dopo  essersi  cacciata  in  bocca  stoppa  e  stoppa  e  stoppa, 
ne  cava  nastro  e  nastro  e  nastro,  che  non  finisce  mai.  Quan- 
d'ebbe però  capito  bene  cosa  il  dottore  volesse  dire,  e  quale 
equivoco  avesse  preso,  gli  troncò  il  nastro  in  bocca  dicendo: 
«oh!  signor  dottore,  come  l'ha  intesa?  l'è  proprio  tutta  al 
rovescio.  Io  non  ho  minacciato  nessuno;  io  non  fo  di  queste 
cose,  io:  e  domandi  pure  a  tutto  il  mio  comune,  che  sentirà 
che  non  ho  mai  avuto  che  fare  colla  giustizia.  La  briccone- 
ria l'hanno  fatta  a  me;  e  vengo  da  lei  per  sapere  come  ho 
da  fare  per  ottener  giustizia;  e  son  ben  contento  d'aver  visto 
quella  grida.» 

«Diavolo!»  esclamò  il  dottore,  spalancando  gli  occhi: 
«Che  pasticci  mi  fate?  Tant'è;  siete  tutti  così:  possibile 
che  non  sappiate  dirle  chiare  le  cose?» 

«Ma  mi  scusi;  lei  non  m'  ha  dato  tempo:  ora  le  raccon- 
terò la  cosa,  coni'  è.  Sappia  dunque  eh'  io  dovevo  sposare 
oggi,»  e  qui  la  voce  di  Renzo  si  commosse,  «dovevo  sposare 
oggi  una  giovine,  alla  quale  discorrevo  fin  da  quest'  estate;  e 
oggi,  come  le  dico,  era  il  giorno  stabilito  col  signor  curato,  e 
s'  era  disposto  ogni  cosa.  Ecco  che  il  signor  curato  comincia 
a  cavar  fuori  certe  scuse....  basta,  per  non  tediarla,  io  l'ho 
fatto  parlar  chiaro,  com'era  giusto;  e  lui  m'ha  confessato  che 
gli  era  stato  proibito,  pena  la  vita,  di  far  questo  matrimonio. 
Quel  prepotente  di  don  Rodrigo  . .  . .» 

«Eh  via!»  interruppe  subito  il  dottore,  aggrottando  le  ci- 
glia, aggrinzando  il  naso  rosso,  e  storcendo  la  bocca.  «Eh 
via!  Che  mi  venite  a  rompere  il  capo  con  queste  fandonie? 
Fate  di  questi  discorsi  tra  voi  altri,  che  non  sapete  misurar 
le  parole;  e  non  venite  a  farli  con  un  galantuomo  che  sa 
quanto  valgono.  Andate,  andate;  non  sapete  quel  che  vi  dite: 
io  non  m'impiccio  con  ragazzi;  non  voglio  sentir  discorsi  di 
questa  sorte,  discorsi  in  aria.» 

«Le  giuro  ...  .» 

«Andate,  vi  dico:  che  volete  ch'io  faccia  de' vostri  giu- 
ramenti? Io  non  e'  entro:  me  ne  lavo  le  mani.»  E  se  le 
andava  stropicciando,  come  se  le  lavasse  davvero.  «Impa- 
rate a  parlare;  non  si  viene  a  sorprendere  così  un  galan- 
tuomo.» 

Manzoni.  3 


34  1    PROMESSI    SPOSI. 

<'Ma  senta,  ma  senta,»  ripeteva  indarno  Renzo:  il  dottore 
sempre  gridando,  lo  spingeva  con  le  mani  verso  l'uscio;  e, 
quando  l'ebbe  cacciato,  aprì,  chiamò  la  serva,  e  le  disse: 
«restituite  subito  a  quest'uomo  quello  che  ha  portato:  io  non 
voglio  niente,  non  voglio  niente.» 

Quella  donna  non  aveva  mai,  in  tutto  il  tempo  eh'  era 
stata  in  quella  casa,  eseguito  un  ordine  simile:  ma  era  stato 
proferito  con  una  tale  risoluzione,  che  non  esitò  a  ubbidire. 
Prese  le  quattro  povere  bestie,  e  le  diede  a  Renzo,  con  una 
occhiata  di  compassione  sprezzante,  che  pareva  volesse  dire: 
bisogna  che  tu  1'  abbia  fatta  bella.  Renzo  voleva  far  cerimo- 
nie; ma  il  dottore  fu  inespugnabile;  e  il  giovine,  più  attonito 
e  più  stizzito  che  mai,  dovette  riprendersi  le  vittime  rifiutate, 
e  tornar  al  paese  a  raccontar  alle  donne  il  bel  costrutto  della 
sua  spedizione. 

Le  donne  nella  sua  assenza,  dopo  essersi  tristamente  le- 
vate il  vestito  delle  feste  e  messo  quello  del  giorno  di  lavoro, 
si  misero  a  consultar  di  nuovo,  Lucia  singhiozzando  e  Agnese 
sospirando.  Quando  questa  ebbe  ben  parlato  de'  grandi  effetti 
che  si  dovevano  sperare  dai  consigli  del  dottore,  Lucia  disse 
che  bisognava  veder  d'  aiutarsi  in  tutte  le  maniere;  che  il 
padre  Cristoforo  era  uomo  non  solo  da  consigliare,  ma  da 
metter  l'opera  sua,  quando  si  trattasse  di  sollevar  poverelli; 
e  che  sarebbe  una  gran  bella  cosa  potergli  far  sapere  ciò 
ch'era  accaduto.  «Sicuro,»  disse  Agnese:  e  si  diedero  a 
cercare  insieme  la  maniera;  giacché  andar  esse  al  convento, 
distante  di  là  forse  due  miglia,  non  se  ne  sentivano  il  corag- 
gio, in  quel  giorno:  e  certo  nessun  uomo  di  giudizio  gliene 
avrebbe  dato  il  parere.  Ma  nel  mentre  che  bilanciavano  i 
partiti,  si  sentì  un  picchietto  all'  uscio,  e  nello  stesso  momento, 
un  sommesso  ma  distinto:  «  Beo  gr alias.*  Lucia,  immagi- 
nandosi chi  poteva  essere,  corse  ad  aprire:  e  subito,  fatto  un 
piccolo  inchino  famigliare,  venne  avanti  un  laico  cercatore  cap- 
puccino, con  la  sua  bisaccia  pendente  alla  spalla  sinistra,  e 
tenendone  l' imboccatura  attortigliata  e  stretta  nelle  due  mani 
sul  petto. 

«Oh  fra  Galdino!»   dissero  le  due  donne. 

"Il  Signore  sia  con  voi,»  disse  il  frate.  «Vengo  alla  cerca 
delle  noci.» 

«Va  a  prendere  le  noci  per  i  padri,»  disse  Agnese.  Lu- 
cia s'alzò,  e  s'avviò  all'altra  stanza,  ma  prima  d' entrarvi,  si 
trattenne  dietro  le  spalle  di  fra  Galdino,  che  rimaneva  diritto 
nella  medesima  positura;  e  mettendo  il  dito  alla  bocca,  diede 
alla  madre  un'  occhiata  che  chiedeva  il  segreto,  con  tenerezza, 
con  supplicazione,  e  anche  con   una  certa  autorità. 

Il  cercatore,  sbirciando  Agnese  così  da  lontano,  disse:  «e 
questo  matrimonio?    Si   doveva  pur  fare  oggi;    ho  veduto  nel 


CAPITOLO    III.  35 

paese  una  certa  confusione,  come  se  ci  fosse  una  novità. 
Cos'  è  stato?» 

«Il  signor  curato  è  ammalato,  e  bisogna  differire.»  rispose 
in  fretta  la  donna.  Se  Lucia  non  faceva  quel  segno,  la  ri- 
sposta sarebbe  probabilmente  stata  diversa.  «E  come  va  la 
cerca?»  soggiunse  poi  per  mutar  discorso. 

«Poco  bene,  buona  donna,  poco  bene.  Le  son  tutte  qui.» 
E,  così  dicendo,  si  levò  la  bisaccia  d'addosso,  e  la  fece  sal- 
tar tra  le  due  mani.  «Son  tutte  qui:  e,  per  mettere  in- 
sieme questa  bella  abbondanza,  ho  dovuto  picchiare  a  dieci 
porte.  » 

«Ma!  le  annate  vanno  scarse,  fra  Galdino:  e,  quando 
s'ha  a  misurar  il  pane,  non  si  può  allargar  la  mano  nel 
resto.» 

«E  per  far  tornare  il  buon  tempo,  che  rimedio  c'è,  la 
mia  donna?  L'  elemosina.  Sapete  di  quel  miracolo  delle 
noci,  che  avvenne,  molt'  anni  sono,  in  quel  nostro  convento  di 
Romagna?» 

«No,  in  verità;  raccontatemelo  un  poco.» 

«  Oh  !  dovete  dunque  sapere  che ,  in  quel  convento ,  e'  era 
un  nostro  padre,  il  quale  era  un  santo,  e  si  chiamava  il  padre 
Macario.  Un  giorno  d' inverno,  passando  per  una  viottola,  in 
un  campo  d'un  nostro  benefattore,  uomo  dabbene  anche  lui, 
il  padre  Macario  vide  questo  benefattore  vicino  a  un  suo  gran 
noce;  e  quattro  contadini,  con  le  zappe  in  aria,  che  princi- 
piavano a  scalzar  la  pianta,  per  metterle  le  radici  al  sole.  — 
Che  fate  voi  a  quella  povera  pianta?  dimandò  il  padre  Maca- 
rio. —  Eh!  padre,  son  anni  e  anni  che  la  non  mi  vuol  far 
noci;  e  io  ne  faccio  legna.  —  Lasciatela  stare,  disse  il  padre: 
sappiate  che,  quest'  anno ,  la  farà  più  noci  che  foglie.  Il  be- 
nefattore, che  sapeva  chi  era  colui  che  aveva  detta  quella  pa- 
rola, ordinò  subito  ai  lavoratori,  che  gettasser  di  nuovo  la 
terra  sulle  radici  ;  e,  chiamato  il  padre,  che  continuava  la  sua 
strada,  —  padre  Macario,  gli  disse,  la  metà  della  raccolta 
sarà  per  il  convento.  Si  sparse  la  voce  della  predizione;  e 
tutti  correvano  a  guardare  il  noce.  In  fatti,  a  primavera,  fiori 
a  bizzeffe,  e,  a  suo  tempo  noci  a  bizzeffe.  Il  buon  benefat- 
tore non  ebbe  la  -consolazione  di  bacchiarle:  perchè  andò  pri- 
ma della  raccolta,  a  ricevere  il  premio  della  sua  carità.  Ma 
il  miracolo  fu  tanto  più  grande,  come  sentirete.  Quel  bravo 
uomo  aveva  lasciato  un  figliuolo  di  stampa  ben  diversa.  Or 
dunque,  alla  raccolta,  il  cercatore  andò  per  riscuotere  la  metà 
eh'  era  dovuta  al  convento  ;  ma  colui  se  ne  fece  nuovo  affatto, 
ed  ebbe  la  temerità  di  rispondere  che  non  aveva  mai  sentito 
dire  che  i  cappuccini  sapessero  far  noci.  Sapete  ora  cosa  av- 
venne? Un  giorno,  (sentite  questa)  lo  scapestrato  aveva  in- 
vitato alcuni   suoi  amici  dello  stesso  pelo,  e,  gozzovigliando, 

3* 


36  I    PROMESSI    SPOSI. 

raccontava  la  storia  del  noce,  e  rideva  de'  frati.  Que'  giovi- 
nastri ebber  voglia  d'  andar  a  vedere  quello  sterminato  mucchio 
di  noci;  e  lui  li  mena  su  in  granaio.  Ma  sentite:  apre  l'u- 
scio, va  verso  il  cantuccio  dov'  era  stato  riposto  il  gran  muc- 
chio, e  mentre  dice:  guardate,  guarda  egli  stesso  e  vede  .  .  . 
che  cosa?  Un  bel  mucchio  di  foglie  secche  di  noce.  Fu  un 
esempio  questo?  E  il  convento,  in  vece  di  scapitare,  ci  gua- 
dagnò; perchè,  dopo  un  così  gran  fatto,  la  cerca  delle  noci 
rendeva  tanto,  tanto,  che  un  benefattore,  mosso  a  compassione 
del  povero  cercatore,  fece  al  convento  la  carità  d'un  asino,  che 
aiutasse  a  portar  le  noci  a  cas^.  E  si  faceva  tanto  olio,  che 
ogni  povero  veniva  a  prenderne,  secondo  il  suo  bisogno;  per- 
chè noi  siam  come  il  mare,  che  riceve  acqua  da  tutte  le  parti, 
e  la  torna  a  distribuire  a  tutti  i  fiumi.» 

Qui  ricomparve  Lucia,  col  grembiule  così  carico  di  noci, 
che  lo  reggeva  a  fatica,  tenendone  le  due  cocche  in  alto,  con 
le  braccia  tese  e  allungate.  Mentre  fra  Galdino,  levatasi 
di  nuovo  la  bisaccia,  la  metteva  giù,  e  ne  scioglieva  la  bocca, 
per  introdurvi  V  abbondante  elemosina,  la  madre  fece  un  volto 
attonito  e  severo  a  Lucia,  per  la  sua  prodigalità;  ma  Lucia 
le  diede  un'occhiata,  che  voleva  dire:  mi  giustificherò.  Fra 
Galdino  proruppe  in  elogi,  in  auguri,  in  promesse,  in  ringra- 
ziamenti, e,  rimessa  la  bisaccia  al  posto,  s'  avviava.  Ma  Lucia, 
richiamatolo  disse:  e  vorrei  un  servizio  da  voi;  vorrei  che  di- 
ceste al  padre  Cristoforo,  che  ho  gran  premura  di  parlargli, 
e  che  mi  faccia  la  carità  di  venir  da  noi  poverette,  subito  su- 
bito; perchè  non  possiamo  andar  noi  alla  chiesa.  » 

«Xon  volete  altro?  Non  passerà  un'  ora  che  il  padre 
Cristoforo  saprà  il  vostro  desiderio.» 

a  Mi  fido.» 

«Xon  dubitate.»  E  così  detto,  se  n'andò,  un  po' più 
curvo  e  più  contento,  di  quel  che  fosse  venuto. 

Al  vedere  che  una  povera  ragazza  mandava  a  chiamare, 
con  tanta  confidenza,  il  padre  Cristoforo,  e  che  il  cercatore 
accettava  la  commissione,  senza  maraviglia  e  senza  difficoltà, 
nessun  si  pensi  che  quel  Cristoforo  fosse  un  frate  di  dozzina, 
una  cosa  da  strapazzo.  Era  anzi  uomo  di  molta  autorità, 
presso  i  suoi,  e  in  tutto  il  contorno;  ma  tale  era  la  condi- 
zione de' cappuccini,  che  nulla  pareva  per  loro  troppo  basso, 
né  troppo  elevato.  Servir  gì'  infimi ,  ed  esser  serviti  dai  po- 
tenti, entrar  ne' palazzi  e  ne' tuguri,  con  lo  stesso  contegno 
d'umiltà  e  di  sicurezza,  esser  talvolta,  nella  stessa  casa,  un 
soggetto  di  passatempo,  e  un  personaggio  senza  il  quale  non 
si  decideva  nulla,  chieder  l'  elemosina  per  tutto,  e  farla  a  tutti 
quelli  che  la  chiedevano  al  convento,  a  tutto  era  avvezzo  un 
cappuccino.  Andando  per  la  strada,  poteva  ugualmente  ab- 
battersi  in   un   principe   che   gli   baciasse  riverentemente  la 


CAPITOLO    III.  37 

punta  del  cordone'  o  in  una  brigata  di  ragazzacci  che,  fin- 
gendo d'  esser  alle  mani  tra  loro,  gY  inzaccherassero  la  barba 
di  fango.  La  parola  «frate"  veniva,  in  que' tempi,  proferita 
col  più  gran  rispetto,  e  col  più  amaro  disprezzo:  e  i  cappuc- 
cini forse  più  d?  ogni  altro  ordine,  eran  oggetto  dei  due  op- 
posti sentimenti,  e  provavano  le  due  opposte  fortune;  perchè, 
non  possedendo  nulla,  portando  un  abito  più  stranamente  di- 
verso dal  comune,  facendo  più  aperta  professione  d'  umiltà, 
s'  esponevan  più  da  vicino  alla  venerazione  e  al  vilipendio  che 
queste  cose  possono  attirare  da'  diversi  umori,  e  dal  diverso 
pensare  degli  uomini. 

Partito  fra  Galdino,  «tutte  quelle  noci!»  esclamò  Agnese: 
«in  quest'anno!» 

«Mamma,  perdonatemi,»  rispose  Lucia:  «ma  se  avessimo 
fatta  un'  elemosina  come  gli  altri,  fra  Galdino  avrebbe  dovuto 
girare  ancora,  Dio  sa  quanto,  prima  d'aver  la  bisaccia  piena; 
Dio  sa  quando  sarebbe  tornato  al  convento,  e,  con  le  ciarle 
che  avrebbe  fatte  e  sentite,  Dio  sa  se  gli  sarebbe  rimasto  in 
mente  ...» 

«Hai  pensato  bene;  e  poi  è  tutta  carità  che  porta  sem- 
pre buon  frutto,»  disse  Agnese,  la  quale,  co' suoi  difettucci, 
era  una  gran  buona  donna,  e  si  sarebbe,  come  si  dice,  but- 
tata nel  fuoco  per  quell'  unica  figlia,  in  cui  aveva  riposta  tutta 
la  sua  compiacenza. 

In  questa,  arrivò  Renzo,  ed  entrando  con  un  volto  dispet- 
toso insieme  e  mortificato,  gettò  i  capponi  sur  una  tavola;  e 
fu  questa  V  ultima  trista  vicenda  delle  povere  bestie,  per  quel 
giorno. 

«Bel  parere  che  m'avete  dato!»  disse  ad  Agnese.  «Mi 
avete  mandato  da  un  buon  galantuomo,  da  uno  che  aiuta  ve- 
ramente i  poverelli!»  E  raccontò  il  suo  abboccamento  col 
dottore.  La  donna,  stupefatta  di  così  trista  riuscita,  voleva 
mettersi  a  dimostrare  che  il  parere  però  era  buono,  e  che 
Renzo  non  doveva  aver  saputo  far  la  cosa  come  andava  fatta; 
ma  Lucia  interruppe  quella  questione,  annunziando  che  spe- 
rava d' aver  trovato  un  aiuto  migliore.  Renzo  accolse  anche 
questa  speranza,  come  accade  a  quelli  che  sono  nella  sventura 
e  nelP  impiccio.  «Ma,  se  il  padre,»  disse,  «non  ci  trova  ri- 
piego, lo  troverò  io,  in  un  modo  o  nell'altro.» 

Le   donne  consigliaron  la  pace ,   la  pazienza,  la  prudenza. 

«Domani,»  disse  Lucia,  «il  padre  Cristoforo  verrà  sicu- 
ramente; e  vedrete  che  troverà  qualche  rimedio,  di  quelli  che 
noi  poveretti  non  sappiam  nemmeno  immaginare.  » 

«Lo  spero;»  disse  Renzo,  «ma,  in  ogni  caso,  saprò  farmi 
ragione,  o  farmela  fare.  A  questo  mondo  e'  è  giustizia,  final- 
mente.» 


38  I    PROMESSI   SPOSI. 


riferite,  quel  giorno  era  passato;  e  cominciava  a  imbrunire. 

«  Buona  notte,»  disse  tristamente  Lucia  a  Renzo,  il  quale 
non  sapeva  risolversi  d'  andarsene. 

«Buona  notte,»  rispose  Renzo,  ancor  più  tristamente. 

«Qualche  santo  ci  aiuterà,»  replicò  Lucia:  «usate  pru- 
denza e  rassegnatevi.» 

La  madre  aggiunse  altri  consigli  dello  stesso  genere;  e  lo 
sposo  se  n'andò;  col  cuore  in  tempesta,  ripetendo  sempre 
quelle  strane  parole:  «a  questo  mondo  c'è  giustizia,  final- 
mente!» Tant' è  vero  che  un  uomo  sopraffatto  dal  dolore  non 
sa  più  quel  che  si  dica. 


CAPITOLO  IV. 

Il  sole  non  era  ancor  tutto  apparso  sull*  orizzonte,  quando 
il  padre  Cristoforo  uscì  dal  suo  convento  di  Pescarenico,  per 
salire  alla  casetta  dov'  era  aspettato.yL  È  Pescarenico  una 
terricciola,  sulla  riva  sinistra  dell'Adda,  o  vogliam  dire  del 
lago,  poco  discosto  dal  ponte:  un  gruppetto  di  case,  abitate 
la  più  parte  da  pescatori,  e  addobbate  qua  e  là  di  tramagli 
e  di  reti  tese  ad  asciugare.  Il  convento  era  situato  (e  la  fab- 
brica ne  sussiste  tuttavia)  al  di  fuori,  e  in  faccia  all'  entrata 
della  terra,  con  di  mezzo  la  strada  che  da  Lecco  conduce  a 
Bergamo.  Il  cielo  era  tutto  sereno:  di  mano  in  mano  che  il 
sole  si  alzava  dietro  il  monte,  si  vedeva  la  sua  luce,  dalle 
sommità  de*  monti  opposti,  scendere,  come  spiegandosi  rapi- 
damente, giù  per  i  pendii,  e  nella  valle.  Un  venticello  d'  au- 
tunno, staccando  da'  rami  le  foglie  appassite  del  gelso,  le  por- 
tava a  cadere,  qualche  passo  distante  dall'albero.  A  destra 
e  a  sinistra,  nelle  vigne,  sui  tralci  ancor  tesi,  brillavan  le 
foglie  rosseggianti  a  varie  tinte;  e  la  terra  lavorata  di  fresco, 
spiccava  bruna  e  distinta  ne'  campi  di  stoppie  biancastre  e 
luccicanti  dalla  guazza.  La  scena  era  lieta:  ma  ogni  figura 
d*uomo  che  vi  apparisse,  rattristava  lo  sguardo  e  il  pensiero. 
Ogni  tanto,  s'incontravano  mendichi  laceri  e  macilenti,  o  in- 
vecchiati nel  mestiere,  o  spinti  allora  dalla  necessità  a  tender 
la  mano.  Passavano  zitti  accanto  al  padre  Cristoforo,  lo  guar- 
davano pietosamente;  e,  benché  non  avesser  nulla  a  sperar  da 
lui,  giacché  un  cappuccino  non  toccava  mai  moneta,  gli  face- 
vano un  inchino  di  ringraziamento,  per  F  elemosina  che  avevan 
ricevuta,  o  che  andavano  a  cercare  al  convento.  Lo  spetta- 
colo de' lavoratori  sparsi  ne' campi,  aveva  qualcosa  d' ancor 
più  doloroso.  Alcuni  andavan  gettando  le  lor  semente,  rade, 
con  risparmio,  e  a  malincuore,  come  chi  arrischia  cosa  che 
troppo  gli  preme;  altri  spingevan  la  vanga  come  a   stento,   e 


CAPITOLO    IV.  39 

rovesciavano  svogliatamente  la  zolla.  La  fanciulla  scarna,  te- 
nendo per  la  corda  al  pascolo  la  vaccherella  magra,  stecchita, 
guardava  innanzi,  e  si  chinava  in  fretta,  a  rubarle,  per  cibo 
della  famiglia,  qualche  erba,  di  cui  la  fame  aveva  insegnato 
che  anche  gli  uomini  potevan  vivere.  Questi  spettacoli  accre- 
scevano, a  ogni  passo,  la  mestizia  del  frate,  il  quale  cammi- 
nava già  col  tristo  presentimento  in  cuore,  d'  andar  a  sentire 
qualche  sciagura. 

—  Ma  perchè  si  prendeva  tanto  pensiero  di  Lucia?  E 
perchè,  al  primo  avviso,  s'  era  mosso  con  tanta  sollecitudine, 
come  a  una  chiamata  del  padre  provinciale?  E  chi  era  questo 
padre  Cristoforo?  —  Bisogna  soddisfare  a  tutte  queste  do- 
mande. 

11  padre  Cristoforo  da  *  *  *  era  un  uomo  più  vicino  ai 
sessanta  che  ai  cinquant'  anni.  Il  suo  capo  raso,  salvo  la  pic- 
cola corona  di  capelli,  che  vi  girava  intorno,  secondo  il  rito 
cappuccinesco,  s'  alzava  di  tempo  in  tempo,  con  un  movimento 
che  lasciava  trasparire  un  non  so  che  d'altero  e  d'inquieto; 
e  subito  s'abbassava,  per  riflessione  d'umiltà.  La  barba  bian- 
ca e  lunga,  che  gli  copriva  le  guance  e  il  mento,  faceva  an- 
cor più  risaltare  le  forme  rilevate  della  parte  superiore  del 
volto,  alle  quali  un'  astinenza,  già  da  gran  pezzo  abituale, 
aveva  assai  più  aggiunto  di  gravità  che  tolto  d'  espressione. 
Due  occhi  incavati  eran  per  lo  più  chinati  a  terra,  ma  tal- 
volta sfolgoravano,  con  vivacità  repentina;  come  due  cavalli 
bizzarri,  condotti  a  mano  da  un  cocchiere,  col  quale  sanno, 
per  esperienza,  che  non  si  può  vincerla,  pure  fanno,  di  tempo 
in  tempo,  qualche  sgambetto,  che  scontan  subito,  con  una 
buona  tirata  di  morso. 

Il  padre  Cristoforo  non  era  sempre  stato  così,  né  sempre 
era  stato  Cristoforo:  il  suo  nome  di  battesimo  era  Lodovico. 
Era  figliuolo  d'  un  mercante  di  *  *  *  (questi  asterischi  vengon 
tutti  dalla  circospezione  del  mio  anonimo)  che,  ne' suoi  ul- 
tim' anni,  trovandosi  assai  fornito  di  beni,  e  con  quell'unico 
figliuolo,  aveva  rinunziato  al  traffico,  e  s'  era  dato  a  viver  da 
signore. 

Nel  suo  nuovo  ozio,  cominciò  a  entrargli  in  corpo  una 
gran  vergogna  di  tutto  quel  tempo  che  aveva  speso  a  far 
qualcosa  in  questo  mondo.  Predominato  da  una  tal  fantasia, 
studiava  tutte  le  maniere  di  far  dimenticare  eh'  era  stato 
mercante;  avrebbe  voluto  poterlo  dimenticare  anche  lui.  Ma 
il  fondaco,  le  balle,  il  libro,  il  braccio,  gli  comparivan  sem- 
pre nella  memoria,  come  1'  ombra  di  Banco  a  Macbeth,  an- 
che tra  la  pompa  delle  mense,  e  il  sorriso  de' parassiti.  E 
non  si  potrebbe  dire  la  cura  che  dovevano  aver  que'  pove- 
retti, per  schivare  ogni  parola  che  potesse  parere  allusiva 
all'antica  condizione  del  convitante.     Un  giorno,   per  raccou- 


40  1    PROMESSI    SPOSI. 

tarne  una,  un  giorno,  sul  finir  della  tavola,  ne' momenti  della 
più  viva  e  schietta  allegria,  che  non  si  sarebbe  potuto  dire 
chi  più  godesse,  o  la  brigata  di  sparecchiare,  o  il  padrone 
d'aver  apparecchiato,  andava  stuzzicando,  con  superiorità 
amichevole,  uno  di  que' commensali ,  il  più  onesto  mangiatore 
del  mondo.  Questo,  per  corrispondere  alla  celia,  senza  la 
minima  ombra  di  malizia,  proprio  col  candore  d'  un  bambino, 
rispose:  «eh!  io  fo  l'orecchio  del  mercante.»  Egli  stesso  fu 
subito  colpito  dal  suono  della  parola  che  gli  era  uscita  di 
bocca,  guardò,  con  faccia  incerta,  alla  faccia  del  padrone, 
che  s'era  rannuvolata:  l'uno  e  l'altro  avrebber  voluto  ripren- 
der quella  di  prima;  ma  non  era  possibile.  Gli  altri  convitati 
pensavano,  ognun  da  sé,  al  modo  di  sopire  il  piccolo  scan- 
dolo,  e  di  fare  una  diversione;  ma,  pensando,  tacevano,  e,  in 
quel  silenzio,  lo  scandolo  era  più  manifesto.  Ognuno  scan- 
sava d'incontrar  gli  occhi  degli  altri;  ognuno  sentiva  che  tutti 
eran  occupati  del  pensiero  che  tutti  volevan  dissimulare.  La 
gioia,  per  quel  giorno,  se  n'  andò,  e  V  imprudente  o,  per  par- 
lar con  più  giustizia,  lo  sfortunato,  non  ricevette  più  invito. 
Così  il  padre  di  Lodovico  passò  gli  ultimi  suoi  anni  in  an- 
gustie continue,  temendo  sempre  d'  essere  schernito,  e  non  ri- 
flettendo mai  che  il  vendere  non  è  cosa  più  ridicola  che  il 
comprare,  e  che  quella  professione  di  cui  allora  si  vergogna- 
va, l'aveva  pure  esercitata  per  tant'anni,  in  presenza  del 
pubblico,  e  senza  rimorso.  Fece  educare  il  figlio  nobilmente, 
secondo  la  condizione  de' tempi,  e  per  quanto  gli  era  con- 
cesso dalle  leggi  e  dalle  consuetudini;  gli  diede  maestri  di 
lettere  e  d'esercizi  cavallereschi;  e  morì,  lasciandolo  ricco  e 
giovinetto. 

Lodovico  aveva  contratte  abitudini  signorili;  e  gli  adula- 
tori, tra  i  quali  era  cresciuto,  l'avevano  avvezzato  ad  esser 
trattato  con  molto  rispetto.  Ma  quando  volle  mischiarsi  coi 
principali  della  sua  città,  trovò  un  fare  ben  diverso  da  quello 
a  cui  era  accostumato;  e  vide  che,  a  voler  essere  della  lor 
compagnia,  come  avrebbe  desiderato,  gli  conveniva  fare  una 
nuova  scuola  di  pazienza  e  di  sommissione,  star  sempre  al  di 
sotto,  e  ingozzarne  una  ogni  momento.  Una  tal  maniera  di 
vivere  non  s'accordava,  né  con  l'educazione,  né  con  la  na- 
tura di  Lodovico.  S'  allontanò  da  essi  indispettito.  Ma  poi 
ne  stava  lontano  con  rammarico;  perchè  gli  pareva  che  questi 
veramente  avrebber  dovuto  essere  i  suoi  compagni;  soltanto  gli 
avrebbe  voluti  più  trattabili.  Con  questo  misto  d' inclinazione 
e  di  rancore,  non  potendo  frequentarli  famigliarmente,  volendo 
pure  aver  che  fare  con  loro  in  qualche  modo ,  s'  era  dato  a 
competer  con  loro  di  sfoggi  e  di  magnificenza,  comprandosi 
così  a  contanti  inimicizie,  invidia  e  ridicolo.  La  sua  indole, 
onesta  insieme  e  violenta,  lo  aveva  poi  imbarcato  per  tempo 


CAPITOLO    IV.  41 

in  altre  gare  più  serie.  Sentiva  un  orrore  spontaneo  e  sin- 
cero per  le  angherie  e  per  i  soprusi:  orrore  reso  ancor  più 
vivo  in  lui  dalla  qualità  delle  persone  che  più  ne  commette- 
vano alla  giornata;  ch'erano  appunto  coloro  coi  quali  aveva 
più  di  quella  ruggine.  Per  acquietare,  o  per  esercitare  tutte 
queste  passioni  in  una  volta,  prendeva  volentieri  le  parti  d'un 
debole  sopraffatto,  si  piccava  di  farci  stare  un  soverchiatore, 
s'intrometteva  in  una  briga,  se  ne  tirava  addosso  un'altra; 
tanto  che,  a  poco  a  poco,  venne  a  costituirsi  come  un  protet- 
tor  degli  oppressi,  e  un  vendicatore  de'  torti.  L%  impiego  era 
gravoso;  e  non  è  da  domandare  se  il  povero  Lodovico  avesse 
nemici,  impegni  e  pensieri.  Oltre  la  guerra  esterna,  era  poi 
tribolato  continuamente  da  contrasti  interni:  perchè,  a  spun- 
tarla in  un  impegno  (senza  parlare  di  quelli  in  cui  restava  al 
di  sotto),  doveva  anche  lui  adoperar  raggiri  e  violenze,  che 
la  sua  coscienza  non  poteva  poi  approvare.  Doveva  tenersi 
intorno  un  buon  numero  di  bravacci;  e,  così  per  la  sua  sicu- 
rezza, come  per  averne  un  aiuto  più  vigoroso,  doveva  sce- 
gliere i  più  arrischiati,  cioè  i  più  ribaldi:  e  vivere  co' birboni, 
per  amor  della  giustizia.  Tanto  che,  più  d'  una  volta,  o  sco- 
raggio, dopo  una  trista  riuscita,  o  inquieto  per  un  pericolo 
imminente,  annoiato  dal  continuo  guardarsi,  stomacato  della 
sua  compagnia,  in  pensiero  dell"  avvenire,  per  le  sue  sostanze 
che  se  n'  andavan ,  di  giorno  in  giorno,  in  opere  buone  e  in 
braverie,  più  d'una  volta  gli  era  saltata  la  fantasia  di  farsi 
frate;  che,  a  quei  tempi,  era  il  ripiego  più  comune,  per  uscir 
d'impicci.  Ma  questa,  che  sarebbe  forse  stata  una  fantasia 
per  tutta  la  sua  vita,  divenne  una  risoluzione,  a  causa  d'un 
accidente,  il  più  serio  che  gli  fosse  ancor  capitato. 

Andava  un  giorno  per  una  strada  della  sua  città,  seguito 
da  due  bravi,  e  accompagnato  da  un  tal  Cristoforo,  altre  volte 
giovine  di  bottega  e,  dopo  chiusa  questa,  diventato  maestro 
di  casa.  Era  un  uomo  di  circa  cinquant' anni,  affezionato, 
dalla  gioventù,  a  Lodovico,  che  aveva  veduto  nascere,  e  che, 
tra  salario  e  regali,  gli  dava  non  solo  da  vivere,  ma  di  che 
mantenere  e  tirar  su  una  numerosa  famiglia.  Vide  Lodovico 
spuntar  da  lontano  un  signor  tale,  arrogante  e  soverchiatore 
di  professione,  col  quale  non  aveva  mai  parlato  in  vita  sua, 
ma  che  gli  era  cordiale  nemico,  e  al  quale  rendeva,  pur  di 
cuore,  il  contraccambio:  giacché  è  uno  de*  vantaggi  di  questo 
mondo,  quello  di  poter  odiare  ed  essere  odiati,  senza  cono- 
scersi. Costui,  seguito  da  quattro  bravi,  s'avanzava  diritto, 
con  passo  superbo,  con  la  testa  alta,  con  la  bocca  composta 
all'  alterigia  e  allo  sprezzo.  Tutt'  e  due  camminavan  rasente 
al  muro;  ma  Lodovico  (notate  bene)  lo  strisciava  col  lato 
destro;  e  ciò,  secondo  una  consuetudine,  gli  dava  il  diritto 
(dove  mai  si  va  a  ficcare  il  diritto!)  di  non  istaccarsi  dal  det- 


42  I    PROMESSI    SPOSI. 

to  muro,  per  dar  passo  a  chi  si  fosse;  cosa  deìia  quale  al- 
lora si  faceva  gran  caso.  L'altro  pretendeva  all' opposto,  che 
quel  diritto  competesse  a  lui,  come  a  nobile,  e  che  a  Lodo- 
vico toccasse  d' andar  nel  mezzo  ;  e  ciò  in  forza  d'  un'  altra 
consuetudine.  Perocché,  in  questo,  come  accade  in  molti  altri 
affari,  erano  in  vigore  due  consuetudini  contrarie,  senza  che 
fosse  deciso  qual  delle  due  fosse  la  buona  :  il  che  dava  oppor- 
tunità di  fare  una  guerra,  ogni  volta  che  una  testa  dura  s' ab- 
battesse in  un'  altra  della  stessa  tempra.  Que'  due  si  veni- 
vano incontro,  ristretti  alla  muraglia,  come  due  figure  di  basso 
rilievo  ambulanti.  Quando  si  trovarono  a  viso  a  viso,  il  si- 
gnor tale,  squadrando  Lodovico,  a  capo  alto,  col  cipiglio  im- 
perioso, gli  disse,  in  un  tono  corrispondente  di  voce:  «fate 
luogo.» 

«Fate  luogo  voi,»    rispose  Lodovico.    «La  diritta  è  mia.» 

«Co' vostri  pari,  è  sempre  mia.» 

«Sì,  se  l'arroganza  de' vostri  pari  fosse  legge  per  i  pari 
miei.» 

I  bravi  dell'  uno  e  dell'  altro  eran  rimasti  fermi,  ciascuno 
dietro  il  suo  padrone,  guardandosi  in  cagnesco,  con  le  mani 
alle  daghe,  preparati  alla  battaglia.  La  gente  che  arrivava  di 
qua  e  di  là,  si  teneva  in  distanza  a  osservare  il  fatto;  e  la 
presenza  di  quegli  spettatori  animava  sempre  più  il  puntiglio 
de'  contendenti. 

«Nel  mezzo,  vile  meccanico;  o  ch'io  t'insegno  una  volta 
come  si  tratti  co' gentiluomini.» 

«Voi  mentite  ch'io  sia  vile.» 

«Tu  menti  ch'io  abbia  mentito.»  Questa  risposta  era  di 
prammatica.  «E,  se  tu  fossi  cavaliere,  come  son  io,  ag- 
giunse quel  signore,  «ti  vorrei  far  vedere,  con  la  spada  e  con 
la    cappa,  che  il  mentitore  sei  tu.» 

«È  un  buon  pretesto  per  dispensarvi  di  sostener  coi  fatti 
l' insolenza  delle  vostre  parole  » 

«Gettate  nel  fango  questo  ribaldo,»  disse  il  gentiluomo, 
aitandosi  a'  suoi. 

«Vediamo!»  disse  Lodovico,  dando  subitamente  un  passo 
indietro,  e  mettendo  mano  alla  spada. 

«Temerario!»  gridò  l'altro,  sfoderando  la  sua:  «io  spez- 
zerò questa,  quando  sarà  macchiata  del  tuo  vii  sangue.» 
^^Così  s'avventarono  l'uno  all'altro;  i  servitori  delle  due 
parti  si  slanciarono  alla  difesa  de' loro  padroni.  11  combat- 
timento era  disuguale,  e  per  il  numero,  e  anche  perchè  Lo- 
dovico mirava  piuttosto  a  scansare  i  colpi,  e  a  disarmare  il 
nemico,  che  ad  ucciderlo;  ma  questo  voleva  la  morte  di  lui 
a  ogni  costo.  Lodovico  aveva  già  ricevuta  al  braccio  sinistro 
una  pugnalata  d'  un  bravo,  e  una  sgraffiatura  leggiera  in  una 
guancia,   e  il  nemico  principale  gli  piombava  addosso  per  n- 


CAPITOLO    IV.  43 

nirlo;  quando  Cristoforo,  vedendo  il  suo  padrone  nell' estremo 
pericolo,  andò  col  pugnale  addosso  al  signore.  Questo,  ri- 
volta tutta  la  sua  ira  contro  di  lui,  lo  passò  con  la  spada. 
A  quella  vista,  Lodovico,  come  fuor  di  sé,  cacciò  la  sua  nel 
ventre  del  feritore,  il  quale  cadde  moribondo,  quasi  a  un 
punto  col  povero  Cristoforo.  I  bravi  del  gentiluomo,  visto 
ch'era  finita,  si  diedero  alla  fuga,  malconci:  quelli  di  Lodo- 
vico, tartassati  e  sfregiati  anche  loro,  non  essendovi  più  a  chi 
dare,  e  non  volendo  trovarsi  impicciati  nella  gente,  che  già 
accorreva,  scantonarono  dall'  altra  parte:  e  Lodovico  si  trovò 
solo,  con  que'  due  funesti  compagni  ai  piedi,  in  mezzo  a  una 
folla. 

«Com'  è  andata?  —   È  uno.  —  Son  due.  —  Gli  ha  fatto 

un  occhiello  nel  ventre.  —  Chi  è  stato  ammazzato?  —  Quel 
prepotente.  —  Oh  santa  Maria,  che  sconquasso!  —  Chi  cerca 
trova.  —  Una  le  paga  tutte.  —  Ha  finito  anche  lui.  —  Che 
colpo!  —  Vuol  essere  una  faccenda  seria.  —  E  queir  altro 
disgraziato!  —  Misericordia!  che  spettacolo!  —  Salvatelo. 
salvatelo.  —  Sta  fresco  anche  lui.  —  Vedete  com'è  concio! 
butta  sangue  da  tutte  le  parti.  —  Scappi,  scappi.  Non  si 
lasci  prendere.» 

Queste  parole,  che  più  di  tutte  si  facevan  sentire  nel  fra- 
storno confuso  di  quella  folla,  esprimevano  il  voto  comune:  e, 
col  consiglio,  venne  anche  l'aiuto.  11  fatto  era  accaduto  vi- 
cino a  una  chiesa  di  cappuccini,  asilo,  come  ognun  sa,  impe- 
netrabile allora  a' birri,  e  a  tutto  quel  complesso  di  cose  e 
di  persone,  che  si  chiamava  la  giustizia.  L'  uccisore  ferito  fu 
quivi  condotto  o  portato  dalla  folla,  quasi  fuor  di  sentimento; 
e  i  frati  lo  ricevettero  dalle  mani  del  popolo,  che  glielo  rac- 
comandava, dicendo:  «è  un  uomo  dabbene  che  ha  freddato 
un  birbone  superbo:  l'ha  fatto  per  sua  difesa:  c'è  stato  ti- 
rato per  i  capelli.)) 

Lodovico  non  aveva  mai,  prima  d'allora,  sparso  sangue; 
e,  benché  l'omicidio  fosse,  a  que' tempi,  cosa  tanto  comune, 
che  gli  orecchi  d'  ognuno  erano  avvezzi  a  sentirlo  raccontare, 
e  gli  occhi  a  vederlo,  pure  V  impressione  eh'  egli  ricevette 
dal  veder  l'uomo  morto  per  lui,  e  l'uomo  morto  da  lui,  fu 
nuova  e  indicibile;  fu  una  rivelazione  di  sentimenti  ancora 
sconosciuti.  Il  cadere  del  suo  nemico,  l'alterazione  di  quel 
volto,  che  passava  in  un  momento,  dalla  minaccia  e  dal  fu- 
rore, all'abbattimento  e  alla  quiete  solenne  della  morte,  fu 
una  vista  che  cambiò,  in  un  punto,  1'  animo  dell'  uccisore. 
Strascinato  al  convento,  non  sapeva  quasi  dove  si  fosse,  né 
cosa  si  facesse;  e,  quando  fu  tornato  in  sé,  si  trovò  in  un 
letto  dell'  infermeria,  nelle  mani  del  frate  chirurgo,  (i  cappuc- 
cini ne  avevano  ordinariamente  uno  in  ogni  convento)  che  ac- 
comodava faldelle  e  fasce  sulle  due  ferite  che  egli  aveva  rice- 


44 


I    PROMESSI    SPOSI. 


vute  nello  scontro.  Un  padre,  il  cui  impiego  particolare  era 
d'assistere  i  moribondi,  e  che  aveva  spesso  avuto  a  render 
questo  servizio  sulla  strada,  fu  chiamato  subito  al  luogo  del 
combattimento.  Tornato,  pochi  minuti  dopo,  entrò  nell5  infer- 
meria, e,  avvicinatosi  al  letto  dove  Lodovico  giaceva,  «conso- 
latevi,» gli  disse:  «almeno  è  morto  bene,  e  m'ha  incaricato 
di  chiedere  il  vostro  perdono,  e  di  portarvi  il  suo.»  Questa 
parola  fece  rinvenire  affatto  il  povero  Lodovico,  e  gli  risve- 
gliò più  vivamente  e  più  distintamente  i  sentimenti  eh'  eran 
confusi  e  affollati  nel  suo  animo:  dolore  dell' amico,  sgomento 
e  rimorso  del  colpo  che  gli  era  uscito  di  mano,  e  nello  stesso 
tempo,  un'  angosciosa  compassione  dell'  uomo  che  aveva  ucciso. 
«E  l'altro?»  domandò  ansiosamente  al  frate. 

«L'altro  era  spirato,  quand'  io  arrivai.» 

Frattanto,  gli  accessi  e  i  contorni  del  convento  formico- 
lavan  di  popolo  curioso:  ma,  giunta  la  sbirraglia,  fece  smal- 
tir la  folla,  e  si  postò  a  una  certa  distanza  dalla  porta,  in 
modo  però  che  nessuno  potesse  uscirne  inosservato.  Un  fra- 
tello del  morto,  due  suoi  cugini  e  un  vecchio  zio,  vennero 
pure,  armati  da  capo  a  piedi,  con  grande  accompagnamento 
di  bravi;  e  si  misero  a  far  la  ronda  intorno,  guardando,  con 
atti  di  dispetto  minaccioso,  que' curiosi,  che  non  osavan  dire: 
gli  sta  bene;  ma  l'avevano  scritto  in  viso. 

Appena  Lodovico  ebbe  potuto  raccogliere  i  suoi  pensieri, 
chiamato  un  frate  confessore,  lo  pregò  che  cercasse  della  ve- 
dova di  Cristoforo,  le  chiedesse  in  suo  nome  perdono  d'es- 
sere stato  lui  la  cagione,  quantunque  ben  certo  involontaria, 
di  quella  desolazione,  e,  nello  stesso  tempo,  l'assicurasse  eh'  e- 
gli  prendeva  la  famiglia  sopra  di  sé.  Riflettendo  quindi  a* 
casi  suoi,  sentì  rinascere  più  che  mai  vivo  e  serio  quel  pen- 
siero di  farsi  frate,  che  altre  volte  gli  era  passato  per  la 
mente:  e  gli  parve  che  Dio  medesimo  l'avesse  messo  sulla 
strada,  e  datogli  un  segno  del  suo  volere,  facendolo  capitare 
in  un  convento,  in  quella  congiuntura;  e  il  partito  fu  preso. 
Fece  chiamare  il  guardiano,  e  gli  manifestò  il  suo  desiderio. 
N'  ebbe  in  risposta,  che  bisognava  guardarsi  dalle  risoluzioni 
precipitate;  ma  che,  se  persisteva,  non  sarebbe  rifiutato. 
Allora,  fatto  venire  un  notaro,  dettò  una  donazione  di  tutto 
ciò  che  gli  rimaneva  (eh'  era  tuttavia  un  bel  patrimonio)  alla 
famiglia  di  Cristoforo:  una  somma  alla  vedova,  come  se  le 
costituisse  una  contraddote,  e  il  resto  a  otto  figliuoli  che  Cri- 
stoforo aveva  lasciati. 

La  risoluzione  di  Lodovico  veniva  molto  a  proposito  per  i 
suoi  ospiti,  i  quali,  per  cagion  sua,  erano  in  un  bell'intrigo. 
Rimandarlo  dal  convento,  ed  esporlo  così  alla  giustizia,  cioè 
alla  vendetta  de'  suoi  nemici,  non  era  partito  da  metter  nep- 
pur   in  consulta.     Sarebbe  stato  lo  stesso  che  rinunziare  ai 


CAPITOLO    IV.  45 

propri  privilegi,  screditare  il  convento  presso  il  popolo,  atti- 
rarsi il  biasimo  di  tutti  i  cappuccini  dell'  universo,  per  aver 
lasciato  violare  il  diritto  di  tutti,  concitarsi  contro  tutte  le 
autorità  ecclesiastiche,  le  quali  si  consideravan  come  tutrici  di 
questo  diritto.  Dall'  altra  parte ,  la  famiglia  dell'  ucciso,  po- 
tente assai,  e  per  sé,  e  per  le  sue  aderenze,  s'era  messa  al 
punto  di  voler  vendetta;  e  dichiarava  suo  nemico  chiunque 
s' attentasse  di  mettervi  ostacolo.  La  storia  non  dice  che  a 
loro  dolesse  molto  dell'ucciso,  e  nemmeno  che  una  lagrima 
fosse  stata  sparsa  per  lui,  in  tutto  il  parentado  :  dice  soltanto 
eh'  eran  tutti  smaniosi  d'  aver  nell'  unghie  l' uccisore,  o  vivo  o 
morto.  Ora  questo,  vestendo  l'abito  di  cappuccino,  accomo- 
dava ogni  cosa.  Faceva,  in  certa  maniera,  un'  emenda,  s' im- 
poneva una  penitenza,  si  chiamava  implicitamente  in  colpa,  si 
ritirava  da  ogni  gara;  era  in  somma  un  nemico  che  depon 
l'armi.  I  parenti  del  morto  potevan  poi  anche,  se  loro  pia- 
cesse, credere  e  vantarsi  che  s'  era  fatto  frate  per  disperazione 
e  per  terrore  del  loro  sdegno.  E,  ad  ogni  modo,  ridurre  un 
uomo  a  spropriarsi  del  suo,  a  tosarsi  la  testa,  a  camminare 
a  piedi  nudi,  a  dormir  sur  un  saccone,  a  viver  d'  elemosina, 
poteva  parere  una  punizione  competente ,  anche  all'  offeso  il 
più  borioso. 

Il  padre  guardiano  si  presentò,  con  un'umiltà  disinvolta, 
al  fratello  del  morto,  e,  dopo  mille  proteste  di  rispetto  per 
1"  illustrissima  casa,  e  di  desiderio  di  compiacere  ad  essa  in 
tutto  ciò  che  fosse  fattibile,  parlò  del  pentimento  di  Lodovico, 
e  della  sua  risoluzione,  facendo  garbatamente  sentire  che  la 
casa  poteva  esserne  contenta,  e  insinuando  poi  soavemente,  e 
con  maniera  ancor  più  destra,  che,  piacesse  o  non  piacesse, 
la  cosa  doveva  essere.  Il  fratello  diede  in  ismanie,  che  il 
cappuccino  lasciò  svaporare,  dicendo  di  tempo  in  tempo:  «è 
un  troppo  giusto  dolore.»  Fece  intendere  che,  in  ogni  caso, 
la  sua  famiglia  avrebbe  saputo  prendersi  una  soddisfazione: 
e  il  cappuccino,  qualunque  cosa  ne  pensasse,  non  disse  di  no. 
Finalmente  richiese,  impose  come  una  condizione,  che  l'uccisor 
di  suo  fratello  partirebbe  subito  da  quella  città.  Il  guardiano, 
che  aveva  già  deliberato  che  questo  fosse  fatto,  disse  che  si 
farebbe,  lasciando  che  l'altro  credesse,  se  gli  piaceva,  esser 
questo  un  atto  d'ubbidienza:  e  tutto  fu  concluso.  Contentala 
famiglia,  che  ne  usciva  con  onore;  contenti  i  frati,  che  salva- 
vano un  uomo  e  i  loro  privilegi,  senza  farsi  alcun  nemico; 
contenti  i  dilettanti  di  cavalleria,  che  vedevano  un  affare  ter- 
minarsi lodevolmente;  contento  il  popolo,  che  vedeva  fuor 
d'impiccio  un  uomo  benvoluto,  e  che,  nello  stesso  tempo,  am- 
mirava una  conversione;  contento  finalmente,  e  più  di  tutti,  in 
mezzo  al  dolore ,  il  nostro  Lodovico,  il  quale  cominciava  una 
vita   d'espiazione  e  di  servizio,  che  potesse,  se  non  riparare, 


46  I   PROMESSI    SPOSI. 

pagare  almeno  il  mal  fatto,  e  rintuzzare  il  pungolo  intollera- 
bile  del  rimorso.  Il  sospetto  che  la  sua  risoluzione  fosse  at- 
tribuita alla  paura,  1'  afflisse  un  momento;  ma  si  consolò  subito 
col  pensiero  che  anche  quell'  ingiusto  giudizio  sarebbe  un  ga- 
stigo  per  lui,  e  un  mezzo  d'  espiazione.  Così,  a  trent'  anni,  si 
ravvolse  nel  sacco;  e  dovendo,  secondo  l'uso,  lasciare  il  suo 
nome,  e  prenderne  un  altro,  ne  scelse  uno  che  gli  rammen- 
tasse, ogni  momento,  ciò  che  aveva  da  espiare:  e  si  chiamò 
fra  Cristoforo. 

Appena  compita  la  cerimonia  della  vestizione,  il  guardiano 
gì'  intimò  che  sarebbe  andato  a  fare  il  suo  noviziato  a  *  *  *, 
sessanta  miglia  lontano,  e  che  partirebbe  all'indomani.  Il 
novizio  s'inchinò  profondamente,  e  chiese  una  grazia.  «Per- 
mettetemi, padre,»  disse,  «che,  prima  di  partir  da  questa 
città ,  dove  ho  sparso  il  sangue  d'  un  uomo ,  dove  lascio  una 
famiglia  crudelmente  offesa,  io  la  ristori  almeno  dell'affronto, 
eh'  io  mostri  almeno  il  mio  rammarico  di  non  poter  risar- 
cire il  danno,  col  chiedere  scusa  al  fratello  dell'ucciso,  e  gli 
levi,  se  Dio  benedice  la  mia  intenzione,  il  rancore  dall'ani- 
mo.» Al  guardiano  parve  che  un  tal  passo,  oltre  all'essere 
buono  in  sé,  servirebbe  a  riconciliar  se,nipre  più  la  famiglia 
col  convento;  e  andò  diviato  da  quel  signor  fratello,  ad 
esporgli  la  domanda  di  fra  Cristoforo.  A  proposta  così  in- 
aspettata, colui  sentì,  insieme  con  la  maraviglia,  un  ribolli- 
mento di  sdegno,  non  però  senza  qualche  compiacenza.  Dopo 
aver  pensato  un  momento,  «venga  domani,»  disse;  e  assegnò 
l'ora.  Il  guardiano  tornò,  a  portare  al  novizio  il  consenso 
desiderato. 

Il  gentiluomo  pensò  subito  che,  quanto  più  quella  soddis- 
fazione fosse  solenne  e  clamorosa,  tanto  più  accrescerebbe  il 
suo  credito  presso  tutta  la  parentela,  e  presso  il  pubblico;  e 
sarebbe  (per  dirla  con  un'  eleganza  moderna)  una  bella  pagina 
nella  storia  della  famiglia.  Fece  avvertire  in  fretta  tutti  i 
parenti  che,  all'indomani,  a  mezzogiorno,  restassero  serviti 
(così  si  diceva  allora)  di  venir  da  lui,  a  ricevere  una  soddis- 
fazione comune.  A  mezzogiorno,  il  palazzo  brulicava  di  si- 
gnori d'  ogni  età  e  d'  ogni  sesso  :  era  un  girare,  un  rimesco- 
larsi di  gran  cappe,  d'  alte  penne,  di  durlindane  pendenti,  un 
moversi  librato  di  gorgiere  inamidate  e  crespe,  uno  strascico 
intralciato  di  rabescate  zimarre.  Le  anticamere,  il  cortile  e  la 
strada  formicolavan  di  servitori,  di  paggi,  di  bravi  e  di  cu- 
riosi. Fra  Cristoforo  vide  quell'  apparecchio,  ne  indovinò  il 
motivo,  e  provò  un  ieggier  turbamento;  ma,  dopo  un  istante, 
disse  tra  sé:  —  sta  bene:  l'ho  ucciso  in  pubblico,  alla  pre- 
senza di  tanti  suoi  nemici;  quello  fu  scandolo,  questa  è  ripa- 
razione. —  Così,  con  gli  occhi  bassi,  col  padre  compagno  al 
fianco,  passò  la  porta  di  quella  casa,  attraversò  il  cortile,  tra 


CAPITOLO    IV.  47 

una  folla  che  lo  squadrava  con  una  curiosità  poco  cerimo- 
niosa: salì  le  scale,  e,  di  mezzo  all'altra  folla  signorile,  che 
fece  ala  al  suo  passaggio,  seguito  da  cento  sguardi,  giunse 
alla  presenza  del  padron  di  casa:  il  quale,  circondato  da'  pa- 
renti più  prossimi,  stava  ritto  nel  mezzo  della  sala,  con  lo 
sguardo  a  terra,  e  il  mento  in  aria,  impugnando  con  la  mano 
sinistra,  il  pomo  della  spada,  e  stringendo  con  la  destra  il 
bavero  della  cappa  sul  petto. 

C'è  talvolta,  nel  volto  e  nel  contegno  d'un  uomo,  un'es- 
pressione così  immediata,  si  direbbe  quasi  un'effusione  del- 
l'animo interno,  che  in  una  folla  di  spettatori,  il  giudizio  so- 
pra quell'  animo  sarà  un  solo.  Il  volto  e  il  contegno  di  fra 
Cristoforo  disse  chiaro  agli  astanti,  che  non  s'  era  fatto  frate, 
né  veniva  a  quell'umiliazione  per  timore  umano:  questo  co- 
minciò a  concigliarglieli  tutti.  Quando  vide  1'  offeso,  affrettò  il 
passo,  gli  si  pose  in  ginocchioni  ai  piedi,  incrociò  le  mani  sul 
petto,  e,  chinando  la  testa  rasa,  disse  queste  parole:  «io  sono 
V  omicida  di  suo  fratello.  Sa  Iddio  se  vorrei  restituirglielo  a 
costo  del  mio  sangue:  ma,  non  potendo  altro  che  farle  inef- 
ficaci e  tarde  scuse,  la  supplico  d'accettarle  per  l'amor  di 
Dio.»  Tutti  gli  occhi  erano  immobili  sul  novizio,  e  sul  per- 
sonaggio a  cui  egli  parlava:  tutti  gli  orecchi  eran  tesi.  Quan- 
do fra  Cristoforo  tacque,  s'alzò,  per  tutta  la  sala,  un  mor- 
morio di  pietà  e  di  rispetto.  Il  gentiluomo,  che  stava  in  atto 
di  degnazione  forzata,  e  d' ira  compressa,  fu  turbato  da  quelle 
parole;  e,  chinandosi  verso  l'inginocchiato:  «alzatevi,»  disse 
con  voce  alterata,  «l'offesa....  il  fatto  veramente....  ma 
l'abito  che  portate  ....  non  solo  questo,  ma  anche  per  voi 
.  .  .  .  S'  alzi ,  padre  ....  Mio  fratello  ....  non  lo  posso  ne- 
gare ....  era  un  cavaliere  .  .  .  era  un  uomo  ....  un  po' im- 
petuoso ....  un  po'  vivo.  Ma  tutto  accade  per  disposizion  di 
Dio.  Non  se  ne  parli  più....  Ma  padre,  lei  non  deve  stare 
in  codesta  positura.»  E,  presole  per  le  braccia,  lo  sollevò 
Fra  Cristoforo,  in  piedi,  ma  col  capo  chino,  rispose:  «io  posso 
dunque  sperare  che  lei  m'abbia  concesso  il  suo  perdono!  E 
se  l'ottengo  da  lei,  da  chi  non  devo  sperarlo?  Oh!  s'io  po- 
tessi sentire  dalla  sua  bocca  questa  parola,  perdono!» 

«Perdono?»  disse  il  gentiluomo.  «Lei  non  ne  ha  più 
bisogno.  Ma  pure,  perchè  lo  desidera,  certo,  certo,  io  le  per- 
dono di  cuore,  e  tutti » 

«Tutti!  tutti!»  gridarono  a  una  voce,  gli  astanti.  Il  volto 
del  frate  s'  aprì  a  una  gioia  riconoscente,  sotto  la  quale 
traspariva  però  ancora  un'  umile  e  profonda  compunzione  del 
male  a  cui  la  remissione  degli  uomini  non  poteva  riparare. 
Il  gentiluomo,  vinto  da  quell'  aspetto,  e  trasportato  dalla  com- 
mozione generale,  gli  gettò  le  braccia  al  collo,  e  gli  diede  e 
ne  ricevette  il  bacio  di  pace. 


48  I    PROMESSI    SPOSI. 

Un  «bravo!  bene!»  scoppiò  da  tutte  le  parti  della  sala; 
tutti  si  mossero,  e  si  strinsero  intorno  al  frate.  Intanto  ven- 
nero servitori  con  gran  copia  di  rinfreschi.  Il  gentiluomo  si 
raccostò  al  nostro  Cristoforo,  il  quale  faceva  segno  di  volersi 
licenziare,  e  gli  disse:  «padre,  gradisca  qualche  cosa:  mi  dia 
questa  prova  d'  amicizia.  »  E  si  mise  per  servirlo  prima  d'ogni 
altro;  ma  egli,  ritirandosi,  con  una  certa  resistenza  cordiale, 
«queste  cose.»  disse,  «non  fanno  più  per  me;  ma  non  sarà 
mai  ch'io  rifiuti  i  suoi  doni.  Io  sto  per  mettermi  in  viaggio  : 
si  degni  di  farmi  portare  un  pane,  perchè  io  possa  dire  d'  aver 
goduto  la  sua  carità,  d'aver  mangiato  il  suo  pane  e  avuto 
un  segno  del  suo  perdono.»  Il  gentiluomo,  commosso,  ordinò 
che  così  si  facesse;  e  venne  subito  un  cameriere,  in  gran 
gala,  portando  un  pane  sur  un  piatto  d'argento,  e  lo  pre- 
sentò al  padre;  il  quale,  presolo  e  ringraziato,  lo  mise  nella 
sporta.  Chiese  quindi  licenza;  e,  abbracciato  di  nuovo  il  pa- 
dron  di  casa,  e  tutti  quelli  che,  trovandosi  più  vicini  a  lui, 
poterono  impadronirsene  un  momento,  si  liberò  da  essi  a  fa- 
tica; ebbe  a  combatter  nelle  anticamere,  per  isbrigarsi  da' 
servitori,  e  anche  da' bravi,  che  gli  baciavano  il  lembo  del- 
l'abito, il  cordone,  il  cappuccio;  e  si  trovò  nella  strada,  por- 
tato come  in  trionfo,  e  accompagnato  da  una  folla  di  popolo, 
fino  a  una  porta  della  città;  d'onde  uscì,  cominciando  il  suo 
pedestre  viaggio,  verso  il  luogo  del  suo  noviziato. 

Il  fratello  dell'ucciso,  e  il  parentado,  che  s'erano  aspet- 
tati d'  assaporare  in  quel  giorno  la  trista  gioia  dell'  orgoglio, 
si  trovarono  invece  ripieni  della  gioia  serena  del  perdono  e 
della  benevolenza.  La  compagnia  si  trattenne  ancor  qualche 
tempo,  con  una  bonarietà  e  con  una  cordialità  insolita,  in  ra- 
gionamenti ai  quali  nessuno  era  preparato,  andando  là.  In 
vece  di  soddisfazioni  prese,  di  soprusi  vendicati,  d'impegni 
spuntati,  le  lodi  del  novizio,  la  riconciliazione,  la  mansuetu- 
dine furono  i  temi  della  conversazione.  E  taluno,  che,  per  la 
cinquantesima  volta,  avrebbe  raccontato  come  il  conte  Muzio 
suo  padre  aveva  saputo,  in  quella  famosa  congiuntura,  far 
stare  a  dovere  il  marchese  Stanislao,  eh'  era  quel  rodomonte 
che  ognun  sa,  parlò  invece  delle  penitenze  e  della  pazienza 
mirabile  d'un  fra  Simone,  morto  molt' anni  prima.  Partita 
la  compagnia,  il  padrone,  ancor  tutto  commosso,  riandava  tra 
sé,  con  maraviglia,  ciò  che  aveva  inteso,  ciò  eh'  egli  medesimo 
aveva  detto;  e  borbottava  fra  i  denti:  —  diavolo  d'un  frate! 
(bisogna  bene  che  noi  trascriviamo  le  sue  precise  parole)  — 
diavolo  d'un  frate!  se  rimaneva  lì  in  ginocchio,  per  qualche 
momento,  quasi  quasi  gli  chiedeva  scusa  io,  che  m'  abbia  am- 
mazzato il  fratello.  —  La  nostra  storia  nota  espressamente 
che,  da  quel  giorno  in  poi,  quel  signore  fu  un  po'  men  preci- 
pitoso, e  un  po'  più  alla  mano 


CAPITOLO    IV,  49 

Il  padre  Cristoforo  camminava,  con  una  consolazione  che 
non  aveva  mai  più  provata,  dopo  quel  giorno  terribile  ad  es- 
piare il  quale  tutta  la  sua  vita  doveva  esser  consacrata.  Il 
silenzio  eh'  era  imposto  a'  novizi,  V  osservava ,  senza  avveder- 
sene, assorto  com'era,  nel  pensiero  delle  fatiche,  delle  pri- 
vazioni e  dell'  umiliazioni  che  avrebbe  sofferte  per  iscontare 
il  suo  fallo.  Fermandosi,  all'ora  della  refezione,  presso  un 
benefattore,  mangiò,  con  una  specie  di  voluttà,  del  pane  del 
perdono:  ma  ne  serbò  un  pezzo  e  lo  ripose  nella  sporta,  per 
tenerlo,  come  un  ricordo  perpetuo. 

Non  è  nostro  disegno  di  far  la  storia  delia  sua  vita  clau- 
strale: diremo  soltanto  che,  adempiendo,  sempre  con  gran 
voglia,  e  con  gran  cura,  gli  ufizi  che  gli  venivano  ordina- 
riamente assegnati,  di  predicare  e  d'  assistere  i  moribondi, 
non  lasciava  mai  sfuggire  un'  occasione  d'  esercitarne  due 
altri,  che  s'  era  imposti  da  sé:  accomodar  differenze,  e  pro- 
teggere oppressi.  In  questo  genio  entrava,  per  qualche  parte, 
senza  ch'egli  se  n'avvedesse,  quella  sua  vecchia  abitudine, 
e  un  resticciolo  di  spiriti  guerreschi,  che  l'umiliazioni  e  le 
macerazioni  non  avevan  potuto  spegner  del  tutto.  Il  suo 
linguaggio  era  abitualmente  umile  e  posato;  ma,  quando  si 
trattasse  di  giustizia  o  di  verità  combattuta,  l'uomo  s'ani- 
mava, a  un  tratto,  dell'impeto  antico,  che,  secondato  e  mo- 
dificato da  un'enfasi  solenne  venutagli  dall'uso  del  predi- 
care, dava  a  quel  linguaggio  un  carattere  singolare.  Tutto 
il  suo  contegno,  come  l'aspetto,  annunziava  una  lunga 
guerra,  tra  un'indole  focosa,  risentita,  e  una  volontà  oppo- 
sta, abitualmente  vittoriosa,  sempre  all'erta,  e  diretta  da 
motivi  e  da  ispirazioni  superiori.  Un  suo  confratello  ed  ami- 
co, che  lo  conosceva  bene,  1'  aveva  paragonato  a  quelle  parole 
troppo  espressive  nella  loro  forma  naturale,  che  alcuni,  an- 
che ben  educati,  pronunziano,  quando  la  passione  trabocca, 
smozzicate,  con  qualche  lettera  mutata;  parole  che  in  quel 
travisamento,  fanno  però  ricordare  della  loro  energia  pri- 
mitiva. 7> 

Se  una  poverella  sconosciuta,  nel  tristo  caso  di  Lucia, 
avesse  chiesto  l'aiuto  del  padre  Cristoforo,  egli  sarebbe  cor- 
so immediatamente.  Trattandosi  poi  di  Lucia,  accorse  con 
tanta  più  sollecitudine,  in  quanto  conosceva  e  ammirava  l'in- 
nocenza di  lei,  era  già  in  pensiero  per  i  suoi  pericoli,  e  sen- 
tiva un' indegnazione  santa,  per  la  turpe  persecuzione  della 
quale  era  divenuta  l' oggetto.  Oltre  di  ciò  avendola  consi- 
gliata, per  il  meno  male,  di  non  palesar  nulla,  e  di  star- 
sene quieta,  temeva  ora  che  il  consiglio  potesse  aver  prodot- 
to qualche  tristo  effetto;  e  alla  sollecitudine  di  carità,  ch'era 
in  lui  come  ingenita,  s'aggiungeva  in  questo  caso,  qu 
gustia  scrupolosa  che  spesso  tormenta  i  buoni. 

Manzoni.  4 


50  I   PROMESSI    SPOSI. 

Ma,  intanto  che  noi  siamo  stati  a  raccontare  i  fatti  del 
padre  Cristoforo,  è  arrivato,  s'è  affacciato  all'uscio;  e  le 
donne,  lasciando  il  manico  dell'aspo  che  facevan  girare  e 
stridere,  si  sono  alzate,  dicendo,  a  una  voce:  «o  padre 
Cristoforo!  sia  benedetto!» 


CAPITOLO  V. 

Il  qual  padre  Cristotoro  si  fermò  ritto  sulla  soglia,  e,  ap- 
pena ebbe  data  un'  occhiata  alle  donne,  dovette  accorgersi 
che  i  suoi  pressentimenti  non  eran  falsi.  Onde,  con  quel  to- 
no d' interrogazione  che  va  incontro  a  una  trista  risposta,  al- 
zando la  barba  con  un  moto  leggiero  della  testa  all'  indie- 
tro, disse:  «ebbene?»  Lucia  rispose  con  uno  scoppio  di 
pianto.  La  madre  cominciava  a  far  le  scuse  d'  aver  osato .... 
ma  il  frate  s'avanzò,  e,  messosi  a  sedere  sur  un  panchetto 
a  tre  piedi,  troncò  i  complimenti,  dicendo  a  Lucia:  «quie- 
tatevi, povera  figliuola.  E  voi,»  disse  poi  ad  Agnese,  «rac- 
contatemi cosa  c'è!»  Mentre  la  buona  donna  faceva  alla  me- 
glio la  sua  dolorosa  relazione,  il  frate  diventava  di  mille  co- 
lori, e  ora  alzava  gli  occhi  al  cielo,  ora  batteva  i  piedi. 
Terminata  la  storia,  si  coprì  il  volto  con  le  mani,  ed  escla- 
mò: «o  Dio  benedetto!  fino  a  quando !»  Ma,  senza  com- 
pir la  frase,  voltandosi  di  nuovo  alle  donne:  «poverette!» 
disse:  «Dio  vi  ha  visitate.    Povera  Lucia!» 

«Non  ci  abbandonerà,  padre?»  disse  questa,  singhiozzando. 

«Abbandonarvi!»  rispose.  «E  con  che  faccia  potrei  io 
chieder  a  Dio  qualcosa  per  me,  quando  v'avessi  abbandona- 
ta? voi  in  questo  stato!  voi,  ch'Egli  mi  confida!  Non  vi  per- 
dete d'animo:  Egli  v'assisterà:  Egli  vede  tutto:  Egli  può 
servirsi  anche  d'un  uomo  da  nulla  come  son  io,  per  confon- 
dere un  ...  .  Vediamo,  pensiamo  quel  che  si  possa  fare.» 

Così  dicendo,  appoggiò  il  gomito  sinistro  sul  ginocchio, 
chinò  la  fronte  nella  palma,  e  con  la  destra  strinse  la  barba 
e  il  mento,  come  per  tener  ferme  e  unite  tutte  le  potenze 
dell'  animo.  Ma  la  più  attenta  considerazione  non  serviva 
che  a  fargli  scorgere  più  distintamente  quanto  il  caso  fosse 
pressante  e  intrigato,  e  quanto  scarsi,  quanto  incerti  e  peri- 
colosi i  ripieghi.  —  Mettere  un  po'  di  vergogna  a  don  Ab- 
bondio, e  fargli  sentire  quanto  manchi  al  suo  dovere?  Ver- 
gogna e  dovere  sono  un  nulla  per  lui,  quando  ha  paura.  E 
fargli  paura?  Che  mezzi  ho  io  mai  di  fargliene  una  che  superi 
quella  che  ha  d'una  schioppettata?  Informar  di  tutto  il  car- 
dinale arcivescovo,  e  invocar  la  sua  autorità?   Ci  vuol  tempo: 


CAPITOLO    Ve  51 

e  intanto?  e  poi?  Quand'anche  questa  povera  innocente  fosse 
maritata,  sarebbe  questo  un  freno  per  quell'uomo?  Chi  sa 
a  qual  segno  possa  arrivare?  ....  E  resistergli?  Come?  Ah! 
se  potessi,  pensava  il  povero  frate,  se  potessi  tirar  dalla  mia 
i  miei  frati  di  qui,  que' di  Milano!  Ma!  non  è  un  affare  co- 
mune; sarei  abbandonato.  Costui  fa  l'amico  del  convento,  si 
spaccia  per  partigiano  de' cappuccini:  e  i  suoi  bravi  non  son 
venuti  più  d'una  volta  a  ricoverarsi  da  noi?  Sarei  solo  in 
ballo:  mi  buscherei  anche  dell'inquieto,  dell'imbroglione, 
dell'  accattabrighe;  e,  quel  eh'  è  più,  potrei  fors'  anche,  con 
un  tentativo  fuor  di  tempo,  peggiorar  la  condizione  di  que- 
sta poveretta.  —  Contrappesato  il  prò  e  il  contro  di  questo  e 
di  quel  partito,  il  migliore  gli  parve  d'  affrontar  don  Ro- 
drigo stesso,  tentar  di  smoverlo  dal  suo  infame  proposito, 
con  le  preghiere,  coi  terrori  dell'altra  vita,  anche  di  questa, 
se  fosse  possibile.  Alla  peggio,  si  potrebbe  almeno  cono- 
scere per  questa  via,  più  distintamente  quanto  colui  fosse 
ostinato  nel  suo  sporco  impegno,  scoprir  di  più  le  sue  inten- 
zioni, e  prender  consiglio  da  ciò. 

Mentre  il  frate  stava  così  meditando,  Renzo,  il  quale,  per 
tutte  le  ragioni  che  ognuno  può  indovinare,  non  sapeva  star 
lontano  da  quella  casa,  era  comparso  sull'uscio;  ma  visto 
il  padre  sopra  pensiero ,  e  le  donne  che  facevan  cenno  di 
non  disturbarlo,  si  fermò  sulla  soglia,  in  silenzio.  Alzando 
la  faccia  per  comunicare  alle  donne  il  suo  progetto,  il  frate 
s'accorse  di  lui,  e  lo  salutò  in  un  modo  ch'esprimeva  un' 
affezione  consueta,  resa  più  intensa  dalla  pietà. 

«Le  hanno  detto  .  .  .  .,  padre?»  gli  domandò  Renzo,  con 
voce  commossa. 

«Pur  troppo;  e  per  questo  son  qui.» 

«  Che  dice  di  quel  birbone  ....?» 

«Che  vuoi  ch'io  dica  di  lui?  Non  è  qui  a  sentire;  che 
gioverebbero  le  mie  parole?  dico  a  te,  il  mio  Renzo,  che  tu 
confidi  in  Dio,  e  che  Dio  non  t'  abbandonerà.» 

«Benedette  le  sue  parole!»  esclamò  il  giovane.  «Lei  non 
è  di  quelli  che  dan  sempre  torto  a'  poveri.  Ma  il  signor  cu- 
rato, e  quel  signor  dottore  della  cause  perse  . .  .  .» 

«Non  rivangare  quello  che  non  può  servire  ad  altro  che 
a  inquietarti  inutilmente.  Io  sono  un  povero  frate;  ma  ti  ri- 
peto quel  che  ho  detto  a  queste  donne:  per  quel  poco  che  pos- 
so, non  v'abbandonerò.» 

«Oh,  lei  non  è  come  gli  amici  del  mondo!  Ciarloni!  Chi 
avesse  creduto  alle  proteste  che  mi  facevan  costoro,  nel  buon 
tempo;  eh  eh!  Eran  pronti  a  dare  il  sangue  per  me;  m'avreb- 
bero sostenuto  contro  il  diavolo.  S' io  avessi  avuto  un  ne- 
mico? ....  bastava  che  mi  lasciassi  intendere;  avrebbe  finito 
presto   di   mangiar   pane.     E   ora,    se    vedesse  come   si  riti- 

4* 


52  I   PROMESSI    SPOSI. 

rano  .  ...»  A  questo  punto  alzando  gli  occhi  al  volto  del  pa- 
dre, vide  che  s1  era  tutto  rannuvolato,  e  s'  accorse  d'  aver  det- 
to ciò  che  conveniva  tacere.  Ma  volendo  raccomodarla,  s'  an- 
dava intrigando  e  imbrogliando:  «volevo  dire  .  .  .  non  intendo 
dire  .  .  .  cioè,  volevo  dire  ...» 

«Cosa  volevi  dire?  E  che?  tu  avevi  dunque  cominciato 
a  guastar  l'opera  mia,  prima  che  fosse  intrapresa!  buon  per 
te  che  sei  stato  disingannato  in  tempo.  Che  !  tu  andavi  in 
cerca  d'  amici  ....  quali  amici  !  .  .  .  che  non  t'  avrebber  potuto 
aiutare,  neppur  volendo!  E  cercavi  di  perder  Quel  solo  che 
lo  può  e  lo  vuole!  Xon  sai  tu  che  Dio  è  l'amico  de*  tri- 
bolati, che  confidano  in  Lui?  Xon  sai  tu  che,  a  metter  fuori 
l'unghie,  il  debole  non  ci  guadagna?  E  quando  pure  . ...» 
A  questo  punto,  afferrò  fortemente  il  braccio  di  Renzo  :  il  suo 
aspetto,  senza  perder  d'autorità,  s'atteggiò  d'una  compun- 
zione solenne,  gli  occhi  s'abbassarono,  la  voce  divenne  lenta 
e  come  sotterranea:  e  quando  pure  ....  è  un  terribile  guada- 
gno! Renzo!  vuoi  tu  confidare  in  me?  ....  che  dico  in  me, 
omiciattolo,  fraticello?     Vuoi  tu  confidare  in  Dio?» 

«Oh  sì!»  rispose  Renzo.       Quello  è  il  Signore  davvero.» 

«Ebbene;  prometti  che  non  affronterai,  che  non  provoche- 
rai nessuno,  che  ti  lascerai  guidar  da  me.  « 

«Lo  prometto.» 

Lucia  fece  un  gran  respiro,  come  se  le  avesser  levato  un 
peso  d'addosso;  e  Agnese  disse:  «bravo  figliuolo.» 

«Sentite,  figliuoli,»  riprese  fra  Cristoforo:  «io  anderò  og- 
gi a  parlare  a  queir  uomo.  Se  Dio  gli  tocca  il  cuore  e  dà 
forze  alle  mie  parole,  bene:  se  no,  Egli  ci  farà  trovare  qual- 
che altro  rimedio.  Voi  intanto,  statevi  quieti,  ritirati,  scan- 
sate le  ciarle,  non  vi  fate  vedere.  Stasera,  0  domattina  al 
più  tardi,  mi  rivedrete.»  Detto  questo,  troncò  tutti  i  ringra- 
ziamenti e  le  benedizioni,  e  partì.  S'  avviò  al  convento,  arrivò 
a  tempo  d'andare  in  coro  a  cantar  sesta,  desinò,  e  si  mise 
subito  in  cammino,  verso  il  covile  della  fiera  che  voleva  pro- 
varsi d*  ammansare. 

Il  palazzotto  di  don  Rodrigo  sorgeva  isolato,  a  somiglianza 
d'una  bicocca,  sulla  cima  d'uno  de' poggi  ond' è  sparsa  e  ri- 
levata quella  costiera.  A  questa  indicazione  l'anonimo  ag- 
giunge che  il  luogo  (avrebbe  fatto  meglio  a  scriverne  alla  buo- 
na il  nome)  era  più  in  su  del  paesello  degli  sposi,  discosto 
da  questo  forse  tre  miglia,  e  quattro  dal  convento.  Appiè  del 
poggio,  dalla  parte  che  guarda  a  mezzogiorno,  e  verso  il  la- 
go, giaceva  un  mucchietto  di  casupole,  abitate  da  contadini 
di  don  Rodrigo;  ed  era  come  la  piccola  capitale  del  suo  pic- 
col  regno.  Bastava  passarvi,  per  esser  chiarito  della  condi- 
zione e  de'  costumi  del  paese.  Dando  un'  occhiata  nelle 
stanze  terrene,  dove  qualche  uscio  fosse  aperto,  si  vedevano 
attaccati  al  muro  schioppi,  tromboni,  zappe,  rastrelli,  cappelli 


CAPITOLO  53 

di  paglia,  reticelle  e  fiaschetti  da  polvere,  alla  rinfusa.  La 
gente  che  vi  s' incontrava  erano  omacci  tarchiati  e  arcigni, 
con  un  gran  ciuffo  arrovesciato  sul  capo,  e  chiuso  in  una  re- 
ticella; vecchi  che,  perdute  le  zanne,  parevan  sempre  pronti, 
chi  nulla  nulla  gli  aizzasse,  a  digrignar  le  gengive;  donne  con 
certe  facce  maschie,  e  con  certe  braccia  nerborute,  buone  da  ve- 
nire in  aiuto  della  lingua,  quando  questa  non  bastasse:  ne'  sem- 
bianti e  nelle  mosse  de'  fanciulli  stessi,  che  giocavan  per  la  stra- 
da, si  vedeva  un  non  so  che  di  petulante  e  di  provocativo. 

Fra  Cristoforo  attraversò  il  villaggio,  salì  per  una  viuzza 
a  chiocciola,  e  pervenne  sur  una  piccola  spianata,  davanti  al 
palazzotto.  La  porta  era  chiusa,  segno  che  il  padrone  stava 
desinando,  e  non  voleva  esser  frastornato.  Le  rade  e  piccole 
finestre  che  davan  sulla  strada,  chiuse  da  imposte  sconnesse 
e  consunte  dagli  anni,  eran  però  difese  da  grosse  inferriate, 
e  quelle  del  pian  terreno  tant*  alte  che  appena  vi  sarebbe 
arrivato  un  uomo  sulle  spalle  d*  un  altro.  —  Regnava  quivi 
un  gran  silenzio;  e  un  passeggiero  avrebbe  potuto  credere 
che  fosse  una  casa  abbandonata,  se  quattro  creature,  due 
vive  e  due  morte,  collocate  in  simmetria,  di  fuori,  non  aves- 
ser  dato  un  indizio  d'abitanti.  Due  grand' avoltoi,  con  l'ali 
spalancate,  e  co'  teschi  penzoloni,  1'  nno  spennacchiato  e  mezzo 
roso  dal  tempo,  l'altro  ancor  saldo  e  pennuto,  erano  inchio- 
dati, ciascuno  sur  un  battente  del  portone;  e  due  bravi, 
sdraiati,  ciascuno  sur  una  delle  panche  poste  a  destra  e  a 
sinistra,  facevan  la  guardia,  aspettando  d'esser  chiamati  a 
goder  gli  avanzi  della  tavola  del  signore.  Il  padre  si  fermò 
ritto,  in  atto  di  chi  si  dispone  ad  aspettare;  ma  un  de' bravi 
s'alzò,  e  gli  disse:  «padre,  padre,  venga  pure  avanti:  qui  non 
si  fanno  aspettare  i  cappuccini:  noi  siamo  amici  del  convento: 
e  io  ci  sono  stato  in  certi  momenti  che  fuori  non  era  troppo 
buon'aria  per  me;  e  se  mi  avesser  tenuta  la  porta  chiusa, 
la  sarebbe  andata  male.»  Così  dicendo,  diede  due  picchi 
col  martello.  A  quel  suono  risposer  subito  di  dentro  gli  urli 
e  le  strida  di  mastini  e  di  cagnolini;  e,  pochi  momenti  dopo, 
giunse  borbottando  un  vecchio  servitore;  ma,  veduto  il  padre, 
gli  fece  un  grand' inchino ,  acquietò  le  bestie,  con  le  mani  e 
con  la  voce,  introdusse  l'ospite  in  un  angusto  cortile,  e  ri- 
chiuse la  porta.  Accompagnatolo  poi  in  un  salotto,  e  guar- 
dandolo con  una  cert' aria  di  maraviglia  e  di  rispetto,  disse: 
«non  è  lei  ....  il  padre  Cristoforo  di  Pescarenico?  > 

«Per  1'  appunto.  ^ 

«Lei  qui?» 

«Come  vedete,  buon  uomo.» 

«Sarà  per  far  del  bene.  Del  bene,»  continuò  mormoran- 
do tra  i  denti,  e  rincamminandosi,  «se  ne  può  far  per  tut- 
to.» Attraversati  due  o  tre  altri  salotti  oscuri,  arrivarono  al- 
l' uscio  della  sala  del  convito.    Quivi  un  gran  frastono  confuso 


54  I   PROMESSI    SPOSI. 

di  forchette,  di  coltelli,  di  bicchieri,  di  piatti,  e  sopra  tutto 
di  voci  discordi,  che  cercavano  a  vicenda  di  soverchiarsi.  Il 
frate  voleva  ritirarsi ,  e  stava  contrastando  dietro  1'  uscio  col 
servitore,  per  ottenere  d'  esser  lasciato  in  qualche  canto  della 
casa,  fin  che  il  pranzo  fosse  terminato;  quando  l'uscio  s'a- 
prì. Un  certo  conte  Attilio,  che  stava  seduto  in  faccia  (era 
un  cugino  del  padron  di  casa;  e  abbiam  già  fatto  menzione 
di  lui,  senza  nominarlo),  veduta  una  testa  rasa  e  una  tona- 
ca, e  accortosi  dell'intenzione  modesta  del  buon  frate,  «ehi! 
ehi!»  gridò:  «non  ci  scappi,  padre  riverito:  avanti,  avan- 
ti.» Don  Rodrigo,  senza  indovinar  precisamente  il  soggetto 
di  quella  visita,  pure,  per  non  so  qual  presentimento  confu- 
so, n'  avrebbe  fatto  di  meno.  Ma,  poiché  lo  spensierato  d'  At- 
tilio aveva  fatta  quella  gran  chiamata,  non  conveniva  a  lui 
di  tirarsene  indietro;  e  disse:  «venga,  padre,  venga.»  Il  pa- 
dre s'avanzò,  inchinandosi  al  padrone,  e  rispondendo,  a  due 
mani,  ai  saluti  de'  commensali. 

/L'uomo  onesto  in  faccia  al  malvagio,  piace  generalmente 
(non  dico  a  tutti)  immaginarselo  con  la  fronte  alta,  con  lo 
sguardo  sicuro,  col  petto  rilevato,  con  lo  scilinguagnolo  bene 
sciolto.  Nel  fatto  però,  per  fargli  prender  queir  attitudine,  si 
richiedon  molte  circostanze ,  le  quali  ben  di  rado  si  riscon- 
trano insieme.  Perciò,  non  vi  maravigliate  se  fra  Cristoforo, 
col  buon  testimonio  della  sua  coscienza,  col  sentimento  fer- 
missimo della  giustizia  della  causa  che  veniva  a  sostenere, 
con  un  sentimento  misto  d'  orrore  e  di  compassione  per  don 
Rodrigo,  stesse  con  una  cert'  aria  di  suggezione  e  di  rispetto, 
alla  presenza  di  quello  stesso  don  Rodrigo  eh'  era  lì  in  capo 
di  tavola,  in  casa  sua,  nel  suo  regno,  circondato  d'amici, 
d' omaggi ,  di  tanti  segni  della  sua  potenza ,  con  un  viso  da 
far  morire  in  bocca  a  chi  si  sia  una  preghiera,  non  che  un 
consiglio,  non  che  una  correzione,  non  che  un  rimprovero. 
Alla  sua  destra  sedeva  quel  conte  Attilio  suo  cugino,  e  se 
fa  bisogno  di  dirlo,  suo  collega  di  libertinaggio  e  di  sover- 
chieria, il  quale  era  venuto  da  Milano  a  villeggiare,  per  al- 
cuni giorni,  con  lui.  A  sinistra,  e  a  un  altro  lato  della  ta- 
vola, stava,  con  gran  rispetto,  temperato  però  d'una  certa 
sicurezza,  e  d'una  certa  saccenteria,  il  signor  podestà,  quel 
medesimo  a  cui,  in  teoria,  sarebbe  toccato  a  far  giustizia  a 
Renzo  Tramaglino,  e  a  fare  star  a  dovere  don  Rodrigo,  come 
s'è  visto  di  sopra.  In  faccia  al  podestà,  in  atto  d'un  ri- 
spetto il  più  puro ,  il  più  sviscerato ,  sedeva  il  nostro  dottor 
Azzecca-garbugli,in  cappa  nera,  e  col  naso  più  rubicondo  del 
solito:  in  faccia  ai  due  cugini,  due  convitati  oscuri,  de' quali 
la  nostra  storia  dice  soltanto  che  non  facevano  altro  che  man- 
giare, chinare  il  capo,  sorridere  e  approvare  ogni  cosa  che 
dicesse  un  commensale,   e  a  cui  un  altro  non  contraddicesse. 


CAPITOLO    V.  55 

«Da  sedere  al  padre,»  disse  don  Rodrigo.  Un  servitore 
presentò  una  sedia,  sulla  quale  si  mise  il  padre  Cristoforo, 
facendo  qualche  scusa  ai  signore,  d'  esser  venuto  in  ora  inop- 
portuna. «Bramerei  di  parlarle  da  solo  a  solo,  con  suo  co- 
modo, per  un  affare  d'importanza,»  soggiunse  poi,  con  voce 
più  sommessa,  all'  orecchio  di  don  Rodrigo. 

«Bene,  bene,  parleremo:»  rispose  questo:  «ma  intanto  si 
porti  da  bere  al  padre.» 

Il  padre  voleva  schermirsi:  ma  don  Rodrigo,  alzando  la 
voce,  in  mezzo  al  trambusto  ch'era  ricominciato,  gridava: 
«no,  per  bacco,  non  mi  farà  questo  torto;  non  sarà  mai 
vero  che  un  cappuccino  vada  via  da  questa  casa,  senza  aver 
gustato  del  mio  vino,  né  un  creditore  insolente,  senza  aver 
assaggiate  le  legna  de"  miei  boschi  »  Queste  parole  eccitarono 
un  riso  universale,  e  interruppero  un  momento  la  questione 
che  s' agitava  caldamente  tra  i  commensali.  Un  servitore, 
portando  sur  una  sottocoppa  un'  ampolla  di  vino ,  e  un  lungo 
bicchiere  in  forma  di  calice,  la  presentò  al  padre:  il  quale, 
non  volendo  resistere  a  un  invito  tanto  pressante  dell'  uomo 
che  gli  premeva  tanto  di  farsi  propizio,  non  esitò  a  mesce- 
re, e  si  mise  a  sorbir  lentamente  il  vino. 

«L'autorità  del  Tasso  non  serve  al  suo  assunto,  signor 
podestà  riverito:  anzi  è  contro  di  lei;»  riprese  a  urlare  il 
conte  Attilio:  «perchè  quell'uomo  erudito,  quell'uomo  gran- 
de, chesapeva  a  menadito  tutte  le  regole  della  cavalleria,  ha  fat- 
to che  il  messo  d' Argante ,  prima  d'  esporre  la  sfida  ai  ca- 
valieri cristiani,  chieda  licenza  al  pio  Buglione  ....  » 

'Ma  questo,»  replicava,  non  meno  urlando,  il  podestà, 
«questo  è  un  di  più,  un  mero  di  più,  un  ornamento  poe- 
tico, giacché  il  messaggiero  è  di  sua  natura  inviolabile,  per 
diritto  delle  genti,  jure  gentium:  e,  senza  andar  tanto  a  cer- 
care, lo  dice  anche  il  proverbio:  ambasciator  non  porta  pe- 
na. E,  i  proverbi,  signor  conte,  sono  la  sapienza  del  genere 
umano.  E,  non  avendo  il  messaggiero  detto  nulla  in  suo  proprio 
nome,  ma  solamente  presentata  la  sfida  in  iscritto  ....  » 

«Ma  quando  vorrà  capire  che  quel  messaggiero  era  un 
asino  temerario,  che  non  conosceva  le  prime  ....?» 

«Con  buona  licenza  di  lor  signori,»  interruppe  don  Ro- 
drigo ,  il  quale  non  avrebbe  voluto  che  la  questione  andasse 
troppo  avanti:  «rimettiamola  nel  padre  Cristoforo;  e  si  stia 
alla  sua  sentenza.» 

«Bene,  benissimo,»  disse  il  conte  Attilio,  al  quale  parve 
cosa  molto  garbata  il  far  decidere  un  punto  di  cavalleria  da 
un  cappuccino;  mentre  il  podestà,  più  infervorato  di  cuore 
nella  questione,  si  chetava  a  stento,  e  con  un  certo  viso, 
che  pareva  volesse  dire:  ragazzate. 


bb  I   PROMESSI    SPOST. 

cMa,  da  quel  che  mi  parve  d'aver  capito,»  disse  il  pa 
dre,  cnon  son  cose  di  cui  io  mi  deva  intendere.» 

«Solite  scuse  di  modestia  di  loro  padri;»  disse  don  Ro- 
drigo: «ma  non  mi  scapperà.  Eh  via!  sappiam  bene  che  lei 
non  è  venuta  al  mondo  col  cappuccio  in  capo ,  e  che  il  mon- 
do l'ha  conosciuto.     Via,  via:  ecco  la  questione.» 

(Il  fatto  è  questo;»   cominciava  a  gridare  il  conte  Attilio. 

«Lasciate  dir  a  me,  che  son  neutrale,  cugino,»  riprese 
don  Rodrigo.  ((Ecco  la  storia.  Un  cavaliere  spagnuolo  man- 
da una  sfida  a  un  cavaliere  milanese:  il  portatore,  non  trovan- 
do il  provocato  in  casa,  consegna  il  cartello  a  un  fratello  del 
cavaliere:  il  qual  fratello  legge  la  sfida,  e  in  risposta  dà  al- 
cune bastonate  al  portatore.     Si  tratta  .  .  .  .» 

«Ben  date,  ben  applicate,»  gridò  il  conte  Attilio.  «Fu 
una  vera  ispirazione.» 

«Del  demonio,»  soggiunse  il  podestà.  «Battere  un  am- 
basciatore! persona  sacra!  Anche  lei  padre,  mi  dirà  se  que- 
sta è  azione  da  cavaliere.» 

«Sì,  signore,  da  cavaliere,»  gridò  il  conte:  «e  lo  lasci 
dire  a  me,  che  devo  intendermi  di  ciò  che  conviene  a  un 
cavaliere.  Oh,  se  fossero  stati  pugni,  sarebbe  un'altra  fac- 
cenda; ma  il  bastone  non  isporca  le  mani  a  nessuno.  Quello 
che  non  posso  capire  è  perchè  le  premano  tanto  le  spalle 
d'un  mascalzone.» 

«Chi  le  ha  parlato  delle  spalle,  signor  conte  mio?  Lei 
mi  fa  dire  spropositi  che  non  mi  son  mai  passati  per  la 
mente.  Ho  parlato  del  carattere,  e  non  di  spalle,  io.  Parlo 
sopra  tutto  del  diritto  delle  genti.  Mi  dica  un  poco,  di  gra- 
zia, se  i  feciali  che  gli  antichi  Romani  mandavano  a  intimar 
le  sfide  agli  altri  popoli,  chiedevan  licenza  d'esporre  l'am- 
basciata: e  mi  trovi  un  poco  uno  scrittore  che  faccia  menzio- 
ne che  un  feciale  sia  mai  stato  bastonato.» 

(Che  hanno  a  far  con  noi  gli  ufiziali  degli  antichi  Ro- 
mani? gente  che  andava  alla  buona,  e  che  in  queste  cose,  era 
indietro,  indietro.  Ma,  secondo  le  leggi  della  cavalleria  mo- 
derna, eh' è  la  vera,  dico  e  sostengo  che  un  messo  il  quale 
ardisce  di  porre  in  mano  a  un  cavaliere  una  sfida,  senza  aver- 
gliene chiesta  licenza,  è  un  temerario,  violabile  violabilissi- 
mo, bastonabile  bastonabilissimo  .  .  .  .» 

«Risponda  un  poco  a  questo  sillogismo.» 

«Niente,  niente,  niente.» 

«Ma  ascolti,  ma  ascolti,  ma  ascolti.  Percotere  un  disar- 
mato è  atto  proditorio;  atqiti  il  messo  de  quo  era  senz'ar- 
me ;  ergo  ....  » 

«Piano,  piano,  signor  podestà.» 

«Che  piano?» 

<  Piano,  le  dico:   cosa  mi   viene  a  dire?     Atto  proditorio 


CAPITOLO    V.  57 

è  ferire  uno  con  la  spada,  per  di  dietro,  o  dargli  una  schiop- 
pettata nella  schiena:  e,  anche  per  questo,  si  possono  dar 
certi  casi  ....  ma  stiamo  nella  questione.  Concedo  che  que- 
sto generalmente  possa  chiamarsi  atto  proditorio:  ma  appog- 
giar quattro  bastonate  a  un  mascalzone!  Sarebbe  bella  che 
si  dovesse  dirgli:  guarda  che  ti  bastono:  come  si  direbbe  a 
un  galantuomo:  mano  alla  spada.  —  E  lei,  signor  dottor  ri- 
verito, in  vece  di  farmi  de'  sogghigni,  per  farmi  capire 
eh' è  del  mio  parere,  perchè  non  sostiene  le  mie  ragioni, 
con  la  sua  buona  tabella,  per  aiutarmi  a  persuader  questo 
signore?» 

«  Io  .  .  .  .  »  rispose  confusetto  il  dottore:  «io  godo  di 
questa  dotta  disputa;  e  ringrazio  il  beli' accidente  che  ha  dato 
occasione  a  una  guerra  d' ingegni  così  graziosa.  E  poi,  a  me 
non  compete  di  dar  sentenza:  sua  signoria  illustrissima  ha 
già  delegato  un  giudice  ....  qui  il  padre  .  .  .  .» 

«È  vero;»  disse  don  Rodrigo:  «ma  come  volete  che  il 
giudice  parli,  quando  i  litiganti  non  vogliono  stare  zitti?» 

«Ammutolisco,»  disse  il  conte  Attilio.  Il  podestà  strinse 
le  labbra,  e  alzò  la  mano,  come  in  atto  di  rassegnazione. 

«Ah  sia  ringraziato  il  cielo!  A  lei,  padre,»)  disse  don 
Rodrigo,  con  una  serietà  mezzo  canzonatoria. 

«Ho  già  fatte  le  mie  scuse,  col  dire  che  non  me  n'inten- 
do,» rispose  fra  Cristoforo,  rendendo  il  bicchiere  a  un  ser- 
vitore. 

«Scuse  magre»  gridarono  i  due  cugini;  «vogliamo  la 
sentenza.  » 

«Quand'è  così,»  riprese  il  frate,  «il  mio  debole  parere 
sarebbe  che  non  vi  fossero  né  sfide,  né  portatori,  né  ba- 
stonate.» 

I  commensali   si   guardarono  1'  un  con  V  altro  maravigliati. 

«Oh  questa  è  grossa!»  disse  il  conte  Attilio.  «Mi  per- 
doni, padre,  ma  è  grossa.  Si  vede  che  lei  non  conosce  il 
mondo.» 

.■Lui?»  disse  don  Rodrigo:  «me  lo  volete  far  ridire:  lo 
conosce,  cugino  mio,  quanto  voi:  non  è  vero,  padre?  Dica, 
dica,  se  non  ha  fatta  la  sua  carovana?» 

In  vece  di  rispondere  a  quest'  amorevole  domanda,  il  pa- 
dre disse  una  parolina  in  segreto  a  sé  medesimo:  —  queste 
vengono  a  te;  ma  ricordati,  frate,  che  non  sei  qui  per  te, 
e  che  tutto  ciò  che  tocca  te  solo,  non  entra  nel  conto. 

«Sarà,»  disse  il  cugino:  «ma  il  padre  ....  come  si  chia- 
ma il  padre?» 

«Padre  Cristoforo»  rispose  più  d'uno. 

«Ma,  padre  Cristoforo,  padron  mio  colendissimo,  con  que- 
ste sue  massime,  lei  vorrebbe  mandare  il  mondo  sottosopra. 
Senza  sfide!     Senza  bastonate!     Addio  il  punto  d'  onore:  im- 


58  I    PROMESSI    SPOSI. 

punita  per  tutti  i  mascalzoni.    Per  buona  sorte  che  il  suppo- 
sto è  impossibile.» 

«Animo,  dottore,»  scappò  fuori  don  Rodrigo,  che  voleva 
sempre  più  divertire  la  disputa  dai  due  primi  contendenti, 
«animo,  a  voi,  che,  per  dar  ragione  a  tutti,  siete  un  uomo. 
Vediamo  un  poco  corno  farete  per  dar  ragione  in  questo  al 
padre  Cristoforo.» 

«In  verità,»  rispose  il  dottore,  tenendo  brandita  in  aria 
la  forchetta,  e  rivolgendosi  al  padre,  «in  verità  io  non  so 
intendere  come  il  padre  Cristoforo,  il  quale  è  insieme  il  per- 
fetto religioso  e  Y  uomo  di  mondo ,  non  abbia  pensato  che  la 
sua  sentenza,  buona,  ottima  e  di  giusto  peso  sul  pulpito, 
non  vai  niente,  sia  detto  col  dovuto  rispetto,  in  una  disputa 
cavalleresca.  Ma  il  padre  sa,  meglio  di  me,  che  ogni  cosa 
è  buona  a  suo  luogo;  e  io  credo  che,  questa  volta,  abbia 
voluto  cavarsi,  con  una  celia,  dall'impiccio  di  proferire  una 
sentenza.» 

Che  si  poteva  mai  rispondere  a  ragionamenti  dedotti  da 
una  sapienza  così  antica,  e  sempre  nuova?  Niente:  e  così 
fece  il  nostro  frate. 

Ma  don  Rodrigo,  per  voler  troncare  quella  questione,  ne 
venne  a  suscitare  un'altra.  «A  proposito.»  disse,  «ho  sen- 
tito che  a  Milano  correvan  voci  d'accomodamento.» 

Il  lettore  sa  che  in  quell'  anno  si  combatteva  per  la  suc- 
cessione al  ducato  di  Mantova,  del  quale,  alla  morte  di  Vin- 
cenzo Gonzaga,  che  non  aveva  lasciata  prole  legittima,  era 
entrato  in  possesso  il  duca  di  Xevers,  suo  parente  più  pros- 
simo. Luigi  XIII,  ossia  il  cardinale  di  Richelieu,  sosteneva 
quel  principe,  suo  ben  affetto,  e  naturalizzato  francese:  Fi- 
lippo IV,  ossia  il  conte  d;  Olivares,  comunemente  chiamato 
il  conte  duca,  non  lo  voleva  lì,  per  le  stesse  ragioni;  e  gli 
aveva  mosso  guerra.  Siccome  poi  quel  ducato  era  feudo  del- 
l'impero,  così  le  due  parti  s'adoperavano,  con  pratiche,  con 
istanze,  con  minacce,  presso  l' imperator  Ferdinando  É,  la 
prima  perchè  accordasse  l'investitura  al  nuovo  duca;  la  se- 
conda perchè  gliela  negasse,  anzi  aiutasse  a  cacciarlo  da 
quello  stato. 

«Non  son  lontano  dal  credere,»  disse  il  conte  Attilio, 
i  che  le  cose  si  possano  accomodare.    Ho  certi  indizi  .  .  .  .» 

«Xon  creda,  signor  conte,  non  creda,»  interruppe  il  po- 
destà. «Io,  in  questo  cantuccio,  posso  saperle  le  cose;  per- 
chè il  signor  castellano  spagnolo,  che,  per  sua  bontà,  mi 
vuole  un  po' di  bene,  e  per  esser  figliuolo  d'un  creato  del 
conte  duca,  è  informato  d'  ogni  cosa  .  .  .  .» 

«Le  dico  che  a  me  accade  ogni  giorno  di  parlare  in  Mi- 
lano  con   ben   alti   personaggi;    e   so    di   buon  luogo   che  il 


CAPITOLO    V.  59 

papa,  interessatissimo,  com'è,  per  la  pace,  ha  fatto  propo- 
sizioni .  .  .  .» 

«Così  dev'essere;  la  cosa  è  in  regola;  sua  santità  fa  il 
suo  dovere;  un  papa  deve  sempre  metter  bene  tra  i  prin- 
cipi cristiani;  ma  il  conte  duca  ha  la  sua  politica,  e  .  .  . .» 

«E,  e,  e;  sa  lei,  signor  mio,  come  la  pensi  l'imperatore, 
in  questo  momento?  Crede  lei  che  non  ci  sia  altro  che  Man- 
tova a  questo  mondo?  Le  cose  a  cui  si  deve  pensare  son 
molte,  signor  mio.  Sa  lei,  per  esempio,  fino  a  che  segno 
l' imperatore  possa  ora  fidarsi  di  quel  suo  principe  di  Yaldi- 
stano  o  di  Vallistai,  o  come  lo  chiamano,  e  se  ...... 

«Il  nome  legittimo  in  lingua  alemanna."  interruppe  an- 
cora il  podestà,  «è  Yagliensteino,  come  1"  ho  sentito  profe- 
rir più  volte  dai  nostro  signor  castellano  spagnolo.  Ma  stia 
pur  di  buon  animo,  che  .  .  .  .» 

«Mi  vuole  insegnare  ....?»  riprendeva  il  conte;  ma  don 
Rodrigo  gii  die  d'occhio,  per  fargli  intendere  che,  per  amor 
suo,  cessasse  di  contraddire.  Il  conte  tacque,  e  il  podestà, 
come  un  bastimento  disimbrogliato  da  una  secca,  continuò, 
a  vele  gonfie,  il  corso  della  sua  eloquenza.  «Yagliensteino 
mi  dà  poco  fastidio;  perchè  il  conte  duca  ha  l'occhio  a  tut- 
to, e  per  tutto;  e  se  Yagliensteino  vorrà  fare  il  bell'umore, 
saprà  ben  lui  farlo  rigar  diritto,  con  le  buone,  o  con  le  cat- 
tive. Ha  l'occhio  per  tutto,  dico,  e  le  mani  lunghe;  e,  se 
ha  fisso  il  chiodo,  come  l'ha  fisso,  e  giustamente,  da  quel 
gran  politico  che  è,  che  il  signor  duca  di  Nìvers  non  metta 
le  radici  in  Mantova,  il  signor  duca  di  Nivers  non  ce  le  met- 
terà; e  il  signor  cardinale  di  Riciliù  farà  un  buco  nell'acqua. 
Mi  fa  pur  ridere  quel  caro  signor  cardinale,  a  voler  cozzare 
con  un  conte  duca,  con  un  Olivares.  Dico  il  vero,  che  vor- 
rei rinascere  di  qui  a  dugent'  anni ,  per  sentir  cosa  diranno 
i  posteri,  di  questa  bella  pretensione.  Ci  vuol  altro  che  in- 
vidia; testa  vuol  essere:  e  teste  come  la  testa  d'un  conte  du- 
ca, ce  n' è  una  sola  al  mondo.  Il  conte  duca,  signori  miei,» 
proseguiva  il  podestà,  sempre  col  vento  in  poppa,  e  un 
po'  maravigliato  anche  lui  di  non  incontrar  mai  uno  scoglio  : 
«Il  conte  duca  è  una  volpe  vecchia,  parlando  col  dovuto  ri- 
spetto, che  farebbe  perder  la  traccia  a  chi  si  sia:  e,  quando 
accenna  a  destra,  si  può  esser  sicuri  che  batterà  a  sinistra: 
ond'  è  che  nessuno  può  mai  vantarsi  di  conoscere  i  suoi  di- 
segni; e  quegli  stessi  che  devon  metterli  in  esecuzione,  que- 
gli stessi  che  scrivono  i  dispacci,  non  ne  capiscon  niente.  Io 
posso  parlare  con  qualche  cognizion  di  causa;  perchè  quel 
brav'  uomo  del  signor  castellano  si  degna  di  trattenersi  meco, 
con  qualche  confidenza.  Il  conte  duca,  viceversa,  sa  appun- 
tino cosa  bolle  in  pentola  di  tutte  V  altre  corti;  e  tutti  que'  po- 
liticoni (che  ce  n'  è   di  diritti  assai,  non  si  può  negare)  han- 


60  i  promessi  srosi. 

no  appena  immaginato  un  disegno,  che  il  conte  duca  te  l'ha 
già  indovinato,  con  quella  sua  testa,  con  quelle  sue  strade  co- 
perte, con  quo' suoi  fili  tesi  per  tutto.  Quel  poveruomo  del 
cardinale  di  Riciliù  tenta  di  qua,  fiuta  di  là,  suda,  s'inge- 
gna: e  poi?  quando  gli  è  riuscito  di  scavare  una  mina,  trova 
la  contrammina  già  beli'  e  fatta  dal  conte  duca  .  . .  .» 

Sa  il  cielo  quando  il  podestà  avrebbe  preso  terra;  ma  don 
Rodrigo,  stimolato  anche  da' versacci  che  faceva  il  cugino,  si 
voltò  ali*  improvviso,  come  se  gli  venisse  un"  ispirazione,  a  un 
servitore,  e  gli  accennò  che  portasse  un  certo  fiasco.  _  «Si- 
gnor podestà,  e  signori  miei!»  disse  poi:  «un  brindisi  al 
conte  duca;  e  mi  sapranno  dire  se  il  vino  sia  degno  del  per- 
sonaggio.» Il  podestà  rispose  con  un  inchino,  nel  quale  tra- 
spariva un  sentimento  di  riconoscenza  particolare;  perchè 
tutto  ciò  che  si  faceva  o  si  diceva  in  onore  del  conte  duca,  lo 
riteneva  in  parte  come  fatto  a  sé. 

«Viva  mill'  anni  don  Gasparo  Guzman,  conte  d' Olivares, 
duca  di  san  Lucar,  gran  privato  del  re  don  Filippo  il  grande, 
nostro  signore!»  esclamò  alzando  il  bicchiere. 

Privato,  chi  non  lo  sapesse,  era  il  termine  in  uso,  a 
que'  tempi,  per  significare  il  favorito  d'  un  principe. 

dViva  mill'anni!»  risposer  tutti. 

(Servite  il  padre,»  disse  don  Rodrigo. 

«Mi  perdoni:»  rispose  il  padre:  «ma  ho  già  fatto  un  dis- 
ordine, e  non  potrei  .  .  .  .» 

..Come!»  disse  don  Rodrigo:  «si  tratta  d'un  brindisi  al 
conte  duca.  Vuol  dunque  far  credere  eh'  ella  tenga  dai  na- 
va  ri-ini?» 

Così  si  chiamavano  allora,  per  ischerno,  i  Francesi,  dai 
principi  di  Navarra,  che  avevan  cominciato  con  Enrico  IV,  a 
regnar  sopra  di  loro. 

A  tale  scongiuro,  convenne  bere.  Tutti  i  commensali  pro- 
ruppero in  esclamazioni,  e  in  elogi  del  vino;  fuor  che  il  dot- 
tore, il  quale,  col  capo  alzato,  con  gli  occhi  fissi,  con  le  lab- 
bra strette,  esprimeva  molto  più  che  non  avrebbe  potuto  far 
con  parole. 

«Che  ne  dite  eh,  dottore?»  domandò  don  Rodrigo. 

Tirato  fuor  del  bicchiere  un  naso  più  vermiglio  e  più  lu- 
cente di  quello,  il  dottore  rispose  battendo  con  enfasi  ogni 
sillaba:  «dico,  proferisco  e  sentenzio  che  questo  è  1' Olivares 
de' vini:  censui ,  et  in  eam  ivi  sententiam.  che  un  liquor  si- 
mile non  si  trova  in  tutti  i  ventidue  regni  del  re  nostro  si- 
gnore, che  Dio  guardi:  dichiaro  e  definisco  che  i  pranzi  del- 
l' illustrissimo  signor  don  Rodrigo  vincono  le  cene  d'  Elioga- 
balo;  e  che  la  carestia  è  bandita  e  confinata  in  perpetuo  da 
questo  palazzo,  dove  siede  e  regna  la  splendidezza.» 


CAPITOLO    V.  61 

«Ben  detto!  ben  definito! »  gridarono,  a  una  voce,  i  com- 
mensali, ma  quella  parola,  carestia,  che  il  dottore  aveva  but- 
tata fuori  a  caso,  rivolse  in  un  punto  tutte  le  menti  a  quel 
tristo  soggetto;  e  tutti  parlarono  della  carestia.  Qui  andavan 
tutti  d'accordo,  almeno  nel  principale;  ma  il  fracsàso  era 
forse  più  grande  che  se  ci  fosse  stato  disparere.  Parlavan 
tutti  insieme.  «Xon  c'è  carestia,»  diceva  uno:  «sono  gl'in- 
cettatori ....  » 

«E  i  fornai;"  diceva  un  altro:  «  che  nascondono  il  grano. 
Impiccarli.» 

«Appunto:  impiccarli  senza  misericordia.» 

«De' buoni  processi,»  gridava  il  podestà. 

■Che  processi?»  gridava  più  forte  il  conte  Attilio:  «giu- 
stizia summaria.  Pigliarne  tre  o  quattro  o  cinque  o  sei ,  di 
quelli  che,  per  voce  pubblica,  son  conosciuti  come  i  più  ric- 
chi e  i  più  cani,  e  impiccarli.» 

«Esempi!  esempi!  senza  esempi  non  si  fa  nulla.» 

"Impiccarli!  impiccarli!  e  salterà  fuori  grano  da  tutte  le 
parti.  » 

Chi,  passando  per  una  fiera,  s'è  trovato  a  goder  l'armo- 
nia che  fa  una  compagnia  di  cantambanchi,  quando  tra  una 
sonata  e  l'altra,  ognuno  accorda  il  suo  stromento,  facendolo 
stridere  quanto  più  può ,  affine  di  sentirlo  distintamente ,  in 
mezzo  al  rumore  degli  altri,  s' immagini  che  tale  fosse  la  con- 
sonanza di  quei,  se  si  può  dire  discorsi.  S'andava  intanto 
mescendo  e  rimescendo  di  quel  tal  vino;  e  le  lodi  di  esso  ve- 
nivano, com'  era  giusto,  frammischiate  alle  sentenze  di  giuris- 
prudenza economica:  sicché  le  parole  che  s'  udivan  più  sonore 
e  più  frequenti  erano:  ambrosia  e  impiccarli. 
yi  Don  Ptodrigo  intanto  dava  dell'  occhiate  al  solo  che  stava 
zitto;  e  lo  vedeva  sempre  lì  fermo,  senza  dar  segno  d'im- 
pazienza né  di  fretta,  senza  far  atto  che  tendesse  a  ricordare 
che  stava  aspettando;  ma  in  aria  di  non  voler  andarsene, 
prima  d'  essere  stato  ascoltato.  L'  avrebbe  mandato  a  spasso 
volentieri,  e  fatto  di  meno  di  quel  colloquio;  ma  congedare  un 
cappuccino,  senza  avergli  dato  udienza,  non  era  secondo  le 
regole  della  sua  politica.  Poiché  la  seccatura  non  si  poteva 
scansare,  si  risolvette  d'affrontarla  subito,  e  di  liberarsene; 
s'alzò  da  tavola,  e  seco  tutta  la  rubiconda  brigata,  senza  in- 
terrompere il  chiasso.  Chiesta  poi  licenza  agli  ospiti,  s' avvi- 
cinò, in  atto  contegnoso,  al  frate,  che  s'  era  subito  alzato  con 
gli  altri;  gli  disse:  «eccomi  a' suoi  comandi;»  e  lo  condusse 
in  un'  altra  sala. 


62  1   PBOMESSI    SPOSI. 


CAPITOLO  VI. 

•  In  che  posso  ubbidirla?»  disse  don  Rodrigo  piantandosi 
in  piedi  nel  mezzo  della  sala.  Il  suono  delle  parole  era  tale; 
ma  il  modo  con  cui  eran  proferite,  voleva  dir  chiaramente, 
bada  a  chi  sei  davanti,  pesa  le  parole,  e  sbrigati. 

Per  dar  coraggio  al  nostro  fra  Cristoforo,  non  e'  era  mez- 
zo più  sicuro  e  più  spedito,  che  prenderlo  con  maniera  arro- 
gante. Egli  che  stava  sospeso,  cercando  le  parole,  e  facendo 
scorrere  tra  le  dita  le  ave  marie  della  corona  che  teneva  a 
cintola,  come  se  in  qualcheduna  di  quelle  sperasse  di  trovare 
il  suo  esordio;  a  quel  fare  di  don  Rodrigo,  si  sentì  subito 
venir  sulle  labra  più  parole  del  bisogno.  Ma  pensando  quanto 
importasse  di  non  guastare  i  fatti  suoi  o,  ciò  ch'era  assai 
più,  i  fatti  altrui,  corresse  e  temperò  le  frasi  che  gli  si  eran 
presentate  alla  mente,  e  disse  con  guardinga  umiltà:  «vengo 
a  proporle  un  atto  di  giustizia,  a  pregarla  d'una  carità. 
Cert' uomini  di  mal  affare  hanno  messo  innanzi  il  nome  di 
vossignoria  illustrissima,  per  far  paura  a  un  povero  curato,  e 
impedirgli  di  compire  il  suo  dovere,  e  per  soverchiare  due 
innocenti.  Lei  può,  con  una  parola,  confonder  coloro,  resti- 
tuire al  diritto  la  sua  forza,  e  sollevar  quelli  a  cui  è  fatta  una 
così  crudel  violenza.  Lo  può:  e  potendolo  ....  la  coscienza, 
l' onore  .  .  .  .» 

«Lei  mi  parlerà  della  mia  coscienza,  quando  verrò  a  con- 
fessarmi da  lei.  In  quanto  al  mio  onore,  ha  da  sapere  che 
il  custode  ne  son  io,,  e  io  solo;  e  che  chiunque  ardisce  en- 
trare a  parte  con  me  di  questa  cura,  lo  riguardo  come  il  te- 
merario che  V  offende.» 

Fra  Cristoforo,  avvertito  da  queste  parole  che  quel  signore 
cercava  di  tirare  al  peggio  le  sue,  per  volgere  il  discorso  in 
contesa,  e  non  dargli  luogo  di  venire  alle  strette,  s'impegnò 
tanto  più  alla  sofferenza,  risolvette  di  mandar  giù  qualunque 
cosa  piacesse  all'altro  di  dire,  e  rispose  subito,  con  un  tono 
sommesso:  «se  ho  detto  cosa  che  le  dispiaccia,  è  stato  certa- 
mente contro  la  mia  intenzione.  Mi  corregga  pure,  mi  ripren- 
da,  se  non  so  parlare  come  si  conviene;  ma  si  degni  ascol- 
tarmi. Per  amor  del  cielo,  per  quel  Dio,  al  cui  cospetto  dob- 
biam  tutti  comparire  ...»  e,  così  dicendo,  aveva  preso  tra  le 
dita,  e  metteva  davanti  agli  occhi  del  suo  accigliato  ascolta- 
tore il  teschietto  di  legno  attaccato  alla  sua  corona,  «non 
s'ostini  a  negare  una  giustizia  così  facile,  e  cosi  dovuta  a 
de*  poverelli.  Pensi  che  Dio  ha  sempre  gli  occhi  sopra  di 
loro,  e  che  le  loro  grida,  i  loro  gemiti  sono  ascoltati  lassù. 
L'innocenza  è  potente  al  suo > 


CAPITOLO    VI.  63 

«Eh,  padre!»  interruppe  bruscamente  don  Rodrigo:  «il 
rispetto  ch'io  porto  al  suo  abito  è  grande:  ma  se  qualche 
cosa  potesse  farmelo  dimenticare,  sarebbe  il  vederlo  indosso 
a  uno  che  ardisse  di  venire  a  farmi  la  spia  in  casa.» 

Questa  parola  fece  venir  le  fiamme  sul  viso  del  frate:  il 
quale  però,  col  sembiante  di  chi  inghiottisce  una  medicina 
molto  amara,  riprese:  «lei  non  crede  che  un  tal  titolo  mi  si 
convenga.  Lei  sente,  in  cuor  suo,  che  il  passo  ch'io  fo  ora 
qui,  non  è  né  vile  né  spregevole.  M'ascolti,  signor  don  Ro- 
drigo; e  voglia  il  cielo  che  non  venga  un  giorno  in  cui  si 
penta  di  non  avermi  ascoltato.  Non  voglia  metter  la  sua  glo- 
ria ...  .  qual  gloria,  signor  don  Rodrigo!  qual  gloria  dinanzi 
agli  uomini!  E  dinanzi  a  Dio!  Lei  può  molto  quaggiù; 
ma  . . . .» 

«Sa  lei,»  disse  don  Rodrigo,  interrompendo,  con  istizza, 
ma  non  senza  qualche  raccapriccio,  «sa  lei  che,  quando  mi 
viene  lo  schiribizzo  di  sentire  una  predica,  so  benissimo  an- 
dare in  chiesa,  come  fanno  gli  altri?  Ma  in  casa  mia!  Oli!» 
e  continuò  con  un  sorriso  forzato  di  scherno:  «lei  mi  tratta 
da  più  di  quel  che  sono.  Il  predicatore  in  casa  non  1'  hanno 
che  i  principi.» 

«E  quel  Dio  che  chiede  conto  ai  principi  della  parola 
che  fa  loro  sentire,  nelle  loro  reggie;  quel  Dio  che  le  usa 
ora  un  tratto  di  misericordia,  mandando  un  suo  ministro,  in- 
degno e  miserabile,  ma  un  suo  ministro,  a  pregar  per  una  in- 
nocente .  . .  .» 

«In  somma,  padre,»  disse  don  Rodrigo,  facendo  atto 
d'andarsene,  «io  non  so  quel  che  lei  voglia  dire:  non  ca- 
pisco altro  se  non  che  ci  dev'  essere  qualche  fanciulla  che 
le  preme  molto.  Vada  a  far  le  sue  confidenze  a  chi  le  piace; 
e  non  si  prenda  la  libertà  d' infastidir  più  a  lungo  un  gen- 
tiluomo.» 

Al  moversi  di  don  Rodrigo,  il  nostro  frate  gli  s'era  mes- 
so davanti,  ma  con  gran  rispetto;  e,  alzate  le  mani,  come  per 
supplicare  e  per  trattenerlo  ad  un  punto,  rispose  ancora,  la 
mi  preme,  è  vero,  ma  non  più  di  lei:  son  due  anime  che 
l'una,  e  l'altra,  mi  premon  più  del  mio  sangue.  Don  Ro- 
drigo !  io  non  posso  far  altro  per  lei ,  che  pregar  Dio  ;  ma  lo 
farò  ben  di  cuore.  Non  mi  dica  di  no;  non  voglia  tener 
nell'  angoscia  e  nel  terrore  una  povera  innocente.  Una  pa- 
rola di  lei  può  far  tutto.» 

«Ebbene,»  disse  don  Rodrigo,  «giacché  lei  crede  ch'io 
possa  far  molto  per  questa  persona;  giacché  questa  persona 
le  sta  tanto  a  cuore  ....  » 

«Ebbene?»  riprese  ansiosamente  il  padre  Cristoforo,  al 
quale   1'  atto   e  il  contegno  di  don  Rodrigo  non  permettevano 


64  1    PROMESSI    SPOSI. 

d'  abbandonarsi  alla  speranza  che  parevano  annunziare  quelle 
parole. 

«Ebbene,  la  consigli  di  venire  a  mettersi  sotto  la  mia 
protezione.  Non  le  mancherà  più  nulla,  e  nessuno  ardirà 
d'inquietarla,  o  ch'io  non  son  cavaliere.» 

A  siffatta  proposta,  l' indegnazione  del  frate,  rattenuta  a 
stento  fin  allora,  traboccò.  Tutti  que' bei  proponimenti  di 
prudenza  e  di  pazienza  andarono  in  fumo:  l'uomo  vecchio  si 
trovò  d'accordo  col  nuovo;  e,  in  que1  casi  fra  Cristoforo  va- 
leva veramente  per  due.  «La  vostra  protezione!»  esclamò 
dando  indietro  due  passi,  postandosi  fieramente  sul  piede 
destro,  mettendo  la  destra  sull'anca,  alzando  la  sinistra  con 
V  indice  teso  verso  don  Rodrigo,  e  piantandogli  in  faccia  due 
occhi  infiammati:  «la  vostra  protezione!  È  meglio  che  ab- 
biate parlato  così,  che  abbiate  fatta  a  me  una  tale  proposta. 
Avete  colmata  la  misura;  e  non  vi  temo  più.» 

«Come  parli,  frate?  ...» 

«Parlo  come  si  parla  a  chi  è  abbandonato  da  Dio,  e  non 
può  più  far  paura.  La  vostra  protezione!  Sapevo  bene  che 
quella  innocente  è  sotto  la  protezione  di  Dio;  ma  voi,  voi  me 
lo  fate  sentire  ora,  con  tanta  certezza,  che  non  ho  più  bi- 
sogno di  riguardi  a  parlarcene.  Lucia,  dico:  vedete  come  io 
pronunzio  questo  nome  con  la  fronte  alta,  e  con  gli  occhi 
immobili.» 

«Come!  in  questa  casa  .  .  .  .» 

«Ho  compassione  di  questa  casa:  la  maledizione  le  sta 
sopra  sospesa.  State  a  vedere  che  la  giustizia  di  Dio  avrà 
riguardo  a  quattro  pietre,  e  soggezione  di  quattro  sgherri. 
Voi  avete  creduto  che  Dio  abbia  fatta  una  creatura  a  sua  im- 
magine, per  darvi  il  piacere  di  tormentarla!  Voi  avete  cre- 
duto che  Dio  non  saprebbe  difenderla!  Voi  avete  disprezzato 
il  suo  avviso!  Vi  siete  giudicato.  Il  cuore  di  Faraone  era 
indurito  quanto  il  vostro;  e  Dio  ha  saputo  spezzarlo.  Lu- 
cia è  sicura  da  voi:  ve  lo  dico  io  povero  frate;  e  in  quanto 
a  voi  sentite  bene  quel  eh'  io  vi  prometto.  Verrà  un  gior- 
no ....  » 

Don  Rodrigo  era  fin  allora  rimasto  tra  la  rabbia  e  la  ma- 
raviglia, attonito,  non  trovando  parole;  ma,  quando  sentì  in- 
tonare una  predizione,  s'  aggiunse  alla  rabbia  un  lontano  e 
misterioso  spavento. 

Afferrò  rapidamente  per  aria  quella  mano  minacciosa,  e, 
alzando  la  voce,  per  troncar  quella  dell'  infausto  profeta, 
gridò:  «escimi  di  tra  piedi,  villano  temerario,  poltrone  in- 
cappucciato.» 

Queste  parole  così  chiare  acquietarono  in  un  momento  il 
padre  Cristoforo.  All'  idea  di  strapazzo  e  di  villania  era, 
nella  sua  mente,  così  bene,  e  da  tanto  tempo,  associata  1"  idea 


CAPITOLO    VI.  65 

di  sofferenza  e  di  silenzio,  che,  a  quel  complimento,  gli  cadde 
ogni  spirito  d' ira  e  d'  entusiasmo,  e  non  gli  restò  altra  ri- 
soluzione che  quella  d'udir  tranquillamente  ciò  che  a  don 
Rodrigo  piacesse  d' aggiungere.  Onde  ritirata  placidamente 
la  mano  dagli  artigli  del  gentiluomo,  abbassò  il  capo,  e  ri- 
mase immobile,  come  al  cader  del  vento,  nel  forte  della  bur- 
rasca, un  albero  agitato  ricompone  naturalmente  i  suoi  rami, 
e  riceve  la  grandine  come  il  ciel  la  manda. 

"Villano  rincivilito!»  proseguì  don  Rodrigo;  («tu  tratti  da 
par  tuo.  Ma  ringrazia  il  saio  che  ti  copre  codeste  spalle  di 
mascalzone,  e  ti  salva  dalle  carezze  che  si  fanno  a'  tuoi  pari, 
per  insegnar  loro  a  parlare.  Esci  con  le  tue  gambe,  per 
questa  volta;  e  la  vedremo.» 

Così  dicendo,  additò,  con  impero  sprezzante,  un  uscio  in 
faccia  a  quello  per  cui  erano  entrati;  il  padre  Cristoforo  chinò 
il  capo  e  se  n'  andò,  lasciando  don  Rodrigo  a  misurare,  a 
passi  infuriati,  il  campo  di  battaglia. 

Quando  il  frate  ebbe  serrato  V  uscio  dietro  a  sé,  vide  nel- 
l' altra  stanza  dove  entrava,  un  uomo  ritirarsi  pian  piano, 
strisciando  il  muro,  come  per  non  esser  veduto  dalla  stanza 
del  colloquio  ;  e  riconobbe  il  vecchio  servitore  eh'  era  venuto 
a  riceverlo  alla  porta  di  strada.  Era  costui  in  quella  casa, 
forse  da  quarantanni,  cioè  prima  che  nascesse  don  Rodrigo; 
entratovi  al  servizio  del  padre,  il  quale  era  stato  tutt'  un'  al- 
tra cosa.  Morto  lui,  il  nuovo  padrone,  dando  lo  sfratto  a 
tutta  la  famiglia,  e  facendo  brigata  nuova,  aveva  però  rite- 
nuto quel  servitore,  e  per  esser  già  vecchio,  e  perchè,  sebben 
di  massime  e  di  costume  diverso  interamente  dal  suo,  com- 
pensava però  questo  difetto  con  due  qualità:  un'  alta  opinione 
della  dignità  della  casa,  e  una  gran  pratica  del  cerimoniale, 
di  cui  conosceva,  meglio  d'ogni  altro,  le  più  antiche  tradi- 
zioni, e  i  più  minuti  particolari.  In  faccia  al  signore,  il  po- 
vero vecchio  non  si  sarebbe  mai  arrischiato  d'  accennare,  non 
che  d'  esprimere  la  sua  disapprovazione  di  ciò  che  vedeva 
tutto  il  giorno:  appena  ne  faceva  qualche  esclamazione,  qual- 
che rimprovero  tra  i  denti  a'  suoi  colleghi  di  servizio  ;  i  quali 
se  ne  ridevano ,  e  prendevano  anzi  piacere  qualche  volta  a 
toccargli  quel  tasto,  per  fargli  dir  di  più  che  non  avrebbe  vo- 
luto, e  per  sentirlo  ricantar  le  lodi  dell'  antico  modo  di  vi- 
vere in  quella  casa.  Le  sue  censure  non  arrivavano  agli  orec- 
chi del  padrone  che  accompagnate  dal  racconto  delle  risa  che 
se  n' eran  fatte;  dimodoché  riuscivano  anche  per  lui  un  sog- 
getto di  scherno,  senza  risentimento.  Xe'  giorni  poi  d' invito 
e  di  ricevimento,  il  vecchio  diventava  un  personaggio  serio  e 
d'importanza. 

Il  padre  Cristoforo  lo  guardò,  passando,  lo  salutò,  e  se- 
guitava la  sua  strada;  ma  il  vecchio  se  gli   accostò  misterio- 

Manzoni.  5 


66  I    PROMESSI    SPOSI. 

samente,  mise  il  dito  alla  bocca,  e  poi,  col  dito  stesso,  gli 
fece  un  cenno,  per  invitarlo  a  entrar  con  lui  in  un  andito 
buio.  Quando  furon  lì,  gli  disse  sottovoce:  «padre,  ho  sen- 
tito tutto,  e  ho  bisogno  di  parlarle.» 

«Dite  presto,  buon  uomo.» 

cQui  no:  guai  se  il  padrone  s'avvede  ....  Ma  io  so 
molte  cose;  e  vedrò  di  venir  domani  al  convento.» 

«C'è  qualche  disegno?» 

«Qualcosa  per  aria  e'  è  di  sicuro  :  già  me  ne  son  potuto 
accorgere.  Ma  ora  starò  sulP  intesa,  e  spero  di  scoprir  tutto. 
Lasci  fare  a  me.  Mi  tocca  a  vedere  e  a  sentir  cose  ....  cose 
di  fuoco  !  Sono  in  una  casa  ...  !  Ma  io  vorrei  salvar  P  ani- 
ma mia.» 

«Il  Signore  vi  benedica!»  e,  proferendo  sottovoce  queste 
parole,  il  frate  mise  la  mano  sul  capo  del  servitore,  che,  quan- 
tunque più  vecchio  di  lui,  gli  stava  curvo  dinanzi  nell'  attitu- 
dine d' un  figliuolo.  «Il  Signore  vi  ricompenserà,»  proseguì 
il  frate:  «non  mancate  di  venir  domani.» 

«Verrò,»  rispose  il  servitore:  «ma  lei  vada  via  subito 
e  .  .  .  .  per  amor  del  cielo  ....  non  mi  nomini.»  Così  dicendo, 
e  guardando  intorno,  uscì  per  P  altra  parte  dell'  andito  in  un 
salotto,  che  rispondeva  nel  cortile;  e,  visto  il  campo  libero, 
chiamò  fuori  il  buon  frate,  il  volto  del  quale  rispose  a  quel- 
la ultima  parola  più  chiaro  che  non  avrebbe  potuto  fare  qualun- 
que protesta.  Il  servitore  gli  additò  l'uscita;  e  il  frate,  senza 
dir  altro,  partì. 

Queir  uomo  era  stato  a  sentire  all'  uscio  del  suo  padrone  : 
aveva  fatto  bene?  E  fra  Cristoforo  faceva  bene  a  lodarlo  di 
ciò?  Secondo  le  regole  più  comuni  e  men  contraddette,  è  cosa 
molto  brutta;  ma  quel  caso  non  poteva  riguardarsi  come  un' 
eccezione?  E  ci  sono  dell'eccezioni  alle  regole  più  comuni  e 
men  contraddette?  Questioni  importanti;  ma  che  il  lettore 
risolverà  da  sé,  se  ne  ha  voglia.  Noi  non  intendiamo  di  dar 
giudizi:  ci  basta  d'aver  dei  fatti  da  raccontare. 

Uscito  fuori,  e  voltate  le  spalle  a  quella  casaccia,  fra  Cri- 
stoforo respirò  più  liberamente,  e  s' avviò  in  fretta  per  la 
scesa,  tutto  infocato  in  volto,  commosso  e  sottosopra,  come 
ognuno  può  immaginarsi,  per  quel  che  aveva  sentito,  e  per 
quel  che  aveva  detto.  Ma  quella  così  inaspettata  esibizione 
del  vecchio  era  stata  un  gran  ristorativo  per  lui:  gli  pareva 
che  il  cielo  gli  avesse  dato  un  segno  visibile  della  sua  pro- 
tezione. —  Ecco  un  filo,  pensava,  un  filo  che  la  provvidenza 
mi  mette  nelle  mani.  E  in  quella  casa  medesima!  E  senza 
che  io  sognassi  neppure  di  cercarlo!  —  Così  ruminando,  alzò 
gli  occhi  verso  P  occidente,  vide  il  sole  inclinato,  che  già  già 
toccava  la  cima  del  monte,  e  pensò  che  rimaneva  ben  poco 
del  giorno.    Allora,  benché  sentisse  le  ossa  gravi  e  fiaccate 


CAPITOLO    VI.  67 

da'  varii  strapazzi  di  quella  giornata ,  pure  studiò  di  più  il 
passo,  per  poter  riportare  un  avviso  qual  si  fosse,  a' suoi 
protetti,  e  arrivar  poi  al  convento,  prima  di  notte:  che  era 
una  delle  leggi  più  precise,  e  più  severamente  mantenute  del 
codice  cappuccinesco. 

Intanto  nella  casetta  di  Lucia,  erano  stati  messi  in  campo 
e  ventilati  disegni,  de'  quali  ci  conviene  informare  il  lettore. 
Dopo  la  partenza  del  frate,  i  tre  rimasti  erano  stati  qualche 
tempo  in  silenzio;  Lucia  preparando  tristamente  il  desinare; 
Renzo  sul  punto  d'andarsene  ogni  momento,  per  levarsi  dalla 
vista  di  lei  così  accorata,  e  non  sapendo  staccarsi;  Agnese 
tutta  intenta,  in  apparenza,  all'  aspo  che  faceva  girare.  Mai 
in  realtà,  stava  maturando  un  progetto:  e,  quando  le  parve 
maturo,  ruppe  il  silenzio  in  questi  termini  : 

«Sentite,  figliuoli  !  Se  volete  aver  cuore  e  destrezza,  quanto 
bisogna,  se  vi  fidate  di  vostra  madre,-)  a  quel  vostra  Lucia 
si  riscosse,  «io  m'impegno  di  cavarvi  di  quest'impiccio,  me- 
glio forse,  e  più  presto  del  padre  Cristoforo,  quantunque  sia 
quell'  uomo  che  è.»  Lucia  rimase  lì ,  e  la  guardò  con  un 
volto  eh'  esprimeva  più  maraviglia  che  fiducia  in  una  pro- 
messa tanto  magnifica;  e  Renzo  disse  subitamente:  «cuore? 
destrezza?  dite,  dite  pure  quel  che  si  può  fare.» 

Non  è  vero,»  proseguì  Agnese,  «che  se  foste  maritati,  si 
sarebbe  già  un  pezzo  avanti?  E  che  a  tutto  il  resto  si  tro- 
verebbe più  facilmente  ripiego?» 

«C'è  dubbio?»  disse  Renzo:  «maritati  che  fossimo  .  .  .  . 
tutto  il  mondo  è  paese;  e,  a  due  passi  di  qui,  sul  bergamasco, 
chi  lavora  seta  è  ricevuto  a  braccia  aperte.  Sapete  quante 
volte  Bortolo  mio  cugino  m'  ha  fatto  sollecitare  d'  andar  là  a 
star  con  lui,  che  farei  fortuna,  com' ha  fatto  lui:  e  se  non 
gli  ho  mai  dato  retta,  gli  è  ...  .  che  serve?  perchè  il  mio 
cuore  era  qui.  Maritati,  si  va  tutti  insieme,  si  mette  su  casa 
là,  si  vive  in  santa  pace,  fuor  dell'  unghie  di  questo  ribaldo, 
lontano  dalla  tentazione  di  fare  uno  sproposito.  N'  è  vero, 
Lucia?» 

«Sì,»  disse  Lucia:  «ma  come  .  .  .  .  ?» 

«Come  ho  detto  io,»  riprese  la  madre:  «cuore  e  destrezza; 
e  la  cosa  è  facile.» 

«Facile!»  dissero  insieme  que'due,  per  cui  la  cosa  era 
divenuta  tanto  stranamente  e  dolorosamente  difficile. 

«Facile,  a  saperla  fare,»  replicò  Agnese.  «Ascoltatemi 
bene,  che  vedrò  di  farvela  intendere.  Io  ho  sentito  dire  da 
gente  che  sa,  e  anzi  ne  ho  veduto  io  un  caso,  che,  per  fare 
un  matrimonio,  ci  vuole  bensì  il  curato,  ma  non  è  necessario 
che  voglia;  basta  che  ci  sia.» 

«Come  sta  questa  faccenda?»  domandò  Renzo. 

•-.  * 


68  I    PROMESSI    SPOSI. 

«Ascoltate  e  sentirete.  Bisogna  aver  due  testimoni  ben 
lesti  e  ben  d'accordo.  Si  va  dal  curato:  il  punto  sta  di 
chiapparlo  all'  improvviso,  che  non  abbia  tempo  di  scappare. 
L'uomo  dice:  signor  curato,  questa  è  mia  moglie:  la  donna 
dice:  signor  curato,  questo  è  mio  marito.  Bisogna  che  il  cu- 
rato senta,  che  i  testimoni  sentano  ;  e  il  matrimonio  è  beli'  e 
fatto,  sacrosanto  come  se  l' avesse  fatto  il  papa.  Quando  le 
parole  son  dette,  il  curato  può  strillare,  strepitare,  fare  il  dia- 
volo; è  inutile:  siete  marito  e  moglie." 

«Possibile?»  esclamò  Lucia. 

«Come!»  disse  Agnese:  «state  a  vedere  che,  in  tren- 
t' anni  che  ho  passati  in  questo  mondo,  prima  che  nasceste 
voi  altri,  non  avrò  imparato  nulla.  La  cosa  è  tale  quale  ve 
la  dico:  per  segno  tale  che  una  mia  amica,  che  voleva  pren- 
der uno  contro  la  volontà  de'  suoi  parenti,  facendo  in  quella 
maniera,  ottenne  il  suo  intento.  Il  curato,  che  ne  aveva  so- 
spetto, stava  all'erta;  ma  i  due  diavoli  seppero  far  così  bene, 
che  lo  colsero  in  un  punto  giusto,  dissero  le  parole,  e  furon 
marito  e  moglie:  benché  la  poveretta  se  ne  pentì  poi,  in  capo 
a  tre  giorni.» 

Agnese  diceva  il  vero,  e  riguardo  alla  possibilità,  e  ri- 
guardo al  pericolo  di  non  ci  riuscire  :  che,  siccome  non  ricor- 
revano a  un  tale  espediente,  se  non  persone  che  avesser  tro- 
vato ostacolo  o  rifiuto  nella  via  ordinaria,  così  i  parrochi  met- 
tevan  gran  cura  a  scansare  quella  cooperazione  forzata;  e, 
quando  un  d'  essi  venisse  pure  sorpreso  da  una  di  quelle  cop- 
pie, accompagnata  da  testimoni,  faceva  di  tutto  per  iscapo- 
larsene,  come  Proteo  dalle  mani  di  coloro  che  volevano  farlo 
vaticinare  per  forza. 

«Se  fosse  vero,  Lucia!))  disse  Renzo,  guardandola  con 
un'  aria  d'  aspettazione  supplichevole. 

«Come!  se  fosse  vero!»  disse  Agnese.  «Anche  voi  cre- 
dete eh'  io  dica  fandonie.  Io  m'  affanno  per  voi,  e  non  son 
creduta:  bene  bene:  cavatevi  d'impiccio  come  potete:  io  me 
ne  lavo  le  mani.» 

«Ah  no!  non  ci  abbandonate,»  disse  Renzo.  «Parlo  così, 
perchè  la  cosa  mi  par  troppo  bella.  Sono  nelle  vostre  mani  ; 
vi  considero  come  se  foste  proprio  mia  madre.» 

Queste  parole  fecero  svanire  il  piccolo  sdegno  di  Agnese, 
e  dimenticare  un  proponimento  che,  per  verità,  non  era  stato 
serio. 

«Ma  perchè  dunque,  mamma,»  disse  Lucia,  con  quel  suo 
contegno  sommesso,  «perchè  questa  cosa  non  è  venuta  in 
mente  al  padre  Cristoforo?» 

«In  mente?»  rispose  Agnese:  «pensa  se  non  gli  sarà  ve- 
nuta in  mente!     Ma  non  ne  avrà  voluto  parlare.» 


CAPITOLO     VI.  69 

«Perchè ?»  domandarono  a  un  tratto  i  due  giovani. 

«Perchè  ....  perchè,  quando  lo  volete  sapere,  i  religiosi 
dicono  che  veramente  è  cosa  che  non  istà  bene.» 

«Come  può  essere  che  non  istia  bene,  e  che  sia  ben  fatta, 
quand'  è  fatta?»  disse  Renzo. 

«Che  volete  ch'io  vi  dica?»  rispose  Agnese.  «La  legge 
l'hanno  fatta  loro,  come  gli  è  piaciuto;  e  noi  poverelli  non 
possiamo  capir  tutto.  E  poi  quante  cose  ....  Ecco;  è  come 
lasciar  andare  un  pugno  a  un  cristiano.  Non  istà  bene;  ma, 
dato  che  gliel  abbiate,  né  anche  il  papa  non  glielo  può  le- 
vare.» 

«Se  è  cosa  che  non  istà  bene,»  disse  Lucia,  «non  bisogna 
farla.» 

«Che!»  disse  Agnese,  «ti  vorrei  forse  dare  un  parere  con- 
tro il  timor  di  Dio?  Se  fosse  contro  la  volontà  de' tuoi  pa- 
renti, per  prendere  un  rompicollo  ....  ma,  contenta  me,  e 
per  prender  questo  figliuolo:  e  chi  fa  nascer  tutte  le  difficoltà 
è  un  birbone;  e  il  signor  curato  ...» 

«L'è  chiara,    che  l'intenderebbe    ognuno,»    disse    Renzo. 

«Xon  bisogna  parlarne  al  padre  Cristoforo,  prima  di  far 
cosa,»  proseguì  Agnese:  «ma,  fatta  che  sia,  e  ben  riuscita, 
che  pensi  tu  che  ti  dirà  il  padre?  —  Ah  figliuola!  è  una 
scappata  grossa;  ma  l'avete  fatta.  —  I  religiosi  devon  par- 
lar così.  Ma  credi  pure  che,  in  cuor  suo,  sarà  contento  an- 
che lui.» 

Lucia,  senza  trovar  che  rispondere  a  quel  ragionamento, 
non  ne  sembrava  però  capacitata:  ma  Renzo,  tutto  rincorato, 
disse:  «quand;  è  così,  la  cosa  è  fatta.» 

«Piano,»  disse  Agnese.  «E  i  testimoni?  Trovar  due  che 
vogliano,  e  che  intanto  sappiano  stare  zitti!  e  poter  cogliere 
il  signor  curato  che,  da  due  giorni,  se  ne  sta  rintanato  in 
casa?  E  farlo  star  lì?  che,  benché  sia  pesante  di  sua  natura, 
vi  so  dir  io  che  al  vedervi  comparire  in  quella  conformità, 
diventerà  lesto  come  un  gatto,  e  scapperà  come  il  diavolo 
dall'  acqua  santa.» 

«L'ho  trovato  io  il  verso,  l'ho  trovato,»  disse  Renzo, 
battendo  il  pugno  sulla  tavola,  e  facendo  balzellare  le  stovi- 
glie apparecchiate  per  il  desinare.  E  seguitò  esponendo  il 
suo  pensiero,  che  Agnese  approvò  in  tutto  e  per  tutto. 

«Son  imbrogli,»  disse  Lucia:  «non  son  cose  lisce.  Fi- 
nora abbiamo  operato  sinceramente:  tiriamo  avanti  con  fede, 
e  Dio  ci  aiuterà  ;  il  padre  Cristoforo  V  ha  detto.  Sentiamo 
il  suo  parere.» 

«Lasciati  guidare  da  chi  ne  sa  più  di  te,»  disse  Agnese, 
con  volto  grave.  (Che  bisogno  c'è  di  chieder  pareri?  Dio 
dice:  aiutati,  ch'io  t'aiuto.  Al  padre  racconteremo  tutto,  a 
cose  fatte.» 


70 


I   PROMESSI    SPOSI. 


«Lucia,-)  disse  Renzo,  «volete  voi  mancarmi  ora?  Non 
avevamo  noi  fatto  tutte  le  cose  da  buon  cristiani?  Non  do- 
vremmo esser  già  marito  e  moglie?  Il  curato  non  ci  aveva 
fissato  lui  il  giorno  e  l'ora?  E  di  chi  è  la  colpa,  se  dob- 
biamo ora  aiutarci  con  un  po'  d'  ingegno?  No,  non  mi  man- 
cherete. Vado  e  torno  con  la  risposta.»  E  salutando  Lucia, 
con  un  atto  di  preghiera,  e  Agnese,  con  un'aria  d'intelli- 
genza, partì  in  fretta. 

/  Le  tribolazioni  aguzzano  il  cervello  :  e  Renzo  il  quale,  nel 
sentiero  retto  e  piano  di  vita  percorso  da  lui  fin  allora,  non 
s'  era  mai  trovato  nelP  occasione  d'  assottigliar  molto  il  suo, 
ne  aveva,  in  questo  caso,  immaginata  una,  da  far  onore  a  un 
giureconsulto.  Andò  addirittura,  secondo  che  aveva  disegnato, 
alla  casetta  d'un  certo  Tonio,  ch'era  lì  poco  distante;  e  lo 
trovò  in  cucina,  che,  con  un  ginocchio  sullo  scalino  del  foco- 
lare, e  tenendo,  con  una  mano,  l'orlo  d'un  paiolo,  messo 
sulle  ceneri  calde,  dimenava,  col  matterello  ricurvo,  una  pic- 
cola polenta  bigia,  di  gran  saraceno.  La  madre,  un  fratello, 
la  moglie  di  Tonio,  erano  a  tavola;  e  tre  o  quattro  ragazzetti, 
ritti  accanto  al  babbo,  stavano  aspettando,  con  gli  occhi  fissi 
al  paiolo,  che  venisse  il  momento  di  scodellare.  Ma  non  e'  era 
quell'allegria  che  la  vista  del  desinare  suol  pur  dare  a  chi 
se  1'  è  meritato  con  la  fatica.  La  mole  della  polenta  era  in 
ragion  dell'  annata,  e  non  del  numero  e  della  buona  voglia 
de' commensali:  e  ognun  d'essi,  fissando,  con  uno  sguardo 
bieco  d'amor  rabbioso,  la  vivanda  comune,  pareva  pensare 
alla  porzione  d'  appetito,  che  le  doveva  sopravvivere.  Mentre 
Renzo  barattava  i  saluti  con  la  famiglia,  Tonio  scodellò  la 
polenta  sulla  tafferia  di  faggio,  che  stava  apparecchiata  a  ri- 
ceverla: e  parve  una  piccola  luna,  in  un  gran  cerchio  di  va- 
pori. Nondimeno  le  donne  dissero  cortesemente  a  Renzo: 
«volete  restar  servito?»)  complimento  che  il  contadino  di 
Lombardia,  e  chi  sa  di  quant' altri  paesi!  non  lascia  mai  di 
fare  a  chi  lo  trovi  a  mangiare,  quand'  anche  questo  fosse  un 
ricco  epulone  alzatosi  allora  da  tavola,  e  lui  fosse  all'ultimo 
boccone. 

«Vi  ringrazio,»  rispose  Renzo:  «venivo  solamente  per  dire 
una  parolina  a  Tonio;  e,  se  vuoi,  Tonio,  per  non  disturbarle 
tue  donne,  possiamo  andar  a  desinare  all'osteria,  e  lì  par- 
leremo.» La  proposta  fu  per  Tonio  tanto  più  gradita,  quanto 
meno  aspettata;  e  le  donne,  e  anche  i  bimbi  (giacché,  su 
questa  materia,  principian  presto  a  ragionare)  non  videro  mal 
volentieri  che  si  sottraesse  alla  polenta  un  concorrente,  e  il 
più  formidabile.  L'invitato  non  istette  a  domandar  altro,  e 
andò  con  Renzo.'/ 

Giunti  all'  osteria  del  villagio;  seduti,  con  tutta  libertà, 
in  una  perfetta  solitudine,   giacche  la  miseria  aveva  divezzati 


CAPITOLO    VI.  71 

tutti  i  frequentatori  di  quel  luogo  di  delizie  ;  fatto  portare  quel 
poco  che  si  trovava;  votato  un  boccale  di  vino;  Renzo,  con 
aria  di  mistero,  disse  a  Tonio:  «se  tu  vuoi  farmi  un  piccolo 
servizio,  io  te  ne  voglio  fare  uno  grande.» 

«Parla,  parla;  comandami  pure,»  rispose  Tonio,  mescendo. 
«Oggi  mi  butterei  nel  fuoco  per  te.» 

«Tu  hai  un  debito  di  venticinque  lire  col  signor  curato, 
per  fitto  del  suo  campo,  che  lavoravi  1'  anno  passato.» 

«Ah,  Renzo,  Renzo!  tu  mi  guasti  il  benefizio.  Con  che 
cosa  mi  vieni  fuori?     M'hai  fatto  andar  via  il  buon   umore.» 

«Se  ti  parlo  del  debito,»  disse  Renzo,  «è  perchè,  se  tu 
vuoi,  io  intendo  di  darti  il  mezzo  di  pagarlo.» 

«Dici  davvero?» 

«Davvero.     Eh?  saresti  contento?» 

«Contento?  Per  diana,  se  sarei  contento!  Se  non  foss' 
altro,  per  non  veder  più  que'  versacci,  e  que'  cenni  col  capo, 
che  mi  fa  il  signor  curato,  ogni  volta  che  e'  incontriamo.  E 
poi  sempre:  Tonio,  ricordatevi:  Tonio,  quando  ci  vediamo, 
per  quel  negozio?  A  tal  segno  che  quando,  nel  predicare, 
mi  fissa  quegli  occhi  addosso,  io  sto  quasi  in  timore  che  abbia 
a  dirmi,  lì  in  pubblico:  quelle  venticinque  lire!  Che  male- 
dette siano  le  venticinque  lire!  E  poi,  m'avrebbe  a  restituir 
la  collana  d'  oro  di  mia  moglie,  che  la  baratterei  in  tanta 
polenta.    Ma  ....  » 

«Ma,  ma,  se  tu  mi  vuoi  fare  un  servizietto,  le  venticinque 
lire  son  preparate.» 

«Dì  su.» 

«Ma  ....!»  disse  Renzo,  mettendo  il  dito  alla  bocca. 

«Fa  bisogno  di  queste  cose?  tu  mi  conosci.» 

«Il  signor  curato  va  cavando  fuori  certe  ragioni  senza  sugo, 
per  tirare  in  lungo  il  mio  matrimonio;  e  io  in  vece  vorrei 
spicciarmi.  Mi  dicon  di  sicuro  che,  presentandoscgli  davanti 
i  due  sposi,  con  due  testimoni,  e  dicendo  io:  questa  è  mia 
moglie,  e  Lucia:  questo  è  mio  marito,  il  matrimonio  è  beli'  e 
fatto.    M'hai  tu  inteso?« 

«Tu  vuoi  ch'io  venga  per  testimonio?» 

«Per  1'  appunto.» 

«E  pagherai  per  me  le  venticinque  lire?» 

«Così  V intendo.» 

«Birbo  chi  manca.» 

«Ma  bisogna  trovare  un  altro  testimonio.» 

«L' ho  trovato.  Quel  sempliciotto  di  mio  fratel  Gervaso 
farà  quello  che  gli  dirò  io.     Tu  gli  pagherai  da  bere?» 

«E  da  mangiare,»  rispose  Renzo.  «Lo  condurremo  qui  a 
stare  allegro  con  noi.    Ma  saprà  fare?» 

«GÌ'  insegnerò  io;  tu  sai  bene  eh'  io  ho  avuta  anche  la 
sua  parte  di  cervello.» 


72  I   PROMESSI    SPOSI. 

«Domani  ....  » 

«Bene.» 

«Verso  sera  ...... 

('Benone.» 

«Ma!  ....  »  disse  Renzo,  mettendo  di  nuovo  il  dito  alla 
bocca. 

«Poh!...»  rispose  Tonio,  piegando  il  capo  sulla  spalla 
destra,  e  alzando  la  mano  sinistra,  con  un  viso  che  diceva: 
mi  fai  torto. 

<Ma  se  tua  moglie  ti  domanda,  come  ti  domanderà,  senza 
dubbio  ....  » 

«Di  bugie,  sono  in  debito  io  con  mia  moglie,  e  tanto 
tanto,  che  non  so  se  arriverò  mai  a  saldare  il  conto.  Qualche 
pastocchia  la  troverò,  da  metterle  il  cuore  in  pace.» 

«Domattina,»  disse  Renzo,  «discorreremo  con  più  comodo, 
per  intenderci  bene  su  tutto.» 

Con  questo,  uscirono  dall'  osteria,  Tonio  avviandosi  a  casa, 
e  studiando  la  fandonia  che  racconterebbe  alle  donne,  e  Renzo 
a  render  conto  de'  concerti  presi. 

In  questo  tempo,  Agnese  s'  era  affaticata  invano  a  persua- 
der la  figliuola.  Questa  andava  opponendo  a  ogni  ragione  ora 
1'  una  ora  P  altra  parte  del  suo  dilemma  :  o  la  cosa  è  cattiva, 
e  non  bisogna  farla;  o  non  è,  e  perchè  non  dirla  al  padre 
Cristoforo  ? 

Renzo  arrivò  tutto  trionfante,  fece  il  suo  rapporto,  e  ter- 
minò con  un  ahn?  interiezione  che  significa:  sono  o  non  sono 
un  uomo  io?  si  poteva  trovar  di  meglio?  vi  sarebbe  venuta  in 
mente?  e  cento  cose  simili. 

Lucia  tentennava  mollemente  il  capo;  ma  i  due  infervo- 
rati le  badavan  poco,  come  si  suol  fare  con  un  fanciullo,  al 
quale  non  si  spera  di  far  intendere  tutta  la  ragione  d' una 
cosa,  e  che  s' indurrà  poi,  con  le  preghiere  e  con  l' autorità, 
a  ciò  che  si  vuol  da  lui. 

«Va  bene,»  disse  Agnese:  «va  bene;  ma  .  .  . .  non  avete 
pensato  a  tutto.» 

«Cosa  ci  manca?»  rispose  Renzo. 

«E  Perpetua?  non  avete  pensato  a  Perpetua.  Tonio  e  suo 
fratello,  li  lascerà  entrare:  ma  voi!  voi  due!  pensate!  avrà 
ordine  di  tenervi  lontani,  più  che  un  ragazzo  da  un  pero  che 
ha  le  frutte  mature.» 

«Come  faremo?»  disse  Renzo  un  po' imbrogliato. 

«Ecco:  ci  ho  pensato  io.  Verrò  io  con  voi;  e  ho  un  se- 
greto per  attirarla,  e  per  incantarla  di  maniera  che  non  s'ac- 
corga di  voi  altri,  e  possiate  entrare.  La  chiamerò  io,  e  le 
toccherò  una  corda  ....  vedrete.» 

«Benedetta  voi!»  esclamò  Renzo:  «l'ho  sempre  detto  che 
siete  nostro  aiuto  in  tutto.» 


CAPITOLO    VII.  73 

«Ma  tutto  questo  non  serve  a  nulla,»  disse  Agnese,  «se 
non  si  persuade  costei,   che  si  ostina  a  dire   che  è  peccato.» 

Renzo  mise  in  campo  anche  lui  la  sua  eloquenza;  ma  Lu- 
cia non  si  lasciava  smovere. 

«Io  non  so  che  rispondere  a  queste  vostre  ragioni,»  di- 
ceva: «ma  vedo  che,  per  far  questa  cosa,  come  dite  voi,  bi- 
sogna andar  avanti  a  furia  di  sotterfugi,  di  bugie,  di  finzioni. 
Ah  Renzo!  non  abbiam  cominciato  così.  Io  voglio  esser 
vostra  moglie,»  e  non  e'  era  verso  che  potesse  proferir  quella 
parola,  e  spiegar  quell'intenzione,  senza  fare  il  viso  rosso: 
«io  voglio  esser  vostra  moglie,  ma  per  la  strada  diritta,  col 
timor  di  Dio,  all'  altare.  Lasciamo  fare  a  Quello  lassù.  Non 
volete  che  sappia  trovar  Lui  il  bandolo  d'aiutarci,  meglio 
che  non  possiamo  far  noi,  con  tutte  codeste  furberie?  E 
perchè  far  misteri  al  padre  Cristoforo?» 

La  disputa  durava  tuttavia,  e  non  pareva  vicina  a  finire, 
quando  un  calpestìo  affrettato  di  sandali,  e  un  rumore  di  to- 
naca sbattuta,  somigliante  a  quello  che  fanno  in  una  vela 
allentata  i  soni  ripetuti  del  vento,  annunziarono  il  padre 
Cristoforo.  Si  chetaron  tutti;  e  Agnese  ebbe  appena  tempo 
di  susurrare  all'orecchio  di  Lucia:  «bada  bene,  ve',  di  non 
dirgli  nulla.» 


CAPITOLO  VII. 

Il  padre  Cristoforo  arrivava  nell'  attitudine  d'  un  buon  ca- 
pitano che,  perduta,  senza  sua  colpa,  una  battaglia  importante, 
afflitto  ma  non  scoraggito,  sopra  pensiero  ma  non  sbalordito, 
di  corsa  e  non  in  fuga,  si  porta  dove  il  bisogno  lo  chiede,  a 
premunire  i  luoghi  minacciati,  a  raccoglier  le  truppe,  a  dar 
nuovi  ordini. 

«La  pace  sia  con  voi,»  disse,  nell'  entrare.  «Non  e'  è 
nulla  da  sperare  dell'uomo:  tanto  più  bisogna  confidare  in 
Dio:  e  già  ho  qualche  pegno  della  sua  protezione.» 

Sebbene  nessuno  dei  tre  sperasse  molto  nel  tentativo  del 
padre  Cristoforo,  giacché  il  vedere  un  potente  ritirarsi  da 
una  soverchieria,  senza  esserci  costretto,  e  per  mera  condi- 
scendenza a  preghiere  disarmate,  era  cosa  piuttosto  inaudita 
che  rara;  nulladimeno  la  trista  certezza  fu  un  colpo  per  tutti. 
Le  donne  abbassarono  il  capo;  ma  nell'animo  di  Renzo,  l' ira 
prevalse  all'  abbattimento.  Queir  annunzio  lo  trovava  già 
amareggiato  da  tante  sorprese  dolorose,  da  tanti  tentativi  an- 
dati a  vóto,  da  tante  speranze  deluse,  e,  per  di  più,  esacer- 
bato, in  quel  momento,  dalle  ripulse  di  Lucia. 


74  I    PROMESSI    SPOSI. 

('Vorrei  sapere,»  gridò,  digrignando  i  denti,  e  alzando  ia 
voce,  quanto  non  aveva  mai  fatto  prima  d'allora,  alla  pre- 
senza del  padre  Cristoforo:  «vorrei  sapere  che  ragioni  ha 
dette  quel  cane,  per  sostenere  ....  per  sostenere  che  la  mia 
sposa  non  dev'  esser  la  mia  sposa.» 

(Povero  Renzo!-)  rispose  il  frate,  con  una  voce  grave  e 
pietosa,  e  con  uno  sguardo  che  comandava  amorevolmente  la 
pacatezza:  «se  il  potente  che  vuol  commettere  l'ingiustizia 
fosse  sempre  obbligato  a  dir  le  sue  ragioni,  le  cose  non  an- 
elerebbero come  vanno.» 

«Ha  detto  dunque  quel  cane,  che  non  vuole,  perchè  non 
vuole?» 

«Non  ha  detto  nemmen  questo,  povero  Renzo!  Sarebbe 
ancora  un  vantaggio  se,  per  commetter  l'iniquità,  dovessero 
confessarla  apertamente.» 

«Ma  qualcosa  ha  dovuto  dire  :  cos'  ha  detto  quel  tizzone 
d' inferno?» 

«Le  sue  parole,  io  1*  ho  sentite,  e  non  te  le  saprei  ripe- 
tere. Le  parole  dell'  iniquo  che  è  forte,  penetrano  e  sfuggono. 
Può  adirarsi  che  tu  mostri  sospetto  di  lui,  e,  nello  stesso 
tempo,  farti  sentire  che  quello  di  che  tu  sospetti  è  certo  :  può 
insultare  e  chiamarsi  offeso,  schernire  e  chieder  ragione,  at- 
terrire e  lagnarsi,  essere  sfacciato  e  irreprensibile.  Non  chie- 
der più  in  là.  Colui  non  ha  proferito  il  nome  di  questa  in- 
nocente, né  il  tuo,  non  ha  figurato  nemmen  di  conoscervi,  non. 
ha  detto  di  pretender  nulla;  ma  ....  ma  pur  troppo  ho  do- 
vuto intendere  eh'  è  irremovibile.  Nondimeno  confidenza  in 
Dio!  Voi,  poverette,  non  vi  perdete  d'animo:  e  tu,  Renzo 
.  .  .  .  oh!  credi  pure,  ch'io  so  mettermi  ne' tuoi  panni,  eh' io 
sento  quello  che  passa  nel  tuo  cuore.  Ma  pazienza!  È  una 
magra  parola,  una  parola  amara,  per  chi  non  crede;  ma  tu! 
....  non  vorrai  tu  concedere  a  Dio  un  giorno,  due  giorni,  il 
tempo  che  vorrà  prendere,  per  far  trionfare  la  giustizia?  Il 
tempo  è  suo;  e  ce  n'ha  promesso  tanto!  Lascia  fare  a  Lui, 
Renzo  ;  e  sappi  .  .  .  sappiate  tutti  eh'  io  ho  già  in  mano  un 
filo,  per  aiutarvi.  Per  ora  non  posso  dirvi  di  più.  Domani 
io  non  verrò  quassù;  devo  stare  al  convento  tutto  il  giorno, 
per  voi.  Tu,  Renzo,  procura  di  venirci:  o  se,  per  caso  im- 
pensato, tu  non  potessi,  mandate  un  uomo  fidato,  un  garzon- 
cello di  giudizio,  per  mezzo  del  quale  io  possa  farvi  sapere 
quello  che  occorrerà.  Si  fa  bujo;  bisogna  ch'io  corra  al  con- 
vento.    Fede,  coraggio;  e  addio. ■> 

Detto  questo,  uscì  in  fretta,  e  se  n'  andò,  correndo,  e  quasi 
saltelloni,  giù  per  quella  viottola  storta  e  sassosa,  per  non 
arrivar  tardi  al  convento,  a  rischio  di  buscarsi  una  buona 
sgridata,  o  quel  che  gli  sarebbe  pesato  ancor  più,  una  peni- 
tenza, che  gì'  impedisse,  il  giorno  dopo,  di  trovarsi  pronto  e 


CAPITOLO    VII.  (0 

spedito  a  ciò  che  potesse  richiedere  il  bisogno  de'  suoi 
protetti. 

cAvete  sentito  cos'  ha  detto  d'  un  non  so  che  ....  d'  nn 
filo  che  ha,  per  aiutarci?»  disse  Lucia.  «Convien  fidarsi  a 
lui;  è  un  uomo  che,  quando  promette  dieci  .  .  .  .» 

cSe  non  c'è  altro....!»  interruppe  Agnese.  ('Avrebbe 
dovuto  parlar  più  chiaro,  o  chiamar  me  da  una  parte,  e  dirmi 
cosa  sia  questo  ....  » 

(Chiacchiere!  la  finirò  io:  io  la  finirò!»)  interruppe  Renzo, 
questa  volta,  andando  in  su  e  in  giù  per  la  stanza,  e  con 
una  voce,  con  un  viso  da  non  lasciar  dubbio  sul  senso  di 
quelle  parole. 

«Oh  Renzo!»  esclamò  Lucia. 

«Cosa  volete  dire?»  esclamò  Agnese. 

«Che  bisogno  e'  è  di  dire?  La  finirò  io.  Abbia  pur 
cento,  mille  diavoli  nell'  anima,  finalmente  è  di  carne  e  ossa 
anche  lui  ... .» 

«No,  no,  per  amor  del  cielo  .  .  .  .!»  cominciò  Lucia,  ma 
il  pianto  le  troncò  la  voce. 

«Non  son  discorsi  da  farsi,  neppur  per  burla,»  disse 
Agnese. 

«Per  burla?»  gridò  Renzo,  fermandosi  ritto  in  faccia  ad 
Agnese  seduta,  e  piantandole  in  faccia  due  occhi  stralunati. 
(Per  burla!  vedrete  se  sarà  burla.» 

«Oh  Renzo!»  disse  Lucia,  a  stento,  tra  i  singhiozzi:  «non 
v'  ho  mai  visto  così.» 

«Non  dite  queste  cose ,  per  amor  del  cielo,»  riprese 
ancora  in  fretta  Agnese,  abbassando  la  voce.  «Non  vi  ri- 
cordate quante  braccia  ha  al  suo  comando  colui?  E  quan- 
d'  anche  ....  Dio  liberi!  ....  contro  i  poveri  e'  è  sempre 
giustizia.» 

«La  farò  io,  la  giustizia,  io!  È  ormai  tempo.  La  cosa 
non  è  facile:  lo  so  anch'io.  Si  guarda  bene,  il  cane  assassino: 
sa  come  sta;  ma  non  importa.  Risoluzione  e  pazienza  .... 
e  il  momento  arriva.  Sì,  la  farò  io,  la  giustizia:  lo  libererò 
io,  il  paese:  quanta  gente  mi  benedirà....!  e  poi  in  tre 
salti !» 

L'orrore  che  Lucia  sentì  di  queste  più  chiare  parole,  le 
sospese  il  pianto,  e  le  diede  forza  di  parlare.  Levando  dalle 
palme  il  viso  lagrimoso,  disse  a  Renzo,  con  voce  accorata, 
ma  risoluta:  «non  v'  importa  più  dunque  d*  avermi  per  moglie. 
Io  m'  era  promessa  a  un  giovine  che  aveva  il  timor  di  Dio  ; 
ma  un  uomo  che  avesse  ....  Fosse  al  sicuro  d'  ogni  giustizia 
e  d'ogni  vendetta,  foss'  anche  il  figlio  del  re  ....» 

«E  bene!»  gridò  Renzo,  con  un  viso  più  che  mai  stra- 
volto: «io  non  v'avrò;  ma  non  v'avrà  né  anche  lui.  Io  qui 
senza  di  voi,  e  lui  a  casa  del ....  » 


76  I   PROMESSI    SPOSI. 

«Ah  no!  per  carità,  non  dite  così,  non  fate  quegli  occhi: 
no,  non  posso  vedervi  così,»  esclamò  Lucia,  piangendo,  sup- 
plicando, con  le  mani  giunte;  mentre  Agnese  chiamava  e  ri- 
chiamava il  giovine  per  nome,  e  gli  palpava  le  spalle,  le 
braccia,  le  mani  per  acquietarlo.  Stette  egli  immobile  e  pen- 
sieroso, qualche  tempo,  a  contemplar  quella  faccia  suppliche- 
vole di  Lucia;  poi  tutt' a  un  tratto,  la  guardò  torvo,  diede 
addietro,  tese  il  braccio  e  l'indice  verso  di  essa,  e  gridò: 
«questa!  sì  questa  egli  vuole.    Ha  da  morire!-) 

«E  io  che  male  ho  fatto,  perchè  mi  facciate  morire  ?» 
disse  Lucia,  buttandosegli  inginocchioni  davanti. 

«Voi!))  rispose,  con  una  voce  ch'esprimeva  un'ira  ben 
diversa,  ma  un'ira  tuttavia:  «voi!  Che  bene  mi  volete  voi? 
Che  prova  m'avete  data?  Non  v'ho  io  pregata,  e  pregata,  e 
pregata?     E  voi:  no!  no!» 

«Sì,  sì;»  rispose  precipitosamente  Lucia:  «verrò  dal  curato, 
domani,  ora,  se  volete;  verrò.  Tornate  quello  di  prima;  verrò.» 

«Me  lo  promettete?»  disse  Renzo,  con  una  voce  e  con  un 
viso  divenuto,  tutt'  a  un  tratto,  più  umano. 

»Ve  lo  prometto.» 

«Me  P  avete  promesso.» 

«Signore,  vi  ringrazio!»  esclamò  Agnese,  doppiamente 
contenta. 

In  mezzo  a  quella  sua  gran  collera,  aveva  Renzo  pensato 
di  che  profitto  poteva  esser  per  lui  lo  spavento  di  Lucia? 
E  non  aveva  adoperato  un  po'  d'  artifizio  a  farlo  crescere, 
per  farlo  fruttare?  Il  nostro  autore  protesta  di  non  ne  saper 
nulla:  e  io  credo  che  nemmen  Renzo  non  lo  sapesse  bene. 
Il  fatto  sta  eh'  era  realmente  infuriato  contro  don  Rodrigo,  e 
che  bramava  ardentemente  il  consenso  di  Lucia;  e,  quando 
due  forti  passioni  schiamazzano  insieme  nel  cuor  d'  un  uomo, 
nessuno,  neppure  il  paziente,  può  sempre  distinguer  chiara- 
mente una  voce  dall'  altra,  e  dir  con  sicurezza  qual  sia  quella 
che  predomini. 

«Ve  P  ho  promesso,')  rispose  Lucia,  con  un  tono  di  rim- 
provero timido  e  affettuoso:  «ma  anche  voi  avevate  promesso 
di  non  fare  scandoli,  di  rimettervene  al  padre  .  .  .  .» 

«Oh  via!  per  amor  di  chi  vado  in  furia?  Volete  tornar 
indietro,  ora?  e  farmi  fare  uno  sproposito?» 

«No,  no,»  disse  Lucia,  cominciando  a  rispaventarsi.  «Ho 
promesso,  e  non  mi  ritiro.  Ma  vedete  voi  come  mi  avete 
fatto  promettere.     Lio  non  voglia  .  .  .  .» 

«Perchè  volete  far  de'  cattivi  augùri,  Lucia?  Dio  sa  che 
non  facciam  male  a  nessuno.» 

«Promettetemi  almeno  che  questa  sarà  V  ultima.» 

«Ve  lo  prometto,  da  povero  figliuolo.» 

«Ma,  questa  volta,  mantenete  poi,»  disse  Agnese. 


CAPITOLO    VII  77 

Qui  l'autore  confessa  di  non  sapere  un'altra  cosa:  se  Lu- 
cia fosse,  in  tutto  e  per  tutto ,  malcontenta  d' essere  stata 
spinta  ad  acconsentire.  Noi  lasciamo,  come  lui,  la  cosa  in 
dubbio. 

Renzo  avrebbe  voluto  prolungare  il  discorso,  e  fissare,  a 
parte  a  parte  quello  che  si  doveva  fare  il  giorno  dopo:  ma 
era  già  notte,  e  le  donne  gliel'  augurarono  buona  non  pa- 
rendo loro  cosa  conveniente  che  a  quell'  ora  si  trattenesse  più 
a  lungo. 

La  notte  però  fu  a  tutt'  e  tre  così  buona,  come  può  essere 
quella  che  succede  a  un  giorno  pieno  d'  agitazioni  e  di  guai, 
e  d'  esito  incerto.  Renzo  si  lasciò  veder  di  buon'  ora,  e  con- 
certò con  le  donne,  o  piuttosto  con  Agnese,  la  grand'  opera- 
zione della  sera,  proponendo  e  sciogliendo  a  vicenda  difficoltà, 
antivedendo  contrattempi,  e  ricominciando ,  ora  1'  uno  ora 
l'altra,  a  descriver  la  faccenda,  come  si  racconterebbe  una 
cosa  fatta.  Lucia  ascoltava;  e  senza  approvar  con  parole  ciò 
che  non  poteva  approvare  in  cuor  suo,  prometteva  di  far 
meglio  che  saprebbe. 

«Andrete  voi  giù  al  convento,  per  parlare  al  padre  Cri- 
stoforo, come  v'ha  detto  ier  sera?»  domandò  Agnese  a 
Renzo. 

«Le  zucche!»  rispose  questo:  «sapete  che  diavoli  d'occhi 
ha  il  padre:  mi  leggerebbe  in  viso,  come  sur  un  libro,  che 
e'  è  qualche  cosa  per  aria  ;  e  se  cominciasse  a  farmi  del- 
l' interrogazioni,  non  potrei  uscirne  a  bene.  E  poi,  io  devo 
star  qui,  per  accudire  all'  affare.  Sarà  meglio  che  mandiate 
voi  qualcheduno.» 

«Manderò  Menico.» 

«Va  bene,»  rispose  Renzo;  e  partì,  per  accudire  all'af- 
fare, come  aveva  detto. 

Agnese  andò  a  una  casa  vicina,  a  cercar  Menico,  eh'  era 
un  ragazzetto  di  circa  dodici  anni,  sveglio  la  sua  parte,  e 
che,  per  via  di  cugini  e  di  cognati,  veniva  a  essere  un 
po' suo  nipote.  Lo  chiese  ai  parenti,  come  in  prestito,  per 
tutto  quel  giorno,  «per  un  certo  servizio,»  diceva.  Avutolo, 
io  condusse  nella  sua  cucina,  gli  diede  da  colazione,  e  gli 
disse  che  andasse  a  Pescarenico,  e  si  facesse  vedere  al  padre 
Cristoforo,  il  quale  lo  rimanderebbe  poi,  con  una  risposta, 
quando  sarebbe  tempo.  «Il  padre  Cristoforo,  quel  bel 
vecchio,  tu  sai,  con  la  barba  bianca,  quello  che  chiamano  il 
santo  .  .  .» 

«Ho  capito,»  disse  Menico:  «quello  che  ci  accarezza 
sempre,  noi  altri  ragazzi,  e  ci  dà,  ogni  tanto,  qualche 
santino.» 

«Appunto,  Menico.  E  se  ti  dirà  che  tu  aspetti  qualche 
poco,  lì  vicino  al   convento,  non  ti   sviare:  bada  di  non  an- 


78  I    PROMESSI    SPOSI. 

dar,  con  de' compagni,  al  lago,  a  veder  pescare,  né  a  diver- 
tirti con  le  reti  attaccate  al  muro  ad  asciugare,  né  a  far 
quell'  altro  tuo  giochetto  solito  .  . .  .» 

Bisogna  saper  che  Menico  era  bravissimo  per  fare  a  rim- 
balzello; e  si  sa  che  tutti,  grandi  e  piccoli,  facciam  volentieri 
le  cose  alle  quali  abbiamo  abilità;  non  dico  quelle  sole. 

«Poh!  zia;  non  sono  poi  un  ragazzo.» 

dBene,  abbi  giudizio;  e  quando  tornerai  con  la  rispo- 
sta ...  .  guarda;  queste  due  belle  parlagliele  nuove  son 
per  te.» 

«Datemele  ora,  eh'  è  lo  stesso.» 

«No,  no,  tu  le  giocheresti.  Va,  e  portati  bene;  che  n'  a- 
vrai  anche  di  più.» 

X.Xel  rimanente  di  quella  lunga  mattinata,  si  videro  certe 
novità  che  misero  non  poco  in  sospetto  V  animo  già  contur- 
bato delle  donne.  Un  mendico,  né  rifinito  né  cencioso  come 
i  suoi  pari,  e  con  un  non  so  che  d'  oscuro  e  di  sinistro  nel 
sembiante,  entrò  a  chieder  la  carità,  dando  in  qua  e  in  là 
cert'  occhiate  da  spione.  Gli  fu  dato  un  pezzo  di  pane,  che 
ricevette  e  ripose,  con  un'  indifferenza  mal  dissimulata.  Si 
trattenne  poi,  con  una  certa  sfacciataggine,  e  nello  stesso 
tempo,  con  esitazione,  facendo  molte  domande,  alle  quali 
Agnese  s'  affrettò  di  risponder  sempre  il  contrario  di  quello 
che  era.  Movendosi,  come  per  andar  via,  finse  di  sbagliar 
l' uscio,  entrò  in  quello  che  metteva  alla  scala,  e  lì  diede 
un'  altra  occhiata  in  fretta,  come  potè.  Gridatogli  dietro  : 
«ehi!  ehi!  dove  andate,  galantuomo?  di  qua!  di  qua!» 
tornò  indietro,  e  uscì  dalla  parte  che  gli  veniva  indicata, 
scusandosi,  con  una  sommissione,  con  un'  umiltà  affettata,  che 
stentava  a  collocarsi  nei  lineamenti  duri  di  quella  faccia. 
Dopo  costui,  continuarono  a  farsi  vedere,  di  tempo  in  tempo, 
altre  strane  figure.  Che  razza  d'uomini  fossero,  non  si  sa- 
rebbe potuto  dir  facilmente;  ma  non  si  poteva  creder  nep- 
pure che  fossero  quegli  onesti  viandanti  che  volevan  parere. 
Uno  entrava  col  pretesto  di  farsi  insegnar  la  strada;  altri, 
passando  davanti  all'  uscio,  rallentavano  il  passo,  e  guardavan 
sott'  occhio  nella  stanza,  a  traverso  il  cortile,  come  chi  vuol 
vedere  senza  dar  sospetto.  Finalmente,  verso  il  mezzogiorno, 
quella  fastidiosa  processione  finì.  Agnese  s'  alzava  ogni  tanto, 
attraversava  il  cortile,  s'  affacciava  all'  uscio  di  strada,  guar- 
dava a  destra  e  a  sinistra,  e  tornava  dicendo:  «nessuno:» 
parola  che  proferiva  con  piacere,  e  che  Lucia  con  piacere 
sentiva,  senza  che  né  1'  una  né  V  altra  ne  sapessero  ben  chia- 
ramente il  perchè.  Ma  ne  rimase  a  tutt'  e  due  una  non  so 
buale  inquietudine,  che  levò  loro,  e  alla  figliuola  principal- 
seente,  una  gran  parte  del  coraggio  che  avevan  messo  ia 
mrbo  per  la  sera. 


CAPITOLO    VII.  79 

Convien  però  che  il  lettore  sappia  qualcosa  di  più  pre- 
ciso, intorno  a  que'  ronzatori  misteriosi:  e,  per  informarlo  di 
tutto,  dobbiam  tornare  un  passo  indietro,  e  ritrovar  don  Ro- 
drigo, che  abbiam  lasciato  ieri,  solo  in  una  sala  del  suo  pa- 
lazzotto, al  partir  del  padre  Cristoforo. 

Don  Rodrigo,  come  abbiam  detto,  misurava  innanzi  e  in- 
dietro, a  passi  lunghi,  quella  sala,  dalle  pareti  della  quale 
pendevano  ritratti  eli  famiglia,  di  varie  generazioni.  Quando 
si  trovava  col  viso  a  una  parete,  e  voltava,  si  vedeva  in  fac- 
cia un  suo  antenato  guerriero,  terrore  dei  nemici  e  de'  suoi 
soldati,  torvo  nella  guardatura,  co'  capelli  corti  e  ritti,  co'  baffi 
tirati  e  a  punta  che  sporgevan  dalle  guance,  col  mento  obli- 
quo: ritto  in  piedi  1'  eroe,  con  le  gambiere,  co'  cosciali,  con 
la  corazza,  co'  bracciali,  co' guanti,  tutto  di  ferro;  con  la  de- 
stra sul  fianco,  e  la  sinistra  sul  pomo  della  spada.  Don  Ro- 
drigo lo  guardava;  e  quando  gli  era  arrivato  sotto,  e  voltava, 
ecco  in  faccia  un  altro  antenato,  magistrato,  terrore  de' liti- 
ganti e  degli  avvocati,  a  sedere  sur  una  gran  seggiola  coperta 
di  velluto  rosso,  ravvolto  in  un'ampia  toga  nera;  tutto  nero, 
fuorché  un  collare  bianco,  con  due  larghe  facciole,  e  una  fo- 
dera di  zibellino  arrovesciata  era  il  distintivo  de'  senatori,  e 
non  lo  portavan  che  1'  inverno,  ragion  per  cui  non  si  troverà 
mai  un  ritratto  di  senatore  vestito  d'  estate);  macilento,  con 
le  ciglia  aggrottate:  teneva  in  mano  una  supplica,  e  pareva 
che  dicesse:  vedremo.  Di  qua  una  matrona,  terrore  delle  sue 
cameriere:  di  là  un  abate,  terrore  de' suoi  monaci:  tutta 
gente  in  somma  che  aveva  fatto  terrore,  e  lo  spirava  ancora 
dalle  tele.  Alla  presenza  di  tali  memorie,  don  Rodrigo  tanto 
più  s'arrovellava,  si  vergognava,  non  poteva  darsi  pace,  che 
un  frate  avesse  osato  venirgli  addosso,  con  la  prosopopea  di 
Nathan.  Formava  un  disegno  di  vendetta,  1'  abbandonava, 
pensava  come  soddisfare  insieme  alla  passione,  e  a  ciò  che 
chiamava  onore;  e  talvolta  (vedete  un  poco!)  sentendosi  fischiare 
ancora  agli  orecchi  queir  esordio  di  profezia,  si  sentiva  ve- 
nir, come  si  dice,  i  bordoni,  e  stava  quasi  per  deporre  il 
pensiero  delle  due  soddisfazioni.  Finalmente  per  far  qualche 
cosa,  chiamò  un  servitore,  e  gli  ordinò,  che  lo  scusasse  con 
la  compagnia,  dicendo  eh'  era  trattenuto  da  un  affare  urgente. 
Quando  quello  tornò  a  riferire  che  que'  signori  eran  partiti, 
lasciando  i  loro  rispetti:  «e  il  conte  Attilio?»  domandò,  sem- 
pre camminando,  don  Rodrigo. 

cÈ  uscito  con  que'  signori,  illustrissimo.» 

«Bene:  sei  persone  di  seguito,  per  la  passeggiata:  subito. 
La  spada,  la  cappa,  il  cappello:  subito.» 

Il  servitore  partì,  rispondendo  con  un  inchino;  e  poco  dopo, 
tornò,  portando  la  ricca  spada,  che  il  padrone  si  cinse;  la 
cappa,   che   si  buttò   sulle   spalle;  il   cappello   a  gran  penne, 


80  I   PROMESSI    SPOSI. 

che  mise  e  inchiodò,  con  una  manata,  fieramente  sul  capo: 
segno  di  marina  torbida.  Si  mosse,  e,  alla  porta,  trovò  i  sei 
ribaldi  tutti  armati,  i  quali,  fatto  ala,  e  inchinatolo,  gli  an- 
daron  dietro.  Più  burbero,  più  superbioso,  più  accigliato  del 
solito,  uscì  e  andò  passeggiando  verso  Lecco.  I  contadini,  gli 
artigiani,  al  vederlo  venire,  si  ritiravan  rasente  al  muro,  e  di 
lì  facevano  scappellate  e  inchini  profondi,  ai  quali  non  rispon- 
deva. Come  inferiori,  l'inchinavano  anche  quelli  che  da 
questi  eran  detti  signori;  che,  in  que' contorni,  non  ce  n'era 
uno  che  potesse,  a  mille  miglia,  competer  con  lui,  di  nome, 
di  ricchezze,  d' aderenze  e  della  voglia  di  servirsi  di  tutto 
ciò,  per  istare  al  di  sopra  degli  altri.  E  a  questi  corrispon- 
deva con  una  degnazione  contegnosa.  Quel  giorno  non  av- 
venne, ma  quando  avveniva  che  s'incontrasse  col  signor  ca- 
stellano spagnolo,  V  inchino  allora  era  ugualmente  profondo 
dalle  due  parti  ;  la  cosa  era  come  tra  due  potentati,  i  quali 
non  abbiano  nulla  da  spartire  tra  loro;  ma  per  convenienza, 
fanno  onore  al  grado  V  uno  dell'  altro.  Per  passare  un  poco 
la  mattina,  e  per  contrapporre  all'  immagine  del  frate  che 
gli  assediava  la  fantasia,  immagini  in  tutto  diverse,  don  Ro- 
drigo entrò  quel  giorno,  in  una  casa,  dove  andava,  per  il  so- 
lito, molta  gente,  e  dove  fu  ricevuto  con  quella  cordialità  af- 
faccendata e  rispettosa,  eh'  è  riserbata  agli  uomini  che  si 
fanno  molto  amare  o  molto  temere:  e,  a  notte  già  fatta,  tornò 
al  suo  palazzotto.  11  conte  Attilio  era  anche  lui  tornato  in 
quel  momento:  e  fu  messa  in  tavola  la  cena,  durante  la  quale, 
don  Rodrigo  fu  sempre  sopra  pensiero,  e  parlò  poco. 

Cugino,  quando  pagate  questa  scommessa?')  disse,  con 
un  fare  di  malizia  e  di  scherno,  il  conte  Attilio,  appena  spa- 
recchiato, e  andati  via  i  servitori. 

«San  Martino  non  è  ancor  passato.» 

«Tant'  è  che  la  paghiate  subito  ;  perchè  passeranno  tutti 
i  santi  del  lunario,  prima  che  ....  » 

«Questo  è  quel  che  si  vedrà.» 

«Cugino,  voi  volete  fare  il  politico;  ma  io  ho  capito  tutto, 
e  son  tanto  certo  d'  aver  vinta  la  scommessa,  che  son  pronto 
a  farne  un'  altra.» 

«Sentiamo.» 

«Che  il  padre  ....  il  padre  ....  che  so  io?  quel  frate  in 
somma  v'  ha  convertito.» 

«Eccone  un'  altra  delle  vostre.» 

«Convertito,  cugino;  convertito,  vi  dico.  Io  per  me,  ne 
godo.  Sapete  che  sarà  un  bello  spettacolo  vedervi  tutto  com- 
punto, e  con  gli  occhi  bassi!  E  che  gloria  per  quel  padre! 
Come  sarà  tornato  a  casa  gonfio  e  pettoruto!  Xon  son  pesci 
che  si  piglino  tutti  i  giorni,  né  con  tutte  le  reti.  Siate  certo 
che  vi  porterà  per  esempio;  e,  quando  anderà  a  far  qualche 


CAPITOLO    VII»  81 

missione  un  po' lontano,  parlerà  de' fatti  vostri.  Mi  par  di 
sentirlo.»  E  qui,  parlando  col  naso,  e  accompagnando^ le  pa- 
role con  gesti  caricati,  continuò,  in  tono  di  predica:  «in  una 
parte  di  questo  mondo,  che  per  degni  rispetti  non  nomino, 
viveva,  uditori  carissimi,  e  vive  tuttavia,  un  cavaliere  scape- 
strato, amico  più  delle  femmine  che  degli  uomini  dabbene,  il 
quale,  avvezzo  a  far  d'  ogni  erba  un  fascio,  aveva  messo  gli 
occhi ....  » 

«Basta,  basta,»  interruppe  don  Rodrigo,  mezzo  sogghi- 
gnando, e  mezzo  annoiato.  «Se  volete  raddoppiar  la  scom- 
messa, son  pronto  anch'io.» 

«Diavolo!  che  aveste  voi  convertito  il  padre!» 

«Xon  mi  parlate  di  colui;  e  in  quanto  alla  scommessa,  san 
Martino  deciderà.»  La  curiosità  del  conte  era  stuzzicata;  non 
gli  risparmiò  interrogazioni,  ma  don  Rodrigo  le  seppe  eluder 
tutte,  rimettendosi  sempre  al  giorno  della  decisione,  e  non 
volendo  comunicare  alla  parte  avversa  disegni  che  non  erano 
né  incamminati,  né  assolutamente  fissati. 

La  mattina  seguente,  don  Rodrigo  si  destò  don  Rodrigo. 
L'  apprensione  che  quel  verrà  un  giorno  gli  aveva  messa  in 
corpo,  era  svanita  del  tutto  co' sogni  della  notte  e  gli  rima- 
neva la  rabbia  sola,  esacerbata  anche  dalla  vergogna  di  quella 
debolezza  passeggiera.  L'  immagini  più  recenti  della  passeg- 
giata trionfale,  degl'inchini,  dell'accoglienze,  e  il  canzonare 
del  cugino,  avevano  contribuito  non  poco  a  rendergli  V  animo 
antico.  Appena  alzato,  fece  chiamare  il  Griso.  —  Cose 
grosse,  —  disse  tra  sé  il  servitore  a  cui  fu  dato  l'ordine; 
perchè  1'  uomo  che  aveva  quel  soprannome,  non  era  niente 
meno  che  il  capo  de' bravi,  quello  a  cui  s'imponevano  le  im- 
prese più  rischiose  e  più  inique,  il  fidatissimo  del  padrone, 
l'uomo  tutto  suo,  per  gratitudine  e  per  interesse.  Dopo 
aver  ammazzato  uno,  di  giorno,  in  piazza,  era  andato  ad  im- 
plorar la  protezione  di  don  Rodrigo;  e  questo,  vestendolo 
della  sua  livrea ,  l' aveva  messo  al  coperto  da  ogni  ricerca 
della  giustizia.  Così,  impegnandosi  a  ogni  delitto  che  gli  ve- 
nisse comandato,  colui  si  era  assicurata  l' impunità  del  primo. 
Per  don  Rodrigo,  l'acquisto  non  era  stato  di  poca  impor- 
tanza: perchè  il  Griso,  oltre  all'essere,  senza  paragone, 
il  più  valente  della  famiglia,  era  anche  una  prova  di  ciò  che 
il  suo  padrone  aveva  potuto  attentar  felicemente  contro  le 
leggi;  di  modo  che  la  sua  potenza  ne  veniva  ingrandita  nel 
fatto  e  nell'  opinione. 
X'»' Griso!»  disse  don  Rodrigo:  «in  questa  congiuntura,  si 
vedrà  quel  che  tu  vali.  Prima  di  domani  quella  Lucia  deve 
trovarsi  in  questo  palazzo.» 

«Xon  si  dirà  mai  che  il  Griso  si  sia  ritirato  da  un  co- 
mando dell'illustrissimo  signor  padrone.» 

Manzoni.  6 


82  I    PROMESSI   SPOSI. 

"Piglia  quanti  uomini  ti  possono  bisognare,  ordina,  e  dis- 
poni, come  ti  par  meglio;  purché  la  cosa  riesca  a  buon  fiue. 
Ma  bada  sopra  tutto,  che  non  le  sia  fatto  male.» 

«Signore,  un  po' di  spavento,  perchè  la  non  faccia  troppo 
strepito non  si  potrà  far  di  meno.» 

«Spavento  ....  capisco  ....  è  inevitabile.  Ma  non  le  si 
torca  un  capello;  e  sopra  tutto  le  si  porti  rispetto  in  ogni 
maniera.    Hai  inteso?» 

«Signore,  non  si  può  levare  un  fiore  dalla  pianta,  e  por- 
tarlo a  vossignoria,  senza  toccarlo.  Ma  non  si  farà  che  il 
puro  necessario.» 

«Sotto  la  tua  sicurtà.    E  .  . ..  come  farai?» 

«Ci  stavo  pensando,  signore.  Siam  fortunati  che  la  casa 
è  in  fondo  al  paese.  Abbiam  bisogno  di  un  luogo  per  an- 
darci a  postare:  e  appunto  c'è,  poco  distante  di  là,  quel 
casolare  disabitato  e  solo,  in  mezzo  ai  campi,  quella  casa  .... 
vossignoria  non  saprà  niente  di  queste  cose  ....  una  casa 
che  bruciò  pochi  anni  sono,  e  non  hanno  avuto  danari  da 
riattarla,  e  l'banDO  abbandonata,  e  ora  ci  vanno  le  streghe; 
ma  non  è  sabato  e  me  ne  rido.  Questi  villani  che  son  pieni 
d'  ubbie,  non  ci  bazzicherebbero,  in  nessuna  notte  della  setti- 
mana, per  tutto  l'oro  del  mondo:  sicché  possiamo  andare 
a  fermarci  là,  con  sicurezza  che  nessuno  verrà  a  guastare  i 
fatti  nostri.» 

«Va  bene!  e  poi?» 

Qui  il  Griso  a  proporre ,  don  Rodrigo  a  discutere,  finché 
d'  accordo  ebbero  concertata  la  maniera  di  condurre  a  fine  / 
l'impresa,  senza  che  rimanesse  traccia  degli  autori J la  ma-^.. 
niera  anche  di  rivolgere,  con  falsi  indizi,  i  sospetti  altrove, 
d' impor  silenzio  alla  povera  Agnese,  d' incutere  a  Renzo  tale 
spavento,  da  fargli  passare  il  dolore,  e  il  pensiero  di  ricor- 
rere alla  giustizia,  e  anche  la  volontà  di  lagnarsi;  e  tutte  l'al- 
tre bricconerie  necessarie  alla  riuscita  della  bricconeria  prin- 
cipale. Noi  tralasciamo  di  riferir  que'  concerti,  perchè,  come 
il  lettore  vedrà,  non  son  necessari  all'intelligenza  della  sto- 
ria; e  siam  contenti,  anche  noi  di  non  doverlo  trattener  più 
lungamente  a  sentir  parlamentare  que'  due  fastidiosi  ribaldi. 
Basta  che,  mentre  il  Griso  se  n'andava,  per  metter  mano 
all'esecuzione,  don  Rodrigo  lo  richiamò,  e  gli  disse:  «senti: 
se  per  caso,  quel  tanghero  temerario  vi  desse  nell'unghie 
questa  sera,  non  sarà  male  che  gli  sia  dato  anticipatamente 
un  buon  ricordo  sulle  spalle.  Così,  V  ordine  che  gli  verrà  in- 
timato domani  di  stare  zitto,  farà  più  sicuramente  1'  effetto. 
Ma  non  l'andate  a  cercare,  per  non  guastare  quello  che  più 
importa:  tu  nv  hai  inteso.» 

«Lasci  fare  a  me,»  rispose  il  Griso,  inchinandosi,  con 
atto  d'ossequio    e   di   millanteria;    e  se  n'andò.     La  mattina 


CAPITOLO   VII.  83 

fu  spesa  in  giri,  per  riconoscere  il  paese.  Quel  falso  pezzente 
che  s'era  inoltrato  a  quel  modo  nella  povera  casetta,  non 
era  altro  che  il  Griso,  il  quale  veniva  per  levarne  a  occhio 
la  pianta:  i  falsi  viandanti  eran  suoi  ribaldi,  ai  quali  per 
operare  sotto  i  suoi  ordini,  bastava  una  cognizione  più  su- 
perficiale del  luogo.  E,  fatta  la  scoperta,  non  s'  eran  più  la- 
sciati vedere,  per  non  dar  troppo  sospetto. 

Tornati  che  furon  tutti  al  palazzotto,  il  Griso  rese  conto, 
e  fissò  definitivamente  il  disegno  dell'impresa;  assegnò  le 
parti,  diede  istruzioni.  Tutto  ciò  non  si  potè  fare  senza  che 
quel  vecchio  servitore,  il  quale  stava  a  occhi  aperti,  e  a 
orecchi  tesi,  s'accorgesse  che  qualche  gran  cosa  si  macchi- 
nava. A  forza  di  stare  attento  e  di  domandare;  accattando 
una  mezza  notizia  di  qua,  una  mezza  di  là,  commentando 
tra  sé  una  parola  oscura,  interpretando  un  andare  misterioso, 
tanto  fece,  che  venne  in  chiaro  di  ciò  che  si  doveva  eseguir 
quella  notte.  Ma  quando  ci  fu  riuscito,  essa  era  già  poco 
lontana,  e  già  una  piccola  vanguardia  di  bravi  era  andata 
a  imboscarsi  in  quel  casolare  diroccato.  Il  povero  vecchio, 
quantunque  sentisse  bene  a  che  rischioso  giuoco  giocava ,  e 
avesse  anche  paura  di  portare  il  soccorso  di  Pisa,  pure  non 
volle  mancare:  uscì,  con  la  scusa  di  prendere  un  po'  d'aria, 
e  s'incamminò  in  fretta  in  fretta  al  convento,  per  dare  al 
padre  Cristoforo  l'avviso  promesso.  Poco  dopo,  si  mossero 
gli  altri  bravi,  e  discesero  spicciolati,  per  non  parere  una 
compagnia:  il  Griso  venne  dopo;  e  non  rimase  indietro  che 
una  bussola,  la  quale  doveva  esser  portata  al  casolare,  a  sera 
inoltrata:  come  fu  fatto.  Radunati  che  furono  in  quel  luogo, 
il  Griso  spedì  tre  di  coloro  all'osteria  del  paesetto;  uno  che 
si  mettesse  sull'uscio,  a  osservar  ciò  che  accadesse  nella 
strada,  e  a  veder  quando  tutti  gli  abitanti  fossero  ritirati: 
gli  altri  due  stessero  dentro  a  giocare  e  a  bere,  come  dilet- 
tanti; e  attendessero  intanto  a  spiare  se  qualche  cosa  da 
spiare  ci  fosse.  Egli,  col  grosso  della  truppa,  rimase  nell'  ag- 
guato ad  aspettare. 

Il  povero  vecchio  trottava  ancora,  i  tre  esploratori  arri- 
vavano al  loro  posto;  il  sole  cadeva;  quando  Renzo  entrò 
dalle  donne,  e  disse:  «Tonio  e  Gervaso  m' aspettan  fuori: 
vo  con  loro  all'osteria,  a  mangiare  un  boccone;  e,  quando 
sonerà  1'  ave  maria,  verremo  a  prendervi.  Su,  coraggio,  Lu- 
cia! tutto  dipende  da  un  momento.»  Lucia  sospirò,  e  ripetè: 
«coraggio,»  con  una  voce  che  smentiva  la  parola. 

Quando  Renzo  e  i  due  compagni  giunsero  all'  osteria ,  vi 
trovaron  quel  tale  già  piantato  in  sentinella,  che  ingombrava 
mezzo  il  vano  della  porta,  appoggiato  con  la  schiena  a  uno 
stipite,  con  le  braccia  incrociate  sul  petto;  e  guardava  e  ri- 
guardava,  a  destra  e  a  sinistra,  facendo  lampeggiare  ora  il 

6* 


84  I   PROMESSI    SPOSI. 

bianco,  ora  il  nero  di  due  occhi  grifagni.  Un  berretto  piatto 
di  velluto  chermisi,  messo  storto,  gli  copriva  la  metà  del 
ciuffo,  che,  dividendosi  sur  una  fronte  fosca,  girava,  da  una 
parte  e  dall'altra,  sotto  gli  orecchi,  e  terminava  in  trecce, 
fermate  con  un  pettine  sulla  nuca.  Teneva  sospeso  in  una 
mano  un  grosso  randello;  arme  propriamente  non  ne  portava 
in  vista;  ma,  solo  a  guardargli  in  viso,  anche  un  fanciullo 
avrebbe  pensato  che  doveva  averne  sotto  quante  ce  ne  poteva 
stare.  Quando  Renzo,  ch'era  innanzi  agli  altri,  fu  lì  per 
entrare,  colui  senza  scomodarsi,  lo  guardò  fisso  fisso;  ma  il 
giovine,  intento  a  schivare  ogni  questione,  come  suole  ognuno 
che  abbia  un'impresa  scabrosa  alle  mani,  non  fece  vista  d'ac- 
corgersene, non  disse  neppure:  fatevi  in  là;  e,  rasentando 
l'altro  stipite,  passò  per  isbieco,  col  fianco  innanzi,  per  l'a- 
pertura lasciata  da  quella  cariatide.  I  due  compagni  dovettero 
far  la  stessa  evoluzione,  se  vollero  entrare.  Entrati,  videro 
gli  altri,  de'  quali  avevan  già  sentita  la  voce,  cioè  que'  due 
bravacci,  che  seduti  a  un  canto  della  tavola,  giocavano  alla 
mora,  gridando  tutt' e  due  insieme  (lì  è  il  giuoco  che  lo 
richiede),  e  mescendosi  or  1'  uno  or  1'  altro  da  bere,  con  un 
gran  fiasco  eh'  era  tra  loro.  Questi  pure  guardaron  fisso  la 
nuova  compagnia;  e  un  de' due  specialmente,  tenendo  una 
mano  in  aria,  con  tre  ditacci  tesi  e  allargati,  e  avendo  la 
bocca  ancora  aperta  per  un  gran  «sei»  che  n'era  scoppiato 
fuori  in  quel  momento ,  squadrò  Renzo  da  capo  a  piedi  ;  poi 
diede  d'occhio  al  compagno,  poi  a  quel  dell'uscio,  che.  ri- 
spose con  un  cenno  del  capo.  Renzo  insospettito  e  incerto 
guardava  ai  suoi  due  convitati,  come  se  volesse  cercare  ne'  loro 
aspetti  un'  interpretazione  di  tutti  que'  segni:  ma  i  loro 
aspetti  non  indicavano  altro  che  un  buon  appetito.  L'  oste 
guardava  in  viso  a  lui,  come  per  aspettar  gli  ordini:  egli  lo 
fece  venir  con  sé  in  una  stanza  vicina,  e  ordinò  da  cena. 

«Chi  sono  que' forestieri?»  gli  domandò  poi  a  voce  bassa, 
quando  quello  tornò,  con  una  tovaglia  grossolana  sotto  il 
braccio,  e  un  fiasco  in  mano. 

«Xon  li  conosco,»   rispose  l'oste,    spiegando  la  tovaglia. 

«Come?  né  anche  uno?» 

«Sapete  bene,«  rispose  ancora  colui,  stirando  con  tutt' e 
due  le  mani,  la  tovaglia  sulla  tavola,  «che  la  prima  regola 
del  nostro  mestiere ,  è  di  non  domandare  i  fatti  degli  altri  : 
tanto  che  fin  le  nostre  donne  non  son  curiose.  Si  starebbe 
freschi,  con  tanta  gente  che  va  e  viene:  è  sempre  un  porto 
di  mare:  quando  le  annate  son  ragionevoli,  voglio  dire;  ma 
stiamo  allegri,  che  tornerà  il  buon  tempo.  A  noi  basta  che 
gli  avventori  siano  galantuomini:  chi  siano  poi,  o  chi  non 
siano,  non  fa  niente.  E  ora  vi  porterò  un  piatto  di  polpette, 
che  le  simili  non  le  avete  mai  mangiate.» 


CAPITOLO    VII.  85 

»  Come  potete  sapere  ....?•>  ripigliava  Renzo,  ma  1'  oste, 
già  avviato  alla  cucina,  seguitò  la  sua  strada.  E  lì,  mentre 
prendeva  il  tegame  delle  polpette  summentovate,  gli  s'ac- 
costò pian  piano  quel  bravaccio  che  aveva  squadrato  il  no- 
stro giovine,  e  gli  disse  sottovoce.  <■  Chi  sono  que'  galantuo- 
mini?» 

«  Buona  gente  qui  del  paese,»  rispose  l'oste,  scodellando 
le  polpette  nel  piatto. 

«Va  bene;  ma  come  si  chiamano?  chi  sono?-)  insistette 
colui,  con  voce  alquanto  sgarbata. 

«Uno  si  chiama  Renzo,»  rispose  l'oste,  pur  sottovoce: 
«un  buon  giovine,  assestato;  filatore  di  seta,  che  sa  bene 
il  suo  mestiere.  L'altro  è  un  contadino  che  ha  nome  Tonio: 
buon  camerata,  allegro:  peccato  che  n'abbia  pochi;  che  gli 
spenderebbe  tutti  qui.  L'  altro  è  un  sempliciotto,  che  mangia 
però  volentieri,  quando  gliene  danno.     Con  permesso.» 

E,  con  uno  sgambetto,  usci  tra  il  fornello  e  l'interrogante; 
e  andò  a  portare  il  piatto  a  chi  si  doveva.  «  Come  potete 
sapere,»  riattaccò  Renzo,  quando  lo  vide  ricomparire,  «che 
siano  galantuomini,  se  non  li  conoscete?» 

»  Le  azioni,  caro  mio:  1'  uomo  si  conosce  all'  azioni.  Quelli 
che  bevono  il  vino  senza  criticarlo,  che  pagano  il  conto  senza 
tirare,  che  non  metton  su  lite  con  gli  altri  avventori,  e  se 
hanno  una  coltellata  da  consegnare  a  uno,  lo  vanno  ad  aspet- 
tar fuori,  e  lontano  dall'  osteria,  tanto  che  il  povero  oste  non 
ne  vada  di  mezzo,  quelli  sono  i  galantuomini.  Però  se  si  può 
conoscer  la  gente  bene,  come  ci  conosciamo  tra  noi  quattro, 
è  meglio.  E  che  diavolo  vi  vien  voglia  di  saper  tante  cose, 
quando  siete  sposo,  e  dovete  aver  tutt' altro  in  testa?  e  con 
davanti  quelle  polpette,  che  farebbero  resuscitare  un  morto?') 
Così  dicendo,  se  ne  tornò  in  cucina. 

Il  nostro  autore,  osservando  al  diverso  modo  che  teneva 
costui  nel  soddisfare  alle  domande,  dice  eh'  era  un  uomo  cosi 
fatto,  che,  in  tutti  i  suoi  discorsi,  faceva  professione  d'esser 
molto  amico  de' galantuomini  in  generale;  ma  in  atto  pratico, 
usava  molto  maggior  compiacenza  con  quelli  che  avessero  ri- 
putazione o  sembianza  di  birboni  Che  carattere  singo- 
lare! eh? 

La  cena  non  fu  molto  allegra.  T  due  convitati  avrebbero 
voluto  godersela  con  tutto  loro  comodo:  ma  l'invitante,  pre- 
occupato di  ciò  che  il  lettore  sa,  e  infastidito,  e  anche  un 
po'  inquieto  del  contegno  strano  di  quegli  sconosciuti ,  non 
vedeva  l'ora  d'andarsene.  Si  parlava  sottovoce,  per  causa 
loro;  ed  eran  parole  tronche  e  svogliate. 

"Che  bella  cosa,»  scappo  fuori  di  punto  in  bianco  Ger- 
vaso,    «>che    Renzo    voglia    prender    moglie,    e    abbia    biso- 


86  l    PROMESSI    SPOSI. 

gno !»   Renzo  gli  fece  un  viso  brusco.     «Vuoi  stare  zitto, 

bestia?»  gli  disse  Tonio,  accompagnando  il  titolo  con  una 
gomitata.  La  conversazione  fu  sempre  più  fredda,  fino  alla 
fine.  Renzo,  stando  indietro  nel  mangiare,  come  nel  bere, 
attese  a  mescere  ai  due  testimoni,  con  discrezione,  in  ma- 
niera di  dar  loro  un  po'  di  brio,  senza  farli  uscir  di  cervello. 
Sparecchiato,  pagato  il  conto  da  colui  che  aveva  fatto  men 
guasto,  dovettero  tutti  e  tre  passar  nuovamente  davanti  a  quelle 
facce,  le  quali  tutte  si  voltarono  a  Renzo,  come  quand'era 
entrato.  Questo,  fatti  ch'ebbe  pochi  passi  fuori  dell'osteria, 
si  voltò  indietro,  e  vide  che  i  due  che  aveva  lasciati  seduti 
in  cucina,  lo  seguitavano:  si  fermò  allora,-  co' suoi  compagni, 
come  se  dicesse:  vediamo  cosa  voglion  da  me  costoro.  Ma  i 
due,  quando  s'  accorsero  d'  essere  osservati,  si  fermarono 
anch'  essi,  si  parlaron  sottovoce,  e  tornarono  indietro.  Se 
Renzo  fosse  stato  tanto  vicino  da  sentir  le  loro  parole,  gli 
sarebbero  parse  molto  strane.  «Sarebbe  però  un  bell'onore, 
senza  contar  la  mancia,»  diceva  uno  de' malandrini,  «se  tor- 
nando al  palazzo,  potessimo  raccontare  d'avergli  spianate  le 
costole  in  fretta  in  fretta,  e  così  da  noi,  senza  che  il  signor 
Griso  fosse  qui  a  regolare.» 

«E  guastare  il  negozio  principale!»  rispondeva  1'  altro. 
«Ecco:  s'è  avvisato  di  qualche  cosa;  si  ferma  a  guardarci. 
Ih!  se  fosse  più  tardi!  Torniamo  indietro,  per  non  dar  so- 
spetto. Vedi  che  vien  gente  da  tutte  le  parti:  lasciamoli  an- 
dar tutti  a  pollaio.» 

C  era  infatti  quel  brulichìo ,  quel  ronzìo ,  che  si  sente  in 
un  villaggio,  sulla  sera,  e  che,  dopo  pochi  momenti,  dà  luogo 
alla  quiete  solenne  della  notte.  Le  donne  venivan  dal  campo, 
portandosi  in  collo  i  bambini,  e  tenendo  per  la  mano  i  ragazzi 
più  grandi,  ai  quali  facevan  dire  le  divozioni  della  sera; 
venivan  gli  uomini,  con  le  vanghe,  e  con  le  zappe  sulle  spalle. 
AH'  aprirsi  degli  usci  si  vedevan  luccicare  qua  e  là  i  fuochi 
accesi  per  le  povere  cene  :  si  sentiva  nella  strada  barattare  i 
saluti,  e  qualche  parola  sulla  scarsità  della  raccolta,  e  sulla 
miseria  dell'annata  e  più  delle  parole,  si  sentivano  i  tocchi 
misurati  e  sonori  della  campana,  che  annunziava  il  finir  del 
giorno.  Quando  Renzo  vide  che  i  due  indiscreti  s'  eran  riti- 
rati, continuò  la  sua  strada  nelle  tenebre  crescenti,  dando 
sottovoce  ora  un  ricordo,  ora  un  altro,  ora  all'uno,  ora  al- 
l' altro  fratello.  Arrivarono  alla  casetta  di  Lucia,  eh'  era 
già  notte. 

Tra  il  primo  pensiero  d'una  impresa  terribile,  e  l'esecu- 
zione di  essa,  (ha  detto  un  barbaro  che  non  era  privo  d'in- 
gegno) l' intervallo  è  un  sogno,  pieno  di  fantasmi  e  di  paure. 
Lucia  era,  da  molte  ore,  nell'  angosce  d'  un  tal  sogno  :  e  Agne- 
se,  Agnese  medesima,   l'autrice   del  consiglio,    stava    sopra 


CAPITOLO    VII.  87 

pensiero,  e  trovava  a  stento  parole  per  rincorare  la  figlia.  Ma 
al  momento  di  destarsi,  al  momento,  cioè,  di  dar  principio 
all'opera,  l'animo  si  trova  tutto  trasformato.  Al  terrore  e 
al  coraggio  che  vi  contrastavano,  succede  un  altro  terrore  e 
un  altro  coraggio:  l'impresa  s'affaccia  alla  mente,  come  una 
nuova  apparizione:  ciò  che  prima  spaventava  di  più,  sembra 
talvolta  divenuto  agevole  tutt' a  un  tratto:  talvolta  comparisce 
grande  l'ostacolo  a  cui  s'era  appena  badato;  l'immagina- 
zione dà  indietro  sgomentata;  le  membra  par  che  ricusino 
d'ubbidire;  e  il  cuore  manca  alle  promesse  che  aveva  fatte  con 
più  sicurezza.  Al  picchiare  sommesso  di  Renzo,  Lucia  fu 
assalita  da  tanto  terrore,  che  risolvette,  in  quel  momento,  di 
soffrire  ogni  cosa,  di  star  sempre  divisa  da  lui,  piuttosto 
ch'eseguire  quella  risoluzione;  ma  quando  si  fu  fatto  vedere,  ed 
ebbe  detto:  «son  qui.  andiamo;»  quando  tutti  si  mostraron 
pronti  ad  avviarsi,  senza  esitazione,  come  a  cosa  stabilita, 
irrevocabile;  Lucia  non  ebbe  tempo  né  forza  di  far  difficoltà, 
e,  come  strascinata,  prese  tremando  un  braccio  della  madre, 
un  braccio  del  promesso  sposo,  e  si  mosse  con  la  brigata  av- 
venturiera. 

I  Zitti  zitti,  nelle  tenebre,  a  passo  misurato,  usciron  dalla 
casetta,  e  preser  la  strada  fuori  del  paese.  La  più  corta  sa- 
rebbe stata  d' attraversarlo  :  che  s' andava  diritto  alla  casa 
di  don  Abbondio;  ma  scelsero  quella,  per  non  esser  visti. 
Per  viottole,  tra  gli  orti  e  i  campi,  arrivaron  vicino  a  quella 
casa,  e  lì  si  divisero.  I  due  promessi  rimaser  nascosti  dietro 
l'angolo  di  essa;  Agnese  con  loro,  ma  un  po' più  innanzi, 
per  accorrere  in  tempo  a  fermar  Perpetua,  e  a  impadronir- 
sene; Tonio,  con  lo  scempiato  di  Gervaso,  che  non  sapeva 
far  nulla  da  sé,  e  senza  il  quale  non  si  poteva  far  nulla,  s' af- 
facciaron  bravamente  alla  porta,  e  picchiarono. 

«Chi  è,  a  quest'ora?»  gridò  una  voce  dalla  finestra,  che 
s'aprì  in  quel  momento:  era  la  voce  di  Perpetua.  «Amma- 
lati non  ce  n'  è,  eh'  io  sappia.  È  forse  accaduta  qualche  dis- 
grazia? » 

«Son  io,»  rispose  Tonio,  e  con  mio  fratello,  che  abbiam 
bisogno  di  parlare  al  signor  curato.» 

«È  ora  da  cristiani  questa?»  disse  bruscamente  Perpetua. 
«Che  discrezione?  Tornate  domani.» 

«Sentite:  tornerò  o  non  tornerò:  ho  riscosso  non  so  che 
danari,  e  venivo  a  saldar  quel  debituccio  che  sapete:  aveva 
qui  venticinque  belle  berlinghe  nuove;  ma  se  non  si  può,  pa- 
zienza: questi,  so  come  spenderli,  e  tornerò  quando  n'abbia 
messi  insieme  degli  altri.» 

«Aspettate,  aspettate:  vo  e  torno.  Ma  perchè  venire  a 
quest'  ora?» 


68  I   PROMESSI    SPOSI. 

«Gli  ho  ricevuti  anch'  io,  poco  fa;  e  ho  pensato,  come  vi 
dico,  che,  se  li  tengo  a  dormir  con  me,  non  so  di  che  parere 
sarò  domattina.  Però,  se  Torà  non  vi  piace,  non  so  che 
dire:  per  me  son  qui;  e  se  non  mi  volete,  me  ne  vo.<> 
■  No,  no,  aspettate  un  momento:  torno  con  la  risposta.' 
Così  dicendo,  richiuse  la  finestra.  A  questo  punto,  Agnese 
si  staccò  dai  promessi,  e,  detto  sottovoce  a  Lucia:  «corag- 
gio; è  un  momento;  è  come  farsi  cavar  un  dente,»  si  riunì  ai 
due  fratelli,  davanti  all'uscio;  e  si  mise  a  ciarlare  con  Tonio 
in  maniera  che  Perpetua,  venendo  ad  aprire,  dovesse  credere 
che  si  fosse  abbattuta  lì  a  caso,  e  che  Tonio  l'avesse  tratte- 
nuta un  momento. 


CAPITOLO  Vili. 

—  Cameade!  Chi  era  costui?  —  ruminava  tra  sé  don 
Abbondio  seduto  sul  suo  seggiolone,  in  una  stanza  del  piano 
superiore,  con  un  libricciolo  aperto  davanti,  quando  Perpetua 
entrò  a  portargli  l'imbasciata.  —  Cameade!  questo  nome  mi 
par  bene  d'averlo  letto  o  sentito;  doveva  essere  un  uomo  di 
studio,  un  letteratone  del  tempo  antico:  è  un  nome  di  quelli; 
ma  chi  diavolo  era  costui?  —  Tanto  il  pover  uomo  era  lon- 
tano da  prevedere  che  burrasca  gli  si  addensasse  sul  capo! 

Bisogna  sapere  che  don  Abbondio  si  dilettava  di  leggere 
un  pochino  ogni  giorno;  e  un  curato  suo  vicino,  che  aveva 
un  po'  di  libreria,  gli  prestava  un  libro  dopo  1*  altro,  il  primo 
che  gli  veniva  alle  mani.  Quello  su  cui  meditava  in  quel  mo- 
mento don  Abbondio,  convalescente  della  febbre  dello  spa- 
vento, anzi  più  guarito  (quanto  alla  febbre)  che  non  volesse 
lasciar  credere,  era  un  panegirico  in  onore  di  san  Carlo,  detto 
con  molta  enfasi,  e  udito  con  molta  ammirazione  nel  duomo 
di  Milano,  due  anni  prima.  Il  santo  v'era  paragonato,  per 
l'amore  allo  studio  ad  Archimede:  e  fin  qui  don  Abbondio 
non  trovava  inciampo  ;  perchè  Archimede  ne  ha  fatte  di  così 
curiose,  ha  fatto  dir  tanto  di  sé,  che,  per  saperne  qualche 
cosa,  non  e'  è  bisogno  d'  un'  erudizione  molto  vasta.  Ma,  dopo 
Archimede,  l'oratore  chiamava  a  paragone  anche  Cameade: 
e  lì  il  lettore  era  rimasto  arrenato.  In  quel  momento  entrò 
Perpetua  ad  annunziar  la  visita  di  Tonio. 

«A  quest'  ora?;  disse  anche  don  Abbondio,  com'  era 
naturale. 

cCosa  vuole?  Non  hanno  discrezione:  ma  se  non  lo  piglia 
al  volo  . . . . » 


CAPITOLO    Vili  89 

oGià:  se  non  lo  piglio  ora,  chi  sa  quando  lo  potrò  pi- 
gliare! Fatelo  venire....  Ehi!  ehi!  siete  poi  ben  sicura  che 
sia  proprio  lui?» 

«Diavolo!)»  rispose  Perpetua,  e  scese:  aprì  l'uscio,  e 
disse:  «dove  siete?»  Tonio  si  fece  vedere:  e,  nello  stesso 
tempo,  venne  avanti  anche  Agnese,  e  salutò  Perpetua  per 
nome. 

«Buona  sera,  Agnese,»  disse  Perpetua:  «di  dove  si  viene, 
a  quest'  ora?» 

«Vengo  da....»  e  nominò  un  paesetto  vicino.  «E  se 
sapeste....»  continuò:  «mi  son  fermata  di  più  appunto  in 
grazia  vostra.  ■> 

«Oh  perchè?»  dimandò  Perpetua:  e  voltandosi  a' due  fra- 
telli, «entrate»,  disse,  «che  vengo  anch'io.» 

«Perchè,»  rispose  Agnese,  «una  donna  di  quelle  che  non 
sanno  le  cose,  e  voglion  parlare  ....  credereste?  s'  ostinava 
a  dire  che  voi  non  vi  siete  maritata  con  Beppe  Suolavecchia, 
né  con  Anselmo  Lunghina  perchè  non  v"  hanno  voluta.  Io 
sostenevo  che  siete  stata  voi  che  gli  avete  rifiutati  P  uno  e 
P  altro » 

«Sicuro.   Oh  la  bugiarda!  la  bugiardona!  Chi  è  costei?» 

«Nod   me   lo  domandate,   che  non  mi  piace  metter  male.» 

«Me  lo  direte,  me  l'avete  a  dire:  oh  la  bugiarda!)) 

«Basta....  ma  non  potete  credere  quanto  mi  sia  dispia- 
ciuto di  non  saper  bene  tutta  la  storia,  per  confonder  colei.» 
Guardate  se  si  può  inventare,  a  questo  modo!»  esclamò 
di  nuovo  Perpetua:  e  riprese  subito:  «in  quanto  a  Beppe, 
tutti  sanno,  e  hanno  potuto  vedere....  Ehi,  Tonio!  acco- 
state l'uscio,  e  salite  pure,  che  vengo.»  Tonio  di  dentro, 
rispose  di  sì,  e  Perpetua  continuò  la  sua  narrazione  appas- 
sionata. 

In  faccia  all'uscio  di  don  Abbondio,  s'apriva  tra  due 
casipole,  una  stradetta,  che,  finite  quelle,  voltava  in  un  campo. 
Agnese  vi  s'avviò,  come  se  volesse  tirarsi  alquanto  in  dis- 
parte, per  parlar  più  liberamente;  e  Perpetua  dietro. 
Quand'  ebbero  voltato,  e  furono  in  luogo,  donde  non  si  poteva 
più  veder  ciò  che  accadesse  davanti  alla  casa  di  don  Abbon- 
dio, Agnese  tossì  forte.  Era  il  segnale:  Ptenzo  lo  sentì,  fece 
coraggio  a  Lucia,  con  una  stretta  di  braccio:  e  tutt'  e  due, 
in  punta  di  piedi,  vennero  avanti,  rasentando  il  muro,  zitti 
zitti:  arrivarono  all'uscio,  lo  spinsero  adagino  adagino;  cheti 
e  chinati  entraron  nell'  andito ,  dov'  erano  i  due  fratelli  ad 
aspettarli.  Renzo  accostò  di  nuovo  l'uscio  pian  piano:  e 
tutt' e  quattro  su  per  le  scale,  non  facendo  rumore  neppur 
per  uno.  Giunti  sul  pianerottolo,  i  due  fratelli  s'  avvicinarono 
all'uscio  della  stanza,  ch'era  di  fianco  alla  scala:  gli  spesisi 
strinsero  al  muro. 


90  I   PEOMESSI    SPOSI. 

vDeo  gratias,»  disse  Tonio  a  voce  chiara. 

«Tonio,  eh?  Entrate.»  rispose  la  voce  di  dentro. 

Il  chiamato  aprì  l'uscio,  appena  quanto  bastava  per  poter 
passar  lui  e  il  fratello,  a  un  per  volta.  La  striscia  di  luce, 
che  uscì  d' improvviso  per  quella  apertura,  e  si  disegnò  sul 
pavimento  oscuro  del  pianerottolo,  fece  riscoter  Lucia,  come 
se  fosse  scoperta.  Entrati  i  fratelli,  Tonio  si  tirò  dietro 
1'  uscio  :  gli  sposi  rimasero  immobili  nelle  tenebre,  con  P  orec- 
chie tese,  tenendo  il  fiato  :  il  rumore  più  forte  era  il  martellar 
che  faceva  il  povero  cuore  di  Lucia. 

Don  Abbondio  stava,  come  abbiam  detto,  sur  una  vecchia 
seggiola,  ravvolto  in  una  vecchia  zimarra,  con  in  capo  una 
vecchia  papalina,  che  gli  faceva  cornice  intorno  alla  faccia, 
al  lume  scarso  d' una  piccola  lucerna.  Due  folte  ciocche  di 
capelli,  che  gli  scappavano  fuor  della  papalina,  due  folti  so- 
praccigli, due  folti  baffi,  un  folto  pizzo,  tutti  canuti,  e  sparsi 
su  quella  faccia  bruna  e  rugosa,  potevano  assomigliarsi  a 
cespugli  coperti  di  neve,  sporgenti  da  un  dirupo,  al  chiaro 
di  luna. 

«Ah!  ah!»  fu  il  suo  saluto,  mentre  si  levava  gli  occhiali, 
e  li  riponeva  nel  libricciolo. 

«Dirà  il  signor  curato,  che  son  venuto  tardi,»  disse  To- 
nio, inchinandosi,  come  pure  fece,  ma  più  goffamente,  Ger- 
vaso. 

«Sicuro  eh' è  tardi:  tardi  in  tutte  le  maniere.  Lo  sapete, 
che  sono  ammalato?» 

«Oh!  mi  dispiace.» 

«L'avrete  sentito  dire;  sono  ammalato,  e  non  so  quando 
potrò  lasciarmi  vedere  ....  Ma  perchè  vi  siete  condotto 
dietro  quel  ....  quel  figliuolo?» 

«Così  per  compagnia,  signor  curato.» 

«Basta,  vediamo.» 

«Son  venticinque  berlinghe  nuove,  di  quelle  col  sant'Am- 
brogio a  cavallo.»  disse  Tonio,  levandosi  un  involtino  di 
tasca. 

«Vediamo:»  replicò  don  Abbondio:  e,  preso  l'involtino, 
si  rimesse  gli  occhiali,  l'aprì,  cavò  le  berlinghe,  le  contò,  le 
voltò,  le  rivoltò,  le  trovò  senza  difetto. 

«Ora,  signor  curato,  mi  darà  la  collana  della  mia  Tecla.» 

«È  giusto,»  rispose  don  Abbondio;  poi  andò  a  un  arma- 
dio, si  levò  una  chiave  di  tasca,  e,  guardandosi  intorno,  come 
per  tener  lontani  gli  spettatori,  aprì  una  parte  di  sportello, 
riempì  l'apertura  con  la  persona,  mise  dentro  la  testa,  per 
guardare,  e  un  braccio,  per  prender  la  collana;  la  prese,  e, 
chiuso  l'armadio,  la  consegnò  a  Tonio,  dicendo:   «va  bene?» 


CAPITOLO    Vili.  91 

cOra, »  disse  Tonio,  «si  contenti  di  mettere  un  po' di  nero 
sul  bianco.» 

«Anche  questa  !»  disse  don  Abbondio;  «le  sanno  tutte. 
Ih!  com'  è  divenuto  sospettoso  il  mondo!  Non  vi  fidate 
di  me?» 

«Come,  signor  curato!  s'io  mi  fido?  Lei  mi  fa  torto.  Ma 
siccome  il  mio  nome  è  sul  suo  libraccio  dalla  parte  del  de- 
bito ....  dunque,  giacché  ha  già  avuto  1'  incomodo  di  scrivere 
una  volta,  così  ....  dalla  vita  alla  morte  .  .  .  .» 

«Bene  bene,»  interruppe  don  Abbondio,  e  brontolando, 
tirò  a  sé  una  cassetta  del  tavolino,  levò  fuori  carta,  penna  e 
calamaio,  e  si  mise  a  scrivere,  ripetendo  a  viva  voce  le  parole, 
di  mano  in  mano  che  gli  uscivan  dalla  penna.  Frattanto  To- 
nio, e,  a  un  suo  cenno,  Gervaso,  si  piantaron  ritti  davanti  al 
tavolino,  in  maniera  d'impedire  allo  scrivente  la  vista  del- 
l'uscio; e,  come  per  ozio,  andavano  stropicciando,  co' piedi, 
il  pavimento,  per  dar  segno  a  quei  eh'  erano  fuori,  d'  entrare, 
e  per  confondere  nello  stesso  tempo  il  rumore  delle  loro  pe- 
date. Don  Abbondio,  immerso  nella  sua  scrittura,  non  badava 
ad  altro.  Allo  stropiccìo  de'  quattro  piedi,  Renzo  prese  un 
braccio  di  Lucia,  lo  strinse,  per  darle  coraggio,  e  si  mosse, 
tirandosela  dietro  tutta  tremante,  che  da  sé  non  vi  sarebbe 
potuta  venire.  Entraron  pian  piano,  in  punta  di  piedi,  ratte- 
nendo  il  respiro,  e  si  nascosero  dietro  i  due  fratelli.  Intanto 
don  Abbondio,  finito  di  scrivere,  rilesse  attentamente,  senza 
alzar  gli  occhi  dalla  carta;  la  piegò  in  quattro,  dicendo:  «ora, 
sarete  contento?»  e,  levatosi  con  una  mano  gli  occhiali  dal 
naso,  la  porse  con  l'altra  a  Tonio,  alzando  il  viso.  Tonio 
allungando  la  mano  per  prender  la  carta,  si  ritirò  da  una 
parte;  Gervaso,  a  un  suo  cenno,  dall'altra;  e,  nel  mezzo, 
come  al  dividersi  d'una  scena,  apparvero  Renzo  e  Lucia. 
Don  Abbondio  vide  confusamente,  poi  vide  chiaro,  si  spa- 
ventò, si  stupì,  s'infuriò,  pensò,  prese  una  risoluzione:  tutto 
questo  nel  tempo  che  Renzo  mise  a  proferire  le  parole: 
«signor  curato,  in  presenza  di  questi  testimoni,  quest'  è  mia 
moglie.  »  Le  sue  labbra  non  erano  ancora  tornate  al  posto, 
che  don  Abbondio,  lasciando  cader  la  carta,  aveva  già  affer- 
rata, e  alzata,  con  la  mancina,  la  lucerna,  ghermito,  con  la 
diritta,  il  tappeto  del  tavolo,  e  tiratolo  a  sé,  con  furia,  but- 
tando in  terra  libro,  carta,  calamaio  e  polverino;  e,  balzando 
tra  la  seggiola  e  il  tavolino,  s'era  avvicinato  a  Lucia.  La 
poveretta,  con  quella  sua  voce  soave,  e  allora  tutta  tremante, 
aveva  appena  potuto  proferire  :  «  e  questo  ....  »  che  don 
Abbondio  le  aveva  buttato  sgarbatamente  il  tappeto  sulla  testa 
e  sul  viso,  per  impedirla  di  pronunziare  intera  la  formola. 
E  subito,  lasciata  cader  la  lucerna  che  teneva  nell'altra  ma- 


92 


I    PROMESSI    SPOSI. 


no,  s'aiutò  anche  con  quella  a  imbacuccarla  col  tappeto,  che 
quasi  la  soffogava;  e  intanto  gridava  quanto  n' aveva  in  canna: 
«Perpetua!  Perpetua!  tradimento!  aiuto!»  Il  lucignolo,  che 
moriva  sul  pavimento,  mandava  una  luce  languida  e  saltel- 
lante sopra  Lucia,  la  quale  affatto  smarrita,  non  tentava  nep- 
pure di  svolgersi,  e  poteva  parere  una  statua  abbozzata  in 
creta,  sulla  quale  V  artefice  ha  gettato  un  umido  panno.  Ces- 
sata ogni  luce,  don  Abbondio  lasciò  la  poveretta,  e  andò  cer- 
cando a  tastoni  1'  uscio  che  metteva  a  una  stanza  più  interna  ; 
lo  trovò,  entrò  in  quella,  si  chiuse  dentro,  gridando  tuttavia: 
«Perpetua!  tradimento!  aiuto!  fuori  di  questa  casa!  fuori  di 
questa  casa!»  Nell'altra  stanza,  tutto  era  confusione,  Renzo, 
cercando  di  fermare  il  curato,  e  remando  con  le  mani:  come 
se  facesse  a  mosca  cieca,  era  arrivato  all'  uscio,  e  picchiava, 
gridando:  «apra,  apra:  non  faccia  schiamazzo.»  Lucia  chia- 
mava Renzo,  con  voce  fioca,  e  diceva  pregando:  «andiamo, 
andiamo,  per  l'amor  di  Dio.»  Tonio,  carponi,  andava  spaz- 
zando con  le  mani  il  pavimento,  per  veder  di  raccapezzare  la 
sua  ricevuta.  Gervaso,  spiritato,  gridava  e  saltellava,  cer- 
cando V  uscio  di  scala,  per  uscire  a  salvamento. 

In  mezzo  a  questo  serra  serra,  non  possiam  lasciar  di  fer- 
marci un  momento  a  fare  una  riflessione.  Renzo  che  strepi- 
tava di  notte  in  casa  altrui ,  che  vi  s'  era  introdotto  di  sop- 
piatto, e  teneva  il  padrone  stesso  assediato,  in  una  stanza,  ha 
tutta  l'apparenza  d'un  oppressore;  eppure,  alla  fin  de' fatti, 
era  1'  oppresso.  Don  Abbondio,  sorpreso,  messo  in  fuga,  spa- 
ventato ,  mentre  attendeva  tranquillamente  a'  fatti  suoi ,  par- 
rebbe la  vittima:  eppure,  in  realtà,  era  lui  che  faceva  un  so- 
pruso. Così  va  spesso  il  mondo  ....  voglio  dire,  così  andava 
nel  secolo  decimosettimo. 

L'  assediato,  vedendo  che  il  nemico  non  dava  segno  di  ri- 
tirarsi, aprì  una  finestra  che  guardava  sulla  piazza  della 
chiesa,  e  si  diede  a  gridare:  «aiuto!  aiuto!»  Era  il  più 
bel  chiaro  di  luna;  l'ombra  della  chiesa,  e  più  in  fuori  1' om- 
bra lunga  ed  acuta  del  campanile,  si  stendeva  bruna  e  spic- 
cata sul  piano  erboso  e  lucente  della  piazza:  ogni  oggetto  si 
poteva  distinguere,  quasi  come  di  giorno.  Ma,  fin  dove  arri- 
vava lo  sguardo,  non  appariva  indizio  di  persona  vivente. 
Contiguo  però  al  muro  laterale  della  chiesa,  e  appunto  dal 
lato  che  rispondeva  verso  la  casa  parrocchiale,  era  un  pic- 
colo abituro,  un  bugigattolo,  dove  dormiva  il  sagrestano.  Fu 
questo  riscosso  da  quel  disordinato  grido,  fece  un  salto,  scese 
il  letto  in  furia,  aprì  l'impannata  d'una  sua  finestrina,  mise 
fuori  la  testa,  con  gli  occhi  tra' peli,  e  disse:  «cosa  c'è?» 

«Correte,  Ambrogio!  aiuto!  gente  in  casa,»  gridò  verso 
lui  don  Abbondio.  «Vengo  subito,»  rispose  quello;  tirò  in 
dietro   la   testa,   richiuse   la  sua  impannata,    e,  quantunque 


CAPITOLO    III.  93 

mezzo  tra  1'  sonno,  e  più  che  mezzo  sbigottito,  trovò  su  due 
piedi  un  espediente  per  dar  più  aiuto  di  quello  che  gli  si 
chiedeva,  senza  mettersi  lui  nel  tafferuglio,  quale  si  fosse. 
Dà  di  piglio  alle  brache,  che  teneva  sul  letto;  se  le  caccia 
sotto  il  braccio,  come  un  cappello  di  gala,  e  giù  balzelloni 
per  una  scaletta  di  legno  ;  corre  al  campanile,  afferra  la  corda 
della  più  grossa  di  due  campanette  che  e'  erano,  e  suona  a 
martello. 

Ton,  ton,  ton,  ton:  i  contadini  balzano  a  sedere  sul  letto; 
i  giovinetti  sdraiati  sul  fenile,  tendon  l'orecchio,  si  rizzano. 
"Cos'è?  Cos'è?  Campana  a  martello!  fuoco?  ladri?  banditi?» 
Molte  donne  consigliano,  pregano  i  mariti,  di  non  moversi,  di 
lasciar  correre  gli  altri:  alcuni  s'alzano,  e  vanno  alla  fine- 
stra: i  poltroni,  come  se  si  arrendessero  alle  preghiere, 
ritornan  sotto:  i  più  curiosi  e  i  più  bravi  scendono  a  prender 
le  forche  e  gli  schioppi,  per  correre  al  rumore:  altri  stanno 
a  vedere. 

>\Ma,  prima  che  quelli  fossero  all'ordine,  prima  anzi  che 
fosser  ben  desti,  il  rumore  era  giunto  agli  orecchi  d'altre 
persone  che  vegliavano,  non  lontano,  ritte  e  vestite:  i  bravi 
in  un  luogo,  Agnese  e  Perpetua  in  un  altro.  Diremo  prima 
brevemente  ciò  che  facesser  coloro,  dal  momento  in  cui  gli 
abbiamo  lasciati,  parte  nel  casolare  e  parte  all'  osteria.  Que- 
sti tre,  quando  videro  tutti  gli  usci  chiusi  e  la  strada  deserta, 
uscirono  in  fretta,  come  se  si  fossero  avvisti  d' aver  fatto 
tardi,  e  dicendo  di  voler  andar  subito  a  casa;  diedero  una 
giravolta  per  il  paese,  per  venir  in  chiaro  se  tutti  eran  riti- 
rati: e  in  fatti,  non  incontrarono  anima  vivente,  né  sentirono 
il  più  piccolo  strepito.  Passarono  anche,  pian  piano,  davanti 
alla  nostra  povera  casetta:  la  più  quieta  di  tutte,  giacché  non 
e"  era  più  nessuno.  Andarono  allora  diviato  al  casolare,  e 
fecero  la  loro  relazione  al  signor  Griso.  Subito,  questo  si 
mise  in  testa  un  cappellaccio,  sulle  spalle  un  sanrocchino  di 
tela  incerata,  sparso  di  conchiglie;  prese  un  bordone  da  pel- 
legrino, disse:  «andiam  da  bravi:  zitti,  e  attenti  agli  ordini,» 
s'incamminò  il  primo,  gli  altri  dietro;  e,  in  un  momento,  ar- 
rivarono alla  casetta,  per  una  strada  opposta  a  quella  per 
cui  se  n'era  allontanata  la  nostra  brigatella,  andando  anch' 
essa  alla  sua  spedizione.  Il  Griso  trattenne  la  truppa,  alcuni 
passi  lontano,  andò  innanzi  solo  ad  esplorare,  e,  visto  tutto 
deserto  e  tranquillo  di  fuori,  fece  venire  avanti  due  di  quei 
tristi,  diede  loro  ordine  di  scalar  adagino  il  muro  che  chiu- 
deva il  cortiletto,  e,  calati  dentro,  nascondersi  in  un  angolo, 
dietro  un  folto  fico,  sul  quale  aveva  messo  l'occhio  la  mat- 
tina. Ciò  fatto,  picchiò  pian  piano,  con  intenzione  di  dirsi 
un  pellegrino  smarrito ,  che   chiedeva  ricovero,  fino  a  giorno. 


94  I   PROMESSI    SPOSI. 

Nessun  risponde:  ripicchia  un  po' più  forte:  nemmeno  uno 
zitto.  Allora  va  a  chiamare  un  terzo  malandrino,  lo  fa  scen- 
dere nel  cortiletto ,  come  gli  altri  due,  con  V  ordine  di  scon- 
ficcare adagio  il  paletto,  per  aver  libero  l'ingresso  e  la  riti- 
rata. Tutto  s'  eseguisce  con  gran  cautela,  e  con  prospero 
successo.  Va  a  chiamar  gli  altri,  li  fa  entrar  con  sé,  li  manda 
a  nascondersi  accanto  ai  primi:  accosta  adagio  adagio  1'  uscio 
di  strada,  vi  posta  due  sentinelle  di  dentro;  e  va  diritto 
all'uscio  del  terreno.  Picchia  anche  lì,  e  aspetta:  e' poteva 
ben  aspettare.  Sconficca  pian  pianissimo  anche  quell'uscio: 
nessuno  di  dentro  dice:  chi  va  là?  nessuno  si  fa  sentire:  me- 
glio non  può  andare.  Avanti  dunque:  «st,«  chiama  quei  del 
fico,  entra  con  loro  nella  stanza  terrena,  dove,  la  mattina, 
aveva  scelleratamente  accattato  quel  pezzo  di  pane.  Cava  fuori 
esca,  pietra,  acciarino  e  zolfanelli,  accende  un  suo  lanternino, 
entra  nell'  altra  stanza  più  interna,  per  accertarsi  che  nessun 
ci  sia;  non  c'è  nessuno.  Torna  indietro,  va  all'uscio  di 
scala,  guarda,  porge  l'orecchio:  solitudine  e  silenzio.  Lascia 
due  altre  sentinelle  a  terreno,  si  fa  venir  dietro  il  Grignapoco, 
eh'  era  un  bravo  del  contado  di  Bergamo ,  il  quale  solo  do- 
veva minacciare,  acchetare,  comandare,  esser  in  somma  il 
dicitore,  affinchè  il  suo  linguaggio  potesse  far  credere  ad 
Agnese  che  la  spedizione  veniva  da  quella  parte.  Con  costui 
al  fianco,  e  gli  altri  dietro,  il  Griso  sale  adagio  adagio,  be- 
stemmiando in  cuor  suo  ogni  scalino  che  scricchiolasse,  ogni 
passo  di  que'  mascalzoni  che  facesse  rumore.  Finalmente  è 
in  cima.  Qui  giace  la  lepre.  Spinge  mollemente  l'uscio  che 
mette  alla  prima  stanza;  l'uscio  cede,  si  fa  spiraglio:  vi  mette 
l'occhio;  è  buio:  vi  mette  l'orecchio,  per  sentire  se  qualche- 
duno  russa,  fiata,  brulica  là  dentro;  niente.  Dunque  avanti: 
si  mette  la  lanterna  davanti  al  viso,  per  vedere,  senza  esser 
veduto,  spalanca  l'uscio,  vede  un  letto;  addosso:  il  letto  è 
fatto  e  spianato,  con  la  rimboccatura  arrovesciata,  e  composta 
sul  capezzale.  Si  stringe  le  spalle,  si  volta  alla  compagnia, 
accenna  loro  che  va  a  vedere  nell'altra  stanza,  e  che  gii 
vengan  dietro  pian  piano;  entra,  fa  le  stesse  cerimonie,  trova 
la  stessa  cosa.  «Che  diavolo  è  questo?»  dice  allora,  «che 
qualche  cane  traditore  abbia  fatto  la  spia?»  Si  metton  tutti 
con  men  cautela  a  guardare,  a  tastare  per  ogni  canto,  buttan 
sottosopra  la  casa.  Mentre  costoro  sono  in  tali  faccende, 
i  due  che  fan  la  guardia  all'  uscio  di  strada,  sentono  un  cal- 
pestìo di  passini  frettolosi,  che  s'avvicinano  in  fretta;  s'im- 
maginano che,  chiunque  sia,  passerà  diritto;  stan  quieti,  e,  a 
buon  conto,  si  mettono  all'  erta.  In  fatti,  il  calpestìo  si  ferma 
appunto  all'  uscio.  Era  Menico  che  veniva  di  corsa,  mandato 
dal  padre  Cristoforo  ad  avvisar  le  due  donne  che,  per  l' amor 
del   cielo,   scappassero    subito    di    casa,   e   si   rifugiassero  al 


CAPITOLO   Vili.  95 

convento,  perchè  ....  il  perchè  lo  sapete.  Prende  la  mani- 
glia del  paletto,  per  picchiare,  e  se  lo  sente  tentennare  in 
mano,  schiodato  e  sconficcato.  —  Che  è  questo?  —  pensa; 
e  spinge  l'uscio  con  paura;  quello  s'apre.  Menico  mette  il 
piede  dentro,  in  gran  sospetto ,  e  si  sente  a  un  punto  acchiap- 
par per  le  braccia,  e  due  voci  sommesse,  a  destra  e  a  sini- 
stra, che  dicono  in  tuono  minaccioso:  «zitto!  o  sei  morto.» 
Lui  invece  caccia  un  urlo:  uno  di  quei  malandrini  gli  mette 
una  mano  alla  bocca;  l'altro  tira  fuori  un  coltellaccio,  por 
fargli  paura.  Il  garzoncello  trema  come  una  foglia,  e  non 
tenta  neppur  di  gridare;  ma,  tutt' a  un  tratto,  in  vece  di  lui, 
e  con  ben  altro  tono,  si  fa  sentir  quel  primo  tocco  di  cam- 
pana così  fatto,  e  dietro  una  tempesta  di  rintocchi  in  fila. 
Chi  è  in  difetto  è  in  sospetto,  dice  il  proverbio  milanese: 
all'  uno  e  all'  altro  furfante  parve  di  sentire  in  que'  tocchi  il 
suo  nome,  cognome  e  soprannome;  lasciano  andar  le  braccia 
di  Menico,  ritirano  le  loro  in  furia,  spalancan  la  mano  e  la 
bocca,  si  guardano  in  viso,  e  corrono  alla  casa,  dov'era  il 
grosso  della  compagnia.  Menico,  via  a  gambe  per  la  strada, 
alla  volta  del  campanile,  dove  a  buon  conto  qualcheduno  ci 
doveva  essere.  Agli  altri  furfanti,  che  frugavan  la  casa, 
dall'alto  al  basso,  il  terribile  tocco  fece  la  stessa  impressione: 
si  confondono,  si  scompigliano,  s'urtano  a  vicenda:  ognuno 
cerca  la  strada  più  corta  per  arrivare  all'  uscio.  Eppure  era 
tutta  gente  provata  e  avvezza  a  mostrare  il  viso;  ma  non  po- 
terono star  saldi  contro  un  pericolo  indeterminato,  e  che  non 
s'era  fatto  vedere  un  po' da  lontano,  prima  di  venir  loro  ad- 
dosso. Ci  volle  tutta  la  superiorità  del  Griso  a  tenerli  in- 
sieme, tanto  che  fosse  ritirata  e  non  fuga.  Come  un  cane  che 
scorta  una  mandra  di  porci,  corre  or  qua  or  là  a  quei  che  si 
sbandano;  ne  addenta  uno  per  un  orecchio,  e  lo  tira  in 
ischiera;  ne  spinge  un  altro  col  muso;  abbaia  a  un  altro  che 
esce  di  fila  in  quel  momento;  così  il  pellegrino  acciuffa  un 
di  coloro,  che  già  toccava  la  soglia,  e  lo  strappa  indietro; 
caccia  indietro  col  bordone  uno  e  un  altro  che  s'  avviavan  da 
quella  parte:  grida  agli  altri  che  corron  qua  e  là,  senza  sa- 
per dove;  tanto  che  li  raccozzò  tutti  nel  mezzo  del  cortiletto. 
«Presto,  presto!  pistole  in  mano,  coltelli  in  pronto,  tutti  in- 
sieme: e  poi  anderemo:  così  si  va.  Chi  volete  che  ci  tocchi, 
se  stiam  ben  insieme,  sciocconi'?  Ma  se  ci  lasciamo  acchiap- 
pare a  uno  a  uno,  anche  i  villani  ce  ne  daranno.  Vergogna! 
Dietro  a  me,  e  uniti.»  Dopo  questa  breve  aringa,  si  mise 
alla  fronte,  e  uscì  il  primo.  La  casa,  come  abbiam  detto,  era 
in  fondo  al  villaggio;  il  Griso  prese  la  strada  che  metteva 
fuori,  e  tutti  gli  andaron  dietro  in  buon  ordine. 

Lasciamoli" andare,  e  torniamo  un  passo  indietro  a  pren- 
dere Agnese  e  Perpetua,  che  abbiam  lasciate  in  una   certa 


96  I    PROMESSI    SPOSI. 

stradetta.  Agnese  aveva  procurato  d'  allontanar  1'  altra  dalla 
casa  di  don  Abbondio,  il  più  che  fosse  possibile;  e,  fino  a 
un  certo  punto,  la  cosa  era  andata  bene.  Ma  tutt'  a  un  tratto, 
la  serva  s'era  ricordata  dell'uscio  rimasto  aperto,  e  aveva 
voluto  tornare  indietro.  Non  e'  era  che  ridire  :  Agnese  per 
non  farle  nascere  qualche  sospetto,  aveva  dovuto  voltar  con 
lei,  e  andarle  dietro,  cercando  però  di  trattenerla,  ogni  volta 
che  la  vedesse  riscaldata  ben  bene  nel  racconto  di  que'  tali 
matrimonii  andati  a  monte.  Mostrava  di  darle  molta  udienza  : 
e  ogni  tanto  per  far  vedere  che  stava  attenta,  o  per  ravviare 
il  cicalio,  diceva:  «sicuro:  adesso  capisco:  va  benissimo: 
è  chiara:  e  poi?  e  lui?  e  voi?»  Ma  intanto,  faceva  un  altro 
discorso  con  sé  stessa.  —  Saranno  usciti  a  quest'  ora?  o  sa- 
ranno ancor  dentro?  Che  sciocchi  che  siamo  stati  tutt' e  tre, 
a  non  concertar  qualche  segnale,  per  avvisarmi,  quando  la 
cosa  fosse  riuscita!  È  stata  proprio  grossa!  Ma  è  fatta:  ora 
non  c'è  altro  che  tener  costei  a  bada,  più  che  posso:  alla 
peggio  sarà  un  po' di  tempo  perduto.  —  Così,  a  corserelle  e 
a  fermatine,  eran  tornate  poco  distante  dalla  casa  di  don 
Abbondio,  la  quale  però  non  vedevano,  per  ragione  di  quella 
cantonata:  e  Perpetua,  trovandosi  a  un  punto  importante  del 
racconto,  s'era  lasciata  fermare  senza  far  resistenza,  anzi 
senza  avvedersene;  quando  tutt' a  un  tratto,  si  sentì  venir 
rimbombando  dall'  alto,  nel  vano  immoto  dell'  aria,  per  V  ampio 
silenzio  della  notte,  quel  primo  sgangherato  grido  di  don  Ab- 
bondio: «aiuto!  aiuto!» 

('Misericordia!  cos'  è  stato?»  gridò  Perpetua,  e  volle 
correre. 

«Cosa  c'è?  cosa  c'è?»  disse  Agnese,  tenendola  per  la 
sottana. 

«Misericordia!  non  avete  sentito?»  replicò  quella,  svinco- 
landosi. 

«Cosa  c'è?  cosa  c'è?»  ripetè  Agnese,  annerandola  per  un 
braccio. 

«Diavolo  d'una  donna!»  esclamò  Perpetua,  rispingendola, 
per  mettersi  in  libertà;  e  prese  la  rincorsa.  Quando,  più  lon- 
tano, più  acuto,  più  instantaneo,  si  sente  l'urlo  di  Menico. 

«Misericordia!»  grida  anche  Agnese;  e  di  galoppo  dietro 
1'  altra.  Avevan  quasi  appena  alzati  i  calcagni,  quando  scoccò 
la  campana:  un  tocco,  e  due,  e  tre,  e  seguita;  sarebbero  stati 
spreni,  se  quelle  ne  avessero  avuto  bisogno.  Perpetua  arriva, 
un  momento  prima  dell'altra:  mentre  vuole  spinger  l'uscio, 
V  uscio  si  spalanca  di  dentro,  e  sulla  soglia  compariscono  To- 
nio, Gervaso,  Renzo,  Lucia,  che.  trovata  la  scala,  eran  venuti 
giù  saltelloni;  e,  sentendo  poi  quel  terribile  scampanìo,  corre- 


CAPITOLO    Vili.  97 

«Cosa  c'è?  cosa  c'è?»  domandò  Perpetua  ansante  ai 
fratelli,  che  le  risposero  con  un  urtone,  e  scantonarono.  «E 
voi!  come!  che  fate  qui  voi?"  domandò  poscia  all'altra  cop- 
pia, quando  1'  ebbe  raffigurata.  Ma  quelli  pure  usciron  senza 
rispondere.  Perpetua,  per  accorrere  dove  il  bisogno  era 
maggiore,  non  domandò  altro,  entrò  in  fretta  neli'  andito,  e 
corse,  come  poteva  al  buio,  verso  la  scala. 

I  due  sposi  rimasti  promessi  si  trovarono  in  faccia  d'Agnese, 
che  arrivava  tutt'  affannata.  «Ah  siete  qui!»  disse  questa, 
cavando  fuori  la  parola  a  stento:  «com'  è  andata?  cos'  è  la 
campana?  mi  par  d'  aver  sentito  .  .  .  .» 

«A  casa,  a  casa,»  diceva  Pienzo,  «prima  che  venga 
gente.»  E  s'  avviavano;  ma  arriva  Menico  di  corsa,  li  rico- 
nosce, li  ferma,  e,  ancor  tutto  tremante,  con  voce  mezza 
fioca,  dice:  «dove  andate?  indietro,  indietro!  per  di  qua,  al 
convento!» 

«Sei  tu  che  .  .  .  .?»  cominciava  Agnese. 

«Cosa  c'è  d'altro?»  domandava  Pienzo.  Lucia,  tutta 
smarrita,  taceva  e  tremava. 

«C  è  il  diavolo  in  casa,»-,  riprese  Menico  ansante.  «Gli 
ho  visto  io:  m'  hanno  voluto  ammazzare-  Y  ha  detto  il  padre 
Cristoforo:  e  anche  voi,  Renzo,  ha  detto  che  veniate  subito. 
e  poi  gli  ho  visto  io:  provvidenza  che  vi  trovo  qui  tutti!  vi 
dirò  poi,  quando  saremo  fuori.» 

Renzo,  eh'  era  il  più  in  sé  di  tutti,  pensò  che,  di  qua  o 
di  là,  conveniva  andar  subito,  prima  che  la  gente  accorresse; 
e  che  la  più  sicura  era  di  far  ciò  che  Menico  consigliava, 
anzi  comandava,  con  la  forza  d'  uno  spaventato.  Per  istrada 
poi,  e  fuor  del  pericolo,  si  potrebbe  domandare  al  ragazzo 
una  spiegazione  più  chiara.  «Cammina  avanti,»  gli  disse. 
«Andiam  con  lui,»  disse  alle  donne.  Voltarono,  s'  incam- 
minarono in  fretta  verso  la  chiesa,  attraversaron  la  piazza, 
dove,  per  grazia  del  cielo,  non  e'  era  ancora  anima  vivente; 
entrarono  in  una  stradetta  che  era  tra  la  chiesa  e  la  casa  di 
don  Abbondio  ;  al  primo  buco  che  videro  in  una  siepe,  dentro. 
e  via  per  i  campi. 

Non  s'  eran  forse  allontanati  un  cinquanta  passi,  quando 
la  gente  cominciò  ad  accorrere  sulla  piazza,  e  ingrossava  ogni 
momento.  Si  guardavano  in  viso  gli  uni  con  gli  altri;  ognuno 
aveva  una  domanda  da  fare,  nessuno  una  risposta  da  dare. 
1  primi  arrivati  corsero  alla  porta  della  chiesa:  era  serrata. 
Corsero  al  campanile  di  fuori;  e  uno  di  quelli,  messa  la 
bocca  a  un  finestrino,  una  specie  di  feritoia,  cacciò  dentro 
un:  «che  diavolo  e'  è?»  Quando  Ambrogio  sentì  una  voce 
conosciuta,  lasciò  andar  la  corda;  e  assicurato  dal  ronzìo, 
eh'  era  accorso  molto  popolo,  rispose  :  «vengo  ad  aprire.»     Si 

TvTanzoxt.  7 


98  I    PROMESSI    SPOSI. 

mise  in  fretta  P  arnese  che  aveva  portato  sotto  il  braccio, 
yenne,  dalla  parte  di  dentro,  alla  porta  della  chiesa,  e  l'aprì, 

«Cos'  è  tutto  questo  fracasso?  —  Cos'  è?  —  Dov'  è?  — 
Chi  è?» 

«Come,  chi  è?)  disse  Ambrogio,  tenendo  con  una  mano 
un  battente  della  porta,  e,  con  P  altra  il  lembo  di  quel  tale 
arnese,  che  s'  era  messo  così  in  fretta:  «come!  non  lo  sa- 
pete? gente  in  casa  del  signor  curato.  Animo,  figliuoli: 
aiuto.»  Si  voltan  tutti  a  quella  casa,  vi  s'  avvicinano  in  folla, 
guardano  in  su,  stanno  in  orecchi:  tutto  quieto.  Altri  cor- 
rono dalla  parte  dove  e'  era  1'  uscio:  è  chiuso,  e  non  par 
che  sia  stato  toccato.  Guardano  in  su  anche  loro:  non  e'  è 
una  finestra  aperta:  non  si  sente  uno  zitto. 

«Chi  è  là  dentro?  —  Ohe,  ohe!  —  Signor  curato!  —  Si- 
gnor curato!» 

Don  Abbondio,  il  quale  appena  accortosi  della  fuga  de- 
gl'  invasori,  s'  era  ritirato  dalla  finestra,  e  1'  aveva  richiusa,  e 
che  in  questo  momento  stava  a  bisticciar  sotto  voce  con 
Perpetua,  che  P  aveva  lasciato  solo  in  queir  imbroglio,  do- 
vette, quando  si  sentì  chiamare  a  voce  di  popolo,  venir  di 
nuovo  alla  finestra:  e  visto  quel  gran  soccorso,  si  pentì 
d'  averlo  chiesto. 

«Cos'  è  stato?  —  Che  le  hanno  fatto?  —  Chi  sono  co- 
storo? —  Dove  sono?»  gli  veniva  gridato  da  cinquanta  voci 
a  un  tratto. 

«Xon  e'  è  più  nessuno:  vi  ringrazio:  tornate  pure  a 
casa.» 

«Ma  chi  è  stato?  —  Dove  sono  andati?  —  Che  è  acca- 
duto?» 

«Cattiva  gente,  gente  che  gira  di  notte:  ma  sono  fuggiti: 
tornate  a  casa  ;  non  e'  è  più  niente  :  un'  altra  volta,  figliuoli  : 
vi  ringrazio  del  vostro  buon  cuore.»  E  detto  questo  si  ri- 
tirò, e  chiuse  la  finestra.  Qui  alcuni  cominciarono  a  bronto- 
lare, altri  a  canzonare,  altri  a  sagrare;  altri  si  stringevan 
nelle  spalle,  e  se  n'  andavano  :  quando  arriva  uno  tutto  tra- 
felato, che  stentava  a  formar  le  parole.  Stava  costui  di  casa 
quasi  dirimpetto  alle  nostre  donne,  ed  essendosi,  al  rumore, 
affacciato  alla  finestra,  aveva  veduto  nel  cortiletto  quello 
scompiglio  de'  bravi,  quando  il  Griso  s' affannava  a  racco- 
glierli. Quand'  ebbe  ripreso  fiato,  gridò:  «che  fate  qui,  figliuoli? 
non  è  qui  il  diavolo;  è  giù  in  fondo  alla  strada,  alla  casa 
d'Agnese  biondella:  gente  armata;  son  dentro;  par  che  vo- 
gliano ammazzare  un  pellegrino;  chi  sa  che  diavolo  e'  è!» 

«Che?  —  Che?  —  Che?»  E  comincia  una  consulta  tu- 
multuosa. «Bisogna  andare.  —  Bisogna  vedere.  —  Quanti 
sono?  —  Quanti  siamo?  —  Chi  sono?  —  Il  console!  il  con- 
sole!» 


CAPITOLO    Vili.  99 

«Son  qui,»  risponde  il  console,  di  mezzo  alla  folla:  «son 
qui,  ma  bisogna  aiutarmi,  bisogna  ubbidire.  Presto:  dov'è 
il  sagrestano?  Alla  campana,  alla  campana.  Presto:  uno 
che  corra  a  Lecco  a  cercar  soccorso:  venite  qui  tutti  .  .  .  .» 

Chi  accorre,  chi  sguizza  tra  uomo  e  uomo,  e  se  la  batte , 
il  tumulto  era  grande,  quando  arriva  un  altro,  che  gli  aveva 
veduti  partire  in  fretta,  e  grida:  (-correte,  figliuoli:  ladri,  o 
banditi  che  scappano  con  un  pellegrino;  son  già  fuori  del 
paese:  addosso!  addosso!»  A  quest'avviso,  senza  aspettar 
gli  ordini  del  capitano,  si  movono  in  massa,  e  giù  alla  rin- 
fusa per  la  strada  :  di  mano  in  mano  che  1'  esercito  s'  avanza, 
qualcheduno  di  quei  della  vanguardia  rallenta  il  passo,  si 
lascia  sopravanzare,  e  si  ficca  nel  corpo  di  battaglia:  gli  ul- 
timi spingono  innanzi:  lo  sciame  confuso  giunge  finalmente 
al  luogo  indicato.  Le  tracce  dell'  invasione  eran  fresche  e 
manifeste:  1'  uscio  spalancato,  la  serratura  sconficcata;  ma 
gl'invasori  erano  spariti.  S'entra  nel  cortile;  si  va  al- 
l'uscio del  terreno  :  aperto  e  sconficcato  anche  quello;  si  chiama: 
('Agnese!  Lucia!  Il  pellegrino!  Dov'è  il  pellegrino?  L'avrà 
sognato  Stefano,  il  pellegrino.  —  No,  no:  l'ha  visto  anche 
Carlandrea.  Ohe,  pellegrino!  —  Agnese!  Lucia!»  Nessuno 
risponde.  «Le  hanno  portate  via!  Le  hanno  portate  via!» 
Ci  fu  allora  di  quelli  che,  alzando  la  voce,  proposero  d'in- 
seguire i  rapitori:  che  era  un'infamità;  e  sarebbe  una  ver- 
gogna per  il  paese,  se  ogni  birbone  potesse  a  man  salva  ve- 
nire a  portar  via  le  donne,  come  il  nibbio  i  pulcini  da 
un'  aia  deserta.  Nuova  consulta  e  più  tumultuosa:  ma  uno 
(e  non  si  seppe  mai  bene  chi  fosse  stato)  gettò  nella  brigata 
una  voce,  che  Agnese  e  Lucia  s'  eran  messe  in  salvo  in  una 
casa.  La  voce  corse  rapidamente,  ottenne  credenza;  non  si 
parlò  più  di  dar  la  caccia  ai  fuggitivi;  e  la  brigata  si  spar- 
pagliò, andando  ognuno  a  casa  sua.  Era  un  bisbiglio,  uno 
strepito,  un  picchiare  e  un  aprir  d'  usci,  un  apparire  e  uno 
sparire  di  lucerne,  uno  interrogare  di  donne  dalle  finestre, 
un  rispondere  dalla  strada.  Tornata  questa  deserta  e  silen- 
ziosa, i  discorsi  continuaron  nelle  case,  e  moriron  negli  sba- 
digli, per  ricominciar  poi  la  mattina.  Fatti  però,  non  ce  ne 
fu  altri;  se  non  che,  quella  medesima  mattina,  il  console 
stando  nel  suo  campo,  col  mento  in  una  mano,  e  il  gomito 
appoggiato  sul  manico  della  vanga  mezza  ficcata  nel  terreno, 
e  con  un  piede  sul  vangile;  stando,  dico,  a  specolare  tra  sé 
sui  misteri  della  notte  passata,  e  sulla  ragion  composta  di 
ciò  che  gli  toccasse  a  fare,  e  di  ciò  che  gli  convenisse  fare, 
vide  venirsi  incontro  due  uomini  d'  assai  gagliarda  presenza, 
chiomati  come  due  re  de' Franchi  della  prima  razza,  e  so- 
migliantissimi nel  resto  a  que'  due  che  cinque  giorni  prima 
avevano  affrontato  don  Abbondio,   se  pur  non  eran  que'  me- 

7* 


100  I   PROMESSI    SPOSI. 

desimi.  Costoro,  con  un  fare  men  cerimonioso,  intimarono 
al  console  che  guardasse  bene  di  non  far  deposizione  al  po- 
destà dell'  accaduto,  di  non  rispondere  il  vero,  caso  che  ne 
venisse  interrogato,  di  non  ciarlare,  di  non  fomentar  le  ciarle 
de'  villani,  per  quanto  aveva  cara  la  speranza  di  morir  di 
malattia. 

I  nostri  fuggiaschi  camminarono  un  pezzo  di  buon  trotto, 
in  silenzio,  voltandosi,  ora  1'  uno  ora  V  altro,  a  guardare  se 
nessuno  gV  inseguiva,  tutti  in  affanno  per  la  fatica  della 
fuga,  per  il  batticuore  e  per  la  sospensione  in  cui  erano  stati, 
per  il  dolore  della  cattiva  riuscita,  per  1'  apprensione  confusa 
del  nuovo  oscuro  pericolo.  E  ancor  più  in  affanno  li  teneva 
l'incalzare  continuo  di  que' rintocchi,  i  quali,  quanto,  per 
1'  allontanarsi,  venivan  più  fiochi  e  ottusi ,  tanto  pareva  che 
prendessero  un  non  so  che  di  più  lugubre  e  sinistro.  Final- 
mente cessarono.  I  fuggiaschi  allora,  trovandosi  in  un  campo 
disabitato,  e  non  sentendo  un  alito  all'  intorno,  rallentarono 
il  passo;  e  fu  la  prima  Agnese  che,  ripreso  fiato,  ruppe  il 
silenzio,  domandando  a  Renzo  com'  era  andata,  domandando 
a  Menico  cosa  fosse  quel  diavolo  in  casa.  Renzo  raccontò 
brevemente  la  sua  trista  storia;  e  tutt'  e  tre  si  voltarono  al 
fanciullo,  il  quale  riferì  più  espressamente  P  avviso  del  pa- 
dre, e  raccontò  quello  eh'  egli  stesso  aveva  veduto  e  rischiato, 
e  che  pur  troppo  confermava  P  avviso.  Gli  ascoltatori  com- 
presero più  di  quel  che  Menico  avesse  saputo  dire:  a 
quella  scoperta,  si  sentiron  rabbrividire;  si  fermaron  tutt'  e 
tre  a  un  tratto,  si  guardarono  in  viso  P  un  con  P  altro,  spa- 
ventati; e  subito,  con  un  movimento  unanime,  tutt' e  tre  po- 
sero una  mano,  chi  sul  capo,  chi  sulle  spalle  del  ragazzo, 
come  per  accarezzarlo,  per  ringraziarlo  tacitamente  che  fosse 
stato  per  loro  un  angelo  tutelare,  per  dimostrargli  la  com- 
passione che  sentivano  dell'angoscia  da  lui  sofferta,  e  del 
pericolo  corso,  per  la  loro  salvezza;  e  quasi  per  chiedergliene 
scusa.  «Ora  torna  a  casa,  perchè  i  tuoi  non  abbiano  a  star 
più  in  pena  per  te,»  gli  disse  Agnese;  e  rammentandosi  delle 
due  parpagliole  promesse,  se  ne  levò  quattro  di  tasca,  e  gliele 
diede  aggiungendo:  «basta;  prega  il  Signore  che  ci  rivediamo 
presto  :  e  allora  ....  »  Renzo  gli  diede  una  berlinga  nuova, 
e  gli  raccomandò  molto  di  non  dir  nulla  della  commissione 
avuta  dal  frate:  Lucia  P  accarezzò  di  nuovo,  Io  salutò  con 
voce  accorata;  il  ragazzo  li  salutò  tutti,  intenerito:  e  tornò 
indietro.  Quelli  ripresero  la  loro  strada,  tutti  pensierosi  ;  le 
donne  innanzi,  e  Renzo  dietro,  come  per  guardia.  Lucia 
stava  stretta  al  braccio  della  madre,  e  scansava  dolcemente, 
e  con  destrezza,  P  aiuto  che  il  giovine  le  offriva  ne'  passi 
malagevoli  di  quel  viaggio  fuor  di  strada;  vergognosa  in  se, 
anche  in  un  tale  turbamento,    d'  esser   già  stata  tanto   sola 


CAPITOLO    Vili.  101 

con  lui,  e  tanto  famigliarmente,  quando  s'  aspettava  di  dive- 
nir sua  moglie,  tra  pochi  momenti.  Ora,  svanito  così  doloro- 
samente quel  sogno,  si  pentiva  d'  essere  andata  troppo  avanti; 
e,  tra  tante  cagioni  di  tremare,  tremava  anche  per  quel 
pudore  che  non  nasce  dalla  trista  scienza  del  male,  per  quel 
pudore  che  ignora  sé  stesso,  somigliante  alla  paura  del  fan- 
ciullo, che  trema  nelle  tenebre,  senza  saper  di  che. 

«E  la  casa?»  disse  a  un  tratto  Agnese.  Ma,  per  quanto 
la  domanda  fosse  importante,  nessuno  rispose,  perchè  nes- 
suno poteva  darle  una  risposta  soddisfacente.  Continuarono 
in  silenzio  la  loro  strada,  e  poco  dopo,  sboccarono  finalmente 
sulla  piazzetta  davanti  alla  chiesa  del  convento. 
^x^Renzo  s'  affacciò  alla  porta,  e  la  sospinse  bel  bello.  La 
porta  di  fatto  s'aprì;  e  la  luna,  entrando  per  lo  spiraglio, 
illuminò  la  faccia  pallida,  e  la  barba  d'  argento  del  pa- 
dre Cristoforo,  che  stava  quivi  ritto  in  aspettativa.  Visto 
che  non  ci  mancava  nessuno,  «Dio  sia  benedetto!»  disse,  e 
fece  lor  cenno  eh'  entrassero.  Accanto  a  lui  stava  un  altro 
cappuccino;  ed  era  il  laico  sagrestano,  ch'egli,  con  preghiere 
e  con  ragioni,  aveva  persuaso  a  vegliar  con  lui,  a  lasciar 
socchiusa  la  porta,  e  a  starci  in  sentinella,  per  accogliere 
que'  poveri  minacciati:  e  non  si  richiedeva  meno  dell'  auto- 
rità del  padre,  e  della  sua  fama  di  santo,  per  ottener  dal 
laico  una  condiscendenza  incomoda,  pericolosa  e  irregolare. 
Entrati  che  furono,  il  padre  Cristoforo  riaccostò  la  porta  ada- 
gio adagio.  Allora  il  sagrestano  non  potè  più  reggere,  e 
chiamato  il  padre  da  una  parte,  gli  andava  susurrando  al- 
l' orecchio:  «ma  padre,  padre!  di  notte  ....  in  chiesa ....  con 
donne  ....  chiudere  ....  la  regola  ....  ma  padre!»  E  ten- 
tennava la  testa.  Mentre  diceva  stentatamente  quelle  parole, 
—  vedete  un  poco!  —  pensava  il  padre  Cristoforo,  se  fosse  un 
masnadiero  inseguito,  fra  Fazio  non  gli  farebbe  una  difficoltà 
al  mondo:  e  una  povera  innocente,  che  scappa  dagli  artigli 
del  lupo  ....  —  «Omnia  manda  mundis,»  disse  poi,  vol- 
tandosi tutt'  a  un  tratto  a  fra  Fazio,  e  dimenticando  che 
questo  non  intendeva  il  latino.  Ma  una  tale  dimenticanza  fu 
appunto  quella  che  fece  1'  effetto.  Se  il  padre  si  fosse  messo 
a  questionare  con  ragioni,  a  fra  Fazio  non  sarebber  mancate 
altre  ragioni  da  opporre;  e  sa  il  cielo  quando  e  come  la  cosa 
sarebbe  finita.  Ma  al  sentir  quelle  parole  gravide  d'  un  senso 
misterioso,  e  proferite  così  risolutamente,  gli  parve  che  in 
quelle  dovesse  contenersi  la  soluzione  di  tutti  i  suoi  dubbi. 
S'acquietò,  e  disse:  «basta!  lei  ne  sa  più  di  me.» 

«Fidatevi  pure,»  rispose  il  padre  Cristoforo;  e  all'in- 
certo chiarore  della  lampada  che  ardeva  davanti  all'  altare, 
s'  accostò  ai  ricoverati,  i  quali  stavano  sospesi  aspettando,  e 
disse  loro-  «figliuoli!  ringraziate  il  S'gnore.   che  v'ha  scam- 


102  1    PROMESSI    SPOSI. 

pati  da  un  gran  pericolo.  Forse  in  questo  momento  ....  U 
E  qui  si  mise  a  spiegare  ciò  che  aveva  fatto  accennare  dal 
piceiol  messo:  giacché  non  sospettava  eh'  essi  ne  sapesser  più 
di  lui.  e  supponeva  che  Menico  gli  avesse  trovati  tranquilli 
in  casa,  prima  che  arrivassero  i  malandrini.  Nessuno  lo  dis- 
ingannò, nemmeno  Lucia,  la  quale  però  sentiva  un  rimorso 
segreto  d'una  tale  dissimulazione,  con  un  tal  uomo;  ma  era 
la  notte  degl'imbrogli  e  de' sotterfugi. 

«Dopo  di  ciò,»  continuò  egli,  «vedete  bene,  figliuoli,  che 
ora  questo  paese  non  è  sicuro  per  voi.  È  il  vostro;  ci  siete 
nati;  non  avete  fatto  male  a  nessuno;  ma  Dio  vuol  così.  È 
una  prova,  figliuoli:  sopportatela  con  pazienza,  con  fiducia, 
senza  odio,  e  siate  sicuri  che  verrà  un  tempo  in  cui  vi  tro- 
verete contenti  di  ciò  che  ora  accade.  Io  ho  pensato  a  tro- 
varvi un  rifugio,  per  questi  primi  momenti.  Presto,  io  spero, 
potrete  ritornar  sicuri  a  casa  vostra;  a  ogni  modo,  Dio  vi 
provvederà,  per  il  vostro  meglio;  e  io  certo  mi  studierò  di 
non  mancare  alla  grazia  che  mi  fa,  scegliendomi  per  suo  mi- 
nistro, nel  servizio  di  voi  suoi  poveri  cari  tribolati.  Voi,» 
continuò  volgendosi  alle  due  donne,  «potrete  fermarvi  a***. 
Là  sarete  abbastanza  fuori  d'  ogni  pericolo,  e  nello  stesso 
tempo,  non  troppo  lontane  da  casa  vostra.  Cercate  del  nostro 
convento,  fate  chiamare  il  padre  guardiano,  dategli  questa  let- 
tera: sarà  per  voi  un  altro  fra  Cristoforo.  E  anche  tu,  il 
mio  Renzo,  anche  tu  devi  metterti,  per  ora,  in  salvo  dalla 
rabbia  degli  altri,  e  dalla  tua.  Porta  questa  lettera  al  padre 
Bonaventura  da  Lodi,  nel  nostro  convento  di  Porta  Orientale 
in  Milano.  Egli  ti  farà  da  padre,  ti  guiderà,  ti  troverà  del 
lavoro,  per  fin  che  tu  non  possa  tornare  a  viver  qui  tranquil- 
lamente. Andate  alla  riva  del  lago,  vicino  allo  sbocco  del 
Bione.»  È  un  torrente  a  pochi  passi  da  Pescarenico.  «Lì 
vedrete  un  battello  fermo;  direte:  barca;  vi  sarà  domandato 
per  chi;  rispondete:  san  Francesco.  La  barca  vi  riceverà,  vi 
trasporterà  all'  altra  riva,  dove  troverete  un  baroccio  che  vi 
condurrà  addirittura  sino  a*'**.» 

Chi  domandasse  come  fra  Cristoforo  avesse  cosi  subito  a 
sua  disposizione  que'  mezzi  di  trasporto,  per  acqua  e  per 
terra,  farebbe  vedere  di  non  conoscere  qual  fosse  il  potere 
d'  un  cappuccino  tenuto  in  concetto  di  santo. 

Restava  da  pensare  alla  custodia  delle  case.  Il  padre  ne 
ricevette  le  chiavi,  incaricandosi  di  consegnarle  a  quelli  che 
Renzo  e  Agnese  gì' indicarono.  Quest'ultima,  levandosi  di 
tasca  la  sua,  mise  un  gran  sospiro,  pensando  che,  in  quel 
momento,  la  casa  era  aperta,  che  e'  era  stato  il  diavolo,  e 
chi  sa  cosa  ci  rimaneva  da  custodire! 

«Prima  ■  che  partiate,»  disse  il  padre,  «preghiamo  tutti 
insieme  il  Signore,  perchè  sia  con  voi,  in  codesto   viaggio,  e 


CAPITOLO    Vili.  103 

sempre;  e  sopra  tutto  vi  dia  forza,  vi  dia  amore  di  volere 
ciò  eh'  Egli  ha  voluto.»  Così  dicendo  s1  inginocchiò  nel 
mezzo  della  chiesa;  e  tutti  fecer  lo  stesso.  Dopo  eh'  ebbero 
pregato,  alcuni  momenti,  in  silenzio,  il  padre  con  voce  som- 
messa, ma  distinta,  articolò  queste  parole  :  «noi  vi  preghiamo 
ancora  per  quel  poveretto  che  ci  ha  condotti  a  questo  passo. 
Noi  saremmo  indegni  della  vostra  misericordia,  se  non  ve  la 
chiedessimo  di  cuore  per  lui:  ne  ha  tanto  bisogno!  Noi, 
nella  nostra  tribolazione,  abbiamo  questo  conforto,  che  siamo 
nella  strada  dove  ci  avete  messi  Voi:  possiamo  offrirvi  i  no- 
stri guai;  e  diventano  un  guadagno.  Ma  lui  ...  .  è  vostro 
nemico.  Oh  disgraziato!  compete  con  Voi!  Abbiate  pietà 
di  lui,  o  Signore,  toccategli  il  cuore,  rendetelo  vostro  amico, 
concedetegli  tutti  i  beni  che  noi  possiamo  desiderare  a  noi 
stessi.» 

Alzatosi  poi,  come  in  fretta,  disse:  «via,  figliuoli,  non  c'è 
tempo  da  perdere:  Dio  vi  guardi,  il  suo  angelo  v'  accompa- 
gni :  andate.»  E  mentre  s'  avviavano,  con  quella  commozione 
che  non  trova  parole,  e  che  si  manifesta  senza  di  esse,  il 
padre  soggiunse,  con  voce  alterata:  «il  cuor  mi  dice  che  ci 
rivedremo  presto.» 

Certo,  il  cuore,  chi  gli  dà  retta,  ha  sempre  qualche  cosa 
da  dire  su  quello  che  sarà.  Ma  che  sa  il  cuore?  Appena 
un  poco  di  quello  che  è  già  accaduto. 

Senza  aspettar  risposta,  fra  Cristoforo  andò  verso  la  sa- 
grestia; i  viaggiatori  usciron  di  chiesa;  e  fra  Fazio  chiuse 
la  porta,  dando  loro  un  addio,  con  la  voce  alterata  anche  lui. 
Essi  s'  avviarono  zitti  zitti  alla  riva  eh'  era  stata  loro  indi- 
cata; videro  il  battello  pronto,  e  data  e  barattata  la  parola, 
e'  entrarono.  11  barcaiolo,  puntando  un  remo  alla  proda,  se 
ne  staccò;  afferrato  poi  l'altro  remo,  e  vogando  a  due  brac- 
cia, prese  il  largo,  verso  la  spiaggia  opposta  Os'on  tirava  un 
alito  di  vento;  il  lago  giaceva  liscio  e  piano,  e  sarebbe  parso 
immobile,  se  non  fosse  stato  il  tremolare  e  1'  ondeggiar  leg- 
giero della  luna,  che  vi  si  specchiava  da  mezzo  il  cielo. 
S'  udiva  soltanto  il  fiotto  morto  e  lento  frangersi  sulle  ghiaie 
del  lido,  il  gorgoglìo  più  lontanto  dell'  acqua  rotta  tra  le  pile 
del  ponte,  e  il  tonfo  misurato  di  que'  due  remi,  che  taglia- 
vano la  superficie  azzurra  del  lago,  uscivano  a  un  colpo  gron- 
danti, e  si  rituffavano.  L'  onda  segata  dalla  barca,  riunen- 
dosi dietro  la  poppa,  segnava  una  striscia  increspata,  che 
s'  andava  allontanando  dal  lido.  I  passeggieri  silenziosi,  con 
la  testa  voltata  indietro,  guardavano  i  monti,  e  il  paese  ri- 
schiarato dalla  luna,  e  variato  qua  e  là  di  grand'  ombre.  Si 
distinguevano  i  villaggi,  le  case,  le  capanne:  il  palazzotto  di 
don  Rodrigo,  con  la  sua  torre  piatta,  elevato  sopra  le  casucce 
ammucchiate  alla  falda  del  promontorio,  pareva  un  feroce  che, 


104  I    PROMESSI    SPOSI. 

ritto  nelle  tenebre,  in  mezzo  a  una  compagnia  d'  addormen- 
tati, vegliasse,  meditando  un  delitto.  Lucia  lo  vide,  e  rabbri- 
vidì; scese  con  l'occhio  giù  giù  per  la  china,  fino  al  suo  pae- 
sello, guardò  fisso  all'  estremità,  scoprì  la  sua  casetta,  scoprì 
la  chioma  folta  del  fico  che  sopravanzava  il  muro  del  cortile,, 
scoprì  la  finestra  della  sua  camera;  e  seduta,  com'  era,  nel 
fondo  della  barca,  posò  il  braccio  sulla  sponda,  posò  sul  brac- 
cio la  fronte,  come  per  dormire,  e  pianse  segretamente. 

Addio,  monti  sorgenti  dall'  acqua,  ed  elevati  al  cielo;  cime 
inuguali,  note  a  chi  è  cresciuto  tra  voi,  e  impresse  nella  sua 
mente,  non  meno  che  lo  sia  V  aspetto  de'  suoi  più  familiari  ; 
torrenti,  de'  quali  distingue  lo  scroscio,  come  il  suono  delle 
voci  domestiche;  ville  sparse  e  biancheggianti  sul  pendìo,  come 
branchi  di  pecore  pascenti;  addio!  Quanto  è  tristo  il  passo  di 
chi,  cresciuto  tra  voi,  se  ne  allontana!  Alla  fantasia  di  quello 
stesso  che  se  ne  parte  volontariamente,  tratto  dalla  speranza  di 
fare  altrove  fortuna,  si  disabbelliscono,  in  quel  momento,  i  sogni 
della  ricchezza;  egli  si  maraviglia  d'  essersi  potuto  risolvere, 
e  tornerebbe  allora  indietro,  se  non  pensasse  che,  un  giorno, 
tornerà  dovizioso.  Quanto  più  s'  avanza  nel  piano,  il  suo 
occhio  si  ritira,  disgustato  e  stanco,  da  queir  ampiezza  uni- 
forme; 1'  aria  gli  par  gravosa  e  morta:  s'  inoltra  mesto  e 
disattento  nelle  città  tumultuose;  le  case  aggiunte  a  case,  le 
strade  che  sboccano  nelle  strade,  pare  che  gli  levino  il  re- 
spiro: e  davanti  agli  edifizi  ammirati  dallo  straniero,  pensa, 
con  desiderio  inquieto,  al  campicello  del  suo  paese,  alla  ca- 
succia  a  cui  ha  già  messi  gli  occhi  addosso,  da  gran  tempo, 
e  che  comprerà,  tornando  ricco  a'  suoi  monti. 

Ma  chi  non  aveva  mai  spinto  al  di  là  di  quelli  neppure 
un  desiderio  fuggitivo,  chi  aveva  composti  in  essi  tutti  i  di- 
segni dell'  avvenire,  e  n'  è  sbalzato  lontano,  da  una  forza 
perversa!  Chi  staccato,  a  un  tempo  dalle  più  care  abitudini, 
e  disturbato  nelle  più  care  speranze,  lascia  que'  monti,  per 
avviarsi  in  traccia  di  sconosciuti  che  non  ha  mai  deside- 
rato di  conoscere,  e  non  può  con  1'  immaginazione  arri- 
vare a  un  momento  stabilito  per  il  ritorno!  Addio,  casa 
natia,  dove,  sedendo,  con  un  pensiero  occulto,  s'imparò 
a  distinguere  dal  rumore  de'  passi  communi  il  rumore  d'  un 
passo  aspettato  con  un  misterioso  timore.  Addio,  casa  ancora 
straniera,  casa  sogguardata  tante  volte  alla  sfuggita,  passando, 
e  non  senza  rossore;  nella  quale  la  mente  si  figurava  un 
soggiorno  tranquillo  e  perpetuo  di  sposa.  Addio,  chiesa, 
dove  V  animo  tornò  tante  volte  sereno,  cantando  le  lodi  del 
Signore;  dov'  era  promesso,  preparato  un  rito;  dove  il  sospiro 
segreto  del  cuore  doveva  essere  solennemente  benedetto,  e 
l'amore  venir  comandato,  e  chiamarsi  santo;  addio!  Chi 
dava  a  voi  tanta  giocondità  è  per  tutto;  e  non  turba  mai  la 


CAPITOLO    IX.  105 

gioia  de'  suoi  figli,  se  non  per  prepararne  loro  una  più  certa 
e  più  grande. 

Di  tal  genere,  se  non  tali  appunto,  erano  i  pensieri  di 
Lucia,  e  poco  diversi  i  pensieri  degli  altri  due  pellegrini, 
mentre  la  barca  gli  andava  avvicinando  alla  riva  destra  del- 
l' Adda. 


CAPITOLO  IX. 


L'  urtar  che  fece  la  barca  contro  la  proda,  scosse  Lucia, 
la  quale,  dopo  aver  asciugate .  in  segreto  le  lagrime,  alzò  la 
testa,  come  se  si  svegliasse.  Renzo  uscì  il  primo,  e  diede  la 
mano  ad  Agnese,  la  quale  uscita  pure,  la  diede  alla  figlia;  e 
tutt'  e  tre  resero  tristamente  grazie  al  barcaiolo.  «Di  che 
cosa?»  rispose  quello:  «siam  quaggiù  per  aiutarci  1'  uno 
con  1'  altro,»  e  ritirò  la  mano,  quasi  con  ribrezzo,  come  se 
gli  fosse  proposto  di  rubare,  allorché  Renzo  cercò  di  farvi 
sdrucciolare  una  parte  de'  quattrinelli  che  si  trovava  indosso, 
e  che  aveva  presi  quella  sera,  con  intenzione  di  regalar  ge- 
nerosamente don  Abbondio,  quando  questo  1'  avesse,  suo  mal- 
grado, servito.  Il  baroccio  era  lì  pronto;  il  conduttore  salutò 
i  tre  aspettati,  li  fece  salire,  diede  una  voce  alla  bestia,  una 
frustata,  e  via. 

Il  nostro  autore  non  descrive  quel  viaggio  notturno,  tace 
il  nome  del  paese  dove  fra  Cristoforo  aveva  indirizzate  le 
due  donne;  anzi  protesta  espressamente  di  non  lo  voler  dire. 
Dal  progresso  della  storia  si  rileva  poi  la  cagione  di  queste 
reticenze.  Le  avventure  di  Lucia  in  quel  soggiorno,  si  tro- 
vano avviluppate  in  un  intrigo  tenebroso  di  persona  appar- 
tenente a  una  famiglia,  come  pare,  molto  potente,  al  tempo 
che  1'  autore  scriveva.  Per  render  ragione  della  strana  con- 
dotta di  quella  persona,  nel  caso  particolare,  egli  ha  poi 
anche  dovuto  raccontarne  in  succinto  la  vita  antecedente;  e 
la  famiglia  ci  fa  quella  figura  che  vedrà  chi  vorrà  leggere. 
Ma  ciò  che  la  circospezione  del  pover'  uomo  ci  ha  voluto 
sottrarre,  le  nostre  diligenze  ce  1'  hanno  fatto  trovare  in  altra 
parte.  Uno  storico  milanese*)  che  ha  voluto  far  menzione 
di  quella  persona  medesima,  non  nomina,  è  vero,  né  lei,  né 
il  paese;  ma  di  questo  dice  eh'  era  un  borgo  antico  e  nobile, 
a  cui  di  città  non  mancava  altro  che  il  nome;  dice  altrove, 
che  ci  passa  il  Lambro;  altrove,  che  e'  è  un  arciprete.  Dal 
riscontro  di  questi  dati  noi  deduciamo  che  fosse  Monza  sen- 

*)  Josephi  Uipamontii  Historix  Patriae.  Decadi*  V,  Li'a.  VI.  Cap.  HI.  pac. 
358  fcl  seq. 


106  I   PROMESSI    SPOSI. 

z  altro.  Nel  vasto  tesoro  dell'  induzioni  erudite  ce  ne  potrà 
ben  essere  delle  più  fine,  ma  delle  più  sicure,  non  crederei. 
Potremmo  anche,  sopra  congetture  molto  fondate,  dire  il  nonw 
della  famiglia;  ma,  sebbene  sia  estinta  da  un  pezzo,  ci  par 
meglio  lasciarlo  nella  penna,  per  non  metterci  a  rischio  di 
far  torto  neppure  ai  morti,  e  per  lasciare  ai  dotti  qualche 
soggetto  di  ricerca. 

I  nostri  viaggiatori  arrivaron  dunque  a  Monza,  poco  dopo 
il  levar  dei  sole:  il  conduttore  entrò  in  un'  osteria,  e  lì,  come 
pratico  del  luogo,  e  conoscente  del  padrone,  fece  assegnar  loro 
una  stanza,  e  ve  li  accompagnò.  Tra  i  ringraziamenti,  Renzo 
tentò  pure  di  fargli  ricevere  qualche  danaro;  ma  quello,  al 
pari  del  barcaiolo,  aveva  in  mira  un'  altra  ricompensa,  più 
lontana,  ma  più  abbondante:  ritirò  le  mani,  anche  lui,  e,  come 
fuggendo,  corse  a  governare  la  sua  bestia. 

Dopo  una  sera  quale  1'  abbiamo  descritta,  e  una  notte  quale 
ognuno  può  immaginarsela,  passata  in  compagnia  di  que'  pen- 
sieri, col  sospetto  incessante  di  qualche  incontro  spiacevole, 
al  soffio  d'  una  brezzolina  più  che  autunnale,  e  tra  le  conti- 
nue scosse  della  disagiata  vettura,  che  ridestavano  sgarbata- 
mente chi  di  loro  cominciasse  appena  a  velar  V  occhio,  non 
parve  vero  a  tutt'  e  tre  di  sedersi  sur  una  panca  che  stava 
ferma,  in  una  stanza,  qualunque  fosse.  Fecero  colazione, 
come  permetteva  la  penuria  de'  tempi,  e  i  mezzi  scarsi  in 
proporzione  de'  contingenti  bisogni  d'  un  avvenire  incerto,  e 
il  poco  appetito.  A  tutt'  e  tre  passò  per  la  mente  il  ban- 
chetto che,  due  giorni  prima ,  s'  aspettavan  di  fare  :  e  cia- 
scuno mise  un  gran  sospiro.  Renzo  avrebbe  voluto  fermarsi 
lì,  almeno  tutto  quel  giorno,  veder  le  donne  allogate,  render 
loro  i  primi  servizi;  ma  il  padre  aveva  raccomandato  a 
queste  di  mandarlo  subito  per  la  sua  strada.  Addussero  quindi 
esse  e  quegli  ordini,  e  cento  altre  ragioni;  che  la  gente 
ciarlerebbe,  che  la  separazione  più  ritardata  sarebbe  più  do- 
lorosa, eh'  egli  potrebbe  venir  presto  a  dar  nuove  e  a  sen- 
tirne; tanto  che  si  risolvette  di  partire.  Si  concertaron,  come 
poterono,  sulla  maniera  di  rivedersi,  più  presto  che  fosse  pos- 
sibile. Lucia  non  nascose  le  lacrime;  Renzo  trattenne  a  stento 
le  sue,  e,  stringendo  forte  forte  la  mano  a  Agnese,  disse  con 
•voce  soffogata  :  «a  rivederci,»  e  partì. 

Le  donne  si  sarebber  trovate  ben  impicciate,  se  non  fosse 
stato  quel  buon  barocciaio,  che  aveva  ordine  di  guidarle  ai 
convento  de'  cappuccini,  e  di  dar  loro  ogn'  altro  aiuto  che 
potesse  bisognare.  S'  awiaron  dunque  con  lui  a  quel  con- 
vento; il  quale,  come  ognun  sa,  era  pochi  passi  distante  da 
Monza.  Arrivati  alla  porta,  il  conduttore  tirò  il  campanello, 
fece  chiamare  il  padre  guardiano;  questo  venne  subito,  e  ri- 


CAPITOLO    IX.  107 

«Oh!  fra  Cristoforo?»  disse  riconoscendo  il  carattere.  Il 
tono  della  voce  e  i  movimenti  del  volto  indicavano  manifesta- 
mente che  proferiva  il  nome  d'  un  grand'  amico.  Convien  poi 
dire  che  il  nostro  buon  Cristoforo  avesse,  in  quella  lettera, 
raccomandate  le  donne  con  molto  calore,  e  riferito  il  loro 
caso  con  molto  sentimento,  perchè  il  guardiano  faceva,  di 
tanto  in  tanto,  atti  di  sorpresa  e  d' indegnazione;  e,  al- 
zando gli  occhi  dal  foglio,  li  fissava  sulle  donne  con  una 
certa  espressione  di  pietà  e  d' interesse.  Finito  eh'  ebbe  di 
leggere,  stette  lì  alquanto  a  pensare:  poi  disse:  «non  c;  è 
che  la  signora:  se  la  signora  vuol  prendersi  quest'  impe- 
gno ...» 

Tirata  quindi  Agnese  in  disparte,  sulla  piazza  davanti  al 
convento,  le  fece  alcune  interrogazioni,  alle  quali  essa  sod- 
disfece; e,  tornato  verso  Lucia,  disse  a  tutt'  e  due:  «donne 
mie,  io  tenterò  ;  e  spero  di  potervi  trovare  un  ricovero  più 
che  sicuro,  più  che  onorato,  fin  che  Dio  non  v'  abbia  prov- 
vedute in  miglior  maniera.     Volete  venir  con  me?» 

Le  donne  accennarono  rispettosamente  di  sì;  e  il  frate  ri- 
prese: «bene;  io  vi  conduco  subito  al  monastero  della  si- 
gnora. State  però  discoste  da  me  alcuni  passi,  perchè  la 
gente  si  diletta  di  dir  male  :  e  Dio  sa  quante  belle  chiacchiere 
si  farebbero,  se  si  vedesse  il  padre  guardiano  per  la  strada, 
con  una  bella  giovine  ....  con  donne  voglio  dire.» 

Così  dicendo,  andò  avanti.  Lucia  arrossì;  il  barocciaio 
sorrise,  guardando  Agnese,  la  quale  non  potè  tenersi  di  non 
fare  altrettanto;  e  tutt'  e  tre  si  mossero,  quando  il  frate  si 
fu  avviato;  e  gli  andaron  dietro,  dieci  passi  discosto.  Le 
donne  allora  domandarono  al  barocciaio,  ciò  che  non  ave- 
vano osato  al  padre  guardiano,  chi  fosse  la  signora. 

«La  signora,»  rispose  quello,  «è  una  monaca;  ma  non 
è  una  monaca  come  l'altre.  Non  è  che  sia  la  badessa,  né 
la  priora;  che  anzi,  a  quel  che  dicono,  è  una  delle  più  gio- 
vani: ma  è  della  costola  d'Adamo;  e  i  suoi  del  tempo  antico 
erano  gente  grande,  venuta  di  Spagna,  dove  son  quelli  che 
comandano;  e  per  questo  la  chiamano  la  signora,  per  dire 
eh' è  una  gran  signora;  e  tutto  il  paese  la  chiama  con  quel 
nome,  perchè  dicono  che  in  quel  monastero  non  hanno  avuto 
mai  una  persona  simile;  e  i  suoi  d'adesso  laggiù  a  Milano, 
contan  molto,  e  son  di  quelli  che  hanno  sempre  ragione;  e 
in  Monza  anche  di  più,  perchè  suo  padre,  quantunque  non 
ci  stia,  è  il  primo  del  paese;  onde  anche  lei  può  far  alto  e 
basso  nel  monastero;  e  anche  la  gente  di  fuori  le  porta  un 
gran  rispetto;  e  quando  prende  un  impegno,  le  riesce  anche 
di  spuntarlo;  e  perciò,  se  quel  buon  religioso  lì,  ottiene  di 
mettervi  nelle  sue  mani,  e  che  lei  v'  accetti,  vi  posso  dire 
che  sarete  sicure  come  sull'  altare.»  X* 


108  I    PROMESSI    SPOSI. 

Quando  fu  vicino  alla  porta  del  borgo,  fiancheggiata  al- 
lora da  un  antico  torracchione  mezzo  rovinato,  e  da  un  pezzo 
di  castellacelo,  diroccato  anch'  esso,  che  forse  dieci  de'  miei 
lettori  possono  ancor  rammentarsi  d'  aver  veduto  in  piedi,  il 
guardiano  si  fermò,  e  si  voltò  a  guardare  se  gli  altri  veni- 
vano: quindi  entrò,  e  s'avviò  al  monastero;  dove  arrivato,  si 
fermò  di  nuovo  sulla  soglia,  aspettando  la  piccola  brigata. 
Pregò  il  barocciaio  che,  tra  un  par  d'  ore,  tornasse  da  lui, 
a  prender  la  risposta:  questo  lo  promise,  e  si  licenziò  dalle 
donne,  che  lo  caricaron  di  ringraziamenti,  e  di  commissioni 
per  il  padre  Cristoforo.  Il  guardiano  fece  entrare  la  madre 
e  la  figlia  nel  primo  cortile  del  monastero,  le  introdusse  nelle 
camere  della  fattoressa;  e  andò  solo  a  chieder  la  grazia.  Dopc 
qualche  tempo,  ricomparve  giulivo  a  dir  loro  che  venissero 
avanti  con  lui;  ed  era  ora,  perchè  la  figlia  e  la  madre  non 
sapevan  più  come  fare  a  distrigarsi  dall'  interrogazioni  pres- 
santi della  fattoressa.  Attraversando  un  secondo  cortile,  diede 
qualche  avvertimento  alle  donne,  sul  modo  di  portarsi,  con 
la  signora.  «È  ben  disposta  per  voi  altre,»  disse,  «e  vi 
può  far  del  bene  quanto  vuole.  Siate  umili  e  rispettose,  ri- 
spondete con  sincerità  alle  domande  che  le  piacerà  di  farvi,  e 
quando  non  siete  interrogate,  lasciate  fare  a  me.»  Entrarono 
in  una  stanza  terrena,  dalla  quale  si  passava  nel  parlatorio: 
prima  di  mettervi  il  piede,  il  guardiano,  accennando  1'  uscio, 
disse  sottovoce  alle  donne:  «è  qui,»  come  per  rammentar 
loro  tutti  quegli  avvertimenti.  Lucia,  che  non  aveva  mai  visto 
un  monastero,  quando  fu  nel  parlatorio,  guardò  in  giro  dove 
fosse  la  signora  a  cui  fare  il  suo  inchino,  e,  non  iscorgendo 
persona,  stava  come  incantata;  quando,  visto  il  padre  e 
Agnese  andar  verso  un  angolo,  guardò  da  quella  parte,  e  vide 
una  finestra  d'  una  forma  singolare,  con  due  grosse  e  fitte 
grate  di  ferro,  distanti  1' una  dall'altra  un  palmo;  e  dietro 
quelle  una  monaca  ritta.  Il  suo  aspetto,  che  poteva  dimo- 
strar venticinque  anni,  faceva  a  prima  vista  un'  impressione 
di  bellezza,  ma  d'  una  bellezza  sbattuta,  sfiorita  e,  direi  quasi 
scomposta.  Un  velo  nero,  sospeso  e  stirato  orizzontalmente 
sulla  testa,  cadeva  dalle  due  parti,  discosto  alquanto  dal  viso: 
sotto  il  velo,  una  bianchissima  benda  di  lino  cingeva,  fino  al 
mezzo  una  fronte  di  diversa,  ma  non  d'  inferiore  bianchezza; 
un'  altra  benda  a  pieghe  circondava  il  viso,  e  terminava  sotto 
il  mento  in  un  soggolo,  che  si  stendeva  alquanto  sul  petto,  a 
coprire  lo  scollo  d'  un  nero  saio.  Ma  quella  fronte  si  raggrin- 
zava spesso,  come  per  una  contrazione  dolorosa;  e  allora  due 
sopraccigli  neri  si  ravvicinavano,  con  un  rapido  movimento. 
Due  occhi,  neri  neri  anch'essi,  si  fissavano  talora  in  viso 
alle  persone,  con  un'  investigazione  superba;  talora  si  china- 
vano in  fretta,   come  per  cercare  un  nascondiglio;    in  certi 


CAPITOLO    1S.  109 

momenti,  un  attento  osservatore  avrebbe  argomentato  che 
chiedessero  affetto,  corrispondenza,  pietà;  altre  volte  avrebbe 
creduto  coglierci  la  rivelazione  istantanea  d'  un  odio  inveterato 
e  compresso,  un  non  so  che  di  minaccioso  e  di  feroce:  quando 
restavano  immobili  e  fissi  senza  attenzione,  chi  ci  avrebbe 
immaginata  una  svogliatezza  orgogliosa,  chi  avrebbe  po- 
tuto sospettarci  il  travaglio  d'un  pensiero  nascosto,  d'una 
preoccupazione  familiare  all'  animo,  e  più  forte  su  quello  che 
gli  oggetti  circostanti.  Le  gote  pallidissime  scendevano  con 
un  contorno  delicato  e  grazioso,  ma  alterato  e  reso  mancante 
da  una  lenta  estenuazione.  Le  labbra,  quantunque  ap- 
pena tinte  d'un  roseo  sbiadito,  pure,  spiccavano  in  quel 
pallore:  i  loro  moti  erano,  come  quelli  degli  occhi,  subitanei, 
vivi,  pieni  d'  espressione  e  di  mistero.  La  grandezza  ben 
formata  deila  persona  scompariva  in  un  certo  abbandono  del 
portamento,  o  compariva  sfigurata  in  certe  mosse  repentine, 
irregolari  e  troppo  risolute  per  una  donna,  non  che  per  una 
monaca.  Nel  vestire  stesso  e'  era  qua  e  là  qualcosa  di  stu- 
diato o  di  negletto,  che  annunziava  una  monaca  singolare:  la 
vita  era  attillata  con  una  certa  cura  secolaresca,  e  dalla  benda 
usciva  sur  una  tempia  una  ciocebettina  di  neri  capelli;  cosa 
che  dimostrava  o  dimenticanza  o  disprezzo  della  regola  che 
prescriveva  di  tenerli  sempre  corti,  da  quando  erano  stati  ta- 
gliati, nella  cerimonia  solenne  del  vestimento. 

Queste  cose  non  facevano  specie  alle  due  donne,  non  eser- 
citate a  distinguer  monaca  da  monaca:  e  il  padre  guardiano, 
che  non  vedeva  la  signora  per  la  prima  volta,  era  già  av- 
vezzo, come  tant'  altri,  a  quel  non  so  che  di  strano,  che  ap- 
pariva nella  sua  persona,  come  nelle  sue  maniere. 

Era  essa  in  quel  momento,  come  abbiam  detto,  ritta  vi- 
cino alla  grata,  con  una  mano  appoggiata  languidamente  a 
quella,  e  le  bianchissime  dita  intrecciate  ne'  vóti;  e  guardava 
fisso  Lucia,  che  veniva  avanti  esitando.  «Reverenda  madre, 
e  signora  illustrissima,»  disse  il  guardiano,  a  capo  basso, 
e  con  la  mano  al  petto,  «questa  è  quella  povera  giovine,  per 
la  quale  m'  ha  fatto  sperare  la  sua  valida  protezione:  e  questa 
è  la  madre.» 

Le  due  presentate  facevano  grand'  inchini:  la  signora  ac- 
cennò loro  con  la  mano,  che  bastava,  e  disse,  voltandosi  al 
padre:  «è  una  fortuna  per  me  il  poter  fare  un  piacere  ai 
nostri  buoni  amici  i  padri  cappuccini.  Ma,»  continuò,  «mi 
dica  un  po'  più  particolarmente  il  caso  di  questa  giovine,  per 
veder  meglio  cosa  si  possa  fare  per  lei.» 

Lucia  diventò  rossa,  e  abbassò  la  testa. 

«Deve  sapere,  reverenda  madre  ....  »  incominciava  Agnese; 
ma  il  guardiano  le  troncò,  con  un' occhiata,  le  parole  in 
bocca,  e  rispose:   «questa  giovine,    signora   illustrissima,   im 


110  I   PROMESSI    SPOSI. 

vien  raccomandata,  come  le  ho  detto,  da  un  mio  confratello. 
Essa  ha  dovuto  partir  di  nascosto  dal  suo  paese,  per  sot- 
trarsi a  de'  gravi  pericoli;  e  ha  bisogno,  per  qualche  tempo, 
d'  un  asilo  nel  quale  possa  vivere  sconosciuta,  e  dove  nes- 
suno ardisca  venire  a  disturbarla,  quand'  anche » 

«Quali  pericoli?»  interruppe  la  signora.  «Di  grazia, 
padre  guardiano,  non  mi  dica  la  cosa  così  in  enimma.  Lei 
sa  che  noi  altre  monache,  ci  piace  di  sentir  le  storie  per 
minuto.» 

«Sono  pericoli,»  rispose  il  guardiano,  «che  all'orecchie 
purissime  della  reverenda  madre  devon  essere  appena  legger- 
mente accennati.  ...» 

«Oh  certamente,»  disse  in  fretta  la  signora,  arrossendo 
alquanto.  Era  verecondia?  Chi  avesse  osservata  una  rapida 
espressione  di  dispetto  che  accompagnava  quel  rossore,  avrebbe 
potuto  dubitarne  ;  e  tanto  più  se  1'  avesse  paragonato  con 
quello  che  di  tanto  in  tanto  si  spandeva  sulle  gote   di  Lucia. 

«Basterà  dire,»  riprese  il  guardiano,  «che  un  cavalier 
prepotente  .  .  .  non  tutti  i  grandi  del  mondo  si  servono  dei 
doni  di  Dio  a  gloria  sua,  e  in  vantaggio  del  prossimo,  come 
vossignoria  illustrissima:  un  cavalier  prepotente,  dopo  aver 
perseguitato  qualche  tempo  questa  creatura  con  indegne  lu- 
singhe, vedendo  eh'  erano  inutili,  ebbe  cuore  di  perseguitarla 
apertamente  con  la  forza,  di  modo  che  la  poveretta  è  stata 
ridotta  a  fuggir  da  casa  sua.» 

«Accostatevi,  quella  giovine,»  disse  la  signora  a  Lucia, 
facendole  cenno  col  dito.  «So  che  il  padre  guardiano  è  la 
bocca  della  verità;  ma  nessuno  può  esser  meglio  informato 
di  voi,  in  quest'  affare.  Tocca  a  voi  a  dirci  se  questo  cava- 
liere era  un  persecutore  odioso.»  In  quanto  all'  accostarsi, 
Lucia  ubbidì  subito:  ma  rispondere  era  un'  altra  faccenda. 
Una  domanda  su  quella  materia,  quand'  anche  le  fosse  stata 
fatta  da  una  persona  sua  pari,  1'  avrebbe  imbrogliata  non 
poco  :  proferita  da  quella  signora,  e  con  una  cert'  aria  di 
dubbio  maligno,  le  levò  ogni  coraggio  a  rispondere.  «Si- 
gnora ....  madre  reverenda  .  .  .  .»  balbettò,  e  non  dava  se- 
gno d'  aver  altro  a  dire.  Qui  Agnese,  come  quella  che,  dopo 
di  lei,  era  certamente  la  meglio  informata,  si  credè  autoriz- 
zata a  venirle  in  aiuto.  «Illustrissima  signora,»  disse,  «io 
posso  far  testimonianza  che  questa  mia  figlia  aveva  in  odio 
quel  cavaliere,  come  il  diavolo  l'acqua  santa:  voglio  dire, 
il  diavolo  era  lui;  ma  mi  perdonerà  se  parlo  male,  perchè 
noi  siam  gente  alla  buona.  Il  fatto  sta  che  questa  povera 
ragazza  era  promessa  a  un  giovine  nostro  pari,  timorato  di 
Dio,  e  ben  avviato:  e  se  il  signor  curato  fosse  stato  un  po' 
più  un  uomo  di  quelli  che  m' intendo  io  ...  .  so  che  parlo 
d'  un  religioso,  ma  il  padre  Cristoforo,  amico   qui   del  padre 


CAPITOLO   IX.  Ili 

guardiano,  è  religioso  al  par  di  lui,  e  quello  è  un  uomo  pieno 
di  carità,  e,  se  fosse  qui  potrebbe  attestare  .  .  .  .» 

«Siete  ben  pronta  a  parlare  senz'  essere  interrogata,» 
interruppe  la  signora,  con  un  atto  altero  e  iracondo,  che  la 
fece  quasi  parer  brutta.  «State  zitta  voi:  già  lo  so  che  i 
parenti  hanno  sempre  una  risposta  da  dare  in  nome  de'  loro 
figliuoli!» 

Agnese  mortificata  diede  a  Lucia  un'  occhiata  che  voleva 
dire:  vedi  quel  che  mi  tocca,  per  esser  tu  tanto  impicciata. 
Anche  il  guardiano  accennava  alla  giovine,  dandole  d'  occhio 
e  tentennando  il  capo,  che  quello  era  il  momento  di  sgran- 
chirsi, e  di  non  lasciare  in  secco  la  povera  mamma. 

«Reverenda  signora,»  disse  Lucia,  «quanto  le  ha  detto 
mia  madre  è  la  pura  verità.  Il  giovine  che  mi  discorreva,» 
e  qui  diventò  rossa  rossa,  «lo  prendevo  io  di  mia  volontà. 
Mi  scusi  se  parlo  da  sfacciata,  ma  è  per  non  lasciar  pensar 
male  di  mia  madre.  E  in  quanto  a  quel  signore  (Dio  gli 
perdoni!)  vorrei  piuttosto  morire  che  cadere  nelle  sue  mani. 
E  se  lei  fa  questa  carità  di  metterci  al  sicuro,  giacché  siam 
ridotte  a  far  questa  faccia  di  chieder  ricovero,  e  ad  incomo- 
dare le  persone  dabbene;  ma  sia  fatta  la  volontà  di  Dio;  sia 
certa,  signora,  che  nessuno  potrà  pregare  per  lei  più  di 
cuore  che  noi  povere  donne.» 

«A  voi  credo,»  disse  la  signora  con  voce  raddolcita. 
«Ma  avrò  piacere  di  sentirvi  da  solo  a  solo.  Non  che  abbia 
bisogno  d' altri  schiarimenti,  né  d'altri  motivi,  per  servire 
alle  premure  del  padre  guardiano,»  aggiunse  subito,  rivol- 
gendosi a  lui,  con  una  compitezza  studiata.  «Anzi,»  con- 
tinuò, «ci  ho  già  pensato;  ed  ecco  ciò  che  mi  pare  di  poter 
far  di  meglio,  per  ora.  La  fattoressa  del  monastero  ha 
maritata,  pochi  giorni  sono,  V  ultima  sua  figliuola.  Queste 
donne  potranno  occupar  la  camera  lasciata  in  libertà  da 
quella,  e  supplire  que'  pochi  servizi  che  faceva  lei.  Vera- 
mente .  .  .  .»  e  qui  accennò  al  guardiano  che  s'  avvicinasse 
alla  grata,  e  continuò  sottovoce:  «veramente,  attesa  la  scar- 
sezza dell'  annate,  non  si  pensava  di  sostituir  nessuno  a  quella 
giovine;  ma  parlerò  io  alla  madre  badessa,  e  una  mia  paro- 
la ...  .  e  per  una  premura  del  padre  guardiano In  somma 

do  la  cosa  per  l'atta.» 

Il  guardiano  cominciava  a  ringraziare,  ma  la  signora  l' in- 
terruppe: «Non  occorron  cerimonie:  anch'io,  in  un  caso,  in 
un  bisogno,  saprei  far  capitale  dell'  assistenza  de'  padri  cap- 
puccini. Alla  fine,»  continuò,  con  un  sorriso,  nel  quale 
traspariva  un  non  so  che  d' ironico  e  d'  amaro,  «alla  fine 
non  siam  noi  fratelli  e  sorelle?» 

Così  detto,  chiamò  una  conversa,  (due  di  queste  erano, 
per  una  distinzione   singolare,    assegnate  al  suo  servizio  pri- 


112  1    PROMESSI    SPOSI. 

vato)  e  le  ordinò  che  avvertisse  di  ciò  la  badessa,  e  pren- 
desse poi  i  concerti  opportuni,  con  la  fattoressa  e  con  Agnese. 
Licenziò  questa,  accommiatò  il  guardiano,  ritenne  Lucia.  Il 
guardiano  accompagnò  Agnese  alla  porta,  dandole  nuove  istru- 
zioni, e  se  n'  andò  a  scrivere  la  lettera  di  ragguaglio  all'  amico 
Cristoforo.  —  Gran  cervellino  che  è  questa  signora!  — 
pensava  tra  sé,  per  la  strada:  curiosa  davvero!  Ma  chi  la 
sa  prendere  per  il  suo  verso,  le  fa  far  ciò  che  vuole.  Il 
mio  Cristoforo  non  s'aspetterà  certamente  ch'io  l'abbia  ser- 
vito così  presto  e  bene.  Quel  brav'uomo!  non  e'  è  rimedio: 
bisogna  che  si  prenda  sempre  qualche  impegno  :  ma  lo  fa  per 
bene.  Buon  per  lui  questa  volta,  che  ha  trovato  un  amico, 
il  quale  senza  tanto  strepito,  senza  tanto  apparato,  senza 
tante  faccende,  ha  condotto  l'affare  a  buon  porto,  in  un  bat- 
ter d'  occhio.  Sarà  contento  quel  buon  Cristoforo,  e  s'  accor- 
gerà che  anche  noi  qui,  siam  buoni  a  qualche  cosa. 

La  signora,  che,  alla  presenza  d'  un  provetto  cappuccino, 
aveva  studiati  gli  atti  e  le  parole,  rimasta  poi  sola  con  una 
contadina  inesperta,  non  pensava  più  di  contenersi;  e  i  suoi 
discorsi  divennero  a  poco  a  poco  così  strani,  che  in  vece  di 
riferirli,  noi  crediam  più  opportuno  di  raccontar  brevemente 
la  storia  antecedente  di  questa  infelice;  quel  tanto  cioè  che 
basti  a  render  ragione  dell'  insolito  e  del  misterioso  che  ab- 
biam  veduto  in  lei,  e  a  far  comprendere  i  motivi  della  sua 
condotta  in  quello  che  avvenne  dopo. 

Era  essa  l'ultima  figlia  del  principe***,  gran  gentiluomo 
milanese,  che  poteva  contarsi  tra  i  più  doviziosi  della  città. 
Ma  T  alta  opinione  che  aveva  del  suo  titulo  gli  faceva  parer 
le  sue  sostanze  appena  sufficenti,  anzi  scarse,  a  sostenerne 
il  decoro:  e  tutto  il  suo  pensiero  era  di  conservarle,  almeno 
quali  erano,  unite  in  perpetuo,  per  quanto  dipendeva  da  lui. 
Quanti  figliuoli  avesse,  la  storia  non  lo  dice  espressamente; 
fa  solamente  intendere  che  aveva  destinati  al  chiostro  tutti  i 
cadetti  dell'  uno  e  dell'  altro  sesso,  per  lasciare  intatta  la 
sostanza  al  primogenito,  destinato  a  conservar  la  famiglia,  a 
procrear  cioè  de'  figliuoli,  per  tormentarsi  a  tormentarli  nella 
stessa  maniera  La  nostra  infelice  era  ancor  nascosta  nel 
ventre  della  madre,  che  la  sua  condizione  era  già  irrevocabil- 
mente stabilita.  Rimaneva  soltanto  da  decidersi  se  sarebbe  un 
monaco  o  una  monaca:  decisione  per  la  quale  faceva  bisogno  non 
il  suo  consenso,  ma  la  sua  presenza.  Quando  venne  alle  luce,  il 
principe  suo  padre,  volendo  darle  un  nome  che  risvegliasse 
immediatamente  1'  idea  del  chiostro,  e  che  fosse  stato  portato 
da  una  santa  d'  alti  natali,  la  chiamò  Gertrude.  Bambole 
vestite  da  monaca  furono  i  primi  balocchi  che  le  si  diedero 
in  mano,  poi  santini  che  rappresentavan  monache;  e  que' re- 
cali eran  sempre  accompagnati  con  gran  raccomandazioni  di 


CAPITOLO    IX.  113 

tenerli  ben  di  conto,  come  cosa  preziosa,  e  con  queir  interro- 
gare affermativo:  «bello  eh?»  Quando  il  principe,  o  la  prin- 
cipessa o  il  principino,  che  solo  de'  maschi  veniva  allevato  in 
casa,  volevano  lodar  l'aspetto  prosperoso  della  fanciullina, 
pareva  che  non  trovasser  modo  d;  esprimer  bene  la  loro  idea, 
se  non  con  le  parole:  «che  madre  badessa!»  Nessuno  però 
le  disse  mai  direttamente:  tu  devi  farti  monaca.  Era  un'idea 
sottintesa  e  toccata  incidentemente,  in  ogni  discorso  che  ri- 
guardasse i  suoi  destini  futuri.  Se  qualche  volta  la  Gertru- 
dina  trascorreva  a  qualche  atto  un  po'  arrogante  e  imperio- 
so, al  che  la  sua  indole  la  portava  molto  facilmente,  «tu  sei 
una  ragazzina,»  le  si  diceva;  «queste  maniere  non  ti  con- 
vengono :  quando  sarai  madre  badessa ,  allora  comanderai  a 
bacchetta,  farai  alto  e  basso.»  Qualche  altra  volta  il  prin- 
cipe, riprendendola  di  cert' altre  maniere  troppo  libere  e 
famigliari  alle  quali  essa  trascorreva  con  uguale  facilità ,  «ehi! 
ehi!»  le  diceva;  «non  è  questo  il  fare  d'una  par  tua:  se 
vuoi  che  un  giorno  ti  si  porti  il  rispetto  che  ti  sarà  dovuto, 
impara  fin  d'ora  a  star  sopra  di  te:  ricordati  che  tu  devi 
essere;  in  ogni  cosa,  la  prima  del  monastero:  perchè  il  san- 
gue si  porta  per  tutto  dove  si  va.» 

Tutte  le  parole  di  questo  genere  stampavano  nel  cervello 
della  fanciullina  l'idea  che  già  lei  doveva  esser  monaca;  ma 
quelle  che  venivan  dalla  bocca  del  padre,  facevan  più  effetto 
di  tutte  1'  altre  insieme.  Il  contegno  del  principe  era  abitual- 
mente quello  d'un  padrone  austero;  ma  quando  si  trattava 
dello  stato  futuro  de' suoi  figli,  dal  suo  volto  e  da  ogni  sua 
parola  traspariva  un'immobilità  di  risoluzione,  un'ombrosa 
gelosia  di  comando,  che  imprimeva  il  sentimento  d'  una  neces- 
sità fatale. 

A  sei  anni,  Gertrude  fu  collocata,  per  educazione  e  ancor 
più  per  istradamento  alla  vocazione  impostale,  nel.  monastero 
dove  l'abbiamo  veduta:  e  la  scelta  del  luogo  non  fu  senza 
disegno.  Il  buon  conduttore  delle  due  donne  ha  detto  che  il 
padre  della  signora  era  il  primo  in  Monza:  e,  accozzando 
questa  qualsisia  testimonianza  con  alcune  altre  indicazioni  che 
1"  anonimo  lascia  scappare  sbadatamente  qua  e  là.  noi  potrem- 
mo anche  asserire  che  fosse  il  feudatario  di  quel  paese.  Co- 
munque sia.  vi  godeva  d'una  grandissima  autorità;  e  pensò 
che  lì,  meglio  che  altrove,  la  sua  figlia  sarebbe  trattata  con 
quelle  distinzioni  e  con  quelle  finezze  che  potesser  più  allet- 
tarla a  scegliere  quel  monastero  per  sua  perpetua  dimora. 
Kè  s'ingannava:  la  badessa  e  alcune  altre  monache  faccen- 
diere, che  avevano,  come  si  suol  dire,  il  mestolo  in  mano, 
esultarono  nel  vedersi  offerto  il  pegno  d'  una  protezione 
tanto  utile  in  ogni  occorrenza,  tanto  gloriosa  in  ogni  momen- 
to;  accettaron  la  proposta,    con  espressioni   di  riconoscenza, 

Manzoni.  8 


114  I   PROMESSI    SPOSI. 

non  esagerate  per  quanto  fossero  forti;  e  corrisposero  piena- 
mente all'  intenzioni  che  il  principe  aveva  lasciate  trasparire  suf 
collocamento  stabile  della  figliuola:  intenzioni  che  andavan  così 
d'accordo  con  le  loro.  Gertrude,  appena  entrata  nel  mona- 
stero, fu  chiamata  per  antonomasia  la  signorina;  posto  distinto 
a  tavola,  nel  dormitorio;  la  sua  condotta  proposta  all'altre 
per  esemplare;  chicche  e  carezze  senza  fine,  e  condite  con 
quella  famigliarità  un  po' rispettosa,  che  tanto  adesca  i  fan- 
ciulli, quando  la  trovano  in  coloro  che  vedon  trattare  gli  altri 
fanciulli  con  uu  contegno  abituale  di  superiorità.  Non  che 
tutte  le  monache  fossero  congiurate  a  tirar  la  poverina  nel 
laccio:  ce  n' eran  molte  delle  semplici  e  lontane  da  ogni  in- 
trigo, alle  quali  il  pensiero  di  sacrificare  una  figlia  a  mire 
interessate  avrebbe  fatto  ribrezzo  ;  ma  queste ,  tutte  attente 
alle  loro  occupazioni  particolari,  parte  non  s'  accorgevan  bene 
di  tutti  que'  maneggi,  parte  non  distinguevano  quanto  vi  fosse 
di  cattivo,  parte  s'astenevano  dal  farvi  sopra  esame,  parte 
stavano  zitte,  per  non  fare  scandoli  inutili.  Qualcheduna 
anche  rammentandosi  d'essere  stata,  con  simili  arti,  condot- 
ta a  quello  di  cui  s'  era  pentita  poi,  sentiva  compassione  del- 
la povera  innocentina,  e  si  sfogava  col  farle  carezze  tenere  e 
malinconiche:  ma  questa  era  ben  lontana  dal  sospettare  che 
ci  fosse  sotto  mistero;  e  la  faccenda  camminava.  Sarebbe  forse 
camminata  così  fino  alla  fine,  se  Gertrude  fosse  stata  la  sola 
ragazza  in  quel  monastero.  Ma,  tra  le  sue  compagne  d'  edu- 
cazione, ce  n'erano  alcune  che  sapevano  d'esser  destinate  a) 
matrimonio.  Gertrudina,  nudrita  nelle  idee  della  sua  superio- 
rità, parlava  magnificamente  de'  suoi  destini  futuri  di  badessa, 
di  principessa  del  monastero,  voleva  a  ogni  conto  esser  per 
le  altre  un  soggetto  d'invidia;  e  vedeva  con  maraviglia  e  con 
dispetto,  che  alcune  di  quelle  non  ne  sentivano  punto.  Al- 
l'immagini maestose,  ma  circoscritte  e  fredde,  che  può  som- 
ministrare il  primato  in  un  monastero,  contrapponevan  esse 
le  immagini  varie  e  luccicanti,  di  nozze,  di  pranzi,  di  conver- 
sazioni, di  festini,  come  dicevano  allora,  di  villeggiature,  di 
vestiti,  di  carrozze.  Queste  immagini  cagionarono  nel  cer- 
vello di  Gertrude  quel  movimento,  quel  brulichìo  che  produr- 
rebbe un  gran  paniere  di  fiori  appena  colti,  messo  davanti  a  un 
alveare.  I  parenti  e  l'educatrici  avevan  coltivata  e  accresciuta  in 
lei  la  vanità  naturale,  per  farle  piacere  il  chiostro;  ma  quando 
questa  passione  fu  stuzzicata  da  idee  tanto  più  omogenee  ad  es- 
sa, si  gettò  su  quelle  con  un  ardore  ben  più  vivo  e  più  spon- 
taneo. Per  non  restare  al  di  sotto  di  quelle  sue  compagne, 
e  per  condiscendere  nello  stesso  tempo  al  suo  nuovo  genio, 
rispondeva  che,  alla  fin  de' conti,  nessuno  le  poteva  mettere 
il  velo  in  capo  senza  il  suo  consenso,  che  anche  lei  poteva 
maritarsi,  abitare  un  palazzo,  godersi  il  mondo,  e  meglio  di 


CAPITOLO  12.  115 

tutte  loro;  che  lo  poteva,  pur  che  l'avesse  voluto,  che  lo 
vorrebbe,  che  lo  voleva;  e  lo  voleva  in  fatti.  L'idea  della 
necessità  del  suo  consenso,  idea  che,  fino  a  quel  tempo,  era 
stata  come  inosservata  e  rannicchiata  in  un  angolo  della  sua 
mente,  si  sviluppò  allora,  e  si  manifestò,  con  tutta  la  sua 
importanza.  Essa  la  chiamava  ogni  momento  in  aiuto ,  per 
godersi  più  tranquillamente  l' immagini  d' un  avvenire  gra- 
dito. Dietro  quest'  idea  però  ne  compariva  sempre  infallibil- 
mente un'altra:  che  quel  consenso  si  trattava  di  negarlo 
al  principe  padre,  il  quale  lo  teneva  già,  o  mostrava  di  te- 
nerlo per  dato:  e,  a  questa  idea,  l'animo  della  figlia  era 
ben  lontano  dalla  sicurezza  che  ostentavano  le  sue  parole. 
Si  paragonava  allora  con  le  compagne,  eh'  erano  ben  altri- 
menti sicure,  e  provava  per  esse  dolorosamente  l'invidia  che, 
da  principio,  aveva  creduto  di  far  loro  provare.  Invidian- 
dole, le  odiava:  talvolta  l'odio  s'esalava  in  dispetti,  in  isgar- 
batezze,  in  motti  pungenti;  talvolta  l'uniformità  delle  incli- 
nazioni e  delle  speranze  lo  sopiva,  e  faceva  nascere  un'  in- 
trinsichezza apparente  e  passeggiera.  Talvolta,  volendo  pure 
godersi  intanto  qualche  cosa  di  reale  e  di  presente,  si  com- 
piaceva delle  preferenze  che  le  venivano  accordate,  e  faceva 
sentire  all'altre  quella  sua  superiorità;  talvolta,  non  potendo 
più  tollerar  la  solitudine  de'  suoi  timori  e  de'  suoi  desideri, 
andava,  tutta  buona,  in  cerca  di  quelle,  quasi  ad  implorar 
benevolenza,  consigli,  coraggio.  Tra  queste  deplorabili  guer- 
ricciole  con  sé  e  con  gli  altri,  aveva  varcata  la  puerizia,  e 
s' inoltrava  in  quel!'  età  così  critica,  nella  quale  par  che  entri 
nell'animo  quasi  una  potenza  misteriosa,  che  solleva,  adorna, 
rinvigorisce  tutte  l' inclinazioni ,  tutte  V  idee,  e  qualche  volta 
le  trasforma,  o  le  rivolge  a  un  corso  impreveduto.  Ciò  che 
Gertrude  aveva  fino  allora  più  distintamente  vagheggiato  in 
que'  sogni  dell'  avvenire ,  era  lo  splendore  esterno  e  la  pom- 
pa: un  non  so  che  di  molle  e  d'affettuoso,  che  da  prima 
v'  era  diffuso  leggermente  e  come  in  nebbia,  cominciò  allora 
a  spiegarsi  e  a  primeggiare  nelle  sue  fantasie.  S'  era  fatto, 
nella  parte  più  riposta  della  mente,  come  uno  splendido  ri- 
tiro: ivi  si  rifugiava  dagli  oggetti  presenti,  ivi  accoglieva  certi 
personaggi  stranamente  composti  di  confuse  memorie  della 
puerizia,  di  quel  poco  che  poteva  vedere  del  mondo  esteriore, 
di  ciò  che  aveva  imparato  dai  discorsi  delle  compagne;  si 
tratteneva  con  essi,  parlava  loro,  e  si  rispondeva  in  loro  no- 
me; ivi  dava  ordini,  riceveva  omaggi  d' ogni  genere.  Di  quan- 
do in  quando,  i  pensieri  della  religione  venivano  a  disturbare 
quelle  feste  brillanti  e  faticose.  Ma  la  religione,  come  l' avevano 
insegnata  alla  nostra  poveretta,  e  come  essai'  aveva  ricevuta, 
non  bandiva  l'orgoglio,  anzi  lo  santificava  e  lo  proponeva 
come  un  mezzo  per  ottenere  una  felicità  terrena.    Privata  co- 

8* 


116  I   PROMESSI   SPOSI. 

sì  della  sua  essenza  non  era  più  la  religione,  ma  una  larva 
come  l' altre.  Negl"  intervalli  in  cui  questa  larva  prendeva 
il  primo  posto,  e  grandeggiava  nella  fantasia  di  Gertrude,  l' in- 
felice, sopraffatta  da  terrori  confusi,  e  compresa  da  una  con- 
fusa idea  di  doveri,  s'immaginava  che  la  sua  ripugnanza  al 
chiostro,  e  la  resistenza  all'  insinuazioni  de'  suoi  maggiori,  nel- 
la scelta  dello  stato,  fossero  una  colpa;  e  prometteva  in  cuor 
suo  d:  espiarla,  chiudendosi  volontariamente  nel  chiostro. 

Era  legge  che  una  giovane  non  potesse  venire  accettata 
monaca,  prima  d'essere  stata  esaminata  da  un  ecclesiastico, 
chiamato  vicario  delle  monache,  o  da  qualche  altro  deputato 
a  ciò,  affinchè  fosse  certo  che  ci  andava  di  sua  libera  scelta. 
e  questo  esame  non  poteva  aver  luogo,  se  non  un  anno  dopo 
eh'  ella  avesse  esposto  a  quel  vicario  il  suo  desiderio  con  una 
supplica  in  iscritto.  Quelle  monache  che  avevan  preso  il  tri- 
sto incarico  di  far  che  Gertrude  s'  obbligasse  per  sempre,  con 
la  minor  possibile  cognizione  di  ciò  che  faceva,  colsero  un 
de' momenti  che  abbiam  detto,  per  farle  trascrivere  e  sotto- 
scrivere una  tal  supplica.  E  a  line  d' indurla  più  facilmente 
a  ciò,  non  mancaron  di  dirle  e  di  ripeterle,  che  finalmente 
era  una  mera  formalità,  la  quale  (e  questo  era  vero)  non  po- 
teva avere  efficacia,  se  non  da  altri  atti  posteriori,  che  dipen- 
derebbero dalla  sua  volontà.  Con  tutto  ciò,  la  supplica  non 
era  forse  ancor  giunta  al  suo  destino,  che  Gertrude  s'  era  già 
pentita  d'  averla  sottoscritta.  Si  pentiva  poi  d'  essersi  pentita, 
passando  così  i  giorni  e  i  mesi  in  un'  incessante  vicenda  di 
sentimenti  contrari.  Tenne  lungo  tempo  nascosto  alle  com- 
pagne quel  passo,  ora  per  timore  d'  esporre  alle  contraddizio- 
ni una  buona  risoluzione ,  ora  per  vergogna  di  palesare  uno 
sproposito.  Vinse  finalmente  il  desiderio  di  sfogar  1'  animo, 
e  d'  accattar  consiglio  e  coraggio.  C  era  un'  altra  legge,  che 
una  giovane  non  fosse  ammessa  a  quell'  esame  della  voca- 
zione, se  non  dopo  aver  dimorato  almeno  un  mese  fuori  del 
monastero  dove  era  stata  in  educazione.  Era  già  scorso  V  an- 
no da  che  la  supplica  era  stata  mandata;  e  Gertrude  fu  av- 
vertita che  tra  poco  verrebbe  levata  dal  monastero,  e  condot- 
ta nella  casa  paterna,  per  rimanervi  quel  mese,  e  far  tutti  ì 
passi  necessari  al  compimento  dell'  opera  che  aveva  di  fatto 
cominciata.  Il  principe  e  il  resto  della  famiglia  tenevano  tut- 
to ciò  per  certo ,  come  se  fosse  già  avvenuto  ;  ma  la  giovine 
aveva  tutt'  altro  in  testa  :  in  vece  di  far  gli  altri  passi ,  pen- 
sava alla  maniera  di  tirare  indietro  il  primo.  In  tali  angu- 
stie, si  risolvette  d'aprirsi  con  una  delle  sue  compagne,  la 
più  franca,  e  pronta  sempre  a  dar  consigli  risoluti.  Questa 
suggerì  a  Gertrude  d'informar  con  una  lettera  il  padre  della 
sua  nuova  risoluzione;  giacché  non  le  bastava  l'animo  di 
spiattellargli   sul  viso  un   bravo:   non  voglio.     E  perchè  i  pa- 


CAPITOLO    IX.  117 

reri  gratuiti,  in  questo  mondo,  son  molti  rari,  la  consigliera 
fece  pagar  questo  a  Gertrude,  con  tante  beffe  sulla  sua  dap- 
pocaggine. La  lettera  fu  concertata  tra  quattro  o  cinque  con- 
fidenti, scritta  di  nascosto,  e  fatta  ricapitare  per  via  d'arti- 
fizi molto  studiati.  Gertrude  stava  con  grand"  ansietà,  aspet- 
tando una  risposta  che  non  venne  mai.  Se  non  che,  alcuni 
giorni  dopo,  la  badessa  la  fece  venir  nella  sua  cella,  e,  con 
un  contegno  di  mistero,  di  disgusto  e  di  compassione,  le  diede 
un  cenno  oscuro  d'  una  gran  collera  dei  principe,  e  d'  un  fallo 
eh'  ella  doveva  aver  commesso,  lasciandole  però  intendere  che, 
portandosi  bene,  poteva  sperare  che  tutto  sarebbe  dimenti- 
cato.    La  giovinetta  intese,  e  non  osò  domandar  più  in  là. 

Venne  finalmente  il  giorno  tanto  temuto  e  bramato.  Quan- 
tunque Gertrude  sapesse  che  andava  a  un  combattimento,  pure 
1'  uscir  di  monastero ,  il  lasciar  quelle  mura  nelle  quali  era 
stata  ott' anni  rinchiusa,  lo  scorrere  in  carrozza  per  l'aperta 
campagna,  il  riveder  la  città,  la  casa,  furon  sensazioni  piene 
d'una  gioia  tumultuosa.  In  quanto  al  combattimento,  la  po- 
veretta, con  la  direzione  di  quelle  confidenti,  aveva  già  prese 
le  sue  misure,  e  fatto,  coni' ora  si  direbbe,  il  suo  piano.  — 
0  mi  vorranno  forzare, —  pensava,  —  e  io  starò  dura:  sarò  umi- 
le, rispettosa,  ma  non  acconsentirò:  non  si  tratta  che  di  non 
dire  un  altro  sì-,  e  non  lo  dirò.  Ovvero  mi  prenderanno  con  le 
buone;  e  io  sarò  più  buona  di  loro;  piangerò,  pregherò,  li 
moverò  a  compassione-  finalmente  non  pretendo  altro  che  di 
non  esser  sacrificata  —  Ma,  come  accade  spesso  di  simili 
previdenze,  non  avvenne  né  una  cosa  né  1'  altra.  I  giorni  pas- 
savano, senza  che  il  padre  né  altri  parlasse  della  supplica, 
né  della  ritrattazione,  senza  che  le  venisse  fatta  proposta  nes- 
suna, né  con  carezze,  né  con  minacce.  I  parenti  eran  seri, 
tristi,  burberi  con  lei,  senza  mai  dirne  il  perchè.  Si  vedeva 
solamente  che  la  riguardavano  come  una  rea ,  come  un'  inde- 
gna: un  anatema  misterioso  pareva  che  pesasse  sopra  di  lei, 
e  la  segregasse  dalla  famiglia,  lasciandovela  soltanto  unita 
quanto  bisognava  per  farle  sentire  la  sua  suggezione.  Di  ra- 
do, e  solo  a  certe  ore  stabilite,  era  ammessa  alla  compa- 
gnia de'  parenti  e  del  primogenito.  Tra  loro  tre  pareva  che 
regnasse  una  gran  confidenza,  la  quale  rendeva  più  sensibile 
e  più  doloroso  1'  abbandono  in  cui  era  lasciata  Gertrude.  Nes- 
suno le  rivolgeva  il  discorso;  e  quando  essa  arrischiava  timi- 
damente qualche  parola,  che  non  fosse  per  cosa  necessaria, 
o  non  attaccava,  o  veniva  corrisposta  con  uno  sguardo  di- 
stratto, o  sprezzante,  o  severo.  Che  se,  non  potendo  più  sof- 
frire una  così  amara  e  umiliante  distinzione,  insisteva,  e  ten- 
tava di  t'amigliarizzarsi  ;  se  implorava  un  po'  d'  amore,  si  sen- 
tiva subito  toccare,  in  maniera  indiretta  ma  chiara,  quel  tasto 
della  scelta  dello  stato;  le  si  faceva  copertamente  sentire  che 


118  i    PROMESSI    SPOSI. 

ci  era  un  mezzo  di  riacquistar  P  affetto  della  famiglia-  Allora 
Gertrude,  che  non  l'avrebbe  voluto  a  quella  condizione,  era 
costretta  di  tirarsi  indietro,  di  rifiutar  quasi  i  primi  segni  di 
benevolenza  che  aveva  tanto  desiderati,  di  rimettersi  da  sé 
al  suo  posto  di  scomunicata;  e  per  di  più,  vi  rimaneva  con 
uua  certa  apparenza  del  torto. 

Tali  sensazioni  d'  oggetti  presenti  facevano  un  contrasto  do- 
loroso con  quelle  ridenti  visioni  delle  quali  Gertrude  s'era 
già  tanto  occupata,  e  si  occupava  tuttavia,  nel  segreto  della 
sua  mente.  Aveva  sperato  che,  nella  splendida  e  frequentata 
casa  paterna,  avrebbe  potuto  godere  almeno  qualche  saggio 
reale  delle  cose  immaginate;  ma  si  trovò  del  tutto  ingannata. 
La  clausura  era  stretta  e  intera,  come  nel  monastero;  d'an- 
dare a  spasso  non  si  parlava  neppure;  e  un  coretto  che,  dal- 
la casa,  guardava  in  una  chiesa  contigua,  toglieva  anche  1'  u- 
nica  necessità  che  ci  sarebbe  stata  d'  uscire.  La  compagnia 
era  più  trista,  più  scarsa,  meno  variata  che  nel  monastero. 
A  ogni  annunzio  d' una  visita ,  Gertrude  doveva  salire  al- 
l'ultimo  piano,  per  chiudersi  con  alcune  vecchie  donne  di 
servizio:  e  lì  anche  desinava,  quando  c'era  invito.  I  servi- 
tori s'uniformavano,  nelle  maniere  e  ne' discorsi,  all'esem- 
pio e  all'intenzioni  de' padroni:  e  Gertrude,  che,  per  sua 
inclinazione,  avrebbe  voluto  trattarli  con  una  famigliarità  si- 
gnorile, e  che,  nello  stato  in  cui  si  trovava,  avrebbe  avuto 
di  grazia  che  le  facessero  qualche  dimostrazione  d'  affetto, 
come  a  una  loro  pari,  e  scendeva  anche  a  mendicarne,  rima- 
neva poi  umiliata,  e  sempre  più  afflitta  di  vedersi  corrisposta 
con  una  noncuranza  manifesta,  benché  accompagnata  da  un 
leggiero  ossequio  di  formalità.  Dovette  però  accorgersi  che 
un  paggio,  ben  diverso  da  coloro,  le  portava  un  rispetto,  e 
sentiva  per  lei  una  compassione  d'  un  genere  particolare.  Il 
contegno  di  quel  ragazzotto  era  ciò  che  Gertrude  aveva  fino 
allora  visto  di  più  somigliante  a  queir  ordine  di  cose  tanto 
contemplato  nella  sua  immaginativa,  al  contegno  di  quelle  sue 
creature  ideali.  A  poco  a  poco  si  scoprì  un  non  so  che  di 
nuovo  nelle  maniere  della  giovinetta:  una  tranquillità  e  un' in- 
quietudine diversa  dalla  solita,  un  fare  di  chi  ha  trovato 
qualche  cosa  che  gli  preme,  che  vorrebbe  guardare  ogni  mo- 
mento ,  e  non  lasciar  vedere  agli  altri.  Le  furon  tenuti  gli 
occhi  addosso  più  che  mai:  che  è  che  non  è,  una  mattina, 
fu  sorpresa  da  una  di  quelle  cameriere,  mentre  stava  piegan- 
do alla  sfuggita  una  carta,  sulla  quale  avrebbe  fatto  meglio  a 
non  iscriver  nulla.  Dopo  un  breve  tira  tira,  la  carta  ri- 
mase nelle  mani  della  cameriera,  e  da  queste  passò  in  quelle 
del  principe. 

Il  terrore  di  Gertrude,  al  rumor  de' passi  di  lui,  non  si 
può   descrivere  né   immaginare;   era  quel  padre,   era  irritato, 


CAPITOLO    IX  119 

«  lei  si  sentiva  colpevole.  Ma  quando  lo  vide  comparire,  con 
<[uel  cipiglio,  con  quella  carta  in  mano,  avrebbe  voluto  esser 
«ento  braccia  sotto  terra,  non  che  in  un  chiostro.  Le  parole 
non  furon  molte,  ma  terribili:  il  gastigo  intimato  subito  non 
fu  che  d'esser  rinchiusa  in  quella  camera,  sotto  la  guardia 
della  donna  che  aveva  fatta  la  scoperta;  ma  questo  non  era 
che  un  principio,  che  un  ripiego  del  momento;  si  promet- 
teva, si  lasciava  vedere  per  aria,  un  altro  gastigo  oscuro, 
indeterminato,  e  quindi  più  spaventoso. 

Il  paggio  fu  subito  sfrattato,  com'era  naturale;  e  fu  mi- 
nacciato anche  a  lui  qualcosa  di  terribile,  se,  in  qualunque 
tempo,  avesse  osato  fiatar  nulla  dell'avvenuto.  Nel  fargli 
questa  intimazione,  il  principe  gli  appoggiò  due  solenni  schiaf- 
fi, per  associare  a  quell'avventura  un  ricordo,  che  togliesse 
al  ragazzaccio  ogni  tentazion  di  vantarsene.  Un  pretesto 
qualunque,  per  coonestare  la  licenza  data  a  un  paggio,  non 
era  difficile  a  trovarsi:  in  quanto  alla  figlia  si  disse  ch'era 
incomodata. 

Rimase  essa  adunque  col  batticuore,  con  la  vergogna,  col 
rimorso,  col  terrore  dell'avvenire,  e  con  la  sola  compagnia 
di  quella  donna  odiata  da  lei,  come  il  testimonio  della  sua 
colpa,  e  la  cagione  della  sua  disgrazia.  Costei  odiava  poi  a 
vicenda  Gertrude,  per  la  quale  si  trovava  ridotta,  senza  sa- 
per per  quanto  tempo,  alla  vita  noiosa  di  carceriera,  e  dive- 
nuta per  sempre  custode  d'  un  segreto  pericoloso. 

Il  primo  confuso  tumulto  di  que'  sentimenti  s' acquietò  a 
poco  a  poco;  ma  tornando  essi  poi  a  uno  per  volta  nell'a- 
nimo ,  vi  s' ingrandivano ,  e  si  fermavano  a  tormentarlo  più 
distintamente  e  a  beli'  agio.  Che  poteva  mai  esser  quella  pu- 
nizione minacciata  in  enimma?  Molte  e  varie  e  strane  se  ne 
affacciavano  alla  fantasia  ardente  e  inesperta  di  Gertrude. 
Quella  che  pareva  più  probabile,  era  di  venir  ricondotta  al 
monastero  di  Monza,  di  ricomparirvi,  non  più  come  la  si- 
gnorina, ma  in  forma  di  colpevole,  e  di  starvi  rinchiusa,  chi 
sa  fino  a  quando!  chi  sa  con  quali  trattamenti!  Ciò  che  una 
tale  immaginazione,  tutta  piena  di  dolori,  aveva  forse  di  più 
doloroso  per  lei,  era  1'  apprensione  della  vergogna.  Le  frasi, 
le  parole,  le  virgole  di  quel  foglio  sciagurato,  passavano  e 
ripassavano  nella  sua  memoria:  le  immaginava  osservate,  pe- 
sate da  un  lettore  tanto  impreveduto,  tanto  diverso  da  quello 
a  cui  eran  destinate;  si  figurava  che  avesser  potuto  cader 
sotto  gli  occhi  anche  della  madre  o  del  fratello,  o  di  chi  sa 
altri:  e,  al  paragon  di  ciò,  tutto  il  rimanente  le  pareva  quasi 
un  nulla.  L' immagine  di  colui  eh'  era  stato  la  prima  origine 
di  tutto  lo  scandolo,  non  lasciava  di  venire  spesso  anch'essa 
ad  infestar  la  povera  rinchiusa:  e  pensate  che  strana  com- 
parsa doveva  far  quel  fantasma,  tra  quegli  altri  così  diversi 


120  1    PROMESSI    SPOSI. 

da  lui,  seri,  freddi,  minacciosi.  Ma,  appunto  perchè  non  po- 
teva separarlo  da  essi,  né  tornare  un  momento  a  quelle  fug- 
gitive compiacenze,  senza  che  subito  non  le  s'affacciassero  i 
dolori  presenti  che  n'  erano  la  conseguenza,  cominciò  a  poco 
a  poco  a  tornarci  più  di  rado,  a  rispingerne  la  rimembran- 
za, a  divezzarsene.  Né  più  a  lungo,  o  più  volentieri,  si  fer- 
mava in  quelle  liete  e  brillanti  fantasie  d'una  volta:  eran 
troppo  opposte  alle  circostanze  reali,  a  ogni  probabilità  del- 
l' avvenire.  Il  solo  castello  nel  quale  Gertrude  potesse  im- 
maginare un  rifugio  tranquillo  e  onorevole,  e  che  non  fosse 
in  aria,  era  il  monastero,  quando  si  risolvesse  d'entrarci 
per  sempre.  Una  tal  risoluzione  (non  poteva  dubitarne)  avreb- 
be accomodato  ogni  cosa,  saldato  ogni  debito,  e  cambiata  in 
un  attimo  la  sua  situazione.  Contro  questo  proposito  insor- 
gevano, è  vero,  i  pensieri  di  tutta  la  sua  vita:  ma  i  tempi 
eran  mutati;  e,  nell'abisso  in  cui  Gertrude  era  caduta,  e  al 
paragone  di  ciò  che  poteva  temere  in  certi  momenti,  la  con- 
dizione di  monaca  festeggiata,  ossequiata,  ubbidita,  le  pareva 
uno  zuccherino.  Due  sentimenti  di  ben  diverso  genere  con- 
tribuivan  pure  a  intervalli  a  scemare  quella  sua  antica  avver- 
sione: talvolta  il  rimorso  del  fallo,  e  una  tenerezza  fantastica 
di  divozione  ;  talvolta  1'  orgoglio  amareggiato  e  irritato  dalle 
maniere  della  carceriera,  la  quale  (spesso,  a  dire  il  vero, 
provocata  da  lei)  si  vendicava,  ora  facendole  paura  di  quel  mi- 
nacciato gastigo,  ora  svergognandola  del  fallo.  Quando  poi 
voleva  mostrarsi  benigna,  prendeva  un  tono  di  protezione,  più 
odioso  ancora  dell'  insulto.  In  tali  diverse  occasioni ,  il  desi- 
derio che  Gertrude  sentiva  d'  uscir  dall'  unghie  di  colei ,  e  di 
comparirle  in  uno  stato  al  di  sopra  della  sua  collera  e  della 
sua  pietà,  questo  desiderio  abituale  diveniva  tanto  vivo  e 
pungente,  da  far  parere  amabile  ogni  cosa  che  potesse  con- 
durre ad  appagarlo. 

In  capo  a  quattro  o  cinque  lunghi  giorni  di  prigionia,  una 
mattina,  Gertrude  stuccata  e  invelenita  all'eccesso,  per  un 
di  que'  dispetti  della  sua  guardiana ,  andò  a  cacciarsi  in  un 
angolo  della  camera,  e  lì,  con  la  faccia  nascosta  tra  le  mani 
stette  qualche  tempo  a  divorar  la  sua  rabbia.  Sentì  allora 
un  bisogno  prepotente  di  vedere  altri  visi,  di  sentire  altre 
parole,  d'esser  trattata  diversamente.  Pensò  al  padre,  alla 
famiglia:  il  pensiero  se  ne  arretrava  spaventato.  Ma  le  venne 
in  mente  che  dipendeva  da  lei  di  trovare  in  loro  degli  ami- 
ci; e  provò  una  gioia  improvvisa.  Dietro  questa,  una  confu- 
sione e  un  pentimento  straordinario  del  suo  fallo,  e  un  ugual 
desiderio  d'  espiarlo.  2son  già  che  la  sua  volontà  si  fermasse 
in  quel  proponimento ,  ma  giammai  non  e'  era  entrata  con 
tanto  ardore.  S'alzò  di  lì,  andò  a  un  tavolino,  riprese  quel- 
la penna  fatale,  e  scrisse  al  padre  una  lettera  piena  d' entu- 


CAPITOLO    a.  121 

siasmo  e  d'abbattimento,  d'afflizione  e  di  speranza,  implo- 
rando il  perdono,  e  mostrandosi  indeterminatamente  pronta  a 
tutto  ciò  che  potesse  piacere  a  chi  doveva  accorciarlo. 


CAPITOLO  X. 


Vi  son  de'  momenti  in  cui  l' animo  particolarmente  de' 
giovani,  è  disposto  in  maniera  che  ogni  poco  d'istanza  basta 
a  ottenerne  ogni  cosa  che  abbia  un*  apparenza  di  bene  e  di 
sacrifizio:  come  un  fiore  appena  sbocciato,  s'abbandona  mol- 
lemente sul  suo  fragile  stelo,  pronto  a  concedere  le  sue  fra- 
granze alla  prim'  aria  che  gli  aliti  punto  d' intorno.  Questi 
momenti,  che  si  dovrebbero  dagli  altri  ammirare  con  timido 
rispetto,  son  quelli  appunto  che  l'astuzia  interessata  spia  at- 
tentamente e  coglie  di  volo,  per  legare  una  volontà  che  non 
si  guarda. 

Al  legger  quella  lettera,  il  principe  *  M  *  vide  subito  le 
spiraglio  aperto  alle  sue  antiche  e  costanti  mire  Mandò  a 
dire  a  Gertrude  che  venisse  da  lui;  e  aspettandola,  si  dispose 
a  batter  il  ferro,  mentr'  era  caldo.  Gertrude  comparve,  e, 
senza  alzar  gli  occhi  in  viso  al  padre,  gli  si  buttò  in  ginoc- 
chioni davanti,  ed  ebbe  appena  fiato  di  dire:  «perdono!» 
Egli  le  fece  cenno  che  s'alzasse;  ma,  con  una  voce  poco  atta 
a  rincorare,  le  rispose  che  il  perdono  non  bastava  desiderarlo 
ne  chiederlo;  ch'era  cosa  troppo  agevole  e  troppo  naturale  a 
chiunque  sia  trovato  in  colpa,  e  tema  la  punizione;  che  in 
somma  bisognava  meritarlo.  Gertrude  domandò,  sommessa- 
mente e  tremando,  che  cosa  dovesse  fare.  Il  principe  (non 
ci  regge  il  cuore  di  dargli  in  questo  momento  il  titolo  di 
padre)  non  rispose  direttamente,  ma  cominciò  a  parlare  a 
lungo  del  fallo  di  Gertrude:  e  quelle  parole  frizzavano  sul- 
l'animo della  poveretta,  come  lo  scorrere  d'una  mano  ru- 
vida sur  una  ferita.  Continuò  dicendo  che,  quand1  anche  .... 
caso  mai  ....  che  avesse  avuto  prima  qualche  intenzione  di 
collocarla  nel  secolo,  lei  stessa  ci  aveva  messo  ora  un  osta- 
colo insuperabile;  giacché  a  un  cavalier  d'onore,  com'era 
lui,  non  sarebbe  mai  bastato  l'animo  di  regalare  a  un  ga- 
lantuomo una  signorina  che  aveva  dato  un  tal  saggio  di  sé. 
La  misera  ascoltatrice  era  annichilata:  allora  il  principe,  rad- 
dolcendo a  grado  a  grado  la  voce  e  le  parole ,  proseguì  di- 
cendo che  però  a  ogni  fallo  e'  era  rimedio  e  misericordia- 
che  il  suo  era  di  quelli  per  i  quali  il  rimedio  è  più  chiara; 
mente  indicato:  ch'essa  doveva  vedere,  in  questo  tristo  ac- 
cidente, come  un  avviso  che  la  vita  del  secolo  era  troppo 
piena  di  pericolo  per  lei  .... 


122  1    PROMESSI    SPOSI. 

«Ah  sì!»  esclamò  Gertrude,  scossa  dal  timore,  preparata 
dalla  vergogna,  e  mossa  in  quel  punto  da  una  tenerezza  istan- 
tanea. 

«Ah!  lo  capite  anche  voi,»  riprese  incontanente  il  prin- 
cipe. «Ebbene,  non  si  parli  più  del  passato:  tutto  è  cancel- 
lato. Avete  preso  il  solo  partito  onorevole,  conveniente,  che 
vi  rimanesse  ;  ma  perchè  1'  avete  preso  di  buona  voglia,  e  con 
buona  maniera,  tocca  a  me  a  farvelo  riuscir  gradito  in  tutto 
e  per  tutto;  tocca  a  me  a  farne  tornare  tutto  il  vantaggio  e 
tutto  il  merito  sopra  di  voi.  Ne  prendo  io  la  cura.»  Così 
dicendo,  scosse  un  campanello  che  stava  sul  tavolino,  e  al  ser- 
vitore che  entrò,  disse:  «la  principessa  e  il  principino  subi- 
to.» E  seguitò  poi  con  Gertrude:  «voglio  metterli  subito  a 
parte  della  mia  consolazione;  voglio  che  tutti  comincin  subito 
a  trattarvi  come  si  conviene.  Avete  sperimentato  in  parte  il 
padre  severo;  ma  da  qui  innanzi  proverete  tutto  il  padre 
amoroso.  » 

A  queste  parole,  Gertrude  rimaneva  come  sbalordita.  Ora 
ripensava  come  mai  quel  sì  che  le  era  scappato,  avesse  po- 
tuto significar  tanto,  ora  cercava  se  ci  fosse  maniera  di  ri- 
prenderlo ,  di  ristringerne  il  senso  ;  ma  la  persuasione  del 
principe  pareva  così  intera,  la  sua  gioia  così  gelosa,  la  be- 
nignità così  condizionata,  che  Gertrude  non  osò  proferire  una 
parola  che  potesse  turbarle  menomamente. 

Dopo  pochi  momenti,  vennero  i  due  chiamati,  e  vedendo 
lì  Gertrude,  la  guardarono  in  viso,  incerti  e  maravigliati.  Ma 
il  principe,  con  un  contegno  lieto  e  amorevole,  che  ne  pre- 
scriveva loro  un  somigliante,  «ecco,»  disse,  «la  pecora  smar- 
rita; e  sia  questa  1'  ultima  parola  che  richiami  triste  memo- 
rie. Ecco  la  consolazione  della  famiglia.  Gertrude  non  ha 
più  bisogno  di  consigli;  ciò  che  noi  desideravamo  per  suo 
bene,  1'  ha  voluto  lei  spontaneamente.  È  risoluta,  m'  ha 
fatto  intendere  che  è  risoluta  .  .  .  .»  A  questo  passo,  alzò 
essa  verso  il  padre  uno  sguardo  tra  atterrito  e  supplichevole, 
come  per  chiedergli  che  sospendesse,  ma  egli  proseguì  fran- 
camente: «che  è  risoluta  di  prendere  il  velo.» 

«Brava!  bene!»  esclamarono,  a  una  voce,  la  madre  e  il 
figlio,  e  l'uno  dopo  l'altra  abbracciaron  Gertrude;  la  quale 
ricevette  queste  accoglienze  con  lacrime,  che  furono  interpre- 
tate per  lacrime  di  consolazione.  Allora  il  principe  si  diffuse 
a  spiegar  ciò  che  farebbe  per  render  lieta  e  splendida  la 
sorte  della  figlia.  Parlò  delle  distinzioni  di  cui  goderebbe 
nel  monastero  e  nel  paese;  che,  là  sarebbe  come  una  princi- 
pessa, come  la  rappresentante  della  famiglia;  che,  appena 
l'età  l'avrebbe  permesso,  sarebbe  innalzata  alla  prima  di- 
gnità; e,  intanto,  non  sarebbe  soggetta  che  di  nome.  La 
principessa  e    il   principino  rinnovavano,    ogni   momento,   le 


CAPITOLO    X.  123 

-congratulazioni  e  gli  applausi.  Gertrude  era  come  dominata 
da  un  sogno. 

«Converrà  poi  fissare  il  giorno,  per  andare  a  Monza,  a 
far  la  richiesta  alla  badessa,»  disse  il  principe.  «Come  sarà 
contenta!  Vi  so  dire  che  tutto  il  monastero  saprà  valutar 
1'  onore  che  Gertrude  gli  fa.  Anzi  ....  perchè  non  ci  andia- 
mo oggi?     Gertrude  prenderà  volentieri  un  po' d'aria.» 

«Andiamo  pure,»  disse  la  principessa. 

«Vo  a  dar  gli  ordini,»  disse  il  principino. 

«Ma  ...  .»  proferì  sommessamente  Gertrude. 

«Piano,  piano,»  riprese  il  principe:  «lasciam  decidere 
a  lei:  forse  oggi  non  si  sente  abbastanza  disposta,  e  le  pia- 
cerebbe più  aspettar  fino  a  domani.  Dite:  volete  che  andia- 
mo oggi  o  domani?» 

«Domani,»  rispose,  con  voce  fiacca  Gertrude,  alla  quale 
pareva  ancora  di  far  qualche  cosa,  prendendo  un  po' di 
tempo. 

«Domani,»  disse  solennemente  il  principe:  «ha  stabilito 
che  si  vada  domar.i.  Intanto  io  vo  dal  vicario  delle  monache, 
a  fissare  un  giorno  per  l'esame.»  Detto  fatto,  il  principe 
uscì,  e  andò  veramente  (che  non  fu  piccola  degnazione)  dal 
detto  vicario;  e  concertarono  che  verrebbe  di  lì  a  due  giorni. 

In  tutto  il  resto  di  quella  giornata,  Gertrude  non  ebbe  un 
minuto  di  bene.  Avrebbe  desiderato  riposar  l' animo  da 
tante  commozioni,  lasciar,  per  dir  così,  chiarire  i  suoi  pen- 
sieri, render  conto  a  sé  stessa  di  ciò  che  aveva  fatto,  di  ciò 
che  le  rimaneva  da  fare,  sapere  ciò  che  volesse,  rallentare  un 
momento  quella  macchina  che,  appena  avviata,  andava  così 
precipitosamente;  ma  non  ci  fu  verso.  L'occupazioni  si  suc- 
cedevano senza  interruzione,  s' incastravano  1'  una  con  1'  altra. 
Subito  dopo  partito  il  principe,  fu  condotta  nel  gabinetto  della 
principessa,  per  essere,  sotto  la  sua  direzione,  pettinata  e  ri- 
vestita della  sua  propria  cameriera.  Non  era  ancor  terminato 
di  dar  l'ultima  mano,  che  furon  avvertite  ch'era  in  tavola. 
Gertrude  passò  in  mezzo  agi'  inchini  della  servitù,  che  accen- 
nava di  congratularsi  per  la  guarigione,  e  trovò  alcuni  parenti 
più  prossimi,  eh'  erano  stati  invitati  in  fretta,  per  farle  onore, 
-e  per  rallegrarsi  con  lei  de'  due  felici  avvenimenti ,  la  ricu- 
perata salute,  e  la  spiegata  vocazione. 

La  sposina,  (così  si  chiamavau  le  giovani  monacande,  e 
Gertrude,  al  suo  apparire,  fu  da  tutti  salutata  con  quel  nome), 
la  sposina  ebbe  da  dire  e  da  fare  a  rispondere  a'  compli- 
menti che  le  fioccavan  da  tutte  le  parti.  Sentiva  bene  che 
ognuna  delle  sue  risposte  era  come  un'  accettazione  e  una 
conferma;  ma  come  rispondere  diversamente?  Poco  dopo  al- 
zati da  tavola,  venne  l'ora  della  trottata.  Gertrude  entrò  in 
carrozza  con  la  madre,  e  con  due  zii  eh'  erano  stati  al  pran- 


124  I    PROMESSI    SPOSI. 

zo.  Dopo  un  solito  giro,  si  riuscì  alla  strada  Marina,  che 
allora  attraversava  lo  spazio  occupato  ora  dal  giardin  pubbli- 
co, ed  era  il  luogo  dove  i  signori  venivano  in  carrozza  a  ri- 
crearsi delle  fatiche  della  giornata.  Gli  -zii  parlarono  anche 
a  Gertrude,  come  portava  la  convenienza  in  quel  giorno:  e 
uno  di  loro,  il  qual  pareva  che,  più  dell'altro,  conoscesse 
ogni  persona,  ogni  carrozza,  ogni  livrea,  e  aveva  ogni  momento 
qualcosa  da  dire  del  signor  tale  e  della  signora  tal  altra,  si 
voltò  a  lei  tutt' a  un  tratto,  e  le  disse:  «ah  furbetta!  voi  date 
un  calcio  a  tutte  queste  corbellerie;  siete  una  dirittona  voi; 
piantate  negl'impicci  noi  poveri  mondani,  vi  ritirate  a  fare 
una  vita  beata,  e  andate  in  paradiso  in  carrozza.» 

Sul  tardi,  si  tornò  a  casa  ;  e  i  servitori,  scendendo  in  fret- 
ta con  le  torce,  avvertirono  che  molte  visite  stavano  aspettan- 
do. La  voce  era  corsa;  e  i  parenti  e  gli  amici  venivano  a 
fare  il  loro  dovere.  S'  entrò  nella  sala  della  conversazione. 
La  sposina  ne  fu  P  idolo ,  il  trastullo,  la  vittima.  Ognuno  la. 
voleva  per  sé:  chi  si  faceva  prometter  dolci,  chi  prometteva 
visite,  chi  parlava  della  madre  tale  sua  parente,  chi  della  ma- 
dre tal  altra  sua  conoscente,  chi  lodava  il  cielo  di  Monza,  chi 
discorreva,  con  gran  sapore,  della  gran  figura  ch'essa  avreb- 
be fatta  là.  Altri,  che  non  avevan  potuto  ancora  avvicinarsi 
a  Gertrude  così  assediata,  stavano  spiando  l'occasione  di 
farsi  innanzi,  e  sentivano  un  certo  rimorso,  fin  che  non  aves- 
sero fatto  il  loro  dovere.  A  poco  a  poco,  la  compagnia  s'  an- 
dò dileguando:  tutti  se  n'andarono  senza  rimorso,  e  Gertrude 
rimase  sola  co'  genitori  e  il  fratello. 

«Finalmente,»  disse  il  principe,  «ho  avuto  la  consola- 
zione di  veder  mia  figlia  trattata  da  par  sua.  Bisogna  però- 
confessare  che  anche  lei  s'è  portata  benone,  e  ha  fatto  ve- 
dere che  non  sarà  impicciata  a  far  la  prima  figura,  e  a  so- 
stenere il  decoro  della  famiglia.» 

Si  cenò  in  fretta,  per  ritirarsi  subito,  ed  esser  pronti  pre- 
sto la  mattina  seguente. 

Gertrude  contristata,  indispettita,  e  nello  stesso  tempo,  un 
po' gonfiata  da  tutti  que' complimenti,  si  rammentò  in  quel 
punto  ciò  che  aveva  patito  dalla  sua  carceriera;  e,  vedendo 
il  padre  così  disposto  a  compiacerla  in  tutto,  fuor  che  in  una 
cosa,  volle  approfittare  dell'  auge  in  cui  si  trovava,  per  acquie- 
tare almeno  una  delle  passioni  che  la  tormentavano.  Mostrò 
quindi  una  gran  ripugnanza  a  trovarsi  con  colei,  lagnandosi 
fortemente  delle  sue  maniere. 

«Come!»  disse  il  principe:  «v'ha  mancato  di  rispetta 
colei!  Domani,  domani,  le  laverò  il  capo  come  va.  Lasciate 
fare  a  me,  che  le  farò  conoscere  chi  è  lei,  e  chi  siete  voi. 
E  a  ogni  modo,  una  figlia  della  quale  io  son  contento,  non 
deve   vedersi  intorno  una  persona  che  le  dispiaccia.»     Così 


CAPITOLO    X.  125 

•detto,  fece  chiamare  un'altra  donna,  e  le  ordinò  di  servir 
Gertrude;  la  quale  intanto  masticando  e  assaporando  la  sod- 
disfazione che  aveva  ricevuta,  si  stupiva  di  trovarci  così  poco 
sugo,  in  paragone  del  desiderio  che  n'aveva  avuto.  Ciò  che, 
anche  suo  malgrado,  s'impossessava  di  tutto  il  suo  animo, 
era  il  sentimento  de' gran  progressi  che  aveva  fatti,  in  quella 
giornata,  sulla  strada  del  chiostro,  il  pensiero  che  a  ritirar- 
sene ora  ci  vorrebbe  molta  più  forza  e  risolutezza  di  quella 
che  sarebbe  bastata  pochi  giorni  prima,  e  che  pure  non  s'  era 
sentita  d'  avere. 

La  donna  che  andò  ad  accompagnarla  in  camera,  era  una 
■vecchia  di  casa,  stata  già  governante  del  principino,  che  ave- 
va ricevuto  appena  uscito  dalle  fasce,  e  tirato  su  fino  all'  ado- 
lescenza, e  nel  quale  aveva  riposte  tutte  le  sue  compiacenze, 
le  sue  speranze,  la  sua  gloria.  Era  essa  contenta  della  de- 
cisione fatta  in  quel  giorno,  come  d'una  sua  propria  fortuna; 
e  Gertrude  per  ultimo  divertimento,  dovette  succiarsi  le  con- 
gratulazioni, le  lodi,  i  consigli  della  vecchia,  e  sentir  parlare 
di  certe  sue  zie  e  prozie,  le  quali  s"  eran  trovate  ben  contente 
d'esser  monache,  perchè,  essendo  di  quella  casa,  avevan 
sempre  goduto  i  primi  onori,  avevan  sempre  saputo  tenere 
uno  zampino  di  fuori,  e,  dal  loro  parlatorio,  avevano  ottenuto 
cose  che  le  più  gran  dame,  nelle  loro  sale,  non  e' eran  po- 
tute arrivare.  Le  parlò  delle  visite  che  avrebbe  ricevute:  un 
giorno  poi,  verrebbe  il  signor  principino  con  la  sua  sposa,  la 
quale  doveva  esser  certamente  una  gran  signorona  ;  e  allora, 
non  solo  il  monastero,  ma  tutto  il  paese  sarebbe  in  moto.  La 
vecchia  aveva  parlato  mentre  spogliava  Gertrude,  quando  Ger- 
trude era  a  letto;  parlava  ancora,  che  Gertrude  dormiva.  La 
giovinezza  e  la  fatica  erano  state  più  forti  de' pensieri.  Il 
sonno  fu  affannoso,  torbido,  pieno  di  sogni  penosi,  ma  non  fu 
rotto  che  dalla  voce  strillante  della  vecchia,  che  venne  a  sve- 
gliarla, perchè  si  preparasse  per  la  gita  di  Monza. 

"Andiamo,  andiamo,  signora  sposina:  è  giorno  fatto;  e 
prima  che  sia  vestita  e  pettinata,  ci  vorrà  un'ora  almeno. 
La  signora  principessa  si  sta  vestendo;  e  l'hanno  svegliata 
quatti-'  ore  prima  del  solito.  Il  signor  principino  è  già  sceso 
alle  scuderie,  poi  è  tornato  su,  ed  è  ali  ordine  per  partire 
quando  si  sia.  Vispo  come  una  lepre,  quel  diavoletto;  ma! 
è  stato  così  fin  da  bambino;  e  io  posso  dirlo,  che  l'ho  por- 
tato in  collo.  Ma  quand' è  pronto,  non  bisogna  farlo  aspet- 
tare, perchè,  sebbene  sia  della  miglior  pasta  del  mondo,  allora 
s'impazientisce  e  strepita.  Poveretto!  bisogna  compatirlo:  è 
il  suo  naturale;  e  poi  questa  volta  avrebbe  anche  un  po' di 
ragione,  perchè  s'incomoda  per  lei  Guai  chi  lo  tocca  in 
que' momenti!  non  ha  riguardo  per  nessuno,  fuorché  per  il 
signor  principe.     Ma,  un  giorno,  il  signor  principe,  sarà  lui; 


126  I   PBOMESSI    SPOSI. 

più  tardi  che  sia  possibile,  però.  Lesta,  lesta,  signorina? 
Perchè  mi  guarda  così  incantata?  A  quest'ora  dovrebbe 
esser  fuor  della  cuccia.» 

Air  immagine  del  principino  impaziente,  tutti  gli  altri  pen- 
sieri che  s'  erano  affollati  alla  mente  risvegliata  di  Gertrude, 
si  levaron  subito,  come  uno  stormo  di  passere  air  apparir  del 
nibbio.  Ubbidì,  si  vestì  ìd  fretta,  si  lasciò  pettinare,  e  com- 
parve nella  sala,  dove  i  genitori  e  il  fratello  eran  radunati. 
Fu  fatta  sedere  sur  una  sedia  a  braccioli,  e  le  fu  portata  una 
chicchera  di  cioccolata:  il  che  a  que'  tempi,  era  quel  che  già 
presso  i  Romani  il  dare  le  veste  virili. 

Quando  vennero  a  avvertir  ch'era  attaccato,  il  principe 
tirò  la  figlia  in  disparte,  e  le  disse:  «orsù,  Gertrude,  ieri  vi 
siete  fatta  onore:  oggi  dovete  superar  voi  medesima.  Si  tratta 
di  fare  una  comparsa  solenne  nel  monastero  e  nel  paese  dove 
siete  destinata  a  far  la  prima  figura.  V  aspettano  ....  » 
È  inutile  dire  che  il  principe  aveva  spedito  un  avviso  alla  ba- 
dessa, il  giorno  avanti.  «T'aspettano,  e  tutti  gli  occhi  saranno 
sopra  di  voi.  Dignità  e  disinvoltura.  La  badessa  vi  doman- 
derà cosa  volete:  è  una  formalità.  Potete  rispondere  che  chie- 
dete d' essere  ammessa  a  vestir  l' abito  in  quel  monastero, 
dove  siete  stata  educata  così  amorevolmente,  dove  avete  rice- 
vute tante  finezze:  che  è  la  pura  verità.  Dite  quelle  poche 
parole,  con  un  fare  sciolto:  che  non  s'avesse  a  dire  che 
v'hanno  imboccata,  e  che  non  sapete  parlare  da  voi.  Quelle 
buone  madri  non  sanno  nulla  dell'accaduto:  è  un  segreto  che 
deve  restar  sepolto  nella  famiglia;  e  perciò  non  fate  una  fac- 
cia contrita  e  dubbiosa,  che  potesse  dar  qualche  sospetto. 
Fate  vedere  di  che  sangue  uscite:  manierosa,  modesta;  ma 
ricordatevi  che,  in  quel  luogo,  fuor  della  famiglia,  ci  sarà 
nessuno  sopra  di  voi.» 

Senza  aspettar  risposta,  il  principe  si  mossp;  Gertrude,  la 
principessa  e  il  principino  lo  seguirono;  scesero  tutti  le  scale, 
e  montarono  in  carrozza.  GÌ'  impicci  e  le  noie  del  mondo,  e 
la  vita  beata  del  chiostro,  principalmente  per  le  giovani  di 
sangue  nobilissimo,  furono  il  tema  della  conversazione,  du- 
rante il  tragitto.  Sul  finir  della  strada,  il  principe  rinnovò 
1"  istruzioni  alla  figlia,  e  le  ripetè  più  volte  la  formola  della 
risposta.  All'  entrare  in  Monza,  Gertrude  si  sentì  stringere  il 
cuore;  ma  la  sua  attenzione  fu  attirata  per  un  istante  da  non 
so  quali  signori  che,  fatta  fermar  la  carrozza,  recitarono  non 
so  qual  complimento.  Piipreso  il  cammino,  s'andò  quasi  di 
passo  al  monastero,  tra  gli  sguardi  de' curiosi,  che  accorre- 
vano da  tutte  le  parti  sulla  strada.  Al  fermarsi  della  carroz- 
za, davanti  a  quelle  mura,  davanti  a  quella  porta,  il  cuore  si 
strinse  ancor  più  a  Gertrude.  Si  smontò  tra  due  ale  di  po- 
polo, che  i  servitori  facevano  stare  indietro.    Tutti  quegli  oc- 


CAPITOLO    X.  127 

chi  addosso  alla  poveretta  P  obbligavano  a  studiar  continua- 
mente il  suo  contegno  :  ma  più  di  tutti  quelli  insieme,  la  te- 
nevano in  suggezione  i  due  del  padre,  a'  quali  essa,  quantun- 
que ne  avesse  così  gran  paura,  non  poteva  lasciar  di  rivol- 
gere i  suoi,  ogni  momento.  E  quegli  occhi  governavano  le 
sue  mosse  e  il  suo  volto,  come  per  mezzo  di  redini  invisibili. 
Attraversato  il  primo  cortile,  si  entrò  in  un  altro,  e  lì  si  vide 
la  porta  del  chiostro  interno,  spalancata  e  tutta  occupata  da 
monache.  Nella  prima  fila,  la  badessa  circondata  da  anziane; 
dietro  altre  monache  alla  rinfusa,  alcune  in  punta  di  piedi; 
in  ultimo  le  converse  ritte  sopra  panchetti.  Si  vedevan  pure 
qua  e  là  luccicare  a  mezz'  aria  alcuni  occhietti,  spuntar  qual- 
che visino  tra  le  tonache:  eran  le  più  destre,  e  le  più  corag- 
giose tra  l'educande,  che,  ficcandosi  e  penetrando  tra  monaca 
e  monaca,  eran  riuscite  a  farsi  un  po'  di  pertugio,  per  vedere 
anch'  esse  qualche  cosa.  Da  quella  calca  uscivano  acclama- 
zioni; si  vedevan  molte  braccia  dimenarsi,  iu  segno  d'acco- 
glienza e  di  gioia.  Giunsero  alla  porta;  Gertrude  si  trovò  a 
viso  a  viso  con  la  madre  badessa.  Dopo  i  primi  complimenti, 
questa,  con  una  maniera  tra  il  giulivo  e  il  solenne,  le  doman- 
dò cosa  desiderasse  in  quel  luogo,  dove  non  e'  era  chi  le  po- 
tesse negar  nulla. 

«Son  qui  ..'..»  cominciò  Gertrude;  ma,  al  punto  di  pro- 
ferir le  parole  che  dovevano  decider  quasi  irrevocabilmente 
del  suo  destino,  esitò  un  momento,  e  rimase  con  gli  occhi 
fissi  sulla  folla  che  le  stava  davanti.  Vide,  in  quel  momen- 
to ,  una  di  quelle  sue  note  compagne ,  che  la  guardava  con 
un'aria  di  compassione  e  di  malizia  insieme,  e  pareva  che 
dicesse:  ah!  la  c'è  cascata  la  brava.  Quella  vista  risveglian- 
do più  vivi  nell'animo  suo  tutti  gli  antichi  sentimenti,  le  re- 
stituì anche  un  po'  di  quel  poco  antico  coraggio  :  e  già  stava 
cercando  una  risposta  qualunque  diversa  da  quella  che  le 
era  stata  dettata;  quando,  alzato  lo  sguardo  alla  faccia  del 
padre,  quasi  per  esperimentar  le  sue  forze,  scorse  su  quella 
un'inquietudine  così  cupa,  un  impazienza  così  minaccevole, 
che,  risoluta  per  paura,  con  la  stessa  prontezza  che  avrebbe 
preso  la  fuga  dinanzi  un  oggetto  terribile,  proseguì  :  «  son  qui 
a  chiedere  d' esser  ammessa  a  vestir  P  abito  religioso ,  in 
questo  monastero,  dove  sono  stata  allevata  così  amorevol- 
mente.» La  badessa  rispose  subito,  che  le  dispiaceva  molto, 
in  una  tale  occasione,  che  le  regole  non  le  permettessero  di 
dare  immediatamente  una  risposta,  la  quale  doveva  venire 
dai  voti  comuni  delle  suore,  e  alla  quale  doveva  precedere 
la  licenza  de' superiori.  Che  però  Gertrude,  conoscendo  i 
sentimenti  che  s' avevan  per  lei  in  quel  luogo,  poteva  pre- 
veder con  certezza  qual  sarebbe  questa  risposta;  e  che  in- 
tanto nessuna  regola  proibiva  alla  badessa  e   alle   suore   di 


128  1    PROMESSI    SPOSI. 

manifestare  la  consolazione  che  sentivano  di  quella  richiesta. 
S' alzò  allora  un  frastono  confuso  di  congratulazioni  e  d'  ac- 
clamazioni. Vennero  subito  gran  guantiere  colme  di  dolci, 
che  furon  presentati,  prima  alla  sposina,  e  dopo  ai  parenti. 
Mentre  alcune  monache  facevano  a  rubarsela,  e  altre  com- 
plimentavan  la  madre,  altre  il  principino,  la  badessa  fece 
pregare  il  principe  che  volesse  venire  alla  grata  del  parla- 
torio, dove  l'attendeva.  Era  accompagnata  da  due  anziane; 
e  quando  lo  vide  comparire,  «signor  principe,»  disse:  «per 
ubbidire  alle  regole  ....  per  adempire  una  formalità  indi- 
spensabile, sebbene  in  questo  caso  ....  pure  devo  dirlo  .... 
che,  ogni  volta  che  una  figlia  chiede  d'essere  ammessa  a  ve- 
stir 1'  abito  ....  la  superiora,  quale  io  sono  indegnamente  .  .  . 
è  obbligata  d'  avvertire  i  genitori  ....  che  se,  per  caso  .... 
forzassero  la  volontà  della  figlia,  incorrerebbero  nella  scomu- 
nica.   Mi  scuserà  .  . ,  .» 

«Benissimo,  benissimo,  reverenda  madre.  Lodo  la  sua 
esattezza:  è  troppo  giusto  ....  Ma  lei  non  può  dubita- 
re   > 

«Oh!  pensi,  signor  principe,  ....  ho  parlato  per  obbligo 
preciso,  ....  del  resto  .  .  .  .» 

«Certo,  certo,  madre  badessa.» 

Barattate  queste  parole,  i  due  interlocutori  s'inchinarono 
vicendevolmente,  e  si  separarono,  come  se  a  tutt' e  due  pe- 
sasse di  rimaner  lì  testa  testa;  e  andarono  a  riunirsi  ciascuno 
alla  sua  compagnia,  l'uno  fuori,  l'altra  dentro  la  soglia 
claustrale. 

«Oh  via,»  disse  il  principe:  «Gertrude  potrà  presto  go- 
dersi a  suo  beli'  agio  la  compagnia  di  queste  madri.  Per  ora. 
le  abbiamo  incomodate  abbastanza.»  Così  detto,  fece  un  in- 
chino; la  famiglia  si  mosse  con  lui:  si  rinnovarono  i  compli- 
menti, e  si  partì. 

Gertrude,  nel  tornare,  non  aveva  troppo  voglia  di  discor- 
rere. Spaventata  del  passo  che  aveva  fatto,  vergognosa  della 
sua  dappocaggine,  indispettita  contro  gli  altri  e  contro  sé 
stessa,  faceva  tristamente  il  conto  dell'occasioni,  che  le  ri- 
manevano ancora  di  dir  di  no;  e  prometteva  debolmente  e 
confusamente  a  sé  stessa  che,  in  questa,  o  in  quella,  o  in 
quell'altra,  sarebbe  più  destra  e  più  forte.  Con  tutti  questi 
pensieri  non  le  era  però  cessato  affatto  il  terrore  di  quel  ci- 
piglio del  padre;  talché,  quando,  con  un'occhiata  datagli  alla 
sfuggita,  potè  chiarirsi  che  sul  volto  di  lui  non  c'era  più  al- 
cun vestigio  di  collera,  quando  anzi  vide  che  si  mostrava  sod- 
disfattissimo di  lei,  le  parve  una  bella  cosa,  e  fu  per  un  istan- 
te, tutta  contenta. 

Appena  arrivati,  bisognò  rivestirsi  e  rilisciarsi;  poi  il  desi- 


CAPITOLO   X.  129 

nare,  poi  alcune  visite,  poi  la  trottata,  poi  la  conversazione, 
poi  la  cena.  Sulla  fine  di  questa,  il  principe  mise  in  campo 
un  altro  affare,  la  scelta  della  madrina.  Così  si  chiamava 
una  dama,  la  quale,  pregata  da' genitori,  diventava  custode 
e  scorta  della  giovane  monacanda,  nel  tempo  tra  la  richiesta 
e  l'entratura  nel  monastero;  tempo  che  veniva  speso  in  visi- 
tar le  chiese,  i  palazzi  pubblici,  le  conversazioni,  le  ville,  i 
santuari:  tutte  le  cose  insomma  più  notabili  della  città  e 
de' contorni;  affinchè  le  giovani,  prima  di  proferire  un  voto 
irrevocabile,  vedessero  bene  a  cosa  davano  un  calcio,  e  Bi- 
sognerà pensare  a  una  madrina,»  disse  il  principe:  «perchè 
domani  verrà  il  vicario  delle  monache  per  la  formalità  del- 
l'esame,  e  subito  dopo,  Gertrude  verrà  proposta  in  capitolo, 
per  esser  accettata  dalle  madri.»  Xel  dir  questo,  s'  era  vol- 
tato verso  la  principessa;  e  questa  credendo  che  fosse  un  in- 
vito a  proporre,  cominciava:  «ci  sarebbe »  Ma  il  prin- 
cipe interruppe:  «Xo,  no,  signora  principessa:  la  madrina 
deve  prima  di  tutto  piacere  alla  sposina;  e  benché  l'uso 
universale  dia  la  scelta  ai  parenti,  pure  Gertrude  ha  tanto 
giudizio,  tanta  assennatezza,  che  merita  bene  che  si  faccia 
un'  eccezione  per  lei.  »  E  qui,  voltandosi  a  Gertrude,  in  atto 
di  chi  annunzia  una  grazia  singolare,  continuò  :  «ognuna  delle 
dame  che  si  son  trovate  questa  sera  alla  conversazione,  ha 
quel  che  si  richiede  per  esser  madrina  d'  una  figlia  della  no- 
stra casa;  non  ce  n' è  nessuna,  crederei,  che  non  sia  per  te- 
nersi onorata  della  preferenza:  scegliete  voi.» 

Gertrude  vedeva  bene  che  far  questa  scelta  era  dare  un 
nuovo  consenso;  ma  la  proposta  veniva  fatta  con  tanto  ap- 
parato, che  il  rifiuto,  per  quanto  fosse  umile,  poteva  parer 
disprezzo,  o  almeno  capriccio  e  leziosaggine.  Fece  dunque 
anche  quel  passo;  e  nominò  la  dama  che,  in  quella  sera,  le  era 
andata  più  a  genio:  quella  cioè  che  le  aveva  fatto  più  carez- 
ze, che  l'aveva  più  lodata,  che  l'aveva  trattata  con  quelle 
maniere  famigliari,  affettuose  e  premurose,  che,  ne' primi  mo- 
menti d'  una  conoscenza,  contraffanno  un'  antica  amicizia 
<t Ottima  scelta.»  disse  il  principe,  che  desiderava  e  aspettava 
appunto  quella.  Fosse  arte  o  caso,  era  avvenuto  come  quando 
il  giocator  di  bussolotti  facendovi  scorrere  davanti  agli  occni 
le  carte  d'un  mazzo,  vi  dice  che  ne  pensiate  una,  e  lui  poi 
ve  la  indovinerà;  ma  le  ha  fatte  scorrere  in  maniera  che  ne 
vediate  una  sola.  Quella  dama  era  stata  tanto  intorno  a 
Gertrude  tutta  la  sera,  l'aveva  tanto  occupata  di  sé,  che  a 
questa  sarebbe  bisognato  uno  sforzo  di  fantasia  per  pensarne 
un'altra.  Tante  premure  poi  non  eran  senza  motivo  :  la  dama 
aveva,  da  molto  tempo,  messo  gli  occhi  addosso  al  principino, 
per  farlo  suo  genero:  quindi  riguardava  le  cose  di  quella  casa 
come  sue  proprie;  ed  era  ben  naturale  che  s' interessasse  per 

Manzoni.  9 


130  I   PPwOMESSI   SPOSI. 

quella  cara  Gertrude ,  niente  meno  de'  suoi  parenti  più 
prossimi. 

Il  giorno  dopo,  Gertrude  si  svegliò  col  pensiero  dell'  esa- 
minatore che  doveva  venire  ;  e  mentre  stava  ruminando  se  po- 
tesse cogliere  quell'  occasione  così  decisiva,  per  tornare  in- 
dietro, e  in  qual  maniera,  il  principe  la  fece  chiamare.  «  Orsù, 
figliuola,»  le  disse:  «finora  vi  siete  portata  egregiamente: 
oggi  si  tratta  di  coronar  V  opera.  Tutto  quel  che  s' è  fatto 
finora,  s'è  fatto  di  vostro  consenso.  Se  in  questo  tempo  vi 
fosse  nato  qualche  dubbio,  qualche  pentimentuccio,  grilli  di 
gioventù,  avreste  dovuto  spiegarvi;  ma  al  punto  a  cui  sono 
ora  le  cose,  non  è  più  tempo  di  far  ragazzate.  Quell'  uomo 
dabbene  che  deve  venire  stamattina,  vi  farà  cento  domande 
sulla  vostra  vocazione:  e  se  vi  fate  monaca  di  vostra  volontà, 
e  il  perchè  e  il  per  come,  e  che  so  io?  Se  voi  titubate  nel 
rispondere,  vi  terrà  sulla  corda  chi  sa  quanto.  Sarebbe 
un'uggia,  un  tormento  per  voi;  ma  ne  potrebbe  anche  venire 
un  altro  guaio  più  serio.  Dopo  tutte  le  dimostrazioni  pubbliche 
che  si  son  fatte,  ogni  più  piccola  esitazione  che  si  vedesse  in 
voi,  metterebbe  a  repentaglio  il  mio  onore,  potrebbe  far  cre- 
dere eh'  io  avessi  presa  una  vostra  leggerezza  per  una  ferma 

risoluzione,  che  avessi  precipitata  la  cosa,  che  avessi che 

so  io?  In  questo  caso,  mi  troverei  nella  necessità  di  sce- 
gliere tra  due  partiti  dolorosi:  o  lasciar  che  il  mondo  formi 
un  tristo  concetto  della  mia  condotta  partito  che  non  può 
stare  assolutamente  con  ciò  che  devo  a  me  stesso.  0  svelare 
il  vero  motivo  della  vostra  risoluzione  e  .  .  .  .  »  Ma  qui,  ve- 
dendo che  Gertrude  era  diventata  scarlatta,  che  le  si  gonfia- 
van  gli  occhi,  e  il  viso  si  contraeva,  come  le  foglie  d'un  fiore 
neir  afa  che  precede  la  burrasca,  troncò  quel  discorso,  e,  con 
aria  serena,  riprese:  «via,  via,  tutto  dipende  da  voi,  dal  vo- 
stro giudizio.  So  che  n'  avete  molto,  e  non  siete  ragazza  da 
guastar  sulla  fine  una  cosa  fatta  bene  ;  ma  io  doveva  preve- 
der tutti  i  casi.  Xon  se  ne  parli  più;  e  restiam  d'  accordo 
che  voi  risponderete  con  franchezza,  in  maniera  di  non  far 
nascer  dubbi  nella  testa  di  quell'uomo  dabbene.  Così  anche 
voi  ne  sarete  fuori  più  presto.»  E  qui,  dopo  aver  suggerita 
qualche  risposta  all'  interrogazioni  più  probabili,  entrò  nel  so- 
lito discorso  delle  dolcezze  e  de'  godimenti  eh'  eran  preparati 
a  Gertrude  nel  monastero;  e  la  trattenne  in  quello,  fin  che 
venne  un  servitore  ad  annunziare  il  vicario.  Il  principe  rin- 
novò in  fretta  gli  avvertimenti  più  importanti,  e  lasciò  la 
figlia  sola  con  lui,  com'  era  prescritto. 

L'  uomo  dabbene  veniva  con  un  po'  d' opinione  già  fatta 
che  Gertrude  avesse  una  gran  vocazione  al  chiostro;  perchè 
così  gli  aveva  detto  il  principe,  quando  era  stato  a  invitarlo. 
È  vero  che  il   buon  prete,  il   quale  sapeva  che  la  diffidenza- 


CAPITOLO   X.  131 

era  una  delle  virtù  più  necessarie  nel  suo  uffizio,  aveva  per 
massima  d'andar  adagio  nel  credere  a  simili  proteste,  e  di 
stare  in  guardia  contro  le  preoccupazioni;  ma  ben  di  rado 
avviene  che  le  parole  affermative  e  sicure  d'  una  persona 
autorevole,  in  qualsivoglia  genere,  non  tingano  del  loro  colore 
la  mente  di  chi  le  ascolta. 

Dopo  i  primi  complimenti,  «  signorina,  o  le  disse,  ciò  vengo 
a  far  la  parte  del  diavolo;  vengo  a  mettere  in  dubbio  ciò 
che,  nella  sua  supplica,  lei  ha  dato  per  certo;  vengo  a  met- 
terle davanti  agli  occhi  le  difficoltà,  e  ad  accertarmi  se  le  ha 
ben  considerate.  Si  contenti  eh1  io  le  faccia  qualche  interro- 
gazione.» 

«Dica  pure,»  rispose  Gertrude. 

Il  buon  prete  cominciò  allora  a  interrogarla,  nella  forma 
prescritta  dalle  regole,  e  Sente  lei  in  cuor  suo  una  libera, 
spontanea  risoluzione  di  farsi  monaca?  Non  sono  state  ado- 
perate minacce,  o  lusinghe?  Non  s'è  fatto  uso  di  nessuna 
autorità,  per  indurla  a  questo?  Parli  senza  riguardi,  e  con 
sincerità,  a  un  uomo  il  cui  dovere  è  di  conoscere  la  sua  vera 
volontà,  per  impedire  che  non  le  venga  usata  violenza  in  nes- 
sun modo. 

La  vera  risposta  a  una  tale  domanda  s' affacciò  subito 
alla  mente  di  Gertrude,  con  un'  evidenza  terribile.  Per  dare 
quella  risposta  bisognava  venire  a  una  spiegazione,  dire  di 
che  era  stata  minacciata,  raccontare  una  storia  ....  L' in- 
felice rifuggì  spaventata  da  questa  idea;  cercò  in  fretta  un' 
altra  risposta;  ne  trovò  una  sola  che  potesse  liberarla  presto 
e  sicuramente  da  quel  supplizio,  la  più  contraria  al  vero. 
«Mi  fo  monaca,»  disse  nascondendo  il  suo  turbamento,  «mi 
fo  monaca,  di  mio  genio,  liberamente.» 

«Da  quanto  tempo  le  è  nato  codesto  pensiero?»  domandò 
ancora  il  buon  prete. 

«L'ho  sempre  avuto,»  rispose  Gertrude,  divenuta,  dopo 
quel  primo  passo,  più  franca  a  mentire  contro  sé  stessa. 

«Ma  quale  è  il  motivo  principale  che  la  induce  a  farsi 
monaca?» 

Il  buon  prete  non  sapeva  che  terribile  tasto  toccasse;  e 
Gertrude  si  fece  una  gran  forza  per  non  lasciar  trasparire 
sul  viso  1'  effetto  che  quelle  parole  le  producevano  nell'  animo. 
«Il  motivo,»  disse,  «è  di  servire  a  Dio  e  di  fuggire  i  pericoli 
del  mondo,  » 

«Isoii  sarebbe  mai  qualche  disgusto?  qualche  ....  mi 
scusi  ....  capriccio?  Alle  volte,  una  cagione  momentanea 
può  fare  un'  impressione  che  par  che  deva  durar  sempre; 
e  quando  poi  la  cagione  cessa,  e  1'  animo  si  muta,  al- 
lora .  .  .  .» 


132  I   PROMESSI   SPOSI. 

No.  oo,«  rispose  precipitosamente  Gertrude;  da  cagione 
è  quella  che  le  ho  detto.» 

Il  vicario,  più  per  adempire  interamente  il  suo  obbligo, 
che  per  la  persuasione  che  ce  ne  fosse  bisogno,  insistette  eoa 
le  domande;  ma  Gertrude  era  determinata  d'ingannarlo. 
Oltre  il  ribrezzo  che  le  cagionava  il  pensiero  di  render  con- 
sapevole della  sua  debolezza  quel  grave  e  dabben  prete,  che 
pareva  così  lontano  dal  sospettar  tal  cosa  di  lei;  la  poveretta 
pensava  poi  anche  eh'  egli  poteva  bene  impedire  che  si  fa- 
cesse monaca;  ma  lì  finiva  la  sua  autorità  sopra  di  lei,  e  la 
sua  protezione.  Partito  che  fosse,  essa  rimarrebbe  sola  col 
principe.  E  qualunque  cosa  avesse  poi  a  patire  in  quella 
casa,  il  buon  prete  non  n'avrebbe  saputo  nulla,  o  sapendolo, 
con  tutta  la  sua  buona  intenzione,  non  avrebbe  potuto  far  al- 
tro che  aver  compassione  di  lei,  quella  compassione  tranquilla 
e  misurata,  che,  in  generale,  s'accorda,  come  per  cortesia, 
a  chi  abbia  dato  cagione  o  pretesto  al  male  che  gli  fanno. 
L'  esaminatore  fu  prima  stanco  d' interrogare ,  che  la  sventu- 
rata di  mentire:  e,  sentendo  quelle  risposte  sempre  conformi. 
e  non  avendo  alcun  motivo  di  dubitare  della  loro  schiettezza, 
mutò  finalmente  linguaggio;  si  rallegrò  con  lei,  le  chiese,  in 
certo  modo,  scusa  d' aver  tardato  tanto  a  far  questo  suo  do- 
vere; aggiunse  ciò  che  credeva  più  atto  a  confermarla  nel 
buon  proposito;  e  si  licenziò. 

Attraversando  le  sale  per  uscire,  s'abbattè  nel  principe, 
il  quale  pareva  che  passasse  di  là  a  caso;  e  con  lui  pure  si 
congratulò  delle  buone  disposizioni  in  cui  aveva  trovata  la 
sua  figliuola.  Il  principe  era  stato  fino  allora  in  una  sospen- 
sione molto  penosa:  a  quella  notizia,  respirò,  e  dimenticando  la 
sua  gravità  consueta,  andò  quasi  di  corsa  da  Gertrude,  la  ri- 
colmò di  lodi,  di  carezze  e  di  promesse,  con  un  giubilo  cor- 
diale, con  una  tenerezza  in  gran  parte  sincera;  così  fatto  è 
questo  guazzabuglio  del  cuore  umano. 

Noi  non  seguiremo  Gertrude  in  quel  giro  continuato  di 
spettacoli  e  di  divertimenti.  E  neppure  descriveremo,  in  par- 
ticolare e  per  ordine,  i  sentimenti  dell'animo  suo  in  tutto 
quel  tempo:  sarebbe  una  storia  di  dolori  e  di  fluttuazioni, 
troppo  monotona,  e  troppo  somigliante  alle  cose  già  dette. 
L'amenità  de' luoghi,  la  varietà  degli  oggetti,  quello  svago 
che  pur  trovava  nello  scorrere  in  qua  e  in  là  all'aria  aperta, 
le  rendevan  più  odiosa  l' idea  del  luogo  dove  alla  fine  si 
smonterebbe  per  l'ultima  volta,  per  sempre.  Più  pungenti 
ancora  eran  l' impressioni  che  riceveva  nelle  conversazioni  e 
nelle  feste.  La  vista  delle  spose  alle  quali  si  dava  questo 
titolo  nel  senso  più  ovvio  e  più  usitato,  le  cagionava  un'in- 
vidia, un  rodimento  intollerabile;  e  talvolta  l'aspetto  di  qual- 
che altro  personaggio  le  faceva  parere  che,  nel  sentirsi  dare 


CAPITOLO  X.  133 

quel  titolo,  dovesse  trovarsi  il  colmo  d'  ogni  felicità.  Talvolta 
la  pompa  de' palazzi,  lo  splendore  degli  addobbi,  il  brulichìo 
o  il  fracasso  giulivo  delle  feste,  le  comunicavano  un'ebbrezza, 
un  ardor  tale  di  viver  lieto ,  che  prometteva  a  sé  stessa  di 
disdirsi,  di  soffrir  tutto,  piuttosto  che  tornare  all'  ombra  fredda 
e  morta  del  chiostro.  Ma  tutte  quelle  risoluzioni  sfumavano 
alla  considerazione  più  riposata  delle  difficoltà,  al  solo  fissar 
gli  occhi  in  viso  al  principe.  Talvolta  anche,  il  pensiero  di 
dover  abbandonare  per  sempre  que'  godimenti,  gliene  rendeva 
amaro  e  penoso  quel  piccol  saggio:  come  l'infermo  assetato 
guarda  con  rabbia,  e  quasi  respinge  con  dispetto  il  cucchiaio 
d'  acqua  che  il  medico  gli  concede  a  fatica.  Intanto  il  vicario 
delle  monache  ebbe  rilasciata  Y  attestazione  necessaria,  e  venne 
la  licenza  di  tenere  il  capitolo  per  Y  accettazione  di  Ger- 
trude. Il  capitolo  si  tenne;  concorsero,  com'era  da  aspet- 
tarsi, i  due  terzi  de' voti  segreti  eh' eran  richiesti  da' regola- 
menti; e  Gertrude  fu  accettata.  Lei  medesima,  stanca  di  quel 
lungo  strazio,  chiese  allora  d'entrare  più  presto  che  fosse 
possibile,  nel  monastero.  Non  c'era  sicuramente  chi  volesse 
frenare  una  tale  impazienza.  Fu  dunque  fatta  la  sua  volontà; 
e,  condotta  pomposamente  al  monastero,  vestì  l'abito.  Dopo 
dodici  mesi  di  noviziato,  pieni  di  pentimenti,  e  di  ripenti- 
menti, si  trovò  al  momento  della  professione,  al  momento  cioè 
in  cui  conveniva,  o  dire  un  no  più  strano,  più  inaspettato, 
più  scandaloso  che  mai,  o  ripetere  un  sì  tante  volte  detto; 
lo  ripetè;   e  fu  monaca  per  sempre. 

È  una  delle  facoltà  singolari  e  incomunicabili  della  reli- 
gione cristiana,  il  poter  indirizzare  e  consolare  chiunque,  in 
qualsivoglia  congiuntura,  a  qualsivoglia  termine,  ricorra  ad 
essa.  Se  al  passato  e*  è  rimedio,  essa  lo  prescrive,  lo  som- 
ministra, dà  lume  e  vigore  per  metterlo  in' opera,  a  qualun- 
que costo;  se  non  e'  è,  essa  dà  il  modo  di  far  realmente  e  in 
effetto,  ciò  che  si  dice  in  proverbio,  di  necessità  virtù.  In- 
segna a  continuare  con  sapienza  ciò  eh'  è  stato  intrapreso  per 
leggerezza;  piega  l'animo  ad  abbracciar  con  propensione  ciò 
che  è  stato  imposto  dalla  prepotenza,  e  dà  a  una  scelta  che 
fu  temeraria,  ma  che  è  irrevocabile,  tutta  la  santità,  tutta  la 
saviezza,^  diciamolo  pur  francamente,  tutte  le  gioie  della  voca- 
zione. È  una  strada  così  fatta  che,  da  qualunque  laberinto, 
da  qualunque  precipizio,  l'uomo  capiti  ad  essa,  e  vi  faccia 
un  passo,  può  d'allora  in  poi  camminare  con  sicurezza  e  di 
buona  voglia,  e  arrivar  lietamente  a  un  lieto  fine.  Con  que- 
sto mezzo,  Gertrude  avrebbe  potuto  essere  una  monaca  santa 
e  contenta,  comunque  la  fosse  divenuta.  Ma  l' infelice  si  di- 
batteva in  vece  sotto  il  giogo,  e  così  ne  sentiva  più  forte  il 
peso  e  le  scosse.  Un  rammarico  incessante  della  libertà  per- 
duta, 1' abborrimento   dello  stato  presente,  un  vagar  faticoso 


134  I    PROMESSI    SPOSI. 

dietro  a  desideri  che  non  sarebbero  mai  soddisfatti,  tali  erano 
le  principali  occupazioni  dell'  animo  suo.  Rimasticava  quel- 
l' amaro  passato,  ricomponeva  nella  memoria  tutte  le  circo- 
stanze per  le  quali  si  trovava  lì;  e  disfaceva  mille  volte  inu- 
tilmente col  pensiero  ciò  che  aveva  fatto  con  l'opera;  accu- 
sava sé  di  dappocaggine,  altri  di  tirannia  e  di  perfidia;  e  si 
rodeva.  Idolatrava  e  piangeva  insieme  la  sua  bellezza,  de- 
plorava una  gioventù  destinata  a  struggersi  in  un  lento  mar- 
tirio, e  invidiava  in  certi  momenti,  qualunque  donna,  in  qua- 
lunque condizione,  con  qualunque  coscienza,  potesse  libera- 
mente godersi  nel  mondo  que'  doni. 

La  vista  di  quelle  monache  che  avevan  tenuto  di  mano  a 
tirarla  là  dentro ,  le  era  odiosa.  Si  ricordava  1'  arti  e  i  rag- 
giri che  avevan  messi  in  opera,  e  le  pagava  con  tante  sgar- 
batezze, con  tanti  dispetti,  e  anche  con  aperti  rinfacciamenti. 
A  quelle  conveniva  le  più  volte  mandar  giù  e  tacere:  perchè 
il  principe  aveva  ben  voluto  tiranneggiar  la  figlia  quanto  era 
necessario  per  ispingerla  al  chiostro;  ma  ottenuto  l'intento, 
non  avrebbe  così  facilmente  sofferto  che  altri  pretendesse 
d'aver  ragione  contro  il  suo  sangue:  e  ogni  po' di  rumore 
che  avesser  fatto,  poteva  esser  cagione  di  far  loro  perdere 
quella  gran  protezione,  o  cambiar  per  avventura  il  protettore 
in  nemico.  Pare  che  Gertrude  avrebbe  dovuto  sentire  una 
certa  propensione  per  l'altre  suore,  che  non  avevano  avuto 
parte  in  quegl' intrighi ,  e  che,  senza  averla  desiderata  per 
compagna,  l'amavano  come  tale;  e  pie,  occupate  e  ilari,  le 
mostravano  col  loro  esempio  come  anche  là  dentro  si  potesse 
non  solo  vivere,  ma  starci  bene.  Ma  queste  pure  le  erano 
odiose,  per  un  alto  verso.  La  loro  aria  di  pietà  e  di  conten- 
tezza le  riusciva  come  un  rimprovero  della  sua  inquietudine, 
e  della  sua  condotta  bisbetica;  e  non  lasciava  sfuggire  occa- 
sione di  deriderle  dietro  le  spalle,  come  pinzochere,  e  di  mor- 
derle come  ipocrite.  Forse  sarebbe  stata  meno  avversa  ad 
esse,  se  avesse  saputo  o  indovinato  che  le  poche  palle  nere, 
trovate  nel  bossolo  che  decise  della  sua  accettazione,  e'  erano 
appunto  state  messe  da  quelle. 

Qualche  consolazione  le  pareva  talvolta  di  trovar  nel  co- 
mandare, nell' esser  corteggiata  in  monastero,  nel  ricever  vi- 
site di  complimento  da  persone  di  fuori,  nello  spuntar  qual- 
che impegno,  nello  spendere  la  sua  protezione,  nel  sentirsi 
chiamar  la  signora:  ma  quali  consolazioni!  Il  cuore,  trovan- 
dosene così  poco  appagato,  avrebbe  voluto  di  quando  in  quan- 
do aggiungervi,  e  goder  con  esse  le  consolazioni  della  reli- 
gione; ma  queste  non  vengono  se  non  a  chi  trascura  quel- 
1' altre:  come  il  naufrago,  se  vuole  afferrar  la  tavola  che  può 
condurlo  in  salvo   sulla  riva,   deve  pure   allargare  il  pugno, 


CAPITOLO   X.  135 

«   abbandonar    V  alghe,    che    aveva    prese,    per    una   rabbia 
■d' istinto. 

Poco  dopo  la  professione,  Gertrude  era  stata  fatta  maestra 
dell'educande;  ora  pensate  come  dovevano  stare  quelle  gio- 
vinette sotto  una  tal  disciplina.  Le  sue  antiche  confidenti 
eran  tutte  uscite;  ma  lei  serbava  vive  tutte  le  passioni  di 
quel  tempo;  e,  in  un  modo  o  in  un  altro,  l'allieve  dovevan 
portarne  il  peso.  Quando  le  veniva  in  mente  che  molte  di 
loro  eran  destinate  a  vivere  in  quel  mondo  dal  quale  era 
esclusa  per  sempre,  provava  contro  quelle  poverine  un  astio, 
un  desiderio  quasi  di  vendetta;  e  le  teneva  sotto,  le  bistrat- 
tava, faceva  loro  scontare  anticipatamente  i  piaceri  che  avreb- 
ber  goduti  un  giorno.  Chi  avesse  sentito,  in  que' momenti, 
con  che  sdegno  magistrale  le  gridava,  per  ogni  piccola  scap 
patella,  l'avrebbe  creduta  una  donna  d'una  spiritualità  sai 
valica  e  indiscreta.  In  altri  momenti,  lo  stesso  orrore  per  i 
chiostro,  per  la  regola,  per  1'  ubbidienza,  scoppiava  in  accessi 
d'umore  tutto  opposto.  Allora,  non  solo  sopportava  la  sva 
gatezza  clamorosa  delle  sue  allieve,  ma  l'eccitava;  si  mi 
schiava  ne' loro  giochi,  e  li  rendeva  più  sregolati;  entrava  a 
parte  de' loro  discorsi,  e  li  spingeva  più  in  là  dell'intenzioni 
con  le  quali  esse  gli  avevano  incominciati.  Se  qualcheduna 
diceva  una  parola  sul  cicalio  della  madre  badessa,  la  maestra 
lo  imitava  lungamente,  e  ne  faceva  una  scena  da  commedia; 
contraffaceva  il  volto  d'una  monaca,  l'andatura  d'un' altra: 
rideva  allora  sgangheratamente;  ma  eran  risa  che  non  la  la- 
sciavano più  allegra  di  prima.  Così  era  vissuta  alcuni  anni 
non  avendo  comodo,  né  occasione  di  far  di  più;  quando  la 
sua  disgrazia  volle  che  un'  occasione  si  presentasse. 

Tra  1'  altre  distinzioni  e  privilegi  che  le  erano  stati  con- 
cessi, per  compensarla  di  non  poter  esser  badessa,  c'era 
anche  quello  di  stare  in  un  quartiere  a  parte.  Quel  lato  del 
monastero  era  contiguo  a  una  casa  abitata  da  un  giovane, 
scellerato  di  professione,  uno  de' tanti,  che  in  que' tempi,  e 
•co' loro  sgherri,  e  con  l'alleanza  d'altri  scellerati,  potevano, 
fino  a  un  certo  segno,  ridersi  della  forza  pubblica  e  delle 
leggi.  Il  nostro  manoscritto  lo  nomina  Egidio,  senza  parlar 
del  casato.  Costui  da  una  sua  finestrina  che  dominava  un 
cortiletto  di  quel  quartiere,  avendo  veduta  Gertrude  qualche 
volta  passare  o  girandolar  lì  per  ozio,  allettato  anzi  che  atter- 
rito dai  pericoli  e  dall'empietà  dell'impresa,  un  giorno  osò 
rivolgerle  il  discorso.    La  sventurata  rispose. 

In  que'  primi  momenti,  provò  una  contentezza,  non  schietta 
al  certo,  ma  viva.  Nel  vóto  uggioso  dell'  animo  suo  s'  era 
venuta  a  infondere  un'occupazione  forte,  continua  e,  direi 
quasi,  una  vita  prepotente;  ma  quella  contentezza  era  simile 
alla  bevanda  ristorativa  che  la  crudeltà  ingegnosa  degli  anti- 


136  I  PB0MESSI    SPOSI. 

chi  mesceva  al  condannato,  per  dargli  forza  a  sostenere  i  tor- 
menti. Si  videro,  nello  stesso  tempo,  di  gran  novità  in  tutta 
la  sua  condotta:  divenne,  tutt' a  un  tratto,  più  regolare,  più 
tranquilla,  smesse  gli  scherni  e  il  brontolio,  si  mostrò  anzi 
carezzevole  e  manierosa,  dimodoché  le  suore  si  rallegravano 
a  vicenda  del  cambiamento  felice  :  lontane  com'  erano  dal- 
l'immaginarne  il  vero  motivo,  e  dal  comprendere  che  quella 
nuova  virtù  non  era  altro  che  ipocrisia  aggiunta  all'  antiche 
magagne.  Quell'  apparenza  però,  quella,  per  dir  così,  imbian- 
catura esteriore,  non  durò  gran  tempo,  almeno  con  quella 
continuità  e  uguaglianza:  ben  presto  tornarono  in  campo  i 
soliti  dispetti  e  i  soliti  capricci,  tornarono  a  farsi  sentire  l' im- 
precazioni e  gli  scherni  contro  la  prigione  claustrale,  e  tal- 
volta espressi  in  un  linguaggio  insolito  in  quel  luogo,  e  anche 
in  quella  bocca.  Però,  ad  ognuna  di  queste  scappate  veniva 
dietro  un  pentimento,  una  gran  cura  di  farle  dimenticare,  a 
forza  di  moine  e  di  buone  parole.  Le  suore  sopportavano 
alla  meglio  tutti  questi  alt'  e  bassi  e  gli  attribuivano  all'  in- 
dole bisbetica  e  leggiera  della  signora. 

Per  qualche  tempo,  non  parve  che  nessuna  pensasse  più 
in  là;  ma  un  giorno  che  la  signora,  venuta  a  parole  con  una 
conversa,  per  non  so  che  pettegolezzo,  si  lasciò  andare  a  mal- 
trattarla fuor  di  modo,  e  non  la  finiva  più,  la  conversa,  dopo 
aver  sofferto,  ed  essersi  morse  le  labbra  un  pezzo,  scappatale 
finalmente  la  pazienza,  buttò  là  una  parola,  che  lei  sapeva 
qualche  cosa,  e  che,  a  tempo  e  luogo,  avrebbe  parlato.  La 
quel  momento  in  poi  la  signora  non  ebbe  più  pace.  Non 
passò  però  molto  tempo  che  la  conversa  fu  aspettata  in  vano, 
una  mattina,  a' suoi  uffizi  consueti:  si  va  a  veder  nella  sua 
cella,  e  non  si  trova:  è  chiamata  ad  alta  voce;  non  risponde: 
cerca  di  qua,  cerca  di  là,  gira  e  rigira,  dalla  cima  al  fondo; 
non  e'  è  in  nessun  luogo.  E  chi  sa  quali  congetture  si  sareb- 
ber  fatte,  se,  appunto  nel  cercare,  non  si  fosse  scoperta  una 
buca  nel  muro  dell'orto;  la  qual  cosa  fece  pensare  a  tutte, 
che  fosse  sfrattata  di  là.  Si  fecero  gran  ricerche  in  Monza 
e  ne'  contorni,  e  principalmente  a  Mada,  di  dov'era  quella 
conversa:  si  scrisse  in  varie  parti:  non  se  n'  ebbe  mai  la  più 
piccola  notizia.  Forse  se  ne  sarebbe  potuto  saper  di  più,  se, 
invece  di  cercar  lontano,  si  fosse  scavato  vicino.  Dopo  molte 
maraviglie,  perchè  nessuno  l'avrebbe  creduta  capace  di  ciò, 
e  dopo  molti  discorsi,  si  concluse  che  doveva  essere  andata 
lontano  lontano.  E  perchè  scappò  detto  a  una  suora:  «s'è  ri- 
fugiata in  Olanda  di  sicuro,»  si  disse  subito,  e  si  ritenne 
per  un  pezzo  nel  monastero  e  fuori,  che  si  fosse  rifugiata  in 
Olanda.  Non  pare  però  che  la  signora  fosse  di  questo  pa- 
rere. Non  già  che  mostrasse  di  non  credere,  o  combattesse 
l'opinion  comune,  con  sue  ragioni  particolari:    se  ne  aveva, 


CAPIIOLO  IL  137 

certo,  ragioni  non  furono  mai  così  ben  dissimulate:  né  c'era 
cosa  da  cui  s"  astenesse  più  volontieri  che  da  rimestar  quella 
storia,  cosa  di  cui  si  curasse  meno  che  di  toccare  il  fondo  di 
quel  mistero.  Ma  quanto  meno  ne  parlava,  tanto  più  ci  pen- 
sava. Quante  volte  al  giorno  Y  immagine  di  quella  donna  ve- 
niva a  cacciarsi  d'  improvviso  nella  sua  mente,  e  si  piantava 
li,  e  non  voleva  moversi!  Quante  volte  avrebbe  desiderato  di 
vedersela  dinanzi  viva  e  reale,  piuttosto  che  averla  sempre 
fissa  nel  pensiero,  piuttosto  che  dover  trovarsi,  giorno  e  notte, 
in  compagnia  di  quella  forma  vana,  terribile,  impassibile! 
Quante  volte  avrebbe  voluto  sentir  davvero  la  voce  di  colei, 
qualunque  cosa  avesse  potuto  minacciare,  piuttosto  che  aver 
sempre  nell'  intimo  dell'  orecchio  mentale  il  susurro  fanta- 
stico di  quella  stessa  voce,  e  sentirne  parole  ripetute  con  una 
pertinacia,  con  un'  insistenza  infaticabile,  che  nessuna  persona 
vivente  non  ebbe  mai  ! 

Era  scorso  circa  un  anno  dopo  quel  fatto ,  quando  Lucia 
fu  presentata  alla  signora,  ed  ebbe  con  lei  quel  colloquio  al 
quale  siam  rimasti  col  racconto.  La  signora  moltiplicava  le 
domande  intorno  alle  persecuzioni  di  don  Rodrigo,  e  entrava 
in  certi  particolari,  con  una  intrepidezza,  che  riuscì  e  doveva 
riuscire  più  che  nuova  a  Lucia,  la  quale  non  aveva  mai  pen- 
sato che  la  curiosità  delle  monache  potesse  esercitarsi  intorno 
a  simili  argomenti.  I  giudizi  poi  che  quella  frammischiava 
all'interrogazioni,  o  che  lasciava  trasparire,  non  eran  meno 
strani.  Pareva  quasi  che  ridesse  del  gran  ribrezzo  che  Lucia 
aveva  sempre  avuto  di  quel  signore,  e  domandava  se  era  un 
mostro,  da  far  tanta  paura  :  pareva  quasi  che  avrebbe  trovato 
irragionevole  e  sciocca  la  ritrosia  della  giovine,  se  non  avesse 
avuto  per  ragione  la  preferenza  data  a  Renzo.  E  su  questo 
pure  s'  avanzava  a  domande,  che  facevano  stupire  e  arrossire 
V  interrogata.  Avvedendosi  poi  d'  aver  troppo  lasciata  correr 
la  lingua  dietro  agli  svagamenti  del  cervello,  cercò  di  correg- 
gere e  d'interpretare  in  meglio  quelle  sue  ciarle;  ma  non 
potè  fare  che  a  Lucia  non  ne  rimanesse  uno  stupore  dispia- 
cevole, e  come  un  confuso  spavento.  E  appena  potè  trovarsi 
sola  con  la  madre,  se  n'aprì  con  lei;  ma  Agnese,  come  più 
esperta,  sciolse,  con  poche  parole,  tutti  que' dubbi ,  e  spiegò 
tutto  il  mistero.  «Non  te  ne  far  maraviglia, »  disse:  «quando 
avrai  conosciuto  il  mondo  quanto  me,  vedrai  che  non  son 
cose  da  farsene  maraviglia.  I  signori,  chi  più,  chi  meno,  chi 
per  un  verso,  chi  per  un  altro,  han  tutti  un  po' del  matto. 
Convien  lasciarli  dire,  principalmente  quando  s' ha  bisogno  di 
loro;  far  vista  d'  ascoltarli  sul  serio,  come  se  dicessero  delle 
cose  giuste.  Hai  sentito  come  m'ha  dato  sulla  voce,  come 
se  avessi  detto  qualche  gran  sproposito?  Io  non  me  ne  son 
fatto   caso  punto.     Son  tutti   così     E   con  tutto  ciò,  sia  rin- 


138  1    PROMESSI    SPOSI. 

graziato  il  cielo,  che  pare  che  questa  signora  t'  abbia  preso  a 
ben  volere,  e  voglia  proteggerci  davvero.  Del  resto ,  se  cam- 
perai, figliuola  mia,  e  se  t' accaderà  ancora  d'aver  che  fare 
con  de'  signori,  ne  sentirai,  ne  sentirai,  ne  sentirai.» 
£  Il  desiderio  d'  obbligare  il  padre  guardiano,  la  compiacenza 
di  proteggere,  il  pensiero  del  buon  concetto  che  poteva  frut- 
tare la  protezione  impiegata  così  santamente,  una  certa  in- 
clinazione per  Lucia,  e  anche  un  certo  sollievo  nel  far  del 
bene  a  una  creatura  innocente,  nel  soccorrere  e  consolare  op- 
pressi, avevan  realmente  disposta  la  signora  a  prendersi  a 
petto  la  sorte  delle  due  povere  fuggitive.  A  sua  richiesta,  e 
a  suo  riguardo,  furono  alloggiate  nel  quartiere  della  fattoressa 
attiguo  al  chiostro,  e  trattate  come  se  fossero  addette  al  ser- 
vizio del  monastero.  La  madre  e  la  figlia  si  rallegrarono  in- 
sieme d' aver  trovato  così  presto  un  asilo  sicuro  e  onorato. 
Avrebber  anche  avuto  molto  piacere  di  rimanervi  ignorate  da 
ogni  persona;  ma  la  cosa  non  era  facile  in  un  monastero: 
tanto  più  che  e'  era  un  uomo  troppo  premuroso  d'  aver  no- 
tizie d'una  di  loro,  e  nelP  animo  del  quale,  alla  passione  e  alla 
picca  di  prima,  s'  era  aggiunta  anche  la  stizza  d'  essere  stato 
prevenuto  e  deluso.  E  noi.  lasciando  le  donne  nel  loro  rico- 
vero, torneremo  al  palazzotto  di  costui,  nell'ora  in  cui  stava 
attendendo  1'  esito  della  sua  scellerata  spedizione. 


CAPITOLO  XI. 

Come  un  branco  di  segugi,  dopo  aver  inseguita  invano 
una  lepre,  tornano  mortificati  verso  il  padrone,  co'  musi  bassi, 
e  con  le  code  ciondoloni,  così,  in  quella  scompigliata  notte, 
tornavano  i  bravi  al  palazzotto  di  don  Rodrigo.  Egli  cam- 
minava innanzi  e  indietro,  al  buio,  per  una  stanzaccia  disa- 
bitata dell'  ultimo  piano,  che  rispondeva  sulla  spianata.  Ogni 
tanto  si  fermava,  tendeva  l'orecchio,  guardava  dalle  fessure 
dell'imposte  intarlate,  pieno  d'impazienza  e  non  privo  d'in- 
quietudine, non  solo  per  l' incertezza  della  riuscita,  ma  anche 
per  le  conseguenze  possibili;  perchè  era  la  più  grossa  e  la 
più  arrischiata  a  cui  il  brav'  uomo  avesse  ancor  messo  mano. 
S'  andava  però  rassicurando  col  pensiero  delle  precauzioni 
prese  per  distrugger  gì'  indizi,  se  non  i  sospetti.  —  In  quanto 
ai  sospetti,  —  pensava  —  me  ne  rido.  Vorrei  un  po'  sa- 
pere chi  sarà  quel  voglioso  che  venga  quassù  a  veder  se  e'  è 
o  non  e'  è  una  ragazza.  Venga,  venga  quel  tanghero,  che  sarà 
ben  ricevuto.  Venga  il  frate,  venga.  La  vecchia?  Vada  a 
Bergamo  la  vecchia.  La  giustizia?  Poh  la  giustizia!  Il  podestà 


CAPITOLO    XI.  139 

non  è  un  ragazzo,  né  un  matto.  E  a  Milano?  Chi  si  cura 
di  costoro  a  Milano?  Chi  gli  darebbe  retta?  Chi  sa  che  ci 
siano?  Son  come  gente  perduta  sulla  terra;  non  hanno  né 
«mene  un  padrone:  gente  di  nessuno.  Via,  via,  niente  paura. 
Come  rimarrà  Attilio,  domattina!  Vedrà,  vedrà  s'io  fo  ciarle 
o  fatti.  E  poi ....  se  mai  nascesse  qualche  imbroglio  .... 
che  so  io?  qualche  nemico  che  volesse  cogliere  quest'occa- 
sione ....  anche  Attilio  saprà  consigliarmi:  e'  è  impegnato 
1'  onore  di  tutto  il  parentado.  —  Ma  il  pensiero  sul  quale  si 
fermava  di  più,  perchè  in  esso  trovava  insieme  un  acquieta- 
mento de' dubbi,  e  un  pascolo  alla  passion  principale,  era  il 
pensiero  delle  lusinghe,  delle  promesse  che  adoprerebbe  per 
abbonire  Lucia.  —  Avrà  tanta  paura  di  trovarsi  qui  sola,  in 
mezzo  a  costoro,  a  queste  facce,  che  ....  il  viso  più  umano 
•qui  son  io,  per  bacco  ....  che  dovrà  ricorrere  a  me,  toccherà 
a  lei  a  pregare;  e  se  prega  ....  — 

Mentre  fa  questi  bei  conti,  sente  un  calpestìo,  va  alla  fine- 
stra, apre  un  poco,  fa  capolino;  son  loro.  —  E  la  bussola? 
Diavolo!  dov'è  la  bussola?  Tre,  cinque,  otto:  ci  son  tutti: 
c'è  anche  il  Griso;  la  bussola  non  c'è;  diavolo!  diavolo!  il 
■Griso  me  ne  renderà  conto.  — 

Entrati  che  furono,  il  Griso  posò  in  un  angolo  d'  una  stanza 
terrena  il  suo  bordone,  posò  il  cappellaccio  e  il  sanrocchino, 
e,  come  richiedeva  la  sua  carica,  che  in  quel  momento  nes- 
suno gl:  invidiava,  salì  a  render  quel  conto  a  don  Rodrigo. 
Questo  l'aspettava  in  cima  alla  scala;  e  vistolo  apparire  con 
quella  goffa  e  sguaiata  presenza  del  birbone  deluso,  «ebbene,» 
gli  disse,  o  gli  gridò:  «signore  spaccone,  signor  capitano, 
signor  lascifareame? » 

«L'è  dura;»  rispose  il  Griso,  restando  con  un  piede  sul 
primo  scalino,  «l'è  dura  di  ricever  de' rimproveri,  dopo  aver 
lavorato  fedelmente,  e  cercato  di  fare  il  proprio  dovere,  e  ar- 
rischiata anche  la  pelle.» 

«Com'  è  andata?  Sentiremo,  sentiremo,»  disse  don  Ro- 
drigo, e  s'  avviò  verso  la  sua  camera,  dove  il  Griso  lo  seguì, 
e  fece  subito  la  relazione  di  ciò  che  aveva  disposto,  fatto, 
veduto  e  non  veduto,  sentito,  temuto,  riparato:  e  la  fece  con 
quell'ordine  e  con  quella  confusione,  con  quella  dubbiezza  e 
con  quello  sbalordimento,  che  dovevano  per  forza  regnare  in- 
sieme nelle  sue  idee. 

«Tu  non  hai  torto,  e  ti  sei  portato  bene,»  disse  don  Ro- 
drigo: «hai  fatto  quello  che  si  poteva;  ma....  ma,  che  sotto 
questo  tetto  ci  fosse  una  spia!  Se  c'è,  se  lo  arrivo  a  sco- 
prire, e  lo  scopriremo  se  e'  è,  te  1'  accomodo  io  ;  ti  so  dir  io 
Griso,  che  lo  concio  per  il  dì  delle  feste.» 

«Anche  a  me,  signore,»  disse  il  Griso,  «è  passato  per  «a 
mente  un  tal  sospetto:    e  se  t'osse  vero,   se  si  venisse  a  sco- 


110  I   PROMESSI    SPOSI. 

prire  un  birbone  di  questa  sorte,  il  signor  padrone  lo  deve 
metter  nelle  mie  mani.  Uno  che  si  fosse  preso  il  diverti- 
mento di  farmi  passare  una  notte  come  questa!  toccherebbe  a 
me  a  pagarlo.  Però  da  varie  cose  m'  è  parso  di  poter  rile- 
vare che  ci  dev'  essere  qualche  altro  intrigo,  che  per  ora  non 
si  può  capire.  Domani,  signore,  domani,  se  ne  verrà  in 
chiaro.» 

«Non  siete  stati  riconosciuti  almeno?» 

Il  Griso  rispose  che  sperava  di  no;  e  la  conclusione  del 
discorso  fu  che  don  Rodrigo  gli  ordinò,  per  il  giorno  dopo, 
tre  cose  che  colui  avrebbe  sapute  ben  pensare  anche  da  sé. 
Spedire  la  mattina  presto  due  uomini  a  fare  al  console  quella 
tale  intimazione,  che  fu  poi  fatta,  come  abbiam  veduto;  due 
altri  al  casolare  a  far  la  ronda,  per  tenerne  lontano  ogni 
ozioso  che  vi  capitasse,  e  sottrarre  a  ogni  sguardo  la  bussola 
fino  alla  notte  prossima,  in  cui  si  manderebbe  a  prenderla; 
giacché  per  allora  non  conveniva  fare  altri  movimenti  da  dar 
sospetto;  andar  poi  lui,  e  mandare  anche  altri  de' più  disin- 
volti e  di  buona  testa,  a  mescolarsi  con  la  gente,  per  scovar 
qualcosa  intorno  all'  imbroglio  di  quella  notte.  Dati  tali  or- 
dini, don  Rodrigo  se  n'andò  a  dormire,  e  ci  lasciò  andare 
anche  il  Griso,  congedandolo  con  molte  lodi,  dalle  quali  tra- 
spariva evidentemente  l'intenzione  di  risarcirlo  degl'  improperi 
precipitati  coi  quali  lo  aveva  accolto. 

Va  a  dormire,  povero  Griso,  che  tu  ne  devi  aver  bisogno. 
Povero  Griso  !  In  faccende  tutto  il  giorno,  in  faccende  mezza 
la  notte,  senza  contare  il  pericolo  di  cader  solto  l'unghie 
de' villani,  o  di  buscarti  una  taglia  per  rapto  di  donna  ho- 
nesta,  per  giunta  di  quelle  che  hai  già  addosso;  e  poi  esser 
ricevuto  in  quella  maniera!  Ma!  così  pagano  spesso  gli  uo- 
mini. Tu  hai  però  potuto  vedere,  in  questa  circostanza,  che 
qualche  volta  la  giustizia,  se  non  arriva  alla  prima,  arriva,  o 
presto  o  tardi  anche  in  questo  mondo.  Va  a  dormire  per 
ora:  che  un  giorno  avrai  forse  a  somministrarcene  un'altra 
prova  e  più  notabile  di  questa. 

La  mattina  seguente  il  Griso  era  fuori  di  nuovo  in  fac- 
cende, quando  don  Rodrigo  s'alzò.  Questo  cercò  subito  del 
conte  Attilio,  il  quale,  vedendolo  spuntare,  fece  un  viso  e  un 
atto  canzonatorio,  e  gli  gridò:   «san  Martino!» 

«Non  so  cosa  vi  dire,»  rispose  don  Rodrigo,  arrivandogli 
accanto:  «pagherò  la  scommessa;  ma  non  è  questo  quel  che 
più  mi  scotta.  Non  v'aveva  detto  nulla,  perchè,  lo  confesso, 
pensavo  di  farvi  rimanere  stamattina.  Ma  ...  .  basta,  ora  vi 
racconterò  tutto.» 

«Ci  ha  messo  uno  zampino  quel  frate  in  quest'affare," 
disse  il  cugino,  dopo  aver  sentito  tutto,  con  più  serietà  che 
non  si  sarebbe  aspettato  da  un  cervello  così  balzano.    «Quel 


capitolo  xr.  141 

frate,»  continuò,  e  con  quel  suo  fare  di  gatta  morta,  e  con 
quelle  sue  proposizioni  sciocche,  io  l'ho  per  un  dirittone,  e 
per  un  impiccione.  E  voi  non  vi  siete  fidato  di  me,  non 
m'  avete  mai  detto  chiaro  cosa  sia  venuto  qui  a  impastocchiarvi 
l'altro  giorno.»  Don  Rodrigo  riferì  il  dialogo.  «E  voi  avete 
avuto  tanta  sofferenza?»  esclamò  il  conte  Attilio:  «e  l'avete 
lasciato  andare  com'era  venuto?» 

«Che  volevate  ch'io  mi  tirassi  addosso  tutti  i  cappuccini 
d'Italia?» 

uXon  so,»  disse  il  conte  Attilio,  «se,  in  quel  momento, 
mi  sarei  ricordato  che  ci  fossero  al  mondo  altri  cappuccini 
che  quel  temerario  birbante;  ma  via,  anche  nelle  regole  della 
prudenza,  manca  la  maniera  di  prendersi  soddisfazione  anche 
d' un  cappuccino?  Bisogna  saper  raddoppiare  a  tempo  le  gen- 
tilezze a  tutto  il  corpo,  e  allora  si  può  impunemente  dare 
un  carico  di  bastonate  a  un  membro.  Basta;  ha  scansato  la 
punizione  che  gli  stava  più  bene;  ma  lo  prendo  io  sotto  la 
mia  protezione,  e  voglio  aver  la  consolazione  d'insegnargli 
come  si  parla  co' pari  nostri.» 

«Non  mi  fate  peggio.» 

«Fidatevi  una  volta,  che  vi  servirò  da  parente  e  da 
amico.» 

«Cosa  pensate  dì  fare?» 

«Non  lo  so  ancora;  ma  lo  servirò  io  di  sicuro  il  frate. 
Ci  penserò,  e  .  .  .  .  il  signor  conte  zio  del  Consiglio  segreto  è 
lui  che  mi  deve  fare  il  servizio.  Caro  signor  conte  zio! 
Quanto  mi  diverto  ogni  volta  che  lo  posso  far  lavorare  per 
me,  un  politicone  di  quel  calibro!  Doman  1'  altro  sarò  a  Mi- 
lano, e,  in  una  maniera  o  in  un'altra,  il  frate  sarà  servito.» 

Venne  intanto  la  colazione,  la  quale  non  interruppe  il  di- 
scorso d' un  affare  di  queir  importanza.  11  conte  Attilio  ne 
parlava  con  disinvoltura;  e,  sebbene  ci  prendesse  quella  parte 
che  richiedeva  la  sua  amicizia  per  il  cugino  e  1'  onore  del 
nome  comune,  secondo  le  idee  che  aveva  d'  amicizia  e  d'onore, 
pure  ogni  tanto  non  poteva  tenersi  di  non  rider  sotto  i  baffi, 
di  quella  bella  riuscita.  Ma  don  Rodrigo,  ch'era  in  causa 
propria,  e  che,  credendo  di  far  quietamente  un  gran  colpo, 
gli  era  andato  fallito  con  fracasso,  era  agitato  da  passioni 
più  gravi  e  distratto  da  pensieri  più  fastidiosi.  «Di  belle 
ciarle,»  diceva,  «faranno  questi  mascalzoni,  in  tutto  il  con- 
torno. Ma  che  m'importa?  In  quanto  alla  giustizia,  me  ne 
rido:  prove  non  ce  n'ò;  quando  ce  ne  fosse,  me  ne  riderei 
ugualmente:  a  buon  conto,  ho  fatto  stamattina  avvertire  il 
console  che  guardi  bene  di  non  far  deposizione  dell'  avve- 
nuto. Non  ne  seguirebbe  nulla;  ma  le  ciarle,  quando  mi 
vanno  in  lungo,  mi  seccano.  È  anche  troppo  eh'  io  sia  stato 
burlato  così  barbaramente.» 


142  I   PROMESSI   SPOSI. 

«Avete  fatto  benissimo,»  rispondeva  il  conte  Attilio. 
"Codesto  vostro  podestà  ....  gran  caparbio,  gran  testa  vota,. 
gran  seccatore  d'un  podestà  ....  è  poi  un  galantuomo,  un 
uomo  che  sa  il  suo  dovere;  e  appunto  quando  s' ha  che  fare 
con  persone  tali,  bisogna  aver  più  riguardo  di  non  metterle 
in  impicci.  Se  un  mascalzone  di  console  fa  una  deposizione^ 
il  podestà,  per  quanto  sia  ben  intenzionato,  bisogna  pure 
che ....  » 

«Ma  voi,»  interruppe,  con  un  po' di  stizza,  don  Rodrigo, 
«voi  guastate  le  mie  faccende,  con  quel  vostro  contraddirgli 
in  tutto,  e  dargli  sulla  voce,  e  canzonarlo  anche,  all'  occorrenza. 
Che  diavolo,  che  un  podestà  non  possa  esser  bestia  e  ostinato, 
quando  nel  rimanente  è  un  galantuomo!» 

«Sapete,  cugino,»  disse  guardandolo,  maravigliato,  il 
conte  Attilio,  «sapete,  che  comincio  a  credere  che  abbiate 
un  po'  di  paura?  Mi  prendete  sul  serio  anche  il  pode- 
stà ....  » 

«  Via 
di  conto?» 

«L'ho  detto:  e  quando  si  tratta  d'un  affare  serio,  vi  farò 
vedere  che  non  sono  un  ragazzo.  Sapete  cosa  mi  basta 
P  animo  di  far  per  voi?  Son  uomo  da  andare  in  persona  a 
far  visita  al  signor  podestà.  Ah!  sarà  contento  dell'onore? 
E  son  uomo  da  lasciarlo  parlare  per  mezz'  ora  del  conte  duca, 
e  del  nostro  signor  castellano  spagnolo,  e  da  dargli  ragione 
in  tutto,  anche  quando  ne  dirà  di  quelle  così  massicce. 
Butterò  poi  la  qualche  parolina  sul  conte  zio  del  Consiglio 
segreto:  e  sapete  che  effetto  fanno  quelle  paroline  neh"  orec- 
chio del  signor  podestà.  Alla  fin  de' conti,  ha  più  bisogno 
lui  della  nostra  protezione,  che  voi  della  sua  condiscendenza. 
Farò  di  buono,  e  ci  anderò,  e  ve  lo  lascerò  meglio  disposto 
che  mai.  » 

Dopo  queste  e  altre  simili  parole,  il  conte  Attilio  uscì,  per 
andare  a  caccia;  e  don  Rodrigo  stette  aspettando  con  ansietà 
il  ritorno  del  Griso.  Venne  costui  finalmente,  sull'ora  del 
desinare,  a  far  la  sua  relazione. 

Lo  scompiglio  di  quella  notte  era  stato  tanto  clamoroso, 
la  sparizione  di  Tre  persone  da  un  paesello  era  un  tal  avve- 
nimento, che  le  ricerche,  e  per  premura  e  per  curiosità,  do- 
vevano naturalmente  essere  molte  e  calde  e  insistenti;  e  dal- 
l'altra parte,  gl'informati  di  qualche  cosa  eran  troppi,  per 
andar  tutti  d'  accordo  a  tacer  tutto.  Perpetua  non  poteva 
farsi  veder  sulT  uscio,  che  non  fosse  tempestata  da  quello  e 
da  queir  altro,  perchè  dicesse  chi  era  stato  a  far  quella  gran 
paura  al  suo  padrone:  e  Perpetua,  ripensando  a  tutte  le  cir- 
costanze del  fatto,  e  raccapezzandosi  finalmente  eh'  era  stata 
infinocchiata  da  Agnese,  sentiva  tanta  rabbia  di  quella  per- 


CAPITOLO   XI.  143 

lìdia,  che  aveva  proprio  bisogno  d'un  po' di  sfogo.  Non  già 
che  andasse  lamentandosi  col  terzo  e  col  quarto  della  maniera 
tenuta  per  infinocchiar  lei:  su  questo  non  fiatava;  ma  il  tiro 
fatto  al  suo  proprio  padrone  non  lo  poteva  passare  affatto 
sotto  silenzio:  e  sopra  tutto,  che  un  tiro  tale  fosse  stato  con- 
certato, e  tentato  da  quel  giovine  dabbene,  da  quella  buona 
vedova,  da  quella  madonnina  infilzata.  Don  Abbondio  poteva 
ben  comandarle  risolutamente,  e  pregarla  cordialmente  che 
stesse  zitta;  lei  poteva  bene  ripetergli  che  non  faceva  bisogno 
di  suggerirle  una  cosa  tanto  chiara  e  tanto  naturale;  certo  è 
che  un  così  gran  segreto  stava  nel  cuore  della  povera  donna, 
come,  in  una  botte  vecchia  e  mal  cerchiata,  un  vino  molto 
giovine,  che  grilla  e  gorgoglia  e  ribolle,  e,  se  non  manda  il 
tappo  per  aria,  gli  geme  all'  intorno,  e  vien  fuori  in  ischiuma, 
e  trapela  tra  doga  e  doga  e  gocciola  di  qua  e  di  là,  tanto  che 
uno  può  assaggiarlo,  e  dire  a  un  di  presso  che  vino  è.  Ger- 
vaso,  a  cui  non  pareva  vero  d'  essere  una  volta  più  informato 
degli  altri,  a  cui  non  pareva  piccola  gloria  l'avere  avuta  una 
gran  paura,  a  cui,  per  aver  tenuto  di  mano  a  una  cosa  che 
puzzava  di  criminale,  pareva  d'  esser  diventato  un  uomo  come 
gli  altri  crepava  di  voglia  di  vantarsene.  E  quantunque  To- 
nio ,  che  pensava  seriamente  all'  inquisizioni  e  ai  processi 
possibili  e  al  conto  da  rendere,  gli  comandasse,  co' pugni  sul 
viso,  di  non  dir  nulla  a  nessuno,  pure  non  ci  fu  verso  di 
soffogargli  in  bocca  ogni  parola.  Del  resto  Tonio,  anche  lui, 
dopo  essere  stato  quella  notte  fuor  di  casa  in  ora  insolita, 
tornandovi,  con  un  passo  e  con  un  sembiante  insolito,  e  con 
una  agitazion  d'animo  che  lo  disponeva  alla  sincerità,  non 
potè  dissimulare  il  fatto  a  sua  moglie;  la  quale  non  era  muta. 
Chi  parlò  meno,  fu  Menico;  perchè,  appena  ebbe  raccontata 
ai  genitori  la  storia  e  il  motivo  della  sua  spedizione,  parve  a 
questi  una  cosa  così  terribile  che  un  loro  figliuolo  avesse  avuto 
parte  a  buttare  all'aria  un'impresa  di  don  Rodrigo,  che 
quasi  quasi  non  lasciaron  finire  al  ragazzo  il  suo  racconto. 
Gli  fecero  poi  subito  i  più  forti  e  minacciosi  comandi  che 
guardasse  bene  di  non  far  neppure  un  cenno  di  nulla:  e  la 
mattina  seguente,  non  parendo  loro  d'  essersi  abbastanza  assi- 
curati, risolvettero  di  tenerlo  chiuso  in  casa,  per  quel  giorno, 
e  per  qualche  altro  ancora.  Ma  che?  essi  medesimi  poi 
chiacchierando  con  la  gente  del  paese,  e  senza  voler  mostrar 
di  saperne  più  di  loro,  quando  si  veniva  a  quel  punto  oscuro 
della  fuga  de' nostri  tre  poveretti,  e  del  come,  e  del  perchè, 
e  del  dove ,  aggiungevano,  come  cosa  conosciuta ,  che  s'  eran 
rifugiati  a  Pescarenico.  Così  anche  questa  circostanza  entrò 
ne'  discorsi  comuni. 

Con  tutti  questi  brani  di  notizie,  messi  poi  insieme  e  uniti 
come  s'usa,  e  con  la  frangia  che  ci  s'attacca  naturalrnenic 


Ili  I    PROMESSI   SPOSI. 

nel  cucire,  c'era  da  fare  una  storia  d'una  certezza  e  d'  una 
chiarezza  tale,  da  esserne  pago  ogni  intelletto  più  critico. 
Ma  quella  invasion  de'  bravi,  accidente  troppo  grave  e  troppo 
rumoroso  per  esser  lasciato  fuori,  e  del  quale  nessuno  aveva 
una  conoscenza  un  po'  positiva,  queir  accidente  era  ciò  che 
imbrogliava  tutta  la  storia.  Si  mormorava  il  nome  di  don 
Rodrigo:  in  questo  andavan  tutti  d'accordo;  nel  resto  tutto 
era  oscurità  e  congetture  diverse.  Si  parlava  molto  de'  due 
bravacci  eh'  erano  stati  veduti  nella  strada,  sul  far  della  sera, 
e  dell'  altro  che  stava  sulT  uscio  dell'  osteria;  ma  che  lume 
si  poteva  ricavare  da  questo  fatto  così  asciutto?  Si  doman- 
dava bene  all'  oste  chi  era  stato  da  lui  la  sera  avanti  ;  ma 
l'oste,  a  dargli  retta,  non  si  rammentava  neppure  se  avesse 
veduto  gente  quella  sera;  e  badava  a  dire  che  1'  osteria  è  un 
porto  di  mare.  Sopra  tutto,  confondeva  le  teste,  e  disordinava 
le  congetture  quel  pellegrino  veduto  da  Stefano  e  da  Carlan- 
drea,  quel  pellegrino  che  i  malandrini  volevano  ammazzare, 
e  che  se  n'era  andato  con  loro,  o  che  essi  avevano  portato 
via.  Cos'  era  venuto  a  fare?  Era  un'  anima  del  purgatorio 
comparsa  per  aiutar  le  donne;  era  un'anima  dannata  d'un 
pellegrino  birbante  e  impostore,  che  veniva  sempre  di  notte 
a  unirsi  con  chi  facesse  di  quelle  che  lui  aveva  fatte  vivendo; 
era  un  pellegrino  vivo  e  vero,  che  coloro  avevan  voluto  am- 
mazzare, per  timor  che  gridasse,  e  destasse  il  paese;  era 
(vedete  un  po' cosa  si  va  a  pensare!)  uno  di  quegli  stessi  ma- 
landrini travestito  da  pellegrino;  era  questo,  era  quello,  era 
tante  cose  che  tutta  la  sagacità  e  V  esperienza  del  Griso  non 
sarebbe  bastata  a  scoprire  chi  fosse,  se  il  Griso  avesse  dovuto 
rilevar  questa  parte  della  storia  da'  discorsi  altrui.  Ma,  come 
il  lettore  sa,  ciò  che  la  rendeva  imbrogliata  agli  altri,  era  ap- 
punto il  più  chiaro  per  lui:  servendosene  di  chiave  per  inter- 
pretare le  altre  notizie  raccolte  da  lui  immediatamente,  o  col 
mezzo  degli  esploratori  subordinati,  potè  di  tutto  comporne 
per  don  Rodrigo  una  relazione  bastantemente  distinta.  Si 
chiuse  subito  con  lui,  e  l'informò  del  colpo  tentato  dai  po- 
veri sposi,  il  che  spiegava  naturalmente  la  casa  trovata  vota 
e  il  sonare  a  martello,  senza  che  facesse  bisogno  di  supporre 
che  in  casa  ci  fosse  qualche  traditore,  come  dicevano  que'  due 
galantuomini.  L'  informò  della  fuga;  e  anche  a  questa  era 
facile  trovarci  le  sue  ragioni:  il  timore  degli  sposi  colti  in 
fallo,  o  qualche  avviso  dell'  invasione,  dato  loro  quand'  era 
scoperta,  e  il  paese  tutto  a  soqquadro.  Disse  finalmente  che 
s' eran  ricoverati  a  Pescarenico:  più  in  là  non  andava  la  sua 
scienza.  Piacque  a  don  Rodrigo  l' esser  certo  che  nessuno 
l'aveva  tradito,  e  il  vedere  che  non  rimanevano  tracce  del 
suo  fatto;  ma  fu  quella  una  rapida  e  leggiera  compiacenza. 
> Fuggiti  insieme!-)    gridò:    «insieme!    E   quel  frate  birbante l 


CAPITOLO    XI.  145 

Quel  frate!»  la  parola  gli  usciva  arrantolata  dalla  gola,  e 
smozzicata  tra' denti,  che  mordevano  il  dito:  il  suo  aspetto 
era  brutto  come  le  sue  passioni:  oQuel  frate  me  la  pagherà. 
Griso!  non  so  chi  sono  ....  voglio  sapere,  voglio  trovare  .... 
questa  sera,  voglio  saper  dove  sono.  Xon  ho  pace.  A  Pe- 
scarenico, subito,  a  sapere,  a  vedere,  a  trovare  ....  Quattro 
scudi  subito,  e  la  mia  protezione  per  sempre.  Questa  sera 
lo  voglio  sapere.     E  quel  birbone...!  quel  frate...!  > 

Il  Griso  di  nuovo  in  campo;  e,  la  sera  di  quel  giorno  me- 
desimo, potè  riportare  al  suo  degno  padrone  la  notizia  desi- 
derata: ed  ecco  in  qual  maniera. 

Una  delle  più  gran  consolazioni  di  questa  vita  è  1'  amici- 
zia; e  una  delle  consolazioni  dell'amicizia  è  quell'avere  a 
cui  confidare  un  segreto.  Ora,  gli  amici  non  sono  a  due  a 
due,  come  gli  sposi;  ognuno,  generalmente  parlando,  ne  ha 
più  d'uno:  il  che  forma  una  catena,  di  cui  nessuno  potrebbe 
trovar  la  fine.  Quando  dunque  un  amico  si  procura  quella 
consolazione  di  deporre  un  segreto  nel  seno  d'  un  altro,  dà  a 
costui  la  voglia  di  procurarsi  la  stessa  consolazione  anche  lui. 
Lo  prega,  è  vero,  di  non  dir  nulla  a  nessuno;  e  una  tal  con- 
dizione, chi  la  prendesse  nel  senso  rigoroso  delle  parole, 
troncherebbe  immediatamente  il  corso  delle  consolazioni.  Ma 
la  pratica  generale  ha  voluto  che  obblighi  soltanto  a  non  con- 
fidare il  segreto,  se  non  a  chi  sia  un  amico  ugualmente  fidato, 
e  imponendogli  la  stessa  condizione.  Così,  d'amico  fidato 
in  amico  fidato,  il  segreto  gira  e  gira  per  queir  immensa  ca- 
tena, tanto  che  arriva  all'  orecchio  di  colui  o  di  coloro  a  cui 
il  primo  che  ha  parlato  intendeva  appunto  di  non  lasciarlo 
arrivar  mai.  Avrebbe  però  ordinariamente  a  stare  un  gran 
pezzo  in  cammino,  se  ognuno  non  avesse  che  due  amici;  quello 
che  gli  dice,  e  quello  a  cui  ridice  la  cosa  da  tacersi.  Ma 
ci  son  degli  uomini  privilegiati  che  li  contano  a  centinaia;  e 
quando  il  segreto  è  venuto  a  uno  di  questi  uomini,  i  giri  di- 
vengon  sì  rapidi  e  sì  moltiplici,  che  non  è  più  possibile  di 
seguirne  la  traccia.  Il  nostro  autore  non  ha  potuto  accertarsi 
per  quante  bocche  fosse  passato  il  segreto  che  il  Griso  aveva 
ordine  di  scovare:  il  fatto  sta  che  il  buon  uomo  da  cui 
erano  state  scortate  le  donne  a  Monza,  tornando,  verso  |le 
ventitre,  col  suo  baroccio,  a  Pescarenico,  s'abbattè,  prima 
d'arrivare  a  casa,  in  un  amico  fidato,  al  quale  raccontò  in 
gran  confidenza,  l'opera  buona  che  aveva  fatta,  e  il  rima- 
nente; e  il  fatto  sta  che  il  Griso  potè,  due  ore  dopo,  correre 
al  palazzotto,  a  riferire  a  don  Piodrigo  che  Lucia  e  sua  ma- 
dre s'  eran  ricoverate  in  un  convento  di  Monza,  e  che  Pienzo 
aveva  seguitata  la  sua  strada  fino  a  Milano. 

Don  Rodrigo  provò  una  scellerata  allegrezza  di  quella  se- 
parazione, e  sentì  rinascere    un   po'  di  quella  scellerata   spe- 

Manzoni.  10 


146  I    PBOMESSI   SPOSI. 

ranza  d'arrivare  al  suo  intento.  Pensò  alla  maniera,  gran 
parte  della  notte;  e  s'alzò  presto,  con  due  disegni,  l'uno 
stabilito,  V  altro  abbozzato.  Il  primo  era  di  spedire  imman- 
tinente il  Griso  a  Monza,  per  aver  più  chiare  notizie  di  Lu- 
cia, e  sapere  se  ci  fosse  da  tentar  qualche  cosa.  Fece  dun- 
que chiamar  subito  quel  suo  fedele,  gli  mise  in  mano  i  quat- 
tro scudi,  lo  lodò  di  nuovo  dell'abilità  con  cui  gli  aveva 
guadagnati,  e  gli  diede  1'  ordine  che  aveva  premeditato. 

«Signore .»  disse,  tentennando,  il  Griso. 

«Che?  non  ho  io  parlato  chiaro?» 

«Se  potesse  mandar  qualchedun  altro  .  .  .  .» 

«Come?» 

«Signore  illustrissimo,  io  son  pronto  a  metterci  la  pelle 
per  il  mio  padrone:  è  il  mio  dovere;  ma  so  anche  che  lei 
non  vuole  arrischiar  troppo  la  vita  de'  suoi  sudditi.» 

«Ebbene?» 

«Vossignoria  illustrissima  sa  bene  quelle  poche  taglie 
ch'io  ho  addosso:  e....  Qui  son  sotto  la  sua  protezione; 
siamo  una  brigata;  il  signor  podestà  è  amico  di  casa;  i  birri 
mi  portan  rispetto;  e  anch'io....  è  cosa  che  fa  poco  onore, 
ma  per  viver  quieto  ....  li  tratto  da  amici.  In  Milano  la  li- 
vrea di  vossignoria  è  conosciuta;  ma  in  Monza....  ci  sono 
conosciuto  io  in  vece.  E  sa  vossignoria  che,  non  fo  per  dire, 
chi  mi  potesse  consegnare  alla  giustizia,  o  presentar  la  mia 
testa,  farebbe  un  bel  colpo?  Cento  scudi  l'uno  sull'altro,  e 
la  facoltà  di  liberar  due  banditi.» 

«Che  diavolo!»  disse  don  Rodrigo;  «tu  mi  riesci  ora  un 
can  da  pagliaio  che  ha  cuore  appena  d'  avventarsi  alle  gambe 
di  chi  passa  sulla  porta,  guardandosi  indietro  se  quei  di  casa 
lo  spalleggiano,  e  non  si  sente  d'allontanarsi!» 

«Credo,  signor  padrone,  d'  aver  date  prove  ....>• 

«Dunque  !» 

«Dunque,»  ripigliò  francamente  il  Griso,  messo  così  al 
punto,  «dunque  vossignoria  faccia  conto  eh'  io  non  abbia 
parlato:  cuor  di  leone,  gamba  di  lepre,  e  son  pronto  a 
partire.» 

«E  io  non  ho  detto  che  tu  vada  solo.  Piglia  con  te  un 
paio  de'  meglio  ....  lo  Sfregiato,  e  il  Tiradritto;  e  va  di  buon 
animo,  e  sii  il  Griso.  Che  diavolo!  Tre  figure  come  le 
vostre,  e  che  vanno  per  i  fatti  loro,  chi  vuoi  che  non  sia  con- 
tento di  lasciarle  passare?  Bisognerebbe  che  a' birri  di  Monza 
fosse  ben  venuta  a  noia  la  vita,  per  metterla  su  contro  cento 
scudi  a  un  gioco  così  rischioso.  E  poi,  e  poi,  non  credo 
d'  esser  così  sconosciuto  da  quelle  parti,  che  la  qualità  di  mio 
servitore  non  ci  si  conti  per  nulla.» 

Svergognato  cosi  un  poco  il  Griso,  gli  diede  poi  più  am- 
pie e  particolari  istruzioni.     Il   Griso  prese   i   due  compagni, 


CAPITOLO    XI.  147 

e  partì  con  faccia  allegra  e  baldanzosa,  ma  bestemmiando  in 
cuor  suo  Monza  e  le  taglie  e  le  donne  e  i  capricci  de'  pa- 
droni :  e  camminava  come  il  lupo ,  che  spinto  dalla  fame, 
col  ventre  raggrinzato,  e  con  le  costole  che  gli  si  potrebber 
contare,  scende  da' suoi  monti,  dove  non  c'è  che  neve,  s'a- 
vanza sospettosamente  nel  piano,  si  ferma  ogni  tanto,  con  una 
zampa  sospesa,  dimenando  la  coda  spelacchiata, 

Leva  il  muso,  odorando  il  vento  infido, 

se  mai  gli  porti  odore  d'  uomo  o  di  ferro ,  rizza  gli  orecchi 
acuti,  e  gira  due  occhi  sanguigni,  da  cui  traluce  insieme  l'ar- 
dore della  preda,  e  il  terrore  della  caccia.  Del  rimanente 
quel  bel  verso,  chi  volesse  saper  donde  venga,  è  tratto  da 
una  diavoleria  inedita  di  crociate  e  di  lombardi,  che  presto 
non  sarà  più  inedita,  e  farà  un  bel  rumore;  e  io  l'ho  preso, 
perchè  mi  veniva  in  taglio:  e  dico  dove,  per  non  farmi  bello 
della  roba  altrui  :  che  qualcheduno  non  pensasse  che  sia  una 
mia  astuzia  per  far  sapere  che  V  autore  di  quella  diavoleria 
ed  io  siamo  come  fratelli,  e  eh'  io  frugo  a  piacer  mio  ne'  suoi 
manoscritti. 

L'  altra  cosa  che  premeva  a  don  Rodrigo ,  era  di  trovar 
la  maniera  che  Renzo  non  potesse  più  tornar  con  Lucia,  né 
metter  piede  in  paese;  e,  a  questo  fine,  macchinava  di  fare 
sparger  voci  di  minacce  e  d'insidie,  che,  venendogli  all'o- 
recchio, per  mezzo  di  qualche  amico,  gli  facessero  passar  la 
voglia  di  tornar  da  quelle  parti.  Pensava  però  che  la  più 
sicura  sarebbe  se  si  potesse  farlo  sfrattar  dallo  stato:  e  per 
riuscire  in  questo,  vedeva  che  più  della  forza  gli  avrebbe  po- 
tuto servir  la  giustizia.  Si  poteva,  per  esempio,  dare  un  po'  di 
colore  al  tentativo  fatto  nella  casa  parrocchiale,  dipingerlo 
come  un'aggressione,  un  atto  sedizioso,  e  per  mezzo  del 
dottore  fare  intendere  al  podestà  eh'  era  il  caso  di  spedir 
contro  Renzo  una  buona  cattura.  Ma  pensò  che  non  con- 
veniva a  lui  di  rimestar  quella  brutta  faccenda:  e  senza  star 
altro  a  lambiccarsi  il  cervello,  si  risolvette  d'  aprirsi  col  dot- 
tor Azzecca-garbugli ,  quanto  era  necessario  per  fargli  com- 
prendere il  suo  desiderio.  —  Le  gride  son  tante!  —  pen- 
sava: —  e  il  dottore  non  è  un'oca:  qualcosa  che  faccia  al 
caso  mio  saprà  trovare,  qualche  garbuglio  da  azzeccare  a 
quel  villanaccio:  altrimenti  gli  muto  nome.  —  Ma  (come  vanno 
alle  volte  le  cose  di  questo  mondo  !)  intanto  che  colui  pensava 
al  dottore,  come  all'  uomo,  più  abile  a  servirlo  in  questo,  un 
altr'  uomo,  1'  uomo  che  nessuno  s' immaginerebbe,  Renzo  me- 
desimo, per  dirla,  lavorava  di  cuore  a  servirlo,  in  un  modo 
più  certo  e  più  spedito  di  tutti  quelli  che  il  dottore  avrebbe 
mai  saputi  trovare. 

Ho   visto  più   volte  un   caro  fanciullo,   vispo,  per  dire  il 

10* 


148  I    PROMESSI    SPOST. 

vero,  più  del  bisogno,  ma  che,  a  tutti  i  segnali,  mostra  di 
voler  riuscire  un  galantuomo;  1'  ho  visto,  dico,  più  volte  affaccen- 
dato sulla  sera  a  mandare  al  coperto  un  suo  gregge  di  porcel- 
lini d' India,  che  aveva  lasciati  scorrer  liberi  il  giorno,  in  un 
giardinetto.  Avrebbe  voluto  fargli  andar  tutti  insieme  al  co- 
vile: ma  era  fatica  buttata;  uno  si  sbandava  a  destra,  e  men- 
tre il  piccolo  pastore  correva  per  cacciarlo  nel  branco,  un  al- 
tro, due.  tre  ne  uscivano  a  sinistra,  da  ogni  parte.  Dimo- 
doché, dopo  essersi  un  po' impazientito,  s'adattava  ai  loro 
genio,  spingeva  prima  dentro  quelli  eh' eran  più  vicini  al- 
l'uscio,  poi  andava  a  prender  gli  altri,  a  uno,  a  due,  a  tre. 
come  gli  riusciva.  Un  gioco  simile  ci  convien  fare  co'  nostri 
personaggi:  ricoverata  Lucia,  siam  corsi  a  don  Rodrigo;  e 
ora  lo  dobbiamo  abbandonare,  per  andar  dietro  a  Renzo, 
che  avevam  perduto  di  vista. 

-  Dopo  la  separazione  dolorosa  che  abbiam  raccontata,  cam- 
minava Renzo  da  Monza  verso  Milano,  in  quello  stato  dr  ani- 
mo che  ognuno  può  immaginarsi  facilmente.  Abbandonar  la 
casa,  tralasciare  il  mestiere,  e  quel  eh'  era  più  di  tutto,  al- 
lontanarsi da  Lucia,  trovarsi  sur  una  strada,  senza  saper 
dove  anderebbe  a  posarsi:  e  tutto  per  causa  di  quel  birbone! 
Quando  si  tratteneva  col  pensiero  sali'  una  o  sulP  altra  di 
queste  cose.  sr  ingolfava  tutto  nella  rabbia,  nel  desiderio  della 
vendetta;  ma  gli  tornava  poi  in  mente  quella  preghiera  che 
aveva  recitata  anche  lui  col  suo  buon  frate,  nella  chiesa  di 
Pescarenico;  e  si  ravvedeva:  gli  si  risvegliava  ancora  la 
stizza:  ma  vedendo  un'immagine  sul  muro,  si  levava  il  cap- 
pello, e  si  fermava  un  momento  a  pregar  di  nuovo:  tanto  che, 
in  quel  viaggio,  ebbe  ammazzato  in  cuor  suo  don  Rodrigo,  e 
risuscitatolo,  almeno  venti  volte.  La  strada  era  allora  tutta 
sepolta  tra  due  alte  rive,  fangosa,  sassosa,  solcata  da  rotaie 
profonde,  che.  dopo  una  pioggia,  divenivan  rigagnoli;  e  in 
"certe  parti  più  basse,  s'allargava  tutta,  che  si  sarebbe  po- 
tuto andarci  in  barca.  A  que:  passi,  un  piccol  sentiero  erto, 
a  scalini,  sulla  riva,  indicava  che  altri  passeggieri  s' eran 
fatta  una  strada  ne'  campi.  Renzo,  salito  per  un  di  que"  vali- 
chi sul  terreno  più  elevato,  vide  quella  gran  macchina  del 
duomo  sola  sul  piano,  come  se,  non  di  mezzo  a  una  città, 
ma  sorgesse  in  un  deserto;  e  si  fermò  su  due  piedi,  dimen- 
ticando tutti  i  suoi  guai,  a  contemplare  anche  da  lontano 
queir  ottava  maraviglia,  di  cui  aveva  tanto  sentito  parlare  fin 
da  bambino.  Ma  dopo  qualche  momento,  voltandosi  indietro, 
vide  all'  orizzonte  quella  cresta  frastagliata  di  montagne,  vide 
distinto  e  alto  tra  quelle  il  suo  Resego?ie,  si  sentì  tutto  ri- 
mescolare il  sangue,  stette  lì  alquanto  a  guardar  tristamente 
da  quella  parte,  poi  tristamente  si  voltò,  e  seguitò  la  sua 
strada.    A  poco  a  poco   cominciò  poi  a  scoprir  campanili  e 


CAPITOLO    XI.  149 

torri  e  cupole  e  tetti;  scese  allora  nella  strada,  camminò 
ancora  qualche  tempo,  e  quando  s'  accorse  d'  esser  ben  vicino 
alla  città,  s'  accostò  a  un  viandante,  e  inchinatolo,  con  tutto 
quel  garbo  che   seppe,  gli    disse:    <  di    grazia,    quel    signore.» 

"Che  volete,  bravo  giovine?» 

«Saprebbe  insegnarmi  la  strada  più  corta,  per   andare  al 
convento  de'  cappuccini  dove  sta  il  padre  Bonaventura?» 

L'  uomo  a  cui  Renzo  s'  indirizzava,  era  un  agiato  abitante 
del  contorno,  che,  andato  quella  mattina  a  Milano,  per  certi 
suoi  affari,  se  ne  tornava,  senza  aver  fatto  nulla,  in  gran 
fretta,  che  non  vedeva  1'  ora  di  trovarsi  a  casa,  e  avrebbe 
fatto  volontieri  di  meno  di  quella  fermata.  Con  tutto  ciò, 
senza  dar  segno  d'impazienza,  rispose  gentilmente:  «figliuol 
caro,  de'  conventi  ce  n'  è  più  d'  uno:  bisognerebbe  che  mi 
sapeste  dir  più  chiaro  quale  è  quello  che  voi  cercate.»  Renzo 
allora  si  levò  di  seno  la  lettera  del  padre  Cristoforo,  e  la 
fece  vedere  a  quel  signore,  il  quale,  lettovi  :  porta  orientale, 
gliela  rendette,  dicendo:  «siete  fortunato,  bravo  giovine:  il 
convento  che  cercate  è  poco  lontano  di  qui.  Prendete  per 
questa  viottola  a  mancina:  è  una  scorciatoia:  in  pochi  minuti 
arriverete  a  una  cantonata  d"  una  fabbrica  lunga  e  bassa:  è 
il  lazzaretto;  costeggiate  il  fossato  che  lo  circonda,  e  riu- 
scirete a  porta  orientale.  Entrate,  e,  dopo  tre  o  quattrocento 
passi,  vedrete  una  piazzetta  con  de5  begli  olmi:  la  è  il  con- 
vento: non  potete  sbagliare.  Dio  v'assista,  bravo  giovine.» 
E,  accompagnando  1'  ultime  parole  con  un  gesto  grazioso  della 
mano,  se  n'  andò.  Renzo  rimase  stupefatto  e  edificato  della 
buona  maniera  de'  cittadini  verso  la  gente  di  campagna;  e 
2ion  sapeva  eh'  era  un  giorno  fuor  dell'  ordinario,  un  giorno 
in  cui  le  cappe  s'  inchinavano  ai  farsetti.  Fece  la  strada  che 
gli  era  stata  insegnata,  e  si  trovo  a  porta  orientale.  Non 
bisogna  però,  che  a  questo  nome,  il  lettore  si  lasci  correre 
alla  fantasia  1'  immagini  che  ora  vi  sono  associate.  Quando 
Renzo  entrò  per  quella  porta,  la  strada  al  di  fuori  non  an- 
dava diritta  che  per  tutta  la  lunghezza  del  lazzaretto:  poi 
scorreva  serpeggiante  e  stretta,  tra  due  siepi.  La  porta  con- 
sisteva in  due  pilastri,  con  sopra  una  tettoia,  per  riparare  i 
battenti,  e  da  una  parte,  una  casuccia  per  i  gabellini.  I  ba- 
stioni scendevano  in  pendìo  irregolare,  e  il  terreno  era  una 
superficie  aspra  e  inuguale  di  rottami  e  di  cocci  buttati  là  a 
caso.  La  strada  che  s'  apriva  dinanzi  a  chi  entrava  per  quella 
porta,  non  si  paragonerebbe  male  a  quella  che  ora  si  pre- 
senta a  chi  entri  da  porta  Tosa.  Un  fossatello  le  scorreva 
nel  mezzo,  fino  a  poca  distanza  dalla  porta,  e  la  divideva  così 
in  due  stradette  tortuose,  ricoperte  di  polvere  o  di  fanso, 
secondo  la  stagione.  Al  punto  dov*  era,  e  dov'  è  tuttora  quella 
viuzza  chiamata    di    Borghetto,    il    fossatello    si    perdeva  in 


150  I    PROMESSI    SPOSI. 

una  fogna.  Lì  e'  era  una  colonna,  con  sopra  una  croce,  detta 
di  san  Dionigi:  a  destra  e  a  sinistra,  erano  orti  cinti  di 
siepe  e,  ad  intervalli,  casucce,  abitate  per  lo  più  da  lavandai. 
Renzo  entra,  passa;  nessuno  de' gabellini  gli  bada:  cosa  che 
gli  parve  strana,  giacché,  da  que'  pochi  del  suo  paese  che 
potevan  vantarsi  d'  essere  stati  a  Milano,  aveva  sentito  rac- 
contar cose  grosse  de'  frugamenti  e  dell'  interrogazioni  a  cui 
venivan  sottoposti  quelli  che  arrivavan  dalla  campagna.  La 
strada  era  deserta,  dimodoché,  se  non  avesse  sentito  un  ron- 
zìo lontano  che  indicava  un  gran  movimento,  gli  sarebbe  parso 
d'  entrare  in  una  città  disabitata.  Andando  avanti,  senza 
saper  cosa  si  pensare,  vide  per  terra  certe  strisce  bianche  e 
soffici,  come  di  neve:  ma  neve  non  poteva  essere,  che  non 
viene  a  strisce,  né,  per  il  solito,  in  quella  stagione.  Si  chinò 
sur  una  di  quelle,  guardò,  toccò,  e  trovò  eh'  era  farina.  — 

—  Grand'  abbondanza,  —  disse  tra  sé,  —  ci  dev'  essere  in 
Milano,  se  straziano  in  questa  maniera  la  grazia  di  Dio.  Ci 
davan  poi  ad  intendere  che  la  carestia  è  per  tutto.  Ecco 
come  fanno,  per  tener  quieta  la  povera  gente  di  campagna.  — 
Ma.  dopo  pochi  altri  passi,  arrivato  a  fianco  della  colonna, 
vide,  appiè  di  quella,  qualcosa  di  più  strano;  vide  sugli  sca- 
lini del  piedestallo  certe  cose  sparse,  che  certamente  non  eran 
ciottoli,  e  se  fossero  state  sul  banco  d'  un  fornaio,  non  si  sa- 
rebbe esitato  un  momento  a  chiamarli  pani.  Ma  Renzo  non 
ardiva  creder  così  presto  a'  suoi  occhi;  perchè,  diamine! 
non  era  luogo  da  pani  quello.  —  Vediamo  un  po'  che  affare 
è  questo,  —  disse  ancora  tra  sé;  andò  verso  la  colonna,  si 
chinò,  ne  raccolse  uno:  era  veramente  un  pan  tondo  bian- 
chissimo, di  quelli  che  Renzo  non  era  solito  mangiarne  che 
nelle  solennità.  —  È  pane  davvero!  —  disse  ad  alta  voce; 
tanta  era  la  sua  maraviglia:  —  così  lo  seminano  in  questo 
paese?  in  quest'  anno?  e  non  si  scomodano  neppure  per  rac- 
coglierlo, quando  cade?  Che  sia  il  paese  di  cuccagna  questo? 

—  Dopo  dieci  miglia  di  strada,  all'  aria  fresca  della  mat- 
tina, quel  pane,  insieme  con  la  maraviglia,  gli  risvegliò  1'  ap- 
petito. —  Lo  piglio?  deliberava  tra  sé:  —  poh!  l'hanno 
lasciato  qui  alla  discrezion  de' cani:  tant' è  che  ne  goda  anche 
un  cristiano.  Alla  fine,  se  comparisce  il  padrone,  glielo  pa- 
gherò. —  Così  pensando,  si  mise  in  una  tasca  quello  che  aveva 
in  mano,  ne  prese  un  secondo,  e  lo  mise  nelF  altra;  un  terzo, 
e  cominciò  a  mangiare;  e  si  rincamminò,  più  incerto  che 
mai,  e  desideroso  di  chiarirsi  che  storia  fosse  quella.  Appena 
mosso,  vide  spuntar  gente  che  veniva  dall'  interno  della  città, 
e  guardò  attentamente  quelli  che  apparivano  i  primi.  Erano 
un  uomo,  una  donna  e,  qualche  passo  indietro,  un  ragazzotto; 
tutt'  e  tre  con  un  carico  addosso,  che  pareva  superiore  alle 
loro  forze,    e    tutt'  e    tre   in  una  figura   strana.     I  vestiti  o 


CAPITOLO    XI.  151 

gli  stracci  infarinati;  infarinati  i  visi,  e  di  più  stravolti  e  ac- 
cesi; e  andavano,  non  solo  curvi,  per  il  peso,  ma  sopra  do- 
glia, come  se  gli  fossero  state  peste  V  ossa.  L'  uomo  reggeva 
a  stento  sulle  spalle  un  gran  sacco  di  farina,  il  quale,  bucato 
qua  e  là,  ne  seminava  un  poco,  a  ogni  intoppo,  a  ogni  mossa 
disequilibrata.  Ma  più  sconcia  era  la  figura  della  donna  : 
un  pancione  smisurato,  che  pareva  tenuto  a  fatica  da  due 
braccia  piegate:  come  una  pentolaccia  a  due  manichi;  e  di 
sotto  a  quel  pancione  uscivan  due  gambe,  nude  fin  sopra  il 
ginocchio,  che  venivano  innanzi  barcollando.  Renzo  guardò 
più  attentamente,  e  vide  che  quel  gran  corpo  era  la  sottana 
che  la  donna  teneva  per  il  lembo,  con  dentro  farina  quanta 
ce  ne  poteva  stare,  e  un  po'  di  più;  dimodoché,  quasi  a  ogni 
passo,  ne  volava  via  una  ventata.  Il  ragazzotto  teneva  con 
tutt'  e  due  le  mani  sul  capo  una  paniera  colma  di  pani;  ma 
per  aver  le  gambe  più  corte  de'  suoi  genitori,  rimaneva  a 
poco  a  poco  indietro,  e,  allungando  poi  il  passo  ogni  tanto, 
per  raggiungerli,  la  paniera  perdeva  l'equilibrio,  e  qualche 
pane  cadeva. 

«Buttane  via  ancor  un  altro,  buono  a  niente  che  sei,» 
disse  la  madre,  digrignando  i  denti  verso  il  ragazzo. 

«Io  non  li  butto  via;  cascan  da  sé:  com' ho  a  fare?» 
rispose  quello. 

«Ih!  buon  per  te,  che  ho  le  mani  impicciate,»  riprese  la 
donna,  dimenando  i  pugni,  come  se  desse  una  buona  scossa 
ai  povero  ragazzo;  e,  con  quel  movimento,  fece  volar  via  più 
farina,  di  quel  che  ci  sarebbe  voluto  per  farne  i  due  pani 
lasciati  cadere  allora  dal  ragazzo.  «Via,  via,»  disse  l'uomo: 
«torneremo  indietro  a  raccoglierli,  o  qualcheduno  li  raccoglierà. 
Si  stenta  da  tanto  tempo:  ora  che  viene  un  po'  d'abbondanza, 
godiamola  in  santa  pace.» 

Intanto  arrivava  altra  gente  dalla  porta;  e  uno  di  questi, 
accostatosi  alla  donna,  le  domandò:  «dove  si  va  a  prendere 
il  pane?» 

«Più  avanti,»  rispose  quella;  e  quando  furon  lontani  dieci 
passi,  soggiunse  borbottando:  «questi  contadini  birboni  ver- 
ranno a  spazzar  tutti  i  forni  e  tutti  i  magazzini,  e  non  re- 
sterà più  niente  per  noi.» 

«Un  po'  per  uno,  tormento  che  sei,»  disse  il  marito:  «ab- 
bondanza, abbondanza.» 

Da  queste  e  da  altrettali  cose  che  vedeva  e  sentiva,  Renzo 
cominciò  a  raccapezzarsi  eh'  era  arrivato  in  una  città  sol- 
levata, e  che  quello  era  un  giorno  di  conquista,  vale  a  dire 
che  ognuno  pigliava,  a  proporzione  della  voglia  e  della  forza, 
dando  busse  in  pagamento.  Per  quanto  noi  desideriamo  di 
far  fare  buona  figura  al  nostro  povero  montanaro,  la  sincerità 


152  I    PROMESSI    SPOSI. 

storica  ci  obbliga  a  dire  che  il  suo  primo  sentimento  fu  di 
piacere.  Aveva  così  poco  da  lodarsi  dell'  andamento  ordi- 
nario delle  cose,  che  si  trovava  inclinato  ad  approvare  ciò 
che  lo  mutasse  in  qualunque  maniera.  E  del  resto,  non  es- 
sendo punto  un  uomo  superiore  al  suo  secolo,  viveva  anche 
lui  in  queir  opinione  o  in  quella  passione  comune,  che  la 
scarsezza  del  pane  fosse  cagionata  dagP  incettatori  e  da'  for- 
nai; ed  era  disposto  a  trovar  giusto  ogni  modo  di  strappar 
loro  dalle  mani  l'alimento  che  essi,  secondo  quell'opinione, 
negavano  crudelmente  alla  fame  di  tutto  un  popolo.  Pure, 
si  propose  di  star  fuor  del  tumulto,  e  si  rallegrò  d'  esser 
diretto  a  un  cappuccino,  che  gli  troverebbe  ricovero,  e  gli 
farebbe  da  padre.  Così  pensando,  e  guardando  intanto  i 
nuovi  conquistatori  che  venivano  carichi  di  preda,  fece 
quello  pò"  di  strada  che  gli  rimaneva  per  arrivare  al  con- 
vento. 

Dove  ora  sorge  quel  bel  palazzo,  con  quell'  alto  loggiato, 
e'  era  allora,  e  e'  era  ancora,  non  son  molt'  anni,  una  piaz- 
zetta, e  in  fondo  a  quella  la  chiesa  e  il  convento  de'  cappuc- 
cini, con  quattro  grand'  olmi  davanti.  Noi  ci  rallegriamo, 
non  senza  invidia,  con  que'  nostri  lettori  che  nou  bau  viste 
le  cose  in  quello  stato:  ciò  vuol  dire  che  son  molto  giovani, 
e  non  hanno  avuto  tempo  di  far  molte  corbellerie.  Renzo 
andò  diritto  alla  porta,  si  ripose  in  seno  il  mezzo  pane  che 
gli  rimaneva,  levò  fuori  e  tenne  preparata  la  lettera,  e  tirò  il 
campanello.  S'  aprì  uno  sportellino  che  aveva  una  grata,  e 
vi  comparve  la  faccia  del  frate  portinaio  a  domandar  chi  era. 

«Uno  di  campagna,  che  porta  al  padre  Bonaventura  una 
lettera  pressante  del  padre  Cristoforo.» 

«Date  qui,»  disse  il  portinaio,  mettendo  una  mano  alla 
grata. 

«No,  no,»  disse  Renzo  :  «gliela  devo  consegnare  in  proprie 
mani.» 

«Xon  è  in  convento.» 

«Mi  lasci  entrare,  che  1'  aspetterò.» 

«Fate  a  mio  modo.»  rispose  il  frate:  «andate  a  aspet- 
tare in  chiesa,  che  intanto  potrete  fare  un  po'  di  bene.  In 
convento,  per  adesso,  non  s'  entra.»  E  detto  questo,  rin- 
chiuse lo  sportello.  Renzo  rimase  lì,  con  la  sua  lettera  in 
mano.  Fece  dieci  passi  verso  la  porta  della  chiesa,  per  se- 
guire il  consiglio  del  portinaio:  ma  poi  pensò  di  dar  prima 
un'  altra  occhiata  al  tumulto.  Attraversò  la  piazzetta,  si  portò 
sull'  orlo  della  strada,  e  si  fermò,  con  le  braccia  incrociate 
sul  petto,  a  guardare  a  sinistra ,  verso  l' interno  della  città, 
dove  il  brulichìo  era  più  folto  e  più  rumoroso.  Il  vortice  at- 
trasse lo  spettatore.  —  Andiamo  a  vedere,  —  disse  tra  sé; 
tirò    fuori    il    suo  mezzo   pane,   e   sbocconcellando,  si  mosse 


CAPITOLO    XII.  153 

verso  quella  parte.  Intanto  che  s'incammina,  noi  racconte- 
remo, più  brevemente  che  sia  possibile,  le  cagioni  e  il  prin- 
cipio di  quello  sconvolgimento. 


CAPITOLO  XII. 

Era  quello  il  second'  anno  di  raccolta  scarsa.  Neil'  ante- 
cedente, le  provvisioni  rimaste  degli  anni  addietro  avevan 
supplito,  fino  a  un  certo  segno,  al  difetto;  e  la  popolazione 
era  giunta,  non  satolla  né  affamata,  ma,  certo,  affatto  sprov- 
veduta, alla  messe  del  1628,  nel  quale  siamo  con  la  nostra 
storia.  Ora,  questa  messe  tanto  desiderata  riuscì  ancor  più 
misera  della  precedente,  in  parte  per  maggior  contrarietà 
delle  stagioni  (e  questa  non  solo  nel  milanese,  ma  in  un  buon 
tratto  di  paese  circonvicino);  in  parte  per  colpa  degli  uomini. 
Il  guasto  e  lo  sperperìo  della  guerra,  di  quella  bella  guerra 
di  cui  abbiam  fatto  menzione  di  sopra,  era  tale,  che,  nella 
parte  dello  stato  più  vicina,  ad  essa,  molti  poderi  più  del- 
l' ordinario  rimanevano  incolti  e  abbandonati  da'  contadini, 
i  quali,  in  vece  di  procacciar  col  lavoro  pane  per  sé  e  per  gli 
altri,  eran  costretti  d'  andare  ad  accattarlo  per  carità.  Ho 
detto:  più  dell'  ordinario;  perchè  le  insopportabili  gravezze, 
imposte  con  una  cupidigia  e  con  un'  insensatezza  del  pari 
sterminate,  la  condotta  abituale,  anche  in  piena  pace,  delle 
truppe  alloggiate  nei  paesi,  condotta  che  i  dolorosi  documenti 
di  que'  tempi  uguagliano  a  quella  d'  un  nemico  invasore,  al- 
tre cagioni  che  non  è  qui  il  luogo  di  mentovare,  andavano 
già  da  qualche  tempo  operando  lentamente  quel  tristo  effetto 
in  tutto  il  milanese:  le  circostanze  particolari  di  cui  ora  par- 
liamo, erano  come  una  repentina  esacerbazione  d'  un  mal 
cronico.  E  quella  qualunque  raccolta  non  era  ancor  finita  di 
riporre,  che  le  provvisioni  per  1'  esercito,  e  lo  sciupinìo 
che  sempre  le  accompagna,  ci  fecero  dentro  un  tal  voto, 
che  la  penuria  si  fece  subito  sentire,  e  con  la  penuria  quel 
suo  doloroso,  ma  salutevole  come  inevitabile  effetto,  il  rin- 
caro. 

Ma  quando  questo  arriva  a  un  certo  segno,  nasce  sempre 
(o  almeno  è  sempre  nata  finora;  e  se  ancora,  dopo  tanti  scritti 
di  valentuomini,  pensate  in  quel  tempo!),  nasce  un'  opinione 
ne'  molti,  che  non  ne  sia  cagione  la  scarsezza.  Si  dimentica 
d'averla  temuta,  predetta;  si  suppone  tutt' a  un  tratto  che 
ci  sia  grano  abbastanza,  e  che  il  male  venga  dal  non  vender- 
gene  abbastanza,  per  il  consumo  :  supposizioni  che  non  stanno  né 


154  I    PROMESSI    SPOSI. 

in  cielo,  uè  in  terra;  ma  che  lusingano  a  un  tempo  la  collera 
e  la  speranza.  GÌ"  incettatori  di  grano,  reali  o  immaginari,  i 
possessori  di  terre,  che  non  lo  vendevano  tutto  in  un  giorno, 
i  fornai  che  ne  compravano,  tutti  coloro  in  somma  che  ne 
avessero  o  poco  o  assai,  o  che  avessero  il  nome  d'  averne,  a 
questi  si  dava  la  colpa  della  penuria  e  del  rincaro,  questi 
erano  il  bersaglio  del  lamento  universale,  1'  abbominio  della 
moltitudine  male  e  ben  vestita.  Si  diceva  di  sicuro  dor  erano 
i  magazzini,  i  granai,  colmi,  traboccanti,  appuntellati;  s'  in- 
dicava il  numero  de'  sacchi,  spropositato;  si  parlava  con  cer- 
tezza delP  immensa  quantità  di  granaglie  che  veniva  spedita 
segretamente  in  altri  paesi;  ne;  quali  probabilmente  si  gri- 
dava, con  altrettanta  sicurezza  e  con  fremito  uguale,  che  le 
granaglie  di  là  venivano  a  Milano.  S'  imploravan  da'  magi- 
strati que1  provvedimenti,  che  alla  moltitudine  paion  sempre 
o  almeno  sono  sempre  parsi  finora,  così  giusti,  così  semplici, 
così  atti  a  far  saltar  fuori  il  grano,  nascosto,  murato,  sepolto, 
come  dicevano,  e  a  far  ritornar  1;  abbondanza.  I  magistrati 
qualche  cosa  facevano:  come  di  stabilire  il  prezzo  massimo 
d*  alcune  derrate,  d'  intimar  pene  a  chi  ricusasse  di  vendere, 
e  altri  editti  di  quel  genere.  Siccome  però  tutti  i  provvedi- 
menti di  questo  mondo,  per  quanto  siano  gagliardi,  non  hanno 
virtù  di  diminuire  il  bisogno  del  cibo,  né  di  far  venire  der- 
rate fuor  di  stagione;  e  siccome  questi  in  ispecie  non  avevan 
certamente  quella  d'  attirarne  da  dove  ce  ne  potesse 
di  soprabbondanti:  così  il  male  durava  e  cresceva.  La  mol- 
titudine attribuiva  un  tale  effetto  alla  scarsezza  e  alla  debo- 
lezza de'  rimedi,  e  ne  sollecitava  ad  alte  grida  de?  più  gene- 
rosi e  decisivi.  E  per  sua  sventura,  trovò  1*  uomo  secondo  il 
suo  cuore. 

Xeir  assenza  del  governatore  don  Gonzalo  Fernandez  de 
Cordova,  che  comandava  1'  assedio  di  Casale  del  Monferrato, 
faceva  le  sue  veci  in  Milano  il  gran  cancelliere  Antonio  Fer- 
rer,  pure  spagnolo.  Costui  vide,  e  chi  non  1'  avrebbe  veduto? 
che  1'  essere  il  pane  a  un  prezzo  giusto,  è  per  sé  una  cosa 
molto  desiderabile:  e  pensò,  e  qui  fu  lo  sbaglio,  che  un  suo 
ordine  potesse  bastare  a  produrla.  Fissò  la  meta  (così  chia- 
mano qui  la  tariffa  in  materia  di  commestibili),  fissò  la  meta 
del  pane  al  prezzo  che  sarebbe  stato  il  giusto,  se  il  grano  si 
fosse  comunemente  venduto  trentatre  lire  il  moggio:  e  si  ven- 
deva fino  a  ottanta.  Fece  come  una  donna  stata  giovine, 
che  pensasse  di  ringiovinire ,  alterando  la  sua  fede  di  bat- 
tesimo. 

Ordini  meno  insensati  e  meno  iniqui  eran,  più  d'una  volta, 
per  la  resistenza  delle  cose  stesse,  rimasti  ineseguiti;  ma 
all'  esecuzione  di  questo  vegliava  la  moltitudine,  che,  vedendo 
finalmente  convertito  in  legge  il   suo  desiderio,  non  avrebbe 


CAPITOLO    XII.  155 

sofferto  che  fosse  per  celia.  Accorse  subito  ai  forni,  a  chie- 
der pane  al  prezzo  tassato  ;  e  lo  chiese  con  quel  fare  di  riso- 
lutezza e  di  minaccia,  che  danno  la  passione,  la  forza  e  la 
legge  riunite  insieme.  Se  i  fornai  strillassero,  non  lo  doman- 
date. Intridere,  dimenare,  infornare  e  sfornare  senza  posa; 
perchè  il  popolo,  sentendo  in  confuso,  che  V  era  una  cosa 
violenta,  assediava  i  forni  di  continuo,  per  goder  quella  cuc- 
cagna fin  che  durava;  affacchinarsi,  dico,  e  scalmanarsi  più 
del  solito,  per  iscapitarci,  ognun  vede  che  bel  piacere  dovesse 
essere.  Ma,  da  una  parte  i  magistrati  che  intimavan  pene, 
dall'  altra  il  popolo  che  voleva  esser  servito,  e,  punto  punto 
che  qualche  fornaio  indugiasse,  pressava  e  brontolava,  con 
quel  suo  vocione,  e  minacciava  una  di  quelle  sue  giustizie, 
che  sono  delle  peggio  che  si  facciano  in  questo  mondo  ;  non 
e'  era  redenzione,  bisognava  rimenare,  infornare,  sfornare  e 
vendere.  Però,  a  fargli  continuare  in  queir  impresa,  non  ba- 
stava che  fosse  lor  comandato,  né  che  avessero  molta  paura; 
bisognava  potere:  e  un  po'  più  che  la  cosa  fosse  durata,  non 
avrebbero  più  potuto.  Facevan  vedere  ai  magistrati  l' ini- 
quità e  V  insopportabilità  del  carico  imposto  loro,  protesta- 
vano di  voler  gettar  la  pala  nel  forno,  e  andarsene;  e  intanto 
tiravano  avanti  come  potevano,  sperando,  sperando  che,  una 
volta  o  1'  altra,  il  gran  cancelliere  avrebbe  inteso  la  ragione. 
Ma  Antonio  Ferrer,  il  quale  era  quel  che  ora  si  direbbe  un 
uomo  di  carattere,  rispondeva  che  i  fornai  s'  erano  avvantag- 
giati molto  e  poi  molto  nel  passato,  che  s'  avvantaggerebbero 
molto  e  poi  molto  col  ritornar  dell'  abbondanza;  che  anche  si 
vedrebbe,  si  penserebbe  forse  a  dar  loro  qualche  risarcimento; 
e  che  intanto  tirassero  ancora  avanti.  0  fosse  veramente 
persuaso  lui  di  queste  ragioni  che  allegava  agli  altri,  o  che, 
anche  conoscendo  dagli  effetti  l' impossibilità  di  mantener 
quel  suo  editto,  volesse  lasciare  agli  altri  1'  odiosità  di  rivo- 
carlo;  giacché,  chi  può  ora  entrar  nel  cervello  d'  Antonio 
Ferrer?  il  fatto  sta  che  rimase  fermo  su  ciò  che  aveva  sta- 
bilito. Finalmente  i  decurioni  (un  magistrato  municipale 
composto  di  nobili,  che  durò  fino  al  novantasei  del  secolo 
scorso)  informaron  per  lettera  il  governatore,  dello  stato  in 
cui  eran  le  cose:  trovasse  lui  qualche  ripiego,  che  le  facesse 
andare. 

Don  Gonzalo,  ingolfato  fin  sopra  i  capelli  nelle  faccende 
della  guerra,  fece  ciò  che  il  lettore  s'  immagina  certamente  : 
nominò  una  giunta,  alla  quale  conferì  1'  autorità  di  stabilire 
al  pane  un  prezzo  che  potesse  correre;  una  cosa  da  poterci 
campar  tanto  una  parte  che  1'  altra.  I  deputati  si  radunarono, 
o  come  si  diceva  spagnolescamente  nel  gergo  segretariesco 
d'  allora,  si  giuntarono;  e  dopo  mille  riverenze,  compli- 
menti,  preamboli,    sospiri,    sospensioni,    proposizioni  in  aria, 


15fc>  I    PEOMESSI    SPOSI. 

tergiversazioni,  strascinati  tutti  verso  una  deliberazione  da 
una  necessità  sentita  da  tutti,  sapendo  che  giocavano  una 
gran  carta,  convinti  che  non  e'  era  da  far  altro,  conclusero 
di  rincarare  il  pane.  I  fornai  respirarono;  ma  il  popolo  im- 
bestialì. 

La  sera  avanti  questo  giorno  in  cui  Renzo  arrivò  in  Mi- 
lano, le  strade  e  le  piazze  brulicavano  d'  uomini,  che  traspor- 
tati da  una  rabbia  comune,  predominati  da  un  pensiero  co- 
mune, conoscenti  o  estranei,  si  riunivano  in  crocchi,  senza 
essersi  dati  V  intesa,  quasi  senza  avvedersene,  come  gocciole 
sparse  sullo  stesso  pendìo.  Ogni  discorso  accresceva  la  per- 
suasione e  la  passione  degli  uditori,  come  di  colui  che  l'aveva 
proferito.  Tra  tanti  appassionati,  e'  eran  pure  alcuni,  più  di 
sangue  freddo,  i  quali  stavano  osservando  con  molto  piacere» 
che  1'  acqua  s'  andava  intorbidando  :  e  s' ingegnavano  d' in- 
torbidarla di  più,  con  que'  ragionamenti,  e  con  quelle  storie 
che  i  furbi  sanno  comporre  e  che  gli  animi  alterati  sanno 
credere;  e  si  proponevano  di  non  lasciarla  posare,  quell'  ac- 
qua, senza  farci  un  po'  di  pesca.  Migliaia  d'  uomini  anda- 
rono a  letto  con  sentimento  indeterminato  che  qualche  cosa 
bisognava  fare,  che  qualche  cosa  si  farebbe.  Avanti  giorno, 
le  strade  eran  di  nuovo  sparse  di  crocchi;  fanciulli,  donne, 
uomini,  vecchi,  operai,  poveri,  si  radunavano  a  sorte:  qui  era 
un  bisbiglio  confuso  di  molte  voci;  là  uno  predicava,  e  gli  al- 
tri applaudivano:  questo  faceva  al  più  vicino  la  stessa  domanda 
eh'  era  allora  stata  fatta  a  lui  ;  quest'  altro  ripeteva  1'  escla- 
mazione che  s'  era  sentita  risuonare  agli  orecchi;  per  tutto 
lamenti,  minacce,  maraviglie:  un  picco!  numero  di  vocaboli 
era  il  materiale  di  tanti  discorsi. 

Non  mancava  altro  che  un'  occasione,  una  spinta,  un  av- 
viamento qualunque,  per  ridurre  le  parole  a  fatti;  e  non  tardò 
molto.  Uscivano,  sul  far  del  giorno,  dalle  botteghe  de'  fornai 
i  garzoni  che,  con  una  gerla  carica  di  pane,  andavano  a 
portarne  alle  solite  case.  11  primo  comparire  d' uno  di 
que'  malcapitati  ragazzi  dov'  era  un  crocchio  di  gente,  fu 
come  il  cadere  d'  un  salterello  acceso  in  una  polveriera. 
«Ecco  se  e'  è  il  pane!»  gridarono  cento  voci  insieme.  «Sì» 
per  i  tiranni,  che  notano  nell'  abbondanza,  e  voglion  far  mo- 
rire noi  di  fame,»  dice  uno;  s'accosta  al  ragazzetto,  avventa 
la  mano  all'  orlo  della  gerla,  dà  una  stratta,  e  dice:  «lascia 
vedere.»  11  ragazzetto  diventa  rosso,  pallido,  trema,  vorrebbe 
dire:  lasciatemi  andare;  ma  la  parola  gli  muore  in  bocca, 
allenta  le  braccia,  e  cerca  di  liberarle  in  fretta  dalle  cigne 
«Giù  quella  gerla,»  si  grida  intanto.  Molte  mani  1'  afferrano 
a  un  tempo;  è  in  terra;  si  butta  per  aria  il  canovaccio  che 
la  copre:  una  tepida  fragranza  si  diffonde  all'  intorno.  «Siam 
cristiani  anche  noi:  dobbiamo  mangiar  pane  anche  noi,»   dice 


CAPITOLO     XII.  157 

il  primo;  prende  un  pan  tondo,  l'alza,  facendolo  veder  alla 
folla,  1'  addenta:  mani  alla  gerla,  pani  per  aria;  in  men  che 
non  si  dice,  fu  sparecchiato.  Coloro  a  cui  non  era  toccato 
nulla,  irritati  alla  vista  del  guadagno  altrui,  e  animati  dalla 
facilità  dell'  impresa,  si  mossero  a  branchi,  in  cerca  d'  altre 
gerle:  quante  incontrate,  tante  svaligiate.  E  non  e'  era  nep- 
pur  bisogno  di  dar  l'assalto  ai  portatori:  quelli  che,  per  loro 
disgrazia,  si  trovavano  in  giro,  visto  la  mala  parata,  posavano 
volontariamente  il  carico,  e  via  a  gambe.  Con  tutto  ciò,  co- 
loro che  rimanevano  a  denti  secchi,  erano  senza  paragone  i 
più;  anche  i  conquistatori  non  eran  soddisfatti  di  prede  così 
piccole,  e  mescolati  poi  con  gli  uni  e  con  gli  altri,  e'  eran 
coloro  che  avevan  fatto  disegno  sopra  un  disordine  più  co'  fioc- 
chi.    «Al  forno!  al  forno!»  si  grida. 

Nella  strada  chiamata  la  Corsia  de' Servi,  c'era,  e  e' è 
tuttavia  un  forno,  che  conserva  lo  stesso  nome,  nome  che 
in  toscano  viene  a  dire  il  forno  delle  grucce,  e  in  milanese 
è  composto  di  parole  così  eteroclite,  così  bisbetiche,  così  sal- 
vatiche,  che  1'  alfabeto  della  lingua  non  ha  i  segni  per  in- 
dicarne il  suono*).  A  quella  parte  s'avventò  la  gente.  Quelli 
della  bottega  stavano  interrogando  il  garzone  tornato  scarico, 
il  quale,  tutto  sbigottito  e  abbaruffato,  riferiva  balbettando 
la  sua  trista  avventura:  quando  si  sente  un  calpestìo  e  un 
urlìo  insieme;  cresce  e  s'avvicina;  compariscono  i  forieri  della 
masnada. 

Serra,  serra;  presto,  presto:  uno  corre  a  chiedere  aiuto 
al  capitano  di  giustizia;  gli  altri  chiudono  in  fretta  la  bot- 
tega, e  appuntellano  i  battenti.  La  gente  comincia  a  affol- 
larsi di  fuori,  e  a  gridare:  «pane!  pane!  aprite!  aprite!» 

Pochi  momenti  dopo,  arriva  il  capitano  di  giustizia,  con 
una  scorta  d'  alabardieri.  «Largo ,  largo ,  figliuoli  :  a  casa, 
a  casa;  fate  luogo  al  capitano  di  giustizia,»  grida  lui  e 
gli  alabardieri.  La  gente,  che  non  era  ancor  troppo  fitta,  fa 
un  po'  di  luogo;  dimodoché  quelli  poterono  arrivare  e  po- 
starsi, insieme,  se  non  in  ordine,  davanti  alla  porta  della 
bottega. 

«Ma  figliuoli,»  predicava  di  lì  il  capitano,  «che  fate 
qui?  A  casa,  a  casa.  Dov'  è  il  timor  di  Dio?  Che  dirà  il 
re  nostro  signore?  Non  vogliano  farvi  male;  ma  andate  a 
casa.  Da  bravi!  Che  diamine  volete  far  qui,  così  ammon- 
tati? Niente  di  bene,  né  per  1'  anima,  né  per  il  corpo.  A 
casa,  a  casa.» 

Ma  quelli  che  vedevan  la  faccia  del  dicitore,  e  sentivan 
le  sue  parole,  quand'  anche  avessero  voluto  ubbidire,  dite 
un  poco  in  che  maniera  avrebber  potuto,   spinti   coni'  erano, 

*)  El  prestiti  di  scansc. 


158  I    PKOMESSI    SPOSI. 

e  incalzati  da  quelli  di  dietro,  spinti  anch'  essi  da  altri, 
come  flutti  da  flutti,  via  via  fino  all'estremità  della  folla, 
che  andava  sempre  crescendo.  Al  capitano,  cominciava  a 
mancargli  il  respiro.  «Fateli  dare  addietro  eh'  io  possa  ri- 
prender fiato,»  diceva  agli  alabardieri:  «ma  non  fate  male  a 
nessuno.  Vediamo  d'entrare  in  bottega:  picchiate:  fateli 
stare  indietro.» 

«Indietro!  indietro!»  gridano  gli  alabardieri,  buttandosi 
tutti  insieme  addosso  ai  primi,  e  respingendoli  con  P  aste  del- 
l'alabarde.  Quelli  urlano,  si  tirano  indietro,  come  possono; 
danno  con  le  schiene  ne'  petti,  co'  gomiti  nelle  pance,  co'  cal- 
cagni sulle  punte  de' piedi  a  quelli  che  son  dietro  a  loro:  si 
fa  un  pigìo,  una  calca,  che  quelli  che  si  trovano  in  mezzo, 
avrebbero  pagato  qualcosa  a  essere  altrove.  Intanto  un  po'  di 
vóto  s'  è  fatto  davanti  alla  porta:  il  capitano  picchia,  ripic- 
chia, urla  che  gli  aprano:  quelli  di  dentro  vedono  dalle  fine- 
stre, scendon  di  corsa,  aprono;  il  capitano  entra,  chiama  gli 
alabardieri,  che  si  ficcan  dentro  anch'  essi  1'  un  dopo  V  altro, 
gli  ultimi  rattenendo  la  folla  con  1'  alabarde.  Quando  sono 
entrati  tutti,  si  mette  tanto  di  catenaccio,  si  riappuntella;  il 
capitano  sale  di  corsa,  e  s'affaccia  a  una  finestra.  Uh,  che 
formicolaio! 

«Figliuoli,»  grida:  molti  si  voltano  in  su;  «figliuoli,  an- 
date a  casa.     Perdono  generale  a  chi  torna  subito  a  casa.» 

«Pane!  pane!  aprite!  aprite!»  eran  le  parole  più  distinte 
nell'  urlìo  orrendo,  che  la  folla  mandava  in  risposta. 

«Giudizio,  figliuoli!  badate  bene!  siete  ancora  a  tempo. 
Via,  andate,  tornate  a  casa.  Pane,  ne  avrete;  ma  non  è  que- 
sta la  maniera.  Eh!....  eh!  che  fate  laggiù!  Eh!  a  quella 
porta!  Oibò  oibò!  Vedo,  vedo:  giudizio!  badate  bene!  è  un 
delitto  grosso.  Or  ora  vengo  io.  Eh!  eh!  smettete  con  que' 
ferri:  giù  quelle  mani.  Vergogna!  Voi  altri  milanesi,  che, 
per  la  bontà,  siete  nominati  in  tutto  il  mondo!  Sentite,  sen- 
tite: siete  sempre  stati  buoni  fi...  .  Ah  canaglia!» 

Questa  rapida  mutazione  di  stile  fu  cagionata  da  una  pie- 
tra che,  uscita  dalle  mani  d'  uno  di  que'  buoni  figliuoli,  venne 
a  batter  nella  fronte  del  capitano,  sulla  protuberanza  sinistra 
della  profondità  metafisica.  «Canaglia!  canaglia!»  continuava 
a  gridare,  chiudendo  presto  presto  la  finestra,  e  ritirandosi. 
Ma  quantunque  avesse  gridato  quanto  n'  aveva  in  canna,  le 
sue  parole,  buone  e  cattive,  s'  eran  tutte  dileguate  e  disfatte 
a  mezz'  aria,  nella  tempesta  delle  grida  che  venivan  di  giù. 
Quello  poi  che  diceva  di  vedere,  era  un  gran  lavorare  di  pie- 
tre, di  ferri  (i  primi  che  coloro  avevano  potuto  procacciarsi 
per  la  strada),  che  si  faceva  alla  porta,  per  sfondarla,  e  alle 
finestre,  per  svellere  l'inferriate:  e  già  l'opera  era  molto 
avanzata 


CAPITOLO    XII.  159 

Intanto,  padroni  e  garzoni  della  bottega,  eh' erano  ^  alle 
finestre  de' piani  di  sopra,  con  una  munizione  di  pietre 
(avranno  probabilmente  disselciato  un  cortile),  urlavano  e  fa- 
cevan  versacci  a  quelli  di  giù,  perchè  smettessero;  facevan 
vedere  le  pietre,  accennavano  di  volerle  buttare.  Visto 
eh'  era  tempo  perso,  cominciarono  a  buttarle  davvero.  Nep- 
pur  una  ne  cadeva  in  fallo;  giacché  la  calca  era  tale  che  un 
granello  di  miglio,  come  si  suol  dire,  non  sarebbe  andato  in 
terra. 

cAh  birboni!  ah  furfantoni!  È  questo  il  pane  che  date 
alla  povera  gente?  Ahi!  Ahimè!  Ohi!  Ora,  ora!»  s'ur- 
lava di  giù.  Più  d'  uno  fu  conciato  male;  due  ragazzi  vi  ri- 
masero morti.  Il  furore  accrebbe  le  forze  della  moltitudine: 
la  porta  fu  sfondata,  1'  inferriate  svelte  ;  e  il  torrente  pene- 
trò per  tutti  i  varchi.  Quelli  di  dentro,  vedendo  la  mala  pa- 
rata, scapparono  in  soffitta:  il  capitano,  gli  alabardieri,  e  al- 
cuni della  casa  stettero  lì  rannicchiati  ne' cantucci:  altri, 
uscendo  per  gli  abbaini,  andavano  su  pe'  tetti,   come   i   gatti. 

La  vista  della  preda  fece  dimenticare  ai  vincitori  i  disegni 
di  vendette  sanguinose.  Si  slanciano  ai  cassoni;  il  pane  è 
messo  a  ruba.  Qualcheduno  invece  corre  al  banco,  butta  giù 
la  serratura,  agguanta  le  ciotole,  piglia  a  manate,  intasca,  ed 
esce  carico  di  quattrini,  per  tornar  poi  a  rubar  pane,  se  ne 
rimarrà.  La  folla  si  sparge  ne'  magazzini.  Metton  mano  ai 
sacchi,  li  strascicano,  li  rovesciano:  chi  se  ne  caccia  uno 
tra  le  gambe,  gli  scioglie  la  bocca,  e  per  ridurlo  a  un 
carico  da  potersi  portare,  butta  via  una  parte  della  fa- 
rina: chi,  gridando:  «aspetta,  aspetta,»  si  china  a  parare  il 
grembiule,  un  fazzoletto,  il  cappello,  per  ricever  quella  grazia 
di  Dio;  uno  corre  a  una  madia,  e  prende  un  pezzo  di  pasta, 
che  s' allunga,  e  gli  scappa  da  ogni  parte  ;  un  altro,  che  ha 
conquistato  un  burattello,  lo  porta  per  aria:  chi  va,  chi  viene: 
uomini,  donne,  fanciulli,  spinte,  respinte,  urli,  e  un  bianco 
polverìo  che  per  tutto  si  posa,  per  tutto  si  solleva,  e  tutto 
vela  e  annebbia.  Di  fuori  una  calca  composta  di  due  pro- 
cessioni opposte,  che  si  rompono  e  s' intralciano  a  vicenda, 
di  chi  esce  con  la  preda,  e  di  chi  vuol  entrare  a  farne. 

Mentre  quel  forno  veniva  così  messo  sottosopra,  nessun 
altro  della  città  era  quieto  e  senza  pericolo.  Ma  a  nessuno 
la  gente  accorse  in  numero  tale  da  potere  intraprender  tutto; 
in  alcuni  i  padroni  avevan  raccolto  degli  ausiliari,  e  stavan 
sulle  difese;  altrove,  trovandosi  in  pochi,  venivano  in  certo 
modo  a  patti:  distribuivan  pane  a  quelli  che  s'  eran  comin- 
ciati a  affollare  davanti  alle  botteghe,  con  questo  che  se 
n'andassero.  E  quelli  se  n'andavano,  non  tanto  perchè  fos- 
ser  soddisfatti,  quanto  perchè  gli  alabardieri  e  la  sbirraglia, 
stando  alla  larga  da  quel  tremendo  forno  delle  grucce,   si   fa- 


160  I   PROMESSI    SPOSI. 

cevau  però  vedere  altrove,  in  forza  bastante  a  tenere  in  ri- 
spetto i  tristi  che  non  fossero  una  folla.  Così  il  trambusto 
andava  sempre  crescendo  a  quel  primo  disgraziato  forno;  per- 
chè tutti  coloro  che  gli  pizzicavan  le  mani  di  far  qualche 
bell'impresa,  correvan  là,  dove  gli  amici  erano  i  più  forti,  e 
l' impunità  sicura. 

A  questo  punto  eran  le  cose,  quando  Renzo,  avendo  or- 
mai sgranocchiato  il  suo  pane,  veniva  avanti  per  il  borgo  di 
porta  orientale,  e  s'avviava,  senza  saperlo,  proprio  al  luogo 
centrale  del  tumulto.  Andava,  ora  lesto,  ora  ritardato  dalla 
folla:  e  andando,  guardava  e  stava  in  orecchi,  per  ricavar  da 
quel  ronzìo  confuso  di  discorsi  qualche  notizia  più  positiva 
dello  stato  delle  cose.  Ed  ecco  a  un  di  presso  le  parole  che 
gli  riuscì  di  rilevare  in  tutta  la  strada  che  fece. 

«Ora  è  scoperta, >;  gridava  uno,  «l'impostura  infame 
di  que'  birboni,  che  dicevano  che  non  e'  era  né  pane,  né  fa- 
rina, né  grano.  Ora  si  vede  la  cosa  chiara  e  lampante:  e 
non  ce  la  potranno  più  dare  ad  intendere.  Viva  V  abbon- 
danza!» 

«Vi  dico  io  che  tutto  questo  non  serve  a  nulla,»  diceva 
un  altro;  «è  un  buco  nell'  acqua:  anzi  sarà  peggio  se  non 
si  fa  una  buona  giustizia.  Il  pane  verrà  a  buon  mercato,  ma 
ci  metteranno  il  veleno,  per  far  morir  la  povera  gente,  come 
mosche.  Già  lo  dicono  che  siam  troppi;  V  hanno  detto  nella 
giunta  ;  e  lo  so  di  certo,  per  averlo  sentito  dir  io,  con  quest"  orec- 
chi, da  una  mia  comare  che  è  amica  d'  un  parente  d'  uno 
sguattero  d'  uno  di  que'  signori.» 

Parole  da  non  ripetersi  diceva,  con  la  schiuma  alla  bocca, 
un  altro,  che  teneva  con  una  mano  un  cencio  di  fazzoletto 
su'  capelli  arruffati  e  insanguinati.  E  qualche  vicino  come 
per  consolarlo  gli  faceva  eco. 

«Largo,  largo,  signori,  in  cortesia;  lascin  passare  un  po- 
vero padre  di  famiglia,  che  porta  da  mangiare  a  cinque 
figliuoli.»  Così  diceva  uno  che  veniva  barcollando  sotto  un 
gran  sacco  di  farina;  e  ognuno  s'  ingegnava  di  ritirarsi,  per 
fargli  largo. 

«Io,»  diceva  un  altro,  quasi  sottovoce,  a  un  suo  com- 
pagno: (do  me  la  batto.  Son  uomo  di  mondo,  e  so  come 
vanno  queste  cose.  Questi  merlotti  che  fanno  ora  tanto  fra- 
casso, domani  o  doman  1'  altro,  se  ne  staranno  in  casa,  tutti 
pieni  di  paura.  Ho  già  visti  certi  visi,  certi  galantuomini 
che  giran  facendo  l'indiano,  e  notano  chi  e'  è  e  chi  non  c'è: 
quando  poi  tutto  è  finito,  si  raccolgono  i  conti,  e  a  chi  tocca, 
tocca.» 

«Quello  che  protegge  i  fornai,»  gridava  una  voce  sonora, 
che  attirò  P  attenzione  di  Renzo,  «è  il  vicario  di  prov- 
visione.» 


CAPITOLO    XII.  161 

«Son  tutti  birboni,"  diceva  un  vicino. 

wSì;  ma  il  capo  è  lui,»  replicava  il  primo. 

Il  vicario  di  provvisione,  eletto  ogn' anno  dal  governatore 
tra  sei  nobili  proposti  dal  consiglio  de' decurioni,  era  il  pre- 
sidente di  questo,  e  del  tribunale  di  provvisione;  il  quale,  com- 
posto di  dodici,  anche  questi  nobili,  aveva  con  altre  attribu- 
zioni, quella  principalmente  dell'annona.  Chi  occupava  un 
tal  posto  doveva  necessariamente,  in  tempi  di  fame  e  d' igno- 
ranza, esser  detto  l'autore  de' mali:  meno  che  non  avesse 
fatto  ciò  che  fece  Ferrer;  cosa  che  non  era  nelle  sue  facoltà, 
se  anche  fosse  stata  nelle  sue  idee. 

«Scellerati!»  esclamava  un  altro:  «si  può  far  di  peggio? 
sono  arrivati  a  dire  che  il  gran  cancelliere  è  un  vecchio  rim- 
bambito, per  levar  il  credito,  e  comandar  loro  soli;  bisogne- 
rebbe fare  una  grande  stia,  e  mettergli  dentro,  a  viver  di  vecce 
e  di  loglio,  come  volevano  trattar  noi.  » 

«Pane  eh?»  diceva  uno  che  cercava  d'andar  in  fretta: 
«sassate  di  libbra:  pietre  di  questa  fatta,  che  venivan  giù 
come  la  grandine.  E  che  schiacciata  di  costole!  Non  vedo 
l'ora  d'essere  a  casa  mia.» 

Tra  questi  discorsi,  dei  quali  non  saprei  dire  se  fosse  più 
informato  o  sbalordito,  e  tra  gli  urtoni,  arrivò  Renzo  final- 
mente davanti  a  quel  forno.  La  gente  era  già  molto  diradata, 
dimodoché  potè  contemplare  il  brutto  e  recente  soqquadro. 
Le  mura  scalcinate  e  ammaccate  da  sassi,  da  mattoni,  le  fine- 
stre sgangherate,  diroccata  la  porta. 

—  Questa  poi  non  è  una  bella  cosa,  —  disse  Renzo  tra 
sé:  —  se  concian  così  tutti  i  forni,  dove  voglion  fare  il  pane? 
Ne' pozzi?  — 

Ogni  tanto,  usciva  dalla  bottega  qualcheduno  che  portava 
un  pezzo  di  cassone,  o  di  madia,  o  di  frullone,  la  stanga  d'  una 
gramola,  una  panca,  una  paniera,  un  libro  di  conti,  qualche 
cosa  in  somma  di  quel  povero  forno;  e  gridando:  «largo, 
largo»  passava  tra  la  gente.  Tutti  questi  s'incamminavano 
dalla  stessa  parte,  e  a  un  luogo  convenuto,  si  vedeva.  —  Cos'  è 
quest'altra  storia?  —  pensò  di  nuovo  Renzo;  e  andò  dietro 
a  uno  che,  fatto  un  fascio  d'asse  spezzate  e  di  schegge,  se 
lo  mise  in  ispalla,  avviandosi,  come  gli  altri,  per  la  strada 
che  costeggia  il  fianco  settentrionale  del  duomo,  e  ha  preso 
nome  dagli  scalini  che  e'  erano,  e  da  poco  in  qua  non  ci  sou 
più.  La  voglia  d'  osservar  gli  avvenimenti  non  potè  fare  che 
il  montanaro,  quando  gli  si  scoprì  davanti  la  gran  mole,  non 
si  soffermasse  a  guardare  in  su,  con  la  bocca  aperta.  Studiò 
poi  il  passo,  per  raggiunger  colui  che  aveva  preso  come  per 
guida;  voltò  il  canto,  diede  un'occhiata  anche  alla  facciata 
del  duomo,  rustica  allora  in  gran  parte  e  ben  lontana  dal 
compimento;   e  sempre   dietro  a  colui,    che  andava   verso  il 

Manzoni.  11 


162  I   PROMESSI   SPOSI. 

mezzo  delia  piazza.  La  gente  era  più  fitta  quanto  più  s'  an- 
dava avanti,  ma  al  portatore  gli  si  taceva  largo:  egli  fendeva 
l'onda  del  popolo,  e  Renzo,  standogli  sempre  attaccato,  ar- 
rivò con  lui  al  centro  della  folla.  Lì  c:  era  uno  spazio  vóto, 
e  in  mezzo,  un  mucchio  di  brace,  reliquie  degli  attrezzi  detti 
di  sopra.  All'  intorno  era  un  batter  di  mani  e  di  piedi ,  un 
frastono  di  mille  grida  di  trionfo  e  d' imprecazione. 

L'  uomo  del  fascio  lo  buttò  su  quel  mucchio  ;  un  altro  con 
un  mozzicone  di  pala  mezzo  abbruciacchiato,  sbracia  il  fuoco  : 
il  fumo  cresce  e  s'addensa:  la  fiamma  si  ridesta;  con  essa 
le  grida  sorgon  più  forti.  «Viva  l' abbondanza!  Muoiano 
gli  affamatomi  Muoia  la  carestia!  Crepi  la  provvisione! 
Crepi  la  giunta!     Viva  il  pane!<> 

Veramente,  la  distruzion  de'  frulloni  e  delle  madie,  la  de- 
vastazion  de' forni,  e  io  scompiglio  de' fornai,  non  sono  i 
mezzi  più  spicci  per  far  vivere  il  pane:  ma  questa  è  una  di 
quelle  sottigliezze  metafisiche ,  che  una  moltitudine  non  ci 
arriva.  Però,  senza  esser  un  gran  metafisico,  un  uomo  ci 
arriva  talvolta  alla  prima,  finch'  è  nuovo  nella  questione;  e 
solo  a  forza  di  parlarne,  e  di  sentirne  parlare,  diventerà  in- 
abile anche  a  intenderle.  A  Renzo  in  fatti  quel  pensiero  gli 
era  venuto  da  principio,  e  gli  tornava,  come  abbiam  visto, 
ogni  momento.  Lo  tenne  per  altro  in  sé;  perchè,  di  tanti 
visi,  non  ce  n'  era  uno  che  sembrasse  dire:  fratello,  se 
fallo,  correggimi,  che  1'  avrò  caro. 

Già  era  di  nuovo  finita  la  fiamma:  non  si  vedeva  più  ve- 
nir nessuno  con  altra  materia,  e  la  gente  cominciava  a  an- 
noiarsi: quando  si  sparse  la  voce,  che,  al  Cordusio  (una  piaz- 
zetta o  un  crocicchio  non  molto  distante  di  li),  s'  era  messo 
P  assedio  a  un  forno.  Spesso,  in  simili  circostanze,  1"  annun- 
zio d'  una  cosa  la  fa  essere.  Insieme  con  quella  voce,  si  diffuse 
nella  moltitudine  una  voglia  di  correr  là:  «io  vo;  tu  vai? 
vengo;  andiamo,»  si  sentiva  per  tutto:  la  calca  si  rompe,  e 
diventa  una  processione.  Renzo  rimaneva  indietro,  non  mo- 
vendosi quasi,  se  non  quanto  era  strascinato  dal  torrente;  e 
teneva  intanto  consiglio  in  cuor  suo,  se  dovesse  uscir  dal  bac- 
cano, e  ritornare  al  convento  in  cerca  del  padre  Bonaventura, 
o  andare  a  vedere  anche  quesr  altra.  Prevalse  di  nuovo  la 
curiosità.  Però  risolvette  di  non  cacciarsi  nel  fitto  della  mi- 
schia, a  farsi  ammaccar  P  ossa,  o  a  risicar  qualcosa  di  peg- 
gio; ma  di  tenersi  in  qualche  distanza,  a  osservare.  E  tro- 
vandosi già  un  poco  al  largo,  si  levò  di  tasca  il  secondo  pane, 
attaccandoci  un  morso,  s' avviò  alla  coda  dell"  esercito  tu- 
multuoso. 

Questo,  dalla  piazza,  era  già  entrato  nella  strada  corta  e 
stretta  di  Peschiera  vecchia,  e  di  là  per  queir  arco  a  sbieco, 
nella  piazza  de'  Mercanti.    £  lì  eran  ben  pochi   quelli  che, 


CAPITOLO    XII.  1G3 

nel  passar  davanti  alla  nicchia  che  taglia  il  mezzo  della  log- 
gia dell'  edilizio  chiamato  allora  il  collegio  de'  dottori,  non 
dessero  un'  occhiatina  alla  grande  statua  che  vi  campeggiava, 
a  quel  viso  serio,  burbero,  accipigliato,  e  non  dico  abbastanza, 
di  don  Filippo  II,  che,  anche  dal  marmo,  imponeva  un  non 
so  che  di  rispetto,  e,  con  quel  braccio  teso,  pareva  che  fosse 
lì  per  dire:  ora  vengo  io,  marmaglia. 

Quella  statua  non  e'  è  più,  per  un  caso  singolare.  Circa 
centosettant'  anni  dopo  quello  che  stiam  raccontando,  un 
giorno  le  fu  cambiata  la  testa,  le  fu  levato  di  mano  lo  scet- 
tro, e  sostituito  a  questo  un  pugnale;  e  alla  statua  fu  messo 
nome  Marco  Bruto.  Così  accomodata  stette  forse  un  par 
d'  anni;  ma,  una  mattina,  certuni  che  non  avevan  simpatia  con 
Marco  Bruto,  anzi  dovevano  avere  con  lui  una  ruggine  segreta, 
gettarono  una  fune  intorno  alla  statua,  la  tiraron  giù,  le 
fecero  cento  angherie;  e,  mutilata  e  ridotta  a  un  torso  in- 
forme, la  strascinarono,  con  gli  occhi  in  fuori,  e  con  le  lingue 
fuori,  per  le  strade,  e  quando  furono  stracchi  bene,  la  ruzzo- 
larono non  so  dove.  Chi  1'  avesse  detto  a  Andrea  Biffi,  quando 
la  scolpiva! 

Dalla  piazza  de'  Mercanti,  la  marmaglia  insaccò,  per  quel- 
1'  altr'  arco,  nella  via  de'  Fustagnai,  e  di  lì  si  sparpagliò 
nel  Cordusio.  Ognuno,  al  primo  sboccarvi,  guardava  subito 
verso  il  forno  eh'  era  stato  indicato.  Ma  in  vece  della  molti- 
tudine d'  amici  che  s'  aspettavano  di  trovar  lì  già  al  lavoro, 
videro  soltanto  alcuni  starsene,  come  esitando,  a  qualche  di- 
stanza della  bottega,  la  quale  era  chiusa,  e  alle  finestre  gente 
armata,  in  atto  di  star  pronti  a  difendersi.  A  quella  vista  chi 
si  maravigliava,  chi  sagrava,  chi  rideva:  chi  si  voltava,  per 
informar  quelli  che  arrivavan  via  via;  chi  si  fermava,  chi  vo- 
leva tornare  indietro,  chi  diceva:  «avanti,  avanti.»  C  era 
un  incalzare  e  un  rattenere,  come  un  ristagno,  una  titubazione, 
un  ronzìo  confuso  di  contrasti  e  di  consulte.  In  questa,  scop- 
piò di  mezzo  alla  folla  una  maledetta  voce:  «e'  è  qui  vicino 
la  casa  del  vicario  di  provvisione:  andiamo  a  far  giustizia,  e 
a  dare  il  sacco. «  Parve  il  rammentarsi  comune  d'  un  con- 
certo preso,  piuttosto  che  l' accettazione  d' una  proposta. 
«Dal  vicario!  dal  vicario!»  è  il  solo  grido  che  si  possa  sen- 
tire. La  turba  si  move,  tutta  insieme,  verso  la  strada  dov'  era 
la  casa  nominata  in  un  così  cattivo  punto. 


lì* 


164  I    PROMESSI   SPOSI. 


CAPITOLO  XIII. 

Lo  sventurato  vicario  stava,  in  quel  momento,  facendo  un 
chilo  agro  e  stentato  d'  un  desinare  biascicato  senza  appetito, 
e  senza  pan  fresco;  e  attendeva  con  gran  sospensione,  come 
avesse  a  finire  quella  burrasca,  lontano  però  dal  sospettare, 
che  dovesse  cader  così  spaventosamente  addosso  a  lui.  Qual- 
che galantuomo  precorse  di  galoppo  la  folla,  per  avvertirlo 
di  quel  che  gli  sovrastava.  I  servitori,  attirati  già  dal  rumore 
sulla  porta,  guardavano  sgomentati  lungo  la  strada,  dalla 
parte  donde  il  rumore  veniva  avvicinandosi.  Mentre  ascolta n 
1'  avviso,  vedon  comparire  la  vanguardia:  in  fretta  e  in  fu- 
ria, si  porta  l'avviso  al  padrone:  mentre  questo  pensa  a  fug- 
gire, e  come  fuggire,  un  altro  viene  a  dirgli  che  non  è  più  a 
tempo.  I  servitori  ne  hanno  appena  tanto  che  basti  per  chiu- 
der la  porta.  Metton  la  stanga,  metton  puntelli,  corrono  a  chiu- 
der le  finestre,  come  quando  si  vede  venire  avanti  un  tempo 
nero,  e  s'  aspetta  la  grandine,  da  un  momento  all'  altro.  L1  ur- 
lìo crescente,  scendendo  dall'alto  come  un  tuono,  rimbomba 
nel  vóto  cortile;  ogni  buco  della  casa  ne  rintrona:  e  di  mezzo 
al  vasto  e  confuso  strepito,  si  senton  forti  e  fitti  colpi  di  pie- 
tre alla  porta. 

«Il  vicario!  Il  tiranno!  L' affamatore!  Lo  vogliamo!  vivo 
o  morto!» 

Il  meschino  girava  di  stanza  in  stanza,  pallido,  senza  fiato, 
battendo  palma  a  palma,  raccomandandosi  a  Dio,  e  a'  suoi 
servitori  che  tenessero  fermo,  che  trovassero  la  maniera  di 
farlo  scappare.  Ma  come,  e  di  dove?  Salì  in  soffitta;  da  un 
pertugio,  guardò  ansiosamente  nella  strada;  e  la  vide  piena 
zeppa  di  furibondi;  sentì  le  voci  che  chiedevan  la  sua  morte; 
e  più  smarrito  che  mai  si  ritirò  e  andò  a  cercare  il  più  si- 
curo e  riposto  nascondiglio.  Lì  rannicchiato,  stava  attento 
attento,  se  mai  il  funesto  rumore  s'  affievolisse,  se  il  tumulto 
s'  acquietasse  un  poco  ;  ma  sentendo  in  vece  il  muggito  al- 
zarsi più  feroce  e  più  rumoroso,  e  raddoppiare  i  picchi,  preso 
da  un  nuovo  soprassalto  al  cuore ,  si  turava  gli  orecchi  in 
fretta.  Poi,  come  fuori  di  sé,  stringendo  i  denti,  e  raggrin- 
zando il  viso,  stendeva  le  braccia,  e  puntava  i  pugni,  come  se 

volesse  tener  ferma  la  porta Del  resto,    quel  che  facesse 

precisamente  non  si  può  sapere,  giacché  era  solo;  e  la  storia 
è  costretta  a  indovinare.    Fortuna  che  e'  è  avvezza. 

Renzo,  questa  volta,  si  trovava  nel  forte  del  tumulto,  non 
già  portatovi  dalla  piena,  ma  cacciatovisi  deliberatamente. 
A  quella  prima  proposta  di  sangue,  aveva  sentito  il  suo  ri- 
mescolarsi tutto:  in  quanto  al  saccheggio,  non  avrebbe  saputo 


CAPITOLO   XIII.  165 

dire  se  fosse  bene  o  male  in  quel  caso;  ma  l'idea  dell' omi- 
cìdio gli  cagionò  un  orrore  pretto  e  immediato.  E,  quantun- 
que, per  quella  funesta  docilità  degli  animi  appassionati  al- 
l' affermare  appassionato  di  molti,  fosse  persuasissimo  che  il 
vicario  era  la  cagion  principale  della  fame,  il  nemico  de'  po- 
veri, pure,  avendo,  al  primo  moversi  della  turba,  sentita  a 
caso  qualche  parola  che  indicava  la  volontà  di  fare  ogni  sforzo 
per  salvarlo,  s'  era  subito  proposto  d' aiutare  anche  lui 
un'  opera  tale  ;  e,  con  quest'  intenzione,  s'  era  cacciato  quasi 
fino  a  quella  porta,  che  veniva  travagliata  in  cento  modi.  Chi 
con  ciottoli  picchiava  su'  chiodi  della  serratura,  per  isconfic- 
caria;  altri  con  pali  e  scarpelli  e  martelli,  cercavano  di  lavo- 
rar più  in  regola:  altri  poi,  con  pietre,  con  coltelli  spuntati, 
con  chiodi,  con  bastoni,  con  l'unghie,  non  avendo  altro,  scal- 
cinavano il  muro,  e  s' ingegnavano  di  levare  i  mattoni,  e  fare 
una  breccia.  Quelli  che  non  potevano  aiutare,  facevan  corag- 
gio con  gli  urli;  ma  nello  stesso  tempo  con  lo  star  lì  a  pi- 
giare, impicciavan  di  più  il  lavoro  già  impicciato  dalla  gara 
disordinata  de'  lavoranti:  giacché  per  grazia  del  cielo,  accade 
talvolta  anche  nel  male  quella  cosa  troppo  frequente  nel  benet 
che  i  fautori  più  ardenti  divengono  un  impedimento. 

I  magistrati  eh'  ebbero  i  primi  V  avviso  di  quel  che  acca- 
deva, spediron  subito  a  chieder  soccorso  al  comandante  del 
castello,  che  allora  si  diceva  di  porta  Giovia;  il  quale  mandò 
alcuni  soldati.  Ma,  tra  l'avviso,  e  l'ordine,  e  il  radunarsi, 
e  il  mettersi  in  cammino,  e  il  cammino,  essi  arrivaron  che  la 
casa  era  già  cinta  di  vasto  assedio;  e  fecero  alto  lontano  da 
quella,  all'  estremità  della  folla.  L'  ufiziale  che  li  comandava, 
non  sapeva  che  partito  prendere.  Lì  non  era  altro  che  una, 
lasciatemi  dire,  accozzaglia  di  gente  varia  d'  età  e  di  sesso, 
che  stava  a  vedere.  All'  intimazioni  che  gli  venivan  fatte,  di 
sbandarsi,  e  di  dar  luogo,  rispondevano  con  un  cupo  e  lungo 
mormorio;  nessuno  si  moveva.  Far  fuoco  sopra  quella  ciur- 
ma, pareva  all'  ufiziale  cosa  non  solo  crudele,  ma  piena  di 
pericolo;  cosa  che,  offendendo  i  meno  terribili,  avrebbe  irri- 
tato i  molti  violenti:  e  del  resto,  non  aveva  una  tale  istruzione. 
Aprire  quella  prima  folla,  rovesciarla  a  destra  e  a  sinistra,  e 
andare  avanti  a  portar  la  guerra  a  chi  la  faceva,  sarebbe 
stata  la  meglio;  ma  riuscirvi,  lì  stava  il  punto.  Chi  sapeva 
se  i  soldati  avrebber  potuto  avanzarsi  uniti  e  ordinati?  Che 
se,  invece  di  romper  la  folla,  si  fossero  sparpagliati  loro  tra 
quella,  si  sarebber  trovati  a  sua  discrezione,  dopo  averla  aiz- 
zata. L'irresolutezza  del  comandante  e  l'immobilità  de' sol- 
dati parve,  a  diritto  o  a  torto,  paura.  La  gente  che  si  tro- 
vavan  vicino  a  loro,  si  contentavano  di  guardargli  in  viso,  con 
un'aria  come  si  dice,  di  me  n'impipo;  quelli  ch'erano  un 
po'  più  lontani,  non  se  ne  stavano  di  provocarli,  con   visacci 


1(36  I   PROMESSI   SPOSI. 

e  con  grida  di  scherno:  più  in  là.  pochi  sapevano  o  si  cura- 
vano che  ci  fossero;  i  guastatori  seguitavano  a  smurare,  sen- 
z'altro pensiero  che  di  riuscir  presto  nell'impresa;  gii  spet- 
tatori non  cessavano  d'  animarla  con  gli  urli. 

Spiccava  tra  questi,  ed  era  lui  stesso  spettacolo,  un  vec- 
chio mal  vissuto,  che,  spalancando  due  occhi  affossati  e  info- 
cati, contraendo  le  grinze  a  un  sogghigno  di  compiacenza  dia- 
bolica, con  le  mani  alzate  sopra  una  canizie  vituperosa,  agi- 
tava in  aria  un  martello,  una  corda,  quattro  gran  chiodi,  con 
che  diceva  di  volere  attaccare  il  vicario  a  un  battente  della 
sua  porta,  ammazzato  che  fosse. 

«Oibò!  vergogna!»  scappò  fuori  Renzo,  inorridito  a  quelle 
parole,  alla  vista  di  tant'  altri  visi  che  davan  segno  d'  appro- 
varle, e  incoraggito  dal  vederne  degli  altri,  sui  quali,  benché 
muti,  traspariva  lo  stesso  orrore  del  quale  era  compreso  lui. 
«Vergogna!  Vogliam  noi  rubare  il  mestiere  al  boia?  assassi- 
nare un  cristiano?  Come  volete  che  Dio  ci  dia  del  pane,  se 
facciamo  di  queste  atrocità?  Ci  manderà  de' fulmini,  e  non 
del  pane!») 

«Ah  cane!  ah  traditor  della  patria!))  gridò  voltandosi  a 
Renzo,  con  un  viso  da  indemoniato,  un  di  coloro  che  avevan 
potuto  sentire  tra  il  frastono  quelle  sante  parole.  «Aspetta, 
aspetta!  È  un  servitore  del  vicario,  travestito  da  contadino; 
è  una  spia:  dalli,  dalli!»  Cento  voci  si  spargono  all'intorno. 
«Cos'è?  dov'è?  chi  è?  Un  servitore  del  vicario.  Una  spia. 
Il  vicario  travestito  da  contadino,  che  scappa.  Dov'è?  dov'  è? 
dalli,  dalli!» 

Renzo  ammutolisce,  diventa  piccino  piccino,  vorrebbe  spa- 
rire; alcuni  suoi  vicini  lo  prendono  in  mezzo;  e  con  alte  e 
diverse  grida  cercano  di  confondere  quelle  voci  nemiche  e 
omicide.  Ma  ciò  che  più  di  tutto  lo  servì  fu  un  «largo,  lar- 
go,» che  si  sentì  gridar  lì  vicino  :  «largo  !  è  qui  1'  aiuto  :  lar- 
go! ohe!» 

Cos'  era?  Era  una  lunga  scala  a  mano,  che  alcuni  porta- 
vano per  appoggiarla  alla  casa,  e  entrarci  da  una  finestra. 
Ma  per  buona  sorte,  quel  mezzo,  che  avrebbe  resa  la  cosa 
facile,  non  era  facile  esso  a  mettere  in  opera.  I  portatori,  al- 
l' una  e  all'  altra  cima,  e  di  qua  e  di  là  della  macchina,  ur- 
tati, scompigliati,  divisi  dalla  calca,  andavano  a  onde:  uno, 
con  la  testa  tra  due  scalini  e  gli  staggi  sulle  spalle,  oppresso 
come  sotto  un  giogo  scosso,  mugghiava;  un  altro  veniva  stac- 
cato dal  carico,  con  una  spinta;  la  scala  abbandonata  picchiava 
spalle,  braccia,  costole;  pensate  cosa  dovevan  dire  coloro 
de'  quali  erano.  Altri  sollevano  con  le  mani  il  peso  morto, 
vi  si  caccian  sotto,  se  lo  mettono  addosso,  gridando:  «animo! 
andiamo!»  La  macchina  fatale  s'  avanza  balzelloni,  e  ser- 
peggiando. Arrivò  a  tempo  a  distrarre  e  a  disordinare  i  ne- 


CAPITOLO    XIII.  167 

mici  di  Renzo,  il  quale  profittò  della  confusione  nata  nella 
confusione;  e,  quatto  quatto  sul  principio,  poi  giocando  di  go- 
mita a  più  non  posso,  s'  allontanò  da  quel  luogo ,  dove  non 
e'  era  buon'  aria  per  lui,  con  V  intenzione  anche  d:  uscire, 
più  presto  che  potesse,  dal  tumulto,  e  d'  andar  davvero  a  tro- 
vare o  aspettare  il  padre  Bonaventura. 

Tutt' a  un  tratto,  un  movimento  straordinario  cominciato 
a  una  estremità,  si  propaga  per  la  folla,  una  voce  si  sparge, 
viene  avanti  di  bocca  in  bocca:  "Ferrer!  Ferrera  Una  mara- 
viglia, una  gioia,  una  rabbia,  un'  inclinazione,  una  ripugnanza, 
scoppiano  per  tutto  dove  arriva  quel  nome;  chi  lo  grida,  chi 
vuol  soffogarlo;  chi  afferma,  chi  nega,  chi  benedice,  chi  be- 
stemmia, 

i-È  qui  Ferrer!  —  Non  è  vero,  non  è  vero!  —  Si.  sì;  viva 
Ferrer!  quello  che  ha  messo  il  pane  a  buon  mercato.  —  No, 
no!  —  È  qui,  è  qui  in  carrozza.  —  Cosa  importa?  che  c'en- 
tra lui?  non  vogliamo  nessuno!  —  Ferrer!  viva  Ferrer! 
l'amico  della  povera  gente!  viene  per  condurre  in  prigione 
il  vicario.  — No,  no:  vogliamo  far  giustizia  noi:  indietro,  in- 
dietro! —  Sì,  sì:  Ferrer!  venga  Ferrer!  in  prigione  il  vi- 
cario!» 

E  tutti  alzandosi  in  punta  di  piedi,  si  voltano  a  guardare 
da  quella  parte  donde  s'  annunziava  1"  inaspettato  arrivo.  Al- 
zandosi tutti,  vedevano  né  più  né  meno  che  se  fossero  stati 
tutti  con  le  piante  in  terra;  ma  tant'  è,  tutti  s'  alzavano. 

In  fatti,  ali*  estremità  della  folla,  dalla  parte  opposta  a 
quella  dove  stavano  i  soldati,  era  arrivato  in  carrozza  Antonio 
Ferrer,  il  gran  cancelliere;  il  quale  rimordendogli  probabil- 
mente la  coscienza  d'  essere,  co'  suoi  spropositi  e  con  la  sua 
ostinazione,  stato  causa,  o  almeno  occasione  di  quella  som- 
mossa, veniva  ora  a  cercar  d;  acquietarla,  e  d'  impedirne  al- 
meno il  più  terribile  e  irreparabile  effetto:  veniva  a  spender 
bene  una  popolarità  mal  acquistata. 

Ne'  tumulti  popolari  e'  é  sempre  un  certo  numero  d'  uo- 
mini che,  o  per  un  riscaldamento  di  passione,  o  per  una 
persuasione  fanatica,  o  per  un  disegno  scellerato,  o  per  un 
maledetto  gusto  del  soqquadro,  fanno  di  tutto  per  ispinger  le 
cose  al  peggio;  propongono  o  promovono  i  più  spietati  con- 
sigli, soffian  nel  fuoco  ogni  volta  che  principia  a  illanguidire  : 
non  è  mai  troppo  per  costoro;  non  vorrebbero  che  il  tu- 
multo avesse  né  fine  né  misura.  Ma  per  contrappeso,  e'  è 
sempre  anche  un  certo  numero  d'  altri  uomini  che,  con  pari 
ardore  e  con  insistenza  pari,  s'  adoprano  per  produr  I'  effetto 
contrario;  taluni  mossi  da  amicizia  o  da  parzialità  per  le  per- 
sone minacciate;  altri  senz'  altro  impulso  che  d;  un  pio  e 
spontaneo  orrore  del  sangue  e  de'  fatti  atroci.    Il  cielo  li  be- 


168  I    PROMESSI    SPOSI. 

nedica.  In  ciascuna  di  queste  due  parti  opposte,  anche  quan- 
do non  ci  siano  concerti  antecedenti,  l'uniformità  de' voleri 
crea  un  concerto  istantaneo  nell'  operazioni.  Chi  forma  poi 
la  massa,  e  quasi  il  materiale  del  tumulto,  è  un  miscuglio  ac- 
cidentale d'  uomini,  che,  più  o  meno  per  gradazioni  indefinite, 
tengono  dell'uno  e  dell'altro  estremo:  un  po' riscaldati,  un 
po'  furbi,  un  po'  inclinati  a  una  certa  giustizia,  come  P  in- 
teri don  loro,  un  po'  vogliosi  di  vederne  qualcheduna  grossa, 
pronti  alla  ferocia  e  alla  misericordia,  a  detestare  e  ad  ado- 
rare, secondo  che  si  presenti  1'  occasione  di  provar  con  pie- 
nezza l'uno  o  l'altro  sentimento;  avidi  ogni  momento  di  sa- 
pere, di  credere  qualche  cosa  grossa,  bisognosi  di  gridare,, 
d'  applaudire  a  qualcheduno,  o  d'  urlargli  dietro.  Viva  e 
muoia,  son  le  parole  che  mandan  fuori  più  volentieri;  e  chi 
è  riuscito  a  persuaderli  che  un  tale  non  meriti  d'essere  squar- 
tato, non  ha  bisogno  di  spender  più  parole  per  convincerli 
che  sia  degno  d'essere  portato  in  trionfo:  attori,  spettatori, 
strumenti,  ostacoli,  secondo  il  vento;  pronti  anche  a  stare  zitti, 
quando  non  sentan  più  grida  da  ripetere,  a  finirla,  quando 
manchino  gì'  istigatori,  a  sbandarsi,  quando  molte  voci  con- 
cordi e  non  contradette  abbiano  detto:  andiamo;  e  a  tornar- 
sene a  casa,  domandandosi  P  uno  con  P  altro:  cos'  è  stato? 
Siccome  però  questa  massa,  avendo  la  maggior  forza,  la  può 
dare  a  chi  vuole,  così  ognuna  delle  due  parti  attive  usa  ogni 
arte  per  tirarla  dalla  sua,  per  impadronirsene:  sono  quasi  due 
anime  nemiche,  che  combattono  per  entrare  in  quel  cor- 
paccio, e  farlo  movere.  Fanno  a  chi  saprà  sparger  le  voci 
più  atte  a  eccitar  le  passioni,  a  dirigere  i  movimenti  a  fa- 
vore dell'  uno  o  dell'  altro  intento  ;  a  chi  saprà  più  a  pro- 
posito trovare  le  nuove  che  riaccendano  gli  sdegni,  o  gli 
affievoliscano,  risveglino  le  speranze  o  i  terrori  :  a  chi  sa- 
prà trovare  il  grido,  che  ripetuto  dai  più  e  più  forte,  espri- 
ma, attesti  e  crei  nello  stesso  tempo  il  voto  della  pluralità, 
per  P  una  o  per  P  altra  parte.  Tutta  questa  chiacchierata 
s'  è  fatta  per  venire  a  dire  che,  nella  lotta  tra  le  due  parti 
che  si  contendevano  il  voto  della  gente  affollata  alla  casa  del 
vicario,  l'apparizione  d'Antonio  Ferrer  diede,  quasi  in  un 
momento,  un  gran  vantaggio  alla  parte  degli  umani,  la  quale 
era  manifestamente  al  di  sotto  e,  un  po'  più  che  quel  soccorso 
fosse  tardato,  non  avrebbe  avuto  più,  né  forza,  né  motivo  di 
combattere.  L'  uomo  era  gradito  alla  moltitudine,  per  quella 
tariffa  di  sua  invenzione  così  favorevole  a'  compratori,  e  per 
quel  suo  eroico  star  duro  contro  ogni  ragionamento  in  contra- 
rio. Gli  animi  già  propensi  erano  ora  ancor  più  innamorati 
dalla  fiducia  animosa  del  vecchio  che,  senza  guardie,  senza 
apparato,  veniva  così  a  trovare,  ad  affrontare  una  moltitudine 
irritata  e  procellosa.  Faceva  poi  un  effetto  mirabile  il  sentire 


CAPITOLO    XIII.  169 

che  veniva  a  condurre  in  prigione  il  vicario:  così  il  furore 
contro  costui,  che  si  sarebbe  scatenato  peggio,  chi  1"  avesse 
preso  con  le  brusche,  e  non  gli  avesse  voluto  conceder  nulla, 
ora  con  quella  promessa  di  soddisfazione,  con  quell'osso  in 
bocca,  s'  acquietava  un  poco,  e  dava  luogo  agli  altri  opposti 
sentimenti,  che  sorgevano  in  una  gran  parte  degli  animi. 

I  partigiani  della  pace,  ripreso  fiato,  secondavano  Ferrer 
in  cento  maniere:  quelli  che  si  trovavan  vicini  a  lui,  eccitando 
e  rieccitando  col  loro  il  pubblico  applauso,  e  cercando  insieme 
di  far  ritirare  la  gente,  per  aprire  il  passo  alla  carrozza;  gli 
altri,  applaudendo,  ripetendo  e  facendo  passare  le  sue  parole, 
o  quelle  che  a  lor  parevano  le  migliori  che  potesse  dire, 
dando  sulla  voce  ai  furiosi  ostinati,  e  rivolgendo  contro  di 
loro  la  nuova  passione  della  mobile  adunanza.  «Chi  è  che 
non  vuole  che  si  dica:  viva  Ferrer?  Tu  non  vorresti  eh,  che 
il  pane  fosse  a  buon  mercato?  Son  birboni  che  non  vogliono 
una  giustizia  da  cristiani:  e  e'  è  di  quelli  che  schiamazzano 
più  degli  altri,  per  fare  scappare  il  vicario.  In  prigione  il 
vicario!  Viva  Ferrer!  Largo  a  Ferrer!)  E  crescendo  sem- 
pre più  quelli  che  parlavan  così,  s'  andava  a  proporzione  ab- 
bassando la  baldanza  della  parte  contraria:  di  maniera  che  i 
primi  dal  predicare  vennero  anche  a  dar  sulle  mani  a  quelli 
che  diroccavano  ancora,  a  cacciarli  indietro,  a  levar  loro  dal- 
l' unghie  gli  ordigni.  Questi  fremevano,  minacciavano  anche, 
cercavano  di  rifarsi;  ma  la  causa  del  sangue  era  perduta:  il 
grido  che  predominava  era:  prigione,  giustizia,  Ferrer!  Dopo 
un  po' di  dibattimento,  coloro  furon  respinti:  gli  altri  s' im- 
padroniron  della  porta,  e  per  tenerla  difesa  da  nuovi  assalti, 
e  per  prepararvi  1'  adito  a  Ferrer;  e  alcuno  di  essi,  mandando 
dentro  una  voce  a  quelli  di  casa  (fessure  non  ne  mancava) 
gli  avvisò  che  arrivava  soccorso,  e  che  facessero  star  pronto 
il  vicario,  «per  andar  subito....  in  prigione:  ehm,  avete 
inteso.» 

«È  quel  Ferrer  che  aiuta  a  far  le  gride?»  domandò  a  un 
nuovo  vicino  il  nostro  Renzo,  che  si  rammentò  del  vidit  Fer- 
rer che  il  dottore  gli  aveva  gridato  all'orecchio,  facendoglielo 
vedere  in  fondo  di  quella  tale. 

«Già:  il  gran  cancelliere,»  gli  fu  risposto. 

«È  un  galantuomo,  n'  è  vero?» 

(Eccome  se  è  un  galantuomo!  è  quello  che  aveva  messo 
il  pane  a  buon  mercato;  e  gli  altri  non  hanno  voluto:  e  ora 
viene  a  condurre  in  prigione  il  vicario  che  non  ha  fatto  le 
cose  giuste.» 

Non  fa  bisogno  di  dire  che  Renzo  fu  subito  per  Ferrer. 
Volle  andargli  incontro  addirittura:  la  cosa  non  era  facile; 
ma  con  certe  sue  spinte   e   gomitate    da   alpigiano,   riuscì   a 


ITO  1    PROMESSI    SPOSI. 

farsi  largo,  e  a  arrivare  in  prima  fila,  proprio  di  fianco   alla 
carrozza. 

Era  questa  già  un  po'  inoltrata  nelia  folla;  e  in  quel  mo- 
mento stava  ferma,  per  uno  di  quegF  incagli  inevitabili  e  fre- 
quenti, in  unr  andata  di  quella  sorte.  Il  vecchio  Ferrer  pre- 
sentava ora  all'  uno,  ora  all'  altro  sportello,  un  viso  che  aveva 
tenuto  sempre  in  serbo  per  quando  si  trovasse  alla  presenza 
di  don  Filippo  IV;  ma  fu  costretto  a  spenderlo  anche  in 
quest*  occasione.  Parlava  anche;  ma  il  chiasso  e  il  ronzìo  di 
tante  voci,  gli  evviva  stessi  che  si  facevano  a  lui,  lasciavano 
ben  poco  e  a  ben  pochi  sentir  le  sue  parole.  S'  aiutava  dun- 
que co'  gesti,  ora  mettendo  la  punta  delle  mani  sulle  labbra, 
a  prendere  un  bacio  che  le  mani,  separandosi  subito,  distri- 
buivano a  destra  e  a  sinistra  in  ringraziamento  alla  pubblica 
benevolenza;  ora  stendendole  e  movendole  lentamente  fuori 
d'uno  sportello,  per  chiedere  un  po' di  luogo:  ora  abbassan- 
dole garbatamente,  per  chiedere  un  po'  di  silenzio.  Quando 
n'  aveva  ottenuto  un  poco,  i  più  vicini  sentivano  e  ripetevano 
le  sue  parole:  <pane.  abbondanza:  vengo  a  far  giustizia:  un 
po'  di  luogo  di  grazia.»  Sopraffatto  poi  e  come  soffogato  dal 
fracasso  di  tante  voci,  dalla  vista  di  tanti  visi  fitti,  di  tant' oc- 
chi addosso  a  lui,  si  tirava  indietro  un  momento,  gonfiava  le 
gote,  mandava  un  gran  soffio,  e  diceva  tra  sé:  — por  tra  vida, 
qué  de  gerite. 

'Viva  Ferrer!  Non  abbia  paura.  Lei  è  un  galantuomo. 
Pane,  pane!» 

■Sì;  pane,  pane,»  rispondeva  Ferrer:  "abbondanza;  lo 
prometto  io,»  e  metteva  la  mano  al  petto. 

"Un  po'  di  luogo,"  aggiungeva  subito  :  «vengo  per  con- 
durlo in  prigione,  per  dargli  il  giusto  gastigo  che  si  merita.» 
e  soggiungeva  sotto  voce:  <s?  es  culpabìe.»  Chinandosi  poi 
innanzi  verso  il  cocchiere,  gli  diceva  in  fretta:  «addante, 
Fedro,  si  jmedes.* 

Il  cocchiere  sorrideva  anche  lui  alla  moltitudine,  con  una 
grazia  affettuosa,  come  se  fosse  stato  un  gran  personaggio  ;  e 
con  un  garbo  ineffabile,  dimenava  adagio  adagio  la  frusta,  a 
destra  e  a  sinistra,  per  chiedere  agi"  incomodi  vicini  che  si 
nsf tingessero  e  si  ritirassero  un  poco.  «Di  grazia."  dicetS. 
anche  lui,  ^signori  miei,  un  po'  di  luogo,  un  pochino  ;  appena 
appena  da  poter  passare.» 

Intanto  i  benevoli  più  attivi  s'  adopravano  a  far  fare  il 
luogo  chiesto  così  gentilmente.  Alcuni  davanti  ai  cavalli  fa- 
cevano ritirar  le  persone,  con  buone  parole,  con  un  mettere 
le  mani  sui  petti,  con  certe  spinte  soavi:  <in  là,  via,  un 
po'  di  luogo,  signori;-'  alcuni  facevan  lo  stesso  dalle  due 
parti  della  carrozza,  perchè  potesse  passare  senza  arrotar 
piedi,  né  ammaccar  mostacci;  che,  oltre  il  male  delle  persone, 


CAPITOLO    XIII.  ITI 

sarebbe  stato  porre  a  un  gran  repentaglio  I1  auge  d'  Antonio 
Ferrer. 

Renzo,  dopo  essere  stato  qualche  momento  a  vagheggiare 
quella  decorosa  vecchiezza,  conturbata  un  po'  dall'  angustia, 
aggravata  dalla  fatica,  ma  animata  dalla  sollecitudine,  ab- 
bellita, per  dir  così,  dalla  speranza  di  togliere  un  uomo 
all'  angosce  mortali,  Renzo,  dico,  mise  da  parte  ogni  pen- 
siero d'andarsene;  e  si  risolvette  d'aiutare  Ferrer,  e 
di  non  abbandonarlo,  fin  che  non  fosse  ottenuto  1*  inten- 
to. Detto  fatto,  si  mise  con  gli  altri  a  far  largo;  e  non 
era  certo  dei  meno  attivi.  Il  largo  si  fece;  «venite  pure 
avanti,»  diceva  più  d'  uno  al  cocchiere,  ritirandosi  e  an- 
dando a  fargli  un  po'  di  strada  più  innanzi.  «Addante, 
presto,  con  juicio,»  gli  disse  anche  il  padrone;  e  la  carrozza 
si  mosse.  Ferrer,  in  mezzo  ai  saluti  che  scialacquava  al  pub- 
blico in  massa,  ne  faceva  certi  particolari  di  ringraziamento, 
•con  un  sorriso  d'  intelligenza,  a  quelli  che  vedeva  adoprarsi 
per  lui:  e  di  questi  sorrisi  ne  toccò  più  d'  uno  a  Renzo,  il 
quale  per  verità  se  li  meritava,  e  serviva  in  quel  giorno  il 
gran  cancelliere  meglio  che  non  avrebbe  potuto  fare  il  più 
bravo  de'  suoi  segretari.  Al  giovane  montanaro,  invaghito  di 
quella  buona  grazia,  pareva  quasi  d'  aver  fatto  amicizia  con 
Antonio  Ferrer. 

La  carrozza,  una  volta  incamminata,  seguitò  poi  più  o 
meno  adagio,  e  non  senza  qualche  altra  fermatina.  Il  tragitto 
non  era  forse  più  che  un  tiro  di  schioppo;  ma  riguardo  al 
tempo  impiegatovi,  avrebbe  potuto  parere  un  viaggetto,  anche 
a  chi  non  avesse  avuto  la  santa  fretta  di  Ferrer.  La  gente 
si  moveva,  davanti  e  di  dietro,  a  destra  e  a  sinistra  della  car- 
rozza, a  guisa  di  cavalloni  intorno  a  una  nave  che  avanza  nel 
forte  della  tempesta.  Più  acuto,  più  scordato,  più  assordante 
di  quello  della  tempesta  era  il  frastono.  Ferrer,  guardando 
ora  da  una  parte,  ora  dall'  altra,  atteggiandosi  e  gestendo 
insieme,  cercava  d'  intender  qualche  cosa,  per  accomodar  le 
risposte  al  bisogno;  voleva  far  alla  meglio  un  po'  di  dialogo 
con  quella  brigata  d'amici;  ma  la  cosa  era  difficile,  la  più 
difficile  forse  che  gli  fosse  ancora  capitata,  in  tant'  anni  di 
grancancellierato.  Ogni  tanto  però  qualche  parola,  anche  qual- 
che frase,  ripetuta  da  un  crocchio  nel  suo  passeggio,  gli  si 
faceva  sentire,  come  lo  scoppio  d'  un  razzo  più  forte  si  fa 
sentire  nell'  immenso  scoppiettio  d'  un  fuoco  artifiziale.  E 
lui,  ora  ingegnandosi  di  rispondere  in  modo  soddisfacente  a 
queste  grida,  ora  dicendo  a  buon  conto  le  parole  che  sapeva 
dover  esser  più  accette,  o  che  qualche  necessità  istantanea 
pareva  richiedere,  parlò  anche  lui  per  tutta  la  strada:  «Si, 
signori;  pane,  abbondanza.  Lo  condurrò  io  in  prigione:  sarà 
gastigato  ....  si  es  cuìpable.    Sì,  sì,  comanderò  io:    il   pane 


172  1   PROMESSI    SPOSI. 

a  buon  mercato.  Asi  es,  .  .  .  così  è,  voglio  dire:  il  re  nostro- 
signore  non  vuole  che  codesti  fedelissimi  vassalli  patiscan  la- 
fame.  Oxì  Oxl  guarddos:  non  si  facciano  male,  signori.  Fe- 
dro, addante  con  juicio.  Abbondanza,  abbondanza.  Un. 
po'  di  luogo,  per  carità.  Pane,  pane.  In  prigione,  in  pri- 
gione. Cosa?»  domandava  poi  a  uno  che  s'era  buttato  mezzo 
dentro  lo  sportello,  a  urlargli  qualche  suo  consiglio  o  pre- 
ghiera o  applauso  che  fosse.  Ma  costui,  senza  poter  nep- 
pure ricevere  il  «cosa?»,  era  stato  tirato  indietro  da  uno 
che  lo  vedeva  lì  lì  per  essere  schiacciato  da  una  rota.  Con 
queste  botte  e  risposte,  tra  le  incessanti  acclamazioni,  tra 
qualche  fremito  anche  d'  opposizione,  che  si  faceva  sentire 
qua  e  là,  ma  era  subito  soffogato,  ecco  alla  fine  Ferrer 
arrivato  alla  casa,  per  opera  principalmente  di  que'  buoni 
ausiliari. 

Gli  altri  che,  come  abbiam  detto,  eran  già  lì  con  le  me- 
desime buone  intenzioni,  avevano  intanto  lavorato  a  fare  e- 
a  rifare  un  po' di  piazza.  Prega,  esorta,  minaccia,  pigia,  ri- 
pigia, incalza  di  qua  e  di  là,  con  quel  raddoppiare  di  voglia^ 
e  con  quel  rinnovamento  di  forze  che  viene  dal  veder  vicino 
il  fine  desiderato;  gli  era  finalmente  riuscito  di  divider  la  calca 
in  due,  e  poi  di  spingere  indietro  le  due  calche;  tanto  che, 
tra  la  porta  e  la  carrozza,  che  vi  si  fermò  davanti,  v'  era 
un  piccolo  spazio  vóto.  Ptenzo,  che,  facendo  un  po'  da  batti- 
strada, un  po'  da  scorta,  era  arrivato  con  la  carrozza,  pote- 
collocarsi  in  una  di  queile  due  frontiere  di  benevoli,  che  face- 
vano, nello  stesso  tempo,  ala  alla  carrozza  e  argine  alle  due 
onde  prementi  di  popolo.  E  aiutando  a  rattenerne  una  cop- 
ie poderose  sue  spalle,  si  trovò  anche  in  un  bel  posto  per  po- 
ter vedere. 

Ferrer  mise  un  gran  respiro,  quando  vide  quella  piazzetta 
libera,  e  la  porta  ancor  chiusa.  Chiusa  qui  vuol  dire  non. 
aperta;  del  resto  i  gangheri  eran  quasi  sconficcati  fuor  dei 
pilastri:  i  battenti  scheggiati,  ammaccati,  sforzati  e  scomba- 
ciati nel  mezzo  lasciavano  veder  fuori  da  un  largo  spiraglio 
un  pezzo  di  catenaccio  storto,  allentato,  e  quasi  divelto,  che, 
se  vogliam  dir  così,  li  teneva  insieme.  Un  galantuomo  s'  era 
affacciato  a  quel  fesso,  a  gridar  che  aprissero;  un  altro  spa- 
lancò in  fretta  lo  sportello  della  carrozza,  il  vecchio  mise 
fuori  la  testa,  s'  alzò,  e  afferrando  con  la  destra  il  braccio 
di  quel  galantuomo,  uscì  e  scese  sul  predellino. 

La  folla,  da  una  parte  e  dall'  altra,  stava  tutta  in  punta 
di  piedi  per  vedere:  mille  visi,  mille  barbe  in  aria:  la  curio- 
sità e  1'  attenzione  generale  creò  un  momento  di  generale  si- 
lenzio. Ferrer,  fermatosi  quel  momento  sul  predellino,  diede 
un'occhiata  in  giro,  salutò  con  un  inchino  la  moltitudine, 
come  da  un  pulpito,  e  messa  la  mano  sinistra  al   petto,  gri- 


CAPITOLO   XIII.  173 

dò:  «pane  e  giustizia;-)  e  franco,  diritto,  togato,  scese  in 
terra,  tra  1'  acclamazioni  che  andavano  alle  stelle. 

Intanto  quelli  di  dentro  avevano  aperto,  ossia  avevano 
finito  d'  aprire,  tirando  via  il  catenaccio  insieme  con  gli  anelli 
già  mezzi  sconficcati,  e  allargando  lo  spiraglio,  appena  quanto 
bastava  per  fare  entrare  il  desideratissimo  ospite.  aPresto, 
presto,'»  diceva  lui  :  «aprite  bene,  eh'  io  possa  entrare  :  e  voi, 
da  bravi,  tenete  indietro  la  gente:  non  mi  lasciate  venire  ad- 
dosso ....  per  V  amor  del  cielo!  Serbate  un  po'  di  largo  per 
tra  poco....  Ehi!  ehi!  signori,  un  momento,»  diceva  poi 
ancora  a  quelli  di  dentro:  «adagio  con  quel  battente,  lascia- 
temi passare:  eh!  le  mie  costole;  vi  raccomando  le  mie  co- 
stole. Chiudete  ora:  no;  eh!  eh!  la  toga!  la  toga!»  Sarebbe 
infatti  rimasta  presa  tra  i  battenti,  se  Ferrer  non  n'  avesse 
ritirato  con  molta  disinvoltura  lo  strascico,  che  disparve  come 
la  coda  d'  una  serpe,  che  si  rimbuca  inseguita. 

Riaccostati  i  battenti,  furono  anche  riappuntellati  alla  me- 
glio. Di  fuori,  quelli  che  s;  eran  costituiti  guardia  del  corpo 
di  Ferrer,  lavoravano  di  spalle,  di  braccia  e  di  grida,  a  man- 
tener la  piazza  vota,  pregando  in  cor  loro  il  Signore  che  lo 
facesse  far  presto. 

'Presto,  presto,»  diceva  anche  Ferrer  di  dentro,  sotto  il 
portico,  ai  servitori,  che  gli  si  eran  messi  d'  intorno  ansanti 
gridando:  «sia  benedetto!  ah  eccellenza!  oh  eccellenza!  uh, 
eccellenza!» 

«Presto,  presto,»  ripeteva  Ferrer:  «dov'  è  questo  bene- 
detta uomo?» 

Il  vicario  scendeva  le  scale,  mezzo  strascicato  e  mezzo 
portato  da  altri  suoi  servitori,  bianco  come  un  panno  lavato. 
Quando  vide  il  suo  aiuto,  mise  un  gran  respiro,  gli  tornò  il 
polso,  gli  scorse  un  po'  di  vita  nelle  gambe,  un  po'  di  colore 
sulle  gote;  e  corse,  come  potè,  verso  Ferrer,  dicendo:  «sono 
nelle  mani  di  Dio  e  di  vostra  eccellenza.  Ma  come  uscir  di 
qui?  Per  tutto  e'  è  gente  che  mi  vuol  morto.» 

«Venga  usted  conmigo,  e  si  faccia  coraggio:  qui  fuori 
c'è  la  mia  carrozza;  presto,  presto.»  Lo  prese  per  la  mano, 
e  lo  condusse  verso  la  porta,  facendogli  coraggio  tuttavia;  ma 
diceva  intanto  tra  sé:  —  aqni  està  ci  bùsilis;  Dios  nos 
valga!   — » 

La  porta  s'  apre;  Ferrer  esce  il  primo;  l'altro,  dietro,  ran- 
nicchiato, attaccato,  incollato  alla  toga  salvatrice,  come  un 
bambino  alla  sottana  della  mamma.  Quelli  che  avevan  man- 
tenuta la  piazza  vota,  fanno  ora,  con  un  alzar  di  mani,  di  cap- 
pelli, come  una  rete,  una  nuvola,  per  sottrarre  alla  vista  pe- 
ricolosa della  moltitudine  il  vicario;  il  quale  entra  il  primo 
nella  carrozza,  e  vi  si  rimpiatta  in  un  angolo. 

Ferrer  sale   dopo;  lo   sportello  vien  chiuso.     La  moltitu- 


17-4  I   PEOMESSI    SPOSI. 

dine  vide  in  confuso,  riseppe,  indovinò  quel  eh'  era  accaduto  ; 
e  mandò  un  urlo  d'  applausi  e  d' imprecazioni. 

La  parte  della  strada  che  rimaneva  da  farsi,  poteva  parer 
la  più  difficile  e  la  più  pericolosa.  Ma  il  voto  pubblico  era 
abbastanza  spiegato  per  lasciar  andare  in  prigione  il  vicario; 
e  nel  tempo  della  fermata,  molti  di  quelli  che  avevano  age- 
volato 1'  arrivo  di  Ferrer,  s'  eran  tanto  ingegnati  a  preparare 
e  a  mantener  come  una  corsia  nel  mezzo  della  folla,  che  la 
carrozza  potè,  questa  seconda  volta,  andare  un  po'  più  lesta, 
e  di  seguito.  Di  mano  in  mano  che  s' avanzava,  le  due  folle 
rattenute  dalle  parti,  si  ricadevano  addosso  e  si  rimischiavano, 
dietro  a  quella. 

Ferrer  appena  seduto,  s'era  chinato  per  avvertire  il  vi- 
cario, che  stesse  ben  rincantucciato  nel  fondo,  e  non  si  fa- 
cesse vedere,  per  l'amor  del  cielo;  ma  l'avvertimento  era 
superfluo.  Lui,  in  vece,  bisognava  che  si  facesse  vedere  per 
occupare  e  attirare  a  sé  tutta  1'  attenzione  del  pubblico.  E 
per  tutta  questa  gita,  come  nella  prima,  fece  al  mutabile  udi- 
torio un  discorso,  il  più  continuo  nel  tempo,  e  il  più  scon- 
nesso nel  senso  che  fosse  mai  ;  interrompendolo  però  ogni  tanto 
con  qualche  parolina  spagnola,  che  in  fretta  si  voltava  a  bi- 
sbigliameli' orecchio  del  suo  acquattato  compagno.  «Sì,  signori; 
pane  e  giustizia:  in  castello,  in  prigione,  sotto  la  mia  guardia. 
Grazie,  grazie^  grazie  tante.  Xo,  no:  non  iscapperà!  Por 
abìandarìos.  È  troppo  giusto;  s'esaminerà,  si  vedrà.  Anch'io 
voglio  bene  a  lor  signori.  Un  gastigo  severo.  Erto  lo  diga 
%>or  su  bien.  Una  meta  giusta,  una  meta  onesta,  e  gastigo 
agli  affamatori.  Si  tirin  da  parte,  di  grazia.  Si,  sì;  io  sono 
un  galantuomo,  amico  del  popolo.  Sarà  gastigato;  è  vero,  è 
un    birbante,    uno    scellerato.     Perdane    usted.    La   passerà 

male,  la  passerà  male si  es  culpabìe.    Sì,  sì,  li  faremo 

rigar  diritto  i  fornai.  Viva  il  re,  e  i  buoni  milanesi,  suoi  fe- 
delissimi vassalli!  Sta  fresco,  sta  fresco.  Animo;  estamos  ya 
quasi  fuera.^ 

Avevano  in  fatti  attraversata  la  maggior  calca,  e  già  eran 
vicini  a  uscir  al  largo,  del  tutto.  Lì  Ferrer,  mentre  comin- 
ciava a  dare  un  po'  di  riposo  a'  suoi  polmoni,  vide  il  soccorso 
di  Pisa,  que'  soldati  spagnoli,  che  però  sulla  fine  non  erano 
stati  affatto  inutili,  giacche  sostenuti  e  diretti  da  qualche  cit- 
tadino, avevano  cooperato  a  mandare  in  pace  un  po' di  gente, 
e  a  tenere  il  passo  libero  all'  ultima  uscita.  All'  arrivar  della 
carrozza,  fecero  ala,  e  presentaron  l'arme  al  gran  cancelliere, 
il  quale  fece  anche  qui  un  saluto  a  destra  e  un  saluto  a  si- 
nistra; e  all' uffiziale,  che  venne  più  vicino  a  fargli  il  suo, 
disse,  accompagnando  le  parole  con  un  cenno  della  destra: 
«freso  a  usted  las  manos:»  parole  che  1'  uffiziale  intese  per 
quel    che   volevano    dir   realmente,   cioè:    mi   avete    dato  un 


CAPITOLO   XIII.  175 

bell'aiuto!  In  risposta,  fece  un  altro  saluto,  e  si  ristrinse 
nelle  spalle.  Era  veramente  il  caso  di  dire:  cecìant  arma 
togae;  ma  Ferrer  non  aveva  in  quel  momento  la  testa  a  cita- 
zioni: e  del  resto  sarebbero  state  parole  buttate  via,  perchè 
1'  uffiziale  non  intendeva  il  latino. 

A  Fedro  nel  passar  tra  quelle  due  file  di  micheletti,  tra 
que' moschetti  così  rispettosamente  alzati,  gli  tornò  in  petto 
il  cuore  antico.  Si  riebbe  affatto  dallo  sbalordimento,  si  ram- 
mentò chi  era,  e  chi  conduceva;  e  gridando:  «ohe!  ohe!» 
senz'  aggiunta  d'  altre  cerimonie,  alla  gente  ormai  rada  ab- 
bastanza per  poter  esser  trattata  così,  e  sferzando  i  cavalli, 
fece  loro  prender  la  rincorsa  verso  il  castello. 

«Levàntese,  levàntese;  estamos  ya  fuera,»  disse  Ferrer 
al  vicario;  il  quale  rassicurato  dal  cessar  delle  grida,  e  dal 
rapido  moto  della  carrozza,  e  da  quelle  parole,  si  svolse,  si 
sgruppò,  s'alzò:  e  riavutosi  alquanto,  cominciò  a  render 
grazie,  grazie  e  grazie  al  suo  liberatore.  Questi,  dopo  es- 
sersi condoluto  con  lui  del  pericolo  e  rallegrato  della  salvezza: 
«ah!»  esclamò  battendo  la  mano  sulla  sua  zucca  monda, 
«qué  dirà  de  esto  su  excelencia,  che  ha  già  tanto  la  luna  a 
rovescio,  per  quel  maledetto  Casale,  che  non  vuole  arrendersi? 
Qué  dirà  eì  concie  duque,  che  piglia  ombra  se  una  foglia  fa 
più  rumore  del  solito?  Qué  dirà  el  rey  nuestro  senor,  che 
pur  qualche  cosa  bisognerà  che  venga  a  risapere  d'  un  fra- 
casso così?  E  sarà  poi  finito?  Dios  io  sabe.» 

«Ah!  per  me,  non  voglio  più  impicciarmene,»  diceva  il 
vicario:  «me  ne  chiamo  fuori;  rassegno  la  mia  carica  nelle 
mani  di  vostra  eccellenza,  vo  a  vivere  in  una  grotta,  sur  una 
montagna,  a  far  l'eremita,  lontano,  lontano  da  questa  gente 
bestiale.» 

«  Usted  farà  quello  che  sarà  più  conveniente  'por  el  ser- 
vicio  de  su  majestad,»  rispose  gravemente  il  gran  can- 
celliere. 

«Sua  maestà  non  vorrà  la  mia  morte,»  replicava  il  vi- 
cario: cin  una  grotta,  in  una  grotta,  lontano  da  costoro.» 

Che  avvenisse  poi  di  questo  suo  proponimento  non  lo  dice 
il  nostro  autore,  il  quale  dopo  avere  accompagnato  il  po- 
ver}  uomo  in  castello,  non  fa  più  menzione  de'  fatti  suoi. 


176  I   PE0ME3SI    SPOSI. 


CAPITOLO  XIV. 

La  folla  rimasta  indietro  cominciò  a  sbandarsi,  a  dira- 
marsi a  destra  e  a  sinistra,  per  questa  e  per  quella  strada. 
Chi  andava  a  casa,  a  accudire  anche  alle  sue  faccende;  chi 
s'allontanava  per  respirare  un  po' al  largo,  dopo  tante  ore 
di  stretta;  chi,  in  cerca  d'amici,  per  ciarlare  de' gran  fatti 
della  giornata.  Lo  stesso  sgombero  s'  andava  facendo  dal- 
l'altro  sbocco  della  strada,  nella  quale  la  gente  restò  abba- 
stanza rada  perchè  quel  drappello  di  spagnoli  potesse,  senza 
trovar  resistenza,  avanzarsi,  e  postarsi  alla  casa  del  vicario. 
Accosto  a  quella  stava  ancor  condensato  il  fondaccio,  per  dir 
così,  del  tumulto;  un  branco  di  birboni,  che  malcontenti 
d'  una  fine  così  fredda  e  così  imperfetta  d'  un  così  grand'  ap- 
parato, parte  brontolavano,  parte  bestemmiavano,  parte  tene- 
van  consiglio,  per  veder  se  qualche  cosa  si  potesse  ancora  in- 
traprendere; e,  come  per  provare,  andavano  urtacchiando  e 
pigiando  quella  povera  porta,  eh'  era  stata  di  nuovo  appun- 
tellata alla  meglio.  All'  arrivar  del  drappello,  tutti  coloro, 
chi  diritto  diritto,  chi  baloccandosi,  e  come  a  stento,  se  n'  an- 
darono dalla  parte  opposta,  lasciando  il  campo  libero  a'  sol- 
dati, che  lo  presero,  e  vi  si  postarono  a  guardia  della  casa 
e  della  strada.  Ma  tutte  le  strade  del  contorno  erano  semi- 
nate di  crocchi  :  dove  e'  eran  due  o  tre  persone  ferme,  se  ne 
fermavano  tre,  quattro,  venti  altre:  qui  gualcheduno  si  stac- 
cava; là  tutto  un  crocchio  si  moveva  insieme:  era  come  quel- 
la nuvolaglia  che  talvolta  rimane  sparsa,  e  gira  per  Y  azzurro 
del  cielo,  dopo  una  burrasca;  e  fa  dire  a  chi  guarda  in  su: 
questo  tempo  non  è  rimesso  bene.  Pensate  poi  che  babilo- 
nia di  discorsi.  Chi  raccontava  con  enfasi  i  casi  particolari 
che  aveva  visti;  chi  raccontava  ciò  che  lui  stesso  aveva  fatto; 
chi  si  rallegrava  che  la  cosa  fosse  finita  bene,  e  lodava  Fer- 
rer,  e  pronosticava  guai  seri  per  il  vicario;  chi,  sghignazzan- 
do, diceva:  «non  abbiate  paura  che  non  1'  ammazzeranno;  il 
lupo  non  mangia  la  carne  del  lupo;»  chi  più  stizzosamente 
mormorava  che  non  s'  eran  fatte  le  cose  a  dovere,  eh'  era  un 
inganno,  e  eh'  era  stata  una  pazzia  il  far  tanto  chiasso,  per 
lasciarsi  poi  canzonare  in  quella  maniera. 

Intanto  il  sole  era  andato  sotto,  le  cose  diventavan  tutte 
d'  un  colore  ;  e  molti,  stanchi  della  giornata  e  annoiati  di  ciar- 
lare al  buio,  tornavano  verso  casa.  Il  nostro  giovine,  dopo 
avere  aiutato  il  passaggio  della  carrozza,  finché  e'  era  stato 
bisogno  d'  aiuto,  e  esser  passato  anche  lui  dietro  a  quella,  tra 
le  file  de' soldati,  come  in  trionfo,  si  rallegrò  quando  la  vide 
correr  liberamente,  e  fuor  di  pericolo;  fece  un  po'  di  strada 


CAPITOLO    XIV.  177 

con  la  folla,  e  n'uscì,  alla  prima  cantonata,  per  respirare 
anche  lui  un  po'  liberamente.  Fatto  eh'  ebbe  pochi  passi  al 
largo,  in  mezzo  all'agitazione  di  tanti  sentimenti,  di  tante 
immagini,  recenti  e  confuse,  sentì  un  gran  bisogno  di  man- 
giare e  di  riposarsi;  e  cominciò  a  guardare  in  su,  da  una 
parte  e  dall'  altra,  cercando  un'  insegna  d'  osteria,  giacché,  per 
andare  al  convento  de'  cappuccini ,  era  troppo  tardi.  Cam- 
minando così  con  la  testa  per  aria,  si  trovò  a  ridosso  a  un 
crocchio;  e  fermatosi,  sentì  che  vi  discorrevan  di  congetture, 
di  disegni,  per  il  giorno  dopo.  Stato  un  momento  a  sentire, 
non  potè  tenersi  di  non  dire  anche  lui  la  sua;  parendogli  che 
potesse  senza  presunzione  proporre  qualche  cosa  chi  aveva 
fatto  tanto.  E  persuaso,  per  tutto  ciò  che  aveva  visto  in  quel 
giorno,  che  ormai,  per  mandare  a  effetto  una  cosa,  bastasse 
farla  entrare  in  grazia  a  quelli  che  giravano  per  le  strade, 
«signori  miei!»  gridò  in  tono  d'esordio:  «devo  dire  anch'io 
il  mio  debol  parere?  Il  mio  debol  parere  è  questo:  che  non 
è  solamente  nell'  affare  del  pane  che  si  fanno  delle  bricco- 
nerie: e  giacché  oggi  s'  è  visto  chiaro  che,  a  farsi  sentire, 
s'  ottiene  quel  che  è  giusto  ;  bisogna  andar  avanti  così,  fin  che 
non  si  sia  messo  rimedio  a  tutte  quelle  altre  scelleratezze,  e 
che  il  mondo  vada  un  po' più  da  cristiani.  Non  è  vero,  si- 
gnori miei,  che  c'è  una  mano  di  tiranni,  che  fanno  proprio 
al  rovescio  dei  dieci  comandamenti,  e  vanno  a  cercar  la  gente 
quieta,  che  non  pensa  a  loro,  per  farle  ogni  male,  e  poi  han- 
no sempre  ragione?  anzi  quando  n'hanno  fatta  una  più 
grossa  del  solito,  camminano  con  la  testa  più  alta,  che  par 
che  gli  s'abbia  a  rifare  il  resto?  Già  anche  in  Milano  ce  ne 
dev'  essere  la  sua  parte.  » 

«Pur  troppo,»  disse  una  voce. 

«Lo  dicevo  io,»  riprese  Renzo:  «già  le  storie  si  raccon- 
tano anche  da  noi.  E  poi  la  cosa  parla  da  sé.  Mettiamo, 
per  esempio,  che  qualcuno  di  costoro  che  voglio  dir  io  stia 
un  po' in  campagna,  un  po' in  Milano:  se  è  un  diavolo  là, 
non  vorrà  essere  un  angiolo  qui,  mi  pare.  Dunque  mi  dicano 
un  poco,  signori  miei,  se  hanno  mai  visto  uno  di  questi  col 
muso  alV  inferriata.  E  quel  che  è  peggio  (e  questo  lo  posso 
dir  io  di  sicuro),  è  che  le  gride  ci  sono,  stampate  per  gasti- 
garli:  e  non  già  gride  senza  costrutto;  fatte  benissimo,  che 
noi  non  potremmo  trovar  niente  di  meglio;  ci  son  nominate 
le  bricconerie  chiare,  proprio  come  succedono;  e  a  ciasche- 
duna, il  suo  buon  gastigo.  E  dice:  sia  chi  si  sia,  vili  e 
plebei,  e  che  so  io.  Ora,  andate  a  dire  ai  dottori,  scribi  e 
farisei,  che  vi  facciano  far  giustizia,  secondo  che  canta  la 
grida:  vi  danno  retta  come  il  papa  ai  furfanti:  cose  da  far 
girare  il  cervello  a  qualunque  galantuomo.  Si  vede  dunque 
chiaramente  che   il  re,  e   quelli  che  comandano,   vorrebbero 

Manzoni.  12 


173  I   PROMESSI    SPOSI. 

che  i  birboni  fossero  gastigati:  ma  non  se  ne  fa  nulla,  per- 
chè c'è  una  lega.  Dunque  bisogna  romperla;  bisogna  andar 
domattina  da  Ferrer,  che  quello  è  un  galantuomo,  un  signore 
alla  mano;  e  oggi  s'è  potuto  vedere  com'era  contento  di  tro- 
varsi con  la  povera  gente,  e  come  cercava  di  sentir  le  ragioni 
che  gli  venivan  dette,  e  rispondeva  con  buona  grazia.  Bi- 
sogna andar  da  Ferrer,  e  dirgli  come  stanno  le  cose;  e  io 
per  la  parte  mia,  gliene  posso  raccontar  delle  belle;  che  ho 
visto  io,  co'  miei  occhi,  una  grida  con  tanto  d'  arme  in  cima, 
ed  era  stata  fatta  da  tre  di  quelli  che  possono,  che  d'ognuno 
e'  era  sotto  il  suo  nome  beli'  e  stampato,  e  uno  di  questi  no- 
mi era  Ferrer,  visto  da  me,  co' miei  occhi:  ora.  questa  grida 
diceva  proprio  le  cose  giuste  per  me;  e  un  dottore  al  quale 
io  gli  dissi  che  dunque  mi  facesse  render  giustizia,  com!  era 
l'intenzione  di  que*  tre  signori,  tra  i  quali  c'era  anche  Fer- 
rer, questo  signor  dottore,  che  m'aveva  fatto  veder  la  grida 
lui  medesimo,  che  è  il  più  bello,  ah!  ah!  pareva  che  gli  di- 
cessi delle  pazzie.  Son  sicuro  che,  quando  quel  caro  vec- 
chione sentirà  queste  belle  cose;  che  lui  non  le  può  saper 
tutte,  specialmente  quelle  di  fuori:  non  vorrà  più  che  il  mon- 
do vada  così,  e  ci  metterà  un  buon  rimedio.  E  poi,  anche 
loro,  se  fanno  le  gride,  devono  aver  piacere  che  s'  ubbidisca: 
che  è  anche  un  disprezzo,  un  pitaffio  col  loro  nome,  contarlo 
per  nulla.  E  se  i  prepotenti  non  vogliono  abbassar  la  testa, 
e  fanno  il  pazzo,  siam  qui  noi  per  aiutarlo  come  s"  è  fatto 
oggi.  Xon  dico  che  deva  andar  lui  in  giro,  in  carrozza,  ad 
acchiappar  tutti  i  birboni,  prepotenti  e  tiranni:  sì;  ci  vorrebbe 
l'arca  di  Noè.  Bisogna  che  lui  comandi  a  chi  tocca,  e  non 
solamente  in  Milano,  ma  per  tutto,  che  faccian  le  cose  con- 
forme dicon  le  gride;  e  formare  un  buon  processo  addosso 
a  tutti  quelli  che  hanno  commesso  di  quelle  bricconerie;  e 
dove  dice  prigione,  prigione;  dove  dice  galera,  galera;  e  dire 
ai  podestà  che  faccian  davvero;  se  no,  mandarli  a  spasso,  e 
metterne  de' meglio;  e  poi,  come  dico,  ci  saremo  anche  noi 
a  dare  una  mano.  E  ordinare  a'  dottori  che  stiano  a  sentire 
i  poveri  e  parlino  in  difesa  della  ragione.  Dico  bene,  signori 
miei?o 

Renzo  aveva  parlato  tanto  di  cuore,  che,  fin  dall'esordio, 
una  gran  parte  de'  radunati,  sospeso  ogni  altro  discorso,  s'eran 
rivoltati  a  lui  e,  a  un  certo  punto,  tutti  eran  divenuti  suoi 
uditori.  Un  grido  confuso  d'applausi,  di  «bravo:  sicuro:  ha 
ragione:  è  vero  pur  troppo,»  fu  come  la  risposta  dell'udienza. 
Xon  mancarono  però  i  critici.  «E  sì,»  diceva  uno:  «dar 
retta  a'  montanari  :  son  tutti  avvocati  ;  »  e  se  ne  andava. 
«Ora,»  mormorava  un  altro,  «ogni  scalzacane  vorrà  dir  la 
sua;  e  a  furia  di  metter  carne  a  fuoco  non  s'  avrà  il  pane  a 
buon  mercato,   che  è  quello  per  cui  ci  siam  mossi.»    Pienzo 


CAPITOLO  XIV.  179 

però  non  sentì  che  i  complimenti;  chi  gli  prendeva  una  mano, 
chi  gli  prendeva  1'  altra.  «A  rivederci  a  domani.  —  Dove? 
—  Sulla  piazza  del  duomo.  —  Va  bene.  —  Va  bene.  —  E 
qualcosa  si  farà.  —  E  qualcosa  si  farà.* 

«Chi  è  di  questi  bravi  signori  che  voglia  insegnarmi 
un'osteria,  per  mangiare  un  boccone,  e  dormir  da  povero 
figliuolo?»  disse  Renzo. 

«Son  qui  io  a  servirvi,  quel  bravo  giovine,»  disse  uno, 
che  aveva  ascoltata  attentamente  la  predica,  e  non  aveva  detto 
ancor  nulla.  «Conosco  appunto  un'osteria  che  farà  al  caso 
vostro;  e  vi  raccomanderò  al  padrone,  che  è  mio  amico,  e  ga- 
lantuomo.» 

«Qui  vicino?))  domandò  Renzo.  «Poco  distante,»  rispose 
colui. 

La  radunata  si  sciolse;  e  Renzo,  dopo  molte  strette  di 
mani  sconosciute,  s'  avviò  con  lo  sconosciuto,  ringraziandolo 
della  sua  cortesia. 

«Di  che  cosa?»  diceva  colui:  «una  mano  lava  l'altra,  e 
tutte  due  lavano  il  viso.  Non  siamo  obbligati  a  far  servizio 
al  prossimo?»  E  camminando,  faceva  a  Renzo,  in  aria  di 
discorso,  ora  una,  ora  un'  altra  domanda.  «Non  per  sapere 
i  fatti  vostri;  ma  voi  mi  parete  molto  stracco:  da  che  paese 
venite?» 

«Vengo,»  rispose  Renzo,  «fino,  fino  da  Lecco.» 

«Fin  da  Lecco?     Di  Lecco  siete?» 

«Di  Lecco ....  cioè  del  territorio.» 

«Povero  giovine!  per  quanto  ho  potuto  intendere  da' vostri 
discorsi,  ve  n'hanno  fatte  delle  grosse.» 

«Eh!  caro  il  mio  galantuomo!  ho  dovuto  parlare  con  un 
po' di  politica,  per  non  dire  in  pubblico  i  fatti  miei;  ma.... 
basta,  qualche  giorno  si  saprà;  e  allora  ....  Ma  qui  vedo 
un"  insegna  d'osteria;  e,  in  fede  mia,  non  ho  voglia  d'andar 
più  lontano.» 

«No,  no;  venite  dov'ho  detto  io,  che  c'è  poco,»  disse  la 
guida:  «qui  non  istareste  bene.» 

«Eh,  sì;»  rispose  il  giovine:  «non  sono  un  signorino  av- 
vezzo a  star  nel  cotone:  qualcosa  alla  buona  da  mettere  in 
castello,  e  un  saccone,  mi  basta:  quel  che  mi  preme  è  di 
provar  presto  l'uno  e  l'altro.  Alla  provvidenza!»  Ed  entrò 
in  un  usciaccio ,  sopra  il  quale  pendeva  V  insegna  della  luna 
piena.  «Bene;  vi  condurrò  qui,  giacché  vi  piace  così,»  disse 
lo  sconosciuto;  e  gli  andò  dietro. 

«Non  occorre  che  v'incomodiate  di  più,»  rispose  Renzo. 
«Però,»  soggiunse,  «se  venite  a  bere  un  bicchiere  con  me, 
mi  fate  piacere.» 

«Accetterò  le  vostre  grazie,»  rispose  colui;  e  andò,  come 
più  pratico  del  luogo,   innanzi  a   Renzo,    per   un    cortiletto; 

12* 


180  I   PROMESSI    SPOSI. 

s' accontò  all'uscio  che  metteva  in  cucina,  alzò  il  saliscendi, 
aprì,  e  v'entrò  col  suo  compagno.  Due  lumi  a  mano,  pen- 
denti da  due  pertiche  attaccate  alla  trave  del  palco,  vi  span- 
devano una  mezza  luce.  Molta  gente  era  seduta,  non  però 
in  ozio,  su  due  panche,  di  qua  e  di  là  d'una  tavola  stretta 
e  lunga,  che  teneva  quasi  tutta  una  parte  della  stanza:  a  in- 
tervalli, tovaglie  e  piatti;  a  intervalli,  carte  voltate  e  rivol- 
tate, dadi  buttati  e  raccolti;  fiaschi  e  bicchieri  per  tutto.  Sì 
vedevano  anche  correre  berlinghe  reali  e  parjjagliole,  che  se 
avessero  potuto  parlare,  avrebbero  detto  probabilmente,  — 
noi  eravamo  stamattina  nella  ciotola  d'un  fornaio,  o  nelle 
tasche  di  qualche  spettatore  del  tumulto,  che  tutt' intento  a 
vedere  come  andassero  gli  affari  pubblici,  si  dimenticava  di 
vigilar  le  sue  faccendole  private.  —  Il  chiasso  era  grande. 
Un  garzone  girava  innanzi  e  indietro,  in  fretta  e  in  furia,  al 
servizio  di  quella  tavola  insieme  e  tavoliere:  1'  oste  era  a  se- 
dere sur  una  piccola  panca,  sotto  la  cappa  del  cammino,  occu- 
pato, in  apparenza,  in  certe  figure  che  faceva  e  disfaceva  nella 
cenere,  con  le  molle;  ma  in  realtà  intento  a  tutto  ciò  che 
accadeva  intorno  a  lui.  S'alzò  al  rumore  del  saliscendi;  e 
andò  incontro  ai  soprarrivati.  Visto  ch'ebbe  la  guida,  — 
maledetto!  —  disse  tra  sé:  —  che  tu  m' abbia  a  venir  sempre 
tra' piedi,  quando  meno  ti  vorrei!  —  Data  poi  un' occhiata  in 
fretta  a  Renzo,  disse  ancora  tra  sé:  —  non  ti  conosco;  ma 
venendo  con  un  tal  cacciatore,  o  cane  o  lepre  sarai:  quando 
avrai  detto  due  parole,  ti  conoscerò.  —  Però,  di  queste  rifles- 
sioni nulla  trasparve  sulla  faccia  dell'  oste,  la  quale  stava  im- 
mobile come  un  ritratto:  una  faccia  pienotta  e  lucente,  con 
una  barbetta  folta,  rossiccia,  e  due  occhietti  chiari  e  fissi. 

«Cosa  comandan  questi  signori?»  disse  ad  alta  voce. 

«Prima  di  tutto,  un  buon  fiasco  di  vino  sincero,»  disse 
Pienzo:  «e  poi  un  boccone.»  Così  dicendo  si  buttò  a  sedere 
sur  una  panca,  verso  la  cima  della  tavola,  e  mandò  un  «ah!» 
sonoro,  come  se  volesse  dire:  fa  bene  un  po' di  panca,  dopo 
essere  stato ,;  tanto  tempo,  ritto  e  in  faccende.  Ma  gli  venne 
subito  in  mente  quella  panca  e  quella  tavola,  a  cui  era  stato 
seduto  l'ultima  volta,  con  Lucia  e  con  Agnese:  e  mise  un 
sospiro.  Scosse  poi  la  testa,  come  per  iscacciar  quel  pensiero; 
e  vide  venir  1'  oste  col  vino.  D  compagno  s'  era  messo  a  se- 
dere in  faccia  a  Eenzo.  Questo  gli  mescè  subito  da  bere, 
dicendo:  «per  bagnar  le  labbra.»  E  riempito  1'  altro  bicchiere, 
lo  tracannò  in  un  sorso. 

«Cosa  mi  darete  da  mangiare?»  disse  poi  all'oste. 

«Ho  dello  stufato:  vi  piace?»  disse  questo. 

«Sì,  bravo;  dello  stufato.» 

«Sarete  servito,»  disse  l'oste  a  Renzo;  e  al  garzone: 
«servite    questo    forestiero.»      E    s'avviò    verso    il    cammino. 


CAPITOLO    XIV.  181 

«Ma »  riprese  poi,  tornando  verso  Renzo:  «ma  pane  non 

ce  n'ho  in  questa  giornata.» 

«Al  pane,»  disse  Renzo,  ad  alta  voce  e  ridendo,  «ci  ha 
pensato  la  provvidenza.»  E  tirato  fuori  il  terzo  e  ultimo  di 
que'  pani  raccolti  sotto  la  croce  di  san  Dionigi,  l'alzò  per 
aria,  gridando:  «ecco  il  pane  della  provvidenza!» 

All'esclamazione,  molti  si  voltarono:  e  vedendo  quel  tro- 
feo in  aria,  uno  gridò:  «viva  il  pane  a  buon  mercato!» 

«A  buon  mercato?»  disse  Renzo:  «  gratis  et  amore.» 

«Meglio,  meglio.» 

«Ma,»  soggiunse  subito  Renzo,  «non  vorrei  che  lor  si- 
gnori pensassero  a  male.  Non  è  eh'  io  1'  abbia,  come  si  suol 
dire,  sgraffignato.  L'ho  trovato  in  terra;  e  se  potessi  trovare 
anche  il  padrone,  son  pronto  a  pagarglielo.» 

«Bravo!  bravo!»  gridarono,  sghignazzando  più  forte,  i  com- 
pagnoni; a  nessuno  dei  quali  passò  per  la  mente  che  quelle 
parole  fossero  dette  davvero. 

«Credono  eh'  io  canzoni;  ma  1'  è  proprio  così,»  disse 
Renzo  alla  sua  guida;  e,  girando  in  mano  quel  pane,  sog- 
giunse: vedete  come  l'hanno  accomodato;  pare  una  schiac- 
ciata: ma  ce  n'era  del  prossimo!  Se  ci  si  trovavan  di  quelli 
che  han  l'ossa  un  po' tenere,  saranno  stati  freschi.»  E  su- 
bito, divorati  tre  o  quattro  bocconi  di  quel  pane,  gli  mandò 
dietro  un  secondo  bicchier  di  vino;  e  soggiunse:  «da  sé  non 
vuol  andar  giù  questo  pane.  Non  ho  avuto  mai  la  gota  tanto 
secca.     S'  è  fatto  un  gran  gridare!» 

«Preparate  un  buon  letto  a  questo  bravo  giovine,»  disse 
la  guida:  «perchè  ha  intenzione  di  dormir  qui.» 

«Volete  dormir  qui?»  domandò  l'oste  a  Renzo,  avvicinan- 
dosi alla  tavola. 

«Sicuro,»  rispose  Renzo:  «un  letto  alla  buona:  basta  che 
i  lenzoli  sian  di  bucato;  perchè  son  povero  figliuolo,  ma  av- 
vezzo alla  pulizia.» 

«Oh,  in  quanto  a  questo!»  disse  l'oste:  andò  al  banco 
ch'era  in  un  angolo  della  cucina;  e  ritornò,  con  un  calamaio 
e  un  pezzetto  di  carta  bianca  in  una  mano,  e  una  penna 
nell'  altra. 

«Cosa  vuol  dir  questo?»  esclamò  Renzo,  ingoiando  un 
boccone  dello  stufato  che  il  garzone  gli  aveva  messo  davanti, 
e,  sorridendo  poi  con  meraviglia,  soggiunse:  «è  il  lenzolo  di 
bucato,  codesto?» 

L'oste,  senza  rispondere,  posò  sulla  tavola  il  calamaio  e 
la  carta:  poi  appoggiò  sulla  tavola  medesima  il  braccio  sini- 
stro e  il  gomito  destro;  e,  con  la  penna  in  aria,  e  il  viso 
alzato  verso  Renzo,  gli  disse:  «fatemi  il  piacere  di  dirmi  il 
vostro  nome,  cognome  e  patria.» 


182  I  PROMESSI   SPOSI. 

«Cosa?»  disse  Renzo:  «cosa  c'entrano  codeste  storie  col 
letto?» 

«Io  fo  il  mio  dovere,»  disse  l'oste,  guardando  inviso  alla 
guida:  «noi  siamo  obbligati  a  render  conto  di  tutte  le  per- 
sone che  vengono  a  alloggiar  da  noi:  nome  e  cognome,  e  di 
che  nazione  sarà,  a  che  negozio  viene,  se  ha  seco  armi  .... 

quanto  tempo  ha  di  fermarsi  in  questa  città Son  parole 

della  grida.» 

Prima  di  rispondere,  Renzo  votò  un  altro  bicchiere:  era 
il  terzo;  e  d'ora  in  poi  ho  paura  che  non  li  potremo  più 
contare.  Poi  disse:  «ah  ah!  avete  la  grida!  E  io  fo  conto 
d'esser  dottor  di  legge;  e  allora  so  subito  che  caso  si  fa 
delle  gride.» 

«Dico  davvero,»  disse  l'oste,  sempre  guardando  il  muto 
compagno  di  Renzo;  e,  andato  di  nuovo  al  banco,  ne  levò 
dalla  cassetta  un  gran  foglio,  un  proprio  esemplare  della 
grida;  e  venne  a  spiegarlo  davanti  agli  occhi  di  Renzo. 

«Ah!  ecco!»  esclamò  questo,  alzando  con  una  mano  il 
bicchiere  riempito  di  nuovo,  e  rivotandolo  subito,  e  stendendo 
poi  l'altra  mano,  con  un  dito  teso,  verso  la  grida:  «ecco 
quel  bel  foglio  di  messale.  Me  ne  rallegro  moltissimo  La 
conosco  quell'arme;  so  cosa  vuol  dire  quella  faccia  d'ariano, 
con  la  corda  al  collo.»  (In  cima  alle  gride  si  metteva  allora 
l'arme  del  governatore,  e  in  quella  di  don  Gonzalo  Fernan- 
dez  de  Cordova,  spiccava  un  re  moro  incatenato  per  la  gola.) 
«Vuol  dire,  quella  faccia:  comanda  chi  può,  e  ubbidisce  chi 
vuole.  Quando  questa  faccia  avrà  fatto  andare  in  galera  il 
signor  don....  basta,  lo  so  io;  come  dice  in  un  altro  foglio 
di  messale  compagno  a  questo:  quando  avrà  fatto  in  maniera 
che  un  giovine  onesto  possa  sposare  una  giovine  onesta  che  è 
contenta  di  sposarlo,  allora  le  dirò  il  mio  nome  a  questa  fac- 
cia; le  darò  anche  un  bacio  per  di  più.  Posso  aver  delle 
buone  ragioni  per  non  dirlo,  il  mio  nome.  Oh  bella!  E  se. 
un  furfantone,  che  avesse  al  suo  comando  una  mano  d'  altri 
furfanti:  perchè  se  fosse  solo  .  .  .  .  »  e  qui  finì  la  frase  con 
un  gesto:  «se  un  furfantone  volesse  saper  dov'  io  sono,  per 
farmi  qualche  brutto  tiro,  domando  io  se  questa  faccia  si  mo- 
verebbe per  aiutarmi.  Devo  dire  i  fatti  miei!  Anche  questa 
è  nuova  Son  venuto  a  Milano  per  confessarmi,  supponiamo, 
ma  voglio  confessarmi  da  un  padre  cappuccino,  per  modo  di 
dire,  e  non  da  un  oste.» 

L'oste  stava  zitto,  e  seguitava  a  guardar  la  guida,  la 
quale  non  faceva  dimostrazione  di  sorte  veruna.  Renzo,  ci 
dispiace  il  dirlo,  tracannò  un  altro  bicchiere,  e  proseguì:  «ti 
porterò  una  ragione,  il  mio  caro  oste,  che  ti  capaciterà.  Se 
le  gride  che  parlan  bene,  in  favore  de' buoni  cristiani,  non 
contano;    tanto   meno  devon  contare  quelle   che  parlan  maie. 


CAPITOLO    XIV.  183 

Dunque  leva  tutti  quest'imbrogli,  e  porta  in  vece  un  altro 
fiasco,  perchè  questo  è  fesso.»  Così  dicendo,  lo  percosse  leg- 
germente con  le  nocca,  e  soggiunse:  «senti,  senti,  oste,  come 
crocchia.» 

Anche  questa  volta,  Renzo  aveva,  a  poco  a  poco,  attirata 
l'attenzione  di  quelli  che  gli  stavan  d'intorno:  e  anche  que- 
sta volta  fu  applaudito  dal  suo  uditorio. 

«Cosa  devo  fare?»  disse  l'oste,  guardando  quello  scono- 
sciuto, che  non  era  tale  per  lui. 

«Via.  via,»  gridaron  molti  di  que'  compagnoni:  «ha  ra- 
gione quel  giovine:  son  tutte  angherie,  trappole,  impicci: 
legge  nuova  oggi,  legge  nuova.» 

In  mezzo  a  queste  grida,  lo  sconosciuto,  dando  all'oste 
un'  occhiata  di  rimprovero,  per  quell'  interrogazione  troppo 
scoperta,  disse:  «lasciatelo  un  po' fare  a  suo  modo:  non  fate 
scene.» 

«Ho  fatto  il  mio  dovere,»  disse  l'oste,  forte;  e  poi  tra 
sé:  —  ora  ho  le  spaile  al  muro.  —  E  prese  la  carta,  la 
penna,  il  calamaio,  la  grida,  e  il  fiasco  vóto,  per  consegnarlo 
al  garzone. 

«Porta  del  medesimo,»  disse  Renzo:  «che  lo  trovo  galan- 
tuomo; e  lo  metteremo  a  letto  come  l'altro,  senza  doman- 
dargli nome  e  cognome,  e  di  che  nazione  sarà,  e  cosa  viene 
a  fare,  e  se  ha  a  stare  un  pezzo  in  questa  città.» 

«Del  medesimo,»  disse  l'oste  al  garzone,  dandogli  il  fia- 
sco; e  ritornò  a  sedere  sotto  la  cappa  del  cammino.  —  Altro 
che  lepre!  —  pensava,  istoriando  di  nuovo  la  cenere:  —  e  in 
che  mani  sei  capitato!  Pezzo  d'asino!  se  vuoi  affogare,  affoga; 
ma  l'oste  della  luna  piena  non  deve  andarne  di  mezzo,  per 
le  tue  pazzie.  —  v^ 

Renzo  ringrazio  la  guida,  e  tutti  quegli  altri  che  avevan 
prese  le  sue  parti.  «Bravi  amici!»  disse:  «ora  vedo  pro- 
prio che  i  galantuomini  si  danno  la  mano,  e  si  sostengono.» 
Poi,  spianando  la  destra  per  aria  sopra  la  tavola,  e  metten- 
dosi di  nuovo  in  attitudine  di  predicatore,  «gran  cosa:» 
esclamò,  «che  tutti  quelli  che  regolano  il  mondo,  voglian  fare 
entrar  per  tutto  carta,  penna  e  calamaio!  Sempre  la  penna 
per  aria!  Grande  smania  che  hanno  que'  signori  d' adoprar 
la  penna!» 

«Ehi,  quel  galantuomo  di  campagna!  volete  saperne  la 
ragione?»  disse  ridendo  uno  di  que' giocatori  che  vinceva. 

«Sentiamo  un  poco,»  rispose  Renzo. 

«La  ragione  è  questa,»  disse  colui:  «che  que' signori  son 
loro  che  mangian  l'oche,  e  si  trovai!  lì  tante  penne,  tante 
penne,  che  qualcosa  bisogna  che  ne  facciano.» 

Tutti  si  misero  a  ridere,  fuor  che  il  compagno  che  per- 
deva. 


184  I   PROMESSI    SPOSI. 

«To',»  disse  Renzo:  «è  un  poeta  costui.  Ce  n' è  anche 
qui  de' poeti:  già  ne  nasce  per  tutto.  N'  ho  una  vena  anch'io, 
e  qualche  volta  ne  dico  delle  curiose  ....  ma  quando  le  cose 
vanno  bene.» 

Per  capire  questa  baggianata  del  povero  Renzo,  bisogna 
sapere  che,  presso  il  volgo  di  Milano,  e  del  contado  ancora 
più,  poeta  non  significa  già,  come  per  tutti  i  galantuomini, 
un  sacro  ingegno,  un  abitator  di  Pindo,  un  allievo  delle  Muse; 
vuol  dire  un  cervello  bizzarro  e  un  po' balzano,  che,  ne' dis- 
corsi e  ne' fatti,  abbia  più  dell'arguto  e  del  singolare  che 
del  ragionevole.  Tanto  quel  guastamestieri  del  volgo  è  ardito 
a  manomettere  le  parole,  e  a  far  dir  loro  le  cose  più  lontane 
dal  loro  legittimo  significato!  Perchè,  vi  domando  io,  cosa  ci 
ha  che  fare  poeta  con  cervello  balzano? 

«Ma  la  ragione  giusta  la  dirò  io,»  soggiunse  Renzo:  «è 
perchè  la  penna  la  tengon  loro:  e  così,  le  parole  che  dicon 
loro,  volan  via,  e  spariscono;  le  parole  che  dice  un  povero 
figliuolo,  stanno  attenti  bene,  e  presto  presto  le  infilzan  per 
aria,  con  quella  penna,  e  te  le  inchiodano  sulla  carta,  per 
servirsene  a  tempo  e  luogo.  Hanno  poi  anche  un'  altra  mali- 
zia, che,  quando  vogliono  imbrogliare  un  povero  figliuolo,  che 
non  abbia  studiato,  ma  che  abbia  un  po' di . .  . .  so  io  quel 
che  voglio  dire  .  .  .  .»  e,  per  farsi  intendere,  andava  picchian- 
do, e  come  arietando  la  fronte  con  la  punta  dell'indice; 
«e  s'accorgono  che  comincia  a  capir  l'imbroglio,  taffete,  but- 
tan  dentro  nel  discorso  qualche  parola  in  latino,  per  fargli 
perdere  il  filo,  per  confondergli  la  testa.  Basta;  se  ne  deve 
smetter  dell'usanze!  Oggi,  a  buon  conto,  s'è  fatto  tutto  in 
volgare,  e  senza  carta,  penna  e  calamaio:  e  domani,  se  la 
gente  saprà  regolarsi,  se  ne  farà  anche  delle  meglio;  senza 
torcere  un  capello  a  nessuno,  però;  tutto  per  via  di  giu- 
stizia.» 

Intanto  alcuni  di  que'  compagnoni  s'  erano  rimessi  a  giuo- 
care,  altri  a  mangiare,  molti  a  gridare;  alcuni  se  n'andavano; 
altra  gente  arrivava;  l'oste  badava  agli  uni  e  agli  altri;  tutte 
cose  che  non  hanno  che  fare  colla  nostra  storia.  Anche  la 
sconosciuta  guida  non  vedeva  l'ora  d'andarsene;  non  aveva, 
a  quel  che  paresse,  nessun  affare  in  quel  luogo;  eppure  non 
voleva  partire  prima  d'  aver  chiacchierato  un  altro  poco  con 
Renzo  in  particolare.  Si  voltò  a  lui,  riattaccò  il  discorso  del 
pane;  e  dopo  alcune  di  quelle  frasi  che,  da  qualche  tempo, 
correvano  per  tutte  le  bocche,  venne  a  metter  fuori  un  suo 
progetto.  «Eh!  se  comandassi  io,»  disse,  «lo  troverei  il  verso 
di  fare  andar  le  cose  bene.» 

«Come  vorreste  fare?»  domandò  Renzo,  guardandolo  con 
due  occhietti  brillanti  più  del  dovere,  e  storcendo  un  po' la 
bocca  come  per  star  più  attento. 


CAPITOLO    XIV.  185 

«Come  vorrei  fare?"  disse  colui:  «vorrei  che  ci  fosse  pane 
per  tutti;  tanto  per  i  poveri,  come  per  i  ricchi..) 

«Ah!  così  va  bene,')  disse  Renzo. 

«Ecco  come  farei.  Una  meta  onesta,  che  tutti  ci  potes- 
sero campare.  E  poi ,  distribuire  il  pane  in  ragione  delle 
bocche:  perchè  c'è  degl'ingordi  indiscreti,  che  vorrebbero 
tutto  per  loro,  e  fanno  a  ruffa  rafia,  pigliano  a  buon  conto; 
e  poi  manca  il  pane  alla  povera  gente.  Dunque  dividere  il  pane. 
E  come  si  fa?  Ecco:  dare  un  bel  biglietto  a  ogni  famiglia, 
in  proporzion  delle  bocche,  per  andare  a  prendere  il  pane 
dal  fornaio.  A  me.  per  esempio,  dovrebbero  rilasciare  un 
biglietto  in  questa  forma:  Ambrogio  Fusella,  di  professione 
spadaio,  con  moglie  e  quattro  figliuoli,  tutti  in  età  da  man- 
giar pane  (notate  bene):  gli  si  dia  pane  tanto,  e  paghi  soldi 
tanti.  Ma  far  le  cose  giuste,  sempre  in  ragion  delle  bocche. 
A  voi,  per  esempio,  dovrebbero  fare  un  biglietto  per  ....  il 
vostro  nome?» 

«Lorenzo  Tramaglino,»  disse  il  giovine;  il  quale,  inva- 
ghito del  progetto,  non  fece  attenzione  eh'  era  tutto  fondato 
su  carta,  penna  e  calamaio;  e  che  per  metterlo  in  opera, 
la  prima  cosa  doveva  essere  di  raccogliere  i  nomi  delle 
persone. 

«Benissimo,»  disse  lo  sconosciuto:  «ma  avete  moglie  e 
figliuoli  ?  • 

«Dovrei  bene  ....  figliuoli  no  ...  .  troppo  presto  ....  ma 
la  moglie  ....  se  il  mondo  andasse  come  dovrebbe  an- 
dare ....  » 

Ah  siete  solo!  Dunque  abbiate  pazienza,  ma  una  porzione 
più  piccola.» 

«È  giusto:  ma  se  presto  come  spero  ....  e  con  l'aiuto 
di  Dio  ....  Basta;  quando  avessi  moglie  anch' jo? 

«Allora  si  cambia  il  biglietto,  e  si  cresce  la  porzione. 
Come  v'ho  detto  sempre  in  ragion  delle  bocche,»  disse  lo 
sconosciuto  alzandosi. 

«Così  va  bene,'>  gridò  Renzo;  e  continuò,  gridando  e  bat- 
tendo il  pugno  sulla  tavola:  «e  perchè  non  la  fanno  una  legge 
così?» 

«Cosa  volete  che  vi  dica?  intanto  vi  do  la  buona  notte, 
e  me  ne  vo;  perchè  penso  che  la  moglie  e  i  figliuoli  m'aspet- 
teranno da  un  pezzo  » 

«Un  altro  gocciolino,  un  altro  gocciolino,»  gridava  Renzo, 
riempiendo  in  fretta  il  bicchiere  di  colui;  e  subito  alzatosi, 
e  acchiappatolo  per  una  falda  del  farsetto,  tirava  forte,  per 
farlo  seder  di  nuovo.  «Un  altro  gocciolino:  non  mi  fate 
quest"  affronto.  » 

Ma  1'  amico,  con  una  stratta,  si  liberò,  e  lasciando  Renzo 
fare  un  gazzabuglio  d'istanze  e  di  rimproveri,  disse  di  nuovo: 


186  I    PROMESSI    SPOSI. 

«buona  notte,  »  e  se  n'  andò.  Renzo  seguitava  ancora  a  pre- 
dicargli, che  quello  era  già  in  istrada;  e  poi  ripiombò  sulla 
panca.  Fissò  gli  occhi  su  quel  bicchiere  che  aveva  riempito; 
e  vedendo  passar  davanti  alla  tavola  il  garzone,  gli  accennò 
di  fermarsi,  come  se  avesse  qualche  affare  da  comunicargli; 
poi  gli  accennò  il  bicchiere,  e  con  una  pronuncia  lenta  e  so- 
lenne, spiccando  le  parole  in  un  certo  modo  particolare,  disse: 
«  ecco,  1"  avevo  preparato  per  quel  galantuomo  :  vedete  ;  pieno 
raso,  proprio  da  amico;  ma  non  l'ha  voluto.  Alle  volte,  la 
gente  ha  dell'  idee  curiose.  Io  non  ci  ho  colpa:  il  mio  buon 
cuore  l'ho  fatto  vedere.  Ora,  giacché  la  cosa  è  fatta,  non 
bisogna  lasciarlo  andare  a  male.»  Così  detto,  lo  prese,  e  lo 
votò  in  un  sorso. 

«Ho  inteso,»  disse  il  garzone;  andandosene. 

«Ah!  avete  inteso,  anche  voi,»  riprese  Renzo,  «dunque  è 
vero.     Quando  le  ragioni  son  giuste....!» 

Qui  è  necessario  tutto  1'  amore ,  che  portiamo  alla  verità, 
per  farci  proseguire  fedelmente  un  racconto  di  così  poco  onore 
a  un  personaggio  tanto  principale ,  si  potrebbe  quasi  dire  al 
primo  uomo  della  nostra  storia.  Per  questa  stessa  ragione 
d' imparzialità,  dobbiamo  però  anche  avvertire  eh'  era  la  prima 
volta,  che  a  Renzo  avvenisse  un  caso  simile:  e  appunto  que- 
sto suo  non  esser  uso  a  stravizi  fu  cagione  in  gran  parte  che 
il  primo  gli  riuscisse  così  fatale.  Que'  pochi  bicchieri  che 
aveva  buttati  giù  da  principio,  l'uno  dietro  l'altro,  contro  il 
suo  solito,  parte  per  quell'arsione  che  si  sentiva,  parte  per 
una  certa  alterazione  d'animo,  che  non  gli  lasciava  far  nulla 
con  misura,  gli  diedero  subito  alla  testa;  a  un  bevitore  un 
po'  esercitato  non  avrebbero  fatto  altro  che  levargli  la  sete. 
Su  questo  il  nostro  anonimo  fa  una  osservazione,  che  noi  ri- 
peteremo :  e  conti  quel  che  può  contare.  Le  abitudini  tempe- 
rate e  oneste,  dice,  recano  anche  questo  vantaggio,  che,  quanto 
più  sono  inveterate  e  radicate  in  un  uomo,  tanto  più  facil- 
mente, appena  appena  se  n'allontani,  se  ne  risente  subito; 
dimodoché  se  ne  ricorda  poi  per  un  pezzo;  e  anche  uno  spro- 
posito gli  serve  di  scola. 

Comunque  sia,  quando  que' primi  fumi  furono  saliti  alla 
testa  di  Renzo,  vino  e  parole  continuarono  a  andare,  1'  uno 
in  giù  e  l'altre  in  su,  senza  misura  né  regola:  e,  al  punto  a 
cui  1'  abbiam  lasciato,  stava  già  come  poteva.  Si  sentiva  una 
gran  voglia  di  parlare;  ascoltatori,  o  almeno  uomini  presenti 
che  potesse  prender  per  tali,  non  ne  mancava;  e,  per  qualche 
tempo,  anche  le  parole  eran  venute  via  senza  farsi  pregare, 
e  s' eran  lasciate  collocare  in  un  certo  qual  ordine.  Ma  a 
poco  a  poco,  quella  faccenda  di  finir  le  frasi  cominciò  a  di- 
venirgli fieramente  difficile.  Il  pensiero,  che  s'  era  presentato 
vivo  e  risoluto  alla  sua  mente,  s'  annebbiava  e  svaniva  tutt'  a 


CAPITOLO    XIV.  18? 

un  tratto;  e  la  parola  dopo  essersi  fatta  aspettare  un  pezzo, 
non  era  quella  che  fosse  al  caso.  In  queste  angustie,  per  uno 
di  que' falsi  instinti  che,  in  tante  cose,  rovinan  gli  uomini, 
ricorreva  a  quel  benedetto  fiasco. 

Ma  di  che  aiuto  gli  potesse  essere  il  nasco,  in  una  tale 
circostanza,  chi  ha  fior  di  senno  lo  dica. 

Noi  riferiremo  soltanto  alcune  delle  moltissime  parole  che 
mandò  fuori,  in  quella  sciagurata  sera:  le  molte  più  che  tra- 
lasciamo disdirebbero  troppo;  perchè,  non  solo  non  hanno 
senso,  ma  non  fanno  visto  d'  averlo  :  condizione  necessaria  in 
un  libro  stampato. 

«Ah  oste,  oste!»  ricominciò,  accompagnandolo  con  l'occhio 
intorno  alla  tavola,  o  sotto  la  cappa  del  cammino;  talvolta 
fissandolo  dove  non  era,  e  parlando  sempre  in  mezzo  al 
chiasso  della  brigata:  «oste  che  tu  sei!  Non  posso  mandarla 
giù  ....  quel  tiro  del  nome,  cognome  e  negozio.  A  un 
figliuolo  par  mio  ...  !  Non  ti  sei  portato  bene.  Che  soddis- 
fazione, che  sugo,  che  gusto  ....  di  mettere  in  carta  un  po- 
vero figliuolo?  Parlo  bene,  signori?  Gli  osti  dovrebbero  te- 
nere dalla  parte  de'  buoni  figliuoli  ....  Senti,  senti,  oste;  ti 
voglio  fare  un  paragone  ....  per  la  ragione  ....  Ridono  eh? 
Ho  un  po'  di  brio,  sì  .  .  .  ma  le  ragioni  le  dico  giuste.  Dimmi 
un  poco;  chi  è  che  ti  manda  avanti  la  bottega?  I  poveri 
figliuoli,  n' è  vero?  dico  bene?  Guarda  un  po'  se  que'  si* 
gnori  delle  gride  vengono  mai  da  te  a  bere  un  bicchie- 
rino ?  » 

«Tutta  gente   che  beve  acqua,»  disse  un  vicino  di  Renzo. 

«Vogliono  stare  in  sé,»  soggiunse  un  altro,  «  per  poter  dir 
le  bugie  a  dovere.» 

«Ah!»  gridò  Renzo:  «ora  è  il  poeta  che  ha  parlato.  Dun- 
que intendete  anche  voi  altri  le  mie  ragioni.  Rispondi  dun- 
que, oste:  e  Ferrer,  che  è  il  meglio  di  tutti,  è  mai  venuto 
qui  a  fare  un  brindisi,  e  a  spendere  un  becco  d'  un  quattrino? 
E  quel  cane  assassino  di  don  ....   Sto  zitto,  perchè,  sono  in 

cervello  anche  troppo.     Ferrer  e  il  padre  Crr so  io,   son 

due  galantuomini;  ma  ce  n' è  pochi  de' galantuomini.  I  vecchi 
peggio  de' giovani,  e  i  giovani..-,  peggio  ancora  de' vecchi 
Però,  son  contento  che  non  si  sìa  fatto  sangue  oibò;  bar- 
barie, da  lasciarle  fare  al  boia  Pane,  oh  questo  sì.  Ne  ho 
ricevuti  degli  urtoni,  ma  ....  ne  ho  anche  dati.  Largo!  ab- 
bondanza! viva!  ...  Eppure,  anche  Ferrer  .  .  .  qualche  pa- 
rolina in  latino  ....  siès  baraòs  trapolorum  .  .  Maledetto 
vizio!  Viva!  giustizia!  pane!  ah,  ecco  le  parole  giuste! 
Là  ci  volevano  que'  galantuomini  ....  quando  scappò  fuori 
quel  maledetto  ton  ton  ton,  e  poi  ancora  tou  ton  ton.  Non 
si  sarebbe  fuggiti,  ve',  allora.  Tenerlo  lì  quel  signor  curato  . .  . 
So  io  a  chi  penso!» 


188  I    PROMESSI    SPOSI. 

A  questa  parola,  abbassò  la  testa,  e  stette  qualche  tempo, 
come  assorto  in  un  pensiero;  poi  mise  un  gran  sospiro,  e  alzò 
il  viso,  con  due  occhi  inumiditi  e  lustri  con  un  certo  accora- 
mento così  svenevole,  così  sguaiato,  che  guai  se  chi  n'era 
1'  oggetto  avesse  potuto  vederlo  un  momento.  Ma  quegli 
omacci  che  già  avevan  cominciato  a  prendersi  spasso  del- 
l'eloquenza  appassionata  e  imbrogliata  di  Renzo,  tanto  più 
se  ne  presero  della  sua  aria  compunta;  i  più  vicini  dicevano 
agli  altri:  guardate;  e  tutti  si  voltavano  a  lui;  tanto  che  di- 
venne lo  zimbello  della  brigata.  Non  già  che  tutti  fossero  nel 
loro  buon  senno,  o  nel  loro  qual  si  fosse  senno  ordinario;  ma, 
per  dire  il  vero,  nessuno  n'  era  tanto  uscito,  quanto  il  povero 
Renzo;  e  per  di  più  era  contadino.  Si  misero,  or  l'uno  or 
l'altro,  a  stuzzicarlo  con  domande  sciocche  e  grossolane,  con 
cerimonie  canzonatorie.  Renzo,  ora  dava  segno  d'  averselo 
per  male,  ora  prendeva  la  cosa  in  ischerzo,  ora,  senza  badare 
a  tutte  quelle  voci,  parlava  di  tutt*  altro,  ora  rispondeva,  ora 
interrogava;  sempre  a  salti,  e  fuor  di  proposito.  Per  buona 
sorte,  in  quel  vaneggiamento,  gli  era  però  rimasta  come  un'at- 
tenzione istintiva  a  scansare  i  nomi  delle  persone;  dimodoché 
anche  quello  che  doveva  esser  più  altamente  fitto  nella  sua 
memoria,  non  fu  proferito;  che  troppo  ci  dispiacerebbe  se 
quel  nome,  per  il  quale  anche  noi  sentiamo  un  po'  d'affetto 
e  di  riverenza,  fosse  stato  strascinato  per  quelle  boccacce, 
fosse  divenuto  trastullo  di  quelle  lingue  sciagurate. 


CAPITOLO  XV. 

L'oste  vedendo  che  il  giuoco  andava  in  lungo,  s'era  ac- 
costato a  Renzo;  e  pregando,  con  buona  grazia,  quegli  altri 
che  lo  lasciassero  stare,  l'andava  scuotendo  per  un  braccio, 
e  cercava  di  fargli  intendere  e  di  persuaderlo  che  andasse 
a  dormire.  Ma  Renzo  tornava  sempre  da  capo,  col  nome  e 
cognome,  e  con  le  gride,  e  co' buoni  figliuob'.  Però  quelle 
parole:  letto  e  dormire,  ripetute  al  suo  orecchio,  gli  entraron 
finalmente  in  testa  ;  gli  fecero  sentire  un  po'  più  distintamente 
il  bisogno  di  ciò  che  significavano,  e  produssero  un  momento 
di  lucido  intervallo.  Quel  po'  di  senno  che  gli  tornò,  gli  fece 
in  certo  modo  capire  che  il  più  se  n'  era  andato;  a  un  di 
presso  come  1'  ultimo  moccolo  rimasto  acceso  d'  un'  illumina- 
zione, fa  vedere  gli  altri  spenti.  Si  fece  coraggio;  stese  le 
mani,  e  le  appuntellò  sulla  tavola,  tentò,  una  o  due  volte, 
d'alzarsi;  sospirò,  barcollò;  alla  terza,  sorretto  dall'oste,  si 
rizzò.  Quello,  reggendolo  tuttavia,  lo  fece  uscire  di  tra  la 
tavola  e  la  panca;  e,  preso  con  una  mano  un  lume,  con  l'ai- 


CAPITOLO    XV.  189 

tra,  parte  lo  condusse,  parte  Io  tirò,  alla  meglio  verso  1'  uscio 
di  scala.  Lì  Renzo,  al  chiasso  de' saluti  che  coloro  gli  ur- 
lavan  dietro,  si  voltò  in  fretta:  e  se  il  suo  sostenitore  non 
fosse  stato  ben  lesto  a  tenerlo  per  un  braccio,  la  voltata  sa- 
rebbe stata  un  capitombolo;  si  voltò  dunque,  e,  con  l'altro 
braccio  che  gli  rimaneva  libero,  andava  trinciando  e  iscrivendo 
nell'  aria  certi  saluti,  a  guisa  d'  un  nodo  di  Salomone. 

«Andiamo  a  letto,  a  letto,»  disse  1'  oste  strascicandolo;  gli 
fece  imboccar  l'uscio;  e  con  più  fatica  ancora,  lo  tirò  in 
cima  di  quella  scaletta,  e  poi  nella  camera  che  gli  aveva  de- 
stinata. Renzo,  visto  il  letto  che  l'aspettava,  si  rallegrò; 
guardò  amorevolmente  V  oste  con  due  occhietti  che  ora  scin- 
tillavano più  che  mai,  ora  s'  ecclissavano  come  due  lucciole: 
cercò  d'equilibrarsi  sulle  gambe;  e  stese  la  mano  al  viso  del- 
l'oste, per  prendergli  il  ganascino,  in  segno  d'amicizia  e  di 
riconoscenza;  ma  non  gli  riuscì.  «Bravo  oste!»  gli  riuscì 
però  di  dire:  «ora  vedo  che  sei  un  galantuomo:  questa  è 
un'  opera  buona,  dare  un  letto  a  un  buon  figliuolo  :  ma  quella 
figura  che  m'hai  fatta  sul  nome  e  cognome,  quella  non  era 
da  galantuomo.  Per  buona  sorte  che  anch'  io  son  furbo  la 
mia  parte  ...» 

L'  oste,  il  quale  non  pensava  che  colui  potesse  ancor  tanto 
connetterò;  l'oste  che,  per  lunga  esperienza,  sapeva  quanto 
gli  uomini,  in  quello  stato,  sian  più  soggetti  del  solito  a  cam- 
biar di  parere,  volle  approfittare  di  quel  lucido  intervallo,  per 
fare  un  altro  tentativo.  «Figliuol  caro,»  disse,  con  una  voce 
e  con  un  fare  tutto  gentile:  «non  l'ho  fatto  per  seccarvi,  né 
per  sapere  i  fatti  vostri,  Cosa  volete?  è  legge:  anche  noi 
bisogna  ubbidire;  altrimenti  siamo  i  primi  a  portarne  la  pena. 
È  meglio  contentarli,  e  .  .  Di  che  si  tratta  finalmente? 
Gran  cosa!  dir  due  parole.  Non  per  loro,  ma  per  fare  un 
piacere  a  me:  via;  qui  tra  noi,  a  quattr'occhi,  facciam  le 
nostre  cose;  ditemi  il  vostro  nome,  e  ...  e  poi  andate  a  letto 
col  cuor  quieto.» 

«Ah!  birbone!»  esclamò  Renzo:  «mariolo!  tu  mi  torni 
ancora  in  campo  con  quell'infamità  del  nome,  cognome  e 
negozio!» 

«Sta  zitto,  buffone;  va  a  letto,»)  diceva  l'oste. 

Ma  Renzo  continuava  più  forte:  «ho  inteso:  sei  della  lega 
anche  tu.  Aspetta,  aspetta,  che  t'accomodo  io.»  E  voltando 
la  testa  verso  la  scaletta,  cominciava  a  urlare  più  forte  an- 
cora: «amici!  V  oste  è  della  ....  » 

«Ho  detto  per  celia,»  gridò  questo  sul  viso  di  Renzo, 
spingendolo  verso  il  letto:  «per  celia;  non  hai  inteso  che  ho 
detto  per  celia?» 

«Ah!  per  celia:  ora  parli  bene.  Quando  hai  detto  per 
celia....  Son  proprio  celie.»     E  cadde  bocconi  sul  letto. 


190  I   PROMESSI    SPOSI. 

«Animo;  spogliatevi  presto,-)  disse  l'oste,  e  al  consiglio 
aggiunse  1'  aiuto,  che  ce  n'  era  bisogno.  Quando  Renzo  si  fu 
levato  il  farsetto  (e  ce  ne  volle),  Toste  l'agguantò  subito,  e 
corse  con  le  mani  alle  tasche ,  per  vedere  se  e'  era  il  morto. 
Lo  trovò:  e  pensando  che,  il  giorno  dopo,  il  suo  ospite 
avrebbe  avuto  a  fare  i  conti  con  tutt"  altri  che  con  lui,  e  che 
quel  morto  sarebbe  probabilmente  caduto  in  mani  di  dove  un 
oste  non  avrebbe  potuto  farlo  uscire:  volle  provarsi  se  almeno 
gli  riusciva  di  concluder  quest'  altro  affare. 

"Voi  siete  un  buon  figliuolo,  un  galantuomo;  n' è  vero?» 
disse. 

«Buon  figliuolo,  galantuomo,»  rispose  Renzo,  facendo  tut- 
tavia litigar  le  dita  co'  bottoni  de'  panni  che  non  s'  era  ancor 
potuto  levare. 

cBene,»  replicò  l'oste:  «saldate  ora  dunque  quel  poco 
conticino ,  perchè  domani  io  devo  uscire  per  certi  miei  af- 
fari ....  » 

«  Quest' è  giusto,»  disse  Renzo.  «Son  furbo,  ma  galan- 
tuomo ....  Ma  i  danari?  Andare  a  cercare  i  danai  1 
ora!  » 

«Eccoli  qui.»  disse  l'oste:  e  mettendo  in  opera  tutta  la 
sua  pratica,  tutta  la  sua  pazienza,  tutta  la  sua  destrezza,  gli 
riuscì  di  fare  il  conto  con  Renzo,  e  di  pagarsi. 

«Dammi  una  mano,  ch'io  possa  finir  di  spogliarmi,  oste,» 
disse  Renzo.  «Lo  vedo  anch'io,  ve',  che  ho  addosso  un  gran 
sonno.» 

L'oste  gli  diede  l'aiuto  richiesto;  gli  stese  per  di  più  la 
coperta  addosso,  e  gli  disse  sgarbatamente  «buona  notte.» 
che  già  quello  russava.  Poi,  per  quella  specie  d'attrattiva, 
che  alle  volte  ci  tiene  a  considerare  un  oggetto  di  stizza,  al 
pari  che  un  oggetto  d'amore,  e  che  forse  non  è  altro  che  il 
desiderio  di  conoscere  ciò  che  opera  fortemente  sull'  animo 
nostro,  si  fermò  un  momento  a  contemplare  l'ospite  cosi 
noioso  per  lui,  alzandogli  il  lume  sul  viso,  e  facendovi,  colla 
mano  stesa,  ribatter  sopra  la  luce;  in  quell'  atto  a  un  dipresso 
che  vien  dipinta  Psiche,  quando  sta  a  spiare  furtivamente  le 
forme  del  consorte  sconosciuto.  «Pezzo  d'asino!»  disse  nella 
sua  mente  al  povero  addormentato:  -sei  andato  proprio  a 
cercartela.  Domani  poi,  mi  saprai  dire  che  bel  gusto  ci 
avrai.  Tangheri,  che  volete  girare  il  mondo,  senza  saper  da 
che  parte   si  levi  il  sole;    per  imbrogliar  voi  e  il  prossimo.» 

Così  detto  o  pensato,  ritirò  il  lume,  si  mosse,  uscì  dalla 
camera ,  e  chiuse  1"  uscio  a  chiave.  Sul  pianerottolo  della 
scala  chiamò  1'  ostessa:  alla  quale  disse  che  lasciasse  i  figliuoli 
in  guardia  a  una  loro  servetta,  e  scendesse  in  cucina  a  far 
le    sue    veci.     «Bisogna    ch'io    vada    fuori,    in   grazia   d'un 


CAPITOLO    XV.  191 

forestiero  capitato  qui,  non  so  come  diavolo,  per  mia  disgra- 
zia,» soggiunse:  e  le  raccontò  in  compendio  il  noioso  acci- 
dente. Poi  soggiunse  ancora:  «occhio  a  tutto;  e  sopra  tutto 
prudenza,  in  questa  maledetta  giornata.  Abbiamo  laggiù  una 
mano  di  scapestrati  che,  tra  il  bere,  e  tra  che  di  natura  sono 
sboccati,  ne  dicon  di  tutti  1  colori.  Basta,  se  qualche  teme- 
rario ....  » 

«  Oh  !  non  sono  una  bambina ,  e  so  anch'  io  quel  che  va 
fatto.     Finora,  mi  pare  che  non  si  possa  dire  ...» 

«Bene,  bene;  e  badar  che  paghino;  e  tutti  que' discorsi 
che  fanno,  sul  vicario  di  provvisione  e  il  governatore  Ferrer 
e  i  decurioni  e  i  cavalieri  e  Spagna  e  Francia  e  altre  simili 
corbellerie,  far  vista  di  non  sentire;  perchè,  se  si  contraddice, 
la  può  andar  male  subito;  e  se  si  dà  ragione,  la  può  andar 
male  in  avvenire;  e  già  sai  anche  tu  che  qualche  volta  quelli 
che  le  dicon  più  grosse  ....  Basta;  quando  si  senton  certe 
proposizioni,  girar  la  testa,  e  dire:  vengo;  come  se  qualche- 
duno  chiamasse  da  un'  altra  parte.  Io  cercherò  di  tornare  più 
presto  che  posso.» 

Ciò  detto,  scese  con  lei  in  cucina,  diede  un'occhiata  in 
giro,  per  veder  se  c'era  novità  di  rilievo;  staccò  da  un  ca- 
vicchio il  cappello  e  la  cappa,  prese  un  randello  da  un  can- 
tuccio, ricapitolò,  con  un'altra  occhiata  alla  moglie,  l'istru- 
zioni che  le  aveva  date;  e  uscì.  Ma,  già  nel  far  quelle  ope- 
razioni, aveva  ripreso,  dentro  di  sé,  il  filo  dell'apostrofe  co- 
minciata al  letto  del  povero  Renzo;  e  la  proseguiva,  cammi- 
nando in  istrada. 

—  Testardo  d'un  montanaro!  —  Che,  per  quanto  Renzo 
avesse  voluto  tener  nascosto  l'esser  suo,  questa  qualità  si 
manifestava  da  sé,  nelle  parole,  nella  pronunzia,  nell'aspetto 
e  negli  atti.  —  Una  giornata  come  questa,  a  forza  di  politica, 
a  forza  d'aver  giudizio,  io  n'usciva  netto;  e  dovevi  venir  tu 
sulla  fine,  a  guastarmi  l'uova  nel  paniere.  Manca  osterie  in 
Milano,  che  tu  dovessi  proprio  capitare  alla  mia?  Fossi  al- 
meno capitato  solo;  che  avrei  chiuso  un  occhio,  per  questa 
sera;  e  domattina  t'avrei  fatto  intender  la  ragione.  Ma  no, 
signore:  in  compagnia  ci  vieni;  e  in  compagnia  d' un  bargello, 
per  far  meglio!  — 

A  ogni  passo,  1'  oste  incontrava  o  passeggieri  scompagnati, 
o  coppie,  o  brigate  di  gente,  che  giravano  susurrando.  A 
questo  punto  della  sua  muta  allocuzione,  vide  venir  una  pat- 
tuglia di  soldati;  e  tirandosi  da  parte,  per  lasciarli  passare, 
li  guardò  con  la  coda  dell'occhio,  e  continuò  tra  sé:  —  ec- 
coli i  gastigamatti.  E  tu,  pezzo  d'asino,  per  aver  visto  un 
po'  di  gente  in  giro  a  far  baccano,  ti  sei  cacciato  in  testa  che 
il  mondo  abbia  a  mutarsi.  Su  questo  bel  fondamento,  ti  sei 
rovinato  te,  e  volevi  anche  rovinar  me;  che  non  è  giusto.    Io 


192  I    PROMESSI    SPOSI. 

facevo  di  tutto  per  salvarti;  o  tu,  bestia,  in  contraccambio. 
e'  è  mancato  poco  che  non  nv  hai  messo  sottosopra  1'  osteria. 
Ora  toccherà  a  te  a  levarti  d'impiccio:  per  me  ci  penso  io. 
Come  se  io  volessi  sapere  il  tuo  nome  per  una  mia  curiosità. 
Cosa  m'importa  a  me  che  tu  ti  chiami  Taddeo  o  Bartolomeo? 
Ci  ho  un  bel  gusto  anch'io  a  prender  la  penna  in  mano!  ma 
non  siete  voi  altri  soli  a  voler  le  cose  a  modo  vostro.  Lo  so 
anch'io  che  ci  son  delle  gride  che  non  contan  nulla:  bella 
novità,  da  venircela  a  dire  un  montanaro!  Ma  tu  non  sai  che 
le  gride  contro  gli  osti  contano.  E  pretendi  girare  il  mondo. 
e  parlare;  e  non  sai  che,  a  voler  fare  a  modo  suo,  e  impi- 
parsi delle  gride,  la  prima  cosa  è  di  parlarne  con  gran  ri- 
guardo. E  per  un  povero  oste  che  fosse  del  tuo  parere,  e  non 
domandasse  il  nome  di  chi  capita  a  favorirlo,  sai  tu,  bestia, 
cosa  c'è  di  bello?  Sotto  pena  a  guai  si  voglia  dei  detti 
osti,  tavernai  ed  altri,  come  sopra,  di  trecento  scudi:  sì,  son 
lì  che  covano  trecento  scudi;  e  per  ispenderli  così  bene;  da 
essere  applicati  per  i  due  terzi  alla  regia  Camera,  e  V  altro 
air  accusatore  o  delatore:  quel  bel  cecino!  Ed  in  caso  di 
inabilità,  cinque  anni  di  galera,  e  maggior  pena,  pecuniaria 
o  corporale,  all'  arbitrio  di  sua  eccellenza.  Obbligatissimo 
alle  sue  grazie.  — 

A  queste  parole,  1'  oste  toccava  la  soglia  del  palazzo  di 
giustizia. 

Lì,  come  a  tutti  gli  altri  ufizi,  e1  era  un  gran  da  fare  :  per 
tutto  s'  attendeva  a  dar  gli  ordini  che  parevan  più  atti  a  pre- 
occupare il  giorno  seguente,  a  levare  i  pretesti  e  l'ardire 
agli  animi  vogliosi  di  nuovi  tumulti,  ad  assicurare  la  forza 
nelle  mani  solite  ad  adoprarla.  S'  accrebbe  la  soldatesca  alla 
casa  del  vicario;  gli  sbocchi  della  strada  furono  sbarrati  di 
travi,  trincerati  di  carri.  S'ordinò  a  tutti  i  fornai  che  fa- 
cessero pane  senza  intermissione;  si  spedirono  staffette  a' paesi 
circonvicini,  con  ordini  di  mandar  grano  alla  città;  a  ogni 
forno  furono  deputati  nobili,  che  vi  si  portassero  di  buon 
mattino,  a  invigilare  sulla  distribuzione  e  a  tenere  a  freno 
gì'  inquieti,  con  l' autorità  della  presenza',  e  con  le  buone  pa- 
role. Ma  per  dar,  come  si  dice,  un  colpo  al  cerchio  e  uno 
alla  botte,  render  più  efficaci  i  consigli  con  un  po' di  spa- 
vento, si  pensò  anche  a  trovar  la  maniera  di  metter  le  mani 
addosso  a  qualche  sedizioso;  e  questa  era  principalmente  la 
parte  del  capitano  di  giustizia;  il  quale,  ognuno  può  pensare 
che  sentimenti  avesse  per  le  sollevazioni  e  per  i  sollevati,  con 
una  pezzetta  d'acqua  vulneraria  sur  uno  degli  organi  della 
profondità  metafìsica.  I  suoi  bracchi  erano  in  campo  fino  dal 
principio  del  tumulto:  e  quel  sedicente  Ambrogio  Fusella  era, 
come  ha  detto  l'oste,  un  bargello  travestito,  mandato  in  giro 
appunto  per   cogliere  sul  fatto   qualcheduno   da  potersi  rico- 


CAPITOLO    XV.  193 

noscere,  e  tenerlo  in  petto,  e  appostarlo,  e  acchiapparlo  poi, 
a  notte  affatto  quieta,  o  il  giorno  dopo.  Sentite  quattro  pa- 
role di  quella  predica  di  Renzo,  colui  gli  aveva  fatto  subito 
assegnamento  sopra:  parendogli  quello  un  reo  buon  uomo, 
proprio  quel  che  ci  voleva.  Trovandolo  poi  nuovo  affatto  del 
paese,  aveva  tentato  il  colpo  maestro  di  condurlo  caldo  caldo 
alle  carceri,  come  alla  locanda  più  sicura  della  città;  ma  gli 
andò  fallito,  come  avete  visto.  Potè  però  portare  a  casa  la 
notizia  sicura  del  nome,  cognome  e  patria,  oltre  cent' altre 
belle  notizie  congetturali;  dimodoché,  quando  l'oste  capitò  lì, 
a  dir  ciò  che  sapeva  intorno  a  Renzo,  ne  sapevan  già  più  di 
lui.  Entrò  nella  solita  stanza,  e  fece  la  sua  deposizione- 
come  era  giunto  ad  alloggiar  da  lui  un  forestiero,  che  non 
aveva  mai  voluto  manifestare  il  suo  nome. 

«Avete  fatto  il  vostro  dovere  a  informar  la  giustizia:» 
disse  un  notaio  criminale,  mettendo  giù  la  penna,  «ma  già  lo 
sapevamo.» 

—  Bel  segreto:  pensò  l'oste:  —  ci  vuole  un  gran  talen- 
to! —  «E  sappiamo  anche,»  continuò  il  notaio,  «quel  riverito 
nome.» 

—  Diavolo!  il  nome  poi,  com' hanno  fatto!  —  pensò  l'oste 
questa  volta. 

«Ma  voi,»  riprese  l'altro,  con  volto  serio,  «voi  non  dite 
tutto  sinceramente.» 

«Cosa  devo  dire  di  più?» 

«Ah!  ah!  sappiamo  benissimo  che  colui  ha  portato  nella 
vostra  osteria  una  quantità  di  pane  rubato  e  rubato  con  vio- 
lenza, per  via  di  saccheggio  e  di  sedizione.» 

«Vien  uno  con  un  pane  in  tasca;  so  assai  dov'è  andato 
a  prenderlo.  Perchè,  a  parlar  come  in  punto  di  morte,  posso 
dire  di  non  avergli  visto  che  un  pane  solo.» 

«Già  sempre  scusare,  difendere:  chi  sente  voi  altri,  son 
tutti  galantuomini.  Come  potete  provare  che  quel  pane  fosse 
di  buon  acquisto?» 

«Cosa  ho  da  provare  io?  io  non  c'entro:  io  fo  l'oste.» 

«Xon  potrete  però  negare  che  codesto  vostro  avventore 
non  abbia  avuta  la  temerità  di  proferir  parole  ingiuriose  con- 
tro le  gride,  e  di  fare  atti  mali  e  indecenti  contro  l'arme  di 
sua  eccellenza.» 

a  Mi  faccia  grazia,  vossignoria:  come  può  mai  essere  mio 
avventore,  se  lo  vedo  per  la  prima  volta?  È  il  diavolo,  con 
rispetto  parlando,  che  l'ha  mandato  a  casa  mia:  e  se  lo  co- 
noscessi, vossignoria  vede  bene  che  non  avrei  avuto  bisogno  di 
domandargli  il  suo  nome.» 

«Però,  nella  vostra  osteria,  alla  vostra  presenza  si  son 
dette  cose  di  fuoco:  parole  temerarie,  proposizioni  sediziose, 
mormorazioni,  strida,  clamori.» 

Manzoni.  13 


194  i  PEOiiessi  sposi. 

«Come  vuole  vossignoria  ch'io  badi  agli  spropositi  che 
posson  dire  tanti  urloni  che  parlan  tutti  insieme?  Io  devo 
attendere  a' miei  interessi,  che  sono  un  pover' uomo.  E  poi 
vossignoria  sa  bene  che  chi  è  di  lingua  sciolta,  per  il  solito 
è  anche  lesto  di  mano,  tanto  più  quando  sono  una  brigata ; 
è  .  .  .  .» 

«Sì,  sì;  lasciateli  fare  e  dire:  domani,  domani,  vedrete  se 
gli  sarà  passato  il  ruzzo.     Cosa  credete?» 

do  non  credo  nulla.» 

«Che  la  canaglia  sia  diventata  padrona  di  Milano?» 

«Oh  giusto!» 

«Vedrete,  vedrete.» 

«Intendo  benissimo; 
riscosso  avrà  riscosso:  e  naturalmente  un  povero  padre  di  fa- 
miglia non  ha  voglia  di  riscotere.  Lor  signori  hanno  la  for- 
za: a  lor  signori  tocca.» 

Avete  molta  gente  in  casa?» 

«Un  visibilio.» 

«E  quel  vostro  avventore  cosa  fa?  Continua  a  schia- 
mazzare, a  metter  su  la  gente,  a  preparar  tumulti  per  do- 
mani?)) 

«Quel  forestiero,  vuol  dire  vossignoria:  è  andato  a  letto.» 

«Dunque  avete  molta  gente  ....  Basta;  badate  a  non  la- 
sciarlo scappare.  » 

—  Che  devo  fare  il  birro  io?  —  pensò  l'oste;  ma  non 
disse  né  sì  né  no. 

«Tornate  pure  a  casa;  e  abbiate  giudizio,»  riprese  il 
notaio. 

«Io  ho  sempre  avuto  giudizio.  Vossignoria  può  dire  se 
ho  mai  dato  da  fare  alla  giustizia.-) 

«E  non  crediate  che  la  giustizia  abbia  perduta  la  sua 
forza.» 

«Io?  per  carità!  io  non  credo  nulla;  abbado  a  far  l'oste.» 

«La  solita  canzone:  non  avete  mai  altro  da  dire.» 

«Che  ho  da  dire  altro?     La  verità  è  una  sola.» 

«Basta;  per  ora  riteniamo  ciò  che  avete  deposto;  se  verrà 
poi  il  caso,  informerete  più  minutamente  la  giustizia  intorno 
a  ciò  che  vi  potrà  venir  domandato.» 

«Cosa  ho  da  informare?  io  non  so  nulla;  appena  ho  la 
testa  da  attendere  ai  fatti  miei.» 

«Badate  a  non  lasciarlo  partire.» 

«Spero  che  l'illustrissimo  signor  capitano  saprà  che  son 
venuto  subito  a  fare  il  mio  dovere.  Bacio  le  mani  a  vossi- 
gnoria. » 

Allo  spuntar  del  giorno,  Renzo  russava  da  circa  sett'  ore, 
ed  era  ancora,  poveretto!  sul  più  bello,  quando  due  forti 
scosse  alle  braccia,  e  una  voce  che  dappiè  del  letto  gridava: 


CAPITOLO    XV.  195 

«Lorenzo  Tramaglino!)',  lo  fecero  riscotere.  Si  risentì,  ritirò 
le  braccia,  aprì  gli  occhi  a  stento;  e  vide  ritto  appiè  del 
letto  un  uomo  vestito  di  nero,  e  due  armati,  uno  di  qua, 
uno  di  Là,  del  capezzale.  E,  tra  la  sorpresa  e  il  non  esser 
desto  bene,  e  la  spranghetta  di  quel  vino  che  sapete,  rimase 
un  momento  come  incantato;  e  credendo  di  sognare,  e  non 
piacendogli  quel  sogno,  si  dimenava  come  per  isvegliarsi 
affatto. 

«Ah!  avete  sentito  una  volta,  Lorenzo  Tramaglino?»  disse 
l'uomo  dalla  cappa  nera,  quel  notaio  medesimo  della  sera 
avanti.     «Animo  dunque;  levatevi  e  venite  con  noi.» 

«Lorenzo  Tramaglino!»  disse  Renzo  Tramaglino:  «cosa 
vuol  dir  questo?  Cosa  volete  da  me?  Chi  v'ha  detto  il  mie 
nome?» 

«Meno  ciarle,  e  fate  presto,»  disse  un  de' birri  che  gli 
stavano  a  fianco,  prendendogli  di  nuovo  il  braccio. 

«Ohe!  che  prepotenza  è  questa?»  gridò  Renzo,  ritirando 
il  braccio.     «Oste!  o  l'oste!» 

«Lo  portiam  via  in  camicia?»  disse  ancora  quel  birro, 
voltandosi  al  notaio. 

«Avete  inteso?»  disse  questo  a  Renzo:  «si  farà  così,  se 
non  vi  levate  subito  subito  per  venir  con  noi.» 

«E  perchè?»  domandò  Renzo. 

«Il  perchè  lo  sentirete  dal  signor  capitano  di  giustizia.» 

«Io?  io  sono  un  galantuomo:  non  ho  fatto  nulla;  e  mi 
maraviglio  ....  » 

«Meglio  per  voi,  meglio  per  voi;  così,  in  due  parole  sa- 
rete spicciato,  e  potrete  andarvene  per  i  fatti  vostri.» 

«Mi  lascino  andare  ora,»  disse  Renzo:  «io  non  ho  che 
far  nulla  con  la  giustizia.» 

«Orsù,  finiamola!»  disse  un  birro. 

«Lo  portiamo  via  davvero?»  disse  l'altro. 

«Lorenzo  Tramaglino!»  disse  il  notaio. 

«Come  sa  il  mio  nome,  vossignoria?» 

«Fate  il  vostro  dovere,»  disse  il  notaio  a' birri,  1  quali 
misero  subito  le  mani  addosso  a  Renzo,  per  tirarlo  fuori  del 
letto. 

«Eh!   non   toccate   la  carne  d'un  galantuomo,  che  .... 
Mi  so  vestir  da  me.  » 

«Dunque  vestitevi  subito,»  disse  il  notaio. 

«Mi  vesto,»  rispose  Renzo;  e  andava  di  fatti  raccoglien 
do  qua  e  là  i  panni  sparsi  sul  letto,  come  gli  avanzi  d'un 
naufragio  sul  lido.  E  cominciando  a  metterseli,  proseguiva 
tuttavia  dicendo:  «ma  io  non  ci  voglio  andare  dal  capitano 
di  giustizia.  Non  ho  che  far  nulla  con  lui.  Giacché  mi  si 
fa  quest'  affronto  ingiustamente,  voglio  esser  condotto  da  Fer- 

13* 


196  1    PEOMESSI    SPOSI. 

rei*.     Quello   lo   conosco,    so   che   è   un  galantuomo;    e  m'ha 
delle  obbligazioni.  > 

«Sì,  sì,  figliuolo,  sarete  condotto  da  Ferrer,»  rispose  ii 
notaio.  In  altre  circostanze,  avrebbe  riso,  proprio  di  gusto, 
d'una  richiesta  simile;  ma  non  era  momento  da  ridere.  Già 
nel  venire,  aveva  visto  per  le  strade  un  certo  movimento,  da 
non  potersi  ben  definire  se  fossero  rimasugli  d' una  soileva- 
zione  non  del  tutto  sedata,  o  principii  d'una  nuova:  uno  sbu- 
car di  persone,  un  accozzarsi,  un  andare  a  brigate,  un  far 
crocchi.  E  ora,  senza  farne  sembiante,  o  cercando  almeno  di 
non  farlo,  stava  in  orecchi,  e  gli  pareva  che  il  ronzìo  andasse 
crescendo.  Desiderava  dunque  di  spicciarsi;  ma  avrebbe  an- 
che voluto  condur  via  Renzo  d'amore  e  d'accordo;  giacché, 
se  si  fosse  venuti  a  guerra  aperta  con  lui,  non  poteva  esser 
certo,  quando  fossero  in  istrada,  di  trovarsi  tre  contr' uno 
Perciò  dava  d'occhi  a' birri,  che  avessero  pazienza,  e  non 
inasprissero  il  giovine;  e  dalla  parte  sua,  cercava  di  persua- 
derlo con  buone  parole.  Il  giovine  intanto,  mentre  si  vestiva 
adagino  adagino,  richiamandosi,  come  poteva,  alla  memoria 
gli  avvenimenti  del  giorno  avanti,  indovinava  bene,  a  un  di 
presso,  che  le  gride  e  il  nome  e  il  cognome  dovevano  esser 
la  causa  di  tutto:  ma  come  diamine  colui  lo  sapeva  quel  nome? 
E  che  diamine  era  accaduto  in  quella  notte,  perchè  la  giusti- 
zia avesse  preso  tant'  animo,  da  venire  a  colpo  sicuro,  a  met- 
ter le  mani  addosso  a  uno  de'  buoni  figliuoli  che  il  giorno 
avanti,  avevan  tanta  voce  in  capitolo?  e  che  non  dovevan  esser 
tutti  addormentati ,  poiché  Renzo  s'  accorgeva  anche  lui  d'  un 
ronzìo  crescente  nella  strada.  Guardando  poi  in  viso  il  no- 
taio, vi  scorgeva  in  pelle  in  pelle  la  titubazione  che  costui  si 
sforzava  invano  di  tener  nascosta.  Onde,  così  per  venire  in 
chiaro  delle  sue  congetture,  e  scoprir  pae3e,  come  per  tirare 
in  lungo,  e  anche  per  tentare  un  colpo,  disse:  «vedo  bene 
cos'è  l'origine  di  tutto  questo:  gli  è  per  amor  del  nome  e 
del  cognome.  Ier  sera  veramente  ero  un  po' allegro:  questi 
osti  alle  volte  hanno  certi  vini  traditori;  e  alle  volte,  come 
dico,  si  sa.  quando  il  vino  è  giù  è  lui  che  parla.  Ma,  se  non 
si  tratta  d*  altro,  ora  son  pronto  a  darle  ogni  soddisfazione. 
E  poi,  già  lei  lo  sa  il  mio  nome.  Chi  diamine  gliel'  ha 
detto?-) 

«Bravo,  figliuolo,  bravo!»  rispose  il  notaio,  tutto  manie- 
roso: «vedo  che  avete  giudizio;  e,  credete  a  me  che  son  del 
mestiere,  voi  siete  più  furbo  che  tant'  altri.  È  la  miglior 
maniera  d'uscirne  presto  e  bene:  con  codeste  buone  disposi- 
zioni, in  due  parole  siete  spicciato,  e  lasciato  in  libertà.  Ma 
io,  vedete,  figliuolo,  ho  le  mani  legate,  non  posso  rilasciarvi 
qui,  come  vorrei.    Via  fate  presto,  e  venite  pure  senza  timore- 


CAPITOLO    XV.  197 

che  quando  vedranno  chi  siete;  e  poi  io  dirò  ....  Lasciate 
fare  a  me  ....  Basta:  sbrigatevi,  figliuolo.) 

«Ah!  lei  non  può:  intendo,»  disse  Renzo;  e  continuava 
a  vestirsi,  rispingendo  con  de' cenni  i  cenni  che  i  birri  face- 
vano di  mettergli  le  mani  addosso,  per  farlo  spicciare. 

"Passeremo  dalla  piazza  del  duomo?-  domandò  poi  al 
notaio. 

«Di  dove  volete;  per  la  più  corta,  affine  di  lasciarvi  più 
presto  in  libertà,»  disse  quello,  rodendosi  dentro  di  sé,  di 
dover  lasciar  cadere  in  terra  quella  domanda  misteriosa  di 
Renzo,  che  poteva  divenire  un  tema  di  cento  interrogazioni. 
—  Quando  uno  nasce  disgraziato!  pensava.  —  Ecco,  mi 
viene  alle  mani  uno  che,  si  vede,  non  vorrebbe  altro  che  can- 
tare, e  un  po' di  respiro  che  s'avesse,  così,  extra  formam, 
accademicamente,  in  via  di  discorso  amichevole,  gli  si  farebbe 
confessar,  senza  corda,  quel  che  uno  volesse;  un  uomo  da 
condurlo  in  prigione  già  beli' e  esaminato,  senza  che  se  ne 
fosse  accorto:  e  un  uomo  di  questa  sorte  mi  deve  per  l'ap- 
punto capitare  in  un  momento  còsi  angustiato.  Eh!  non  c'è 
scampo,  —  continuava  a  pensare,  tendendo  gli  orecchi,  e  pie- 
gando la  testa  all' indietro:  —  non  e"  è  rimedio;  e' risica 
d'essere  una  giornata  peggio  di  ieri.  —  Ciò  che  lo  fece  pen- 
sar così,  fu  un  rumor  straordinario  che  si  sentì  nella  strada: 
e  non  potè  tenersi  di  non  aprir  l' impannata,  per  dare  un'  oc- 
chiatina.  Vide  ch'era  un  crocchio  di  cittadini,  i  quali  al- 
l'intimazione di  sbandarsi,  fatta  loro  da  una  pattuglia,  ave- 
van  da  principio  risposto  con  cattive  parole,  e  finalmente  si 
separavan  continuando  a  brontolare:  e  quel  che  al  notaio  parve 
un  segno  mortale,  i  soldati  eraD  pieni  di  civiltà.  Chiuse  l' im- 
pannata, e  stette  un  momento  in  forse,  se  dovesse  condur 
l'impresa  a  termine,  o  lasciar  Renzo  in  guardia  de' due  bir- 
ri, e  correr  dal  capitano  di  giustizia,  a  render  conto  di  ciò 
che  accadeva.  —  Ma,  pensò  subito,  —  mi  si  dirà  che  sono 
un  huono  a  nulla,  un  pusillanime,  e  che  dovevo  eseguir  gli 
ordini.  Siamo  in  ballo  :  bisogna  ballare.  Malannaggia  la  fu- 
ria!    .Maledetto  il  mestiere!  — 

Renzo  era  levato  ;  i  due  satelliti  gli  stavano  a'  fianchi.  Il 
notaio  accennò  a  costoro  che  non  lo  sforzasser  troppo,  e  disse 
a  lui:  "da  bravo,  figliuolo;  a  noi,  spicciatevi.» 

Anche  Renzo  sentiva,  vedeva  e  pensava.  Era  ormai  tutto 
vestito,  salvo  il  farsetto,  che  teneva  con  una  mano,  frugando 
con  l'altra  nelle  tasche.  "Ohe!»  disse,  guardando  il  notaio, 
con  un  viso  molto  significante:  «qui  c'era  de' soldi  e  una 
lettera,  signor  mio.» 

«Vi  sarà  dato  ogni  cosa  puntualmente,»  disse  il  notaio, 
«dopo  adempite  quelle  poche  formalità.  Andiamo,  an- 
diamo.» 


198 


I    PROMESSI    SPOSI. 


«No,  no,  no,»  disse  Renzo,  tentennando  il  capo:  «questa 
non  mi  va:  voglio  la  roba  mia,  signor  mio.  Renderò  conto 
delle  mie  azioni:  ma  voglio  la  roba  mia.» 

«Voglio  farvi  vedere  che  mi  fido  di  voi;  tenete,  e  fate 
presto.'-  disse  il  notaio,  levandosi  di  seno,  e  consegnando,  con 
un  sospiro,  a  Renzo  le  cose  sequestrate.  Questo,  riponendole 
al  loro  posto,  mormorava  tra' denti:  «alla  larga!  bazzicate 
ranto  co*  ladri,  che  avete  un  poco  imparato  il  mestiere.»  I 
"idrri  non  potevan  più  stare  alle  mosse;  ma  il  notaio  li  teneva 
a  freno  con  gli  occhi,  e  diceva  intanto  tra  se:  —  se  tu  arrivi 
a  metter  piede  dentro  quella  soglia,  l'hai  da  pagar  con  usu- 
ra, l'hai  da  pagare.  — 

Mentre  Renzo  si  metteva  il  farsetto,  e  prendeva  il  cap- 
pello, il  notaio  fece  cenno  a  un  de' birri,  che  s'avviasse  per 
la  scala:  gli  mandò  dietro  il  prigioniero,  poi  l'altro  amico; 
poi  si  mosse  anche  lui.  In  cucina  che  furono,  mentre  Renzo 
dice:  «e  quest'oste  benedetto  dove  s'è  cacciato?»  il  notaio 
fa  un  altro  cenno  a' birri:  i  quali  afferrano,  l'uno  la  destra, 
l'altro  la  sinistra  del  giovine,  e  in  fretta  in  fretta  gli  legano 
i  polsi  con  certi  ordigni,  per  quell'ipocrita  figura  d'eufemi- 
smo, chiamati  manichini.  Consistevano  questi  (ci  dispiace  di 
dover  discendere  a  particolari  indegni  della  gravità  storica: 
ma  la  chiarezza  lo  richiede),  consistevano  in  una  cordicella 
lunga  un  po' più  che  il  giro  d'un  polso  ordinario,  la  quale 
aveva  nelle  cime  due  pezzetti  di  legno,  come  due  piccole 
stanghette.  La  cordicella  circondava  il  polso  del  paziente;  i 
legnetti  passati  tra  il  medio  e  l'anulare  del  prenditore,  gli 
rimanevano  chiusi  in  pugno,  di  modo  che,  girandoli,  ristrin- 
geva la  legatura  a  volontà;  e  con  ciò  aveva  mezzo,  non  solo 
d'assicurare  la  presa,  ma  anche  di  martirizzare  un  ricalci- 
trante: e  a  questo  fine,  la  cordicella  era  sparsa  di  nodi. 

Renzo  si  divincola,  grida:  «che  tradimento  è  questo?  A 
un  galantuomo  ....!<  Ma  il  notaio,  che  per  ogni  tristo  fatto 
aveva  le  sue  buone  parole,  «abbiate  pazienza,»  diceva:  «fanno 
il  loro  dovere.  Cosa  volete?  son  tutte  formalità;  e  anche  noi 
non  possiamo  trattar  la  gente  a  seconda  del  nostro  cuore. 
Se  non  si  facesse  quello  che  ci  vien  comandato,  staremmo  fre- 
schi noi  altri,  peggio  di  voi.     Abbiate  pazienza.» 

Mentre  parlava,  i  due  a  cui  toccava  fare,  diedero  una  gi- 
rata a' legnetti.  Renzo  s'acquietò,  come  un  cavallo  bizzarro 
che  si  sente  il  labbro  stretto  tra  le  morse,  e  esclamò:  «pa- 
zienza!» 

«Bravo,  figliuolo!»  disse  il  notaio:  «questa  è  la  vera  ma- 
niera d'uscirne  a  bene.  Cosa  volete?  è  una  seccatura:  lo 
vedo  anch'io:  ma,  portandovi  bene,  in  un  momento  ne  siete 
fuori.  E  giacché  vedo  che  siete  ben  disposto,  e  io  mi  sento 
inclinato  a  aiutarvi,  voglio  darvi  anche  un  altro  parere,  per 


CAPITOLO   XV.  199 

vostro  bene.  Credete  a  me,  che  son  pratico  di  queste  cose: 
andate  via  diritto  diritto,  senza  guardare  in  qua  e  in  là,  senza 
farvi  scorgere:  così  nessuno  bada  a  voi,  nessuno  s'avvede  di 
quel  che  è;  e  voi  conservate  il  vostro  onore.  Di  qui  a  un' ora 
voi  siete  in  libertà  :  e'  è  tanto  da  fare,  che  avranno  fretta  an- 
che loro  di  sbrigarvi:  e  poi  parlerò  io  ....  Ve  n'andate  per 
i  fatti  vostri  :  e  nessuno  saprà  che  siete  stato  nelle  mani  della 
giustizia.  E  voi  altri ,  »  continuò  poi ,  voltandosi  a'  birri,  con 
un  viso  severo:  «guardate  bene  di  non  fargli  male,  perchè  lo 
proteggo  io  :  il  vostro  dovere  bisogna  che  lo  facciate ,  ma  ri- 
cordatevi che  è  un  galantuomo,  un  giovine  civile,  il  quale,  di 
qui  a  poco,  sarà  in  libertà;  e  che  gli  deve  premere  il  suo 
onore.  Andate  in  maniera  che  nessuno  s'avveda  di  nulla: 
come  se  foste  tre  galantuomini  che  vanno  a  spasso.»  E  con 
tono  imperativo,  e  con  sopracciglio  minaccioso,  concluse:  «m'a- 
vete inteso.»  Voltatosi  a  Renzo,  col  sopracciglio  spianato,  e 
col  viso  divenuto  a  un  tratto  ridente,  che  pareva  volesse  dire: 
oh  noi  sì  che  siamo  amici!  gli  bisbigliò  di  nuovo:  «giudizio; 
fate  a  mio  modo;  andate  raccolto  e  quieto;  fidatevi  di  chi  vi 
vuol  bene:  andiamo.»     E  la  comitiva  s'avviò. 

Però  di  tante  belle  parole,  Renzo  non  ne  credette  una:  né 
che  il  notaio  volesse  più  bene  a  lui  che  a'  birri,  né.  che  pren- 
desse tanto  a  cuore  la  sua  riputazione,  né  che  avesse  inten- 
zion  d'aiutarlo;  capì  benissimo  che  il  galantuomo,  temendo 
che  si  presentasse  per  la  strada  qualche  buona  occasione  di 
scappargli  dalle  mani,  metteva  innanzi  que' bei  motivi,  per 
istornar  lui  dallo  starci  attento  e  da  approfittarne,  dimodoché 
tutte  quelle  esortazioni  non  servirono  ad  altro  che  a  con- 
fermarlo nel  disegno  che  già  aveva  in  testa,  di  far  tutto  il 
contrario. 

Nessuno  concluda  da  ciò  che  il  notaio  fosse  un  furbo  ine- 
sperto o  novizio;  perchè  s'ingannerebbe.  Era  un  furbo  ma- 
tricolato, dice  il  nostro  storico,  il  quale  pare  che  fosse  nel 
numero  de' suoi  amici:  ma,  in  quel  momento  si  trovava  con 
l'animo  agitato.  A  sangue  freddo,  vi  so  dir  io  come  si  sa- 
rebbe fatto  beffe  di  chi  per  indurre  un  altro  a  fare  una  cosa 
per  sé  sospetta,  fosse  andato  suggerendogliela  e  inculcando- 
gliela caldamente,  con  quella  miserabile  finta  di  dargli  un  pa- 
rere disinteressato,  da  amico.  Ma  è  una  tendenza  generale  degli 
uomini,  quando  sono  agitati  e  angustiati,  e  vedono  ciò  che  un 
altro  potrebbe  fare  per  levarli  l' impiccio  di  chiederglielo  con 
istanza  e  ripetutamente  e  con  ogni  sorte  di  pretesti;  e  i  furbi, 
quando  sono  angustiati  e  agitati,  cadono  anche  loro  sotto 
questa  legge  comune.  Quindi  è  che,  in  simili  circostanze, 
fanno  per  lo  più  una  così  meschina  figura.  Que' ritrovati 
maestri,  quelle  belle  malizie,  con  le  quali  sono  avvezzi  a  vin- 
cere, che  son  diventate  per  loro  quasi  una  seconda  natura,  e 


200  I   PROMESSI    SPOSI. 

che,  messe  in  opera  a  tempo,  e  condotte  con  la  pacatezza, 
d'animo,  con  la  serenità  di  mente  necessaria,  fanno  il  colpo 
così  bene  e  così  nascostamente,  e  conosciute  auche,  dopo  la 
riuscita,  riscotono  l'applauso  universale;  i  poverini  quando 
sono  alle  strette,  le  adoprano  in  fretta,  all'impazzata,  senza 
garbo  né  grazia.  Di  maniera  che  a  uno  che  li  veda  inge- 
gnarsi e  arrabbattarsi  a  quel  modo,  fanno  pietà  e  movon  le 
risa,  e  l'uomo  che  pretendono  allora  di  mettere  in  mezzo,, 
quantunque  meno  accorto  di  loro,  scopre  benissimo  tutto  il 
loro  gioco,  e  da  quegli  artifizi  ricava  lume  per  se,  contro  di 
loro.  Perciò  non  si  può  mai  abbastanza  raccomandare  a'  furbi 
di  professione  di  conservar  sempre  il  loro  sangue  freddo,  o 
d*  esser  sempre  i  più  forti,  che  è  la  più  sicura. 

Renzo  adunque,  appena  furono  in  istrada,  cominciò  a  gi- 
rar gli  occhi  in  qua  e  in  là,  a  sporgersi  con  la  persona,  a 
destra  e  a  sinistra,  a  tender  gli  orecchi.  Non  c'era  però 
concorso  straordinario;  e  benché  sul  viso  di  più  d'unpasseg- 
giero  si  potesse  legger  facilmente  un  certo  non  so  che  di  se- 
dizioso, pure  ognuno  andava  diritto  per  la  sua  strada;  e  se- 
dizione propriamente  detta,  non  e*  era. 

e  Giudizio,  giudizio!»  gli  susurrava  il  notaio  dietro  le 
spalle:  e  il  vostro  onore:  l'onore,  figliuolo.»  Ma  quando 
Renzo,  badando  attentamente  a  tre  che  venivano  con  visi  ac- 
cesi .  sentì  che  parlavan  d'  un  forno ,  di  farina  nascosta ,  di 
giustizia,  cominciò  anche  a  far  loro  de' cenni  col  viso,  e  a 
tossire  in  quel  modo  che  indica  tutt' altro  che  un  raffreddore. 
Quelli  guardarono  più  attentamente  la  comitiva,  e  si  ferma- 
rono; con  loro  si  fermarono  altri  che  arrivavano;  altri,  che 
gli  eran  passati  davanti,  voltatisi  al  bisbiglio,  tornavano  in- 
dietro, e  facevan  coda. 

('Badate  a  voi;  giudizio,  figliuolo;  peggio  per  voi,  vedete; 
non  guastate  i  fatti  vostri:  l'onore,  la  riputazione,»  conti- 
nuava a  susurrare  il  notaio.  Renzo  faceva  peggio.  I  birri, 
dopo  essersi  consultati  con  l'occhio,  pensando  di  far  bene 
(ognuno  è  soggetto  a  sbagliare),  gli  diedero  una  stretta  di 
manichini. 

(-Ahi!  ahi!  ahi!»  grida  il  tormenfato;  al  grido,  la  gente 
s'affolla  intorno;  n'accorre  da  ogni  parte  della  strada:  la 
comitiva  si  trova  incagliata.  «È  un  malvivente,»  bisbigliava 
il  notaio  a  quelli  che  gli  erano  a  ridosso  :  «  è  un  ladro  colto 
sul  fatto.  Si  ritirino,  lascin  passar  la  giustizia.»  Ma  Renzo, 
visto  il  bel  momento,  visti  i  birri  diventar  bianchi,  o  almeno 
pallidi,  —  se  non  m'aiuto  ora,  pensò,  mio  danno.  —  E  su- 
bito alzò  la  voce:  «figliuoli!  mi  menano  in  prigione,  perchè 
ieri  ho  gridato:  pane  e  giustizia.  Non  ho  fatto  nulla;  son 
galantuomo-  aiutatemi,  non  m'abbandonate,  figliuoli!» 


CAPITOLO   XVI.  201 

Un  mormorio  favorevole,  voci  più  chiare  di  protezione 
s'alzano  in  risposta:  i  birri  sul  principio  comandano,  poi 
chiedono,  poi  pregano  i  più  vicini  d'andarsene,  e  di  far  lar- 
go; la  folla  in  vece  incalza  e  pigia  sempre  più.  Quelli,  vista 
la  mala  parata,  lascian  andare  i  manichini,  e  non  si  curan 
più  d'altro  che  di  perdersi  nella  folla,  per  uscirne  inosser- 
vati. Il  notaio  desiderava  ardentemente  di  far  lo  stesso;  ma 
c'era  de' guai,  per  amor  della  cappa  nera.  Il  pover' uomo, 
pallido  e  sbigottito,  cercava  di  farsi  piccino  piccino,  s1  andava 
storcendo,  per  isgusciar  fuor  della  folla;  ma  non  poteva  alzar 
gli  occhi,  che  non  se  ne  vedesse  venti  addosso.  Studiava 
tutte  le  maniere  di  comparire  un  estraneo  che  passando  di  lì 
a  caso,  si  fosse  trovato  stretto  nella  calca,  come  una  pagliu- 
cola  nel  ghiaccio;  e  riscontrandosi  a  viso  a  viso  con  uno 
che  lo  guardava  fisso,  con  un  cipiglio  peggio  degli  altri,  lui, 
composta  la  bocca  al  sorriso,  con  suo  fare  sciocco,  gli  do- 
mandò: «cos'è  stato?» 

«Uh  corvaccio!»  rispose  colui.  «Corvaccio!  coivaccio!» 
risonò  all'intorno.  Alle  grida  s'aggiunsero  gli  urtoni;  di 
maniera  che,  in  poco  tempo,  parte  con  le  gambe  proprie, 
parte  con  le  gomita  altrui,  ottenne  ciò  che  più  gli  premeva 
in  quel  momento,  d'  esser  fuori  di  quel  serra  serra. 


CAPITOLO  XVI. 

«Scappa,  scappa,  galantuomo:  lì  c'è  un  convento,  ecco  là 
una  chiesa:  di  qui,  di  là.»  si  grida  a  Renzo  da  ogni  parte. 
In  quanto  allo  scappare,  pensate  se  aveva  bisogno  di  consigli. 
Fin  dal  primo  momento  che  gli  era  balenato  in  nente  una 
speranza  d'uscir  da  quell'unghie,  aveva  cominciato  a  fare  i 
suoi  conti,  e  stabilito,  se  questo  gli  riusciva,  d'andare  senza 
fermarsi,  fin  che  non  fosse  fuori,  non  solo  della  città,  ma  del 
ducato.  —  Perchè,  —  aveva  pensato,  —  il  mio  nome  P  hanno 
su' loro  libracci  in  qualunque  maniera  l'abbiano  avuto;  e  col 
nome  e  cognome,  mi  vengono  a  prendere  quando  vogliono.  E 
in  quanto  a  un  asilo,  non  vi  si  sarebbe  cacciato  che  quando 
avesse  avuto  i  birri  alle  spalle.  —  Perchè,  se  posso  essere 
uccel  di  bosco,  —  aveva  anche  pensato,  —  non  voglio  diven- 
'  tare  uccel  di  gabbia.  —  Aveva  dunque  disegnato  per  suo  ri- 
!  fugio  quel  paese  nel  territorio  di  Bergamo,  dov'era  accasato 
quel  suo  cugino  Bortolo,  se  ve  ne  rammentate,  che  più  volte 
I  l'aveva  invitato  a  andar  là.  Ma  trovar  la  strada,  lì  stava  il 
j  male.  Lasciato  in  una  parte  sconosciuta  d'  una  città  si  può 
dire    sconosciuta,   Renzo   non  sapeva  neppure  da  che  porta 


202  I   PROMESSI    SPOSI. 

s'uscisse  per  andare  a  Bergamo;  e  quando  l'avesse  saputo, 
non  sapeva  poi  andare  alla  porta.  Fu  li  lì  per  farsi  inse- 
gnare la  strada  da  qualcheduno  de'  suoi  liberatori  :  ma  sicco- 
me nel  poco  tempo  che  aveva  avuto  per  meditare  su'  cast 
suoi,  gli  eran  passate  per  la  mente  certe  idee  su  quello 'spa- 
daio così  obbligante,  padre  di  quattro  figliuoli,  così,  a  buon 
conto,  non  volle  manifestare  i  suoi  disegni  a  una  gran  bri- 
gata, dove  ce  ne  poteva  essere  qualche  altro  di  quel  conio:  e 
risolvette  subito  d'allontanarsi  in  fretta  di  lì:  che  la  strada 
se  la  farebbe  poi  insegnare,  in  luogo  dove  nessuno  sapesse 
chi  era,  né  il  perchè  la  domandasse.  Disse  a' suoi  liberatori: 
«'grazie  tante,  figliuoli:  siate  benedetti,»  e,  uscendo  per  il 
largo  che  gli  fu  fatto  immediatamente,  prese  la  rincorsa,  e 
via;  dentro  per  un  vicolo,  giù  per  una  stradetta,  galoppò  un 
pezzo,  senza  saper  dove.  Quando  gli  parve  d'essersi  allon- 
tanato abbastanza,  rallentò  il  passo  per  non  dar  sospetto;  e 
cominciò  a  guardare  in  qua  e  in  là,  per  iscegliere  la  persona 
a  cui  far  la  sua  domanda,  una  faccia  che  ispirasse  confidenza. 
Ma  anche  qui  e'  era  dell'  imbroglio.  La  domanda  per  sé 
era  sospetta;  il  tempo  stringeva;  i  birri,  appena  liberati  da 
quel  piccolo  intoppo,  dovevan  senza  dubbio  essersi  rimessi  in 
traccia  del  loro  fuggitivo;  la  voce  di  quella  fuga  poteva  es- 
sere arrivata  fin  là.  e  in  tali  strette,  Renzo  dovette  fare  forse 
dieci  giudizi  fisionomici,  prima  di  trovar  la  figura  che  gli  pa- 
resse a  proposito.  Quel  grassotto,  che  stava  ritto  sulla  so- 
glia della  sua  bottega,  a  gambe  larghe,  con  le  mani  di  dietro. 
con  la  pancia  in  fuori,  col  mento  in  aria,  dal  quale  pendeva 
una  gran  pappagorgia,  e  che,  non  avendo  altro  che  fare,  an- 
dava alternativamente  sollevando  sulla  punta  de'  piedi  la  sua 
massa  tremolante,  e  lasciandola  ricadere  sui  calcagni,  aveva 
un  viso  di  cicalone  curioso,  che  invece  di  dar  delle  risposte, 
avrebbe  fatto  delle  interrogazioni.  Queir  altro  che  veniva  in- 
nanzi, con  gli  occhi  fìssi,  e  col  labbro  in  fuori,  non  che  inse- 
gnar presto  e  bene  la  strada  a  un  altre,  appena  pareva  co- 
noscer la  sua.  Quel  ragazzotto,  che,  a  dire  il  vero,  mostrava 
d'esser  molto  sveglio,  mostrava  però  d'essere  anche  più  ma- 
lizioso; e  probabilmente  avrebbe  avuto  un  gusto  matto  a  far 
andare  un  povero  contadino  dalla  parte  opposta  a  quella  che 
desiderava.  Tant'  è  vero  che  all'  uomo  impicciato,  quasi  ogni 
cosa  è  un  nuovo  impiccio!  Visto  finalmente  uno  che  veniva 
in  fretta,  pensò  che  questo,  avendo  probabilmente  qualche 
affare  pressante,  gli  risponderebbe  subito  senz' altre  chiac- 
chiere: e  sentendolo  parlar  da  sé,  giudicò  Ghe  dovesse  essere 
un  uomo  sincero.  Gli  s'accostò,  e  disse:  «di  grazia,  quel 
signore,  da  che  parte  si  va  per  andare  a  Bergamo?» 
«Per  andare  a  Bergamo?  Da  porta  orientale.» 
«Grazie  tante;  e  per  andare  a  porta  orientale?» 


CAPITOLO   XVI.  203 

^Prendete  questa  strada  a  mancina:  vi  troverete  sulla 
piazza  del  duomo;  poi  .  .  .  .» 

«Basta,  signore;  il  resto  lo  so.  Dio  gliene  renda  meri- 
to.» E  deviato  s'incamminò  dalla  parte  che  gli  era  stata 
indicata.  L'  altro  gli  guardò  dietro  un  momento,  e,  accozzan- 
do nel  suo  pensiero  quella  maniera  di  camminare  con  la  do- 
manda, disse  tra  sé:  —  o  n' ha  fatta  una,  o  qualcheduno  la 
vuol  fare  a  lui.  — 

Renzo  arriva  sulla  piazza  del  duomo:  l'attraversa,  passa 
accanto  a  un  mucchio  di  cenere  e  di  carboni  spenti,  e  rico- 
nosce gli  avanzi  del  falò  di  cui  era  stato  spettatore  il  giorno 
avanti:  costeggia  gli  scalini  del  duomo,  rivede  il  forno  delle 
gruccie,  mezzo  smantellato,  e  guardato  da  soldati;  e  tira  di- 
ritto per  la  strada  da  cui  era  venuto  insieme  con  la  folla: 
arriva  al  convento  dei  cappuccini;  dà  un'occhiata  a  quella 
piazza  e  alla  porta  della  chiesa,  e  dice  tra  sé,  sospirando: 
—  m'aveva  però  dato  un  buon  parere  quel  frate  di  ieri: 
che  stessi  in  chiesa  a  aspettare,  e  a  fare  un  po'  di  bene.  — 

Qui,  essendosi  fermato  un  momento  a  guardare  attenta- 
mente alla  porta  per  cui  doveva  passare,  e  vedendovi,  così  da 
lontano,  molta  gente  a  guardia,  e  avendo  la  fantasia  un  po' 
riscaldata  (bisogna  compatirlo  ;  aveva  i  suoi  motivi) ,  provò 
una  certa  ripugnanza  ad  affrontare  quel  passo.  Si  trovava 
così  a  mano  un  luogo  d'asilo,  e  dove,  con  quella  lettera,  sa- 
rebbe ben  raccomandato;  fu  tentato  fortemente  d'entrarvi. 
Ma,  subito  ripreso  animo,  pensò:  —  uccel  di  bosco,  fin  che 
si  può.  Chi  mi  conosce?  Di  ragione,  i  birri  non  si  saran 
fatti  in  pezzi,  ,per  andarmi  ad  aspettare  a  tutte  le  porte.  — 
Si  voltò,  per  vedere  se  mai  venissero  da  quella  parte:  non 
vide  né  quelli,  né  altri  che  paressero  occuparsi  di  lui.  Va 
innanzi;  rallenta  quelle  gambe  benedette,  che  volevan  sempre 
correre,  mentre  conveniva  soltanto  camminare;  e  adagio  ada- 
gio, fischiando  in  semitono,  arriva  alla  porta. 

C'era,  proprio  sul  passo,  un  mucchio  di  gabellini,  e  per 
rinforzo,  anche  de' micheletti  spagnoli,  ma  stavan  tutti  attenti 
verso  il  di  fuori,  per  non  lasciare  entrar  di  quelli  che,  alla 
notizia  d'una  sommossa,  v'accorrono,  come  i  corvi  al  campo 
dove  è  stata  data  battaglia;  di  maniera  che  Renzo,  con  un1 
aria  indifferente,  con  gli  occhi  bassi,  e  con  un  andare  così  tra 
il  viandante  e  uno  che  vada  a  spasso,  uscì,  senza  che  nessuno 
gli  dicesse  nulla:  ma  il  cuore  di  dentro  faceva  un  gran  bat- 
tere. Vedendo  a  diritta  una  viottola,  entrò  in  quella,  per 
evitare  la  strada  maestra;  e  camminò  un  pezzo  prima  di  vol- 
tarsi neppure  indietro. 

Cammina,  cammina;  trova  cascine,  trova  villaggi,  tira  in- 
nanzi senza  domandarne  il  nome;  è  certo  d'allontanarsi  da 
Milano;  spera  d'andar  verso  Bergamo;   questo  gli  basta  per 


204  ]    PROMESSI   SPOSI. 

ora.  Ogni  tanto,  si  voltava  indietro:  ogni  tanto,  andava  an- 
che guardando  e  strofinando  or  1"  uno  or  l'altro  polso,  an- 
cora_  un  po' indolenziti,  e  segnati  in  giro  d'una  striscia  ros- 
seggiante, vestigio  della  cordicella.  I  suoi  pensieri  erano, 
come  ognuno  può  immaginarsi,  un  guazzabuglio  di  pentimenti, 
d'inquietudini,  di  rabbie,  di  tenerezze;  era  uno  studio  fati- 
coso di  raccapezzare  le  cose  dette  e  fatte  la  sera  avanti,  di 
scoprir  la  parte  segreta  della  sua  dolorosa  storia,  e  sopra- 
tutto come  avevan  potuto  risapere  il  suo  nome.  I  suoi  sospetti 
cadevan  naturalmente  sullo  spadaio,  al  quale  si  rammentava 
bene  d'  averlo  spiattellato.  E  ripensando  alla  maniera  con 
cui  gliel'  aveva  cavato  di  bocca,  e  a  tutto  il  fare  di  colui,  e  a 
tutte  queir  esibizioni  che  riuscivan  sempre  a  voler  saper 
qualcosa,  il  sospetto  diveniva  quasi  certezza.  Se  non  che  si 
rammentava  poi  anche ,  in  confuso ,  d'  aver ,  dopo  la  partenza 
dello  spadaio,  continuato  a  cicalare;  con  chi,  indovinala  grillo  ; 
di  cosa,  la  memoria  per  quanto  venisse  esaminata,  non  lo  sa- 
peva dire:  non  sapeva  dir  altro  che  d'essersi  in  quel  tempo 
trovata  fuor  di  casa.  Il  poverino  si  smarriva  in  quella  ricor- 
ca: era  come  un  uomo  che  ha  sottoscritti  molti  fogli  bianchi,, 
e  gb*  ha  affidati  a  uno  che  credeva  il  fior  de"  galantuomini  ; 
e  scoprendolo  poi  un  imbroglione,  vorrebbe  conoscere  lo  stato 
de' suoi  affari:  che  conoscere?  è  un  caos.  Un  altro  studio 
penoso  era  quello  di  far  sull'avvenire  un  disegno  che  gli 
potesse  piacere:  quelli  che  non  erano  in  aria,  eran  tutti  ma- 
linconici. 

Ma  ben  presto,  lo  studio  più  penoso  fu  quello  di  trovar 
la  strada.  Dopo  aver  camminato  un  pezzo,  si  può  dire,  alla 
ventura,  vide  che  da  sé  non  poteva  uscire.  Provava  bensì 
una  certa  ripugnanza  a  metter  fuori  quella  parola  Bergamo, 
come  se  avesse  un  non  so  che  di  sospetto,  di  sfacciato;  ma 
non  si  poteva  far  di  meno.  Risolvette  dunque  di  rive 
come  aveva  fatto  in  Milano,  al  primo  viandante  la  cui  fisono- 
mia  gli  andasse  a  genio;  e  così  fece. 

cSiete  fuor  di  strada,»  gli  rispose  questo;  e,  pensatoci 
un  poco,  parte  con  parole,  parte  co' cenni,  gl'indico  il  giro 
che  doveva  fare,  per  rimettersi  sulla  strada  maestra.  Renzo 
lo  ringraziò,  fece  le  viste  di  far  come  gli  era  stato  detto, 
prese  in  fatti  da  quella  parte,  con  intenzione  però  d'avvici- 
narsi bene  a  quella  benedetta  strada  maestra,  di  non  perderla 
di  vista,  di  costeggiarla,  più  che  fosse  possibile;  ma  senza 
mettervi  piede.  Il  disegno  era  più  facile  da  concepirsi  che 
da  eseguirsi.  La  conclusione  fu  che,  andando  così  da  destra 
a  sinistra,  e  come  si  dice,  a  zig  zag,  parte  seguendo  1*  altre 
indicazioni  che  si  faceva  coraggio  a  pescar  qua  e  là,  parte 
correggendole  secondo  i  suoi  lumi ,  e  adattandole  al  suo  in- 
tento, parte  lasciandosi  guidar  dalle  strade  in  cui  si  trovava. 


CAPITOLO   xvt.  205 

incamminato ,  il  nostro  fuggitivo  aveva  fatte  forse  dodici  mi- 
glia, che  non  era  distante  da  Milano  più  di  sei;  e  in  quanto 
a  Bergamo,  era  molto  se  non  se  n'era  allontanato.  Cominciò 
a  persuadersi  che,  anche  in  quella  maniera,  non  se  n'usciva 
a  bene;  e  pensò  a  trovar  qualche  altro  ripiego.  Quello  che 
gli  venne  in  mente,  fu  di  scovar,  con  qualche  astuzia,  il  nome 
di  qualche  paese  vicino  al  confine,  e  al  quale  si  potesse  an- 
dare per  istrade  comunali:  e  domandando  di  quello,  si  fa- 
rebbe insegnar  la  strada,  senza  seminar  qua  e  là  quella  do- 
manda di  Bergamo,  che  gli  pareva  puzzar  tanto  di  fuga,  di 
sfratto,  di  criminale. 

Mentre  cerca  la  maniera  di  pescar  tutte  quelle  notizie, 
senza  dar  sospetto,  vede  pendere  una  frasca  da  una  casuccia 
solitaria,  fuori  d'un  paesello.  Da  qualche  tempo,  sentiva 
anche  crescere  il  bisogno  di  ristorar  le  sue  forze;  pensò  che 
lì  sarebbe  il  luogo  di  fare  i  due  servizi  in  una  volta;  entrò. 
Non  e'  era  che  una  vecchia,  con  la  rocca  al  fianco,  e  col  fuso 
in  mano.  Chiese  un  boccone;  gli  fu  offerto  un  po' di  strac- 
chino e  del  vino  buono;  accettò  lo  stracchino:  del  vino  la 
ringraziò  (gli  era  venuto  in  odio ,  per  quello  scherzo  che  gli 
aveva  fatto  la  sera  avanti);  e  si  mise  a  sedere  pregando  la 
donna  che  facesse  presto.  Questa,  in  un  momento,  ebbe 
messo  in  tavola;  e  subito  dopo  cominciò  a  tempestare  il  suo 
ospite  di  domande,  e  sul  suo  essere,  e  sui  gran  fatti  di  Mi- 
lano: che  la  voce  n'era  arrivata  fin  là.  Renzo,  non  solo 
seppe  schermirsi  dalle  domande,  con  molta  disinvoltura;  ma 
approfittandosi  della  difficoltà  medesima,  fece  servire  al  suo 
intento  la  curiosità  della  vecchia,  che  gli  domandava  dove 
fosse  incamminato. 

«Devo  andare  in  molti  luoghi,»  rispose;     «e    se  trovo  un 
ritaglio  di   tempo,  vorrei  anche  passare  un  momento  da  quel 
paese,   piuttosto  grosso,   sulla  strada  di  Bergamo,  vicino  al 
confine,  però  nello  stato  di  Milano  ....    Come  si  chiama? 
—  Qualcheduno  ce  ne  sarà,  —  pensava  intanto  tra  se. 

«Gorgonzola,  volete  dire,»  rispose  la  vecchia. 

«Gorgonzola!»  ripetè  Renzo,  quasi  per  mettersi  meglio 
in  mente  la  parola.  «È  molto  lontano  di  qui?»  ripre- 
se poi. 

«Xon  lo  so  precisamente:  saranno  dieci,  saranno  dodici 
miglia.  Se  ci  fosse  qualcheduno  de' miei  figliuoli,  ve  lo  sa- 
prebbe dire.  « 

«E  credete  che  ci  si  possa  andare  per  queste  belle  viot- 
tole, senza  prender  la  strada  maestra?  dove  c'è  una  polvere, 
una  polvere!     Tanto  tempo  che  non  piove!» 

«A  me  mi  par  di  sì:  potete  domandare  nel  primo  paese 
che  troverete  andando  a  diritta.  >     E  glielo  nominò. 


206  I    PROMESSI    SPOSI. 

Va  bene:»  disse  Renzo,  s'alzò,  prese  un  pezzo  di  pane 
che  gli  era  avanzato  della  magra  colazione,  un  pane  ben  di- 
verso da  quello  che  aveva  trovato,  il  giorno  avanti,  appiè  del- 
la croce  di  san  Dionigi:  pagò  il  conto,  uscì,  e  prese  a  di- 
ritta. E,  per  non  ve  1'  allungar  più  del  bisogno,  col  nome  di 
Gorgonzola  in  bocca,  di  paese  in  paese,  ci  arrivò,  un'ora 
circa  prima  di  sera. 

Già  cammin  facendo,  aveva  disegnato  di  far  lì  un'altra 
fermatina,  per  fare  un  pasto  un  po'  più  sostanzioso.  Il  corpo 
avrebbe  anche  gradito  un  po' di  letto:  ma  prima  che  conten- 
tarlo in  questo,  Renzo  l'avrebbe  lasciato  cader  rifinito  sulla 
strada.  Il  suo  proposito  era  d' informarsi  all'  osteria  della 
distanza  dell'Adda,  di  cavar  destramente  notizia  di  qualche 
traversa  che  mettesse  là,  e  di  rincamminarsi  da  quella  parte, 
subito  dopo  essersi  rinfrescato.  Xato  e  cresciuto  alla  seconda 
sorgente,  per  dir  così,  di  quel  fiume,  aveva  sentito  dir  più 
volte,  che,  a  un  certo  punto,  e  per  un  certo  tratto,  esso  fa- 
ceva confine  tra  lo  stato  milanese  e  il  veneto:  del  punto  e  del 
tratto  non  aveva  un' idia  precisa;  ma,  allora  come  allora,  1' af- 
fai- più  urgente  era  di  passarlo,  dovunque  si  fosse.  Se  non 
gli  riusciva  in  quel  giorno,  era  risoluto  di  camminare  fin  che 
Torà  e  la  lena  glielo  permettessero:  e  d'aspettar  poi  l'alba 
in  un  campo,  in  un  deserto;  dove  piacesse  a  Dio;  pur  che 
non  fosse  un'  osteria. 

Fatti  alcuni  passi  in  Gorgonzola,  vide  un'insegna,  entrò: 
e  all'oste,  che  gli  venne  incontro,  chiese  un  boccone,  e  una 
mezzetta  di  vino:  le  miglia  di  più,  e  il  tempo  gli  avevan 
fatto  passare  quell'  odio  così  estremo  e  fanatico.  «Vi  prego 
di  far  presto,»  soggiunse:  «perchè  ho  bisogno  di  rimet- 
termi subito  in  istrada.»  E  questo  lo  disse,  non  solo  perchè 
era  vero,  ma  anche  per  paura  che  l'oste,  immaginandosi  che 
volesse  dormir  lì,  non  gli  uscisse  fuori  a  domandar  del  nome 
e  del  cognome,  e  donde  veniva,  e  per  che  negozio  ....  Alla 
larga! 

L'oste  rispose  a  Renzo  che  sarebbe  servito:  e  questo  si 
mise  a  sedere  in  fondo  della  tavola,  vicino  all'uscio:  il  posto 
de"  vergognosi. 

C'erano  in  quella  stanza  alcuni  sfaccendati  del  paese,  i 
quali,  dopo  aver  discusse  e  commentate  le  gran  notizie  di  Mi- 
lano del  giorno  avanti,  si  struggevano  di  sapere  un  poco  co- 
me fosse  andata  anche  in  quel  giorno:  tanto  più  che  quelle 
prime  eran  più  atte  a  stuzzicar  la  curiosità,  che  e  soddi- 
sfarla; una  sollevazione,  né  soggiogata,  né  vittoriosa,  sospesa 
più  che  terminata  dalla  notte;  una  cosa  tronca,  la  fine  d"  un 
atto  piuttosto  che  d' un  dramma.  Un  di  coloro  si  staccò 
dalla  brigata,  s'accostò  al  soprarrivato,  e  gli  domandò  se  ve- 
niva da  Milano. 


CAPITOLO    XVI.  207 

alo?»  disse  Renzo  sorpreso,  per  prender  tempo  a  ri- 
spondere. 

«Voi,  se  la  domanda  è  lecita.» 

Renzo,  tentennando  il  capo,  stringendo  le  labbra,  e  fa- 
cendone uscire  un  suono  inarticolato,  disse:  e  Milano,  da 
quel  che  ho  sentito  dire  ....  non  dev'  essere  un  luogo  da 
andarci  in  questi  momenti,  meno  che  per  una  gran  ne- 
cessità.» 

('Continua  dunque  anche  oggi  il  fracasso?»  domandò  con 
più  costanza  il  curioso. 

«Bisognerebbe  esser  là  per  saperlo,»  disse  Renzo. 
Ma  voi  non  venite  da  Milano?» 

«Vengo  da  Liscate.»  rispose  lesto  il  giovine,  che  intanto 
aveva  pensata  la  sua  risposta.  2Se  veniva  in  fatti,  a  rigor  di 
termini,  perchè  c'era  passato:  e  il  nome  l'aveva  saputo,  a 
un  certo  punto  della  strada,  da  un  viandante  che  gli  aveva 
indicato  quel  paese  come  il  primo  che  doveva  attraversar»?. 
per  arrivare  a  Gorgonzola. 

«Oh!»  disse  l'amico;  come  se  volesse  dire:  faresti  me- 
glio a  venir  da  Milano,  ma  pazienza.  «E  a  Liscate,»  sog- 
giunse, «non  si  sapeva  niente  da  Milano?» 

«Potrebb' essere  benissimo  che  qualcheduno  là  sapesse 
qualche  cosa,»  rispose  il  montanaro:  «ma  io  non  ho  sentito 
dir  nulla.» 

E  queste  parole  le  proferì  in  quella  maniera  particolare 
che  par  che  voglia  dire:  ho  finito.  Il  curioso  ritornò  al 
suo  posto;  e  un  momento  dopo,  l'oste  venne  a  mettere  in 
tavola. 

«Quanto  c'è  di  qui  all'Adda?»  gli  disse  Renzo,  mezzo 
tra*  denti,  con  un  fare  da  addormentato,  che  gli  abbiam  visto 
qualche  altra  volta. 

«All'Adda  per  passare?»  disse  l'oste. 

«Cioè  ....  sì  ...  .  ali"  Adda.» 

«Volete  passare  dal  ponte  di  Cassano,  o  sulla  chiatta  di 
Canonica?» 

«Dove  si  sia  ....  Domando  così  per  curiosità.» 

«Eh,  volevo  dire,  perchè  quelli  sono  i  luoghi  dove  passa:  i 
i  galantuomini,  la  gente   che  può  dar  conto  di  sé.» 

«Va  bene:  e  quanto  c'è?» 

«Fate  conto  che,  tanto  a  un  luogo,  come  all'altro  poco 
più,  poco  meno,  ci  sarà  sei  miglia.» 

«Sei  miglia!  non  credevo  tanto,»  disse  Renzo.  «E  già,» 
riprese  poi,  con  un'aria  d'indifferenza,  portata  fino  all' af- 
fettazione: «e  già  chi  avesse  bisogno  di  prendere  una  scor- 
ciatoia, ci  saranno  altri  luoghi  da  poter  passare?» 

«Ce  n' è  sicuro,»  rispose  l'oste,  ficcandogli  in  viso  due 
occhi  pieni  d' una  curiosità  maliziosa.    Bastò   questo  per  far 


208  i  promessi  srosi. 

morir  tra'  denti  al  giovine  l' altre  domande  che  aveva  pre- 
parate, si  tirò  davanti  il  piatto;  e  guardando  la  mezzetta  che 
l'oste  aveva  posata,  insieme  con  quella,  sulla  tavola,  disse: 
«il  vino  è  sincero?» 

«Come  l'oro,»  disse  l'oste:  «domandatene  pure  a  tutta 
la  gente  del  paese  e  del  contorno,  che  se  n'  intende  :  e  poi  lo 
sentirete.»     E  così  dicendo,  tornò  verso  la  brigata. 

—  Maledetti  gli  osti!  —  esclamò  Renzo  tra  sé:  —  più  ne 
conosco,  peggio  li  trovo.  —  Non  ostante,  si  mise  a  mangiare 
con  grand' appetito,  stando,  nello  stesso  tempo,  in  orecchi, 
senza  che  paresse  suo  fatto,  per  veder  di  scoprir  paese,  di 
rilevare  come  si  pensasse  colà  sul  grand'  avvenimento  nel 
quale  egli  aveva  avuta  non  piccola  parte,  e  d'osservare  spe- 
cialmente se,  tra  que'  parlatori,  ci  fosse  qualche  galantuomo, 
a  cui  un  povero  figliuolo  potesse  fidarsi  di  domandar  la  strada 
senza  timore  d'  esser  messo  alle  strette ,  e  forzato  a  ciarlare 
de'  fatti  suoi. 

«Ma!»  diceva  uno:  «questa  volta  par  proprio  che  i  mi- 
lanesi abbian  voluto  far  davvero.  Basta;  domani  al  più  tardi, 
si  saprà  qualcosa.» 

«Mi  pento  di  non  esser  andato  a  Milano  stammattina,»  di- 
ceva un  altro. 

«Se  vai  domani,  vengo  anch'io,»  disse  un  terzo;  poi  un 
altro,  poi  un  altro. 

«Quel  che  vorrei  sapere,»  riprese  il  primo,  «è  se  que' si- 
gnori di  Milano  penseranno  anche  alla  povera  gente  di  cam- 
pagna, o  se  faranno  far  la  legge  buona  solamente  per  loro. 
Sapete  come  sono,  eh?  Cittadini  superbi,  tutto  per  loro;  gli 
altri,  come  se  non  ci  fossero.» 

«La  bocca  l'abbiamo  anche  noi,  sia  per  mangiare,  sia 
per  dir  la  nostra  ragione,»  disse  un  altro,  con  voce  tanto  più 
modesta,  quanto  più  la  proposizione  era  avanzata:  «e  quando 
la  cosa  sia  incamminata  ....»  Ma  credette  meglio  di  non 
finir  la  frase. 

«Del  grano  nascosto,  non  ce  n' è  solamente  in  Milano,» 
cominciava  un  altro,  con  un'  aria  cupa  e  maliziosa;  quando 
sentono  avvicinarsi  un  cavallo.  Corron  tutti  all'uscio;  e  ri- 
conosciuto colui  che  arrivava,  gli  vanno  incontro.  Era  un 
mercante  di  Milano ,  che ,  andando  più  volte  l' anno  a  Ber- 
gamo ,  per  i  suoi  traffichi ,  era  solito  passar  la  notte  in  quel- 
1' osteria;  e  siccome  ci  trovava  quasi  sempre  la  stessa  com- 
pagnia, li  conosceva  tutti.  Gli  s'  affollano  intorno:  uno 
prende  la  briglia,  un  altro  la  staffa.  «Benarrivato,  benarri- 
vato !  » 

«Ben  trovati.» 

«Avete  fatto  buon  viaggio?» 

«Bollissimo;  e  voi  altri,  come  state?» 


CAPITOLO   XVI.  209 

«Bene,  bene.    Che  nuove  ci  portate  di  Milano?» 

«Ah!  ecco  quelli  delle  novità,»  disse  il  mercante,  smon- 
tando e  lasciando  il  cavallo  in  mano  d'  un  garzone.  «  E  poi, 
e  poi,»  continuò,  entrando  con  la  compagnia,  «a  quest'orale 
saprete  forse  meglio  di  me.» 

«Non  sappiamo  nulla,  davvero,»  disse  più  d'uno,  metten- 
dosi la  mano  al  petto. 

«Possibile?»  disse  il  mercante.  «Dunque  ne  sentirete 
delle  belle  .  .  .  .  o  delle  brutte.  Ehi,  oste,  il  mio  letto  solito 
è  in  libertà?  Bene:  un  bicchier  di  vino,  e  il  mio  solito  boc- 
cone subito,  perchè  voglio  andare  a  letto  presto,  per  partir 
presto  domattina,  e  arrivare  a  Bergamo  per  l'ora  del  desi- 
nare. E  voi  altri,»  continuò,  mettendosi  a  sedere,  dalla  parte 
opposta  a  quella  dove  stava  Renzo,  zitto  e  attento,  «voi  altri 
non  sapete  di  tutte  quelle  diavolerie  di  ieri?» 

«Di  ieri  sì.» 

«Vedete  dunque,»  riprese  il  mercante,  «se  le  sapete  le 
novità.  Lo  dicevo  io,  che  stando  qui  sempre  di  guardia,  per 
frugar  quelli  che  passano  ....  » 

«Ma  oggi,  com'è  andata  oggi?» 

«Ah  oggi.     Non  sapete  niente  d'oggi?» 

«Niente  affatto:  non  è  passato  nessuno.» 

«Dunque  lasciatemi  bagnar  le  labbra;  e  poi  vi  dirò  le 
cose  d'  oggi.  Sentirete.»  Empì  il  bicchiere,  lo  prese  con 
una  mano,  poi  con  le  prime  due  dita  dell'altra  sollevò  i 
baffi,  poi  si  lisciò  la  barba,  bevette,  e  riprese:  «oggi,  amici 
cari,  ci  mancò  poco,  che  non  fosse  una  giornata  brusca  come 
ieri,  o  peggio.  E  non  mi  par  quasi  vero  d'  esser  qui  a  chiac- 
chierar con  voi  altri;  perchè  avevo  già  messo  da  parte  ogni 
pensiero  di  viaggio,  per  restare  a  guardar  la  mia  povera 
bottega.  » 

«Che  diavolo  c'era?»  disse  uno  degli  ascoltanti. 

«Proprio  il  diavolo:  sentirete.»  E  trinciando  la  pietanza 
che  gli  era  stata  messa  davanti,  e  poi  mangiando,  continuò  il 
suo  racconto.  I  compagni,  ritti  di  qua  e  di  là  della  tavola, 
lo  stavano  a  sentire,  con  la  bocca  aperta;  Renzo,  al  suo 
posto,  senza  che  paresse  suo  fatto,  stava  attento,  forse  più 
di  tutti,  masticando  adagio  adagio  gli  ultimi  suoi  bocconi. 

«Stamattina  dunque  que'  birboni  che  ieri  avevano  fatto 
quel  chiasso  orrendo,  si  trovarono  a'  posti  convenuti  (già 
c'era  un'intelligenza:  tutte  cose  preparate);  si  riunirono,  e 
ricominciarono  quella  bella  storia  di  girare  di  strada  in  stra- 
da, gridando  per  tirar  altra  gente.  Sapete  che  è  come  quando 
si  spazza,  con  riverenza  parlando,  la  casa;  il  mucchio  di 
sudiciume  ingrossa  quanto  più  va  avanti.  Quando  parve  loro 
d'esser  gente  abbastanza,  s'avviarono  verso  la  casa  del  si- 
gnor vicario  di  provvisione;   come  se  non  bastassero  le  tiran- 

Manzoni.  14 


210  I   PROMESSI    SPO?I. 

nie  che  gli  hanno  fatte  ieri:  a  un  signore  di  quella  sorte!  oh 
che  birboni!  E  la  roba  che  dicevan  contro  di  lui!  Tutte  in- 
venzioni: un  signor  dabbene,  puntuale;  e  io  lo  posso  dire, 
che  son  tutto  di  casa,  e  lo  servo  di  panno  per  le  livree  della 
servitù.  S' incamminaron  dunque  verso  quella  casa:  bisognava 
veder  che  canaglia,  che  facce;  figuratevi  che  son  passati  da- 
vanti alla  mia  bottega:  facce  che  .  .  .  .  i  giudei  della  Via  Cru- 
cis non  ci  son  per  nulla.  E  le  cose  che  uscivan  da  quelle 
bocche!  da  turarsene  gli  orecchi,  se  non  fosse  stato  che  non 
tornava  conto  di  farsi  scorgere.  Andavan  dunque  con  la 
buona  intenzione  di  dare  il  sacco;  ma  .  .  .  .»  E  qui,  alzata 
in  aria,  e  stesa  la  mano  sinistra,  si  mise  la  punta  del  pollice 
alla  punta  del  naso. 

«Ma?»  dissero  forse  tutti  gli  ascoltatori. 

«Ma,»  continuò  il  mercante,  «trovaron  la  strada  chiusa 
con  travi  e  con  carri,  e,  dietro  quella  barricata,  una  bella  fila 
di  mich eletti,  con  gli  archibusi  spianati  per  riceverli  come  si 
meritavano.  Quando  videro  questo  beli'  apparato  ....  Cosa 
avreste  fatto  voi  altri?» 

«Tornare  indietro.» 

«Sicuro;  e  così  fecero.  Ma  vedete  un  poco  se  non  era  il 
demonio  che  li  portava.  Son  lì  sul  Cordusio,  vedon  lì  quel 
forno  che,  fin  da  ieri  avevan  voluto  saccheggiare;  e  cosa  si 
faceva  in  quella  bottega?  si  distribuiva  il  pane  agli  avventori; 
c'era  de' cavalieri,  e  fior  di  cavalieri,  a  invigilare  che  tutto 
andasse  bene:  e  costoro  (avevano  il  diavolo  addosso,  vi  dico, 
e  poi  c'era  chi  gli  aizzava),  costoro,  dentro  come  disperati; 
piglia  tu,  che  piglio  anch'io:  in  un  batter  d'  occhio,  cavalieri, 
fornai,  avventori,  pani,  banco,  panche,  madie,  casse,  sacchi, 
frulloni,  crusca,  farina,  pasta,  tutto  sottosopra.» 

«E  i  micheletti?» 

«I  micheletti  avevan  la  casa  del  vicario  da  guardare:  non 
si  può  cantare,  e  portar  la  croce.  Fu  in  un  batter  d'  occhio, 
vi  dico:  piglia  piglia:  tutto  ciò  che  c'era  buono  a  qualcosa, 
fu  preso.  E  poi  torna  in  campo  quel  bel  ritrovato  di  ieri, 
di  portare  il  resto  sulla  piazza,  e  di  farne  una  fiammata,  e 
igià  cominciavano,  i  manigoldi,  a  tirar  fuori  roba:  quando  uno 
più  manigoldo  degli  altri,  indovinate  un  po' con  che  bella 
proposta  venne  fuori.» 

«Con  che  cosa?» 

«  Di  fare  un  mucchio  di  tutto  nella  bottega,  e  di  dar  fuoco 
al  mucchio  e  alla  casa  insieme.    Detto  fatto  ....  » 

«Ci  han  dato  fuoco?» 

«Aspettate.  Un  galantuomo  del  vicinato  ebbe  un'ispira- 
zione del  cielo.  Corse  su  nelle  stanze,  cercò  d'  un  Crocifisso, 
lo  trovò,  l'attaccò  all'archetto  d'una  finestra,  prese  da  capo 
d'un  letto  due  candele  benedette,  le  accese,  e  le  mise  sul 


CAPITOLO   XVI.  211 

davanzale,  a  destra  e  a  sinistra  del  Crocifisso.  La  gente 
guarda  in  su.  In  un  Milano,  bisogna  dirla,  c'è  ancora  del 
timor  di  Dio;  tutti  tornarono  in  sé.  La  più  parte,  voglio 
dire;  c'era  bensì  de' diavoli  che,  per  rubare,  avrebbero  dato 
fuoco  anche  al  paradiso;  ma  visto  che  la  gente  non  era  del 
loro  parere,  dovettero  smettere  e  star  cheti.  Indovinate  ora 
chi  arrivò  all'improvviso.  Tutti  i  monsignori  del  duomo,  in 
processione,  a  croce  alzata,  in  abito  corale:  e  monsignor 
Mazenta,  arciprete,  cominciò  a  predicare  da  una  parte,  e 
monsignor  Settala,  penitenziere,  da  un'  altra,  e  gli  altri  anche 
loro;  ma,  brava  gente!  ma  cosa  volete  fare?  ma  è  questo 
l'esempio  che  date  a' vostri  figliuoli?  ma  tornate  a  casa;  ma 
non  sapete  che  il  pane  è  a  buon  mercato,  più  di  prima?  ma 
andate  a  vedere,  che  c'è  l'avviso  sulle  cantonate.» 

«Era  vero?» 

«Diavolo!  Volete  che  i  monsignori  del  duomo  venissero  in 
cappa  magna  a  dir  delle  fandonie?» 

«E  la  gente  cosa  fece?» 

«A  poco  a  poco  se  n'andarono;  corsero  alle  cantonate; 
e,  chi  sapeva  leggere,  la  c'era  proprio  la  meta.  Indovinate 
un  poco:  un  pane  d'  ott' once,  per  un  soldo.» 

«Che  bazza!» 

«La  vigna  è  bella;  pur  che  la  duri.  Sapete  quanta  farina 
hanno  mandata  a  male,  tra  ieri  e  stamattina?  Da  mantenerne 
il  ducato  per  due  mesi.» 

«E  per  fuori  di  Milano,  non  s'è  fatta  nessuna  legge 
buona?» 

«Quel  che  s'  è  fatto  per  Milano,  è  tutto  a  spese  della  città. 
Non  so  che  vi  dire  :  per  voi  altri  sarà  quel  che  Dio  vorrà. 
A  buon  conto,  i  fracassi  son  finiti.  Xon  v'ho  detto  tutto; 
ora  viene  il  buono.» 

«Cosa  e'  è  ancora?» 

«C'è  che  ier  sera  o  stamattina  che  sia,  ne  sono  stati  ag- 
guantati molti  ;  e  subito  s'  è  saputo  che  i  capi  saranno  im- 
piccati. Appena  cominciò  a  spargersi  questa  voce,  ognuno 
andava  a  casa  per  la  più  corta ,  per  non  arrischiare  d'  esser 
nel  numero.  Milano,  quand'  io  ne  sono  uscito,  pareva  un  con- 
vento di  frati.» 

«GÌ' impiccheranno  poi  davvero?» 

«Eccome!  e  presto,»  rispose  il  mercante. 

«E  la  gente  cosa  farà?»  domandò  ancora  colui  che  aveva 
fatto  1'  altra  domanda. 

«La  gente?  anderà  a  vedere,»  disse  il  mercante.  «Ave- 
van  tanta  voglia  di  veder  morire  un  cristiano  all'  aria  aperta, 
che  volevano,  birboni!  far  la  festa  al  signor  vicario  di  prov- 
visione.   In  vece  sua,  avranno  quattro  tristi,  serviti  con  tutte 

I-i* 


212  1    PROMESSI    SPOSI. 

le  formalità,  accompagnati  da' cappuccini,  e  da' confratelli 
della  buona  morte  ;  e  gente  che  se  1'  è  meritato.  È  una  prov- 
videnza, vedete;  era  una  cosa  necessaria.  Cominciavan  già  a 
prender  il  vizio  d'entrar  nelle  botteghe,  e  di  servirsi,  senza 
metter  mano  alla  borsa;  se  li  lasciavan  fare,  dopo  il  pane  sa- 
rebbero venuti  al  vino,  e  così  di  mano  in  mano  ....  Pen- 
sate se  coloro  volevano  smettere,  di  loro  spontanea  volontà, 
una  usanza  così  comoda.  E  vi  so  dir  io  che,  per  un  galan- 
tuomo che  ha  bottega  aperta,   era  un  pensier  poco  allegro.-) 

«Davvero,»  disse  uno  degli  ascoltatori.  «Davvero,»  ripe- 
teron  gli  altri,  a  una  voce. 

«E,»  continuò  il  mercante,  asciugandosi  la  barba  col 
tovagliolo,  «l'era  ordita  da  un  pezzo:  c'era  una  lega,  sa- 
pete?» 

«  C  era  una  lega  ?» 

«  C  era  una  lega.  Tutte  cabale  ordite  da'  navarrini ,  da 
quel  cardinale  là  di  Francia,  sapete  chi  voglio  dire,  che  ha 
un  certo  nome  mezzo  turco,  e  che  ogni  giorno  ne  pensa  una, 
per  far  qualche  dispetto  alla  corona  di  Spagna.  Ma  sopra 
tutto,  tende  a  far  qualche  tiro  a  Milano;  perchè  vede  bene,  il 
furbo,  che  qui  sta  la  forza  del  re.» 

«  Già.  » 

«Ne  volete  una  prova?  Chi  ha  fatto  il  più  gran  chiasso, 
eran  forestieri;  andavano  in  giro  facce,  che  in  Milano  non 
s'  eran  mai  vedute.  Anzi  mi  dimenticavo  di  dirvene  una  che 
m' è  stata  data  per  certa.  La  giustizia  aveva  acchiappato  uno 
in  un'osteria  .  .  .  .»  Renzo,  il  quale  non  perdeva  un  ette  di 
quel  discorso,  al  tocco  di  questa  corda,  si  sentì  venir  freddo, 
e  diede  un  guizzo,  prima  che  potesse  pensare  a  contenersi. 
Nessuno  però  se  n'avvide;  e  il  dicitore,  senza  interrompere  il 
filo  del  racconto,  seguitò:  «uno  che  non  si  sa  bene  ancora  da 
che  parte  fosse  venuto,  da  chi  fosse  mandato,  né  che  razza 
d'uomo  si  fosse;  ma  certo  era  uno  de' capi.  Già  ieri,  nel 
forte  del  baccano,  aveva  fatto  il  diavolo;  e  poi,  non  contento 
di  questo,  s'era  messo  a  predicare,  e  a  proporre,  così  una 
galanteria,  che  s'ammazzassero  tutti  i  signori!  Birbante!  Chi 
farebbe  viver  la  povera  gente,  quando  i  signori  fossero  am- 
mazzati? La  giustizia,  che  1' aveva  appostato,  gli  mise  l'unghie 
addosso;  gli  trovarono  un  fascio  di  lettere;  e  lo  menavano  in 
gabbia;  ma  che?  i  suoi  compagni,  che  facevan  la  ronda  in- 
torno all'  osteria,  vennero  in  gran  numero,  e  lo  liberarono ,  il 
manigoldo.  » 

«E  cosa  n'  è  stato?» 

«Non  si  sa;  sarà  scappato,  o  sarà  nascosto  in  Milano: 
son  gente  che  non  ha  né  casa  né  tetto,  e  trovan  per  tutto  da 
alloggiare  e  da  rintanarsi:  però  finché  il  diavolo  può,  e  vuole 
aiutarli:  ci  dan  poi  dentro  quando  meno  se  lo  pensano;  per- 


CAPITOLO  XVI.  213 

che,  quando  la  pera  è  matura,  convien  che  caschi.  Per  ora 
si  sa  di  sicuro  che  le  lettere  son  rimaste  in  mano  della  giu- 
stizia, e  che  c'è  descritta  tutta  la  cabala;  e  si  dice  che  n'an- 
derà  di  mezzo  molta  gente.  Peggio  per  loro;  che  hanno  messo 
a  soqquadro  mezzo  Milano,  e  volevano  anche  far  peggio.  Di- 
cono che  i  fornai  son  birboni.  Lo  so  anch'io;  ma  bisogna 
impiccarli  per  via  di  giustizia.  C  è  del  grano  nascosto.  Chi 
non  lo  sa?  Ma  tocca  a  chi  comanda  a  tener  buone  spie,  e 
andarlo  a  disotterrare,  e  mandare  anche  gl'incettatori  a  dar 
calci  all'  aria  in  compagnia  de'  fornai.  E  se  chi  comanda  non 
fa  nulla,  tocca  alla  città  a  ricorrere;  e  se  non  danno  retta  alla 
prima,  ricorrere  ancora;  che  a  forza  di  ricorrere  s'ottiene; 
e  non  metter  su  un'  usanza  così  scellerata  d'  entrar  nelle  bot- 
teghe e  ne' fondachi,  a  prender  la  roba  a  man  salva.» 

A  Jlenzo  quel  poco  mangiare  era  andato  in  tante  veleno. 
Gli  pareva  mill'  anni  d'  esser  fuori  e  lontano  da  queir  osteria, 
da  quel  paese;  e  più  di  dieci  volte  aveva  detto  a  sé  stesso: 
andiamo,  andiamo.  Ma  quella  paura  di  dar  sospetto,  cre- 
sciuta allora  oltremodo,  e  fatta  tiranna  di  tutti  i  suoi  pen- 
sieri, 1'  aveva  tenuto  sempre  inchiodato  sulla  panca.  In  quella 
perplessità,  pensò  che  il  ciarlone  doveva  poi  finire  di  parlar 
di  lui;  e  concluse  tra  sé,  di  moversi,  appena  sentisse  attac- 
care qualche  altro  discorso. 

«E  per  questo,»  disse  uno  della  brigata,  -io  che  so  come 
vanno  queste  faccende,  e  che  ne:  tumulti  i  galantuomini  non 
ci  stanno  bene,  non  mi  son  lasciato  vincere  dalla  curiosità,  e 
son  rimasto  a  casa  mia.  » 

«E  io,  mi  son  mosso?»  disse  un  altro. 

«Io?»  soggiunse  un  terzo:  «se  per  caso  mi  fossi  trovato 
in  Milano,  avrei  lasciato  imperfetto  qualunque  affare ,  e  sarei 
tornato  subito  a  casa  mia.  Ho  moglie  e  figliuoli;  e  poi,  dico 
la  verità,  i  baccani  non  mi  piacciono.» 

A  questo  punto,  l'oste,  ch'era  stato  anche  lui  a  sentire, 
andò  verso  V  altra  cima  della  tavola,  per  veder  cosa  faceva 
quel  forestiero.  Pienzo  colse  1'  occasione,  chiamò  1'  oste  con 
un  cenno,  gli  chiese  il  conto,  lo  saldò  senza  tirare,  quantun- 
que l'acque  fossero  molto  basse;  e,  senza  far  altri  discorsi, 
andò  diritto  all'uscio,  passò  la  soglia,  e  a  guida  della  Prov- 
videnza, s'incamminò  dalla  pa^.te  opposta  a  quella  per  cui 
era  venuto. 


214  I   PEOMESSI    SPOSI. 


CAPITOLO  XYIL 

Basta  spesso  una  voglia,  per  non  lasciar  ben  avere  un 
uomo;  pensate  poi  due  alla  volta,  1'  una  in  guerra  coli' altra. 
Il  povero  Renzo  n'aveva,  da  molte  ore,  due  tali  in  corpo, 
come  sapete:  la  voglia  di  correre,  e  quella  di  star  nascosto: 
e  le  sciagurate  parole  del  mercante  gli  avevano  accresciuta 
oltremodo  1'  una  e  1'  altra  a  un  colpo.  Dunque  la  sua  avven- 
tura aveva  fatto  chiasso;  dunque  lo  volevano  a  qualunque 
patto  ;  chi  sa  quanti  birri  erano  in  campo  per  dargli  la  caccia  ! 
quali  ordini  erano  stati  spediti  di  frugar  ne'  paesi,  nell'  oste- 
rie, per  le  strade!  Pensava  bensì  che  finalmente  i  birri  che 
lo  conoscevano  eran  due  soli,  e  che  il  nome  non  lo  portava 
scritto  in  fronte;  ma  gli  tornavano  in  mente  certe  storie  che 
aveva  sentito  raccontare,  di  fuggitivi  colti  e  scoperti  per 
istrane  combiuazioni,  riconosciuti  all'andare,  all'aria  sospet- 
tosa, ad  altri  segnali  impensati:  tutto  gli  faceva  ombra.  Quan- 
tunque, nel  momento  che  usciva  di  Gorgonzola,  scoccassero 
le  ventiquattro,  e  le  tenebre  che  venivano  innanzi,  diminuis- 
sero sempre  più  que' pericoli,  ciò  non  ostante  prese  contro 
voglia  la  strada  maestra,  e  si  propose  d'entrar  nella  prima 
viottola  che  gli  paresse  condur  dalla  parte  dove  gli  premeva 
di  riuscire.  Sul  principio,  incontrava  qualche  viandante; 
ma,  pieno  la  fantasia  di  quelle  brutte  apprensioni,  non 
ebbe  cuore  d'  abbordarne  nessuno,  per  informarsi  della 
strada.  —  Ha  detto  sei  miglia,  colui,  —  pensava:  —  se  an- 
dando fuor  di  strada,  dovessero  anche  diventar  otto  o  dieci. 
le  gambe  che  hanno  fatte  l'altre,  faranno  anche  queste. 
Verso  Milano  non  vo  di  certo;  dunque  vo  verso  l'Adda. 
Cammina,  cammina,  o  presto  o  tardi  ci  arriverò.  L'  Adda  ha 
buona  voce;  e,  quando  le  sarò  vicino,  non  ho  più  bisogno  di 
chi  me  l'insegni.  Se  qualche  barca  c'è,  da  poter  passare, 
passo  subito;  altrimenti  mi  fermerò  fino  alla  mattina,  in  un 
campo,  sur  una  pianta,  come  le  passere,  meglio  sur  una  pianta, 
clie  in  prigione.  — 

Ben  presto  vide  aprirsi  una  straducola  a  mancina;  e  vi 
entrò.  A  quell'  ora,  se  si  fosse  abbattuto  in  qualcheduno,  non 
avrebbe  più  fatte  tante  cerimonie  per  farsi  insegnar  la  strada  ; 
ma  non  sentiva  anima  vivente.  Andava  dunque  dove  la  strada 
lo  conduceva;  e  pensava. 

—  Io  fare  il  diabolo!  Io  ammazzare  tutti  i  signori!  Un 
fascio  di  lettere,  io!  I  miei  compagni  che  mi  stavano  a  far 
la  guardia!  Pagherei  qualche  cosa  a  trovarmi  a  viso  a  viso 
con  quel  mercante,  di  là  dall' Adda  (ah  quando  l'avrò  pas- 
sata quest' Adda  benedetta!),  e  fermarlo,  e  domandargli  con 
comodo  dov'  abbia  pescate  tutte  quelle  belle  notizie.    Sappiate 


CAPITOLO    XVII.  215 

ora,  mio  caro  signore,  che  la  cosa  è  andata  così  e  così,  e 
che  il  diavolo  eh'  io  ho  fatto,  è  stato  d'aiutar  Ferrer,  come 
se  fosse  stato  un  mio  fratello;  sappiate  che  que' birboni  che, 
a  sentir  voi,  erano  i  miei  amici,  perchè  in  un  certo  momento, 
io  dissi  una  parola  da  buon  cristiano,  mi  vollero  fare  un 
brutto  scherzo;  sappiate  che,  intanto  che  voi  stavate  a  guar- 
dar la  vostra  bottega,  io  mi  faceva  schiacciar  le  costole,  per 
salvare  il  vostro  signor  vicario  di  provvisione,  che  non  l'ho 
mai  né  visto  né  conosciuto.  Aspetta  che  mi  mova  un'  altra 
volta,  per  aiutar  signori  ....  È  vero  che  bisogna  farlo  per 
l'anima:  son  prossimo  anche  loro.  E  quel  gran  fascio  di 
lettere,  dove  c'era  tutta  la  cabala,  e  che  adesso  è  in  mano 
della  giustizia,  come  voi  sapete  di  certo;  scommettiamo  che 
ve  lo  fo  comparir  qui,  senza  l'aiuto  del  diavolo?  Avreste  cu- 
riosità di  vederlo  quel  fascio?  Eccolo  qui....  Una  lettera 
sola?....  Sì  signore,  una  lettera  sola;  e  questa  lettera,  se  lo 
volete  sapere,  1'  ha  scritta  un  religioso  che  vi  può  insegnar 
la  dottrina,  quando  si  sia;  un  religioso  che,  senza  farvi  torto, 
vai  più  un  pelo  della  sua  barba  che  tutta  la  vostra;  e  è 
scritta,  questa  lettera,  come  vedete,  a  un  altro  religioso,  un 
uomo  anche  lui  ....  Vedete  ora  quali  sono  i  furfanti  miei 
amici.  E  imparate  a  parlare  un'altra  volta;  principalmente 
quando  si  tratta  del  prossimo.  — 

Ma  dopo  qualche  tempo,  questi  pensieri  ed  altri  simili 
cessarono  affatto:  le  circostanze  presenti  occupavan  tutte  le 
facoltà  del  povero  pellegrino.  La  paura  d'  essere  inseguito  o 
scoperto,  che  aveva  tanto  amareggiato  il  viaggio  in  pieno 
giorno,  non  gli  dava  ormai  più  fastidio,  ma  quante  cose  ren- 
devan  questo  molto  più  noioso!  Le  tenebre,  la  solitudine, 
la  stanchezza  cresciuta,  e  ormai  dolorosa;  tirava  una  boz- 
zolina sorda,  uguale,  sottile,  che  doveva  far  poco  servizio  a 
chi  si  trovava  ancora  indosso  quegli  stessi  vestiti  che  s'  era 
messi  per  andare  a  nozze  in  quattro  salti,  e  tornare  subito 
trionfante  a  casa  sua;  e  ciò  che  rendeva  ogni  cosa  più  grave, 
quell'andare  alla  ventura,  e  per  dir  così,  al  tasto,  cercando 
un  luogo  di  riposo  e  di  sicurezza. 

Quando  s'abbatteva  a  passare  per  qualche  paese,  andava 
adagio  adagio,  guardando  però  se  ci  fosse  ancora  qualche 
uscio  aperto;  ma  non  vide  mai  altro  segno  di  gente  desta, 
che  qualche  lumicino  trasparente  da  qualche  impannata.  Nella 
strada  fuor  dell'  abitato,  si  soffermava  ogni  tanto  ;  stava  in 
orecchi,  per  veder  se  sentiva  quella  benedetta  voce  dell'Adda; 
ma  invano.  Altre  voci  non  sentiva,  che  un  mugolìo  di  cani. 
che  veniva  da  qualche  cascina  isolata,  vagando  per  l'aria, 
lamentevole  insieme  e  minaccioso.  Al  suo  avvicinarsi  a  qual- 
cheduna  di  quelle,  il  mugolìo  si  cambiava  in  un  abbaiar 
frettoloso  e  rabbioso:    nel  passar  davanti  alla  porta,  sentiva, 


216  I    PROMESSI    SPOSI. 

vedeva  quasi,  il  bestione,  col  muso  al  fessolino  della  porta, 
raddoppiar  gli  urli:  cosa  che  gli  faceva  andar  via  la  tenta- 
zione di  picchiare,  e  di  chieder  ricovero.  E  forse  anche  senza 
i  cani,  non  ci  si  sarebbe  risolto.  —  Chi  è  là?  —  pensava:  — 
cosa  volete  a  quest'ora?  Come  siete  venuto  qui?  Fatevi  co- 
noscere. Non  e*  è  osterie  da  alloggiare?  Ecco,  andandomi 
bene,  quel  che  mi  diranno,  se  picchio:  quand'anche  non  ci 
dorma  qualche  pauroso  che,  a  buon  conto,  si  metta  a  gri- 
dare: aiuto!  al  ladro!  Bisogna  aver  subito  qualcosa  dichiaro 
da  rispondere:  e  cosa  ho  da  rispondere  io?  Chi  sente  un 
rumore  la  notte,  non  gli  viene  in  testa  altro  che  ladri,  mal- 
viventi, trappole;  non  si  pensa  mai  che  un  galantuomo  possa 
trovarsi  in  istrada  di  notte,  se  non  è  un  cavaliere  in  car- 
rozza. —  Allora  serbava  quel  partito  all'  estrema  necessità, 
e  tirava  innanzi,  colla  speranza  di  scoprire  almeno  l'Adda, 
se  non  passarla  in  quella  notte;  e  di  non  dover  andarne  alla 
cerca,  di  giorno  chiaro. 

Cammina,  cammina;  arrivò  dove  la  campagna  coltivata 
moriva  in  una  sodaglia  sparsa  di  felci  e  di  scope.  Gli  parve, 
se  non  indizio,  almeno  un  certo  qual  argomento  di  fiume  vi- 
cino, e  s'inoltrò  per  quella,  seguendo  un  sentiero  che  l'at- 
traversava. Fatti  pochi  passi,  si  fermò  ad  ascoltare;  ma  an- 
cora in  vano.  La  noia  del  viaggio  veniva  accresciuta  dalla 
salvatichezza  del  luogo,  da  quel  non  veder  più  né  un  gelso, 
né  una  vite,  né  altri  segni  di  coltura  umana,  che  prima  pa- 
reva quasi  che  gli  facessero  una  mezza  compagnia.  Ciò  non 
ostante  andò  avanti;  e  siccome  nella  sua  mente  cominciavano 
a  suscitarsi  certe  immagini,  certe  apparizioni,  lasciatevi  in 
serbo  dalle  novelle  sentite  raccontar  da  bambino,  così,  per 
discacciarle,  o  per  acquietarle,  recitava  camminando,  dell'ora- 
zioni per  i  morti. 

A  poco  a  poco,  si  trovò  tra  macchie  più  alte,  di  pruni, 
di  quercioli,  di  marruche.  Seguitando  a  andare  avanti,  e 
allungando  il  passo,  con  più  impazienza  che  voglia,  cominciò 
a  veder  tra  le  macchie  qualche  albero  sparso,  e  andando 
ancora  sempre  per  lo  stesso  sentiero,  s'accorse  d'entrare  in 
un  bosco.  Provava  un  certo  ribrezzo  a  inoltrarvisi  ;  ma  lo 
vinse,  e  contro  voglia  andò  avanti;  ma  più  s'  inoltrava,  più  il 
ribrezzo  cresceva,  più  ogni  cosa  gli  dava  fastidio.  Gli  alberi 
che  vedeva  in  lontananza,  gli  rappresentavan  figure  strane, 
deformi ,  mostruose  ;  l' annoiava  1'  ombra  delle  cime  legger- 
mente agitate,  che  tremolava  sul  sentiero  illuminato  qua  e  là 
dalla  luna;  lo  stesso  scrosciar  delle  foglie  secche  che  cal- 
pestava o  moveva  camminando ,  aveva  per  il  suo  orecchio  un 
non  so  che  d' odioso.  Le  gambe  provavano  come  una  sma- 
nia, un  impulso  di  corsa,  e  nello  stesso  tempo  pareva  che 
durassero  fatica  a  regger  la  persona.     Sentiva  la  brezza  not- 


CAPITOLO   XVII.  217 

turna  batter  più  rigida  e  maligna  sulla  fronte  e  sulle  gote;  se 
la  sentiva  scorrer  tra  i  panni  e  le  carni,  e  raggrinzarle,  e 
penetrar  più  acuta  nelle  ossa  rotte  dalla  stanchezza,  e  spe- 
gnervi quell'  ultimo  rimasuglio  di  vigore.  A  un  certo  punto, 
quell'uggia,  queir  orrore  indefinito  con  cui  l'animo  combat- 
teva da  qualche  tempo,  parve  che  a  un  tratto  lo  soverchiasse. 
Era  per  perdersi  affatto;  ma  attenuto,  più  che  d'ogni  altra 
cosa,  del  suo  terrore,  richiamò  al  cuore  gli  antichi  spiriti,  e 
gli  comandò  che  reggesse.  Così  rinfrancato  un  momento,  si 
fermò  su'  due  piedi  a  deliberare  ;  e  risolveva  d'  uscir  subito  di 
lì  per  la  strada  già  fatta,  d'  andar  diritto  all'  ultimo  paese  per 
cui  era  passato,  di  ritornar  fra  gli  uomini,  e  di  cercare  un 
ricovero,  anche  all'osteria.  E  stando  così  fermo,  sospeso  il 
fruscio  de'  piedi  nel  fogliarne ,  tutto  tacendo  d' intorno  a  lui, 
cominciò  a  sentire  un  mormorio  d'  acqua  corrente.  Sta  in 
orecchi;  n' è  certo;  esclama:  «è  l'Adda!»  Fu  il  ritrovamento 
d'un  amico,  d'un  fratello,  d'un  salvatore.  La  stanchezza 
quasi  scomparve,  gli  tornò  il  polso,  sentì  il  sangue  scorrer  li- 
bero e  tepido  per  tutte  le  vene,  sentì  crescer  la  fiducia 
de' pensieri,  e  svanire  in  gran  parte  quell'incertezza  e  gra- 
vità delle  cose;  e  non  esitò  a  internarsi  sempre  più  nel  bo- 
sco, dietro  all'  amico  rumore. 

Arrivò  in  pochi  momenti  all'  estremità  del  piano,  sull'  orlo 
d'  una  riva  profonda  ;  e  guardando  in  giù  tra  le  macchie  che 
tutta  la  rivestivano,  vide  1'  acqua  luccicare  e  correre.  Alzando 
poi  lo  sguardo,  vide  il  vasto  piano  dell'altra  riva,  sparso  di 
paesi,  e  al  di  là  i  colli,  e  sur  uno  di  quelli  una  gran  macchia 
biancastra,  che  gli  parve  dover  essere  una  città,  Bergamo  si- 
curamente. Scese  un  po'  sul  pendìo,  e,  separando  e  dira- 
mando, con  le  mani  e  con  le  braccia,  il  prunaio,  guardò  giù, 
se  qualche  barchetta  si  movesse  nel  fiume,  ascoltò  se  sentisse 
batter  de' remi;  ma  non  vide  né  sentì  nulla.  Se  fosse  stato 
qualcosa  di  meno  dell'  Adda,  Renzo  scendeva  subito,  per  ten- 
tarne il  guado;  ma  sapeva  bene  che  l'Adda  non  era  fiume  da 
trattarsi  così  in  confidenza. 

Perciò  si  mise  a  consultar  tra  sé,  molto  a  sangue  freddo, 
sul  partito  da  prendere.  Arrampicarsi  sur  una  pianta,  e  star 
lì  a  aspettar  l'aurora,  per  forse  sei  ore  che  poteva  ancora 
indugiare,  con  quella  brezza,  con  quella  brina,  vestito  così, 
e'  era  più  che  non  bisognasse  per  intirizzir  davvero.  Passeg- 
giare innanzi  e  indietro  tutto  quel  tempo ,  oltre  che  sarebbe 
stato  poco  efficace  aiuto  contro  il  rigore  del  sereno,  era  un 
richieder  troppo  da  quelle  povere  gambe,  che  già  avevan  fatto 
più  del  loro  dovere.  Gli  venne  in  mente  d'aver  veduto,  in 
uno  de' campi  più  vicini  alla  sodaglia,  una  di  quelle  capanne 
coperte  di  paglia,  costrutte  di  tronchi  e  di  rami,  intonacati 
poi  con  la  mota,  dove  i  contadini  del  milanese  usan,  1'  estate, 


£13  I    PROMESSI   SPOSI. 

depositar  la  raccolta,  e  ripararsi  la  notte  a  guardarla: 
nell'altre  stagioni,  rimangono  abbandonate.  La  disegnò  su- 
bito per  suo  albergo;  si  rimise  sul  sentiero,  ripassò  il  bosco, 
le  macchie,  la  sodaglia;  e  andò  verso  la  capanna.  Un 
lisciacelo  intarlato  e  sconnesso,  era  rabbattuto,  senza  chiave  né 
catenaccio;  Renzo  l'aprì,  entrò;  vide  sospeso  per  aria,  e  so- 
stenuto da  ritorte  di  rami,  un  graticcio,  a  foggia  A'hatnac; 
ma  non  si  curò  di  salirvi.  Vide  in  terra  un  po' di  paglia,  e 
pensò  che,  anche  lì,  una  dormitina  sarebbe  ben  saporita. 

Prima  però  di  sdraiarsi  su  quel  letto  che  la  Provvidenza 
gli  aveva  preparato,  vi  s'inginocchiò,  a  ringraziarla  di  quel 
benefizio,  e  di  tutta  l'assistenza  che  aveva  avuta  da  essa,  in 
quella  terribile  giornata.  Disse  poi  le  sue  solite  divozioni; 
e  per  di  più,  chiese  perdono  a  Domeneddio  di  non  averle 
dette  la  sera  avanti;  anzi,  per  dir  le  sue  parole,  d'essere  an- 
dato a  dormire  come  un  cane,  e  peggio.  —  E  per  questo  — 
soggiunse  poi  tra  sé,  appoggiando  le  mani  sulla  paglia,  e 
d' inginocchiimi  mettendosi  a  giacere:  —  per  questo,  ni'  è 
toccata,  la  mattina,  quella  bella  svegliata.  —  Raccolse  poi 
tutta  la  paglia  che  rimaneva  all'  intorno,  e  se  P  accomodò  ad- 
dosso, facendosene,  alla  meglio,  una  specie  di  coperta,  per 
temperare  il  freddo,  che  anche  là  dentro  si  faceva  sentir 
molto  bene;  e  vi  si  rannicchiò  sotto,  con  l'intenzione  di  dor- 
mire un  bel  sonno,  parendogli  d'averlo  comprato  anche  più 
caro  del  dovere. 

Ma  appena  ebbe  chiusi  gli  occhi,  cominciò  nella  sua  me- 
moria o  nella  sua  fantasia  (il  luogo  preciso  non  ve  lo  saprei 
dire),  cominciò,  dico,  un  andare  e  venire  di  gente,  così  af- 
follato, così  incessante,  che  addio  sonno.  Il  mercante,  il  no- 
taio, i  birri,  lo  spadaio,  l'oste,  Ferrer,  il  vicario,  la  brigata 
dell'osteria,  tutta  quella  turba  delle  strade,  poi  don  Abbon- 
dio, poi  don  Rodrigo:  tutta  gente  con  cui  Renzo  aveva  che 
dire. 

Tre  sole  immagini  gli  si  presentavano  non  accompagnate 
da  alcuna  memoria  amara,  nette  d'ogni  sospetto,  amabili  in 
tutto;  e  due  principalmente,  molto  differenti  al  certo,  ma 
strettamente  legate  nel  cuore  del  giovine:  una  treccia  nera 
e  una  barba  bianca.  Ma  anche  la  consolazione  che  provava 
nel  fermare  sopra  di  esse  il  pensiero,  era  tutt'  altro  che  pretta 
e  tranquilla.  Pensando  al  buon  frate,  sentiva  più  vivamente 
la  vergogna  delle  proprie  scappate,  della  turpe  intemperanza, 
del  bel  caso  che  aveva  fatto  de' patemi  consigli  di  lui; 
e  contemplando  P  immagine  di  Lucia!  non  ci  proveremo  a 
dire  ciò  che  sentisse:  il  lettore  conosce  le  circostanze;  se  lo 
figuri.  E  quella  povera  Agnese,  come  1'  avrebbe  potuta  di- 
menticare? Quell'Agnese,  che  l'aveva  scelto,  che  l'aveva  già 
considerato    come  una   cosa  sola  con  la  sua  unica  figlia,  e 


CAPITOLO    XVII.  219 

prima  di  ricever  da  lui  il  titolo  di  madre,  n'  aveva  preso  il 
linguaggio  e  il  cuore,  e  dimostrata  co' fatti  la  premura.  Ma 
eia  un  dolore  di  più,  e  non  il  meno  pungente,  quel  pensiero, 
che  in  grazia  appunto  di  così  amorevoli  intenzioni,  di  tanto 
bene  che  voleva  a  lui,  la  povera  donna  si  trovava  ora  sni- 
data, quasi  raminga,  incerta  dell'avvenire,  e  raccoglieva  guai 
e  travagli  da  quelle  cose  appunto  da  cui  aveva  sperato  il  ri- 
poso e  la  giocondità  degli  ultimi  suoi  anni.  Che  notte,  povero 
Eenzo!  Quella  che  doveva  esser  la  quinta  delle  sue  nozze! 
Che  stanza!  che  letto  matrimoniale!  e  dopo  qual  giornata! 
e  per  arrivare  a  qual  domani,  a  qual  serie  di  giorni!  — 
Quel  che  Dio  vuole,  —  rispondeva  ai  pensieri  che  gli  davan 
più  noia:  —  quel  che  Dio  vuole.  Lui  sa  quel  chefa:  c'è 
anche  per  noi.  Vada  tutto  in  isconto  de'  miei  peccati.  Lucia 
è  tanto  buona!  non  vorrà  poi  farla  patire  un  pezzo,  un  pezzo, 
un  pezzo  !  — 

Tra  questi  pensieri,  e  disperando  ormai  d'  attaccar  sonno, 
e  facendosegli  il  freddo  sentir  sempre  più,  a  segno  eh'  era 
costretto  ogni  tanto  a  tremare  e  a  battere  i  denti .  sospirava 
la  venuta  del  giorno,  e  misurava  con  impazienza  il  lento  scor- 
rer dell'ore.  Dico  misurava,  perchè,  ogni  mezz'  ora,  sentiva 
in  quel  vasto  silenzio,  rimbombare  i  tocchi  d'un  orologio: 
m'immagino  che  dovesse  esser  quello  di  Trezzo.  E  la  prima 
volta  che  gli  ferì  gli  orecchi  quello  scocco,  così  inaspettato, 
senza  che  potesse  avere  alcuna  idea  del  luogo  donde  venisse, 
gli  fece  un  senso  misterioso  e  solenne,  come  d'un  avverti- 
mento che  venisse  da  persona  non  vista ,  con  una  voce  sco- 
nosciuta. 

Quando  finalmente  quel  martello  ebbe  battuto  undici  toc- 
chi, eh'  era  1'  ora  disegnata  da  Renzo  per  levarsi,  s'  alzò  mezzo 
intirizzito,  si  mise  inginocchioni,  disse,  e  con  più  fervore  del 
solito,  le  divozioni  della  mattina,  si  rizzò,  si  stirò  in  lungo  e 
in  largo,  scosse  la  vita  e  le  spalle,  come  per  mettere  insieme 
tutte  le  membra,  che  ognuno  pareva  che  facesse  da  sé,  soffiò 
in  una  mano,  poi  nell'altra,  se  le  stropicciò,  aprì  l'uscio 
della  capanna;  e,  per  la  prima  cosa,  diede  un'  occhiata  in  qua 
e  in  là,  per  veder  se  e'  era  nessuno.  E  non  vedendo  nessuno, 
cercò  con  l'occhio  il  sentiero  della  sera  avanti;  la  riconobbe 
subito,  e  prese  per  quello. 

Il  cielo  prometteva  una  bella  giornata  :  la  luna,  in  un  canto, 
pallida  e  senza  raggio,  pure  spiccava  nel  campo  immenso 
d'un  bigio  ceruleo,"  che,  giù  giù  verso  l'oriente,  s*  andava 
sfumando  leggermente  in  un  giallo  roseo.  Più  giù,  ali"  oriz- 
zonte, si  stendevano,  a  lunghe  falde  ineguali,  poche  nuvole, 
tra  1'  azzurro  e  il  bruno,  le  più  basse  orlate  al  di  sotto  d'una 
striscia  quasi  di  fuoco,  che  di  mano  in  mano  si  faceva  più 
viva   e  tagliente  :    da   mezzogiorno,    altre   nuvole   ravvolte   in- 


220  I    PROMESSI    SPOSI. 

sieme,  leggieri  e  soffici,  per  dir  così,  s'  andavan  lumeggiando 
di  mille  colori  senza  nome:  quel  cielo  di  Lombardia,  così 
bello  quand' è  bello,  così  splendido,  così  in  pace.  Se  Renzo 
si  fosse  trovato  lì  andando  a  spasso,  certo  avrebbe  guardato 
in  su,  e  ammirato  queir  albeggiare  così  diverso  da  quello 
eh'  era  solito  vedere  ne'  suoi  monti  ;  ma  badava  alla  sua  stra- 
da, e  camminava  a  passi  lunghi,  per  riscaldarsi,  e  per  arri- 
var presto.  Passa  i  campi,  passa  la  sodaglia,  passa  le  macchie, 
attraversa  il  bosco,  guardando  in  qua  e  in  là,  e  ridendo  e 
vergognandosi  nello  stesso  tempo,  del  ribrezzo  che  vi  aveva 
provato  poche  ore  prima:  è  sul  ciglio  della  riva,  guarda  giù; 
e,  di  tra  i  rami,  vede  una  barchetta  di  pescatore,  che  veniva 
adagio,  contr1  acqua,  radendo  quella  sponda.  Scende  subito 
,per  la  più  corta,  tra  i  pruni;  è  sulla  riva:  dà  una  voce  leg- 
giera leggiera  al  pescatore;  e,  con  l'intenzione  di  far  come 
se  chiedesse  un  servizio  di  poca  importanza,  ma  senza  avve- 
dersene, in  una  maniera  mezzo  supplichevole,  gli  accenna 
che  approdi.  Il  pescatore  gira  uno  sguardo  lungo  la  riva, 
guarda  attentamente  lungo  1'  acqua  che  viene,  si  volta  a 
guardare  indietro,  lungo  1'  acqua  che  va,  e  poi  dirizza  la 
prora  verso  Renzo,  e  approda.  Renzo  che  stava  sub"  orlo  della 
riva,  quasi  con  un  piede  nell'  acqua,  afferra  la  punta  del  bat- 
tello, ci  salta  dentro,  e  dice:  «mi  fareste  il  servizio,  col  pa- 
gare, di  tragittarmi  di  là?»  Il  pescatore  l'aveva  indovinato, 
e  già  voltava  da  quella  parte.  Renzo,  vedendo  sul  fondo 
della  barca  un  altro  remo,  si  china,  e  1"  atterra. 

«Adagio,  adagio;»  disse  il  padrone;  ma  nel  veder  poi 
con  che  garbo  il  giovine  aveva  preso  lo  stromento,  e  si  di- 
sponeva a  maneggiarlo,  «ah,  ah,>  rispose;  e  siete  del  me- 
stiere.» 

«Un  pochino,»  rispose  Renzo,  e  ci  si  mise  con  un  vigore 
e  con  una  maestria,  più  che  da  dilettante.  E  senza  mai  ral- 
lentare, dava  ogni  tanto  un'  occhiata  ombrosa  alla  riva  da 
cui  s'allontanavano,  e  poi  una  impaziente  a  quella  dov*  eran 
rivolti,  e  si  coceva  di  non  poterci  andar  per  la  più  certa; 
che  la  corrente  era,  in  quel  luogo,  troppo  rapida,  per  ta- 
gliarla direttamente:  e  la  barca,  parte  rompendo,  parte  secon- 
dando il  filo  dell'acqua,  doveva  fare  un  tragitto  diagonale. 
Come  accade  in  tutti  gli  affari  un  po'  imbrogliati,  che  le  diffi- 
coltà alla  prima  si  presentino  all'  ingrosso,  e  nell'  eseguire 
poi,  vengan  fuori  per  minuto ,  Renzo,  ora  che  1'  Adda  era,  si 
può  dir,  passata,  gli  dava  fastidio  il  non  saper  di  certo  se  lì 
essa  fosse  confine,  o  se,  superato  quell'ostacolo,  gliene  rima- 
nesse un  altro  da  superare.  Onde,  chiamato  il  pescatore,  e 
accennando  col  capo  quella  macchia  biancastra  che  aveva  ve- 
duta la  notte  avanti,  e  che  allora  gli  appariva  ben  più  di- 
stinta, disse:  «è  Bergamo  quel  paese?-) 


CAPITOLO    XVII.  221 

«La  città  di  Bergamo,')  rispose  il  pescatore. 

«E  quella  riva  lì,  è  bergamasca?» 

«Terra  di  san  Marco.» 

«Viva  san  Marco!»  esclamò  Renzo.  Il  pescatore  non 
disse  nulla. 

Toccano  finalmente  quella  riva;  Renzo  vi  si  slancia:  rin- 
grazia Dio  tra  sé,  e  poi  con  la  bocca  il  barcaiuolo;  mette  le 
mani  in  tasca,  tira  fuori  una  berlinga,  che,  attese  le  circo- 
stanze, non  fu  un  piccolo  sproprio,  e  la  porge  al  galantuomo  ; 
il  quale,  data  ancora  una  occhiata  alla  riva  milanese,  e  al 
fiume  di  sopra  e  di  sotto,  stese  la  mano,  prese  la  mancia, 
la  ripose,  poi  strinse  le  labbra,  e  per  di  più  si  mise  il  dito 
in  croce,  accompagnando  quel  gesto  con  un'  occhiata  espres- 
siva; e  disse  poi:   «buon  viaggio,»  e  tornò  indietro. 

Perchè  la  così  pronta  e  discreta  cortesia  di  costui  verso 
uno  sconosciuto  non  faccia  troppo  maravigliare  il  lettore,  dob- 
biamo informarlo  che  quell'uomo,  pregato  spesso  d'un  simile 
servizio  da  contrabbandieri  e  da  banditi,  era  avvezzo  a  farlo; 
non  tanto  per  amore  del  poco  e  incerto  guadagno  che  gliene 
poteva  venire,  quanto  per  non  farsi  de'  nemici  in  quelle  classi. 
Lo  faceva,  dico,  ogni  volta  che  potesse  esser  sicuro  che  non 
lo  vedessero  né  gabellieri,  né  birri,  né  esploratori.  Così, 
senza  voler  più  bene  ai  primi  che  ai  secondi,  cercava  di  sod- 
disfarli tutti ,  con  quell'  imparzialità,  che  è  la  dote  ordinaria 
di  chi  è  obbligato  a  trattar  con  cert'  uni,  e  soggetto  a  render 
conto  a  cert'  altri. 

Renzo  si  fermò  un  momentino  sulla  riva  a  contemplar  la 
riva  opposta,  quella  terra  che  poco  prima  scottava  tanto  sotto 
i  suoi  piedi.  —  Ah!  ne  son  proprio  fuori!  —  fu  il  suo  primo 
pensiero.  —  Sta  lì,  maledetto  paese  —  fu  il  secondo,  1'  addio 
alla  patria.  Ma  il  terzo  corse  a  chi  lasciava  in  quei  paese. 
Allora  incrociò  le  braccia  sul  petto,  mise  un  sospiro,  abbassò 
gli  occhi  sull'acqua  che  gli  scorreva  a' piedi,  e  pensò  —  è 
passata  sotto  il  ponte!  —  Così,  all'uso  del  suo  paese,  chia- 
mava, per  antonomasia,  quello  di  Lecco.  —  Ah  mondo  bir- 
bone! Basta;  quel  che  Dio  vuole.  — 

Voltò  le  spalle  a  que'  tristi  oggetti ,  e  s' incamminò ,  pren- 
dendo per  punto  di  mira  la  macchia  biancastra  sul  pendìo  del 
monte,  finché  trovasse  qualcheduno  da  farsi  insegnar  la  stra- 
da giusta.  E  bisognava  vedere  con  che  disinvoltura  s'  acco- 
stava a'  viandanti,  e,  senza  tanti  rigiri,  nominava  il  paese  dove 
abitava  quel  suo  cugino.  Dal  primo  a  cui  si  rivolse,  seppe 
che  gli  rimanevano  ancor  nove  miglia  da  fare. 

Quel  viaggio  non  fu  lieto.  Senza  parlare  de' guai  che 
Renzo  portava  con  sé,  il  suo  occhio  veniva  ogni  momento  rat- 
tristato da  oggetti  dolorosi,  da' quali  dovette  accorgersi  che 
troverebbe  nel  paese  in  cui  s'inoltrava,  la  penuria  che  aveva 


222  I   PROMESSI    SPOSI. 

lasciata  nel  suo.  Per  tutta  la  strada,  e  più  ancora  nelle  terre 
e  ne' borghi,  incontrava  a  ogni  passo  poveri,  che  non  eran 
poveri  di  mestiere,  e  mostravan  la  miseria  più  nel  viso  che 
nel  vestiario:  contadini,  montanari,  artigiani,  famiglie  intere; 
e  un  misto  ronzìo  di  preghiere,  di  lamenti  e  di  vagiti.  Quella 
vista,  oltre  la  compassione  e  la  malinconia,  lo  metteva  anche 
in  pensiero  de'  casi  suoi. 

—  Chi  sa,  —  andava  meditando,  —  se  trovo  da  far 
bene?  se  c'è  lavoro,  come  negli  anni  passati?  Basta;  Bor- 
tolo mi  voleva  bene,  è  un  buon  figliuolo,  ha  fatto  danari, 
m'ha  invitato  tante  volte;  non  m'abbandonerà.  E  poi,  la 
Provvidenza  m'  ha  aiutato  finora;  m'aiuterà  anche  per  1' av- 
venire. — 

Intanto  l'appetito,  risvegliato  già  da  qualche  tempo,  an- 
dava crescendo  di  miglio  in  miglio;  e  quantunque  Renzo, 
quando  cominciò  a  dargli  retta,  sentisse  di  poter  reggere, 
senza  grand'  incomodo,  per  quelle  due  o  tre  che  gli  potevan 
rimanere;  pensò,  da  un'altra  parte,  che  non  sarebbe  una 
bella  cosa  di  presentarsi  al  cugino,  come  un  pitocco,  e  dirgli, 
per  primo  complimento:  dammi  da  mangiare.  Si  levò  di  tasca 
tutte  le  sue  ricchezze,  le  fece  scorrere  sur  una  mano,  tirò  la 
somma.  Non  era  conto  che  richiedesse  una  grande  aritmetica; 
una  però  e'  era  abbondantemente  da  fare  una  mangiatina. 
Entrò  in  un'  osteria  a  ristorarsi  lo  stomaco  ;  e  in  fatti,  pagato 
che  ebbe,  gli  rimase  ancor  qualche  soldo. 

X eli' uscire,  vide,  accanto  alla  porta,  che  quasi  v'inciam- 
pava, sdraiate  in  terra,  più  che  sedute,  due  donne,  una  at- 
tempata, un'  altra  più  giovane,  con  un  bambino,  che  dopo  aver 
succhiata  invano  1' una  e  l'altra  mammella,  piangeva,  pian- 
geva; tutti  del  color  della  morte:  e  ritto  vicino  a  loro,  un 
uomo,  nel  viso  del  quale  e  nelle  membra  si  potevano  ancor 
vedere  i  segni  d'  un'  antica  robustezza,  domata  e  quasi  spenta 
dal  lungo  disagio.  Tutt'  e  tre  stesero  la  mano  verso  colui 
che  usciva  con  passo  franco,  e  con  l'aspetto  rianimato:  nes- 
suno parlò;  che  poteva  dir  di  più  una  preghiera? 

«La  c'è  la  Provvidenza!»  disse  Renzo;  e,  cacciata  subito 
la  mano  in  tasca,  la  votò  di  que' pochi  soldi:  li  mise  nella 
mano  che  si  trovò  più  vicina,  e  riprese  la  sua  strada. 

La  refezione  e  1'  opera  buona  (giacché  siam  composti 
d' anima  e  di  corpo)  avevano  riconfortati  e  rallegrati  tutti  i 
suoi  pensieri.  Certo,  dall' essersi  così  spogliato  degli  ultimi 
danari,  gli  era  venuto  più  di  confidenza  per  l'avvenire,  che 
non  gliene  avrebbe  dato  il  trovarne  dieci  volte  tanti.  Perchè, 
se  a  sostenere  in  quel  giorno  que'  poverini  che  mancavano 
sulla  strada,  la  Provvidenza  aveva  tenuti  in  serbo  proprio  gli 
ultimi  quattrini  d'  un  estraneo,  fuggitivo,  incerto  anche  lui  del 
come  vivrebbe;  chi  poteva  credere  che  volesse  poi  lasciare  in 


CAPITOLO  XVII.  223 

secco  colui  del  quale  s'  era  servita  a  ciò,  e  a  cui  aveva  dato 
un  sentimento  così  vivo  di  sé  stessa,  così  efficace,  così  riso- 
luto? Questo  era,  a  un  di  presso,  il  pensiero  del  giovine; 
però  men  chiaro  ancora  di  quello  eh'  io  1'  abbia  saputo  espri- 
mere. Nel  rimanente  della  strada,  ripensando  a' casi  suoi, 
tutto  gli  si  spianava.  La  carestia  doveva  poi  finire:  tutti  gli 
anni  si  miete:  intanto  aveva  il  cugino  Bortolo  e  la  propria 
abilità:  aveva,  per  di  più,  a  casa  un  po'  di  danaro,  che  si  fa- 
rebbe mandar  subito.  Con  quello,  alla  peggio,  camperebbe, 
giorno  per  giorno,  finché  tornasse  1'  abbondanza.  —  Ecco  poi 
tornata  finalmente  l'abbondanza,  —  proseguiva  Renzo  nella 
sua  fantasia:  —  rinasce  la  furia  de' lavori:  i  padroni  fanno 
a  gara  per  aver  degli  operai  milanesi,  che  son  quelli  che  san- 
no bene  il  mestiere;  gli  operai  milanesi  alzan  la  cresta;  chi 
vuol  gente  abile,  bisogna  che  la  paghi:  si  guadagna  da  vivere 
per  più  d'uno,  e  da  metter  qualcosa  da  parte;  e  si  fa  scri- 
vere alle  donne  che  vengano  ....  E  poi,  perchè  aspettar 
tanto?  Non  è  vero  che,  con  quel  poco  che  abbiamo  in  serbo, 
si  sarebbe  campati  là,  anche  quest'inverno?  Così  camperemo 
qui.  De'  curati  ce  n'  è  per  tutto.  Tengono  quelle  due  care 
donne:  si  mette  su  casa.  Che  piacere,  andar  passeggiando  su 
questa  stessa  strada  tutti  insieme!  andar  fino  all'Adda  in  ba- 
roccio,  e  far  merenda  sulla  riva,  proprio  sulla  riva,  e  far  ve- 
dere alle  donne  il  luogo  dove  mi  sono  imbarcato,  il  prunaio 
da  cui  sono  sceso,  quel  posto  dove  sono  stato  a  guardare  se 
e'  era  un  battello.  — 

Arriva  al  paese  del  cugino:  nell'  entrare,  anzi  prima  di 
mettervi  piede,  distingue  una  casa  alta  alta,  a  più  ordini  di 
finestre  lunghe  lunghe;  riconosce  un  filatoio,  entra,  domanda 
ad  alta  voce,  tra  il  rumore  dell'acqua  cadente  e  delle  rote, 
se  sta  lì  un  certo  Bortolo  Castagneri. 

«Il  signor  Bortolo!  Eccolo  là.» 

—  Signore?  buon  segno,  —  pensa  Renzo;  vede  il  cugino, 
gli  corre  incontro.  Quello  si  volta,  riconosce  il  giovine,  che 
gli  dice:  «son  qui.»  Un  oh!  di  sorpresa,  un  alzar  di  brac- 
cia, un  gettarsele  al  collo  scambievolmente.  Dopo  quelle 
prime  accoglienze,  Bortolo  tira  il  nostro  giovine  lontano  dallo 
strepito  degli  ordigni,  e  dagli  occhi  de' curiosi,  iu  un'altra 
stanza,  e  gli  dice:  «ti  vedo  volentieri;  ma  sei  un  benedetto 
figliuolo.  T'avevo  invitato  tante  volte;  non  sei  mai  voluto  ve- 
nire; ora  arrivi  in  un  momento  un  po'  critico.  » 

«Se  te  lo  devo  dire,  non  sono  venuto  via  di  mia  volontà,  > 
disse  Renzo  ;  e,  con  la  più  gran  brevità,  non  però  senza  molta 
commozione,  gli  raccontò  la  dolorosa  storia. 

«È  un  altro  par  di  maniche,»  disse  Bortolo.  «Oh  po- 
vero Renzo!  Ma  tu  hai  fatto  capitale  di  me;  e  io  non  t'  ab- 
qandonerò.     Veramente,   ora  non  e'  è  ricerca  d'operai;    anzi 


224  I   PEOMESSI    SPOSI. 

appena  appena  ognuno  tiene  i  suoi,  per  non  perderli  e  di- 
sviare il  negozio;  ma  il  padrone  mi  vuol  bene,  e  ha  della 
roba.  E,  a  dirtela,  in  gran  parte  la  deve  a  me,  senza  van- 
tarmi :  lui  il  capitale,  e  io  quella  poca  abilità.  Sono  il  primo 
lavorante,  sai?  e  poi,  a  dirtela,  sono  il  factotum.  Povera 
Lucia  Mondella!  Me  ne  ricordo,  come  se  fosse  ieri:  una 
buona  ragazza!  sempre  la  più  composta  in  chiesa:  e  quando 
si  passava  da  quella  sua  casuccia ....  Mi  par  di  vederla, 
quella  casuccia,  appena  fuor  del  paese,  con  un  bel  fico  che 
passava  il  muro  ....  » 

«No,  no;  non  ne  parliamo.» 

«Volevo  dire  che,  quando  si  passava  da  quella  casuccia, 
sempre  si  sentiva  quell'aspo,  che  girava,  girava,  girava.  E 
quel  Don  Rodrigo!  già,  anche  al  mio  tempo,  era  per  quella 
strada;  ma  ora  fa  il  diavolo  affatto,  a  quel  che  vedo:  fin  che 
Dio  gli  lascia  la  briglia  sul  collo.  Dunque,  come  ti  dicevo; 
anche  qui  si  patisce  un  po' la  fame  ....  A  proposito,  come 
stai  d'  appetito?  » 

«Ho  mangiato  poco  fa,  per  viaggio.» 

«E  a  danari,  come  stiamo?» 

Renzo  stese  una  mano,  l'avvicinò  alla  bocca,  e  vi  fece 
scorrer  sopra  un  piccol  soffio. 

«Xon  importa,»  disse  Bortolo:  «n'  ho  io;  e  non  ci  pen- 
sare, che  presto  presto,  cambiandosi  le  cose,  se  Dio  vorrà, 
me  li  renderai,  e  te  n'avanzerà  anche  per  te.» 

«Ho  qualcosina  a  casa;  e  me  li  farò  mandare.» 

«Va  bene;  e  intanto  fa  conto  di  me.  Dio  m'  ha  dato  del 
bene,  perchè  faccia  del  bene;  e  se  non  ne  fo  a'  parenti  e  agli 
amici,  a  chi  ne  farò?» 

«L'ho  detto  io  della  Provvidenza!»  esclamò  Renzo  strin- 
gendo affettuosamente  la  mano  al  buon  cugino. 

«Dunque,»  rispose  questo,  «in  Milano  hanno  fatto  tutto 
quel  chiasso.  Mi  paiono  un  po'  matti  coloro.  Già,  n'  era 
corsa  la  voce  anche  qui;  ma  voglio  che  tu  mi  racconti  poi  la 
cosa  più  minutamente.  Eh!  n'abbiamo  delle  cose  da  discor- 
rere. Qui  però,  vedi,  la  va  più  quietamente,  e  si  fanno  le 
cose  con  un  po'  più  di  giudizio.  La  città  ha  comprate  due- 
mila some  di  grano  da  un  mercante  che  sta  a  Venezia  :  grano 
che  vien  di  Turchia:  ma  quando  si  tratta  di  mangiare,  la 
non  si  guarda  tanto  per  il  sottile.  Ora  senti  un  po'  cosa 
nasce:  nasce  che  i  rettori  di  Verona  e  Brescia  chiudono  i 
passi,  e  dicono:  di  qui  non  passa  grano.  Che  ti  fanno  i  ber- 
gamaschi? Spediscono  a  Venezia  Lorenzo  Torre,  un  dottore, 
ma  di  quelli!  È  partito  in  fretta,  s'è  presentato  al  doge,  e 
ha  detto:  che  idea  è  venuta  a  que' signori  rettori?  Ma  un 
discorso!  un  discorso,  dicono,  da  dare  alle  stampe.  Cosa 
vuol  dire  avere  un  uomo  che  sappia  parlare!  Subito  un  ordine 


CAPITOLO   XVII.  225 

che  si  lasci  passare  il  grano;  e  i  rettori,  non  solo  lasciarlo 
passare,  ma  bisogna  che  lo  facciano  scortare;  ed  è  in  viaggio. 
E  s'è  pensato  anche  al  contado.  Giovanbatista  Biava,  nunzio 
di  Bergamo  in  Venezia  (un  uomo  anche  quello!)  ha  fatto  in- 
tendere al  senato  che,  anche  in  campagna,  si  pativa  la  fame; 
e  il  senato  ha  concesso  quattromila  staia  di  miglio.  Anche 
questo  aiuto  a  far  pane.  E  poi,  lo  vuoi  sapere?  se  non  ci 
sarà  pane,  mangeremo  del  companatico.  Il  Signore  m'  ha  da- 
to del  bene,  come  ti  dico.  Ora  ti  condurrò  dal  mio  padrone: 
gli  ho  parlato  di  te  tante  volte,  e  ti  farà  buona  accoglienza. 
Un  bergamascone  all'antica,  un  uomo  di  cuor  largo.  Vera- 
mente, ora  non  t'aspettava;  ma  quando  sentirà  la  storia  .... 
E  poi  gli  operai  sa  tenerli  di  conto,  perchè  la  carestia  pas- 
sa, e  il  negozio  dura.  Ma  prima  di  tutto,  bisogna  che  t'av- 
verta d'  una  cosa.  Sai  come  ci  chiamano  in  questo  paese,  noi 
altri  dello  stato  di  Milano?» 

«Come  ci  chiamano?» 

«Ci  chiaman  baggiani.» 

«Non  è  un  bel  nome.» 

«Tant'è:  chi  è  nato  nel  milanese,  e  vuol  vivere  nel  ber- 
gamasco, bisogna  prenderselo  in  santa  pace.  Per  questa 
gente,  dar  del  baggiano  a  un  milanese  è  come  dar  dell'illu- 
strissimo a  un  cavaliere.» 

«Lo  diranno,  m'immagino,  a  chi  se  lo  vorrà  lasciar  dire.» 

«  Figliuolo  mio,  se  tu  non  sei  disposto  a  succiarti  del  bag- 
giano a  tutto  pasto ,  non  far  conto  di  poter  viver  qui.  Bi- 
sognerebbe esser  sempre  col  coltello  in  mano:  e  quando,  sup- 
poniamo, tu  n'avessi  ammazzati  due,  tre,  quattro,  verrebbe 
poi  quello  che  ammazzerebbe  te:  e  allora,  che  bel  gusto  di 
comparire  al  tribunal  di  Dio,  con  tre  o  quattro  omicidi  sul- 
1'  anima!» 

«E  un  milanese  che  abbia  un  po' di  .  .  .  .»  e  qui  picchiò 
la  fronte  col  dito ,  come  aveva  fatto  nell'  osteria  della  luna 
piena.    «Voglio  dire,  uno  che  sappia  bene  il  suo  mestiere?» 

«Tutt'uno:  qui  è  un  baggiano  anche  lui.  Sai  come  dice 
il  mio  padrone,  quando  parla  di  me  co' suoi  amici?  —  Quel 
baggiano  è  stato  la  man  di  Dio,  per  il  negozio;  se  non 
avessi  quel  baggiano,  sarei  ben  impicciato.  —  L'è  usanza 
così.  » 

«L'è  un'usanza  sciocca.  E  vedendo  quello  che  sappiam 
fare  (che  finalmente  chi  ha  portata  qui  quest'arte,  e  chi  la 
fa  andare,  siamo  noi),  possibile  che  non  si  sian  corretti?» 

«Finora  no:  col  tempo  può  essere;  i  ragazzi  che  vengon 
su;  ma  gli  uomini  fatti,  non  c'è  rimedio:  hanno  preso  quel 
vizio:  non  lo  smetton  più.  Cos'è  poi  finalmente?  Era  ben 
un'altra  cosa  quelle  galanterie  che  t'hanno  fatto,  e  il  di  più 
che  ti  volevan  fare  i  nostri  cari  compatriotti.  » 

Manzoni.  15 


226  I   PROMESSI    SPOSI. 

«  Già,  è  vero  :  se  non  e'  è  altro  di  male  ....  » 
«Ora  che  sei  persuaso  di  questo,  tutto  anderà  bene.    "Vieni 
dal  padrone,  e  coraggio.» 

Tutto  in  fatti  andò  bene,  e  tanto  a  seconda  delle  promes 
se   di  Bortolo,   che  crediamo  inutile  di  farne  particolar  rela- 
zione.    E  fu  veramente  provvidenza;  perchè  la  roba  e  i  quat 
trini  che  Renzo  aveva  lasciati  in  casa,  vedremo  or  ora  quan- 
to fosse  da  farci  assegnamento. 


CAPITOLO  XVIII. 

Quello  stesso  giorno,  13  di  novembre,  arriva  un  espresso 
al  signor  podestà  di  Lecco,  e  gli  presenta  un  dispaccio  del 
signor  capitano  di  giustizia,  contenente  un  ordine  di  fare  ogni 
possibile  e  più  opportuna  inquisizione,  per  iscoprire  se  un 
certo  giovine  nominato  Lorenzo  Tramaglino,  filatore  di  seta,, 
scappato  dalle  forze  praedicti  egregii  domini  capitanti,  sia 
tornato,  palavi  vel  clam,  al  suo  paese,  ignotum  quale  per 
l'appunto,  rerum  in  territorio  Leuci;  quod  si  compertum 
fuerit  sic  esse,  cerchi  il  detto  signor  podestà,  quanta  maxi- 
via  diligenti  a  fieri  poterti,  d'averlo  nelle  mani;  e,  legato  a 
dovere,  videlicet  con  buone  manette,  attesa  1' esperimentata 
insufficienza  de'  manichini  pel  nominato  soggetto,  lo  faccia  con- 
durre nelle  carceri,  e  lo  ritenga  lì,  sotto  buona  custodia,  per 
farne  consegna  a  chi  sarà  spedito  a  prenderlo;  e  tanto  nel 
caso  del  sì,  come  nel  caso  del  no,  accedati s  ad  domum  prae- 
dicti Laurentii  Tramatimi;  et,  facta  debita  diligentia, 
quidquid  ad  rem  repertum  fuerit  auf erati s  ;  et  informatio- 
nes  de  illius  prava  qualitate,  vita  et  complicibus  sumatis  ; 
e  di  tutto  il  detto  e  il  fatto,  il  trovato  e  il  non  trovato,  il 
preso  e  il  lasciato,  diligenter  referatis.  Il  signor  podestà, 
dopo  essersi  umanamente  cerziorato  che  il  soggetto  non  era 
tornato  in  paese,  fa  chiamare  il  console  del  villaggio,  e  si  fa 
condur  da  lui  alla  casa  indicata,  con  gran  treno  di  notaio  e 
di  birri.  La  casa  è  chiusa;  chi  ha  le  chiavi  non  c'è,  o  non 
si  lascia  trovare.  Si  sfonda  l'uscio;  e  si  fa  la  debita  diligen- 
za, vale  a  dire  che  si  fa  come  in  una  città  presa  d'assalto. 
La  voce  di  quella  spedizione  si  sparge  immediatamente  per 
tutto  il  contorno;  viene  agli  orecchi  del  padre  Cristoforo;  il 
quale,  attonito  non  meno  che  afflitto,  domanda  al  terzo  e  al 
quarto,  per  aver  qualche  lume  intorno  alla  cagione  d'un  fat- 
to così  inaspettato;  ma  non  raccoglie  altro  che  congetture  in 
aria,  e  scrive  subito  al  padre  Bonaventura,  dal  quale  spera 
di  poter  ricevere  qualche  notizia  più  precisa.  Intanto  i  pa- 
renti e  gli  amici  di  Renzo  vengono  citati  a  deporre  ciò  che 


capitolo  xviii.  227 

posson  sapere  della  sua  prava  qualità:  aver  nome  Tramagli- 
no è  una  disgrazia:  una  vergogna,  un  delitto:  il  paese  è  sot- 
tosopra. A  poco  a  poco,  si  viene  a  sapere  che  Renzo  è  scap- 
pato dalla  giustizia  nel  bel  mezzo  di  Milano,  e  poi  scompar- 
so; corre  voce  che  abbia  fatto  qualcosa  di  grosso;  ma  la 
cosa  poi  non  si  sa  dire,  o  si  racconta  in  cento  maniere.  Quan- 
do più  è  grossa,  tanto  meno  viene  creduta  nel  paese,  dove  Ren- 
zo è  conosciuto  per  un  bravo  giovine:  i  più  presumono,  e 
vanno  susurrandosi  agli  orecchi  F  uno  con  F  altro,  che  è  una 
macchina  mossa  da  quel  prepotente  di  don  Rodrigo,  per  ro- 
vinare il  suo  povero  rivale.  Tant' è  vero  che,  a  giudicar  per 
induzione,  e  senza  la  necessaria  cognizione  de'  fatti,  si  fa  alle 
volte  gran  torto  anche  ai  birbanti. 

Ma  noi,  co' fatti  alla  mano,  come  si  suol  dire,  possiamo 
affermare  che,  se  colui  non  aveva  avuto  parte  nella  sciagura 
di  Renzo,  se  ne  compiacque  però,  come  se  fosse  opera  sua, 
e  ne  trionfò  co'  suoi  fidati,  e  principalmente  col  conte  Attilio. 
Questo,  secondo  i  suoi  primi  disegni,  avrebbe  dovuto  a  quel- 
l'ora trovarsi  già  in  Milano;  ma,  alle  prime  notizie  del  tu- 
multo, e  della  canaglia  che  girava  per  le  strade,  in  tutt'  altra 
attitudine  che  di  ricever  bastonate,  aveva  creduto  bene  di  trat- 
tenersi in  campagna,  fino  a  cose  quiete.  Tanto  più  che,  aven- 
do offeso  molti,  aveva  qualche  ragion  di  temere  che  alcuno 
de'  tanti,  che  solo  per  impotenza  stavano  cheti,  non  prendesse 
animo  dalle  circostanze,  e  giudicasse  il  momento  buono  da 
far  le  vendette  di  tutti.  Questa  sospensione  non  fu  di  lunga 
durata:  l'ordine  venuto  da  Milano  dell'esecuzione  da  farsi 
contro  Renzo  era  già  un  indizio  che  le  cose  avevan  ripreso 
il  corso  ordinario;  e,  quasi  nello  stesso  tempo,  se  n'ebbe  la 
certezza  positiva.  Il  corate  Attilio  partì  immediatamente,  ani- 
mando il  cugino  a  persister  nell'impresa,  e  spuntar  l'impe- 
gno, e  promettendogli  che,  dal  canto  suo,  metterebbe  subito 
mano  a  sbrigarlo  dal  frate;  al  qual  affare,  il  fortunato  acci- 
dente dell'  abietto  rivale  doveva  fare  un  gioco  mirabile.  Ap- 
pena partito  Attilio,  arrivò  il  Griso  da  Monza  sano  e  salvo, 
e  riferì  al  suo  padrone  ciò  che  aveva  potuto  raccogliere:  che 
Lucia  era  ricoverata  nel  tal  monastero,  sotto  la  protezione 
della  tal  signora;  e  stava  sempre  nascosta,  come  se  fosse  una 
monaca  anche  lei,  non  mettendo  mai  piede  fuor  della  porta, 
e  assistendo  alle  funzioni  di  chiesa  da  una  finestrina  con  la 
grata:  cosa  che  dispiaceva  a  molti,  i  quali  avendo  sentito 
motivar  non  so  che  di  sue  avventure,  e  dir  gran  cose  del  suo 
viso,  avrebbero  voluto  un  poco  vedere  come  fosse  fatto. 

Questa  relazione  mise  il  diavolo  addosso  a  don  Rodrigo, 
o,  per  dir  meglio,  rendè  più  cattivo  quello  che  già  ci  stava  di 
casa.  Tante  circostanze  favorevoli  al  suo  disegno  infiamma- 
vano sempre  più  la  sua  passione,  cioè  quel  misto  di  punti- 
lo* 


228  I   PROMESSI    SPOSI. 

glio,  di  rabbia  e  d'infame  capriccio,  di  cui  la  sua  passione 
era  composta.  Renzo  assente,  sfrattato,  bandito,  di  maniera 
che  ogni  cosa  diventava  lecita  contro  di  lui ,  e  anche  la  sua 
sposa  poteva  esser  considerata,  in  certo  modo,  come  roba  di 
rubello:  il  solo  uomo  al  mondo  che  volesse  e  potesse  pren- 
der le  sue  parti,  e  fare  rumore  da  esser  sentito  anche  lontano 
e  da  persone  alte,  1"  arrabbiato  frate,  tra  poco  sarebbe  pro- 
babilmente anche  lui  fuor  del  caso  di  nuocere.  Ed  ecco  che 
un  nuovo  impedimento ,  non  che  contrappesare  tutti  que'  van- 
taggi, li  rendeva,  si  può  dire,  inutili.  Un  monastero  di  Mon- 
za, quand'anche  non  ci  fosse  stata  una  principessa,  era  un 
osso  troppo  duro  per  i  denti  di  don  Rodrigo;  e  per  quanto 
egli  ronzasse  con  la  fantasia  intorno  a  quel  ricovero,  non  sa- 
peva immadnar  né  via  nò  verso  d'espugnarlo,  ne  con  la 
forza,  né  per  insidie.  Fu  quasi  quasi  per  abbandonar  l'im- 
presa: fu  per  risolversi  d'andare  a  Milano,  allungando  anche 
la  strada,  per  non  passar  neppure  da  Monza;  e  a  Milano  get- 
tarsi in  mezzo  agli  amici  e  ai  divertimenti,  per  discacciar,  con 
pensieri  affatto  allegri,  quel  pensiero  divenuto  ormai  tutto  tor- 
mentoso. Ma.  ma,  ma,  gli  amici;  piano  un  poco  con  questi 
amici.  In  vece  d'  una  distrazione,  poteva  aspettarsi  di  trovar 
nella  loro  compagnia  nuovi  dispiaceri:  perchè  Attilio  certa- 
mente avrebbe  già  preso  la  tromba  e  messo  tutti  in  aspetta- 
tiva. Da  ogni  parte  gli  verrebbero  domandate  notizie  della 
montanara:  bisognava  render  ragione.  S'era  voluto,  s'era 
tentato;  cosa  s'era  ottenuto?  S'era  preso  un  impegno:  un 
impegno  un  po' ignobile,  a  dire  il  vero:  ma,  via,  uno  non 
può  alle  volte  regolare  i  suoi  capricci:  il  punto  è  di  soddi- 
sfarli; e  come  s'usciva  da  quest'impegno?  Dandola  vinta  a 
un  villano  e  a  un  frate!  Uh!  E  quando  una  buona  sorte 
inaspettata,  senza  fatica  del  buon  a  nulla,  aveva  tolto  di  mezzo 
l'uno,  e  un  abile  amico  l'altro,  il  buon  a  nulla  non  aveva 
saputo  valersi  della  congiuntura,  e  si  ritirava  vilmente  dal- 
l'impresa. Ce  n'era  più  del  bisogno,  per  non  alzar  mai  più 
il  viso  tra  i  galantuomini,  o  avere  ogni  momento  la  spada 
alle  mani.  E  poi,  come  tornare,  o  come  rimanere  in  quella 
villa,  in  quel  paese,  dove,  lasciando  da  parte  i  ricordi  inces- 
santi e  pungenti  della  passione,  si  porterebbe  lo  sfregio  d'  un 
colpo  fallito?  dove,  nello  stesso  tempo,  sarebbe  cresciuto  1'  odio 
pubblico,  e  scemata  la  riputazion  del  potere?  dove  sul  viso 
d'ogni  mascalzone,  anche  in  mezzo  agl'inchini,  si  potrebbe 
leggere  un  amaro:  l'hai  ingoiata,  ci  ho  gusto?  La  strada 
dell'iniquità,  dice  qui  il  manoscritto,  è  larga:  ma  questo  non 
vuol  dire  che  sia  comoda:  ha  i  suoi  buoni  intoppi,  i  suoi 
passi  scabrosi;  è  noiosa  la  sua  parte,  e  faticosa,  benché  vada 
all'  ingiù. 

A   don  Rodrigo  il  quale  non  voleva  uscirne,  né  dare  ad- 


CAPITOLO   XVIII.  229 

dietro,  né  fermarsi,  e  non  poteva  andare  avanti  da  sé,  veniva 
bensì  in  mente  un  mezzo  con  cui  potrebbe;  ed  era  di  chieder 
l'aiuto  d'un  tale,  le  cui  mani  arrivavano  spesso  dove  non 
arrivava  la  vista  degli  altri:  un  uomo  o  un  diavolo,  per  cui 
la  difficoltà  dell'  imprese  era  spesso  uno  stimolo  a  prenderle 
sopra  di  sé.  Ma  questo  partito  aveva  anche  i  suoi  inconve- 
nienti e  i  suoi  rischi,  tanto  più  gravi  quanto  meno  si  potevano 
calcolar  prima;  giacché  nessuno  avrebbe  saputo  prevedere  fin 
dove  anderebbe,  una  volta  che  si  fosse  imbarcato  con  quel- 
l'uomo, potente  ausiliario  certamente,  ma  non  meno  assoluto 
e  pericoloso  condottiere. 

Tali  pensieri  tennero  per  più  giorni  don  Rodrigo  fra  un 
sì  e  un  no,  V  uno  e  1'  altro  più  che  noiosi.  Venne  intanto  una 
lettera  del  cugino,  la  quale  diceva  che  la  trama  era  ben  av- 
viata. Poco  dopo  il  baleno,  scoppiò  il  tuono;  vale  a  dire  che 
una  bella  mattina,  si  sentì  che  il  padre  Cristoforo  era  partito 
dal  convento  di  Pescarenico.  Questo  buon  successo  così 
pronto,  la  lettera  d'Attilio  che  faceva  un  gran  coraggio,  e 
minacciava  di  gran  canzonature,  fecero  inclinar  sempre  più 
don  Rodrigo  al  partito  rischioso:  ciò  che  gli  diede  l'ultima 
spinta,  fu  la  notizia  inaspettata  che  Agnese  era  tornata  a 
casa  sua:  un  impedimento  di  meno  vicino  a  Lucia.  Ren- 
diam  conto  di  questi  due  avvenimenti,  cominciando  dal- 
l' ultimo. 

Le  due  povere  donne  s'  erano  appena  accomodate  nel  loro 
ricovero  che  si  sparse  per  Monza,  e  per  conseguenza  anche 
nel  monastero,  la  nuova  di  quel  gran  fracasso  di  Milano;  e 
dietro  alla  nuova  grande,  una  serie  infinita  di  particolari,  che 
andavano  crescendo  e  variandosi  ogni  momento.  La  fattores- 
sa,  che,  dalla  sua  casa,  poteva  tenere  un  orecchio  alla  strada, 
e  uno  al  monastero ,  raccoglieva  notizie  di  qui ,  notizie  di  lì, 
e  ne  faceva  parte  all'ospiti.  «Due,  sei,  otto,  quattro,  sette 
ne  hanno  messi  in  prigione  :  gì'  impiccheranno  davanti  al 
forno  delie  grucce,  parte  in  cima  alla  strada  dove  c'è  la 
casa  del  vicario  di  provvisione  ....  Ehi,  ehi,  sentite  questa: 
ir  è  scappato  uno,  che  è  di  Lecco,  o  di  quelle  parti.  Il  nome 
non  lo  so:  ma  verrà  qualcheduno  che  me  lo  saprà  dire;  per 
veder  se  lo  conoscete.» 

Quest'  annunzio,  con  la  circostanza  d'esser  Renzo  ap- 
punto arrivato  in  Milano  nel  giorno  fatale,  diede  qualche  in- 
quietudine alle  donne,  e  principalmente  a  Lucia:  ma  pensate 
cosa  fu  quando  la  fattoressa  venne  a  dir  loro:  «è  proprio 
del  vostro  paese  quello  che  se  l'è  battuta,  per  non  essere 
impiccato,  un  filatore  di  seta,  che  si  chiama  Tramaglino:  lo 
conoscete?» 

A  Lucia,  ch'era  a  sedere,  orlando  non  so  che  cosa,  cadde 
il  lavoro  di  mano;  impallidì,  si  cambiò  tutta,  di  maniera  che 


230  I    PBOMESSI    SPOSI. 

la  fattoressa  se  ne  sarebbe  avvista  certamente,  se  le  fosse 
stata  più  vicina.  Ma  era  ritta  sulla  soglia  con  Agnese;  la 
quale,  conturbata  anche  lei,  però  non  tanto,  potè  star  forte; 
e,  per  risponder  qualcosa,  disse  che.  in  un  piccolo  paese, 
tutti  si  conoscono,  e  che  lo  conosceva;  ma  che  non  sapeva 
pensare  come  mai  gli  fosse  potuto  seguire  una  cosa  simile: 
perchè  era  un  giovine  posato.  Domandò  poi  se  era  scappato 
di  certo,  e  dove. 

('Scappato,  lo  dicon  tutti:  dove,  non  si  sa;  può  essere 
che  l'acchiappino  ancora,  può  essere  che  sia  in  salvo;  ma 
se  gli  torna  sotto  1"  unghie,  il  vostro  giovine  posato  .  .  .  .» 

Qui,  per  buona  sorte,  la  fattoressa  fu  chiamata,  esen'  an- 
dò; figuratevi  come  rimanessero  la  madre  e  la  figlia.  Più 
d' un  giorno ,  dovettero  la  povera  donna  e  la  desolata  fan- 
ciulla stare  in  una  tale  incertezza,  e  mulinare  sul  come,  sul 
perchè,  sulle  conseguenze  di  quel  fatto  doloroso,  a  commen- 
tare, ognuna  tra  sé,  o  sottovoce  tra  loro,  quando  potevano, 
quelle  terribili  parole. 

Un  giovedì,  finalmente,  capitò  al  monastero  un  uomo  a 
cercar  d'  Agnese.  Era  un  pesciaiolo  di  Pescarenico,  che  an- 
dava a  Milano,  secondo  l'ordinario,  a  spacciar  la  sua  mer- 
canzia; e  il  buon  frate  Cristoforo  l'aveva  pregato  che,  pas- 
sando per  Monza,  facesse  una  scappata  al  monastero,  salu- 
tasse le  donne  da  parte  sua,  raccontasse  loro  quel  che  si  sa- 
peva del  tristo  caso  di  Pienzo,  raccomandasse  loro  d'  aver  pa- 
zienza, e  confidare  in  Dio:  e  che  lui  povero  frate  non  si  di- 
menticherebbe certamente  di  loro,  e  spierebbe  l'occasione 
di  poterle  aiutare:  e  intanto  non  mancherebbe,  ogni  setti- 
mana, di  far  loro  saper  le  sue  nuove,  per  quel  mezzo,  o  al- 
trimenti. Intorno  a  Renzo,  il  messo  non  seppe  dir  altro  di 
nuovo  e  di  certo,  se  non  la  visita  fattagli  in  casa,  e  le  ri- 
cerche per  averlo  nelle  mani;  ma  insieme  ch'erano  tutte  an- 
date a  vóto,  e  si  sapeva  di  certo  che  s'era  messo  in  salvo 
sul  bergamasco.  Una  tale  certezza,  e  non  fa  bisogno  di  dirlo, 
fu  un  gran  balsamo  per  Lucia:  d'allora  in  poi  le  sue  lacrime 
scorsero  più  facili  e  più  dolci;  provò  maggior  conforto  negli 
sfoghi  segreti  con  la  madre;  e  in  tutte  le  sue  preghiere,  c'era 
mescolato  un  ringraziamento. 

Gertrude  la  faceva  venire  spesso  in  un  suo  parlatorio  pri- 
vato, e  la  tratteneva  talvolta  lungamente,  compiacendosi  del- 
l'ingenuità e  della  dolcezza  della  poverina,  e  nel  sentirsi  rin- 
graziare e  benedire  ogni  momento.  Le  raccontava  anche,  in 
confidenza,  una  parte  (la  parte  netta)  della  sua  storia,  di  ciò 
che  aveva  patito,  per  andar  lì  a  patire;  e  quella  prima  ma- 
raviglia sospettosa  di  Lucia  s'  andava  cambiando  in  compas- 
sione. Trovava  in  quella  storia  ragioni  più  che  sufficienti  a 
spiegar   ciò    che   e'  era    d' un   po'  strano    nelle  maniere   della 


CAPITOLO    XVIII.  231 

sua  benefattrice  ;  tanto  più  con  V  aiuto  di  quella  dottrina 
d' Agnese  su'  cervelli  de'  signori.  Per  quanto  però  si  sen- 
tisse portata  a  contraccambiare  la  confidenza  che  Gertrude  le 
dimostrava,  non  le  passò  neppur  per  la  testa  di  parlarle  delle 
sue  nuove  inquietudini,  della  sua  nuova  disgrazia,  di  dirle 
chi  fosse  quel  filatore  scappato;  per  non  rischiare  di  spargere 
una  voce  così  piena  di  dolore  e  di  scandolo.  Si  schermiva 
anche,  quanto  poteva,  dal  rispondere  alle  domande  curiose  di 
quella,  sulla  storia  antecedente  alla  promessa;  ma  qui  non 
eran  ragioni  di  prudenza.  Era  perchè  alla  povera  innocente 
quella  storia  pareva  più  spinosa,  più  difficile  da  raccontarsi, 
di  tutte  quelle  che  aveva  sentite,  e  che  credesse  di  poter  sen- 
tire dalla  signora.  In  queste  e' era  tirannia ,  insidie,  pati- 
menti; cose  brutte  e  dolorose,  ma  che  pur  si  potevan  nomi- 
nare: nella  sua  c'era  mescolato  per  tutto  un  sentimento,  una 
parola,  che  non  le  pareva  possibile  di  proferire,  parlando  di 
sé;  e  alla  quale  non  avrebbe  mai  trovato  da  sostituire  una 
perifrasi  che  non  le  paresse  sfacciata:  l'amore! 

Qualche  volta,  Gertrude  quasi  s;  indispettiva  di  quello  star 
così  sulle  difese;  ma  vi  traspariva  tanta  amorevolezza,  tanto 
rispetto,  tanta  riconoscenza,  e  anche  tanta  fiducia!  Qualche 
volta  forse,  quel  pudore  così  delicato,  così  ombroso,  le  dispia- 
ceva ancor  più  per  un  altro  verso  ;  ma  tutto  si  perdeva  nella 
soavità  d'un  pensiero  che  le  tornava  ogni  momento,  guar- 
dando Lucia:  —  a  questa  fo  del  bene.  —  Ed  era  vero; 
perchè  oltre  il  ricovero,  que' discorsi,  quelle  carezze  fami- 
gliari erano  di  non  poco  conforto  a  Lucia.  Un  altro  ne  tro- 
vava nel  lavorar  di  continuo;  e  pregava  sempre  che  le  des- 
sero qualcosa  da  fare:  anche  nel  parlatorio,  portava  sempre 
qualche  lavoro  da  tener  le  mani  in  esercizio:  ma,  come  i 
pensieri  dolorosi  si  caccian  per  tutto  !  cucendo,  cucendo,  eh'  era 
un  mestiere  quasi  nuovo  per  lei,  le  veniva  ogni  poco  in  mente 
il  suo  aspo;  e  dietro  all'aspo,  quante  cose! 

Il  secondo  giovedì,  tornò  quel  pesciaiolo  o  un  altro  messo, 
co' saluti  del  padre  Cristoforo,  e  con  la  conferma  della  fuga 
felice  di  Renzo.  Notizie  più  positive  intorno  a'  suoi  guai, 
nessuna;  perchè,  come  abbiam  detto  al  lettore,  il  cappuccino 
aveva  sperato  d'averle  dal  suo  confratello  di  Milano,  a  cui 
l'aveva  raccomandato;  e  questo  rispose  di  non  aver  veduto 
né  la  persona,  né  la  lettera;  che  uno  di  campagna  era  bensì 
venuto  al  convento,  a  cercar  di  lui;  ma  che  non  avendocelo 
trovato,  era  andato  via,  e  non  era  più  comparso. 

Il  terzo  giovedì,  non  si  vide  nessuno;  e,  per  le  povere 
donne,  fu  non  solo  una  privazione  d'  un  conforto  desiderato  e 
sperato,  ma,  come  accade  per  ogni  piccola  cosa  a  chi  è  af- 
flitto e  impicciato,  una  cagione  d'inquietudine,  di  cento  so- 
spetti molesti.     Già   prima  d'allora,   Agnese  aveva  pensato  a 


232  I    TKOMESSI    SPOSI. 

fare  una  scappata  a  casa;  questa  novità  di  non  vedere  l'am- 
basciatore promesso,  la  fece  risolvere.  Per  Lucia  era  una 
faccenda  seria  il  rimanere  distaccata  dalla  gonnella  della  ma- 
dre; ma  la  smania  di  saper  qualche  cosa,  e  la  sicurezza  che 
trovava  in  queir  asilo  così  guardato  e  sacro,  vinsero  le  sue 
ripugnanze.  E  fu  deciso  tra  loro  che  Agnese  anderebbe  il 
giorno  seguente  ad  aspettar  sulla  strada  il  pesciaiolo  che  do- 
veva passar  di  lì,  tornando  da  Milano;  e  gli  chiederebbe  in 
cortesia  un  posto  sul  baroccio,  per  farsi  condurre  a'  suoi 
monti.  Lo  trovò  infatti,  gli  domandò  se  il  padre  Cristoforo 
non  gli  aveva  data  qualche  commissione  per  lei:  il  pesciaiolo, 
tutto  il  giorno  avanti  la  sua  partenza  era  stato  a  pescare,  e 
non  aveva  saputo  niente  del  padre.  La  donna  non  ebbe  bi- 
sogno di  pregare,  per  ottenere  il  piacere  che  desiderava  :  prese 
congedo  dalla  signora  e  dalla  figlia,  non  senza  lacrime,  pro- 
mettendo di  mandar  subito  le  sue  nuove,  e  di  tornar  presto; 
e  parti. 

Nel  viaggio,  non  accadde  nulla  di  particolare.  Riposarono 
parte  della  notte  in  un'  osteria,  secondo  il  solito;  ripartirono 
innanzi  giorno;  e  arrivaron  di  buon' ora  a  Pescarenico.  Agnese 
smontò  sulla  piazzetta  del  convento,  lasciò  andare  il  suo  con- 
duttore con  molti:  Dio  ve  ne  renda  merito;  e  giacché  era  lì, 
volle,  prima  d'  andare  a  casa,  vedere  il  suo  buon  frate  be- 
nefattore. Sonò  il  campanello;  chi  venne  ad  aprire,  fu  fra 
Galdino,  quel  delle  noci. 

«Oh!  la  mia  donna,  che  vento  v'  ha  portata?» 

«Vengo  a  cercare  il  padre  Cristoforo  » 

«Il  padre  Cristoforo?  Non   e'  è.» 

«Oh!  starà  molto  a  tornare?» 

«Ma....?»  disse  il  frate,  alzando  le  spalle,  e  ritirando 
nel  cappuccio  la  testa  rasa. 

«Dov'  è  andato?» 

«A  Rimini.» 

«A?» 

«A  Rimini.» 

«Dov'  è  questo  paese?» 

«Eh  eh  eh!»  rispose  il  frate,  trinciando  verticalmente 
l' aria  con  la  mano  distesa,  per  significare  una  gran  di- 
stanza. 

«Oh  povera  me!  Ma  perchè  è  andato  via  così  all'  im- 
provviso?» 

«Perchè  ha  voluto  cosi  il  padre  provinciale.» 

«E  perchè  mandarlo  via?  che  faceva  tanto  bene  qui?  Ob 
Signore!» 

«Se  i  superiori  dovessero  render  conto  degli  ordini  che 
danno,  dove  sarebbe  1'  ubbidienza,  la   mia  donna?» 

«Si;  ma  questa  è  la  mia  rovina.» 


CAPITOLO    XVIII.  233 

«Sapete  cosa  sarà?  Sarà  che  a  Rimini  avranno  avuto 
bisogno  d'  un  buon  predicatore  (ce  n'abbiamo  per  tutto;  ma 
alle  volte  ci  vuol  quell'uomo  fatto  apposta);  il  padre  pro- 
vinciale di  là  avrà  scritto  al  padre  provinciale  di  qui,  se 
aveva  un  soggetto  così  e  così;  e  il  padre  provinciale  avrà 
detto:  qui  ci  vuole  il  padre  Cristoforo.  Dev'esser  proprio 
così,  vedete.» 

«Oh  poveri  noi!  Quand'  è  partito?» 

«Jerlaltro.» 

«Ecco!  s'io  davo  retta  alla  mia  ispirazione  di  venir  via 
qualche  giorno  prima!  E  non  si  sa  quando  possa  tornare? 
così  a  un  di  presso?» 

«Eh  la  mia  donna!  lo  sa  il  padre  provinciale;  se  lo  sa 
anche  lui.  Quando  un  nostro  padre  predicatore  ha  preso 
il  volo,  non  si  può  prevedere  su  che  ramo  potrà  andarsi  a 
posare.  Li  cercan  di  qua,  li  cercan  di  là;  e  abbiamo  con- 
venti in  tutte  le  quattro  parti  del  mondo.  Supponete  che,  a 
Rimini,  il  padre  Cristoforo  faccia  un  gran  fracasso  col  suo 
quaresimale;  perchè  non  predica  sempre  a  braccio,  come  fa- 
ceva qui,  per  i  pescatori  e  i  contadini:  per  i  pulpiti  delle 
città,  ha  le  sue  belle  prediche  scritte;  e  fior  di  roba.  Si 
sparge  la  voce,  da  quelle  parti,  di  questo  gran  predicatore; 
e  lo  possono  cercare  da  ...  .  da  che  so  io?  E  allora,  biso- 
gna mandarlo;  perchè  noi  viviamo  della  carità  di  tutto  il 
mondo,  ed  è  giusto  che  serviamo  tutto  il  mondo.» 

«Oh  Signore!  Signore!»  esclamò  di  nuovo  Agnese,  quasi 
piangendo:  «come  devo  fare,  senza  quell'uomo?  Era  quello 
che  ci  faceva  da  padre!  Per  noi  è  una  rovina.» 

«Sentite,  buona  donna;  il  padre  Cristoforo  era  veramente 
un  uomo:  ma  ce  n;  abbiamo  degli  altri,  sapete?  pieni  di  ca- 
rità e  di  talento,  e  che  sanno  trattare  ugualmente  co'  signori 
e  co'  poveri.  Volete  il  padre  Atanasio?  volete  il  padre  Gi- 
rolamo? volete  il  padre  Zaccaria?  È  un  uomo  di  vaglia, 
vedete,  il  padre  Zaccaria.  E  non  istate  a  badare,  come  fanno 
certi  ignoranti,  che  sia  così  mingherlino,  con  una  vocina  fessa, 
e  una  barbetta,  misera  misera:  non  dico  per  predicare, 
perchè  ognuno  ha  i  suoi  doni;  ma  per  dar  pareri,  è  un  uomo, 
sapete?» 

«Oh  per  carità!»  esclamò  Agnese,  con  quel  misto  di  gra- 
titudine e  d' impazienza,  che  si  prova  a  un'  esibizione  in  cui 
si  trovi  più  la  buona  volontà  altrui,  che  la  propria  conve- 
nienza :  «cosa  m' importa  a  me  che  uomo  sia  o  non  sia  un 
altro,  quando  quel  pover'  uomo  che  non  e'  è  più,  era  quello 
che  sapeva  le  nostre  cose,  e  aveva  preparato  tutto  per 
aiutarci?» 

«Allora,  bisogna  aver  pazienza.» 


234  I    PEOMESSI    SPOSI. 

('Questo  lo  so,»  rispose  Agnese:  «scusate  dell'  inco 
modo.» 

«Di  che  cosa,  la  mia  donna?  mi  dispiace  per  voi.  E  sa 
vi  risolvete  di  cercar  qualcheduno  de'  nostri  padri,  il  con- 
vento è  qui  che  non  si  move.  Ehi,  mi  lascerò  poi  veder  pre- 
sto, per  la  cerca  dell'  olio.» 

State  bene.»  disse  Agnese;  e  s'incamminò  verso  il  suo 
paesetto,  desolata,  confusa,  sconcertata,  come  il  povero  cieco 
che  avesse  perduto  il  suo  bastone. 

Un  po'  meglio  informati  che  fra  Galdino,  noi  possiamo 
dire  come  andò  veramente  la  cosa.  Attilio,  appena  arrivate 
a  Milano,  andò,  come  aveva  promesso  a  don  Rodrigo,  a  fai 
visita  al  loro  comune  zio  del  Consiglio  segreto.  (Era  una 
consulta,  composta  allora  di  tredici  personaggi  di  toga  e  di 
spada,  da  cui  il  governatore  prendeva  parere,  e  che,  mo- 
rendo uno  di  questi,  o  venendo  mutato,  assumeva  tempora- 
riamente  il  governo.)  Il  conte  zio,  togato,  e  uno  degli  an- 
ziani del  consiglio,  vi  godeva  un  certo  credito;  ma  nel  farlo 
valere,  e  nel  farlo  rendere  con  gli  altri,  non  e'  era  il  suo 
compagno.  Un  parlare  ambiguo,  un  tacere  significativo,  un 
restare  a  mezzo,  uno  stringer  (Tocchi  che  esprimeva:  non 
posso  parlare;  un  lusingare  senza  promettere,  un  minacciare 
in  cerimonia:  tutto  era  diretto  a  quel  fine;  e  tutto,  o  più  o 
meno,  tornava  in  prò.  A  segno  che  fino  a  un:  io  non  posso 
niente  in  questo  affare:  detto  talvolta  per  la  pura  verità,  ma 
detto  in  modo  che  non  gli  era  creduto,  serviva  ad  accrescere 
il  concetto,  e  quindi  la  realtà  del  suo  potere:  come  quelle 
scatole  che  si  vedono  ancora  in  qualche  bottega  di  speziale, 
con  su  certe  parole  arabe,  e  dentro  non  e'  è  nulla;  ma  ser- 
vono a  mantenere  il  credito  alla  bottega.  Quello  del  conte 
zio,  che,  da  gran  tempo,  era  sempre  andato  crescendo  a  len- 
tissimi gradi,  ultimamente  aveva  fatto  in  una  volta  un  passo, 
come  si  dice,  di  gigante,  per  un'  occasione  alla  corte;  dove, 
che  accoglienza  gli  fosse  fatta,  bisognava  sentirlo  raccontar 
da  lui.  Per  non  dir  altro,  il  conte  duca  1'  aveva  trattato  con 
una  degnazione  particolare,  e  ammesso  alla  sua  confidenza,  a 
segno  d'avergli  una  volta  domandato,  in  presenza,  si  può 
dire,  di  mezza  la  corte,  come  gli  piacesse  Madrid,  e  d'  aver- 
gli un'altra  volta  detto  a  quattr'occhi,  nel  vano  d'una 
finestra,  che  il  duomo  di  Milano  era  il  tempio  più  grande  che 
fosse  negli  stati  del  re. 

Fatti  i  suoi  complimenti  al  conte  zio,  e  presentatigli  quelli 
del  cugino,  Attilio,  con  un  suo  contegno  serio,  che  sapeva 
prendere  a  tempo,  disse:  "credo  di  fare  il  mio  dovere,  senza 
mancare  alla  confidenza  di  Rodrigo,  avvertendo  il  signore  zio 
d'  un  affare  che.  se  lei  non  ci  mette  una  mano,  può  diventar 
serio,  e  portar  delle  conseguenze....» 


CAPITOLO    XVIII. 


235 


«Qualcheduna  delle  sue,  rn'  immagino.» 

«Per  giustizia,  devo  dire  che  il  torto  non  è  dalla  parte 
di  mio  cugino.  Ma  è  riscaldato;  e,  come  dico,  non  e'  è  che 
il  signore  zio,  che  possa  .  .  .  .» 

«Vediamo,  vediamo.» 

«C  è  da  quelle  parti  un  frate  cappuccino  che  l' ha  con 
Rodrigo;  e  la  cosa  è  arrivata  a  un  punto,  che  .  .  .  .» 

«Quante  volte  v'  ho  detto,  all'  uno  e  all'  altro,  che  i  frati 
bisogna  lasciarli  cuocere  nel  loro  brodo?  Basta  il  da  fare 
che  danno  a  chi  deve  ....  a  chi  tocca  .  .  .  .»  E  qui  soffiò. 
«Ma  voi  altri  che  potete  scansarli  .  . .  .» 

«Signore  zio,  in  questo,  è  mio  dovere  di  dirle  che  Ro- 
drigo Y  avrebbe  scansato,  se  avesse  potuto.  È  il  frate  che 
V  ha  con  lui,  che  ha  preso  a  provocarlo  in  tutte  le  ma- 
niere ....» 

«Che  diavolo  ha  codesto  frate  con  mio  nipote?» 

«Prima  di  tutto,  è  una  testa  inquieta,  conosciuto  per  tale, 
e  che  fa  professione  di  prendersela  coi  cavalieri.  Costui  pro- 
tegge, dirige,  che  so  io?  una  contadinotta  di  là;  e  ha  per 
questa  creatura  una  carità,  una  carità  ....  non  dico  pelosa, 
ma  una  carità  molto  gelosa,  sospettosa,  permalosa.» 

«Intendo,»  disse  il  conte  zio;  e  sur  un  certo  fondo  di 
goffaggine,  dipintogli  in  viso  dalla  natura,  velato  poi  e  rico- 
perto, a  più  mani,  di  politica,  balenò  un  raggio  di  malizia, 
che  vi  faceva  un  bellissimo  vedere. 

«Ora  da  qualche  tempo,»  continuò  Attilio:  «s'  è  cacciato 
in  testa  questo  frate,  che  Rodrigo  avesse  non  so  che  disegni 
sopra  questa  .  .  .  .» 

«S'  è  cacciato  in  testa,  s'  è  cacciato  in  testa:  lo  conosco 
anch'  io  il  signor  don  Rodrigo  ;  e  ci  vuol  altro  avvocato  che 
vossignoria,  per  giustificarlo  in  queste  materie.» 

«Signore  zio,  che  Rodrigo  possa  aver  fatto  qualche  scherzo 
a  quella  creatura,  incontrandola  per  la  strada,  non  sarei  lon- 
tano del  crederlo:  è  giovine,  e  finalmente  non  è  cappuccino; 
ma  queste  son  bazzecole  da  non  trattenerne  il  signore  zio: 
il  serio  è  che  il  frate  s'  è  messo  a  parlar  di  Rodrigo  come 
si  farebbe  d'  un  mascalzone,  cerca  d'  aizzargli  contro  tutto  il 
paese  . .  .  .» 

«E  gli  altri  frati?» 

«Non  se  ne  impicciano,  perchè  lo  conoscono  per  una  te- 
sta calda,  e  hanno  tutto  il  rispetto  per  Rodrigo;  ma,  dal- 
l' altra  parte,  questo  frate  ha  un  gran  credito  presso  i  villani, 
perchè  fa  poi  anche  il  santo,  e  .  .  .  .» 

mM'  immagino  che  non  sappia  che  Rodrigo  è  mio  ni- 
pote.» 

«Se  lo  sa!  Anzi  questo  è  quel  che  gli  mette  più  il  dia- 
volo addosso.» 


236  1   PROMESSI    SPOSI. 

(■Come?  come?» 

«Perchè,  e  lo  va  dicendo  lui,  ci  trova  più  gusto  a  farla 
vedere  a  Rodrigo,  appunto  perchè  questo  ha  un  protettor  na- 
turale, di  tanta  autorità  come  vossignoria:  e  che  lui  se  la  ride 
de'  grandi  e  de'  politici,  e  che  il  cordone  di  san  Francesco 
tien  legate  anche  le  spade,  e  che  .  .  .  .  » 

«Oh  frate  temerario!  Come  si  chiama  costui?» 

«Fra  Cristoforo  da***.»  disse  Attilio;  e  il  conte  zio, 
preso  da  una  cassetta  del  suo  tavolino,  un  libriccino  di  me- 
morie, vi  scrisse,  soffiando,  soffiando,  quel  povero  nome.  In- 
tanto Attilio  seguitava:  «è  sempre  stato  di  quell'umore,  co- 
stui: si  sa  la  sua  vita.  Era  un  plebeo  che,  trovandosi  aver 
quattro  soldi,  voleva  competere  coi  cavalieri  del  suo  paese; 
e,  per  rabbia  di  non  poterla  vincer  con  tutti,  ne  ammazzò 
uno;  onde,  per  iscansar  la  forca,  si  fece  frate.» 

«Ma  bravo!  ma  bene!  La  vedremo,  la  vedremo,»  diceva 
il  conte  zio  seguitando  a  soffiare. 

«Ora  poi,»  continuava  Attilio,  «è  più  arrabbiato  che 
mai  perchè  gli  è  andato  a  mont-e  un  disegno  che  gli  premeva 
molto  molto  :  e  da  questo  il  signore  zio  capirà  che  uomo 
sia.  Voleva  costui  maritare  quella  sua  creatura:  fosse  per 
levarla  dai  pericoli  del  mondo,  lei  nr  intende,  o  perchè  altro 
si  fosse,  la  voleva  maritare  assolutamente;  e  aveva  trovato  il 
....  P  uomo:  un'  altra  sua  creatura,  un  soggetto,  che,  forse 
e  senza  forse,  anche  il  signore  zio  lo  conoscerà  di  nome; 
perchè  tengo  per  certo  che  il  Consiglio  segreto  avrà  dovuto 
occuparsi  di  quel  degno  soggetto.» 

«Chi  è  costui?» 

«Un  filatore  di  seta,  Lorenzo  Tramaglino,  quello  che » 

«Lorenzo  Tramaglino!»   esclamò   il  conte  zio.     «Ma  bene! 

ma  bravo,  padre  !    Sicuro  ....  in  fatti aveva  una  lettera 

per  un  ...  .  Peccato  che  ....  Ma  non  importa  ;  va  bene. 
E  perchè  il  signor  don  Piodrigo  non  mi  dice  nulla  di  tutto 
questo?  perchè  lascia  andar  le  cose  tant'  avanti  e  non  si  ri- 
volge a  chi  lo  può  e  vuole  dirigere  e  sostenere?» 

«Dirò  il  vero  anche  in  questo,»  proseguiva  Attilio.  «Da 
una  parte,  sapendo  quante  brighe,  quante  cose  ha  per  la  te- 
sta il  signore  zio  .  .  .  .»  (questo,  soffiando,  vi  mise  la  mano, 
come  per  significare  la  gran  fatica  eh'  era  a  farcele  star  tutte» 
«s'  è  fatto  scrupolo  di  darle  una  briga  di  più.  E  poi,  dirò 
tutto:  da  quello  che  ho  potuto  -capire,  è  così  irritato,  così 
fuor  de'  gangheri,  così  stucco  delle  villanie  di  quel  frate,  che 
ha  più  voglia  di  farsi  giustizia  da  sé,  in  qualche  maniera 
sommaria,  che  d;  ottenerla  in  una  maniera  regolare,  dalla  pru- 
denza e  dal  braccio  del  signore  zio.  Io  ho  cercato  di  smor- 
care;  ma  vedendo  che  la  cosa  andava  per  le  brutte,  ho 
zreduto    che    fosse    mio    dovere    d'  avvertir    di    tutto    il    si- 


CAPITOLO    XVIII.  237 

gnore  zio,  che  alla  fine  è  il  capo  e  la  colonna  della 
casa  ....  » 

('Avresti  fatto  meglio  a  parlare  un  poco  prima.)» 

«È  vero  :  ma  io  andavo  sperando  che  la  cosa  svanirebbe 
da  sé,  o  che  il  frate  tornerebbe  finalmente  in  cervello,  o  che 
se  n'  anderebbe  da  quel  convento,  come  accadde  di  questi 
frati,  che  ora  sono  qua,  ora  sono  là;  e  allora  tutto  sarebbe 
finito.     Ma  ....  » 

«Ora  toccherà  a  me  a  raccomodarla.» 

«Così  ho  pensato  anch'io.  Ho  detto  tra  me:  il  signore 
zio,  con  la  sua  avvedutezza,  con  la  sua  autorità,  saprà  lui 
prevenire  uno  scandolo,  e  insieme  salvar  1'  onore  di  Rodrigo, 
che  è  poi  anche  il  suo.  Questo  frate,  dicevo  io,  l'ha  sem- 
pre col  cordone  di  san  Francesco,  ma  per  adoprarlo  a  pro- 
posito, il  cordone  di  san  Francesco  non  è  necessario  d'averlo 
intorno  alla  pancia.  Il  signore  zio  ha  cento  mezzi  eh'  io 
non  conosco:  so  che  il  padre  provinciale  ha,  com'  è  giusto, 
una  gran  deferenza  per  lui;  e  se  il  signore  zio  crede  che  in 
questo  caso  il  miglior  ripiego  sia  di  far  cambiar  aria  al  frate, 
lui  con  due  parole  . . . .» 

«Lasci  il  pensiero  a  chi  tocca,  vossignoria,))  disse  un 
po'  ruvidamente  il  conte  zio. 

«Ah  è  vero!»  esclamò  Attilio  con  una  tentennatina  di  te- 
sta, e  con  un  sogghigno  di  compassione  per  sé  stesso.  «Son 
io  1'  uomo  da  dar  pareri  al  signore  zio!  Ma  è  la  passione 
che  ho  della  riputazione  del  casato  che  mi  fa  parlare.  E  ho 
anche  paura  d'  aver  fatto  un  altro  male,»  soggiunse  con  un' 
aria  pensierosa:  «ho  paura  d'aver  fatto  torto  a  Rodrigo  nel 
concetto  del  signore  zio.  Non  mi  darei  pace,  se  fossi  cagione 
di  farle  pensare  che  Rodrigo  non  abbia  tutta  quella  fede  in 
lei,  tutta  quella  sommissione  che  deve  avere.  Creda,  signore 
zio,  che  in  questo  caso  è  proprio  . . . .» 

«Via,  via;  che  torto,  che  torto  tra  voi  altri  due?  che  sa- 
rete sempre  amici,  finché  l' uno  non  metta  giudizio.  Scape- 
strati, scapestrati,  che  sempre  ne  fate  una;  e  a  me  tocca  di 
rattopparle:  che  ....  mi  fareste  dire  uno  sproposito,  mi  date 
più  da  pensare  voi  altri  due,  che,»  e  qui  immaginatevi  che 
soffio  mise,  «tutti  questi  benedetti  aiFari  di  stato.» 

Attilio  fece  ancora  qualche  scusa,  qualche  promessa,  qual- 
che complimento;  poi  si  licenziò  e  se  n'  andò,  accompagnato 
da  un  «e  abbiamo  giudizio,»  eh'  era  la  formola  di  commiati 
del  conte  zio  per  i  suoi  nipoti. 


238  I    PROMESSI    SPOSI. 


CAPITOLO  XIX. 

Chi,  vedendo  in  un  campo  mal  coltivato,  un'  erbaccia,  per 
esempio  un  bel  lapazio,  volesse  proprio  sapere  se  sia  venuto 
da  un  seme  maturato  nel  campo  stesso,  o  portatovi  dal  vento 
o  lasciatovi  cader  da  un  uccello,  per  quanto  ci  pensasse,  non 
ne  verrebbe  mai  a  una  conclusione.  Così  anche  noi  non  sa- 
premmo dire  se  dal  fondo  naturale  del  suo  cervello,  o  dal- 
l' insinuazione  d'  Attilio,  venisse  al  conte  zio  la  risolu- 
zione di  servirsi  del  padre  provinciale  per  troncare  nella  mi- 
glior maniera  quel  nodo  imbrogliato.  Certo  è  che  Attilio  non 
aveva  detta  a  caso  quella  parola:  e  quantunque  dovesse  aspet- 
tarsi che,  a  un  suggerimento  così  scoperto,  la  boria  ombrosa 
del  conte  zio  avrebbe  ricalcitrato,  a  ogni  modo  volle  fargli 
balenar  dinanzi  V  idea  di  quel  ripiego,  e  metterlo  sulla  strada 
dove  desiderava  che  andasse.  Dall'  altra  parte,  il  ripiego  era 
talmente  adattato  all'  umore  del  conte  zio,  talmente  indicato 
dalle  circostanze,  che,  senza  suggerimento  di  chi  si  sia,  si  può 
scommettere  che  1'  avrebbe  trovato  da  sé.  Si  trattava  cher 
in  una  guerra  pur  troppo  aperta,  uno  del  suo  nome,  un  suo 
nipote,  non  rimanesse  al  di  sotto:  punto  essenzialissimo  alla 
riputazione  del  potere  che  gli  stava  tanto  a  cuore.  La  sod- 
disfazione che  il  nipote  poteva  prendersi  da  sé,  sarebbe  stata 
un  rimedio  peggior  del  male,  una  sementa  di  guai:  e  biso- 
gnava impedirla,  in  qualunque  maniera,  e  senza  perder  tem- 
po. Comandargli  che  partisse  in  quel  momento  dalla  sua  vil- 
la; già  non  avrebbe  ubbidito;  e  quand'anche  avesse,  era  un 
cedere  il  campo,  una  ritirata  delia  casa  dinanzi  a  un  convento. 
Ordini,  forza  legale,  spauracchi  di  tal  genere,  non  valevano 
contro  un  avversario  di  quella  condizione:  il  clero  regolare  e 
secolare  era  affatto  immune  da  ogni  giurisdizione  laicale:  non 
solo  le  persone,  ma  i  luoghi  ancora  abitati  da  esso:  come 
deve  sapere  anche  chi  non  avesse  letta  altra  storia  che  la 
presente;  che  starebbe  fresco.  Tutto  quel  che  si  poteva  con- 
tro un  tale  avversario  era  cercar  d'  allontanarlo,  e  il  mezzo  a 
ciò  era  il  padre  provinciale,  in  arbitrio  del  quale  era  P  an- 
dare e  lo  stare  di  quello. 

Ora,  tra  il  padre  provinciale  e  il  conte  zio  passava  un'an- 
tica conoscenza:  s'  eran  veduti  di  rado,  ma  sempre  con  gran 
dimostrazioni  d' amicizia,  e  con  esibizioni  sperticate  di  ser- 
vizi. E  alle  volte,  e  meglio  aver  che  fare  con  uno  che  sia 
sopra  a  molti  indivìdui,  che  con  un  solo  di  questi,  il  quale 
non  vede  che  la  sua  causa,  non  sente  che  la  sua  passione, 
non  cura  che  il  suo  punto;  mentre  l'altro  vede  in  un  tratto 
cento  relazioni,  cento  conseguenze,  cento  interessi,  cento  cose  da 


CAPITOLO    XIX.  239 

scansare,  cento   cose   da  salvare;    e    si  può  quindi  prendere 
da  cento  parti. 

Tutto  ben  ponderato,  il  conte  zio  invitò  un  giorno  a  pranzo 
il  padre  provinciale,  e  gli  fece  trovare  una  corona  di  com- 
mensali assortiti  con  un  intendimento  sopraffino.  Qualche  pa- 
rente de'  più  titolati,  di  quelli  il  cui  solo  casato  era  un  gran 
titolo;  e  che,  col  solo  contegno,  con  una  certa  sicurezza  na- 
tiva, con  una  sprezzatura  signorile,  parlando  di  cose  grandi 
con  termini  famigliari,  riuscivano,  anche  senza  farlo  apposta, 
a  imprimere  e  rinfrescare,  ogni  momento,  l'idea  della  supe- 
riorità e  della  potenza;  e  alcuni  clienti  legati  alla  casa  per 
una  dipendenza  ereditaria,  e  al  personaggio  per  una  servitù 
di  tutta  la  vita;  i  quali,  cominciando  dalla  minestra  a  dir  sì, 
con  la  bocca,  con  gli  occhi,  con  gli  orecchi,  con  tutta  la  te- 
sta, con  tutto  il  corpo,  con  tutta  1'  anima,  alle  frutte  v'  ave- 
van  ridotto  un  uomo  a  non  ricordarsi  più  come  si  facesse  a 
dir  di  no. 

A  tavola,  il  conte  padrone  fece  cader  ben  presto  il  dis- 
corso sul  tema  di  Madrid.  A  Roma  si  va  per  più  strade;  a 
Madrid  egli  andava  per  tutte.  Parlò  della  corte,  del  conte  duca, 
de'  ministri,  della  famiglia  del  governatore,  delle  cacce  del 
toro,  che  lui  poteva  descriver  benissimo,  perchè  le  aveva  go- 
dute da  un  posto  distinto,  dell'  Escuriale  di  cui  poteva  render 
conto  a  un  puntino,  perchè  un  creato  del  conte  duca  1'  aveva 
condotto  per  tutti  i  buchi.  Per  qualche  tempo,  tutta  la  com- 
pagnia stette,  come  un  uditorio,  attenta  a  lui  solo,  poi  si 
divise  in  colloqui  particolari;  e  lui  allora  continuò  a  raccon- 
tare altre  di  quelle  belle  cose,  come  in  confidenza,  al  padre 
provinciale  che  gli  era  accanto,  e  che  lo  lasciò  dire,  dire  e 
dire.  Ma  a  un  certo  punto,  diede  una  giratina  al  discorso,  lo 
staccò  da  Madrid,  e  di  corte  in  corte,  di  dignità  in  dignità, 
lo  tirò  sul  cardinal  Barberini,  eh'  era  cappuccino,  e  fratello 
del  papa  allora  sedente,  Urbano  Vili:  niente  meno.  Il  conte 
zio  dovette  anche  lui  lasciar  parlare  un  poco,  e  stare  a  sen- 
tire, e  ricordarsi  che  finalmente,  in  questo  mondo,  non  e'  era 
soltanto  i  personaggi  che  facevan  per  lui.  Poco  dopo  alzati 
da  tavola,  pregò  il  padre  provinciale  di  passar  con  lui  in 
un'  altra  stanza. 

Due  potestà,  due  canizie,  due  esperienze  consumate  si 
trovavano  a  fronte.  Il  magnifico  signore  fece  sedere  il  padro 
molto  reverendo,  sedette  anche  lui,  e  cominciò:  «stante  l'a- 
micizia che  passa  tra  di  noi,  ho  creduto  di  far  parola  a  vo- 
stra paternità  d'  un  affare  di  comune  interesse,  da  concluder 
tra  di  noi,  senz'andar  per  altre  strade,  che  potrebbero.... 
E  perciò,  alla  buona,  col  cuore  in  mano,  le  dirò  di  che  si 
tratta;   e  in  due  parole   son   certo  che  anderemo  d'accordo. 


240  I   PROMESSI   SPOSI. 

Mi  dica:  nel  loro  convento  di  Pescarenico  e'  è  un  padre  Cri- 
stoforo da***?» 

Il  provinciale  fece  cenno  di  sì. 

«Mi  dica  un  poco  vostra  paternità,  schiettamente,  da  buon 
amico  ....  questo  soggetto  ....  questo  padre  ....  Di  per- 
sona io  non  lo  conosco;  e  sì  che  de'  padri  cappuccini  ne  co- 
nosco parecchi:  uomini  d'  oro,  zelanti,  prudenti,  umili:  sono 
stato  amico  dell'  ordine  fin  da  ragazzo  ....  Ma  in    tutte   le 

famiglie  un  po'  numerose e'  è  sempre   qualche  individuo, 

qualche  testa  ....  E  questo  padre  Cristoforo,  so  da  certi 
ragguagli  che  è  un  uomo ....  un  po'  amico  de'  contrasti  .... 
che  non  ha  tutta  quella  prudenza,  tutti  que'  riguardi  .... 
Scommetterei  che  ha  dovuto  dar  più  d'  una  volta  da  pensare 
a  vostra  paternità.» 

—  Ho  inteso:  è  un  impegno,  —  pensava  intanto  il  pro- 
vinciale: —  Colpa  mia;  lo  sapevo  che  quel  benedetto  Cristo- 
foro era  un  soggetto  da  farlo  girare  di  pulpito  in  pulpito,  e 
non  lasciarlo  fermare  sei  mesi  in  un  luogo,  specialmente  in 
conventi  di  campagna.  — 

«Oh!»  disse  poi:  «mi  dispiace  davvero  di  sentire  che  vo- 
stra magnificenza  abbia  in  un  tal  concetto  il  padre  Cristoforo; 
mentre,  per  quanto  ne  so  io,  è  un  religioso  ....  esemplare 
in  convento,  e  tenuto  in  molta  stima  anche  di  fuori.» 

«Intendo  benissimo;  vostra  paternità  deve  ....  Però,  però, 
da  amico  sincero,  voglio  avvertirla  d'una  cosa  che  le  sarà 
utile  di  sapere;  e  se  anche  ne  fosse  già  informata,  posso, 
senza  mancare  a'  miei  doveri,  metterle  sott'  occhio  certe  conse- 
guenze ....  possibili:  non  dico  di  più.  Questo  padre  Cristo- 
foro, sappiamo  che  proteggeva  un  uomo  di  quelle  parti,  un 
uomo  ....  vostra  paternità  n'avrà  sentito  parlare;  quello  che, 
con  tanto  scandolo,  scappò  dalle  mani  della  giustizia,  dopo 
aver  fatto,  in  quella  terribile  giornata  di  san  Martino,  cose 
.  .  .  .  cose  ....  Lorenzo  Tramaglino!» 

—  Ahi!  —  pensò  il  provinciale;  e  disse:  «questa  circo- 
stanza mi  riesce  nuova;  ma  vostra  magnificenza  sa  bene  che 
una  parte  del  nostro  ufizio  è  appunto  d'  andare  in  cerca  de' 
traviati,  per  ridurli .  .  .  .» 

«Va  bene;  ma  la  protezione  de' traviati  d'una  certa  spe- 
cie....! Son  cose  spinose,  affari  delicati  ...»  E  qui,  in 
vece  di  gonfiar  le  gote  e  di  soffiare,  strinse  le  labbra,  e  tirò 
dentro  tant'  aria  quanta  ne  soleva  mandar  fuori,  soffiando.  E 
riprese:  «ho  creduto  bene  di  darle  un  cenno  su  questa  cir- 
costanza, perchè  se  mai  sua  eccellenza....  Potrebbe  esser 
fatto  qualche  passo  a  Roma  ....  non  so  niente  ....  e  da 
Roma  venirle  .  .  .  .» 

«Son  ben  tenuto  a  vostra  magnificenza  di  codesto  avviso; 
però  son  certo  che,  se  si  prenderanno  informazioni  su  questo 


CAPITOLO   XIX.  241 

proposito,  si  troverà  che  il  padre  Cristoforo  non  avrà  avuto 
che  fare  con  1'  uomo  che  lei  dice,  se  non  a  fine  di  mettergli 
il  cervello  a  partito.     Il  padre  Cristoforo,  lo  conosco.» 

«Già  lei  sa  meglio  di  me  che  soggetto  fosse  al  secolo,  le 
cosette  che  ha  fatte  in  gioventù.» 

«È  la  gloria  dell'abito  questa,  signor  conte,  che  un  uomo, 
il  quale  al  secolo  ha  potuto  far  dir  di  sé,  con  questo  in- 
dosso, diventi  un  altro.  E  da  che  il  padre  Cristoforo  porta 
quest'  abito  ....  » 

«Vorrei  crederlo:  lo  dico  di  cuore:  vorrei  crederlo;  ma 
alle  volte,  come  dice  il  proverbio  ....  i'  abito  non  fa  il  mo- 
naco.» 

Il  proverbio  non  veniva  in  taglio  esattamente;  ma  il  conte 
P  aveva  sostituito  in  fretta  a  un  altro  che  gli  era  venuto 
sulla  punta  della  lingua:  il  lupo  cambia  il  pelo,  ma  non  il 
vizio. 

«Ho  de' riscontri,»  continuava,   «ho  de! contrassegni  .  . .  .» 

«Se  lei  sa  positivamente,»  disse  il  provinciale,  «che  que- 
sto religioso  abbia  commesso  qualche  errore  (tutti  si  può 
mancare) ,  avrò  per  un  vero  favore  1'  esserne  informato.  Son 
superiore:  indegnamente;  ma  lo  sono  appunto  per  correggere, 
per  rimediare.  » 

«Le  dirò:  insieme  con  questa  circostanza  dispiacevole 
della  protezione  aperta  di  questo  padre  per  chi  le  ho  detto, 
c'è  un'altra  cosa  disgustosa,  e  che  potrebbe....  Ma,  tra 
di  noi,  accomoderemo  tutto  in  una  volta.  C'è,  dico,  che  lo 
stesso  padre  Cristoforo  ha  preso  a  cozzare  con  mio  nipote, 
don  Rodrigo  *  *  *.  » 

«Oh!  questo  mi  dispiace,  mi  dispiace,  mi  dispiace  dav- 
vero.» 

«Mio  nipote  è  giovine,  vivo,  si  sente  quello  che  è,  non  è 
avvezzo  a  esser  provocato  .  .  .  .» 

«Sarà  mio  dovere  di  prender  buone  informazioni  d'un 
fatto  simile.  Come  ho  già  detto  a  vostra  magnificenza,  e  parlo 
con  un  signore  che  non  ha  meno  giustizia  che  pratica  di 
mondo,  tutti  siamo  di  carne,  soggetti  a  sbagliare  ....  tanto 
da  una  parte,  quanto  dall'altra:  e  se  il  padre  Cristoforo  avrà 
mancato  ....  » 

«Veda  vostra  paternità;  son  cose,  come  io  le  dicevo,  da 
finirsi  tra  di  noi,  da  seppellirsi  qui,  cose  che  a  rimestarle 
troppo  ....  si  fa  peggio.  Lei  sa  cosa  segue:  quest'urti,  que- 
ste picche,  principiano  talvolta  da  una  bagattella,  e  vanno 
avanti ,  vanno  avanti  ....  A  voler  trovarne  il  fondo ,  o  non 
se  ne  viene  a  capo,  o  vengon  fuori  cent' altri  imbrogli.  So- 
pire, troncare,  padre  molto  reverendo:  troncare,  sopire.  Mio 
nipote  è  giovine:  il  religioso,  da  quel  che  sento,  ha  ancora 
tutto  lo  spirito,  le  ...  .  inclinazioni  d'un  giovine;  e  tocca  a  noi, 

Manzoni.  16 


242  I   PROMESSI    SPOSL 

che  abbiamo  1  nostri  anni ....  pur  troppo  ehj  padre  molto 
reverendo  !  ...  » 

Chi  fosse  stato  lì  a  vedere,  in  quel  punto,  fu  come  quan- 
do, nel  mezzo  d' un' opera  seria,  s'alza,  per  isbaglio,  uno 
scenario,  prima  del  tempo,  e  si  vede  un  cantante  che,  non 
pensando,  in  quel  momento,  che  ci  sia  un  pubblico  al  mondo, 
discorre  alla  buona  con  un  suo  compagno.  Il  viso,  1'  atto,  la 
voce  del  conte  zio,  nel  dir  quel  pur  troppo!  tutto  fu  natu- 
rale: lì  non  e'  era  politica:  era  proprio  vero  che  gli  dava  noia 
d'avere  i  suoi  anni.  Non  già  che  piangesse  i  passatempi,  il 
brio,  l'avvenenza  della  gioventù:  frivolezze,  sciocchezze,  mi- 
serie! La  cagion  del  suo  dispiacere  era  ben  più  soda  e  im- 
portante: era  che  sperava  un  certo  posto  più  alto,  quando 
fosse  vacato;  e  temeva  di  non  arrivare  a  tempo.  Ottenuto 
che  l'avesse,  si  poteva  esser  certi  che  non  si  sarebbe  più 
curato  degli  anni,  non  avrebbe  desiderato  altro,  e  sarebbe 
morto  contento,  come  tutti  quelli  che  desideran  molto  una 
cosa,  assicurano  di  voler  fare,  quando  siano  arrivati  a  otte- 
nerla. 

Ma  per  lasciarlo  parlar  lui,  «tocca  a  noi,»  continuò,  «a 
aver  giudizio  per  i  giovani,  e  a  rassettar  le  loro  malefatte. 
Per  buona  sorte,  siamo  ancora  a  tempo;  la  cosa  non  ha  fatto 
chiasso:  è  ancora  il  caso  d'un  buon  principiis  obsta,  allon- 
tanare il  fuoco  dalla  paglia.  Alle  volte  un  soggetto  che,  in 
un  luogo,  non  fa  bene,  o  che  può  esser  causa  di  qualche  in- 
conveniente, riesce  a  maraviglia  in  un  altro.  Vostra  paternità 
saprà  ben  trovare  la  nicchia  conveniente  a  questo  religioso. 
C'è  giusto  anche  l'altra  circostanza,  che  possa  esser  caduto 
in  sospetto  di  chi  ...  .  potrebbe  desiderare  che  fosse  rimosso  : 
e,  collocandolo  in  qualche  posto  un  po' lontanetto ,  facciamo 
un  viaggio  e  due  servizi;  tutto  s'accomoda  da  sé,  o  per  dir 
meglio,  non  c'è  nulla  di  guasto.» 

Questa  conclusione,  il  padre  provinciale  se  F  aspettava  fino 
dal  principio  del  discorso.  —  Eh  già!  —  pensava  tra  sé:  — 
vedo  dove  vuoi  andar  a  parare:  delle  solite;  quando  un  po- 
vero frate  è  preso  a  noia  da  voi  altri,  o  da  uno  di  voi  altri, 
o  vi  dà  ombra,  subito,  senza  cercar  se  abbia  torto  o  ragione, 
il  superiore  deve  farlo  sgomberare.  — 

E  quando  il  conte  ebbe  finito,  e  messo  un  lungo  soffio,  che 
equivaleva  a  un  punto  fermo,  «intendo  benissimo,»  disse  il 
provinciale,  «quel  che  il  signor  conte  vuol  dire;  ma  prima  di 
fare  un  passo  ,  .  .  .  » 

«È  un  passo  e  non  è  un  passo,  padre  molto  reverendo: 
è  una  cosa  naturale,  una  cosa  ordinaria;  e  se  non  si  prende 
questo  ripiego,  e  subito,  prevedo  un  monte  di  disordini, 
un'  iliade  di  guai.  Uno  sproposito  ....  mio  nipote  non  cre- 
derei ....  ci  son  io,  per  questo  ....  Ma,  al  punto  a  cui  la 


CAPITOLO   XIX.  243 

cosa  è  arrivata,  se  non  la  tronchiamo  noi,  senza  perder  tempo, 
con  un  colpo  netto,  non  è  possibile  che  si  fermi,  che  resti 
segreta  ....  e  allora  non  è  più  solamente  mio  nipote  .... 
Si  stuzzica  un  vespaio,  padre  molto  reverendo.  Lei  vede; 
siamo  una  casa,  abbiamo  attinenze  . . . .» 

«Cospicue.» 

«Lei  m'intende;  tutta  gente  che  ha  sangue  nelle  vene,  e 
che,  a  questo  mondo  ....  è  qualche  cosa.  C  entra  il  punti- 
glio; diviene  un  affare  comune;  e  allora....  anche  chi  è 
amico  della  pace  ....  Sarebbe  un  vero  crepacuore  per  me, 
di  dovere  ....  di  trovarmi  ....  io  che  ho  sempre  avuta  tanta 
propensione  per  i  padri  cappuccini  ...  !  Loro  padri,  per  far 
del  bene,  come  fanno  con  tanta  edificazione  del  pubblico, 
hanno  bisogno  di  pace,  di  non  aver  contese,  di  stare  in  buona 
armonia  con  chi  ...  .  E  poi,  hanno  de'  parenti  al  secolo  .... 
e  questi  affaracci  di  puntiglio,  per  poco  che  vadano  in  lungo, 
B1  estendono,  si  ramificano,  tiran  dietro  ....  mezzo  mondo. 
Io  mi  trovo  in  questa  benedetta  carica,  che  m'obbliga  a  so- 
stenere un  certo  decoro  ....  Sua  eccellenza  .  .  .  .  i  miei  si- 
gnori colleghi  ....  tutto  diviene  affar  di  corpo  ....  tanto  più 
con  quell'  altra  circostanza  ....  Lei  sa  come  vanno  queste 
cose.  » 

«Veramente,»  disse  il  padre  provinciale,  «il  padre  Cristo- 
foro è  predicatore;  e  avevo  già  qualche  pensiero  ....  Mi  si 
richiede  appunto  ....  Ma  in  questo  momento,  in  tali  circo- 
stanze, potrebbe  parere  una  punizione;  e  una  punizione  prima 
d"  aver  ben  messo  in  chiaro  .  .  .  .) 

«Xo  punizione,  no;  un  provvedimento  prudenziale,  un  ri- 
piego di  comune  convenienza,  per  impedire  i  sinistri  che  po- 
trebbero ....  mi  sono  spiegato.» 

«Tra  il  signor  conte  e  me,  la  cosa  rimane  in  questi  ter- 
mini; intendo.  Ma,  stando  il  fatto  come  fu  riferito  a  vostra 
magnificenza,  è  impossibile,  mi  pare,  che  nel  paese  non  sia 
traspirato  qualcosa.  Per  tutto  e'  è  degli  aizzatori ,  de'  metti- 
male, o  almeno  de' curiosi  maligni  che,  se  posson  vedere  alle 
prese  signori  e  religiosi,  ci  hanno  un  gusto  matto;  e  fiutano, 
interpretano,  ciarlano  ....  Ognuno  ha  il  suo  decoro  da  con- 
servare; e  io  poi,  come  superiore  (indegno),  ho  un  dovere 
espresso  ....  L'  onor  dell'  abito  ....  non  è  cosa  mia  ....  è 
un  deposito  del  quale  ....  Il  suo  signor  nipote,  giacché  è  così 
alterato,  come  dice  vostra  magnificenza,  potrebbe  prender  la 
cosa  come  una  soddisfazione  data  a  lui,  e  .  .  .  .  non  dico  van- 
tarsene, trionfarne,  ma  ....  » 

«Le  pare,  padre  molto  reverendo?  Mio  nipote  è  un  ca- 
valiere che  nel  mondo  è  considerato  ....  secondo  il  suo  grado 
e  il  dovere:  ma  davanti  a  me  è  un  ragazzo;  e  non  farà  né 
più  ne  meno  di  quello   che  gli  prescriverò   io.     Le   dirò  di 

1G* 


244  I    PROMESSI    SPOSI. 

più:  mio  nipote  non  ne  saprà  nulla.  Che  bisogno  abbiamo 
noi  di  render  conto?  Son  cose  che  facciamo  tra  di  noi,  da 
buoni  amici:  e  tra  di  noi  hanno  da  rimanere.  Non  si  dia 
pensiero  di  ciò.  Devo  essere  avvezzo  a  non  parlare.»  E  soffiò. 
«In  quanto  ai  cicaloni,»  riprese,  «che  vuol  che  dicano?  Un 
religioso  che  vada  a  predicare  in  un  altro  paese,  è  cosa  così 
ordinaria!  E  poi,  noi  che  vediamo  ....  noi  che  preve- 
diamo ....  noi  che  ci  tocca  ....  non  dobbiamo  poi  curarci 
delle  ciarle.» 

«Però,  affine  di  prevenirle,  sarebbe  bene  che,  in  quest'  oc- 
casione, il  suo  signor  nipote  facesse  qualche  dimostrazione, 
desse  qualche  segno  palese  d'amicizia,  di  riguardo  ....  non 
per  noi,  ma  per  T  abito  ....  » 

«Sicuro,  sicuro;  quest'  è  giusto  ....  Però  non  e'  è  bisogno: 
so  che  i  cappuccini  son  sempre  accolti  come  si  deve  da  mio 
nipote.  Lo  fa  per  inclinazione:  è  un  genio  in  famiglia:  e  poi 
sa  di  far  cosa  grata  a  me.  Del  resto,  in  questo  caso  .... 
qualcosa  di  straordinario  ....  è  troppo  giusto.  Lasci  fare  a 
me,  padre  molto  reverendo  ;  che  comanderò  a  mio  nipote  .... 
Cioè  bisognerà  insinuargli  con  prudenza,  affinchè  non  s'avveda 
di  quel  che  è  passato  tra  di  noi.  Perchè  non  vorrei  alle 
volte  che  mettessimo  un  impiastro  dove  non  e'  è  ferita.  E  per 
quel  che  abbiamo  concluso,  quanto  più  presto  sarà,  meglio. 
E  se  si  trovasse  qualche  nicchia  un  po'  lontana  ....  per  levar 
proprio  ogni  occasione  .  .  .  .» 

«Mi  vien  chiesto  per  l'appunto  un  predicatore  da  Rimini: 
e  fors' anche,  senz'altro  motivo,  avrei  potuto  metter  gli 
occhi  ....  » 

«Molto  a  proposito,  molto  a  proposito.     E  quando  .  .  .  ?» 

«Giacché  la  cosa  si  deve  fare,  si  farà  presto.» 

«Presto,  presto,  padre  molto  reverendo:  meglio  oggi  che 
domani.  E,»  continuava  poi,  alzandosi  da  sedere,  «se  posso 
qualche  cosa,  tanto  io,  come  la  mia  famiglia,  per  i  nostri 
buoni  padri  cappuccini  ....  » 

«Conosciamo  per  prova  la  bontà  della  casa,»  disse  il  pa- 
dre provinciale,  alzatosi  anche  lui,  e  avviandosi  verso  1'  uscio, 
dietro  al  suo  vincitore. 

«Abbiamo  spento  una  favilla,»  disse  questo,  soffermandosi, 
«una  favilla,  padre  molto  reverendo,  che  poteva  destare  un 
grand'  incendio.  Tra  buoni  amici,  con  due  parole  s'  accomo- 
dano di  gran  cose.  » 

Arrivato  all'uscio,  lo  spalancò,  e  volle  assolutamente  che 
il  padre  provinciale  andasse  avanti:  entrarono  nell'altra  stanza, 
e  si  riunirono  al  resto  della  compagnia. 

Un  grande  studio,  una  grand'  arte,  di  gran  parole,  met- 
teva quel  signore  nel  maneggio  d'un  affare:  ma  produceva 
poi   anche    effetti   corrispondenti.     Infatti,    col  colloquio    che 


CAPITOLO    XIX.  245 

ahbiam  riferito,  riuscì  a  far  andar  fra  Cristoforo  a  piedi  da 
Pescarenico  a  Rimini,  che  è  una  bella  passeggiata. 

Una  sera,  arriva  a  Pescarenico  un  cappuccino  di  Milano, 
con  un  plico  per  il  padre  guardiano.  C;  è  dentro  1'  obbedienza 
per  fra  Cristoforo,  di  portarsi  a  Rimini,  dove  predicherà  la 
quaresima.  La  lettera  al  guardiano  porta  1*  istruzione  d' in- 
sinuare al  detto  frate  che  deponga  ogni  pensiero  d'  affari  che 
potesse  avere  avviati  nel  paese  da  cui  deve  partire,  e  che  non 
vi  mantenga  corrispondenze:  il  frate  latore  dev' essere  il  com- 
pagno di  viaggio.  Il  guardiano  non  dice  nulla  la  sera;  mattina, 
fa  chiamar  fra  Cristoforo,  gli  fa  vedere  1'  obbedienza,  gli  dice 
che  vada  a  prender  la  sporta,  il  bastone,  il  sudario  e  la  cin- 
tura, e  con  quel  padre  compagno  che  gli  presenta,  si  metta 
poi  subito  in  viaggio. 

Se  fu  un  colpo"  per  il  nostro  frate,  lo  lascio  pensare  a  voi. 
Renzo,  Lucia,  Agnese,  gli  vennero  subito  in  mente  ;  e  esclamò, 
per  dir  così,  dentro  di  sé:  —  Oh  Dio!  cosa  faranno  que' me- 
schini, quando  io  non  sarò  più  qui!  —  Ma  alzò  gli  occhi  al 
cielo,  e  s'accusò  d'aver  mancato  di  fiducia,  d'  essersi  creduto 
necessario  a  qualche  cosa.  Mise  le  mani  in  croce  sul  petto, 
in  segno  d'  ubbidienza,  e  chinò  la  testa  davanti  al  padre  guar- 
diano: il  quale  lo  tirò  poi  in  disparte,  e  gli  diede  quell'altro 
avviso,  con  parole  di  consiglio,  e  con  significazione  di  precetto. 
Fra  Cristoforo  andò  alla  sua  cella,  prese  la  sporta,  vi  ripose 
il  breviario,  il  suo  quaresimale,  e  il  pane  del  perdono,  s'  al- 
lacciò la  tonaca  con  la  sua  cintura  di  pelle,  si  licenziò 
da*  suoi  confratelli  che  si  trovavano  in  convento,  andò  da  ul- 
timo a  prender  la  benedizione  del  guardiano,  e  col  compagno, 
prese  la  strada  che  gli  era  stata  prescritta. 

Abbiamo  detto  che  don  Rodrigo,  intestato  più  che  mai  di 
venire  a  fine  della  sua  bella  impresa,  s'  era  -risoluto  di  cer- 
care il  soccorso  d'  un  terribile  uomo.  Di  costui  non  possiam 
dare  né  il  nome,  né  il  cognome,  né  un  titolo,  e  nemmeno  una 
congettura  sopra  nulla  di  tutto  ciò:  cosa  tanto  più  strana, 
che  del  personaggio  troviamo  memoria  in  più  d*  un  libro 
(libri  stampati,  dico)  di  quel  tempo.  Che  il  personaggio  sia 
quel  medesimo,  l'identità  de*  fatti  non  lascia  luogo  a  dubi- 
tarne; ma  per  tutto  un  grande  studio  a  scansarne  il  nome, 
quasi  avesse  dovuto  bruciar  la  penna,  la  mano  dello  scrittore. 
Francesco  Rivola,  nella  vita  del  cardinal  Federigo  Borromeo, 
dovendo  parlar  di  queir  uomo,  lo  chiama  un  signore  altret- 
tanto potente  per  ricchezze,  quanto  nobile  per  nascita,  e 
fermi  lì.  Giuseppe  Ripamonti,  che,  nel  quinto  libro  della 
quinta  decade  della  sua  Stona  Faina,  ne  fa  più  distesa 
menzione,  lo  nomina  uno,  costui,  colui,  quest'uomo,  quel 
personaggio.  «"Riferirò,»  dice,  nel  suo  bel  latino,  da  cui 
traduciamo   come   ci  riesce,    «il  caso   d'un  tale  che  essendo 


246  I    PE01IE3SI    SPOSI. 

de'  primi  tra  i  grandi  della  città,  aveva  stabilita  la  sua  dimora 
in  una  campagna,  situata  sul  confine;  e  lì,  assicurandosi  a 
forza  di  delitti,  teneva  per  niente  i  giudizi,  i  giudici,  ogni 
magistratura,  la  sovranità:  menava  una  vita  affatto  indipen- 
dente: ricettatore  di  forusciti.  foruscito  un  tempo  anche  lui; 
poi  tornato,  come  se  niente  fosse  . ...»  Da  questo  scrittore 
prenderemo  qualche  altro  passo,  che  ci  venga  in  taglio  per 
confermare  e  per  dilucidare  il  racconto  del  nostro  anonimo; 
col  quale  tiriamo  avanti. 

Fare  ciò  ch'era  vietato  dalle  leggi,  o  impedito  da  una 
forza  qualunque;  esser  arbitro,  padrone  negli  affari  altrui, 
senz'  altro  interesse  che  il  gusto  di  comandare;  esser  temuto 
da  tutti,  aver  la  mano  da  coloro  eh' eran  soliti  averla  dagli 
altri;  tali  erano  state  in  ogni  tempo  le  passioni  principali  di 
costui.  Fino  dall'  adolescenza,  allo  spettacolo  e  al  rumore  di 
tante  prepotenze,  di  tante  gare,  alla  vista  di  tanti  tiranni, 
provava  un  misto  sentimento  di  sdegno  e  d' invidia  impaziente. 
Giovine,  e  vivendo  in  città,  non  tralasciava  occasione,  anzi 
n'andava  in  cerca,  d'aver  che  dire  co' più  famosi  di  quella 
professione,  d'  attraversarli,  per  provarsi  con  loro,  e  farli  stare 
a  dovere,  o  tirarli  a  cercare  la  sua  amicizia.  Superiore  di 
ricchezze  e  di  seguito  alla  più  parte,  e  forse  a  tutti  d"  ardire 
e  di  costanza,  ne  ridusse  molti  a  ritirarsi  da  ogni  rivalità. 
molti  ne  conciò  male,  molti  n'  ebbe  amici;  non  già  amici  del 
pari,  ma,  come  soltanto  poteva  piacere  a  lui.  amici  subordi- 
nati, che  si  riconoscessero  suoi  inferiori,  che  gli  stessero  alla 
sinistra.  Nel  fatto  però,  veniva  anche  lui  a  essere  il  faccen- 
diere, lo  strumento  di  tutti  coloro:  essi  non  mancavano  di 
richiedere  ne' loro  impegni  l'opera  d'un  tanto  ausiliario:  per 
lui.  tirarsene  indietro  sarebbe  stato  decadere  dalla  sua  ripu- 
tazione, mancare  al  suo  assunto.  Di  maniera  che,  per  conto 
suo,  e  per  conto  d'altri,  tante  ne  fece  che,  non  bastando  né 
il  nome,  né  il  parentado,  né  gli  amici,  né  la  sua  audacia  a 
sostenerlo  contro  i  bandi  pubblici,  e  contro  tante  animosità 
potenti,  dovette  dar  luogo,  e  uscir  dallo  stato.  Credo  che  a 
questa  circostanza  si  riferisca  un  tratto  notabile  raccontato 
dal  Ripamonti.  «Una  volta  che  costui  ebbe  a  sgomberare  il 
paese,  la  segretezza  che  usò,  il  rispetto,  la  timidezza,  furon 
tali:  attraversò  la  città  a  cavallo,  con  un  seguito  di  cani,  a 
suon  di  tromba;  e  passando  davanti  al  palazzo  di  corte, 
lasciò  alla  guardia  un'  imbasciata  d"  impertinenze  per  il  gover- 
natore. 

Nell'assenza,  non  ruppe  le  pratiche,  né  tralasciò  le  cor- 
rispondenze con  que' suoi  tali  amici,  i  quali  rimasero  uniti 
con  lui,  per  tradurre  letteralmente  dal  Ripamonti,  «in  lega 
occulta  di  consigli  atroci,  e  di  cose  funeste.»  Pare  anzi  che 
allora  contraesse  con  più  alte  persone,  certe  nuove  terribili 


CAPITOLO   XIX.  247 

pratiche,  delle  quali  lo  storico  summentovato  parla  con  una 
brevità  misteriosa.  «Anche  alcuni  principi  esteri,»  dice,  «si 
valsero  più  volte  dell'  opera  sua,  per  qualche  importante  omi- 
cidio, e  spesso  gli  ebbero  a  mandar  da  lontano  rinforzi  di 
gente  che  servisse  sotto  i  suoi  ordini.  » 

Finalmente  (non  si  sa  dopo  quanto  tempo)  o  fosse  levato 
il  bando,  per  qualche  potente  intercessione,  o  l'audacia  di 
quell'uomo  gli  tenesse  luogo  d'immunità,  si  risolvette  di  tor- 
nare a  casa,  e  vi  tornò  difatti  ;  non  però  in  Milano,  ma  in  un 
castello  confinante  col  territorio  bergamasco,  che  allora  era. 
come  ognun  sa,  stato  veneto.  «Quella  casa,»  cito  ancora  il 
Ripamonti,  «era  come  un'officina  di  mandati  sanguinosi: 
servitori,  la  cui  testa  era  messa  a  taglia,  e  che  avevan  per 
mestiere  di  troncar  teste:  né  cuoco,  né  sguattero  dispensati 
dall'omicidio:  le  mani  de' ragazzi  insanguinate.»  Oltre  questa 
bella  famiglia  domestica,  n'  aveva,  come  afferma  lo  stesso  sto- 
rico, un'  altra  di  soggetti  simili,  dispersi  e  posti  come  a  quar- 
tiere in  vari  luoghi  de'  due  stati  sul  lembo  de'  quali  viveva,  e 
pronti  sempre  a'  suoi  ordini. 

Tutti  i  tiranni,  per  un  bel  tratto  di  paese  all'intorno,  ave- 
van dovuto,  chi  in  un'occasione  e  chi  in  un'altra,  scegliere 
tra  P  amicizia  e  P  inimicizia  di  quel  tiranno  straordinario. 
Ma  ai  primi  che  avevano  voluto  provar  di  resistergli,  la  gli 
era  andata  così  male,  che  nessuno  si  sentiva  più  di  mettersi 
a  quella  prova.  E  neppur  col  badare  a' fatti  suoi,  con  lo 
stare  a  sé,  uno  non  poteva  rimanere  indipendente  da  lui. 
Capitava  un  suo  messo  a  intimargli  che  abbandonasse  la  tale 
impresa,  che  cessasse  di  molestare  il  debitore,  o  cose  simili  : 
bisognava  rispondere  sì  o  no.  Quando  una  parte,  con  un 
omaggio  vassallesco,  era  andata  a  rimettere  in  lui  un  affare 
qualunque,  l'altra  parte  si  trovava  a  quella  dura  scelta,  o  di 
stare  alla  sua  sentenza,  o  di  dichiararsi  suo  nemico:  il  che 
equivaleva  a  esser,  come  si  diceva  altre  volte,  tisico  in  terzo 
grado.  Molti,  avendo  il  torto,  ricorrevano  a  lui,  per  aver  ra- 
gione in  effetto;  molti  anche,  avendo  ragione,  per  preoccupare 
un  così  gran  patrocinio,  e  chiuderne  l'adito  all'avversario: 
gli  uni  e  gli  altri  divenivano  più  specialmente  suoi  dipendenti. 
Accadde  qualche  volta  che  un  debole  oppresso,  vessato  da  un 
prepotente,  si  rivolse  a  lui;  e  lui,  prendendo  le  parti  del  de- 
bole, forzò  il  prepotente  a  finirla,  a  riparare  il  mal  fatto,  a 
chiedere  scusa;  o,  se  stava  duro,  gli  mosse  tal  guerra,  da 
costringerlo  a  sfrattar  dai  luoghi  che  aveva  tiranneggiati,  o 
gli  fece  anche  pagare  un  più  pronto  e  più  terribile  fio.  E  in 
quei  casi,  quel  nome  tanto  temuto  e  abborrito  era  stato  be- 
nedetto un  momento:  perchè,  non  dirò  quella  giustizia,  ma 
quel  rimedio,  quel  compenso  qualunque,  non  si  sarebbe  potuto, 
in  que'  tempi,  aspettarlo  da  nessun'  altra  forza  né  privata,  né 


248  I   PROMESSI   SPOSI. 

pubblica.  Più  spesso,  anzi  per  l'ordinario,  la  sua  era  stata 
ed  era  ministra  di  voleri  iniqui,  di  soddisfazioni  atroci,  di 
capricci  superbi.  Ma  gli  usi  così  diversi  di  quella  forza  pro- 
ducevan  sempre  l'effetto  medesimo,  d'imprimere  negli  animi 
una  grand'  idea  di  quanto  egli  potesse  volere  e  eseguire  in 
onta  dell'equità  e  dell'iniquità,  quelle  due  cose  che  metton 
tanti  ostacoli  alla  volontà  degli  uomini,  e  li  fanno  così  spesso 
tornare  indietro.  La  fama  de' tiranni  ordinari  rimaneva  per 
lo  più  ristretta  in  quel  piccolo  tratto  di  paese  dov'  erano  i 
più  ricchi  e  i  più  forti;  ogni  distretto  aveva  i  suoi;  e  si  ras- 
somigliavan  tanto,  che  non  e'  era  ragione  che  la  gente  s'  occu- 
passe di  quelli  che  non  aveva  a  ridosso.  Ma  la  fama  di 
questo  nostro  era  già  da  gran  tempo  diffusa  in  ogni  parte  del 
milanese:  per  tutto,  la  sua  vita  era  un  soggetto  di  racconti 
popolari;  e  il  suo  nome  significava  qualcosa  d' irresistibile,  di 
strano,  di  favoloso.  Il  sospetto  che  per  tutto  s'aveva  de' suoi 
collegati  e  de'  suoi  sicari ,  contribuiva  anch'  esso  a  tener  viva 
per  tutto  la  memoria  di  lui.  Non  eran  più  che  sospetti: 
giacché  chi  avrebbe  confessata  apertamente  una  tale  dipen- 
denza? ma  ogni  tiranno  poteva  essere  un  suo  collegato,  ogni 
malandrino,  uno  de' suoi;  e  l'incertezza  stessa  rendeva  più 
vasta  l'opinione,  e  più  cupo  il  terrore  della  cosa.  E  ogni 
volta  che  in  qualche  parte  si  vedessero  comparire  figure  di 
bravi  sconosciute  e  più  brutte  dell'  ordinario ,  a  ogni  fatto 
enorme  di  cui  non  si  sapesse  alla  prima  indicare  o  indovinar 
P  autore,  si  proferiva,  si  mormorava  il  nome  di  colui  che  noi, 
grazie  a  quella  benedetta,  per  non  dir  altro,  circospezione  de' 
nostri  autori,  saremo  costretti  a  chiamare  Y  innominato. 

Dal  castellacelo  di  costui  al  palazzotto  di  don  Rodrigo, 
non  c'era  più  di  sette  miglia:  e  quest'ultimo,  appena  divenuto 
padrone  e  tiranno,  aveva  dovuto  vedere  che,  a  così  poca  di- 
stanza da  un  tal  personaggio,  non  era  possibile  far  quel  me- 
stiere senza  venire  alle  prese,  o  andar  d'  accordo  con  lui.  Gli 
8'  era  perciò  offerto  e  gli  era  divenuto  amico ,  al  modo  di 
tutti  gli  altri,  s'intende:  gli  aveva  reso  più  d'un  servizio  (il 
manoscritto  non  dice  di  più);  e  n'  aveva  riportato  ogni  volta 
promesse  di  contraccambio  e  d'aiuto,  in  qualunque  occasione. 
Metteva  però  molta  cura  a  nascondere  una  tale  amicizia,  o 
almeno  a  non  lasciare  scorgere  quanto  stretta,  e  di  che  na- 
tura fosse.  Don  Rodrigo  voleva  bensì  fare  il  tiranno,  ma  non 
il  tiranno  salvatico:  la  professione  era  per  lui  un  mezzo,  non 
uno  scopo:  voleva  dimorar  liberamente  in  città,  godere  i  co- 
modi, gli  spassi,  gli  onori  della  vita  civile  ;  e  perciò  bisognava 
che  usasse  certi  riguardi,  tenesse  di  conto  parenti,  coltivasse 
l'  amicizia  di  persone  alte,  avesse  una  mano  sulle  bilance 
della  giustizia,  per  farle  a  un  bisogno  traboccare  dalla  sua 
parte,  o  per  farle  sparire,   o  per  darle  anche,  in  qualche  oc- 


CAPITOLO    XX.  249 

casione,  sulla  testa  di  qualcheduno  che  in  quel  modo  si  po- 
tesse servir  più  facilmente  che  con  P  armi  della  violenza  pri- 
vata. Ora,  l'intrinsichezza,  diciam  meglio,  una  lega  con  un 
uomo  di  quella  sorte,  con  un  aperto  nemico  della  forza 
pubblica,  non  gli  avrebbe  certamente  fatto  buon  gioco  a  ciò, 
specialmente  presso  il  conte  zio.  Però  quel  tanto  d'  una  tale 
amicizia  che  non  era  possibile  di  nascondere,  poteva  passare 
per  una  relazione  indispensabile  con  un  uomo  la  cui  inimici- 
zia era  troppo  pericolosa;  e  così  ricevere  scusa  dalla  neces- 
sità; giacché  chi  ha  l'assunto  di  provvedere,  e  non  n'ha  la 
volontà,  o  non  ne  trova  il  verso,  alla  lunga  acconsente  che 
altri  provveda  da  sé,  fino  a  un  certo  segno,  a' casi  suoi:  e  se 
non  acconsente  espressamente,  chiude  un  occhio. 

Una  mattina,  don  Rodrigo  uscì  'a  cavallo,  in  treno  da 
caccia,  con  una  piccola  scorta  di  bravi  a  piedi:  il  Griso  alla 
staffa,  e  quattro  altri  in  coda;  e  s'avviò  al  castello  dell'in- 
nominato. 


CAPITOLO  XX. 

Il  castello  dell'innominato  era  a  cavaliere  a  una  valle  an- 
gusta e  uggiosa,  sulla  cima  d'un  poggio  che  sporge  in  fuori 
da  un'  aspra  giogaia  di  monti,  ed  è,  non  si  saprebbe  dir  bene, 
se  congiunto  ad  essa  o  separatone,  da  un  mucchio  di  massi 
e  di  dirupi,  e  da  un  andirivieni  di  tane  e  di  precipizi,  che  si 
prolungano  anche  dalle  due  parti.  Quella  che  guarda  la  valle 
è  la  sola  praticabile,  un  pendìo  piuttosto  erto,  ma  uguale  e 
continuato;  a  prati  in  alto;  nelle  falde  a  campi,  sparsi  qua 
e  là  di  casucce.  Il  fondo  è  un  letto  di  ciottoloni,  dove 
scorre  un  rigagnolo  o  torrentaccio,  secondo  la  stagione:  allora 
serviva  di  confine  ai  due  stati.  I  gioghi  opposti,  che  formano, 
per  dir  così,  l'altra  parete  della  valle,  hanno  anch'essi  un 
po'  di  falda  coltivata;  il  resto  è  schegge  e  macigni,  erte  ripide, 
senza  strada  e  nude,  meno  qualche  cespuglio  nei  fessi  e  sui 
ciglioni. 

Dall'alto  del  castellacelo,  come  l'aquila  dal  suo  nido  in- 
sanguinato, il  selvaggio  signore  dominava  all'intorno  tutto  lo 
spazio  dove  piede  d'uomo  potesse  posarsi,  e  non  vedeva  mai 
nessuno  al  di  sopra  di  sé,  né  più  in  alto.  Dando  un'  occhiata 
in  giro,  scorreva  tutto  quel  recinto,  i  pendii,  il  fondo,  le 
strade  praticate  là  dentro.  Quella  che,  a  gomiti  e  a  giravolte, 
saliva  al  terribile  domicilio,  si  spiegava  davanti  a  chi  guar- 
dasse di  lassù,  come  un  nastro  serpeggiante;  dalle  finestre, 
dalle  feritoie,  poteva  il  signore  contare  a  suo  beli'  agio  i  passi 
di  chi  veniva,  e  spianargli  P  arme  contro,  cento  volte.   E  anche 


250  I    PROMESSI    SPOSI. 

d'una  grossa  compagnia,  avrebbe  potuto,  con  quella  guarni- 
gione di  bravi  che  teneva  lassù,  stenderne  sul  sentiero,  o 
farne  ruzzolare  al  fondo  parecchi,  prima  che  uno  arrivasse  a 
toccar  la  cima.  Del  resto  non  che  lassù,  ma  neppure  nella 
valle,  e  neppur  di  passaggio,  non  ardiva  metter  piede  nessuno 
che  non  fosse  ben  visto  dal  padrone  del  castello.  Il  birro 
poi  che  vi  si  fosse  lasciato  vedere,  sarebbe  stato  trattato  come 
una  spia  nemica  che  venga  colta  in  un  accampamento.  Si 
raccontavano  le  storie  tragiche  degli  ultimi  che  avevano  vo- 
luto tentar  l'impresa;  ma  eran  già  storie  antiche;  e  nessuno 
iler  giovani  si  rammentava  d'  aver  veduto  nella  valle  uno  di 
quella  razza,  né  vivo,  né  morto. 

Tale  è  la  descrizione  che  1'  anonimo  fa  del  luogo:  del  no- 
me, nulla;  anzi,  per  non  metterci  sulla  strada  di  scoprirlo, 
non  dice  niente  del  viaggio  di  don  Rodrigo,  e  lo  porta  ad- 
dirittura nel  mezzo  della  valle,  appiè  del  poggio,  all'imboc- 
catura dell'  erto  e  tortuoso  sentiero.  Lì  e'  era  una  taverna, 
che  si  sarebbe  anche  potuta  chiamare  un  corpo  di  guardia. 
Sur  una  vecchia  insegna  che  pendeva  sopra  1'  uscio ,  era  di- 
pinto da  tutt'  e  due  le  parti  un  sole  raggiante  ;  ma  la  voce 
pubblica,  che  talvolta  ripete  i  nomi  come  le  vengono  inse- 
gnati, talvolta  li  rifa  a  modo  suo,  non  chiamava  quella  taverna 
che  col  nome  della  Malanotte. 

Al  rumore  d' una  cavalcatura  che  s'  avvicinava,  comparve 
sulla  soglia  un  ragazzaccio  armato  come  un  Saracino;  e  data 
un'occhiata,  entrò  ad  informare  tre  sgherri,  che  stavan  gio- 
cando, con  certe  carte  sudice  e  piegate  in  forma  di  tegoli. 
Colui  che  pareva  il  capo  s'alzò,  s'affacciò  all'uscio,  e  rico- 
nosciuto un  amico  del  suo  padrone,  lo  salutò  rispettosamente. 
Don  Rodrigo,  resogli  con  molto  garbo  il  saluto,  domandò  se 
il  signore  si  trovasse  al  castello;  e  rispostogli  da  quel  capo- 
ralaccio  che  credeva  di  sì,  smontò  da  cavallo,  e  buttò  la  bri- 
glia al  Tiradritto,  uno  del  sho  seguito.  Si  levò  lo  schioppo, 
e  lo  consegnò  al  Montanarolo,  come  per  isgravarsi  d'  un  peso 
inutile,  e  salir  più  lesto;  ma,  in  realtà,  perchè  sapeva  bene, 
che  su  quell'  erta  non  era  permesso  d'  andar  con  lo  schioppo. 
Si  cavò  poi  di  tasca  alcune  berlinghe,  e  le  diede  al  Tanabuso, 
dicendogli:  voi  altri  state  ad  aspettarmi;  e  intanto  starete 
un  po'  allegri  con  questa  brava  gente.  Cavò  finalmente  alcuni 
scudi  d'oro  e  li  mise  in  mano  al  caporalaccio;  assegnandone 
metà  a  lui,  e  metà  da  dividersi  tra  i  suoi  uomini.  Final- 
mente, col  Griso,  che  aveva  anche  lui  posato  lo  schioppo,  co- 
minciò a  piedi  la  salita.  Intanti  i  tre  bravi  sopradetti,  e  lo 
Squinternotto  ch'era  il  quarto  (oh!  vedete  che  bei  nomi,  da 
serbarceli  con  tanta  cura) ,  rimasero  coi  tre  dell'  innominato, 
e  con  quel  ragazzo  allevato  alle  forche,  a  giocare,  a  trincare, 
e  raccontarsi  a  vicenda  le  loro  prodezze. 


CAPITOLO    XX.  251 

Un  altro  bravaccio  dell'innominato,  che  saliva,  raggiunse 
poco  dopo  don  Rodrigo:  lo  guardò,  lo  riconobbe;  e  s'accom- 
pagnò con  lui:  e  gli  risparmiò  così  la  noia  di  dire  il  suo 
nome,  e  di  rendere  altro  conto  di  sé  a  quant' altri  avrebbe 
incontrati,  che  non  lo  conoscessero.  Arrivato  al  castello,  e 
introdotto  (lasciando  però  il  Griso  alla  porta),  fu  fatto  pas- 
sare per  un  andirivieni  di  corridoi  bui,  e  per  varie  sale  tap- 
pezzate di  moschetti,  di  sciabole  e  di  partigiane,  e  in  ognuna 
delle  quali  c'era  di  guardia  qualche  bravo;  e,  dopo  avere 
alquanto  aspettato,  fu  ammesso  in  quella  dove  si  trovava 
1'  innominato. 

Questo  gli  andò  incontro,  rendendogli  il  saluto,  e  insieme 
guardandogli  le  mani  e  il  viso,  come  faceva  per  abitudine,  e 
ormai  quasi  involontariamente,  a  chiunque  venisse  da  lui,  per 
quanto  fosse  de'  più  vecchi  e  provati  amici.  Era  grande, 
bruno,  calvo;  bianchi  i  pochi  capelli  che  gli  rimanevano;  ru- 
gosa la  faccia:  a  prima  vista,  gli  si  sarebbe  dato  più  de' ses- 
santanni che  aveva;  ma  il  contegno,  le  mosse,  la  durezza 
risentita  de' lineamenti,  il  lampeggiar  sinistro,  ma  vivo  degli 
occhi,  indicavano  una  forza  di  corpo  e  d"  animo,  che  sarebbe 
stata  straordinaria  in  un  giovine. 

Don  Rodrigo  disse  che  veniva  per  consiglio  e  per  aiuto: 
che,  trovandosi  in  un  impegno  difficile,  dal  quale  il  suo  onore 
non  gli  permetteva  di  ritirarsi,  s'era  ricordato  delle  promesse 
di  quell'uomo  che  non  prometteva  mai  troppo,  né  invano;  e 
si  fece  ad  esporre  il  suo  scellerato  imbroglio.  L' innominato 
che  ne  sapeva  già  qualcosa,  ma  in  confuso,  stette  a  sentire 
con  attenzione,  e  come  curioso  di  simili  storie,  e  per  essere 
in  questa  mischiato  un  nome  a  lui  noto  e  odiosissimo,  quello 
di  fra  Cristoforo,  nemico  aperto  de' tiranni,  e  in  parole  e, 
dove  poteva,  in  opere.  Don  Rodrigo,  sapendo  con  chi  par- 
lava, si  mise  poi  a  esagerare  le  difficoltà  dell'impresa:  la  di- 
stanza del  luogo,  un  monastero,  la  signora!  ...  A  questo,  l'in- 
nominato, come  se  un  demonio  nascosto  nel  suo  cuore  gliel 
avesse  comandato,  interruppe  subitamente,  dicendo  che  pren- 
deva l' impresa  sopra  di  sé.  Prese  1'  appunto  del  nome  della 
nostra  povera  Lucia,  e  licenziò  don  Rodrigo,  dicendo:  «tra 
poco  avrete  da  me  1'  avviso  di  quel  che  dovrete  fare.  » 

Se  il  lettore  si  ricorda  di  quello  sciagurato  Egidio  che 
abitava  accanto  al  monastero  dove  la  povera  Lucia  stava  ri- 
coverata ,  sappia  ora  che  costui  era  uno  de'  più  stretti  ed  in- 
timi colleghi  di  scelleratezze  che  avesse  l'innominato:  perciò 
questo  aveva  lasciata  correre  così  prontamente  e  risolutamente 
la  sua  parola.  Ma  appena  rimase  solo,  si  trovò,  non  dirò 
pentito,  ma  indispettito  d'  averla  data.  Già  da  qualche  tempo 
cominciava  a  provare,  se  non  un  rimorso,  una  cert'  uggia 
delle  sue  scelleratezze.     Quelle  tante  eh'  erano  ammontate,  se 


252  1    PEOMESSI    SPOSI. 

non  sulla  sua  coscienza,  almeno  nella  sua  memoria,  si  risve- 
gliavano ogni  volta  che  ne  commettesse  una  di  nuovo,  e  si 
presentavano  nell'  animo  brutte  e  troppe  ;  era  come  il  crescere 
e  crescere  d' un  peso  già  incomodo.  Una  certa  ripugnanza 
provata  ne' primi  delitti,  e  vinta  poi,  e  scomparsa  quasi  af- 
fatto ,  tornava  ora  a  farsi  sentire.  Ma  in  que'  primi  tempi 
l'immagine  d'un  avvenire  lungo,  indeterminato,  il  sentimento 
d'  una  vitalità  vigorosa ,  riempivano  1'  animo  d'  una  fiducia 
spensierata;  ora  all'opposto,  i  pensieri  dell'avvenire  eran 
quelli  che  rendevano  più  noioso  il  passato.  —  Invecchiare! 
morire!  e  poi?  —  E,  cosa  notabile!  l'immagine  della  morte, 
che,  in  un  pericolo  vicino,  a  fronte  d'un  nemico,  soleva  rad- 
doppiar gli  spiriti  di  quell'  uomo ,  e  infondergli  un'  ira  piena 
di  coraggio,  quella  stessa  immagine,  apparendogli  nel  silenzio 
della  notte,  nella  sicurezza  del  suo  castello,  gli  metteva  ad- 
dosso una  costernazione  repentina.  Non  era  la  morte  minac- 
ciata da  un  avversario  mortale  anche  lui;  non  si  poteva 
rispingerla  con  armi  migliori,  e  con  un  braccio  più  pronto; 
veniva  sola,  nasceva  di  dentro;  era  forse  ancor  lontana,  ma 
faceva  un  passo  ogni  momento;  e,  intanto  che  la  mente  com- 
batteva dolorosamente  per  allontanarne  il  pensiero,  quella 
s'avvicinava.  Ne' primi  tempi,  gli  esempi  così  frequenti,  lo 
spettacolo,  per  dir  così,  continuo  della  violenza,  della  ven- 
detta, dell'omicidio,  inspirandogli  un' emulazione  feroce,  gli 
avevano  anche  servito  come  d' una  specie  d'  autorità  contro 
la  coscienza:  ora,  gli  rinasceva  ogni  tanto  nell'animo  l'idea 
confusa ,  ma  terribile ,  d'  un  giudizio  individuale ,  d'  una  ra- 
gione indipendente  dall'esempio;  ora,  l'essere  uscito  dalla 
turba  volgare  de' malvagi,  l'essere  innanzi  a  tutti,  gli  dava 
talvolta  il  sentimento  d'  una  solitudine  tremenda.  Quel  Dio  di 
cui  aveva  sentito  parlare,  ma  che,  da  gran  tempo,  non  si 
curava  di  negare  né  di  riconoscere,  occupato  soltanto  a  vivere 
come  se  non  ci  fosse,  ora,  in  certi  momenti  d'abbattimento 
senza  motivo,  di  terrore  senza  pencolo,  gli  pareva  sentirlo 
gridar  dentro  di  sé:  Io  sono  però.  Nel  primo  bollor  delle 
passioni,  la  legge  che  aveva,  se  non  altro,  sentita  annunziare 
in  nome  di  Lui,  non  gli  era  parsa  che  odiosa:  ora,  quando 
gli  tornava  d'improvviso  alla  mente,  la  mente,  suo  malgrado, 
la  concepiva  come  una  cosa  che  ha  il  suo  adempimento.  M$, 
non  che  aprirsi  con  nessuno  su  questa  sua  nuova  inquietudine, 
la  copriva  anzi  profondamente  e  la  mascherava  con  1'  appa- 
renze d'una  più  cupa  ferocia;  e  con  questo  mezzo,  cercava 
anche  di  nasconderla  a  sé  stesso,  o  di  soffogarla.  Invidiando 
(giacché  non  poteva  annientarli  né  dimenticarli)  que' tempi  in 
cui  era  solito  commettere  l' iniquità  senza  rimorso,  senz'  altro 
pensiero  che  della  riuscita,  faceva  ogni  sforzo  per  farli  tor- 
nare,  per   ritenere,   o   per   riafferrare    quell'  antica   volontà, 


CAPITOLO    XX.  253 

pronta,  superba,  imperturbata,  per  convincer  sé  stesso  eh'  era 
ancor  quello. 

Così  in  quest'  occasione,  aveva  subito  impegnata  la  sua 
parola  a  don  Rodrigo,  per  chiudersi  1'  adito  a  ogni  esitazione. 
Ma  appena  partito  costui,  sentendo  scemare  quella  fermezza 
che  s'  era  comandata  per  promettere,  sentendo  a  poco  a  poco 
venirsi  innanzi  nella  mente  pensieri  che  lo  tentavano  di  man- 
care a  quella  parola,  e  l'avrebbero  condotto  a  scomparire  in 
faccia  a  un  amico,  a  un  complice  secondario;  per  troncare  a 
un  tratto  quel  contrasto  penoso,  chiamò  il  Nibbio,  uno  de'  più 
destri  ed  arditi  ministri  delle  sue  enormità,  e  quello  di  cui 
era  solito  servirsi  per  la  corrispondenza  con  Egidio.  E  con 
aria  risoluta,  gli  comandò  che  montasse  subito  a  cavallo ,  an- 
dasse diritto  a  Monza,  informasse  Egidio:  dell'impegno  con- 
tratto, e  richiedesse  il  suo  aiuto  per  adempirlo. 

Il  messo  ribaldo  tornò  più  presto  che  il  suo  padrone  non 
se  l'aspettasse,  con  la  risposta  d'Egidio:  che  l'impresa  era 
facile  e  sicura;  gli  si  mandasse  subito  una  carrozza,  con  due 
o  tre  bravi  ben  travisati;  e  lui  prendeva  la  cura  di  tutto  il 
resto,  e  guiderebbe  la  cosa.  A  quest'  annunzio,  V  innominato, 
comunque  stesse  di  dentro,  diede  ordine  in  fretta  al  Nibbio 
stesso,  che  disponesse  tutto  secondo  aveva  detto  Egidio,  e  an- 
dasse con  due  altri  che  gli  nominò,  alla  spedizione^ 

Se  per  rendere  l'orribile  servizio  che  gli  era  stato  chiesto, 
Egidio  avesse  dovuto  far  conto  de'  soli  suoi  mezzi  ordinari, 
non  avrebbe  certamente  data  così  subito  una  promessa  così 
decisa.  Ma,  in  quell'asilo  stesso  dove  pareva  che  tutto  do- 
vesse essere  ostacolo,  1'  atroce  giovine  aveva  un  mezzo  noto  a 
lui  solo,  e  ciò  che  per  gli  altri  sarebbe  stata  la  maggior  diffi- 
coltà, era  strumento  per  lui.  Noi  abbiamo  riferito  come  la 
sciagurata  signora  desse  una  volta  retta  alle  sue  parole;  e  il 
lettore  può  avere  inteso  che  quella  volta  non  fu  1'  ultima,  non 
fu  che  un  primo  passo  in  una  strada  d'  abbominazione  e  di 
sangue.  Quella  stessa  voce  che  aveva  acquistato  forza  e,  direi 
quasi,  autorità  dal  delitto,  le  impose  ora  il  sagrifizio  dell'in- 
nocente che  aveva  in  custodia. 

La  proposta  riuscì  spaventosa  a  Gertrude.  Perder  Lucia 
per  un  caso  impreveduto,  senza  colpa,  le  sarebbe  parsa  una 
sventura,  una  punizione  amara:  e  le  veniva  comandato  di  pri- 
varsene con  una  scellerata  perfidia,  di  cambiare  in  un  nuovo 
rimorso  un  mezzo  d'  espiazione.  La  sventurata  tentò  tutte  le 
strade  per  esimersi  dall'orribile  comando:  tutte,  fuorché  la 
sola  eh'  era  sicura,  e  che  le  stava  pur  sempre  aperta  davanti. 
Il  delitto  è  un  padrone  rigido  e  inflessibile,  contro  cui  non 
divien  forte  se  non  chi  se  ne  ribella  interamente.  A  questo 
Gertrude  non  voleva  risolversi;  e  ubbidì. 

Era  il  giorno  stabilito;  l'ora  convenuta  s'avvicinava;  Ger- 


254  I   PROMESSI    SPOSI. 

trucie  ritirata  con  Lucia  nel  suo  parlatorio  privato,  le  faceva 
più  carezze  dell'ordinario,  e  Lucia  le  riceveva  e  le  contrac- 
cambiava con  tenerezza  crescente:  come  la  pecora,  tremolando 
senza  timore  sotto  la  mano  del  pastore  che  la  palpa  e  la 
strascina  mollemente,  si  volta  a  leccar  quella  mano;  e  non  sa 
che  fuori  della  stalla,  l'aspetta  il  macellaio,  a  cui  il  pastore 
1'  ha  venduta  un  momento  prima. 

cHo  bisogno  d'un  gran  servizio;  e  voi  sola  potete  farmelo. 
Ho  tanta  gente  a' miei  comandi;  ma  di  cui  mi  fidi  nessuno. 
Per  un  affare  di  grand' importanza,  che  vi  dirò  poi,  ho  bi- 
sogno di  parlar  subito  con  quel  padre  guardiano  de'  cappuc- 
cini che  v'ha  condotto  qui  da  me,  la  mia  povera  Lucia;  ma 
è  anche  necessario  che  nessuno  sappia  che  l' ho  mandato  a 
chiamare  io.  Xon  ho  che  voi  per  far  segretamente  quest'  im- 
basciata. » 

Lucia  fu  atterrita  d'una  tale  richiesta;  e  con  quella  sua 
suggezione,  ma  senza  nascondere  una  gran  maraviglia,  addusse 
subito,  per  disimpegnarsene,  le  ragioni  che  la  signora  doveva 
intendere,  che  avrebbe  dovute  prevedere;  senza  la  madre, 
senza  nessuno,  per  una  strada  solitaria,  in  un  paese  scono- 
sciuto ....  Ma  Gertrude,  ammaestrata  a  una  scola  infernale, 
mostrò  tanta  maraviglia  anche  lei,  e  tanto  dispiacere  di  tro- 
vare una  tal  ritrosìa  nella  persona  di  cui  credeva  poter  far 
più  conto,  figurò  di  trovar  così  vane  quelle  scuse!  di  giorno 
chiaro,  quattro  passi,  una  strada  che  Lucia  aveva  fatta  pochi 
giorni  prima,  e  che  quand'anche  non  l'avesse  mai  veduta,  a 
insegnargliela,  non  la  poteva  sbagliare  !  .  .  .  .  Tanto  disse,  che 
la  poverina,  commossa  e  punta  a  un  tempo,  si  lasciò  sfuggir 
di  bocca:  «e  bene;  cosa  devo  fare?» 

«Andate  al  convento  de'  cappuccini:')  e  le  descrisse  la 
strada  di  nuovo:  «fate  chiamare  il  padre  guardiano,  ditegli, 
da  solo  a  solo,  che  venga  da  me  subito  subito;  ma  che  non 
dica  a  nessuno  che  son  io  che  lo  mando  a  chiamare.)) 

Ma    cosa   dirò   alla   fattoressa   che  non  m' ha  mai  vista 
uscire,  e  mi  domanderà  dove  vo?» 

«Cercate  di  passare  senz'esser  vista:  e  se  non  vi  riesce, 
ditele  che  andate  alla  chiesa  tale,  dove  avete  promesso  di  fare 
orazione.  » 

Nuova  difficoltà  per  la  povera  giovine;  dire  una  bugia; 
ma  la  signora  si  mostrò  di  nuovo  così  afflitta  delle  ripulse, 
le  fece  parer  così  brutta  cosa  1'  anteporre  un  vano  scrupolo 
alla  riconoscenza,  che  Lucia,  sbalordita  più  che  convinta,  e 
soprattutto  commossa  più  che  mai,  rispose:  «e  bene;  anderò. 
Dio  m'aiuti!»  E  si  mosse. 

Quando  Gertrude,  che  dalla  grata  la  seguiva  con  l'occhio 
fisso  e  torbido,  la  vide  metter  piede  sulla  soglia,   come  so- 


CAPITOLO    XX  255 

praffatta  da  un  sentimento  irresistibile,  apri  la  bocca,  e  disse 
«  sentite,  Lucia  !» 

Questa  si  voltò,  e  tornò  verso  la  grata.  Ma  già  un  altro 
pensiero,  un  pensiero  avvezzo  a  predominare,  aveva  vinto  di 
nuovo  nella  mente  sciagurata  di  Gertrude.  Facendo  le  viste 
di  non  esser  contenta  dell'  istruzioni  già  date,  spiegò  di  nuovo 
a  Lucia  la  strada  che  doveva  tenere,  e  la  licenziò  dicendo 
«fate  ogni  cosa  come  v'ho  detto,  e  tornate  presto  o  Lucia 
partì. 

Passò  inosservata  la  porta  del  chiostro,  prese  la  strada, 
con  gli  occhi  bassi,  rasente  al  muro-  trovò,  con  1'  indicazioni 
avute  e  con  le  proprie  rimembranze,  la  porta  del  borgo, 
n'uscì,  andò  tutta  raccolta  e  un  po' tremante,  per  la  strada 
maestra,  arrivò  in  pochi  momenti  a  quella  che  conduceva  al 
convento;  e  la  riconobbe.  Quella  strada  era,  ed  è  tutt' ora, 
affondata,  a  guisa  d'  un  letto  di  fiume,  tra  due  alte  rive  orlate 
di  macchie,  che  vi  forman  sopra  una  specie  di  vòlta.  Lucia, 
entrandovi  e  vedendola  affatto  solitaria,  sentì  crescere  la 
paura,  e  allungava  il  passo:  ma  poco  dopo  si  rincorò  alquanto, 
nel  vedere  una  carrozza  da  viaggio  ferma,  e  accanto  a  quella, 
davanti  allo  sportello  aperto,  due  viaggiatori,  che  guardavano 
in  qua  e  in  là,  come  incerti  della  strada.  Andando  avanti, 
sentì  uno  di  que' due,  che  diceva:  «ecco  una  buona  giovine 
che  c'insegnerà  la  strada.»  Infatti,  quando  fu  arrivata  alla 
carrozza,  quel  medesimo,  con  un  fare  più  gentile  che  non  fosse 
l'aspetto,  si  voltò,  e  disse:  «quella  giovine,  ci  sapreste  in- 
segnar la  strada  di  Monza?» 

«Andando  di  lì,  vanno  a  rovescio,»  rispondeva  la  poverina: 
«Monza  è  di  qua  .  .  .  .»  e  si  voltava,  per  accennar  col  dito; 
quando  l'altro  compagno  (era  il  Nibbio),  afferrandola  d'im- 
provviso per  la  vita,  1'  alzò  da  terra.  Lucia  girò  la  testa  in- 
dietro atterrita,  e  cacciò  un  urlo;  il  malandrino  la  mise  per 
forza  nella  carrozza:  uno  che  stava  a  sedere  davanti,  la  prese 
e  la  cacciò,  per  quanto  lei  si  divincolasse  e  stridesse,  a  se- 
dere dirimpetto  a  sé:  un  altro,  mettendole  un  fazzoletto  alla 
bocca,  le  chiuse  il  grido  in  gola.  Intanto  il  Nibbio  entrò 
presto  presto  anche  lui  nella  carrozza:  lo  sportello  si  chiuse, 
e  la  carrozza  partì  di  carriera.  L' altro  che  le  aveva  fatta 
quella  domanda  traditora,  rimasto  nella  strada,  diede  un'oc- 
chiata in  qua  e  in  là,  per  veder  se  fosse  accorso  qualcheduno 
agli  urli  di  Lucia:  non  c'era  nessuno;  saltò  sur  una  riva,  at- 
taccandosi a  un  albero  della  macchia;  e  disparve.  Era  costui 
uno  sgherro  d'  Egidio  ;  era  stato ,  facendo  1'  indiano ,  sulla 
porta  del  suo  padrone,  per  veder  quando  Lucia  usciva  dal 
monastero;  l'aveva  osservata  bene,  per  poterla  riconoscere; 
ed  era  corso  per  una  scorciatoia,  ad  aspettarla  al  posto  con- 
venuta. 


256  I    PROMESSI    SPOSI. 

Chi  potrà  ora  descrivere  il  terrore,  l'angoscia  di  costei, 
esprimere  ciò  che  passava  nel  suo  animo?  Spalancava  gli 
occhi  spaventati,  per  ansietà  di  conoscere  la  sua  orribile  si- 
tuazione, e  li  richiudeva  subito,  per  il  ribrezzo  e  perii  ter- 
rore di  que'visacci:  si  storceva,  ma  era  tenuta  da  tutte  le 
parti,  raccoglieva  tutte  le  sue  forze,  e  dava  delle  stratte  per 
buttarsi  verso  lo  sportello;  ma  due  braccia  nerborute  la  tene- 
vano come  conficcata  nel  fondo  della  carrozza;  quattro  altre 
manacce  ve  1'  appuntellavano.  Ogni  volta  che  aprisse  la  boc- 
ca per  cacciare  un  urlo,  il  fazzoletto  veniva  a  soffogarglielo 
in  gola.  Intanto  tre  bocche  d' inferno,  con  la  voce  più  umana 
che  sapessero  formare,  andavan  ripetendo:  «zitta,  zitta,  non 
abbiate  paura,  non  vogliamo  farvi  male.»  Dopo  qualche  mo- 
mento d;  una  lotta  così  angosciosa,  parve  che  s'acquietasse; 
allentò  le  braccia,  lasciò  cader  la  testa  all' indietro,  alzò  a 
stento  le  palpebre,  tenendo  l'occhio  immobile;  e  quegli  orridi 
visacci  che  le  stavan  davanti  le  parvero  confondersi  e  ondeg- 
giare insieme  in  un  mescuglio  mostruoso,  le  fuggì  il  colore 
dal  viso;  un  sudor  freddo  glielo  coprì;  s'  abbandonò,  e  svenne. 

«Su,  su,  coraggio,»  diceva  il  Nibbio.  «Coraggio,  corag- 
gio,» ripetevan  gli  altri  due  birboni;  ma  lo  smarrimento 
d'  ogni  senso  preservava  in  quel  momento  Lucia  dal  sentire 
i  conforti  di  quelle  orribili  voci. 

«Diavolo!  par  morta,»  disse  uno  di  coloro;  «se  fosse  morta 
davvero?» 

«Oh!  morta!»  disse  l'altro:  «è  uno  di  quegli  svenimenti 
che  vengono  alle  donne.  Io  so  che,  quando  ho  voluto  man- 
dare all'altro  mondo  qualcheduno,  uomo  o  donna  che  fosse, 
e'  è  voluto  altro.» 

«Via!»  disse  il  Nibbio:  «attenti  al  vostro  dovere,  e  non 
andate  a  cercar  altro.  Tirate  fuori  dalla  cassetta  i  tromboni, 
e  teneteli  pronti;  che  in  questo  bosco  dove  s'entra  ora,  c'è 
sempre  de'  birboni  annidati.  Non  così  in  mano ,  diavolo  !  ri- 
poneteli dietro  le  spalle,  lì  stesi:  non  vedete  che  costei  è  un 
pulcin  bagnato  che  basisce  per  nulla?  Se  vede  armi  è  capace 
di  morir  davvero.  E  quando  sarà  rinvenuta,  badate  bene  di 
non  farle  paura;  non  la  toccate  se  non  vi  fo  segno;  a  tenerla 
basto  io.    E  zitti;  lasciate  parlare  a  me.» 

Intanto  la  carrozza ,  andando  sempre  di  corsa,  s'  era  inol- 
trata nel  bosco. 

Dopo  qualche  tempo  la  povera  Lucia  cominciò  a  risen- 
tirsi come  da  un  sonno  profondo  e  affannoso,  e  aprì  gli  occhi. 
Penò  alquanto  a  distinguere  gli  spaventosi  oggetti  che  la  cir- 
condavano, a  raccogliere  i  suoi  pensieri:  alfine  comprese  di 
nuovo  la  sua  terribile  situazione.  Il  primo  uso  che  fece  delle 
poche  forze  ritornatele,  fu  di  buttarsi  ancora  verso  lo  spor- 


capitolo  xx.  257 

tello ,  per  slanciarsi  fuori  :  ma  fu  ritenuta  e  non  potè  che  ve- 
dere un  momento  la  solitudine  selvaggia  del  luogo  per  cui 
passava.  Cacciò  di  nuovo  un  urlo:  ma  il  Nibbio  alzando  la 
manaccia  col  fazzoletto,  «via,»  le  disse,  più  dolcemente  che 
potè:  «state  zitta,  che  sarà  meglio  per  voi:  non  vogliamo 
farvi  male;  ma  se  non  istate  zitta,  vi  faremo  star  noi.» 

"Lasciatemi  andare!  Chi  siete  voi?  Dove  mi  conducete? 
Perchè  mi  avete  presa?  Lasciatemi  andare,  lasciatemi  an- 
dare!» 

«Vi  dico  che  non  abbiate  paura;  non  siete  una  bambina, 
e  dovete  capire  che  noi  non  vogliamo  farvi  male.  Non  vedete 
che  avremmo  potuto  ammazzarvi  cento  volte  se  avessimo  cat- 
tive intenzioni?     Dunque  state  quieta.» 

"No,  no,  lasciatemi  andare  per  la  mia  strada:  io  non  vi 
conosco.» 

«Vi  conosciamo  noi.» 

«Oh  santissima  Vergine!  come  mi  conoscete?  Lasciatemi 
andare,  per  carità,  chi  siete  voi?     Perchè  m'avete  presa?» 

«Perchè  e'  è  stato  comandato.» 

«Chi?  chi?  chi  ve  lo  può  aver  comandato?» 

«Zitta!»  disse  con  un  visaccio  severo  il  Nibbio:  «a  noi 
non  si  fa  di  codeste  domande.» 

Lucia  tentò  un'  altra  volta  di  buttarsi  d' improvviso  allo 
sportello;  ma  vedendo  ch'era  inutile,  ricorse  di  nuovo  alle 
preghiere;  e  con  la  testa  bassa,  con  le  gote  irrigate  di  la- 
grime, con  la  voce  interrotta  dal  pianto,  con  le  mani  giunte 
dinanzi  alle  labbra,  «ah!»  diceva:  «per  l'amor  di  Dio,  e 
della  Vergine  santissima,  lasciatemi  andare!  Cosa  v'ho  fatto 
di  male  io?  Sono  una  povera  creatura  che  non  v'ha  fatto 
niente.  Quello  che  m'avete  fatto  voi  ve  lo  perdono  di  cuore; 
e  pregherò  Dio  per  voi.  Se  avete  anche  voi  una  figlia,  una 
moglie,  una  madre,  pensate  quello  che  patirebbero,  se  fos- 
sero in  questo  stato.  Ricordatevi  che  dobbiam  morir  tutti, 
e  che  un  giorno  desidererete  che  Dio  vi  usi  misericordia. 
Lasciatemi  andare,  lasciatemi  qui  :  il  Signore  mi  farà  trovare 
la  mia  strada.» 

(■Non  possiamo.» 

«Non  potete?  Oh  Signore!  perchè  non  potete?  Dove  vo- 
lete condurmi?    Perchè  .  . .  .?» 

«Non  possiamo:  è  inutile:  non  abbiate  paura,  che  non 
vogliamo  farvi  male:  state  quieta,  e  nessuno  vi  toccherà." 

Accorata,  affannata,  atterrita  sempre  più  nel  vedere  che 
le  sue  parole  non  facevano  nessun  colpo,  Lucia  si  rivolse  a 
Colui  che  tiene  in  mano  il  cuore  degli  uomini,  e  può  quando 
voglia,  intenerire  i  più  duri.  Si  strinse  il  più  che  potè,  nel 
canto  della  carrozza,  mise  le  braccia  in  croce  sul  petto,  e 
pregò  qualche  tempo  con  la  mente;  poi,  tirata  fuori  la  corona, 

Manzoni.  17 


258  I    PROMESSI    SPOSI. 

cominciò  a  dire  il  rosario  con  più  fede  e  con  più  affetto  che 
non  avesse  ancor  fatto  in  vita  sua.  ,Ogni  tanto  sperando 
d'aver  impetrata  la  misericordia  che  implorava,  si  voltava  a 
ripregar  coloro;  ma  sempre  inutilmente.  Poi  ricadeva  an- 
cora senza  sentimenti,  poi  si  riaveva  di  nuovo,  per  rivivere  a 
nuove  angosce.  Ma  ormai  non  ci  regge  il  cuore  a  descriverle 
più  a  lungo:  una  pietà  troppo  dolorosa  ci  affretta  al  termine 
di  quel  viaggio,  che  durò  più  di  quattr'ore;  e  dopo  il  quale 
avremo  altre  ore  angosciose  da  passare.  Trasportiamoci  al 
castello  dove  l'infelice  era  aspettata. 

Era  aspettata  dall'innominato,  con  un'inquietudine,  con 
una  sospension  d'animo  insolita.  Cosa  strana!  quell'uomo, 
che  aveva  disposto  a  sangue  freddo  di  tante  vite,  che  in  tan- 
ti suoi  fatti  non  aveva  contato  per  nulla  i  dolori  da  lui  ca- 
gionati, se  non  qualche  volta  per  assaporare  in  essi  una  sel- 
vaggia voluttà  di  vendetta,  ora,  nel  metter  le  mani  addosso 
a  questa  sconosciuta,  a  questa  povera  contadina,  sentiva  come 
un  ribrezzo,  direi  quasi  un  terrore.  Da  un'alta  finestra  del 
suo  castellacelo ,  guardava  da  qualche  tempo  verso  uno  sboc- 
co della  valle;  ed  ecco  spuntar  la  carrozza,  e  venire  innanzi 
lentamente;  perchè  quel  primo  andar  di  carriera  aveva  con- 
sumata la  foga,  e  domate  le  forze  de' cavalli.  E  benché,  dal 
punto  dove  stava  a  guardare,  la  non  paresse  che  una  di 
quelle  carrozzine  che  si  danno  per  balocco  ai  fanciulli,  la  ri- 
conobbe subito,  e  si  sentì  il  cuore  batter  più  forte. 

—  Ci  sarà?  —  pensò  subito:  e  continuava  tra  sé:  —  che 
noia  mi  dà  costei!    Liberiamocene.  — 

E  voleva  chiamare  uno  de' suoi  sgherri,  e  spedirlo  subito 
incontro  alla  carrozza,  a  ordinare  al  Nibbio  che  voltasse,  e 
conducesse  colei  al  palazzo  di  don  Rodrigo.  Ma  un  no  im- 
perioso che  risonò  nella  sua  mente,  fece  svanire  quel  di- 
segno. Tormentato  però  dal  bisogno  di  dar  qualche  ordine, 
riuscendogli  intollerabile  lo  stare  aspettando  oziosamente  quel- 
la carrozza  che  veniva  avanti  passo  passo,  come  un  tradi- 
mento, che  so  io?  come  un  gastigo,  fece  chiamare  una  sua 
vecchia  donna. 

Era  costei  nata  in  quello  stesso  castello,  da  un  antico  cu- 
stode di  esso,  e  aveva  passata  lì  tutta  la  sua  vita.  Ciò  che 
aveva  veduto  e  sentito  fin  dalle  fasce,  le  aveva  impresso  nel- 
la mente  un  concetto  magnifico  e  terribile  del  potere  de'  suoi 
padroni;  e  la  massima  principale  che  aveva  attinta  dall' istru- 
zioni e  dagli  esempi,  era  che  bisognava  ubbidirli  in  ogni  co- 
sa, perchè  potevano  far  del  gran  male  e  del  gran  bene. 
L'idea  del  dovere,  deposta  come  un  germe  nel  cuore  di  tutti 
gli  uomini,  svolgendosi  nel  suo,  insieme  co' sentimenti  d'un 
rispetto,  d'un  terrore,  d'una  cupidigia  servile,  s'era  asso- 
ciata e  adattata  a  quelli.     Quando  l' innominato  divenuto  pa- 


CAPITOLO    XX.  259 

drone ,  cominciò  a  far  queir  uso  spaventevole  della  sua  forza, 
costei  ne  provò  da  principio  un  certo  ribrezzo  insieme,  e  un 
sentimento  più  profondo  di  sommissione.  Col  tempo,  s'era 
avvezzata  a  ciò  che  aveva  tutto  giorno  davanti  agli  occhi  e 
negli  orecchi:  la  volontà  potente  e  sfrenata  d'un  così  gran 
signore  era  per  lei  come  una  specie  di  giustizia  fatale.  Ra- 
gazza già  fatta,  aveva  sposato  un  servitor  di  casa,  il  quale, 
poco  dopo,  essendo  andato  a  una  spedizione  rischiosa,  lasciò 
V  ossa  sur  una  strada,  e  lei  vedova  nel  castello.  La  vendet- 
ta che  il  signore  ne  fece  subito,  le  diede  una  consolazione 
feroce,  e  le  accrebbe  l'orgoglio  di  trovarsi  sotto  una  tal  pro- 
tezione. !>'  allora  in  poi  non  mise  piede  fuor  del  castello, 
che  molto  di  rado,  e  a  poco  a  poco  non  le  rimase  del  vivere 
umano  quasi  altre  idee  salvo  quelle  che  ne  riceveva  in  qut( 
luogo.  Non  era  addetta  ad  alcun  servizio  particolare,  ma,  in  quella 
masnada  di  sgherri ,  ora  i'  uno  ora  1'  altro ,  le  davan  da  fare 
ogni  poco;  eh'  era  il  suo  rodimento.  Ora  aveva  cenci  da  rat- 
toppare, ora  da  preparare  in  fretta  da  mangiare  a  chi  tor- 
nasse da  una  spedizione,  ora  feriti  da  medicare.  I  comandi 
poi  di  coloro,  i  rimproveri,  i  ringraziamenti,  eran  conditi  di 
beffe  e  d'improperi:  vecchia,  era  il  suo  appellativo  usuale; 
gli  aggiunti,  che  qualcheduno  sempre  ci  se  n'attaccava,  va- 
riavano secondo  le  circostanze  e  1'  umore  dell'  amico.  E  co- 
lei, disturbata  nella  pigrizia,  e  provocata  nella  stizza,  ch'e- 
rano due  delle  sue  passioni  predominanti,  contraccambiava 
alle  volte  que' complimenti  con  parole,  in  cui  Satana  avrebbe 
riconosciuto  più  del  suo  ingegno,  che  in  quelle  de'  provocatori. 

«Tu  vedi  laggiù  quella  carrozza!»  le  disse  il  signore. 

«La  vedo,»  rispose  la  vecchia,  cacciando  avanti  il  mento 
appuntato,  e  aguzzando  gli  occhi  infossati  come  se  cercasse 
di  spingerli  su  gli  orli  dell'  occhiaie. 

«Fa  allestir  subito  una  bussola,  entraci,  è  fatti  portare 
alla  Malanotte.  Subito  subito;  che  tu  ci  arrivi  prima  di  quel- 
la carrozza:  già  la  viene  avanti  col  passo  della  morte.  In  quel- 
la carrozza  e'  è  ....  ci  dev'  essere  ....  una  giovine.  Se  e'  è, 
dì  al  Nibbio,  in  mio  nome,  che  la  metta  nella  bussola,  e  lui 
venga  su  subito  da  me.  Tu  starai  quassù,  la  condurrai  nella 
tua  camera.  Se  ti  domanda  dove  la  meni,  di  chi  è  il  castello, 
guarda  di  non  .  .  .  .» 

«Oh!»  disse  la  vecchia. 

«Ma,»  continuò  l'innominato,  «falle  coraggio.» 

«Cosa  le  devo  dire?» 

«Cosa  le  devi  dire?  Falle  coraggio,  ti  dico.  Tu  sei  venuta 
a  codesta  età,  senza  sapere  come  si  fa  coraggio  a  una  creatura 
quando  si  vuole?  Hai  tu  mai  sentito  affanno  di  cuore?  Hai 
tu  mai  avuto  paura?  Xon  sai  le  parole  che  fanno  piacere  in 
que' momenti?  Dille  di  quelle  parole:  trovale,,  alla  malora!  Va  n 

17* 


260  I   PROMESSI    SPOSI. 

E  partita  che  fu,  si  fermò  alquanto  alla  finestra,  con  gli 
occhi  fissi  a  quella  carrozza,  che  già  appariva  più  grande 
di  molto,  poi  gli  alzò  al  sole,  che  in  quel  momento  si  na- 
scondeva dietro  la  montagna;  poi  guardò  le  nuvole  sparse  al 
di  sopra,  che  di  brune  si  fecero,  quasi  a  un  tratto,  di 
fuoco.  _  Si  ritirò,  chiuse  la  finestra,  e  si  mise  a  camminare 
innanzi  e  indietro  per  la  stanza,  con  un  passo  di  viaggiatore 
frettoloso. 


CAPITOLO  XXI. 

La  vecchia  era  corsa  a  ubbidire  e  a  comandare,  con  V  au- 
torità di  quel  nome  che,  da  chiunque  fosse  pronunziato  in 
quel  luogo ,  li  faceva  spicciar  tutti  ;  perchè  a  nessuno  veniva 
in  testa  che  ci  fosse  uno  tanto  ardito  da  servirsene  falsa- 
mente. Si  trovò  infatti  alla  Malanotte  un  po' prima  che  la 
carrozza  ci  arrivasse:  vistala  venire,  usci  di  bussola,  fece  se- 
gno al  cocchiere  che  fermasse,  s'avvicinò  allo  sportello;  e 
al  Nibbio,  che  mise  il  capo  fuori,  riferì  sottovoce  gli  ordini 
del  padrone. 

Lucia,  al  fermarsi  della  carrozza,  si  scosse,  e  rinvenne  da 
una  specie  di  letargo.  Si  sentì  da  capo  rimescolare  il  san- 
gue, spalancò  la  bocca  e  gli  occhi,  e  guardò.  Il  Nibbio  s1  era 
tirato  indietro;  e  la  vecchia,  col  mento  sullo  sportello,  guar- 
dando Lucia,  diceva:  «venite,  la  mia  giovine;  venite,  pove- 
rina: venite  con  me,  che  ho  ordine  di  trattarvi  bene  e  di  far- 
vi coraggio.» 

Al  suono  d"  una  voce  di  donna,  la  poverina  provò  un  con- 
forto, un  coraggio  momentaneo;  ma  ricadde  subito  in  uno  spa- 
vento più  cupo.  «Chi  siete?»  disse  con  voce  tremante,  fis- 
sando lo  sguardo  attonito  in  viso  alla  vecchia. 

«Venite,  venite,  poverina,»  andava  questa  ripetendo.  H 
Nibbio  e  gli  altri  due,  argomentando  dalle  parole  e  dalla  vo- 
ce così  straordinariamente  raddolcita  di  colei,  quali  fossero 
l'intenzioni  del  signore,  cercavano  di  persuadere  con  le  buo- 
ne 1'  oppressa  a  ubbidire.  Ma  lei  seguitava  a  guardar  fuori  ; 
e  benché  il  luogo  selvaggio  e  sconosciuto,  e  la  sicurezza 
de'  suoi  guardiani  non  le  lasciassero  concepire  speranza  di 
soccorso,  apriva  non  ostante  la  bocca  per  gridare;  ma  veden- 
do il  Nibbio  far  gli  occhiacci  del  fazzoletto,  ritenne  il  grido, 
tremò,  si  storse,  fu  presa  e  messa  nella  bussola.  Dopo  e'  en- 
trò la  vecchia;  il  Nibbio  disse  ai  due  altri  manigoldi  che  an- 
dassero dietro,  e  prese  speditamente  la  salita,  per  accorrere 
ai  comandi  del  padrone. 

«Chi  siete?»  domandava  con   ansietà   Lucia  al  ceffo   sco- 


CAPITOLO    Sii.  261 

nosciuto  e  deforme:  «perchè   son  con  voi?  dove  sono?   dove 
mi  conducete?» 

«Da  chi  vuol  farvi  del  bene,»  rispondeva  la  vecchia,  «da 
un  gran  ....  Fortunati  quelli  a  cui  vuol  far  del  bene!  Buon 
per  voi,  buon  per  voi.  Non  abbiate  paura,  state  allegra,  che 
m'ha  comandato  di  farvi  coraggio.  Glielo  direte,  eh?  che 
v'ho  fatto  coraggio?» 

«Chi  è?  perchè?  che  vuol  da  me?  Io  non  son  sua.  Dite- 
mi dove  sono;  lasciatemi  andare;  dite  a  costoro  che  mi  la- 
scino andare,  che  mi  portino  in  qualche  chiesa.  Oh!  voi  che 
siete  una  donna,  in  nome  di  Maria  Vergine  .  .  .  .» 

Quel  nome  santo  e  soave,  già  ripetuto  con  venerazione 
nei  primi  anni,  e  poi  non  più  invocato  per  tanto  tempo,  né 
forse  sentito  proferire,  faceva  nella  mente  della  sciagurata  che 
lo  sentiva  in  quel  momento,  un'impressione  confusa,  strana, 
lenta,  come  la  rimembranza  della  luce,  in  un  vecchione  ac- 
cecato da  bambino. 

Intanto  l'innominato,  ritto  sulla  porta  del  castello,  guar- 
dava in  giù;  e  vedeva  la  bussola  venir  passo  passo,  come 
prima  la  carrozza,  e  avanti,  a  una  distanza  che  cresceva  ogni 
momento,  salir  di  corsa  il  Nibbio.  Quando  questo  fu  in  cima, 
il  signore  gli  accennò  che  lo  seguisse;  e  andò  con  lui  in  una 
stanza  del  castello. 

«Ebbene?»  disse,  fermandosi  lì. 

«Tutto  a  un  puntino,»  rispose,  inchinandosi,  il  Nibbio: 
«ravviso  a  tempo,  la  donna  a  tempo,  nessuno  sul  luogo,  un 
urlo  solo,  nessuno  comparso,  il  cocchiere  pronto,  i  cavalli 
bravi,  nessun  incontro:  ma  .  .  .  .» 

«Ma  che?» 

«Ma  ....  dico  il  vero,  che  avrei  avuto  più  piacere  che 
l'ordine  fosse  stato  di  darle  una  schioppettata  nella  schiena, 
senza  sentirla  parlare,  senza  vederla  iu  viso.» 

«Che?  cosa?  che  vuoi  tu  dire?» 

«Voglio  dire  che  tutto  quel  tempo,  tutto  quel  tempo  .... 
M'ha  fatto  troppa  compassione.» 

«Compassione!  Che  sai  tu  di  compassione?  Cos' è  la  com- 
passione?» 

«Non  l'ho  mai  capito  così  bene  come  questa  volta:  è  una 
storia  la  compassione  un  poco  come  la  paura:  se  uno  la  la- 
scia prender  possesso,  non  è  più  uomo.» 

«Sentiamo  un  poco  come  ha  fatto  costei  per  moverti  a 
compassione.» 

«0  signore  illustrissimo!  tanto  tempo  ....!  piangere,  pre- 
gare,  e  far   cert' occhi,  e   diventar  bianca  bianca  come  mor-  ■ 
ta,  e  poi  singhiozzare,  e  pregar  di  nuovo,  e  certe  parole > 

—  Non  la  voglio  in  casa  costei,  —  pensava  intanto  1*  in- 
nominato.   —    Sono   stato   una  bestia  a  impegnarmi;    ma  ho 


262  I    PROMESSI    SPOSI. 

promesso,  ho  promesso.  Quando  sarà  lontana  ....  —  E  al- 
zando la  testa,  in  atto  di  comando,  verso  il  Nibbio,  «ora,-) 
gli  disse,  «metti  da  parte  la  compassione:  monta  a  cavallo, 
prendi  un  compagno,  due  se  vuoi;  e  va  di  corsa  a  casa  di 
quel  don  Rodrigo  che  tu  sai.  Digli  che  mandi  ....  ma  subi- 
to subito,  perchè  altrimenti  . .. .» 

Ma  un  altro  no  interno  più  imperioso  del  primo  gli  proibì 
di  finire.  «No, a  disse  con  voce  risoluta,  quasi  per  esprimere 
a  sé  stesso  il  comando  di  quella  voce  segreta,  «no:  va  a  ri- 
posarti; e  domattina  ....  farai  quello  che  ti  dirò!» 

—  Un  qualche  demonio  ha  costei  dalla  sua,  —  pensava 
poi,  rimasto  solo,  ritto  con  le  braccia  incrociate  sul  petto,  e 
con  lo  sguardo  immobile  sur  una  parte  del  pavimento,  dove 
il  raggio  della  luna,  entrando  da  una  finestra  alta  alta,  dise- 
gnava un  quadrato  di  luce  pallida,  tagliata  a  scacchi  dalle 
grosse  inferriate,  e  intagliata  più  minutamente  dai  piccoli  com- 
partimenti delle  vetriate.  —  Un  qualche  demonio,  o  ....  un 
qualche  angelo  che  la  protegge  ....  Compassione  al  Nibbio  !  . .  . 
Domattina,  domattina  di  buon'ora,  fuor  di  qui  costei;  al  suo 
destino,  e  non  se  ne  parli  più,  e,  —  proseguiva  tra  sé,  con 
queir  animo  con  cui  si  comanda  a  un  ragazzo  indocile,  sapen- 
do che  non  ubbidirà,  e  non  ci  si  pensi  più.  Quell'animale 
di  don  Rodrigo  non  mi  venga  a  romper  la  testa  con  ringra- 
ziamenti; che....  non  voglio  più  sentir  parlar  di  costei.  L'ho 
servito  perchè  ....  perchè  ho  promesso:  e  ho  promesso  per- 
chè ....  è  il  mio  destino.  Ma  voglio  che  me  lo  paghi  bene 
questo  servizio,  colui.    Vediamo  un  poco  ....  — 

E  voleva  almanaccare  cosa  avrebbe  potuto  richiedergli  di 
scabroso,  per  compenso,  e  quasi  per  pena;  ma  gli  si  attra- 
versaron  di  nuovo  alla  mente  quelle  parole:  compassione  al 
Nibbio!  —  Come  può  aver  fatto  costei?  —  continuava,  stra- 
scinato da  quei  pensiero.  —  Voglio  vederla  ....  Eh!  no  ...  . 
Sì,  voglio  vederla. 

E  d'una  stanza  in  un'altra,  trovò  una  scaletta,  e  su  a 
tastone,  andò  alla  camera  della  veccbia,  e  picchiò  all'uscio 
con  un  calcio. 

«Chi  è?» 

«Apri.» 

A  quella  voce,  la  vecchia  fece  tre  salti;  e  subito  si  sentì 
scorrere  il  paletto  negli  anelli,  e  1'  uscio  si  spalancò.  L;  inno- 
minato, dalla  soglia,  diede  un'occhiata  in  giro;  e,  al  lume 
d"  una  lucerna  che  ardeva  sur  un  tavolino ,  vide  Lucia  ran- 
nicchiata in  terra,  nel  cauto  più  lontano  dall'uscio. 

«Chi  t'ha  detto  che  tu  la  buttassi  là  come  un  sacco  di 
cenci,  sciagurata?»  disse  alla  vecchia,  con  un  cipiglio  ira- 
condo. 

«S'è   messa  dove  le  è  piaciuto,»    rispose   umilmente  co- 


CAPITOLO   XXI.  263 

lei:  (ào  ho  fatto  di  tutto  per  farle  coraggio:  lo  può  dire  an- 
che lei;  ma  non  c'è  stato  verso.» 

«Alzatevi,»  disse  l'innominato  a  Lucia,  andandole  vicino. 
Ma  Lucia,  a  cui  il  picchiare,  l'aprire,  il  comparir  di  quel- 
l'uomo, le  sue  parole,  avevan  messo  un  nuovo  spavento  nel- 
1'  animo  spaventato,  stava  più  che  mai  raggomitolata  nel  can- 
tuccio, col"  viso  nascosto  tra  le  mani,  e  non  movendosi,  se  non 
che  tremava  tutta. 

«Alzatevi,  che  non  voglio  farvi  del  male  ....  e  posso  farvi 
del  bene,»  ripetè  il  signore  ....  «Alzatevi!»  tonò  poi  quella 
voce,  sdegnata  d'  aver  due  volte  comandato  invano. 

Come  rinvigorita  dallo  spavento ,  l' infelicissima  si  rizzò 
subito  inginocchioni ;  e  giungendo  le  mani,  come  avrebbe  fat- 
to davanti  a  un'immagine,  alzò  gli  occhi  in  viso  all'innomi- 
nato, e  riabbassandoli  subito,  disse:  «son  qui:  m'  am- 
mazzi.» 

«Y'ho  detto  che  non  voglio  farvi  del  male,»  rispose,  con 
voce  mitigata,  l'innominato,  fissando  quel  viso  turbato  dal- 
l' accoramento  e  dal  terrore. 

«Coraggio,  coraggio,»  diceva  la  vecchia:  «se  ve  lo  dice 
lui,  che  non  vuol  farvi  male  ....  » 

«E  perchè,»  riprese  Lucia  con  una  voce,  in  cui,  col  tre- 
mito della  paura,  si  sentiva  una  certa  sicurezza  dell' indegna- 
zione disperata,  «perchè  mi  fa  patire  le  pene  dell'inferno? 
Cosa  le  ho  fatto  io?  . .  .  .» 

«V'hanno  forse  maltrattata?    Parlate.» 

«Oh  maltrattata!  M'hanno  presa  a  tradimento,  per  for- 
za! perchè?  perchè  m'hanno  presa?  perchè  son  qui?  dove 
sono?  Sono  una  povera  creatura:  cosa  le  ho  fatto?  In  nome 
di  Dio  .  .  .  .» 

«Dio,  Dio,»  interruppe  l'innominato:  «sempre  Dio  colo- 
ro che  non  possono  difendersi  da  sé,  che  non  hanno  la  forza, 
sempre  han  questo  Dio  da  mettere  in  campo,  come  se  gli 
avessero  parlato.  Cosa  pretendete  con  codesta  vostra  parola? 
di  farmi  ...  ?»  e  lasciò  la  frase  a  mezzo. 

«Oh  Signore!  pretendere!  Cosa  posso  pretendere  io  me- 
schina, se  non  che  lei  mi  usi  misericordia?  Dio  perdona  tante 
cose,  per  un'opera  di  misericordia!  Mi  lasci  andare;  per  ca- 
rità mi  lasci  andare!  Non  torna  conto  a  uno  che  un  giorno 
deve  morire  di  far  patir  tanto  una  povera  creatura.  Oh!  lei 
che  può  comandare,  dica  che  mi  lascino  andare!  M'hanno 
portata  qui  per  forza.  Mi  mandi  con  questa  donna  a  *  *  *, 
dov'  è  mia  madre.  Oh  Vergine  santissima!  mia  madre!  mia 
madre,  per  carità,  mia  madre  !  Forse  non  è  lontana  di  qui . . . 
ho  veduto  i  miei  monti!  Perchè  lei  mi  fa  patire?  Mi  faccia 
condurre  in  una  chiesa.  Pregherò  per  lei  tutta  la  mia  vita. 
Cosa  le  costa  dire  una  parola?  Oh  ecco!  vedo  che  si  move  a 


264  I    PEOMESSI    SPOSI. 

compassione:    dica  una  parola,    la  dica.    Dio  perdona  tante 
cose  per  un'opera  di  misericordia!» 

—  Oh  perchè  non  è  figlia  d'  uno  di  quei  cani  che  m'  han- 
no bandito!  —  pensava  l'innominato:  —  d'uno  di  quei  vili 
che  mi  vorrebbero  morto!  che  ora  godrei  di  questo  suo  stril- 
lare; e  in  vece  ....  — 

«Xon  iscacci  una  buona  ispirazione!»  proseguiva  fervida- 
mente Lucia,  rianimata  dal  vedere  una  cert'  aria  d'  esitazione 
nel  viso  e  nel  contegno  del  suo  tiranno.  «Se  lei  non  mi  fa 
questa  carità,  me  la  farà  il  Signore:  mi  farà  morire,  e  per  me 
sarà  finita;  ma  lei!  ...  .  Forse  un  giorno  anche  lei  ....  Ma 
no^  no;  pregherò  sempre  io  il  Signore  che  la  preservi  da 
ogni  male.  Cosa  le  costa  dire  una  parola?  Se  provasse  lei 
a  patir  queste  pene  ....!» 

■  Via,  fatevi  coraggio,»  interruppe  l'innominato,  con  una 
dolcezza  che  fece  trasecolar  la  vecchia.  «V'ho  fatto  nessun 
male?     V'ho  minacciata?» 

«Oh  no!  Vedo  che  lei  ha  buon  cuore,  e  che  sente  pietà 
di  questa  povera  creatura.  Se  lei  volesse,  potrebbe  farmi 
paura  più  di  tutti  gli  altri,  potrebbe  farmi  morire;  e  in  vece 
mi  ha  ....  un  po'  allargato  il  cuore.  Dio  gliene  renderà 
merito.  Compisca  l'opera  di  misericordia:  mi  liberi,  mi 
liberi.» 

«Domattina  .  .  .  .» 

«Oh  mi  liberi  ora,  subito  .  .  .  .» 

«Domattina  ci  rivedremo,  vi  dico.  Via,  intanto  fatevi  co- 
raggio. Riposate.  Dovete  aver  bisogno  di  mangiare.  Ora  ve 
ne  porteranno.» 

«Xo,  no,  io  moio  se  alcuno  entra  qui:  io  moio.  Mi  con- 
duca lei  in  chiesa  ....  que'  passi  Dio  glielo  conterà.  » 

«Verrà  una  donna  a  portarvi  da  mangiare,»  disse  l'in- 
nominato; e  dettolo,  rimase  stupito  anche  lui  che  gli  fosse 
venuto  in  mente  un  tal  ripiego,  e  che  gli  fosse  nato  il  biso- 
gno di  cercarne  uno,  per  assicurare  una  donnicciola. 

E  tu,.)  riprese  poi  subito,  voltandosi  alla  vecchia,  «falle 
coraggio  che  mangi;  mettila  a  dormire  in  questo  letto:  e  se 
ti  vuole  in  compagnia,  bene;  altrimenti,  tu  puoi  ben  dormire 
una  notte  in  terra.  Falle  coraggio,  ti  dico;  tienla  allegra. 
E  che  non  abbia  a  lamentarsi  di  te!» 

Così  detto,  si  mosse  rapidamente  verso  l'uscio.  Lucia 
8' alzò  e  corse  per  trattenerlo,  e  rinnovare  la  sua  preghiera; 
ma  era  sparito. 

«Oh  povera  me!  Chiudete,  chiudete  subito.»  E  sentito 
eh'  ebbe  accostare  i  battenti  e  scorrere  il  paletto ,  tornò  a 
rannicchiarsi  nel  suo  cantuccio.  «Oh  povera  me!»  esclamò 
di  nuovo  singhiozzando:     chi  pregherò  ora?  Dove  sono?   Di- 


CAPITOLO    XXI.  265 

temi  voi,  ditemi  per  carità,  chi  è  quel  signore  ....  quello  che 
m'ha  parlato?» 

«Chi  è,  eh?  chi  è?  Volete  ch'io  ve  lo  dica.  Aspetta 
ch'io  te  lo  dica.  Perchè  vi  protegge,  avete  messo  su  super- 
bia; e  volete  essere  soddisfatta  voi,  e  farne  andar  di  mezzo 
me.  Domandatene  a  lui.  S' io  vi  contentassi  anche  in  que- 
sto, non  mi  toccherebbe  di  quelle  buone  parole  che  avete  sen- 
tite voi.»  —  Io  son  vecchia,  son  vecchia,  —  continuò  mor- 
morando tra  i  denti.  —  Maledette  le  giovani;  che  fan  belve- 
dere a  piangere  e  a  ridere,  e  hanno  sempre  ragione.  —  Ma 
sentendo  Lucia  singhiozzare,  e  tornandole  minaccioso  alla 
mente  il  comando  del  padrone,  si  chinò  verso  la  povera  rin- 
cantucciata, e,  con  voce  raddolcita,  riprese:  «via,  non  v'ho 
detto  niente  di  male:  state  allegra.  Non  mi  domandate  di 
quelle  cose  che  non  vi  posso  dire:  e  del  resto  state  di  buon 
animo.  Oh  se  sapeste  quanta  gente  sarebbe  contenta  di  sen- 
tirlo parlare  come  ha  parlato  a  voi!  State  allegra,  che  or 
ora  verrà  da  mangiare;  e  io  che  capisco  ....  nella  maniera 
che  v'  ha  parlato ,  ci  sarà  della  roba  buona.  E  poi  anderete 
a  letto,  e  ....  mi  lascerete  un  cantuccino  anche  a  me,  spero,» 
soggiunse,  con  una  voce,  suo  malgrado,  stizzosa. 

«Xon  voglio  mangiare,  non  voglio  dormire.  Lasciatemi 
stare,  non  v'accostate;  non  partite  di  qui!» 

«No,  no,  via,»  disse  la  vecchia,  ritirandosi  e  mettendosi 
a  sedere  sur  una  seggiolaccia,  donde  dava  alla  poverina  certe 
occhiate  di  terrore  e  d'astio  insieme;  e  poi  guardava  il  suo 
covo,  rodendosi  d'esserne  forse  esclusa  per  tutta  la  notte,  e 
brontolando  contro  il  freddo.  Ma  si  rallegrava  col  pensiero 
della  cena,  e  con  la  speranza  che  ce  ne  sarebbe  anche  per 
lei.  Lucia  non  s'avvedeva  del  freddo,  non  sentiva  la  fame, 
e  come  sbalordita,  non  aveva  de' suoi  dolori,  de' suoi  terrori 
stessi,  che  un  sentimento  confuso,  simile  all'  immagini  sognate 
da  un  febbricitante. 

Si  riscosse  quando  sentì  picchiare;  e,  alzando  la  faccia 
atterrita,  gridò:  «chi  è?  chi  è?     Xon  venga  nessuno!» 

«Nulla,  nulla;  buone  nuove,»  disse  la  vecchia:  «è  Marta 
che  porta  da  mangiare.» 

«Chiudete,  chiudete,»  gridava  Lucia. 

«Ih!  subito,  subito,»  rispondeva  la  vecchia;  e  presa  una 
paniera  dalle  mani  di  quella  Marta,  la  mandò  via,  richiuse,  e 
venne  a  posar  la  paniera  sur  una  tavola  nel  mezzo  della  ca- 
mera. Invitò  poi  più  volte  Lucia  che  venisse  a  goder  di  quel- 
la buona  roba.  Adoprava  le  parole  più  efficaci,  secondo  lei, 
a  mettere  appetito  alla  poverina,  prorompeva  in  esclamazioni 
sulla  squisitezza  de' cibi:  «di  que' bocconi  che,  quando  le 
persone  come  noi  possono  arrivare  a  assaggiarne,  se  ne  ricor- 
dan  per  un  pezzo!     Del  vino   che   beve  il  padrone  co' suoi 


266  I   PEOMESSI    SPOSI. 

amici  ....  quando  capita  qualcheduno  di  quelli  ....  !  e  vo- 
gliono stare  allegri!  Ehm!»  Ma  vedendo  che  tutti  gl'in- 
canti riuscivano  inutili,  «siete  voi  che  non  volete,»  disse. 
«Non  istate  poi  a  dirgli  domani  ch'io  non  v'ho  fatto  corag- 
gio. Mangerò  io;  e  ne  resterà  più  che  abbastanza  per  voi, 
per  quando  metterete  giudizio,  e  vorrete  ubbidire.»  Così 
detto,  si  mise  a  mangiare  avidamente.  Saziata  che  fu,  s'  alzò, 
andò  verso  il  cantuccio,  e,  chinandosi  sopra  Lucia,  l'invitò 
di  nuovo  a  mangiare,  per  andar  poi  a  ietto. 

«No,  no,  non  voglio  nulla,»  rispose  questa,  con  voce  fiac- 
ca e  come  sonnolenta.  Poi,  con  più  risolutezza,  riprese:  «è 
serrato  l'uscio?  è  serrato  bene?»  E  dopo  aver  guardato  in 
giro  per  la  camera,  s'alzò,  e  con  le  mani  avanti,  con  passo 
sospettoso,  andava  verso  quella  parte. 

La  vecchia  ci  corse  prima  di  lei,  stese  la  mano  al  paletto, 
lo  scosse,  e  disse:  «sentite?  vedete?  è  serrato  bene?  siete 
contenta  ora?» 

«Oh  contenta!  contenta  io  qui?»  disse  Lucia,  rimetten- 
dosi di  nuovo  nel  suo  cantuccio.  «Ma  il  Signore  lo  sa  che 
ci  sono!» 

«Venite  a  letto:  cosa  volete  far  lì,  accucciata  come  un 
cane?  S'è  mai  visto  rifiutare  i  comodi,  quando  si  possono 
avere?» 

«No,  no;  lasciatemi  stare.» 

«Siete  voi  che  lo  volete.  Ecco,  io  vi  lascio  il  posto  buo- 
no: mi  metto  sulla  sponda;  starò  incomoda  per  voi.  Se  vo- 
lete venire  a  letto,  sapete  come  avete  a  fare.  Ricordatevi  ciie 
v'ho  pregata  più  volte.»  Così  dicendo,  si  cacciò  sotto,  ve- 
stita; e  tutto  tacque. 

Lucia  stava  immobile  in  quel  cantuccio,  tutta  in  un  gomi- 
tolo, con  le  ginocchia  alzate,  con  le  mani  appoggiate  sulle 
ginocchia,  e  col  viso  nascosto  nelle  mani.  Non  era  il  suo  né 
sonno  né  veglia,  ma  una  rapida  successione,  una  torbida  vi- 
cenda di  pensieri,  d'immaginazioni,  di  spaventi.  Ora,  più 
presente  a  sé  stessa,  e  rammentandosi  più  distintamente  gli 
orrori  veduti  e  sofferti  in  quella  giornata,  s'applicava  dolo- 
rosamente alle  circostanze  dell'  oscura  e  formidabile  realtà  in 
cui  si  trovava  avviluppata;  ora  la  mente,  trasportata  in  una 
regione  ancor  più  oscura,  si  dibatteva  contro  i  fantasmi  nati 
dall'incertezza  e  dal  terrore.  Stette  un  pezzo  in  quest'an- 
goscia; alfine,  più  che  mai  stanca  e  abbattuta,  stese  le  mem- 
bra intormentite,  si  sdraiò,  o  cadde  sdraiata,  e  rimase  al- 
quanto in  uno  stato  più  somigliante  a  un  sonno  vero.  Ma 
tutt' a  un  tratto  si  risentì,  come  a  una  chiamata  interna,  e 
provò  il  bisogno  di  risentirsi  interamente,  di  riaver  tutto  il 
suo  pensiero,  di  conoscere  dove  fosse,  come,  perchè.  Tese 
l'orecchio  a  un  suono:  era  il  russare  lento,  arrantolato  dolla 


CAPITOLO    XXI.  267 

vecchia;  spalancò  gli  occhi,  e  vide  un  chiarore  fioco  apparire 
e  sparire  a  vicenda  :  era  il  lucignolo  della  lucerna,  che,  vicino 
a  spegnersi,  scoccava  una  luce  tremola,  e  subito  la  ritirava, 
per  dir  così,  indietro,  come  è  il  venire  e  l'andare  dell'  onda 
sulla  riva:  e  quella  luce,  fuggendo  dagli  oggetti,  prima  che 
prendessero  da  essa  rilievo  e  colore  distinto,  non  rappresen- 
tava allo  sguardo  che  una  successione  di  guazzabugli.  Ma 
ben  presto  le  recenti  impressioni,  ricomparendo  nella  mente, 
1'  aiutarono  a  distinguere  ciò  che  appariva  confuso  al  senso. 
L' infelice  risvegliata  riconobbe  la  sua  prigione  :  tutte  le  me- 
morie dell' orribil  giornata  trascorsa,  tutti  i  terrori  dell'avve- 
nire, l'assalirono  in  una  volta:  quella  nuova  quiete  stessa 
dopo  tante  agitazioni,  quella  specie  di  riposo,  queir  abban- 
dono in  cui  era  lasciata,  le  facevano  un  nuovo  spavento;  e  fu 
vinta  da  un  tale  affanno,  che  desiderò  di  morire.  Ma  in  quel 
momento,  si  rammentò  che  poteva  almen  pregare,  e  insieme 
con  quel  pensiero,  le  spuntò  in  cuore  come  un'improvvisa 
speranza.  Prese  di  nuovo  la  sua  corona,  e  ricominciò  a  dire 
il  rosario;  e,  di  mano  in  mano  che  la  preghiera  usciva  dal 
suo  labbro  tremante,  il  cuore  sentiva  crescere  una  fiducia  in- 
determinata. Tutt'a  un  tratto,  le  passò  per  la  mente  un  al- 
tro pensiero:  che  la  sua  orazione  sarebbe  stata  più  accetta  e 
più  certamente  esaudita,  quando,  nella  sua  desolazione,  facesse 
anche  qualche  offerta.  Si  ricordò  di  quello  che  aveva  di  più 
caro,  o  che  di  più  caro  aveva  avuto;  giacché,  in  quel  momen- 
to, 1'  animo  suo  non  poteva  sentire  altra  affezione  che  di  spa- 
vento,  né  concepire  altro  desiderio  che  della  liberazione;  se 
ne  ricordò ,  e  risolvette  subito  di  farne  un  sacrifizio.  S'  alzò, 
e  si  mise  in  ginocchio,  e  tenendo  giunte  al  petto  le  mani, 
dalle  quali  pendeva  la  corona,  alzò  il  viso  e  le  pupille  al 
cielo,  e  disse:  «o  Vergine  santissima!  Voi,  a  cui  m'i  sono 
raccomandata  tante  volte,  e  che  tante  volte  m'avete  conso- 
lata !  Voi  che  avete  patito  tanti  dolori,  e  siete  ora  tanto  glo- 
riosa, e  avete  fatti  tanti  miracoli  per  i  poveri  tribolati;  aiu- 
tatemi! fatemi  uscire  da  questo  pericolo,  fatemi  tornar  salva 
con  mia  madre,  o  Madre  del  Signore;  e  fo  voto  a  voi  di  ri- 
maner vergine;  rinunzio  per  sempre  a  quel  mio  poveretto,  pei 
non  esser  mai  d'altri  che  vostra.» 

Proferite  queste  parole,  abbassò  la  testa,  e  si  mise  la  co- 
rona intorno  al  collo,  quasi  come  un  segno  di  consecrazione, 
e  una  salvaguardia  a  un  tempo,  come  un'  armatura  della 
nuova  milizia  a  cui  s'  era  ascritta.  Rimessasi  a  sedere  in 
terra,  sentì  entrar  nell'animo  una  certa  tranquillità,  una  lar- 
ga fiducia.  Le  venne  in  mente  quei  domattina  ripetuto  dallo 
sconosciuto  potente,  e  le  parve  di  sentire  in  quella  parola  una 
promessa  di  salvazione.  I  sensi  affaticati  da  tanta  guerra 
s' assopirono   a  poco  a  poco  in  quel!'  acquietamento  di  pen- 


268 


I    PROMESSI    SPOSI. 


sieri;  e  finalmente,  già  vicino  a  giorno,  col  nome  della  sua 
protettrice  tronco  tra  le  labbra,  Lucia  s'addormentò  d'un 
sonno  perfetto  e  continuo. 

Ma  e'  era  qualchedun  altro  in  quello  stesso  castello ,  che 
avrebbe  voluto  fare  altrettanto,  e  non  potè  mai.  Partito,  o 
quasi  scappato  da  Lucia,  dato  l'ordine  per  la  cena  di  lei, 
fatta  una  consueta  visita  a  certi  posti  del  castello,  sempre  con 
queir  immagine  viva  nella  mente ,  e  con  quelle  parole  riso- 
nanti all'  orecchio ,  il  signore  s'  era  andato  a  cacciare  in  ca- 
mera, s'  era  chiuso  dentro  in  fretta  e  in  furia,  come  se  avesse 
avuto  a  trincerarsi  contro  una  squadra  di  nemici;  e  spoglia- 
tosi, pure  in  furia,  era  andato  a  letto.  Ma  quell'immagine, 
più  che  mai  presente,  parve  che  in  quel  momento  gli  dicesse: 
tu  non  dormirai.  —  Che  sciocca  curiosità  da  donnicciola,  — 
pensava,  —  in'  è  venuta  di  vederla?  Ha  ragione  quel  be- 
stione del  Nibbio;  uno  non  è  più  uomo;  è  vero,  non  è  più 
uomo!  ....  Io?  ....  io  non  son  più  uomo,  io?  Cos'è  stato? 
che  diavolo  m' è  venuto  addosso?  che  c'è  di  nuovo?  Non 
lo  sapevo  io  prima  d'ora,  che  le  donne  strillano?  Strillano 
anche  gli  uomini  alle  volte,  quando  non  si  possono  rivoltare. 
Che  diavolo!  non  ho  mai  sentito  belar  donne?  — 

E  qui,  senza  che  s'affaticasse  molto  a  rintracciare  nella 
memoria,  la  memoria  da  sé  gli  rappresentò  più  d'  un  caso  in 
cui  né  preghi  né  lamenti  non  Y  avevano  punto  smosso  dal 
compire  le  sue  risoluzioni.  Ma  la  rimembranza  di  tali  im- 
prese, non  che  gli  ridonasse  la  fermezza,  che  già  gli  man- 
cava, di  compir  questa;  non  che  spegnesse  nell'anima  quella 
molesta  pietà;  vi  destava  in  vece  una  specie  di  terrore,  una 
non  so  qual  rabbia  di  pentimento.  Di  maniera  che  gli  parve 
un  sollievo  il  tornare  a  quella  prima  immagine  di  Lucia,  con- 
tro la  quale  aveva  cercato  di  rinfrancare  il  suo  coraggio.  — 
È  viva  costei,  —  pensava,  è  qui;  sono  a  tempo;  le  posso 
dire:  andate,  rallegratevi;  posso  veder  quel  viso  cambiarsi,  le 
posso  anche  dire:  perdonatemi  ....  Perdonatemi?  io  doman- 
dar perdono?  a  una  donna?  io  .  .  .  .  !  Ah,  eppure!  se  una 
parola,  una  parola  tale  mi  potesse  far  bene,  levarmi  d'ad- 
dosso un  po' di  questa  diavoleria,  la  direi;  eh!  sento  che  la 
direi.  A  che  cosa  son  ridotto!  Xon  son  più  uomo,  non 
son  più  uomo!  ....  Via!  —  disse  poi,  rivoltandosi  arrabbia- 
tamente nel  letto  divenuto  duro  duro,  sotto  le  coperte  dive- 
nute pesanti  pesanti:  —  via!  sono  sciocchezze  che  mi  son 
passate  per  la  testa  altre  volte.     Passerà  anche  questa.  — 

E  per  farla  passare,  andò  cercando  col  pensiero  qualche 
cosa  importante,  qualcheduna  di  quelle  che  solevano  occu- 
parlo fortemente,  onde  applicarvelo  tutto;  ma  non  ne  trovò 
nessuna.  Tutto  gli  appariva  cambiato:  ciò  che  altre  volte  sti- 
molava più    fortemente  i  suoi   desidèri,    ora   non    aveva    jiù 


CAPITOLO    XXI.  269 

nulla  di  desiderabile:  la  passione,  come  un  cavallo  divenuto 
tutt' a  un  tratto  restìo  per  un'ombra,  non  voleva  più  andare 
avanti.  Pensando  all'imprese  avviate  e  non  finite,  in  vece 
d"  animarsi  al  compimento ,  in  vece  d' irritarsi  degli  ostacoli 
(che  l'ira  in  quel  momento  gli  sarebbe  parsa  soave),  sentiva 
una  tristezza,  quasi  uno  spavento  dei  passi  già  fatti.  Il  tem- 
po gli  s'  allacciò  davanti  vóto  d"  ogni  intento ,  d'  ogni  occu- 
pazione, d'ogni  volere,  pieno  soltanto  di  memorie  intollera- 
bili; tutte  l'ore  somiglianti  a  quella  che  gli  passava  così  len- 
ta, così  pesante  sul  capo.  Si  schierava  nella  fantasia  tutti  i 
suoi  malandrini,  e  non  trovava  da  comandare  a  nessuno  di 
loro  una  cosa  che  gì' importasse:  anzi  l'idea  di  rivederli,  di 
trovarsi  tra  loro,  era  un  nuovo  peso,  un'idea  di  schifo  e 
d' impiccio.  E  se  volle  trovare  un'  occupazione  per  l' indo- 
mani, un'opera  fattibile,  dovette  pensare  che  all'indomani 
poteva  lasciare  in  libertà  quella  poverina. 

—  La  libererò,  sì:  appena  spunti  il  giorno,  correrò  da 
lei,  e  le  dirò:  andate,  andate.  La  farò  accompagnare  ...  E 
la  promessa?  e  l' impegno?  e  don  Rodrigo?  ....  Chi  è  don 
Rodrigo?  — 

A  guisa  di  chi  è  colto  da  una  interrogazione  inaspettata 
e  imbarazzante  d'un  superiore,  1*  innominato  pensò  subito  a 
rispondere  a  questa  che  s'era  fatta  lui  stesso,  o  piuttosto 
quel  nuovo  lui,  che  cresciuto  terribilmente  a  un  tratto,  sor- 
geva come  a  giudicare  1'  antico.  Andava  dunque  cercando  le 
ragioni  per  cui,  prima  quasi  d'esser  pregato,  s'era  potuto 
risolvere  a  prender  l' impegno  di  far  tanto  patire ,  senz'  odio, 
senza  timore,  un'infelice  sconosciuta,  per  servire  colui;  ma, 
non  che  riuscisse  a  trovar  ragioni  che  in  quel  momento  gli 
paressero  buone  a  scusare  il  fatto,  non  sapeva  quasi  spiegare 
a  sé  stesso  come  ci  si  fosse  indotto.  Quel  volere,  piuttosto 
che  una  deliberazione,  era  stato  un  movimento  istantaneo  del- 
l'animo  ubbidiente  a  sentimenti  antichi,  abituali,  una  con- 
seguenza di  mille  fatti  antecedenti  ;  e  il  tormentato  esaminator 
di  sé  stesso,  per  rendersi  ragione  d"  un  sol  fatto,  si  trovò  in- 
golfato nell'esame  di  tutta  la  sua  vita.  Indietro,  indietro, 
d'anno  in  anno,  d'impegno  in  impegno,  di  sangue  in  san- 
gue, di  scelleratezza  in  scelleratezza:  ognuna  ricompariva  al- 
l'animo consapevole  e  nuovo,  separata  da' sentimenti  che 
V  avevan  fatta  volere  e  commettere ,  ricompariva  con  una  mo- 
struosità che  que'  sentimenti  non  avevano  allora  lasciato  scor- 
gere in  essa.  Eran  tutte  sue,  eran  lui:  l'orrore  di  questo 
pensiero,  rinascente  a  ognuna  di  queir  immagini,  attaccato  a 
tutte,  crebbe  fino  alla  disperazione.  S'  alzò  in  furia  a  sedere, 
gettò  in  furia  le  mani  alla  parete  accanto  al  letto ,  afferrò  una 
pistola,  la  staccò,  e  ....  al  momento  di  finire  una  vita  dive- 


270  I   PROMESSI    SPOSI. 

nuta  insopportabile,  il  suo  pensiero  sorpreso  da  un  terrore, 
da  un'inquietudine,  per  dir  così,  superstite,  si  slanciò  nel 
tempo  che  pure  continuerebbe  a  scorrere  dopo  la  sua  fi- 
ne. S' immaginava  con  raccapriccio  il  suo  cadavere  sfor- 
mato, immobile,  in  balìa  del  più  vile  sopravvissuto;  la 
sorpresa,  la  confusione  nel  castello,  il  giorno  dopo  :  ogni  cosa 
sottosopra;  lui,  senza  forza,  senza  voce,  buttato  chi  sa  dove. 
Immaginava  \  discorsi  che  se  ne  sarebber  fatti  lì,  d'intorno, 
lontano,  la  gioia  de' suoi  nemici.  Anche  le  tenebre,  anche  il 
silenzio,  gli  facevan  veder  nella  morte  qualcosa  di  più  tristo, 
di  spaventevole;  gli  pareva  che  non  avrebbe  esitato,  se  fosse 
stato  di  giorno ,  all'  aperto ,  in  faccia  alla  gente  :  buttarsi  in 
un  fiume  e  sparire.  E  assorto  in  queste  contemplazioni  tor- 
mentose, andava  alzando  e  riabbassando,  con  una  forza  con- 
vulsiva del  pollice,  il  cane  della  pistola;  quando  gli  balenò  in 
mente  un  altro  pensiero.  —  Se  queir  altra  vita  di  cui  m'  han- 
no parlato  quand'ero  ragazzo,  di  cui  parlano  sempre,  come 
se  fosse  cosa  sicura ,  se  quella  vita  non  e'  è ,  se  è  un'  inven- 
zione de' preti;  che  fo  io?  perchè  morire?  cos'importa  quel- 
lo che  ho  fatto?  cos'importa?  è  una  pazzia  la  mia  ....  E 
se  e'  è  quest'  altra  vita  ....  !  — 

A  un  tal  dubbio,  a  un  tal  rischio,  gli  venne  addosso  una 
disperazione  più  nera,  più  grave,  dalla  quale  non  si  poteva 
fuggire,  neppur  con  la  morte.  Lasciò  cader  l'arme,  e  stava 
con  le  mani  ne' capelli,  battendo  i  denti,  tremando.  Tutt' a 
un  tratto,  gli  tornarono  in  mente  parole  che  aveva  sentite  e 
risentite,  poche  ore  prima:  —  Dio  perdona  tante  cose,  per 
un'  opera  di  misericordia  !  —  e  non  gli  tornavan  già  con 
quell'accento  d'umile  preghiera,  con  cui  erano  state  profe- 
rite; ma  con  un  suono  pieno  d'autorità,  e  che  insieme  indu- 
ceva una  lontana  speranza.  Fu  quello  un  momento  di  sol- 
lievo: levò  le  mani  dalle  tempie,  e,  in  un'attitudine  più  com- 
posta, fissò  gli  occhi  della  mente  in  colei  da  cui  aveva  sentite 
quelle  parole:  e  la  vedeva,  non  come  la  sua  prigioniera,  non 
come  una  supplichevole,  ma  in  atto  di  chi  dispensa  grazie  e 
consolazioni.  Aspettava  ansiosamente  il  giorno,  per  correre  a 
liberarla,  a  sentire  dalla  bocca  di  lei  altre  parole  di  refrigerio 
e  di  vita;  s'immaginava  di  condurla  lui  stesso  alla  madre. — 
E  poi?  che  farò  domani,  il  resto  della  giornata?  che  farò  do- 
man  l'altro?  che  farò  dopo  doman  l'altro?  E  la  notte?  la 
notte,  che  tornerà  tra  dodici  ore!  0  la  notte!  no,  no,  la  not- 
te! —  E  ricaduto  nel  vóto  penoso  dell'avvenire,  cercava  in- 
darno un  impiego  dei  tempo,  una  maniera  di  passare  i  gior- 
ni, le  notti.  Ora  si  proponeva  d'abbandonare  il  castello,  e 
d'  andarsene  in  paesi  lontani,  dove  nessun  lo  conoscesse  nep- 
pur di  nome;  ma  sentiva  che  lui,  lui  sarebbe  sempre  con  sé; 
ora  gli  rinasceva  una  fosca  speranza  di  ripigliar  1'  animo  an- 


CAPITOLO    XXI.  271 

tico,  le  antiche  voglie;  e  che  quello  fosse  come  un  delirio  pas- 
seggiero;  ora  temeva  il  giorno,  che  doveva  farlo  vedere  a' suoi 
così  miserabilmente  mutato  ;  ora  lo  sospirava,  come  se  dovesse 
portar  la  luce  anche  ne'  suoi  pensieri.  Ed  ecco,  appunto  sul- 
l' albeggiare ,  pochi  momenti  dopo  che  Lucia  s' era  addor- 
mentata, ecco  che,  stando,  così  immoto  a  sedere,  sentì  arri- 
varsi all'  orecchio  come  un'  onda  di  suono  non  bene  espres- 
so ,  ma  che  pure  aveva  non  so  che  d'  allegro.  Stette  attento, 
e  riconobbe  uno  scampanare  a  festa  lontano;  e  dopo  qualche 
momento,  sentì  anche  l'eco  del  monte,  che  ogni  tanto  ripe- 
teva languidamente  il  concento,  e  si  confondeva  con  esso.  Di 
lì  a  poco,  sente  un  altro  scampanìo  più  vicino,  anche  quello 
a  festa;  poi  un  altro.  —  Che  allegria  e'  è?  —  Cos'hanno  di 
bello  tutti  costoro?  —  Saltò  fuori  da  quel  covile  di  pruni;  e 
vestitosi  a  mezzo,  corse  a  aprir  una  finestra;  e  guardò.  Le 
montagne  eran  mezze  velate  di  nebbia;  il  cielo,  piuttosto  che 
nuvoloso,  era  tutto  una  nuvola  cenerognola;  ma,  al  chiarore 
che  pure  andava  a  poco  a  poco  crescendo,  si  distingueva, 
nella  strada  in  fondo  alla  valle,  gente  che  passava,  altra  che 
usciva  dalle  case,  e  s'avviava,  tutti  dalla  stessa  parte,  verso 
lo  sbocco,  a  destra  del  castello,  tutti  col  vestito  delle  feste,  e 
con  un'  alacrità  straordinaria. 

—  Che  diavolo  hanno  costoro?  che  c'è  d'allegro  in  que- 
sto maledetto  paese?  dove  va  tutta  quella  canaglia?  —  E  data 
una  voce  a  un  bravo  fidato  che  dormiva  in  una  stanza  ac- 
canto, gli  domandò  qual  fosse  la  cagione  di  quel  movimento. 
Quello,  che  ne  sapeva  quanto  lui,  rispose  che  anderebbe  su- 
bito a  informarsene.  Il  signore  rimase  appoggiato  alla  fine- 
stra, tutto  intento  al  mobile  spettacolo.  Erano  uomini,  donne, 
fanciulli,  a  brigate,  a  coppie,  soli;  uno  raggiungendo  chi  gli 
era  avanti,  s'accompagnava  con  lui;  un  altro,  uscendo  di 
casa,  s'univa  col  primo  che  rintoppasse;  e  andavano  insieme, 
come  amici  a  un  viaggio  convenuto.  Gli  atti  indicavano  ma- 
nifestamente una  fretta  e  una  gioia  comune:  e  quel  rimbombo 
non  accordato  ma  consentaneo  delle  varie  campane,  quali  più. 
quali  meno  vicine,  pareva,  per  dir  così,  la  voce  di  que' gesti. 
e  il  supplimento  delle  parole  che  non  potevano  arrivar  lassù. 
Guardava,  guardava;  e  gli  cresceva  in  cuore  una  più  che  cu- 
riosità di  saper  cosa  mai  potesse  comunicare  un  trasporto 
uguale  a  tanta  gente  diversa. 


274  I    PROMESSI    SPOSI. 

poi  disse  o  balbettò:  «non  saprei  se  monsignore  illustrissimo 
...  in  questo  momento  ....  si  trovi ....  sia  ...  .  possa  .... 
Basta,  vado  a  vedere.»  E  andò  a  malincorpo  a  far  P  imba- 
sciata nella  stanza  vicina,  dove  si  trovava  il  cardinale. 

A  questo  punto  della  nostra  storia,  noi  non  possiam  far 
a  meno  di  non  fermarci  qualche  poco,  come  il  viandante 
stracco  e  tristo  da  un  lungo  camminare  per  un  terreno  aride 
e  salvatico,  si  trattiene  e  perde  un  po'  di  tempo  all'  ombr 
d'  un  beli'  albero,  sulF  erba,  vicino  a  una  fonte  d'  acqua  viva. 
Ci  siamo  abbattuti  in  un  personaggio,  il  nome  e  la  memoria 
dei  quale,  affacciandosi  in  qualunque  tempo,  alla  mente,  la 
ricreano  con  una  placida  commozione  di  riverenza,  e  con  un 
senso  giocondo  di  simpatia:  ora,  quanto  più  dopo  tante  im- 
magini di  dolore,  dopo  la  contemplazione  d' una  moltiplico 
e  fastidiosa  perversità!  Intorno  a  questo  personaggio  bisogna 
assolutamente  che  noi  spendiamo  quattro  parole:  chi  non  si 
curasse  di  sentirle,  e  avesse  però  voglia  d' andare  avanti 
nella  storia,  salti  addirittura  al  capitolo  seguente. 

Federigo  Borromeo,  nato  nel  1564,  fu  degli  uomini  rari  in 
qualunque  tempo,  che  abbiano  impiegato  un  ingegno  egregio, 
tutti  i  mezzi  d'una  grand' opulenza,  tutti  i  vantaggi  d'una 
condizione  privilegiata,  un  intento  continuo,  nella  ricerca  e 
neh"  esercizio  del  meglio.  La  sua  vita  è  come  un  ruscello 
che,  scaturito  limpido  dalla  roccia  senza  ristagnare  né  intor- 
bidarsi mai,  in  un  lungo  corso  per  diversi  terreni,  va  limpido 
a  gettarsi  nel  fiume.  Tra  gli  agi  e  le  pompe,  baciò  fin  dalla 
puerizia  a  quelle  parole  d'  annegazione  e  di  umiltà,  a  quelle 
massime  intorno  alla  vanità  de'  piaceri,  all'  ingiustizia  del- 
l' orgoglio,  alla  vera  dignità,  e  a'  veri  beni,  che,  sentite  o  non 
sentite  ne' cuori,  vengono  trasmesse  da  una  generazione  al- 
l' altra,  nel  più  elementare  insegnamento  della  religione.  Ba- 
dò, dico,  a  quelle  parole,  a  quelle  massime,  le  prese  sul  se- 
rio, le  gustò,  le  trovò  vere;  vide  che  non  potevan  dunque 
esser  vere  altre  parole  e  altre  massime  opposte,  che  pure  si 
trasmettono  di  generazione  in  generazione,  con  la  stessa  si- 
curezza, e  talora  dalle  stesse  labbra:  e  propose  di  prender 
per  norma  dell'  azioni  e  de'  pensieri  quelle  che  erano  il  vero. 
Persuaso  che  la  vita  non  è  già  destinata  ad  essere  un  pese 
per  molti,  e  una  festa  per  alcuni,  ma  per  tutti  un  impiego, 
del  quale  ognuno  renderà  conto,  cominciò  da  fanciullo  a  pen- 
sare come  potesse  render  la  sua  utile  e  santa. 

Nel  1580,  manifestò  la  risoluzione  di  dedicarsi  al  ministero 
ecclesiastico,  e  ne  prese  P  abito  dalle  mani  di  quel  suo  cugino 
Carlo,  che  una  fama,  già  fin  d' allora  antica  e  universale, 
predicava  santo.  Entrò  poco  dopo  nel  collegio  fondato  da 
questo  in  Pavia,  e  che  porta  ancora  il  nome  del  loro  casato; 
e  li,  applicandosi  assiduamente  alle  occupazioni  che  trovò  pre- 


CAPITOLO   XXII.  275 

scritte,  due  altre  ne  assunse  di  sua  volontà;  e  furono  d"  in- 
segnar la  dottrina  cristiana  ai  più  rozzi  e  derelitti  del  popolo, 
e  di  visitare,  servire,  consolare  e  soccorrere  gl'infermi.  Si 
valse  dell'autorità  che  tutto  gli  conciliava  in  quel  luogo,  per 
attirare  i  suoi  compagni  a  secondarlo  in  tali  opere;  e  in  ogni 
cosa  onesta  e  profittevole  esercitò  come  un  primato  d'  esem- 
pio, un  primato  che  le  sue  doti  personali  sarebbero  forse  ba- 
state a  procacciargli,  se  fosse  anche  stato  l' infimo  per  con- 
dizione. I  vantaggi  d'  un  altro  genere,  che  la  sua  gli  avrebbe 
potuto  procurare,  non  solo  non  li  ricercò,  ma  mise  ogni  stu- 
dio a  schivarli.  Volle  una  tavola  piuttosto  povera  che  frugale, 
usò  un  vestiario  piuttosto  povero  che  semplice;  a  conformità 
di  questo,  tutto  il  tenore  della  vita  e  il  contegno.  Né  cre- 
dette mai  di  doverlo  mutare,  per  quanto  alcuni  congiunti  gri- 
dassero e  si  lamentassero  che  avvilisse  così  la  dignità  della 
casa.  Un'  altra  guerra  ebbe  a  sostenere  con  gì'  istitutori,  i 
quali,  furtivamente  e  come  per  sorpresa,  cercavano  di  metter- 
gli davanti,  addosso,  intorno,  qualche  suppellettile  più  signo- 
rile, qualcosa  che  lo  facesse  distinguere  dagli  altri,  e  figurare 
come  il  principe  del  luogo:  o  credessero  di  farsi  alla  lunga 
ben  volere  con  ciò;  o  fossero  mossi  da  quella  svisceratezza 
servile  che  s'invanisce  e  si  ricrea  dello  splendore  altrui;  o 
fossero  di  quei  prudenti  che  s' adombrano  delle  virtù  come 
de' vizi,  predicano  sempre  che  la  perfezione  sta  nel  mezzo;  e 
il  mezzo  lo  fissan  giusto  in  quel  punto  dov'  essi  sono  arrivati, 
e  ci  stanno  comodi.  Federigo,  non  che  lasciarsi  vincere  da 
que'  tentativi,  riprese  coloro  che  li  facevano  ;  e  ciò  tra  la  pu- 
bertà e  la  giovinezza. 

Che,  vivente  il  cardinal  Carlo,  maggiore  di  lui  di  ventisei 
anni,  davanti  a  quella  presenza  grave,  solenne,  eh'  esprimeva 
così  al  vivo  la  santità,  e  ne  rammentava  le  opere^  e  alla  quale, 
se  ce  ne  fosse  stato  bisogno,  avrebbe  aggiunto  autorità  ogni 
momento  l' ossequio  manifesto  e  spontaneo  de'  circostanti, 
quali  e  quanti  si  fossero,  Federigo  fanciullo  e  giovinetto  cer- 
casse di  conformarsi  al  contegno  e  al  pensare  d'  un  tal  su- 
periore, non  è  certamente  da  farsene  maraviglia;  ma  è  bensì 
cosa  molto  notabile  che,  dopo  la  morte  di  lui,  nessuno  si  sia 
potuto  accorgere  che  a  Federigo,  allor  di  ventanni,  fosse 
mancata  una  guida  e  un  censore.  La  fama  crescente  del  suo 
ingegno,  della  sua  dottrina  e  della  sua  pietà,  la  parentela  e 
gì3  impegni  di  più  d' un  cardinale  potente,  il  credito  della 
sua  famiglia,  il  nome  stesso,  a  cui  Carlo  aveva  quasi  annessa 
nelle  menti  un'  idea  di  santità  e  di  preminenza,  tutto  ciò  che 
deve,  e  tutto  ciò  che  può  condurre  gli  uomini  alle  dignità  ec- 
clesiastiche, concorreva  a  pronosticargliele.  Ma  egli,  persuaso 
in  cuore  di  ciò  che  nessuno  il  quale  professi  cristianesimo 
può    negar    con   la   bocca,    non    ci    esser    giusta    superiorità 

18* 


276  I   PROMESSI    SPOSI. 

d'  uomo  sopra  gli  uomini,  se  non  in  loro  servizio ,  temeva  le 
dignità,  e  cercava  di  scansarle:  non  certamente  perchè  sfug- 
gisse di  servire  altrui,  che  poche  vite  furono  spese  in  questo 
come  la  sua;  ma  perchè  non  si  stimava  abbastanza  degno  né 
capace  di  così  alto  e  pericoloso  servizio.  Perciò,  venendogli, 
nel  1595,  proposto  da  Clemente  YIII  1*  arcivescovado  di  Mi- 
lano, apparve  fortemente  turbato,  e  ricusò  senza  esitare.  Ce- 
dette poi  al  comando  espresso  del  papa. 

Tali  dimostrazioni,  e  chi  non  lo  sa?  non  sono  né  diffìcili 
né  rare;  e  l'ipocrisia  non  ha  bisogno  d'  un  più  grande  sforzo 
d' ingegno  per  farle,  che  la  buffoneria  per  deriderle  a  buon 
conto,  in  ogni  caso.  Ma  cessan  forse  per  questo  d' esser 
l'espressione  naturale  d'un  sentimento  virtuoso  e  sapiente? 
La  vita  è  il  paragone  delle  parole;  e  le  parole  ch'esprimono 
quel  sentimento,  fossero  anche  passate  sulle  labbra  di  tutti 
gì'  impostori  e  di  tutti  i  beffardi  del  mondo,  saranno  sempre 
belle,  quando  siano  precedute  e  seguite  da  una  vita  di  disin- 
teresse e  di  sacrifizio. 

In  Federigo  arcivescovo  apparve  uno  studio  singolare  e 
continuo  di  non  prender  per  se,  delle  ricchezze,  del  tempo, 
delle  cure,  di  tutto  sé  stesso  in  somma,  se  non  quanto  fosse 
strettamente  necessario.  Diceva,  come  tutti  dicono,  che  le 
rendite  ecclesiastiche  sono  patrimonio  de' poveri:  come  poi 
intendesse  una  tal  massima,  si  veda  da  questo.  Volle  che  si 
stimasse  a  quanto  poteva  ascendere  il  suo  mantenimento  e 
quello  della  sua  servitù;  e  dettogli  che  seicento  scudi  (scudo 
si  chiamava  allora  quella  moneta  d;  oro  che,  rimanendo  sem- 
pre dello  stesso  peso  e  titolo,  fu  poi  detta  zecchino),  diede 
ordine  che  tanti  se  ne  contasse  ogni  anno  dalla  sua  cassa 
particolare  a  quella  della  mensa;  non  credendo  che  a  lui 
ricchissimo  fosse  lecito  vivere  di  quel  patrimonio.  Del  suo 
poi  era  così  scarso  e  sottile  misuratore  a  sé  stesso,  che  ba- 
dava di  non  ismettere  un  vestito,  prima  che  fosse  logoro  af- 
fatto :  unendo  però,  come  fu  notato  da  scrittori  contemporanei, 
al  genio  della  semplicità  quello  d'una  squisita  pulizia:  due 
abitudini  notabili  infatti,  in  quell'  età  sudicia  e  sfarzosa.  Si- 
milmente, affinchè  nulla  si  disperdesse  degli  avanzi  della  sua 
mensa  frugale,  gli  assegnò  a  un  ospizio  di  poveri:  e  uno  di 
questi,  per  suo  ordine,  entrava  ogni  giorno  nella  sala  del 
pranzo  a  raccoglier  ciò  che  fosse  rimasto.  Cure,  che  potreb- 
bero forse  indur  concetto  d'  una  virtù  gretta,  misera,  angu- 
stiosa,  d'una  mente  impaniata  nelle  minuzie,  e  incapace  di 
disegni  elevati:  se  non  fosse  in  piedi  questa  biblioteca  ambro- 
siana, che  Federigo  ideò  con  si  animosa  lautezza,  ed  eresse, 
con  tanto  dispendio,  da'  fondamenti;  per  fornir  la  quale  di 
libri  e  di  manoscritti,  oltre  il  dono  de'  già  raccolti  con  grande 
studio    e    spesa    da  lui,    spedì  otto  uomini,   de' più  colti  ed 


CAPITOLO    XXII.  277 

esperti  che  potè  avere,  a  farne  incetta  per  V  Italia,  per  la 
Francia,  per  la  Spagna,  per  la  Germania,  per  le  Fiandre, 
nella  Grecia,  al  Libano,  a  Gerusalemme.  Così  riuscì  a  radu- 
narvi circa  trentamila  volumi  stampati,  e  quattordicimila  ma- 
noscritti. Alla  biblioteca  unì  un  collegio  di  dottori  (furon 
nove,  e  pensionati  da  lui  fin  che  visse,  dopo,  non  bastando  a 
quella  spesa  l'entrate  ordinarie,  furon  ristretti  a  due);  e  il 
loro  ufìzio  era  di  coltivare  vari  studi,  teologia,  storia,  lettere, 
antichità  ecclesiastiche,  lingue  orientali,  con  l'obbligo  ad 
ognuno  di  pubblicar  qualche  lavoro  sulla  materia  assegnatagli; 
v"  unì  un  collegio  da  lui  detto  trilingue,  per  lo  studio  delle 
lingue  greca,  latina  ed  italiana;  un  collegio  d'alunni,  che  ve- 
nissero istruiti  in  quelle  facoltà  e  lingue,  per  insegnarle  un 
giorno;  v'unì  una  stamperia  di  lingue  orientali,  dell'ebraica, 
cioè,  della  caldea,  dell'arabica,  della  persiana,  dell'armena; 
una  galleria  di  quadri,  una  di  statue,  e  una  scuola  delle  tre 
principali  arti  del  disegno.  Per  queste,  potè  trovar  professori 
già  formati;  per  il  rimanente,  abbiam  visto  che  da  fare  gli 
avesse  dato  la  raccolta  de'  libri  e  de'  manoscritti  ;  certo  più 
difficili  a  trovarsi  dovevano  essere  i  tipi  di  quelle  lingue,  al- 
lora molto  men  coltivate  in  Europa  che  al  presente;  più  an- 
cora de'  tipi,  gli  uomini.  Basterà  il  dire  che,  di  nove  dot- 
tori, otto  ne  prese  tra  i  giovani  alunni  del  seminario  ;  e  da 
questo  si  può  argomentare  che  giudizio  facesse  degli  studi 
consumati  e  delle  riputazioni  fatte  di  quel  tempo:  giudizio 
conforme  a  quello  che  par  che  n'  abbia  portato  la  posterità, 
col  mettere  gli  uni  e  le  altre  in  dimenticanza.  Xelle  regole 
che  stabilì  per  1'  uso  e  per  il  governo  della  biblioteca,  si  vede 
un  intento  d'utilità  perpetua,  non  solamente  bello  in  sé,  ma 
in  molte  parti  sapiente  e  gentile  molto  al  di  là  dell'  idee  e 
dell'attitudini  comuni  di  quel  tempo.  Prescrisse  al  biblio- 
tecario che  mantenesse  commercio  con  gli  uomini  più  dotti 
d'  Europa,  per  aver  da  loro  notizie  dello  stato  delle  scienze, 
e  avviso  de'  libri  migliori  che  venissero  fuori  in  ogni  genere, 
e  farne  acquisto  ;  gli  prescrisse  d' indicare  agli  studiosi  i  libri 
che  non  conoscessero,  e  potesser  loro  esser  utili;  ordinò  che 
a  tutti,  fossero  cittadini  o  forestieri,  si  desse  comodità  e  tempo 
di  servirsene,  secondo  il  bisogno.  Una  tale  intenzione  deve 
ora  parere  ad  ognuno  troppo  naturale,  e  immedesimata  con 
la  fondazione  d'una  biblioteca:  allora  non  era  così.  E  in 
una  storia  dell'  ambrosiana,  scritta  (col  costrutto  e  con  1'  ele- 
ganze comuni  del  secolo)  da  un  Pierpaolo  Bosca,  che  vi  fu 
bibliotecario  dopo  la  morte  di  Federigo,  vien  notato  espressa- 
mente, come  cosa  singolare,  che  in  questa  libreria,  eretta  da 
un  privato  quasi  tutta  a  sue  spese,  i  libri  fossero  esposti  alla 
vista  del  pubblico,  dati  a  chiunque  li  chiedesse,  e  datogli  an- 
che da  sedere,  e  carta,  penne  e  calamaio,  per  prender  gli  ap- 


278  I    PROMESSI    SPOSI. 

punti  che  gli  potessero  bisognare:  mentre  in  qualche  insigne 
biblioteca  pubblica  (T  Italia,  i  libri  non  erano  nemmen  visi- 
bili, ma  chiusi  in  armadi,  donde  non  si  levavano  se  non  per 
gentilezza  de'  bibliotecari,  quando  si  sentivano  di  farli  vedere 
un  momento;  di  dare  ai  concorrenti  il  comodo  di  studiare, 
non  se  n'  aveva  neppur  V  idea.  Dimodoché  arricchir  tali  bi- 
blioteche era  un  sottrar  libri  all'uso  comune;  una  di  quelle 
coltivazioni,  come  ce  n'  era  e  ce  n'  è  tuttavia  molte,  che  iste- 
riliscono il  campo. 

Non  domandate  quali  siano  stati  gli  effetti  di  questa  fon- 
dazione del  Borromeo  sulla  coltura  pubblica;  sarebbe  facile 
dimostrare  in  due  frasi,  al  modo  che  si  dimostra,  che  furon 
miracolosi,  o  che  non  furon  niente;  cercare  a  spiegare,  fino  a 
un  certo  segno,  quali  siano  stati  veramente,  sarebbe  cosa  di 
molta  fatica,  di  poco  costrutto,  e  fuor  di  tempo.  Ma  pensate 
che  generoso,  che  giudizioso,  che  benevolo,  che  perseverante 
amatore  del  miglioramento  umano,  dovess'  essere  colui  che 
volle  una  tal  cosa,  la  volle  in  quella  maniera,  e  l'eseguì,  in 
mezzo  a  quell'ignorantaggine,  a  quell'inerzia,  a  quell'anti- 
patia generale  per  ogni  applicazione  studiosa,  e  per  conse- 
guenza in  mezzo  ai  cos'importa?  e  e3  era  altro  da  pensare? 
e  che  beli'  invenzione?  e  mancava  anche  Questa,  e  simili;  che 
saranno  certissimamente  stati  più  che  gli  scudi  spesi  da  lui 
in  queir  impresa  ;  i  quali  furon  centocinquemila,  la  più  parte 
de'  suoi. 

Per  chiamare  un  tal  uomo  sommamente  benefico  e  libe- 
rale, può  parer  che  non  ci  sia  bisogno  di  sapere  se  n'  abbia 
spesi  molt'  altri  in  soccorso  immediato  de'  bisognosi;  e  ci  son  for- 
se ancora  di  quelli  che  pensano  che  le  spese  di  quel  genere,  e  sto 
per  dire  tutte  le  spese,  siano  la  migliore  e  la  più  utile  elemosina. 
Ma  Federigo  teneva  V  elemosina  propriamente  detta  per  un 
dovere  principalissimo;  e  qui,  come  nel  resto,  i  suoi  fatti  fu- 
ron consentanei  all'  opinione.  La  sua  vita  fu  un  continuo 
profondere  ai  poveri;  e  a  proposito  di  questa  stessa  carestia 
di  cui  ha  già  parlato  la  nostra  storia,  avremo  tra  poco  occa- 
sione di  riferire  alcuni  tratti,  dai  quali  si  vedrà  che  sapienza 
e  che  gentilezza  abbia  saputo  mettere  anche  in  questa  libera- 
lità. De'  molti  esempi  singolari  che  d'  una  tale  sua  virtù 
hanno  notati  i  suoi  biografi,  ne  citeremo  qui  un  solo.  Avendo 
risaputo  cne  un  nobile  usava  artifizi  e  angherie  per  far  mo- 
naca una  sua  figlia,  la  quale  desiderava  piuttosto  di  maritarsi, 
fece  venire  il  padre  ;  e  cavatogli  di  bocca  che  il  vero  motivo 
di  quella  vessazione  era  il  non  avere  quattromila  scudi  che, 
secondo  lui,  sarebbero  stati  necessari  a  maritar  la  figlia  con- 
venevolmente, Federigo  la  dotò  di  quattromila  scudi.  Forse 
a  taluno  parrà  questa  una  larghezza  eccessiva,  non  ben  pon- 


CAPITOLO    XXII.  279 

derata,  troppo  condiscendente  agli  stolti  capricci  d'  un  super- 
bo; e  che  quattromila  scudi  potevano  esser  meglio  impiegati 
in  cent'  altre  maniere.  A  questo  non  abbiam  nulla  da  ri- 
spondere, se  non  che  sarebbe  da  desiderarsi  che  si  vedessero 
spesso  eccessi  d' una  virtù  così  libera  dall'  opinioni  domi- 
nanti (ogni  tempo  ha  le  sue),  così  indipendente  dalla  ten- 
denza generale,  come,  in  questo  caso,  fu  quella  che  mosse  un 
uomo  a  dar  quattromila  scudi,  perchè  una  giovine  non  fosse 
fatta  monaca. 

La  carità  inesausta  di  quest'  uomo,  non  meno  che  nel  da- 
re, spiccava  in  tutto  il  suo  contegno.  Di  facile  abbordo  con 
tutti,  credeva  di  dovere  specialmente  a  quelli  che  si  chiamano 
di  bassa  condizione,  un  viso  gioviale,  una  cortesia  affettuosa; 
tanto  più,  quanto  ne  trovan  meno  nel  mondo.  E  qui  pure 
ebbe  a  combattere  co'  galantuomini  del  ne  quid  nimis,  i 
quali  in  ogni  cosa,  avrebbero  voluto  farlo  star  ne'  limiti,  cioè 
ne' loro  limiti.  Uno  di  costoro,  una  volta  che,  nella  visita 
d'un  paese  alpestre  e  salvatico,  Federigo  istruiva  certi  po- 
veri fanciulli,  e  tra  l'interrogare  e  l'insegnare,  gli  andava 
amorevolmente  accarezzando,  1'  avvertì  che  usasse  più  riguardo 
nel  far  tante  carezze  a  que' ragazzi,  perchè  eran  troppo  su- 
dici e  stomacosi:  come  se  supponesse  il  buon  uomo,  che  Fe- 
derigo non  avesse  senso  abbastanza  per  fare  una  tale  scoper- 
ta, o  non  abbastanza  perspicacia,  per  trovar  da  sé  quel  ri- 
piego così  fino.  Tale  è,  in  certe  condizioni  di  tempi  e  di 
cose,  la  sventura  degli  uomini  costituiti  in  certe  dignità:  che 
mentre  così  di  rado  si  trova  chi  gli  avvisi  de'  loro  manca- 
menti, non  manca  poi  gente  coraggiosa  a  riprenderli  del  loro 
far  bene.  Ma  il  buon  vescovo,  non  senza  un  certo  risenti- 
mento, rispose:  «sono  mie  anime  e  forse  non  vedranno  mai 
più  la  mia  faccia;  e  non  volete  che  gli  abbracci?» 

Ben  raro  era  però  il  risentimento  in  lui,  ammirato  per  la 
soavità  de'  suoi  modi,  per  una  pacatezza  imperturbabile,  che 
si  sarebbe  attribuita  a  una  felicità  straordinaria  di  tempera- 
mento; ed  era  l'effetto  d'una  disciplina  costante  sopra  un' 
indole  viva  e  risentita.  Se  qualche  volta  si  mostrò  severo, 
anzi  brusco,  fu  co'  pastori  suoi  subordinati  che  scoprisse  rei 
d' avarizia  o  di  negligenza  o  d'  altre  tacce  specialmente  op- 
poste allo  spirito  del  loro  nobile  ministero.  Per  tutto  ciò  che 
potesse  toccare  o  il  suo  interesse,  o  la  sua  gloria  temporale, 
non  dava  mai  segno  di  gioia,  né  di  rammarico,  né  d'  ardore. 
né  d' agitazione  :  mirabile  se  questi  moti  non  si  destavano 
neh"  animo  suo,  più  mirabile  se  vi  si  destavano.  Non  solo 
da'  molti  conclavi  ai  quali  assistette,  riportò  il  concetto  di 
non  aver  mai  aspirato  a  quel  posto  così  desiderabile  all'  am- 
bizione, e  così  terribile  alla  pietà;  ma  una  volta  che  un  col- 
lega, il  quale  contava  molto,  venne  a  offrirgli  il  suo   voto  e 


280  1  promessi  SPOSI. 

quelli  della  sua  fazione  (brutta  parola,  ma  era  quella  che  usa- 
vano), Federigo  rifiutò  una  tal  proposta  in  modo,  che  quello 
depose  il  pensiero,  e  si  rivolse  altrove.  Questa  stessa  mode- 
stia, quest'  avversione  al  predominare  apparivano  ugualmente 
nelP  occasioni  più  comuni  della  vita.  Attento  e  infaticabile 
a  disporre  e  a  governare,  dove  riteneva  che  fosse  suo  dovere 
il  farlo,  sfuggì  sempre  d'  impicciarsi  negli  affari  altrui;  anzi 
si  scusava  a  tutto  potere  dall'  ingerirvisi  ricercato  :  discrezione 
e  ritegno  non  comune,  come  ognuno  sa,  negli  uomini  zelatori 
del  bene,  qual  era  Federigo. 

Se  volessimo  lasciarci  andare  al  piacere  di  raccogliere  i 
tratti  notabili  del  suo  carattere,  ne  risulterebbe  certamente  un 
complesso  singolare  di  meriti  in  apparenza  opposti,  e  certo 
difficili  a  trovarsi  insieme.  Però  non  ometteremo  di  notare 
un'  altra  singolarità  di  quella  bella  vita:  che  piena  come  fu 
d'  attività,  di  governo,  di  funzioni,  d' insegnamento,  d'  udienze, 
di  visite  diocesane,  di  viaggi,  di  contrasti,  non  solo  lo  studio 
c'ebbe  una  parte,  ma  ce  n'ebbe  tanta,  che  per  un  letterato 
di  professione  sarebbe  bastato.  E  infatti,  con  tant'  altri  e 
diversi  titoli  di  lode,  Federigo  ebbe  anche,  presso  i  suoi 
contemporanei,  quello  d'uom  dotto. 

Non  dobbiamo  però  dissimulare  che  tenne  con  ferma  per- 
suasione, e  sostenne  in  pratica,  con  lunga  costanza,  opinioni, 
che  al  giorno  d'  oggi  parrebbero  a  ognuno  piuttosto  strane 
che  mal  fondate;  dico  anche  a  coloro  che  avrebbero  una  gran 
voglia  di  trovarle  giuste.  Chi  lo  volesse  difendere  in  questo, 
ci  sarebbe  quella  scusa  così  corrente  e  ricevuta,  eh'  erano 
errori  del  suo  tempo,  piuttosto  che  suoi  :  scusa  che,  per  certe 
cose,  e  quando  risulti  dall'esame  particolare  de' fatti,  può 
aver  qualche  valore,  o  anche  molto;  ma  che  applicata  così 
nuda  e  alla  cieca,  come  si  fa  d'ordinario,  non  significa  pro- 
prio nulla.  E  perciò,  non  volendo  risolvere  con  foratole  sem- 
plici questioni  complicate,  né  allungar  troppo  un  episodio, 
tralasceremo  anche  d'esporle;  bastandoci  d'avere  accennato 
così  alla  sfuggita  che,  d'un  uomo  così  ammirabile  in  com- 
plesso, noi  non  pretendiamo  che  ogni  cosa  lo  fosse  ugual- 
mente; perchè  non  paia  che  abbiam  voluto  scrivere  un' ora- 
zion  funebre. 

Xon  è  certamente  fare  un'  ingiuria  ai  nostri  lettori  il  sup- 
porre che  qualcheduno  di  loro  domandi  se  di  tanto  ingegno  e 
di  tanto  studio  quest'  uomo  abbia  lasciato  qualche  monumento. 
Se  n'ha  lasciati!  Circa  cento  son  l'opere  che  rimangon  di 
lui,  tra  grandi  e  piccole,  tra  latine  e  italiane,  tra  stampate  e 
manoscritte,  che  si  serbano  nella  biblioteca  da  lui  fondata; 
trattati  di  morale,  orazioni,  dissertazioni  di  storia,  d'  antichità 
sacra  e  profana,  di  letteratura,  d'  arti  e  d'  altro. 


CAPITOLO    XXIII.  281 

—  E  come  mai.  dirà  codesto  lettore,  tante  opere  sono  di- 
menticate, o  almeno  così  poco  conosciute,  così  poco  ricercate? 
Come  mai,  con  tanto  ingegno,  con  tanto  studio,  con  tanta  pra- 
tica degli  uomini  e  delle  cose,  con  tanto  meditare,  con 
tanta  passione  per  il  buono  e  per  il  bello,  con  tanto  can- 
dor  d'animo,  come  tant' altre  di  quelle  qualità  che  fanno 
il  grande  scrittore,  questo,  in  cento  opere,  non  ne  ha  lasciata 
neppur  una  di  quelle  che  son  riputate  insigni  anche  da  chi 
non  le  approva  in  tutto,  e  conosciute  di  titolo  anche  da  chi 
non  le  legge?  Come  mai,  tutte  insieme,  non  sono  bastate  a 
procurare,  almeno  col  numero,  al  suo  nome  una  fama  lettera- 
ria presso  noi  posteri?  — 

La  domanda  è  ragionevole  senza  dubbio,  e  la  questione 
molto  interessante;  perchè  le  ragioni  di  questo  fenomeno  si 
troverebbero  con  l'osservar  molti  fatti  generali:  e  trovate, 
condurrebbero  alla  spiegazione  di  più  altri  fenomeni  simili. 
Ma  sarebbero  molte  e  prolisse:  e  poi  se  non  v'andassero  a 
genio?  se  vi  facessero  arricciare  il  naso?  Sicché  sarà  meglio 
che  riprendiamo  il  filo  della  storia,  e  che,  in  vece  di  cicalar 
più  a  lungo  intorno  a  quest'  uomo,  andiamo  a  vederlo  in 
azione,  con  la  guida  del  nostro  autore. 


CAPITOLO  XXIII. 

Il  cardinal  Federigo,  intanto  che  aspettava  1'  ora  d'  andar 
in  chiesa  a  celebrar  gli  uffizi  divini,  stava  studiando,  com'era 
solito  di  fare  in  tutti  i  ritagli  di  tempo:  quando  entrò  il  cap- 
pellano crocifero,  con  un  viso  alterato. 

«Una  strana  visita,  strana  davvero,  monsignore  illustris- 
simo !  » 

«Chi  è?»  domandò  il  cardinale. 

«Niente  meno  che  il  signor....»  riprese  il  cappellano;  e 
spiccando  le  sillabe  con  una  gran  significazione,  proferì  quel 
nome  che  noi  non  possiamo  scrivere  ai  nostri  lettori.  Poi 
soggiunse:  «è  qui  fuori  in  persona;  e  chiede  nient'  altro  che 
d'  esser  introdotto  da  vossignoria  illustrissima.» 

«Lui!»  disse  il  cardinale,  con  un  viso  animato,  chiu- 
dendo il  libro,  e  alzandosi  da  sedere:  «venga!  venga  su- 
bito!» 

«Ma....»  replicò  il  cappellano,  senza  moversi:  «vossi- 
gnoria illustrissima  deve  sapere  chi  è  costui:  quel  bandito, 
quel  famoso » 

«E  non  è  una  fortuna  per  un  vescovo,  che  a  un  tal  uomo 
sia  nata  la  volontà  di  venirlo  a  trovare?» 


232  I    PE0ME3SI    SPOSI. 

«Ma....»  insistette  il  cappellano:  «noi  non  possiamo  mai 
parlare  di  certe  cose,  perchè  monsignore  dice  che  le  son 
ciance:  però  quando  viene  il  caso,  mi  pare  che  sia  un  dovere 
Lo  zelo  fa  de' nemici,  monsignore;  e  noi  sappiamo  po- 
sitivamente che  più  d' un  ribaldo  ha  osato  vantarsi  che,  un 
giorno  o  1'  altro  ....  « 

«E  che  hanno  fatto?»  interruppe  il  cardinale. 

«Dico  che  costui  è  un  appaltatore  di  delitti,  un  disperato, 
che  tiene  corrispondenza  co'  disperati  più  furiosi,  e  che  può 
esser  mandato  . . , .  » 

«Oh,  che  disciplina  è  codesta,»  interruppe  ancora  sorri- 
dendo Federigo,  «che  i  soldati  esortino  il  generale  ad  aver 
paura?»  Poi,  divenuto  serio  e  pensieroso,  riprese:  «san  Carlo 
non  si  sarebbe  trovato  nel  caso  di  dibattere  se  dovesse  rice- 
vere un  tal  uomo:  sarebbe  andato  a  cercarlo.  Fatelo  entrar 
subito:  ha  già  aspettato  troppo.» 

Il  cappellano  si  mosse  dicendo  tra  sé:  —  non  e'  è  rime- 
dio: tutti  questi  santi  sono  ostinati.  — 

Aperto  V  uscio  e  affacciatosi  alla  stanza  dov'  era  il  signore 
e  la  brigata,  vide  questa  ristretta  in  una  parte,  a  bisbigliare 
e  a  guardar  di  sott'  occhio  quello  lasciato  solo  in  un  canto. 
S'avviò  verso  di  lui;  e  intanto  squadrandolo,  come  poteva, 
con  la  coda  dell'  occhio,  andava  pensando  che  diavolo  d'  ar- 
meria poteva  esser  nascosta  sotto  quella  casacca;  e  che  vera- 
mente, prima  d'  introdurlo,  avrebbe  dovuto  proporgli  almeno 
....  ma  non  si  seppe  risolvere.  Gli  s'accostò,  e  disse: 
«monsignore  aspetta  vossignoria.  Si  contenti  di  venir  con 
me.»  E  precedendolo  in  quella  piccola  folla,  che  subito  fece 
ala,  dava  a  destra  ed  a  sinistra  occhiate,  le  quali  significa- 
vano: cosa  volete?  non  lo  sapete  anche  voi  altri,  che  fa  sempre 
a  modo  suo? 

Appena  introdotto  l'innominato,  Federigo  gli  andò  incon- 
tro, con  un  volto  premuroso  e  sereno,  e  con  le  braccia  aperte, 
come  a  una  persona  desiderata,  e  fece  subito  cenno  al  cap- 
pellano che  uscisse:  il  quale  ubbidì. 

I  due  rimasti  stettero  alquanto  senza  parlare,  e  diversa- 
mente sospesi.  L'innominato,  che  era  stato  come  portato  lì 
per  forza  da  una  smania  inesplicabile,  piuttosto  che  condotto 
da  un  determinato  disegno,  ci  stava  anche  come  per  forza, 
straziato  da  due  passioni  opposte,  quel  desiderio  e  quella 
speranza  confusa  di  trovare  un  refrigerio  al  tormento  interno, 
e  dall'altra  parte  una  stizza,  una  vergogna  di  venir  lì  come 
un  pentito,  come  un  sottomesso,  come  un  miserabile,  a  con- 
fessarsi in  colpa,  a  implorare  un  uomo:  e  non  trovava  parole, 
né  quasi  ne  cercava.  Però  alzando  gli  occhi  in  viso  a  quel- 
P  uomo,  si  sentiva  sempre  più  penetrare  da  un  sentimento  di 
venerazione  imperioso  insieme  e  soave,  che,  aumentando  Za 


CArnoLO  xxin.  283 

fiducia,   mitigava  il  dispetto ,  e  senza  prender  V  orgoglio    di 
fronte,  1'  abbatteva  e  dirò  così  gì'  imponeva  silenzio. 

La  presenza  di  Federigo  era  infatti  di  quelle  che  annun- 
ziano una  superiorità,  e  la  fanno  amare.  Il  portamento  era 
naturalmente  composto,  e  quasi  involontariamente  maestoso, 
non  incurvato  né  impigrito  punto  dagli  anni;  1'  occhio  grave 
e  vivace,  la  fronte  serena  e  pensierosa;  con  la  canizie,  nel 
pallore,  tra  i  segni  dell'astinenza,  della  meditazione,  della 
fatica,  una  specie  di  floridezza  verginale:  tutte  le  forme  del 
volto  indicavano  che,  in  altre  età,  e'  era  stata  quella  che  più 
propriamente  si  chiama  bellezza;  l'abitudine  de' pensieri 
solenni  e  benevoli,  la  pace  interna  d'  una  lunga  vita,  1'  amore 
degli  uomini,  la  gioia  continua  d'una  speranza  ineffabile,  vi 
avevano  sostituita  una,  direi  quasi,  bellezza  senile,  che  spic- 
cava ancor  più  in  quella  magnifica  semplicità  della  porpora. 

Tenne  anche  lui,  qualche  momento,  fisso  nell'  aspetto  del- 
l' innominato  il  suo  sguardo  penetrante,  ed  esercitato  da  lun- 
go tempo  a  ritrarre  dai  sembianti  i  pensieri;  e,  sotto  a  quel 
fosco  e  a  quel  turbato,  parendogli  di  scoprire  sempre  più 
qualcosa  di  conforme  alla  speranza  da  lui  concepita  al  primo 
annunzio  d'una  tal  visita,  tutt' animato,  «oh!»  disse:  «che 
preziosa  visita  è  questa!  e  quanto  vi  devo  esser  grato  d'  una 
sì  buona  risoluzione:  quantunque  per  me  abbia  un  po'  del 
rimprovero!» 

«Rimprovero!»  esclamò  il  signore  maravigliato,  ma  rad- 
dolcito da  quelle  parole  e  da  quel  fare,  e  contento  che  il  car- 
dinale avesse  rotto  il  ghiaccio,  e  avviato  un  discorso  qua- 
lunque. 

«Certo  m' è  un  rimprovero,»  riprese  questo,  «ch'io  mi 
sia  lasciato  prevenir  da  voi;  quando  da  tanto  tempo,  tante 
volte,  avrei  dovuto  venir  da  voi  io.» 

«Da  me,  voi!  Sapete  chi  sono?  V  hanno  detto  bene  il 
mio  nome?» 

«E  questa  consolazione  ch'io  sento,  e  che,  certo,  vi  si 
manifesta  nel  mio  aspetto,  vi  par  egli  ch'io  dovessi  _  provarla 
all'annunzio,  alla  vista  d'uno  sconosciuto?  Siete  voi  che  me 
la  fate  provare;  voi,  dico,  che  avrei  dovuto  cercare;  voi  che 
almeno  ho  tanto  amato  e  pianto,  per  cui  ho  tanto  pregato; 
voi  de'  miei  figli,  che  pure  amo  tutti  e  di  cuore,  quello  che 
avrei  più  desiderato  d'  accogliere  e  d'  abbracciare,  se  avessi 
creduto  di  poterlo  sperare.  Ma  Dio  sa  fare  Egli  solo  le  ma- 
raviglie, e  supplisce  alla  debolezza,  alla  lentezza  de'  suoi  po- 
veri servi.» 

L'  innominato  stava  attonito  a  quel  dire  così  infiammato. 
a  quelle  parole  che  rispondevano  tanto  risolutamente  a  ciò 
che  non  aveva  ancor  detto,  né  era  ben  determinato  di  dire; 
e  commosso   ma   sbalordito,   stava  in  silenzio.     «E   che?»  ri- 


284  I    PROMESSI    SPOSI. 

prese,  ancor  più  affettuosamente  Federigo:  «voi  avete  una 
buona  nuova  da  darmi,  e  me  la  fate  tanto  sospirare?;) 

cUna  buona  nuova,  io  ?  Ho  V  inferno  nel  cuore  ;  e  vi 
darò  una  buona  nuova?  Ditemi  voi,  se  lo  sapete,  qual  è  que- 
sta buona  nuova  che  aspettate  da  un  par  mio.» 

-CLe  Dio  v'  ha  toccato  il  cuore,  e  vuol  farvi  suo,»  ri- 
spose pacatamente  il  cardinale. 

«Dio!  Dio!  Dio!  Se  lo  vedessi!  Se  lo  sentissi!  Dov'è 
questo  Dio?» 

«Voi  me  lo  domandate?  voi?  E  chi  più  di  voi  l'ha  vi- 
cino? Non  ve  lo  sentite  in  cuore,  che  v'  opprime,  che  v'agi- 
ta, che  non  vi  lascia  stare,  e  nello  stesso  tempo  v'  attira,  vi 
fa  presentire  una  speranza  di  quiete,  di  consolazione,  d'una 
consolazione  che  sarà  piena,  immensa,  subito  che  voi  lo  ri- 
conosciate, lo  confessiate,  V  imploriate?» 

«Oh  certo!  ho  qui  qualche  cosa  che  m'opprime,  che  mi 
rode  !  Ma  Dio  !  Se  e'  è  questo  Dio,  se  è  quello  che  dicono, 
cosa  volete  che  faccia  di  me?» 

Queste  parole  furon  dette  con  un  accento  disperato;  ma 
Federigo,  con  un  tono  solenne  come  di  placida  ispirazione, 
rispose:  «cosa  può  far  Dio  di  voi?  cosa  vuol  farne?  Un  se- 
gno della  sua  potenza  e  della  sua  bontà;  vuol  cavar  da  voi 
una  gloria  che  nessun  altro  gli  potrebbe  dare.  Che  il  mondo 
gridi  da  tanto  tempo  contro  di  voi,  che  mille  e  mille  voci  de- 
testino le  vostre  opere....»  (l'innominato  si  scosse,  e  ri- 
mase stupefatto  un  momento  nel  sentir  quel  linguaggio  così 
insolito,  più  stupefatto  ancora  di  non  provarne  sdegno,  anzi 
quasi  un  sollievo):  «che  gloria,»  proseguiva  Federigo,  «ne 
viene  a  Dio?  Son  voci  di  terrore,  son  voci  d'interesse,  voci 
forse  anche  di  giustizia,  ma  d'  una  giustizia  così  facile,  così 
naturale!  alcune  forse,  pur  troppo  d'  invidia  di  codesta  vostra 
sciagurata  potenza,  di  codesta,  fino  ad  oggi,  deplorabile  sicu- 
rezza d'  animo.  Ma  quando  voi  stesso  sorgerete  a  condan- 
nare la  vostra  vita,  ad  accusar  voi  stesso,  allora!  allora  Dio 
sarà  glorificato!  E  voi  domandate  cosa  Dio  possa  far  di  voi? 
Chi  son  io  pover'  uomo,  che  sappia  dirvi  fin  d'  ora  che  pro- 
fìtto possa  ricavar  da  voi  un  tal  Signore?  cosa  possa  fare  di 
codesta  volontà  impetuosa,  di  codesta  imperturbata  costanza, 
quando  l'abbia  animata,  infiammata  d'amore,  di  speranza, 
di  pentimento?  Chi  siete  voi  pover' uomo,  che  vi  pensiate 
d'  aver  saputo  da  voi  immaginare  e  fare  cose  più  grandi  nel 
male,  che  Dio  non  possa  farvene  volere  e  operare  nel  bene? 
Cosa  può  Dio  far  di  voi?  E  perdonarvi?  e  farvi  salvo?  e 
compire  in  voi  1'  opera  della  redenzione?  Xon  son  cose  ma- 
gnifiche e  degne  di  Lui?  Oh  pensate!  se  io  omicciattolo,  io 
miserabile,  e  pur  così  pieno  di  me  stesso,  io  qual  mi  sono, 
mi  struggo  ora  tanto  della  vostra  salute,  che  per  essa  darei 


CAPITOLO    XXIII.  285 

con  gaudio  (Egli  m'  è  testimonio)  questi  pochi  giorni  che  mi 
rimangono;  oh  pensate!  quanta,  quale  debba  essere  la  carità 
di  Colui  che  m"  infonde  questa  così  imperfetta,  ma  così  viva  ; 
come  vi  ami,  come  vi  voglia  Quello  che  mi  comanda  e 
m' ispira  un  amore  per  voi  che  mi  divora  !» 

A  misura  che  queste  parole  uscivan  dal  suo  labbro,  il 
volto,  lo  sguardo,  ogni  moto  ne  spirava  il  senso.  La  faccia 
del  suo  ascoltatore,  di  stravolta  e  convulsa,  si  fece  da  prin- 
cipio attonita  e  intenta:  poi  si  compose  a  una  commozione 
più  profonda  e  meno  angosciosa;  i  suoi  occhi  che  dall'  infan- 
zia più  non  conoscevan  le  lacrime,  si  gonfiarono,  quando  le 
parole  furon  cessate,  si  coprì  il  viso  con  le  mani;  e  diede  in 
un  dirotto  pianto,  che  fu  come  1'  ultima  e  più  chiara  risposta. 

«Dio  grande  e  buono!»  esclamò  Federigo,  alzando  gli  oc- 
chi e  le  mani  al  cielo:  «che  ho  mai  fatto,  io  servo  inutile,  pa- 
store sonnolento,  perchè  Voi  mi  chiamaste  a  questo  convito 
di  grazia,  perchè  mi  faceste  degno  d'  assistere  a  un  sì  gio- 
condo prodigio  !»  Così  dicendo  stese  la  mano  a  prender  quella 
dell'  innominato. 

«Xo!»  gridò  questo,  «no!  lontano,  lontano  da  me  voi: 
non  lordate  quella  mano  innocente  e  benefica.  Non  sapete 
tutto  ciò  che  ha  fatto  questa  che  volete  stringere.» 

«Lasciate,»  disse  Federigo,  prendendola  con  amorevole 
violenza,  «lasciate  eh'  io  stringa  codesta  mano  che  riparerà 
tanti  torti,  che  spargerà  tante  beneficenze,  che  solleverà  tanti 
afflitti,  che  si  stenderà  disarmata,  pacifica,  umile  a  tanti  nemici. ■> 

«È  troppo!»  disse  singhiozzando  l'innominato.  «Lascia- 
temi, monsignore;  buon  Federigo,  lasciatemi.  Un  popolo  af- 
follato v'aspetta;  tant' anime  buone,  tant' innocenti,  tanti  ve- 
nuti da  lontano,  per  vedervi  una  volta,  per  sentirvi;  e  voi  vi 
trattenete  ....  con  chi  !» 

«Lasciamo  le  novantanove  pecorelle,»  rispose  il  cardinale: 
«sono  in  sicuro  sul  monte:  io  voglio  ora  stare  con  quella 
eh'  era  smarrita.  Quell'  anime  son  forse  ora  ben  più  contente, 
che  di  vedere  questo  povero  vescovo.  Forse  Dio  che  ha  ope- 
rato in  voi  il  prodigio  della  misericordia,  diffonde  in  esse  una 
gioia  di  cui  non  sentono  ancora  la  cagione.  Quel  popolo  è 
forse  unito  a  noi  senza  saperlo:  forse  lo  Spirito  mette  ne' 
loro  cuori  un  ardore  indistinto  di  carità,  una  preghiera 
eh'  esaudisce  per  voi,  un  rendimento  di  grazie  di  cui  voi  siete 
1'  oggetto  non  ancor  conosciuto.»  Così  dicendo,  stese  le  brac- 
cia al  collo  dell'innominato,  il  quale  dopo  aver  tentato  di 
sottrarsi,  e  resistito  un  momento,  cedette,  come  vinto  da  quel- 
l' impeto  di  carità,  abbracciò  anche  lui  il  cardinale,  e  abban- 
donò sull'  omero  di  lui  il  suo  volto  tremante  e  mutato.  Le 
sue  lacrime  ardenti  cadevano  sulla  porpora  incontaminata  di 
Federigo  ;  e  le  mani  incolpevoli  di  questo  stringevano  aflettuo- 


286  I    PBOMESSI    SPOSI. 

samente  quelle  membra,  premevano  quella  casacca,  avvezza  a 
portar  1'  armi  della  violenza  e  del  tradimento. 

L'innominato,  sciogliendosi  da  quell'abbraccio,  si  coprì 
di  nuovo  gli  occhi  con  una  mano,  e,  alzando  insieme  la  fac- 
cia, esclamò:  «Dio  veramente  grande!  Dio  veramente  buono! 
io  mi  conosco  ora,  comprendo  chi  sono;  le  mie  iniquità  mi 
stanno  davanti,  ho  ribrezzo  di  me  stesso;  eppure  . . . .!  eppure 
provo  un  refrigerio,  una  gioia,  sì  una  gioia,  quale  non  ho 
provata  mai  in  tutta  questa  mia  orribile  vita!» 

«È  un  saggio,»  disse  Federigo,  «che  Dio  vi  dà  per  catti- 
varvi al  suo  servizio,  per  animarvi  ad  entrar  risolutamente 
nella  nuova  vita  in  cui  avrete  tanto  da  disfare,  tanto  da  ri- 
parare, tanto  da  piangere!» 

cMe  sventurato!»  esclamò    il  signore,   «quante,  quante 

cose,  le  quali  non  potrò  se  non  piangere!  Ma  almeno  ne  ho 
d' intraprese,  d'  appena  avviate,  che  posso,  se  non  altro,  rom- 
pere a  mezzo;  una  ne  ho  che  posso  romper  subito,  disfare, 
riparare.» 

Federigo  si  mise  in  attenzione:  e  l'innominato  raccontò 
brevemente,  ma  con  parole  d'  esecrazione  anche  più  forti  di 
quelle  che  abbiamo  adoprate  noi,  la  prepotenza  fatta  a  Lucia, 
i  terrori,  i  patimenti  della  poverina,  e  come  aveva  implorato, 
e  la  smania  che  queir  implorare  aveva  messa  addosso  a  lui, 
e  come  essa  era  ancor  nel  castello  .... 

«Ah,  non  perdiam  tempo!»  esclamò  Federigo,  ansante 
di  pietà  e  di  sollecitudine.  «Beato  voi!  Questo  è  pegno  del 
perdono  di  Dio!  far  che  possiate  diventare  strumento  di  sal- 
vezza a  chi  volevate  esser  di  rovina.  Dio  vi  benedica!  Dio 
v'ha  benedetto!  Sapete  di  dove  sia  questa  povera  nostra 
travagliata?» 

Il  signore  nominò  il  paese  di  Lucia. 

«Xon  è  lontano  di  qui,»  disse  il  cardinale:  «lodato  sia 
Dio;  e  probabilmente....»  Così  dicendo,  corse  a  un  tavo- 
lino, e  scosse  un  campanello.  E  subito  entrò  con  ansietà  il 
cappellano  crocifero,  e  per  la  prima  cosa,  guardò  V  innomi- 
nato; e  vista  quella  faccia  mutata,  e  quegli  occhi  rossi  di 
pianto,  guardò  il  cardinale;  e  sotto  quell'  inalterabile  compo- 
stezza, scorgendogli  in  volto  come  un  grave  contento,  e  una 
premura  quasi  impaziente,  era  per  rimanere  estatico  con  la 
bocca  aperta,  se  il  cardinale  non  V  avesse  subito  svegliato  da 
quella  contemplazione,  domandandogli  se  tra  i  parrochi  ra- 
dunati lì,  si  trovasse  quello  di***. 

«C  è,  monsignore  illustrissimo,»  rispose  il  cappellano. 

«Fatelo  venir  subito,»  disse  Federigo,  «e  con  lui  il  par- 
roco qui  della  chiesa.» 

Il  cappellano  uscì,  e  andò  nella  stanza  dov'  eran  que'  preti 
riuniti:  tutti  gli  occhi  si  rivolsero  a  lui.  Lui,  con  la  bocca  tut- 


CAPITOLO    XXIII.  287 

tavia  aperta,  col  viso  ancor  tutto  dipinto  di  quell'  estasi:  al 
zando  le  mani,  e  movendole  per  aria,  disse:  «signori!  si 
gnori!  haec  mutatio  dexterae  Excelsi.»  E  stette  un  mo- 
mento senza  dir  altro.  Poi,  ripreso  il  tono  e  la  voce  della 
carica,  soggiunse:  «sua  signoria  illustrissima  e  reverendissima 
vuole  il  signor  curato  della  parrocchia,  e  il  signor  curato 
di***.» 

Il  primo  chiamato  venne  subito  avanti,  e  nello  stesso  tem- 
po, uscì  di  mezzo  alla  folla  un:  «io?»  strascicato,  con  un'  in- 
tonazione di  maraviglia. 

(Non  è  lei  il  signor  curato  di***?»  riprese  il  cap- 
pellano. 

«Per  V  appunto  ;  ma  ....  » 

«Sua  signoria  illustrissima  e  reverendissima  vuol  lei.» 

«Me?»  disse  ancora  quella  voce,  significando  chiaramente 
in  quel  monosillabo:  come  ci  posso  entrar  io?  Ma  questa 
volta,  insiem  con  la  voce,  venne  fuori  V  uomo,  don  Abbondio 
in  persona,  con  un  passo  forzato,  e  con  un  viso  tra  V  attonito 
e  il  disgustato.  Il  cappellano  gli  fece  un  cenno  con  la  mano, 
che  voleva  dire:  a  noi;  andiamo;  ci  vuol  tanto?  E  prece- 
dendo i  due  curati,  andò  all'uscio,  l'aprì,  e  gì' introdusse. 

Il  cardinale  lasciò  andar  la  mano  dell'  innominato,  col 
quale  intanto  aveva  concertato  quello  che  dovevan  fare;  si  di- 
scostò un  poco,  e  chiamò  con  un  cenno  il  curato  delia  chiesa. 
Gli  disse  in  succinto  di  che  si  trattava;  e  se  sapesse  trovar 
subito  una  buona  donna  che  volesse  andare  in  una  lettiga  al 
castello,  a  prender  Lucia:  una  donna  di  cuore  e  di  testa,  da 
sapersi  ben  governare  in  una  spedizione  così  nuova,  e  usar 
le  maniere  più  a  proposito,  trovar  le  parole  più  adattate,  a 
rincorare,  a  tranquillizzare  quella  poverina,  a  cui  dopo  tante 
angoscie,  e  in  tanto  turbamento,  la  liberazione  stessa  poteva 
metter  nell'  animo  una  nuova  confusione.  Pensato  un  mo- 
mento, il  curato  disse  che  aveva  la  persona  a  proposito,  e 
uscì.  Il  cardinale  chiamò  con  un  altro  cenno  il  cappellano,  al 
quale  ordinò  che  facesse  preparare  subito  la  lettiga  e  i  let- 
tighieri,  e  sellare  due  mule.  Uscito  anche  il  cappellano,  si 
voltò  a  don  Abbondio. 

Questo,  che  già  gli  era  vicino,  per  tenersi  lontano  da  quel- 
V  altro  signore,  e  che  intanto  dava  un'  occhiatina  di  sotto  in 
su  ora  all'  uno  ora  all'  altro,  seguitando  a  almanaccar  tra  sé 
che  cosa  mai  potesse  essere  tutto  quel  rigirìo,  s'  accostò  di 
più,  fece  una  riverenza,  e  disse:  «m'hanno  significato  che 
vossignoria  illustrissima  mi  voleva  me;  ma  io  credo  che  ab- 
biano sbagliato. >< 

«Non  hanno  sbagliato,»  rispose  Federigo;  «ho  una  buona 
nuova  a  darvi,  e  un  consolante,  un  soavissimo  incarico.  l\ia 
vostra  parrocchiana,  che  avrete  pianta  per  ismarrita,   Lucia 


288  I   PROMESSI    SPOSI. 

Mondella,  è  ritrovata,  è  qui  vicino,  in  casa  di  questo  mio  caro 
amico;  e  voi  anderete  ora  con  lui,  e  con  una"  donna  che  il 
signor  curato  di  qui  è  andato  a  cercare,  anderete,  dico,  a 
prendere  quella  vostra  creatura,  e  1'  accompagnerete  qui.» 

Don  Abbondio  fece  di  tutto  per  nascondere  la  noia,  che 
dico?  l'affanno  e  l'amaritudine  che  gli  dava  una  tale  pro- 
posta, o  comando  che  fosse;  non  essendo  più  a  tempo  a  scio- 
gliere e  a  scomporre  un  versaccio  già  formato  sulla  sua  fac- 
cia, lo  nascose,  chinando  profondamente  la  testa,  in  segno 
d'  ubbidienza.  E  non  1'  alzò  che  per  fare  un  profondo  in- 
chino all'innominato,  con  un'occhiata  pietosa  che  diceva: 
sono  nelle  vostre  mani:  abbiate  misericordia:  parcere  siib- 
jectis. 

Gli  domandò  poi  il  cardinale,  che  parenti  avesse  Lucia. 

«Di  stretti,  e  con  cui  viva  o  vivesse,  non  ha  che  la  ma- 
dre,» rispose  don  Abbondio. 

«E  questa  si  trova  al  suo  paese?» 

«Monsignor,  sì.» 

«Giacché,»  riprese  Federigo,  «quella  povera  giovine  non 
potrà  esser  così  presto  restituita  a  casa  sua,  le  sarà  una  gran 
consolazione  di  veder  subito  la  madre:  quindi,  se  il  signor 
curato  di  qui  non  torna  prima  eh'  io  vada  in  chiesa,  fatemi 
voi  il  piacere  di  dirgli  che  trovi  un  baroccio  o  una  cavalcatura; 
e  spedisca  un  uomo  di  giudizio  a  cercar  quella  donna,  per 
condurla  qui.» 

«E  se  andassi  io?»  disse  don  Abbondio. 

«No,  no,  voi  :  v'  ho  già  pregato  d'  altro,»  rispose  il  car- 
dinale. 

«Dicevo,»  replicò  don  Abbondio,  «per  disporre  quella 
povera  madre.  È  una  donna  molto  sensitiva:  e  ci  vuole  uno 
che  la  conosca,  e  la  sappia  prendere  per  il  suo  verso,  per 
non  farle  male  invece  di  bene.» 

«E  per  questo  vi  prego  d'  avvertire  il  signor  curato  che 
scelga  un  uomo  di  proposito:  voi  siete  molto  più  necessario 
altrove,»  rispose  il  cardinale.  E  avrebbe  voluto  dire:  quella 
povera  giovine  ha  molto  più  bisogno  di  veder  subito  una  fac- 
cia conosciuta,  una  persona  sicura,  in  quel  castello,  dopo  tan- 
V  ore  di  spasimo,  e  in  una  terribile  oscurità  dell'  avvenire.  Ma 
questa  non  era  ragione  da  dirsi  così  chiaramente  davanti  a 
quel  terzo.  Parve  però  strano  al  cardinale  che  don  Abbondio 
non  V  avesse  intesa  per  aria,  anzi  pensata  da  sé  ;  e  così  fuor 
di  luogo  gli  parve  la  proposta  e  1'  insistenza,  che  pensò  do- 
verci esser  sotto  qualche  cosa.  Lo  guardò  in  viso  e  vi  sco- 
prì facilmente  la  paura  di  viaggiare  con  quell'  uomo  tremen- 
do, d'andare  in  quella  casa,  anche  per  pochi  momenti.  Vo- 
lendo quindi  dissipare  affatto  quell'  ombre  codarde,  e  non 
piacendogli  di  tirare  in  disparte  il  curato  e  di  bisbigliar  con 


CAPITOLO   XXIII.  289 

lui  in  segreto,  mentre  il  suo  nuovo  amico  era  lì  in  terzo, 
pensò  che  il  mezzo  più  opportuno  era  di  far  ciò  che  avrebbe 
fatto  anche  senza  questo  motivo,  parlare  all'innominato  me- 
desimo; e  dalle  sue  risposte  don  Abbondio  intenderebbe  fi- 
nalmente che  quello  non  era  più  uomo  da  averne  paura.  S'  av- 
vicinò dunque  all'  innominato ,  e  con  quelP  aria  di  spontanea 
confidenza,  che  si  trova  in  una  nuova  e  potente  affezione, 
come  in  un'antica  intrinsichezza,  «non  crediate,»  gli  disse, 
«  eh'  io  mi  contenti  di  questa  visita  per  oggi.  Voi  tornerete, 
n' è  vero?  in  compagnia  di  questo  ecclesiastico  dabbene?» 

«S'io  tornerò?»  rispose  l'innominato:  «quando  voi  mi 
rifiutaste,  rimarrei  ostinato  alla  vostra  porta,  come  il  povero. 
Ho  bisogno  di  parlarvi!  ho  bisogno  di  sentirvi,  divedervi!  ho 
bisogno  di  voi!» 

Federigo  gli  prese  la  mano,  gliela  strinse,  e  disse:  «fa- 
vorirete dunque  di  restare  a  desinare  con  noi.  V  aspetto. 
Intanto,  io  vo  a  pregare,  e  a  render  grazie  col  popolo;  e  voi 
a  cogliere  i  primi  frutti  della  misericordia.» 

Don  Abbondio,  a  quelle  dimostrazioni,  stava  come  un  ra- 
gazzo pauroso,  che  veda  uno  accarezzar  con  sicurezza  un  suo 
cagnaccio  grosso ,  rabbuffato ,  con  gli  occhi  rossi ,  con  un  no- 
macelo famoso  per  morsi  e  per  ispaventi,  e  senta  dir  al  pa- 
drone che  il  suo  cane  è  un  buon  bestione,  quieto,  quieto: 
guarda  il  padrone,  e  non  contraddice  né  approva:  guarda  il 
cane,  e  non  ardisce  accostargli ,  per  timore  che  il  buon  be- 
stione non  gli  mostri  i  denti,  fosse  anche  per  fargli  le  feste; 
non  ardisce  allontanarsi,  per  non  farsi  scorgere;  e  dice  in  cuor 
suo:  o  se  fossi  a  casa  mia! 

Al  cardinale,  che  s'  era  mosso  per  uscire,  tenendo  sempre 
per  la  mano  e  conducendo  seco  l'innominato,  diede  di  nuovo 
nell'  occhio  il  pover'  uomo,  che  rimanevo  indietro ,  mortificato, 
malcontento,  facendo  il  muso  senza  volerlo.  E  pensando  che 
forse  quel  dispiacere  gli  potesse  anche  venire  dal  parergli 
d'esser  trascurato,  e  come  lasciato  in  un  canto,  tanto  più  in 
paragone  d' un  facinoroso  così  ben  accolto,  così  accarezzato,  se 
gli  voltò  nel  passare,  si  fermò  un  momento,  e  con  un  sorriso 
amorevole  gli  disse:  «signor  curato,  voi  siete  sempre  con  me 
nella  casa  del  nostro  buon  Padre;  ma  questo  ....  questo  pe- 
rierat,  et  inventus  est.» 

«Oh  quanto  me  ne  rallegro!»  disse  don  Abbondio,  facendo 
una  gran  riverenza  a  tutt'  e  due  in  comune. 

L'arcivescovo  andò  avanti,  spinse  l'uscio,  che  fu  subito 
spalancato  di  fuori  da  due  servitori  che  stavano  uno  di  qua 
e  uno  di  là:  e  la  mirabile  coppia  apparve  agli  sguardi  bra- 
mosi del  clero  raccolto  nella  stanza.  Si  videro  que'  due 
volti  sui  quali  era  dipinta  una  commozione  diversa,  ma  ugual- 
mente profonda;    una  tenerezza  riconoscente,    un'  umile  gioia 

Manzoni.  19 


290  I    PEOMESSI    SPOSI. 

nell'  aspetto  venerabile  di  Federigo  :  in  quello  dell'  innomi- 
nato, una  confusione  temperata  di  conforto,  un  nuovo  pudore, 
una  compunzione,  dalla  quale  però  traspariva  tuttavia  il  vi- 
gore di  quella  selvaggia  e  risentita  natura.  E  si  seppe  poi, 
che  a  più  d'uno  dei  riguardanti  era  venuto  in  mente  quel 
detto  d'Isaia:  II  lupo  e  V  agnello  andranno  ad  un  pascolo  ; 
il  leone  e  il  bue  mangeranno  insieme  lo  strame.  Dietro  veniva 
don  Abbondio,  a  cui  nessuno  badò. 

Quando  furono  nel  mezzo  della  stanza ,  entrò  dall'  altra 
parte  l'aiutante  di  camera  del  cardinale,  e  gli  s'accostò  per 
dirgli  che  aveva  eseguiti  gli  ordini  comunicatigli  dal  cappel- 
lano; che  la  lettiga  e  le  due  mule  eran  preparate,  s'aspet- 
tava soltanto  la  donna  che  il  curato  avrebbe  condotta.  Il 
cardinale  gli  disse  che,  appena  arrivato  questo,  lo  facesse 
parlar  subito  con  don  Abbondio:  e  tutto  poi  fosse  agli  or- 
dini di  questo  e  dell'innominato;  al  quale  strinse  di  nuovo 
la  mano,  in  atto  di  commiato,  dicendo:  «v'  aspetto.»  Si 
voltò  a  salutar  don  Abbondio,  e  s'avviò  dalia  parte  che  con- 
duceva alla  chiesa.  Il  clero  gli  andò  dietro,  tra  in  folla  e  in 
processione:  i  due  compagni  di  viaggio  rimasero  soli  nella 
stanza. 

Stava  l'innominato  tutto  raccolto  in  sé,  pensieroso,  impa- 
ziente che  venisse  il  momento  d' andare  a  levar  di  pene  e 
di  carcere  la  sua  Lucia:  sua  ora  in  un  senso  così  diverso  da 
quello  che  lo  fosse  il  giorno  avanti;  e  il  suo  viso  esprimeva 
un'  agitazione  concentrata ,  che  all'  occhio  ombroso  di  don 
Abbondio  poteva  facilmente  parere  qualcosa  di  peggio.  Lo 
sogguardava,  avrebbe  voluto  attaccare  un  discorso  amichevole: 
ma,  —  cosa  devo  dirgli?  —  pensava:  —  devo  dirgli  ancora: 
mi  rallegro?  Mi  rallegro  di  che?  che  essendo  stato  finora  un 
demonio,  vi  siate  finalmente  risoluto  di  diventare  un  galan- 
tuomo come  gli  altri?  Bel  complimento!  Eh  eh  eh!  in  qua- 
lunque maniera  io  le  rigiri,  le  congratulazioni  non  vorrebbero 
dir  altro  che  questo.  ET  se  sarà  poi  vero  che  sia  diventato 
galantuomo:  così  a  un  tratto!  delle  dimostrazioni  se  ne  fanno 
tante  a  questo  mondo,  e  per  tante  cagioni!  Che  so  io,  alle 
volte?  E  intanto  mi  tocca  a  andar  con  lui!  in  quel  castello! 
Oh  che  storia!  che  storia!  che  storia!  Chi  me  l'avesse  detto  sta- 
mattina! Ah,  se  posso  uscirne  a  salvamento,  m'ha  da  sentire  la 
signora  Perpetua,  d'  avermi  cacciato  qui  per  forza,  quando  non 
e'  era  necessità ,  fuor  della  mia  pieve  ;  e  che  tutti  i  parrochi 
d'intorno  accorrevano,  anche  più  da  lontano;  e  che  non  bi- 
sognava stare  indietro;  e  che  questo,  e  che  quest' altro  ;  e  im- 
barcarmi in  un  affare  di  questa  sorte!  Oh  povero  me!  Ep- 
pure qualcosa  bisognerà  dirgli  a  costui.  —  E  pensa  e  ripen- 
sa, aveva  trovato  che  gli  avrebbe  potuto  dire:  non  mi  sarei 
mai    aspettato    questa   fortuna  d' incontrarmi  in  una  così  ri- 


CAPITOLO    XXIII.  291 

spettabile  compagnia;  e  stava  per  aprir  bocca,  quando  entrò 
1'  aiutante  di  camera ,  col  curato  del  paese ,  il  quale  annunziò 
che  la  donna  era  pronta  nella  lettiga,  e  poi  si  voltò  a  don 
Abbondio,  per  ricevere  da  lui  l'altra  commissione  del  cardi- 
nale. Don  Abbondio  se  ne  sbrigò  come  potè,  in  quella  con- 
fusione di  mente;  e  accostatosi  poi  all'aiutante,  gli  disse: 
«mi  dia  almeno  una  bestia  quieta;  perchè,  dico  la  verità, 
sono  un  povero  cavalcatore.  ■ 

«Si  figuri,»  rispose  l'aiutante,  con  un  mezzo  sogghigno: 
«è  la  mula  del  segretario,  che  è  un  letterato.» 

•  Basta  .  .  .  .»  replicò  don  Abbondio,  e  continuò  pensando: 
—  il  cielo  me  la  mandi  buona.  — 

Il  signore  s'era  incamminato  di  corsa,  al  primo  avviso: 
arrivato  all'uscio,  s'accorse  di  don  Abbondio,  eh' era  rima- 
sto indietro.  Si  fermò  ad  aspettarlo;  e  quando  questo  arrivò 
frettoloso,  in  aria  di  chieder  perdono,  l'inchinò,  e  lo  fece 
passare  avanti,  con  un  atto  cortese  e  umile:  cosa  che  racco- 
modò alquanto  lo  stomaco  al  povero  tribolato.  Ma  appena 
messo  piede  nel  cortiletto ,  vide  un'  altra  novità  che  gli  gua- 
stò quella  poca  consolazione;  vide  l'innominato  andar  verso 
un  canto,  prender  per  la  canna,  con  una  mano,  la  sua  cara- 
bina, poi  per  la  cigna  con  l'altra,  e,  con  un  movimento  spe- 
dito, come  se  facesse  V  esercizio,  mettersela  ad  armacollo. 

—  Ohi!  ohi!  ohi!  —  pensò  don  Abbondio:  —  cosa  vuol 
farne  di  quell'ordigno,  costui?  Bel  cilizio,  bella  disciplina 
da  convertito!  £  se  gli  salta  qualche  grillo?  Oh  che  spedi- 
zione! oh  che  spedizione!  — 

Se  quel  signore  avesse  potuto  appena  sospettare  che  razza 
di  pensieri  passavano  per  la  testa  al  suo  compagno,  non  si 
può  dire  cosa  avrebbe  fatto  per  rassicurarlo;  ma  era  lontano 
le  mille  miglia  da  un  tal  sospetto;  e  don  Abbondio  stava  at- 
tento a  non  far  nessun  atto  che  significasse  chiaramente:  non 
mi  fido  di  vossignoria.  Arrivati  all'  uscio  di  strada,  trovarono 
le  due  cavalcature  in  ordine:  l'innominato  saltò  su  quella 
che  gli  fu  presentata  da  un  palafreniere. 

«Vizi  non  ne  ha?»  disse  all'aiutante  di  camera  don  Ab- 
bondio, rimettendo  in  terra  il  piede,  che  aveva  già  alzato  verso 
la  staffa. 

«Vada  pur  su  di  buon  animo;  è  un  agnello.»  Don  Ab- 
bondio, arrampicandosi  alla  sella,  sorretto  dall'aiutante,  su, 
su,  su,  è  a  cavallo. 

La  lettiga,  ch'era  innanzi  qualche  passo,  portata  da  due 
mule,  si  mosse,  a  una  voce  del  lettighiero;  e  la  comitiva 
partì. 

Si  doveva  passar  davanti  alla  chiesa  piena  zeppa  di  po- 
polo, per  una  piazzetta  piena  anch'essa  d'altro  popolo,  del 
paese  e  forestieri,  che  non  avevan  potuto  entrare  in  quella. 

10* 


292  I   PEOMESSI    SPOSI. 

Già  la  gran  nuova  era  corsa;  e  all'apparir  della  comitiva, 
all'  apparir  di  queir  uomo ,  oggetto  ancor  poche  ore  prima  di 
teiTore  e  d'esecrazione,  ora  di  lieta  maraviglia,  s'alzò  nella 
follo  un  mormorio  quasi  d'  applauso  ;  e  facendo  largo ,  si  fa- 
ceva insieme  alle  spinte,  per  vederlo  da  vicino.  La  lettiga 
passò,  l'innominato  passò;  e,  davanti  alla  porta  spalancata 
della  chiesa,  si  levò  il  cappello,  e  chinò  quella  fronte  tanto 
temuta,  fin  sulla  criniera  della  mula,  tra  il  susurro  di  cento 
voci  che  dicevano:  Dio  la  benedica!  Don  Abbondio  si  levò 
anche  lui  il  cappello,  si  chinò,  si  raccomandò  al  cielo;  ma 
sentendo  il  concerto  solenne  de'  suoi  confratelli  che  cantavano 
a  distesa,  provò  un'invidia,  una  mesta  tenerezza,  un  accora- 
mento tale,  che  durò  fatica  a  tener  le  lacrime. 

Fuori  poi  dell'abitato,  nell'aperta  campagna,  negli  andiri- 
vieni talrolta  affatto  deserti  della  strada,  un  velo  più  nero 
si  stese  sui  suoi  pensieri.  Altro  oggetto  non  aveva  su  cui  ri- 
posar con  fiducia  lo  sguardo,  che  il  lettighiero,  il  quale,  es- 
sendo al  servizio  del  cardinale,  doveva  essere  certamente  un 
uomo  dabbene,  e  insieme  non  aveva  aria  d'imbelle.  Ogni 
tanto,  comparivano  viandanti,  anche  a  comitive,  che  accorre- 
vano per  vedere  il  cardinale;  ed  era  un  ristoro  per  don  Ab- 
bondio; ma  passeggiero,  ma  s'andava  verso  quella  valle  tre- 
menda ,  dove  non  s' incontrerebbe  che  sudditi  dell'  amico  :  e 
che  sudditi!  Con  V  amico  avrebbe  desiderato  ora  più  che 
mai  d' entrare  in  discorso ,  tanto  per  tastarlo  sempre  più, 
come  per  tenerlo  in  buona  ;  ma  vedendolo  così  soprappen- 
siero, gliene  passava  la  voglia.  Dovette  dunque  parlar  con 
sé  stesso;  ed  ecco  una  parte  di  ciò  che  il  pover'  uomo  si 
disse  in  quel  tragitto  ;  che.  a  scriver  tutto,  ci  sarebbe  da  farne 
un  libro. 

—  È  un  gran  dire  che  tanto  i  santi  come  i  birboni  gli 
abbiano  a  aver  l'argento  vivo  addosso,  e  non  si  contentino 
d'  esser  sempre  in  moto  loro ,  ma  voglian  tirare  in  ballo ,  se 
potessero,  tutto  il  genere  umano;  e  che  i  più  faccendoni  mi 
devan  proprio  venire  a  cercar  me,  che  non  cerco  nessuno,  e 
tirarmi  per  i  capelli  ne' loro  affari:  io  che  non  chiedo  altro 
che  d'esser  lasciato  vivere!  Quel  matto  birbone  di  don  Ro- 
drigo! Cosa  gli  mancherebbe  per  esser  l'uomo  il  più  felice 
di  questo  mondo,  se  avesse  appena  un  pochino  di  giudizio? 
Lui  ricco,  lui  giovine,  lui  rispettato,  lui  corteggiato:  gli  dà 
noia  il  bene  stare;  e  bisogna  che  vada  accattando  guai  per 
sé  e  per  gli  altri.  Potrebbe  far  1'  arte  di  Michelaccio  :  no, 
signore:  vuol  fare  il  mestiere  di  molestar  le  femmine:  il  più 
pazzo,  il  più  ladro,  il  più  arrabbiato  mestiere  di  questo  mon- 
do ;  potrebbe  andare  in  paradiso  in  carrozza,  e  vuol  andare  a 
casa  del  diavolo  a  pie  zoppo.  E  costui!  ....  —  E  qui  lo 
guardava,  come  se  avesse  sospetto  che  quel  costui  sentisse  i 


CAPITOLO   XXIII.  293 

suoi  pensieri,  —  costui,  dopo  aver  messo  sottosopra  il  mondo 
con  le  scelleratezze,  ora  lo  mette  sottosopra  con  la,  conver- 
sione ....  se  sarà  vero.  Intanto  tocca  a  me  a  farne  F  espe- 
rienza! ....  È  finita:  quando  son  nati  con  quella  smania  in 
corpo,  bisogna  che  faccian  sempre  fracasso.  Ci  vuol  tanto 
a  fare  il  galantuomo  tutta  la  vita ,  com'  ho  fatt'  io  ?  No ,  si- 
gnore: si  deve  squartare,  ammazzare,  fare  il  diavolo  ....  oh 
povero  me  !  ...  .  e  poi  uno  scompiglio,  anche  per  far  peniten- 
za. La  penitenza,  quando  s' ha  buona  volontà,  si  può  farla 
a  casa  sua,  quietamente,  senza  tant'  apparato,  senza  dar  tanto 
incomodo  al  prossimo.  E  sua  signoria  illustrissima,  subito 
subito,  a  braccia  aperte,  caro  amico,  amico  caro;  stare  a  tutto 
quel  che  gli  dice  costui ,  come  se  1'  avesse  visto  far  miracoli, 
e  prendere  addirittura  una  risoluzione,  mettercisi  ,  dentro  con 
le  mani  e  co' piedi,  presto  di  qua,  presto  di  là:  a  casa  mia 
si  chiama  precipitazione.  E  senza  avere  una  minima  caparra, 
dargli  in  mano  un  povero  curato  !  questo  si  chiama  giocare 
un  uomo  a  pari  e  caffo.  Un  vescovo  santo,  com'è  lui,  de' 
curati  dovrebbe  esserne  geloso,  come  della  pupilla  degli  occhi 
suoi.  Un  pochino  di  flemma,  un  pochino  di  prudenza,  un 
pochino  di  carità,  mi  pare  che  possa  stare  anche  con  la  san- 
tità ....  E  se  fosse  tutto  un'apparenza?  Chi  può  conoscer 
tutti  i  fini  degli  uomini?  e  dico  degli  uomini  come  costui? 
A  pensare  che  mi  tocca  a  andar  con  lui,  a  casa  sua  !  Ci  può 
esser  sotto  qualche  diavolo:  o  povero  me!  è  meglio  non  ci 
pensare.  Che  imbroglio  è  questo  di  Lucia?  Che  ci  fosse  un' 
intesa  con  don  Rodrigo?  che  gente!  ma  almeno  la  cosa  sa- 
rebbe chiara.  Ma  come  l'ha  avuta  nell'unghie  costui?  Chi 
lo  sa?  È  tutto  un  segreto  con  monsignore:  e  a  me  che  mi 
fanno  trottare  in  questa  maniera,  non  si  dice  nulla.  Io  non 
mi  curo  di  sapere  i  fatti  degli  altri;  ma  quando  uno  ci  ha  a 
metter  la  pelle,  ha  anche  ragione  di  sapere.  Se  fosse  proprio 
per  andare  a  prendere  quella  povera  creatura,  pazienza! 
Benché,  poteva  ben  condurla  con  sé  addirittura.  E  poi,  se  è 
così  convertito,  se  è  diventato  un  santo  padre,  che  bisogno 
c'era  di  me?  Oh  che  caos!  Basta:  voglia  il  cielo  che  la 
sia  così:  sarà  stato  un  incomodo  grosso,  ma  pazienza!  Sarò 
contento  anche  per  quella  povera  Lucia:  anche  lei  deve  averla 
scampata  grossa:  sa  il  cielo  cos'ha  patito;  la  compatisco, 
ma  è  nata  per  la  mia  rovina  ....  Almeno  potessi  vedergli 
proprio  in  cuore  a  costui,  come  la  pensa.  Chi  lo  può  cono- 
scere? Ecco  lì,  ora  pare  sant'Antonio  nel  deserto;  ora  pare 
Oloferne  in  persona.  Oh  povero  me!  povero  me!  Basta:  il 
cielo  è  in  obbligo  d'aiutarmi,  perchè  non  mi  ci  son  messo 
io  di  mio  capriccio.  — 

Infatti,  sul  volto  dell'  innominato  si  vedevano,  per  dir  così, 
passare  i  pensieri,  come,  in  un'  ora  burrascosa,  le  nuvole  tra- 


294  I    PEOMESSI    SPOSI. 

scorrono  dinanzi  alla  faccia  del  sole,  alternando  ogni  mo- 
mento una  luce  arrabbiata  e  un  freddo  buio.  L'  animo, 
ancor  tutto  inebriato  dalle  soavi  parole  di  Federigo,  e 
come  rifatto  e  ringiovanito  nella  nuova  vita,  s'  elevava 
a  quell'idee  di  misericordia,  di  perdono  e  d'amore;  poi 
ricadeva  sotto  il  peso  del  terribile  passato.  Correva  con 
ansietà  a  cercare  quali  fossero  le  iniquità  riparabili ,  cosa  si 
potesse  troncare  a  mezzo,  quali  i  rimedi  più  espedienti  e 
più  sicuri,  come  scioglier  tanti  nodi,  che  fare  di  tanti  com- 
plici: era  uno  sbalordimento  a  pensarci.  A  quella  stessa  spe- 
dizione ,  eh'  era  la  più  facile  e  così  vicina  al  termine ,  andava 
con  un'impazienza  mista  d'angoscia,  pensando  che  intanto 
quella  creatura  pativa.  Dio  sa  quanto,  e  che  lui,  il  quale  pure 
si  struggeva  di  liberarla,  era  lui  che  la  teneva  intanto  a  pa- 
tire. Dove  e'  eran  due  strade,  il  lettighiero  si  voltava,  per 
saper  quale  dovesse  prendere  :  l' innominato  gliel'  indicava  con 
la  mano  e  insieme  accennava  di  far  presto. 

Entrano  nella  valle.  Come  stava  allora  il  povero  don  Ab- 
bondio! Quella  valle  famosa,  della  quale  aveva  sentito  rac- 
contar tante  storie  orribili,  esserci  dentro:  que' famosi  uomi- 
ni, il  fiore  della  braverìa  d'Italia,  quegli  uomini  senza  paura 
e  senza  misericordia,  vederli  in  carne  e  in  ossa,  incontrarne 
uno  o  due  o  tre  a  ogni  voltata  di  strada.  Si  chinavano  som- 
messamente al  signore:  ma  certi  visi  abbronzati!  certi  baffi 
irti!  eerti  occhiacci,  che  a  don  Abbondio  pareva  che  voles- 
sero dire:  fargli  la  festa  a  quel  prete?  A  segno  che  in  un 
punto  di  somma  costernazione,  gli  venne  detto  tra  sé:  —  gli 
avessi  maritati!  non  mi  poteva  accader  di  peggio.  —  Intanto 
s'andava  avanti  per  un  sentiero  sassoso,  Lungo  il  torrente: 
al  di  là  quel  prospetto  di  balze  aspre,  scure,  disabitate;  al  di 
qua  quella  popolazione  da  far  parer  desiderabile  ogni  deserto: 
Dante  non  istava  peggio  nel  mezzo  di  Malebolge. 

Passan  davanti  al  Malanotte:  bravacci  sull'uscio,  inchini 
al  signore,  occhiate  al  suo  compagno  e  alla  lettiga.  Coloro 
non  sapevan  cosa  si  pensare:  già  la  partenza  dell'innomi- 
nato solo,  la  mattina,  aveva  dello  straordinario;  il  ritorno  non 
lo  era  meno.  Era  una  preda  che  conduceva?  E  come  1'  ave- 
va fatta  da  sé?  E  come  una  lettiga  forestiera?  E  di  chi 
poteva  esser  quella  livrea?  Guardavano,  guardavano,  ma  nes- 
suno si  moveva,  perchè  questo  era  l'ordine  che  il  padrone 
dava  loro  con  dell'  occhiate. 

Fanno  la  salita,  sono  in  cima.  I  bravi  che  si  trovan  sulla 
spianata  e  sulla  porta,  si  ritirano  di  qua  e  di  là,  per  lasciare 
il  passo  libero:  l'innominato  fa  segno  che  non  si  movan  di 
più;  sprona,  e  passa  davanti  alla  lettiga;  accenna  al  lettighiero 
e  a  don  Abbondio  che  lo  seguano;  entra  in  un  primo  cortile, 
da  quello  in  un  secondo;  va  verso  un  usciolino;  fa  stare  in- 


Capitolo  xxiv.  295 

dietro  con  un  gesto  un  bravo  che  accorreva  per  tenergli  la 
staffa,  e  gli  dice  :  «  tu  sta  costì,  e  non  venga  nessuno.»  Smon- 
ta, lega  in  fretta  la  mula  a  un'inferriata,  va  alla  lettiga, 
s'  accosta  alla  donna ,  che  aveva  tirata  la  tendina ,  e  le  dice 
sotto  voce:  «consolatela  subito;  fatele  subito  capire  che  è  li- 
bera, in  mano  d'amici.  Dìo  ve  ne  renderà  merito.»  Poi  fa 
cenno  al  lettighiero,  che  apra;  poi  s'avvicina  a  don  Abbondio, 
e,  con  un  sembiante  così  sereno  come  questo  non  gliel  aveva 
ancor  visto,  né  credeva  che  lo  potesse  avere,  con  dipintavi  la 
gioia  dell'  opera  buona  che  finalmente  stava  per  compire ,  gli 
dice,  ancora  sotto  voce:  «signor  curato,  non  le  chiedo  scusa 
dell'incomodo  che  ha  per  cagion  mia:  lei  lo  far  per  Uno  che 
paga  bene,  e  per  questa  sua  poverina.»  Ciò  detto,  prende 
con  una  mano  il  morso,  con  l'altra  la  staffa,  per  aiutar  don 
Abbondio  a  scendere. 

Quel  volto,  quelle  parole,  quell'atto,  gli  avevan  dato  la 
vita.  Mise  un  sospiro ,  che  da  un'  ora  gli  s' aggirava  dentro, 
senza  mai  trovar  l'uscita;  si  chinò  verso  l'innominato,  ri- 
spose a  voce  bassa  bassa:  «le  pare?  Ma,  ma,  ma,  ma....!» 
e  sdrucciolò  alla  meglio  dalla  sua  cavalcatura.  L' innominato 
legò  anche  quella,  e  detto  al  lettighiero  che  stesse  lì  a  aspet- 
tare, si  levò  una  chiave  di  tasca,  aprì  1'  uscio,  entrò,  fece  en- 
trare il  curato  e  la  donna,  s'  avviò  davanti  a  loro  alla  sca- 
letta; e  tutt  e  tre  salirono  in  silenzio. 


CAPITOLO  XXIV. 

Lucia  s'  era  risentita  da  poco  tempo  ;  e  di  quel  tempo  una 
parte  aveva  penato  a  svegliarsi  affatto,  a  separar  le  torbide 
visioni  del  sonno  dalle  memorie  e  dall'  immagini  di  quella 
realtà  troppo  somigliante  a  una  funesta  visione  d'  infermo. 
La  vecchia  le  si  era  subito  avvicinata,  e,  con  quella  voce  for- 
zatamente umile,  le  aveva  detto:  «ah!  avete  dormito?  Avreste 
potuto  dormire  in  letto  :  ve  l' ho  pur  detto  tante  volte  ier 
sera.»  E  non  ricevendo  risposta,  aveva  continuato,  sempre 
con  un  tono  di  supplicazione  stizzosa:  «mangiate  una  volta: 
abbiate  giudizio.  Uh  come  siete  brutta!  Avete  bisogno  di 
mangiare.    E  poi  se,  quando  torna,  la  piglia  con  me?» 

«No,  no;  voglio  andar  via,  voglio  andar  da  mia  madre. 
Il  padrone  me  l'ha  promesso,  ha  detto:  domattina.  Dov'è 
il  padrone?» 

«È  uscito;  m'ha  detto  che  tornerà  presto,  e  che  farà 
tutto  quel  che  volete.» 


296  I    PROMESSI    SPOSI 

«Ha  detto  così?  Ha  detto -così?  Ebbene,  io  voglio  andar 
da  mia  madre;  subito,  subito.» 

Ed  ecco  si  sente  un  calpestìo  nella  stanza  vicina;  poi  un 
picchio  all'uscio.     La  vecchia  accorre,  domanda:  «chi  è?» 

_  «Apri,»  risponde  sommessamente  la  nota  voce.  La  vec- 
chia tira  il  paletto;  l' innominato,  spingendo  leggermente  i  bat- 
tenti, fa  un  po' di  spiraglio;  ordina  alla  vecchia  ai  venir  fuo- 
ri, fa  entrar  subito  don  Abbondio  con  la  buona  donna.  Soc- 
chiude poi  di  nuovo  1'  uscio,  si  ferma  dietro  a  quello,  e  manda 
la  vecchia  in  una  parte  lontana  del  castellacelo  ;  come  aveva 
già  mandata  via  anche  l'altra  donna  che  stava  fuori,  di 
guardia. 

Tutto  questo  movimento ,  quel  punto  d'  aspetto ,  il  primo 
apparire  di  persone  nuove,  cagionarono  un  soprassalto  d'  agi- 
tazione a  Lucia,  alla  quale,  se  lo  stato  presente  era  intolle- 
rabile, ogni  cambiamento  però  era  motivo  di  sospetto  e  di 
nuovo  spavento.  Guardò,  vide  un  prete,  una  donna:  si  rincorò 
alquanto:  guarda  più  attenta:  è  lui,  o  non  è  lui?  Riconosce 
don  Abbondio,  e  rimane  con  gli  occhi  fissi,  come  incantata. 
La  donna  andatale  vicino,  si  chinò  sopra  di  lei,  e,  guardandola 
pietosamente,  prendendole  le  mani,  come  per  accarezzarla  e 
alzarla  a  un  tempo,  le  disse:  «oh  poverina!  venite,  venite 
con  noi.  b 

«Chi  siete?»  le  domandò  Lucia;  ma,  senza  aspettar  la 
risposta,  si  voltò  ancora  a  don  Abbondio,  che  s'  era  trattenuto 
discosto  due  passi,  con  un  viso  anche  lui,  tutto  compassione- 
vole; lo  fissò  di  nuovo,  e  esclamò:  «lei!  è  lei?  il  signor  cu- 
rato? Dove  siamo?  ....  Oh  povera  me!  son  fuori  di  sen- 
timento !  » 

«No,  no,»  rispose  don  Abbondio:  «son  io  davvero:  fatevi 
coraggio.  Vedete?  siam  qui  per  condurvi  via.  Son  proprio 
il  vostro  curato,  venuto  qui  apposta,  a  cavallo  .  .  .  .» 

Lucia,  come  riacquistate  in  un  tratto  tutte  le  sue  forze,  si 
rizzò  precipitosamente  ;  poi  fissò  ancora  lo  sguardo  su  que' 
due  visi,  e  disse:  "è  dunque  la  Madonna  che  vi  ha  man- 
dati. » 

«Io  credo   di  si,»  disse  la  buona  donna. 

«Ma  possiamo  andar  via,  possiamo  andar  via  davvero?» 
riprese  Lucia,  abbassando  la  voce,  e  con  uno  sguardo  timido 
e  sospettoso.  «E  tutta  quella  gente  ....?»  continuò,  con  le 
labbra  contratte  e  tremanti  di  spavento  e  d'  orrore:  «e 
quel  signore  ....  !  queir  uomo  ....  !  Già,  me  P  aveva  pro- 
messo ....  » 

«È  qui  anche  lui  in  persona,  venuto  apposta  con  noi,» 
disse  don  Abbondio;  «è  qui  fuori  che  aspetta.  Andiamo 
presto;  non  lo  facciamo  aspettare,  un  par  suo.» 


CAPITOLO    XXIV.  297 

Allora  quello  di  cui  si  parlava,  spinse  P  uscio,  e  si  fece 
vedere;  Lucia,  che  poco  primo  lo  desiderava,  anzi,  non  aven- 
do speranza  in  altra  cosa  del  mondo,  non  desiderava  che  lui, 
ora,  dopo  aver  veduti  visi,  e  sentite  voci  amiche,  non  potè 
reprimere  un  subitaneo  ribrezzo;  si  riscosse,  ritenne  il  respi- 
ro, si  strinse  alla  buona  donna,  e  le  nascose  il  viso  in  seno. 
L' innominato  alla  vista  di  quell'  aspetto  sul  quale  già  la  sera 
avanti  non  aveva  potuto  tener  fermo  lo  sguardo,  di  quel- 
1'  aspetto  reso  ora  più  squallido,  sbattuto,  affannato  dal  patire 
prolungato  "e"  dal  digiuno,  era  rimasto  lì  fermo,  quasi  sul- 
F  uscio,  nel  veder  poi  quell'  atto  di  terrore,  abbassò  gli  occhi, 
stette  ancora  un  momento  immobile  e  muto;  indi  rispondendo 
a  ciò  che  la  poverina  non  aveva  detto,  «è  vero,»  esclamò: 
«perdonatemi!» 

«Viene  a  liberarvi;  non  è  più  quello;  è  diventato  buono: 
sentite  che  vi  chiede  perdono?»  diceva  la  buona  donna  al- 
l' orecchio  di  Lucia. 

«Si  può  dir  di  più?  Via,  su  quella  testa;  non  fate  la 
bambina;  che  possiamo  andar  presto,»  le  diceva  don  Abbon- 
dio. Lucia  alzò  la  testa,  guardò  l'innominato,  e,  vedendo 
bassa  quella  fronte,  atterrato  e  confuso  quello  sguardo,  presa 
da  un  misto  sentimento  di  conforto,  di  riconoscenza  e  di 
pietà,  disse:  «oh,  il  mio  signore!  Dio  le  renda  merito  della 
sua  misericordia!» 

«E  a  voi,  cento  volte,  il  bene  che  mi  fanno  codeste  vo- 
stre parole.» 

Così  detto,  si  voltò,  andò  verso  l'uscio,  e  uscì  il  primo. 
Lucia,  tutta  rianimata,  con  la  donna  che  le  dava  braccio,  gli 
andò  dietro;  don  Abbondio  in  coda.  Scesero  la  scala,  arri- 
varono all'  uscio  che  metteva  nel  cortile.  L'  innominato  lo 
spalancò,  andò  alla  lettiga,  aprì  lo  sportello,  e,  <;on  una  certa 
gentilezza  quasi  timida  (due  cose  nuove  in  lui)  sorreggendo 
il  braccio  di  Lucia,  V  aiutò  ad  entrarvi,  poi  la  buona  donna. 
Slegò  quindi  la  mula  di  don  Abbondio,  e  l'aiutò  anche  lui  a 
montare. 

«  Oh  che  degnazione  !  »  disse  questo  ;  e  montò  molto  più 
lesto  che  non  avesse  fatto  la  prima  volta.  La  comitiva  si 
mosse  quando  l' innominato  fu  anche  lui  a  cavallo.  La  sua 
fronte  s' era  rialzata;  lo  sguardo  aveva  ripreso  la  solita 
espressione  d'impero.  I  bravi  che  incontrava,  vedevan  bene 
sul  suo  viso  i  segni  d'un  forte  pensiero,  d'una  preoccupa- 
zione straordinaria;  ma  non  capivano,  né  potevan  capire  più 
in  là.  Al  castello  non  si  sapeva  ancor  nulla  della  gran  mu- 
tazione di  quell'  uomo  ;  e  per  congettura,  certo,  nessun  di  co- 
loro vi  sarebbe  arrivato. 

La  buona  donna  aveva  subito  tirate  le  tendine  della  letti- 
ga; prese  poi  affettuosamente  le  mani  di  Lucia,  s'era  messa 


298  I    PROMESSI   SPOSI. 

a  confortarla,  con  parole  di  pietà,  di  congratulazione  e  di 
tenerezza,  e  vedendo  come,  oltre  la  fatica  di  tanto  travaglio 
sofferto,  la  confusione  e  l'oscurità  degli  avvenimenti  impe- 
divano alla  poverina  di  sentir  pienamente  la  contentezza  della 
sua  liberazione,  le  disse  quanto  poteva  trovar  di  più  atto  a 
distrigare,  a  ravviare,  per  dir  così,  i  suoi  poveri  pensieri. 
Le  nominò  il  paese  dove  andavano. 

«Sì?»  disse  Lucia,  la  qual  sapeva  ch'era  poco  discosto 
dal  suo.  «Ah  Madonna  santissima,  vi  ringrazio!  Mia  madre! 
mia  madre  !  » 

«La  manderemo  a  cercar  subito,»  disse  la  buona  donna, 
la  quale  non  sapeva  che  la  cosa  era  già  fatta. 

«Sì,  sì;  che  Dio  ve  ne  renda  merito  ....  E  voi,  chi  siete? 
Come  siete  venuta  .  .  .  .» 

«M"ha  mandata  il  nostro  curato,»  disse  la  buona  donna: 
«perchè  questo  signore,  Dio  gli  ha  toccato  il  cuore  (sia  bene- 
detto!), ed  è  venuto  al  nostro  paese,  per  parlare  al  signor 
cardinale  arcivescovo  (che  1'  abbiamo  là  in  visita  quel  san- 
t' uomo),  e  s' è  pentito  de' suoi  peccatucci,  e  vuol  mutar 
vita;  e  ha  detto  al  cardinale  che  aveva  fatto  rubare  una 
povera  innocente,  che  siete  voi,  d'  intesa  con  un  altro  senza 
timor  di  Dio,  che  il  curato  non  m'ha  detto  chi  possa  es- 
sere.» 

Lucia  alzò  gli  occhi  al  cielo. 

«Lo  saprete  forse  voi,»  continuò  la  buona  donna:  «basta: 
dunque  il  signor  cardinale  ha  pensato  che,  trattandosi  d'una 
giovine,  ci  voleva  una  donna  per  venire  in  compagnia,  e  ha 
detto  al  curato  che  ne  cercasse  una:  e  il  curato,  per  sua 
bontà,  è  venuto  da  me  .  . .  .» 

«Oh!  il  Signore  vi  ricompensi  della  vostra  carità!» 

«Che  dite  mai,  la  mia  povera  giovine?  E  m'ha  detto  il 
signor  curato,  che  vi  facessi  coraggio,  e  cercassi  di  sollevarvi 
subito ,  e  farvi  intendere  come  il  Signore  v'  ha  salvata  mira- 
colosamente .  .  .  .» 

«Ah  sì!  proprio  miracolosamente;  per  intercession  della 
Madonna.» 

«Dunque,  che  stiate  di  buon  animo,  e  perdonare  a  chi 
v'  ha  fatto  del  male,  e  esser  contenta  che  Dio  gli  abbia  usata 
misericordia,  anzi  pregare  per  lui;  che,  oltre  all'acquistarne 
merito,  vi  sentirete  anche  allargare  il  cuore.» 

Lucia  rispose  con  uno  sguardo  che  diceva  di  sì,  tanto 
chiaro  come  avrebbero  potuto  far  le  parole,  e  con  una  dol- 
cezza che  le  parole  non  avrebbero  saputo  esprimere. 

«Brava  giovine!»  riprese  la  donna,  «e  trovandosi  al  no- 
stro paese  anche  il  vostro  curato  (che  ce  n'  è  tanti  tanti .  di 
tutto  il  contorno,  da  mettere  insieme  quattro  ufizi  generali), 
ha  pensato  il  signor  cardinale  di  mandarlo  anche  lui  in  com- 


CAPITOLO   XXIV.  299 

pagnia;  ma  è  stato  di  poco  aiuto.  Già  l'avevo  sentito  dire 
ch'era  un  uomo  da  poco,  ma  in  quest'occasione,  Lo  dovuto 
proprio  vedere  che  è  più  impicciato  che  un  pulcin  nella  stoppa. ■> 

«E  questo  .  .  .  .»  domandò  Lucia,  «questo  che  è  diventato 
buono  ....  chi  è? 

«Come!  non  lo  sapete?»  disse  la  buona  donna,  e  lo 
nominò. 

«Oh  misericordia!  esclamò  Lucia.  Quel  nome,  quante 
volte  F  aveva  sentito  ripetere  con  orrore  in  più  d'  una  storia. 
in  cui  figurava  sempre  come  in  altre  storie  quello  dell'  orco  ! 
E  ora,  al  pensiero  d'essere  stata  nel  suo  terribil  potere,  e 
d' essere  sotto  la  sua  guardia  pietosa  ;  al  pensiero  d'  una  così 
orrenda  sciagura,  e  d'una  così  improvvisa  redenzione;  a  con- 
siderare di  chi  era  quel  viso  che  aveva  veduto  burbero,  poi 
commosso,  poi  umiliato,  rimaneva  come  estatica,  dicendo  solo, 
ogni  poco  :  «  oh  misericordia  !  » 

«È  una  gran  misericordia  davvero!»  diceva  la  buona  don- 
na: «dev'essere  un  gran  sollievo  per  mezzo  mondo.  A  pen- 
sare quanta  gente  teneva  sottosopra  ;  e  ora,  come  m'  ha  detto 
il  nostro  curato  ....  e  poi.  solo  a  guardarlo  in  viso  è  diven- 
tato un  santo!  E  poi  si  vedon  subito  le  opere.» 

Dire  che  questa  buona  donna  non  provasse  molta  curiosi- 
tà di  conoscere  un  po'  più  distintamente  la  grande  avventura 
nella  quale  si  trovava  a  fare  una  parte,  non  sarebbe  la  veri- 
tà. Ma  bisogna  dire  a  sua  gloria  che,  compresa  d'  una  pietà 
rispettosa  per  Lucia,  sentendo  in  certo  modo  la  gravità  e  la 
dignità  dell'  incarico  che  le  era  stato  affidato,  non  pensò  nep- 
pure a  farle  una  domanda  indiscreta,  né  oziosa:  tutte  le  sue 
parole  in  quel  tragitto,  furono  di  conforto  e~di  premura  per 
la  povera  giovine. 

«Dio  sa  quant' è  che  non  avete  mangiato!» 

«Non  me  ne  ricordo  più  ....  Da  un  pezzo.» 

«Poverina!  avrete  bisogno  di  ristorarvi.» 

«Sì,»  rispose  Lucia  con  voce  fioca. 

«A  casa  mia,  grazie  a  Dio,  troveremo  subito  qualcosa. 
Fatevi  coraggio  che  ormai  c'è  poco.» 

Lucia  si  lasciava  poi  cader  languida  sul  fondo  della  let- 
tiga, come  assopita;  e  allora  la  buona  donna  la  lasciava  in 
riposo. 

Per  don  Abbondio  questo  ritorno  non  era  certo  così  an- 
goscioso come  V  andata  di  poco  prima;  ma  non  fu  neppur 
esso  un  viaggio  di  piacere.  Al  cessar  di  quella  pauraccia,  s'  era 
da  principio  sentito  tutto  scarico,  ma  ben  presto  cominciarono 
a  spuntargli  in  cuore  cent' altri  dispiaceri,  come,  quando  è 
stato  sbarbato  un  grand'  albero ,  il  terreno  rimane  sgombro 
per  qualche  tempo,  ma  poi  si  copre  tutto  d' erbacce.  ^Era 
diventato  più  sensibile  a  tutto  il  resto;   e  tanto  nel  presente, 


300  I  PROMESSI    SPOSI. 

quanto  nei  pensieri  dell'  avvenire,  non  gli  mancava  pur  troppo 
materia  di  tormentarsi.  Sentiva  ora,  molto  più  che  nell'an- 
dare, l'incomodo  di  quel  modo  di  viaggiare,  al  quale  non 
era  molto  avvezzo;  e  specialmente  sul  principio,  nella  scesa 
dal  castello  al  fondo  della  valle.  Il  lettighiero  stimolato 
da'  cenni  dell'  innominato ,  faceva  andar  di  buon  passo  le 
sue  bestie:  le  due  cavalcature  andavan  dietro  dietro,  con  lo 
stesso  passo;  onde  seguiva  che,  a  certi  luoghi  più  ripidi,  il 
povero  don  Abbondio,  come  se  fosse  messo  a  leva  per  di  die- 
tro, tracollava  sul  davanti,  e,  per  reggersi,  doveva  appuntel- 
larsi con  la  mano  all'arcione;  e  non  osava  però  pregare  che 
s'andasse  più  adagio;  e  dall'altra  parte  avrebbe  voluto  esser 
fuori  di  quel  paese  più  presto  che  fosse  possibile.  Oltre  di 
ciò,  dove  la  strada  era  sur  un  rialto,  sur  un  ciglione,  la  mula, 
secondo  l'uso  de' pari  suoi,  pareva  che  facesse  per  dispetto 
a  tener  sempre  dalla  parte  di  fuori,  e  a  metter  proprio  le 
zampe  sull'orlo,  e  don  Abbondio  vedeva  sotto  di  sé  quasi  a 
perpendicolo,  un  salto,  o  come  pensava  lui,  un  precipizio.  — 
Anche  tu,  —  diceva  tra  sé  alla  bestia,  —  hai  quel  male- 
detto gusto  d'andare  a  cercare  i  pericoli,  quando  c'è  tanto 
sentiero  !  —  E  tirava  la  briglia  dall'  altra  parte  ;  ma  inutil- 
mente. Sicché,  al  solito  rodendosi  di  stizza  e  di  paura,  si 
lasciava  condurre  a  piacere  altrui.  I  bravi  non  gli  facevan 
più  tanto  spavento,  ora  che  sapeva  più  di  certo  come  la  pen- 
sava il  padrone.  —  Ma,  —  rifletteva  però,  —  se  la  notizia 
di  questa  gran  conversione  si  sparge  qua  dentro,  intanto  che 
ci  siamo  ancora,  chi  sa  come  l'intenderanno  costoro!  Chi  sa 
cosa  nasce!  che  s'andassero  a  immaginare  che  sia  venuto  io 
a  fare  il  missionario  !  Povero  me  !  mi  martirizzano  !  —  Il  ci- 
piglio dell'innominato  non  gli  dava  fastidio.  —  Per  tenere  a 
segno  quelle  facce  lì,  —  pensava,  —  non  ci  vuol  meno  di 
questa  qui;  lo  capisco  anch'io;  ma  perchè  deve  toccare  a  me 
a  trovarmi  tra  tutti  costoro!  — 

Basta;  s'arrivò  in  fondo  alla  scesa,  e  s'uscì  finalmente 
anche  dalla  valle.  La  fronte  dell'  innominato  s' andò  spia- 
nando. Anche  don  Abbondio  prese  una  faccia  più  naturale, 
sprigionò  alquanto  la  testa  di  tra  le  spalle,  sgranchì  le  brac- 
cia e  le  gambe,  si  mise  a  stare  un  po' più  sulla  vita,  che  fa- 
ceva un  tutt' altro  vedere,  mandò  più  larghi  respiri,  e,  con 
animo  più  riposato,  si  mise  a  considerare  altri  lontani  peri- 
coli. —  Cosa  dirà  quel  bestione  di  don  Ptodrigo?  Ptimaner 
con  tanto  di  naso  a  questo  modo,  col  danno  e  con  le  beffe, 
figuriamoci  se  la  gli  deve  parere  amara.  Ora  è  quando  fa  il 
diavolo  davvero.  Sta  a  vedere  che  se  la  piglia  anche  con  me, 
perchè  mi  son  trovato  dentro  in  questa  cerimonia.  Se  ha 
avuto  cuore  fin  d'  allora  di  mandare  que'  due  demoni  a  farmi 
una  figura   di   quella  sorte  sulla  strada,  ora  poi,  chi  sa  cosa 


CAPITOLO   XXIV.  301 

farà!  Con  sua  signoria  illustrissima  non  la  può  prendere,  che 
è  un  pezzo  molto  più  grosso  di  lui;  lì  bisognerà  rodere  il  freno. 
Intanto  il  veleno  V  avrà  in  corpo ,  e  sopra  qualcheduno  lo 
vorrà  sfogare.  Come  finiscono  queste  faccende?  I  colpi  ca- 
scano sempre  all'  ingiù  ;  i  cenci  vanno  all'  aria.  Lucia ,  di 
ragione,  sua  signoria  illustrissima  penserà  a  metterla  in  salvo  : 
quell'altro  poveraccio  mal  capitato  è  fuor  del  tiro,  e  ha  già 
avuto  la  sua:  ecco  che  il  cencio  son  diventato  io.  La  sa- 
rebbe barbara,  dopo  tanti  incomodi,  dopo  tante  agitazioni, 
e  senza  acquistarne  merito,  che  ne  dovessi  portar  la  pena  io. 
Cosa  farà  ora  sua  signoria  illustrissima  per  difendermi,  dopo 
avermi  messo  in  ballo?  Mi  può  star  mallevadore  lui  che  quel 
dannato  non  mi  faccia  un'  azione  peggio  della  prima?  E  poi 
La  tanti  affari  per  la  testa!  mette  mano  a  tante  cose!  Come 
si  può  badare  a  tutto?  Lascian  poi  alle  volte  le  cose  più 
imbrogliate  di  prima.  Quelli  che  fanno  il  bene  lo  fanno 
all'  ingrosso  :  quand'  hanno  provato  quella  soddisfazione,  n'  han- 
no abbastanza,  e  non  si  voglion  seccare  a  star  dietro  a  tutte 
le  conseguenze:  ma  coloro  che  hanno  quel  gusto  di  fare  il 
male,  ci  mettono  più  diligenza,  ci  stanno  dietro  fino  alla 
fine,  non  prendon  mai  requie,  perchè  hanno  quel  canchero 
che  li  rode.  Devo  andar  io  a  dire  che  son  venuto  qui  per 
comando  espresso  di  sua  signoria  illustrissima,  e  non  di  mia 
volontà?  Parrebbe  che  volessi  tenere  dalla  parte  dell'  iniquità. 
Oh  santo  cielo!  Dalla  parte  dell'iniquità  io!  Per  gli  spassi 
che  la  mi  dà!  Basta:  il  meglio  sarà  a  raccontare  a  Perpetua 
la  cosa  com'  è  :  e  lascia  poi  fare  a  Perpetua  a  mandarla  in 
giro.  Purché  a  monsignore  non  venga  il  grillo  di  far  qualche 
pubblicità,  qualche  scena  inutile,  e  mettermici  dentro  anche 
me.  A  buon  conto,  appena  siamo  arrivati,  se  è  uscito  di 
chiesa,  vado  a  riverirlo  in  fretta  in  fretta:  se  jio,  lascio  le 
mie  scuse,  e  me  ne  vo  dritto  dritto  a  casa  mia.  Lucia 
è  bene  appoggiata;  di  me  non  e'  è  più  bisogno;  e  dopo 
tant' incomodi,  posso  pretendere  anch'io  d'andarmi  a  ripo- 
sare. E  poi  ....  che  non  venisse  anche  curiosità  a  monsi- 
gnore di  saper  tutta  la  storia,  e  mi  toccasse  a  render  conto 
dell'  affare  del  matrimonio  !  Non  ci  mancherebbe  altro.  E  se 
viene  in  visita  anche  alla  mia  parrocchia!  ....  Oh!  sarà  quel 
che  sarà;  non  vo' confondermi  prima  del  tempo:  n'ho  abba- 
stanza de'  guai.  Per  ora  vo  a  chiudermi  iu  casa.  Fin  che 
monsignore  si  trova  da  queste  parti,  don  Rodrigo  non  avrà 
faccia  di  far  pazzie.  E  poi....  E  poi?  Ah!  vedo  che  i  miei 
ultimi  anni  ho  da  passarli  male!  — 

La  comitiva  arrivò  che  le  funzioni  di  chiesa  non  erano 
ancor  terminate;  passò  per  mezzo  alla  folla  medesima  non 
meno  commossa  della  prima  volta:  e  poi  si  divise.  I  due  a 
cavallo  voltarono  sur  una  piazzetta  di  fianco,  in  fondo  a  cui 


302  I   PROMESSI    SPOSI. 

era  la  casa  del  parroco;  la  lettiga  andò  avanti  verso  quella 
della  buona  donna. 

Don  Abbondio  fece  quello  che  aveva  pensato:  appena 
smontato,  fece  i  più  sviscerati  complimenti  all'innominato,  e 
lo  pregò  di  volerlo  scusar  con  monsignore;  che  lui  doveva 
tornare  alla  parrocchia  addirittura,  per  affari  urgenti.  Andò 
a  cercare  quel  che  chiamava  il  suo  cavallo,  cioè  il  bastone 
che  aveva  lasciato  in  un  cantuccio  del  salotto,  e  s' incamminò. 
L'innominato  stette  a  aspettare  che  il  cardinale  tornasse  di 
chiesa. 

La  buona  donna,  fatta  seder  Lucia  nel  miglior  luogo  della 
sua  cucina,  s'affaccendava  a  preparar  qualcosa  da  ristorarla, 
licusando,  con  una  certa  rustichezza  cordiale,  i  ringraziamenti 
e  le  scuse  che  questa  rinnovava  ogni  tanto. 

Presto,  presto,  rimettendo  stipa  sotto  un  calderotto,  dove 
notava  un  buon  cappone,  fece  alzare  il  bollore  al  brodo,  e 
riempitane  una  scodella  già  guarnita  di  fette  di  pane,  potè 
finalmente  presentarla  a  Lucia.  E  nel  vedere  la  poverina  a 
riaversi  a  ogni  cucchiaiata,  si  congratulava  ad  alta  voce  con 
sé  stessa  che  la  cosa  fosse  accaduta  in  un  giorno  in  cui,  co- 
m'essa diceva,  non  c'era  il  gatto  nel  fuoco.  «Tutti  s'inge- 
gnano oggi  a  far  qualcosina,»  aggiungeva:  «meno  que' poveri 
poveri  che  stentano  a  aver  pane  di  vecce  e  polenta  di  sag- 
gina; però  oggi  da  un  signore  così  caritatevole  sperano  di 
buscar  tutti  qualcosa.  Noi,  grazie  al  cielo,  non  siamo  in 
questo  caso:  tra  il  mestiere  di  mio  marito,  e  qualcosa  che 
abbiamo  al  sole,  si  campa.  Sicché  mangiate  senza  pensieri 
intanto;  che  presto  il  cappone  sarà  a  tiro,  e  potrete  ristorar- 
vi un  po' meglio.»  Così  detto  ritornò  ad  accudire  al  desinare, 
e  ad  apparecchiare. 

Lucia,  tornatele  alquanto  le  forze,  e  acquietandosele  sem- 
pre più  1'  animo ,  andava  intanto  assettandosi ,  per  un'  abitu- 
dine, per  un  istinto  di  pulizia  e  di  verecondia:  rimetteva  e 
fermava  le  treccie  allentate  e  arruffate,  raccomodava  il  fazzo- 
letto sul  seno,  e  intorno  al  collo.  In  far  questo,  le  sue  dita 
s'intralciarono  nella  corona  che  ci  aveva  messa,  la  notte 
avanti;  lo  sguardo  vi  corse;  si  fece  nella  mente  un  tumulto 
istantaneo;  la  memoria  del  voto,  oppressa  fino  allora  e  sof- 
fogata da  tante  sensazioni  presenti,  vi  si  suscitò  d'improvvi- 
so, e  vi  comparve  chiara  e  distinta.  Allora  tutte  le  potenze 
del  suo  animo,  appena  riavute,  furon  sopraffatte  di  nuovo,  a 
un  tratto  :  e  se  queir  animo  non  fosse  stato  così  preparato  da 
una  vita  d' innocenza,  di  rassegnazione  e  di  fiducia,  la  costerna- 
zione che  provò  in  quel  momento,  sarebbe  stata  disperazione. 
Dopo  un  ribollimento  di  que'  pensieri  che  non  vengono  con 
parole;  le  prime  che  si  formarono  nella  sua  mente  furono: 
—  oh  povera  me,  cos'ho  fatto!  — 


CAPITOLO  XXIV.  303 

Ma  non  appena  l'ebbe  pensata,  ne  risentì  come  uno  spa- 
vento. Le  tornarono  in  mente  tutte  ie  circostanze  del  voto, 
l'angoscia  intollerabile,  il  non  avere  una  speranza  di  soccor- 
so, il  fervore  della  preghiera,  la  pienezza  del  sentimento  con 
cui  la  promessa  era  stata  fatta.  E  dopo  avere  ottenuta  la 
grazia,  pentirsi  della  promessa,  le  parve  un'ingratitudine  sa- 
crilega, una  perfidia  verso  Dio  e  la  Madonna;  le  parve  che 
una  tale  infedeltà  le  attirerebbe  nuove  e  più  terribili  sventure, 
in  mezzo  alle  quali  non  potrebbe  più  sperare  neppur  nella 
preghiera;  e  s'affrettò  di  rinnegare  quel  pentimento  momen- 
taneo. Si  levò  con  divozione  la  corona  dal  collo,  e  tenendola 
nella  mano  tremante ,  confermò ,  rinnovò  il  voto ,  chiedendo 
nello  stesso  tempo,  con  una  supplicazione  accorata,  che  le 
fosse  concessa  la  forza  d' adempirlo ,  che  le  fossero  rispar- 
miati i  pensieri  e  l'occasioni  le  quali  avrebbero  potuto,  se 
non  ismovere  il  suo  animo,  agitarlo  troppo.  La  lontananza 
di  Renzo,  senza  nessuna  probabilità  di  ritorno,  quella  lonta- 
nanza che  fin  allora  le  era  stata  così  amara,  le  parve  ora  una 
disposizione  della  Provvidenza,  che  avesse  fatti  andare  in- 
sieme i  due  avvenimenti  per  un  fine  solo;  e  si  studiava  di 
trovar  nell'  uno  la  ragione  d'  esser  contenta  dell'  altro.  E 
dietro  a  quel  pensiero,  s'andava  figurando  ugualmente  che 
quella  Provvidenza  medesima,  per  compir  1' opera,  saprebbe 
trovar  la  maniera  di  far  che  Renzo  si  rassegnasse  anche  lui, 
non  pensasse  più  ....  Ma  una  tale  idea,  appena  trovata,  mise 
sottosopra  la  mente  eh'  era  andata  a  cercarla.  La  povera 
Lucia,  sentendo  che  il  cuore  era  lì  lì  per  pentirsi,  ritornò  alla 
preghiera,  alle  conferme,  al  combattimento,  dal  quale  s'alzò, 
se  ci  si  passa  quest'  espressione ,  come  il  vincitore  stanco  e 
ferito,  di  sopra  il  nemico  abbattuto  :  non  dico  ucciso. 

Tutt'  a  un  tratto ,  si  sente  uno  scalpiccio  e  un  chiasso  di 
voci  allegre.  Era  la  famigliola  che  tornava  di  chiesa.  Due 
bambinette  e  un  fanciullo  entran  saltando;  si  fermano  un 
momento  a  dare  un'  occhiata  curiosa  a  Lucia,  poi  corrono  alla 
mamma,  e  le  s'aggruppano  intorno;  chi  domanda  il  nome 
deh"  ospite  sconosciuta,  e  il  come  e  il  perchè;  chi  vuol  rac- 
contar le  maraviglie  vedute;  la  buona  donna  risponde  a  tutto 
e  a  tutti  con  un  «zitti,  zitti.»  Entra  poi,  con  un  passo  più 
quieto,  ma  con  una  premura  cordiale  dipinta  in  viso,  il  pa- 
drone di  casa.  Era,  se  non  l'abbiamo  ancor  detto,  il  sarto 
del  villaggio,  e  de'  contorni  ;  un  uomo  che  sapeva  leggere,  che 
aveva  letto  infatti  più  d' una  volta  il  Leggendario  de'  Santi, 
il  Guerrin  meschino  e  i  Reali  di  Francia,  e  passava  in  quelle 
parti,  per  un  uomo  di  talento  e  di  scienza:  lode  però  che 
rifiutava  modestamente,  dicendo  soltanto  che  aveva  sbagliato 
la  vocazione;  e  che  se  fosse  andato  agli  studi,  invece  di  tan- 
t'  altri  ...  !    Con  questo,  la  miglior  pasta  del  mondo.    Essen- 


304  I   PROMESSI    SPOSI. 

dosi  trovato  presente  quando  sua  moglie  era  stata  pregata 
dal  curato  d' intraprendere  quel  viaggio  caritatevole ,  non  solo 
ci  aveva  data  la  sua  approvazione,  ma  le  avrebbe  fatto  corag- 
gio, se  ce  ne  fosse  stato  bisogno.  E  ora  che  la  funzione,  la 
pompa,  il  concorso,  e  soprattutto  la  predica  del  cardinale 
avevano,  come  si  dice,  esaltati  tutti  i  suoi  buoni  sentimenti, 
tornava  a  casa  con  un'  aspettativa ,  con  un  desiderio  ansioso 
di  sapere  come  la  cosa  fosse  riuscita,  e  di  trovare  la  povera 
innocente  salvata. 

«Guardate  un  poco,»  gli  disse,  al  suo  entrare,  la  buona 
donna,  accennando  Lucia;  [la  quale  fece  il  viso  rosso,  s'alzò, 
e  cominciava  a  balbettar  qualche  scusa.  Ma  lui,  avvicinato- 
sele, l'interruppe  facendole  una  gran  festa,  e  esclamando: 
cben  venuta,  ben  venuta!  Siete  la  benedizione  del  cielo  in 
questa  casa.  Come  son  contento  di  vedervi  qui!  Già  ero  si- 
curo che  sareste  arrivata  a  buon  porto;  perchè  non  ho  mai 
trovato  che  il  Signore  abbia  cominciato  un  miracolo  senza  fi- 
nirlo bene;  ma  son  contento  di  vedervi  qui!  Povera  giovine! 
Ma  è  però  una  gran  cosa  d'aver  ricevuto  un  miracolo!» 

Né  si  creda  che  fosse  lui  il  solo  a  qualificar  così  quell'  av- 
venimento, perchè  aveva  letto  il  Leggendario:  per  tutto  il 
paese  e  per  tutt'  i  contorci  non  se  ne  parlò  con  altri  termini, 
fin  che  ce  ne  rimase  la  memoria.  E,  a  dir  la  verità,  con  le 
frange  che  vi  s'attaccarono,  non  gli  poteva  convenire  altro 
nome. 

Accostatosi  poi  passo  passo  alla  moglie,  che  staccava  il 
calderotto  dalla  catena,  le  disse  sottovoce:  «è  andato  bene 
ogni  cosa?» 

«Benone:  ti  racconterò  poi  tutto.» 

«Sì,  sì,  con  comodo.» 

Messo  poi  subito  in  tavola,  la  padrona  andò  a  prender 
Lucia,  ve  l'accompagnò,  la  fece  sedere;  e  staccata  un'ala  di 
quel  cappone,  gliela  mise  davanti;  si  mise  a  sedere  anche 
lei  e  il  marito,  facendo  tutt' e  due  coraggio  all'ospite  abbat- 
tuta e  vergognosa,  perchè  mangiasse.  Il  sarto  cominciò,  ai 
primi  bocconi,  a  discorrere  con  grand' enfasi,  in  mezzo  alle 
interruzioni  de'  ragazzi ,  che  mangiavano  intorno  alla  tavola, 
e  che  in  verità  avevano  viste  troppe  cose  straordinarie,  per 
fare  alla  lunga  la  sola  parte  d'  ascoltatori.  Descriveva  le  ce- 
rimonie solenni,  poi  saltava  a  parlare  della  conversione  mi- 
racolosa. Ma  ciò  che  gli  aveva  fatto  più  impressione,  e  su 
cui  tornava  più  spesso,  era  la  predica  del  cardinale. 

«A  vederlo  lì  davanti  all'altare,»  diceva,  «un  signore  di 
quella  sorte,  come  un  curato  .  .  .  .» 

«E  quella  cosa  d'oro  che  aveva  in  testa  .  .  .  .»  diceva  una 
bambinetta. 

«Sta  zitta.  A  pensare,  dico,  che  un  signore  di  quella  sorte, 


CAPITOLO    XXIV.  305 

e  un  uomo  tanto  sapiente,  che  a  quel  che  dicono,  ha  letto 
tutti  i  libri  che  ci  sono,  cosa  a  cui  non  è  mai  arrivato  nessun 
altro,  né  anche  in  Milano;  a  pensare  che  sappia  adattarsi 
a  dir  quelle  cose  in  maniera  che  tutti  intendano  .  .  .  .» 

«Ho  inteso  anch'  io,»  disse  1'  altra  chiacchierina. 

«Sta  zitta!  cosa  vuoi  avere  inteso,  tu?» 

«Ho  inteso  che  spiegava  il  Vangelo  invece  del  signor 
curato.» 

«Sta  zitta.  Non  dico  chi  sa  qualche  cosa;  che  allora  uno 
è  obbligato  a  intendere;  ma  anche  i  più  duri  di  testa,  i  più 
ignoranti,  andavan  dietro  al  filo  del  discorso.  Andate  ora  a 
domandar  loro  se  saprebbero  ripeter  le  parole  che  diceva: 
si;  non  ne  ripescherebbero  una;  ma  il  sentimento  lo  hanno 
qui.  E  senza  mai  nominare  quel  signore,  come  si  capiva  che 
voleva  parlar  di  lui!  E  poi,  per  capire  sarebbe  bastato  os- 
servare quando  aveva  le  lacrime  agli  occhi.  E  allora  tutta 
la  gente  a  piangere  .  .  . .» 

«È  proprio  vero,»  scappò  fuori  il  fanciullo:  «ma  perchè 
piangevan  tutti  a  quel  modo,  come  bambini?» 

«Sta  zitto.  E  sì  che  e'  è  de'  cuori  duri  in  questo  paese. 
E  ha  fatto  proprio  vedere  che,  benché  ci  sia  la  carestia,  bi- 
sogna ringraziare  il  Signore  ed  esser  contenti:  far  quel  che 
si  può,  industriarsi,  aiutarsi,  e  poi  esser  contenti.  Perchè  la 
disgrazia  non  è  il  patire  e  l'esser  poveri;  la  disgrazia  è  il 
far  del  male.  E  non  son  belle  parole;  perchè  si  sa  che  an- 
che lui  vive  da  pover  uomo,  e  si  leva  il  pane  di  bocca  per 
darlo  agli  affamati;  quando  potrebbe  far  vita  scelta,  meglio 
di  chi  si  sia.  Ah!  allora  un  uomo  dà  soddisfazione  a  sen- 
tirlo discorrere;  non  come  tant' altri,  fate  quello  che  dico,  e 
non  fate  quel  che  fo.  E  poi  ha  fatto  proprio  vedere  che  an- 
che coloro  che  non  son  signori,  se  hanno  più  del  necessario, 
sono  obbligati  di  farne  parte  a  chi  patisce.» 

Qui  interruppe  il  discorso  da  sé,  come  sorpreso  da  un 
pensiero.  Stette  un  momento;  poi  mise  insieme  un  piatto 
delle  vivande  eh'  eran  sulla  tavola,  e  aggiuntovi  un  pane,  mise 
il  piatto  in  un  tovagliolo,  e  preso  questo  per  le  quattro  coc- 
che, disse  alla  bambinetta  maggiore:  «piglia  qui.»  Le  diede 
nell'  altra  mano  un  fiaschetto  di  vino,  e  soggiunse  :  «va  qui 
da  Maria  vedova;  lasciale  questa  roba,  e  dille  che  è  per 
stare  un  po'  allegra  co'  suoi  bambini.  Ma  con  buona  ma- 
niera, ve';  che  non  paia  che  tu  le  faccia  l'elemosina.  E 
non  dir  niente,  se  incontri  qualcheduno;  e  guarda  di  non 
rompere.» 

Lucia  fece  gli  occhi  rossi,  e  sentì  in  cuore  una  tenerezza 
ricreatrice;  come  già  da' discorsi  di  prima  aveva  ricevuto  un 
sollievo  che  un  discorso  fatto  apposta  non  le  avrebbe  potuto 
darò.     L'  animo  attirato   da  quelle  descrizioni,   da  quelle  fan- 

Manzoni.  20 


306  I   PROMESSI    SPOSI. 

tasie  di  pompa,  da  quelle  commozioni  di  pietà  e  di  mara- 
viglia, preso  dall'  entusiasmo  medesimo  del  narratore,  si  stac- 
cava da' pensieri  dolorosi  di  sé;  e  anche  ritornandoci  sopra, 
si  trovava  più  forte  contro  di  essi.  Il  pensiero  stesso  del 
gran  sacrifizio,  non  già  che  avesse  perduto  il  suo  amaro,  ma 
insiem  con  esso  aveva  un  non  so  che  d'  una  gioia  austera  e 
solenne. 

Poco  dopo,  entrò  il  curato  del  paese,  e  disse  d'  esser  man- 
dato dal  cardinale  a  informarsi  di  Lucia,  ad  avvertirla  che 
monsignore  voleva  vederla  in  quel  giorno,  e  a  ringraziare  in 
suo  nome  il  sarto  e  la  moglie.  E  questi  e  quella,  commossi 
e  confusi,  non  trovavan  parole  per  corrispondere  a  tali  di- 
mostrazioni d'  un  tal  personaggio. 

«E  vostra  madre  non  è  ancora  arrivata?-)  disse  il  curato 
a  Lucia. 

«Mia  madre!)  esclamò  questa.  Dicendole  poi  il  curato, 
che  1' aveva  mandata  a  prendere,  d'ordine  dell'arcivescovo, 
si  mise  il  grembiule  agli  occhi,  e  diede  in  un  dirotto  pianto, 
che  durò  un  pezzo  dopo  che  fu  andato  via  il  curato.  Quando 
poi  gli  affetti  tumultuosi  che  le  si  erano  suscitati  a  queir  an- 
nunzio, cominciarono  a  dar  luogo  a  pensieri  più  posati,  la 
poverina  si  ricordò  che  quella  consolazione  allora  così  vicina, 
di  riveder  la  madre,  una  consolazione  così  inaspettata  poche 
ore  prima,  era  stata  da  lei  espressamente  implorata  in  quel- 
1' ore  terribili,  e  messa  quasi  come  una  condizione  al  voto. 
Fatemi  tornar  salva  con  mia  madre,  aveva  detto;  e  queste 
parole  le  ricomparvero  ora  distinte  nella  memoria.  Si  con- 
fermò più  che  mai  nel  proposito  di  mantener  la  promessa,  e 
si  fece  di  nuovo,  e  più  amaramente  scrupolo  di  quel  povera 
me!  che  le  era  scappato  detto  tra  sé,  nel  primo  momento. 

Agnese  infatti,  quando  si  parlava  di  lei,  era  già  poco  lon- 
tana. È  facile  pensare  come  la  povera  donna  fosse  rimasta, 
a  quell'invito  così  inaspettato,  e  a  quella  notizia,  necessaria- 
mente tronca  e  confusa,  d'un  pericolo,  si  poteva  dir,  cessato, 
ma  spaventoso:  d'un  caso  terribile,  che  il  messo  non  sapeva 
né  circostanziare  né  spiegare;  e  lei  non  aveva  a  che  attac- 
carsi per  ispiegarlo  da  sé.  Dopo  essersi  cacciate  le  mani 
ne' capelli,  dopo  aver  gridato  più  volte:  "ah  Signore!  ah  Ma- 
donna!^ dopo  aver  fatte  al  messo  varie  domande,  alle  quali 
questo  non  sapeva  che  rispondere,  era  entrata  in  fretta  e  in 
furia  nel  baroccio,  continuando  per  la  strada  a  esclamare  e 
interrogare,  senza  profitto.  Ma,  a  un  certo  punto,  aveva  in- 
contrato don  Abbondio  che  veniva  adagio  adagio,  mettendo 
avanti,  a  ogni  passo,  il  suo  bastone.  Dopo  un  «oh!»  di 
tutt'  e  due  le  parti,  lui  s'  era  fermato,  lei  aveva  fatto  fermare, 
ed  era  smontata,  e  s' eran  tirati  in  disparte  in  un  castagneto 
che  costeggiava  la  strada.  Don  Abbondio  1'  aveva  ragguagliata 


CAPITOLO    XXIV.  307 

di  ciò  che  aveva  potuto  sapere  e  dovuto  vedere.  La  cosa  non 
era  chiara:  ma  almeno  Agnese  fu  assicurata  che  Lucia  era 
affatto  in  salvo;  e  respirò. 

Dopo,  don  Abbondio  era  voluto  entrare  in  un  altro  di- 
scorso, e  darle  una  lunga  istruzione  sulla  maniera  di  rego- 
larsi con  l'arcivescovo,  se  questo,  com'era  probabile,  avesse 
desiderato  di  parlar  con  lei  e  con   la  figliuola;  e  soprattutto 

che  non  conveniva  far  parola  del  matrimonio Ma  Agnese, 

accorgendosi  che  il  brav'  uomo  non  parlava  che  per  il  suo 
proprio  interesse,  l'aveva  piantato  senza  promettergli,  anzi 
senza  risolver  nulla;  che  aveva  tutt'  altro  da  pensare.  E  s'era 
rimessa  in  istrada. 

Finalmente  il  baroccio  arriva,  e  si  ferma  alla  casa  del 
sarto.  Lucia  s'alza  precipitosamente;  Agnese  scende,  e  den- 
tro di  corsa;  sono  nelle  braccia  1' una  dell'altra.  La  moglie 
del  sarto,  eh'  era  la  sola  che  si  trovava  lì  presente,  fa  co- 
raggio a  tutt'  e  due,  le  acquieta,  si  rallegra  con  loro,  e  poi, 
sempre  discreta,  le  lascia  sole,  dicendo  che  andava  a  prepa- 
rare un  letto  per  loro;  che  aveva  il  modo,  senza  incomodarsi; 
ma  che,  in  ogni  caso,  tanto  lei,  come  suo  marito,  avrebbero 
piuttosto  voluto  dormire  in  terra,  che  lasciarle  andare  a  cer- 
care un  ricovero  altrove. 

Passato  quel  primo  .sfogo  d'  abbracciamenti  e  di  singhiozzi, 
Agnese  volle  sapere  i  casi  di  Lucia,  e  questa  si  mise  affan- 
nosamente a  raccontarglieli.  Ma,  come  il  lettore  sa,  era  una 
storia  che  nessuno  la  conosceva  tutta;  e  per  Lucia  stessa  e'  e- 
ran  delle  parti  oscure,  inesplicabili  affatto.  E  principalmente 
quella  fatale  combinazione  d'  essersi  la  terribile  carrozza  tro- 
vata lì  sulla  strada,  per  1'  appunto  quando  Lucia  vi  passava 
per  un  caso  straordinario:  su  di  che  la  madre  e  la  figlia  fa- 
cevan  cento  congetture,  senza  mai  dar  nel  segno,  anzi  senza 
neppur  andarci  vicino. 

In  quanto  all'  autor  principale  della  trama,  tanto  1'  una  che 
1'  altra  non  potevano  fare  a  meno  di  non  pensare  che  fosse 
don  Rodrigo. 

«Ah  anima  nera!  ah  tizzone  d' inferno  !»  esclamava  Agnese: 
«ma  verrà  la  sua  ora  anche  per  lui.  Domeneddio  lo  pagherà 
secondo  il  merito;  e  allora  proverà  anche  lui  ....  ) 

«No,  no,  mamma;  no!»  interruppe  Lucia:  «non  gli  au- 
gurate di  patire,  non  1'  augurate  a  nessuno!  Se  sapeste  cosa 
sia  patire!  Se  aveste  provato!  No,  no!  preghiamo  piuttosto 
Dio  e  la  Madonna  per  lui:  che  Dio  gli  tocchi  il  cuore,  come 
ha  fatto  a  quest'altro  povero  signore,  ch'era  peggio  di  lui; 
e  ora  è  un  santo.» 

Il  ribrezzo  che  Lucia  provava  nel  tornare  sopra  memorie 
così  recenti  e  così  crudeli,  la  fece  più  d'  una  volta  restare  a 
mezzo;  più  d'una  volta  disse  che  non  le  bastava  l'animo   di 

20* 


308  1    PROMESSI   SPOSI. 

continuare,  e  dopo  molte  lacrime  riprese  la  parola  a  stento. 
Ma  un  sentimento  diverso  la  tenne  sospesa,  a  un  certo  punto 
del  racconto:  quando  fu  al  voto.  Il  timore  che  la  madre  le 
desse  dell'imprudente  e  della  precipitosa;  e  che,  come  aveva 
fatto  neh"  affare  del  matrimonio,  mettesse  in  campo  qualche 
sua  regola  larga  di  coscienza,  e  volesse  fargliela  trovar  giu- 
sta per  forza;  o  che,  povera  donna,  dicesse  la  cosa  a  qualche- 
duno  in  confidenza,  se  non  altro  per  aver  lume  e  consiglio, 
e  la  facesse  così  divenir  puhhlica,  cosa  che  Lucia,  solamente 
a  pensarci,  si  sentiva  venire  il  rosso;  anche  una  certa  ver- 
gogna della  madre  stessa,  una  ripugnanza  inesplicabile  a  en- 
trare in  quella  materia;  tutte  queste  cose  insieme  fecero  che 
nascose  quella  circostanza  importante,  proponendosi  di  farne 
prima  la  confidenza  al  padre  Cristoforo.  Ma  come  rimase 
allorché,  domandando  di  lui,  si  sentì  rispondere  che  non  e'  era 
più,  eh'  era  stato  mandato  in  un  paese  lontano  lontano,  in  un 
paese  che  aveva  un  certo  nome! 

«E  Renzo?»  disse  Agnese. 

«È  in  salvo,  n' è  vero?»  disse  ansiosamente  Lucia. 

«Questo  è  sicuro,  perchè  tutti  lo  dicono;  si  tien  per  certo 
che  si  sia  ricoverato  sul  bergamasco;  ma  il  luogo  proprio  nes- 
suno lo  sa  dire:  e  lui  finora  non  ha  mai  fatto  saper  nulla. 
Che  non  abbia  ancora  trovata  la  maniera.» 

"Ah,  se  è  in  salvo,  sia  ringraziato  il  Signore!»  disse 
Lucia;  e  cercava  di  cambiar  discorso;  quando  il  discorso  fu 
interrotto  da  una  novità  inaspettata:  la  comparsa  del  cardi- 
nale arcivescovo. 

Questo,  tornato  di  chiesa,  dove  1'  abbiam  lasciato ,  sentito 
dall'  innominato  che  Lucia  era  arrivata,  sana  e  salva,  era  an- 
dato a  tavola  con  lui,  facendoselo  sedere  a  destra,  in  mezzo 
a  una  corona  di  preti,  che  non  potevano  saziarsi  di  dare  oc- 
chiate a  quell'  aspetto  così  ammansato  senza  debolezza,  così 
umiliato  senza  abbassamento,  e  ^11  paragonarlo  con  l' idea  che 
da  lungo  tempo  s'  eran  fatta  del  personaggio. 

Finito  di  desinare,  loro  due  s'  eran  ritirati  di  nuovo  in- 
sieme. Dopo  un  colloquio  che  durò  molto  più  del  primo, 
l?  innominato  era  partito  per  il  suo  castello,  su  quella  stessa 
mula  della  mattina;  e  il  cardinale,  fatto  chiamare  il  curato, 
gli  aveva  detto  che  desiderava  d'  esser  condotto  alla  casa  do- 
v'  era  ricoverata  Lucia. 

«Oh!  monsignore,»  aveva  risposto  il  curato,  «non  s'  inco- 
modi: manderò  io  subito  ad  avvertire  che  venga  qui  la  gio- 
vine, la  madre,  se  è  arrivata,  anche  gli  ospiti,  se  mon- 
signore li  vuole,  tutti  quelli  che  desidera  vossignoria  illu- 
strissima.» 

«Desidero  d' andar  io  a  trovarli,»  aveva  replicato  Fe- 
derigo. 


CAPITOLO    XXIV. 


309 


((Vossignorìa  illustrissima  non  deve  incomodarsi:  manderò 
io  subito  a  chiamarli:  è  cosa  d'un  momento,»  aveva  insistito 
il  curato  guastamestieri  (buon  uomo  del  resto),  non  intenden- 
do che  il  cardinale  voleva  con  quella  visita  rendere  onore  al- 
la sventura,  all'  innocenza,  all'  ospitalità  e  al  suo  proprio  mi- 
nistero in  un  tempo.  Ma.  avendo  il  superiore  espresso  di 
nuovo  il  medesimo  desiderio,  l'inferiore  s'inchinò  e  si 
mosse. 

Quando  i  due  personaggi  furon  veduti  spuntar  nella  stra- 
da, tutta  la  gente  che  e'  era  andò  verso  di  loro:  e  in  pochi 
momenti  n'accorse  da  ogni  parte,  camminando  loro  ai  fian- 
chi chi  poteva,  e  gli  altri  dietro,  alla  rinfusa.  Il  curato  ba- 
dava a  dire:  «via,  indietro,  ritiratevi;  ma!  ma!»  Federigo 
gli  diceva:  «lasciateli  fare,»  e  andava  avanti,  ora  alzando 
la  mano  a  benedir  la  gente,  ora  abbassandola  ad  accarezzare 
i  ragazzi  che  gli  venivan  tra'  piedi.  Così  arrivarono  alla  ca- 
sa, e  c'entrarono:  la  folla  rimase  ammontata  al  di  fuori. 
Ma  nella  folla  si  trovava  anche  il  sarto,  il  quale  era  andato 
dietro  come  gli  altri,  con  gli  occhi  fissi  e  con  la  bocca  aper- 
ta, non  sapendo  dove  si  riuscirebbe.  Quando  vide  quel  dove 
inaspettato,  si  fece  far  largo,  pensate  con  che  strepito,  gri- 
dando e  rigridando:  «lasciate  passare  chi  ha  da  passare;» 
e  entrò. 

Agnese  e  Lucia  sentirono  un  ronzìo  crescente  nella  strada, 
mentre  pensavano  cosa  potesse  essere,  videro  1"  uscio  spalan- 
carsi, e  comparire  il  porporato  col  parroco. 

«È  quella?»  domandò  il  primo  al  secondo;  e,  a  un  cenno 
affermativo,  andò  verso  Lucia,  eh"  era  rimasta  lì  con  la  ma- 
dre, tutt'  e  due  immobili  e  mute  dalla  sorpresa  e  dalla  ver- 
gogna. Ma  il  tono  di  quella  voce,  l'aspetto,  il  contegno,  e 
soprattutto  le  parole  di  Federigo  1'  ebbero  subito  rianimate. 
(Povera  giovine,»  cominciò:  «Dio  ha  permesso  che  foste  messa 
a  una  gran  prova;  ma  v'ha  anche  fatto  vedere  che  non  aveva 
levato  1'  occhio  da  voi,  che  non  v'  aveva  dimenticata.  V  ha 
rimessa  in  salvo:  es'è  servito  di  voi  per  una  grand' opera, 
per  fare  una  gran  misericordia  a  uno,  e  per  sollevar  molti 
nello  stesso  tempo.» 

Qui  comparve  nella  stanza  la  padrona,  la  quale,  al  rumore, 
s'  era  affacciata  anch'  essa  alla  finestra ,  e  avendo  veduto  chi 
le  entrava  in  casa,  aveva  sceso  le  scale,  di  corsa,  dopo 
essersi  raccomodata  alla  meglio;  e  quasi  nello  stesso  tempo, 
entrò  il  sarto  da  un  altr'  uscio.  Vedendo  avviato  il  discorso, 
andarono  a  riunirsi  in  un  canto,  dove  rimasero  con  gran  ri- 
spetto. Il  cardinale,  salutatili  cortesemente,  continuò  a  par- 
lar con  le  donne,  mescolando  ai  conforti  qualche  domanda, 
per  veder  se  nelle  risposte  potesse  trovar  qualche  congiuntura 
di  far  del  bene  a  chi  aveva  tanto  patito. 


310  I    PROMESSI    SPOSI. 

'Bisognerebbe  che  tutti  i  preti  fossero  come  vossignoria, 
che  tenessero  un  po'  dalla  parte  de'  poveri,  e  non  aiutassero 
a  metterli  in  imbroglio,  per  cavarsene  loro,»  disse  Agnese, 
animata  dal  contegno  così  famigliare  e  amorevole  di  Federi- 
go, e  stizzita  dal  pensare  che  il  signor  don  Abbondio,  dopo 
aver  sempre  sacrificati  gli  altri,  pretendesse  poi  anche  d' im- 
pedir loro  un  piccolo  sfogo,  un  lamento  con  chi  era  al  di 
sopra  di  lui,  quando,  per  un  caso  raro,  n"  era  venuta  1"  occa- 
sione. 

«'Dite  pure  tutto  quel  che  pensate,»  disse  il  cardinale: 
«parlate  liberamente.) 

"Voglio  dire  che,  se  il  nostro  signor  curato  avesse  fatto 
il  suo  dovere,  la  cosa  non  sarebbe  andata  così. 

Ma  facendone  il  cardinale  nuove  istanze  perchè  si  spiegasse 
meglio,  quella  cominciò  a  trovarsi  impicciata  a  dover  raccon- 
tare una  storia  nella  quale  aveva  anch'  essa  una  parte  che 
non  si  curava  di  far  sapere,  specialmente  a  un  tal  personag- 
gio. Trovò  però  il  verso  d'  accomodarla  con  un  piccolo  stral- 
cio: raccontò  del  matrimonio  concertato,  del  rifiuto  di  don 
Abbondio,  non  lasciò  fuori  il  pretesto  de'  superiori  che  lui 
aveva  messo  in  campo  (ah,  Agnese!);  e  saltò  ali"  attentato 
di  don  Rodrigo,  e  come  essendo  stati  avvertiti,  avevano  po- 
tuto scappare.  «Ma  sì,»  soggiunse  e  concluse:  ('scappare 
per  inciamparci  di  nuovo.  Se  invece  il  signor  curato  ci  avesse 
detto  sinceramente  la  cosa,  e  avesse  subito  maritati  i  miei  po- 
veri giovani,  noi  ce  n'andavamo  via  subito,  tutti  insieme,  di 
nascosto,  lontano,  in  luogo  che  né  anche  1'  aria  non  1'  avrebbe 
saputo.  Così  s'è  perduto  tempo;  ed  è  nato  quel  che  è  nato.» 

di  signor  curato  mi  renderà  conto  di  questo  fatto,-  di-se 
il  cardinale. 

«No,  signore,  no,  signore.»  disse  subito  Agnese:  «non  ho 
parlato  per  questo:  non  lo  gridi,  perchè  già  quel  che  è  stato 
è  stato;  e  poi  non  serve  a  nulla:  è  un  uomo  fatto  così:  tor- 
nando il  caso,  farebbe  lo  stesso.» 

Ma  Lucia,  non  contenta  di  quella  maniera  di  raccontar  la 
storia,  soggiunse:  «anche  noi  abbiamo  fatto  del  male:  si 
vede  che  non  era  la  volontà  del  Signore  che  la  cosa  dovesse 
riuscire.» 

(Che  male  avete  potuto  far  voi,  povera  giovine?»  disse 
Federigo. 

Lucia,  malgrado  gli  occhiacci  che  la  madre  cercava  di 
farle  alla  sfuggita,  raccontò  la  storia  del  tentativo  fatto  in 
casa  di  don  Abbondio:  e  concluse  dicendo:  «abbiam  fatto 
male:  e  Dio  ci  ha  castigati.» 

(Prendete  dalla  sua  mano  i  patimenti  che  avete  sofferti, 
e   state  di  buon  animo.-    disse    Federigo:    (perchè   chi   avrà 


CAPITOLO    XXIV.  311 

ragione  di  rallegrarsi  e  di  sperare,  se  con  chi  ha  patito,  e 
pensa  ad  accusar  sé  medesimo?» 

Domandò  allora  dove  fosse  il  promesso  sposo,  e  sentendo 
da  Agnese  (Lucia  stava  zitta,  con  la  testa  e  gli  occhi  bassi) 
eh'  era  scappato  dal  suo  paese,  ne  provò  e  ne  mostrò  mara- 
viglia e  dispiacere;  e  voIIp  sapere  il  perche, 

Agnese  raccontò  alla  meglio  tutto  quel  poco  che  sapeva 
della  storia  di  Renzo. 

«Ho  sentito  parlare  di  questo  giovine,»  disse  il  cardinale; 
«ma  come  mai  uno  che  si  trovò  involto  in  affari  di  quella 
sorte,  poteva  essere  in  trattato  di  matrimonio  con  una  ra- 
gazza così?» 

«Era  un  giovine  dabbene,»  disse  Lucia,  facendo  il  viso 
rosso,  ma  con  voce  sicura. 

«Era  un  giovino  quieto  fin  troppo.»  soggiunse  Agnese: 
«e  questo  lo  può  domandare  a  chi  si  sia.  anche  al  signor 
curato.  Chi  sa  che  imbroglio  avranno  fatto  laggiù,  che  cabale? 
I  poveri,  ci  vuol  poco  a  farli  comparir  birboni.» 

«È  vero  pur  troppo,»  disse  il  cardinale:  «m'informerò 
di  lui  senza  dubbio:»  e  fattosi  dire  nome  e  cognome  del  gio- 
vine, ne  prese  1"  appunto  sur  un  libriccin  di  memorie.  Ag- 
giunse poi  che  contava  di  portarsi  al  loro  paese  tra  pochi 
giorni,  che  allora  Lucia  potrebbe  venir  là  senza  timore,  e 
che  intanto  penserebbe  lui  a  provvederla  d' un  luogo  dove 
potesse  esser  al  sicuro,  fin  che  ogni  cosa  fosse  accomodata 
per  il  meglio. 

Si  voltò  quindi  ai  padroni  di  casa,  che  vennero  subito 
avanti.  Rinnovò  i  ringraziamenti  che  aveva  fatti  fare  dal  cu- 
rato, e  domandò  se  sarebbero  stati  contenti  di  ricoverare,  per 
que'  pochi  giorni,  le  ospiti  che  Dio  aveva  loro  mandate. 

«Oh!  sì  signore,»  rispose  la  donna,  con  un  tono  di  voce 
e  con  un  viso  eh'  esprimeva  molto  più  di  quell'  asciutta  rispo- 
sta, strozzata  dalla  vergogna.  Ma  il  marito,  messo  in  orga- 
smo dalla  presenza  d'  un  tale  interrogatore,  dal  desiderio  di 
farsi  onore  in  un'  occasion  di  tanta  importanza,  studiava  an- 
siosamente qualche  bella  risposta.  Raggrinzò  la  fronte,  torse 
gli  occhi  in  traverso,  strinse  le  labbra,  tese  a  tutta  forza 
l'arco  dell'intelletto,  cercò,  frugò,  sentì  di  dentro  un  cozzo 
d' idee,  monche  e  di  mezze  parole:  ma  il  momento  stringeva: 
il  cardinale  accennava  già  d'avere  interpretato  il  silenzio:  il 
pover' uomo  aprì  la  bocca,  e  disse:  «si  figuri!»  Altro  non 
gli  volle  venire.  Cosa,  di  cui  non  solo  rimase  avvilito  sul 
momento;  ma  sempre  poi  quella  rimembranza  importuna  gli 
guastava  la  compiacenza  del  grand'  onore  ricevuto.  E  quante 
volte,  tornandoci  sopra,  e  rimettendosi  col  pensiero  in  quella 
circostanza,  gli  venivano  in  mente,  quasi  per  dispetto,  parole 
che  tutte  sarebbero  state  meglio    di  quell'insulso  si  figari! 


312  I   PEOMESSI    SPOSI. 

Ma,  come  dice  un  antico  proverbio,  del  senno  di  poi  ne  son 
piene  le  fosse. 

Il  cardinale  partì,  dicendo:  «la  benedizione  del  Signore 
sia  sopra  questa  casa.» 

Domandò  poi  la  sera  al  curato  come  si  sarebbe  potuto  in 
modo  convenevole  ricompensare  quel!'  uomo,  che  non  doveva 
esser  ricco,  dell'  ospitalità  costosa,  specialmente  in  que'  tempi. 
Il  curato  rispose  che,  per  verità,  né  i  guadagni  della  profes- 
sione, né  le  rendite  di  certi  campicelli,  che  il  buon  sarto 
aveva  del  suo,  non  sarebbero  bastate,  in  quell'  annata,  a  met- 
terlo in  istato  d'essere  liberale  con  gli  altri;  ma  che,  avendo 
fatto  degli  avanzi  negli  anni  addietro,  si  trovava  de'  più  agiati 
del  contorno,  e  poteva  far  qualche  spesa  di  più,  senza  dis- 
sesto, come  certo  faceva  questa  volentieri;  e  che  del  rima- 
nente, non  ci  sarebbe  stato  verso  di  fargli  accettare  nessuna 
ricompensa. 

«Avrà  probabilmente,»  disse  il  cardinale,  «crediti  con 
gente  che  non  può  pagare.» 

«Pensi,  monsignore  illustrissimo;  questa  povera  gente  pa- 
ga con  quel  che  le  avanza  della  raccolta:  l'anno  scorso,  non 
avanzò  nulla;  in  questo,  tutti  rimangono  indietro  del  neces- 
sario.» 

«Ebbene,»  disse  Federigo:  «prendo  io  sopra  di  me  tutti 
quei  debiti;  e  voi  mi  farete  il  piacere  d'aver  da  lui  la  nota 
delle  partite,  e  di  saldarle.» 

«Sarà  una  somma  ragionevole.» 

«Tanto  meglio;  e  avrete  pur  troppo  di  quelli  ancor  più 
bisognosi,  che  non  hanno  debiti  perchè  non  trovan  cre- 
denza.» 

«Eh,  pur  troppo!  Si  fa  quel  che  si  può;  ma  come  arri- 
vare a  tutto,  in  tempi  di  questa  sorte?» 

«Fate  che  lui  li  vesta  a  mio  conto,  e  pagatelo  bene.  Ve- 
ramente, in  quesf  anno,  mi  par  rubato  tutto  ciò  che  non  va 
in  pane;  ma  questo  è  un  caso  particolare.» 

Non  vogliam  però  chiudere  la  storia  di  quella  giornata, 
senza  raccontar  brevemente  come  la  terminasse  l 'innominato. 

Questa  volta  la  nuova  della  sua  conversione  V  aveva  pre- 
ceduto nella  valle;  vi  s'era  subito  sparsa,  e  aveva  messo  per 
tutto  uno  sbalordimento,  un'ansietà,  un  cruccio,  un  susurro. 
Ai  primi  bravi  o  servitori  (era  tutt'  uno)  che  vide,  accennò 
che  lo  seguissero;  e  così  di  mano  in  mano.  Tutti  venivan 
dietro,  con  una  sospensione  nuova,  e  con  la  suggezione  solita; 
finché,  con  un  seguito  sempre  crescente,  arrivò  al  castello. 
Accennò  a  quelli  che  si  trovavan  sulla  porta,  che  gli  venissero 
dietro  con  gli  altri;  entrò  nel  primo  cortile,  andò  verso  il 
mezzo,  e  lì,  essendo  ancora  a  cavallo,  mise  un  suo  grido 
tonante;  era  il  segno  usato,  al  quale  accorrevano  tutti  que'  suoi 


CAPITOLO   XXIV.  313 

che  l'avessero  sentito.  In  un  momento,  quelli  ch'erano 
sparsi  per  il  castello,  vennero  dietro  alla  voce,  e  s'univano 
ai  già  radunati,  guardando  tutti  il  padrone. 

cAndate  ad  aspettarmi  nella  sala  grande,»  disse  loro:  e 
dall'  alto  della  sua  cavalcatura,  gli  stava  a  veder  partire.  Ne 
scese  poi,  la  menò  lui  stesso  alla  stalla ,  e  andò  dov'  era 
aspettato.  Al  suo  apparire,  cessò  subito  un  gran  bisbiglio 
che  c'era;  tutti  si  ristrinsero  da  una  parte,  lasciando  vóto 
per  lui  un  grande  spazio  della  sala:  potevano  essere  una 
trentina. 

L' innominato  alzò  la  mano,  come  per  mantener  quel  si- 
lenzio improvviso;  alzò  la  testa,  che  passava  tutte  quelle  del- 
la brigata,  e  disse:  (.ascoltate  tutti,  e  nessuno  parli,  se  non 
è  interrogato.  Figliuoli!  la  strada  per  la  quale  siamo  andati 
finora,  conduce  nel  fondo  dell'  inferno.  Non  è  un  rimprovero 
ch'io  voglia  farvi,  io  che  sono  avanti  a  tutti,  il  peggiore  di 
tutti;  ma  sentite  ciò  che  v'ho  da  dire.  Dio  misericordioso 
m'  ha  chiamato  a  mutar  vita  :  e  io  la  muterò  ;  1'  ho  già  muta- 
ta; così  faccia  con  tutti  voi.  Sappiate  dunque,  e  tenete  per 
fermo  che  son  risoluto  di  prima  morire  che  far  più  nulla 
contro  la  sua  santa  legge.  Levo  a  ognun  di  voi  gli  ordini 
scellerati  che  avete  da  me;  voi  m'intendete:  anzi  vi  comando 
di  non  far  nulla  di  ciò  che  v*  era  comandato.  E  tenete  per 
fermo  ugualmente,  che  nessuno  da  qui  avanti,  potrà  far  del 
male  con  la  mia  protezione,  al  mio  servizio.  Chi  vuol  restare 
a  questi  patti,  sarà  per  me  come  un  figliuolo:  e  mi  troverei 
contento  alla  fine  di  quel  giorno,  in  cui  non  avessi  mangiato 
per  satollar  1'  ultimo  di  voi,  con  1'  ultimo  pane  che  mi  rima- 
nesse in  casa.  Chi  non  vuole,  gli  sarà  dato  quello  che  gli  è 
dovuto  di  salario,  e  un  regalo  di  più:  potrà  andarsene;  ma 
non  metta  più  piede  qui:  quando  non  fosse  per  mutar  vita; 
che  per  questo  sarà  sempre  ricevuto  a  braccia  aperte.  Pen- 
sateci questa  notte:  domattina  vi  chiamerò,  a  uno  a  uno,  a 
darmi  la  risposta;  e  allora  vi  darò  nuovi  ordini.  Per  ora  ri- 
tiratevi, ognuno  al  suo  posto.  E  Dio  che  ha  usato  con  me 
tanta  misericordia,  vi  mandi  il  buon  pensiero.» 

Qui  finì,  e  tutto  rimase  in  silenzio.  Per  quanto  vari  e  tu- 
multuosi fossero  i  pensieri  che  ribollivano  in  quei  cervellacci 
non  ne  apparve  di  fuori  nessun  segno.  Erano  avvezzi  a  pren- 
der la  voce  del  loro  signore  come  la  manifestazione  d"  una 
volontà  con  la  quale  non  c'era  da  ripetere;  e  quella  voce, 
annunziando  che  la  volontà  era  mutata,  non  dava  punto  indi- 
zio che  fosse  indebolita.  A  nessuno  di  loro  passò  neppur  per 
la  mente  che,  per  esser  lui  convertito,  si  potesse  prendergli 
il  sopravvento,  rispondergli  come  a  un  altr'  uomo.  Vedevano 
in  lui  un  santo,  ma  uno  di  que' santi  che  si  dipingono  con 
la  testa  alta,  e  con  la  spada  in  pugno.     Oltre  il  timore   ave- 


311  I   PROMESSI   SPOSI. 

vano  anche  per  lui  (principalmente  quelli  eh'  eran  nati  sul  suo, 
ed  erano  ima  gran  parte)  un'  affezione  come  d' uomini  ligi  : 
avevan  poi  tutti  una  benevolenza  d'ammirazione;  e  alla  sua 
presenza  sentivano  una  specie  di  quella,  dirò  pur  così,  vere- 
condia, che  anche  gli  animi  più  zotici  e  più  petulanti  provano 
davanti  a  una  superiorità  che  hanno  già  riconosciuta.  Le  cose 
poi  che  allora  avevan  sentite  da  quella  bocca,  erano  bensì 
odiose  a'  loro  orecchi,  ma  non  false  né  affatto  estranee  ai  loro 
intelletti:  se  mille  volte  se  n' eran  fatti  beffe,  non  era  già 
perchè  non  le  credessero,  ma  per  prevenir  con  le  beffe  la 
paura  che  gliene  sarebbe  venuta,  a  pensarci  sul  serio.  E 
ora,  a  veder  V  effetto  di  quella  paura  in  un  animo  come  quello 
del  loro  padrone,  chi  più,  chi  meno,  non  ce  ne  fu  uno  che 
non  gli  se  n'attaccasse,  almeno  per  qualche  tempo.  S'ag- 
giunga a  tutto  ciò.  che  quelli  tra  loro  che,  trovandosi  la  mat- 
tina fuor  della  valle,  avevan  risaputa  per  i  primi  la  gran  nuova, 
avevano  insieme  veduto,  e  avevano  anche  riferito  la  gioia,  la 
baldanza  della  popolazione,  l'amore  e  la  venerazione  per 
l'innominato,  ch'erano  entrati  in  luogo  dell'antico  odio  e 
dell'  antico  terrore.  Di  maniera  che,  nell'  uomo  che  avevan 
sempre  riguardato,  per  dir  così,  di  basso  in  alto,  anche 
quando  loro  medesimi  erano  in  gran  parte  la  sua  forza,  vede- 
vano ora  la  maraviglia,  l' idolo  d'una  moltitudine;  lo  vedevano 
al  di  sopra  degli  altri,  ben  diversamente  di  prima,  ma  non 
meno  ;  sempre  fuori  della  schiera  comune,  sempre  capo. 

Stavano  adunque  sbalorditi,  incerti  1'  uno  dell'  altro,  e 
ognun  di  sé.  Chi  si  rodeva,  chi  faceva  disegni  del  dove  sa- 
rebbe andato  a  cercar  ricovero  e  impiego;  chi  s'esaminava 
se  avrebbe  potuto  adattarsi  a  diventar  galantuomo  ;  chi  anche, 
tocco  da  quelle  parole,  se  ne  sentiva  una  certa  inclinazione; 
chi,  senza  risolver  nulla,  proponeva  di  prometter  tutto  a  buon 
conto,  di  rimaner  intanto  a  mangiare  quel  pane  offerto  così 
di  buon  cuore,  e  allora  così  scarso,  e  d'acquistar  tempo: 
nessuno  fiatò.  E  quando  l'innominato,  alla  fine  delle  sue 
parole,  alzò  di  nuovo  quella  mano  imperiosa  per  accennar 
che  se  n'andassero,  quatti  quatti,  come  un  branco  di  pecore, 
tutti  insieme  se  la  batterono.  Uscì  anche  lui.  dietro  a  loro, 
e,  piantatosi  prima  nel  mezzo  del  cortile,  stette  a  vedere  al 
barlume  come  si  sbrancassero,  e  ognuno  s'avviasse  al  suo 
posto.  Salito  poi  a  prendere  una  sua  lanterna,  girò  di  nuovo 
i  cortili,  i  corridoi,  le  sale,  visitò  tutte  1'  entrature,  e,  quando 
vide  ch'era  tutto  quieto,  andò  finalmente  a  dormire.  Sì,  a 
dormire:  perchè  aveva  sonno. 

Affari  intralciati,  e  insieme  urgenti,  per  quanto  ne  fosse 
sempre  andato  in  cerca,  non  se  n'era  mai  trovati  addosso 
tanti,  in  nessuna  congiuntura,  come  allora;  eppure  aveva 
sonno.    I  rimorsi  che  gliel  avevan  levato  la  notte  avanti,  non 


CAPITOLO   XXIV.  315 

che  essere  acquietati,  mandavano  anzi  grida  più  alte,  più  se- 
vere, più  assolute;  eppure  aveva  sonno.  L'ordine,  la  specie 
di  governo  stabilito  là  dentro  da  lui  in  tant'anni,  con  tante 
cure,  con  un  tanto  singolare  accoppiamento  d' audacia  e  di 
perseveranza,  ora  l'aveva  lui  medesimo  messo  in  forse,  con 
poche  parole;  la  dipendenza  illimitata  di  que'  suoi,  quel  loro 
esser  disposti  a  tutto,  quella  fedeltà  da  masnadieri,  sulla 
quale  era  avvezzo  da  tanto  tempo  a  riposare,  1'  aveva  ora 
smossa  lui  medesimo  ;  i  suoi  mezzi,  gli  aveva  fatti  diventare 
un  monte  d'imbrogli,  s'era  messa  la  confusione  e  l'incertezza 
in  casa;  eppure  aveva  sonno. 

Andò  dunque  in  camera,  s'  accostò  a  quel  letto  in  cui  la 
notte  avanti  aveva  trovate  tante  spine:  e  vi  s'inginocchiò  ac- 
canto, con  l' intenzione  di  pregare.  Trovò  in  fatti  in  un  can- 
tuccio riposto  e  profondo  della  mente,  le  preghiere  ch;  era 
stato  ammaestrato  a  recitar  da  bambino;  cominciò  a  recitarle, 
e  quelle  parole,  rimaste  lì  tanto  tempo  ravvolte  insieme,  ve- 
nivano l' una  dopo  l' altra  come  sgomitolandosi.  Provava  in 
questo  un  misto  di  sentimenti  indefinibile;  una  certa  dolcezza 
in  quel  ritorno  materiale  all'  abitudini  dell'  innocenza;  un 
inasprimento  di  dolore  al  pensiero  dell'  abisso  che  aveva 
messo  tra  quel  tempo  e  questo;  un  ardore  d'arrivare,  con 
opere  di  espiazione,  a  una  coscienza  nuova,  a  uno  stato  il 
più  vicino  all'innocenza,  a  cui  non  poteva  tornare;  una  ri- 
conoscenza, una  fiducia  in  quella  misericordia  che  lo  poteva 
condurre  a  quello  stato,  e  che  gli  aveva  già  dati  tanti  segni 
di  volerlo.  Rizzatosi  poi,  andò  a  letto,  e  s'  addormentò  im- 
mediatamente. 

Così  terminò  quella  giornata,  tanto  celebre  ancora  quando 
scriveva  il  nostro  anonimo;  e  ora  se  non  era  lui,  non  se  ne 
saprebbe  nulla,  almeno  de'  particolari;  giacche  il  Ripamonti 
e  il  Ri  vola,  citati  di  sopra,  non  dicono  se  non  che  quel  sì 
segnalato  tiranno,  dopo  un  abboccamento  con  Federigo,  mutò 
mirabilmente  vita,  e  per  sempre.  E  quanti  son  quelli  che 
hanno  letto  i  libri  di  que'  due?  Meno  ancora  di  quelli  che 
leggeranno  il  nostro.  E  chi  sa  se,  nella  valle  stessa,  chi 
avesse  voglia  di  cercarla,  e  1'  abilità  di  trovarla,  sarà  rimasta 
qualche  stracca  e  confusa  tradizione  del  fatto?  Son  nate 
tante  cose  da  quel  tempo  in  poi! 


110  I    PROMESSI    SPOSI. 


CAPITOLO  XXV. 

Il  giorno  seguente,  nel  paesetto  di  Lucia  e  in  tutto  il  ter- 
ritorio di  Lecco,  non  si  parlava  che  di  lei,  dell'innominato, 
dell"  arcivescovo  e  d'  un  altro  tale,  che.  quantunque  gli  pia- 
cesse molto  d"  andar  per  le  bocche  degli  uomini ,  n'  avrebbe 
in  quella  congiuntura,  fatto  volentieri  di  meno:  vogliam  dire 
il  signor  don  Rodrigo. 

Non  già  che  prima  d'allora  non  si  parlasse  de' fatti  suoi: 
ma  eran  discorsi  rotti,  segreti  :  bisognava  che  due  si  conosces- 
sero bene  bene  tra  di  loro,  per  aprirsi  sur  un  tale  argomento. 
E  anche,  non  ci  mettevano  tutto  il  sentimento  di  che  sareb- 
bero stati  capaci:  perchè  gli  uomini,  generalmente  parlando, 
quando  1"  indegnazione  non  si  possa  sfogare  senza  grave  pe- 
ricolo, non  solo  dimostran  meno,  o  tengono  affatto  in  sé  quella 
che  sentono,  ma  ne  senton  meno  in  effetto.  Ma  ora,  chi  si 
sarebbe  tenuto  d' informarsi,  e  di  ragionare  d;  un  fatto  così 
strepitoso,  in  cui  s'  era  visto  la  mano  del  cielo,  e  dove  face- 
van  buona  figura  due  personaggi  tali?  uno,  in  cui  un  amore 
della  giustizia  tanto  animoso  andava  unito  a  tanta  autorità; 
1*  altro,  con  cui  pareva  che  la  prepotenza  in  persona  si  fosse 
umiliata,  che  la  braverìa  fosse  venuta,  per  dir  così,  a  render 
Tarmi,  e  a  chiedere  il  riposo.  A  tali  paragoni,  il  signor- 
don  Rodrigo  diveniva  un  po'  piccino.  Allora  si  capiva  da 
tutti  cosa  fosse  tormentar  V  innocenza  per  poterla  disono- 
rare, perseguitarla  con  un'  insistenza  così  sfacciata,  con  sì 
atroce  violenza,  con  sì  abborninevoli  insidie.  Si  faceva  in 
quell'occasione,  una  rivista  di  tant' altre  prodezze  di  quel 
signore:  e  su  tutto  la  dicevan  come  la  sentivano,  incoraggilo 
ognuno  dal  trovarsi  d'  accordo  con  tutti.  Era  un  susurro,  un 
fremito  generale:  alla  larga  però,  per  ragione  di  tutti  que' bravi 
che  colui  aveva  d' intorno. 

Una  buona  parte  di  quest'  odio  pubblico  cadeva  ancora 
sui  suoi  amici  e  cortigiani.  Si  rosolava  bene  il  signor  pode- 
stà, sempre  sordo  e  cieco  e  muto  sui  fatti  di  quel  tiranno  ;  ma 
alla  lontana  anche  lui.  perchè,  se  non  aveva  i  bravi,  aveva  i 
birri.  Col  dottor  Azzecca-garbugli,  che  non  aveva  se  non 
chiacchiere  e  cabale,  e  con  altri  cortigianelli  suoi  pari,  non 
s'usava  tanti  riguardi:  eran  mostrati  a  dito,  e  guardati  con 
occhi  torti:  di  maniera  che  per  qualche  tempo,  stimaron  bene 
di  non  farsi  vedere  per  le  strade. 

Don  Rodrigo,  fulminato  da  quella  notizia  così  impensata, 
così  diversa  dall'  avviso  che  aspettava  di  giorno  in  giorno,  di 
momento  in  momento,  stette  rintanato  nel  suo  palazzotto,  solo 
co' suoi  bravi,  a  rodersi,  per  due   giorni;  il   terzo,  partì  per 


CAPITOLO    XXV. 


317 


Milano.  Se  non  fosse  stato  altro  che  quel  mormoracchiare 
della  gente,  forse,  poiché  le  cose  erano  andate  tant' avanti, 
sarebbe  rimasto  apposta  per  affrontarlo,  anzi  per  cercar  1*  oc- 
casione di  dare  un  esempio  a  tutti  sopra  qualcheduno  de'  più 
arditi;  ma  chi  lo  cacciò,  fu  1'  essersi  saputo  per  certo,  che  il 
cardinale  veniva  anche  da  quelle  parti.  Il  conte  zio,  il  quale 
di  tutta  quella  storia  non  sapeva  se  non  quello  che  gli  aveva 
detto  Attilio,  avrebbe  certamente  preteso  che,  in  una  congiun- 
tura simile,  don  Rodrigo  facesse  una  gran  figura,  e  avesse  in 
pubblico  dal  cardinale  le  più  distinte  accoglienze;  ora,  ognun 
vede  come  ci  fosse  incamminato.  L'  avrebbe  preteso,  e  se  ne 
sarebbe  fatto  render  conto  minutamente;  perchè  era  un'  oc- 
casione importante  di  far  vedere  in  che  stima  fosse  tenuta  la 
famiglia  da  una  primaria  autorità.  Per  levarsi  da  un  impic- 
cio così  noioso,  don  Rodrigo,  alzatosi  una  mattina  prima  del 
sole,  si  mise  ,in  una  carrozza  col  Griso  e  con  altri  bravi,  di 
fuori,  davanti  e  di  dietro;  e,  lasciato  l'ordine  che  il  resto 
della  servitù  venisse  poi  in  seguito,  partì  come  un  fuggitivo, 
come  (ci  sia  un  po;  lecito  di  sollevare  i  nostri  persona-, 
qualche  illustre  paragone),  come  Catilina  da  Roma,  sbuffando, 
e  giurando  di  tornar  ben  presto,  in  altra  comparsa,  a  far  le 
sue  vendette. 

Intanto,  il  cardinale  veniva  visitando,  a  una  per  giorno,  le 
parrocchie  del  territorio  di  Lecco.  Il  giorno  in  cui  doveva 
arrivare  a  quella  di  Lucia,  già  una  gran  parte  degli  abitanti 
erano  andati  sulla  strada  a  incontrarlo.  All'  entrata  del  paese, 
proprio  accanto  alla  casetta  delle  nostre  due  donne,  e'  era  un 
arco  trionfale,  costrutto  di  stili  per  il  ritto,  e  di  pali  per  il 
traverso,  rivestito  di  paglia  e  di  borraccina,  e  ornato  di  rami 
verdi  di  pugnìtopo  e  d'agrifoglio,  distinti  di  bacche  scarlatte: 
la  facciata  della  chiesa  era  parata  di  tappezzerie;  al  davan- 
zale d' ogni  finestra  pendevano  coperte  e  lenzoli  distesi, 
fasce  di  bambini  disposte  a  guisa  di  pendoni:  tutto  quel  poco 
necessario  che  fosse  atto  a  fare,  o  bene  o  male,  figura  di 
superfluo.  Verso  le  ventidue,  ch'era  l'ora  in  cui  s'aspet- 
tava il  cardinale,  quelli  eh'  eran  rimasti  in  casa,  vecchi,  donne 
e  fanciulli  la  più  parte,  s'  avviarono  anche  loro  a  incontrarlo, 
parte  in  fila,  parte  in  truppa  preceduti  da  don  Abbondio, 
uggioso  in  mezzo  a  tanta  festa,  e  per  il  fracasso  che  lo  sbalor- 
diva, e  per  il  brulicar  della  gente  innanzi  e  indietro,  che, 
come  andava  ripetendo,  gli  faceva  girar  la  testa,  e  per  il  ro- 
dio segreto  che  le  donne  avesser  potuto  cicalare,  e  dovesse 
toccargli  a  render  conto  del  matrimonio. 

Quand' ecco  si  vede  spuntare  il  cardinale  o,  per  dir  me- 
glio, la  turba  in  mezzo  a  cui  si  trovava  nella  sua  lettiga,  col 
suo  seguito  d'intorno;  perchè  di  tutto  questo  non  si  vedeva 
altro  che  un  indizio  in  aria,  al  disopra  di  tutte  le   teste,  un 


318  I    PROMESSI    SPOSI. 

pezzo  della  croce  portata  dal  cappellano  che  cavalcava  una 
mula.  La  gente  che  andava  con  don  Abbondio,  s' affrettò 
alla  rinfusa,  a  raggiunger  quell'altra:  e  lui,  dopo  aver  detto, 
tre  o  quattro  volte:  «adagio:  in  fila;  cosa  fate?»  si  voltò  in- 
dispettito; e  seguitando  a  borbottare:  <è  una  babilonia,  è  una 
babilonia,»  entrò  in  chiesa,  intanto  ch'era  vota;  e  stette  lì 
ad  aspettare. 

Il  cardinale  veniva  avanti,  dando  benedizioni  con  la  mano 
e  ricevendone  dalle  bocche  della  gente,  che  quelli  del  seguito 
avevano  un  bel  da  fare  a  tenere  un  po'  indietro.  Per  esser 
del  paese  di  Lucia,  avrebbe  voluto  quella  gente  fare  all'  ar- 
civescovo dimostrazioni  straordinarie;  ma  la  cosa  non  era  fa- 
cile, perchè  era  uso  che  per  tutto  dove  arrivava,  tutti  facevano 
più  che  potevano.  Già  sul  principio  stesso  del  suo  pontificato, 
nel  primo  solenne  ingresso  in  duomo,  la  calca  e  l'impeto 
della  gente  addosso  a  lui  era  stato  tale,  da  far  temere  della 
sua  vita;  e  alcuni  gentiluomini  che  gli  eran  più  vicini,  avevano 
sfoderate  le  spade,  per  atterrire  e  respinger  la  folla.  Tanto 
c'era  in  que' costumi  di  scomposto  e  di  violento,  che,  anche 
nel  far  dimostrazioni  di  benevolenza  a  un  vescovo  in  chiesa, 
e  nel  moderarle,  si  dovesse  andar  vicino  all'  ammazzare.  E 
quella  difesa  non  sarebbe  forse  bastata,  se  il  maestro  e  il  sot- 
tomaestro delle  cerimonie,  un  Clerici  e  un  Picozzi,  giovani 
preti  che  stavan  bene  di  oorpo  e  d'animo,  non  l'avessero 
alzato  sulle  braccia,  e  portato  di  peso,  dalla  porta  fino  al- 
l' aitar  maggiore.  D' allora  in  poi,  in  tante  visite  episcopali 
eh'  ebbe  a  fare,  il  primo  entrar  nella  chiesa  si  può  senza 
scherzo  contarlo  tra  le  sue  pastorali  fatiche,  e  qualche  volta 
tra  i  pericoli  passati  da  lui. 

Entrò  anche  in  questa  come  potè;  andò  all'altare  e,  dopo 
essere  stato  alquanto  in  orazione,  fece,  secondo  il  suo  solito, 
un  piccol  discorso  al  popolo,  sul  suo  amore  per  loro,  sul  suo 
desiderio  della  loro  salvezza,  e  come  dovessero  disporsi  alle 
funzioni  del  giorno  dopo.  Ritiratosi  poi  nella  casa  del  par- 
roco, tra  gli  altri  discorsi,  gli  domandò  informazione  di  Pienzo. 
Don  Abbondio  disse  eh'  era  un  giovine  un  po'  vivo,  un  po'  te- 
stardo, un  po'  collerico.  Ma,  a  più  particolari  e  precise  do- 
mande, dovette  rispondere  eh'  era  un  galantuomo,  e  che  anche 
lui  non  sapeva  capire  come,  in  Milano,  avesse  potuto  fare 
tutte  quelle  diavolerie  che  avevan  detto. 

«In  quanto  alla  giovine.»  riprese  il  cardinale,  «pare 
anche  a  voi  che  possa  ora  venir  sicuramente  a  dimorare  in 
casa  sua?» 

«Per  ora,»  rispose  don  Abbondio,  «può  venire  e  starei 
come  vuole:  dico,  per  ora;  ma»  soggiunse  poi,  con  un  so- 
spiro, «bisognerebbe  che  vossignoria  illustrissima  fosse  sem- 
pre qui,  o  almeno  vicino.» 


CAPITOLO    XXV.  319 

'Il  Signore  è  sempre  vicino.»  disse  il  cardinale:  «del 
resto,  penserò  io  a  metterla  al  sicuro.)  E  diede  subito  or- 
dine che  il  giorno  dopo,  di  buon'  ora  si  spedisse  una  lettiga, 
con  una  scorta,  a  prender  le  due  donne. 

Don  Abbondio  uscì  di  lì  tutto  contento  che  il  cardinale 
gli  avesse  parlato  de'  due  giovani,  senza  chiedergli  conto  del 
suo  rifiuto 'di  maritarli.  —  Dunque  non  sa  niente,  —  diceva 
tra  sé:  —  Agnese  è  stata  zitta:  miracolo!  È  vero  che 
s' hanno  a  tornare  a  vedere  ;  ma  le  daremo  un'  altra  istru- 
zione, le  daremo.  —  E  non  sapeva  il  pover'  uomo,  che  Fe- 
derigo non  era  entrato  in  quell'  argomento,  appunto  perchè 
intendeva  di  parlargliene  a  lungo  in  tempo  più  libero;  e,  prima 
di  dargli  ciò  che  gli  era  dovuto,  voleva  sentire  anche  le  sue 
ragioni. 

Ma  i  pensieri  del  buon  prelato  per  metter  Lucia  al  sicuro 
eran  divenuti  inutili  :  dopo  che  1"  aveva  lasciata  eran  nate  delle 
cose  che  dobbiamo  raccontare. 

Le  due  donne,  in  que'  pochi  giorni  eh'  ebbero  a  passare 
nella  casuccia  ospitale  del  sarto,  avevan  ripreso,  per  quanto 
avevan  potuto,  ognuna  il  suo  antico  tenor  di  vita.  Lucia 
aveva  subito  chiesto  da  lavorare:  e,  come  aveva  fatto  nel  mo- 
nastero, cuciva,  cuciva,  ritirata  in  una  stanzina,  lontana  dagli 
occhi  della  gente.  Agnese  andava  un  po' fuori,  un  pò*  lavo- 
rava in  compagnia  della  figlia.  I  loro  discorsi  eran  tanto  più 
tristi,  quanto  più  affettuosi:  tutt"  e  due  eran  preparate  a  una 
separazione:  giacché  la  pecora  non  poteva  tornare  a  star  così 
vicino  alla  tana  del  lupo:  e  quando,  quale,  sarebbe  il  termine 
di  questa  separazione?  L'avvenire  era  oscuro,  imbrogliato; 
per  una  di  loro  principalmente.  Agnese  tanto  ci  andava  fa- 
cendo dentro  le  sue  congetture  allegre:  che  Renzo  finalmente, 
se  non  gli  era  accaduto  nulla  di  sinistro,  dovrebbe  presto  dar 
le  sue  nuove;  e  se  aveva  trovato  da  lavorare  e  da  stabilirsi, 
se  (e  come  dubitarne?)  stava  fermo  nelle  sue  promesse,  per- 
chè non  si  potrebbe  andare  a  star  con  lui?  E  di  tali  spe- 
ranze, ne  parlava  e  riparlava  alla  figlia,  per  la  quale  non 
saprei  dire  se  fosse  maggior  dolore  il  sentire,  o  pena  il  ri- 
spondere. Il  suo  gran  segreto  l'aveva  sempre  tenuto  in  sé; 
e,  inquietata  bensì  dal  dispiacere  di  fare  a  una  madre  cosi 
buona  un  sotterfugio,  che  non  era  il  primo;  ma  trattenuta 
come  invincibilmente,  dalla  vergogna  e  da'  vari  timori  che 
abbiam  detto  di  sopra,  andava  d'  oggi  in  domani,  senza  dir 
nulla;  i  suoi  disegni  eran  ben  diversi  da  quelli  della  madre, 
o,  per  dir  meglio,  non  n'aveva;  s'era  abbandonata  alla  Prov- 
videnza. Cercava  dunque  di  lasciar  cadere,  o  di  stornare 
quel  discorso;  o  diceva,  in  termini  generali,  di  non  aver  più 
speranza,  né   desiderio  di  cosa  di  questo  mondo,  fuorché  il 


3Ì0  I  PROMESSI    SPOSI. 

poter  presto  riunirsi  con  sua  madre;  le  più  volte,  il  pianto 
veniva  opportunamente  a  troncar  le  parole. 

(Sai  perchè  ti  par  così?»  diceva  Agnese:  cperchè  hai 
tanto  patito,  e  non  ti  par  vero  che  la  possa  voltarsi  in  bene. 
Ma  lascia  fare  al  Signore;  e  se....  Lascia  che  si  veda  un 
barlume,  appena  un  barlume  di  speranza;  e  allora  mi  saprai 
dire  se  non  pensi  più  a  nulla.»  Lucia  baciava  la  madre,  e 
piangeva. 

Del  resto  tra  loro  e  i  loro  ospiti  era  nata  subito  una 
grand' amicizia:  e  dove  nascerebbe  se  non  tra  i  beneficati  e 
benefattori,  quando  gli  uni  e  gli  altri  son  buona  gente? 
Agnese  specialmente  faceva  di  gran  chiacchiere  con  la  pa- 
drona. Il  sarto  poi  dava  loro  un  po'  di  svago  con  delle  sto- 
rie, e  con  de' discorsi  morali;  e,  a  desinare  soprattutto,  aveva 
sempre  qualche  bella  cosa  da  raccontare,  di  Bovo  d' Antona 
o  de'  Padri  del  deserto. 

Poco  distante  da  quel  paesetto,  villeggiava  una  coppia 
d'alto  affare;  don  Ferrante  e  donna  Prassede;  il  casato,  al 
solito,  nella  penna  dell'anonimo.  Era  donna  Prassede  una 
vecchia  gentildonna  molto  inclinata  a  far  del  bene:  mestiere 
certamente  il  più  degno  che  1'  uomo  possa  esercitare  :  ma  che 
pur  troppo  può  anche  guastare,  come  tutti  gli  altri.  Per  fare 
il  bene,  bisogna  conoscerlo;  e,  al  pari  d'ogni  altra  cosa,  non 
possiamo  conoscerlo,  che  in  mezzo  alle  nostre  passioni,  per 
mezzo  de' nostri  giudizi,  con  le  nostre  idee;  le  quali  bene 
spesso  stanno  come  possono.  Con  V  idee  donna  Prassede  si 
regolava  come  dicono  che  si  deve  far  con  gli  amici  :  n'  aveva 
poche;  ma  a  quelle  poche  era  molto  affezionata.  Tra  le  po- 
che ce  n'  era  per  disgrazia  molte  delle  storte;  e  non  eran 
quelle  che  le  fossero  men  care.  Le  accadeva  quindi ,  o  di 
proporsi  per  bene  ciò  che  non  lo  fosse,  o  di  prender  per 
mezzi,  cose  che  potessero  piuttosto  far  riuscire  dalla  parte 
opposta,  o  di  crederne  leciti  di  quelli  che  non  lo  fossero  punto, 
per  una  certa  supposizione  in  confuso  che  chi  fa  più  del  suo 
dovere  possa  far  più  di  quel  che  avrebbe  diritto  ;  le  accadeva 
di  non  vedere  nel  fatto  ciò  che  e'  era  di  reale,  o  di  vederci 
ciò  che  non  c'era;  e  molte  altre  cose  simili,  che  possono 
accadere,  e  che  accadono  a  tutti,  senza  eccettuarne  i  mi- 
gliori; ma  a  donna  Prassede,  troppo  spesso  e,  non  di  rado, 
tutte  in  una  volta. 

Al  sentire  il  gran  caso  di  Lucia,  e  tutto  ciò  che,  in  quel- 
V  occasione,  si  diceva  della  giovine,  le  venne  la  curiosità  di 
vederla;  e  mandò  una  carrozza,  con  un  vecchio  bracciere,  a 
prender  la  madre  e  la  figlia.  Questa  si  ristringeva  nelle 
spalle,  e  pregava  il  sarto,  il  quale  aveva  fatta  loro  l'imba- 
sciata, che  trovasse  maniera  di  scusarla.  Finché  s'era  trat- 
tato di  gente  alla  buona  che   ceicava  di  conoscer  la  giovine 


CAPITOLO   XXV.  321 

del  miracolo,  il  sarto  le  aveva  reso  volentieri  un  tal  servizio; 
ma  in  questo  caso,  il  rifiuto  gli  pareva  una  specie  di  ribel- 
lione. Fece  tanti  versi,  tant'  esclamazioni,  disse  tante  cose; 
e  che  non  si  faceva  così,  e  ch'era  una  casa  grande,  e  che 
ai  signori  non  si  dice  di  no,  e  che  poteva  esser  la  loro  for- 
tuna, e  che  la  signora  donna  Prassede,  oltre  il  resto,  era  an- 
che una  santa;  tante  cose  insomma,  che  Lucia  si  dovette  ar- 
rendere: molto  più  che  Agnese  confermava  tutte  quelle  ragioni 
con  altrettanti  «  sicuro,  sicuro.» 

Arrivate  davanti  alla  signora,  essa  fece  loro  grande  acco- 
glienza, e  molte  congratulazioni:  interrogò,  consigliò:  il  tutto 
con  una  certa  superiorità  quasi  innata,  ma  corretta  da  tante 
espressioni  umili,  temperata  da  tanta  premura,  condita  di 
tanta  spiritualità,  che,  Agnese  quasi  subito,  Lucia  poco  dopo, 
cominciarono  a  sentirsi  sollevate  dal  rispètto  opprimente  che 
da  principio  aveva  loro  incusso  quella  signorile  presenza,  anzi 
ci  trovarono  una  certa  attrattiva.  E  per  venire  alle  corte, 
donna  Prassede,  sentendo  che  il  cardinale  s'  era  incaricato  di 
trovare  a  Lucia  un  ricovero,  punta  dal  desiderio  di  secondare 
e  di  prevenire  a  un  tratto  quella  buona  intenzione,  s'  esibì  di 
prender  la  giovine  in  casa,  dove,  senz'  essere  addetta  ad  alcun 
servizio  particolare,  potrebbe,  a  piacer  suo,  aiutar  l'altre 
donne  ne'  loro  lavori.  E  soggiunse  che  penserebbe  lei  a  darne 
parte  a  monsignore. 

Oltre  il  bene  chiaro  e  immediato  che  e'  era  in  un'  opera 
tale,  donna  Prassede  ce  ne  vedeva  e  se  ne  proponeva  un  al- 
tro, forse  più  considerabile,  secondo  lei:  di  raddirizzare  un 
cervello,  di  metter  sulla  buona  strada  chi  n'aveva  gran  bi- 
sogno. Perchè,  fin  da  quando  aveva  sentito  la  prima  volta 
parlar  di  Lucia,  s'era  subito  persuasa  che  una  giovine  la 
quale  aveva  potuto  promettersi  a  un  poco  di  buono,  a  un  se- 
dizioso, a  uno  scampaforca  in  somma,  qualche  magagna,  qual- 
che pecca  nascosta  la  doveva  avere.  Dimmi  chi  pratichi,  e  ti 
dirò  chi  sei.  La  visita  di  Lucia  aveva  confermata  quella  per- 
suasione. .Non  che  in  fondo,  come  si  dice,  non  le  paresse 
una  buona  giovine;  ma  c'era  molto  di  ridire.  Quella  testina 
bassa,  col  mento  inchiodato  sulla  fontanella  della  gola,  quel 
non  rispondere,  o  risponder  secco  secco,  come  per  forza,  po- 
tevano indicar  verecondia;  ma  denotavano  sicuramente  molta 
caparbietà:  non  ci  voleva  molto  a  indovinare  che  quella  te- 
stina aveva  le  sue  idee.  E  quell'  arrossire  ogni  momento,  e 
quel  rattenere  i  sospiri  ....  Due  occhioni  poi,  che  a  donna 
Prassede  non  piacevan  punto.  Teneva  essa  per  certo,  come 
se  lo  sapesse  di  buon  luogo,  che  tutte  le  sciagure  di  Lucia 
erano  una  punizione  del  cielo  per  la  sua  amicizia  con  quel 
poco  di  buono,  e  un  avviso  per  far  che  se  ne  staccasse  af- 
fatto;  e  stante  questo,  si  proponeva  di  cooperare  a  un  così 

Manzoni.  21 


322  I   PROMESSI    SPOSI. 

buon  fine.  Giacché,'  come  diceva  spesso  agli  altri  e  a  sé 
stessa,  tutto  il  suo  studio  era  di  secondare  i  voleri  del  cielo  : 
ma  faceva  spesso  uno  sbaglio  grosso,  ch'era  di  prender  per 
cielo  il  suo  cervello.  Però,  della  seconda  intenzione  che  ab- 
biami detto,  si  guardò  bene  di  darne  il  minimo  indizio.  Era 
una  delle  sue  massime  questa,  che,  per  riuscire  a  far  del  bene 
alla  gente,  la  prima  cosa,  nella  maggior  parte  de' casi,  è  di 
non  metterli  a  parte  del  disegno. 

La  madre  e  la  figlia  si  guardarono  in  viso.  Xella  dolorosa 
necessità  di  dividersi,  1'  esibizione  parve  a  tutt'  e  due  da  ac- 
cettarsi, se  non  altro  per  esser  quella  villa  così  vicina  al  loro 
paesetto:  per  cui,  alla  peggio  de' peggi,  si  ravvicinerebbero 
e  potrebbero  trovarsi  insieme,  alla  prossima  villeggiatura. 
Visto,  l'una  negli  occhi  dell'altra,  il  consenso,  si  voltaron 
tutt'  e  due  a  donna  Prassede  con  quel  ringraziare  che  ac- 
cetta. Essa  rinnovò  le  gentilezze  e  le  promesse,  e  disse 
che  manderebbe  subito  una  lettera  da  presentare  a  monsi- 
gnore. 

Partite  le  donne,  la  lettera  sé  la  fece  distendere  da  don 
Ferrante,  di  cui,  per  esser  letterato,  come  diremo  più  in  par- 
ticolare, si  serviva  per  segretario,  nell'occasioni  d'importanza. 
Trattandosi  d'  una  di  questa  sorte,  don  Ferrante  ci  mise  tutto 
il  suo  sapere,  e,  consegnando  la  minuta  da  copiare  alla  con- 
sorte, le  raccomandò  caldamente  1'  ortografia;  eh'  era  una  delle 
molte  cose  che  aveva  studiate,  e  delle  poche  sulle  quali  avesse 
lui  il  comando  in  casa.  Donna  Prassede  copiò  diligentissi- 
mamente, e  spedì  la  lettera  alla  casa  del  sarto.  Questo  fu 
due  o  tre  giorni  prima  che  il  cardinale  mandasse  la  lettiga 
per  ricondur  le  donne  al  loro  paese. 

Arrivate,  smontarono  alla  casa  parrocchiale,  dove  si  tro- 
vava il  cardinale.  C'era  ordine  d' introdurle  subito:  il  cap- 
pellano, che  fu  il  primo  a  vederle,  l'eseguì,  trattenendole 
solo  quant'  era  necessario  per  dar  loro,  in  fretta  in  fretta,  un 
po' d' istruzione  sul  cerimoniale  da  usarsi  con  monsignore,  e 
sui  titoli  da  dargli;  cosa  che  soleva  fare,  ogni  volta  che  lo 
potesse  di  nascosto  a  lui.  Era  per  il  pover  uomo  un  tormento 
continuo  il  vedere  il  poco  ordine  che  regnava  intorno  al  car- 
dinale, su  quel  particolare:  «tutto,»  diceva  con  gli  altri  della 
famiglia,  «per  la  troppa  bontà  di  quel  benedett' uomo,  per 
quella  gran  famigliarità.»  E  raccontava  d'aver  perfino  sen- 
tito più  d'una  volta  co' suoi  orecchi,  rispondergli:  messer  sì, 
e  messer  no. 

Stava  in  quel  momento  il  cardinale  discorrendo  con  don 
Abbondio,  sugli  affari  della  parrocchia:  dimodoché  questo  non 
ebbe  campo  di  dare  anche  lui,  come  avrebbe  desiderato,  le 
sue  istruzioni  alle  donne.  Solo,  nel  passar  loro  accanto,  men- 
tre usciva,  e  quelle  venivano  avanti,  potè  dar  loro  d'occhio, 


CAPITOLO   XXV.  323 

per  accennare  ch'era  contento  di  loro,  e  che  continuassero, 
da  brave,  a  non  dir  nulla. 

Dopo  le  prime  accoglienze  da  una  parte,  e  i  primi  inchini 
dall'altra,  Agnese  si  cavò  di  seno  la  lettera,  e  la  presentò 
al  cardinale,  dicendo:  «è  della  signora  donna  Prassede,  la 
quale  dice  che  conosce  molto  vossignoria  illustrissima,  mon- 
signore; come  naturalmente  tra  loro  signori  grandi,  si  devon 
conoscer  tutti.     Quand'avrà  letto,  vedrà.» 

«Bene,»  disse  Federigo,  letto  che  ebbe,  e  ricavato  il  sugo 
del  senso  da'  fiori  di  don  Ferrante.  Conosceva  quella  casa 
quanto  bastasse  per  esser  certo  che  Lucia  e'  era  invitata  con 
buona  intenzione,  e  che  lì  sarebbe  sicura  dall'  insidie  e  dalla 
violenza  del  suo  persecutore.  Che  concetto  avesse  della  testa 
di  donna  Prassede,  non  n'  abbiam  notizia  positiva.  Probabil- 
mente, non  era  quella  la  persona  che  avrebbe  scelta  a  un  tal 
intento:  ma,  come  abbiam  detto  o  fatto  intendere  altrove,  non 
era  suo  costume  di  disfar  le  cose  che  non  toccavano  a  lui, 
per  rifarle  meglio. 

«Prendete  in  pace  anche  questa  separazione,  e  l1  incer- 
tezza in  cui  vi  trovate,»  soggiunse  poi:  «confidate  che  sia 
per  finir  presto,  e  che  il  Signore  voglia  guidar  le  cose  a  quel 
termine  a  cui  pare  che  le  avesse  indirizzate:  ma  tenete  per 
certo  che  quello  che  vorrà  Lui,  sarà  il  meglio  per  voi.» 
Diede  a  Lucia  in  particolare  qualche  altro  ricordo  amorevole; 
qualche  altro  conforto  a  tutt'  e  due:  le  benedisse,  e  le  lasciò 
andare.  Appena  fuori,  si  trovarono  addosso  uno  sciame 
d'amici  e  d'amiche,  tutto  il  comune,  si  può  dire,  che  le 
aspettava,  e  le  condusse  a  casa,  come  in  trionfo.  Era  tra 
tutte  quelle  donne  una  gara  di  congratularsi,  di  compiangere, 
di  domandare;  e  tutte  esclamavano  dal  dispiacere,  sentendo 
che  Lucia  se  n'  anderebbe  il  giorno  dopo.  Gli  uomini  gareg- 
giavano nelì'  offrir  servizi  :  ognuno  voleva  star  quella  notte  a 
far  la  guardia  alla  casetta.  Sul  qual  fatto,  il  nostro  anonimo 
credè  bene  di  formare  un  proverbio:  volete  aver  molti  in 
aiuto?  cercate  di  non  averne  bisogno. 

Tante  accoglienze  confondevano  e  sbalordivano  Lucia; 
Agnese  non  s' imbrogliava  così  per  poco.  Ma  in  sostanza  fe- 
cero bene  anche  a  Lucia,  distraendola  alquanto  da'  pensieri 
e  dalle  rimembranze  che,  pur  troppo,  anche  in  mezzo  al  fra- 
stono,  le  si  risvegliavano,  su  quell'uscio,  in  quelle  stanzucce, 
alla  vista  d'  ogni  oggetto. 

Al  tocco  della  campana  che  annunziava  vicino  il  cominciar 
delle  funzioni,  tutti  si  mossero  verso  la  chiesa,  e  fu  per  le 
nostre  donne  un'  altra  passeggiata  trionfale. 

Terminate  le  funzioni  don  Abbondio,  ch'era  corso  a  ve- 
dere se  Perpetua  aveva  ben  disposto  ogni  cosa  per  il  desinare, 
fu  chiamato   dal   cardinale.    Andò  subito  dal  grand' ospite,  il 

21* 


324  I   PROMESSI    SPOSI. 

quale,  lasciatolo  venir  vicino,  «signor  curato,»  cominciò,  e 
quelle  parole  furon  dette  in  maniera,  da  dover  capire  eh'  erano 
il  principio  d'un  discorso  lungo  e  serio:  «signor  curato, 
perchè  non  avete  voi  unita  in  matrimonio  quella  povera  Lucia 
col  suo  promesso  sposo?» 

—  Hanno  votato  il  sacco  stamattina  coloro,  —  pensò  don 
Abbondio;  e  rispose  borbottando:  «monsignore  illustrissimo 
avrà  ben  sentito  parlare  degli  scompigli  che  son  nati  in  quel- 
1'  affare  :  è  stata  una  confusione  tale ,  da  non  poter  neppure 
al  giorno  d'oggi,  vederci  chiaro;  come  anche  vossignoria  il- 
lustrissima può  argomentare  da  questo,  che  la  giovine  è  qui, 
dopo  tanti  accidenti,  come  per  miracolo;  e  il  giovine,  dopo 
altri  accidenti,  non  si  sa  dove  sia.» 

«Domando,»  riprese  il  cardinale,  «se  è  vero  che,  prima 
di  tutti  codesti  casi,  abbiate  rifiutato  di  celebrare  il  matri- 
monio, quando  n'eravate  richiesto,  nel  giorno  fissato;  e  il 
perchè.» 

«Veramente  ....  se  vossignoria  illustrissima  sapesse  .... 
che  intimazioni  ....  che  comandi  terribili  ho  avuti  di  non 
parlare....»  E  restò  lì  senza  concludere,  in  un  cert' atto, 
da  far  rispettosamente  intendere  che  sarebbe  indiscrezione  di 
voler  saperne  di  più. 

«Ma!»  disse  il  cardinale,  con  voce  e  con  aria  grave  fuor 
del  consueto;  «è  il  vostro  vescovo  che,  per  suo  dovere  e  per 
vostra  giustificazione,  vuol  saper  da  voi  il  perchè  non  abbiate 
fatto  ciò  che,  nella  via  regolare,  era  obbligo  vostro  di  fare.» 

«Monsignore.»  disse  don  Abbondio,  facendosi  piccino  pic- 
cino, «non  ho  già  voluto  dire....  Ma  m' è  parso  che,  es- 
sendo cose  intralciate,  cose  vecchie  e  senza  rimedio,  fosse 
inutile  di  rimestare  ....  Però,  però,  dico  ....  so  che  vossi- 
gnoria illustrissima  non  vuol  tradire  un  suo  povero  parroco. 
Perchè  vede  bene,  monsignore;   vossignoria  illustrissima  non 

può  esser  per  tutto;  e  io  resto  qui  esposto Però,  quando 

Lei  me  lo  comanda,  dirò,  dirò  tutto.» 

«Dite;  io  non  vorrei  altro  che  trovarvi  senza  colpa.» 

Allora  don  Abbondio  si  mise  a  raccontare  la  dolorosa  sto- 
ria; ma  tacque  il  nome  principale,  e  vi  sostituì:  un  gran  si- 
gnore; dando  così  alla  prudenza  tutto  quel  poco  che  si  po- 
teva, in  una  tale  stretta. 

«E  non  avete  avuto  altro  motivo?»  domandò  il  cardinale, 
quando  don  Abbondio  ebbe  finito. 

«Ma  forse  non  mi  sono  spiegato  abbastanza,»  rispose  que- 
sto: «sotto  pena  della  vita,  m' hanno  intimato  di  non  far  quel 
matrimonio.» 

«E  vi  par  codesta  una  ragion  bastante,  per  lasciar  d'adem- 
pire un  dovere  preciso?» 


CAPITOLO    XXV. 


325 


«Io  ho  sempre  cercato  di  farlo,  il  mio  dovere,  anche  con 
mio  grave  incomodo,  ma  quando  si  tratta  della  vita  .  .  .  .» 

«E  quando  vi  siete  presentato  alla  Chiesa.»  disse,  con  ac- 
cento ancor  più  grave,  Federigo,  '«per  addossarvi  codesto  mi- 
nistero, v'ha  essa  fatto  sicurtà  della  vita?  V'ha  detto  che 
i  doveri  annessi  al  ministero  fossero  liberi  da  ogni  ostacolo, 
immuni  da  ogni  pericolo?  0  v'ha  detto  forse  che  dove  co- 
minciasse il  pericolo,  ivi  cesserebbe  il  dovere?  0  non  v'ha 
espressamente  detto  il  contrario?  Xon  v'ha  avvertito  che  vi 
mandava  come  un  agnello  tra  i  lupi?  Xon  sapevate  voi  che 
e' eran  de' violenti,  a  cui  potrebbe  dispiacere  ciò  che  a  voi 
sarebbe  comandato?  Quello  da  Cui  abbiam  la  dottrina  e 
l'esempio,  ad  imitazione  di  Cui  ci  lasciam  nominare  e  ci  no- 
miniamo pastori,  venendo  in  terra  a  esercitarne  1'  ufizio,  mise 
forse  per  condizione  d'aver  salva  la  vita?  E  per  salvarla, 
per  conservarla,  dico,  qualche  giorno  di  più  sulla  terra,  a 
spese  della  carità  e  del  dovere,  c'era  bisogno  dell'unzione 
santa,  dell' imposizion  delle  mani,  della  grazia  del  sacerdozio? 
Basta  il  mondo  a  dar  questa  virtù,  a  insegnar  questa  dottrina. 
Che  dico?  oh  vergogna!  il  mondo  stesso  la  rifiuta;  il  mondo 
fa  anch'  esso  le  sue  leggi,  che  prescrivono  il  male  come  il  bene, 
ha  il  suo  vangelo  anch'esso,  un  vangelo  di  superbia  e  d'odio; 
e  non  vuol  che  si  dica  che  1'  amore  della  vita  sia  una  ragione 
per  trasgredirne  i  comandamenti.  Xon  lo  vuole;  ed  è  ubbi- 
dito. E  noi!  noi  figli  e  annunziatori  della  promessa!  Che  sa- 
rebbe la  Chiesa,  se  codesto  vostro  linguaggio  fosse  quello  di 
tutti  i  vostri  confratelli?  Dove  sarebbe,  se  fosse  comparsa  nel 
mondo  con  codeste  dottrine?» 

Don  Abbondio  stava  a  capo  basso;  il  suo  spirito  si  tro- 
vava tra  quelli  argomenti,  come  un  pulcino  negli  artigli  del 
falco,  che  lo  tengono  sollevato  in  una  regione  sconosciuta,  in 
un'  aria  che  non  ha  mai  respirata.  Vedendo  che  qualcosa 
bisognava  rispondere,  disse,  con  una  certa  sommissione  for- 
zata: «monsignore  illustrissimo,  avrò  torto.  Quando  la  vita 
non  si  deve  contare,  non  so  cosa  mi  dire.  Ma  quando  s' ha 
che  fare  con  certa  gente,  con  gente  che  ha  la  forza,  e  che 
non  vuol  sentir  ragioni,  anche  a  voler  fare  il  bravo,  non  sa- 
prei cosa  ci  si  potesse  guadagnare.  È  un  signore  quello,  con 
cui  non  si  può  né  vincerla  né  impattarla.» 

«  E  non  sapete  voi  che  il  soffrire  per  la  giustizia  è  il  no- 
stro vincere?  E  se  non  sapete  questo,  che  cosa  predicate? 
di  che  siete  maestro?  qual  è  la  buona  nuova  che  annunziate 
a' poveri?  Chi  pretende  da  voi  che  vinciate  la  forza  con  la 
forza?  Certo  non  vi  sarà  domandato,  un  giorno,  se  abbiate 
saputo  fare  stare  a  dovere  i  potenti;  che  a  questo  non  vi  fu 
dato  né  missione,  né  modo.  Ma  vi  sarà  ben  domandato  se 
avrete  adoprati  i  mezzi  eh'  erano  in  vostra  mano  per  far  ciò 


326  I   PEOMESSI    SPOSI. 

che  v'era  prescritto,  anche  quando  avessero  la  temerità  di 
proibircelo.» 

—  Anche  questi  santi  son  curiosi,  —  pensava  intanto  don 
Abbondio:  —  in  sostanza  a  spremerne  il  sugo,  gli  stanno  più 
a  cuore  gli  amori  di  due  giovani,  che  la  vita  d'  un  povero  sa- 
cerdote. —  E ,  in  quant'  a  lui ,  si  sarebbe  volentieri  conten- 
tato che  il  discorso  finisse  lì;  ma  vedeva  il  cardinale,  a  ogni 
pausa,  restare  in  atto  di  chi  aspetti  una  risposta,  una  confes- 
sione, o  un;  apologia,  qualcosa  in  somma. 

«Torno  a  dire,  monsignore,»  rispose  dunque,  «che  avrò 
torto  io  ...  .  Il  coraggio,  uno  non  se  lo  può  dare.  » 

«E  perchè  dunque,  potrei  dirvi,  vi  siete  voi  impegnato  in 
un  ministero  che  v'  impone  di  stare  in  guerra  con  le  passioni 
del  secolo?  Ma  come,  vi  dirò  piuttosto,  come  non  pensate 
che,  se  in  codesto  ministero,  comunque  vi  ci  siate  messo,  v'è 
necessario  il  coraggio  per  adempir  le  vostre  obbligazioni,  e'  è 
Chi  ve  lo  darà  infallibilmente,  quando  glielo  chiediate?  Cre- 
dete voi  che  tutti  que'  milioni  di  martiri  avessero  natural- 
mente coraggio?  che  non  facessero  naturalmente  nessun  conto 
della  vita?  tanti  giovinetti  che  cominciavano  a  gustarla,  tanti 
vecchi  avvezzi  a  rammaricarsi  che  fosse  già  vicina  a  finire, 
tante  donzelle,  tante  spose,  tante  madri?  Tutti  hanno  avuto 
coraggio;  perchè  il  coraggio  era  necessario,  ed  essi  confida- 
vano. Conoscendo  la  vostra  debolezza  e  i  vostri  doveri,  avete 
voi  pensato  a  prepararvi  ai  passi  difficili  a  cui  potevate  tro- 
varvi, a  cui  vi  siete  trovato  in  effetto?  Ah!  se  per  tant' anni 
d"  ufìzio  pastorale,  avete  (e  come  non  avreste?)  amato  il  vostro 
gregge,  se  avete  riposto  in  esso  il  vostro  cuore,  le  vostre  cure, 
le  vostre  delizie,  il  coraggio  non  doveva  mancarvi  al  bisogno: 
l'amore  è  intrepido.  Ebbene,  se  voi  gli  amavate,  quelli  che 
sono  affidati  alle  vostre  cure  spirituali,  quelli  che  voi  chia- 
mate figliuoli;  quando  vedeste  due  di  loro  minacciati  insieme 
con  voi,  ah  certo!  come  la  debolezza  della  carne  v'ha  fatto 
tremar  per  voi .  così  la  carità  v'  avrà  fatto  tremar  per  loro. 
Vi  sarete  umiliato  di  quel  primo  timore,  perchè  era  un  effetto 
della  vostra  miseria:  avrete  implorato  la  forza  per  vincerlo, 
per  discacciarlo,  perchè  era  una  tentazione:  ma  il  timor  santo 
e  nobile  per  gli  altri,  per  i  vostri  figliuoli,  quello  l'avrete 
ascoltato,  quello  non  v'  avrà  dato  pace,  quello  v'  avrà  eccitato, 
costretto  a  pensare,  a  fare  ciò  che  si  potesse,  per  riparare  al 
pericolo  che  lor  sovrastava  ....  Cosa  v'  ha  ispirato  il  timore, 
l'amore?    Cosa  avete  fatto  per  loro?  Cosa  avete  pensato?» 

E  tacque  in  atto  di  chi  aspetta. 


CAPITOLO   XXVI.  327 


CAPITOLO  XXVI. 

A  una  siffatta  domanda,  don  Abbondio,  che  pur  s'  era  in- 
gegnato di  risponder  qualcosa  a  delle  meno  precise,  restò  lì 
senza  articolar  parola.  E  per  dir  la  verità,  anche  noi,  con 
questo  manoscritto  davanti,  con  una  penna  in  mano,  non  aven- 
do da  contrastare  che  con  le  frasi,  né  altro  da  temere  che  le 
critiche  de' nostri  lettori;  anche  noi,  dico,  sentiamo  una  certa 
ripugnanza  a  proseguire:  troviamo  un  non  so  che  di  strano 
in  questo  mettere  in  campo,  con  così  poca  fatica,  tanti  bei 
precetti  di  fortezza  e  di  carità,  di  premura  operosa  per  gli 
altri,  di  sacrifizio  illimitato  di  sé.  Ma  pensando  che  quelle 
cose  erano  dette  da  uno  che  poi  le  faceva,  tiriamo  avanti  cod 
colaggio. 

«Voi  non  rispondete?»  riprese  il  cardinale.  «Ah,  se  aveste 
fatto,  dalla  parte  vostra,  ciò  che  la  carità,  ciò  che  il  dovere 
richiedeva;  in  qualunque  maniera  poi  le  cose  fossero  andate. 
non  vi  mancherebbe  ora  una  risposta.  Vedete  dunque  voi 
stesso  cosa  avete  fatto.  Avete  ubbidito  all'iniquità,  non  cu- 
rando ciò  che  il  dovere  vi  prescriveva.  L'  avete  ubbidita  pun- 
tualmente: s'era  fatta  vedere  a  voi,  per  intimarvi  il  suo  de- 
siderio; ma  voleva  rimanere  occulta  a  chi  avrebbe  potuto 
ripararsi  da  essa,  e  mettersi  in  guardia;  non  voleva  che  si 
facesse  rumore,  voleva  il  segreto,  per  maturare  a  suo  beli'  agio 
1  suoi  disegni  d"  insidie  o  di  forza;  vi  comando  la  trasgres- 
sione e  il  silenzio:  voi  avete  trasgredito,  e  non  parlavate. 
Domando  ora  a  voi  se  non  avete  fatto  di  più:  voi  mi  direte 
se  è  vero  che  abbiate  mendicati  de'  pretesti  al  vostro  rifiuto, 
per  non  rivelarne  il  motivo."  E  stette  lì  alquanto  aspettando 
di  nuovo  una  risposta. 

—  Anche  questa  gli  hanno  rapportata  le  chiacchierone,  — 
pensava  don  Abbondio  ;  ma  non  dava  segno  d"  aver  nulla  a 
dire;  onde  il  cardinale  riprese:  «se  è  vero,  che  abbiate  detto 
a  que' poverini  ciò  che  non  era,  per  tenerli  nell'ignoranza, 
nell'oscurità,  in  cui  l'iniquità  li  voleva  ....  Dunque  lo  devo 
credere;  dunque  non  mi  resta  che  d'arrossirne  con  voi,  e  di 
sperare  che  voi  ne  piangerete  con  me.  Vedete  a  che  v'  ha 
condotto  (Dio  buono!  e  pur  ora  voi  la  adducevate  per  iscusaì 
quella  premura  per  la  vita  che  deve  finire.  V  ha  condotto  .... 
ribattete  liberamente  queste  parole,  se  vi  paiono  ingiuste, 
prendetele  in  umiliazione  salutare,  se  non  lo  sono  ....  v*  ha 
condotto  a  ingannare   i  deboli,  a  mentire  ai  vostri  figliuoli.» 

—  Ecco  come  vanno  le  cose,  —  diceva  ancora  tra  sé  don 
Abbondio;  —  a  quel  satanasso,  —  e  pensava  all'innominato, 
—  le  braccia  al  collo;  e  con  me,  per  una  mezza  bugia,  detta 


328  I    PROMESSI    SPOSI. 

a  solo  fine  di  salvare  la  pelle,  tanto  chiasso.  Ma  sono  supe- 
riori: hanno  sempre  ragione.  È  il  mio  pianeta,  che  tutti 
m'abbiano  a  dare  addosso;  anche  i  santi.  —  E  ad  alta  voce, 
disse:  «ho  mancato:  capisco  che  ho  mancato;  ma  cosa  dovevo 
fare  in  un  frangente  di  quella  sorte?» 

«E  ancor  lo  domandate?  E  non  ve  l'ho  detto?  E  dovevo 
dirvelo?  Amare,  figliuolo;  amare  e  pregare.  Allora  avreste 
sentito  che  l' iniquità  può  aver  bensì  delle  minacce  da  fare, 
de"  colpi  da  dare,  ma  non  de' comandi;  avreste  unito,  secondo 
la  legge  di  Dio,  ciò  che  l'uomo  voleva  separare;  avreste 
prestato  a  quegl' innocenti  infelici  il  ministero  che  avevan  ra- 
gione di  richieder  da  voi:  delle  conseguenze  sarebbe  stato 
mallevadore  Iddio,  perchè  si  sarebbe  andato  per  la  sua  strada: 
avendone  presa  un'altra,  ne  restate  mallevadore  voi;  e  di 
quali  conseguenze!  Ma  forse  che  tutti  i  ripari  umani  vi  man- 
cavano? forse  che  non  era  aperta  alcuna  via  di  scampo, 
quand'aveste  voluto  guardarvi  d'intorno,  pensarci,  cercare? 
Ora  voi  potete  sapere  che  que'  vostri  poverini,  quando  fossero 
stati  maritati,  avrebbero  pensato  da  sé  al  loro  scampo,  eran 
disposti  a  fuggire  dalla  faccia  del  potente,  s' eran  già  dise- 
gnato il  luogo  di  rifugio.  Ma  anche  senza  questo,  non  vi 
venne  in  mente  che  alla  fine  avevate  un  superiore?  Il  quale, 
come  mai  avrebbe  quest'  autorità  di  riprendervi  d'  aver  man- 
cato al  vostro  ufizio,  se  non  avesse  anche  1'  obbligo  d'  aiutarvi 
ad  adempirlo?  Perchè  non  avete  pensato  a  informare  il  vo- 
stro vescovo  dell'  impedimento  che  un;  infame  violenza  met- 
teva all'esercizio  del  vostro  ministero?» 

—  I  pareri  di  Perpetua!  —  pensava  stizzosamente  don 
Abbondio,  a  cui,  in  mezzo  a  que' discorsi,  ciò  che  stava  più 
vivamente  davanti,  era  1'  immagine  di  que'  bravi  e  il  pensiero 
che  don  Rodrigo  era  vivo  e  sano,  e,  un  giorno  o  l'altro, 
tornerebbe  glorioso  e  trionfante,  e  arrabbiato.  E  benché 
quella  dignità  presente,  quell'  aspetto  e  quel  linguaggio,  lo 
facessero  star  confuso,  e  gì' incutessero  un  certo  timore,  era 
però  un  timore  che  non  lo  soggiogava  affatto,  né  impediva  al 
pensiero  di  ricalcitrare:  perchè  c'era  in  quel  pensiero,  che 
alla  fine  delle  fini,  il  cardinale  non  adoperava  né  schioppo, 
né  spada,  né  bravi. 

«Come  non  avete  pensato,»  proseguiva  questo,  «che  se  a 
quegl'  innocenti  insidiati  non  fosse  stato  aperto  altro  rifugio, 
e'  ero  io,  per  accoglierli,  per  metterli  in  salvo,  quando  voi  me 
li  aveste  indirizzati,  indirizzati  dei  derelitti  a  un  vescovo, 
come  cosa  sua,  come  parte  preziosa,  non  dico  del  suo  carico, 
ma  delle  sue  ricchezze?  E  in  quanto  a  voi,  io,  sarei  dive- 
nuto inquieto  per  voi;  io,  avrei  dovuto  non  dormire,  fin  che 
non  fos^.i  sicuro  che  non  vi  sarebbe  torto  un  capello.  Ch'  io 
non  avessi  come,  dove,  mettere  in  sicuro  la  vostra  vita!    Ma 


capitolo  xxv: 


329 


quell'  uomo  che  fu  tanto  ardito,  credete  voi  che  non  gli  si  sa- 
rebbe scemato  punto  l' ardire ,  quando  avesse  saputo  che  le 
sue  trame  eran  note  fuor  di  qui,  note  a  me ,  eh'  io  vegliavo, 
ed  ero  risoluto  d'  usare  in  vostra  difesa  tutti  i  mezzi  che  fos- 
sero in  mia  mano?  Xon  sapevate  che,  se  l'uomo  promette 
troppo  spesso  più  che  non  sia  per  mantenere,  minaccia  anche 
non  di  rado,  più  che  non  s'attenti  poi  di  commettere?  Xon 
sapevate  che  V  iniquità  non  si  fonda  soltanto  sulle  sue  forze, 
ma  anche  sulla  credulità  e  sullo  spavento  altrui?» 

—  Proprio  le  ragioni  di  Perpetua,  —  pensò  anche  qui  don 
Abbondio,  senza  riflettere  che  quel  trovarsi  d'  accordo  la  sua 
serva  e  Federigo  Borromeo  su  ciò  che  si  sarebbe  potuto  e 
dovuto  fare,  voleva  dir  molto  contro  di  lui. 

e  Ma  voi,»  prosegui  e  concluse  il  cardinale,  «non  avete 
visto,  non  avete  voluto  veder  altro  che  il  vostro  pericolo  tem- 
porale; qual  maraviglia  che  vi  sia  parso  tale,  da  trascurar  per 
esso  ogni  altra  cosa?» 

«Gli  è  perchè  le  ho  viste  io  quelle  facce,»  scappò  detto 
a  don  Abbondio;  «le  ho  sentite  io  quelle  parole.  Vossignoria 
illustrissima  parla  bene;  ma  bisognerebbe  esser  ne' panni  d'un 
povero  prete,  e  essersi  trovato  al  punto.» 

Appena  ebbe  proferite  queste  parole,  si  morse  la  lingua; 
s'  accorse  d'  essersi  lasciato  troppo  vincere  dalla  stizza,  e  disse 
tra  sé:  —  ora  vien  la  grandine.  —  Ma  alzando  dubbiosa- 
mente lo  sguardo,  fu  tutto  maravigliato,  nel  veder  l'aspetto 
di  quell'uomo,  che  non  gli  riusciva  mai  d'indovinare  né  di 
capire,  nel  vederlo,  dico,  passare  da  quella  gravità  autorevole 
e  correttrice,  a  una  gravità  compunta  e  pensierosa. 

«Pur  troppo!»  disse  Federigo,  «tale  è  la  misera  e  terri- 
bile nostra  condizione.  Dobbiamo  esigere  rigorosamente  dagli 
altri  quello  che  Dio  sa  se  noi  saremmo  pronti  a  dare:  dob- 
biamo giudicare,  correggere,  riprendere;  e  Dio  sa  quel  che 
faremmo  noi  nel  caso  stesso,  quel  che  abbiam  fatto  in  casi  so- 
miglianti! Ma  guai  s'io  dovessi  prender  la  mia  debolezza  per 
misura  del  dovere  altrui,  per  norma  del  mio  insegnamento! 
Eppure  è  certo  che  insieme  con  le  dottrine,  io  devo  dare 
agli  altri  1'  esempio,  non  rendermi  simile  al  dottor  della  legge, 
che  carica  gli  altri  di  pesi  che  non  posson  portare,  e  che  lui 
non  toccherebbe  con  un  dito.  Ebbene,  figliuolo  e  fratello: 
poiché  gli  errori  di  quelli  che  presiedono,  sono  spesso  più 
noti  agli  altri  che  a  loro;  se  voi  sapete  ch'io  abbia,  per  pu- 
sillanimità, per  qualunque  rispetto  trascurato  qualche  mio 
obbligo,  ditemelo  francamente,  fatemi  ravvedere,  affinchè  dov'  è 
mancato  1'  esempio ,  supplisca  almeno  la  confessione.  Pdm- 
proveratemi  liberamente  le  mie  debolezze;  e  allora  le  parole 
acquisteranno   più   valore   nella  mia  bocca,   perchè  sentirete 


330  I   PROMESSI    SPOSI. 

più  vivamente,  che  non  son  mie,  ma  di  Chi  può  dare  a  voi  e 
a  me  la  forza  necessaria  per  far  ciò  che  prescrivono.» 

—  Oh  che  sant'uomo!  ma  che  tormento!  —  pensava  don 
Abbondio:  —  anche  sopra  di  sé:  purché  frughi,  rimesti,  cri- 
tichi, inquisisca;  anche  sopra  di  sé.  —  Disse  poi  ad  alta 
voce:  «oh  monsignore!  che  mi  fa  celia?  Chi  non  conosce  il 
petto  forte,  lo  zelo  imperterrito  dì  vossignoria  illustrissima?» 
E  tra  sé  soggiunse  :  —  anche  troppo.  — 

«Io  non  vi  chiedevo  una  lode,  che  mi  fa  tremare.»  disse 
Federigo,  «perchè  Dio  conosce  i  miei  mancamenti,  e  quello 
che  ne  conosco  anch'  io,  basta  a  confondermi.  Ma  avrei  vo- 
luto, vorrei  che  ci  confondessimo  insieme  davanti  a  Lui  per 
confidare  insieme.  Vorrei,  per  amor  vostro,  che  intendeste 
quanto  la  vostra  condotta  sia  stata  opposta,  quanto  sia  oppo- 
sto il  vostro  linguaggio  alla  legge  che  pur  predicate,  e  se- 
condo la  quale  sarete  giudicato.» 

«Tutto  casca  addosso  a  me,»  disse  don  Abbondio:  «ma 
queste  persone  che  son  venute  a  rapportare,  non  le  hanno 
poi  detto  d'essersi  introdotte  in  casa  mia,  a  tradimento,  per 
sorprendermi,  e  per  fare  un  matrimonio  contro  le  regole.» 

«Me  l'hanno  detto,  figliuolo:  ma  questo  m'accora,  questo 
m'atterra,  che  voi  desideriate  ancora  di  scusarvi;  che  pen- 
siate di  scusarvi,  accusando;  che  prendiate  materia  d'accusa 
da  ciò  che  dovrebb'  esser  parte  della  vostra  confessione.  Chi 
gli  ha  messi,  non  dico  nella  necessità,  ma  nella  tentazione  di 
far  ciò  che  hanno  fatto?  Avrebbero  essi  cercata  quella  via 
irregolare,  se  la  legittima  non  fosse  loro  stata  chiusa?  pensato 
a  insidiare  il  pastore,  se  fossero  stati  accolti  nelle  sue  brac- 
cia, aiutati,  consigliati  da  lui?  a  sorprenderlo,  se  non  si  fosse 
nascosto?  E  a  questi  voi  date  carico?  e  vi  sdegnate  perchè, 
dopo  tante  sventure,  che  dico?  nel  mezzo  della  sventura,  ab- 
bian  detto  una  parola  di  sfogo  al  loro,  al  vostro  pastore? 
Che  il  ricorso  dell'oppresso,  la  querela  dell'afflitto  siano 
odiosi  al  mondo,  il  mondo  è  tale,  ma  noi!  E  che  prò  sarebbe 
stato  per  voi,  se  avessero  taciuto?  Yi  tornava  conto  che  la 
loro  causa  andasse  intera  al  giudizio  di  Dio?  Non  è  per  voi 
una  nuova  ragione  d'amar  queste  persone  (e  già  tante  ragioni 
n;  avete)  che  v'  abbian  dato  occasione  di  sentir  la  voce  sincera 
del  vostro  vescovo,  che  v'  abbian  dato  un  mezzo  di  conoscer 
meglio,  e  di  scontare  in  parte  il  gran  debito  che  avete  con 
loro?  Ah!  se  v'  avessero  provocato,  offéso,  tormentato,  vi  direi 
(e  dovrei  io  dirvelo?)  d'amarli,  appunto  per  questo.  Amateli 
perchè  hanno  patito,  perchè  patiscono,  perchè  son  vostri, 
perchè  son  deboli,  perchè  avete  bisogno  d'un  perdono,  a  ot- 
tenervi il  quale,  pensate  di  qual  forza  possa  essere  la  loro 
preghiera.» 


CAPITOLO    XXVI.  331 

Don  Abbondio  stava  zitto;  ma  non  era  più  quel  silenzio 
forzato  e  impaziente:  stava  zitto  come  chi  ha  più  cose  da 
pensare  che  da  dire.  Le  parole  che  sentiva,  eran  conseguenze 
inaspettate,  applicazioni  nuove,  ma  d"  una  dottrina  antica  però 
nella  sua  mente,  e  non  contrastata.  Il  male  degli  altri,  dalla 
considerazion  del  quale  1'  aveva  sempre  distratto  la  paura  del 
proprio,  gli  faceva  ora  un'  impressione  nuova.  E  se  non  sen- 
tiva tutto  il  rimorso  che  la  predica  voleva  produrre  (che  quella 
stessa  paura  era  sempre  lì  a  far  1' ufizio  di  difensore),  ne 
sentiva  però;  sentiva  un  certo  dispiacere  di  sé.  una  compassione 
per  gli  altri,  un  misto  di  tenerezza  e  di  confusione.  Era,  se 
ci  si  lascia  passare  questo  paragone,  come  lo  stoppino  umido 
e  ammaccato  d'una  candela,  che  presentato  alla  fiamma  di 
una  gran  torcia,  da  principio  fuma,  schizza,  schioppetta,  non 
ne  vuol  saper  nulla;  ma  alla  fine  s'accende  e.  bene  o  male, 
brucia.  Si  sarebbe  apertamente  accusato,  avrebbe  pianto,  se 
non  fosse  stato  il  pensiero  di  don  Rodrigo;  ma  tuttavia  si 
mostrava  abbastanza  commosso,  perchè  il  cardinale  dovesse 
accorgersi  che  le  sue  parole  non  erano  state  senza  effetto. 

«Ora,»  proseguì  questo,  «uno  fuggitivo  da  casa  sua,  l'altra 
in  procinto  d'abbandonarla,  e  tutt'  e  due  con  troppo  forti 
motivi  di  starne  lontani,  senza  probabilità  di  riunirsi  mai  qui, 
e,  coutenti  di  sperare  che  Dio  li  riunisca  altrove;  ora,  pur 
troppo,  non  hanno  bisogno  di  voi;  pur  troppo,  voi  non  avete 
occasione  di  far  loro  del  bene;  uè  il  corto  nostro  preve- 
dere può  scoprirne  alcuna  nell'  avvenire.  Ma  chi  sa  se  Dio 
misericordioso  non  ve  ne  prepara?  Ah  non  le  lasciate  sfug- 
gire! cercatele,  state  alle  velette,  pregatelo  che  le  faccia 
nascere.» 

«Xon  mancherò,  monsignore,  non  mancherò  davvero,» 
rispose  don  Abbondio,  con  una  voce  che,  in  quel  momento, 
veniva  proprio  dal  cuore. 

«Ah  sì,  figliuolo,  sì!»  esclamò  Federigo;  e  con  una  di- 
gnità piena  d'  affetto ,  concluse  :  o  lo  sa  il  cielo  se  avrei  de- 
siderato di  tener  con  voi  tutt'  altri  discorsi.  Tutt'  e  due  ab- 
biamo già  vissuto  molto:  lo  sa  il  cielo  se  m' è  stato  duro 
di  dover  contristar  con  rimproveri  codesta  vostra  canizie,  e 
quanto  sarei  stato  più  contento  di  consolarci  insieme  delle 
nostre  cure  comuni,  de'  nostri  guai,  parlaudo  della  beata  spe- 
ranza, alla  quale  siamo  arrivati  così  vicino.  Piaccia  a  Dio 
che  le  parole  le  quali  ho  pur  dovuto  usar  con  voi,  servano  a 
voi  e  a  me.  Non  fate  che  m'abbia  a  chieder  conto,  in  quel 
giorno  d' avervi  mantenuto  in  un  ufizio  al  quale  avete  così 
infelicemente  mancato.  Ricompriamo  il  tempo  :  la  mezzanotte 
è  vicina  ;  lo  Sposo  non  può  tardare  ;  teniamo  accese  le  nostre 
lampade.  Presentiamo  a  Dio  i  nostri  cuori  miseri,  vóti,  per- 
chè Gli  piaccia  riempirli  di  quella  carità,  che  ripara  al  pas- 


332  I    PROMESSI    SPOSI. 

sato,  che  assicura  P  avvenire,  che  tene  e  confida,  piange  e  si 
rallegra,  con  sapienza;  che  diventa  in  ogni  caso  la  virtù  di 
cui  abbiamo  bisogno.» 

Così  detto,  si  mosse;  e  don  Abbondio  gli  andò  dietro. 

Qui  P  anonimo  ci  avvisa  che  non  fu  questo  il  solo  abboc- 
camento di  que' due  personaggi,  né  Lucia  il  solo  argomento 
de'  loro  abboccamenti  ;  ma  che  lui  s'  è  ristretto  a  questo ,  per 
non  andar  lontano  dal  soggetto  principale  del  racconto.  E  che, 
per  lo  stesso  motivo,  non  farà  menzione  d'  altre  cose  notabili, 
dette  da  Federigo  in  tutto  il  corso  della  visita,  né  delle  sue 
liberalità,  né  delle  discordie  sedate,  degli  odi  antichi  tra  per- 
sone, famiglie,  terre  intere,  spenti,  o  (cosa  eh'  era  pur  troppo 
più  frequente)  sopiti,  né  di  qualche  bravaccio  o  tirannello  am- 
mansato, o  per  tutta  la  vita,  o  per  qualche  tempo;  cose  tutte 
delle  quali  ce  n'  era  sempre  più  o  meno,  in  ogni  luogo  della 
diocesi  dove  quell'  uomo  eccellente  facesse  qualche  sog- 
giorno. 

Dice  poi,  che,  la  mattina  seguente,  venne  donna  Prassede, 
secondo  il  fissato,  a  prender  Lucia,  e  a  complimentare  il  car- 
dinale, il  quale  gliela  lodò,  e  raccomandò  caldamente.  Lucia 
si  staccò  dalla  madre,  potete  pensar  con  che  pianti:  e  uscì 
dalla  sua  casetta;  disse  per  la  seconda  volta  addio  al  paese, 
con  quel  senso  di  doppia  amarezza,  che  si  prova  lasciando  un 
luogo  che  fu  unicamente  caro,  e  che  non  può  esserlo  più.  Ma 
i  congedi  con  la  madre  non  eran  gli  ultimi;  perchè  donna 
Prassede  aveva  detto  che  si  starebbe  ancor  qualche  giorno  in 
quella  sua  villa,  la  quale  non  era  molto  lontana;  e  Agnese 
promise  alla  figlia  d'  andar  là  a  trovarla,  a  dare  e  a  ricevere 
un  più  doloroso  addio. 

Il  cardinale  era  anche  lui  sulle  mosse  per  continuar  la 
sua  visita,  quando  arrivò,  e  chiese  di  parlargli  il  curato  della 
parrocchia,  in  cui  era  il  castello  dell'innominato.  Introdotto, 
gli  presentò  un  gruppo  e  una  lettera  di  quel  signore,  la  quale 
lo  pregava  di  far  accettare  alla  madre  di  Lucia  cento  scudi 
d'  oro  eh'  eran  nel  gruppo ,  per  servir  di  dote  alla  giovine,  o 
per  quell'uso  che  ad  esse  sarebbe  parso  migliore;  lo  pregava 
insieme  di  dir  loro,  che,  se  mai,  in  qualunque  tempo,  avessero 
creduto  che  potesse  render  loro  qualche  servizio,  la  povera 
giovine  sapeva  pur  troppo  dove  stesse;  e  per  lui,  quella  sa- 
rebbe una  delle  fortune  più  desiderate.  Il  cardinale  fece  su- 
bito chiamare  Agnese,  le  riferì  la  commissione  che  fu  sentita 
con  altrettanta  soddisfazione  che  maraviglia:  e  le  presentò  il 
rotolo,  ch'essa  prese,  senza  far  gran  complimenti.  «Dio 
gliene  renda  merito,  a  quel  signore,»  disse:  «e  vossignoria 
illustrissima  lo  ringrazi  tanto  tanto.  E  non  dica  nulla  a  nes- 
suno, perchè  questo   è  un  certo  paese  ....    Mi  scusi,  veda' 


CAPITOLO    XXVI. 


333 


so  bene  che  un  par  suo  non  va  a  chiacchierare  di  queste 
cose;  ma  ....  lei  m' intende.» 

Andò  a  casa,  zitta,  zitta:  si  chiuse  in  camera,  svoltò  il 
rotolo,  e  quantunque  preparata,  vide  con  ammirazione,  tutti 
in  un  mucchietto  e  suoi ,  tanti  di  que'  ruspi ,  de'  quali  non 
aveva  forse  mai  visto  più  d'  uno  per  volta,  e  anche  di  rado: 
li  contò,  penò  alquanto  a  metterli  di  nuovo  per  taglio,  e  a 
tenerli  lì  tutti,  che  ogni  momento  facevan  pancia,  e  sguscia- 
vano dalle  sue  dita  inesperte;  ricomposto  finalmente  un  rotolo 
alla  meglio,  lo  mise  in  un  cencio,  ne  fece  un  involto,  un  ba- 
tuffoletto,  e  legatolo  ben  in  giro  con  della  cordellina,  l'andò 
a  ficcare  in  un  cantuccio  del  suo  saccone.  Il  resto  di  quel 
giorno,  non  fece  altro  che  mulinare,  far  disegni  sull'avvenire, 
e  sospirar  l' indomani.  Andata  a  letto,  stette  desta  un  pezzo, 
col  pensiero  in  compagnia  di  que'  cento  che  aveva  sotto  ;  ad- 
dormentata, li  vide  in  sogno.  All'alba,  s'alzò  e  s'incarnino 
subito  verso  la  viha,  dov'  era  Lucia. 

Questa,  dal  canto  suo,  quantunque  non  le  fosse  diminuita 
quella  gran  ripugnanza  a  parlar  del  voto,  pure  era  risoluta 
di  farsi  forza,  e  d'aprirsene  con  la  madre  in  quell'abbocca- 
mento, che  per  lungo  tempo  doveva  chiamarsi  1'  ultimo. 

Appena  poterono  esser  sole,  Agnese,  con  una  faccia  tutta 
animata,  e  insieme  a  voce  bassa,  come  se  ci  fosse  stato  pre- 
sente qualcheduno  a  cui  non  volesse  farsi  sentire,  cominciò: 
«ho  a  dirti  una  gran  cosa;»  e  le  raccontò  1'  inaspettata 
fortuna. 

«Iddio  lo  benedica,  quel  signore,»  disse  Lucia:  «così 
avrete  da  star  bene  voi,  e  potrete  anche  far  del  bene  a  qual- 
chedun  altro.  » 

«Come?»  rispose  Agnese:  «non  vedi  quante  cose  pos- 
siamo fare,  con  tanti  danari?  Senti;  io  non  ho  altro  che  te, 
che  voi  due,  posso  dire;  perchè  Renzo,  da  che  cominciò  a 
discorrerti,  l'ho  sempre  riguardato  come  un  mio  figliuolo. 
Tutto  sta  che  non  gli  sia  accaduta  qualche  disgrazia,  a  ve- 
dere che  non  ha  mai  fatto  saper  nulla:  ma  eh!  deve  andar 
tutto  male?  Speriamo  di  no,  speriamo.  Per  me  avrei  avuto 
caro  di  lasciar  l'ossa  nel  mio  paese;  ma  ora  che  tu  non  ci 
puoi  stare,  in  grazia  di  quel  birbone,  e  anche  solamente  a 
pensarlo  d'averlo  vicino  colui,  m' è  venuto  in  odio  il  mio 
paese;  e  con  voi  altri  io  sto  per  tutto.  Ero  disposta,  fin  d'al- 
lora, a  venir  con  voi  altri,  anche  in  capo  al  mondo;  e  son 
sempre  stata  di  quel  parere,  ma  senza  danari  come  si  fa? 
Intendi  ora?  Que'  quattro  che  quel  poverino  aveva  messi  da 
parte,  con  tanto  stento  e  con  tanto  risparmio,  è  venuta  la 
giustizia  e  ha  spazzato  ogni  cosa;  ma,  per  ricompensa,  il  Si- 
gnore ha  mandato  la  fortuna  a  noi.  Dunque,  quando  avrà 
trovato  il  bandolo  di  far  sapere  se  è  vivo  e  dov'è,  e  che  in- 


334  I   PROMESSI   SPOSI. 

tenzioni  ha,  ti  vengo  a  prender  io  a  Milano,  io  ti  vengo  a 
prendere.  Altre  volte  mi  sarebbe  parso  un  gran  che;  ma  le 
disgrazie  fanno  diventar  disinvolti;  fino  a  Monza  ci  sono  an- 
data, e  so  cos'è  viaggiare.  Prendo  con  me  un  uomo  di  pro- 
posito, un  parente,  come  sarebbe  a  dire  Alessio  di  Maggianico: 
che,  a  voler  dir  proprio  in  paese ,  un  uomo  di  proposito  non 
e'  è:  vengo  con  lui:  già  la  spesa  la  facciamo  noi,  e  .  .  . .  in- 
tendi?» 

Ma  vedendo  che,  in  vece  d'animarsi,  Lucia  s'andava  ac- 
corando ,  e  non  dimostrava  che  una  tenerezza  senz'  allegria, 
lasciò  il  discorso  a  mezzo,  e  disse:  «ma  cos'hai?  non  ti 
pare?» 

«Povera  mamma!»  esclamò  Lucia,  gettandole  un  braccio 
al  collo,  e  nascondendo  il  viso  nel  seno  di  lei. 

«Cosa  c'è?»  domandò  di  nuovo  ansiosamente  la  madre. 

«Avrei  dovuto  dirvelo  prima,»  rispose  Lucia,  alzando  il 
viso,  e  asciugandosi  le  lacrime;  «ma  non  ho  mai  avuto  cuore: 
compatitemi.» 

«Ma  dì  su,  dunque.» 

«Io  non  posso  più  esser  moglie  di  quel  poverino!» 

«Come?  come?» 

Lucia  col  capo  basso,  col  petto  ansante,  lacrimando  senza 
piangere,  come  chi  racconta  una  cosa  che,  quand'  anche  di- 
spiacesse, non  si  può  cambiare,  rivelò  il  voto  ;  e  insieme  giun- 
gendo le  mani,  chiese  di  nuovo  perdono  alla  madre,  di  non 
aver  parlato  fin  allora;  la  pregò  di  non  ridir  la  cosa  ad 
anima  vivente,  e  d'  aiutarla  ad  adempire  ciò  che  aveva  pro- 
messo. 

Agnese  era  rimasta  stupefatta  e  costernata.  Voleva  sde- 
gnarsi del  silenzio  tenuto  con  lei;  ma  i  gravi  pensieri  del 
caso  soffogavano  quel  dispiacere  suo  proprio:  voleva  dirle: 
cos'hai  fatto?  ma  le  pareva  che  sarebbe  un  prendersela  col 
cielo;  tanto  più  che  Lucia  tornava  a  dipinger  co' più  vivi  co- 
lori quella  notte,  la  desolazione  così  nera,  e  la  liberazione 
così  impreveduta,  tra  le  quali  la  promessa  era  stata  fatta,  così 
espressa,  così  solenne.  E  intanto  ad  Agnese  veniva  anche  in 
mente  questo  e  quell'  esempio,  che  aveva  sentito  raccontar  più 
volte,  che  lei  stessa  aveva  raccontato  alla  figlia,  di  gastighi 
strani  e  terribili,  venuti  per  la  violazione  di  qualche  voto. 
Dopo  esser  rimasta  un  poco  come  incantata,  disse:  «e  ora 
cosa  farai?» 

«Ora,»  rispose  Lucia,  «tocca  al  Signore  a  pensarci;  al  Si- 
gnore e  alla  Madonna.  Mi  son  messa  nelle  lor  mani:  non 
m'hanno  abbandonata  finora;  non  m'abbandoneranno  ora 
che  ....  La  grazia  che  chiedo  per  me  al  Signore,  la  sola 
grazia,  dopo  la  salvazion  dell'anima,  è  che  mi  faccia  tornar 
con  voi  :  e  me  la  concederà,  sì,  me  la  concederà.  Quel  giorno 


CAPITOLO   XXVI.  335 

....  in  quella  carrozza  ....  ah  Vergine  santissima!  ....  que- 
gli uomini  !..-..  chi  m' avrebbe  detto  che  mi  menavano  da 
colui  che  mi  doveva  menare  a  trovarmi  con  voi,  il  giorno 
dopo?» 

Ma  non  parlarne  subito  a  tua  madre!»  disse  Agnese  con 
una  certa  stizzetta  temperata  d'  amorevolezza  e  di  pietà. 

«Compatitemi;  non  avevo  cuore  ....  e  che  sarebbe  giovato 
d'affliggervi  qualche  tempo  prima?  - 

«E  Renzo?»  disse  Agnese  tentennando  il  capo. 

«Ah!»  esclamò  Lucia,  risedendosi ,  «io  non  ci  devo  pen- 
sar più  a  quel  poverino.  Già  si  vede  che  non  era  destinato 
....  Vedete  come  pare  che  il  Signore  ci  abbia  voluti  pro- 
prio tener  separati.  E  chi  sa  ....  ?  ma  no,  no  :  1'  avrà  pre- 
servato Lui  da' pericoli,  e  lo  farà  esser  fortunato  anche  di 
più,  senza  di  me.» 

«Ma  intanto,»  riprese  la  madre,  «se  non  fosse  che  tu  ti 
sei  legata  per  sempre,  a  tutto  il  resto,  quando  a  Renzo  non 
gli  sia  accaduta  qualche  disgrazia,  con  que'  danari  io  ci  avevo 
trovato  rimedio.» 

«Ma  que5  danari,»  replicò  Lucia,  «ci  sarebbero  venuti, 
s'io  non  avessi  passata  quella  notte?  È  il  Signore  che  ha 
voluto  che  andasse  così:  sia  fatta  la  sua  volontà.»  E  la  pa- 
rola morì  nel  pianto. 

A  quell'argomento  inaspettato,  Agnese  rimase  lì  pensie- 
rosa. Dopo  qualche  momento,  Lucia,  rattenendo  i  singhiozzi, 
riprese:  «ora  che  la  cosa  è  fatta  bisogna  adattarsi  di  buon" 
animo;  e  voi,  povera  mamma,  voi  mi  potete  aiutare,  prima, 
pregando  il  Signore  per  la  vostra  povera  figlia,  e  poi  ...  . 
bisogna  bene  che  quel  poverino  lo  sappia.  Pensateci  voi,  fa- 
temi anche  questa  carità:  che  voi  ci  potete  pensare.  Quando 
saprete  dov'  è,  fategli  scrivere,  trovate  un  uomo  ....  appunto 
vostro  cugino  Alessio,  che  è  un  uomo  prudente  e  caritatevole, 
e  ci  ha  sempre  voluto  bene,  e  non  ciarlerà:  fategli  scriver 
da  lui  la  cosa  com'è  andata,  dove  mi  son  trovata,  come  ho 
patito,  e  che  Dio  ha  voluto  così,  e  che  metta  il  cuore  in  pace, 
e  che  io  non  posso  mai  mai  esser  di  nessuno.  E  fargli  capir 
la  cosa  con  buona  grazia,  spiegargli  che  ho  promesso,  che  ho 
proprio  fatto  voto.  Quando  saprà  che  ho  promesso  alla  Ma- 
donna ....  ha  sempre  avuto  il  timor  di  Dio.  E  voi,  la  prima 
volta  che  avrete  le  sue  nuove,  fatemi  scrivere,  fatemi  saper 
che  è  sano;  e  poi  ...  .  non  mi  fate  più  saper  nulla.» 

Agnese,  tutta  intenerita,  assicurò  la  figlia  che  ogni  cosa  si 
farebbe  come  desiderava. 

«Vorrei  dirvi  un'altra  cosa.»  riprese  questa:  «quel  po- 
verino, se  non  avesse  avuto  la  disgrazia  di  pensare  a  me,  non 
gli  sarebbe  accaduto  ciò  che  gli  è  accaduto.  È  per  il  mondo; 
gli  hanno  troncato  il  suo  avviamento,  gli  hanno  portato  via  Ià 


336  I   PROMESSI    SPOSI. 

sua  roba,  que' risparmi  che  aveva  fatti,  poverino,  sapete  per- 
chè ...  .  E  noi  abbiamo  tanti  danari!  Oh  mamma!  giacché 
il  Signore  ci  ha  mandato  tanto  bene,  e  quel  poverino,  è  pro- 
prio vero  che  la  riguardavate  come  vostro  ....  sì,  come  un 
figliuolo,  oh!  fate  mezzo  per  uno;  che  sicuro,  Iddio  non  ci 
mancherà.  Cercate  un'occasione  fidata,  e  mandateglieli,  che 
sa  il  cielo  come  n'ha  bisogno!» 

«Ebbene,  cosa  credi?»  riprese  Agnese:  «glieli  manderò 
davvero.  Povero  giovine!  Perchè  pensi  tu  ch'io  fossi  così 
contenta  di  que'  danari?  Ma  .  .  .  .  !  io  era  proprio  venuta  qui 
tutta  contenta.  Basta,  io  glieli  manderò,  povero  Renzo!  ma 
anche  lui  ....  so  quel  che  dico;  certo  che  i  danari  fanno 
piacere  a  chi  n'  ha  bisogno  ;  ma  questi  non  saranno  quelli  che 
lo  faranno  ingrassare.» 

Lucia  ringraziò  la  madre  di  quella  pronta  e  liberale  con- 
discendenza, con  una  gratitudine,  con  un  affetto,  da  far  ca- 
pire a  chi  l'avesse  osservata,  che  il  suo  cuore  faceva  an- 
cora a  mezzo  con  Renzo,  forse  più  che  lei  medesima  non  lo 
credesse. 

«E  senza  di  te,  che  farò  io  povera  donna?»  disse  Agnese, 
piangendo  anch'  essa. 

«E  io  senza  di  voi,  povera  mamma?  e  in  casa  di  fore- 
stieri? e  laggiù  in  quel  Milano  . .  .!  Ma  il  Signore  sarà  con 
tutt"  e  due  ;  "e  poi  ci  farà  tornare  insieme.  Tra  otto  o  nove 
mesi  ci  rivedremo  ;  e  di  qui  allora,  e  anche  prima,  spero  avrà 
accomodate  le  cose  Lui,  per  riunirci.  Lasciamo  fare  a  Lui. 
La  chiederò  sempre  sempre  alla  Madonna  questa  grazia.  Se 
avessi  qualche  altra  cosa  da  offrirle,  lo  farei;  ma  è  tanto  mi- 
sericordiosa, che  me  l'otterrà  per  niente.» 

Con  queste  ed  altre  simili,  e  più  volte  ripetute  parole  di 
lamento  e  di  conforto,  di  rammarico  e  di  rassegnazione,  con 
molte  raccomandazioni  e  promesse  di  non  dir  nulla,  con  molte 
lacrime,  dopo  lunghi  e  rinnovati  abbracciamenti,  le  donne 
si  separarono,  promettendosi  a  vicenda  di  rivedersi  il  prossimo 
autunno,  al  più  tardi;  come  se  il  mantenere  dipendesse  da 
loro,  e  come  però  si  fa  sempre  in  casi  simili. 

Intanto  cominciò  a  passar  molto  tempo  senza  che  Agnese 
potesse  saper  nulla  di  Renzo.  Né  lettere  né  imbasciate  da 
parte  di  lui,  non  ne  veniva;  di  tutti  quelli  del  paese,  o  del 
contorno,  a  cui  potè  domandare,  nessuno  ne  sapeva  più 
di  lei. 

E  non  era  la  sola  che  facesse  invano  una  tal  ricerca;  il 
cardinal  Federigo,  che  non  aveva  detto  per  cerimonia  alle 
povere  donne,  di  voler  prendere  informazioni  del  povero  gio- 
vine, aveva  infatti  scritto  subito  per  averne.  Tornato  poi 
dalla  visita  a  Milano,  aveva  ricevuto  la  risposta  in  cui  gli  si 
diceva   che   non   s:  era   potuto    trovar   recapito    dell'  indicato 


CAPITOLO    XXVI.  àài 

soggetto;  che  veramente  era  stato  qualche  tempo  in  casa  cTun 
suo  parente,  nel  tal  paese,  dove  non  aveva  fatto  dir  di  sé; 
ma  una  mattina,  era  scomparso  all'improvviso,  e  quel  suo 
parente  stesso  non  sapeva  cosa  ne  fosse  stato,  e  non  poteva 
che  ripetere  certe  voci  in  aria  e  contradittorie  che  correvano, 
essersi  il  giovine  arrolato  per  il  Levante,  esser  passato  in 
Germania,  perito  nel  guadare  un  fiume:  che  non  si  manche- 
rebbe di  stare  alle  velette,  se  mai  si  potesse  saper  qualcosa 
di  più  positivo,  per  farne  subito  parte  a  sua  signoria  illustris- 
sima e  reverendissima. 

Più  tardi,  quelle  ed  altre  voci  si  sparsero  anche  nel  terri- 
torio di  Lecco,  e  vennero  per  conseguenza  agli  orecchi 
d'Agnese.  La  povera  donna  faceva  di  tutto  per  venire  in  chiaro 
qual  fosse  la  vera,  per  arrivare  alla  fonte  di  questa  e  di  quella, 
ma  non  riusciva  mai  a  trovar  di  più  di  quel  dicono,  che, 
anche  al  giorno  d'oggi,  basta  da  sé  ad  attestar  tante  cose. 
Talora,  appena  glien' era  stata  raccontata  una,  veniva  uno  e 
le  diceva  che  non  era  vero  nulla;  ma  per  dargliene  in  cam- 
bio un'altra,  ugualmente  strana  o  sinistra.  Tutte  ciarle;  ecco 
il  fatto. 

Il  governatore  di  Milano  e  capitano  generale  in  Italia,  don 
Gonzalo  Fernandez  di  Cordova,  aveva  fatto  un  gran  fracasso 
col  signor  residente  di  Venezia  in  Milano,  perchè  un  malan- 
drino, un  ladrone  pubblico,  un  promotore  di  saccheggio  e 
d'omicidio,  il  famoso  Lorenzo  Tramaglino,  che,  nelle  mani 
stesse  della  giustizia,  aveva  eccitato  sommossa  per  farsi  li- 
berare, fosse  accolto  e  ricettato  nel  territorio  bergamasco.  Il 
residente  avea  risposto  che  la  cosa  gli  riusciva  nuova,  e  che 
scriverebbe  a  Venezia,  per  poter  dare  a  sua  eccellenza  quella 
spiegazione  che  il  caso  avesse  portato. 

A  Venezia  avevan  per  massima  di  secondare  e  di  coltivare 
P  inclinazione  degli  operai  di  seta  milanesi  a  trasportarsi  nel 
territorio  bergamasco ,  e  quindi  di  far  che  ci  trovassero  molti 
vantaggi  e,  soprattutto  quello  senza  di  cui  ogni  altro  è  nulla, 
la  sicurezza.  Siccome  però,  tra  due  grossi  litiganti,  qualche 
cosa,  per  poco  che  sia,  bisogna  sempre  che  il  terzo  goda; 
così  Bortolo  fu  avvisato  in  confidenza,  non  si  sa  da  chi,  che 
Renzo  non  istava  bene  in  quel  paese,  e  che  farebbe  meglio 
a  entrare  in  qualche  altra  fabbrica,  cambiando  anche  nome 
per  qualche  tempo.  Bortolo  intese  per  aria,  non  domandò 
altro,  corse  a  dir  la  cosa  al  cugino,  lo  prese  con  sé  in  un 
calessino,  lo  condusse  a  un  altro  filatoio,  discosta  da  quello 
forséquindici  miglia,  e  lo  presentò,  sotto  il  nome  d'Antonio 
Rivolta,  al  padrone,  ch'era  nativo  anche  lui  dello  stato  di 
Milano,  e  suo  antico  conoscente.  Questo,  quantunque  l'an- 
nata fosse  scarsa,  non  si  fece  pregare  a  ricevere  un  operaio 
che  gli  era  raccomandato  come  onesto  e  abile,   da  un  galan- 

Mavzom.  22 


338  1   PROMESSI    SPOSI. 

tuomo  che  se  n'intendeva.  Alla  prova  poi,  non  ebbe  che  a 
lodarsi  dell'acquisto:  meno  che,  sul  principio  gli  era  parso 
che  il  giovane  dovesse  essere  un  po' stordito,  perchè  quando 
si  chiamava:  Antonio!  le  più  volte  non  rispondeva. 

Poco  dopo,  venne  un  ordine  da  Venezia,  in  istile  pacato, 
al  capitano  di  Bergamo,  che  prendesse  e  desse  informazione, 
se  nella  sua  giurisdizione,  e  segnatamente  nel  tal  paese,  si 
trovasse  il  tal  soggetto.  Il  capitano,  fatte  le  sue  diligenze, 
come  avea  capito  che  si  volevano,  trasmise  la  risposta  nega- 
tiva, la  quale  fu  trasmessa  al  residente  in  Milano,  che  la  tra- 
smettesse a  don  Gonzalo  Fernandez  di  Cordova. 

Non  mancavan  poi  curiosi,  che  volessero  saper  da  Bortolo 
il  perchè  quel  giovine  non  c'era  più,  e  dove  fosse  andato. 
Alla  prima  domanda  Bortolo  rispondeva:  «ma!  è  scomparso.» 
Per  mandar  poi  in  pace  i  più  insistenti,  senza  dar  loro  so- 
spetto di  quel  che  n'  era  davvero ,  aveva  creduto  bene  di  re- 
galar loro,  a  chi  V  una ,  a  chi  1'  altra  delle  notizie  da  noi  ri- 
ferite di  sopra:  però,  come  cose  incerte,  che  aveva  sentite 
dire  anche  lui,  senza  averne  un  riscontro  positivo. 

Ma  quando  la  domanda  gli  venne  fatta  per  commission  del 
cardinale,  senza  nominarlo,  e  con  un  certo  apparato  d' impor- 
tanza e  di  mistero,  lasciando  capire  ch'era  in  nome  d'un 
gran  personaggio ,  tanto  più  Bortolo  s' insospettì,  e  credè  ne- 
cessario di  rispondere  secondo  il  solito;  anzi,  trattandosi  d'un 
gran  personaggio,  diede  in  una  volta  tutte  le  notizie  che  aveva 
stampate  a  una  a  una,  in  quelle  diverse  occorrenze. 

Non  si  creda  però  che  don  Gonzalo,  un  signore  di  quella 
sorte ,  1'  avesse  proprio  davvero  col  povero  filatore  di  monta- 
gna; che  informato  forse  del  poco  rispetto  usato,  e  delle  cat- 
tive parole  dette  da  colui  al  suo  re  moro  incatenato  per  la 
gola,  volesse  fargliela  pagare:  o  che  lo  credesse  un  soggetto 
tanto  pericoloso,  da  perseguitarlo  anche  fuggitivo ,  da  non  la- 
sciarlo vivere  anche  lontano,  come  il  senato  romano  con  An- 
nibale. Don  Gonzalo  aveva  troppe  e  troppo  gran  cose  in 
testa,  per  darsi  tanto  pensiero  de' fatti  di  Pienzo,  e  se  parve 
che  se  ne  desse,  nacque  da  un  concorso  singolare  di  circo- 
stanze, per  cui  il  poveraccio,  senza  volerlo,  e  senza  saperlo 
né  allora  né  mai,  si  trovò,  con  un  sottilissimo  e  invisibile  nlo, 
attaccato  a  quelle  troppe  e  troppo  gran  cose. 


CAPITOLO    XXVII.  339 


CAPITOLO  XXVII. 

Già  più  d1  una  volta  e'  è  occorso  di  far  menzione  della 
guerra  che  allora  bolliva,  per  la  successione  agli  stati  del 
duca  Vincenzo  Gonzaga,  secondo  di  quel  nome:  ma  c'è  oc- 
corso sempre  io  momenti  di  gran  fretta:  sicché  non  abbiam 
mai  potuto  darne  più  che  un  cenno  alla  sfuggita.  Ora  però, 
all'  intelligenza  del  nostro  racconto  si  richiede  proprio  d' a- 
verne  qualche  notizia  più  particolare.  Son  cose  che  chi  co- 
nosce la  storia  le  deve  sapere;  ma  siccome,  per  un  giusto 
sentimento  di  noi  medesimi,  dobbiam  supporre  che  quest'o- 
pera non  possa  esser  letta  se  non  da  ignoranti,  così  non  sarà 
male  che  ne  diciamo  qui  quanto  basti  per  infarinarne  chi 
n'avesse  bisogno. 

Abbiam  detto  che,  alla  morte  di  quel  duca,  il  primo  chia- 
mato, in  linea  di  successione,  Carlo  Gonzaga,  capo  d*un  ramo 
cadetto  trapiantato  in  Francia,  dove  possedeva  i  ducati  di 
Kevers  e  di  Réthel,  era  entrato  al  possesso  di  Mantova;  e 
ora  aggiungiamo,  del  Monferrato:  che  la  fretta  appunto  ce 
1"  aveva  fatto  lasciar  nella  penna.  La  corte  di  Madrid ,  che 
voleva  a  ogni  patto  (abbiam  detto  anche  questo)  escludere  da 
que'  due  feudi  il  nuovo  principe,  e  per  escluderlo  aveva  biso- 
gno d'  una  ragione  (perchè  le  guerre  fatte  senza  una  ragione 
sarebbero  ingiuste),  s'era  dichiarato  sostenitore  di  quella  che 
pretendevano  avere,  su  Mantova  un  altro  Gonzaga,  Ferrante, 
principe  di  Guastalla;  sul  Monferrato  Carlo  Emanuele  I,  duca 
di  Savoia,  e  Margherita  Gonzaga,  duchessa  vedova  di  Lorena. 
Don  Gonzalo,  ch'era  della  casa  del  gran  capitano,  e  ne  por- 
tava il  nome,  e  che  aveva  già  fatto  la  guerra  in  Fiandra, 
voglioso  oltremodo  di  condurne  una  in  Italia,  era  forse  quello 
che  faceva  più  fuoco,  perchè  questa  si  dichiarasse;  e  intanto, 
interpretando  l' intenzioni  e  precorrendo  gli  ordini  della  corte 
suddetta,  aveva  concluso  col  duca  di  Savoia  un  trattato  d' in- 
vasione e  di  divisione  del  Monferrato;  e  n'aveva  poi  ottenuta 
facilmente  la  ratificazione  dal  conte  duca,  facendogli  creder 
molto  agevole  1'  acquisto  di  Casale,  eh'  era  il  punto  più  difeso 
della  parte  pattuita  al  re  di  Spagna.  Protestava  però,  in 
nome  di  questo,  di  non  voler  occupar  paese,  se  non  a  titolo 
di  deposito,  fino  alla  seutenza  dell'imperatore;  il  quale,  in 
parte  per  gli  ufizi  altrui,  in  parte  per  suoi  propri  motivi, 
aveva  intanto  negata  l' investitura  al  nuovo  duca,  e  intimatogli 
che  rilasciasse  a  lui  in  sequestro  gli  stati  controversi  :  lui  poi, 
sentite  le  parti,  li  rimetterebbe  a  chi  fosse  di  dovere.  Cosa 
alla  quale  il  Xevers  non  s'  era  voluto  piegare 

Aveva  anche  lui  amici  d'importanza:  il  cardinale  di  Ri- 
chelieu,  i  signori  veneziani,  e  il  papa,  ch'era,  come  abbiam 

22  * 


340  I   PROMESSI    SPOSI. 

detto  Urbano  Vili.  Ma  il  primo  impegnato  allora  nell'  asse- 
dio della  Roccella  e  in  una  guerra  con  l'Inghilterra,  attra- 
versato dal  partito  della  regina  madre,  Maria  de'  Medici,  con- 
traria, per  certi  suoi  motivi,  alla  casa  di  Xevers,  non  poteva 
dare  che  delle  speranze.  I  Veneziani  non  volevan  moversi,  e 
nemmeno  dichiararsi,  se  prima  un  esercito  francese  non  fosse 
calato  in  Italia;  e,  aiutando  il  duca  sotto  mano,  come  pote- 
vano, con  la  corte  di  Madrid  e  col  governatore  di  Milano 
stavano  sulle  proteste,  sulle  proposte,  sull'  esortazioni,  placide 
o  minacciose,  secondo  i  momenti.  Il  papa  raccomandava  il 
Xevers  agli  amici,  intercedeva  in  suo  favore  presso  gli  avver- 
sari, faceva  progetti  d'accomodamento;  di  metter  gente  in 
campo  non  ne  voleva  saper  nulla. 

Così  i  due  alleati  alle  offese  poterono,  tanto  più  sicura- 
mente, cominciar  V  impresa  concertata.  Il  duca  di  Savoia  era 
entrato,  dalla  sua  parte,  nel  Monferrato:  don  Gonzalo  aveva 
messo,  con  gran  voglia,  1'  assedio  a  Casale  ;  ma  non  ci  trovava 
tutta  quella  soddisfazione  che  s' era  immaginato  :  che  non 
credete  che  nella  guerra  sia  tutto  rose.  La  corte  non 
l'aiutava  a  seconda  de' suoi  desidèri,  anzi  gli  lasciava  man- 
care i  mezzi  più  necessari;  l'alleato  l'aiutava  troppo:  voglio 
dire  che,  dopo  aver  presa  la  sua  porzione,  andava  spizzi- 
cando quella  assegnata  al  re  di  Spagna.  Don  Gonzalo  se  ne 
rodeva  quanto  mai  si  possa  dire;  ma  temendo,  se  faceva  ap- 
pena un  po' di  rumore,  che  quel  Carlo  Emanuele,  così  attivo 
ne' maneggi  e  mobile  ne' trattati,  come  prode  nell'armi,  si 
voltasse  alla  Francia,  doveva  chiudere  un  occhio,  mandarla 
giù,  e  stare  zitto.  L'  assedio  poi  andava  male,  in  lungo,  ogni 
tanto  all' indietro,  e  per  il  contegno  saldo,  vigilante,  risoluto 
degli  assediati,  e  per  aver  lui  poca  gente,  e,  al  dire  di  qual- 
che storico,  per  i  molti  spropositi  che  faceva.  Su  questo  noi 
lasciamo  la  verità  a  suo  luogo,  disposti  anche,  quando  la  cosa 
fosse  realmente  così,  a  trovarla  bellissima,  se  fu  cagione  che 
in  quell'  impresa  sia  restato  morto,  smozzicato,  storpiato 
qualche  uomo  di  meno  e,  ceteris  paribus,  anche  soltanto  un 
po'  meno  danneggiati  i  tegoli  di  Casale.  In  questi  frangenti 
ricevette  la  nuova  della  sedizione  di  Milano,  e  ci  accorse  in 
persona. 

Qui,  nel  ragguaglio  che  gli  si  diede,  fu  fatta  anche  men- 
zione della  fuga  ribelle  e  clamorosa  di  Renzo,  de' fatti  veri 
e  supposti  ch'erano  stati  cagione  del  suo  arresto:  e  gli  si 
seppe  anche  dire  che  questo  tale  s'  era  rifugiato  sul  territorio 
di  Bergamo.  Questa  circostanza  fermò  l'attenzione  di  don 
Gonzalo.  Era  informato  da  tutt' altra  parte,  che  a  Venezia 
avevano  alzata  la  cresta,  per  la  sommossa  di  Milano;  che  da 
principio  avevan  creduto  che  sarebbe  costretto  a  levar  l' as- 
sedio da  Casale  ;  e  pensavan  tuttavia  che  ne  fosse  ancora  sba- 


CAPITOLO   XXVII.  341 

lordito,  e  in  gran  pensiero:  tanto  più  che,  subito  dopo  quel- 
l'avvenimento, era  arrivata  la  notizia,  sospirata  da  que' si- 
gnori e  temuta  da  lui,  della  resa  della  Roccella.  E  scottan- 
dogli molto,  e  come  uomo  e  come  politico,  che  que' signori 
avessero  un  tal  concetto  de'  fatti  suoi ,  spiava  ogni  occasione 
di  persuaderli,  per  via  d' induzione,  che  non  aveva  perso  nulla 
dell'antica  sicurezza;  giacché  il  dire  espressamente:  non  ho 
paura,  è  come  non  dir  nulla.  Un  buon  mezzo  è  di  fare  il 
disgustato,  di  querelarsi,  di  reclamare;  e  perciò  essendo  ve- 
nuto il  residente  di  Venezia  a  fargli  un  complimento,  e  ad 
esplorare  insieme,  nella  sua  faccia  e  nel  suo  contegno ,  come 
stesse  dentro  di  sé  (notate  tutto;  che  questa  è  politica  di 
quella  vecchia  fine),  don  Gonzalo,  dopo  aver  parlato  del  tu- 
multo, leggermente  e  da  uomo  che  ha  già  messo  riparo  a 
tutto;  fece  quel  fracasso  che  sapete  a  proposito  di  Renzo; 
come  sapete  anche  quel  che  ne  venne  in  conseguenza.  Dopo, 
non  s'  occupò  più  d' un  affare  così  minuto  e,  in  quanto  a  lui, 
terminato;  e  quando  poi,  che  fu  un  pezzo  dopo,  gli  arrivò  la 
risposta,  al  campo  sopra  Casale,  dov'era  tornato,  e  dove 
aveva  tutt'  altri  pensieri ,  alzò  e  dimenò  la  testa ,  come  un 
baco  da  seta  che  cerchi  la  foglia;  stette  lì  un  momento,  per 
farsi  tornar  vivo  nella  memoria  quel  fatto,  di  cui  non  ci  rima- 
neva più  che  un'ombra;  si  rammentò  della  cosa,  ebbe  un'idea 
fugace  e  confusa  del  personaggio*  passò  ad  altro,  e  non  ci 
pensò  più. 

Ma  Renzo  il  quale ,  da  quel  poco  che  gli  s'  era  fatto  ve- 
der per  aria,  doveva  supporre  tutt'  altro  che  una  così  benigna 
noncuranza,  stette  un  pezzo  senz'altro  pensiero  o,  per  dir 
meglio,  senz'altro  studio,  che  di  viver  nascosto.  Pensate  se 
si  struggeva  di  mandar  le  sue  nuove  alle  donne,  e  d'aver  le 
loro,  ma  e' eran  due  gran  difficoltà.  Una,  che  avrebbe  do- 
vuto anche  lui  confidarsi  a  un  segretario,  perchè  il  poverino 
non  sapeva  scrivere,  e  neppur  leggere,  nel  senso  esteso  della 
parola;  e  se,  interrogato  di  ciò,  come  forse  vi  ricorderete, 
dal  dottor  Azzecca-garbugli,  aveva  risposto  di  sì,  non  fu  un 
vanto,  una  sparata,  come  si  dice;  ma  era  la  verità  che  lo 
stampato  lo  sapeva  leggere,  mettendoci  il  suo  tempo:  lo  scrit- 
to è  un  altro  par  di  maniche.  Era  dunque  costretto  a  met- 
tere im  terzo  a  parte  de'  suoi  interessi,  d:  un  segreto  così  ge- 
loso: e  un  uomo  che  sapesse  tener  la  penna  in  mano,  e  di 
cui  uno  si  potesse  fidare,  a  que'  tempi  non  si  trovava  così  fa- 
cilmente; tanto  più  in  un  paese  dove  non  s'  avesse  nessuna 
antica  conoscenza.  L'  altra  difficoltà  era  d'  avere  anche  un 
corriere;  un  uomo  che  andasse  appunto  da  quelle  parti,  che 
volesse  incaricarsi  della  lettera,  e  darsi  davvero  il  pensiero 
di  recapitarla;  tutte  cose,  anche  queste,  difficili  a  trovarsi  in 
un  uomo  solo. 


342  I    PROMESSI    SPOSI. 

Finalmente,  cerca  e  ricerca,  trovò  chi  scrivesse  per  lui. 
Ma,  non  sapendo  se  le  donne  fossero  ancora  a  Monza,  o  dove, 
credè  bene  di  fare  accluder  la  lettera  per  Agnese  in  un'  altra 
diretta  al  padre  Cristoforo.  Lo  scrivano  prese  anche  V  incarico 
di  far  recapitare  il  plico;  lo  consegnò  a  uno  che  doveva 'pas- 
sare non  lontano  da  Pescarenico:  costui  lo  lasciò,  con  molte 
raccomandazioni,  in  un'osteria  sulla  strada,  al  punto  più  vi- 
cino ;  trattandosi  che  il  plico  era  indirizzato  a  un  convento, 
ci  arrivò:  ma  cosa  n'avvenisse  dopo,  non  s'è  mai  saputo. 
Renzo,  non  vedendo  comparir  risposta,  fece  stendere  un' altra 
lettera,  a  un  di  presso  come  la  prima,  e  accluderla  in  un'altra 
a  un  suo  amico  di  Lecco,  o  parente  che  fosse.  Si  cercò  un 
altro  latore,  si  trovò;  questa  volta  la  lettera  arrivò  a  chi  era 
diretta.  Agnese  trottò  a  Maggianico,  se  la  fece  leggere  e 
spiegare  da  quell'Alessio  suo  cugino:  concertò  con  lui  una 
risposta,  che  questo  mise  in  carta;  si  trovò  il  mezzo  diman- 
darla ad  Antonio  Rivolta  nel  luogo  del  suo  domicilio;  tutto 
questo  però  non  così  presto  come  noi  lo  raccontiamo.  Renzo 
ebbe  la  risposta,  e  fece  riscrivere.  In  somma,  s'avviò  tra  le 
due  parti  un  carteggio,  né  rapido  né  regolare,  ma  pure,  a 
balzi  e  ad  intervalli,  continuato. 

Ma  per  avere  un'  idea  di  quel  carteggio ,  bisogna  sapere 
un  poco  come  andassero  allora  tali  cose,  anzi  come  vadano: 
perchè,  in  questo  particolare,  credo  che  ci  sia  poco  o  nulla 
di  cambiato. 

Il  contadino  che  non  sa  scrivere,  e  che  avrebbe  bisogno  di 
scrivere,  si  rivolge  a  uno  che  conosca  queir  arte,  scegliendolo, 
per  quanto  può,  fra  quelli  della  sua  condizione,  perchè  degli 
altri  si  perita,  o  si  fida  poco:  l'informa,  con  più  o  meno 
ordine  e  chiarezza,  degli  antecedenti:  e  gli  espone,  nella 
stessa  maniera,  la  cosa  da  mettere  in  carta.  Il  letterato, 
parte  intende,  parte  frantende,  dà  qualche  consiglio,  propone 
qualche  cambiamento,  dice:  lasciate  fare  a  me;  piglia  la  pen- 
na, mette  come  può  in  forma  letteraria  i  pensieri  dell'altro, 
li  corregge,  li  migliora,  carica  la  mano,  oppure  smorza,  la- 
scia anche  fuori,  secondo  gli  pare  che  torni  meglio  alla  cosa; 
perchè  non  c'è  rimedio,  chi  ne  sa  più  degli  altri  non  vuol 
essere  strumento  materiale  nelle  loro  mani;  e  quando  entra 
negli  affari  altrui,  vuol  anche  fargli  andare  un  po' a  modo 
suo.  Con  tutto  ciò,  al  letterato  suddetto  non  gli  riesce  sem- 
pre di  dire  tutto  quel  che  vorrebbe;  qualche  volta  gli  accade 
di  dire  tutt' altro:  accade  anche  a  noi  altri,  che  scriviamo  per 
la  stampa.  Quando  la  lettera  così  composta  arriva  alle  mani 
del  corrispondente,  che  anche  lui  non  abbia  pratica  dell'ab- 
biccì, la  porta  a  un  altro  dotto  di  quel  calibro,  il  quale  gliela 
legge  e  gliela  spiega.  Nascono  delle  questioni  sul  modo 
d'intendere;  perchè  l'interessato,  fondandosi  sulla  cognizione 


CAPITOLO   XXVII.  343 

de' fatti  antecedenti,  pretende  che  certe  parole  voglian  dire 
una  cosa;  il  lettore,  stando  alla  pratica  che  ha  della  compo- 
sizione, pretende  che  ne  voglian  dire  un'altra.  Finalmente 
bisogna  che  chi  non  sa  si  metta  nelle  mani  di  chi  sa,  e  dia 
a  lui  l'incarico  della  risposta:  la  quale,  fatta  sul  gusto  della 
proposta,  va  poi  soggetta  a  un'  interpretazione  simile.  Che 
se,  per  di  più,  il  soggetto  della  corrispondenza  è  un  po' ge- 
loso; se  c'entrano  affari  segreti,  che  non  si  vorrebbero 
lasciar  capire  a  un  terzo,  caso  mai  che  la  lettera  andasse 
persa;  se,  per  questo  riguardo,  c'è  stata  anche  l'intenzione 
positiva  di  non  dir  le  cose  affatto  chiare;  allora,  per  poco 
che  la  corrispondenza  duri,  le  parti  finiscono  a  intendersi  tra 
di  loro  come  altre  volte  due  scolastici  che  da  quattr'  ore  di- 
sputassero sull'entelechia:  per  non  prendere  una  similitudine 
da  cose  vive;  che  ci  avesse  poi  a  toccare  qualche  scap- 
pellotto. 

Ora  il  caso  de' nostri  due  corrispondenti  era  appunto 
quello  che  abbiam  detto.  La  prima  lettera  scritta  in  nome  di 
Renzo  conteneva  molte  materie.  Da  principio ,  oltre  un  rac- 
conto della  fuga,  molto  più  conciso,  ma  anche  più  arruffato 
di  quello  che  avete  letto,  un  ragguaglio  delle  sue  circostanze 
attuali;  dal  quale,  tanto  Agnese  quanto  il  suo  turcimanno  fu- 
rono ben  lontani  di  ricavare  un  costrutto  chiaro  e  intero  :  av- 
viso segreto,  cambiamento  di  nome,  esser  sicuro,  ma  dovere 
star  nascosto;  cose  per  sé  non  troppo  famigliari  a' loro  intel- 
letti, e  nella  lettera  dette  anche  un  po' in  cifra.  C'era  poi 
delle  domande  affannose,  appassionate  su' casi  di  Lucia,  con 
de'  cenni  oscuri  e  dolenti ,  intorno  alle  voci  che  n'  erano  arri- 
vate fino  a  Renzo.  C  erano  finalmente  speranze  incerte,  e 
lontane,  disegni  lanciati  nell'avvenire,  e  intanto  promesse  e 
preghiere  di  mantener  la  fede  data,  di  non  perder  la  pazien- 
za né  il  coraggio,  d'  aspettar  migliori  circostanze. 

Dopo  un  po'  di  tempo ,  Agnese  trovò  un  mezzo  fidato  di 
far  pervenire  nelle  mani  di  Renzo  una  risposta,  co'  cinquanta 
scudi  assegnatigli  da  Lucia.  Al  veder  tant'oro,  Renzo  non 
sapeva  cosa  si  pensare;  e  con  l'animo  agitato  da  una  mara- 
viglia e  da  una  sospensione  che  non  davan  luogo  a  conten- 
tezza, corse  in  cerca  del  segretario,  per  farsi  interpretar  la 
lettera,  e  aver  la  chiave  d'  un  così  strano  mistero. 

Nella  lettera,  il  segretario  d'Agnese,  dopo  qualche  la- 
mento sulla  poca  chiarezza  della  proposta,  passava  a  descri- 
vere, con  chiarezza  a  un  di  presso  uguale,  la  tremenda  sto- 
ria di  quella  persona  (così  diceva);  e  qui  rendeva  ragione 
de' cinquanta  scudi;  poi  veniva  a  parlar  del  voto,  ma  per 
via  di  perifrasi,  aggiungendo  con  parole  più  dirette  e  aperte, 
il  consiglio  di  mettere  il  cuore  in  pace,  e  di  non  pen- 
sarci più. 


344  I   PROMESSI    SPOSI. 

Renzo,  poco  mancò  che  non  se  la  prendesse  col  lettore 
interprete:  tremava,  inorridiva,  s'infuriava,  di  quel  che  aveva 
capito,  e  di  quel  che  non  aveva  potuto  capire.  Tre  o  quattro 
volte  si  fece  rileggere  il  terribile  scritto,  ora  parendogli  d'in- 
tender meglio,  ora  divenendogli  buio  ciò  che  prima  gli  era 
parso  chiaro.  E  in  quella  febbre  di  passioni,  volle  che  il  se- 
gretario mettesse  subito  mano  alla  penna,  e  rispondesse.  Dopo 
1'  espressioni  più  forti  che  si  possano  immaginare  di  pietà  e 
di  terrore  per  i  casi  di  Lucia,  «scrivete,»  proseguiva  dettando, 
«che  io  il  cuore  in  pace  non  lo  voglio  mettere,  e  non  lo  met- 
terò mai  ;  e  che  non  son  pareri  da  darsi  a  un  figliuolo  par 
mio;  e  che  i  danari  non  li  toccherò;  che  li  ripongo,  e  li  tengo 
in  deposito,  per  la  dote  della  giovine;  che  già  la  giovine 
dev'esser  mia;  che  io  non  so  di  promessa;  e  che  ho  ben 
sempre  sentito  dire  che  la  Madonna  e'  entra  per  aiutare  i  tri- 
bolati, e  per  ottener  delle  grazie,  ma  per  far  dispetto  e  per 
mancar  di  parola,  non  l'ho  sentito  mai;  e  che  codesto  non 
può  stare;  e  che,  con  questi  danari,  abbiamo  a  metter  su  casa 
qui;  e  che,  se  ora  sono  un  po' imbrogliato,  l'è  una  burrasca 
che  passerà  presto:»  e  cose  simili. 

Agnese  ricevè  poi  quella  lettera,  e  fece  riscrivere;  e  il 
carteggio  continuò,  nella  maniera  che  abbiam  detto.» 

Lucia,  quando  la  madre  ebbe  potuto,  non  so  per  qual 
mezzo,  farle  sapere  che  quel  tale  era  vivo  e  in  salvo  e  av- 
vertito, sentì  un  gran  sollievo,  e  non  desiderava  più  altro,  se 
non  che  si  dimenticasse  di  lei;  o,  per  dir  la  cosa  proprio  a 
un  puntino,  che  pensasse  a  dimenticarla.  Dal  canto  suo,  fa- 
ceva cento  volte  al  giorno  una  risoluzione  simile  riguardo  a 
lui;  e  adoprava  anche  ogni  mezzo  per  mandarla  ad  effetto. 
Stava  assidua  al  lavoro,  cercava  d'occuparsi  tutta  in  quello: 
quando  l'immagine  di  Renzo  le  si  presentava,  e  lei  a  dire  o 
a  cantare  orazioni  a  mente.  Ma  quelP  immagine,  proprio  come 
se  avesse  avuto  malizia,  non  veniva  per  lo  più,  così  alla  sco- 
perta; s' introduceva  di  soppiatto  dietro  all'altre,  in  modo 
che  la  mente  non  s'  accorgesse  d'  averla  ricevuta,  se  non  dopo 
qualche  tempo  che  la  e'  era.  Il  pensiero  di  Lucia  stava 
spesso  con  la  madre;  come  non  ci  sarebbe  stato?  e  il  Renzo 
ideale  veniva  pian  piano  a  mettersi  in  terzo,  come  il  reale 
aveva  fatto  tante  volte.  Così  con  tutte  le  persone,  in  tutti 
i  luoghi,  in  tutte  le  memorie  del  passato,  colui  si  veniva  a 
ficcare.  E  se  la  poverina  si  lasciava  andar  qualche  volta  a 
fantasticar  sul  suo  avvenire,  anche  lì  compariva  colui,  per 
dire,  se  non  altro,  io  a  buon  conto  non  ci  sarò.  Però,  se  il 
non  pensare  a  lui  era  impresa  disperata,  a  pensarci  meno,  e 
meno  intensamente  che  il  cuore  avrebbe  voluto,  Lucia  ci 
riusciva  fino  a  un  certo  segno:  ci  sarebbe  anche  riuscita 
meglio,  se  fosse  stata  sola  a  volerlo.     Ma  c'era  donna  Pras- 


CAPITOLO   XXVII.  345 

sede,  la  quale,  tutta  impegnata  dal  canto  suo  a  levarle 
dall'animo  colui,  non  aveva  trovato  migliore  espediente  che 
di  parlargliene  spesso,  e  Ebbene?»  le  diceva:  «non  ci  pen- 
siam  più  a  colui?» 

«Io  non  penso  a  nessuno,»  rispondeva  Lucia. 

Donna  Prassede  non  s'appagava  d'una  risposta  simile; 
replicava  che  ci  volevan  fatti  e  non  parole;  si  diffondeva  a 
parlare  sul  costume  delle  giovani,  le  quali,  diceva,  «quando 
hanno  nel  cuore  uno  scapestrato  (ed  è  lì  che  inclinano  sem- 
pre), non  se  lo  staccan  più.  Un  partito  onesto,  ragionevole, 
d'un  galantuomo,  d'un  uomo  assestato,  che,  per  qualche  ac- 
cidente, vada  a  monte,  son  subito  rassegnate,  ma  un  rompi- 
collo, è  piaga  incurabile.»  E  allora  principiava  il  panegirico 
del  povero  assente,  del  birbante  venuto  a  Milano,  per  rubare 
e  scannare:  e  voleva  far  confessare  a  Lucia  le  bricconate  che 
colui  doveva  aver  fatte,  anche  al  suo  paese. 

Lucia,  con  la  voce  tremante  di  vergogna,  di  dolore,  e  di 
quello  sdegno  che  poteva  aver  luogo  nel  suo  animo  dolce  e 
nella  sua  umile  fortuna,  assicurava  e  attestava,  che,  al  suo 
paese,  quel  poveretto  non  aveva  mai  fatto  parlar  di  sé,  altro 
che  in  bene;  avrebbe  voluto,  diceva,  che  fosse  presente  qual- 
cheduno  di  là,  per  fargli  far  testimonianza.  Anche  sull'av- 
venture di  Milano,  delle  quali  non  era  ben  informata,  lo  di- 
fendeva, appunto  con  la  cognizione  che  aveva  di  lui  e  de'  suoi 
portamenti  tino  dalla  fanciullezza.  Lo  difendeva  o  si  propo- 
neva di  difenderlo,  per  puro  dovere  di  carità,  per  amore  del 
vero,  e,  a  dir  proprio  la  parola  con  la  quale  spiegava  a  sé 
stessa  il  suo  sentimento,  come  prossimo.  Ma  da  queste  apo- 
logie donna  Prassede  ricavava  nuovi  argomenti  per  convincer 
Lucia,  che  il  suo  cuore  era  ancor  perso  dietro  a  colui.  E 
per  verità,  in  que' momenti,  non  saprei  ben  dire  come  la  co» 
sa  stesse.  L'indegno  ritratto  che  la  vecchia  faceva  del  pove- 
rino, risvegliava,  per  opposizione,  più  viva  e  più  distinta  che 
mai,  nella  mente  della  giovine  l'idea  che  vi  si  era  formata 
in  una  così  lunga  consuetudine;  le  rimembranze  compresse  a 
forza,  si  svolgevano  in  folla:  l'avversione  e  il  disprezzo  ri- 
chiamavano tanti  antichi  motivi  di  stima;  l'odio  cieco  e  vio- 
lento faceva  sorger  più  forte  la  pietà;  e  con  questi  affetti, 
chi  sa  quanto  ci  potesse  essere  o  non  essere  di  queir  altro 
che  dietro  ad  essi  s'introduce  così  facilmente  negli  animi; 
figuriamoci  cosa  farà  in  quelli,  donde  si  tratti  di  scacciarlo 
per  forza.  Sia  come  si  sia,  il  discorso,  per  la  parte  di  Lu- 
cia, non  sarebbe  mai  andato  molto  in  lungo;  che  le  parole 
finivan  presto  in  pianto. 

Se  donna  Prassede  fosse  stata  spinta  a  trattarla  in  quella 
maniera  da  qualche  odio  inveterato  contro  di  lei,  forse  quelle 
lacrime  l'avrebbero  tocca,  e  fatta  smettere;   ma  parlando  a 


34G  I    PROMESSI   SPOSI. 

fin  di  bene,  tirava  avanti  senza  lasciarsi  smovere:  come  i  ge- 
miti, i  gridi  supplichevoli,  potranno  ben  trattenere  Tarme 
d'un  nemico,  ma  non  il  ferro  d'un  chirurgo.  Fatto  però 
bene  il  suo  dovere  per  quella  volta ,  dalle  stoccate  e  da'  rab- 
buffi veniva  all'  esortazioni,  ai  consigli,  conditi  anche  di  qual- 
che lode,  per  temperar  così  Pagro  col  dolce,  e  ottener  me- 
glio l'effetto,  operando  sull'animo  in  tutti  i  versi.  Certo,  di 
quelle  baruffe  (che  avevan  sempre  a  un  di  presso  lo  stesso 
principio,  mezzo  e  fine),  non  rimaneva  alla  buona  Lucia  pro- 
priamente astio  contro  l' acerba  predicatrice,  la  quale  poi  nel 
resto  la  trattava  con  gran  dolcezza;  e  anche  in  questo  si  vp- 
deva  una  buona  intenzione.  Le  rimaneva  bensì  un  ribolli- 
mento, una  sollevazione  di  pensieri  e  d'  affetti  tale  che  ci  vo- 
leva molto  tempo  e  molta  fatica  per  tornare  a  quella  qualunque 
calma  di  prima. 

Buon  per  lei,  che  non  era  la  sola  a  cui  donna  Prassede 
avesse  a  far  dei  bene;  sicché  le  baruffe  non  potevano  esser 
così  frequenti.  Oltre  il  resto  della  servitù,  tutti  cervelli  che 
avevan  bisogno,  più  o  meno,  d'esser  raddirizzati  e  guidati; 
oltre  tutte  l'altre  occasioni  di  prestar  lo  stesso  ufizio,  per 
buon  cuore,  a  molti  con  cui  non  era  obbligata  a  niente:  oc- 
casioni che  cercava,  se  non  s'  offrivan  da  sé;  aveva  anche  cin- 
que figlie,  nessuna  in  casa,  ma  che  le  davan  più  da  pensare, 
che  se  ci  fossero  state.  Tre  eran  monache,  due  maritate;  e 
donna  Prassede  si  trovava  naturalmente  aver  tre  monasteri  e 
due  case  a  cui  soprintendere  ;  impresa  vasta  e  complicata, 
e  tanto  più  faticosa,  che  due  mariti,  spalleggiati  da  padri,  da 
madri,  da  fratelli,  e  tre  badesse,  fiancheggiate  da  altre  dignità 
e  da  molte  monache,  non  volevano  accettare  la  sua  soprain- 
tendenza.  Era  una  guerra,  anzi  cinque  guerre,  coperte,  gen- 
tili, fino  a  un  certo  segno,  ma  vive  e  senza  tregua:  era  in  tutti 
que'  luoghi  un'  attenzione  continua  a  scansare  la  sua  premura, 
a  chiuder  l'adito  a' suoi  pareri,  a  eludere  le  sue  richieste,  a 
far  che  fosse  al  buio ,  più  che  si  poteva,  d'  ogni  affare.  Non 
parlo  de'  contrasti,  delle  difficoltà  che  incontrava  nel  maneggio 
d'altri  affari  anche  più  estranei:  si  sa  che  agli  uomini  il  be- 
ne bisogna,  le  più  volte,  farlo  per  forza.  Dove  il  suo  zelo 
poteva  esercitarsi  liberamente,  era  in  casa:  lì  ogni  persona 
era  soggetta,  in  tutto  e  per  tutto,  alla  sua  autorità,  fuorché 
don  Ferrante,  col  quale  le  cose  andavano  in  un  modo  affatto 
particolare. 

Uomo  di  studio,  non  gli  piaceva  né  di  comandare  né  di 
ubbidire.  Che,  in  tutte  le  cose  di  casa,  la  signora  moglie 
fosse  la  padrona,  alla  buon'ora;  ma  lui  servo,  no.  E  se, 
pregato,  le  prestava  a  un'  occorrenza  V  ufizio  della  penna,  era 
perchè  ci  aveva  il  suo  genio;  del  rimanente,  anche  in  questo 
sapeva  dir   di  no,  quando  non  fosse  persuaso  di  ciò  che  lei 


CAPITOLO  XXVII.  347 

voleva  fargli  scrivere.  «La  s'ingegni,»  diceva  in  que' casi  : 
sfaccia  da  sé,  giacché  la  cosa  le  par  tanto  chiara.»  Donna 
Prassede,  dopo  aver  tentato  per  qualche  tempo,  e  inutilmente, 
di  tirarlo,  dal  lasciar  fare  al  fare:  s'era  ristretta  a  brontolare 
spesso  contro  di  lui,  a  nominarlo  uno  schivafatiche,  un  uomo 
fisso  nelle  sue  idee,  un  letterato  ;  titolo  nel  quale,  insieme  con 
la  stizza,  e'  entrava  anche  un  po'  di  compiacenza. 

Don  Ferrante  passava  di  grand' ore  nel  suo  studio,  dove 
aveva  una  raccolta  di  libri  considerabile,  poco  meno  di  tre- 
cento volumi;  tutta  roba  scelta,  tutte  opere  delle  più  ripu- 
tate, in  varie  materie;  in  ognuna  delle  quali  era  più  o  meno 
versato.  Nell'astrologia,  era  tenuto,  e  con  ragione,  per  più 
che  un  dilettante;  perchè  non  ne  possedeva  soltanto  quelle 
nozioni  generiche,  e  quel  vocabolario  comune,  d'influsso, 
d'aspetti,  di  congiunzioni;  ma  sapeva  parlare  a  proposito,  e 
come  dalla  cattedra,  delle  dodici  case  del  cielo,  de'  circoli 
massimi,  de' gradi  lucidi  e  tenebrosi,  d'esaltazione  e  di  deie- 
zione ,  di  transiti  e  di  rivoluzioni,  de'  princìpi  in  somma  più 
certi  e  più  reconditi  della  scienza.  Ed  eran  forse  veni'  anni 
che,  in  dispute  frequenti  e  lunghe,  sosteneva  la  domificazione 
del  Cardano  contro  un  altro  dotto  attaccato  ferocemente  a 
quella  dell' Alcabizio,  per  mera  ostinazione,  diceva  don  Fer- 
rante; il  quale,  riconoscendo  volentieri  la  superiorità  degli 
antichi,  non  poteva  però  soffrire  quel  non  voler  dar  ragione 
a' moderni,  anche  dove  l'hanno  chiara  che  la  vedrebbe 
ognuno.  Conosceva  anche,  più  che  mediocremente,  la  storia 
della  scienza;  sapeva  a  un  bisogno  citare  le  più  celebri  pre- 
dizioni avverate,  e  ragionar  sottilmente  ed  eruditamente  sopra 
altre  celebri  predizioni  andate  a  voto,  per  dimostrar  che  la 
colpa  non  era  della  scienza,  ma  di  chi  non  l'aveva  saputa 
adoprar  bene. 

Della  filosofia  antica  aveva  imparato  quanto  poteva  bastare, 
e  n'andava  di  continuo  imparando  di  più,  dalla  lettura  di 
Diogene  Laerzio.  Siccome  però  que'  sistemi,  per  quanto  sian 
belli,  non  si  può  adottarli  tutti;  e,  a  voler  essere  filosofo, 
bisogna  scegliere  un  autore,  così  don  Ferrante  aveva  scelto 
Aristotile,  il  quale,  come  diceva  lui,  non  è  né  antico  né  mo- 
derno: è  il  filosofo.  Aveva  anche  varie  opere  de' più  savi 
e  sottili  seguaci  di  lui,  tra  i  moderni:  quelle  de' suoi  impu- 
gnatori non  aveva  mai  voluto  leggerle,  per  non  buttar  via  il 
tempo,  diceva;  né  comprarle,  per  non  buttar  via  i  danari. 
Per  eccezione  però,  dava  luogo  nella  sua  libreria  a  que'  cele- 
bri ventidue  libri  De  subtihtate,  e  a  qualche  altr' opera  an- 
tiperipatetica del  Cardano,  in  grazia  del  suo  valore  in  astro- 
logia; dicendo  che  chi  aveva  potuto  scrivere  il  trattato  De 
restitutione  temporum  et  motuum  calestium ,   e  il  libro  Duo- 


348  1   PROMESSI    SPOSI. 

decim  geniturarum,  meritava  d' essere  ascoltato,  anche  quando 
spropositava;  e  che  il  gran  difetto  di  queir  uomo  era  stato 
d'aver  troppo  ingegno;  e  che  nessuno  si  può  immaginare 
dove  sarebbe  arrivato,  anche  in  filosofia,  se  fosse  stato  sempre 
nella  strada  retta.  Del  rimanente,  quantunque,  nel  giudizio 
de' dotti,  don  Ferrante  passasse  per  un  peripatetico  consu- 
mato, non  ostante  a  lui  non  pareva  di  saperne  abbastanza; 
e  più  d'una  volta  disse,  con  gran  modestia,  che  1'  essenza, 
gli  universali,  1'  anima  del  mondo,  e  la  natura  delle  cose  non 
eran  cose  tanto  chiare,  quanto  si  potrebbe  credere. 

Della  filosofia  naturale  s'  era  fatto  più  un  passatempo  che 
uno  studio;  l'opere  stesse  d'Aristotile  su  questa  materia,  e 
quelle  di  Plinio  le  aveva  piuttosto  lette  che  studiate:  non  di 
meno,  con  questa  lettura,  con  le  notizie  raccolte  incidente- 
mente da'  trattati  di  filosofìa  generale,  con  qualche  scorsa  data 
alla  Magia  naturale  del  Porta,  alle  tre  storie  lapidimi,  ani- 
medium,  pìantarum,  del  Cardano,  al  Trattato  dell'erbe,  delle 
piante,  degli  animali,  d'  Alberto  Magno ,  a  qualche  altr'  opera 
di  minor  conto,  sapeva  a  tempo  trattenere  una  conversazione 
ragionando  delle  virtù  più  mirabili  e  delle  curiosità  più  singo- 
lari di  molti  semplici;  descrivendo  esattamente  le  forme  e 
l'abitudini  delle  sirene  e  dell'unica  fenice;  spiegando  come 
la  salamandra  stia  nel  fuoco  senza  bruciare;  come  la  remora, 
quel  pesciolino,  abbia  la  forza  e  1'  abilità  di  fermare  di  punto 
in  bianco,  in  alto  mare,  qualunque  gran  nave;  come  le  gocciole 
della  rugiada  diventin  perle  in  seno  delle  conchiglie;  come  il 
camaleonte  si  cibi  d'aria;  come  dal  ghiaccio  lentamente  in- 
durato, con  l'andar  de' secoli,  si  formi  il  cristallo;  e  altri 
de' più  maravigliosi  segreti  della  natura. 

In  quelli  della  magia  e  della  stregoneria  s'era  internato 
di  più,  trattandosi,  dice  il  nostro  anonimo,  di  scienza  molto 
più  in  voga  e  più  necessaria,  e  nella  quale  i  fatti  sono  di 
molto  maggiore  importanza,  e  più  a  mano,  da  poterli  verifi- 
care. Xon  c'è  bisogno  di  dire  che,  in  un  tale  studio,  non 
aveva  mai  avuto  altra  mira  che  d'istruirsi  e  di  conoscere  a 
fondo  le  pessime  arti  de' maliardi,  per  potersene  guardare,  e 
difendere.  E,  con  la  scorta  principalmente  del  gran  Martino 
Delrio  (1'  uomo  della  scienza) ,  era  in  grado  di  discorrere  ex 
professo  del  maleficio  amatorio,  del  maleficio  sonnifero,  del 
maleficio  ostile,  e  dell'infinite  specie  che,  pur  troppo,  dice 
ancora  1'  anonimo,  si  vedono  in  pratica  alla  giornata,  di  questi 
tre  generi  capitali  di  malìe,  con  effetti  così  dolorosi.  Ugual- 
mente vaste  e  fondate  eran  le  cognizioni  di  don  Ferrante  in 
fatto  di  storia,  specialmente  universale:  nella  quale  i  suoi 
autori  erano  il  Tarcagnota,  il  Dolce,  il  Bugatti,  il  Campana, 
il  Guazzo,  i  più  riputati  insomma. 

Ma  cos1  è  mai  la  storia,  diceva  spesso  don  Ferrante,  senza 


CAPITOLO    XXVII.  349 

la  politica?  Una  guida  che  cammina,  cammina,  con  nessuno 
dietro  che  impari  la  strada,  e  per  conseguenza  butta  via  i 
suoi  passi;  come  la  politica  senza  la  storia  è  uno  che  cam- 
mina senza  guida.  C:  era  dunque  ne'  suoi  scaffali  un  pal- 
chetto assegnato  agli  statisti,  dove,  tra  molti  di  piccola  mole, 
e  di  fama  secondaria,  spiccavano  il  Bodino,  il  Cavalcanti,  il 
Sansovino,  il  Paruta,  il  Boccalini.  Due  però  erano  i  libri 
che  don  Ferrante  anteponeva  a  tutti,  e  di  gran  lunga,  in 
questa  materia:  due  che,  fino  a  un  certo  tempo,  fu  solito  di 
chiamare  i  primi,  senza  mai  potersi  risolvere  a  qual  de'  due 
convenisse  unicamente  quel  grado;  l'uno,  il  Principe  e  i  Di- 
scorsi del  celebre  segretario  fiorentino;  mariolo,  sì,  diceva 
don  Ferrante,  ma  profondo:  l'altro,  la  Ragio?i  di  Stato  del 
non  men  celebre  Giovanni  Boterò;  galantuomo  sì,  diceva  pure, 
ma  acuto.  Ma.  poco  prima  del  tempo  nel  quale  è  circoscritta 
la  nostra  storia,  era  venuto  fuori  il  libro  che  terminò  la 
questione  del  primato ,  passando  avanti  anche  all'  opere  di 
que'  due  matadori,  diceva  don  Ferrante;  il  libro  in  cui  si 
trovan  racchiuse  e  come  stillate  tutte  le  malizie,  per  poterle 
conoscere,  e  tutte  le  virtù,  per  poterle  praticare:  quel  libro 
piccino,  ma  tutto  d'oro;  in  una  parola  lo  Statista  Regnante 
di  don  Valeriane  Castiglione,  di  quell'  uomo  celeberrimo  di 
cui  si  può  dire,  che  i  più  gran  letterati  lo  esaltavano  a  gara, 
e  i  più  gran  personaggi  facevano  a  rubarselo;  di  quell'uomo 
che  il  papa  Urbano  VILI  onorò,  come  è  noto,  di  magnifiche 
lodi:  che  il  cardinal  Borghese  e  il  viceré  di  Napoli,  don  Pie- 
tro di  Toledo,  sollecitarono  a  descrivere,  il  primo  i  fatti  di 
papa  Paolo  V,  l'altro  le  guerre  del  re  cattolico  in  Italia, 
l'uno  e  l'altro  invano;  di  quell'uomo,  che  Luigi  XIII,  re  di 
Francia,  per  suggerimento  del  Cardinal  Richelieu,  nominò  suo 
istoriografo;  a  cui  il  duca  Carlo  Emanuele  di  Savoia  conferì 
la  stessa  carica;  in  lode  di  cui,  per  tralasciare  altre  gloriose 
testimonianze,  la  duchessa  Cristina,  figlia  del  cristianissimo 
re  Enrico  IV,  potè  in  un  diploma,  con  molti  altri  titoli,  an- 
noverare «la  certezza  della  fama  eh'  egli  ottiene  in  Italia,  di 
primo  scrittore  de' nostri  tempi.» 

Ma  se,  in  tutte  le  scienze  suddette,  don  Ferrante  poteva 
dirsi  addottrinato,  una  ce  n'era  in  cui  meritava  e  godeva  il 
titolo  di  professore:  la  scienza  cavalleresca.  Non  solo  ne  ra- 
gionava con  vero  possesso,  ma  pregato  frequentemente  d'in- 
tervenire in  affari  d'onore,  dava  sempre  qualche  decisione. 
Aveva  nella  sua  libreria,  e  si  può  dire  in  testa,  le  opere  de- 
gli scrittori  più  riputati  in  tal  materia:  Paride  dal  Pozzo, 
Fausto  da  Longiano,  1' Urrea,  il  Muzio,  il  Romei,  l'Alber- 
gato, il  Forno  primo  e  il  Forno  secondo  di  Torquato  Tasso, 
di  cui  aveva  anche  in  pronto,  e  a  un  bisogno  sapeva  citare 
&  memoria  tutti  i   passi  della  Gerusalemme  Liberata,  come 


350  I   PROMESSI    SPOSI. 

della  Conquistata,  che  possono  far  testo  in  materia  di  caval- 
leria. L'autore  però  degli  autori,  nel  suo  concetto,  era  il 
nostro  celebre  Francesco  Birago,  con  cui  si  trovò  anche  più 
d'una  volta,  a  dar  giudizio  sopra  casi  d'onore;  e  il  quale, 
dal  canto  suo,  parlava  di  don  Ferrante  in  termini  di  stima 
particolare.  E  fin  da  quando  venner  fuori  i  Discorsi  Caval- 
iereschi di  quell'insigne  scrittore,  don  Ferrante  pronosticò, 
senza  esitazione,  che  quest'opera  avrebbe  rovinata  l'autorità 
dell' Olevano,  e  sarebbe  rimasta,  insieme  con  l'altre  sue  no- 
bili sorelle,  come  codice  di  primaria  autorità  presso  ai  po- 
steri; profezia,  dice  l'anonimo,  che  ognun  può  vedere  come 
si  sia  avverata. 

Da  questo  passa  poi  alle  lettere  amene,  ma  noi  comin- 
ciamo a  dubitare  se  veramente  il  lettore  abbia  una  gran 
voglia  d'andar  avanti  con  lui  in  questa  rassegna,  anzi  a  te- 
mere di  non  aver  già  buscato  il  titolo  di  copiator  servile  per 
noi,  e  quello  di  seccatore  da  dividersi  con  l'anonimo  sullo- 
dato,  per  averlo  bonariamente  seguito  fin  qui,  in  cosa 
estranea  al  racconto  principale,  e  nella  quale  probabilmente 
non  s'  è  tanto  disteso ,  che  per  isfoggiar  dottrina ,  e  far  ve- 
dere che  non  era  indietro  del  suo  secolo.  Però,  lasciando 
scritto  quel  che  è  scritto,  per  non  perder  la  nostra  fatica, 
ometteremo  il  rimanente,  per  rimetterci  in  istrada:  tanto 
più  che  ne  abbiamo  un  bel  pezzo  da  percorrere,  senza  in- 
contrare alcun  de' nostri  personaggi,  e  uno  più  lungo  ancora, 
prima  di  trovar  quelli  ai  fatti  de'  quali  certamente  il  lettore 
s'interessa  di  più,  se  a  qualche  cosa  s'interessa  in  tutto 
questo. 

Fino  all'  autunno  del  seguente  anno  1629,  rimasero  tutti, 
chi  per  volontà  chi  per  forza,  nello  stato  a  un  di  presso  in 
cui  gli  abbiam  lasciati,  senza  che  ad  alcuno  accadesse,  né 
che  alcun  altro  potesse  far  cosa  degna  d'  esser  riferita.  Venne 
l'autunno,  in  cui  Agnese  e  Lucia  avevan  fatto  conto  di  ritro- 
varsi insieme:  ma  un  grande  avvenimento  pubblico  mandò 
quel  conto  all'  aria  :  e  fu  questo  certamente  uno  de'  suoi  più 
piccoli  effetti.  Seguiron  poi  altri  grandi  avvenimenti,  che 
però  non  portaron  nessun  cambiamento  notabile  nella  sorte 
de' nostri  personaggi.  Finalmente  nuovi  casi,  più  generali, 
più  forti,  più  estremi .  arrivarono  anche  fino  a  loro,  fino  agli 
infimi  di  loro,  secondo  la  scala  del  mondo;  come  un  turbine 
vasto,  incalzante,  vagabondo,  scoscendendo  e  sbarbando  al- 
beri, arruffando  tetti,  scoprendo  campanili,  abbattendo  mura- 
glie e  sbattendone  qua  e  là  i  rottami,  solleva  anche  i  fuscelli 
nascosti  tra  1'  erba ,  va  a  cercare  negli  angoli  le  foglie  passe 
e  leggieri,  che  un  minor  vento  vi  aveva  confinate,  e  le  porta 
in  giro  involte  nella  sua  rapina. 

Ora,  perchè  i  fatti  privati  che  ci  rimangon  da  raccontare 


CAPITOLO   XXVIII.  351 

riescan  chiari,  dobbiamo  assolutamente  premettere  un  rac- 
conto alla  meglio  di  quei  pubblici,  prendendola  anche  un 
po'  da  lontano. 


CAPITOLO  XXVIII. 

Dopo  quella  sedizione  del  giorno  di  san  Martino  e  del  se- 
guente, parve  che  V  abbondanza  fosse  tornata  in  Milano,  come 
per  miracolo.  Pane  in  quantità  da  tutti  i  fornai;  il  prezzo, 
come  nell'annate  migliori;  le  farine  a  proporzione.  Coloro 
che,  in  que'  due  giorni,  s'erano  addati  a  urlare  o  a  far  an- 
che qualcosa  di  più,  avevano  ora  (meno  alcuni  pochi  stati 
presi)  di  che  lodarsi:  e  non  crediate  che  se  ne  stessero,  appena 
cessato  quel  primo  spavento  delle  catture.  Sulle  piazze,  sulle 
cantonate,  nelle  bettole,  era  un  tripudio  palese,  un  congratu- 
larsi e  un  vantarsi  tra1  denti  d'  aver  trovata  la  maniera  di  far 
rinviliare  il  pane.  In  mezzo  però  alla  festa  e  alla  baldanza, 
e'  era  (e  come  non  ci  sarebbe  stata?)  un'  inquietudine,  un  pre- 
sentimento che  la  cosa  non  avesse  a  durare.  Assediavano 
i  fornai  e  farinaiuoli ,  come  già  avevan  fatto  in  queir  altra 
fattizia  e  passeggiera  abbondanza  prodotta  dalla  prima  tariffa 
d' Antonio  Ferrer;  tutti  consumavano  senza  risparmio;  chi 
aveva  qualche  quattrino  da  parte,  l'investiva  in  pane  e  in 
farine;  facevan  magazzino  delle  casse,  delle  botticine,  delle 
caldaie.  Così,  facendo  a  gara  a  goder  del  buon  mercato  pre- 
sente, ne  rendevano,  non  dico  impossibile  la  lunga  durata, 
che  già  lo  era  per  sé,  ma  sempre  più  difficile  anche  la  con- 
tinuazione momentanea.  Ed  ecco  che,  il  15  di  novembre, 
Antonio  Ferrer,  De  órden  de  Su  Excelencia,  pubblicò  una 
grida,  con  la  quale,  a  chiunque  avesse  granaglie  o  farine  in 
casa,  veniva  proibito  di  comprarne  uè  punto  né  poco,  e  ad 
ognuno  di  comprar  pane,  per  più  che  il  bisogno  di  due  giorni, 
sotto  pene  pecuniarie  e  corporali,  alV  arbitrio  di  Sua  Eccel- 
lenza; intimazione  a  chi  toccava  per  ufizio,  e  a  ogni  persona, 
di  denunziare  i  trasgressori;  ordine  a' giudici,  di  far  ricerche 
nelle  case  che  potessero  venir  indicate;  insieme  però,  nuovo 
comando  a'  fornai  di  tener  le  botteghe  ben  fornite  di  pane, 
sotto  pena,  in  caso  di  mancamento ,  di  cinque  anni  di  galera, 
et  maggiore,  aìV  arbitrio  di  S.  E.  Chi  sa  immaginarsi  una 
grida  tale  eseguita,  deve  avere  una  bella  immaginazione: 
e  certo,  se  tutte  quelle  che  si  pubblicavano  in  quel  tempo 
erano  eseguite,  il  ducato  di  Milano  doveva  avere  almeno  tanta 
gente  in  mare,  quanta  ne  possa  avere  ora  la  gran  Bretagna. 

Sia  coni'  e&ser  si  voglia,   ordinando   ai  fornai  di  far  tanto 


362  1    PROMESSI    SPOSI. 

pane,  bisognava  anche  fare  in  modo  che  la  materia  del  pane 
non  mancasse  loro.  S'  era  immaginato  (come  sempre  in  tempo 
di  carestia  rinasce  uno  studio  di  ridurre  in  pane  de'  prodotti 
che  d'ordinario  si  consumano  sott' altra  forma),  s'era,  dico, 
immaginato  di  far  entrare  il  riso  nel  composto  del  pane  detto 
di  mistura.  Il  23  novembre,  grida  che  sequestra,  agli  ordini 
del  vicario  e  de'  dodici  di  provvisione,  la  metà  del  riso  vestito 
(risone  lo  dicevano  qui,  e  lo  dicon  tuttora)  che  ognuno  pos- 
segga; pena  a  chiunque  ne  disponga  senza  il  permesso  di 
que' signori,  la  perdita  della  derrata,  e  una  multa  di  tre 
scudi  per  moggio.    È,  come  ognun  vede,  la  più  onesta. 

Ma  questo  riso  bisognava  pagarlo,  e  un  prezzo  troppo 
sproporzionato  da  quello  del  pane.  11  carico  di  supplire 
all'enorme  differenza  era  stato  imposto  alla  città;  ma  il  Con- 
siglio de' decurioni,  che  l'aveva  assunto  per  essa,  deliberò  lo 
stesso  giorno  23  dì  novembre,  di  rappresentare  al  governatore 
T  impossibilità  di  sostenerlo  più  a  lungo.  E  il  governatore, 
con  grida  del  7  di  dicembre,  fissò  il  prezzo  del  riso  suddetto 
a  lire  dodici  il  moggio:  a  chi  ne  chiedesse  di  più,  come  a 
chi  ricusasse  di  vendere,  intimò  la  perdita  della  derrata  e 
una  multa  d' altrettanto  valore,  et  maggior  pena  pecuniaria 
et  ancora  corporale  sin(\  alla  galera,  all'arbitrio  di  S.  E., 
secondo  la  qualità  de1  casi  et  delle  persone. 

Al  riso  brillato  era  già  stato  fissato  il  prezzo  prima  della 
sommossa;  come  probabilmente  la  tariffa  o,  per  usare  quella 
denominazione  celeberrima  negli  annali  moderni,  il  maximum 
del  grano  e  dell'  altre  granaglie  più  ordinarie  sarà  stato  fis- 
sato con  altre  gride,  che  non  e'  è  avvenuto  di  vedere. 

Mantenuto  così  il  pane  e  la  farina  a  buon  mercato  in  Mi- 
lano, ne  veniva  di  conseguenza  che  dalla  campagna  accorresse 
gente  a  processione  a  comprarne.  Don  Gonzalo,  per  riparare 
a  questo,  come  dice  lui,  inconveniente,  proibì,  con  un'altra 
grida  del  15  di  dicembre,  di  portar  fuori  della  città  pane,  per 
più  del  valore  di  venti  soldi;  pena  la  perdita  del  pane  mede- 
simo, e  venticinque  scudi,  et  in  caso  di  intuibilità,  di  due 
tratti  di  corda  in  pubblico,  et  maggior  pena  ancora,  secondo 
il  solito,  alV  arbitrio  dì  S.  E.  Il  22  dello  stesso  mese  (e  non 
si  vede  perchè  così  tardi),  pubblicò  un  ordine  somigliante  per 
le  farine  e  per  i  grani. 

La  moltitudine  aveva  voluto  far  nascere  l' abbondanza  col 
saccheggio  e  con  l'incendio;  il  governo  voleva  mantenerla 
con  la  galera  e  con  la  corda.  I  mezzi  erano  convenienti  tra 
loro;  ma  cosa  avessero  a  fare  col  fine,  il  lettore  lo  vede: 
come  valessero  infatto  ad  ottenerlo,  lo  vedrà  a  momenti.  È 
poi  facile  anche  vedere,  e  non  inutile  l'osservare  come  tra 
quegli  strani  provvedimenti  ci  sia  però  una  connessione  ne- 
cessaria:   ognuno  era  una  conseguenza  inevitabile  dell'ante- 


CAPITOLO    XXVIII.  353 

cedente,  e  tutti  del  primo,  che  fissava  al  pane  un  prezzo  così 
lontano  dal  prezzo  reale,  da  quello  cioè  che  sarebbe  risultato 
naturalmente  dalla  proporzione  tra  il  bisogno  e  la  quantità. 
Alla  moltitudine  un  tale  espediente  è  sempre  parso,  e  ha 
sempre  dovuto  parere,  quanto  conforme  all'equità,  altrettanto 
semplice  e  agevole  a  mettersi  in  esecuzione:  è  quindi  cosa 
naturale  che,  nell'  angustie  e  ne'  patimenti  della  carestia,  essa 
lo  desideri,  l'implori  e,  se  può,  l'imponga.  Di  mano  in 
mano  poi  che  le  conseguenze  si  fanno  sentire,  conviene  che 
coloro  a  cui  tocca,  vadano  al  riparo  di  ciascheduna,  con  una 
legge  la  quale  proibisca  agli  uomini  di  far  quello  a  che  eran 
portati  dall'  antecedente.  Ci  si  permetta  d' osservar  qui  di 
passaggio  una  combinazione  singolare.  In  un  paese  e  in  un' 
epoca  vicina,  nell'epoca  la  più  clamorosa  e  la  più  notabile 
della  storia  moderna,  si  ricorse,  in  circostanze  simili,  a  simili 
espedienti  (i  medesimi,  si  potrebbe  quasi  dire,  nella  sostanza, 
con  la  sola  differenza  di  proporzione,  e  a  un  di  presso  nel 
medesimo  ordine)  ad  onta  dei  tempi  tanto  cambiati,  e  delle 
cognizioni  cresciute  in  Europa,  e  in  quel  paese  forse  più  che 
altrove;  e  ciò  principalmente  perchè  la  gran  massa  popolare, 
alla  quale  quelle  cognizioni  non  erano  arrivate,  potè  far  pre- 
valere a  lungo  il  suo  giudizio,  e  forzare,  come  colà  si  dice, 
la  mano  a  quelli  che  facevan  la  legge. 

Così,  tornando  a  noi,  due  erano  stati,  alla  fin  dei  conti,  i 
frutti  principali  della  sommossa;  guasto  e  perdita  effettiva  di 
viveri,  nella  sommossa  medesima;  consumo,  fin  che  durò  la 
tariffa,  largo,  spensierato,  senza  misura,  a  spese  di  quel  poco 
grano,  che  pur  doveva  bastare  fino  alla  nuova  raccolta.  A 
questi  effetti  generali  s'aggiunga  quattro  disgraziati,  impic- 
cati come  capi  del  tumulto:  due  davanti  al  forno  delle  grucce, 
due  in  cima  della  strada  dov'  era  la  casa  del  vicario  di  prov- 
visione. 

Del  resto,  le  relazioni  storiche  di  que'  tempi  son  fatte  così 
a  caso,  che  non  ci  si  trova  neppur  la  notizia  del  come  e  del 
quando  cessasse  quella  tariffa  violenta.  Se,  in  mancanza  di 
notizie  positive,  è  lecito  propor  congetture,  noi  incliniamo  a 
credere  che  sia  stata  abolita  poco  prima  o  poco  dopo  il  24 
di  dicembre,  che  fu  il  giorno  di  quell'  esecuzione.  E  in  quanto 
alle  gride,  dopo  V  ultima  che  abbiam  citata  del  22  dello  stesso 
mese,  non  ne  troviamo  altre  in  materia  di  grasce;  sian  esse 
perite,  o  siano  sfuggite  alle  nostre  ricerche,  o  sia  finalmente 
che  il  governo,  disanimato,  se  non  ammaestrato  dall'ineffi- 
cacia di  que' suoi  rimedi,  e  sopraffatto  dalle  cose,  le  abbia 
abbandonate  al  loro  corso.  Troviamo  bensì  nelle  relazioni  di 
più  d'  uno  storico  (inclinati,  com'  erano,  più  a  descriver  gran- 
d'  avvenimenti ,  che  a  notarne  le  cagioni  e  il  progresso)  il  ri- 
tratto del  paese,    e   della  città  principalmente,   nell'  inverno 

Manzoni.  23 


354  I   PEOMESSI    SPOSI. 

avanzato  e  nella  primavera,  quando  la  cagion  del  male,  la 
sproporzione  cioè  tra  i  viveri  e  il  bisogno,  non  distrutta,  anzi 
accresciuta  dai  rimedi  che  ne  sospesero  temporariamente  gli 
effetti ,  e  neppure  da  un'  introduzione  sufficiente  di  granaglie 
estere,  alla  quale  ostavano  l'insufficienza  de' mezzi  pubblici 
e  privati,  la  penuria  de' paesi  circonvicini,  la  scarsezza,  la 
lentezza  e  i  vincoli  del  commercio,  e  le  leggi  stesse  tendenti  a 
produrre  e  mantenere  il  prezzo  basso,  quando,  dico,  la  cagion 
vera  della  carestia,  o  per  dir  meglio,  la  carestia  stessa  ope- 
rava senza  ritegno,  e  con  tutta  la  sua  forza.  Ed  ecco  la  co- 
pia di  quel  ritratto  doloroso. 

A  ogni  passo  botteghe  chiuse;  le  fabbriche  in  gran  parte 
deserte;  le  strade,  un  indicibile  spettacolo,  un  corso  incessante 
di  miserie,  un  soggiorno  perpetuo  di  patimenti.  Gli  accattoni 
di  mestiere,  diventati  ora  il  minor  numero,  confusi  e  perduti 
in  una  nuova  moltitudine,  ridotti  a  litigar  1'  elemosina  con 
quelli  talvolta  da  cui  in  altri  giorni  l' avevan  ricevuta.  Gar- 
zoni e  giovani  licenziati  da  padroni  di  bottega,  che  scemato 
o  mancato  affatto  il  guadagno  giornaliero,  vivevano  stentata- 
mente degli  avanzi  e  del  capitale;  de' padroni  stessi,  per  cui  il 
cessar  delle  faccende  era  stato  fallimento  e  rovina;  operai,  e 
anche  maestri  d'ogni  manifattura  e  d'ogni  arte,  delle  più 
comuni  come  delle  più  raffinate,  delle  più  necessarie  come  di 
quelle  di  lusso,  vaganti  di  porta  in  porta,  di  strada  in  istra- 
da, appoggiati  alle  cantonate,  accovacciati  sulle  lastre,  lungo 
le  case  e  le  chiese,  chiedendo  pietosamente  l'elemosina,  o 
esitanti  tra  il  bisogno  e  una  vergogna  non  ancor  domata, 
smunti,  spossati,  rabbrividiti  dal  freddo  e  dalla  fame  ne'  panni 
logori  e  scarsi,  ma  che  in  molti  serbavano  ancora  i  segni 
d'  un'  antica  agiatezza;  come  nell'  inerzia  e  nell'  avvilimento, 
compariva  non  so  quale  indizio  d1  abitudini  operose  e  franche. 
Mescolati  tra  la  deplorabile  turba,  e  non  piccola  parte  di 
essa,  servitori  licenziati  da  padroni  caduti  allora  dalla  medio- 
crità nella  strettezza,  o  che  quantunque  facoltosissimi  si  tro- 
vavano inabili,  in  una  tale  annata,  a  mantenere  quella  solita 
pompa  di  seguito.  E  a  tutti  questi  diversi  indigenti  s'  ag- 
giunga un  numero  d'  altri ,  avvezzi  in  parte  a  vivere  del  gua- 
dagno di  essi;  bambini,  donne,  vecchi,  aggruppati  co' loro 
antichi  sostenitori,  o  dispersi  in  altre  parti  all'  accatto. 

C  eran  pure,  e  si  distinguevano  ai  ciuffi  arruffati,  ai  cenci 
sfarzosi,  o  anche  a  un  certo  non  so  che  nel  portamento  e  nel 
gesto,  a  quel  marchio  che  le  consuetudini  stampano  su' visi, 
tanto  più  rilevato  e  chiaro,  quanto  più  sono  strane,  molti  di 
quella  genìa  de'  bravi  che,  perduto,  per  la  condizion  comune, 
quel  loro  pane  scellerato,  ne  andavan  chiedendo  per  carità. 
Domati  dalla  fame,  non  gareggiando  con  gli  altri  che  di  pre- 
ghiere, spauriti,   incantati,  si  strascicavan  per  le  strade  che 


CAPITOLO   XXVIII.  355 

avevano  per  tanto  tempo  passeggiate  a  testa  alta,  con  isguar- 
do  sospettoso  e  feroce,  vestiti  dì  livree  ricche  e  bizzarre,  con 
gran  penne,  guarniti  di  ricche  armi,  attillati,  profumati;  e  pa- 
ravano umilmente  la  mano,  che  tante  volte  avevano  alzata  in- 
solente a  minacciare,  o  traditrice  a  ferire. 

Ma  forse  il  più  brutto  e  insieme  il  più  compassionevole 
spettacolo  erano  i  contadini,  scompagnati,  a  coppie,  a  fami- 
glie intere;  mariti,  mogli,  con  bambini  in  collo,  o  attaccati 
dietro  le  spalle,  con  raggazzi  per  la  mano,  con  vecchi  dietro. 
Alcuni  che,  invase  e  spogliate  le  loro  case  dalla  soldatesca, 
alloggiata  lì  o  di  passaggio,  n' eran  fuggiti  disperatamente; 
e  tra  questi  ce  n'  era  di  quelli  che ,  per  far  più  compassione, 
e  come  per  distinzione  di  miseria,  facevan  vedere  i  lividi  e 
le  margini  de'  colpi  ricevuti  nel  difendere  quelle  loro  poche 
ultime  provvisioni,  o  scappando  da  una  sfrenatezza  cieca  e 
brutale.  Altri,  andati  esenti  da  quel  flagello  particolare,  ma 
spinti  da  que'  due  da  cui  nessun  angolo  era  stato  immune, 
la  sterilità  e  le  gravezze,  più  esorbitanti  che  mai,  per  soddi- 
sfare a  ciò  che  si  chiamava  i  bisogni  della  guerra,  eran  ve- 
nuti, venivano  alla  città,  come  a  sede  antica  e  ad  ultimo  asilo 
di  ricchezza  e  di  pia  munificenza.  Si  potevan  distinguere  gli 
arrivati  di  fresco,  più  ancora  che  all'  andare  incerto  e  al- 
l' aria  nuova,  a  un  fare  maravigliato  e  indispettito  di  trovare 
una  tal  piena,  una  tale  rivalità  di  miseria,  al  termine  dove 
avevan  creduto  di  comparire  oggetti  singolari  di  compassione, 
e  d'  attirare  a  sé  gli  sguardi  e  i  soccorsi.  Gli  altri,  che  da 
più  o  men  tempo  giravano  e  abitavano  le  strade  della  città, 
tenendosi  ritti  co' sussidi  ottenuti  o  toccati  come  in  sorte,  in 
una  tanta  sproporzione  tra  i  mezzi  e  il  bisogno;  avevan  di- 
pinta ne'  volti  e  negli  atti  una  più  cupa  e  stanca  costerna- 
zione. Vestiti  diversamente,  quelli  che  ancora  si  potevano 
dir  vestiti:  e  diversi  anche  nell'aspetto:  facce  dilavate  del 
basso  paese,  abbronzate  del  pian  di  mezzo  e  delle  colline, 
sanguigne  di  montanari;  ma  tutte  affilate  e  stravolte,  tutte 
con  occhi  incavati,  con  isguardi  fissi,  tra  il  torvo  e  1'  insen- 
sato; arruffati  i  capelli,  lunghe  e  irsute  le  barbe:  corpi  cre- 
sciuti e  indurati  alla  fatica,  esausti  ora  dal  disagio;  raggrin- 
zata la  pelle  sulle  braccia  aduste  e  sugli  stinchi  e  sui  petti 
scarniti,  che  si  vedevan  di  mezzo  ai  cenci  scomposti.  E  di- 
versamente, ma  non  meno  doloroso  di  questo  aspetto  di  vi- 
gore abbattuto,  1'  aspetto  d'  una  natura  più  presto  vinta,  d'  un 
languore  e  d'uno  sfinimento  più  abbandonato,  nel  sesso  e 
nelP  età  più  deboli. 

Qua  e  là  per  le  strade,  rasente  ai  muri  delle  case,  qual- 
che po' di  paglia  pesta,  trita  e  mista  d'immondo  ciarpume. 
E  una  tal  porcheria  era  però  un  dono  e  uno  studio  della 
carità;  eran  covili  apprestati  a  qualcheduno  di  que' meschini, 

23* 


356  I    PROMESSI   SPOSI. 

per  posarci  il  capo  la  notte.  Ogni  tanto,  ci  si  vedeva,  anche 
di  giorno,  giacere  o  sdraiarsi  taluno  a  cui  la  stanchezza  o  il 
digiuno  aveva  levate  le  forze  e  tronche  le  gambe,  qualche 
volta  quel  tristo  letto  portava  un  cadavere:  qualche  volta  si 
vedeva  uno  cader  come  un  cencio  all'improvviso,  e  rimaner 
cadavere  sul  selciato. 

Accanto  a  qualcheduno  di  que' covili,  si  vedeva  pure  chi- 
nato qualche  passeggiero  o  vicino,  attirato  da  una  compassion 
subitanea.  In  qualche  luogo  appariva  un  soccorso  ordinato 
con  più  lontana  previdenza,  mosso  da  una  mano  ricca  di 
mezzi,  e  avvezza  a  beneficare  in  grande;  ed  era  la  mano  del 
buon  Federigo.  Aveva  scelto  sei  preti  ne'  quali  una  carità 
viva  e  perseverante  fosse  accompagnata  e  servita  da  una  com- 
plessione robusta;  gli  aveva  divisi  in  coppie,  e  ad  ognuno  as- 
segnata una  terza  parte  della  città  da  percorrere,  con  dietro 
facchini  carichi  di  vari  cibi,  d'  altri  più  sottili  e  più  pronti 
ristorativi,  e  di  vesti.  Ogni  mattina,  le  tre  coppie  si  mette- 
vano in  istrada  da  diverse  parti,  s'avvicinavano  a  quelli  che 
vedevano  abbandonati  per  terra,  e  davano  a  ciascheduno  aiuto 
secondo  il  bisogno.  Taluno  già  agonizzante  e  non  più  in  caso 
di  ricevere  alimento,  riceveva  gli  ultimi  soccorsi  e  le  conso- 
lazioni della  religione.  Agli  affamati  dispensavano  minestra, 
ova,  pane,  vino;  ad  altri,  estenuati  da  più  antico  digiuno, 
porgevano  consumati,  stillati,  vino  più  generoso,  riavendoli 
prima,  se  faceva  il  bisogno,  con  cose  spiritose.  Insieme,  di- 
stribuivano vesti  alle  nudità  più  sconce  e  più  dolorose. 

Né  qui  finiva  la  loro  assistenza;  il  buon  pastore  aveva 
voluto  che,  almeno  dov'  essa  poteva  arrivare,  recasse  un  sol- 
lievo efficace  e  non  momentaneo.  Ai  poverini  a  cui  quel  pri- 
mo ristoro  avesse  rese  forze  bastanti  per  reggersi  e  per  cam- 
minare, davano  un  po'  di  danaro  affinchè  il  bisogno  rinascente 
e  la  mancanza  d'  altro  soccorso  non  li  rimettesse  ben  presto 
nello  stato  di  prima;  agli  altri  cercavano  ricovero  e  manteni- 
mento, in  qualche  casa  delle  più  vicine.  In  quelle  de' bene- 
stanti, erano  per  lo  più  ricevuti  per  carità,  e  come  racco- 
mandati dal  cardinale  ;  in  altre,  dove  alla  buona  volontà  man- 
cassero i  mezzi,  chiedevan  que' preti  che  il  poverino  fosse 
ricevuto  a  dozzina,  fissavano  il  prezzo,  e  ne  sborsavan  subito 
una  parte  a  conto.  Davano  poi,  di  questi  ricoverati,  la  nota 
ai  parrochi,  acciocché  li  visitassero,  e  tornavano  essi  mede- 
simi a  visitarli. 

Non  e'  è  bisogno  di  dire  che  Federigo  non  ristringeva  le 
sue  cure  a  questa  estremità  di  patimenti,  né  l'aveva  aspet- 
tata per  commoversi.  Quella  carità  ardente  e  versatile  do- 
veva tutto  sentire,  in  tutto  adoprarsi,  accorrere  dove  non  aveva 
potuto  prevenire,  prender,  per  dir  così,  tante  forme,  in  quante 
variava  il  bisogno.    Infatti,  radunando  tutti  i  suoi  mezzi,  ren- 


CAPITOLO   XXVIII.  357 

dendo  più  rigoroso  il  risparmio,  mettendo  mano  a  risparmi 
destinati  ad  altre  liberalità,  divenute  ora  d'  un'  importanza 
troppo  secondaria,  aveva  cercato  ogni  maniera  di  far  danari, 
per  impiegarli  tutti  in  soccorso  degli  affamati.  Aveva  fatte 
gran  compre  di  granaglie,  e  speditane  una  buona  parte  ai 
luoghi  della  diocesi,  che  n'  eran  più  scarsi;  ed  essendo  il 
soccorso  troppo  inferiore  al  bisogno,  mandò  anche  del  sale, 
«con  cui,»  dice  raccontando  la  cosa  il  Ripamonti1),  «l'erbe 
del  prato  e  le  cortecce  degli  alberi  si  convertono  in  cibo.  » 
Granaglie  pure  e  danari  aveva  distribuiti  ai  parrochi  della 
città;  lui  stesso  la  visitava,  quartiere  per  quartiere,  dispen- 
sando elemosine;  soccorreva  in  segreto  molte  famiglie  povere; 
nel  palazzo  arcivescovile,  come  attesta  uno  scrittore  contem- 
poraneo, il  medico  Alessandro  Tadino,  in  un  suo  'Ragguaglio 
che  avremo  spesso  occasion  di  citare  andando  avanti,  si  di- 
stribuivano ogni  mattina  due  mila  scodelle  di  minestra  di 
riso 2). 

Ma  questi  effetti  di  carità,  che  possiamo  certamente  chia- 
mar grandiosi,  quando  si  consideri  che  venivano  da  un  sol 
uomo  e  dai  soli  suoi  mezzi  (giacché  Federigo  ricusava,  per 
sistema,  di  farsi  dispensatore  delle  liberalità  altrui),  questi, 
insieme  con  le  liberalità  d'altre  mani  private,  se  non  così 
feconde,  pur  numerose;  insieme  con  le  sovvenzioni  che  il  Con- 
siglio de'  decurioni  aveva  decretate,  dando  al  tribunal  di  prov- 
visione l'incombenza  di  distribuirle:  erano  ancor  poca  cosa 
in  paragone  del  bisogno.  Mentre  ad  alcuni  montanari  vicini 
a  morir  di  fame,  veniva,  per  la  carità  del  cardinale  prolun- 
gata la  vita,  altri  arrivavano  a  quell'estremo;  i  primi,  finito 
quel  misurato  soccorso,  ci  ricadevano;  in  altre  parti  non  di- 
menticate, ma  posposte,  come  meno  angustiate,  da  una  carità 
costretta  a  scegliere,  l'angustie  divenivan  mortali:  per  tutto 
si  periva,  da  ogni  parte  s'accorreva  alla  città.  Qui,  due  mi- 
gliaia, mettiamo,  d'affamati  più  robusti  ed  esperti  a  superar 
la  concorrenza  e  a  farsi  largo,  avevano  acquistata  una  mi- 
nestra, tanto  da  non  morire  in  quel  giorno;  ma  più  altre  mi- 
gliaia rimanevano  indietro,  invidiando  quei,  diremo  noi,  più 
fortunati,  quando,  tra  i  rimasti  indietro,  e'  erano  spesso  le 
mogli,  i  figli,  i  padri  loro?  E  mentre  in  alcune  parti  della 
città,  alcuni  di  que1  più  abbandonati  e  ridotti  all'  estremo 
venivan  levati  di  terra,  rianimati,  ricoverati  e  provveduti  per 


1)  Hisioriae  Pairiae  Decadi*  V,  Lib.  VI,  pag.  386. 

2)  Ragguaglio  dell'  origine  el  giornali  successi  della  gran  peste  conta- 
giosa.  venefica  et  malefica,  seguita  nella  città  di  Milano  etc.  Milano  1648, 
pag-   10. 


358  I    PROMESSI    SPOSI. 

qualche  tempo:  in  cent' altre  parti,  altri  cadevano,  languivano 
o  anche  spiravano,  senza  aiuto,  senza  refrigerio. 

Tutto  il  giorno,  si  sentiva  per  le  strade  un  ronzìo  con- 
fuso di  voci  supplichevoli;  la  notte,  un  susurro  di  gemiti,  rotto 
di  quando  in  quando  da  alti  lamenti  scoppiati  all'  improvviso, 
da  urli,  da  accenti  profondi  d'invocazione,  che  terminavano 
in  istrida  acute. 

È  cosa  notabile  che,  in  un  tanto  eccesso  di  stenti,  in  una 
tanta  varietà  di  querele,  non  si  vedesse  mai  un  tentativo,  non 
iscappasse  mai  un  grido  di  sommossa;  almeno  non  se  ne  trova 
il  minimo  cenno.  Eppure,  tra  coloro  che  vivevano  e  morivano 
in  quella  maniera,  c'era  un  buon  numero  d'uomini  educati 
a  tutt'  altro  che  a  tollerare;  c'erano  a  centinaia,  di  que' me- 
desimi, che  il  giorno  di  san  Martino,  s'  erano  tanto  fatti  sen- 
tire. Né  si  può  pensare  che  l1  esempio  de'  quattro  disgra- 
ziati che  n'avevano  portato  la  pena  per  tutti,  fosse  quello 
che  ora  li  tenesse  a  freno  :  qua!  forza  poteva  avere ,  non  la 
presenza,  ma  la  memoria  de'  supplizi  sugli  animi  di  una  mol- 
titudine vagabonda  e  riunita,  che  si  vedeva  come  condannata 
a  un  lento  supplizio,  che  già  lo  pativa?  Ma  noi  uomini  siam 
in  generale  fatti  così  :  ci  rivoltiamo  sdegnati  e  furiosi  contro 
i  mali  mezzani,  e  ci  curviamo  in  silenzio  sotto  gli  estremi; 
sopportiamo,  non  rassegnati  ma  stupidi,  il  colmo  di  ciò  che 
da  principio  avevamo  chiamato  insopportabile. 

Il  vóto  che  la  mortalità  faceva  ogni  giorno  in  quella  de- 
plorabile moltitudine,  veniva  ogni  giorno  più  che  riempito: 
era  un  concorso  continuo,  prima  da' paesi  circonvicini,  poi 
da  tutto  il  contado,  poi  dalle  città  dello  stato,  alla  fine  anche 
da  altre.  E  intanto,  anche  da  questa  partivano  ogni  giorno 
antichi  abitatori:  alcuni  per  sottrarsi  alla  vista  di  tante  piaghe; 
altri,  vedendosi,  per  dir  così,  preso  il  posto  da' nuovi  con- 
correnti d'  accatto,  uscivano  a  un'  ultima  disperata  prova  di 
chieder  soccorso  altrove,  dove  si  fosse,  dove  almeno  non  fosse 
così  fitta  e  così  incalzante  la  folla  e  la  rivalità  del  chiedere. 
S' incontravano  neh"  opposto  viaggio  questi  e  que'  pellegrini, 
spettacolo  di  ribrezzo  gli  uni  agli  altri,  e  saggio  doloroso, 
augurio  sinistro  del  termine  a  cui  gli  uni  e  gli  altri  erano 
incamminati.  Ma  seguitavano  ognuno  la  sua  strada,  se  non 
più  per  la  speranza  di  mutar  sorte ,  almeno  per  non  tornare 
sotto  un  cielo  divenuto  odioso,  per  non  rivedere  i  luoghi  dove 
avevan  disperato.  Se  non  che  taluno,  mancandogli  affatto  le 
forze,  cadeva  per  la  strada,  e  rimaneva  lì  morto:  spettacolo 
ancor  più  funesto  ai  suoi  compagni  di  miseria,  oggetto  d'or- 
rore, forse  di  rimprovero  agli  altri  passeggieri.  «Vidi  io,» 
scrive  il  Ripamonti,  «nella  strada  che  gira  le  mura,  il  cada- 
vere d'  una  donna  ....  Le  usciva  di  bocca  dell'  erba  mezza 
rosicchiata,  e  le  labbra  facevano  ancora  quasi  un  atto  di  sforzo 


CAPITOLO   XXVIII.  359 

rabbioso  ....  Aveva  un  fagottino  in  ispalla,  e  attaccato  con 
le  fasce  al  petto  un  bambino,  che  piangendo  chiedeva  la  pop- 
pa ... .  Ed  erano  sopraggiunte  persone  compassionevoli,  le 
quali,  raccolto  il  mescninello  di  terra,  lo  portavan  via,  adem- 
piendo così  intanto  il  primo  ufizio  materno.» 

Quel  contrapposto  di  gale  e  di  cenci,  di  superfluità  e  di 
miseria,  spettacolo  ordinario  de' tempi  ordinari,  era  allora  af- 
fatto cessato.  I  cenci  e  la  miseria  eran  quasi  per  tutto;  e 
ciò  che  se  ne  distingueva,  era  appena  un'apparenza  di  parca 
mediocrità.  Si  vedevano  i  nobili  camminare  in  abito  semplice 
e  dimesso,  o  anche  logoro  e  gretto;  alcuni,  perchè  le  cagioni 
comuni  della  miseria  avevan  mutata  a  quel  segno  anche  la 
loro  fortuna,  o  dato  il  tracollo  a  patrimoni  già  sconcertati: 
gli  altri  o  che  temessero  di  provocare  col  fasto  la  pubblica 
disperazione,  o  che  si  vergognassero  d' insultare  alla  pubblica 
calamità.  Que' prepotenti  odiati  e  rispettati,  soliti  a  andare 
in  giro  con  uno  strascico  di  bravi,  andavano  ora  quasi  soli,  a 
capo  basso,  con  visi  che  parevano  offrire  e  chieder  pace. 
Altri  che,  anche  nella  prosperità,  erano  stati  di  pensieri  più 
umani,  e  di  portamenti  più  modesti,  parevano  anch'essi  con- 
fusi, costernati ,  e  come  sopraffatti  dalla  vista  continua  d'  una 
miseria  che  sorpassava,  non  solo  la  possibilità  del  soccorso, 
ma  direi  quasi,  le  forze  della  compassione.  Chi  aveva  il  modo 
di  far  qualche  elemosina,  doveva  però  fare  una  trista  scelta 
tra  fame  e  fame,  tra  urgenze  e  urgenze.  E  appena  si  vedeva 
una  mano  pietosa  avvicinarsi  alla  mano  d'  un  infelice,  nasceva 
all'  intorno  una  gara  d' altri  infelici  ;  coloro  a  cui  rimaneva 
più  vigore ,  si  facevano  avanti  a  chieder  con  più  istanza  ;  gli 
estenuati,  i  vecchi,  i  fanciulli,  alzavano  le  mani  scarne;  le 
madri  alzavano  e  facevan  vedere  da  lontano  i  bambini  pian- 
genti, mal  rinvoltati  nelle  fasce  cenciose,  e  ripiegati,  per  lan- 
guore nelle  loro  mani. 

Così  passò  l'inverno  e  la  primavera:  e  già  da  qualche 
tempo  il  tribunale  della  sanità  andava  rappresentando  a  quello 
della  provvisione  il  pericolo  del  contagio,  che  sovrastava  alla 
città,  per  tanta  miseria  ammontata  in  ogni  parte  di  essa;  e 
proponeva  che  gli  accattoni  venissero  accolti  in  diversi  ospizi. 
Mentre  si  discute  questa  proposta,  mentre  s'approva,  mentre 
si  pensa  ai  mezzi,  ai  modi,  ai  luoghi,  per  mandarla  ad  effet- 
to, i  cadaveri  crescono  nelle  strade  ogni  giorno  più;  a  pro- 
porzion  di  questo,  cresce  tutto  1'  altro  ammasso  di  miserie. 
Nel  tribunale  di  provvisione  vien  proposto,  come  più  facile  e 
più  speditivo,  un  altro  ripiego,  di  radunar  tutti  gli  accattoni, 
sani  e  infermi,  in  un  sol  luogo,  nel  lazzeretto,  dove  fosser 
mantenuti  e  curati  a  spese  del  pubblico;  e  così  vien  risoluto, 
contro  il  parere  della  Sanità,  la  quale  opponeva  che,  in  una 


360  I    PROMESSI    SPOSI. 

così  gran  riunione,  sarebbe  cresciuto  il  pericolo  a  cui  si  vo- 
leva metter  riparo. 

Il  lazzeretto  di  Milano  (se,  per  caso,  questa  storia  capi- 
tasse nelle  mani  di  qualcheduno  che  non  lo  conoscesse,  né  di 
vista  né  per  descrizione)  è  un  recinto  quadrilatero  e  quasi 
quadrato,  fuori  della  città,  a  sinistra  della  porta  detta  orien- 
tale, distante,  dalle  mura  lo  spazio  della  fossa,  d'  una  strada 
di  circonvallazione,  e  d'  una  gora  che  gira  il  recinto  mede- 
sima. I  due  lati  maggiori  son  lunghi  a  un  di  presso  cinque- 
cento passi;  gli  altri  due,  forse  quindici  meno;  tutti,  dalla 
parte  esterna,  son  divisi  in  piccole  stanze  d'un  piano  solo; 
di  dentro  gira  intorno  a  tre  di  essi  un  portico  continuo  a 
volta,  sostenuto  da  piccole  e  magre  colonne. 

Le  stanzine  eran  dugent' ottantotto ,  o  giù  di  lì:  a' nostri 
giorni,  una  grande  apertura  fatta  nel  mezzo,  e  una  piccola, 
in  un  canto  della  facciata  del  lato  che  costeggia  la  strada 
maestra,  ne  hanno  portate  via  non  so  quante.  Al  tempo  del- 
la nostra  storia,  non  e' eran  che  due  entrature:  una  nel  mezzo 
dal  lato  che  guarda  le  mura  della  città,  l'altra  di  rimpetto, 
nell'opposto.  Nel  centro  dello  spazio  interno,  c'era,  e  c'è 
tutt'  ora,  una  piccola  chiesa  ottangolare. 

La  prima  destinazione  di  tutto  l'edifizio,  cominciato  nel- 
l'anno 1489,  co' danari  d'un  lascito  privato,  continuato  poi 
con  quelli  del  pubblico  e  d'altri  testatori  e  donatori,  fu,  co- 
me l' accenna  il  nome  stesso ,  di  ricoverarvi  all'  occorrenza, 
gli  ammalati  di  peste;  la  quale,  già  molto  prima  di  quel- 
l'epoca, era  solita,  e  lo  fu  per  molto  tempo  dopo,  a  com- 
parire quelle  due,  quattro,  sei,  otto  volte  per  secolo,  ora  in 
questo,  ora  in  quel  paese  d'Europa,  prendendone  talvolta 
una  gran  parte,  o  anche  scorrendola  tutta,  per  il  lungo  e  per 
il  largo.  Nel  momento  di  cui  parliamo,  il  lazzeretto  non 
serviva  che  per  deposito  delle  mercanzie  soggette  a  con- 
tumacia. 

Ora,  per  metterlo  in  libertà,  non  si  stette  al  rigor  delle 
leggi  sanitarie,  e  fatte  in  fretta  in  fretta  le  purghe  e  gli 
esperimenti  prescritti,  si  rilasciaron  tutte  le  mercanzie  a  un 
tratto.  Si  fece  stender  della  paglia  in  tutte  le  stanze,  si  fe- 
cero provvisioni  di  viveri,  della  qualità  e  nella  quantità  che 
si  potè  ;  e  s' invitarono,  con  pubblico  editto,  tutti  gli  accattoni 
a  ricoverarsi  lì. 

Molti  vi  concorsero  volontariamente;  tutti  quelli  che  gia- 
cevano infermi  per  le  strade  e  per  le  piazze ,  ci  vennero  tra- 
sportati; in  pochi  giorni,  ce  ne  fu,  tra  gli  uni  e  gli  altri,  più 
di  tre  mila.  Ma  molti  più  furon  quelli  che  restaron  fuori. 
0  che  ognun  di  loro  aspettasse  di  veder  gli  altri  andarsene, 
e  di  rimanere  in  pochi  a  goder  l'elemosine  della  città,  o 
fosse  quella  naturai  ripugnanza  alla  clausura,  o  quella  diffi- 


CAPITOLO   XXVIII.  361 

denza  de'  poveri  per  tutto  ciò  che  vien  loro  proposto  da  chi 
possiede  le  ricchezze  e  il  potere  (diffidenza  sempre  propor- 
zionata all'  ignoranza  comune  di  chi  la  sente  e  di  chi  l' ispi- 
ra, al  numero  de' poveri,  e  al  poco  giudizio  delle  leggi),  o  il 
saper  di  fatto  quale  fosse  in  realtà  il  benefizio  offerto,  o 
fosse  tutto  questo  insieme,  o  che  altro,  il  fatto  sta  che  la  più 
parte ,  non  facendo  conto  dell'  invito ,  continuavano  a  strasci- 
carsi stentando  per  le  strade.  Visto  ciò,  si  credè  bene  di 
passar  dall'  invito  alla  forza.  Si  mandaranci  in  ronda  birri 
che  cacciassero  gli  accattoni  al  lazzeretto,  e  vi  menassero  le- 
gati quelli  che  resistevano;  per  ognun  de' quali  fu  assegnato 
a  coloro  il  premio  di  dieci  soldi:  ecco  se,  anche  nelle  mag- 
giori strettezze,  i  danari  del  pubblico  si  trovan  sempre,  per 
impiegargli  a  sproposito.  E  quantunque,  com'era  stata  con- 
gettura, anzi  intento  espresso  della  Provvisione,  un  certo  nu- 
mero d'accattoni  sfrattasse  dalla  città,  per  andare  a  vivere 
o  a  morire  altrove,  in  libertà  almeno;  pure  la  caccia  fu  tale 
che,  in  poco  tempo,  il  numero  de'  ricoverati,  tra  ospiti  e  pri- 
gionieri, s'  accostò  a  dieci  mila. 

Le  donne  e  i  bambini,  si  vuol  supporre  che  saranno  stati 
messi  in  quartieri  separati,  benché  le  memorie  del  tempo  non 
ne  dican  nulla.  Regole  poi  e  provvedimenti  per  il  buon  or- 
dine, non  ne  saranno  certamente  mancati;  ma  si  figuri  ognuno 
qual  ordine  potesse  essere  stabilito  e  mantenuto,  in  que' tem- 
pi specialmente  e  in  quelle  circostanze,  in  una  così  vasta  e 
varia  riunione,  dove  coi  volontari  si  trovavano  i  forzati;  con 
quelli  per  cui  1'  accatto  era  una  necessità,  un  dolore,  una  ver- 
gogna, coloro  di  cui  era  il  mestiere;  con  molti  cresciuti  nel- 
1'  onesta  attività  de'  campi  e  dell'  officine ,  molti  altri  educati 
nelle  piazze,  nelle  taverne,  ne' palazzi  de' prepotenti,  all'ozio, 
alla  truffa,  allo  scherno,  alla  violenza. 

Come  stessero  poi  tutti  insieme  d'alloggio  e  di  vitto,  si 
potrebbe  tristamente  congetturarlo,  quando  non  n'avessimo 
notizie  positive;  ma  le  abbiamo.  Dormivano  ammontati  a 
venti,  a  trenta  per  ognuna  di  quelle  cellette,  o  accovacciati 
sotto  i  portici,  sur  un  po' di  paglia  putrida  e  fetente,  o  sulla 
nuda  terra:  perchè,  s'era  bensì  ordinato  che  la  paglia  fosse 
fresca  e  a  sufficienza,  e  cambiata  spesso;  ma  in  effetto  era 
stata  cattiva ,  scarsa  e  non  si  cambiava.  S' era  ugualmente 
ordinato  che  il  pane  fosse  di  buona  qualità:  giacché,  quale 
amministratore  ha  mai  detto  che  si  faccia  e  si  dispensi  roba 
cattiva?  ma  ciò  che  non  si  sarebbe  ottenuto  nelle  circostanze 
solite,  anche  per  un  più  ristretto  servizio,  come  ottenerlo  in 
quel  caso,  e  per  quella  moltitudine?  Si  disse  allora,  come  tro- 
viamo nelle  memorie,  che  il  pane  del  lazzeretto  fosse  alterato 
con  sostanze  pesanti  e  non  nutrienti:  ed  è  pur  troppo  credi- 
bile  che    non   fosse   uno    di  que'  lamenti   in   aria.     D' acqua 


dbZ  I    PROMESSI    SPOSI. 

perfino  c'era  scarsità;  d'acqua,  voglio  dire,  viva  e  salubre: 
il  pozzo  comune,  doveva  esser  la  gora  che  gira  le  mura  del 
recinto,  bassa,  lenta,  dove  anche  motosa,  e  divenuta  poi  quale 
poteva  renderla  1'  uso  e  la  vicinanza  d5  una  tanta  e  tal  mol- 
titudine. 

A  tutte  queste  cagioni  di  mortalità,  tanto  più  attive,  che 
operavano  sopra  corpi  ammalati  o  ammalazzati,  s'aggiunga 
una  gran  perversità  della  stagione;  pioggie  ostinate,  seguite 
da  una  siccità  ancor  più  ostinata,  e  con  essa  un  caldo  anti- 
cipato e  violento.  Ai  mali  s'  aggiunga  il  sentimento  de'  mali, 
la  noia  e  la  smania  della  prigionia,  la  rimembranza  dell'an- 
tiche abitudini,  il  dolore  di  cari  perduti,  la  memoria  inquieta 
di  cari  assenti,  il  tormento  e  il  ribrezzo  vicendevole,  tant' al- 
tre passioni  d'abbattimento  o  di  rabbia,  portate  o  nate  là 
dentro;  l'apprensione  poi  e  lo  spettacolo  continuo  della  morte 
resa  frequente  da  tante  cagioni,  e  divenuta  essa  medesima 
una  nuova  e  potente  cagione.  E  non  farà  stupore  che  la 
mortalità  crescesse  e  regnasse  in  quel  recinto  a  segno  di 
prendere  aspetto  e,  presso  molti,  nome  di  pestilenza,  sia  che 
la  riunione  e  P  aumento  di  tutte  quelle  cause  non  facesse  che 
aumentare  1'  attività  d'  un'  influenza  puramente  epidemica, 
sia  (come  par  che  avvenga  nelle  carestie  anche  men  gravi  e 
men  prolungate  di  quella)  che  vi  avesse  luogo  un  certo  con- 
tagio, il  quale  ne'  corpi  affetti  e  preparati  dai  disagio  e  dalla 
cattiva  qualità  degli  alimenti,  dall'intemperie',  dal  sudiciume, 
dal  travaglio  e  dall'  avvilimento  trovi  la  tempera,  per  dir 
così,  e  la  stagione  sua  propria,  le  condizioni  necessarie  in 
somma  per  nascere,  nutrirsi  e  moltiplicare  (se  a  un  ignorante 
è  lecito  buttar  là  queste  parole,  dietro  l'ipotesi  proposta  da 
alcuni  fisici  e  riproposta  da  ultimo,  con  molte  ragioni  e  con 
molta  riserva,  da  uno,  diligente  quanto  ingegnoso  2):  sia  poi 
che  il  contagio  scoppiasse  da  principio  nel  lazzeretto  mede- 
simo, come  da  un'oscura  e  inesatta  relazione,  par  che  pen- 
sassero i  medici  dalla  Sanità;  sia  che  vivesse  e  andasse  co- 
vando prima  d' allora  (ciò  che  par  forse  più  verisimile ,  chi 
pensi  come  il  disagio  era  già  antico  e  generale,  e  la  morta- 
lità già  frequente),  e  che  portato  in  quella  folla  permanente, 
vi  si  propagasse  con  nuova  e  terribile  rapidità.  Qualunque 
di  queste  congetture  sia  la  vera,  il  numero  giornaliero  de' 
morti  nel  lazzeretto  oltrepassò  in  poco  tempo  il  centinaio. 

Mentre  in  quel  luogo  tutto  il  resto  era  languore,  angoscia, 
spavento,  rammarichìo,  fremito,  nella  Provvisione  era  vergo- 
gna, stordimento,   incertezza.     01  discusse,  si  sentì  il  parere 


1)  Del  morbo  petecchiale  ....  e  degli  altri  contagi  un  generale  ;  opera  del 
dott.  F.  Enrico  Acerbi,  Cap.  HI,  §  1  e  2. 


CAPITOLO    XXVIII.  363 

della  Sanità;  non  si  trovò  altro  che  di  disfare  ciò  che  s'era 
fatto  con  tanto  apparato,  con  tanta  spesa,  con  tante  vessazioni. 
S'aprì  il  lazzeretto,  si  licenziaron  tutti  i  poveri  non  amma- 
lati che  ci  rimanevano,  e  scapparon  fuori  con  una  gioia  furi- 
bonda. La  città  tornò  a  risonare  dell'  antico  lamento,  ma  più 
debole  e  interrotto;  rivide  quella  turba  più  rada  e  più  com- 
passionevole, dice  il  Ripamonti,  per  il  pensiero  del  come 
fosse  di  tanto  scemata.  GF  infermi  furon  trasportati  a  Santa 
Maria  della  Stella,  allora  ospizio  di  poveri  ;  dove  la  più  parte 
perirono. 

Intanto  però  cominciavano  quei  benedetti  campi  a  bion- 
dire.  Gli  accattoni  venuti  dal  contado  se  n'  andarono,  ognuno 
dalla  sua  parte,  a  quella  tanto  sospirata  segatura.  Il  buon 
Federigo  gli  accomiatò  con  un  ultimo  sforzo,  e  con  un 
nuovo  ritrovato  di  carità:  a  ogni  contadino  che  si  presen- 
tasse all'  arcivescovado ,  fece  dare  un  giulio ,  e  una  falce  da 
mietere. 

Con  la  messe  finalmente  cessò  la  carestia:  la  mortalità, 
epidemica  o  contagiosa,  scemando  di  giorno  in  giorno,  si  pro- 
lungò però  fin  nell'autunno.  Era  sul  finire,  quand' ecco  un 
nuovo  flagello. 

Molte  cose  importanti,  di  quelle  a  cui  più  specialmente  si 
dà  titolo  di  storiche,  erano  accadute  in  questo  frattempo.  D 
cardinal  di  Richelieu,  presa,  come  s'è  detto,  la  Roccella,  ab- 
bracciata alla  meglio  una  pace  col  re  d'Inghilterra,  aveva 
proposto  e  persuaso  con  la  sua  potente  parola,  nel  Consiglio 
di  quello  di  Francia,  che  si  soccorresse  efficacemente  il  duca 
di  Nevers;  e  aveva  insieme  determinato  il  re  medesimo  a 
condurre  in  persona  la  spedizione.  Mentre  si  facevan  gli  ap- 
parecchi, il  conte  di  Nassau,  commissario  imperiale,  intimava 
in  Mantova  al  nuovo  duca,  che  desse  gli  Stati  in  mano  a 
Ferdinando,  o  questo  manderebbe  un  esercito  ad  occuparli. 
Il  duca  che,  in  più  disperate  circostanze,  s'  era  schermito 
d'accettare  una  condizione  così  dura  e  così  sospetta,  inco- 
raggito  ora  dal  vicino  soccorso  di  Francia,  tanto  più  se  no 
schermiva;  però  con  termini  in  cui  il  no  fosse  rigirato  e  al- 
lungato, quanto  si  poteva,  e  con  proposte  di  sommissione,  an- 
che più  apparente,  ma  meno  costosa.  Il  commissario  se  n'  era 
andato  protestandogli  che  si  verrebbe  alla  forza.  In  marzo, 
il  cardinal  di  Richelieu  era  poi  calato  infatti  col  re,  alla  te- 
sta d'un  esercito;  aveva  chiesto  il  passo  al  duca  di  Savoia; 
s'era  trattato;  non  s'era  concluso;  dopo  uno  scontro,  col 
vantaggio  de' Francesi,  s'era  trattato  di  nuovo,  e  concluso 
un  accordo,  nel  quale  il  duca,  tra  l'altre  cose,  aveva  sti- 
pulato che  il  Cordova  leverebbe  l'assedio  da  Casale;  ob- 
bligandosi, se  questo  ricusasse,  a  unirsi  co' Francesi,  per  in- 
vadere il  ducato  di  Milano.    Don  Gonzalo,  parendogli  anche 


364  I  PROMESSI   SPOSI. 

d'uscirne  con  poco,  aveva  levato  l'assedio  da  Casale,  do- 
v'  era  subito  entrato  un  corpo  di  Francesi,  a  rinforzar  la  guar- 
nigione. 

Fu  in  questa  occasione  che  F  Achillini  scrisse  al  re  Luigi 
quel  suo  famoso  sonetto: 

Sudate,  o  fochi,  a  preparar  metalli; 

e  un  altro,  con  cui  l'esortava  a  portarsi  subito  alla  libera- 
zione di  Terra  santa.  Ma  è  un  destino  che  i  pareri  de'  poeti 
non  siano  ascoltati:  e  se  nella  storia  trovate  de' fatti  conformi 
a  qualche  loro  suggerimento ,  dite  pur  francamente  eh'  eran 
cose  risolute  prima.  Il  cardinal  di  Richelieu  aveva  invece 
stabilito  di  ritornare  in  Francia,  per  affari  che  a  lui  parevano 
più  urgenti.  Girolamo  Soranzo,  inviato  de' Veneziani,  potè 
bene  addurre  ragioni  per  combattere  quella  risoluzione;  che 
il  re  e  il  cardinale,  dando  retta  alla  sua  prosa  come  ai  versi 
dell' Achillini,  se  ne  ritornarono  col  grosso  dell'esercito,  la- 
sciando soltanto  sei  mila  uomini  in  Susa,  per  mantenere  il 
passo,  e  per  caparra  del  trattato. 

Mentre  quell'  esercito  se  n"  andava  da  una  parte ,  quello 
di  Ferdinando  s'avvicinava  dall'altra;  aveva  invaso  il  paese 
de' Grigioni  e  la  Valtellina:  si  disponeva  a  calar  nel  mila- 
nese. Oltre  tutti  i  danni  che  si  potevan  temere  da  un  tal 
passaggio,  eran  venuti  espressi  avvisi  al  tribunale  della  sa- 
nità, che  in  quell'  esercito  covasse  la  peste,  della  quale  allora 
nelle  truppe  alemanne  e1  era  sempre  qualche  sprazzo,  come 
dice  il  Varchi,  parlando  di  quella  che,  un  secolo  avanti,  ave- 
van  portata  in  Firenze.  Alessandro  Tadino,  uno  de' conser- 
vatori della  sanità  (eran  sei,  oltre  il  presidente:  quattro  ma- 
gistrati e  due  medici),  fu  incaricato  dal  tribunale,  come  rac- 
conta lui  stesso,  in  quel  suo  ragguaglio  già  citato1),  di  rap- 
presentare al  governatore  lo  spaventoso  pericolo  che  sovra- 
stava al  paese,  se  quella  gente  ci  passava,  per  andare  ali"  as- 
sedio di  Mantova,  come  s'era  sparsa  la  voce.  Da  tutti  i 
portamenti  di  don  Gonzalo,  pare  che  avesse  una  gran  smania 
d'acquistarsi  un  posto  nella  storia,  la  quale  infatti  non  potè 
non  occuparsi  di  lui;  ma  (come  spesso  le  accade)  non  conob- 
be, o  non  si  curò  di  registrare  Fatto  di  lui  più  degno  di 
memoria,  la  risposta  che  diede  al  Tadino  in  quella  circostanza. 
Rispose  che  non  sapeva  cosa  farci  ;  che  i  motivi  d1  interesse 
e  di  riputazione ,  per  i  quali  s'  era  mosso  quell'  esercito ,  pe- 
savan  più  che  il  pericolo  rappresentato  ;  che  con  tutto  ciò  si 
cercasse  di  riparare  alla  meglio,  e  si  sperasse  nella  Prov- 
videnza. 


capitolo  xxvirr.  365 

Per  riparar  dunque  alla  meglio,  i  due  medici  della  Sanità 
(il  Tadino  suddetto  e  Senatore  Settala ,  figlio  del  celebre  Lo- 
dovico) proposero  in  quel  tribunale  che  si  proibisse  sotto  se- 
verissime pene  di  comprar  roba  di  nessuna  sorte  da'  soldati 
eh' eran  per  passare;  ma  non  fu  possibile  far  intendere  la 
necessità  d'un  tal  ordine  al  presidente,  '«uomo»  dice  il  Ta- 
dino, «di  molta  bontà,  che  non  poteva  credere  dovesse  succe- 
dere incontri  di  morte  di  tante  migliaia  di  persone,  per  il 
comercio  di  questa  gente,  et  loro  robbe."  Citiamo  questo 
tratto,  per  uno  de' singolari  di  quel  tempo:  che  di  certo,  da 
che  ci  son  tribunali  di  sanità,  non  accadde  mai  a  un  altro 
presidente  d' un  tal  corpo ,  di  fare  un  ragionamento  simile  ; 
se  ragionamento  si  può  chiamare. 

In  quanto  a  don  Gonzalo,  poco  dopo  quella  risposta,  se 
n'andò  da  Milano;  e  la  partenza  fu  trista  per  lui,  come  lo 
era  la  cagione.  Veniva  rimosso  per  i  cattivi  successi  della 
guerra,  della  quale  era  stato  il  promotore  e  il  capitano;  e  il 
popolo  lo  incolpava  della  fame  sofferta  sotto  il  suo  governo 
(Quello  che  aveva  fatto  per  la  peste,  o  non  si  sapeva,  o  certo 
nessuno  se  n'inquietava,  come  vedremo  più  avanti,  fuorché 
il  tribunale  della  sanità,  e  i  due  medici  specialmente.)  Al- 
l'uscir dunque,  in  carrozza  da  viaggio,  dal  palazzo  di  corte, 
in  mezzo  a  una  guardia  d'alabardieri,  con  due  trombetti  a 
cavallo  davanti,  e  con  altre  carrozze  di  nobili  che  gli  facean 
seguito,  fu  accolto  con  gran  fischiate  da  ragazzi  eh' eran  ra- 
dunati sulla  piazza  del  duomo,  e  che  gli  andaron  dietro  alla 
rinfusa.  Entrata  la  comitiva  nella  strada  che  conduce  a  porta 
Ticinese,  di  dove  si  doveva  uscire,  cominciò  a  trovarsi  in 
mezzo  a  una  folla  di  gente  che,  parte  era  lì  ad  aspettare, 
parte  accorreva;  tanto  più  che  i  trombetti,  uomini  di  forma- 
lità, non  cessaron  di  sonare,  dal  palazzo  di  corte,  fino  alla 
porta.  E  nel  processo  che  si  fece  poi  su  quel  tumulto,  uno 
di  costoro,  ripreso  che,  con  quel  suo  trombettare,  fosse  stato 
cagione  di  farlo  crescere,  risponde:  «caro  signore,  questa  è 
la  nostra  professione:  et  se  S.  E.  non  hauesse  hauuto  acaro 
che  noi  auessimo  sonato,  doveva  comandarne  che  tacessimo^ 
Ma  don  Gonzalo,  o  per  ripugnanza  a  far  cosa  che  mostrasse 
timore,  o  per  timore  di  render  con  questo  più  ardita  la  mol- 
titudine, o  perchè  fosse  in  effetto  un  po' sbalordito,  non  dava 
nessun  ordine.  La  moltitudine,  che  le  guardie  avean  tentato 
in  vano  di  respingere,  procedeva,  circondava,  seguiva  le  car- 
rozze, gridando:  «la  va  via  la  carestia,  va  via  il  sangue  de' 
poveri,»  e  peggio.  Quando  furon  vicini  alla  porta,  comincia- 
rono anche  a  tirar  sassi,  mattoni,  torsoli,  bucce  d'  ogni  sorte, 
la  munizione  solita  in  somma  di  quelle  spedizioni;  una  parte 
corse  sulle  mura,  e  di  là  fecero  un'ultima  scarica  sulle  car- 
rozze che  uscivano.     Subito  dopo  ai  sbandarono. 


366  I   PROMESSI   SPOSI. 

In  luogo  di  don  Gonzalo.,  fu  mandato  il  marchese  Ambro- 
gio Spinola,  il  cui  nome  aveva  già  acquistato,  nelle  guerre  di 
Fiandra,  quella  celebrità  militare  che  ancor  gli  rimane. 

Intanto  1'  esercito  alemanno,  sotto  il  comando  supremo  del 
conte  Rambaldo  di  Collalto,  altro  condottiero  italiano,  di  mi- 
nore ,  ma  non  d'  ultima  fama,  aveva  ricevuto  1'  ordine  defini- 
tivo di  portarsi  all'  impresa  di  Mantova;  e  nel  mese  di  set- 
tembre, entrò  nel  ducato  di  Milano. 

La  milizia,  a  que'  tempi  era  ancor  composta  in  gran  parte 
di  soldati  di  ventura  arrolati  da  condottieri  di  mestiere,  per 
commissione  di  questo  o  di  quel  principe,  qualche  volta  an- 
che per  loro  proprio  conto,  e  per  vendersi  poi  insieme  con 
essi.  Più  che  dalle  paghe,  erano  gli  uomini  attirati  a  quel 
mestiere  dalle  speranze  del  saccheggio  e  da  tutti  gli  alletta- 
menti della  licenza.  Disciplina  stabile  e  generale  non  ce 
n'era;  né  avrebbe  potuto  accordarsi  così  facilmente  con  l'au- 
torità in  parte  indipendente  de'  vari  condottieri.  Questi  poi 
in  particolare,  né  erano  molti  raffinatori  in  fatto  di  discipline, 
né ,  anche  volendo ,  si  vede  come  avrebbero  potuto  riuscire  a 
stabilirla  e  a  mantenerla:  che  soldati  di  quella  razza,  o  si 
sarebbero  rivoltati  contro  un  condottiere  novatore  che  si  fosse 
messo  in  testa  d'abolire  il  saccheggio;  o  per  lo  meno,  l'a- 
vrebbero lasciato  solo  a  guardar  le  bandiere.  Oltre  di  ciò> 
siccome  i  principi,  nel  prendere,  per  dir  così,  ad  affitto  quelle 
bande,  guardavan  più  ad  aver  gente  in  quantità  per  assicurar 
l'imprese,  che  a  proporzionare  il  numero  alla  loro  facoltà  di 
pagare,  per  il  solito  molto  scarsa;  così  le  paghe  venivano  per 
lo  più  tarde,  a  conto ,  a  spizzico  ;  e  le  spoglie  de'  paesi  a  cui 
la  toccava,  ne  divenivano  come  un  supplimento  tacitamente 
convenuto.  È  celebre,  poco  meno  del  nome  di  Wallenstein, 
quella  sua  sentenza:  esser  più  facile  mantenere  un  esercito 
di  cento  mila  uomini ,  che  uno  di  dodici  mila.  E  questo  di 
cui  parliamo  era  in  gran  parte  composto  della  gente  che, 
sotto  il  suo  comando,  avea  desolata  la  Germania,  in  quella 
guerra  celebre  tra  le  guerre,  e  per  sé  e  per  i  suoi  effetti,  che 
ricevette  poi  il  nome  da' trent' anni  della  sua  durata:  e  al- 
lora ne  correva  l' undecime  C'era  anzi,  condotto  da  un 
suo  luogotenente,  il  suo  proprio  reggimento:  degli  altri  con- 
dottieri, la  più  parte  avevan  comandato  sotto  di  lui,  e  ci  si 
trovava  più  d'  uno  di  quelli  che,  quattr'  anni  dopo ,  dovevano 
aiutare  a  fargli  far  quella  cattiva  fine  che  ognuno  sa. 

Eran  vent' otto  mila  fanti,  e  settemila  cavalli;  e,  scenden- 
do dalla  Valtellina  per  portarsi  nel  mantovano,  dovevan  se- 
guire tutto  il  corso  che  fa  l'Adda  per  due  rami  di  lago,  e 
poi  di  nuovo  come  fiume  fino  al  suo  sbocco  in  Po,  e  dopo 
avevano  un  buon  tratto  di  questo  da  costeggiare  :  in  tutto  otto 
giornate  nel  ducato  di  Milano. 


CAPITOLO    XXVIII. 


3G7 


Una  gran  parte  degli  abitanti  si  rifugiavano  su  per  i  mon- 
ti, portandovi  quel  che  avevan  di  meglio,  e  cacciandosi  in- 
nanzi le  bestie  ;  altri  rimanevano,  o  per  non  abbandonar  qual- 
che ammalato,  o  per  preservar  la  casa  dall'incendio,  o  per 
tener  d'occhio  cose  preziose  nacoste,  sotterrate;  altri  perchè 
non  avean  nulla  da  perdere,  o  anche  facean  conto  d'acqui- 
stare. Quando  la  prima  squadra  arrivava  al  paese  della  fer- 
mata, si  spandeva  subito  per  quello  e  per  i  circonvicini,  e  li 
metteva  a  sacco  addirittura:  ciò  che  c'era  da  godere  o  da 
portar  via,  spariva;  il  rimanente,  lo  distruggevano  e  lo  rovi- 
navano; i  mobili  diventavan  legna,  le  case,  stalle:  senza  par- 
lar delle  busse,  delle  ferite,  degli  stupri.  Tutti  i  ritrovati, 
tutte  V  astuzie  per  salvar  la  roba,  riuscivano  per  lo  più  inu- 
tili, qualche  volta  portavano  danni  maggiori.  I  soldati,  gente 
ben  più  pratica  degli  stratagemmi  anche  di  questa  guerra, 
frugavano  per  tutti  i  buchi  delle  case,  smuravano,  diroccava- 
no; conoscevan  facilmente  negli  orti  la  terra  smossa  di  fre- 
sco; andarono  fino  su  per  i  monti  a  rubare  il  bestiame;  an- 
darono nelle  grotte,  guidati  da  qualche  birbante  del  paese,  in 
cerca  di  qualche  ricco  che  vi  si  fosse  rimpiattato:  lo  strasci- 
navano alla  sua  casa,  e  con  tortura  di  minacce  e  di  percosse, 
lo  costringevano  a  indicare  il  tesoro  nascosto. 

Finalmente  se  n'andavano;  erano  andati;  si  sentiva  da 
lontano  morire  il  suono  de'  tamburi  o  delle  trombe  ;  succe- 
devano alcune  ore  d'una  quiete  spaventata:  e  poi  un  nuovo 
maledetto  batter  di  cassa,  un  nuovo  maledetto  suon  di  trom- 
be, annunziava  un'altra  squadra.  Questi,  non  trovando  più 
da  far  preda,  con  tanto  più  furore  facevano  sperpero  del  re- 
sto, bruciavan  !e  botti  votate  da  quelli,  gli  usci  delle  stanze 
dove  non  c'era  più  nulla,  davan  fuoco  anche  alle  case;  e 
con  tanta  più  rabbia,  s'intende,  maltrattavan  le  persone;  e 
così  di  peggio  in  peggio,  per  venti  giorni;  che  in  tante  squa- 
dre era  diviso  1'  esercito. 

Colico  fu  la  prima  terra  del  ducato ,  che  invasero  que'  de- 
mòni; si  gettarono  poi  sopra  Bellano;  di  là  entrarono  e  si 
sparsero  nella  Yalsassina,  da  dove  sboccarono  nel  territorio 
di  Lecco. 


368  I    PROMESSI    SPOSI. 


CAPITOLO  XXIX. 

Qui,  tra  i  poveri  spaventati,  troviamo  persone  di  nostra 
conoscenza. 

Chi  non  ha  visto  don  Abbondio,  il  giorno  che  si  sparsero 
tutte  in  una  volta  le  notizie  della  calata  dell'esercito,  del 
suo  avvicinarsi,  e  de' suoi  portamenti,  non  sa  bene  cosa  sia 
impiccio  e  spavento.  Vengono;  son  trenta,  son  quaranta,  son 
cinquanta  mila;  son  diavoli,  sono  ariani,  sono  anticristi;  han- 
no saccheggiato  Cortenuova;  han  dato  fuoco  a  Primaluna; 
devastano  Introbbio ,  Pasturo,  Barsio;  sono  arrivati  a  Balab- 
bio;  domani  son  qui:  tali  eran  le  voci  che  passavan  di  bocca 
in  bocca;  e  insieme  un  correre,  un  fermarsi  a  vicenda,  un 
consultare  tumultuoso,  un'esitazione  tra  il  fuggire  e  il  re- 
stare, un  radunarsi  di  donne,  un  metter  le  mani  ne'  capelli. 
Don  Abbondio,  risoluto  di  fuggire,  risoluto  prima  di  tutti  e 
più  di  tutti,  vedeva  però  in  ogni  strada  da  prendere,  in  ogni 
luogo  da  ricoverarsi,  ostacoli  insuperabili  e  pericoli  spaventosi. 
«Come  fare?»  esclamava:  «dove  andare?»  I  monti,  lascian- 
do da  parte  la  difficoltà  del  cammino,  non  eran  sicuri:  già 
s' era  saputo  che  i  lanzichenecchi  vi  s' arrampicavano  come 
gatti,  dove  appena  avessero  indizio  o  speranza  di  far  preda. 
Il  lago  era  grosso;  tirava  un  gran  vento;  oltre  di  questo,  la 
più  parte  dei  barcaioli ,  temendo  d'  esser  forzati  a  tragittar 
soldati  o  bagagli,  s' eran  rifugiati,  con  le  loro  barche,  all'al- 
tra riva:  alcune  poche  rimaste,  eran  poi  partite  stracariche 
di  gente;  e,  travagliate  dal  peso  e  dalla  burrasca,  si  diceva 
che  pericolassero  ogni  momento.  Per  portarsi  lontano  e  fuori 
della  strada  che  l'esercito  aveva  a  percorrere,  non  era  pos- 
sibile trovar  né  un  calesse,  né  un  cavallo,  né  alcun  altro  mez- 
zo: a  piedi,  don  Abbondio  non  avrebbe  potuto  far  troppo 
cammino  e  temeva  d'  esser  raggiunto  per  istrada.  Il  territo- 
rio bergamasco  non  era  tanto  distante,  che  le  sue  gambe  non 
ce  lo  potessero  portare  in  una  tirata;  ma  si  sapeva  ch'era 
stato  spedito  in  fretta  da  Bergamo  uno  squadrone  di  cappel- 
letti, il  qual  doveva  costeggiare  il  confine,  per  tenere  in  sog- 
gezione i  lanzichenecchi;  e  quelli  eran  diavoli  in  carne,  né 
più  né  meno  di  questi,  e  facevan  dalla  parte  loro  il  peggio 
che  potevano.  Il  pover'  uomo  correva  stralunato  e  mezzo 
fuor  di  sé,  per  la  casa;  andava  dietro  a  Perpetua,  per  concer- 
tare una  risoluzione  con  lei;  ma  Perpetua,  affaccendata  a  rac- 
cogliere il  meglio  di  casa,  e  a  nasconderlo  in  soffitta,  o  per  i 
bugigattoli,  passava  di  corsa,  affannata,  preoccupata,  con  le 
mani  e  con  le  braccia  piene,  e  rispondeva:  «or  ora  finisco 
di  metter  questa  roba  al  sicuro,  e  poi  faremo  anche  noi  come 


CAPITOLO   XXIX.  369 

fanno  gli  altri.»  Don  Abbondio  voleva  trattenerla,  e  discutef 
con  lei  i  vari  partiti;  ma  lei,  tra  il  da  fare,  e  la  fretta,  e  lo 
spavento  che  aveva  anch'essa  in  corpo,  e  la  rabbia  che  le 
faceva  quello  del  padrone,  era,  in  tal  congiuntura,  meno  trat- 
tabile di  quel  che  fosse  stata  mai.  «S' ingegnano  gli  altri  ; 
c'ingegneremo  anche  noi.  Mi  scusi,  ma  non  è  capace  che 
d' impedire.  Crede  lei  che  anche  gli  altri  non  abbiano  una 
pelle  da  salvare?  Che  vengono  per  far  la  guerra  a  lei  i  sol- 
dati? Potrebbe  anche  dare  una  mano,  in  questi  momenti,  in 
vece  di  venire  tra'  piedi  a  piangere  e  a  impicciare.»  Con 
queste  e  simili  risposte  si  sbrigava  da  lui,  avendo  già  stabi- 
lito, finita  che  fosse  alla  meglio  quella  tumultuaria  operazione, 
di  prenderlo  per  un  braccio,  come  un  ragazzo,  e  di  strasci- 
narlo su  di  una  montagna.  Lasciato  così  solo,  s' affacciava 
alla  finestra,  guardava,  tendeva  gli  orecchi;  e  vedendo  passar 
qualcheduno,  gridava  con  una  voce  mezza  di  pianto  e  mezza 
di  rimprovero:  «fate  questa  carità  al  vostro  povero  curato  di 
cercargli  qualche  cavallo,  qualche  mulo,  qualche  asino.  Pos- 
sibile che  nessuno  mi  voglia  aiutare!  Oh  che  gente!  Aspet- 
tatemi almeno,  che  possa  venire  anch'  io  con  voi,  aspettate 
d'  esser  quindici  o  venti,  da  condurmi  via  insieme,  eh'  io  non 
sia  abbandonato.  Volete  lasciarmi  in  man  de'  cani?  Non 
sapete  che  sono  luterani  la  più  parte,  che  ammazzare  un  sa- 
cerdote V  hanno  per  opera  meritoria?  Volete  lasciarmi  qui 
a  ricevere  il  martirio?     Oh  che  gente!     Oh  che  gente!» 

Ma  a  chi  diceva  queste  cose?  Ad  uomini  che  passavano 
curvi  sotto  il  peso  della  loro  povera  roba,  pensando  a  quella 
che  lasciavano  in  casa,  spingendo  le  loro  vaccherelle,  condu- 
cendosi dietro  i  figli,  carichi  anch'  essi  quanto  potevano,  e 
le  donne  con  in  collo  quelli  che  non  potevano  camminare. 
Alcuni  tiravan  di  lungo,  senza  rispondere  né  guardare  in  su: 
qualcheduno  diceva:  «eh  messere!  faccia  anche  lei  come  può; 
fortunato  lei  che  non  ha  da  pensare  alla  famiglia;  s'aiuti, 
s' ingegni.» 

«Oh  povero  me!»  esclamava  don  Abbondio:  «oh  che 
gente!  che  cuori!  Non  c'è  carità:  ognuno  pensa  a  sé:  e 
a  me  nessuno  vuol  pensare.»  E  tornava  in  cerca  di  Per- 
petua. 

«Oh  appunto!»  gli  disse  questa:  «e  i  danari?» 
«Come  faremo?» 

«Li  dia  a  me ,  che  anderò  a  sotterrarli  qui  nell'  orto  di 
casa,  insieme  con  le  posate.» 

«Ma » 

«Ma,  ma;  dia  qui;  tenga  qualche  soldo,  per  quel  che  può 
occorrere;  e  poi  lasci  fare  a  me.» 

Don  Abbondio  ubbidì,  andò  allo  scrigno,  cavò  il  suo  teso- 
retto,  e  lo  consegnò  a  Perpetua,  la  quale  disse:  «vo  a  sotter- 

Manzoni.  24 


370  1    PROMESSI    SPOSI. 

rarli  nell'orto,  appiè  del  fico;»  e  andò.  Ricomparve  poco 
dopo,  con  un  paniere  dove  e'  era  della  munizione  da  bocca, 
e  con  una  piccola  gerla  vota;  e  si  mise  in  fretta  a  collocarvi 
nel  fondo  un  po' di  biancheria  sua  e  del  padrone,  dicendo 
intanto:  «il  breviario  almeno  lo  porterà  lei.» 

«Ma  dove  andiamo?» 

«Dove  vanno  tutti  gli  altri?  Prima  di  tutto,  anderemo  in 
istrada;  e  là  sentiremo,  e  vedremo  cosa  convenga  di  fare.» 

In  quel  momento  entrò  Agnese  con  una  gerìetta  sulle  spalle, 
e  in  aria  di  chi  viene  a  fare  una  proposta  importante. 

Agnese,  risoluta  anche  lei  di  non  aspettare  ospiti  di  quel- 
la sorte,  sola  in  casa,  com'  era,  e  con  ancora  un  po'  di  quel- 
1'  oro  dell'  innominato,  era  stata  qualche  tempo  in  forse  del 
luogo  dove  ritirarsi.  Il  residuo  appunto  di  quegli  scudi,  che 
ne'  mesi  della  fame  le  avevan  fatto  tanto  prò,  era  la  cagion 
principale  della  sua  angustia  e  della  irresoluzione,  per  aver 
essa  sentito  che  ne'  paesi  già  invasi,  quelli  che  avean  danari. 
s'  eran  trovati  a  più  terribil  condizione  esposti  insieme  alla 
violenza  degli  stranieri,  e  alle  insidie  dei  paesani.  Era  vero 
che,  del  bene  piovutole,  come  si  dice,  dal  cielo,  non  aveva 
fatta  la  confidenza  a  nessuno,  fuorché  a  don  Abbondio;  dal 
quale  andava,  volta  per  volta,  a  farsi  spicciolare  uno  scudo, 
lasciandogli  sempre  qualcosa  da  dare  a  qualcheduno  più  po- 
vero di  lei.  Ma  i  danari  nascosti,  specialmente  chi  non  è  av- 
vezzo a  maneggiarne  molti,  tengono  il  possessore  in  un  so- 
spetto continuo  del  sospetto  altrui.  Ora,  mentre  andava  an- 
eli" essa  rimpiattando  qua  e  là  alla  meglio  ciò  che  non  poteva 
portar  con  sé,  e  pensava  agli  scudi,  che  teneva  cuciti  nel  bu- 
sto, si  rammentò  che,  insieme  con  essi,  V  innominato,  le  aveva 
mandate  le  più  larghe  oiferte  di  servizi;  si  rammentò  le  cose 
che  aveva  sentito  raccontare  di  quel  suo  castello  posto  in  luo- 
go così  sicuro,  e  dove,  a  dispetto  del  padrone,  non  potevano 
arrivar  se  non  gli  uccelli;  e  si  risolvette  d'andare  a  chiedere 
un  asilo  lassù.  Pensò  come  potrebbe  farsi  conoscere  da  quel 
signore,  e  le  venne  subito  in  mente  don  Abbondio;  il  quale, 
dopo  quel  colloquio  così  fatto  coli'  arcivescovo  le  aveva  sem- 
pre fatto  festa,  e  tanto  più  di  cuore,  che  lo  poteva  senza 
compromettersi  con  nessuno,  e  che,  essendo  lontani  i  due  gio- 
vani, era  anche  lontano  il  caso  che  a  lui  venisse  fatta  una 
richiesta  la  quale  avrebbe  messa  quella  benevolenza  a  un  gran 
cimento.  Suppose  che,  in  tal  parapiglia,  il  pover'  uomo  do- 
veva esser  ancor  più  impicciato  e  più  sbigottito  di  lei,  e  che 
il  partito  potrebbe  parer  molto  buono  anche  a  lui;  e  glielo 
veniva  a  proporre.  Trovatolo  con  Perpetua,  fece  la  proposta 
a  tutt'  e  due. 

«Che  ne  dite.  Perpetua  ?^  domandò  don  Abbondio. 


CAPITOLO    XXIX.  371 

"Dico  che  è  un'  ispirazione  del  cielo,  e  che  non  bisogna 
perder  tempo,  e  mettersi  la  strada  tra  le  gambe.» 

«E  poi ....  » 

«E  poi,  e  poi,  quando  saremo  là,  ci  troveremo  ben  con- 
tenti. Quel  signore,  ora  si  sa  che  non  vorrebbe  altro  che 
far  servizio  al  prossimo  ;  e  sarà  ben  contento  anche  lui  di  ri- 
coverarci. Là,  sul  confine,  e  così  per  aria,  soldati  non  ne 
verrà  certamente.  E  poi,  e  poi,  ci  troveremo  anche  da  man- 
giare; che,  su  per  i  monti,  finita  questa  poca  grazia  di  Dio,» 
e  così  dicendo,  P  accomodava  nella  gerla,  sopra  la  biancheria, 
«ci  saremmo  trovati  a  mal  partito.» 

«Convertito,  è  convertito  davvero,  eh?» 

«Che  e'  è  da  dubitarne  ancora,  dopo  tutto  quello  che  si 
sa,  dopo  quello  che  anche  lei  ha  veduto?» 

«E  se  andassimo  a  metterci  in  gabbia?» 

«Che  gabbia?  Con  tutti  codesti  suoi  casi,  mi  scusi,  non 
si  verrebbe  mai  a  una  conclusione.  Brava  Agnese!  v'  è  pro- 
prio venuto  un  buon  pensiero.»  E  messa  la  gerla  sul  tavo- 
lino, passò  le  braccia  nelle  cigne,  e  la  prese  sulle  spalle. 

«Non  si  potrebbe,»  disse  don  Abbondio,  «trovar  qualche 
uomo  che  venisse  con  noi,  per  far  la  scorta  al  suo  curato? 
Se  incontrassimo  qualche  birbone,  che  pur  troppo  ce  n'  è  in 
giro  parecchi,  che  aiuto  m'avete  a  dar  voi  altre?» 

«Un'altra,  per  perder  tempo!»  esclamò  Perpetua.  «An- 
darlo a  cercar  ora  l' uomo,  che  ognuno  ha  da  pensare 
a'  fatti  suoi.  Animo  !  vada  a  prender  il  breviario  e  il  cap- 
pello; e  andiamo.» 

Don  Abbondio  andò,  tornò  di  lì  a  un  momento,  col  brevia- 
rio sotto  il  braccio,  col  cappello  in  capo,  e  col  suo  bordone 
in  mano  ;  e  uscirono  tutt'  e  tre  per  un  usciolino  che  mette- 
va sulla  piazzetta.  Perpetua  richiuse,  più  per  non  trascu- 
rare una  formalità,  che  per  fede  che  avesse  in  quella  toppa  e 
in  que'  battenti,  e  mise  la  chiave  in  tasca.  Don  Abbondio 
diede,  nel  passare,  un'  occhiata  alla  chiesa,  e  disse  tra  i 
denti:  «al  popolo  tocca  a  custodirla,  che  serve  a  lui.  Se 
hanno  un  po' di  cuore  per  la  loro  chiesa,  ci  penseranno;  se 
poi  non  hanno  cuore,  tal  sia  di  loro.» 

Presero  per  i  campi,  zitti  zitti,  pensando  ognuno  a'  casi 
suoi,  e  guardandosi  intorno,  specialmente  don  Abbondio,  se 
apparisse  qualche  figura  sospetta,  qualcosa  di  straordinario. 
!Non  s'incontrava  nessuno:  la  gente  era,  o  nelle  case  a  guar- 
darle, a  far  fagotto,  a  nascondere,  o  per  le  strade  che  condu- 
cevan  direttamente  all'  alture. 

Dopo  aver  sospirato  e  risospirato,  e  poi  lasciato  scappar 
qualche  interiezione,  don  Abbondio  cominciò  a  brontolare  più 
di  seguito.  Se  la  prendeva  col  duca  di  Nevers,  che  avrebbe 
potuto  stare  in  Francia  a  godersela,  a  fare  il  principe,  e  vo- 

24* 


372  I   PROMESSI    SPOSI. 

leva  esser  duca  di  Mantova  a  dispetto  del  mondo;  con  l'im- 
peratore, che  avrebbe  dovuto  aver  giudizio  per  gli  altri,  la- 
sciar correr  l'acqua  all'  ingiù,  non  istar  su  tutti  i  puntigli: 
che  finalmente  lui  sarebbe  sempre  stato  V  imperatore ,  fosse 
duca  di  Mantova  Tizio  o  Sempronio.  L'  aveva  principalmente 
col  governatore,  a  cui  sarebbe  toccato  a  far  di  tutto,  per  te- 
ner lontani  i  flagelli  dal  paese,  ed  era  lui  che  ce  gli  attira- 
va: tutto  per  il  gusto  di  far  la  guerra.  «Bisognerebbe,»  di- 
ceva, «che  fossero  qui  que' signori  a  vedere,  a  provare,  che 
gusto  è.  Hanno  da  render  un  bel  conto!  Ma  intanto,  ne  va 
di  mezzo  chi  non  ci  ha  colpa.» 

«Lasci  un  po'  star  codesta  gente  ;  che  già  non  son  quelli 
che  ci  verranno  a  aiutare,»  diceva  Perpetua.  «Codeste,  mi 
scusi,  sono  di  quelle  sue  solite  chiacchiere  che  non  concludon 
nulla.     Piuttosto,  quel  che  mi  dà  noia....» 

«Cosa  e'  è?» 

Perpetua,  la  quale,  in  quel  pezzo  di  strada  aveva  pensato 
con  comodo  al  nascondimento  fatto  in  furia,  cominciò  a  lamen- 
tarsi d' aver  dimenticata  la  tal  cosa,  d' aver  mal  riposta  la 
tal  altra;  qui,  d'aver  lasciata  una  traccia  che  poteva  guidare 
i  ladroni,  là  ... . 

«Brava!»  disse  don  Abbondio,  ormai  sicuro  della  vita, 
quanto  bastava  per  poter  angustiarsi  della  roba:  «brava!  così 
avete  fatto?    Dove  avevate  la  testa?» 

«Come!»  esclamò  Perpetua,  fermandosi  un  momento  su 
due  piedi,  e  mettendo  i  pugni  su'  fianchi,  in  quella  maniera 
che  la  gerla  glielo  permetteva:  «come!  verrà  ora  a  farmi  co- 
desti rimproveri,  quand'  era  lei  che  me  la  faceva  andar  via, 
la  testa,  invece  d'aiutarmi  e  farmi  coraggio!  Ho  pensato 
forse  più  alla  roba  di  casa  che  alla  mia;  non  ho  avuto  chi 
mi  desse  una  mano;  ho  dovuto  far  da  Marta  e  Maddalena; 
se  qualcosa  anderà  a  male,  non  so  cosa  mi  dire:  ho  fatto  an- 
che più  del  mio  dovere.» 

Agnese  interrompeva  questi  contrasti,  entrando  anche  lei  a 
parlare  de'  suoi  guai  :  e  non  si  rammaricava  tanto  dell'  incomo- 
do e  del  danno,  quanto  di  vedere  svanita  la  speranza  di  riab- 
bracciar presto  la  sua  Lucia;  che,  se  vi  rammentate,  era  ap- 
punto quell'autunno  sul  quale  avevan  fatto  assegnamento;  né 
era  da  supporre  che  donna  Prassede  volesse  venire  a  villeg- 
giare da  quelle  parti,  in  tali  circostanze:  piuttosto  ne  sarebbe 
partita,  se  ci  si  fosse  trovata,  come  facevan  tutti  gli  altri 
villeggianti. 

La  vista  de'  luoghi  rendeva  ancor  più  vivi  que'  pensieri 
d'  Agnese,  e  più  pungente  il  suo  dispiacere.  Usciti  da'  sen- 
tieri, avean  presa  la  strada  pubblica,  quella  medesima  per  cui 
la  povera  donna  era  venuta  riconducendo,  per  così  poco  tem- 


CAPITOLO    XXIX.  373 

pò,  a  casa  la  figlia,  dopo  aver  soggiornato  con  lei  in  casa 
del  sarto.    E  già  si  vedeva  il  paese. 

«Andremo  bene  a  salutar  quella  brava  gente,»  disse 
Agnese. 

«E  anche  a  riposare  un  pochino:  che  di  questa  gerla  io 
comincio  ad  averne  abbastanza;  e  poi  per  mangiare  un  boc- 
cone,» disse  Perpetua. 

«Con  patto  di  non  perder  tempo;  che  non  siamo  in  viag- 
gio per  divertimento,»  concluse  don  Abbondio. 

Furono  ricevuti  a  braccia  aperte,  e  veduti  con  gran  pia- 
cere: rammentavano  una  buona  azione.  Fato  del  bene  a 
quanti  più  potete,  dice  qui  il  nostro  autore  ;  e  vi  seguirà  tanto 
più  spesso  d' incontrar  de'  visi  che  vi  mettano  allegria. 

Agnese  all'  abbracciar  la  buona  donna,  diede  in  un  di- 
rotto pianto,  che  fu  d'un  gran  sollievo:  e  rispondeva  con 
singhiozzi  alle  domande  che  quella  e  il  marito  le  facevan  di 
Lucia. 

«Sta  meglio  di  noi,»  disse  don  Abbondio:  «è  a  Milano, 
fuori  de'  pericoli,  lontana  da  queste  diavolerie.» 

«Scappano,  eh?  il  signor  curato  e  la  compagnia,»  disse 
il  sarto. 

«Sicuro,»  risposero  a  una  voce  il  padrone  e  la  serva. 

«Li  compatisco.» 

«Siamo  incamminati,»  disse  don  Abbondio,  «al  castello 
di***.» 

«L'hanno  pensata  bene:  sicuri  come  in  chiesa.» 

«E  qui,  non  hanno  paura?»  disse  don  Abbondio. 

«Dirò,  signor  curato:  propriamente  in  ospitazione,  come 
lei  sa  che  si  dice,  a  parlar  bene,  non  dovrebbero  venire  co- 
loro; siam  troppo  fuori  della  loro  strada,  grazia  al  cielo.  Al 
più  al  più,  qualche  scappata,  che  Dio  non  voglia:  ma  in  ogni 
caso  e'  è  tempo;  s' hanno  a  sentir  prima  altre  notizie  da' po- 
veri paesi  dove  andranno  a  fermarsi.» 

Si  concluse  di  star  lì  un  poco  a  prender  fiato;  e  siccome 
era  l'ora  del  desinare,  «signori,»  disse  il  sarto:  «devono 
onorare  la  mia  povera  tavola:  alla  buona:  ci  sarà  un  piatto 
di  buon  viso.» 

Perpetua  disse  d' aver  con  sé  qualcosa  da  rompere  il  di- 
giuno. Dopo  un  po'  di  cerimonie  da  una  parte  e  dall'  altra, 
si  venne  a  patti  d'  accozzar,  come  si  dice,  il  pentolino,  e  di 
desinare  in  compagnia. 

I  ragazzi  s'  eran  messi  con  gran  festa  intorno  ad  Agnese 
loro  amica  vecchia.  Presto,  presto;  il  sarto  ordinò  a  una 
bambina  (quella  che  aveva  portato  quel  boccone  a  Maria  ve- 
dova: chi  sa  se  ve  ne  rammentate  più!),  che  andasse  a  diric- 
ciar  quattro  castagne  primati cce,  eh' eran  riposte  in  un  can- 
tuccio: e  le  mettesse  a  arrostire. 


374  I   PROMESSI    SPOSI. 

«E  tu,»  disse  a  un  ragazzo,  «va  nell'  orto,  a  dare  una 
scossa  al  pesco,  da  farne  cader  quattro,  e  portale  qui:  tutte 
ve'.  E  tu,»  disse  a  un  altro,  ava  sul  fico,  a  coglierne  quat- 
tro dei  più  maturi.  Già  lo  conoscete  anche  troppo  quel  me- 
stiere.» Lui  andò  a  spillare  una  sua  botticina:  la  donna  a 
prendere  un  po'  di  biancheria  da  tavola.  Perpetua  cavò  fuori 
le  provvisioni  ;  s' apparecchiò  un  tovagliolo  e  un  piatto  di 
maiolica  al  posto  d'onore,  per  don  Abbondio,  con  una  po- 
sata che  Perpetua  aveva  nella  gerla.  Si  misero  a  tavola,  e 
desinarono,  se  non  con  grand'  allegria,  almeno  con  molta  più 
che  nessuno  de'  commensali  si  fosse  aspettato  d' averne  in 
quella  giornata. 

«Cosa  ne  dice,  signor  curato,  d'  uno  scombussolamento  di 
questa  sorte?»  disse  il  sarto:  «mi  par  di  leggere  la  storia 
dei  mori  in  Francia.» 

«Cosa  devo  dire?  Mi  doveva  cascare  addosso  anche 
questa!» 

«Però  hanno  scelto  un  buon  ricovero,»  riprese  quello  : 
«chi  diavolo  ha  a  andar  lassù  per  forza?  E  troveranno  com- 
pagnia; che  già  s'  è  sentito  che  ci  sia  rifugiata  molta  gente, 
e  che  ce  ne  arrivi  tuttora.» 

«Voglio  sperare,»  disse  don  Abbondio,»  che  saremo  ben 
accolti.  Lo  conosco  quel  bravo  signore;  e  quando  ho  avuto 
un'  altra  volta  V  onore  di  trovarmi  con  lui ,  fu  così  com- 
pito!» 

«E  a  me,»  disse  Agnese,  «m'  ha  fatto  dire  dal  signor  mon- 
signor illustrissimo,  che  quando  avessi  bisogno  di  qualcosa, 
bastava  che  andassi  da  lui.» 

«Gran  bella  conversione!»  riprese  don  Abbondio:  «e  si 
mantiene,  n'  è  vero?  si  mantiene.» 

Il  sarto  si  mise  a  parlare  alla  distesa  della  santa  vita  del- 
l' innominato,  e  come,  dall'essere  il  flagello  de' contorni, 
n'  era  divenuto  1'  esempio  e  il  benefattore. 

«E  quella  gente  che  teneva  con  sé?...  tutta  quella  ser- 
vitù...» riprese  don  Abbondio,  il  quale  n'  avea  più  d'una 
volta  sentito  dir  qualcosa,  ma  non  era  mai  quieto  ab- 
bastanza. 

«Sfrattati  la  più  parte,»  rispose  il  sarto:  «e  quelli  che 
son  rimasti,  han  mutato  sistema,  ma  come!  In  somma  è  di- 
ventato quel  castello  una  Tebaide;  lei  le  sa  queste  cose.» 

Entrò  poi  a  parlar  con  Agnese  della  visita  del  cardinale. 
«Grand'  uomo  !»  diceva  :  «grand'  uomo  !  Peccato  che  sia  pas- 
sato di  qui  così  in  furia,  che  non  ho  né  anche  potuto  fargli 
un  po'  di  onore.  Quanto  sarei  contento  di  potergli  parlare 
un'  altra  volta,  un  po'  più  con  comodo.» 

Alzati  poi  da  tavola,  le  fece  osservare  una  stampa  rappre- 
sentante   il    cardinale,    che   teneva    attaccata   a   un   battente 


CAPITOLO   XXIX.  375 

• 

d'uscio,  in  venerazione  del  personaggio,  e  anche  per  poter 
dire  a  chiunque  capitasse,  che  non  era  somigliante;  giacché 
lui  aveva  potuto  esaminar  da  vicino  e  con  comodo  il  cardi- 
nale in  persona,  in  quella  medesima  stanza. 

«L'hanno  voluto  far  lui,  con  questa  cosa  qui?»  disse  Agne- 
se.    cXel  vestito  gli  somiglia,  ma...» 

«N'  è  vero  che  non  somiglia?»  disse  il  sarto:  «lo  dico 
sempre  anch' io;  noi,  non  c'ingannano,  eh?  ma,  se  non  altro, 
e'  è  sotto  il  suo  nome:  è  una  memoria.» 

Don  Abbondio  faceva  fretta  ;  il  sarto  s' impegnò  di  trovare 
un  baroccio  che  li  conducesse  appiè  della  salita:  n;  andò  su- 
bito in  cerca,  e  poco  dopo  tornò  a  dire  che  arrivava.  Si  voltò 
poi  a  don  Abbondio,  e  gli  disse:  «signor  curato,  se  mai  de- 
siderasse di  portar  lassù  qualche  libro,  per  passare  il  tempo, 
da  pover'  uomo  posso  servirla  :  che  anch'  io  mi  diverto  un 
po'  a  leggere.  Cose  non  da  par  suo,  libri  in  volgare;  ma 
però  .  .  .  .» 

«Grazie,  grazie,»  rispose  don  Abbondio:  «son  circostanze, 
che  si  ha  appena  testa  d'  occuparsi  di  quel  che  è  di  pre- 
cetto.» 

Mentre  si  fanno  e  si  ricusano  ringraziamenti,  e  si  barat- 
tano saluti  e  buoni  augùri,  inviti  e  promesse  d'  un'  altra  fer- 
mata al  ritorno,  il  baroccio  è  arrivato  davanti  ali*  uscio  di 
strada.  Ci  metton  le  gerle,  Saigon  su,  e  principiano,  con  un 
po'  più  d'  agio  e  di  tranquillità  d"  animo,  la  seconda  metà  del 
viaggio. 

Il  sarto  aveva  detto  la  verità  a  don  Abbondio,  intorno  al- 
l'innominato.  Questo,  dal  giorno  che  1' abbiam  lasciato,  ave- 
va sempre  continuato  a  far  ciò  che  allora  s'  era  proposto, 
compensar  danni,  chieder  pace,  soccorrer  poveri,  sempre  del 
bene  in  somma,  secondo  l1  occasione.  Quel  coraggio  che  altre 
volte  aveva  mostrato  nell' offendere  e  nel  difendersi,  ora  lo 
mostrava  nel  non  fare  né  1*  una  cosa  né  1'  altra.  Andava  sem- 
pre solo  e  senz'  armi,  disposto  a  tutto  quello  che  gli  potesse 
accadere  dopo  tante  violenze  commesse,  e  persuaso  che  sa- 
rebbe commetterne  una  nuova  1'  usar  la  forza  in  difesa  di 
chi  era  debitore  di  tanto  e  a  tanti;  persuaso  che  ogni  male 
che  gli  venisse  fatto,  sarebbe  un'  ingiuria  riguardo  a  Dio,  ma 
riguardo  a  lui  una  giusta  retribuzione;  e  che  dell' ingiuria, 
lui  meno  d'  ogni  altro,  aveva  diritto  di  farsi  punitore.  Con 
tutto  ciò,  era  rimasto  non  meno  inviolato  di  quando  teneva 
armate,  per  la  sua  sicurezza,  tante  braccia  e  il  suo.  La  ri- 
membranza dell'  antica  ferocia,  e  la  vista  della  mansuetudine 
presente,  una,  che  doveva  aver  lasciati  tanti  desidèri  di  ven- 
detta, 1'  altra  che  la  rendeva  tanto  agevole,  cospiravano  in- 
vece a  procacciargli  e  a  mantenergli  un'  ammirazione,  che  gli 
serviva  principalmente  di  salvaguardia.    Era  quell'  uomo   che 


376  I   PROMESSI    SPOSI. 

nessuno  aveva  potuto  umiliare,  e  che  s'  era  umiliato  da  sé. 

I  rancori,  irritati  altre  volte  dal  suo  disprezzo  e  dalla  paura 
degli  altri,  si  dileguavano  ora  davanti  a  quella  nuova  umiltà; 
gli  offesi  avevano  ottenuta,  contro  ogni  aspettativa,  e  senza 
pericolo,  una  soddisfazione  che  non  avrebbero  potuta  promet- 
tersi dalla  più  fortunata  vendetta,  la  soddisfazione  di  vedere 
un  tal  uomo  pentito  de'  suoi  torti,  e  partecipe,  per  dir  così, 
della  loro  indegnazione.  Molti,  il  cui  dispiacere  più  amaro  e 
più  intenso  era  stato  per  molf'  anni,  di  non  veder  probabilità 
di  trovarsi  in  nessun  caso  più  forti  di  colui,  per  ricattarsi  di 
qualche  gran  torto;  incontrandolo  poi  solo,  disarmato,  e  in 
atto  di  chi  non  farebbe  resistenza,  non  s' eran  sentiti  altro 
impulso  che  di  fargli  dimostrazioni  d' onore.  In  quell'  ab- 
bassamento volontario,  la  sua  presenza  e  il  suo  contegno 
avevano  acquistato,  senza  che  lui  lo  sapesse ,  un  non  so  che 
di  più  alto  e  di  più  nobile:  perchè  ci  si  vedeva,  ancor  me- 
glio di  prima,  la  noncuranza  d'  ogni  pericolo.  Gli  odi,  anche 
i  più  rozzi  e  rabbiosi,  si  sentivano  come  legati  e  tenuti  in 
rispetto  dalla  venerazione  pubblica  per  Y  uomo  penitente  e 
benefico.  Questo  era  tale,  che  spesso  queir  uomo  si  trovava 
impicciato  a  schermirsi  dalle  dimostrazioni  che  gliene  venivan 
fatte,  e  doveva  star  attento  a  non  lasciar  troppo  trasparire 
nel  volto  e  negli  atti  il  sentimento  interno  di  compunzione,  a 
non  abbassarsi  troppo,  per  non  esser  troppo  esaltato.  S'  era 
scelto  nella  chiesa  l'ultimo  luogo;  e  non  c'era  pericolo  che 
nessuno  glielo  prendesse:  sarebbe  stato  come  usurpare  un 
posto  d'onore.  Offender  poi  quell'uomo,  o  anche  trattarlo 
con  poco  riguardo,  poteva  parere  non  tanto  un'insolenza  e 
una  viltà,  quanto  un  sacrilegio:  e  quelli  stessi  a  cui  questo 
sentimento  degli  altri  poteva  servir  di  ritegno,  ne  partecipa- 
vano anche  loro,  più  o  meno. 

Queste  medesime  ed  altre  cagioni,  allontanavano  pure  da 
lui  le  vendette  della  forza  pubblica,  gli  procuravano,  anche 
da  questa  parte,  la  sicurezza  della  quale  non  si  dava  pensiero. 

II  grado  e  le  parentele,  che  in  ogni  tempo  gli  erano  state  di 
qualche  difesa,  tanto  più  valevano  per  lui,  ora  che  a  quel 
nome  già  illustre  e  infame ,  andava  aggiunta  la  lode  d' una 
condotta  esemplare,  la  gloria  della  conversione.  I  magistrati 
e  i  grandi  s'  eran  rallegrati  di  questa,  pubblicamente  come  il 
popolo;  e  sarebbe  parso  strano  l'infierire  contro  chi  era  stato 
soggetto  di  tante  congratulazioni.  Oltre  di  ciò,  un  potere  oc- 
cupato in  una  guerra  perpetua,  e  spesso  infelice,  contro  ribel- 
lioni vive  e  rinascenti,  poteva  trovarsi  abbastanza  contento 
d'  esser  liberato  dalla  più  indomabile  e  molesta,  per  non  an- 
dar a  cercar  altro;  tanto  più,  che  quella  conversione  produ- 
ceva riparazioni  che  non  era  avvezzo  ad  ottenere,  e  nemmeno 
a  richiedere.  Tormentare  un  santo,  non  pareva  un  buon  mezzo 


CAPITOLO    XXIX.  377 

di  cancellar  la  vergogna  di  non  aver  saputo  fare  stare  a  do- 
vere un  facinoroso  :  e  1'  esempio  che  si  fosse  dato  col  punirlo, 
non  avrebbe  potuto  aver  altro  effetto,  che  di  stornare  i  suoi 
simili  dal  divenire  inoffensivi.  Probabilmente  anche  la  parte 
che  il  cardinal  Federigo  aveva  avuta  nella  conversione,  e  il  suo 
nome  associato  a  quello  del  convertito,  servivano  a  questo 
come  d'  uno  scudo  sacro.  E  in  quello  stato  di  cose  e  d' idee, 
in  quelle  singolari  relazioni  dell'  autorità  spirituale  e  del  po- 
ter civile,  eh'  eran  così  spesso  alle  prese  tra  loro,  senza  mi- 
rar mai  a  distruggersi,  anzi  mischiando  sempre  alle  ostilità 
atti  di  riconoscimento  e  proteste  di  deferenza,  e  che,  spesso 
pure,  andavan  di  conserva  a  un  fine  comune,  senza  far  mai 
pace,  potè  parere,  in  certa  maniera,  che  la  riconciliazione 
della  prima  portasse  con  sé  1'  oblivione,  se  non  1'  assoluzione 
del  secondo,  quando  quella  s'  era  sola  adoprata  a  produrre 
un  effetto  voluto  da  tutt'  e  due. 

Così  queir  uomo  sul  quale,  se  fosse  caduto,  sarebbero 
corsi  a  gara  grandi  e  piccoli  a  calpestarlo:  messosi  volonta- 
riamente a  terra,  veniva  risparmiato  da  tutti,  e  inchinato  da 
molti. 

È  vero  eh'  eran  molti  anche  a  cui  quella  strepitosa  muta- 
zione dovette  far  tutt'  altro  che  piacere:  tanti  esecutori  sti- 
pendiati di  delitti,  tanti  compagni  nel  delitto,  che  perdevano 
una  così  gran  forza  sulla  quale  erano  avvezzi  a  fare  assegna- 
mento, che  anche  si  trovavano  a  un  tratto  rotti  i  fili  di  trame 
ordite  da  un  pezzo,  nel  momento  forse  che  aspettavano  la 
nuova  dell'  esecuzione,  ma  già  abbiam  veduto  quali  diversi 
sentimenti  quella  conversione  facesse  nascere  negli  sgherri 
che  si  trovavano  allora  con  lui,  e  che  la  sentirono  annunziare 
dalla  sua  bocca:  stupore,  dolore,  abbattimento,  stizza;  un  po' 
di  tutto,  fuorché  disprezzo  né  odio.  Lo  stesso  accadde  agli 
altri  che  teneva  sparsi  in  diversi  posti,  lo  stesso  a' complici 
di  più  alto  affare,  quando  riseppero  la  terribile  nuova,  e  a 
tutti  per  le  cagioni  medesime.  Molt'  odio,  come  trovo  nel  luo- 
go, altrove  citato,  del  Ripamonti,  ne  venne  piuttosto  al  car- 
dinal Federigo.  Riguardavan  questo  come  uno  che  s'  era  mi- 
schiato ne' loro  affari,  per  guastarli;  l'innominato  aveva  vo- 
luto salvar  l'anima  sua,  nessuno  aveva  ragion  di  lagnarsene. 

Di  mano  in  mano  poi,  la  più  parte  degli  sgherri  di  casa, 
non  potendo  accomodarsi  alla  nuova  disciplina,  né  vedendo 
probabilità  che  s'avesse  a  mutare,  se  n'erano  andati.  Chi 
avrà  cercato  altro  padrone,  e  fors'  anche  fra  gli  antichi  amici 
di  quello  che  lasciava;  chi  si  sarà  arrolato  in  qualche  terzo, 
come  allora  dicevano,  di  Spagna  o  di  Mantova,  o  di  qualche 
altra  parte  belligerante;  chi  si  sarà  messo  alla  strada,  per 
far  la  guerra  a  minuto,  e  per  conto  suo;  chi  si  sarà  anche 
contentato   d' andar  birboneggiando   in    libertà.     E    il   simile 


378  I   PKOMESSI    SPOSI. 

avranno  fatto  quegli  altri  che  stavano  prima  a'  suoi  ordini,  in 
diversi  paesi.  Di  quelli  poi  che  s"  eran  potuti  avvezzare  al 
nuovo  tenor  di  vita,  o  che  lo  avevano  abbracciato  volentieri, 
i  più,  nativi  della  valle,  eran  tornati  ai  campi,  o  ai  mestieri 
imparati  nella  prima  età,  e  poi  abbandonati;  i  forestieri  eran 
rimasti  nel  castello,  come  servitori:  gli  uni  e  gli  altri,  quasi 
ribenedetti  nello  stesso  tempo  che  il  loro  padrone,  se  la  pas- 
savano, al  par  di  lui,  senza  fare  né  ricever  torti,  inermi  e 
rispettati. 

Ma  quando,  al  calar  delle  bande  alemanne,  alcuni  fuggia- 
schi di  paesi  invasi  o  minacciati  capitarono  su  al  castello  a 
chieder  ricovero,  V  innominato,  tutto  contento  che  quelle  sue 
mura  fossero  cercate  come  asilo  da'  deboli,  che  per  tanto 
tempo  le  avevan  guardate  da  lontano  come  un  enorme  spau- 
racchio, accolse  quegli  sbandati,  con  espressione  piuttosto  di 
riconoscenza  che  di  cortesia;  fece  sparger  la  voce,  che  la  sua 
casa  sarebbe  aperta  a  chiunque  ci  si  volesse  rifugiare,  e  pen- 
sò subito  a  mettere,  non  solo  questa,  ma  anche  la  valle,  in 
istato  di  difesa,  se  mai  lanzichenecchi  o  cappelletti  volessero 
provarsi  di  venirci  a  far  delle  loro.  Radunò  i  servitori  che 
gli  eran  rimasti,  pochi  e  valenti,  come  i  versi  di  Torti;  fece 
loro  una  parlata  sulla  buona  occasione  che  Dio  dava  a  loro 
e  a  lui,  d'impiegarsi  una  volta  in  aiuto  del  prossimo,  che 
avevan  tanto  oppresso  e  spaventato;  e,  con  quel  tono  natu- 
rale di  comando,  ch'esprimeva  la  certezza  dell'ubbidienza, 
annunziò  loro  in  generale  ciò  che  intendeva  che  facessero,  e 
soprattutto  prescrisse  come  dovessero  contenersi,  perchè  la 
gente  che  veniva  a  ricoverarsi  lassù,  non  vedesse  in  loro  che 
amici  e  difensori.  Fece  poi  portar  giù  da  una  stanza  a  tetto 
Tarmi  da  fuoco,  da  taglio,  in  asta,  che  da  un  pezzo  stavan 
lì  ammucchiate,  e  gliele  distribuì;  fece  dire  a' suoi  contadini 
e  affittuari  della  valle,  che  chiunque  si  sentiva  buona  voglia, 
venisse  con  armi  al  castello;  a  chi  non  n'  aveva,  ne  diede; 
scelse  alcuni,  che  fossero  come  ufiziali,  e  avessero  altri  sotto 
il  loro  comando;  assegnò  i  posti  ali'  entrature  e  in  altri 
luoghi  della  valle,  sulla  salita ,  alle  porte  del  castello;  stabilì 
1'  ore  e  i  modi  di  dar  la  muta,  come  in  un  campo,  o  come 
già  s'  era  costumato  in  quel  castello  medesimo,  ne'  tempi  della 
sua  vita  disperata. 

In  un  canto  di  quella  stanza  a  tetto,  e'  erano  in  disparte 
P  armi  che  lui  solo  aveva  portate:  quella  sua  famosa  carabina, 
moschetti,  spade,  spadoni,  pistole,  coltellacci,  pugnali,  per 
terra,  o  appoggiati  al  muro.  Nessuno  de' servitori  le  toccò; 
ma  concertarono  di  domandare  al  padrone  quali  voleva  che 
gli  fossero  portate.  «Nessuna.»  rispose:  e,  fosse  voto,  fosse 
proposito,  restò  sempre  disarmato,  alla  testa  di  quella  specie 
di  guarnigione. 


CAPITOLO   XXX.  379 

Nello  stesso  tempo,  aveva  messo  in  moto  altr7  uomini  e 
donne  di  servizio,  o  suoi  dipendenti,  a  preparar  nel  castello 
alloggio  a  quante  più  persone  fosse  possibile,  a  rizzar  letti,  a 
disporre  sacconi  e  strapunti  nelle  stanze,  nelle  sale^  che  di- 
ventavan  dormitòri.  E  aveva  dato  ordine  di  far  venire  prov- 
visioni abbondanti,  per  ispesare  gli  ospiti  che  Dio  gli  mande- 
rebbe, e  i  quali  infatti  andavan  crescendo  di  giorno  in  giorno. 
Lui  intanto  non  istava  mai  fermo;  dentro  e  fuori  del  castello, 
su  e  giù  per  la  salita,  in  giro  per  la  valle,  a  stabilire,  a  rin- 
forzare, a  visitar  posti,  a  vedere,  a  farsi  vedere,  a  mettere  e 
a  tenere  in  regola,  con  le  parole,  con  gli  occhi,  con  la  pre- 
senza. In  casa,  per  la  strada,  faceva  accoglienza  a  quelli  che 
arrivavano;  e  tutti,  o  lo  avessero  già  visto,  o  lo  vedessero  per 
la  prima  volta,  lo  guardavano  estatici,  dimenticando  un  mo- 
mento i  guai  e  timori  che  gli  avevano  spinti  lassù;  e  si  vol- 
tavano a  guardarlo,  quando,  staccatosi  da  loro,  seguitava  la 
sua  strada. 


CAPITOLO  XXX. 

Quantunque  il  concorso  maggiore  non  fosse  dalla  parte  per 
cui  i  nostri  tre  fuggitivi  s'  avvicinavano  alla  valle,  ma  all'  im- 
boccatura opposta,  con  tutto  ciò,  cominciarono  a  trovar  com- 
pagni di  viaggio  e  di  sventura,  che  da  traverse  e  viottole 
erano  sboccati  o  sboccavano  nella  strada.  In  circostanze  si- 
mili, tutti  quelli  che  s' incontrano,  è  come  se  si  conoscessero. 
Ogni  volta  che  il  baroccio  aveva  raggiunto  qualche  pedone, 
si  barattavan  domande  e  risposte.  Chi  era  scappato,  come  i 
nostri,  senza  aspettar  l'arrivo  de' soldati;  chi  aveva  sentiti  i 
tamburi  o  le  trombe;  chi  aveva  visti  coloro,  e  li  dipingeva 
come  gli  spaventati  soglion  dipingere. 

«Siamo  ancora  fortunati,»  dicevan  le  due  donne:  «rin- 
graziamo il  cielo.  Vada  la  roba;  ma  almeno  siamo  in 
salvo.» 

Ma  don  Abbondio  non  trovava  che  ci  fosse  tanto  da  ralle- 
grarsi; anzi  quel  concorso,  e  più  ancora  il  maggiore  che  sen- 
tiva esserci  dall'  altra  parte,  cominciava  a  dargli  ombra.  «Oh 
che  storia!»  borbottava  alle  donne,  in  un  momento  che  non 
c'era  nessuno  d'intorno:  «oh  che  storia!  Non  capite,  che 
radunarsi  tanta  gente  in  un  luogo  è  lo  stesso  che  volerci  ti- 
rare i  soldati  per  forza?  Tutti  nascondono,  tutti  portan 
via;  nelle  case  non  resta  nulla;  crederanno  che  lassù  ci  siano 
tesori.  Ci  vengono  sicuro.  Oh  povero  me!  dove  mi  sono  im- 
barcato !» 


380  1   PROMESSI   SPOSI. 

«Oh!  voglion  far  altro  che  venir  lassù,»  diceva  Perpe- 
tua: «anche  loro  devono  andar  per  la  loro  strada.  E  poi, 
io  ho  sempre  sentito  dire  che,  ne' pericoli,  è  meglio  essere 
in  molti.» 

«In  molti?  in  molti?»  replicava  don  Abbondio:  «povera 
donna!  Non  sapete  che  ogni  lanzichenecco  ne  mangia  cento 
di  costoro?  E  poi,  se  volessero  far  delie  pazzie,  sarebbe  un 
bel  gusto,  eh?  di  trovarsi  in  una  battaglia.  Oh  povero  me! 
Era  meno  male    andar   su  per  i  monti.     Che  abbian  tutti  a 

voler  cacciarsi  in  un  luogo! Seccatori!»  borbottava  poir 

a  voce  più  bassa:  «tutti  qui:  e  via,  e  via;  l'uno  dietro  l'al- 
tro, come  pecore  senza  ragione.» 

«A  questo  modo,»  disse  Agnese,  «anche  loro  potrebbero 
dir  lo  stesso  di  noi.» 

«Chetatevi  un  po',»  disse  don  Abbondio:  «che  già  le 
chiacchiere  non  servono  a  nulla.  Quel  che  è  fatto  è  fatto: 
ci  siamo,  bisogna  starci.  Sarà  quel  che  vorrà  la  Provviden- 
za: il  cielo  ce  la  mandi  buona.» 

Ma  fu  ben  peggio  quando,  all'  entrata  della  valle,  vide  un 
buon  posto  d'armati,  parte  sull'uscio  d*  una  casa,  e  parte 
nelle  stanze  terrene:  pareva  una  caserma.  Li  guardò  con  la- 
coda  dell'  occhio:  non  eran  quelle  facce  che  gli  era  toccato 
a  vedere  nell'  altra  dolorosa  sua  gita,  o  se  ce  n'  era  di  quelle, 
erano  ben  cambiate;  ma  con  tutto  ciò,  non  si  può  dire  che 
noia  gli  desse  quella  vista.  —  Oh  povero  me!  —  pensava:  — 
ecco  se  le  fanno  le  pazzie.  Già  non  poteva  essere  altrimenti: 
me  lo  sarei  dovuto  aspettare  da  un  uomo  di  quella  qualità. 
Ma  cosa  vuol  fare?  vuol  far  la  guerra?  vuol  fare  il  re,  lui? 
Oh  povero  me  !  In  circostanze  che  si  vorrebbe  potersi  na- 
scondere sotto  terra,  e  costui  cerca  ogni  maniera  di  farsi  scor- 
gere, di  dar  nell'occhio;  par  che  li  voglia  invitare!  — 

«Vede  ora,  signor  padrone,»  gli  disse  Perpetua,  «se  c'è 
della  brava  gente  qui,  che  ci  saprà  difendere.  Tengano  ora 
i  soldati:  qui  non  sono  come  que'  nostri  spauriti,  che  non 
sono  buoni  che  a  menar  le  gambe.» 

«Zitta!»  rispose,  con  voce  bassa  ma  iraconda,  don  Ab- 
bondio; «zitta!  che  non  sapete  quel  che  vi  dite.  Pregate  il 
cielo  che  abbian  fretta  i  soldati,  o  che  non  vengano  a  sapere 
le  cose  che  si  fanno  qui,  e  che  si  mette  all'ordine  questo 
luogo  come  una  fortezza.  Non  sapete  che  i  soldati  è  il  loro 
mestiere  di  prender  le  fortezze?  Non  cercan  altro;  per  loro, 
dare  un  assalto  è  come  andare  a  nozze;  perchè  tutto  quel 
che  trovano  è  per  loro,  e  passano  la  gente  a  fil  di  spada.  Oh 
povero  me!  Basta,  vedrò  se  ci  sarà  maniera  di  mettersi  in 
salvo  su  per  queste  balze.  In  una  battaglia  non  mi  ci  col- 
gono: oh!  in  una  battaglia  non  mi  ci  colgono.» 

«Se    ha   poi  paura  anche   d'esser    difeso    e  aiutato....» 


CAPITOLO    XXX.  381 

ricominciava  Perpetua;  ma  don  Abbondio  P  interruppe  aspra- 
mente, sempre  però  a  voce  bassa:  «zitta!  E  badate  bene  di 
non  riportare  questi  discorsi.  Ricordatevi  che  qui  bisogna 
far  sempre  viso  ridente,  e  approvare  tutto  quel  che  si  vede.» 

Alla  Malanotte,  trovarono  un  altro  picchetto  d'  armati,  ai 
quali  don  Abbondio  fece  una  scappellata,  dicendo  intanto  tra 
sé:  —  oimè,  oimè:  son  proprio  venuto  in  un  accampamento! 
Qui  il  baroccio  si  fermò:  ne  scesero;  don  Abbondio  pagò  in 
fretta,  e  licenziò  il  condottiere;  e  s'incamminò  con  le  due 
compagne  per  la  salita,  senza  far  parola.  La  vista  di  que' 
luoghi  gli  andava  risvegliando  nella  fantasia,  e  mescolando 
all'  angosce  presenti,  la  rimembranza  di  quelle  che  vi  aveva 
sofferte  V  altra  volta.  E  Agnese,  la  quale  non  gli  aveva  mai 
visti  que'  luoghi,  e  se  n'  era  fatta  in  mente  una  pittura  fan- 
tastica che  le  si  rappresentava  ogni  volta  che  pensava  al  viag- 
gio spaventoso  di  Lucia,  vedendoli  ora  quali  eran  davvero, 
provava  come  un  nuovo  e  più  vivo  sentimento  di  quelle  cru- 
deli memorie.  «Oh  signor  curato!»  esclamò:  «a  pensare 
che  la  mia  povera  Lucia  è  passata  per  questa  strada  !» 

«Volete  star  zitta?  donna  senza  giudizio!»  le  gridò  in  un 
orecchio  don  Abbondio:  «son  discorsi  codesti  da  farsi  qui? 
Non  sapete  che  siamo  in  casa  sua?  Fortuna  che  ora  nessun 
vi  sente;  ma  se  parlate  in  questa  maniera  . . .  .» 

«Oh!»  disse  Agnese:  «ora  che  è  santo  ....!» 

«State  zitta,»  le  replicò  don  Abbondio:  «credete  voi  che 
ai  santi  si  possa  dire,  senza  riguardo,  tutto  ciò  che  passa  per 
la  mente?  Pensate  piuttosto  a  ringraziarlo  del  bene  che  v"  ha 
fatto.» 

«Oh!  per  questo,  ci  avevo  già  pensato:  che  crede  che  non 
le  sappia  un  pochino  le  creanze?» 

«La  creanza  è  di  non  dir  le  cose  che  posson  dispiacere, 
specialmente  a  chi  non  è  avvezzo  a  sentirne.  E  intendetela 
bene  tutt'  e  due,  che  qui  non  è  luogo  da  far  pettegolezzi,  e 
da  dir  tutto  quello  che  vi  può  venire  in  testa.  È  casa  d'  un 
gran  signore,  già  lo  sapete:  vedete  che  compagnia  e'  è  d'in- 
torno: ci  vien  gente  di  tutte  le  sorte:  sicché,  giudizio,  se  po- 
tete: pesar  le  parole,  e  soprattutto  dirne  poche,  e  solo  quan- 
do e'  è  necessità;  che  a  stare  zitti  non  si  sbaglia  mai.» 

«Fa  peggio  lei  con  tutte  codeste  sue  .  .  .  .»  riprendeva 
Perpetua. 

Ma:  «zitta!»  gridò  sottovoce  don  Abbondio,  e  insieme  si 
levò  il  cappello  in  fretta,  e  fece  un  profondo  inchino,  che, 
guardando  in  su,  aveva  visto  V  innominato  scender  verso  di 
loro.  Anche  questo  aveva  visto  e  riconosciuto  don  Abbondio; 
e  affrettava  il  passo  per  andargli  incontro. 

«Signor  curato,»  disse,  quando  gli  fu  vicino,  «avrei  vo- 
luto   offrirle    la    mia    casa  in   miglior   occasione;   ma,  a  ogni 


382  I   PROMESSI    SPOSI. 

modo,   son   ben   contento    di   poterle   esser  utile  in   qualche 
cosa.» 

«Confidato  nella  gran  bontà  di  vossignoria  illustrissima,» 
rispose  don  Abbondio,  «mi  son  preso  l'ardire  di  venire,  in 
queste  triste  circostanze,  a  incomodarla:  e,  come  vede  vossi- 
gnoria illustrissima,  mi  son  preso  anche  la  libertà  di  menar 
compagnia.     Questa  è  la  mia  governante  .  .  .  .» 

«Benvenuta,»  disse  Y  innominato. 

«E  questa.»  continuò  don  Abbondio,  «è  una  donna  a  cui 
vossignoria  ha  già  fatto  del  bene:  la  madre  di  quella  ....  di 
quella  ....  » 

«Di  Lucia,»  disse  Agnese. 

«Di  Lucia!»)  esclamò  l'innominato,  voltandosi,  con  la  te- 
sta bassa,  ad  Agnese.  «Del  bene,  io!  Dio  immortale!  Voi, 
mi  fate  del  bene,  a  venir  qui  ....  da  me  ...  .  in  questa  casa. 
Siate  la    benvenuta.     Voi  ci  portate  la  benedizione.» 

«Oh  giusto!»  disse  Agnese:  «vengo  a  incomodarla.  An- 
zi,» continuò  avvicinandosegli  all'orecchio,  «ho  anche  a  rin- 
graziarla   » 

L'innominato  troncò  quelle  parole,  domandando  premu- 
rosamente le  nuove  di  Lucia;  e  sapute  che  l'ebbe,  si  voltò 
per  accompagnare  al  castello  i  nuovi  ospiti,  come  fece,  mal- 
grado la  loro  resistenza  cerimoniosa.  Agnese  diede  al  curato 
un'  occhiata  che  voleva  dire  :  veda  un  poco  se  e'  è  bisogno 
che  lei  entri  di  mezzo  tra  noi  due  a  dar  pareri. 

«Sono  arrivati  alla  sua  parrocchia?»  gli  domandò  l'in- 
nominato. 

«Xo,  signore,  che  non  gli  ho  voluti  aspettare  que'  dia- 
voli.» rispose  don  Abbondio.  «Sa  il  cielo  se  avrei  potuto 
uscir  vivo  dalle  loro  mani,  e  venire  a  incomodare  vossignoria 
illustrissima.» 

«Bene,  si  faccia  coraggio,»  riprese  l'innominato:  «che 
ora  è  in  sicuro.  Qua  su  non  verranno,  e  se  si  volessero  pro- 
vare, siam  pronti  a  riceverli.» 

«Speriamo  che  non  vengano,»  disse  don  Abbondio.  «E 
sento,»  soggiunse,  accennando  col  dito  i  monti  che  chiude- 
vano la  valle  di  rimpetto,  «sento  che,  anche  da  quella  parte, 
giri  un'  altra  masnada  di  gente,  ma ma » 

«È  vero,»  rispose  l'innominato:  «ma  non  dubiti,  che 
siam  pronti  anche  per  loro.» 

—  Tra  due  fuochi,  —  diceva  tra  se  don  Abbondio:  — 
proprio  tra  due  fuochi.  Dove  mi  son  lasciato  tirare!  e  da 
due  pettegole?  E  costui  par  proprio  che  ci  sguazzi  dentro! 
Oh  che  gente  e'  è  a  questo  mondo.  — 

Entrati  nel  castello,  il  signore  fece  condurre  Agnese  e  Per- 
petua in  una  stanza  del  quartiere  assegnato  alle  donne,  che 
occupava  tre  lati  del  secondo   cortile,  nella  parte  posteriore 


CAPITOLO    XXX.  383 

dell'  edifìzio  situata  sur  un  masso  sporgente  e  isolato,  a  cava- 
liere a  un  precipizio.  Gli  uomini  alloggiavano  ne'  lati  del- 
l' altro  cortile  a  destra  e  a  sinistra,  e  in  quello  che  rispon- 
deva sulla  spianata.  Il  corpo  di  mezzo  che  separava  i  due 
cortili,  e  dava  passaggio  dall'  uno  all'  altro  per  un  vasto  an- 
dito di  rimpetto  alla  porta  principale,  era  in  parte  occupato 
dalle  provvisioni,  e  in  parte  doveva  servir  di  deposito  per  la 
roba  che  i  rifugiati  volessero  mettere  in  salvo  lassù.  Nel 
quartiere  degli  uomini,  e'  erano  alcune  camere  destinate  agli 
ecclesiastici,  che  potessero  capitare.  L'innominato  v'accom- 
pagnò in  persona  don  Abbondio,  che  fu  il  primo  a  prenderne 
il  possesso. 

Ventitré  o  ventiquattro  giorni  stettero  i  nostri  fuggitivi  nel 
castello,  in  mezzo  a  un  movimento  continuo,  in  una  gran  com- 
pagnia, e  che  ne'  primi  tempi,  andò  sempre  crescendo;  ma 
senza  che  accadesse  nulla  di  straordinario.  Non  passò  forse 
giorno,  che  non  si  desse  all'  armi.  Yengon  lanzichenecchi 
di  qua;  si  son  veduti  cappelletti  di  là.  A  ogni  avviso,  l'in- 
nominato mandava  uomini  a  esplorare  e,  se  faceva  bisogno, 
prendeva  con  sé  della  gente  che  teneva  sempre  pronta  a  ciò, 
e  andava  con  essa  fuor  della  valle,  dalla  parte  dov'  era  in- 
dicato il  pericolo.  Ed  era  cosa  singolare,  vedere  una  schiera 
d'  uomini  armati  da  capo  a  piedi,  schierati  come  una  truppa, 
condotti  da  un  uomo  senz'  armi.  Le  più  volte  non  erano  che 
foraggieri  e  saccheggiatori  sbandati,  che  se  n'  andavano  pri- 
ma d'  esser  sorpresi.  Ma  una  volta,  cacciando  alcuni  di 
costoro,  per  insegnar  loro  a  non  venir  più  da  quelle  parti, 
l' innominato  ricevette  avviso  che  un  paesetto  vicino  era  in- 
vaso e  messo  a  sacco.  Erano  lanzichenecchi  di  vari  corpi 
che  rimasti  indietro  per  rubare,  s' eran  riuniti,  e  andavano 
a  gettarsi  all'  improvviso  sulle  terre  vicine  a  quelle  dove  al- 
loggiava l'esercito;  spogliavano  gli  abitanti,  e  gliene  facevan 
di  tutte  le  sorte.  L' innominato  fece  un  breve  discorso  a'  suoi 
uomini,  e  li  condusse  al  paesetto. 

Arrivarono  inaspettati.  I  ribaldi  che  avevan  creduto  di 
non  andar  che  alla  preda,  vedendosi  venire  addosso  gente 
schierata  e  pronta  a  combattere,  lasciarono  il  saccheggio  a 
mezzo,  e  se  n'andarono  in  fretta,  senz'aspettarsi  l'uno  con 
1'  altro ,  dalla  parte  dond'  eran  venuti.  L' innominato  gì'  in- 
seguì per  un  pezzo  di  strada;  poi  fatto  far  alto,  stette  qual- 
che tempo  aspettando,  se  vedesse  qualche  novità;  e  finalmente 
se  ne  ritornò.  E  ripassando  nel  paesetto  salvato,  non  si  po- 
trebbe dire  con  quali  applausi  e  benedizioni  fosse  accompa- 
gnato il  drappello  liberatore  e  il  condottiero. 

Nel  castello,  tra  quella  moltitudine,  formata  a  caso,  di 
persone,  varie  di  condizione,  di  costumi,  di  sesso  e  d'  età, 
non    nacque    mai  alcun  disordine    d' importanza.    L' innomi- 


384:  I   PROMESSI    SPOSI. 

nato  aveva  messe  guardie  in  diversi  luoghi,  le  quali  tutte  in- 
vigilavano che  non  seguisse  nessun  inconveniente,  con  quella 
premura  che  ognuno  metteva  nelle  cose  di  cui  s' avesse  a 
rendergli  conto. 

Aveva  poi  pregati  gli  ecclesiastici,  e  gli  uomini  più  auto- 
revoli che  si  trovavan  tra  i  ricoverati,  d'andare  in  giro  e 
d' invigilare  anche  loro.  E  più  spesso  che  poteva,  girava  an- 
che lui,  e  si  faceva  veder  per  tutto:  ma,  anche  in  sua  assen- 
za, il  ricordarsi  di  chi  s"  era  in  casa,  serviva  di  freno  a  chi 
ne  potesse  aver  bisogno.  E,  del  resto,  era  tutta  gente  scap- 
pata, e  quindi  inclinata  in  generale  alla  quiete:  i  pensieri 
della  casa  e  della  roba,  per  alcuni  anche  di  congiunti  o 
d'  amici  rimasti  nel  pericolo,  le  nuove  che  venivan  di  fuori, 
abbattendo  gli  animi,  mantenevano  e  accrescevano  sempre  più 
quella  disposizione. 

C'era  però  anche  de' capi  scarichi,  degli  uomini  d'una 
tempra  più  salda  e  d"  un  coraggio  più  verde ,  che  cercavano 
di  passar  que'  giorni  in  allegria.  Avevano  abbandonate  le 
loro  case,  per  non  esser  forti  abbastanza  da  difenderle;  ma 
non  trovavan  gusto  a  piangere  e  a  sospirare  sur  una  cosa 
che  non  e'  era  rimedio,  né  a  figurarsi  e  a  contemplar  con  la 
fantasia  il  guasto  che  vedrebbero  pur  troppo  co'  loro  occhi. 
Famiglie  amiche  erano  andate  di  conserva,  o  s'  eran  ritrovate 
lassù,  s'  eran  fatte  amicizie  nuove:  e  la  folla  s'era  divisa  in 
crocchi,  secondo  gli  umori  e  V  abitudini.  Chi  aveva  danari  e 
discrezione,  andava  a  desinare  giù  nella  valle,  dove  in  quella 
circostanza,  s'  eran  rizzate  in  fretta  osterie:  in  alcune,  i  boc- 
coni erano  alternati  co'  sospiri,  e  non  era  lecito  parlar  d"  al- 
tro che  di  sciagure:  in  altre,  non  si  rammentavan  le  scia- 
gure, se  non  per  dir  che  non  bisognava  pensarci.  A  chi  non 
poteva  o  non  voleva  farsi  le  spese,  si  distribuiva  nel  castello 
pane,  minestra  e  vino:  oltre  alcune  tavole  eh' eran  servite 
ogni  giorno,  per  quelli  che  il  padrone  vi  aveva  espressamente 
invitati:  e  i  nostri  eran  di  questo  numero. 

Agnese  e  Perpetua,  per  non  mangiare  il  pane  a  ufo,  ave- 
van  voluto  essere  impiegate  ne'  servizi  che  richiedeva  una 
così  grande  ospitalità  ;  e  in  questo  spendevano  una  buona 
parte  della  giornata;  il  resto  nel  chiacchierare  con  certe  ami- 
che che  s'  eran  fatte,  o  col  povero  don  Abbondio.  Questo  non 
aveva  nulla  da  fare,  ma  non  s'annoiava  però;  la  paura  gli 
teneva  compagnia.  La  paura  proprio  d'un  assalto,  credo 
che  la  gli  fosse  passata,  o  se  pur  gliene  rimaneva,  era  quella 
che  gli  dava  meno  fastidio;  perchè,  pensandoci  appena  ap- 
pena, doveva  capire  quanto  poco  fosse  fondata.  Ma  1"  imma- 
gine del  paese  circonvicino  inondato,  da  una  parte  e  dall'  al- 
tra, da  soldatacci,  le  armi  e  gli  armati  che  vedeva  sempre  in 
giro,  un  castello,  quel  castello,  il  pensiero  di  tante   cose  che 


CAPITOLO    XXX.  385 

potevan  nascere  ogni  momento  in  tali  circostanze,  tutto  gli  te- 
neva  addosso  uno  spavento  indistinto,  generale,  continuo;  la- 
sciando stare  il  rodio  che  gli  dava  il  pensare  alla  sua  povera 
casa.  In  tutto  il  tempo  che  stette  in  queir  asilo,  non  se  ne 
discostò  mai  quanto  un  tiro  di  schioppo,  né  mai  mise  piede 
sulla  discesa:  l'unica  sua  passeggiata  era  d'uscire  sulla  spia- 
nata, e  d'andare,  quando  da  una  parte  e  quando  dall'altra 
del  castello,  a  guardar  giù  per  le  balze  e  per  i  burroni  per 
istudiare  se  ci  t'osse  qualche  passo  un  po'  praticabile,  qualche 
po' di  sentiero,  per  dove  andar  cercando  un  nascondiglio  in 
caso  d'un  serra  serra.  A  tutti  i  suoi  compagni  di  rifugio 
faceva  gran  riverenze  o  gran  saluti,  ma  bazzicava  con  pochis- 
simi: la  sua  conversazione  più  frequente  era  con  le  due  donne, 
come  abbiam  detto:  con  loro  andava  a  fare  i  suoi  sfoghi, 
a  rischio  che  talvolta  gli  fosse  dato  sulla  voce  da  Perpetua, 
e  che  lo  svergognasse  anche  Agnese.  A  tavola  poi,  dove  stava 
poco  e  parlava  pochissimo,  sentiva  le  nuove  del  terribile 
passaggio,  le  quali  arrivavano  ogni  giorno,  o  di  paese  in  paese 
e  di  bocca  in  bocca,  o  portate  lassù  da  qualcheduno,  che  da 
principio  aveva  voluto  restarsene  a  casa,  e  scappava  in  ulti- 
mo, senza  aver  potuto  salvar  nulla,  e  a  un  bisogno  anche  mal- 
concio: e  in  ogni  giorno  c'era  qualche  nuova  storia  di  scia- 
gura. Alcuni  novellisti  di  professione,  raccoglievan  diligente- 
mente tutte  le  voci,  abburattavan  tutte  le  relazioni,  e  ne  davan 
poi  il  fiore  agli  altri.  Si  disputava  quali  fossero  i  reggimenti 
più  indiavolati,  se  fosse  peggio  la  fanteria  o  la  cavalleria;  si 
ripetevano,  il  meglio  che  si  poteva,  certi  nomi  di  condottieri, 
d'alcuni  si  raccontavan  le  imprese  passate,  si  specifìcavan  le 
stazioni  e  le  marce:  quel  giorno  il  tale  reggimento  si  span- 
deva ne' tali  paesi,  domani  anderebbe  addosso  ai  tali  altri, 
dove  intanto  il  tal  altro  faceva  il  diavolo  e  peggio.  Sopra 
tutto  si  cercava  d' aver  informazioni ,  e  si  teneva  il  conto 
de'  reggimenti  che  passavan  di  mano  in  mano  il  ponte  di 
Lecco,  perchè  quelli  si  potevan  considerare  come  andati,  e 
fuori  veramente  del  paese.  Passano  i  cavalli  di  VTallenstein, 
passano  i  fanti  di  Merode,  passano  i  cavalli  di  Anhalt,  pas- 
sano i  fanti  di  Brandeburgo,  e  poi  i  cavalli  di  Montecuccoli, 
e  poi  quelli  di  Ferrari;  passa  Altringer,  passa  Furstenberg, 
passa  Colloredo;  passano  i  Croati,  passa  Torquato  Conti,  pas- 
sano altri  e  altri;  quando  piacque  al  cielo,  passò  anche  Ga- 
lasso, che  fu  l'ultimo.  Lo  squadron  volante  de' Veneziani 
finì  d'allontanarsi,  e  tutto  il  paese,  a  destra  e  a  sinistra,  si 
trovò  libero  anch'  esso.  Già  quelli  delle  terre  invase  e  sgom- 
brate le  prime,  eran  partiti  dal  castello;  e  ogni  giorno  ne  par- 
tiva: come,  dopo  un  temporale  d'autunno,  si  vede  dai  palchi 
fronzuti  d' un  grand'  albero  uscire  da  ogni  parte  gli  uccelli 
che  ci  s'  erano  riparati.     Credo  che  i  nostri  tre  fossero  gli 

Manzoni.  25 


356  I   PROMESSI    SPOSI. 

ultimi  ad  andarsene;  e  ciò  per  volere  di  don  Abbondio,  il 
quale  temeva,  se  si  tornasse  subito  a  casa,  di  trovare  ancora 
in  giro  lanzichenecchi  rimasti  indietro  sbrancati,  in  coda 
all'  esercito.  Perpetua  ebbe  un  bel  dire  che,  quanto  più  s' in- 
dugiava, tanto  più  si  dava  agio  ai  birboni  del  paese  d'  entrare 
in  casa  a  portar  via  il  resto;  quando  si  trattava  d'assicurar 
la  pelle,  era  sempre  don  Abbondio  che  la  vinceva;  meno  che 
V  imminenza  del  pericolo  non  gli  avesse  fatto  perdere  affatto 
la  testa. 

Il  giorno  fissato  per  la  partenza,  l' innominato  fece  trovar 
pronta  alla  Malanotte  una  carrozza ,  nella  quale  aveva  già 
fatto  mettere  un  corredo  di  biancheria  per  Agnese.  E  tiratala 
in  disparte,  le  fece  anche  accettare  un  gruppetto  di  scudi, 
per  riparare  al  guasto  che  troverebbe  in  casa;  quantunque 
battendo  la  mano  sul  petto,  essa  andasse  ripetendo  che  ne 
aveva  lì  ancora  de' vecchi. 

«Quando  vedrete  quella  vostra  buona,  povera  Lucia  . .  .  .  » 
le  disse  in  ultimo:  «già  son  certo  che  prega  per  me,  poiché 
le  ho  fatto  tanto  male  :  ditele  adunque  eh'  io  la  ringrazio,  e 
confido  in  Dio,  che  la  sua  preghiera  tornerà  anche  in  tanta 
benedizione  per  lei.» 

Volle  poi  accompagnar  tutti  e  tre  gli  ospiti,  fino  alla  car- 
rozza. I  ringraziamenti  umili  e  sviscerati  di  don  Abbondio 
e  i  complimenti  di  Perpetua,  se  gl'immagini  il  lettore.  Par- 
tirono; fecero,  secondo  il  fissato,  una  fermatina,  ma  senza 
neppur  mettersi  a  sedere,  nella  casa  del  sarto,  dove  sentirono 
raccontar  cento  cose  del  passaggio;  la  solita  storia  di  ruberie, 
di  percosse,  di  sperpero,  di  sporchizie:  ma  lì,  per  buona 
sorte,  non  s'  eran  visti  lanzichenecchi. 

«Ah  signor  curato!»  disse  il  sarto,  dandogli  di  braccio  a 
rimontare  in  carrozza:  «  s' ha  da  far  de' libri  in  istampa, 
sopra  un  fracasso  di  questa  sorte.» 

Dopo  un  altro  po' di  strada,  cominciarono  i  nostri  viag- 
giatori a  veder  co'  loro  occhi  qualche  cosa  di  quello  che  ave- 
van  tanto  sentito  descrivere:  vigne  spogliate,  non  come  dalla 
vendemmia,  ma  come  dalla  grandine  e  dalla  bufera  che  fos- 
sero venute  in  compagnia:  tralci  a  terra,  sfrondati  e  scom- 
pigliati: strappati  i  pali,  calpestato  il  terreno,  e  sparso  di 
schegge,  di  foglie,  di  sterpi;  schiantati,  scapezzati  gli  alberi; 
Eforacchiate  le  siepi:  i  cancelli  portati  via.  Ne"  paesi  poi, 
usci  sfondati,  impannate  lacere,  rottami  d'ogni  sorte,  cenci 
a  mucchi,  o  seminati  per  le  strade;  un'aria  pesante,  zaffate 
di  puzzo  più  forte  che  uscivan  dalle  case;  la  gente,  chi  a 
buttar  fuori  porcherie,  chi  a  raccomodar  le  imposte  alla  me- 
glio, chi  in  crocchio  a  lamentarsi  insieme;   e,  al  passar  della 


CAPITOLO   XXX.  387 

carrozza,  mani  di  qua  e  di  là  tese  agli  sportelli,  per  chieder 
1'  elemosina. 

Con  queste  immagini,  ora  davanti  agli  occhi,  ora  nella 
mente,  e  con  l'aspettativa  di  trovare  altrettanto  a  casa  loro, 
ci  arrivarono;  e  trovarono  infatti  quello  che  s'aspettavano. 

Agnese  fece  posare  i  fagotti  in  un  canto  del  cortiletto, 
ch'era  rimasto  il  luogo  più  pulito  della  casa;  si  mise  poi  a 
spazzarla,  a  raccogliere  e  a  rigovernare  quella  poca  roba  che 
le  avevan  lasciata;  fece  venir  un  legnatolo  e  un  fabbro,  per 
riparare  i  guasti  più  grossi,  e  guardando  poi,  capo  per  capo, 
la  biancheria  regalata,  e  contando  que' nuovi  ruspi,  diceva 
tra  sé:  —  son  caduta  in  piedi;  sia  ringraziato  Iddio  e  la  Ma- 
donna e  quel  buon  signore:  posso  proprio  dire  d'esser  ca- 
duta in  piedi.  — 

Don  Abbondio  e  Perpetua  entrano  in  casa,  senza  aiuto  di 
chiavi;  ogni  passo  che  fanno  nell'  andito,  senton  crescere  un 
tanfo,  un  veleno,  una  peste,  che  li  respinge  indietro;  con  la 
mano  al  naso,  vanno  all'uscio  di  cucina,  entrano  in  punta  di 
piedi,  studiando  dove  metterli,  per  iscansar  più  che  possono 
la  porcheria  che  copre  il  pavimento;  e  danno  un'occhiata  in 
giro.  Non  e'  era  nulla  d' intero  ;  ma  avanzi  e  frammenti  di 
quel  che  e'  era  stato,  lì  e  altrove,  se  ne  vedeva  in  ogni  canto: 
piume  e  penne  delle  galline  di  Perpetua,  pezzi  di  biancheria, 
fogli  de' calendari  di  don  Abbondio,  cocci  di  pentole  e  di 
piatti;  tutto  insieme  o  sparpagliato.  Solo  nel  focolare  si  po- 
tevan  vedere  i  segni  d'  un  vasto  saccheggio  accozzati  insieme, 
come  molte  idee  sottintese,  in  un  periodo  steso  da  un  uomo 
di  garbo.  C  era,  dico,  un  rimasuglio  di  tizzi  e  tizzoni  spenti, 
i  quali  mostravano  d'essere  stati,  un  bracciolo  di  seggiola, 
un  piede  di  tavola,  uno  sportello  d'armadio,  una  panca  di 
letto,  una  doga  della  botticina,  dove  ci  stava  il  vino  che 
rimetteva  lo  stomaco  a  don  Abbondio.  Il  resto  era  cenere  e 
carboni;  e  con  que' carboni  stessi,  i  guastatori,  per  ristoro, 
avevano  scarabocchiati  i  muri  di  figuracce,  ingegnandosi,  con 
certe  berrettine  o  con  certe  cheriche,  e  con  certe  larghe  fac- 
ciole, di  farne  de' preti,  e  mettendo  studio  a  farli  orribili  e 
ridicoli:  intento,  che  per  verità,  non  poteva  andar  fallito  a 
tali  artisti. 

■  Ah  porci!»  esclamò  Perpetua.  «Ah  baroni!»  esclamò 
don  Abbondio;  e,  come  scappando  andaron  fuori,  per  un 
altr' uscio  che  metteva  nell'orto.  Respirarono;  andaron  di- 
viato al  fico;  ma  già  prima  d'arrivarci,  videro  la  terra  smossa, 
e  misero  un  grido  tutt' e  due  insieme;  arrivati,  trovarono 
effettivamente,  invece  del  morto,  la  buca  aperta.  Qui  nacquero 
de' guai:  don  Abbondio  cominciò  a  prenderla  con  Perpetua, 
che  non  avesse  nascosto  bene:  pensate  se  questa  rimase  zitta: 
dopo  ch'ebbero  ben  gridato,  tutt' e  due  col  braccio  teso,  e 

25* 


333  I   PE0MES3I    SPOSI. 

con  l' indice  appuntato  verso  la  buca,  se  ne  tornarono  insieme, 
brontolando.  E  fate  conto  che  per  tutto  trovarono  a  un  di 
presso  la  medesima  cosa.  Penarono  non  so  quanto,  a  far  ri- 
pulire e  smorbare  la  casa,  tanto  più  che,  in  que' giorni ,  era 
difficile  trovar  aiuto;  e  non  so  quanto  dovettero  stare  come 
accampati,  accomodandosi  alla  meglio,  o  alla  peggio,  e  rifa- 
cendo a  poco  a  poco  usci,  mobili,  utensili,  con  danari  pre- 
stati da  Agnese. 

Per  giunta  poi.  quel  disastro  fu  una  semenza  d'  altre  que- 
stioni molto  noiose;  perchè  Perpetua,  a  forza  di  chiedere  e 
domandare,  di  spiare  e  fiutare,  venne  a  saper  di  certo  che 
alcune  masserizie  del  suo  padrone,  credute  preda  o  strazio 
de' soldati,  erano  in  vece  sane  e  salve  in  casa  di  gente  del 
paese;  e  tempestava  il  padrone  che  si  facesse  sentire,  e  ri- 
chiedesse il  suo.  Tasto  più  odioso  non  si  poteva  toccare  per 
don  Abbondio;  giacché  la  sua  roba  era  in  mano  di  birboni, 
cioè  di  quella  specie  di  persone  con  cui  gli  premeva  più  di 
stare  in  pace. 

«Ma  se  non  voglio  saper  nulla  di  queste  cose,»  diceva. 
'Quante  volte  ve  lo  devo  ripetere,  che  quel  che  è  andato  è 
andato?  Ho  da  esser  messo  anche  in  croce,  perchè  m'  è  stata 
spogliata  la  casa?» 

«Se  lo  dico.»  rispondeva  Perpetua,  «che  lei  si  lascerebbe 
cavar  gli  occhi  di  testa.  Rubare  agli  altri  è  peccato,  ma  a 
lei,  è  peccato  non  rubare.» 

cMa  vedete  se  codesti  sono  spropositi  da  dirsi!')  replicava 
don  Abbondio:   ama  volete  stare  zitta?') 

Perpetua  sì  chetava,  ma  non  subito  subito;  e  prendeva 
pretesto  da  tutto  per  riprincipiare.  Tanto  che  il  pover'  uomo 
s'  era  ridotto  a  non  lamentarsi  più,  quando  trovava  mancante 
qualche  cosa,  nel  momento  che  ne  avrebbe  avuto  bisogno; 
perchè,  più  d'una  volta,  gli  era  toccato  a  sentirsi  dire:  *<vada 
a  chiederlo  al  tale  che  l' ha ,  e  non  V  avrebbe  tenuto  fino 
a  quesr  ora,  se  non  avesse  che  fare  con  un  buon  uomo.'; 

Un'altra  e  più  viva  inquietudine  gli  dava  il  sentire,  che 
giornalmente  continuavano  a  passar  soldati  alla  spicciolata, 
come  aveva  troppo  bene  congetturato;  onde  stava  sempre  in 
sospetto  di  vedersene  capitar  qualcheduno  o  anche  una  com- 
pagnia siili'  uscio,  che  aveva  fatto  raccomodare  in  fretta  per  la 
prima  cosa,  e  che  teneva  chiuso  con  gran  cura;  ma,  per  gra- 
zia del  cielo,  ciò  non  avvenne  mai.  ~  Né  però  questi  terrori 
erano  ancora  cessati,  che  un  nuovo  ne  sopraggiunse. 

Ma  qui  lasceremo  da  parte  il  pover' uomo:  si  tratta  ben 
d'altro  che  di  sue  apprensioni  private,  che  de' guai  d'alcuni 
paesi,  che  d*  un  disastro  passeggiero. 


CAPITOLO    XXXI.  389 


CAPITOLO  XXXI. 

La  peste  che  iì  tribunale  della  sanità  aveva  temuto  che 
potesse  entrar  con  le  bande  alemanne  nel  milanese,  e"  era  en- 
trata davvero,  come  è  noto;  ed  è  noto  parimente  che  non  si 
fermò  qui ,  ma  invase  e  spopolò  una  buona  parte  d'  Italia. 
Condotti  dal  filo  della  nostra  storia,  noi  passiamo  a  raccontar 
gli  avvenimenti  principali  di  quella  calamità;  nel  milanese, 
s'intende,  anzi  io  Milano  quasi  esclusivamente:  che  della 
città  quasi  esclusivamente  trattano  le  memorie  del  tempo, 
come  a  un  di  presso  accade  sempre  e  per  tutto,  per  buone  e 
per  cattive  ragioni.  E  in  questo  racconto,  il  nostro  line  non 
è,  per  dir  la  verità,  soltanto  di  rappresentar  lo  stato  delle 
cose  nel  quale  verranno  a  trovarsi  i  nostri  personaggi,  ma  di 
far  conoscere  insieme,  per  quanto  si  può  da  noi.  un  tratto  di 
storia  patria  più  famoso  che  conosciuto. 

Delle  molte  relazioni  contemporanee,  non  ce  n"  è  alcuna 
che  basti  da  sé  a  darne  un'idea  un  po' distinta  e  ordinata; 
cerne  non  ce  n1  è  alcuna  che  non  possa  aiutare  a  formarla. 
In  ognuna  di  queste  relazioni,  senza  eccettuarne  quella  del 
Ripamonti1),  la  quale  le  supera  tutte,  per  la  quantità  e  per 
la  scelta  de"  fatti ,  e  ancor  più  per  il  modo  d'  osservarli ,  in 
ognuna  sono  omessi  fatti  essenziali,  che  son  registrati  in  altre; 
in  ognuna  ci  sono  errori  materiali,  che  si  posson  riconoscere 
e  rettificare  con  l'aiuto  di  qualche  altra,  o  di  que' pochi  atti 
della  pubblica  autorità,  editi  e  inediti,  che  rimangono;  spesso 
in  una  si  vengono  a  trovar  le  cagioni  di  cui  nell'altra  s'  eran 
visti,  come  in  aria,  gli  effetti.  In  tutte  poi  regna  una  strana 
confusione  di  tempi  e  di  cose;  è  un  continuo  andare  e  venire, 
come  alla  ventura,  senza  disegno  generale,  senza  disegno 
ne1  particolari:  carattere,  del  resto,  de' più  comuni  e  de' più 
apparenti  ne' libri  di  quel  tempo,  principalmente  in  quelli 
scritti  in  lingua  volgare,  almeno  in  Italia,  se  anche  nel  resto 
d'Europa,  i  dotti  lo  sapranno,  noi  lo  sospettiamo.  Nessuno 
scrittore  d'  epoca  posteriore  s'  è  proposto  d'  esaminare  e  di 
confrontare  quelle  memorie,  per  ritrarne  una  serie  concatenata 
degli  avvenimenti,  una  storia  di  quella  peste;  sicché  l'idea 
che  se  ne  ha  generalmente,  dev'essere,  di  necessità,  molto 
incerta,  e  un  po' confusa:  un'idea  indeterminata  di  gran  mali 
e  di  grand'  errori  (e  per  verità  ci  fu  dell  '  uno  e  dell'  altro,  al 
di  là  di  quel  che  si  possa  immaginare),  un'  idea  composta  più 


l]  Josephi  Ripamontii,   canonici  scalensis,  chroni<iae  urbis  Mediolani,  Vs 
peste  quae  fuii  anno  1630.  libri  V.  Mediolani.  1640.  apud  Muia'.estas. 


390  I   PEOMESSI    SPOSI. 

di  giudizi  che  di  fatti,  alcuni  fatti  dispersi, .  non  di  rado 
scompagnati  dalle  circostanze  più  caratteristiche,  senza  distin- 
zion  di  tempo,  cioè  senza  intelligenza  di  causa  e  d'  effetto,  di 
corso,  di  progressione.  Noi,  esaminando  e  confrontando,  con 
molta  diligenza  se  non  altro,  tutte  le  relazioni  stampate,  più 
d'una  inedita,  molti  (in  ragione  del  poco  che  ne  rimane)  do- 
cumenti, come  dicono,  ufiziali,  abbiam  cercato  di  farne  non 
già  quel  che  si  vorrebbe,  ma  qualche  cosa  che  non  è  stato 
ancor  fatto.  Xon  intendiamo  di  riferire  tutti  gli  atti  pubblici, 
e  nemmeno  tutti  gli  avvenimenti  degni,  in  qualche  modo,  di 
memoria.  Molto  meno  pretendiamo  di  rendere  inutile  a  chi 
voglia  farsi  un'idea  più  compita  della  cosa,  la  lettura  delle 
relazioni  originali:  sentiamo  troppo  che  forza  viva,  propria, 
e  per  dir  così,  incomunicabile,  ci  sia  sempre  nell"  opere  di 
quel  genere,  comunque  concepite  e  condotte.  Solamente  ab- 
biam tentato  di  distinguere  e  di  verificare  i  fatti  più  generali 
e  più  importanti,  di  disporli  nell'ordine  reale  della  loro  suc- 
cessione, per  quanto  lo  comporti  la  ragione  e  la  natura  d'essi, 
d'osservare  la  loro  efficienza  reciproca,  e  di  dar  così,  per 
ora  e  finché  qualchedun  altro  non  faccia  meglio,  una  notizia 
succinta,  ma  sincera  e  continuata,  di  quel  disastro 

Per  tutta  adunque  la  striscia  di  territorio  percorsa  dal- 
l' esercito,  s'  era  trovato  qualche  cadavere  nelle  case ,  qualche- 
dun o  sulla  strada.  Poco  dopo,  in  questo  e  in  quel  paese, 
cominciarono  ad  ammalarsi,  a  morire  persone,  famiglie,  di 
mali  violenti,  strani,  con  segni  sconosciuti  alla  più  parte 
de'  viventi.  C"  eran  soltanto  alcuni  a  cui  non  riuscissero  nuovi  : 
que' pochi  che  potessero  ricordarsi  della  peste  che.  cinquan- 
tatre anni  avanti,  aveva  desolata  pure  una  buona  parte  d'Ita- 
lia, e  in  ispecie  il  milanese,  dove  fu  chiamata,  ed  è  tuttora* 
la  peste  di  san  Carlo.  Tanto  è  forte  la  carità!  Tra  le  me- 
morie così  varie  e  così  solenni  d'  un  infortunio  generale,  può 
essa  far  primeggiare  quella  d'  un  uomo,  perchè  a  quest'  uomo 
ha  ispirati  sentimenti  e  azioni  più  memorabili  ancora  de'  mali; 
stamparlo  nelle  menti,  come  un  sunto  di  tutti  que'  guai,  perchè 
in  tutti  l'ha  spinto  e  intromesso,  guida,  soccorso,  esempio, 
vittima  volontaria;  d'  una  calamità  per  tutti,  far  per  quest'uomo 
come  un'impresa;  nominarla  da  lui,  come  una  conquista  o 
una  scoperta. 

Il  protofisico  Lodovico  Settala,  che,  non  solo  aveva  veduta 
quella  peste,  ma  n'era  stato  uno  de' più  attivi  e  intrepidi,  e, 
quantunque  allor  giovinissimo,  de'  più  riputati  curatori;  e  che 
ora,  in  gran  sospetto  di  questa,  stava  all'  erta  e  sull'  informa- 
zioni, riferì,  il  20  d'  ottobre,  nel  tribunale  della  sanità,  come, 
nella  terra  di  Chiuso  (1'  ultima  del  territorio  di  Lecco,  e  confi- 
nante col  bergamasco),  era  scoppiato  indubitabilmente  il  eoa- 


CAPITOLO    XXXI.  391 

tagio.  Non  fu  per  questo  presa  veruna  risoluzione,  come  si 
ha  dal  Ragguaglio  del  Tadino  ]). 

Ed  ecco  sopraggiungere  avvisi  somiglianti  da  Lecco  e  da 
Bellano.  Il  tribunale  allora  si  risolvette  e  si  contentò  di  spe- 
dire un  commissario  che,  strada  facendo,  prendesse  un  medico 
a  Como,  e  si  portasse  con  lui  a  visitare  i  luoghi  indicati. 
Tutt' e  due,  «o  per  ignoranza  o  per  altro,  si  lasciarono  per- 
suadere da  un  vecchio  et  ignorante  barbiero  di  Bellano,  che 
-'quella  sorta  di  mali  non  era  Peste;2)»  ma,  in  alcuni  luoghi, 
effetto  consueto  dell'  emanazioni  autunnali  delle  paludi,  e  negli 
altri,  effetto  de'  disagi  e  degli  strapazzi  sofferti,  nel  passaggio 
degli  Alemanni.  Una  tale  assicurazione  fu  riportata  al  tri- 
bunale, il  quale  par  che  ne  mettesse  il  cuore  in  pace. 

Ma  arrivando  senza  posa  altre  e  altre  notizie  di  morte  da 
diverse  parti,  furono  spediti  due  delegati  a  vedere  e  a  prov- 
vedere: il  Tadino  suddetto,  e  un  auditore  del  tribunale.  Quan- 
do questi  giunsero,  il  male  s'era  già  tanto  dilatato,  che  le 
prove  si  offrivano,  senza  che  bisognasse  andare  in  cerca. 
Scorsero  il  territorio  di  Lecco,  la  Valsassina,  le  coste  del  lago 
di  Como,  i  distretti  denominati  il  Monte  di  Brianza,  e  la  Gera 
d'Adda;  e  per  tutto  trovarono  paesi  chiusi  da  cancelli  all' en- 
trature, altri  quasi  deserti,  e  gli  abitanti  scappati  e  attendati 
alla  campagna,  o  dispersi;  «et  ci  parevano,»  dice  il  Tadino, 
«tante  creature  seluatiche,  portando  in  mano  chi  1'  herba 
-menta,  chi  la  ruta,  chi  il  rusmarino  et  chi  una  ampolla 
«  d'  aceto.  »  S' informarono  del  numero  de'  morti  :  era  spaven- 
tevole; visitarono  infermi  e  cadaveri,  e  per  tutto  trovarono  le 
brutte  e  terribili  marche  della  pestilenza.  Diedero  subito, 
per  lettere,  quelle  sinistre  nuove  al  tribunale  della  sanità,  il 
quale,  al  riceverle,  che  fu  il  30  d'ottobre,  «si  dispose,»  dice 
il  medesimo  Tadino,  a  prescriver  le  bullette  per  chiuder 
fuori  della  Città  le  persone  provenienti  da'  paesi  dove  il  con- 
tagio s'era  manifestato;  «et  mentre  si  compilaua  la  grida,» 
ne  diede  anticipatamente  qualche  ordine  sommario  a'  ga- 
bellieri. 

Intanto  i  delegati  presero  in  fretta  e  in  furia  quelle  mi- 
sure che  parver  loro  migliori;  e  se  ne  tornarono,  con  la  trista 
persuasione  che  non  sarebbero  bastate  a  rimediare  e  a  fer- 
mare un  male  già  tanto  avanzato  e  diffuso. 

Arrivati  il  14  di  novembre,  dato  ragguaglio,  a  voce  e  di 
nuovo  in  iscritto,  al  tribunale,  ebbero  da  questo  commissione 
di  presentarsi  al  governatore,  e  d'  esporgli  lo  stato  delle  cose. 


1)  Pa?.  24. 

2)  Tadino,  pag.  24. 


392  I    PROMESSI    SPOSI. 

V'andarono  e  riportarono:  aver  lui  di  tali  nuove  provato 
molto  dispiacere,  mostratone  un  gran  sentimento;  ma  i  pen- 
sieri della  guerra  esser  più  pressanti:  sed  belli  graviores  esse 
curas.  Così  il  Ripamonti,  il  quale  aveva  spogliati  i  registri 
della  Sanità,  e  conferito  col  Tadino,  incaricato  specialmente 
della  missione:  era  la  seconda,  se  il  lettore  se  ne  ricorda, 
per  quella  causa,  e  con  quell'esito.  Due  o  tre  giorni  dopo, 
il  18  di  novembre,  emanò  il  governatore  una  grida,  in  cui 
ordinava  pubbliche  feste,  per  la  nascita  dei  principe  Carlo, 
primogenito  del  re  Filippo  IV,  senza  sospettare  o  senza  cu- 
rare il  pericolo  d'un  gran  comcorso,  in  tali  circostanze:  tutto 
come  in  tempi  ordinari,  come  se  non  gli  fosse  stato  parlato 
di  nulla. 

Era  quest'  uomo,  come  già  s'  è  detto ,  il  celebre  Ambrogio 
Spinola,  mandato  per  raddirizzar  quella  guerra  e  riparare 
agli  errori  di  don  Gonzalo,  e  incidentemente,  a  governare; 
e  noi  pure  possiamo  qui  incidentemente  rammentar  che  morì 
dopo  pochi  mesi,  in  quella  stessa  guerra  che  gli  stava  tanto 
a  cuore;  e  morì,  non  già  di  ferite  sul  campo,  ma  in  letto, 
d'affanno  e  di  struggimento,  per  rimproveri,  torti,  disgusti 
d'  ogni  specie  ricevuti  da  quelli  a  cui  serviva.  La  storia  ha 
deplorata  la  sua  sorte,  e  biasimata  l'altrui  sconoscenza;  ha 
descritte  con  molta  diligenza  le  sue  imprese  militari  e  poli- 
tiche, lodata  la  sua  previdenza,  l'attività,  la  costanza:  poteva 
anche  cercare  cos'abbia  fatto  di  tutte  queste  qualità,  quando 
la  peste  minacciava,  invadeva  una  popolazione  datagli  in  cura, 
o  piuttosto  in  balìa. 

Ma  ciò  che,  lasciando  intero  il  biasimo,  scema  la  maravi- 
glia di  quella  sua  condotta ,  ciò  che  fa  nascere  un'  altra  e 
più  forte  maraviglia,  è  la  condotta  della  popolazione  mede- 
sima, di  quella,  voglio  dire,  che,  non  tocca  ancora  dal  contagio, 
aveva  tanta  ragion  di  temerlo.  All'  arrivo  di  quelle  nuove  de* 
paesi  che  n'erano  così  malamente  imbrattati,  di  paesi  che 
l'ormano  intorno  alla  città  quasi  un  semicircolo,  in  alcuni  punti 
distante  da  essa  non  più  di  diciotto  o  venti  miglia:  chi  non 
crederebbe  che  vi  si  suscitasse  un  movimento  generale,  un 
desiderio  di  precauzioni  bene  o  male  intese,  almeno  una  ste- 
rile inquietudine?  Eppure,  se  in  qualche  cosa  le  memorie  di 
quel  tempo  vanno  d'accordo,  è  nell' attestare  che  non  ne  fu 
nulla.  La  penuria  dell'anno  antecedente,  le  angherie  della 
soldatesca,  le  afflizioni  d'animo,  parvero  più  che  bastanti  a 
render  ragione  della  mortalità:  sulle  piazze,  nelle  botteghe, 
nelle  case,  chi  buttasse  là  una  parola  del  pericolo,  chi  moti- 
vasse peste,  veniva  accolto  con  beffe  incredule,  con  disprezzo 
iracondo.  La  medesima  miscredenza,  la  medesima,  per  dir 
meglio,  cecità  e  fissazione  prevaleva  nel  senato,  nel  Consiglio 
de'  decurioni,  in  ogni  magistrato. 


CAPITOLO    XXXI. 


393 


Trovo  che  il  cardinal  Federigo ,  appena  riseppe  i  primi 
casi  di  mal  contagioso,  prescrisse  con  lettera  pastorale  a'  par- 
rochi,  tra  le  altre  cose,  che  ammonissero  più  e  più  volte  i 
popoli  dell'  importanza  e  dell*  obbligo  stretto  di  rivelare  ogni 
simile  accidente,  e  di  consegnar  le  robe  infette  o  sospette  '): 
e  anche  questa  può  essere  contata  tra  le  sue  lodevoli  singo- 
larità. 

Il  tribunale  della  sanità  chiedeva,  implorava  cooperazione, 
ma  otteneva  poco  o  niente.  E  nel  tribunale  stesso,  la  pre- 
mura era  ben  lontana  da  uguagliare  l'urgenza:  erano,  come 
afferma  più  volte  il  Tadino,  e  come  appare  ancor  meglio  da 
tutto  il  contesto  della  sua  relazione,  i  due  fisici  che,  persuasi 
della  gravità  e  dell'imminenza  del  pericolo,  stimolavan  quel 
corpo,  il  quale  aveva  poi  a  stimolare  gli  altri. 

Abbiam  già  veduto  come,  al  primo  annunzio  della  peste, 
andasse  freddo  nell' operare,  anzi  nell'informazioni:  ecco  un 
altro  fatto  di  lentezza  non  men  portentosa,  se  però  non  era 
forzata,  per  ostacoli  frapposti  da  magistrati  superiori.  Quella 
grida  per  le  bullette,  risoluta  il  3<J  d'ottobre,  non  fu  stesa 
che  il  23  del  mese  seguente,  non  fu  pubblicata  che  il  29. 
La  peste  era  già  entrata  in  Milano. 

Il  Tadino  e  il  Ripamonti  vollero  notare  il  nome  di  chi  ce 
la  portò  il  primo,  e  altre  circostanze  della  persona  e  del  caso: 
e  infatti  nell' osservare  i  princìpi  d'una  vasta  mortalità,  in 
cui  le  vittime,  non  che  esser  distinte  per  nome,  appena  si 
potranno  indicare  all' incirca,  per  il  numero  delle  migliaia, 
nasce  una  non  so  qual  curiosità  di  conoscere  que'  primi  e 
pochi  nomi  che  poterono  essere  notati  e  conservati:  questa 
specie  di  distinzione,  la  precedenza  nell' esterminio,  par  che 
faccian  trovare  in  essi,  e  nelle  particolarità,  per  altro  più  in- 
differenti, qualche  cosa  di  fatale  e  di  memorabile. 

L'  uno  e  l' altro  storico  dicono  che  fu  un  soldato  italiano 
al  servizio  di  Spagna;  nel  resto  non  son  ben  d'accordo,  nep- 
pur  sul  nome.  Fu,  secondo  il  Tadino,  Pietro  Antonio  Lovato, 
di  quartiere  nel  territorio  di  Lecco;  secondo  il  Ripamonti, 
un  Pier  Paolo  Locati,  di  quartiere  a  Chiavenna.  Differiscono 
anche  nel  giorno  della  sua  entrata  in  Milano:  il  primo  la 
mette  al  22" d' ottobre,  il  secondo  ad  altrettanti  del  mese  se- 
guente: e  non  si  può  stare  né  all'uno  né  all'altro.  Tutt' e 
due  P  epoche  sono  in  contradizione  con  altre  ben  più  verifi- 
cate. Eppure  il  Ripamonti,  scrivendo  per  ordine  del  Con- 
siglio generale  de'  decurioni,  doveva  avere  al  suo  comando 
molti  mezzi   di  prender  l'informazioni  necessarie;   e  il  Tadi- 


1     Vita   di  Federigo  Borromeo,   compilata  da  Francesco  Rivola.    Milano, 
166S.  pag.  5S2. 


394  I    PROMESSI    SPOSI. 

no,  per  ragione  del  suo  impiego,  poteva,  meglio  d'  ogni  altro, 
essere  isformato  d'un  fatto  di  questo  genere.  Del  resto,  dal 
riscontro  d'altre  date  che  ci  paiono,  come  abbiam  detto,  più 
esatte,  risulta  che  fu,  prima  della  pubblicazione  della  grida 
sulle  bullette;  e,  se  ne  mettesse  conto,  si  potrebbe  anche  pro- 
vare o  quasi  provare,  che  dovette  essere  ai  primi  di  quel 
mese;  ma  certo  il  lettore  ce  ne  dispensa. 

Sia  come  si  sia,  entrò  questo  fante  sventurato  e  portator 
di  sventura ,  con  un  gran  fagotto  di  vesti  comprate  o  rubate 
a  soldati  alemanni;  andò  a  fermarsi  in  una  casa  di  suoi  pa- 
renti, nel  borgo  di  porta  orientale,  vicino  a' cappuccini;  ap- 
pena arrivato  s'ammalò;  fu  portato  allo  spedale;  dove  un 
bubbone  che  gli  si  scoprì  sotto  un'  ascella,  mise  chi  lo  curava 
in  sospetto  di  ciò  eh'  era  infatti  ;  il  quarto  giorno  morì. 

11  tribunale  della  sanità  fece  segregare  e  sequestrare  in 
casa  la  di  lui  famiglia:  i  suoi  vestiti  e  il  letto  in  cui  era  stato 
allo  spedale,  furon  bruciati.  Due  serventi  che  l'avevano 
avuto  in  cura,  e  un  buon  frate  che  l'aveva  assistito,  caddero 
anch'essi  ammalati  in  pochi  giorni,  tutt' e  tre  di  peste.  11 
dubbio  che  in  quel  luogo  s'  era  avuto ,  fin  da  principio,  della 
natura  del  male,  e  le  cautele  usate  in  conseguenza,  fecero  sì 
che  il  contagio  non  si  propagasse  di  più. 

Ma  il  soldato  ne  aveva  lasciato  di  fuori  un  seminìo  che 
non  tardò  a  germogliare.  Il  primo  a  cui  s'  attaccò ,  fu  il  pa- 
drone della  casa  dove  quello  aveva  alloggiato,  un  Carlo  Co- 
lonna sonator  di  liuto.  Allora  tutti  i  pigionali  di  quella  casa 
furono,  d'ordine  della  Sanità,  condotti  al  lazzeretto,  dove  la 
più  parte  s'ammalarono;  alcuni  morirono,  dopo  poco  tempo, 
di  manifesto  contagio. 

Nella  città,  quello  che  già  c'era  stato  disseminato  da  co- 
storo, da' loro  panni,  dai  lori  mobili  trafugati  da  parenti,  da 
pigionali,  da  persone  di  servizio,  alle  ricerche  e  al  fuoco  pre- 
scritto dal  tribunale,  e  di  più  quello  che  c'entrava  di  nuovo, 
per  l'imperfezion  degli  editti,  per  la  trascuranza  nell'  eseguirli, 
e  per  la  destrezza  nell' eluderli,  andò  covando  e  serpendo 
lentamente,  tutto  il  restante  dell'anno,  e  ne' primi  mesi  del 
susseguente  1630.  Di  quando  in  quando,  ora  in  questo,  ora 
in  quel  quartiere  a  qualcheduno  s'  attaccava,  qualcheduno  ne 
moriva:  e  la  radezza  stessa  de' casi  allontanava  il  sospetto 
della  verità,  confermava  sempre  più  il  pubblico  in  quella  stu- 
pida e  micidiale  fiducia  che  non  ci  fosse  peste,  né  ci  fosse 
stata  neppure  un  momento.  Molti  medici  ancora,  facendo  eco 
alla  voce  del  popolo  (era,  anche  in  questo  caso,  voce  di  Dio?), 
deridevan  gli  augùri  sinistri,  gli  avvertimenti  minacciosi 
de' pochi:  e  avevan  pronti  nomi  di  malattie  comuni,  per 
qualificare  ogni   caso  di  peste  che  fossero  chiamati  a  curare; 


capitolo  xxxi.  395 

con  qualunque  sintomo,  con  qualunque  segno  fosse  com- 
parso. 

Gli  avvisi  di  questi  accidenti,  quando  pur  pervenivano  alla 
Sanità,  ci  pervenivano  tardi  per  lo  più  e  incerti.  Il  terrore 
della  contumacia  e  del  lazzeretto  aguzzava  tutti  gl'ingegni: 
non  si  denuiiziavaii  gli  ammalati,  si  corrompevano  i  becchini 
e  i  loro  soprintendenti;  da  subalterni  del  tribunale  stesso,  de- 
putati da  esso  a  visitare  i  cadaveri,  s'ebbero,  con  danari,  falsi 
attestati. 

Siccome  però  a  ogni  scoperta  che  gli  riuscisse  a  fare,  il  tri- 
bunale ordinava  di  bruciar  robe,  metteva  in  sequestro  case, 
mandava  famiglie  al  lazzeretto,  così  è  facile  argomentare 
quanta  dovesse  esser  contro  di  esso  l' ira  e  la  mormorazione 
del  pubblico,  ideila  Nobilita,  delli  Mercanti  et  della  plebe.) 
dice  il  Tadino;  persuasi,  coni' eran  tutti,  che  fossero  vessa- 
zioni senza  motivo  e  senza  costrutto.  L'  odio  principale  ca- 
deva sui  due  medici:  il  suddetto  Tadino,  e  Senatore  Settala, 
figlio  del  prototìsico;  a  tal  segno,  che  ormai  non  potevano 
attraversar  le  piazze  senza  essere  assaliti  da  parolacce,  quan- 
do non  eran  sassi.  E  certo  fu  singolare,  e  merita  che  ne  sia 
fatta  memoria,  la  condizione  in  cui,  per  qualche  mese,  si 
trovaron  quegli  uomini,  di  veder  venire  avanti  un  orribile  fla- 
gello, d'affaticarsi  in  ogni  maniera  a  stornarlo,  d'incontrare 
ostacoli  dove  cercavano  aiuti,  volontà,  e  dr  essere  insieme  ber- 
saglio delle  grida,  avere  il  nome  di  nemici  della  patria:  prò 
patriae  hostibus,  dice  il  Ripamonti. 

Di  quell'  odio  ne  toccava  una  parte  anche  agli  altri  me- 
dici che,  convinti  come  loro,  della  realtà  del  contagio,  sugge- 
rivano precauzioni ,  cercavano  di  comunicare  a  tutti  la  loro 
dolorosa  certezza.  I  più  discreti  li  tacciavano  di  credulità  e 
d'ostinazione:  per  tutti  gli  altri,  era  manifesta  impostura,  ca- 
bala ordita  per  far  bottega  sul  pubblico  spavento. 

Il  protofisico  Lodovico  Settala,  allora  poco  men  che  ottua- 
genario, stato  professore  di  medicina  all'università  di  Pavia, 
poi  di  filosofia  morale  a  Milano,  autore  di  molte  opere  ripu- 
tatissime  allora,  chiaro  per  inviti  a  cattedre  d'altre  univer- 
sità, Ingolstadt.  Pisa,  Bologna,  Padova,  e  per  il  rifiuto  di 
tutti  questi  inviti,  era  certamente  uno  degli  uomini  più  auto- 
revoli del  suo  tempo.  Alla  riputazione  della  scienza  s'  aggiun- 
geva quella  della  vita,  e  ali  ammirazione  la  benevolenza,  per 
la  sua  gran  carità  nel  curare  e  nel  beneficare  i  poveri. 
E,  una  cosa  che  in  noi  turba  e  contrista  il  sentimento  di  stima 
ispirato  da  questi  meriti,  ma  che  allora  doveva  renderlo  più 
generale  e  più  forte,  il  pover'  uomo  partecipava  de'  pregiudizi 
più  comuni  e  più  funesti  de' suoi  contemporanei:  era  più 
avanti  di  loro,  ma  senza  allontanarsi  dalla  schiera,  che  ò 
quello  che  attira  i  guai,   e  fa  molte  volte  perdere  l'autorità 


39G  I    PROMESSI    SPOSI. 

acquistata  in  altre  maniere.  Eppure  quella  grandissima  che 
godeva,  non  solo  non  bastò  a  vincere,  in  questo  caso,  T  opinion 
di  quello  che  i  poeti  chiamavan  volgo  profano,  e  i  capoco- 
mici, rispettabile  pubblico;  ma  non  potè  salvarlo  dall'animo- 
sità e  dagl'insulti  di  quella  parte  di  esso,  che  corre  più  fa- 
cilmente da'  giudizi  alle  dimostrazioni  e  ai  fatti. 

Un  giorno  che  andava  in  bussola  a  visitare  i  suoi  amma- 
lati, principiò  a  radunarglisi  intorno  gente,  gridando  esser  lui 
il  capo  di  coloro  che  volevano  per  forza  che  ci  fosse  la  peste; 
lui  che  metteva  in  ispavento  la  città,  con  quel  suo  cipiglio, 
con  quella  sua  barbacela:  tutto  per  dar  da  fare  ai  medici. 
La  folla  e  il  furore  andavan  crescendo:  i  portantini,  vedendo 
la  mala  parata,  ricoverarono  il  padrone  in  una  casa  d"  amici, 
che  per  sorte  era  vicina.  Questo  gli  toccò  per  aver  veduto 
chiaro,  detto  ciò  che  era,  e  voluto  salvar  dalla  peste  molte 
migliaia  di  persone:  quando  con  un  suo  deplorabile  consulto, 
cooperò  a  far  torturare ,  tanagliare  e  bruciare ,  come  strega, 
una  povera  infelice  sventurata,  perchè  il  suo  padrone  pativa 
dolori  strani  di  stomaco,  e  un  altro  padrone  di  prima  era 
stato  fortemente  innamorato  di  lei ]) ,  allora  ne  avrà  avuta 
presso  il  pubblico  nuova  lode  di  sapiente  e,  ciò  che  è  intol- 
lerabile a  pensare,  nuovo  titol  di  benemerito. 

Ma  sul  finire  del  mese  di  marzo,  cominciarono,  prima  nel 
borgo  di  porta  Orientale,  poi  in  ogni  quartiere  della  città,  a 
farsi  frequenti  le  malattie,  le  morti,  con  accidenti  strani  di 
spasimi,  di  palpitazioni,  di  letargo,  di  delirio,  con  quelle  in- 
segne funeste  di  lividi  e  di  bubboni;  morti  per  lo  più  celeri, 
violente,  non  di  rado  repentine,  senza  alcun  indizio  antece- 
dente di  malattia.  I  medici  opposti  alla  opinion  del  contagio, 
non  volendo  ora  confessare  ciò  che  avevan  deriso,  e  dovendo 
pur  dare  un  nome  generico  alla  nuova  malattia,  divenuta 
troppo  comune  e  troppo  palese  per  andarne  senza,  trovarono 
quello  di  febbri  maligne,  di  febbri  pestilenti;  miserabile  tran- 
sazione, anzi  trufferia  di  parole,  e  che  pur  faceva  gran  danno; 
perchè,  figurando  di  riconoscere  la  verità,  riusciva  ancora  a 
non  lasciar  credere  ciò  che  più  importava  di  credere,  di  ve- 
dere, che  il  male  s'attaccava  per  mezzo  del  contatto.  I  ma- 
gistrati, come  chi  si  risente  da  un  profondo  sonno,  principia- 
rono a  dare  un  po' più  orecchio  agli  avvisi,  alle  proposte 
della  Sanità,  a  far  eseguire  i  suoi  editti,  i  sequestri  ordinati, 
le  quarantene  prescritte  da  quel  tribunale.  Chiedeva  esso  di 
continuo  anche  danari  per  supplire  alle  spese  giornaliere,  cre- 
scenti,   del  lazzeretto,   di  tanti  altri  servizi:    e  li  chiedeva  ai 


1     S.oria    di    Milano    del    Come    Pietro    Verri;    Milano    1525,    Tom.   4, 
pt>£.  155. 


CAPITOLO   XXXI.  397 

decurioni,  intanto  che  fosse  deciso  (che  non  fu,  credo,  mai, 
se  non  col  fatto),  se  tali  spese  toccassero  alla  città,  o  all'era- 
rio regio.  Ai  decurioni  faceva  pure  istanza  il  gran  cancelliere, 
per  ordine  anche  del  governatore,  ch'era  andato  di  nuovo  a 
metter  l'assedio  a  quel  povero  Casale;  faceva  istanza  il  se- 
nato, perchè  pensassero  alla  maniera  di  vettovagliar  la  città, 
prima  che  dilatandovisi  per  isventura  il  contagio,  le  venisse 
negata  pratica  dagli  altri  paesi;  perchè  trovassero  il  mezzo 
di  mantenere  una  gran  parte  della  popolazione,  a  cui  eran 
mancati  lavori.  1  decurioni  cercavano  di  far  danari  per  via 
d'imprestiti,  d'imposte;  e  di  quel  che  ne  raccoglievano,  ne 
davano  un  po' alla  Sanità,  un  po' a' poveri;  un  po' di  grano 
compravano:  supplivano  a  una  parte  del  bisogno.  E  le  grandi 
angosce  non  erano  ancor  venute. 

Nel  lazzeretto,  dove  la  popolazione,  quantunque  decimata 
ogni  giorno,  andava  ogni  giorno  crescendo,  era  un"  altra  ardua 
impresa  quella  d' assicurare  il  servizio  e  la  subordinazione, 
di  conservar  le  separazioni  prescritte ,  di  mantenervi  in  som- 
ma o,  per  dir  meglio,  di  stabilirvi  il  governo  ordinato  dal 
tribunale  della  sanità:  che,  fin  da' primi  momenti,  c'era  stata 
ogni  cosa  in  confusione,  per  la  sfrenatezza  di  molti  rinchiusi, 
per  la  trascuratezza  e  per  la  connivenza  de'  serventi.  Il  tri- 
bunale e  i  decurioni,  non  sapendo  dove  battere  il  capo,  pen- 
saron  di  rivolgersi  ai  cappuccini,  e  supplicarono  il  padre 
commissario  della  provincia,  il  quale  faceva  le  veci  del  pro- 
vinciale, morto  poco  prima,  acciò  volesse  dar  loro  de' sog- 
getti abili  a  governare  quel  regno  desolato.  Il  commissario 
propose  loro,  per  principale,  un  padre  Felice  Casati,  uomo 
d'  età  matura,  il  quale  godeva  una  gran  fama  di  carità ,  d' at- 
tività, di  mansuetudine  insieme  e  di  fortezza  d'  animo,  a  quel 
che  il  seguito  fece  vedere,  ben  meritata;  e  per  compagno  e 
come  ministro  di  lui,  un  padre  Michele  Pozzobonelli  ancor 
giovine,  ma  grave  e  severo,  di  pensieri  come  d'aspetto.  Fu- 
rono accettati  con  gran  piacere  ;  e  il  30  di  marzo  entrarono 
nel  lazzeretto.  Il  presidente  della  Sanità  li  condusse  in  giro, 
come  per  prenderne  il  possesso;  e,  convocati  i  serventi  e 
gl'impiegati  d'ogni  grado,  dichiarò,  davanti  a  loro,  presidente 
di  quel  luogo  il  padre  Felice,  con  primaria  e  piena  autorità. 
Di  mano  in  mano  poi  che  la  miserabile  radunanza  andò  cre- 
scendo, v'accorsero  altri  cappuccini;  e  furono  in  quel  luogo 
soprintendenti,  confessori,  amministratori,  infermieri,  cucinieri, 
guardarobi,  lavandai,  tutto  ciò  che  occorresse.  Il  padre  Fe- 
lice, sempre  affaticato  e  sempre  sollecito,  girava  di  giorno, 
girava  di  notte,  per  i  portici,  per  le  stanze,  per  quel  vasto 
spazio  interno,  talvolta  portando  un'  asta,  talvolta  non  armato 
che  di  cilizio:  animava  e  regolava  ogni  cosa  ;  sedava  i  tumulti, 
faceva  ragione  alle  querele,  minacciava,  puniva,  riprendeva, 


398  I   PROMESSI    SPOSI. 

confortava,  asciugava  e  spargeva  lacrime.  Prese,  sul  prin- 
cipio, la  peste;  ne  guarì,  e  si  rimise,  con  nuova  lena,  alle 
cure  di  prima.  I  suoi  confratelli  ci  lasciarono  la  più  parte 
la  vita,  e  tutti  con  allegrezza. 

Certo,  una  tale  dittatura  era  uno  strano  ripiego:  strano 
come  la  calamità,  come  i  tempi;  e  quando  non  ne  sapessimo 
altro,  basterebbe  per  argomento,  anzi  per  saggio  d'una  so- 
cietà molto  rozza  e  mal  regolata,  il  veder  che  quelli  a  cui 
toccava  un  così  importante  governo,  non  sapesse  più  farne 
altro  che  cederlo,  né  trovassero  a  chi  cederlo,  che  uomini, 
per  istituto,  il  più  alieni  da  ciò.  Ma  è  insieme  un  saggio 
non  ignobile  della  forza  e  dell'  abilità  che  la  carità  può  dare 
in  ogni  tempo,  e  in  qualunque  ordin  di  cose,  il  veder 
quest'uomini  sostenere  un  tal  carico  così  bravamente.  E  fu 
bello  lo  stesso  averlo  accettato,  senz'  altra  ragione  che  il  non 
esserci  chi  lo  volesse,  senz'altro  fine  che  di  servire,  senz' al- 
tra speranza  in  questo  mondo,  che  d'  una  morte  molto  più  in- 
vidiabile che  invidiata:  fu  bello  lo  stesso  esser  loro  offerto, 
solo  perchè  era  difficile  e  pericoloso,  e  si  supponeva  che  il 
vigore  e  il  sangue  freddo,  così  necessario  e  raro  in  que'  mo- 
menti, essi  lo  dovevano  avere.  E  perciò  l'opera  e  il  cuore 
di  que'  frati  meritano  che  se  ne  faccia  memoria,  con  ammira- 
zione, con  tenerezza,  con  quella  specie  di  gratitudine  che  è 
dovuta,  come  in  solido,  per  i  gran  servizi  resi  da  uomini,  e 
più  dovuta  a  quelli  che  non  se  la  propongono  per  ricompensa. 
«Che  se  questi  Padri  iui  non  si  ritrouauano,»  dice  il  Tadino, 
«al  sicuro  tutta  la  Città  annichilata  si  trouaua:  puoichè  fu 
«cosa  miracolosa  l'hauer  questi  Padri  fatto  in  così  puoco 
«spatio  di  tempo  tante  cose  per  benefitio  publico,  che  non 
«hauendo  hauuto  agiutto,  o  almeno  puoco  dalla  Città,  con 
«la  sua  industria  e  prudenza  haueuano  mantenuto  nel  La- 
«zeretto  tante  migliaia  de'  poueri.»  Le  persone  ricoverate 
in  quel  luogo,  durante  i  sette  mesi  che  il  padre  Felice  n'  ebbe 
il  governo,  furono  circa  cinquantamila,  secondo  il  Ripamonti; 
il  quale  dice  con  ragione ,  che  d' un  uomo  tale  avrebbe  do- 
vuto ugualmente  parlare,  se  in  vece  di  descriver  le  miserie 
d"  una  città,  avesse  dovuto  raccontar  le  cose  che  posson  farle 
onore. 

Anche  nel  pubblico,  quella  caparbietà  di  negar  la  peste 
andava  naturalmente  cedendo  e  perdendosi,  di  mano  in  mano 
che  il  morbo  si  diffondeva,  e  si  diffondeva  per  via  del  con- 
tatto e  della  pratica;  e  tanto  più  quando,  dopo  esser  qualche 
tempo  rimasto  solamente  tra' poveri,  cominciò  a  toccar  per- 
sone più  conosciute.  E  tra  queste,  come  allora  fu  il  più 
notato,  così  merita  anche  adesso  un'espressa  menzione  il 
protofisico  Settala.  Avranno  almen  confessato  che  il  povero 
vecchio  aveva  ragione?    Chi  lo  sa?   Caddero  infermi  di  peste, 


CAPITOLO    XXXI.  399 

lui,  la  moglie,  due  figliuoli,  sette  persone  di  servizio.  Lui  e 
uno  de' figliuoli  n'uscirono  salvi:  il  resto  morì.  «Questi 
«casi,»  dice  il  Tadino,  «occorsi  nella  Città  in  case  Nobili, 
«disposero  la  Nobiltà,  et  la  plebe  a  pensare,  et  gli  in- 
«  creduli  Medici,  et  la  plebe  ignorante  et  temeraria  comin- 
«ciò  stringere  le  labra,  chiudere  li  denti,  et  inarcare  le 
«ciglia.» 

.Ma  1'  uscite,  i  ripieghi,  le  vendette,  per  dir  così,  della  ca- 
parbietà convinta,  sone  alle  volte  tali  da  far  desiderare  che 
fosse  rimasta  ferma  e  invitta ,  fino  all'  ultimo ,  contro  la  ra- 
gione e  l'evidenza:  e  questa  fu  bene  una  di  quelle  volte. 
Coloro  i  quali  avevano  impugnato  così  risolutamente,  e  così 
a  lungo,  che  ci  fosse  vicino  a  loro,  tra  loro,  un  germe  di 
male,  che  poteva,  per  mezzi  naturali,  propagarsi  e  fare  una 
strage;  non  potendo  ormai  negare  il  propagamento  di  esso, 
e  non  volendo  attribuirlo  a  que'  mezzi  (che  sarebbe  stato  con- 
fessare a  un  tempo  un  grand'  inganno  e  una  gran  colpa), 
erano  tanto  più  disposti  a  trovarci  qualche  altra  causa,  a 
menar  buona  qualunque  ne  venisse  messa  in  campo.  Per 
disgrazia,  ce  n'  era  una  in  pronto  nelle  idee  e  nelle  tradizioni 
comuni  allora,  non  qui  soltanto,  ma  in  ogni  parte  d'Europa: 
arti  venefiche,  operazioni  diaboliche,  gente  congiurata  a  spar- 
ger la  peste,  per  mezzo  di  veleni  contagiosi,  di  malìe.  Già 
cose  tali  o  somiglianti,  erano  state  supposte  e  credute  in  molte 
altre  pestilenze,  e  qui  segnatamente,  in  quella  di  mezzo  se- 
colo innanzi.  S'aggiunga  che,  fin  dall'anno  antecedente,  era 
venuto  un  dispaccio,  sottoscritto  dal  re  Filippo  IV,  al  gover- 
natore, per  avvertirlo  ch'erano  scappati  da  Madrid  quattro 
Francesi,  ricercati  come  sospetti  di  spargere  unguenti  velenosi, 
pestiferi:  stesse  all'erta,  se  mai  coloro  fossero  capitati  a  Mi- 
lano. Il  governatore  aveva  comunicato  il  dispaccio  al  senato 
e  al  tribunale  della  sanità;  né,  per  allora,  pare  che  ci  si  ba- 
dasse più  che  tanto.  Però,  scoppiata  e  riconosciuta  la  peste. 
il  tornar  nelle  menti  quell'  avviso  potè  servir  di  conferma  al 
sospetto  indeterminato  d'una  frode  scellerata;  potè  anche  es- 
sere la  prima  occasione  di  farlo  nascere. 

Ma  due  fatti,  V  uno  di  cieca  e  indisciplinata  paura,  l'altro 
di  non  so  quale  attività,  furon  quelli  che  convertirono  quel 
sospetto  indeterminato  ci'  un  attentato  possibile,  in  sospetto,  e 
per  molti  in  certezza,  d5  un  attentato  positivo,  e  d'  una  trama 
reale.  Alcuni  ai  quali  era  parso  di  vedere,  la  sera  del  17  di 
maggio,  persone  in  duomo  andare  ungendo  un  assito  che  ser- 
viva a  dividere  gli  spazi  assegnati  a' due  sessi,  fecero,  nella 
notte,  portar  fuori  della  chiesa  l'assito  e  una  quantità  di 
panche  rinchiuse  in  quello;  quantunque  il  presidente  della 
Sanità,  accorso  a  far  la  visita,  con  quattro  persone  dell' ufizio, 
avendo  visitato  l'assito,  le  panche,  le  pile  dell'acqua  bene- 


400  I   PBOMESSI    SPOSI. 

detta,  senza  trovar  nulla  che  potesse  confermare  l'ignorante 
sospetto  d'un  attentato  venefico,  avesse,  per  compiacere  all' im- 
maginazioni altrui,  e  più  tosto  per  abbondare  in  cautela, 
che  per  bisogno,  avesse,  dico,  deciso  che  bastava  dar  una  la- 
vata all'  assito.  Quel  volume  di  roba  accatastata  produsse  una 
grand' impressione  di  spavento  nella  moltitudine,  per  cui  un 
oggetto  diventa  così  facilmente  un  argomento.  Si  disse  e  si 
credette  generalmente  che  fossero  state  unte  in  duomo  tutte 
le  panche,  le  pareti,  e  fin  le  corde  delle  campane.  Né  si 
disse  soltanto  allora:  tutte  le  memorie  de' contemporanei  che 
parlano  di  quel  fatto  (alcune  scritte  molt'  anni  dopo),  ne  par- 
lano con  ugual  sicurezza:  e  la  storia  sincera  di  esso,  bisogne- 
rebbe indovinarla,  se  non  si  trovasse  in  una  lettera  del  tribu- 
nale della  sanità  al  governatore,  che  si  conserva  nell'  archivio 
detto  di  san  Fedele:  dalla  quale  l'abbiamo  cavata,  e  della 
quale  sono  le  parole  che  abbiam  messe  in  corsivo. 

La  mattina  seguente,  un  nuovo  e  più  strano,  più  signifi- 
cante spettacolo  colpì  gli  occhi  e  le  menti  de'  cittadini.  In 
ogni  parte  della  città,  si  videro  le  porte  delle  case  e  le  mu- 
raglie, per  lunghissimi  tratti ,  intrise  di  non  so  che  sudiceria, 
giallognola,  biancastra,  sparsavi  come  con  delle  spugne.  0 
sia  stato  un  gusto  sciocco  di  far  nascere  uno  spavento  più  ru- 
moroso e  più  generale?  o  sia  stato  un  più  reo  disegno  d'  ac- 
crescer la  pubblica  confusione,  o  non  saprei  che  altro;  la  cosa 
è  attestata  di  maniera,  che  ci  parrebbe  men  ragionevole  1'  at- 
tribuirla a  un  sogno  di  molti  che  al  fatto  d'alcuni:  fatto,  del 
resto,  che  non  sarebbe  stato,  né  il  primo  né  l'ultimo  di  tal 
genere.  Il  Ripamonti,  che  spesso,  su  questo  particolare 
dell'unzioni,  deride,  e  più  spesso  deplora  la  credulità  popo- 
lare, qui  afferma  d'aver  veduto  quell'  impiastramento,  e  lo 
descrive1).  Xclla  lettera  sopraccitata,  i  signori  della  Sanità 
raccontan  la  cosa  ne'  medesimi  termini;  parlan  di  visite, 
d'esperimenti  fatti  con  quella  materia  sopra  de' cani,  e  senza 
cattivo  effetto;  aggiungono  esser  loro  opinione,  che  cotale 
temerità  sia  più  tosto  proceduta  da  insolenza,  che  da  fine 
scellerato:  pensiero  che  indica  in  loro,  fino  a  quel  tempo,  pa- 
catezza d'  animo  bastante  per  non  vedere  ciò  che  non  ci  fosse 
stato.  L'altre  memorie  contemporanee,  raccontando  la  cosa, 
accennano  anche  essere  stata  sulle  prime,  opinion  di  molti 
che  fosse  fatta  per  burla,  per  bizzarria;  nessuna  parla  di 
nessuno  che  la  negasse;  n'  avrebbero  parlato  certamente,   se 


1)  ....  et  nos  quoque  ivirnus  visere.  Maculae  erant  sparsim  inaequali- 
terque  manantes,  veluti  si  quis  haustam  spongia  saniem  adspersisset,  impres- 
sisselve  paridi;  et  ianuae  passim,  ostiaque  aedium  eadem  adspergine  conta- 
minata cerneban'.ui.     Pag.  75. 


CAPITOLO    XXXI.  401 

ce  ne  fosse  stati;  se  non  altro,  per  chiamarli  stravaganti.  Ho 
creduto  che  non  fosse  fuor  di  proposito  il  riferire  e  il  mettere 
insieme  questi  particolari,  in  parte  poco  noti,  in  parte  affatto 
ignorati,  d'un  celebre  delirio;  perchè,  negli  errori  e  massi- 
me negli  errori  di  molti,  ciò  che  è  più  interessante  e  più 
utile  a  osservarsi,  mi  pare  che  sia  appunto  la  strada  che 
hanno  fatta,  V  apparenze,  i  modi  con  cui  hanno  potuto  entrar 
nelle  menti,  e  dominarle. 

La  città  già  agitata  ne  fu  sottosopra  :  i  padroni  delle  case, 
con  paglia  accesa,  abbruciacchiavano  gli  spazi  unti;  i  passeg- 
geri si  fermavano,  guardavano,  inorridivano,  fremevano.  I 
forestieri,  sospetti  per  questo  solo,  e  che  allora  si  conosce- 
van  facilmente  al  vestiario,  venivano  arrestati  nelle  strade 
dal  popolo,  e  condotti  alla  giustizia.  Si  fecero  interrogatóri, 
esami  d'arrestati,  d' arrestatori,  di  testimoni,  non  si  trovò 
reo  nessuno:  le  menti  erano  ancor  capaci  di  dubitare,  d'esa- 
minare, d' intendere.  Il  tribunale  della  sanità  pubblicò  una 
grida,  con  la  quale  prometteva  premio  e  impunità  a  chi  met- 
tesse in  chiaro  1'  autore  o  gli  autori  del  fatto.  Ad  ogni  mo- 
do non  parendoci  conveniente,  dicono  que'  signori  nella  ci- 
tata lettera,  che  porta  la  data  del  21  di  maggio,  ma  che  fu 
evidentemente  scritta  il  19,  giorno  segnato  nella  grida  stam- 
pata, che  questo  delitto  in  qualsiuoglia  modo  resti  impunito, 
massime  in  tempo  tanto  pericoloso  e  sospettoso,  per  conso- 
latione,  e  quiete  di  questo  Popolo,  e  per  cauare  indicio  del 
fatto,  habbiamo  oggi  publicata  grida,  etc.  Nella  grida  stes- 
sa però,  nessun  cenno,  almen  chiaro,  di  quella  ragionevole  e 
acquietante  congettura,  che  partecipavano  al  governatore:  si- 
lenzio che  accusa  a  un  tempo  una  preoccupazione  furiosa  nel 
popolo,  e  in  loro  una  condiscendenza,  tanto  più  biasimevole, 
quanto  più  poteva  essere  perniciosa. 

Mentre  il  tribunale  cercava,  molti  nel  pubblico,  come  ac- 
cade, avevan  già  trovato.  Coloro  che  credevano  esser  quella 
un'  unzione  velenosa,  chi  voleva  che  la  fosse  una  vendetta 
di  don  Gonzalo  Fernandez  de  Cordova,  per  gli  insulti  rice- 
vuti nella  sua  partenza,  chi  un  ritrovato  del  cardinal  di  Ri- 
chelieu,  per  spopolar  Milano,  e  impadronirsene  senza  fatica; 
altri  e  non  si  sa  per  quali  ragioni,  ne  volevano  autore  il 
conte  di  Collalto,  Wallenstein,  questo,  quell'altro  gentiluomo 
milanese.  Non  mancavan,  come  abbiam  detto,  di  quelli  che 
non  vedevano  in  quel  fatto  altro  che  uno  sciocco  scherzo ,  e 
1'  attribuivano  a  scolari,  a  signori ,  a  ufiziali  che  s'  annoias- 
sero all'assedio  di  Casale.  Il  non  veder  poi,  come  si  sarà 
temuto,  che  ne  seguisse  addirittura  un  infettamento ,  un  ecci- 
dio universale,  fu  probabilmente  cagione  che  quel  primo  spa- 
vento s'  andasse  per  allora  acauietando,  e  la  cosa  fosse  o  pa- 
resse messa  in  oblìo. 

Manzoni.  2G 


402  I   PROMESSI    SPOSI. 

C  era  del  resto  un  certo  numero  di  persone  non  ancora 
persuase  che  questa  peste  ci  fosse.  E  perchè,  tanto  nel  laz- 
zeretto come  per  la  città,  alcuni  pur  ne  guarivano,  «si  di- 
«ceua,»  (gli  ultimi  argomenti  d'  una  opinione  battuta  dall'  e- 
videnza  son  sempre  curiosi  a  sapersi)  «si  diceua  dalla  plebe, 
«et  ancora  da  molti  medici  partiali,  non  essera  vera  peste, 
«perchè  tutti  sarebbero  morti»  1).  Per  levare  ogni  dubbio, 
trovò  il  tribunale  della  sanità  un  espediente  proporzionato  al 
bisogno,  un  modo  di  parlare  agli  occhi,  quale  i  tempi  pote- 
vano richiederlo  o  suggerirlo.  In  una  delle  feste  della  Pente- 
coste, usavano  i  cittadini  di  concorrere  al  cimitero  di  san 
Gregorio,  fuori  di  porta  Orientale,  a  pregar  per  i  morti  del- 
l'altro  contagio,  ch'eran  sepolti  là;  e,  prendendo  dalla  divo- 
zione opportunità  di  divertimento  e  di  spettacolo,  ci  an- 
davano, ognuno  più  in  gala  che  potesse.  Era  in  quel  giorno 
morta  di  peste,  tra  gli  altri  un'  intera  famiglia.  Neil'  ora  del 
maggior  concorso,  in  mezzo  alle  carrozze,  alla  gente  a  caval- 
lo, e  a  piedi,  i  cadaveri  di  quella  famiglia  furono,  d' ordine 
della  Sanità,  condotti  al  cimitero  suddetto,  sur  un  carro, 
ignudi,  affinchè  la  folla  potesse  vedere  in  essi  il  marchio  ma- 
nifesto della  pestilenza.  Un  grido  di  ribrezzo,  di  terrore, 
s'alzava  per  tutto  dove  passava  il  carro;  un  lungo  mormorio 
regnava  dove  era  passato;  un  altro  mormorio  lo  precorreva. 
La  peste  fu  più  creduta:  ma  del  resto  andava  acquistandosi 
fede  da  sé,  ogni  giorno  più;  e  quella  riunione  medesima  non 
dovè  servir  poco  a  propagarla. 

In  principio  dunque,  non  peste,  assolutamente  no,  per 
nessun  conto:  proibito  anche  di  proferire  il  vocabolo.  Poi, 
febbri  pestilenziali:  l'idea  s'ammette  per  isbieco  in  un  ag- 
gettivo. Poi,  non  vera  peste;  vale  a  dire  peste  sì,  ma  in  un 
certo  senso;  non  peste  proprio,  ma  una  cosa  alla  quale  non 
si  sa  trovare  un  altro  nome.  Finalmente  peste  senza  dubbio, 
e  senza  contrasto:  ma  già  ci  s'è  attaccata  un'  altra  idea,  l'i- 
dea del  venefizio  e  del  malefizio,  la  quale  altera  e  confonde 
l'idea  espressa  dalla  parola  che  non  si  può  più  mandare 
indietro. 

Non  è,  credo,  necessario  d'  esser  molto  versato  nella  sto- 
ria dell'  idee  e  delle  parole,  per  vedere  che  molte  hanno  fat- 
to un  simil  corso.  Per  grazia  del  cielo ,  che  non  sono  molte 
quelle  d'una  tal  sorte,  e  d'una  tale  importanza,  e  che  con- 
quistino la  loro  evidenza,  a  un  tal  prezzo,  e  alle  quali  si  pos- 
sano attaccare  accessòri  d'  un  tal  genere.  Si  potrebbe  però, 
tanto  nelle  cose  piccole,  come  nelle  grandi,  evitare,  in  gran 
parte,  quel  corso  così  lungo  e  così  storto,  prendendo  il  me- 


1)  Tadino,  pag.  93. 


CAPITOLO   XXXII.  403 

eodo  proposto  da  tanto  tempo  d'  osservare,  ascoltare,  parago- 
nare, pensare,  prima  di  parlare. 

Ma  parlare,  questa  cosa  così  sola,  è  talmente  più  facile 
di  tutte  quell'altre  insieme,  che  anche  noi,  dico  noi  uomini 
in  generale,  siamo  un  po'  da  compatire. 


CAPITOLO  XXXII. 

Divenendo  sempre  più  difficile  il  supplire  all'  esigenze  do- 
lorose delia  circostanza,  era  stato,  il  4  di  maggio,  deciso  nel 
consiglio  de' decurioni,  di  ricorrer  per  aiuto  al  governatore. 
E,  il  22,  furono  spediti  al  campo  due  di  quel  corpo,  che  gli 
rappresentassero  i  guai  e  le  strettezze  della  città:  le  spese 
enormi,  le  casse  vote,  le  rendite  degli  anni  avvenire  impe- 
gnate, le  imposte  correnti  non  pagate,  per  la  miseria  gene- 
rale, prodotta  da  tante  cause,  e  dal  guasto  militare  in  ispecie; 
gli  mettessero  in  considerazione  che,  per  leggi  e  consuetudini 
non  interrotte,  e  per  decreto  speciale  di  Carlo  V,  le  spese 
della  peste  dovean  essere  a  carico  del  fisco;  in  quella  del 
1576,  avere  il  governatore,  marchese  d'Ayamonte,  non  solo 
sospese  tutte  le  imposizioni  camerali,  ma  data  alla  città  una 
sovvenzione  di  quarantamila  scudi  della  stessa  Camera;  chie- 
dessero finalmente  quattro  cose:  che  P  imposizioni  fossero  so- 
spese come  allora  s'era  fatto;  la  Camera  desse  danari:  il 
governatore  informasse  il  re,  delle  miserie  della  città  e  della 
provincia;  dispensasse  da  nuovi  alloggiamenti  militari  il  paese 
già  rovinato  dai  passati.  Il  governatore  scrisse  in  risposta 
condoglianze,  e  nuove  esortazioni:  dispiacergli  di  non  poter 
trovarsi  nella  città,  per  impiegare  ogni  sua  cura  in  sollievo 
di  quella;  ma  sperare  che  a  tutto  avrebbe  supplito  lo  zelo 
di  que' signori:  questo  essere  il  tempo  di  spendere  senza  ri- 
sparmio, d'ingegnarsi  in  ogni  maniera.  In  quanto  alle  richie- 
ste espresse,  proueeré  en  eì  mejor  modo  que  eì  tiempo  y  ne- 
cesidades  presentes  permitieren.  E  sotto,  un  girigogolo,  che 
voleva  dire  Ambrogio  Spinola,  chiaro  come  le  sue  promesse. 
Il  gran  cancelliere  Ferrer  gli  scrisse  che  quella  risposta  era 
stata  letta  dai  decurioni,  con  gran  desconsuelo;  ci  furono  al- 
tre andate  e  venute,  domande  e  risposte:  ma  non  trovo  che 
se  ne  venisse  a  più  strette  conclusioni.  Qualche  tempo  dopo, 
nel  colmo  della  peste,  il  governatore  trasferì,  con  lettere  pa- 
tenti, la  sua  autorità  a  Ferrer  medesimo,  avendo  lui,  come 
scrisse,  da  pensare  alla  guerra.  La  quale,  sia  detto  qui  in- 
cidentemente, dopo  aver  portato  via,  senza  parlar  de'  soldati, 
un   milion  di   persone,   a  dir  poco,  per  mezzo  del  contagio, 

26* 


404  I   PROMESSI   SPOSI. 

tra  la  Lombardia,  il  Veneziano,  il  Piemonte,  la  Toscana,  e 
una  parte  della  Romagna;  dopo  aver  desolati,  come  s'è  visto 
di  sopra,  i  luoghi  per  cui  passò  e  figuratevi  quelli  dove  fu 
fatta;  dopo  la  presa  e  il  sacco  atroce  di  Mantova;  finì  con  ri- 
conoscerne tutti  il  nuovo  duca,  per  escludere  il  quale  la  guer- 
ra era  stata  intrapresa.  Bisogna  però  dire  che  fu  obbligato 
a  cedere  al  duca  di  Savoia  un  pezzo  del  Monferrato,  della 
rendita  di  quindicimila  scudi,  e  a  Ferrante  duca  di  Guastalla 
altre  terre,  della  rendita  di  seimila;  e  che  ci  fu  un  altro 
trattato  a  parte  e  segretissimo,  col  quale  il  duca  di  Savoia 
suddetto  cede  Pinerolo  alla  Francia,  trattato  eseguito  qualche 
tempo  dopo,  sott'  altri  pretesti,  e  a  furia  di  furberie. 

Insieme  con  quella  risoluzione,  i  decurioni  ne  avevan  pre- 
sa un'altra:  di  chiedere  al  cardinale  arcivescovo,  che  si  fa- 
cesse una  processione  solenne,  portando  per  la  città  il  corpo 
di  san  Carlo. 

Il  buon  prelato  rifiutò,  per  molte  ragioni.  Gli  dispiaceva 
quella  fiducia  in  un  mezzo  arbitrario,  e  temeva  che,  se  l'ef- 
fetto non  avesse  corrisposto,  come  pure  temeva,  la  fiducia  si 
cambiasse  in  iscandolo  :).  Temeva  di  più,  che  se  pur  e'  era 
di  questi  untori,  la  processione  fosse  un'  occasion  troppo  co- 
moda al  delitto:  se  non  ce  »'  era,  il  radunarsi  tanta  gente 
non  poteva  che  spander  sempre  più  il  contagio:  pericolo  ben 
più  reale2).  Che  il  sospetto  sopito  dell'unzioni  s'era  intanto 
ridestato,  più  generale  e  più  furioso  di  prima. 

S'  era  visto  di  nuovo,  o  questa  volta  era  parso  di  vedere, 
unte  muraglie,  porte  d'  edifizi  pubblici,  usci  di  case,  martelli. 
Le  nuove  di  tali  scoperte  volavan  di  bocca  in  bocca;  e,  come 
accade  più  che  mai,  quando  gli  animi  son  preoccupati,  il 
sentire  faceva  l'effetto  del  vedere.  Gli  animi,  sempre  più 
amareggiati  dalla  presenza  de'  mali,  irritati  dall'  insistenza 
del  pericolo,  abbracciavano  più  volentieri  quella  credenza  :  che 
la  collera  aspira  a  punire:  e,  come  osservò  acutamente,  a 
questo  stesso  proposito,  un  uomo  d'ingegno3),  le  piace  più 
d'  attribuire  i  mali  a  una  perversità  umana,  contro  cui  possa 
far  le  sue  vendette,  che  di  riconoscerli  da  una  causa,  con  la 


1)  Memoria  delle  cose  notabili  successe  in  Milano  intorno  al  mal  contag- 
gioso  l'anno  1630,  ec.  raccolte  da  D.  Pio  la  Croce.  Milano,  1730.  É  tratta 
evidentemente  da  scritto  inedito  d'autore  vissuto  al  tempo  della  pestilenza; 
se  pure  non  è  una  semplice  edizione,  piuttosto  che  una  nuova  compilazione. 

2)  Si  unguenta  scelerata  et  unctores  in  urbe  essent  ....  Si  non  essent 
....  Certiusque  adeo  malum.  Ripamonti,  pag.  155. 

3)  P.  Verri.  Osservazioni  sulla  tortura:  Scrittori  italiani  d'economia  poli- 
tica ;  parte  moderna,  ioni.  17,  pag.  203. 


CAriTOLO    XXXII. 


405 


quale  non  ci  sia  altro  da  fare  che  rassegnarsi.  Un  veleno 
squisito,  istantaneo,  penetrantissimo,  eran  parole  più  che  ba- 
stanti a  spiegar  la  violenza,  e  tutti  gli  accidenti  più  oscuri 
e  disordinati  del  morbo.  Si  diceva  composto,  quel  veleno,  di 
rospi,  di  serpenti,  di  bava  e  di  materia  d'  appestati,  di  peg- 
gio, di  tutto  ciò  che  selvagge  e  stravolte  fantasie  sapessero 
trovar  di  sozzo  e  d' atroce.  Vi  s'  aggiunsero  poi  le  malìe, 
per  le  quali  ogni  effetto  diveniva  possibile,  ogni  obiezione  per- 
deva la  forza,  si  scioglieva  ogni  difficoltà.  Se  gli  effetti  non 
s'  eran  veduti  subito  dopo  quella  prima  unzione,  se  ne  capiva 
il  perchè;  era  stato  un  tentativo  sbagliato  di  venefici  ancor 
novizi,  ora  1'  arte  era  perfezionata,  e  le  volontà  più  accanite 
nell'  infernale  proposito.  Ormai  chi  avesse  sostenuto  ancora 
eh'  era  stata  una  burla,  chi  avesse  negata  1'  esistenza  d'  una 
trama,  passava  per  cieco,  per  ostinato;  se  pur  non  cadeva 
in  sospetto  d'  uomo  interessato  a  stornar  dal  vero  1'  attenzion 
del  pubblico,  di  complice,  d'untore:  il  vocabolo  fu  ben  pre- 
sto comune,  solenne,  tremendo.  Con  una  tal  persuasione  che 
ci  fossero  untori,  se  ne  doveva  scoprire,  quasi  infallibilmente  : 
tutti  gli  occhi  stavano  all'erta;  ogni  atto  poteva  dar  ge- 
losia. E  la  gelosia  diveniva  facilmente  certezza,  la  certezza 
furore. 

Due  fatti  ne  adduce  in  prova  il  Ripamonti,  avvertendo 
d"  averli  scelti,  non  come  i  più  atroci  tra  quelli  che  seguivano 
giornalmente,  ma  perchè  dell'  uno  e  dell'  altro  era  stato  pur 
troppo  testimonio. 

Nella  chiesa  di  sant'  Antonio,  un  giorno  di  non  so  quale 
solennità,  un  vecchio  più  che  ottuagenario,  dopo  aver  pregato 
alquanto  inginocchioni,  volle  mettersi  a  sedere;  e  prima,  con 
la  cappa,  spolverò  la  panca.  «Quel  vecchio  unge  le  panche!» 
gridarono  a  una  voce  alcune  donne  che  vider  1'  atto.  La  gente 
che  si  trovava  in  chiesa  (in  chiesa!),  fu  addosso  al  vecchio; 
lo  prendon  per  i  capelli,  bianchi  com'  erano;  lo  carican  di 
pugni  e  di  calci;  parte  lo  tirano,  parte  lo  spingon  fuori;  se 
non  lo  finirono,  fu  per  istrascinarlo,  così  semivivo,  alla  pri- 
gione, ai  giudici,  alle  torture.  «Io  lo  vidi  mentre  lo  stra- 
«scinavan  così,»  dice  il  Ripamonti:  «e  non  ne  seppi  più  al- 
otro  :  credo  bene  che  non  abbia  potuto  sopravvivere  più  di 
«qualche  momento.» 

L' altro  caso  (e  seguì  il  giorno  dopo)  fu  ugualmente  strano, 
ma  non  ugualmente  funesto.  Tre  giovani  compagni  francesi, 
un  letterato,  un  pittore,  un  meccanico,  venuti  per  veder  1'  I- 
talia,  per  istudiarvi  le  antichità,  e  per  cercarvi  occasion  di 
guadagno,  s'  erano  accostati  a  non  so  qual  parte  esterna  del 
duomo,  e  stavan  lì  guardando  attentamente.  Uno  che  passa- 
va, li  vide  e  si  ferma;  gli  accenna  a  un  altro,  ad  altri  che 
arrivano  :  si  formò  un  crocchio,  a  guardare,  a  tener  d'  occhio 


406  I    PROMESSI    SPOSI. 

coloro,  che  il  vestiario,  la  capigliatura,  le  bisacce,  accusa- 
vano di  stranieri  e,  quel  eh'  era  peggio,  di  francesi.  Come  per 
accertarsi  eh'  era  marmo,  stesero  essi  la  mano  a  toccare.  Ba- 
stò. Furono  circondati,  afferrati,  malmenati,  spinti,  a  furia  di 
percosse,  alle  carceri.  Per  buona  sorte,  il  palazzo  di  giustizia 
è  poco  lontano  dal  duomo;  e,  per  una  sorte  ancor  più  felice, 
furon  trovati  innocenti,  e  rilasciati. 

Né  tali  cose  accadevan  soltanto  in  città:  la  frenesia  s'era 
propagata  come  il  contagio.  li  viandante  che  fosse  incontrato 
da  de' contadini ,  fuor  della  strada  maestra,  o  che  in  quella 
si  dondolasse  a  guardar  in  qua  e  in  là,  o  si  buttasse  giù  per 
riposarsi;  lo  sconosciuto  a  cui  si  trovasse  qualcosa  di  strano, 
di  sospetto  nel  volto,  nel  vestito,  erano  untori:  al  primo  av- 
viso di  chi  si  fosse,  al  grido  d'  un  ragazzo,  si  sonava  a  mar- 
tello, s'accorreva;  gl'infelici  eran  tempestati  di  pietre,  o, 
presi,  venivan  menati,  a  furia  di  popolo,  in  prigione.  Così  il 
Ripamonti  medesimo.  E  la  prigione,  fino  a  un  certo  tempo, 
era  un  porto  di  salvamento. 

Ma  i  decurioni,  non  disanimati  dal  rifiuto  del  savio  pre- 
lato, andavan  replicando  le  loro  istanze,  che  il  voto  pubblico 
secondava  rumorosamente.  Federigo  resistette  ancor  qualche 
tempo,  cercò  di  convincerli;  questo  è  quello  che  potè  il  senno 
di  un  uomo,  contro  la  forza  dei  tempi,  e  V  insistenza  di  mol- 
ti. In  quello  stato  d'  opinioni,  con  1*  idea  del  pericolo,  con- 
fusa coni'  era  allora,  contrastata,  ben  lontana  dall'  evidenza  che 
ci  si  trova  ora,  non  è  difficile  a  capire  come  le  sue  buone  ra- 
gioni potessero,  anche  neUa  sua  mente,  esser  soggiogate  dalle 
cattive  degli  altri.  Se  poi,  nel  ceder  che  fece,  avesse  o  non 
avesse  parte  un  po'  di  debolezza  della  volontà,  sono  misteri 
del  cuore  umano.  Certo,  se  in  alcun  caso  par  che  si  possa 
dare  in  tutto  1'  errore  all'  intelletto,  e  scusarne  la  coscienza, 
è  quando  si  tratti  di  que'  pochi  (e  questo  fu  ben  del  nu- 
mero), nella  vita  intera  de'  quali  apparisca  un  ubbidir  riso- 
luto alla  coscienza,  senza  riguardo  a  interessi  temporali  di 
nessun  genere.  Al  replicar  dell'  istanze,  cedette  egli  dunque, 
acconsentì  che  si  facesse  la  processione,  acconsentì  di  più 
al  desiderio,  alla  premura  generale,  che  la  cassa  dov'  eran 
rinchiuse  le  reliquie  di  san  Carlo,  rimanesse  dopo  esposta, 
per  otto  giorni,  sull"  aitar  maggiore  del  duomo. 

Non  trovo  che  il  tribunale  della  sanità,  né  altri,  facessero 
rimostranza  né  opposizione  di  sorte  alcuna.  Soltanto,  il  tri- 
bunale suddetto  ordinò  alcune  precauzioni  che,  senza  riparare 
al  pericolo,  ne  indicavano  il  timore.  Prescrisse  più  strette 
regole  per  V  entrata  delle  persone  in  città;  e  per  assicurarne 
l'esecuzione,  fece  star  chiuse  le  porte:  come  pure  a  fine 
d'  escludere,  per  quanto  fosse  possibile,  dalla  radunanza  gli 
infetti  e  i  sospetti,  fece  inchiodar  gli    usci  delle  case  seque- 


CAPITOLO    XXXII. 


407 


strate:  le  quali,  per  quanto  può  valere,  in  un  fatto  di  que- 
sta sorte,  la  semplice  affermazione  d'uno  scrittore,  e  d'uno 
scrittore  di  quel  tempo,  eran  circa  cinquecento  1). 

Tre  giorni  furono  spesi  in  preparativi  :  1'  undici  di  giugno, 
ch'era  il  giorno  stabilito,  la  processione  uscì  sull'alba  dal 
duomo.  Andava  dinanzi  una  lunga  schiera  di  popolo,  donne 
la  più  parte;  coperte  il  volto  d'ampi  zendali,  molte  scalze, 
e  vestite  di  sacco.  Venivan  poi  1'  arti,  precedute  da'  loro  gon- 
faloni, le  confraternità,  in  abiti  vari  di  forme  e  di  colori; 
poi  le  fraterie,  poi  il  clero  secolare,  ognuno  con  l'insegne 
del  grado,  e  con  una  candela  o  un  torcetto  in  mano.^  Nel 
mezzo,  tra  il  chiarore  di  più  fitti  lumi,  tra  un  rumor  più  alto 
di  canti,  sotto  un  ricco  baldacchino,  s'  avanzava  la  cassa, 
portata  da  quattro  canonici,  parati  in  gran  pompa,  che  si 
cambiavano  ogni  tanto.  Dai  cristalli  traspariva  il  venerato 
cadavere,  vestito  di  splendidi  abiti  pontificali,  e  mitrato  il 
teschio;  e  nelle  forme  mutilate  e  scomposte,  si  poteva  ancora 
distinguere  qualche  vestigio  dell'antico  sembiante,  quale  lo 
rappresentano  l' immagini,  quali  alcuni  si  ricordavan  d'  averlo 
visto  e  onorato  in  vita.  Dietro  la  spoglia  del  morto  pastore 
(dico  il  Ripamonti,  da  cui  principalmente  prendiamo  questa 
descrizione),  e  vicino  a  lui,  come  di  meriti  e  di  _  sangue  e  di 
dignità,  così  ora  anche  di  persona,  veniva  l'arcivescovo  Fe- 
derigo. Seguiva  l'altra  parte  del  clero;  poi  i  magistrati,  con 
gli  abiti  di  maggior  cerimonia;  poi  i  nobili,  quali  vestiti  sfar- 
zosamente, come  a  dimostrazione  solenne  di  culto,  quali,  in 
segno  di  penitenza,  abbrunati,  o  scalzi  e  incappati,  con  la 
buffa  sul  viso;  tutti  con  torcetti.  Finalmente  una  coda  d'al- 
tro popolo  misto. 

Tutta  la  strada  era  parata  a  festa;  i  ricchi  avevan  cavate 
fuori  le  suppellettili  più  preziose;  le  facciate  delle  case  po- 
vere erano  state  ornate  da  de'  vicini  benestanti,  o  a  pubbli- 
che spese  ;  dove  in  luogo  di  parati,  dove  sopra  i  parati,  _  e'  e- 
ran  de' rami  fronzuti;  da  ogni  parte  pendevano  quadri,  iscri- 
zioni, imprese;  su'  davanzali  delle  finestre  stavano  in  mostra 
vasi,  anticaglie,  rarità  diverse;  per  tutto  lumi.  A  molte  di 
quelle  finestre,  infermi  sequestrati  guardavan  la  processione, 
e  1'  accompagnavano  con  le  loro  preci.  L'  altre  strade,  mute, 
deserte;  se  non  che  alcuni,  pur  dalle  finestre,  tendevan  1'  o- 
recchio  al  ronzìo  vagabondo;  altri,  e  tra  questi  si  videro  fin 
delle  monache,  eran  saliti  sui  tetti,  se  di  lì  potessero  veder 
da  lontano  quella  cassa,  il  corteggio,  qualche  cosa. 

La  processione  passò  per  tutti  i  quartieri   della   città:   a 


l)  Alleggiamene  dello  Stato  di  Milano  etc.  di  C.  G.  Cavatio  delia  Scana- 
glia.   Milano  1653.  pag.  432. 


408  I    PROMESSI    SPOSI. 

ognuno  di  que' crocicchi,  o  piazzette,  dove  le  strade  princi- 
pali sboccan  ne'  borghi,  e  che  allora  serbavan  l' antico  nome 
di  carrobi,  ora  rimasto  a  uno  solo,  si  faceva  una  fermata, 
posando  la  cassa  accanto  alla  croce  che  in  ognuno  era  stata 
eretta  da  san  Carlo,  nella  peste  antecedente,  e  delle  quali  al- 
cune sono  tuttavia  in  piedi,  di  maniera  che  si  tornò  in  duomo 
un  pezzo  dopo  il  mezzogiorno. 

Ed  ecco  che,  il  giorno  seguente,  mentre  appunto  regnava 
quella  presontuosa  fiducia,  anzi  in  molti  una  fanatica  sicu- 
rezza che  la  processione  dovesse  aver  troncata  la  peste,  le 
morti  crebbero,  in  ogni  classe,  in  ogni  parte  della  città,  a 
un  tal  eccesso,  con  un  salto  così  subitaneo,  che  non  ci  fu 
chi  non  ne  vedesse  la  causa  o  V  occasione,  nella  processione 
medesima.  Ma,  oh  forze  mirabili  e  dolorose  d' un  pregiudi- 
zio generale!  non  già  al  trovarsi  insieme  tante  persone  e  per 
tanto  tempo,  non  all'  infinita  moltiplicazione  de'  contatti  for- 
tuiti, attribuivano  i  più  quell'effetto:  l'attribuivano  alla  fa- 
cilità che  gli  untori  ci  avessero  trovata  d'  eseguire  in  grande 
il  loro  empio  disegno.  Si  disse  che,  mescolati  nella  folla, 
avessero  infettati  col  loro  unguento  quanti  più  avevan  potuto. 
Ma  siccome  questo  non  pareva  un  mezzo  bastante,  né  appro- 
priato a  una  mortalità  così  vasta,  e  così  diffusa  in  ogni  classe 
di  persone;  siccome  a  quel  che  pare,  non  era  stato  possibile 
all'  occhio  così  attento,  e  pur  così  travedente,  del  sospetto, 
di  scorgere  untumi,  macchie  di  nessuna  sorte,  su'  muri,  né 
altrove:  così  si  ricorse,  per  la  spiegazion  del  fatto,  a  quel- 
1  altro  ritrovato,  già  vecchio ,  e  ricevuto  allora  nella  scienza 
comune  d?  Europa,  delle  polveri  venefiche  e  malefiche;  si 
disse  che  polveri  tali,  sparse  lungo  la  strada,  e  specialmente 
ai  luoghi  delle  fermate,  si  fossero  attaccate  agli  strascichi 
de' vestiti,  e  tanto  più  ai  piedi,  che  in  gran  numero  erano 
q'uel  giorno  andati  in  giro  scalzi.  <  Vide  pertanto,»  dice  uno 
scrittore  contemporaneo1),  «1'  istesso  giorno  della  proces- 
sione, la  pietà  cozzar  con  1'  empietà,  la  perfidia  con  la  sin- 
cerità, la  perdita  con  1'  acquisto.»  Ed  era  invece  il  povero 
senno  umano  che  cozzava  co'  fantasmi  creati  da  sé. 

Da  quel  giorno,  la  furia  del  contagio  andò  sempre  cre- 
scendo: in  poco  tempo,  non  ci  fu  quasi  più  casa  che  non 
fosse  toccata:  in  poco  tempo  la  popolazione  del  lazzeretto,  al 
dir  del  Somaglia  citato  di  sopra,  montò  da  duemila  a  dodici 
mila:  più  tardi,  al  dir  di  quasi  tutti,  arrivò  fino  a  sedici  mi- 
la. Il  4  di  luglio,  come  trovo  in  un'  altra  lettera  de'  conser- 
vatori della  sanità  al  governatore,  la  mortalità  giornaliera  ol- 


l)  Agostino  Lampugnano;   La  pestilenza  seguita  in  Milano,  l'anno  1630. 
Milano.  1634.  pog.  44. 


CAPITOLO    XXXII.  409 

trepassava  i  cinquecento.  Più  innanzi,  e  nel  colmo,  arrivò, 
secondo  il  calcolo  più  comune,  a'  mille  dugento,  mille  cinque- 
cento; e  a  più  di  tre  mila  cinquecento;  se  vogliam  credere  al 
Tadino.  Il  quale  anche  afferma  che,  «per  le  diligenze  fatte," 
dopo  la  peste,  si  trovò  la  popolazion  di  Milano  ridotta  a 
poco  più  di  sessantaquattro  mila  anime,  e  che  prima  pas- 
sava le  dugento  cinquanta  mila.  Secondo  il  Ripamonti,  era 
di  sole  dugento  mila:  de' morti,  dice  che  ne  risulta  cento  qua- 
ranta mila  da'  registri  civici,  oltre  quelli  di  cui  non  si 
potè  tener  conto.  Altri  dicon  più  o  meno,  ma  ancor  più 
a  caso. 

Si  pensi  ora  in  che  angustie  dovessero  trovarsi  i  decurioni, 
addosso  ai  quali  era  rimasto  il  peso  dì  provvedere  alle  pub- 
bliche necessità,  di  riparare  a  ciò  che  e'  era  di  riparabile  in 
un  tal  disastro.  Bisognava  ogni  giorno  sostituire,  ogni  giorno 
aumentare  serventi  pubblici  di  varie  specie:  monatti,  ajjjjciri- 
tori,  commissari.  1  primi  erano  addetti  ai  servizi  più  penosi 
e  pericolosi  della  pestilenza:  levar  dalle  case,  dalle  strade, 
dal  lazzeretto,  i  cadaveri:  condurli  sui  carri  alle  fosse,  sot- 
terrarli; portare  o  guidare  al  lazzeretto  gì'  infermi,  e  go- 
vernarli: bruciare,  purgare  la  roba  infetta  e  sospetta.  Il  no- 
me vuole  il  Ripamonti  che  venga  dal  greco  monos;  Gaspare 
Bugatti  (in  una  descrizion  della  peste  antecedente),  dal  latino 
monere;  ma  insieme  dubita,  con  più  ragione,  che  sia  parola 
tedesca,  per  esser  quegli  uomini  arrolati  la  più  parte  nella 
Svizzera  e  ne'  Grigioni.  Né  sarebbe  infatti  assurdo  il  crederlo 
una  troncatura  del  vocabolo  monatìich  (mensuale);  giacche, 
nell'incertezza  di  quanto  potesse  durare  il  bisogno,  è  proba- 
bile che  gli  accordi  non  fossero  che  di  mese  in  mese.  L' im- 
piego speciale  degli  apparitori  era  di  precedere  i  carri,  av- 
vertendo, col  suono  d'un  campanello,  i  passeggieri,  che  si 
ritirassero.  I  commissari  regolavano  gli  uni  e  gli  altri,  sotto 
gli  ordini  immediati  del  tribunale  della  sanità.  Bisognava  te- 
ner fornito  il  lazzeretto  di  medici,  di  chirurghi,  di  medicine, 
di  vitto,  di  tutti  gli  attrezzi  d'infermeria;  bisognava  trovare 
e  preparar  nuovo  alloggio  per  gli  ammalati  che  sopraggiun- 
gevano ogni  giorno.  Si  fecero  a  quest'  effetto  costruire  in 
fretta  capanne  di  legno  e  di  paglia  nello  spazio  interno  del 
lazzeretto;  se  ne  piantò  un  nuovo,  tutto  di  capanne,  cinto  da 
un  semplice  assito,  e  capace  di  contener  quattromila  persone. 
E  non  bastando,  ne  furon  decretati  due  altri  ;  ci  si  mise  an- 
che mano:  ma,  per  mancanza  di  mezzi  d'  ogni  genere,  rima- 
sero in  tronco.  I  mezzi,  le  persone,  il  coraggio,  diminuivano 
di  mano  in  mano  che  il  bisogno  cresceva. 

E  non  solo  1'  esecuzione  rimaneva  sempre  addietro  de'  pro- 
getti e  degli  ordini:  non  solo,  a  molte  necessità,  pur  troppo 
riconosciute,    si    provvedeva    scarsamente,    anche   in   parole; 


410  I    PROMESSI    SPOSI. 

s'arrivò  a  quest'eccesso  d'impotenza  e  di  disperazione,  che 
a  molte,  e  delle  più  pietose,  come  delle  più  urgenti,  non  si 
provvedeva  in  nessuna  maniera.  Moriva,  per  esempio,  d'  ab- 
bandono una  gran  quantità  di  bambini,  ai  quali  eran  morte 
le  madri  di  peste:  la  Sanità  propose  che  s' instituisse  un  ri- 
covero per  questi  e  per  le  partorienti  bisognose,  che  qualcosa 
si  facesse  per  loro;  e  non  potè  ottener  nulla.  «Si  doueua 
non  di  meno,»  dice  il  Tadino,  «compatire  ancora  alli  Decu- 
rioni della  Città,  li  quali  si  trouauano  afflitti,  mesti  et  lacerati 
dalla  Soldatesca  senza  regola,  et  rispetto  alcuno  ;  come  molto 
meno  nell'infelice  Ducato,  atteso  che  agiutto  alcuno,  né 
prouisione  si  poteua  hauere  dal  Gouernatore,  se  non  che  si 
trouaua  tempo  di  guerra,  et  bisognava  trattar  bene  li  Solda- 
ti.» x)  Tanto  importava  il  prender  Casale!  Tanto  par  bella 
la  lode  del  vincere,  indipendentemente  dalla  cagione,  dallo 
scopo  per  cui  si  combatta! 

Così  pure,  trovandosi  colma  di  cadaveri  un'ampia,  ma 
unica  fossa,  eh'  era  stata  scavata  vicino  al  lazzeretto,  e  ri- 
manendo, non  solo  in  quello,  ma  in  ogni  parte  della  città, 
insepolti  i  nuovi  cadaveri,  che  ogni  giorno  eran  di  più,  i  ma- 
gistrati, dopo  avere  invano  cercato  braccia  per  il  tristo  la- 
voro, s'  eran  ridotti  a  dire  di  non  saper  più  che  partito  pren- 
dere. Né  si  vede  come  sarebbe  andata  a  finire,  se  non  veni- 
va un  soccorso  straordinario.  Il  presidente  deila  Sanità  ri- 
corse, per  disperato,  con  le  lagrime  agli  occhi,  a  que'  due 
bravi  frati  che  soprintendevano  al  lazzeretto,  e  il  padre  Mi- 
chele s'impegnò  a  dargli,  in  capo  a  quattro  giorni,  sgombra 
la  città  di  cadaveri;  in  capo  a  otto,  aperte  fosse  sufficienti, 
non  solo  al  bisogno  presente,  ma  a  quello  che  si  potesse  ve- 
der di  peggio  nell'  avvenire.  Con  un  frate  compagno,  e  con 
persone  del  Tribunale,  dategli  dal  presidente,  andò  fuor  della 
città,  in  cerca  di  contadini;  e,  parte  con  l'autorità  del  tribu- 
nale, parte  con  quella  dell'abito  e  delle  sue  parole,  ne  rac- 
colse circa  dugento,  ai  quali  fece  scavar  tre  grandissime  fos- 
se; spedì  poi  dal  lazzeretto  monatti  a  raccogliere  i  morti; 
tanto  che,  il  giorno  prefisso,  la  sua  promessa  si  trovò 
adempita. 

Una  volta,  il  lazzeretto  rimase  senza  medici;  e  con  offerte 
di  grosse  paghe  e  d'  onori,  a  fatica  e  non  subito,  se  ne  potè 
avere;  ma  molto  men  del  bisogno.  Fu  spesso  lì  lì  per  man- 
care affatto  di  viveri;  a  segno  di  temere  che  ci  s'avesse  a 
morire  anche  di  fame;  e  più  d'una  volta,  mentre  non  si  sa- 
peva più  dove  batter  la  testa  per  trovare  il  bisognevole,  ven- 
nero a  tempo  abbondanti  sussidi,  per  inaspettato  dono  di  mi- 


1)  Pag.  in. 


CAPITOLO   XXXII.  411 

sericordia  privata;  che,  in  mezzo  allo  stordimento  generale, 
ali*  indifferenza  per  gli  altri,  nata  dal  continuo  temer  per  sé, 
ci  furono  degli  animi  sempre  desti  alla  carità,  ce  ne  furon 
degli  altri  in  cui  la  carità  nacque  al  cessare  d'  ogni  allegrez- 
za terrena;  come,  nella  strage  e  nella  fuga  di  molti  a  cui 
toccava  di  soprintendere  e  di  provvedere,  ce  ne  furono  alcuni, 
sani  sempre  di  corpo,  e  saldi  di  coraggio  al  loro  posto:  ci 
furon  pure  altri  che,  spinti  dalla  pietà,  assunsero  e  sosten- 
nero virtuosamente  le  cure  a  cui  non  eran  chiamati  per  im- 
piego. 

Dove  spiccò  una  più  generale  e  più  pronta  e  costante  fe- 
deltà ai  doveri  difficili  della  circostanza,  fu  negli  ecclesiastici. 
Ai  lazzeretti,  nella  città,  non  mancò  mai  la  loro  assistenza  : 
dove  si  pativa,  ce  n'  era;  sempre  si  videro  mescolati,  confusi 
co'  languenti,  co'  moribondi,  languenti  e  moribondi  qualche 
volta  loro  medesimi;  ai  soccorsi  spirituali  aggiungevano,  per 
quanto  potessero,  i  temporali:  prestavano  ogni  servizio  che 
richiedessero  le  circostanze.  Più  di  sessanta  parrochi,  della 
città  solamente,  moriron  di  contagio  :  gli  otto  noni,  all'  incirca. 

Federigo  dava  a  tutti,  coni'  era  da  aspettarsi  da  lui,  inci- 
tamento ed  esempio.  Mortagli  intorno  quasi  tutta  la  famiglia 
arcivescovile,  e  facendogli  istanza  parenti,  alti  magistrati,  prin- 
cipi circonvicini,  che  s'allontanasse  dal  pericolo,  ritirandosi 
in  qualche  villa,  rigettò  un  tal  consiglio,  resistette  all'  istanze, 
con  quell'  animo,  con  cui  scriveva  ai  parrochi  :  «siate  dispo- 
sti ad  abbandonar  questa  vita  mortale,  piuttosto  che  questa 
famiglia,  questa  figliolanza  nostra:  andate  con  amore  incontro 
alla  peste,  come  a  un  premio,  come  a  una  vita,  quando  ci  sia 
da  guadagnare  un'  anima  a  Cristo  l).u  Non  trascurò  quelle 
cautele  che  non  gì'  impedissero  di  fare  il  suo  dovere  (sulla 
qual  cosa  diede  anche  istruzioni  e  regola  al  clero);  e  insieme 
non  curò  il  pericolo,  né  parve  che  se  n'  avvedesse,  quando 
per  far  del  bene,  bisognava  passar  per  quello.  Senza  parlare 
degli  ecclesiastici,  coi  quali  era  sempre  per  lodare  e  regolare 
il  loro  zelo,  per  eccitare  chiunque  di  loro  andasse  freddo  nel 
lavoro,  per  mandarli  ai  posti  dove  altri  eran  morti,  volle  che 
fosse  aperto  V  adito  a  chiunque  avesse  bisogno  di  lui.  Visi- 
tava i  lazzeretti,  per  dar  consolazione  agi'  infermi,  e  per  ani- 
mare i  serventi;  scorreva  la  città  portando  soccorso  ai  poveri 
sequestrati  nelle  case,  fermandosi  agli  usci,  sotto  le  finestre, 
ad  ascoltare  i  loro  lamenti,  a  dare  in  cambio  parole  di  con- 
solazione e  di  coraggio.  Si  cacciò  in  somma  e  visse  nel  mezzo 
della  pestilenza,  maravigliato  anche  lui  alla  fine,  d'esserne 
uscito  illeso. 


1}  Ripamonti,  pag.  164. 


412  I   PEOMESSI   SPOSI. 

Così,  ne' pubblici  infortuni,  e  nelle  lunghe  perturbazioni 
di  quel  qual  si  sia  ordine  consueto,  si  vede  sempre  un  au- 
mento, una  sublimazione  di  virtù;  ma,  pur  troppo,  non  manca 
mai  insieme  un  aumento,  e  d'ordinario  ben  più  generale,  di 
perversità.  E  questo  pure  fu  segnalato.  I  birboni  che  la  peste 
risparmiava  e  non  atterriva,  trovarono  nella  confusion  comune, 
nel  rilasciamento  d'  ogni  forza  pubblica,  una  nuova  occasione 
d'  attività,  e  una  nuova  sicurezza  d' impunità  a  un  tempo. 
Che  anzi,  l'uso  della  forza  pubblica  stessa  venne  a  trovarsi 
in  gran  parte  nelle  mani  de'  peggiori  tra  loro.  All'  impiego 
di  monatti  e  d'  apparitori  non  s'  adattavano  generalmente  che 
uomini  sui  quali  1'  attrattiva  delle  rapine  e  della  licenza  po- 
tesse più  che  il  terror  del  contagio,  che  ogni  naturale  ribrez- 
zo. Eran  a  costoro  prescritte  strettissime  regole,  intimate  se- 
verissime pene,  assegnati  posti,  dati  per  superiori  de' com- 
missari: sopra  questi  e  quelli  eran  delegati,  come  abbiam 
detto,  in  ogni  quartiere,  magistrati  e  nobili,  con  l'autorità 
di  provveder  sommariamente  a  ogni  occorrenza  di  buon  go- 
verno. Un  tal  ordin  di  cose  camminò,  e  fece  effetto,  fino  a 
un  certo  tempo;  ma  crescendo,  ogni  giorno,  il  numero  di 
quelli  che  morivano,  di  quelli  che  andavan  via,  di  quelli  che 
perdevan  la  testa,  venner  coloro  a  non  aver  quasi  più  nessuno 
che  gli  tenesse  a  freno  ;  si  fecero ,  i  monatti  principalmente, 
arbitri  d'ogni  cosa.  Entravano  da  padroni,  da  nemici  nelle 
case,  e,  senza  parlar  de'  rubamenti,  e  come  trattavano  gì'  in- 
felici ridotti  dalla  peste  a  passar  per  tali  mani,  le  mettevano, 
quelle  mani  infette  e  scellerate,  sui  sani,  figliuoli,  parenti,  mo- 
gli, mariti,  minacciando  di  strascinarli  al  lazzeretto,  se  non 
si  riscattavano,  o  non  venivano  riscattati  con  danari.  Altre 
volte,  mettevano  a  prezzo  i  loro  servizi,  ricusando  di  portar 
via  i  cadaveri  già  putrefatti,  a  meno  di  tanti  scudi.  Si  disse 
(e  tra  la  leggerezza  degli  uni  e  la  malvagità  degli  altri,  è 
egualmente  malsicuro  il  credere  e  il  non  credere),  si  disse,  e 
V  afferma  anche  il  Tadino  r),  che  monatti  e  apparitori  lascias- 
sero cadere  apposta  dai  carri  robe  infette,  per  propagare  e 
mantenere  la  pestilenza,  divenuta  per  essi  un'  entrata,  un  re- 
gno, una  festa.  Altri  sciagurati,  fingendosi  monatti,  portando 
un  campanello  attaccato  a  un  piede,  com'  era  prescritto  a 
quelli,  per  distintivo  e  per  avviso  del  loro  avvicinarsi,  s'  in- 
troducevano nelle  case  a  farne  di  tutte  le  sorte.  In  alcune, 
aperte  e  vote  d' abitanti,  o  abitate  soltanto  da  qualche  lan- 
guente, da  qualche  moribondo,  entravan  ladri,  a  man  sal- 
va, a  saccheggiare:  altre  venivan  sorprese,  invase  da  birri 
che   facevan   lo    stesso,    e   anche    cose    peggiori.     Del    pari 


1)  Pag.  102. 


CAPITOLO   XXXII.  413 

con  la  perversità,  crebbe  la  pazzia:  tutti  gli  errori  già  domi- 
canti  più  o  meno,  presero  dallo  sbalordimento,  e  dall'  agita- 
zione delle  menti,  una  forza  straordinaria,  produssero  effetti 
più  rapidi  e  più  vasti.  E  tutti  servirono  a  rinforzare  e  a  in- 
grandire quella  paura  speciale  dell'  unzioni,  la  quale,  ne'  suoi 
effetti,  ne'  suoi  sfoghi,  era  spesso,  come  abbiam  veduto,  un' 
altra  perversità.  L' immagine  di  quel  supposto  pericolo  asse- 
diava e  martirizzava  gli  animi,  molto  più  che  il  pericolo  reale 
e  presente.  «E  mentre,»  dice  il  Ripamonti,  «i  cadaveri 
sparsi,  o  i  mucchi  di  cadaveri,  sempre  davanti  agli  occhi, 
sempre  tra'  piedi,  facevano  della  città  tutta  come  un  solo  mor- 
torio, e'  era  qualcosa  di  più  brutto,  di  più  funesto,  in  quel- 
P  accanimento  vicendevole,  in  quella  sfrenatezza  e  mostruosità 
di  sospetti ....  Non  del  vicino  soltanto  si  prendeva  ombra, 
dell'amico,  dell'ospite;  ma  que' nomi,  que' vincoli  dell'uma- 
na carità,  marito  e  moglie,  padre  e  figlio,  fratello  e  fratello, 
eran  di  terrore:  e,  cosa  orribile,  e  indegna  a  dirsi!  la  mensa 
domestica,  il  letto  nuziale,  si  temevano,  come  agguati,  come 
nascondigli  di  venefìzio.» 

La  vastità  immaginata,  la  stranezza  della  trama  turbavan 
tutti  i  giudizi,  alteravan  tutte  le  ragioni  della  fiducia  recipro- 
ca. Da  principio,  si  credeva  soltanto  che  quei  supposti  un- 
tori fosser  mossi  dall'  ambizione  e  dalla  cupidigia;  andando 
avanti,  si  sognò,  si  credette  che  ci  fosse  una  non  so  quale 
voluttà  diabolica  in  quell'  ungere,  un'  attrattiva  che  dominasse 
la  volontà.  I  vaneggiamenti  degl'  infermi  che  accusavan  sé 
stessi  di  ciò  che  avevan  temuto  dagli  altri,  parevano  rivela- 
zioni, e  rendevano  ogni  cosa,  per  dir  così,  credibile  d'  ognu- 
no. E  più  delle  parole,  dovevan  far  colpo  le  dimostrazioni, 
se  accadeva  che  appestati  in  delirio  andasser  facendo  di  que- 
gli atti  che  s'  erano  figurati  che  dovessero  fare  gli  untori: 
cosa  insieme  molto  probabile,  e  atta  a  dar  miglior  ragione 
della  persuasion  generale  e  dell'  affermazioni  di  molti  scrit- 
tori. Così,  nel  lungo  e  tristo  periodo  de'  processi  per  stre- 
goneria, le  confessioni,  non  sempre  estorte,  degl'  imputati,  non 
serviron  poco  a  promovere  e  a  mantener  1'  opinione  che  re- 
gnava intorno  ad  essa:  che,  quando  un'opinione  regna  per 
lungo  tempo,  e  in  una  buona  parte  del  mondo,  finisce  a  espri- 
mersi in  tutte  le  maniere,  e  tentar  tutte  P  uscite,  a  scorrer 
per  tutti  i  gradi  della  persuasione;  ed  è  difficile  che  tutti  o 
moltissimi  credano  a  lungo  che  una  cosa  strana  si  faccia, 
senza  che  venga  alcuno  il  quale  creda  di  farla. 

Tra  le  storie  che  quel  delirio  dell'  unzioni  fece  immagi- 
nare, una  merita  che  se  ne  faccia  menzione,  per  il  credito 
che  acquistò,  e  per  il  giro  che  fece.  Si  raccontava,  non  dal 
tutti  neh"  istessa  maniera  (che  sarebbe  un  troppo  singo  lai- 
privilegio  delle  favole),  ma  a  un  dipresso,   che  un  tale,  il  tal 


414  I   PROMESSI    SPOSI. 

giorno,  aveva  visto  arrivar  sulla  piazza  del  duomo  un  tiro  a 
sei,  e  dentro,  con  altri,  un  gran  personaggio,  con  una  faccia 
fosca  e  infocata,  con  gli  occhi  accesi,  coi  capelli  ritti,  e  il 
labbro  atteggiato  di  minaccia.  Mentre  quel  tale  stava  intento 
a  guardare,  la  carrozza  s'era  fermata;  e  il  cocchiere  l'aveva 
invitato  a  salirvi;  e  lui  non  aveva  saputo  dir  di  no.  Dopo 
diversi  rigiri,  erano  smontati  alla  porta  d' un  tal  palazzo, 
dove  entrato  anche  lui,  con  la  compagnia,  aveva  trovato  ame- 
nità e  orrori,  deserti  e  giardini,  caverne  e  sale;  e  in  esso, 
fantasime  sedute  a  consiglio.  Finalmente,  gli  erano  state 
fatte  vedere  gran  casse  di  denaro,  e  detto  che  ne  prendesse 
quanto  gli  fosse  piaciuto,  con  questo  però,  che  accettasse 
un  vasetto  d'  unguento,  e  andasse  con  esso  ungendo  per  la 
città.  Ma  non  avendo  voluto  acconsentire,  s'  era  trovato  in 
an  batter  d'  occhio,  nel  medesimo  luogo  dove  era  stato  preso. 
Questa  storia,  creduta  qui  generalmente  dal  popolo,  e,  al  dir 
del  Ripamonti,  non  abbastanza  derisa  da  qualche  uomo  di 
peso  J),  girò  per  tutta  Italia  e  fuori.  In  Germania  se  ne  fece 
una  stampa;  l'elettore  arcivescovo  di  Magonza  scrisse  al  car- 
dinal Federigo,  per  domandargli  cosa  si  dovesse  credere  de' 
fatti  maravigliosi  che  si  raccontavan  di  Milano  :  e  n'  ebbe  in 
risposta  eh'  eran  sogni. 

D'  ugual  valore,  se  non  in  tutto  d'  ugual  natura,  erano  i 
sogni  de'  dotti;  come  disastrosi  del  pari  n'  eran  gli  effetti. 
Vedevano,  la  più  parte  di  loro,  l'annunzio  e  la  ragione  in- 
sieme de'  guai  in  una  cometa  apparsa  V  anno  1628,  e  in  una 
congiunzione  di  Saturno  con  Giove,  «inclinando,»  scrive  il 
Tadino,  «la  congiontione  sodetta  sopra  questo  anno  1630, 
tanto  chiara,  che  ciascun  le  poteua  intendere.  Mortales  pa- 
rat  morbos,  miranda  videntur.»  Questa  predizione,  cavata, 
dicevano,  da  un  libro  intitolato  Specchio  degli  almanacchi 
perfetti,  stampato  in  Torino,  nel  1623,  correva  per  le  bocche 
di  tutti.  Un'  altra  cometa,  apparsa  nel  giugno  dell'  anno 
stesso  della  peste,  si  prese  per  un  nuovo  avviso;  anzi  per  una 
prova  manifesta  dell'  unzioni.  Pescavan  ne'  libri,  e  pur  trop- 
po ne  trovavano  in  quantità,  esempi  di  peste,  come  dicevano, 
manufatta:  citavano  Livio,  Tacito,  Dione,  che  dico?  Omero 
e  Ovidio,  i  molti  altri  antichi  che  hanno  raccontati  o  accen- 
nati fatti  somiglianti  :  di  moderni  ne  avevano  ancor  più  in  ab- 
bondanza. Citavano  cent'  altri  autori  che  hanno  trattato  dot- 
trinalmente, o  parlato  incidentemente  di  veleni,  di  malìe, 
d'  unti,  di  polveri:  il  Cesalpino,  il  Cardano,  il  Grevino,  il 
Salio,   il  Pareo,   lo  Schenchio,  lo  Zachia  e,  per  finirla,  quel 


l)  Apud  prudentium  prelosque,  non  siculi  debuerat  irrisa.   De  peste,  etc 
pag.  77. 


CAPITOLO  XXXII.  415 

funesto  Delrio,  il  quale,  se  la  rinomanza  degli  autori  fosse  in 
ragione  del  bene  e  del  male  prodotto  dalle  loro  opere,  do- 
vrebb'  essere  uno  de' più  famosi;  quel  Delrio,  le  cui  veglie 
costaron  la  vita  a  più  uomini  che  l'imprese  di  qualche  con- 
quistatore: quel  Delrio,  le  cui  Disquisizioni  Magiche  (il  ri- 
stretto di  tutto  ciò  che  gli  uomini  avevano,  fino  a'  suoi  tempi, 
sognato  in  quella  materia),  divenute  il  testo  più  autorevole, 
più  irrefragabile,  furono,  per  più  d'un  secolo,  norma  e  im- 
pulso potente  di  legali,  orribili,  non  interrotte  carnificine. 

Da'  trovati  del  volgo,  la  gente  istruita  prendeva  ciò  che 
si  poteva  accomodar  con  le  sue  idee;  da'  trovati  della  gente 
istruita,  il  volgo  prendeva  ciò  che  ne  poteva  intendere,  e  come 
lo  poteva;  e  di  tutto  si  formava  una  massa  enorme  e  confusa 
di  pubblica  follia. 

Ma  ciò  che  reca  maggior  maraviglia,  è  il  vedere  i  medici, 
dico  i  medici  che  fin  da  principio  avevan  creduta  la  peste, 
dico  in  ispecie  il  Tadino,  il  quale  1'  aveva  pronosticata,  vista 
entrare,  tenuta  d'occhio,  per  dir  così,  nel  suo  progresso,  il 
quale  aveva  detto  e  predicato  che  V  era  peste,  e  s'  attaccava 
col  contatto,  che  non  mettendovi  riparo,  ne  sarebbe  infettato 
tutto  il  paese,  vederlo  poi,  da  questi  effetti  medesimi  cavare 
argomento  certo  dell'  unzioni  venefiche  e  malefiche  ;  lui  che  in 
quel  Carlo  Colonna,  il  secondo  che  morì  di  peste  in  Milano, 
aveva  notato  il  delirio  come  un  accidente  della  malattia,  ve- 
derlo poi  addurre  in  prova  dell'  unzioni  e  della  congiura  dia- 
bolica, un  fatto  di  .questa  sorte:  che  due  testimoni  deponeva- 
no d'  aver  sentito  raccontare  da  un  loro  amico  infermo,  come 
una  notte,  gli  eran  venute  persone  in  camera,  a  esibirgli 
la  guarigione  e  danari,  se  avesse  voluto  unger  le  case  del 
contorno;  e  come,  al  suo  rifiuto,  quelli  se  n'  erano  andati,  e 
in  loro  vece,  era  rimasto  un  lupo  sotto  il  letto,  e  tre  gattoni 
sopra,  «che  sino  al  far  del  giorno  vi  dimororno  J).» 

Se  fosse  stato  uno  solo  che  connettesse  così,  si  dovrebbe 
dire  che  aveva  una  testa  curiosa;  o  piuttosto  non  ci  sarebbe 
ragion  di  parlarne;  ma  siccome  eran  molti,  anzi  quasi  tutti, 
così  è  storia  dello  spirito  umano,  e  dà  occasion  d'  osservare 
quanto  una  serie  ordinata  e  ragionevole  d'  idee  possa  essere 
scompigliata  da  un'  altra  serie  d' idee,  che  ci  si  getti  a  tra- 
verso. Del  resto,  quel  Tadino  era  qui  uno  degli  uomini  più 
riputati  del  suo  tempo. 

Due  illustri  e  benemeriti  scrittori  hanno  affermato  che  il 
cardinal  Federigo  dubitasse  del  fatto  dell'  unzioni2).  Noi 
vorremmo  poter  dare  a  quell'  inclita  e  amabile   memoria  una 

1)  Pag.  123.  124. 

2)  Muratori:  Del  governo  della  peste:  Modena,  1714,  pag.  117.  —  P. 
Verri:  opuscolo  citato,  pag.  261. 


416  I  PROMESSI    SPOSI. 

lode  ancor  più  intera,  e  rappresentare  il  buon  prelato,  in  que- 
sto, come  in  tant'  altre  cose,  superiore  alla  più  parte  de'  suoi 
contemporanei,  ma  siamo  invece  costretti  di  notar  di  nuovo 
in  lui  un  esempio  della  forza  d'  un'  opinione  comune  anche 
sulle  menti  più  nobili.  S'  è  visto,  almeno  da  quel  che  ne 
dice  il  Ripamonti,  come  da  principio,  veramente  stesse  in  dub- 
bio: ritenne  poi  sempre  che  in  quell'opinione  avesse  gran 
parte  la  credulità,  P  ignoranza,  la  paura,  il  desiderio  di  scu- 
sarsi d'aver  così  tardi  riconosciuto  il  contagio,  e  pensato  a 
mettervi  riparo;  che  molto  ci  fosse  d'esagerato,  ma  insieme, 
che  qualche  cosa  ci  fosse  di  vero.  Nella  biblioteca  ambrosiana 
si  conserva  un'  operetta  scritta  di  sua  mano  intorno  a  quella 
peste;  e  questo  sentimento  e'  è  accennato  spesso,  anzi  una 
volta  enunciato  espressamente.  «Era  opinion  comune,»  dice 
a  un  di  presso,  «che  di  questi  unguenti  se  ne  componesse  in 
vari  luoghi,  e  che  molte  fossero  P  arti  di  metterlo  in  opera: 
delle  quali  alcune  ci  paion  vere,  altre  inventate.»  Ecco  le 
sue  parole:  Unguenta  vero  haec  aiebant  componi  conficique 
jnultifariam,  frandisque  vias  fuisse  compìures;  quartini  sane 
fraudum  et  artium,  aìiis  quidem  assentimur,  alias  vero  ficias 
fuisse  commentiti o èque    arlitramur  l). 

Ci  furon  però  di  quelli  che  pensarono  fino  alla  fine  e  fin 
che  vissero,  che  tutto  fosse  immaginazione:  e  lo  sappiamo, 
non  da  loro,  che  nessuno  fu  abbastanza  ardito  per  esporre 
al  pubblico  un  sentimento  così  opposto  a  quello  del  pubblico; 
lo  sappiamo  dagli  scrittori  che  lo  deridono  o  lo  riprendono  o 
lo  ribattono,  come  un  pregiudizio  d' alcuni,  un  errore  che  non 
s'  attentava  di  venire  a  disputa  palese,  ma  che  pur  viveva;  lo 
sappiamo  anche  da  chi  ne  aveva  notizia  per  tradizione.  «Ho 
trovato  gente  savia  in  Milano,»  dice  il  buon  Muratori,  nel 
luogo  sopraccitato,  «che  aveva  buone  relazioni  dai  loro  mag- 
giori, e  non  era  molto  persuasa  che  fosse  vero  il  fatto  di 
quegli  unti  velenosi.»  Si  vede  eh'  era  uno  sfogo  segreto  del- 
la verità,  una  confidenza  domestica:  il  buon  senso  c'era;  ma 
se  ne  stava  nascosto,  per  paura  del  senso  comune. 

I  magistrati,  scemati  ogni  giorno,  e  sempre  più  smarriti  e 
confusi,  tutta,  per  dir  così,  quella  poca  risoluzione  di  cui  eran 
capaci,  l' impiegarono  a  cercar  di  questi  untori.  Tra  le  carte 
del  tempo  della  peste,  che  si  conservano  nell5  archivio  nomi- 
nato di  sopra,  e'  è  una  lettera  (senza  alcun  altro  documento 
relativo)  in  cui  il  gran  cancelliere  informa,  sul  serio  e  con 
gran  premura,  il  governatore  d'  aver  ricevuto  un  avviso  che, 
in  una  casa  di  campagna  de'  fratelli  Girolamo  e  Giulio  Monti, 
gentiluomini  milanesi,  si  componeva  veleno  in  tanta  quantità, 
che   quaranta   uomini    erano    occupati  eti  este  exercicio,  con 


l)  De  Pesti'.entia,  quae  Mediolani  anno  1630  magnani  strageni  edidit. 


CAPITOLO    XXXII.  417 

l'assistenza  di  quattro  cavalieri  bresciani,  i  quali  facevano 
venir  materiali  dal  veneziano,  para  la  fàbbrica  del  veneno. 
Soggiunge  che  lui  aveva  preso,  in  gran  segreto,  i  concerti  ne- 
cessari per  mandar  là  il  podestà  di  Milano  e  V  auditore  del- 
la Sanità,  con  trenta  soldati  di  cavalleria;  che  pur  troppo  uno 
de'  fratelli  era  stato  avvertito  a  tempo  per  poter  trafugare 
gì'  indizi  del  delitto ,  e  probabilmente  dall'  auditor  medesimo, 
suo  amico;  e  che  questo  trovava  delle  scuse  per  non  partire; 
ma  che  non  ostante,  il  podestà  co' soldati  era  andato  a  re- 
conocer  la  casa,  y  a  ver  si  hallarà  àlgunos  vestigios,  e  pren- 
dere informazioni,  e  arrestar  tutti  quelli  che  fossero  in- 
colpati. 

La  cosa  dovè  finire  in  nulla,  giacché  gli  scritti  del  tempo 
che  parlano  de' sospetti  che  e' eran  su  que' gentiluomini,  non 
citano  alcun  fatto.  Ma  pur  troppo,  in  un'altra  occasione,  si 
credè  d'  aver  trovato. 

I  processi  che  ne  vennero  in  conseguenza,  non  eran  cer- 
tamente i  primi  d'  un  tal  genere  :  e  non  si  può  neppur  con- 
siderarli come  una  rarità  nella  storia  della  giurisprudenza. 
Che,  per  tacere  dell'  antichità,  e  accennar  solo  qualcosa  de' 
tempi  più  vicini  a  quello  di  cui  trattiamo,  in  Palermo,  del 
1526;  in  Ginevra,  del  1530;  poi  del  1545,  poi  ancora  del 
157-4;  in  Casal  Monferrato,  del  1536;  in  Padova,  del  1555; 
in  Torino,  del  1599,  e  di  nuovo,  in  quel  medesimo  anno  1630, 
furon  processati  e  condannati  a  supplizi ,  per  lo  più  atrocis- 
simi, dove  qualcheduno,  dove  molti  infelici,  come  rei  d'aver 
propagata  la  peste,  con  polveri,  o  con  unguenti,  o  con  malìe, 
o  con  tutto  ciò  insieme.  Ma  1'  affare  delle  così  dette  unzioni 
di  Milano,  come  fu  il  più  celebre,  così  è  fors' anche  il  più 
osservabile;  o,  almeno,  c'è  più  campo  di  farci  sopra  osser- 
vazione, per  esserne  rimasti  documenti  più  circostanziati  e  più 
autentici.  E  quantunque  uno  scrittore  lodato  poco  sopra  se 
ne  sia  occupato,  pure,  essendosi  lui  proposto,  non  tanto  di 
farne  propriamente  la  storia,  quanto  di  cavarne  sussidio  di 
ragioni,  per  un  assunto  di  maggiore,  o  certo  di  più  immediata 
importanza ,  e'  è  parso  che  la  storia  potesse  esser  materia 
d'  un  nuovo  lavoro.  Ma  non  è  cosa  da  uscirne  con  poche 
parole;  e  non  è  qui  il  luogo  di  trattarla  con  l'estensione  che 
merita.  E  oltre  di  ciò,  dopo  essersi  fermato  su  que' casi,  il 
lettore  non  si  curerebbe  più  certamente  di  conoscere  ciò  che 
rimane  del  nostro  racconto.  Serbando  però  a  un  altro  scritto 
la  storia  e  l'esame  di  quelli,  torneremo  finalmente  a' nostri 
personaggi,  per  non  lasciarli  più,  fino  alla  fine. 


Manzoni.  27 


418  I   PROMESSI    SPOSI. 


CAPITOLO  XXXIII. 

Una  notte,  verso  la  fine  d'  agosto,  proprio  nel  colmo  della 
peste,  tornava  don  Rodrigo  a  casa  sua,  in  Milano,  accom- 
pagnato dal  fedel  Griso,  l'uno  de' tre  o  quattro  che,  di  tutta 
la  famiglia,  gli  eran  rimasti  vivi.  Tornava  da  un  ridotto 
d'amici  soliti  a  straviziare  insieme,  per  passar  la  malinconia 
di  quel  tempo:  e  ogni  volta  ce  n' eran  de' nuovi,  e  ne  man- 
cava de'  vecchi.  Quel  giorno,  don  Rodrigo  era  stato  uno  de' 
più  allegri;  e  tra  l'altre  cose,  aveva  fatto" rider  tanto  la  com- 
pagnia, con  una  specie  d'elogio  funebre  del  conte  Attilio, 
portato  via  dalla  peste,  due  giorni  prima. 

Camminando  però,  sentiva  un  mal  essere,  un  abbattimento, 
una  fiacchezza  di  gambe,  una  gravezza  di  respiro,  un'  arsione 
interna,  che  avrebbe  voluto  attribuir  solamente  al  vino,  alla 
veglia,  alla  stagione.  Non  aprì  bocca,  per  tutta  la  strada;  e 
la  prima  parola,  arrivati  a  casa,  fu  d'ordinare  al  Griso  che 
gli  facesse  lume  per  andare  in  camera.  Quando  ci  furono,  il 
Griso  osservò  il  viso  del  padrone,  stravolto,  acceso,  con  gli 
occhi  in  fuori,  e  lustri  lustri;  e  gli  stava  alla  lontana:  perchè, 
in  quelle  circostanze,  ogni  mascalzone,  aveva  dovuto  acquistar, 
come  si  dice,  V  occhio  medico. 

«Sto  bene,  ve',»  disse  don  Rodrigo,  che  lesse  nel  fare 
del  Griso  il  pensiero  che  gli  passava  per  la  mente.  «Sto 
benone,  ma  ho  bevuto ,  ho  bevuto  forse  un  po'  troppo.  C  era 
una  vernaccia!  .  .  .  .Ma,  con  una  buona  dormita,  tutto  se  ne  va. 
Ho  un  gran  sonno  ....  Levami  un  po'  quel  lume  dinanzi, 
che  m'  accieca  ....  mi  dà  una  noia!  .  .  .  .» 

«Scherzi  della  vernaccia,»  disse  il  Griso,  tenendosi  sem- 
pre alla  larga.  «Ma  vada  a  letto  subito,  che  il  dormire  le 
farà  bene.» 

«Hai  ragione:  se  posso  dormire  ....  Del  resto,  sto  bene. 
Metti  qui  vicino,  a  buon  conto,  quel  campanello,  se  per  caso, 
stanotte,  avessi  bisogno  di  qualche  cosa:  e  sta  attento,  ve',  se 
mai  senti  sonare.  Ma  non  avrò  bisogno  di  nulla  ....  Porta 
via  presto  quel  maledetto  lume,»  riprese  poi,  intanto  che  il 
Griso  eseguiva  V  ordine,  avvicinandosi  meno  che  poteva. 
«Diavolo!  che  m'abbia  a  dar  tanto  fastidio!» 

Il  Griso  prese  il  lume,  e,  augurata  la  buona  notte  al  pa- 
drone, se  n'  andò  in  fretta,  mentre  quello  si  cacciava  sotto. 

Ma  le  coperte  gli  parvero  una  montagna.  Le  buttò  via,  e 
si  rannicchiò,  per  dormire;  che  infatti  moriva  dal  sonno.  Ma, 
appena  velato  l'occhio,  si  svegliava  con  un  riscossone,  come 
se  uno,  per  dispetto,  fosse  venuto  a  dargli  una  tentennata;  e 
sentiva  cresciuto  il  caldo;  cresciuta  la  smania.    Ricorreva  col 


CAPITOLO   XXXIII.  419 

pensiero  all'agosto,  alla  vernaccia,  al  disordine;  avrebbe  vo- 
luto poter  dar  loro  tutta  la  colpa;  ma  a  queste  idee  si  sosti- 
tuiva sempre  da  sé  quella  che  allora  era  associata  con  tutte, 
ch'entrava,  per  dir  così,  da  tutti  i  sensi,  che  s'era  ficcata 
in  tutti  i  discorsi  dello  stravizio,  giacché  era  ancor  più  fa- 
cile prenderla  in  ischerzo,  che  passarla  sotto  silenzio:  la 
peste, 

Dopo  un  lungo  rivoltarsi,  finalmente  s'addormentò,  e  co- 
minciò a  fare  i  più  brutti  e  arruffati  sogni  del  mondo.  E 
d'uno  in  un  altro,  gli  parve  di  trovarsi  in  una  gran  chiesa, 
in  su,  in  su,  in  mezzo  a  una  folla;  di  trovarcisi,  che  non  sa- 
peva come  ci  fosse  andato,  come  gliene  fosse  venuto  il  pen- 
siero, in  quel  tempo  specialmente;  e  n'era  arrabbiato,  Guar- 
dava i  circostanti;  eran  tutti  visi  gialli,  distrutti,  con  cer- 
t' occhi  incantati,  abbacinati,  con  le  labbra  spenzolate;  tutta 
gente  con  certi  vestiti  che  cascavano  a  pezzi;  e  da' rotti  si 
vedevano  macchie  e  bubboni.  -Largo,  canaglia!»)  gli  pareva 
di  gridare,  guardando  alla  porta,  ch'era  lontana  lontana,  e 
accompagnando  il  grido  con  un  viso  minaccioso,  senza  però 
moversi,  anzi  ristringendosi,  per  non  toccar  que' sozzi  corpi, 
che  già  lo  toccavano  anche  troppo  da  ogni  parte.  Ma  nessu- 
no di  quegl' insensati  dava  segno  di  volersi  scostare,  e  nem- 
meno d'avere  inteso;  anzi  gli  stavan  più  addosso:  e  sopra 
tutti  gli  pareva  che  qualeheduno  di  loro,  con  le  gomita  o  con 
altro,  lo  pigiasse  a  sinistra,  tra  il  cuore  e  1'  ascella,  dove  sen- 
tiva una  puntura  dolorosa,  e  come  pesante.  E  se  si  storce- 
va, per  veder  di  liberarsene,  subito  un  nuovo  non  so  che 
veniva  a  puntarglisi  al  luogo  medesimo.  Infuriato,  volle  met- 
ter mano  alla  spada;  e  appunto  gli  parve  che,  per  la  calca, 
gli  fosse  andata  in  su,  e  fosse  il  pomo  di  quella  che  lo  pre- 
messe in  quel  luogo;  ma  mettendoci  la  mano,  non  ci  trovò  la 
spada,  e  sentì  invece  una  trafitta  più  forte.  Strepitava  ora 
tutt*  affannato,  e  voleva  gridar  più  forte;  quando  gli  parve 
che  tutti  que'  visi  si  rivolgessero  a  una  parte.  Guardò  an- 
che lui,  vide  un  pulpito,  e  dal  parapetto  di  quello  spuntar  su 
un  non  so  che  di  convesso,  liscio  e  luccicante;  poi  alzarsi  e 
comparir  distinta  una  testa  pelata,  poi  due  occhi,  un  viso,  una 
barba  lunga  e  bianca,  un  frate  ritto,  fuor  del  parapetto  fino 
alla  cintola,  fra  Cristoforo.  Il  quale,  fulminato  uno  sguardo 
in  giro  su  tutto  l'uditorio,  parve  a  don  Rodrigo  che  lo  fer- 
masse, in  viso  a  lui,  alzando  insieme  la  mano,  nell'  attitudine 
appunto  che  aveva  presa  in  quella  sala  a  terreno  del  suo  pa- 
lazzotto. Allora  alzò  anche  lui  la  mano  in  furia,  fece  uno 
sforzo,  come  per  islanciarsi  ad  acchiappar  quel  braccio  teso 
per  aria;  una  voce  che  gli  andava  brontolando  sordamente 
nella  gola,  scoppiò  in  un  grand' urlo;  e  si  destò.  Lasciò  ca- 
dere  il  braccio  che  aveva  alzato  davvero;  stentò  alquanto  a 

27* 


420  I    PEOSIESSI    SPOSI. 

ritrovarsi,  ad*  aprir  ben  gli  occhi;  che  la  luce  del  giorno  già 
inoltrato  gli  dava  noia,  quanto  quella  della  candela  la  sera 
avanti;  riconobbe  il  suo  letto,  la  sua  camera;  si  raccapezzò 
che  tutto  era  stato  un  sogno:  la  chiesa,  il  popolo,  il  frate, 
tutto  era  sparito;  tutto  fuorché  una  cosa,  quel  dolore  dalla 
parte  sinistra.  Insieme  si  sentiva  al  cuore  una  palpitazion 
violenta,  affannosa,  negli  orecchi  un  ronzìo,  un  fischio  conti- 
nuo, un  fuoco  di  dentro,  una  gravezza  in  tutte  le  membra, 
peggio  di  quando  era  andato  a  letto.  Esitò  qualche  momento, 
prima  di  guardar  la  parte  dove  aveva  il  dolore;  finalmente 
la  scoprì,  ci  diede  un'occhiata  paurosa;  e  vide  un  sozzo  bub- 
bone d'  un  livido  paonazzo. 

L' uomo  si  vide  perduto  :  il  terror  della  morte  l' invase 
e,  con  un  senso  per  avventura  più  forte,  il  terrore  di  diventar 
preda  de' monatti,  d'esser  portato,  buttato  al  lazzeretto.  E 
cercando  la  maniera  d'evitare  quest'orribile  sorte,  sentiva  i 
suoi  pensieri  confondersi  e  oscurarsi,  sentiva  avvicinarsi  il 
momento  che  non  avrebbe  più  testa,  se  non  quanto  bastasse 
per  darsi  alla  disperazione.  Afferrò  il  campanello,  e  lo  scosse 
con  violenza.  Comparve  subito  il  Griso,  il  quale  stava  al- 
l'erta. Si  fermò  a  una  certa  distanza  dal  letto;  guardò  at- 
tentamente il  padrone,  e  s'accertò  di  quello  che,  la  sera, 
aveva  congetturato. 

«Griso!»  disse  don  Rodrigo,  rizzandosi  stentatamente  a 
sedere:  «tu  sei  sempre  stato  il  mio  fido.» 

«Sì,  signore.» 

«T'ho  sempre  fatto  del  bene.» 

«Per  sua  bontà.» 

«Di  te  mi  posso  fidare  ....!» 

«Diavolo!  » 

«Sto  male,  Griso.» 

«Ma  n'  era  accorto.» 

«Se  guarisco,  ti  farò  del  bene  ancor  più  di  quello  che  te 
n'ho  fatto  per  il  passato.» 

Il  Griso  non  rispose  nulla,  e  stette  aspettando  dove  andas- 
sero a  parare  questi  preamboli. 

«Non  voglio  fidarmi  d'altri  che  di  te,»  rispose  don  Ro- 
drigo: «fammi  un  piacere,  Griso.» 

«Comandi,»  disse  questo,  rispondendo  con  la  formola  so- 
lita a  quell'  insolita. 

«Sai  dove  sta  di  casa  il  Chiodo  chirurgo?» 

«Lo  so  benissimo.» 

«È  un  galantuomo,  che,  chi  lo  paga  bene,  tien  segreti 
gli  ammalati.  Va  a  chiamarlo:  digli  che  gli  darò  quattro, 
sei  scudi  per  visita,  di  più,  se  di  più  ne  chiede;  ma  che  ven- 
ga qui  subito;  e  fa  la  cosa  bene,  che  nessun  se  n'avveda.» 

«Ben  pensato,»  disse  il  Griso:  «vo  e  torno  subito.» 


CAPITOLO   XXXIII.  421 

«Senti,  Griso:  dammi  prima  un  po' d'acqua.  Mi  sento 
un'arsione,  che  non  ne  posso  più.» 

«No,  signore,»  rispose  il  Griso:  «niente  senza  il  parere 
del  medico.  Son  mali  bisbetici;  non  c'è  tempo  da  perdere. 
Stia  quieto;  in  tre  salti  son  qui  col  Chiodo.» 

Così  detto,  uscì,  raccostando  l'uscio. 

Don  Rodrigo,  tornato  sotto,  l'accompagnava  con  l'imma- 
ginazione alla  casa  del  Chiodo,  contava  i  passi,  calcolava  il 
tempo.  Ogni  tanto  ritornava  a  guardare  il  suo  bubbone:  ma 
voltava  subito  la  testa  dall'altra  parte,  con  ribrezzo.  Dopo 
qualche  tempo,  cominciò  a  stare  in  orecchi,  per  sentire  se  il 
chirurgo  arrivava:  e  quello  sforzo  d'attenzione  sospendeva  il 
sentimento  del  male,  e  teneva  in  sesto  i  suoi  pensieri.  Tutt'  a 
un  tratto,  sente  uno  squillo  lontano,  ma  che  gli  par  che  ven- 
ga dalle  stanze,  non  dalla  strada.  Sta  attento;  lo  sente  più 
forte,  più  ripetuto,  e  insieme  uno  stropiccìo  di  piedi:  un  or- 
rendo sospetto  gli  passa  per  la  mente.  Si  rizza  a  sedere,  e 
si  mette  ancor  più  attento;  sente  un  rumor  cupo  nella  stanza 
vicina,  come  d'un  peso  che  venga  messo  giù  con  riguardo; 
butta  le  gambe  fuor  del  letto,  come  per  alzarsi,  guarda  al- 
l' uscio,  lo  vede  aprirsi,  vede  presentarsi  e  venire  avanti  due 
logori  e  sudici  vestiti  rossi,  due  facce  scomunicate,  due  mo- 
natti, in  una  parola;  vede  mezza  la  faccia  del  Griso  che,  na- 
scosto dietro  un  battente  socchiuso,  riman  lì  a  spiare.   . 

«Ah  traditore  infame!  ....  Vìa,  canaglia!  Biondino! 
Carlotto  !  aiuto!  sono  assassinato!»  grida  don  Rodrigo;  caccia 
una  mano  sotto  il  capezzale,  per  cercare  una  pistola;  l'af- 
ferra, la  tira  fuori;  ma  al  primo  suo  grido,  i  monatti  avevan 
preso  la  rincorsa  verso  il  letto;  il  più  pronto  gli  è  addosso, 
prima  che  lui  possa  far  nulla;  gli  strappa  la  pistola  di  mano, 
la  getta  lontano,  io  butta  a  giacere,  e  lo  tien  lì,  gridando  con 
un  versacelo  di  rabbia  insieme  e  di  scherno:  «ah  birbone! 
contro  i  monatti!  contro  i  ministri  del  tribunale!  contro  quelli 
che  fanno  l'opere  di  misericordia!» 

«Tienlo  bene,  fin  che  lo  portiam  via,»  disse  il  compagno, 
andando  verso  uno  scrigno.  E  in  quella  il  Griso  entrò,  e  si 
mise  con  lui  a  scassinar  la  serratura. 

«Scellerato!»  urlò  don  Rodrigo,  guardandolo  per  di  sotto 
all'  altro  che  lo  teneva,  e  divincolandosi  tra  quelle  braccie 
forzute.  «Lasciatemi  ammazzar  quell'infame,»  diceva  quindi 
ai  monatti,  «e  poi  fate  di  me  quel  che  volete.»  Poi  ritor- 
nava a  chiamar  con  quanta  voce  aveva,  gli  altri  suoi  servito- 
ri; ma  era  inutile,  perchè  l' abbominevole  Griso  gli  aveva 
mandati  lontano,  con  finti  ordini  del  padrone  stesso,  prima 
d' andare  a  fare  ai  monatti  la  proposta  di  venire  a  quella 
spedizione,  e  divider  le  spoglie. 

«Sta  buono,  sta  buono,»   diceva   allo  sventurato  Rodrigo 


422  I    PROMESSI  SPOSI. 

1"  aguzzino  che  lo  teneva  appuntellato  sul  letto.  E  voltando 
poi  il  viso  ai  due  che  facevan  bottino,  gridava:  e  fate  le  cose 
da  galantuomini!  » 

«Tu.  tu!"  mugghiava  don  Rodrigo  verso  il  Griso,  che 
vedeva  affaccendarsi  a  spezzare,  a  cavar  fuori  danaro,  roba, 
a  far  le  parti.  «Tu!  dopo  ....!  Ah  diavolo  dell'inferno! 
Posso  ancora  guarire!  posso  guarire!»  Il  Griso  non  fiata- 
va, e  neppure,  per  quanto  poteva,  si  voltava  dalla  parte  di 
dove  venivan  quelle  parole. 

■  Tienlo  forte,»  diceva  l'altro  monatto:  «è  fuor  di  sé.» 
Ed  era  ormai  vero.  Dopo  un  grand' urlo,  dopo  un  ultimo 
più  violento  sforzo  per  mettersi  in  libertà,  cadde  tutt' a  un 
tratto  rifinito  e  stupido:  guardava  però  ancora,  come  incantato, 
e  ogni  tanto  si  riscoteva,  o  si  lamentava. 

I  monatti  lo  presero,  uno  per  i  piedi,  e  l'altro  per  le 
spalle,  e  andarono  a  posarlo  sur  una  barella  che  avevan  la- 
sciata nella  stanza  accanto;  poi  uno  tornò  a  prender  la  pre- 
da; quindi  alzato  il  miserabil  peso  lo  portaron  via. 

II  Griso  rimase  a  scegliere  in  fretta  quel  di  più  che  po- 
tesse far  per  lui;  fece  di  tutto  un  fagotto,  e  se  n'andò. 
Aveva  bensì  avuto  cura  di  non  toccar  mai  i  monatti,  di  non 
lasciarsi  toccar  da  loro  ;  ma,  in  queir  ultima  furia  del  frugare, 
aveva  poi  presi,  vicino  al  letto,  i  panni  del  padrone,  e  gli 
aveva  scossi,  senza  pensare  ad  altro,  per  veder  se  ci  fosse 
danaro.  C;  ebbe  però  a  pensare  il  giorno  dopo ,  che,  mentre 
stava  gozzovigliando  in  una  bettola,  gli  vennero  a  un  tratto 
de'  brividi,  gli  s'  abbagliarono  gli  occhi,  gli  mancaron  le  forze 
e  cascch  Abbandonato  da'  compagni ,  andò  in  mano  de'  mo- 
natti, che  spogliatolo  di  quanto  aveva  indosso  di  buono,  lo 
buttaron  sur  un  carro;  sul  quale  spirò,  prima  d'arrivare  al 
lazzeretto,  dov'  era  stato  portato  il  suo  padrone. 

Lasciando  ora  questo  nel  soggiorno  de'  guai,  dobbiamo  an- 
dare in  cerca  d'  un  altro,  la  cui  storia  non  sarebbe  mai  stata 
intralciata  con  la  sua,  se  lui  non  l'avesse  voluto  per  forza; 
anzi  si  può  dir  di  certo  che  non  avrebbero  avuto  storia  né 
l'uno,  né  l'altro:  Renzo,  voglio  dire,  che  abbiam  lasciato  al 
nuovo  filatoio,  sotto  il  nome  d'Antonio  Rivolta.  C'era  stato 
cinque  o  sei  mesi,  salvo  il  vero;  dopo  i  quali,  dichiarata 
1'  inimicizia  tra  la  repubblica  e  il  re  di  Spagna,  e  cessata 
quindi  ogni  timore  di  ricerche  e  d' impegni  dalla  parte  di 
qui,  Bortolo  s'era  dato  premura  d'andarlo  a  prendere,  e 
di  tenerlo  ancora  con  sé,  e  perchè  gli  voleva  bene,  e  perchè 
Renzo,  come  giovane  di  talento ,  e  abile  nel  mestiere ,  era,  in 
una  fabbrica,  di  grande  aiuto  al  factotum,  senza  poter  mai 
aspirare  a  divenirlo  lui,  per  quella  benedetta  disgrazia  di  non 
saper  tener  la  penna  in  mano.  Siccome  anche  questa  ra- 
gione e'  era  entrata  per  qualche  cosa,  così  abbiam  dovuto  ac- 


CAFITOLO   XXXIII.  423 

cennarla.  Forse  voi  vorreste  un  Bortolo  più  ideale  :  non  so 
che  dire:  fabbricatevelo.     Quello  era  così. 

Renzo  era  poi  sempre  rimasto  a  lavorare  presso  di  lui. 
Più  d'una  volta,  e  specialmente  dopo  aver  ricevuta  qualche- 
duna  di  quelle  benedette  lettere  da  parte  d'Agnese,  gli  era 
saltato  il  grillo  di  farsi  soldato,  e  finirla:  e  l'occasioni  non 
mancavano;  che  appunto  in  quell'intervallo  di  tempo,  la  re- 
pubblica aveva  avuto  bisogno  di  far  gente.  La  tentazione  era 
qualche  volta  stata  per  Renzo  tanto  più  forte,  che  s'  era  an- 
che parlato  d'invadere  il  milanese:  e  naturalmente  a  lui  pa- 
reva che  sarebbe  stata  una  bella  cosa,  tornar  in  figura  di  vin- 
citore a  casa  sua,  riveder  Lucia  e  spiegarsi  una  volta  con 
lei.  Ma  Bortolo,  con  buona  maniera,  aveva  sempre  saputo 
smontarlo  da  quella  risoluzione. 

«Se  ci  hanno  da  andare,»  gli  diceva,  «ci  aneleranno  an- 
che senza  di  te,  e  tu  potrai  andarci  dopo,  con  tuo  comodo; 
se  tornano  col  capo  rotto,  non  sarà  meglio  essere  stato  a  casa 
tua?  Disperati  che  vadano  a  far  la  strada,  non  ne  mancherà. 
E,  prima  che  ci  possan  mettere  i  piedi  ....  !  Per  me  sono 
eretico:  costoro  abbaiano;  ma  sì;  lo  stato  di  Milano  non  è 
un  boccone  da  ingoiarsi  così  facilmente.  Si  tratta  della  Spa- 
gna, figliuolo  mio:  sai  che  affare  è  la  Spagna?  San  Marco  è 
forte  a  casa  sua;  ma  ci  vuol  altro.  Abbi  pazienza:  non  istai 
bene  qui?  ....  Vedo  cosa  vuoi  dire;  ma  se  è  destinato  lassù 
che  la  cosa  riesca,  sta  sicuro  che,  a  non  far  pazzie,  riuscirà 
anche  meglio.  Qualche  santo  ti  aiuterà.  Credi  pure  che  non 
è  mestiere  per  te.  Ti  par  che  convenga  lasciare  d' incannar 
seta,  per  andare  a  ammazzare?  Cosa  vuoi  fare  con  quella 
razza  di  gente?     Ci  vuol  degli  uomini  fatti  apposta.» 

Altre  volte  Renzo  si  risolveva  d'andar  di  nascosto,  tra- 
vestito, e  con  un  nome  finto.  Ma  anche  da  questo  Bortolo 
seppe  svolgerlo  ogni  volta,  con  ragioni  troppo  facili  a  indo- 
vinarsi. 

Scoppiata  poi  la  peste  nel  milanese,  e  appunto,  come  ab- 
biam  detto,  sul  confine  del  bergamasco,  non  tardò  molto  a 
passarlo,  e non  vi  sgomentate,  eh'  io  non  vi  voglio  raccon- 
tar la  storia  anche  di  questa:  chi  la  volesse,  la  c'è,  scritta 
per  ordine  pubblico  da  un  certo  Lorenzo  Ghirardelli:  libro 
raro  però  e  sconosciuto,  quantunque  contenga  forse  più  roba 
che  tutte  insieme  le  descrizioni  più  celebri  di  pestilenze;  da 
tante  cose  dipende  la  celebrità  de' libri!  Quel  ch'io  volevo 
dire  è  che  Renzo  prese  anche  lui  la  peste,  si  curò  da  sé, 
cioè  non  fece  nulla;  ne  fu  in  fin  di  morte,  ma  la  sua  buona 
complessione  vinse  la  forza  del  male:  in  pochi  giorni,  si  trovò 
fuor  del  pericolo.  Col  tornar  della  vita,  risorsero  più  che  mai 
rigogliose  nell'  animo  suo  le  memorie,  i  desidèri,  le  speranze, 
i  disegni  della  vita;  vai  a  dire  che  pensò  più  che  mai  a  Lu« 


424  I   PROMESSI    SPOSI. 

eia.  Cosa  uè  sarebbe  di  lei,  in  quel  tempo,  che  il  vivere  era 
come  un'eccezione?  E,  a  così  poca  distanza,  non  poterne 
saper  nulla?  E  rimaner,  Dio  sa  quanto,  in  una  tale  incer- 
tezza! E  quand'anche  questa  si  fosse  poi  dissipata,  quando, 
cessato  ogni  pericolo,  venisse  a  risaper  che  Lucia  fosse  in 
vita;  c'era  sempre  quell'altro  mistero,  quell'imbroglio  del 
voto.  —  Anderò  io,  anderò  a  sincerarmi  di  tutto  in  una  volta, 

—  disse  tra  sé,  e  lo  disse  prima  d'essere  ancora  in  caso 
di  reggersi.  —  Purché  sia  viva!  —  Trovarla,  la  troverò  io; 
sentirò  una  volta  da  lei  proprio,  cosa  sia  questa  promessa,  le 
farò  conoscere  che  non  può  stare,  e  la  conduco  via  con  me, 
lei  e  quella  povera  Agnese,  se  è  viva!  che  m'ha  sempre  vo- 
luto bene,  e  son  sicuro  che  me  ne  vuole  ancora.  La  cattura? 
eh!  adesso  hanno  altro  da  pensare,  quelli  che  son  vivi.  Giran 
sicuri,  anche  qui,  certa  gente  che  n'hann' addosso  ....  Ci 
ha  a  esser  salvocondotto  solamente  per  i  birboni?  E  a  Mi- 
lano ,  dicono  tutti  che  1'  è  una  confusione  peggio.  Se  lascio 
scappare  una  occasion  così  bella,  —  (La  peste!  Yedete  un 
poco  come  ci  fa  qualche  volta  adoprar  le  parole  quel  bene- 
detto istinto  di  riferire  e  di  subordinar  tutto  a  noi  medesimi) 

—  non  ne  ritorna  più  una  simile!  — 
Giova  sperare,  caro  il  mio  Renzo. 

Appena  potè  strascinarsi,  andò  in  cerca  di  Bortolo,  il  qua- 
le, fino  allora,  aveva  potuto  scansar  la  peste,  e  stava  riguar- 
dato. Xon  gli  entrò  in  casa,  ma,  datogli  una  voce  dalla  stra- 
da, lo  fece  affacciare  alla  finestra. 

«Ah  ah!»  disse  Bortolo:  «l'hai  scampata,  tu.  Buon 
per  te!» 

«Sto  ancora  un  po' male  in  gambe,  come  vedi,  ma  in 
quanto  al  pericolo,  ne  son  fuori.» 

«Eh!  vorrei  esser  io  ne' tuoi  piedi.  A  dire:  sto  bene,  le 
altre  volte,  pareva  di  dir  tutto:  ma  ora  conta  poco.  Chi  può 
arrivare  a  dire:  sto  meglio;  quella  sì  è  una  bella  parola! 

Renzo,  fatto  al  cugino  qualche  buon  augurio,  gli  comunicò 
la  sua  risoluzione. 

«Va,  queste  volta,  che  il  cielo  ti  benedica,»  rispose  quel- 
lo: «cerca  di  schivar  la  giustizia,  coni' io  cercherò  di  schi- 
vare il  contagio;  e,  se  Dio  vuole  che  la  ci  vada  bene  a  tutt'  e 
due,  ci  rivedremo.» 

«Oh!  torno  sicuro:  e  se  potessi  non  tornar  solo!  Basta; 
spero.» 

«Torna  pure  accompagnato;  che,  se  Dio  vuole,  ci  sarà  da 
lavorar  per  tutti,   e   ci  faremo  buona  compagnia.     Purché  tu 
mi  ritrovi,  e  che  sia  finito  questo  diavolo  d'influsso!» 
Ci  rivedremo,  ci  rivedremo;  ci  dobbiam  rivedere!» 

«Torno  a  dire:  Dio  voglia!» 

Per  alquanti  giorni,  Renzo  si  tenne  in  esercizio,  per  espe- 


CAPITOLO    XXXIII.  425 

rimeritar  le  sue  forze,  e  accrescerle:  e  appena  gli  parve  di 
poter  far  la  strada,  si  dispose  a  partire.  Si  mise  sotto  panni 
una  cintura,  con  dentro  que' cinquanta  scudi  che  non  aveva 
mai  intaccati,  e  de' quali  non  aveva  mai  fatto  parola,  neppur 
con  Bortolo  ;  prese  alcuni  altri  pochi  quattrini,  che  aveva  messi 
da  parte  giorno  per  giorno,  risparmiando  su  tutto;  prese  sotto 
il  braccio  un  fagottino  di  panni;  si  mise  in  tasca  un  benser- 
vito, che  s'  era  fatto  fare  a  buon  conto,  dal  secondo  padrone, 
sotto  il  nome  d'Antonio  Rivolta;  in  un  taschino  de' calzoni 
si  mise  un  coltellaccio,  ch'era  il  meno  che  un  galantuomo 
potesse  portare  a  que' tempi;  e  s'avviò,  agli  ultimi  d'ago- 
sto, tre  giorni  dopo  che  don  Rodrigo  era  stato  portato  al  laz- 
zeretto. Prese  verso  Lecco,  volendo,  per  non  andar  così  alla 
cieca  a  Milano,  passar  dal  suo  paese,  dove  sperava  di  trovare 
Agnese  viva,  e  di  cominciare  a  saper  da  lei  qualcheduna  delle 
tante  cose  che  si  struggeva  di  sapere. 

I  pochi  guariti  dalla  peste  erano,  in  mezzo  al  resto  della 
popolazione,  veramente  come  una  classe  privilegiata.  Una 
gran  parte  dell'altra  gente  languiva  o  moriva;  e  quelli  ch'era- 
no stati  fin  allora  illesi  dal  morbo,  ne  vivevano  in  continuo 
timore;  andavan  riservati,  guardinghi,  con  passi  misurati,  con 
visi  sospettosi,  con  fretta  ed  esitazione  insieme:  che  tutto  po- 
teva essere  contro  di  loro  arme  di  ferita  moitale.  Quegli  al- 
tri all'opposto,  sicuri  a  un  di  presso  del  fatto  loro  (giacché 
aver  due  volte  la  peste  era  caso  piuttosto  prodigioso  che  raro), 
giravano  per  mezzo  al  contagio  franchi  e  risoluti;  come  i  ca- 
valieri d' un'  epoca  del  medio  evo ,  ferrati  fin  dove  ferro  ci 
poteva  stare,  e  sopra  palafreni  accomodati  anch'essi,  per 
quanto  era  fattibile,  in  quella  maniera,  andavano  a  zonzo 
(donde  quella  loro  gloriosa  denominazione  d'  erranti),  a  zonzo 
e  alla  ventura,  in  mezzo  a  una  povera  marmaglia  pedestre  di 
cittadini  e  di  villani,  che,  per  ribattere  e  ammortire  i  colpi, 
non  avevano  indosso  altro  che  cenci.  Bello,  savio  ed  utile 
mestiere!  mestiere,  proprio  da  far  la  prima  figura  in  un  trat- 
tato d'  economia  politica. 

Con  una  tale  sicurezza,  temperata  però  dall'inquietudini 
che  il  lettore  sa,  e  contristata  dallo  spettacolo  frequente,  dal 
pe  nsiero  incessante  della  calamità  comune,  andava  Renzo  ver- 
so casa  sua,  sotto  un  bel  cielo  e  per  un  bel  paese,  ma  non 
incontrando,  dopo  lunghi  tratti  di  tristissima  solitudine,  se 
non  qualche  ombra  vagante  piuttosto  che  persona  viva,  o  ca- 
daveri portati  alla  fossa,  senza  onor  d'esequie,  senza  canto, 
senza  accompagnamento  A  mezzo  circa  della  giornata,  si 
fermò  in  un  boschetto,  a  mangiare  un  po' di  pane  e  di  com- 
panatico che  aveva  portato  con  sé.  Frutte,  n'aveva  a  sua 
disposizione,  lungo  la  strada,  anche  più  del  bisogno:  fichi 
pesche,  susine,  mele,  quante  n'avesse  volute;  bastava  eh'  en 


426  1    PROMESSI   SPOSI. 

trasse  ne' campi  a  coglierne,  o  a  raccattarle  sotto  gli  alberi, 
dove  ce  n'era  come  se  fosse  grandinato,  giacché  l'anno  era 
straordinariamente  abbondante,  di  frutte  specialmente;  e  non 
c'era  quasi  chi  se  ne  prendesse  pensiero:  anche  l'uve  na- 
scondevano, per  dir  così,  i  pampani,  ed  eran  lasciate  in  ba- 
lìa del  primo  occupante. 

Verso  sera,  scoprì  il  suo  paese.  A  quella  vista,  quantun- 
que ci  dovesse  esser  preparato,  si  sentì  dare  come  una  stretta 
al  cuore;  fu  assalito  in  un  punto  da  una  folla  di  rimembran- 
ze dolorose,  e  di  dolorosi  presentimenti:  gli  pareva  d'aver 
negli  orecchi  que'  sinistri  tocchi  a  martello  che  1'  avevan  co- 
me accompagnato,  inseguito,  quand'era  fuggito  da  que' luo- 
ghi; e  insieme  sentiva,  per  dir  così,  un  silenzio  di  morte  che 
ci  regnava  attualmente.  Un  turbamento  ancor  più  forte  pro- 
vò allo  sboccare  sulla  piazzetta  davanti  alla  chiesa;  e  ancora 
peggio  s'aspettava  al  termine  del  cammino;  che  dove  aveva 
disegnato  d'  andare  a  fermarsi,  era  a  queila  casa  eh'  era  stato 
solito  altre  volte  di  chiamar  la  casa  di  Lucia.  Ora  non  po- 
teva essere,  tutt'al  più,  che  quella  d'Agnese;  e  la  sola  gra- 
zia, che  sperava  dal  cielo,  era  di  trovarcela  in  vita  e  in  sa- 
lute. E  in  quella  casa  si  proponeva  di  chiedere  alloggio, 
congetturando  bene  che  la  sua  non  dovesse  esser  più  abita- 
zione che  da  topi  e  da  faine. 

Non  volendo  farsi  vedere,  prese  per  una  viottola  di  fuori, 
quella  stessa  per  cui  era  venuto  in  buona  compagnia,  quella 
notte  così  fatta,  per  sorprendere  il  curato.  A  mezzo  circa, 
c'era  da  una  parte  la  vigna,  e  dall'altra  la  casetta  di  Ren- 
zo; sicché,  passando,  potrebbe  entrare  un  momento  nell'una 
e  nell'  altra,  a  vedere  un  poco  come  stesse  il  fatto  suo. 

Andando,  guardava  innanzi,  ansioso  insieme  e  timoroso  di 
veder  qualcheduno;  e,  dopo  pochi  passi,  vide  infatti  un  uomo 
in  camicia,  seduto  in  terra,  con  le  spalle  appoggiate  a  una 
siepe  di  gelsomini,  in  un'attitudine  d'insensato:  e,  a  que- 
sta, e  poi  anche  alla  flsonomia,  gli  parve  di  raffigurar  quel 
povero  mezzo  scemo  di  Gervaso  eh'  era  venuto  per  secondo 
testimonio  alla  sciagurata  spedizione.  Ma  essendosegli  avvi- 
cinato, dovette  accertarsi  ch'era  invece  quel  Tonio  così  sve- 
glio che  ce  1'  aveva  condotto.  La  peste,  togliendogli  il  vigore 
del  corpo  insieme  e  della  mente,  gli  aveva  svolto  in  faccia  e 
in  ogni  suo  atto  un  piccolo  e  velato  germe  di  somiglianza  che 
aveva  con  l'incantato  fratello. 

«Oh  Tonio!»  gli  disse  Renzo,  fermandosegli  davanti: 
«sei  tu?» 

Tonio  alzò  gli  occhi,  senza  mover  la  testa. 

«Tonio!  non  mi  riconosci?» 

«A  chi  la  tocca,  la  tocca,»  rispose  Tonio,  rimanendo  poi 
con  la  bocca  aperta. 


CAPITOLO    XXXIII. 


427 


«  L'hai  addosso  eh?  povero  Tonio;  ma  non  mi  riconosci 
più?» 

«A  chi  la  tocca,  la  tocca,»  replicò  quello,  con  un  certo 
sorriso  sciocco.  Renzo,  vedendo  che  non  ne  caverebbe  altro, 
seguitò  la  sua  strada,  più  contristato.  Ed  ecco  spuntar  da 
una  cantonata,  e  venire  avanti  una  cosa  nera,  che  riconobbe 
subito  per  don  Abbondio.  Camminava  adagio  adagio,  portan- 
do il  bastone  come  chi  n' è  portato  a  vicenda;  e  di  mano  in 
mano  che  s'avvicinava,  sempre  più  si  poteva  conoscere  nel 
suo  volto  pallido  e  smunto,  e  in  ogni  atto,  che  anche  lui  do- 
veva aver  passata  la  sua  burrasca.  Guardava  anche  lui:  gli 
pareva  e  non  gli  pareva:  vedeva  qualcosa  di  forestiero  nel 
vestiario  ;  ma  era  appunto  forestiero  di  quel  di  Bergamo. 

—  È  lui  senz'altro!  —  disse  tra  sé,  e  alzò  le  mani  al 
cielo,  con  un  movimento  di  maraviglia  scontenta,  restandogli 
sospeso  in  aria  il  bastone  che  teneva  nella  destra  ;  e  si  vede- 
vano quelle  povere  braccia  ballar  nelle  maniche,  dove  altre 
volte  stavano  appena  per  1'  appunto.  Renzo  gli  andò  incon- 
tro,  allungando  il  passo,  e  gli  fece  una  riverenza;  che.  seb- 
bene si  fossero  lasciati  come  sapete,  era  però  sempre  il  suo 
curato. 

«Siete  qui,  voi?»  esclamò  don  Abbondio. 

»Son  qui,  come  lei  vede.     Si  sa  niente  di  Lucia?» 

a  Che  volete  che  se  ne  sappia?  Xon  se  ne  sa  niente. 
È  a  Milano,  se  pure  è  ancora  in  questo  mondo.  Ma  voi . . . .» 

«E  Agnese,  è  viva?» 

«Può  essere;  ma  chi  volete  che  lo  sappia?  non  è  qui. 
Ma » 

«Dov'è?» 

«È  andata  a  starsene  nella  Yalsassina,  da  que" suoi  parenti, 
a  Pasturo,  sapete  bene:  che  là  dicono  che  la  peste  non  faccia 
il  diavolo  come  qui.     Ma  voi,  dico  ....  » 

«Questa  la  mi  dispiace.     E  il  padre  Cristoforo  ....?» 
È  andato  via  che  è  un  pezzo.     Ma  ....  » 

<Lo  sapevo;  me  l'hanno  fatto  scrivere:  domandavo  se 
per  caso  fosse  tornato  da  queste  parti.» 

«Oh  giusto!  non  se  n'  è  più  sentito  parlare.  Ma 
voi  ....  » 

«La  mi  dispiace  anche  questa.» 

«Ma  voi.  dico,  cosa  venite  a  far  da  queste  parti,  per 
l'amor  del  cielo!    Non  sapete  che  bagattella  di  cattura  . ..?» 

«Cosa  m'importa?  Hanno  altro  da  pensare.  Ho  voluto 
venire  anch'  io   una  volta  a  vedere  i  fatti  miei.     E  non  si  sa 


«Cosa  volete  vedere?  che  or  ora  non  e'  è  più  nessuno, 
non  c'è  più  niente.  E  dico,  con  quella  bagattella  di  cattu- 
ra, venir  qui,  proprio  in  paese,  in  bocca  al  lupo,  e'  è  giudizio? 


428  I    PROMESSI    SPOSI. 

Fate  a  modo  d'  un  vecchio  che  è  obbligato  ad  averne  più  di 
voi,  e  che  vi  parla  per  l'amore  che  vi  porta;  legatevi  le  scar- 
pe bene,  e,  prima  che  nessuno  vi  veda,  tornate  di  dove  siete 
venuto;  e  se  siete  stato  visto,  tanto  più  tornatevene  di  corsa. 
Vi  pare  che  sia  aria  per  voi,  questa?  Non  sapete  che  sono 
venuti  a  cercarvi,  che  hanno  frugato,  frugato,  buttato  sotto- 
sopra ....  » 

«Lo  so  pur  troppo,  birboni!») 

«Ma  dunque  ....!» 

«Ma  se  le  dico  che  non  ci  penso.  E  colui,  è  vivo  anco- 
ra? è  qui?» 

«Vi  dico  che  non  c'è  nessuno;  vi  dico  che  non  pensiate 
alle  cose  di  qui  ;  vi  dico  che  ....  » 

«Domando  se  è  qui,  colui.» 

«Oh  santo  cielo!  Parlate  meglio.  Possibile  che  abbiate 
ancora  addosso  tutto  quel  fuoco,  dopo  tante  cose!» 

«C'è,  o  non  c'è?» 

«Non  c'è,  via.  Ma,  e  la  peste,  figliuolo,  la  peste!  Chi 
è  che  vada  in  giro,  in  questi  tempi?» 

«Se  non  ci  fosse  altro  che  la  peste  in  questo  mondo 
dico  per  me:  l'ho  avuta,  e  son  franco.» 

«Ma  dunque!  ma  dunque!  non  sono  avvisi  questi?  Quando 
se  n'  è  scampata  una  di  questa  sorte,  mi  pare  che  si  dovreb- 
be ringraziare  il  cielo,  e  ....  » 

«Lo  ringrazio  bene.» 

«E  non  andarne  a  cercar  dell'altre,  dico.  Fate  a  modo 
mio  ....  » 

«L'  ha  avuta  anche  lei,  signor  curato,  se  non  m'  in- 
ganno.» 

«Se  l'ho  avuta!  Perfida  e  infame  è  stata;  son  qui  per 
miracolo:  basta  dire  che  m'ha  conciato  in  questa  maniera 
che  vedete.  Ora  avevo  proprio  bisogno  d' un  po'  di  quiete, 
per  rimettermi  in  tono:  via,  cominciavo  a  stare  un  po' me- 
glio ....  In  nome  del  cielo,  cosa  venite  a  far  qui?  Tor- 
nate ....  » 

«Sempre  l'ha  con  questo  tornare,  lei.  Per  tornare,  tanto 
n'avevo  a  non  movermi.  Dice:  cosa  venite?  cosa  venite? 
Oh  bella!  vengo,  anch'io  a  casa  mia.» 

«  Casa  vostra  ....  » 

«Mi  dica;  ne  son  morti  molti  qui?  ....  » 

«Eh  eh!»  esclamò  don  Abbondio;  e,  cominciando  da  Per- 
petua, nominò  una  filastrocca  di  persone  e  di  famiglie  intere. 
Renzo  s'aspettava  pur  troppo  qualcosa  di  simile;  ma  al  sentir 
tanti  nomi  di  persone  che  conosceva,  d'  amici,  di  parenti,  sta- 
va addolorato,  col  capo  basso,  esclamando  ogni  momento: 
»  poverino!  poverina!  poverini!» 


CAPITOLO  XXXIII.  429 

«Vedete!»  continuò  don  Abbondio:  "e  non  è  finita.  Se 
quelli  che  restano  non  metton  giudizio  questa  volta,  e  scac- 
ciali tutti  i  grilli  dalla  testa,  non  e'  è  più  altro  che  la  fine 
del  mondo.» 

«Non  dubiti;  che  già  non  fo  conto  di  fermarmi  qui.» 

«Ah!  sia  ringraziato  il  cielo,  che  la  v' è  entrata!  E,  già 
s'intende,  fate  ben  conto  di  ritornar  sul  bergamasco.» 

«Di  questo  non  si  prenda  pensiero.» 

«Che!  non  vorreste  già  farmi  qualche  sproposito  peggio 
di  questo?» 

«Lei  non  ci  pensi,  dico:  tocca  a  me:  non  son  più  un 
bambino:  ho  l'uso  della  ragione.  Spero  che,  a  buon  conto, 
non  dirà  a  nessuno  d'avermi  visto.  È  sacerdote;  sono  una 
sua  pecora:  non  mi  vorrà  tradire.» 

«Ho  inteso,»  disse  don  Abbondio,  sospirando  stizzosamen- 
te: «ho  inteso.  Volete  rovinarvi  voi,  e  rovinarmi  me.  Non 
vi  basta  di  quelle  che  avete  passate  voi;  non  vi  basta  di  quel- 
le che  ho  passate  io.  Ho  inteso,  ho  inteso.»  E,  continuan- 
do a  borbottar  tra  i  denti  quest'  ultime  parole,  riprese  per  la 
sua  strada. 

Renzo  rimase  lì  tristo  e  scontento,  a  pensar  dove  ande- 
rebbe  a  fermarsi.  In  quella  enumerazione  di  morti  fattagli 
da  don  Abbondio,  e'  era  una  famiglia  di  contadini  portata  via 
tutta  dal  contagio,  salvo  un  giovinotto ,  dell'età  di  Renzo,  a 
un  di  presso,  e  suo  compagno  fin  da  piccino:  la  casa  era  po- 
chi passi  fuori  del  paese.     Pensò  d'  andar  lì. 

E  andando,  passò  davanti  alla  sua  vigna;  e  già  dal  di 
fuori  potè  subito  argomentare  in  che  stato  la  fosse.  Una  vet- 
ticciola ,  una  fronda  d' albero  di  quelli  che  ci  aveva  lasciati, 
non  si  vedeva  passare  il  muro;  se  qualcosa  si  vedeva,  eia 
tutta  roba  venuta  in  sua  assenza.  S'  affacciò  all'  apertura 
(del  cancello  non  e'  eran  più  neppure  i  gangheri)  ;  diede  un' 
occhiata  in  giro:  povera  vigna!  Per  due  inverni  di  seguito, 
la  gente  del  paese  era  andata  a  far  legna  «nel  luogo  di  quel 
poverino,»  come  dicevano.  Viti,  gelsi,  frutti  d'  ogni  sorte, 
tutto  era  stato  strappato  alla  peggio,  o  tagliato  al  piede.  Si 
vedevano  però  ancora  i  vestigi  dell'antica  coltura:  giovani 
tralci,  in  righe  spezzate,  ma  che  pure  segnavano  la  traccia 
de7  filari  desolati;  qua  e  là,  rimessiticci  o  getti  di  gelsi,  di 
fichi,  di  peschi,  di  ciliegi,  di  susini;  ma  anche  questo  si  ve- 
deva sparso,  soffogato,  in  mezzo  a  una  nuova,  varia  e  fitta 
generazione,  nata  e  cresciuta  senza  1'  aiuto  della  man  del- 
l'uomo.  Era  una  marmaglia  d'ortiche,  di  felci,  di  logli,  di 
gramigne,  di  farinelli,  d'avene  selvatiche,  d'amaranti  verdi, 
di  radicchielle,  d'acetoselle,  di  panicastrelle  e  d'altrettali 
piante  ;  di  quelle,  voglio  dire,  di  cui  il  contadino  d'  ogni  paese 
ha  fatto  una  gran  classe  a  modo  suo,  denominandole  erbacce, 


430  I    PROMESSI    SPOSI. 

o  qualcosa  di  simile.  Era  un  guazzabuglio  di  steli,  che  fa- 
cevano a  soverchiarsi  l'uno  con  l'altro  nell'aria,  o  a  pas- 
sarvi avanti,  strisciando  sul  terreno,  a  rubarsi  insomma  il  po- 
sto per  ogni  verso,  una  confusione  di  foglie,  di  fiori,  di  frutti, 
di  cento  colori,  di  cento  forme,  di'  cenlo  grandezze:  spighette, 
pannocchiette,  ciocche,  mazzetti,  capolini  bianchi,  rossi,  gialli, 
azzurri.  Tra  questa  marmaglia  di  piante  ce  n'  era  alcune  di 
più  rilevate  e  vistose,  non  però  migliori,  almeno  la  più  parte: 
l'uva  turca,  più  alta  di  tutte,  co' suoi  rami  allargati,  rosseg- 
giane, co' suoi  pomposi  foglioni  verde  cupi,  alcuni  già  orlati 
di  porpora,  co'  suoi  grappoli  ripiegati,  guarniti  di  bacche  pao- 
nazze al  basso,  più  su  di  porporine,  poi  di  verdi,  e  in  cima 
di  fiorellini  biancastri:  il  tasso  barbasso,  con  le  sue  gran  fo- 
glie lanose  a  terra,  e  lo  stelo  diritto  all'aria,  e  le  lunghe 
spighe  sparse  e  come  stellate  di  vivi  fiori  gialli  :  cardi,  ispidi 
ne' rami,  nelle  foglie,  ne' calici,  donde  uscivano  ciuffetti  di 
fiori  bianchi  o  porporini,  ovvero  si  staccavano,  portati  via  dal 
vento,  pennacchioli  argentei  e  leggieri.  Qui  una  quantità  di 
vilucchioni  arrampicati  e  avvoltati  a'  nuovi  rampolli  d' un 
gelso,  gli  avevan  tutti  ricoperti  delle  lor  foglie  ciondoloni,  e 
spenzolavano  dalla  cima  di  quelli  le  lor  campanelle  candide 
e  molli:  là  una  zucca  selvatica,  co' suoi  chicchi  vermigli,  s'era 
avviticchiata  ai  nuovi  tralci  d'una  vite;  la  quale,  cercato  in- 
vano un  più  saldo  sostegno,  aveva  attaccati  a  vicenda  i  suoi 
viticci  a  quella;  e,  mescolando  i  loro  deboli  steli  e  le  loro  fo- 
glie poco  diverse,  si  tiravan  giù,  pure  a  vicenda,  come  accade 
spesso  ai  deboli  che  si  prendon  1'  uno  con  1'  altro  per  ap- 
poggio. Il  rovo  era  per  tutto;  andava  da  una  pianta  all'al- 
tra, saliva,  scendeva,  ripiegava  i  rami  o  gli  stendeva,  secondo 
gli  riuscisse;  e,  attraversato  davanti  al  limitare  stesso,  pareva 
che  fosse  lì  per  contrastare  il  passo,  anche  al  padrone. 

Ma  questo  non  si  curava  d'  entrare  in  una  tal  vigna;  e 
forse  non  istette  tanto  a  guardarla,  quanto  noi  a  farne  questo 
po' di  schizzo.  Tirò  di  lungo:  poco  lontano  c'era  la  sua, 
casa;  attraversò  l'orto,  camminando  fino  a  mezza  gamba  tra 
1'  erbacce  di  cui  era  popolato,  coperto,  come  la  vigna.  Mise 
piede  sulla  soglia  d'  una  delle  due  stanze  che  e'  era  a  terre- 
no: ai  rumore  de' suoi  passi,  al  suo  affacciarsi,  uno  scompi- 
glio, uno  scappare  incrocicchiato  di  topacci,  un  cacciarsi  den- 
tro il  sudiciume  che  copriva  tutto  il  pavimento:  era  ancora  il 
letto  de' lanzichenecchi.  Diede  un'occhiata  alle  pareti:  scro- 
state, imbrattate,  affumicate.  Alzò  gli  occhi  al  palco  :  un  pa- 
rato di  ragliateli.  Non  e'  era  altro.  Se  n'  andò  anche  di  là, 
mettendosi  le  mani  ne' capelli:  tornò  indietro,  rifacendo  il 
sentiero  che  aveva  aperto  lui,  un  momento  prima;  dopo  po- 
chi passi,  prese  un'altra  straducola  a  mancina,  che  metteva 
ne*  campi;  e  senza  veder  né  sentire  anima  vivente,  arrivò  vi- 


CAPITOLO    XXXIII.  431 

cino  alla  casetta  dove  aveva  pensato  di  fermarsi.  Già  prin- 
cipiava a  farsi  buio.  L'amico  era  sull'uscio,  a  sedere  sur 
un  panchetto  di  legno,  con  le  braccia  incrociate,  con  gli  occhi 
fissi  al  cielo,  come  un  uomo  sbalordito  dalle  disgrazie,  e  in- 
salvatichito dalla  solitudine.  Sentendo  un  calpestìo,  si  voltò 
a  guardar  chi  fosse,  e,  a  quel  che  gli  parve  di  vedere  così 
al  barlume,  tra  i  rami  e  le  fronde,  disse,  ad  alta  voce,  rizzan- 
dosi e  alzando  le  mani:  «non  ci  son  che  io?  non  ne  ho  fatto 
abbastanza  ieri?  Lasciatemi  un  po' stare,  che  sarà  anche 
questa  un'opera  di  misericordia.)) 

Renzo,  non  sapendo  cosa  volesse  dir  questo,  gli  rispose 
chiamandolo  per  nome. 

«Renzo!  ....  »  disse  quello,  esclamando  insieme  e  inter- 
rogando. 

«Proprio,»  disse  Renzo;  e  si  corsero  incontro. 

«Sei  proprio  tu!»  disse  l'amico,  quando  furon  vicini: 
«oh  che  gusto  ho  di  vederti?  Chi  l'avrebbe  pensato?  T'ave- 
vo preso  per  Paolin  de' morti,  che  vien  sempre  a  tormentar- 
mi, perchè  vada  a  sotterrare.  Sai  che  son  rimasto  solo?  so- 
lo! solo,  come  un  romito!» 

«Lo  so  pur  troppo,»  disse  Renzo.  E  così,  barattando  e 
mescolando  in  fretta  saluti,  domande  e  risposte,  entrarono  in- 
sieme nella  casuccia.  E  lì,  senza  sospendere  i  discorsi,  1'  ami- 
co si  mise  in  faccende  per  fare  un  po'  d'  onore  a  Renzo,  co- 
me si  poteva  così  all'  improvviso  e  in  quel  tempo.  Mise  F  ac- 
qua al  fuoco  e  cominciò  a  far  la  polenta;  ma  cede  poi  il  mat- 
terello a  Renzo,  perchè  la  dimenasse:  e  se  n'andò  dicendo: 
«son  rimasto  solo;  ma!  son  rimasto  solo!» 

Tornò  con  un  piccol  secchio  di  latte,  con  un  po' di  carne 
secca,  con  un  paio  di  raveggioli,  con  fichi  e  pesche;  e  posato 
il  tutto,  scodellata  la  polenta  sulla  tafferia,  si  misero  insieme 
a  tavola,  ringraziandosi  scambievolmente,  l'uno  della  visit^- 
l' altro  del  ricevimento.  E,  dopo  un'assenza  di  forse  due 
anni,  si  trovarono  a  un  tratto  molto  più  amici  di  quello  che 
avesser  mai  saputo  d'  essere  nel  tempo  che  si  vedevano  quasi 
ogni  giorno;  perchè  all'uno  e  all'altro,  dice  qui  il  mano- 
scritto, eran  toccate  di  quelle  cose  che  fanno  conoscere  che 
balsamo  sia  all'animo  la  benevolenza;  tanto  quella  che  si 
sente,  quanto  quella  che  si  trova  negli  altri. 

Certo,  nessuno  poteva  tenere  presso  di  Renzo  il  luogo 
d'Agnese,  né  consolarlo  della  di  lei  assenza,  non  solo  per 
queir  antica  e  speciale  affezione,  ma  anche  perchè,  tra  le  cose 
che  a  lui  premeva  di  decifrare,  ce  n'  era  una  di  cui  essa  sola 
aveva  la  chiave.  Stette  un  momento  tra  due,  se  dovesse  con- 
tinuare il  suo  viaggio,  o  andar  prima  in  cerca  d'Agnese, 
giacché  n'era  così  poco  lontano;  ma,  considerato  che  della 
salute  di  Lucia,  Agnese  non  ne  saprebbe  nulla,  restò  nel  pri- 


432  I   PROMESSI    SPOSI. 

mo  proposito,  d'andare  addirittura  a  levarsi  questo  dubbio, 
e  aver  la  sua  sentenza,  e  di  portar  poi  lui  le  nuove  alla  ma- 
dre. Però ,  anche  dall'  amico  seppe  molte  cose  che  ignorava. 
e  di  molte  venne  in  chiaro  che  non  sapeva  bene,  sui  casi  di 
Lucia,  e  sulle  persecuzioni  che  gli  avevan  fatte  a  lui,  e  come 
don  Rodrigo  se  n'era  andato  con  la  coda  tra  le  gambe,  e 
non  s'era  più  veduto  da  quelle  parti;  insomma  su  tutto  quel- 
T  intreccio  di  cose.  Seppe  anche  (e  non  era  per  Renzo  co- 
gnizione di  poca  importanza)  come  fosse  proprio  il  casato  di 
don  Ferrante:  che  Agnese  gliel  aveva  bensì  fatto  scrivere  dal 
suo  segretario;  ma  sa  il  cielo  com'era  stato  scritto;  e  l'in- 
terprete bergamasco,  nel  leggergli  la  lettera,  n'aveva  fatta 
una  parola  tale,  che  se  Renzo  fosse  andato  con  essa  a  cercar 
ricapito  di  quella  casa  in  Milano,  probabilmente  non  avrebbe 
trovato  persona  che  indovinasse  di  chi  voleva  parlare.  Ep- 
pure quello  era  l'unico  filo  che  avesse,  per  andar  in  cerca 
di  Lucia.  In  quanto  alla  giustizia  potè  confermarsi  sempre 
più  ch'era  un  pericolo  abbastanza  lontano,  per  non  darsene 
gran  pensiero:  il  signor  podestà  era  morto  di  peste:  chi  sa 
quando  se  ne  manderebbe  un  altro;  anche  la  sbirraglia  se 
n'era  andata  la  più  parte;  quelli  che  rimanevano  avevan  tut- 
t'  altro  da  pensare  che  alle  cose  vecchie. 

Raccontò  anche  lui  all'amico  le  sue  vicende,  e  n'ebbe  in 
contraccambio  cento  storie,  del  passaggio  dell'esercito,  della 
peste,  d'untori,  di  prodigi.  «Son  cose  brutte,»  disse  l'ami- 
co, accompagnando  Renzo  in  una  camera  che  il  contagio  ave- 
va resa  disabitata;  «cose  che  non  si  sarebbe  mai  creduto  di 
vedere;  cose  da  levarvi  l'allegria  per  tutta  la  vita;  ma  però, 
a  parlarne  tra  amici,  è  un  sollievo.» 

Allo  spuntar  del  giorno,  eran  tutt' e  due  in  cucina;  Ren- 
zo in  arnese  di  viaggio,  con  la  sua  cintura  nascosta  sotto  il 
farsetto,  e  il  coltellaccio  nel  taschino  de' calzoni:  il  fagottino, 
per  andar  più  lesto,  lo  lasciò  in  deposito  presso  all'  ospite, 
a  Se  la  mi  va  bene,»  gli  disse,  «se  la  trovo  in  vita,  se  .... 
basta  ....  ripasso  di  qui;  corro  a  Pasturo,  a  dar  la  buona 
nuova  a  quella  povera  Agnese,  e  poi,  e  poi  ....  Ma  se,  per 
disgrazia,  per  disgrazia  che  Dio  non  voglia  ....  allora,  non 
so  quel  che  farò,  non  so  dov'anderò:  certo,  da  queste  parti 
non  mi  vedete  più.»  E  così  parlando,  ritto  sulla  soglia  del- 
l'uscio, con  la  testa  per  aria,  guardava  con  un  misto  di  te- 
nerezza e  d'accoramento,  l'aurora  del  suo  paese  che  non 
aveva  più  veduta  da  tanto  tempo.  L'  amico  gli  disse,  come 
s'  usa,  di  sperar  bene;  volle  che  prendesse  con  sé  qualcosa 
da  mangiare;  1'  accompagnò  per  un  pezzetto  di  strada,  e  lo 
lasciò  con  nuovi  augùri. 

Renzo  s'incamminò  con  la  sua  pace,  bastandogli  d'arri- 
var vicino  a  Milano  in  quel  giorno,   per  entrarci  il  seguente 


CAPITOLO   XXXIV.  433 

di  buon'  ora.  e  cominciar  subito  la  sua  ricerca.  Il  viaggio  fu 
senza  accidenti  e  senza  nulla  che  potesse  distrai'  Renzo 
da'  suoi  pensieri,  fuorché  le  solite  miserie  e  malinconie.  Come 
aveva  fatto  il  giorno  avanti,  si  fermò  a  suo  tempo,  in  un  bo- 
schetto a  mangiare  un  boccone,  e  a  riposarsi.  Passando  per 
Monza,  davanti  a  una  bottega  aperta,  dove  c'era  de' pani  in 
mostra,  ne  chiese  due.  per  non  rimanere  sprovvisto,  in  ogni 
caso.  Il  fornaio  gì' intimò  di  non  entrare,  e  gli  porse  sur 
una  piccola  pala  una  scodeìletta,  con  dentro  acqua  e  aceto, 
dicendogli  che  buttasse  lì  i  denari;  e  fatto  questo,  con  certe 
molle,  gli  porse,  l'uno  dopo  l'altro,  i  due  pani,  che  Renzo 
si  mise  uno  per  tasca. 

Verso  sera,  arriva  a  Greco,  senza  però  saperne  il  nome: 
ma.  tra  un  po' di  memoria  de' luoghi,  che  gli  era  rimasta 
dell'altro  viaggio,  e  il  calcolo  del  cammino  fatto  da  Monza 
in  poi,  congetturando  che  doveva  esser  poco  lontano  dalla 
città,  uscì  dalla  strada  maestra,  per  andar  ne'  campi  in  cerca 
di  qualche  cascinotto,  e  lì  passar  la  notte;  che  con  osterie 
non  si  voleva  impicciare.  Trovò  meglio  di  quel  che  cercava  : 
vide  un'  apertura  in  una  siepe  che  cingeva  il  cortile  d'  una 
cascina;  entrò  a  buon  conto.  Non  c'era  nessuno:  vide  da 
un  canto  un  gran  portico,  con  sotto  del  fieno  ammontato,  e  a 
quello  appoggiata  una  scala  a  mano:  diede  un' occhiata  in 
giro,  e  poi  salì  alla  ventura;  s'accomodò  per  dormire,  e  in- 
fatti s'addormentò  subito,  per  non  destarsi  che  all'alba.  Al- 
lora, andò  carpon  carponi  verso  l'orlo  di  quel  gran  letto; 
mise  la  testa  fuori,  e  non  vedendo  nessuno,  scese  di  dov'  era 
salito,  uscì  di  dov'era  entrato,  s'incamminò  per  viottole, 
prendendo  per  sua  stella  polare  il  duomo;  e  dopo  un  brevis- 
simo cammino,  venne  a  sbucar  sotto  le  mura  di  Milano,  tra 
porta  Orientale  e  porta  Nuova,  e  molto  vicino  a  questa. 


CAPITOLO  XXXIV. 

In  quanto  alla  maniera  di  penetrare  in  città,  Renzo  aveva 
sentito,  così  all'ingrosso,  che  e' eran  ordini  severissimi  di 
non  lasciar  entrar  nessuno,  senza  bulletta  di  sanità;  ma  che 
invece  ci  s'entrava  benissimo,  chi  appena  sapesse  un  po'aiu- 
tarsi  a  cogliere  il  momento.  Era  infatti  così;  e  lasciando  an- 
che da  parte  le  cause  generali,  per  cui  in  que' tempi  ogni 
ordine  era  poco  eseguito:  lasciando  da  parte  le  speciali,  che 
rendevano  così  malagevole  la  rigorosa  esecuzione  di  questo: 
Milano  si  trovava  ormai  in  tale  stato,  da  non  veder  cosa  gio- 
vasse guardarlo,  e  da  cosa:  e  chiunque  ci  venisse,  poteva  pa- 

Manzoki.  23 


434  I    PROMESSI    SPOSI. 

rer  piuttosto  noncurante  della  propria  salute,  che  pericoloso 
a  quella  de' cittadini. 

Su  queste  notizie,  il  disegno  di  Renzo  era  di  tentare  d'en- 
trar dalla  prima  porta  a  cui  si  fosse  abbattuto;  se  ci  fosse 
qualche  intoppo,  riprender  le  mura  di  fuori,  finché  ne  trovasse 
un'  altra  di  più  facile  accesso.  E  sa  il  cielo  quante  porte 
s' immaginava  che  Milano  dovesse  avere.  Arrivato  dunque 
sotto  le  mura,  si  fermò  a  guardar  d'intorno,  come  fa  chi, 
non  sapendo  da  che  parte  gli  convenga  di  prendere,  par  che 
n'  aspetti ,  e  ne  chieda  qualche  indizio  da  ogni  cosa.  Ma ,  a 
destra  e  a  sinistra,  non  vedeva  che  due  pezzi  d'una  strada 
storta;  dirimpetto,  un  tratto  di  mura;  da  nessuna  parte,  nes- 
sun segno  d'uomini  viventi;  se  non  che,  da  un  certo  punto 
del  terrapieno,  s'alzava  una  colonna  d'un  fumo  oscuro  e 
denso,  che  salendo  s'allargava  e  s'avvolgeva  in  ampi  globi, 
perdendosi  poi  nell'  aria  immobile  e  bigia.  Eran  vestiti, 
letti  e  altre  masserizie  infette  che  si  bruciavano:  e  di  tali 
triste  fiammate  se  ne  faceva  di  continuo ,  non  lì  soltanto ,  ma 
in  varie  parti  delle  mura. 

Il  tempo  era  chiuso,  l'aria  pesante,  il  cielo  velato  per 
tutto  da  una  nuvola  o  da  un  nebbione  uguale,  inerte,  che  pa- 
reva negare  il  sole,  senza  prometter  la  pioggia;  la  campagna 
d'intorno  parte  incolta,  e  tutta  arida;  ogni  verzura  scolorita, 
e  neppure  una  gocciola  di  rugiada  sulle  foglie  passe  e  ca- 
scanti. Per  di  più,  quella  solitudine,  quel  silenzio,  così  vi- 
cino a  una  gran  città,  aggiungevano  una  nuova  costernazione 
all'  inquietudine  di  Renzo,  e  rendevan  più  tetri  tutti  i  suoi 
pensieri. 

Stato  lì  alquanto,  prese  la  diritta,  alla  ventura,  andando, 
senza  saperlo,  verso  porta  Nuova,  della  quale,  quantunque  vi- 
cina, non  poteva  accorgersi,  a  cagione  d'un  baluardo,  dietro 
cui  era  allora  nascosta.  Dopo  pochi  passi  principiò  a  sen- 
tire un  tintinnìo  di  campanelli,  che  cessava  e  ricominciava 
ogni  tanto,  e  poi  qualche  voce  d'  uomo.  Andò  avanti  e,  pas- 
sato il  canto  del  baluardo,  vide  per  la  prima  cosa,  un  casotto 
di  legno,  e  sull'uscio,  una  guardia  appoggiata  al  moschetto, 
con  una  cert' aria  stracca  e  trascurata:  dietro  c'era  uno 
stecconato,  e  dietro  quello,  la  porta,  cioè  due  alacce  di  muro, 
con  una  tettoia  sopra,  per  riparare  i  battenti;  i  quali  erano 
spalancati,  come  pure  il  cancello  dello  stecconato.  Però,  da- 
vanti all'apertura,  c'era  in  terra  un  tristo  impedimento:  una 
barella,  sulla  quale  due  monatti  accomodavano  un  poverino, 
per  portarlo  via.  Era  il  capo  de' gabellieri,  a  cui,  poco  pri- 
ma, s'era  scoperta  la  peste.  Renzo  si  fermò,  aspettando  la 
fine:  partito  il  convoglio,  e  non  venendo  nessuno  a  richiudere 
il  cancello,  gli  parve  tempo,  e  ci  s'avviò  in  fretta;  ma  la 
guardia,  con  una  manieracela,  gli   gridò:    «olà!»    Renzo   si 


CAPITOLO   XXXÌV.  435 

fermo  di  nuovo  su  due  piedi,  e,  datogli  d'occhio,  tirò  fuori 
un  mezzo  ducatene,  e  glielo  fece  vedere.  Colui,  o  che  avesse 
già  avuta  la  peste,  o  che  la  temesse  meno  di  quel  che  amava 
i  mezzi  ducatoni,  accennò  a  Renzo  che  glielo  buttasse;  e,  vi- 
stoselo volar  subito  a' piedi,  suscitò:  va  innanzi  presto.) 
Renzo  non  se  lo  fece  dir  due  volte;  passò  lo  stecconato,  pas- 
sò la  porta,  andò  avanti,  senza  che  nessuno  s'accorgesse  dì 
lui,  o  gli  badasse;  se  non  che  quando  ebbe  latti  forse  qua- 
ranta passi,  sentì  un  altro  «olà»  che  un  gabelliere  gli  gridava 
dietro.  Questa  volta,  fece  le  viste  di  non  sentire,  e,  senza 
voltarsi  nemmeno,  allungò  il  passo.  «Olà!')  gridò  di  nuovo  il 
gabelliere,  con  una  voce  però  che  indicava  più  impazienza 
che  risoluzione  di  farsi  ubbidire;  e,  non  essendo  ubbidito, 
alzò  le  spalle,  e  tornò  nella  sua  casaccia,  come  persona  a  cui 
premesse  più  di  non  accostarsi  troppo  ai  passeggieri,  che 
d'  informarsi  de'  fatti  loro. 

La  strada  che  Renzo  aveva  presa,  andava  allora,  come 
adesso,  diritta  fino  al  canale  detto  il  Naviglio:  i  lati  erano 
siepi  o  muri  d'  orti,  chiese  e  conventi,  e  poche  case.  In  cima 
a  questa  strada,  e  nel  mezzo  di  quella  che  costeggia  il  ca- 
nale, c'era  una  colonna,  con  una  croce  detta  la  croce  di 
sant"  Eusebio.  E  per  quanto  Renzo  guardasse  innanzi,  non 
vedeva  altro  che  quella  croce.  Arrivato  al  crocicchio  che  di- 
vide la  strada  circa  alla  metà,  e  guardando  dalle  due  pani, 
vide  a  diritta,  in  quella  strada  che  si  chiama  lo  stradone  di 
santa  Teresa,  un  cittadino  che  veniva  appunto  verso  lui.  — 
Un  cristiano  finalmente!  —  disse  tra  sé;  e  si  voltò  subito  da 
quella  parte  pensando  di  farsi  insegnar  la  strada  da  lui. 
Questo  pure  aveva  visto  il  forestiero  che  s'avanzava;  e  an- 
dava squadrandolo  da  lontano,  con  uno  sguardo  sospettoso; 
e  tanto  più  quando  s'accorse  che,  in  vece  d'andarsene  per  i 
fatti  suoi,  gli  veniva  incontro.  Renzo,  quando  fu  poco  di- 
stante, si  levò  il  cappello,  da  quel  montanaro  rispettoso  che 
era;  e  tenendolo  con  la  sinistra,  mise  l1  altra  mano  nel  co- 
cuzzolo, e  andò  più  direttamente  verso  lo  sconosciuto.  Ma 
questo,  stralunando  gli  occhi  affatto,  fece  un  passo  addietro, 
alzò  un  noderoso  bastone  e  voltata  la  punta,  eh'  era  di  ferro, 
alla  vista  di  Renzo,  gridò:  «via!  via!  via!» 

■Oli  oh!'  gridò  il  giovine  anche  lui;  rimise  il  cappello  in 
testa,  e,  avendo  tutt' altra  voglia,  come  diceva  poi,  quando 
raccontava  la  cosa,  che  di  metter  su  lite  in  quel  momento, 
voltò  le  spalle  a  quello  stravagante,  e  continuò  la  sua  strada, 
o,  per  meglio  dire,  quella  in  cui  si  trovava  avviato. 

L'altro  tirò  avanti  anche  lui  per  la  sua,  tutto  fremente, 
e  voltandosi  ogni  momento  indietro.  E  arrivato  a  casa,  rac- 
contò che  gli  s' era  accostato  un  untore  con  un'  aria  umile, 
mansueta,  con  un  viso   d' infame  impostore,  con  lo  scatolino 

28* 


436  I    PROMESSI    SPOSI. 

dell'  unto ,  o  Y  involtino  della  polvere  (non  era  ben  certo  qual 
de'  due)  in  mano,  nel  cocuzzolo  del  cappello,  per  fargli  il  tiro, 
se  lui  non  l'avesse  saputo  tener  lontano.  «Se  mi  s'accostava 
un  passo  di  più,»  soggiunse,  e  l'infilavo  addirittura,  prima 
che  avesse  tempo  d'  accomodarmi  me,  il  birbone.  La  disgra- 
zia fu  eh'  eravamo  in  un  luogo  così  solitario ,  che  se  era  in 
mezzo  Milano,  chiamavo  gente,  e  mi  facevo  aiutare  a  acchiap- 
parlo. Sicuro  che  gli  si  trovava  quella  scellerata  porcheria 
nel  cappello.  Ma  lì  da  solo  a  solo,  mi  son  dovuto  contentare 
di  fargli  paura,  senza  risicare  di  cercarmi  un  malanno;  per- 
chè un  po' di  polvere  è  subito  buttata:  e  coloro  hanno  una 
destrezza  particolare;  e  poi  hanno  il  diavolo  dalla  loro.  Ora 
sarà  in  giro  per  Milano:  chi  sa  che  strage  fa!»  E  fin  che 
visse,  che  fu  per  molt'anni,  ogni  volta  che  si  parlasse  d'un- 
tori, ripeteva  la  sua  storia,  e  soggiungeva:  «quelli  che  so- 
stengono ancora  che  non  era  vero,  non  lo  vengano  a  dire  a 
me;  perchè  le  cose  bisogna  averle  viste.» 

Renzo,  lontano  dall' immaginarsi  come  l'avesse  scampata 
bella,  e  agitato  più  dalla  rabbia  che  dalla  paura,  pensava, 
camminando,  a  quell'accoglienza,  e  indovinava  bene  a  un  di 
presso  ciò  che  lo  sconosciuto  aveva  pensato  di  lui;  ma  la  cosa 
gli  pareva  così  irragionevole,  che  concluse  tra  sé  che  colui 
doveva  essere  un  qualche  mezzo  matto.  —  La  principia  male, 
—  pensava  però:  —  par  che  ci  sia  un  pianeta  per  me,  in 
questo  Milano.  Per  entrare,  tutto  mi  va  a  seconda,  e  poi, 
quando  ci  son  dentro,  trovo  i  dispiaceri  lì  apparecchiati. 
Basta  ....  coli'  aiuto  di  Dio  ....  se  trovo  ....  se  ci  riesco 
a  trovare  ....  eh  !  tutto  sarà  stato  niente.  — 

Arrivato  al  ponte,  voltò,  senza  esitare,  a  sinistra,  nella 
strada  di  san  Marco,  parendogli,  a  ragione,  che  dovesse  con- 
durre verso  l' interno  della  città.  E  andando  avanti,  guardava 
in  qua  e  in  là,  per  veder  se  poteva  scoprire  qualche  creatura 
umana;  ma  non  ne  vide  altra  che  uno  sformato  cadavere  nel 
piccol  fosso  che  corre  tra  quelle  poche  case  (che  allora  erano 
anche  meno)  e  un  pezzo  della  strada.  Passato  quel  pezzo, 
sentì  gridare:  «o  quell'uomo!»  e  guardando  da  quella  parte, 
vide  poco  lontano  a  un  terrazzino  d'una  casuccia  isolata,  UEa 
povera  donna,  con  una  nidiata  di  bambini  intorno;  la  quale, 
seguitandolo  a  chiamare,  gli  fece  cenno  anche  con  la  mano. 
Ci  andò  di  corsa;  e  quando  fu  vicino,  <<o  quel  giovine,»  disse 
quella  donna:  «per  i  vostri  poveri  morti,  fate  la  carità  d'an- 
dare a  avvertire  il  commissario  che  siamo  qui  dimenticati. 
Ci  hanno  chiusi  in  casa  come  sospetti,  perchè  il  mio  povero 
marito  è  morto;  ci  hanno  inchiodato  l'uscio,  come  vedete;  e 
da  ier  mattina,  nessuno  è  venuto  a  portarci  da  mangiare.  In 
tante   ore  che  siam  qui,  non  m'  è  mai  capitato  un  cristiano 


CAPITOLO    XXXIV.  437 

che  me  la  facesse  questa  carità:  e  questi  poveri  innocenti 
moion  di  fame.» 

«Di  fame!»  esclamò  Renzo:  e,  cacciate  le  mani  nelle  ta- 
sche, «ecco,  ecco.»  disse,  tirando  fuori  i  due  pani:  «calatemi 
giù  qualcosa  da  metterli  dentro.» 

«Dio  ve  ne  renda  merito;  aspettate  un  momento,»  disse 
quella  donna;  e  andò  a  cercare  un  paniere,  e  una  fune  da 
calarlo ,  come  fece.  A  Renzo  intanto  gli  vennero  in  mente 
que' pani  che  aveva  trovati  vicino  alla  croce,  nell'altra  sua 
entrata  in  Milano,  e  pensava:  —  ecco:  è  una  restituzione,  e 
forse  meglio  che  se  gli  avessi  restituiti  al  proprio  padrone; 
perchè  qui  è  veramente  un'  opera  di  misericordia.  — 

«In  quanto  al  commissario  che  dite,  la  mia  donna,»  disse 
poi,  mettendo  i  pani  nel  paniere,  «io  non  vi  posso  servire  in 
nulla;  perchè  per  dirvi  la  verità -3  son  forestiero,  e  non  son 
niente  pratico  di  questo  paese.  Però,  se  incontro  qualche 
uomo  un  po' domestico  e  umano,  da  potergli  parlare,  lo  dirò 
a  lui.» 

La  donna  lo  pregò  che  facesse  così,  e  gli  disse  il  nome 
della  strada,  onde  lui  sapesse  indicarla. 

«Anche  voi,»  riprese  Renzo,  «credo  che  potrete  farmi  un 
piacere,  una  vera  carità,  senza  vostro  incomodo.  Una  casa  di 
cavalieri,  di  gran  signoroni;  qui  di  Milano,  casa***,  sapreste 
insegnarmi  dove  sia?» 

«So  che  la  c'è  questa  casa,»  rispose  la  donna:  «ma  dove 
sia  non  lo  so  davvero.  Andando  avanti  di  qua,  qualcheduno 
die  ve  la  insegni,  lo  troverete.  E  ricordatevi  di  dirgli  anche 
di  noi.» 

«Non  dubitate,»  disse  Renzo,  e  andò  avanti. 

A  ogni  passo,  sentiva  crescere  e  avvicinarsi  un  rumore, 
che  già  aveva  cominciato  a  sentire  mentre  era  lì  fermo  a  di- 
scorrere: un  rumor  di  ruote  e  di  cavalli,  con  un  tintinnìo  di 
campanelli,  e  ogni  tanto  un  chiocchiar  di  fruste,  con  un  ac- 
compagnamento d'urli.  Guardava  innanzi,  ma  non  vedeva 
nulla.  Arrivato  allo  sbocco  di  quella  strada,  scoprendosegli 
davanti  la  piazza  di  san  Marco,  la  prima  cosa  che  gli  diede 
nell'occhio,  furon  due  travi  ritte,  con  una  corda,  e  con  certe 
carrucole;  e  non  tardò  a  riconoscere  (ch'era  cosa  famigliare 
in  quel  tempo)  1'  abbominevole  macchina  della  tortura.  Era 
rizzata  in  quel  luogo,  e  non  in  quello  soltanto,  ma  in  tutte  le 
piazze  e  nelle  strade  più  spaziose,  affinchè  i  deputati  d'ogni 
quartiere,  muniti  a  questo  d'  ogni  facoltà  più  arbitraria,  po- 
tessero farci  applicare  immediatamente  chiunque  paresse  loro 
meritevole  di  pena:  o  sequestrati  che  uscissero  di  casa,  o  sub- 
alterni che  non  facessero  il  loro  dovere,  o  chiunque  altro. 
Era  uno  di  que'  rimedi  eccessivi  e  inefficaci  de1  quali  a  quel 


438  I    PROMESSI    SPOSI. 

tempo,  e  in  que'  momenti  specialmente,  sì  faceva  tanto  scia- 
lacquìo. 

Ora,  mentre  Renzo  guarda  quello  strumento,  pensando 
perchè  possa  essere  alzato  in  quel  luogo,  sente  avvicinarsi 
sempre  più  il  rumore,  e  vede  spuntar  dalla  cantonata  della 
chiesa  un  uomo  che  scoteva  un  campanello:  era  un  appari- 
tore;  e  dietro  a  lui  due  cavalli  che,  allungando  il  collo,  e 
puntando  le  zampe,  venivano  avanti  a  fatica;  e  strascinato  da 
quelli,  un  carro  di  morti,  e  dopo  quello  un  altro,  e  poi  un 
altro  e  un  altro;  e  di  qua  e  di  là,  monatti  alle  costole  de'  ca- 
valli, spingendoli,  a  frustate,  a  punzoni,  a  bestemmie.  Eran 
que' cadaveri,  la  più  parte  ignudi,  alcuni  mal  involtati  di 
qualche  cencio;  ammonticchiati,  intrecciati  insieme,  come  un 
gruppo  di  serpi  che  lentamente  si  svolgano  al  tepore  della 
primavera;  che,  a  ogni  intoppo,  a  ogni  scossa,  si  vedevan 
que' mucchi  funesti  tremolare  e  scompaginarsi  bruttamente,  e 
ciondolar  teste,  e  chiome  verginali  arrovesciarsi,  e  braccia 
svincolarsi,  e  batter  sulle  rote,  mostrando  all'  occhio  già  in- 
orridito come  un  tale  spettacolo  poteva  divenire  più  doloroso 
e  più  sconcio. 

Il  giovine  s'era  fermato  sulla  cantonata  della  piazza,  vi- 
cino alla  sbarra  del  canale,  e  pregava  intanto  per  que' morti 
sconosciuti.  Un  atroce  pensiero  gli  balenò  in  mente:  —  forse 
là,  là  insieme,  là  sotto  ....  Oh,  Signore!  fate  che  non  sia 
vero  !  fate  eh'  io  non  ci  pensi  !  — 

Passato  il  convoglio  funebre,  Renzo  si  mosse,  attraversò 
la  piazza,  prendendo  lungo  il  canale  a  mancina,  senz'  altra 
ragione  della  scelta,  se  non  che  il  convoglio  era  andato  dal- 
l'altra parte.  Fatti  que' quattro  passi  tra  il  fianco  della  chie- 
sa e  il  canale,  vide  a  destra  il  ponte  Marcellino;  prese  di  lì 
e  riuscì  in  Borgo  Nuovo.  E,  guardando  innanzi,  sempre  con 
quella  mira  di  trovar  qualcheduno  da  farsi  insegnar  la  strada, 
vide  in  fondo  a  quella  un  prete  in  farsetto,  con  un  bastoncino 
in  mano,  ritto  vicino  a  un  uscio  socchiuso,  col  capo  chinato, 
e  l'orecchio  allo  spiraglio;  e  poco  dopo  lo  vide  alzar  la  mano 
e  benedire.  Congetturò  quello  eh'  era  di  fatto,  cioè  che  finisse 
di  confessar  qualcheduno;  e  disse  tra  sé:  —  questo  è  l'uomo 
che  fa  per  me.  Se  un  prete,  in  funzion  di  prete,  non  ha  un 
po'  di  carità,  un  po'  d'  amore  e  di  buona  grazia,  bisogna  dire 
che  non  ce  ne  sia  più  in  questo  mondo.  — 

Intanto  il  prete,  staccatosi  dall'uscio,  veniva  dalla  parte 
di  Renzo,  tenendosi,  con  gran  riguardo,  nel  mezzo  della  strada. 
Renzo,  quando  gli  fu  vicino,  si  levò  il  cappello,  e  gli  accennò 
che  desiderava  parlargli ,  fermandosi  nello  stesso  tempo  in 
maniera  da  fargli  intendere  che  non  si  sarebbe  accostato  di 
più.  Quello  pure  si  fermò,  in  atto  di  stare  a  sentire,  pun- 
tando però  in  terra  il  suo  bastoncino  davanti  a  sé,  come  per 


CAPITOLO    XXXIV.  439 

farsene  un  baluardo.  Renzo  espose  la  sua  domanda,  alla 
quale  il  prete  soddisfece,  non  solo  col  dirgli  il  nome  della 
strada  dove  la  casa  era  situata,  ma  dandogli  anche,  come  vide 
che  il  poverino  n'aveva  bisogno,  un  po' d:  itinerario;  indican- 
dogli, cioè,  a  forza  di  diritte  e  di  mancine,  di  chiese  e  di 
croci,  queir  altre  sei  o  otto  strade  che  aveva  da  passare  per 
arrivarci. 

«Dio  la  mantenga  sano  in  questi  tempi,  e  sempre,»  disse 
Renzo:  e  mentre  quello  si  moveva  per  andarsene,  «un'altra 
carità,»  soggiunse;  e  gli  disse  della  povera  donna  dimenticata. 
Il  buon  prete  ringraziò  lui  d' avergli  dato  occasion  di  fare 
una  carità  così  necessaria;  e,  dicendo  che  andava  ad  avver- 
tire chi  bisognava,  tirò  avanti.  Renzo  si  mosse  anche  lui,  e, 
camminando ,  cercava  di  fare  a  sé  una  ripetizione  dell'  itine- 
rario, per  non  esser  da  capo  a  dover  domandare  a  ogni  can- 
tonata. Ma  non  potreste  immaginarvi  come  quell'  operazione 
gli  riuscisse  penosa,  e  non  tanto  per  la  difficoltà  della  cosa 
in  sé,  quanto  per  un  nuovo  turbamento  che  gli  era  nato  nel- 
T  animo.  Quel  nome  della  strada,  quella  traccia  del  cammino 
l' aveva  messo  così  sottosopra.  Era  1'  indizio  che  aveva  de- 
siderato e  domandato,  e  del  quale  non  poteva  far  di  meno; 
nò  gli  era  stato  detto  nient'  altro,  da  che  potesse  ricavare 
nessun  augurio  sinistro;  ma  che  volete?  quell'idea  un  po' più 
distinta  d'un  termine  vicino,  dove  uscirebbe  d'una  grand' in- 
certezza, dove  potrebbe  sentirsi  dire:  è  viva,  o  sentirsi  dire: 
è  morta:  quell'idea  l'aveva  così  colpito,  che,  in  quel  mo- 
mento ,  gli  sarebbe  piaciuto  più  di  trovarsi  ancora  al  buio  di 
tutto,  d'essere  al  principio  del  viaggio,  di  cui  ormai  toccava 
la  line.  Raccolse  però  le  sue  forze,  e  disse  a  sé  stesso:  — 
ehi!  se  principiamo  ora  a  fare  il  ragazzo,  com' anderà?  — 
Così  rinfrancato  alla  meglio,  seguitò  la  sua  strada,  inoltran- 
dosi nella  città. 

Quale  città!  o  cos'era  mai  al  paragone,  quello  ch'era 
stata  l'anno  avanti,  per  la  cagion  della  fame! 

Renzo  s'  abbatteva  appunto  a  passare  per  una  delle  parti 
più  squallide  e  più  desolate:  quella  crociata  di  strade  che  si 
chiamava  il  carrobio  di  porta  Nuova.  (C  era  allora  una 
croce  nel  mezzo,  e,  dirimpetto  ad  essa,  accanto  a  dove  ora  è 
san  Francesco  di  Paola,  una  vecchia  chiesa  col  titolo  di 
sant'  Anastasia.)  Tanta  era  stata  in  quel  vicinato  la  furia  del 
contagio,  e  il  fetor  de' cadaveri  lasciati  lì,  che  i  pochi  rimasti 
vivi,  erano  stati  costretti  a  sgomberare:  sicché,  alla  mestizia 
che  dava  al  passeggiero  quell'  aspetto  di  solitudine  e  d' ab- 
bandono, s'aggiungeva  l'orrore  e  lo  schifo  delle  tracce  e 
degli  avanzi  della  recente  abitazione.  Renzo  affrettò  il  passo, 
facendosi  coraggio  col  pensare  che  la  meta  non  doveva  essere 
così    vicina,  e  sperando  che,    prima   d'arrivarci,  troverebbe 


440  I    PROMESSI    SPOSI. 

mutata,  almeno  in  parte,  la  scena;  e  infatti,  di  lì  a  non  molto, 
riuscì  in  un  luogo  che  poteva  pur  dirsi  città  di  viventi;  ma 
quale  città  ancora,  e  quali  viventi!  Serrati,  per  sospetto  e 
per  terrore,  tutti  gli  usci  di  strada,  salvo  quelli  che  fossero 
spalancati  per  esser  le  case  disabitate,  o  invase;  altri  inchio- 
dati e  sigillati,  per  esser  nelle  case  morta  o  ammalata  gente 
di  peste;  altri  segnati  d'una  croce  fatta  col  carbone,  per  in- 
dizio ai  monatti,  che  e*  eran  dei  morti  da  portar  via:  il  tutto 
più  alla  ventura  che  altro,  secondo  che  si  fosse  trovato  piut- 
tosto qua  che  là  un  qualche  commissario  della  Sanità  o  altro 
impiegato,  che  avesse  voluto  eseguir  gli  ordini,  o  fare 
un"  angheria.  Per  tutto  cenci  e,  più  ributtanti  de"  cenci,  fasce 
marciose,  strame  ammorbato,  o  lenzoli  buttati  dalle  finestre; 
talvolta  corpi,  o  di  persone  morte  all'  improvviso,  nella 
strada,  e  lasciati  lì  fin  che  passasse  un  carro  da  portarli  via, 
o  cascati  da' carri  medesimi,  o  buttati  anch'essi  dalle  fine- 
stre: tanto  l'insistere  e  l'imperversar  del  disastro  aveva  in- 
salvatichiti gli  animi,  e  fatto  dimenticare  ogni  cura  di  pietà, 
ogni  riguardo  sociale!  Cessato  per  tutto  ogni  rumor  di  bot- 
teghe, ogni  strepito  di  carrozze,  ogni  grido  di  venditori,  ogni 
chiacchierìo  di  passeggieri,  era  ben  raro  che  quel  silenzio  di 
morte  fosse  rotto  da  altro  che  da  rumor  di  carri  funebri,  da 
lamenti  di  poveri,  da  rammarichìo  d"  infermi,  da  urli  di  fre- 
netici, da  grida  di  monatti.  All'  alba,  a  mezzogiorno,  a  sera, 
una  campana  del  duomo  dava  il  segno  di  recitar  certe  preci 
assegnate  dall'  arcivescovo  :  a  quel  tocco  rispondevan  le  cam- 
pane dell'  altre  chiese  ;  e  allora  avreste  veduto  persone  affac- 
ciarsi alle  finestre,  a  pregare  in  comune;  avreste  sentito  un 
bisbiglio  di  voci  e  di  gemiti,  che  spirava  una  tristezza  mista 
pure  di  qualche  conforto. 

Morti  a  quell'  ora  forse  i  due  terzi  de'  cittadini,  andati  via 
o  ammalati  una  buona  parte  del  resto,  ridotto  quasi  a  nulla 
il  concorso  della  gente  di  fuori,  de"  pochi  che  andavan  per  le 
strade,  non  se  ne  sarebbe  per  avventura,  in  un  lungo  giro, 
incontrato  uno  solo  in  cui  non  si  vedesse  qualcosa  di  strano, 
e  che  dava  indizio  d'  una  funesta  mutazione  di  cose.  Si  ve- 
devano gli  uomini  più  qualificati,  senza  cappa  né  mantello, 
parte  allora  essenzialissima  del  vestiario  civile:  senza  sottana 
i  preti,  e  anche  de' religiosi  in  farsetto;  dismessa  in  somma 
ogni  sorta  di  vestito  che  potesse  con  gli  svolazzi  toccar  qual- 
che cosa,  o  dare  (ciò  che  si  temeva  più  di  tutto  il  resto)  agio 
agli  untori.  E  fuor  di  questa  cura  d"  andar  succinti  e  ristretti 
il  più  che  fosse  possibile,  negletta  e  trasandata  ogni  persona; 
lunghe  le  barbe  di  quelli  che  usavan  portarle,  cresciute  a 
quelli  che  prima  costumavan  di  raderle;  lunghe  pure  e  arruf- 
late  le  capigliature,  non  solo  per  quella  trascuranza  che  nasce 
eia  un  invecchiato  abbattimento,  ma  per  esser  divenuti  sospetti 


CAPITOLO    XXXIV.  441 

i  barbieri,  da  che  era  stato  preso  e  condannato,  come  untor 
famoso,  uno  di  loro,  Giangiacomo  Mora:  nome  che  per  un 
pezzo,  conservò  una  celebrità  municipale  d' infamia,  e  ne  me- 
riterebbe una  ben  più  diffusa  e  perenne  di  pietà.  I  più  tene- 
vano da  una  mano  un  bastone,  alcuni  anche  una  pistola,  per 
avvertimento  minaccioso  a  chi  avesse  voluto  avvicinarsi  trop- 
po; dall'altra  pasticche  odorose,  o  palle  di  metallo  o  di  le- 
gno traforate,  con  dentro  spugne  inzuppate  d'aceti  medicati; 
e  se  le  andavano  ogni  tanto  mettendo  al  naso,  o  ce  le  tene- 
vano di  continuo.  Portavano  alcuni  attaccata  al  collo  una 
boccetta  con  dentro  un  po'  d'  argento  vivo,  persuasi  che  avesse 
la  virtù  d' assorbire  e  di  ritenere  ogni  esalazione  pestilen- 
ziale; e  avevan  poi  cura  di  rinnovarlo  ogni  tanti  giorni.  I 
gentiluomini,  non  solo  uscivano  senza  il  solito  seguito,  ma  si 
vedevano,  con  una  sporta  in  braccio,  andare  a  comprar  le 
cose  necessarie  al  vitto.  Gli  amici,  quando  pur  due  s'  incon- 
trassero per  la  strada,  si  salutavan  da  lontano,  con  cenni  ta- 
citi e  frettolosi.  Ognuno,  camminando,  aveva  molto  da  fare, 
per  iscansare  gli  schifosi  e  mortiferi  inciampi  di  cui  il  terreno 
era  sparso  e,  in  qualche  luogo,  anche  affatto  ingombro  :  ognu- 
no cercava  di  stare  in  mezzo  alla  strada,  per  timore  d'  altro 
sudiciume,  o  d'  altro  più  funesto  peso  che  potesse  venir  giù 
dalle  finestre;  per  timore  delle  polveri  venefiche  che  si  diceva 
essere  spesso  buttate  da  quelle  su'  passeggieri  ;  per  timore 
delle  muraglie  che  potevan  esser  unte.  Così  l'ignoranza,  co- 
raggiosa e  guardinga  alla  rovescia,  aggiungeva  ora  angustie 
all'  angustie,  e  dava  falsi  terrori,  in  compenso  de'  ragionevoli 
e  salutari  che  aveva  levati  da  principio. 

Tal  era  ciò  che  di  meno  deforme  e  di  men  compassione- 
vole si  faceva  vedere  intorno,  i  sani,  gli  agiati:  che,  dopo 
tante  immagini  di  miseria,  e  pensando  a  quella  ancor  più 
grave,  per  mezzo  alla  quale  dovrem  condurre  il  lettore,  non 
ci  fermeremo  ora  a  dir  qual  fosse  lo  spettacolo  degli  appestati 
che  si  strascicavano  o  giacevano  per  le  strade,  de'  poveri,  de' 
fanciulli,  delle  donne.  Era  tale,  che  il  riguardante  poteva  tro- 
var quasi  un  disperato  conforto  in  ciò  che  ai  lontani  e  ai  po- 
steri fa  la  più  forte  e  dolorosa  impressione;  nel  pensare,  di- 
co, nel  vedere  quanto  quei  viventi  fossero  ridotti  a  pochi. 

In  mezzo  a  questa  desolazione  aveva  Renzo  fatto  già  una 
buona  parte  del  suo  cammino,  quando,  distante  ancor  molti 
passi  da  una  strada  in  cui  doveva  voltare,  sentì  venir  da 
quella  un  vario  frastono,  nel  quale  si  faceva  distinguere  quel 
solito  orribile  tintinnìo. 

Arrivato  alla  cantonata  della  strada,  eh'  era  una  delle  più 
larghe,  vide  quattro  carri  fermi  nel  mezzo;  e  come,  in  un 
mercato  di  granaglie,  si  vede  un  andare  e  venire  di  gente, 
un  caricare  e  un  rovesciar  di  sacchi,   tale  era  il  movimento 


442  I    PROMESSI    SPOSI. 

in  quel  luogo:  monatti  eh'  entravan  nelle  -case,  monatti 
che  n'  uscivano  con  un  peso  su  le  spalle,  e  lo  mettevano  su 
l'uno  o  l'altro  carro:  alcuni  con  la  divisa  rossa,  altri  senza 
quel  distintivo,  molti  con  uno  ancor  più  odioso,  pennacchi  e 
fiocchi  di  vari  colori,  che  quegli  sciagurati  portavano  come  per 
segno  d'  allegria,  in  tanto  pubblico  lutto.  Ora  da  una,  ora 
da  un'altra  finestra,  veniva  una  voce  lugubre:  «qua,  monat- 
ti!-) E  con  suono  ancor  più  sinistro,  da  quel  tristo  brulichìo 
usciva  qualche  vociacela  che  rispondeva:  «ora,  ora.»  Ovvero 
eran  pigionali  che  brontolavano,  e  dicevano  di  far  presto:  ai 
quali  i  monatti  rispondevano  con  bestemmie. 

Entrato  nella  strada,  Renzo  allungò  il  passo,  cercando  di 
non  guardar  quegl'  ingombri,  se  non  quanto  era  necessario 
per  iscansarli;  quando  il  suo  sguardo  s'incontrò  in  un  og- 
getto singolare  di  pietà,  d'  una  pietà  che  invogliava  1"  animo 
a  contemplarlo;  di  maniera  che  si  fermò,  quasi  senza  volerlo. 

Scendeva  dalla  soglia  d'  uno  di  quegli  usci,  e  veniva  verso 
il  convoglio,  una  donna,  il  cui  aspetto  annunciava  una  giovi- 
nezza avanzata,  ma  non  trascorsa;  e  vi  traspirava  una  bellez- 
za velata  e  offuscata,  ma  non  guasta,  da  una  gran  passione, 
e  da  un  languor  mortale  :  quella  bellezza  molle  a  un  tempo 
e  maestosa,  che  brilla  nel  sangue  lombardo.  La  sua  andatura 
era  affaticata,  ma  non  cascante;  gli  occhi  non  davan  lacrime, 
ma  portavan  segno  d"  averne  sparse  tante:  c'era  in  quel  do- 
lore un  non  so  che  di  pacato  e  di  profondo,  che  attestava 
un'  anima  tutta  consapevole  e  presente  a  sentirlo.  Ma  non 
era  il  solo  suo  aspetto  che,  tra  tante  miserie,  la  indicasse 
così  particolarmente  alla  pietà,  e  ravvivasse  per  lei  quel  sen- 
timento ormai  stracco  e  ammortito  ne'  cuori.  Portava  essa 
in  collo  una  bambina  di  forse  nov'  anni,  morta;  ma  tutta  ben 
accomodata,  co'  capelli  divisi  sulla  fronte,  con  un  vestito  bian- 
chissimo, come  se  quelle  mani  1'  avessero  adornata  per  una 
festa  promessa  da  tanto  tempo,  e  data  per  premio.  Né  la 
teneva  a  giacere,  ma  sorretta,  a  sedere  sur  un  braccio,  col 
petto  appoggiato  al  petto,  come  se  fosse  stata  viva;  se  non 
che  una  manina  bianca  a  guisa  di  cera  spenzolava  da  una  parte, 
con  una  certa  inanimata  gravezza,  e  il  capo  posava  siili'  ome- 
ro della  madre,  con  un  abbandono  più  forte  del  sonno:  della 
madre,  che,  se  anche  la  somiglianza  de*  volti  non  n'  avesse 
tatto  fede,  1'  avrebbe  detto  chiaramente  quello  de'  due  eh'  espri- 
meva ancora  un  sentimento. 

Un  turpe  monatto  andò  per  levarle  la  bambina  dalle  brac- 
cia, con  una  specie  però  d'insolito  rispetto,  con  un'esita- 
zione involontaria.  Ma  quella,  tirandosi  indietro,  senza  però 
mostrare  sdegno  né  disprezzo,  «no!"  disse:  «non  me  la  toc- 
cate per  ora:  devo  metterla  io  su  quel  carro:  prendete.;) 
Così  dicendo,  aprì  una  mano,  fece  vedere  una  borsa,  e  la  la- 


CAPITOLO   XXXIV.  443 

sciò  cadere  in  quella  che  il  monatto  le  tese.  Poi  continuò: 
-promettetemi  di  non  levarle  un  filo  d;  intorno,  né  di  la- 
sciar che  altri  ardisca  di  farlo,  e  di  metterla  sotto  terra 
così. 

Il  monatto  si  mise  una  mano  al  petto;  e  poi,  tutto  pre- 
muroso, e  quasi  ossequioso,  più  per  il  nuovo  sentimento  da 
cui  era  come  soggiogato,  che  per  l'inaspettata  ricompensa. 
s' affaccendò  a  far  un  po'  di  posto  sul  carro  per  la  morti- 
cina.  La  madre,  dato  a  questa  un  bacio  in  fronte,  la  mise 
lì  come  sur  un  letto,  ce  1'  accomodò,  le  stese  sopra  un  panno 
bianco,  e  disse  l'ultime  parole:  «addio,  Cecilia!  riposa  in 
pace  !  Stasera  verremo  anche  noi.  per  restar  sempre  in- 
sieme. Prega  intanto  per  noi;  ch'io  pregherò  per  te  e  per 
gli  altri.)  Poi  voltatasi  di  nuovo  al  monatto,  <voi.»  disse. 
•  passando  di  qui  verso  sera,  salirete  a  prendere  anche  me,  e 
non  me  sola.» 

Così  detto,  rientrò  in  casa,  e,  un  momento  dopo,  s'  affac- 
ciò alla  finestra,  tenendo  in  collo  un'  altra  bambina,  più  pic- 
cola, viva,  ma  coi  segni  della  morte  in  volto.  Stette  a  con- 
templare quelle  cosi  indegne  esequie  della  prima,  finché  il 
carro  non  si  mosse,  finché  lo  potè  vedere:  poi  disparve.  E 
che  altro  potè  fare,  se  non  posar  sul  letto  1'  unica  che  le  ri- 
maneva, e  mettersele  accanto  per  morire  insieme?  come  il 
flore  già  rigoglioso  sullo  stelo  cade  insieme  col  fiorellino  an- 
cora in  boccia,  al  passar  della  falce  che  pareggia  tutte  Y  erbe 
del  prato. 

cOh  Signore!-)  esclamò  Pienzo:  «esauditela!  tiratela  a  voi, 
lei  e  la  sua  creaturina:  hanno  patito  abbastanza!  hanno  pa- 
tito abbastanza! 

Riavuto  da  quella  commozione  straordinaria,  e  mentre  cer- 
ca di  tirarsi  in  mente  1*  itinerario  per  trovare  se  alla  prima 
strada  deve  voltare,  e  se  a  diritta  o  a  mancina,  sente  anche 
da  questa  venire  un  altro  e  diverso  strepito,  un  suono  con- 
fuso di  grida  imperiose,  di  fiochi  lamenti,  un  pianger  di  don- 
ne, un  mugolìo  di  fanciulli. 

Andò  avanti,  con  in  cuore  quella  solita  trista  e  oscura 
aspettativa.  Arrivato  al  crocicchio,  vide  da  una  parte  una 
moltitudine  confusa  che  s'  avanzava,  e  si  fermò  lì,  per  lasciar- 
la passare.  Erano  ammalati  che  venivan  condotti  al  lazzeret- 
to ;  alcuni,  spinti  a  forza,  resistevano  in  vano .  invano  giuda- 
vano  che  volevan  morire  sul  loro  letto,  e  rispondevano  con 
inutili  imprecazioni  alle  bestemmie  e  ai  comandi  de'  monatti 
che  li  guidavano  ;  altri  camminavano  in  silenzio  senza  mostrar 
dolore,  né  alcun  altro  sentimento,  come  insensati;  donne  coi 
bambini  in  collo;  fanciulli  spaventati  dalle  grida,  da  quegli 
ordini,  da  quella  compagnia,  più  che  dal  pensiero  confuso 
della  morte,  i  quali  ad  alte  strida  imploravano  la  madre  e  le 


444  I    PBOMESSI    SPOSI. 

sue  braccia  fidate,  e  la  casa  loro.  Ahi!  e  forse  la  madre, 
che  credevano  d'aver  lasciata  addormentata  sul  suo  letto,  ci 
s'era  buttata  sorpresa  tutt' a  un  tratto  dalla  peste;  e  stava 
lì  senza  sentimento,  per  esser  portata  sur  un  carro  al  lazze- 
retto, o  alla  fossa,  se  il  carro  veniva  più  tardi.  Forse, 
o  sciagura  degna  di  lacrime  ancor  più  amare!  la  madre, 
tutta  occupata  de' suoi  patimenti,  aveva  dimenticato  ogni 
cosa,  anche  i  figli,  e  non  aveva  più  che  un  pensiero  :  di  mo- 
rire in  pace.  Pure,  in  tanta  confusione,  si  vedeva  ancora 
qualche  esempio  di  fermezza  e  di  pietà:  padri,,  madri,  fratel- 
li, figli,  consorti,  che  sostenevano  i  cari  loro,  e  gli  accompa- 
gnavano con  parole  di  conforto:  né  adulti  soltanto,  ma  ra- 
gazzetti, ma  fanciulline  che  guidavano  i  fratellini  più  teneri, 
e,  con  giudizio  e  con  compassione  da  grandi,  raccomandavano 
loro  d'  essere  ubbidienti,  gli  assicuravan  che  s'  andava  in  un 
luogo  dove  e'  era  chi  avrebbe  cura  di  loro  per  farli  guarire. 

In  mezzo  alla  malinconia  e  alla  tenerezza  di  tali  viste, 
una  cosa  toccava  più  sul  vivo,  e  teneva  in  agitazione  il  no- 
stro viaggiatore.  La  casa  doveva  esser  lì  vicina,  e  chi  sa 
se  tra  quella  gente  ....  Ma  passata  tutta  la  comitiva,  e  ces- 
sato quel  dubbio,  si  voltò  a  un  monatto  che  veniva  dietro,  e 
gli  domandò  della  strada  e  della  casa  di  don  Ferrante.  «In 
malora,  tanghero,»  fu  la  risposta  che  n'ebbe.  Né  si  curò 
di  dare  a  colui  quella  che  si  meritava;  ma,  visto,  a  due  pas- 
si, un  commissario  che  veniva  in  coda  al  convoglio,  e  aveva 
un  viso  un  po'  più  di  cristiano,  fece  a  lui  la  stessa  doman- 
da. Questo  accennando  con  un  bastone  la  parte  donde  ve- 
niva, disse:  «la  prima  strada  a  diritta,  l'ultima  casa  grande 
a  sinistra.» 

Con  una  nuova  e  più  forte  ansietà  in  cuore,  il  giovine 
prende  da  quella  parte.  È  nella  strada;  distingue  subito  la 
casa  tra  l'altre,  più  basse  e  meschine;  s'accosta  al  portone 
che  è  chiuso,  mette  la  mano  sul  martello,  e  ce  la  tien  so- 
spesa, come  in  un'  urna  prima  di  tirar  su  la  polizza  dove 
fosse  scritta  la  sua  vita,  o  la  sua  morte.  Finalmente  alza  il 
martello,  e  dà  un  picchio  risoluto. 

Dopo  qualche  momento,  s'apre  un  poco  la  finestra:  una 
donna  fa  capolino,  guardando  chi  era,  con  un  viso  ombroso 
che  par  che  dica:  monatti?  vagabondi?  commissari?  untori? 
diavoli? 

«Quella  signora,»  disse  Renzo  guardando  in  su,  e  con 
voce  non  troppo  sicura:  «ci  sta  qui  a  servire  una  giovine  di 
campagna,  che  ha  nome  Lucia?» 

«La  non  e'  è  più;  andate,»  rispose  quella  donna,  facendo 
atto  di  chiudere. 

«Un    momento,    per    carità!    La   non    c'è    più?    Dov'è?» 

«Al  lazzeretto;»  e  di  nuovo  voleva  chiudere. 


CAPITOLO    XXXIV.  445 

Ma  un  momento,  per  l'amor  del  cielo!    Con   la   peste?» 

«'Già.     Cosa  nuova,  eh?  Andate.» 

(Oh  povero  me!  Aspetti:  era  ammalata  molto?  Quanto 
tempo  è  . . ..?» 

Ma  intanto  la  finestra  fu  chiusa  davvero. 

('Quella  signora!  quella  signora!  una  parola,  per  carità! 
per  i  suoi  poveri  morti!  Xon  le  chiedo  niente  del  suo:  ohe!» 
Ma  era  come  dire  al  muro. 

Afflitto  della  nuova,  e  arrabbiato  della  maniera,  Renzo  af- 
ferrò ancora  il  martello,  e,  così  appoggiato  alla  porta,  andava 
stringendolo  e  storcendolo,  l'alzava  per  picchiar  di  nuovo 
alla  disperata,  poi  lo  teneva  sospeso.  In  quest'  agitazione,  >i 
voltò  per  vedere  se  mai  ci  fosse  d'intorno  qualche  vicino,  da 
cui  potesse  forse  aver  qualche  informazione  più  precisa,  qual- 
che indizio,  qualche  lume.  Ma  la  prima,  1'  unica  persona 
che  vide,  fu  un'altra  donna,  distante  forse  un  venti  passi; 
la  quale,  con  un  viso  eh'  esprimeva  terrore,  odio,  impazienza 
e  malizia,  con  cert'  occhi  stravolti  che  volevano  insieme  guar- 
dar lui,  e  guardar  lontano,  spalancando  la  bocca  come  in  atto 
di  gridare  a  più  non  posso,  ma  rattenendo  anche  il  respiro, 
alzando  due  braccia  scarne,  allungando  e  ritirando  due  mani 
grinzose  e  piegate  a  guisa  d'  artigli,  come  se  cercasse  d'  ac- 
chiappar qualcosa,  si  vedeva  che  voleva  chiamar  gente,  in 
modo  che  qualcheduno  '  non  se  nT  accorgesse.  Quando  s'  in- 
contrarono a  guardarsi,  colei,  fattasi  ancor  più  brutta,  si  ri- 
scosse come  persona  sorpresa. 

'Che  diamine....?»  cominciava  Renzo,  alzando  anche 
lui  le  mani  verso  la  donna;  ma  questa  perduta  la  speranza 
di  poterlo  far  cogliere  all'  improvviso,  lasciò  scappare  il  gri- 
do che  aveva  rattenuto  fin  allora:  d'untore!  dagli!  dagli! 
dagli  all'  untore!» 

«Chi?  io!  ah  strega  bugiarda!  sta  zitta,»  gridò  Renzo; 
e  fece  un  salto  verso  lei,  per  impaurirla  e  farla  chetare.  Ma 
s'avvide  subito,  che  aveva  bisogno  piuttosto  di  pensare  ai 
casi  suoi.  Allo  strillar  della  vecchia,  accorreva  gente  di  qua 
e  di  là;  non  la  folla  che,  in  un  caso  simile,  sarebbe  stata, 
tre  mesi  prima;  ma  più  che  abbastanza  per  poter  fare  d'  un 
uomo  solo  quel  che  volessero.  Xello  stesso  tempo,  s'  aprì  di 
nuovo  la  finestra,  e  quella  medesima  sgarbata  di  prima  ci 
s'affacciò  questa  volta,  e  gridava  anche  lei:  «pigliatelo,  pi- 
gliatelo; che  dev'essere  uno  di  que' birboni  che  vanno  in 
giro  a  unger  le  porte  de'  galantuomini.» 

Renzo  non  istette  lì  a  pensare:  gli  parve  subito  miglior 
partito  sbrigarsi  da  coloro,  che  rimanere  a  dir  le  sue  ragio- 
ni: diede  un'occhiata  a  destra  e  a  sinistra,  da  che  parte  ci 
fosse  men  gente,  e  svignò  di  là.  Rispinse  con  un  urtone  uno 
che  gli  parava  la  strada;  con  un  gran  punzone  nel  petto,  fece 


446  I    PROMESSI    SPOSI. 

dare  indietro  otto  o  dieci  passi  un  altro  che  gli  correva  in- 
contro; e  via  di  galoppo,  col  pugno  in  aria,  stretto,  nocchiu- 
to, pronto  per  qualunque  altro  gli  fosse  venuto  tra'  piedi.  La 
strada  davanti  era  sempre  libera;  ma  dietro  le  spalle  sentiva 
il  calpestìo,  e  più  forti  del  calpestìo,  quelle  grida  amare 
«dagli!  dagli!  all'untore!»  Non  sapeva  quando  fossero  per 
fermarsi  ;  non  vedeva  dove  si  potrebbe  metter  in  salvo.  L' ira 
divenne  rabbia,  1'  angoscia  si  cangiò  in  disperazione,  e,  per- 
so il  lume  degli  occhi,  mise  mano  al  suo  coltellaccio,  lo 
sfoderò,  si  fermò  su  due  piedi,  voltò  indietro  il  viso  più 
torvo  e  più  cagnesco  che  avesse  fatto  a' suoi  giorni;  e,  col 
braccio  teso,  brandendo  in  aria  la  lama  luccicante,  gridò: 
echi  ha  cuore  venga  avanti ,  canaglia  !  che  1'  ungerò  io  dav- 
vero con  questo.» 

Ma,  con  maraviglia,  e  con  un  sentimento  confuso  di  con- 
solazione, vide  che  i  suoi  persecutori  s'  eran  già  fermati,  e 
stavan  lì  come  titubanti,  e  che,  seguitando  a  urlare,  facevan, 
con  le  mani  per  aria,  certi  cenni  da  spiritati,  come  a  gente 
che  venisse  di  lontano  dietro  a  lui.  Si  voltò  di  nuovo,  e  vide 
(che  il  gran  turbamento  non  gliel  aveva  lasciato  vedere  un 
momento  prima,  un  carro  che  s'  avanzava,  anzi  una  fila  di 
que'  soliti  carri  funebri,  col  solito  accompagnamento,  e  die- 
tro, a  qualche  distanza,  un  altro  mucchietto  di  gente  che 
avrebbero  voluto  anche  loro  dare  addosso  all'  untore,  e  pren- 
derlo in  mezzo;  ma  eran  trattenuti  dall' impedimento  medesi- 
mo. Vistosi  così  tra  due  fuochi,  gli  venne  in  mente  che  ciò 
che  era  di  terrore  a  coloro,  poteva  essere  a  lui  di  salvezza; 
penò  che  non  era  tempo  di  far  lo  schizzinoso;  rimise  il  col- 
tellaccio nel  fodero,  si  tirò  da  una  parte,  prese  la  rincorsa 
verso  i  carri,  passò  il  primo,  e  adocchiò  nel  secondo  un 
buono  spazio  vóto.  Prende  la  mira,  spicca  un  salto;  è  su, 
piantato  sul  piede  destro,  col  sinistro  in  aria,  e  con  le  brac- 
cia alzate. 

«Bravo!  bravo!))  esclamarono  a  una  voce  i  monatti,  al- 
cuni de'  quali  seguivano  il  convoglio  a  piedi,  altri  eran  sedu- 
ti sui  carri,  altri,  per  dire  1'  orribil  cosa  com'  era,  sui  cada- 
veri, trincando  da  un  gran  fiasco  che  andava  in  giro.  «Bra- 
vo! bel  colpo!-) 

«Sei  venuto  a  metterti  sotto  la  protezione  de' monatti;  fa 
conto  d'  essere  in  chiesa,»  gli  disse  uno  de'  due  che  stavano 
sul  carro  dov'  era  montato. 

I  nemici,  all'  avvicinarsi  del  treno,  avevano,  i  più,  voltate 
le  spalle,  e  se  n'andavano,  non  lasciando  di  gridare:  «da- 
gli! dagli!  all'untore!))  Qualcheduno  si  ritirava  più  adagio, 
fermandosi  ogni  tanto,  e  voltandosi,  con  versacci  e  con  gesti 
di  minaccia,  a  Renzo:  il  quale,  dal  carro,  rispondeva  loro 
dibattendo  i  pugni  in  aria. 


CAPITOLO    XXXIV.  417 

«Lascia  fare  a  me,"  gli  disse  un  monatto;  e  strappato 
d'addosso  a  un  cadavere  un  laido  cencio,  l'annodò  in  fretta. 
e,  presolo  per  una  delle  cocche,  V  alzò  come  una  fionda  ver- 
so quegli  ostinati,  e  fece  le  viste  di  buttarglielo,  gridando: 
«aspetta  canagliata  A  quell'atto  fuggiron  tutti,  inorriditi;  e 
Renzo  non  vide  più  che  schiene  di  nemici,  e  calcagni  che 
ballavano  rapidamente  per  aria,  a  guisa  di  gualchiere. 

Tra  i  monatti  s'  alzò  un  urlo  di  trionfo,  uno  scroscio  pro- 
celloso di  risa,  un  «uh»  prolungato,  come  per  accompagnar 
quella  fuga. 

«Ah  ah!  vedi  se  noi  sappiamo  proteggere  i  galantuomi- 
ni?') disse  a  Renzo  quel  monatto:  «vai  più  uno  di  noi  che 
cento  di  que'  poltroni.» 

'Certo,  posso  dire  che  vi  devo  la  vita,»  rispose  Renzo: 
«e  vi  ringrazio  con  tutto  il  cuore.» 

«Di  che  cosa?»  disse  il  monatto:  «tu  lo  meriti:  si  vede 
che  sei  un  bravo  giovine.  Fai  bene  a  ungere  questa  canaglia: 
ungili,  estirpali  costoro,  che  non  vaglion  qualcosa,  se  non 
quando  son  morti;  che,  per  ricompensa  della  vita  che  faccia- 
mo, ci  maledicono,  e  vanno  dicendo  che,  finita  la  morìa  ci 
voglion  fare  impiccar  tutti.  Hanno  a  finir  prima  loro,  che 
la  morìa;  e  i  monatti  hanno  a  restar  soli,  a  cantar  vittoria, 
e  a  sguazzar  per  Milano.» 

«Viva  la  morìa,  e  moia  la  marmaglia!»  esclamò  l'altro; 
e,  con  questo  bel  brindisi,  si  mise  il  fiasco  alla  bocca,  e,  te- 
nendolo con  tutt'  e  due  le  mani,  tra  le  scosse  del  carro,  diede 
una  buona  bevuta,  poi  Io  porse  a  Renzo,  dicendo:  «bevi  alla 
nostra  salute.' 

«Ve  l'auguro  a  tutti,  con  tutto  il  cuore,»  disse  Renzo: 
"ma  non  ho  sete;  non  ho  proprio  voglia  di  bere  in  questo 
momento.» 

«Tu  hai  avuto  una  bella  paura,  a  quel  che  mi  pare.> 
disse  il  monatto:  «m'hai  aria  d'un  pover'  uomo;  ci  vuol  al- 
tri visi  a  far  1'  untore.» 

«Ognuno  s'  ingegna  come  può,»  disse  V  altro.  - 

«Dammelo  qui  a  me.»  disse  uno  di  quelli  che  venivano 
a  piedi  accanto  al  carro,"  che  ne  voglio  bere  anch'  io  un  al- 
tro   sorso,   alla  salute   del  suo  padrone,   che   si  trova  qui  in 

questa  bella  compagnia lì,  lì,  appunto,  mi  pare,  in  quella 

bella  carrozzata.» 

E,  con  un  suo  atroce  e  maledetto  ghigno,  accennava  il 
carro  davanti  a  quello  su  cui  stava  il  povero  Renzo.  Poi,  com- 
posto il  viso  a  un  atto  di  serietà  ancor  più  bieco  e  fellonesco, 
fece  una  riverenza  da  quella  parte,  e  riprese:  «si  contenta, 
padron  mio,  che  un  povero  monattuccio  assaggi  di  quello  del- 
la sua  cantina?  Vede  bene:  si  fa  certe  vite:  siam  quelli  che 
l'abbiam  messo  in  carrozza,  per  condurlo  in  villeggiatura.  E 


448  I  PBOMESSI   SPOSI. 

poi.  già  a  loro  signori  il  vino  fa  suLito  male;  i  poveri  mo- 
natti han  lo  stomaco  buono.» 

E  tra  le  risate  de' compagni,  prese  il  fiasco,  e  l'alzò; 
ma,  prima  di  bere,  si  voltò  a  Renzo,  gli  fissò  gli  occhi  in 
viso,  e  gli  disse,  con  una  cert"  aria  di  compassione  sprezzante: 
«bisogna  che  il  diavolo  col  quale  hai  fatto  il  patto,  sia  ben 
giovine;  che,  se  non  eravamo  lì  noi  a  salvarti,  lui  ti  dava  un 
beli'  aiuto.»  E  tra  un  nuovo  scroscio  di  risa,  s'  attaccò  il 
fiasco  alle  labbra. 

e  E  noi?  eh!  e  noi?»  gridaron  più  voci  dal  carro  ch'era 
avanti.  Il  birbone,  tracannato  quanto  ne  volle,  porse,  con 
tutt'  e  due  le  mani,  il  gran  fiasco  a  quegli  altri  suoi  simili. 
i  quali  se  lo  passaron  dall'  uno  all'  altro,  fino  a  uno  che,  vo- 
tatolo, lo  prese  per  il  collo,  gli  fece  fare  il  mulinello,  e  lo 
scagliò  a  fracassarsi  sulle  lastre,  gridando:  «viva  la  morìa!» 
Dietro  a  queste  parole,  intOLÒ  una  loro  canzonacela;  e  su- 
bito alla  sua  voce  s'  accompagnaron  tutte  V  altre  di  quel  tur- 
pe coro.  La  cantilena  infernale,  mista  al  tintinnìo  de'  campa- 
nelli, al  cigolìo  de' carri,  al  calpestìo  de' cavalli,  risonava 
nel  vóto  silenzioso  delle  strade,  e,  rimbombando  nelle  case, 
stringeva  amaramente  il  cuore  de'  pochi  che  ancor  le  abi- 
tavano. 

Ma  cosa  non  può  alle  volte  venire  in  acconcio?  Cosa  non 
può  far  piacere  in  qualche  caso?  Il  pericolo  d'  un  momento 
prima  aveva  resa  più  che  tollerabile  a  Renzo  la  compagnia 
di  que'  morti  e  di  quer  vivi  ;  e  ora  fu  a'  suoi  orecchi  una  mu- 
sica, sto  per  dire,  gradita,  quella  che  lo  levava  dall'  impiccio 
d'  una  tale  conversazione.  Ancor  mezzo  affannato,  e  tutto  sot- 
tosopra, ringraziava  intanto  alla  meglio  in  cuor  suo  la  Prov- 
videnza, d'essere  uscito  d'un  tal  frangente,  senza  ricever 
male  né  farne;  la  pregava  che  l'aiutasse  ora  a  liberarsi  an- 
che da'  suoi  liberatori;  e  dal  canto  suo,  stava  all'  erta,  guar- 
dava quelli,  guardava  la  strada,  per  cogliere  il  tempo  di 
sdrucciolar  giù  quatto  quatto,  senza  dar  loro  occasione  di 
far  qualche  rumore,  qualche  scenata,  che  mettesse  in  malizia 
i  passeggieri. 

Tutt'  a  un  tratto,  a  una  cantonata,  gli  parve  di  riconoscere 
il  luogo  :  guardò  più  attentamente,  e  ne  fu  sicuro.  Sapete 
dov'  era?  Sul  corso  di  porta  Orientale,  in  quella  strada  per 
cui  era  venuto  adagio,  e  tornato  via  in  fretta,  circa  venti 
mesi  prima.  Gli  venne  subito  in  mente  che  di  lì  s'  andava 
diritto  al  lazzeretto;  e  questo  trovarsi  sulla  strada  giusta, 
senza  studiare,  senza  domandare,  1'  ebbe  per  un  tratto  spe- 
ciale della  Provvidenza,  e  per  buon  augurio  del  rimanente. 
In  quel  punto,  veniva  incontro  ai  carri  un  commissario,  gri- 
dando ai  monatti  di  fermare ,  e  non  so  che  altro  :  il  fatto  è 
che  il  convoglio  si  fermò,  e  la  musica  si  cambiò  in  un  diver- 


CAPITOLO    XXXIV. 


449 


bio  rumoroso.  Uno  de'  monatti  eh1  eran  sul  carro  di  Renzo. 
saltò  giù:  Renzo  disse  all'altro:  «vi  ringrazio  della  vostra 
carità:  Dio  ve  ne  renda  merito;»  e  giù  anche  lui  dall'altra 
parte. 

«Va,  va,  povero  untorello,»  rispose  colui:  «non  sarai  tu 
quello  che  spianti  Milano.» 

Per  fortuna,  non  e'  era  chi  potesse  sentire.  Il  convoglio 
era  fermato  sulla  sinistra  del  corso:  Renzo  prende  in  fretta 
dall'altra  parte,  e,  rasentando  il  muro,  trotta  innanzi  verso 
il  ponte;  lo  passa,  continua  per  la  strada  del  borgo,  ricono- 
sce ii  convento  de'  cappuccini,  è  vicino  alla  porta,  vede  spun- 
tare l'angolo  del  lazzeretto,  passa  il  cancello,  e  gli  si  spiega 
davanti  la  scena  esteriore  di  quel  recinto:  un  indizio  appena 
e  un  saggio,  e  già  una  vasta,  diversa,  indescrivibile  scena. 

Lungo  i  due  lati  che  si  presentano  a  chi  guardi  da  quel 
punto,  era  tutto  un  brulichìo;  erano  ammalati  che  andavano, 
in  compagnie,  al  lazzeretto;  altri  che  sedevano  o  giacevano 
sulle  sponde  del  fossato  che  lo  costeggia;  sia  che  le  forze 
non  fosser  loro  bastate  per  condursi  fin  dentro  al  ricovero,  sia 
che,  usciti  di  là  per  disperazione,  le  forze  fosser  loro  ugual- 
mente mancate  per  andar  più  avanti.  Altri  meschini  errava- 
no sbandati,  come  stupidi,  e  non  pochi  fuor  di  sé  affatto: 
uno  stava  tutto  infervorato  a  raccontar  le  sue  immaginazioni 
a  un  disgraziato  che  giaceva  oppresso  dal  male;  un  altro  dava 
nelle  smanie;  un  altro  guardava  in  qua  e  in  là  con  un  visi- 
no  ridente,  come  se  assistesse  a  un  lieto  spettacolo.  Ma  la 
specie  più  strana  e  più  rumorosa  d'  una  tal  trista  allegrezza, 
era  un  cantare  alto  e  continuo,  il  quale  pareva  che  non  ve- 
nisse fuori  da  quella  miserabile  folla,  e  pure  si  faceva  sentire 
più  che  tutte  l'altre  voci-  una  canzone  contadinesca  d'amore 
gaio  e  scherzevole,  di  quelle  che  chiamavan  villanelle;  e  an- 
dando con  lo  sguardo  dietro  al  suono,  per  iscoprire  chi  mai 
potesse  esser  contento,  in  quel  tempo,  in  quel  luogo,  si  ve- 
deva un  meschino  che,  seduto  tranquillamente  in  fondo  al 
fossato,  cantava  a  più  non  posso,  con  la  testa  per  aria. 

Renzo  aveva  appena  fatti  alcuni  passi  lungo  il  lato  meri- 
dionale dell'  edifizio,  che  si  sentì  in  quella  moltitudine  un  ru- 
more straordinario,  e  di  lontano  voci  che  gridavano:  guarda, 
piglia!  S'alza  in  punta  di  piedi,  e  vede  un  cavallaccio  che 
andava  di  carriera,  spinto  da  un  più  strano  cavaliere:  era 
un  frenetico  che,  vista  quella  bestia  sciolta  e  non  guardata, 
accanto  a  un  carro,  c'era  montato  in  fretta  a  bisdosso,  e, 
martellandole  il  collo  co' pugni,  e  facendo  sproni  de' calcagni, 
la  cacciava  in  furia  ;  e  monatti  dietro,  urlando  ;  e  tutto  si  rav- 
volse in  un  nuvolo  di  polvere,  che  volava  lontano 

Così,  già  sbalordito  e  stanco  di  veder  miserie,  il  giovine 
arrivò  alla  porta  di  quel  luogo  dove  ce  n'  erano  adunate  forse 

Manzoni.  29 


450  I  PKOMESSI   SPOSI. 

più  che  non  ce  ne  fosse  di  sparse  in  tutto  lo  spazio  che  gli 
era  già  toccato  di  percorrere.  S'affaccia  a  quella  porta,  en- 
tra sotto  la  vòlta,  e  rimane  un  momento  immobile  a  mezzo 
del  portico. 


CAPITOLO  XXXV. 

S' immagini  il  lettore  il  recinto  del  lazzeretto  popolato  dì 
sedici  mila  appestati;  quello  spazio  tutt' ingombro,  dove  di 
capanne  e  di  baracche,  dove  di  carri,  dove  di  gente;  quelle 
due  interminate  fughe  di  portici,  a  destra  e  a  sinistra,  piene, 
gremite  di  languenti  o  di  cadaveri  confusi,  sopra  sacconi,  o 
sulla  paglia;  e  su  tutto  quel  quasi  immenso  covile,  un  bru- 
lichìo, come  un  ondeggiamento;  e  qua  e  là,  un  andare  e  ve- 
nire, un  fermarsi,  un  correre,  un  chinarsi,  un  alzarsi,  di  con- 
valescenti, di  frenetici,  di  serventi.  Tale  fu  lo  spettacolo  che 
riempì  a  un  tratto  la  vista  di  Renzo ,  e  lo  tenne  lì,  sopraffat- 
to e  compreso.  Questo  spettacolo,  noi  non  ci  proponiam  certo 
di  descriverlo  a  parte  a  parte,  né  il  lettore  lo  desidera;  so- 
lo, seguendo  il  nostro  giovine  nel  suo  penoso  giro,  ci  ferme- 
remo alle  sue  fermate,  e  di  ciò  che  gli  toccò  di  vedere  diremo 
quanto  sia  necessario  a  raccontar  ciò  che  fece,  e  ciò  che 
gli  seguì. 

Dalla  porta  dove  s'  era  fermato ,  fino  alla  cappella  del 
mezzo,  e  di  là  all'  altra  porta  in  faccia,  e'  era  come  un  viale, 
sgombro  di  capanne,  e  d'  ogni  altro  impedimento  stabile;  e 
alla  seconda  occhiata,  Renzo  vide  in  quello  un  tramenìo  di 
carri,  un  portar  via  roba,  per  far  luogo;  vide  cappuccini  e 
secolari  che  dirigevano  queir  operazione,  e  insieme  mandavan 
via  chi  non  ci  avesse  che  fare.  E  temendo  d'  essere  anche 
lui  messo  fuori  in  quella  maniera,  si  cacciò  addirittura  tra  le 
capanne,  dalla  parte  a  cui  si  trovava  casualmente  voltato,  al- 
la diritta. 

Andava  avanti,  secondo  che  vedeva  posto  da  poter  met- 
tere il  piede  da  capanna  a  capanna,  facendo  capolino  in 
ognuna,  e  osservando  i  letti  eh'  eran  fuori  allo  scoperto,  esa- 
minando volti  abbattuti  dal  patimento,  o  contratti  dallo  spa- 
simo, o  immobili  nella  morte,  se  mai  gli  venisse  fatto  di 
trovar  quello  che  pur  temeva  di  trovare.  3Ia  aveva  già  fatto 
un  bel  pezzetto  di  cammino,  e  ripetuto  più  e  più  volte  quel 
doloroso  esame,  senza  veder  mai  nessuna  donna:  onde  s'  im- 
maginò che  dovessero  essere  in  un  luogo  separato.  E  indo- 
vinava: ma  dove  fosse,  non  n'  aveva  indizio,  né  poteva  argo- 
mentarlo.   Incontrava  ogni  tanto  ministri,  tanto  diversi  d' a- 


CAPITOLO    XXXV.  451 

spetto  e  di  maniere  e  d'  abito,  quanto  diverso  e  opposto  era 
il  principio  che  dava  agli  uni  e  agli  altri  una  forza  uguale  di 
vivere  in  tali  servizi:  negli  uni  l'  estinzione  d'  ogni  senso  di 
pietà,  negli  altri  una  pietà  sovrumana.  Ma  né  agli  uni 
né  agli  altri  si  sentiva  di  far  domande,  per  non  procacciar- 
si alle  volte  un  inciampo;  e  deliberò  d'andare,  andare,  fin 
che  arrivasse  a  trovar  donne.  E  andando  non  lasciava  di 
spiare  intorno:  ma  di  tempo  in  tempo  era  costretto  a 
ritirare  lo  sguardo  contristato,  e  come  abbagliato  da  tante 
piaghe.  Ma  dove  rivolgerlo,  dove  riposarlo,  che  sopra  altre 
piaghe? 

L'  aria  stessa  e  il  cielo  accrescevano,  se  qualche  cosa  po- 
teva accrescerlo,  1'  orrore  di  quelle  viste.  La  nebbia  s'  era  a 
poco  a  poco  addensata  e  accavallata  in  nuvoloni  che,  rabbu- 
iandosi sempre  più,  davano  idea  d'un  annottar  tempestoso, 
se  non  che,  verso  il  mezzo  di  quel  cielo  cupo  e  abbassato, 
traspariva,  come  da  un  fìtto  velo,  la  spera  del  sole,  pallida, 
che  spargeva  intorno  a  sé  un  barlume  fioco  e  sfumato,  e 
pioveva  un  calore  morto  e  pesante.  Ogni  tanto,  tra  mezzo  al 
ronzìo  continuo  di  quella  confusa  moltitudine,  si  sentiva  un 
borbottar  di  tuoni,  profondo,  come  tronco,  irresoluto;  né,  ten- 
dendo 1:  orecchio,  avreste  saputo  distinguere  da  che  parte  ve- 
nisse; o  avreste  saputo  crederlo  un  correr  lontano  di  carri, 
che  si  fermassero  improvvisamente.  Xon  si  vedeva,  nelle 
campagne  d'  intorno,  moversi  un  ramo  d'  albero,  né  un  uc- 
cello andarvisi  a  posare,  o  staccarsene:  solo  la  rondine,  com- 
parendo subitamente  di  sopra  il  tetto  del  recinto,  sdrucciola- 
va in  giù  con  1'  ali  tese,  come  per  rasentare  il  terreno  del 
campo:  ma  sbigottita  da  quel  brulichìo,  risaliva  rapidamen- 
te, e  fuggiva.  Era  uno  di  que' tempi,  in  cui,  tra  una  com- 
pagnia di  viandanti  non  e'  è  nessuno  che  rompa  il  silenzio  ; 
e  il  cacciatore  cammina  pensieroso,  con  lo  sguardo  a  terra; 
e  la  villana,  zappando  nel  campo,  smette  di  cantare,  senza 
avvedersene;  di  que' tempi  forieri  della  burrasca,  in  cui  la 
natura,  come  immota  al  di  fuori,  e  agitata  da  un  travaglio 
interno,  par  che  opprima  ogni  vivente,  e  aggiunga  non  so 
quale  gravezza  a  ogni  operazione,  all'ozio,  all'esistenza 
stessa.  Ma  in  quel  luogo  destinato  per  sé  al  patire  e  al  mo- 
rire, si  vedeva  1'  uomo  già  alle  prese  col  male  soccombere 
alla  nuova  oppressione;  si  vedevan  centinaia  e  centinaia  peg- 
giorar precipitosamente;  e  insieme  P  ultima  lotta  era  più  af- 
fannosa, e,  nell'aumento  de' dolori,  i  gemiti  più  soffogati; 
né  forse  su  quel  luogo  di  miserie  era  ancor  passata  un'  ora 
crudele  al  par  di  questa. 

Già  aveva  il  giovane  girato  un  bel  pezzo,  e  senza  frutto 
per  quell'andirivieni  di  capanne,  quando,  nella  varietà  de' 
lamenti  e  nella  confusione  del  mormorio,   cominciò  a  distin- 

29* 


452  I   PEOMESSI    SPOSI. 

guere  un  misto  singolare  di  vagiti  e  di  belati:  fin  che  arrivò 
a  un  assito  scheggiato  e  sconnesso,  di  dentro  il  quale  veniva 
quel  suono  straordinario.  Mise  un  occhio  a  un  largo  spi- 
raglio, tra  due  asse,  e  vide  un  recinto  con  dentro  capanne 
sparse,  e,  così  in  quelle,  come  nel  piccol  campo,  non  la  so- 
lita infermeria,  ma  bambinelli  a  giacere  sopra  materassine, 
o  guanciali,  o  lenzoli  distesi,  o  topponi  ;  e  balie  e  altre  donne 
in  faccende;  e  ciò  che  più  di  tutto  attraeva  e  fermava  lo 
sguardo,  capre  mescolate  con  quelle,  e  fatte  loro  aiutanti:  uno 
spedale _  d'innocenti,  quale  il  luogo  e  il  tempo  poteva  darlo. 
Era,  dico,  una  cosa  singolare  a  vedere  alcune  di  quelle  be- 
stie, ritte  e  quiete  sopra  questo  o  quel  bambino,  dargli  la 
poppa;  e  qualche  altra  accorrere  a  un  vagito,  come  con  sen- 
so materno,  e  fermarsi  presso  il  piccolo  allievo,  e  procurar 
d'  accomodarcisi  sopra,  e  belare,  e  dimenarsi,  quasi  chiaman- 
do chi  venisse  in  aiuto  a  tutt'  e  due. 

Qua  e  là  eran  sedute  balie  con  bambini  al  petto;  alcune 
in  tal  atto  d'  amore  da  far  nascer  dubbio  nel  riguardante,  se 
fossero  state  attirate  in  quel  luogo  dalla  paga,  o  da  quella 
carità  spontanea  che  va  in  cerca  de'  bisogni  e  de*  dolori.  Una 
di  esse,  tutta  accorata,  staccava  dal  suo  petto  esausto  un  me- 
schinello  piangente,  e  andava  tristamente  cercando  la  bestia, 
che  potesse  far  le  sue  veci.  Un'  altra  guardava  con  occhio  di 
compiacenza  quello  che  le  si  era  addormentato  alla  poppa,  e 
baciatolo  mollemente,  andava  in  una  capanna  a  posarlo  sur 
una  materassina.  Ma  una  terza,  abbandonando  il  suo  petto 
al  lattante  straniero,  con  una  cert'  aria  però  non  di  trascuran- 
za,  ma  di  preoccupazione,  guardava  fissa  il  cielo:  a  che  pen- 
sava essa,  in  queir  atto,  con  quello  sguardo,  se  non  a  un 
nato  dalle  sue  viscere,  che  forse  poco  prima,  aveva  succhiato 
quel  petto,  che  forse  e'  era  spirato  sopra?  Altre  donne  più 
attempate  attendevano  ad  altri  servizi.  Una  accorreva  alle 
grida  d'  un  bambino  affamato,  lo  prendeva,  e  lo  portava  vi- 
cino a  una  capra  che  pascolava  a  un  mucchio  d'  erba  fresca, 
e  glielo  presentava  alle  poppe,  gridando  V  inesperto  animale 
e  accarezzandolo  insieme,  affinchè  si  prestasse  dolcemente  al- 
l' ufizio.  Questa  correva  a  prendere  un  poverino,  che  una 
capra  tutt'  intenta  a  allattarne  un  altro,  pestava  con  una 
zampa:  quella  portava  in  qua  e  in  là  il  suo,  ninnandolo,  cer- 
cando ,  ora  d'  addormentarlo  col  canto,  ora  di  acquietarlo  con 
dolci  parole,  chiamandolo  con  un  nome  eh'  essa  medesima  gli 
aveva  messo.  Arrivò  in  quel  punto  un  cappuccino  con  la 
barba  bianchissima,  portando  due  bambini  strillanti,  uno  per 
braccio,  raccolti  allora  vicino  alle  madri  spirate;  e  una  don- 
na corse  a  riceverli,  e  andava  guardando  tra  la  brigata  e  nel 
gregge,  per  trovar  subito  chi  tenesse  lor  luogo  di  madre. 

Più  d'  una  volta  il  giovine,   spinto    da    quello   eh'  era   il 


CAPITOLO   XXXV.  453 

primo,  e  il  più  forte  de' suoi  pensieri,  s"era  staccato  dallo 
spiraglio  per  andarsene;  e  poi  ci  aveva  rimesso  1'  occhio,  per 
guardare  ancora  un  momento. 

Levatosi  di  lì  finalmente,  andò  costeggiando  P  assito  fin 
che  un  mucchietto  di  capanne  appoggiate  a  quello,  lo  costrin- 
se a  voltare.  Andò  allora  lungo  le  capanne,  con  la  mira  di 
riguadagnar  l'assito,  d'andar  fino  alla  fine  di  quello,  e  sco- 
prir paese  nuovo.  Ora,  mentre  guardava  innanzi,  per  istudiar 
la  strada,  un'apparizione  repentina,  passeggiera,  istantanea, 
gli  ferì  lo  sguardo,  e  gli  mise  l'animo  sottosopra.  Vide,  a 
un  cento  passi  di  distanza,  passare  e  perdersi  subito  tra  le 
baracche  un  cappuccino,  un  cappuccino  che,  anche  così  da 
lontano  e  così  di  fuga,  aveva  tutto  l'andare,  tutto  il  fare, 
tutta  la  forma  del  padre  Cristoforo.  Con  la  smania  che  po- 
tete pensare,  corse  verso  quella  parte;  e  lì,  a  girare,  a  cer- 
care, innanzi,  indietro,  dentro  e  fuori,  per  quegli  andirivieni, 
tanto  che  rivide  con  altrettanta  gioia,  quella  forma,  quel  frate 
medesimo;  lo  vide  poco  lontano,  che  scostandosi  da  una  cal- 
daia, andava,  con  una  scodella  in  mano,  verso  una  capan- 
na; poi  lo  vide  sedersi  sull'  uscio  di  quella,  fare  un  segno  di 
croce  sulla  scodella  che  teneva  dinanzi;  e,  guardando  intorno, 
come  uno  che  stia  sempre  all'  erta,  mettersi  a  mangiare.  Era 
proprio  il  padre  Cristoforo. 

La  storia  del  quale,  dal  punto  che  P  abbiam  perduto  di 
vista,  fino  a  quest'incontro,  sarà  raccontata  in  due  parole. 
Non  s'  era  mai  mosso  da  Rimini,  né  aveva  pensato  a  mover- 
sene, se  non  quando  la  peste  scoppiata  in  Milano  gli  offrì  oc- 
casione di  ciò  che  aveva  sempre  tanto  desiderato,  di  dar  la 
sua  vita  per  il  prossimo.  Pregò,  con  grand'  istanza,  d*  es- 
serci richiamato,  per  assistere  e  servire  gli  appestati.  Il 
conte  zio  era  morto  ;  e  del  resto  e'  era  più  bisogno  d' infer- 
mieri che  di  politici:  sicché  fu  esaudito  senza  difficoltà.  Ven- 
ne subito  a  Milano;  entrò  nel  lazzeretto;  e  e'  era  da  circa 
tre  mesi. 

Ma  la  consolazione  di  Renzo  nel  ritrovare  il  suo  buon 
frate,  non  fu  intera  neppure  un  momento:  nell'atto  stesso 
d'  accertarsi  eh'  era  lui,  dovette  vedere  quant'  era  mutato.  Il 
portamento  curvo  e  stentato;  il  viso  scarno  e  smorto;  e  in 
tutto  si  vedeva  una  natura  esausta,  una  carne  rotta  e  caden- 
te, che  s'  aiutava  e  si  sorreggeva,  ogni  momento,  con  uno 
sforzo  dell'  animo. 

Andava  anche  lui  fissando  lo  sguardo  nel  giovine  che  ve- 
niva verso  di  lui  e  che,  col  gesto,  non  osando  con  la  voce, 
cercava  di  farsi  distinguere  e  riconoscere.  «Oh  padre  Cri- 
stoforo!» disse  poi,  quando  gli  fu  vicino  da  poter  esser  sen- 
tito senza  alzar  la  voce. 


454  I   PROMESSI    SPOSI. 

cTu  qui!»  disse  il  frate,  posando  in  terra  la  scodella,  e 
alzandosi  da  sedere. 

«Come  sta,  padre?  come  sta?» 

(Meglio  di  tanti  poverini  che  tu  vedi  qui,»  rispose  il 
frate:  e  la  sua  voce  era  fioca,  cupa,  mutata  come  tutto  il 
resto.  L'occhio  soltanto  era  quello  di  prima,  e  un  non  so 
che  più  vivo  e  più  splendido;  quasi  la  carità,  sublimata  nel- 
T  estremo  deli'  opera,  ed  esultante  di  sentirsi  vicina  al  suo 
principio,  ci  rimettesse  un  fuoco  più  ardente  e  più  puro  di 
quello  che  V  infermità  ci  andava  a  poco  a  poco  spegnendo. 

Ma  tu,»  proseguiva,  e  come   sei  qui?   perchè  vieni   così 
ad  affrontar  la  peste?» 

o  L'  ho  avuta,  grazie  al  cielo.  Vengo  ....  a  cercar  di ... . 
Lucia.» 

«Lucia!  è  qui  Lucia?» 

«È  qui:  almeno  spero  in  Dio  che  ci  sia  ancora.» 

«È  tua  moglie?» 

«Oh  caro  padre!  no  che  non  è  mia  moglie.  Non  sa  nulla 
di  tutto  quello  che  è  accaduto?» 

«No,  figliuolo:  da  che  Dio  m'ha  allontonato  da  voi  altri, 
io  non  n'ho  saputo  più  nulla;  ma  ora  ch'Egli  mi  ti  manda, 
dico  la  verità  che  desidero  molto  di  saperne.  Ma  ....  e  il 
bando?» 

cLe  sa  dunque,  le  cose  che  m'hanno  fatto?» 

«Ma  tu  che  avevi  fatto?» 

«Senta;  se  volessi  dire  d'aver  avuto  giudizio,  quel  giorno 
in  Milano,  direi  una  bugia;  ma  cattive  azioni  non  n'ho  fatte 
punto.  » 

«Te  lo  credo,  e  lo  credeva  anche  prima.» 

«Ora  dunque  le  potrò  dir  tutto.» 

"Aspetta,»  disse  il  frate:  e  andato  alcuni  passi  fuor  della 
capanna,  chiamò:  «padre  Vittore!»  Dopo  qualche  momento 
comparve  un  giovine  cappuccino,  al  quale  disse:  «fatemi  la 
carità,  padre  Vittore,  di  guardare,  anche  per  me,  a  questi 
nostri  poverini,  intanto  ch'io  me  ne  sto  ritirato;  e  se  alcuno 
però  mi  volesse,  chiamatemi.  Quel  tale  principalmente!  se 
mai  desse  il  più  piccolo  segno  di  tornare  in  sé,  avvisatemi 
subito,  per  carità.» 

<Non  dubitate,»  rispose  il  giovine;  e  il  vecchio,  tornato 
verso  Renzo,  «entriamo  qui.  >  gli  disse.  «Ma  .  .  .  .»  soggiun- 
se subito,  fermandosi,  «tu  mi  pari  ben  rifinito:  devi  aver  bi- 
sogno^  di  mangiare.» 

«È  vero,»  disse  Renzo;  «ora  che  lei  mi  ci  fa  pensare,  mi 
ricordo  che  sono  ancora  digiuno.» 

«Aspetta,»  disse  il  frate;  e,  presa  un'  altra  scodella, 
l'andò  a  empire  alla  caldaia:  tornato,  la  diede,  con  un  cuc- 
chiaio,  a  Renzo;   lo  fece  sedere  sur  un  saccone  che  gli  ser- 


CAPITOLO   XXXV.  455 

viva  di  letto;  poi  andò  a  una  botte  ch'era  in  un  canto,  e  ne 
spillò  un  bicchier  di  vino,  che  mise  sur  un  tavolino,  davanti 
al  suo  convitato;  riprese  quindi  la  sua  scodella,  e  si  mise  a 
seder  accanto  a  lui. 

cOh  padre  Cristoforo!»  disse  Renzo:  «tocca  a  lei  a  far 
codeste  cose?  Ma  già  lei  è  sempre  quel  medesimo.  La  rin- 
grazio proprio  di  cuore.» 

«Non  ringraziar  me,»  disse  il  frate:  «è  roba  de' poveri; 
ma  anche  tu  sei  un  povero,  in  questo  momento.  Ora  dimmi 
quello  che  non  so,  dimmi  di  quella  nostra  poverina;  e  cerca 
di  spicciarti;  che  c'è  poco  tempo,  e  molto  da  fare,  come  tu 
vedi.» 

Renzo  principiò,  tra  una  cucchiaiata  e  1'  altra,  la  storia 
di  Lucia;  com'era  stata  ricoverata  nel  monastero  di  Monza, 
come  rapita  ....  AH"  immagine  di  tali  patimenti  e  di  tali  pe- 
ricoli, al  pensiero  d'essere  stato  lui  quello  che  aveva  indi- 
rizzata in  quel  luogo  la  povera  innocente,  il  buon  frate  ri- 
mase senza  fiato:  ma  lo  riprese  subito,  sentendo  com'era 
stata  mirabilmente  liberata,  resa  alla  madre,  e  allogata  da 
questa  presso  donna  Prassede. 

«Ora  le  racconterò  di  me,»  proseguì  Renzo:  e  raccontò 
in  succinto  la  giornata  di  Milano,  la  fuga;  e  come  era  sem- 
pre stato  lontano  da  casa,  e  ora,  essendo  ogni  cosa  sottoso- 
pra, s'  era  arrischiato  d'  andarci;  come  non  ci  aveva  trovato 
Agnese;  come  in  Milano  aveva  saputo  che  Lucia  era  al  laz- 
zeretto. «E  son  qui,»  concluse,  «son  qui  a  cercarla,  a 
veder  se  è  viva,  e  se  ....  mi  vuole  ancora  .  .  .  perchè  .  .  .  alle 
volte  ....» 

«Ma,»  domandò  il  frate,  «hai  qualche  indizio  dove  sia 
stata  messa,  quando  ci  sia  venuta  V 

«Niente,  caro  padre;  niente  se  non  che  è  qui,  se  pur  la 
e'  è,  che  Dio  voglia  !  o 

«Oh  poverino!  ma  che  ricerche  hai  tu  finora  fatte  qui?» 

«Ho  girato  e  rigirato;  ma,  tra  V  altre  cose  non  ho  mai 
visto  quasi  altro  che  uomini.  Ho  ben  pensato  che  le  donne 
devono  essere  in  un  luogo  a  parte,  ma  non  ci  sono  mai  po- 
tuto arrivare;  se  è  così,  ora  lei  me  l'insegnerà. 

«Non  sai,  figliuolo,  che  è  proibito  d'entrarci  agli  uomini 
che  non  ci  abbiano  qualche  incombenza?» 

«Ebbene,  cosa  mi  può  accadere?» 

«La  regola  è  giusta  e  santa,  figliuolo  caro;  e  se  la  quan- 
tità e  la  gravezza  de'  guai  non  lascia  che  si  possa  farla  os- 
servar con  tutto  il  rigore,  è  una  ragione  questa  perchè  un 
galantuomo  la  trasgredisca?» 

«Ma,  padre  Cristoforo!»  disse  Renzo:  «Lucia  doveva 
essser  mia  moglie;  lei  sa  come  siamo  stati  separati  :  son  venti 


456  I  PROMESSI   SPOSI. 

mesi  che  patisco  e  ho  pazienza;  son  venuto  fin  qui,  a  rischio 
di  tante  cose,  1' una  peggio  dell'altra,  e  ora  . .  .  .» 

«Non  so  cosa  dire,»  riprese  il  frate,  rispondendo  piut- 
tosto a' suoi  pensieri  che  alle  paro^  del  giovine:  «tu  vai  con 
buona  intenzione,  e  piacesse  a  Dio  che  tutti  quelli  che  hanno 
libero  1'  accesso  in  quel  luogo ,  ci  si  comportassero  come  pos- 
so fidarmi  che  farai  tu.  Dio,  il  quale  certamente  benedice 
questa  tua  perseveranza  d'  affetto,  questa  tua  fedeltà  in  volere 
e  in  cercare  colei  ch'Egli  t'aveva  data;  Dio,  che  è  più  rigo- 
roso degli  uomini,  ma  più  indulgente,  non  vorrà  guardare  a 
quel  che  ci  possa  essere  d'irregolare  in  codesto  tuo  modo  di 
cercarla  Ricordati  solo,  che,  della  tua  condotta  in  quel 
luogo,  avremo  a  render  conto  tutt'  e  due;  agli  uomini  facil- 
mente no,  ma  a  Dio  senza  dubbio.  Vien  qui.»  In  così  dire 
s'alzò,  e  nel  medesimo  tempo  anche  Renzo;  il  quale  non 
lasciando  di  dar  retta  alle  sue  parole,  s'era  intanto  consi- 
gliato tra  sé  di  non  parlare,  come  s'  era  proposto  prima,  di 
quella  tal  promessa  di  Lucia.  —  Se  sente  anche  questo,  — 
aveva  pensato,  —  mi  fa  dell'  altre  difficoltà  sicuro.  0  la  tro- 
vo; e  saremo  sempre  a  tempo  a  discorrerne;  o  .  . .  .  e  allora! 
che  serve?  — 

Tiratolo  sull'uscio  della  capanna,  ch'era  a  settentrione, 
il  frate  riprese:  «Senti;  il  nostro  padre  Felice,  che  è  il  pre- 
sidente qui  del  lazzeretto,  conduce  oggi  a  far  la  quarantina 
altrove  i  pochi  guariti  che  ci  sono.  Tu  vedi  quella  chiesa 
lì  nel  mezzo  . ...»  e,  alzando  la  mano  scarna  e  tremolante, 
indicava  a  sinistra  nell'  aria  torbida  la  cupola  della  cappella, 
che  torreggiava  sopra  le  miserabili  tende;  e  proseguì:  «là 
intorno  si  vanno  ora  radunando,  per  uscire  in  processione 
dalla  porta  per  la  quale  tu  devi  essere  entrato.» 

«Ah!  era  per  questo  dunque,  che  lavoravano  a  sbrattare 
la  strada.» 

«Per  l'appunto;  e  tu  devi  anche  aver  sentito  qualche  toc- 
co di  quella  campana.»» 

«N'  ho  sentito  uno.» 

«Era  il  secondo:  al  terzo  saran  tutti  radunati:  il  padre 
Felice  farà  loro  un  piccol  discorso;  e  poi  s'  awierà  con  loro. 
Tu,  a  quel  tocco,  portati  là;  cerca  di  metterti  dietro  quella 
gente,  da  una  parte  della  strada,  dove  senza  disturbare,  né 
dar  nell'occhio,  tu  possa  vederli  passare;  e  vedi  .  .  .  vedi .  .  . 
se  la  ci  fosse.  Se  Dio  non  ha  voluto  che  la  ci  sia;  quella 
parte,»  e  alzò  di  nuovo  la  mano,  accennando  il  lato  dell' e- 
difizio  che  avevan  dirimpetto:  «quella  parte  della  fabbrica,  e 
una  parte  del  terreno  che  è  lì  davanti,  è  assegnata  alle  don- 
ne. Vedrai  uno  stecconato  che  divide  questo  da  quel  quar- 
iere,  ma  in  certi  luoghi  interrotto,  in  altri  aperto,  sicché 
non  troverai   difficoltà  per  entrare.    Dentro  poi,   non  facendo 


CAPITOLO    XXXV.  457 

tu  nulla  che  dia  ombra  a  nessuno,  nessuno  probabilmente 
non  dirà  nulla  a  te.  Se  però  ti  si  facesse  qualche  ostacolo, 
di'  che  il  padre  Cristoforo  da  *  *  *  ti  conosce,  e  renderà 
conto  di  te.  Cercala  lì;  cercala  con  fiducia  e  .  .  .  .  con  ras- 
segnazione. Perchè,  ricordati  che  non  è  poco  ciò  che  tu 
sei  venuto  a  cercar  qui:  tu  chiedi  una  persona  viva  al  lazze- 
retto! Sai  tu  quante  volte  io  ho  veduto  rinnovarsi  questo  mio 
povero  popolo!  quanti  ne  ho  veduti  portar  via!  quanti  pochi 
uscire!  ....  Va  preparato  a  fare  un  sacrifizio  .  .  .  .» 

«Già;  intendo  anch'io,»  interruppe  Renzo  stravolgendo 
gli  occhi,  e  cambiandosi  tutto  in  viso:  «intendo!  Vo:  guar- 
derò, cercherò,  in  un  luogo,  nell'altro,  e  poi  ancora,  per 
tutto  il  lazzeretto,  in  lungo  e  in  largo  ....  e  se  non  la 
trovo!  ....» 

«Se  non  la  trovi?»  disse  il  frate,  con  un'  aria  di  serietà 
e  d'  aspettativa,  e  con  uno  sguardo  che  ammoniva. 

Ma  Renzo,  a  cui  la  rabbia  riaccesa  dall'  idea  di  quel  dub- 
bio aveva  fatto  perdere  il  lume  degli  occhi,  ripetè  e  seguitò: 
«se  non  la  trovo,  vedrò  di  trovare  qualchedun  altro.  0  in 
Milano,  o  nel  suo  scellerato  palazzo,  o  in  capo  al  mondo,  o  a 
casa  del  diavolo,  lo  troverò  quel  furfante  che  ci  ha  separati; 
quel  birbone  che,  se  non  fosse  stato  lui,  Lucia  sarebbe  mia, 
da  venti  mesi;  e  se  eravamo  destinati  a  morire,  almeno  sa- 
remmo morti  insieme.     Se  e'  è  ancora  colui,  lo  troverò  .  .  .  .» 

«Renzo!»  disse  il  frate,  afferrandolo  per  un  braccio,  e 
guardandolo  ancor  più  severamente. 

«E  se  lo  trovo,»  continuò  Renzo  cieco  affatto  dalla  col- 
lera, «se  la  peste  non  ha  già  fatto  giustizia  ....  Non  è  più 
il  tempo  che  un  poltrone,  co' suoi  bravi  d'intorno,  possa 
metter  la  gente  alla  disperazione,  e  ridersene:  è  venuto  un 
tempo  che  gli  uomini  s'incontrino  a  viso  a  viso:  e  ....  la 
farò  io  la  giustizia!» 

«Sciagurato!»  gridò  il  padre  Cristoforo,  con  una  voce  che 
aveva  ripresa  tutta  l'antica  pienezza  e  sonorità:  «sciagurato,) 
e  la  sua  testa  cadente  sul  petto  s'  era  sollevata,  le  gote  si  colori- 
vano dell'  antica  vita  ;  e  il  fuoco  degli  occhi  aveva  un  non  so 
che  di  terribile.  «Guarda,  sciagurato!»  E  mentre  con  una 
mano  stringeva  e  scoteva  forte  il  braccio  di  Renzo ,  girava 
V  altra  davanti  a  sé,  accennando  quanto  più  poteva  della  do- 
lorosa scena  all'  intorno.  «Guarda  chi  è  Colui  che  gastiga!  Co- 
lui che  giudica,  e  non  è  giudicato  !  Colui  che  flagella  e  che  perdo- 
na! Ma  tu,  verme  della  terra,  tu  vuoi  far  giustizia!  Tu  lo  sai,  tu, 
quale  sia  la  giustizia!  Va,  sciagurato,  vattene!  Io  speravo.  ... 
sì,  ho  sperato  che,  prima  della  mia  morte,  Dio  m'avrebbe 
data  questa  consolazione  di  sentir  che  la  mia  povera  Lucia 
fosse  viva;  forse  di  vederla,  e  di  sentirmi  prometter  da  lei 
che  rivolgerebbe  una  preghiera  là  verso   quella  fossa  dov'  io 


458  r  promessi  sposi. 

sarò.  Va,  tu  m'hai  levata  la  mia  speranza.  Dio  non  l'ha 
lasciata  in  terra  per  te:  e  tu.  certo,  non  hai  l'ardire  di  cre- 
derti degno  che  Dio  pensi  a  consolarti.  Avrà  pensato  a  lei, 
perchè  lei  è  una  di  quell'  anime  a  cui  son  riservate  le  con- 
solazioni eterne.     Va!  non  ho  più  tempo  di  darti  retta.» 

E  così  dicendo,  rigettò  da  se  il  braccio  di  Renzo,  e  si 
mosse  verso  una  capanna  d' infermi. 

«Ah  padre!»  disse  Renzo,  andandogli  dietro  in  atto  sup- 
plichevole: «mi  vuol  mandar  via  in  questa  maniera ?» 

«Come!»  riprese,  con  voce  non  meno  severa,  il  cappuc- 
cino. «Ardiresti  tu  di  pretendere  eh'  io  rubassi  il  tempo  a 
questi  afflitti,  i  quali  aspettano  eh'  io  parli  loro  del  perdono 
di  Dio,  per  ascoltar  le  tue  voci  di  rabbia,  i  tuoi  proponimen- 
ti di  vendetta?  T'ho  ascoltato  quando  tu  chiedevi  consola- 
zione e  aiuto;  ho  lasciata  la  carità  per  la  carità;  ma  ora  tu 
hai  la  tua  vendetta  in  cuore;  che  vuoi  da  me?  vattene.  Ne 
ho  visti  morire  qui  degli  offesi  che  perdonavano;  degli  offen- 
sori che  gemevano  di  non  potersi  umiliare  davanti  all'offeso: 
ho  pianto  con  gli  uni  e  con  gli  altri;  ma  con  te  che  ho  da 
fare?» 

«Ah  gli  perdono!  gli  perdono  davvero,  gli  perdono  per 
sempre!»  eslamò  il  giovine. 

.Renzo!»  disse,  con  una  serietà  più  tranquilla  il  frate: 
«pensaci;   e   dimmi  un  poco  quante  volte  gli  hai  perdonato. » 

E,  stato  alquanto  senza  ricever  risposta,  tutt'  a  un  tratto 
abbassò  il  capo,  e  con  voce  cupa  e  lenta,  riprese:  «tu  sai 
perchè  io  porto  quest'abito.» 

Renzo  esitava. 

«  Tu  lo  sai?»  riprese  il  vecchio. 

«Lo  so,»  rispose  Renzo, 

«Ho  odiato  anch'io:  io,  che  t'ho  ripreso  per  un  pensiero, 
per  una  parola,  1'  uomo  eh'  io  odiavo  cordialmente,  che  odia- 
vo da  gran  tempo,  io  l'ho  ucciso.» 

«Sì,  ma  un  prepotente,  uno  di  quelli.  .  .  .» 

(Zitto!»  interruppe  il  frate  :  e  credi  tu  che,  se  ci  fosse 
una  buona  ragione,  io  non  1'  avrei  trovata  in  trent'  anni? 
Ah  !  s' io  potessi  ora  metterti  in  cuore  il  sentimento  che  dopo 
ho  avuto  sempre,  e  che  ho  ancora,  per  l'uomo  ch'io  odia- 
vo! S'io  potessi!  io?  ma  Dio  lo  può:  Egli  lo  faccia! ... .  Sen- 
ti, Renzo:  Egli  ti  vuol  più  bene  di  quel  che  te  ne  vuoi  tu: 
tu  hai  potuto  macchinar  la  vendetta;  ma  Egli  ha  abbastanza 
forza  e  abbastanza  misericordia  per  impedirtela;  ti  fa  una 
grazia  di  cui  qualchedun  altro  era  troppo  indegno.  Tu  sai, 
tu  l'hai  detto  tante  volte,  ch'Egli  può  fermar  la  mano  d'un 
prepotente:  ma  sappi  che  può  anche  fermar  quella  d'un  ven- 
dicativo. E  perchè  sei  povero,  perchè  sei  offeso,  credi  tu 
eh'  Egli  non  possa  difendere  contro   di  te  un   uomo  che   ha 


CAPITOLO    XXXV.  459 

creato  a  sua  immagine?  Credi  tu  ch'Egli  ti  lascerebbe  fare 
tutto  quello  che  vuoi?  No!  ma  sai  tu  cosa  puoi  fare?  Puoi 
odiare  e  perderti;  puoi  con  un  tuo  sentimento,  allontanar  da 
te  ogni  benedizione.  Perchè,  in  qualunque  maniera  t'andas- 
sero le  cose,  qualunque  fortuna  tu  avessi,  tien  per  certo  che 
tutto  sarà  gastigo,  finché  tu  non  abbia  perdonato  in  maniera 
da  non  poter  più  dire:  io  gli  perdono.» 

5ì,  sì,»  disse  Renzo,  tutto  commosso,  e  tutto  confuso: 
«capisco  che  non  gli  avevo  mai  perdonato  davvero,  capisco 
che  ho  parlato  da  bestia,  e  non  da  cristiano:  e  ora  con  la 
grazia  del  Signore,  sì,  gli  perdono  proprio  di  cuore.  •> 

e  E  se  tu  lo  vedessi?- 

(Pregherei  il  Signore  di  dar  pazienza  a  me,  e  di  toccare 
il  cuore  a  lui.» 

'  Ti  ricorderesti  che  il  Signore  non  ci  ha  detto  di  perdo- 
nare a' nostri  nemici,  ci  ha  detto  d'amarli?  Ti  ricorderesti 
ch'Egli  lo  ha  amato  a  segno  di  morir  per  lui?» 

(  Sì.  col  suo  aiuto.» 

(Ebbene,  vieni  con  me.  Hai  detto  lo  troverò:  lo  troverai. 
Vieni,  e  vedrai  con  chi  tu  potevi  tener  odio,  a  chi  potevi  de- 
siderar del  male,  volergliene  fare,  sopra  che  vita  tu  volevi 
far  da  padrone.» 

E.  presa  la  mano  di  Renzo,  e  strettala  come  avrebbe  po- 
tuto fare  un  giovine  sano,  si  mosse.  Quello,  senza  osar  di 
domandar  altro,  gli  andò  dietro. 

Dopo  pochi  passi,  il  frate  si  fermò  vicino  all'  apertura 
d'  una  capanna,  fissò  gli  occhi  in  viso  a  Renzo,  con  un  mi- 
sto di  gravità  e  di  tenerezza:  e  lo  condusse  dentro. 

La  prima  cosa  che  si  vedeva,  nell'entrare,  era  un  infer- 
mo seduto  sulla  paglia  nel  fondo:  un  infermo  però  non  ag- 
gravato, e  che  anzi  poteva  parer  vicino  alla  convalescenza:  il 
quale  visto  il  padre,  tentennò  la  testa,  come  accennando  di 
no:  il  padre  abbassò  la  sua,  con  un  atto  di  tristezza  e  di 
rassegnazione.  Renzo  intanto,  girando,  con  una  curiosità  in- 
quieta, lo  sguardo  sugli  altri  oggetti,  vide  tre  o  quattro  in- 
fermi, ne  distinse  uno  da  una  parte  sur  una  materassa,  in- 
voltato in  un  lenzolo,  con  una  cappa  signorile  indosso,  a 
guisa  di  coperta:  lo  fissò,  riconobbe  don  Rodrigo,  e  fece  un 
passo  indietro;  rna  il  frate,  facendogli  di  nuovo  sentir  for- 
temente la  mano  con  cui  lo  teneva,  lo  tirò  appiè  del  covile, 
e,  stesavi  sopra  P  altra  mano,  accennava  col  dito  P  uomo  che 
vi  giaceva. 

Stava  1"  infelice,  immoto;  spalancati  gli  occhi,  ma  senza 
sguardo;  pallido  il  viso  e  sparso  di  macchie  nere;  nere  ed 
enfiate  le  labbra;  l'avreste  detto  il  viso  d'un  cadavere,  se 
una  contrazione  violenta  non  avesse  reso  testimonio  d'  una 
vita  tenace.     11   petto  si   sollevava   di  quando  in  quando,  con 


460  I   PBOMESSI    SPOSI. 

un  respiro  affannoso;  la  destra,  fuor  della  cappa,  lo  preme- 
va vicino  al  cuore,  con  uno  stringere  adunco  delle  dita,  livide 
tutte,  e  sulla  punta  nere. 

«Tu  vedila  disse  il  frate,  con  voce  bassa  e  grave.  «Può 
esser  castigo,  può  esser  misericordia.  Il  sentimento  che  tu 
proverai  ora  per  quest'  uomo  che  t'  ha  offeso,  sì;  lo  stesso 
sentimento,  il  Dio,  che  tu  pure  hai  offeso,  avrà  per  te  in 
quel  giorno.  Beneficilo,  e  sei  benedetto.  Da  quattro  giorni 
e  qui  come  tu  lo  vedi,  senza  dar  segno  di  sentimento.  Forse 
il  Signore  è  pronto  a  concedergli  un'  ora  di  ravvedimento; 
ma  voleva  esserne  pregato  da  te:  forse  vuole  che  tu  ne  lo 
preghi  con  quella  innocente;  forse  serba  la  grazia  alla  tua 
sola  preghiera,  alla  preghiera  d;  un  cuore  afflitto  e  rassegna- 
to. Forse  la  salvezza  di  quest'  uomo  e  la  tua  dipende  ora  da 
te,  un  tuo  sentimento  di  perdono,  e  di  compassione  .  .  .  . 
d"  amore!» 

Tacque;  e,  giunte  le  mani,  chinò  il  viso  sopra  di  esse,  e 
pregò:  Renzo  fece  lo  stesso. 

Erano  da  pochi  momenti  in  quella  positura,  quando  scoc- 
cò la  campana.  Si  mossero  tutt'  e  due,  come  di  concerto;  e 
uscirono.  Xè  1'  uno  fece  domande,  né  1'  altro  proteste:  i  loro 
visi  parlavano. 

«Ya  ora,»  riprese  il  frate,  «va  preparato,  sia  a  ricevere 
una  grazia,  sia  a  fare  un  sacrifizio;  a  lodar  Dio,  qualunque 
sia  1'  esito  delle  tue  ricerche.  E  qualunque  sia,  vieni  a  dar- 
mene notizia:  noi  lo  loderemo  insieme..; 

Qui,  senza  dir  altro,  si  separarono;  uno  tornò  d'  ond'  era 
venuto;  1'  altro  b'  avviò  alla  cappella,  che  non  era  lontana 
più  d'  un  cento  passi. 


CAPITOLO  XXXVI. 

Chi  avrebbe  mai  detto  a  Renzo,  qualche  ora  prima,  che, 
nel  forte  d' una  tal  ricerca ,  al  cominciar  de'  momenti  più 
dubbiosi  e  più  decisivi,  il  suo  cuore  sarebbe  stato  diviso  tra 
Lucia  e  don  Rodrigo?  Eppure  era  così:  quella  figura  veniva 
a  mischiarsi  con  tutte  l' immagini  care  o  terribili  che  la  spe- 
ranza o  il  timore  gli  mettevan  davanti  a  vicenda,  in  quel  tra- 
gitto: le  parole  sentite  appiè  di  quel  covile,  si  cacciavano 
tra  i  sì  e  i  no,  ond'  era  combattuta  la  sua  mente;  e  non  po- 
teva terminare  una  preghiera  per  1'  esito  felice  del  gran  ci- 
mento, senza  attaccarci  quella  che  aveva  principiata  là,  e  che 
lo  scocco  della  campana  aveva  troncata. 

La  cappella  ottangolare  che  sorge,  elevata  d'  alcuni  sca- 


CAPITOLO   XXXVI.  461 

lini  nel  mezzo  del  lazzeretto,  era,  nella  sua  costruzione  primitiva, 
aperta  da  tutti  i  lati,  senz'  altro  sostegno  che  di  pilastri  e  di 
colonne,  una  fabbrica,  per  dir  così,  traforata:  in  ogni  faccia- 
ta un  arco  tra  due  intercolunni;  dentro  girava  un  portico  in- 
torno a  quella  che  si  direbbe  più  propriamente  chiesa,  non 
composta  che  d'  otto  archi,  rispondenti  a  quelli  delle  facciate, 
con  sopra  una  cupola;  di  maniera  che  l'altare  eretto  nel  cen- 
tro, poteva  esser  veduto  da  ogni  finestra  delle  stanze  del  re- 
cinto ,  e  quasi  da  ogni  punto  del  campo.  Ora,  convertito  l' e- 
difizio  a  tutt' altr' uso ,  i  vani  delle  facciate  son  murati;  ma 
l'antica  ossatura,  rimasta  intatta,  indica  chiaramente  l'antico 
stato  e  V  antica  destinazione  di  quello. 

Renzo  s'  era  appena  avviato,  che  vide  il  padre  Felice  com- 
parire nel  portico  della  cappella,  e  affacciarsi  sull'  arco  di 
mezzo  del  lato  che  guarda  verso  la  città;  davanti  al  quale 
era  radunata  la  comitiva,  al  piano,  nella  strada  di  mezzo  e 
subito  dal  suo  contegno  s'  accorse  che  aveva  cominciata  la 
predica 

Girò  per  quelle  viottole,  per  arrivare  alla  coda  dell'  udito- 
rio, come  gli  era  stato  suggerito.  Arrivatoci,  si  fermò  cheto 
cheto,  lo  scorse  tutto  con  lo  sguardo;  ma  non  vedeva  di  là 
altro  che  un  folto,  direi  quasi  un  selciato  di  teste.  Nel  mez- 
zo, ce  n'  era  un  certo  numero  coperte  di  fazzoletti,  o  di  veli: 
in  quella  parte  ficcò  più  attentamente  gli  occhi:  ma,  non  ar- 
rivando a  scoprirci  dentro  nulla  di  più,  gli  alzò  anche  lui 
dove  tutti  tenevan  fissi  i  loro.  Rimase  tocco  e  compunto  dalla 
venerabil  figura  del  predicatore;  e  con  quel  che  gli  poteva 
restar  d'attenzione  in  un  tal  momento  d'aspettativa,  senti 
questa  parte  del  solenne  ragionamento. 

«Diamo  un  pensiero  ai  mille  e  mille  che  sono  usciti  di 
là;»  e,  col  dito  alzato  sopra  la  spalla,  accennava  dietro  sé 
la  porta  che  mette  al  cimitero  detto  di  san  Gregorio,  il  quale 
allora  era  tutto,  si  può  dire,  una  gran  fossa:  «diamo  intor- 
no un'  occhiata  ai  mille  e  mille  che  rimangon  qui ,  troppo 
incerti  di  dove  sian  per  uscire;  diamo  un' occhiata  a  noi,  così 
pochi,  che  n'usciamo  a  salvamento.  Benedetto  il  Signore! 
Benedetto  nella  giustizia,  benedetto  nella  misericordia!  bene- 
detto nella  morte,  benedetto  n^lla  salute!  benedetto  in  questa 
scelta  che  ha  voluto  far  di  noi!  Oh!  perchè  l'ha  voluto,  fi- 
gliuoli, se  non  per  serbarsi  un  piccol  popolo  corretto  dall'  af- 
flizione, e  infervorato  dalla  gratitudine?  se  non  a  fine  che, 
sentendo  ora  più  vivamente,  che  la  vita  è  un  suo  dono,  ne 
facciamo  quella  stima  che  merita  una  cosa  data  da  Lui,  l'im- 
pieghiamo nell'opere  che  si  possono  offrire  a  Lui?  se  non  a 
fine  che  la  memoria  de'  nostri  patimenti  ci  renda  compassione- 
voli e  soccorrevoli  ai  nostri  prossimi?  Questi  intanto,  in 
compagnia  de' quali  abbiamo  penato,   sperato,  temuto;  tra  j 


462  I    PROMESSI   SPOSI. 

quali  lasciamo  degli  amici,  de'  congiunti;  e  che  tutti  son  poi 
finalmente  nostri  fratelli;  quelli  tra  questi,  che  ci  vedranno 
passare  in  mezzo  a  loro,  mentre  forse  riceveranno  qualche  sol- 
lievo nel  pensare  che  qualcheduno  esce  pur  salvo  di  qui,  rice- 
vano edificazione  dal  nostro  contegno.  Dio  non  voglia  che 
possano  vedere  in  noi  una  gioia  rumorosa,  una  gioia  mon- 
dana d'avere  scansata  quella  morte,  con  la  quale  essi  stanno 
ancor  dibattendosi.  Vedano  che  partiamo  ringraziando  per 
noi,  e  pregando  per  loro;  e  possan  dire:  anche  fuor  di  qui, 
questi  si  ricorderanno  di  noi,  continueranno  a  pregare  per 
noi  meschini.  Cominciamo  da  questo  viaggio,  da' primi  pas^i 
che  siam  per  fare,  una  vita  tutta  di  carità.  Quelli  che  sou 
tornati  nell'antico  vigore  diano  un  braccio  fraterno  ai  fiacchi; 
giovani,  sostenete  i  vecchi;  voi  che  siete  rimasti  senza  figliuo- 
li, vedete,  intorno  a  voi,  quanti  figliuoli  rimasti  senza  padre! 
siatelo  per  loro!  E  questa  carità,  ricoprendo  i  vostri  peccati, 
raddolcirà  anche  i  vostri  dolori.» 

Qui  un  sordo  mormorio  di  gemiti,  un  singhiozzìo  che  an- 
dava crescendo  nell'adunanza  fu  sospeso  a  un  tratto,  nel  ve- 
dere il  predicatore  mettersi  una  corda  al  collo,  e  buttarsi  in 
S'inocchio  :  e  si  stava  in  gran  silenzio,  aspettando  quel  che 
fosse  per  dire. 

«Per  me,»  disse,  «e  per  tutti  i  miei  compagni,  che,  sen- 
za alcun  nostro  merito  siamo  stati  scelti  all'  alto  privilegio  di 
servir  Cristo  in  voi;  io  vi  chiedo  umilmente  perdono  se  non 
abbiamo  degnamente  adempito  un  sì  gran  ministero.  Se  la  pi- 
grizia, se  l'indocilità  della  carne  ci  ha  resi  meno  attenti  alle 
vostre  necessità,  men  pronti  alle  vostre  chiamate;  se  un'in- 
giusta impazienza,  se  un  colpevol  tedio  ci  ha  fatti  qualche- 
volta  comparirvi  davanti  con  un  volto  annoiato  e  severo:  se 
qualche  volta  il  miserabile  pensiero  che  voi  aveste  bisogno  di 
noi,  ci  ha  portati  a  non  trattarvi  con  tutta  queir  umiltà  che 
si  conveniva,  se  la  nostra  fragilità  ci  ha  fatti  trascorrere  a 
qualche  azione  che  vi  sia  stata  di  scandolo;  perdonateci! 
Così  Dio  rimetta  a  voi  ogni  vostro  debito,  e  vi  benedica.» 
E,  fatto  sull'  udienza  un  gran  segno  di  croce,  s'  alzò. 

Noi  abbiam  potuto  riferire,  se  non  le  precise  parole,  il 
senso  almeno,  il  tema  di  quelle  che  proferì  davvero;  ma  la 
maniera  con  cui  furon  dette  non  è  cosa  da  potersi  descrivere. 
Era  la  maniera  d'  un  uomo  che  chiamava  privilegio  quello  di 
servir  gli  appestati,  perchè  lo  teneva  per  tale;  che  confessa- 
va di  non  averci  degnamente  corrisposto;  perchè  sentiva  di 
non  averci  corrisposto  degnamente;  che  chiedeva  perdono, 
perchè  era  persuaso  d'  averne  bisogno.  Ma  la  gente  che 
s'  era  veduti  d' intorno  que'  cappuccini  non  occupati  d'  altro 
che   di  servirla,  e  tanti  n'  aveva  veduti  morire  e  quello  che 


CAPITOLO    XXXVI.  463 

parlava  per  tutti,  sempre  il  primo  alla  fatica,  come  nell'au- 
torità, se  non  quando  s'era  trovato  anche  lui  in  fin  di  morte: 
pensate  con  che  singhiozzi,  con  che  lagrime  rispose  a  tali 
parole.  Il  mirabil  frate  prese  poi  una  gran  croce  eh'  era  ap- 
poggiata a  un  pilastro,  se  la  inalberò  davanti,  lasciò  siili'  orlo 
del  portico  esteriore  i  sandali,  scese  gli  scalini,  e  tra  la  folla 
che  gli  fece  rispettosamente  largo,  s'  avviò  per  mettersi  alla 
testa  di  essa. 

Renzo,  tutto  lacrimoso,  né  più  né  meno  che  se  fosse  stato 
uno  di  quelli  a  cui  era  chiesto  quel  singolare  perdono,  si  ri- 
tirò anche  lui,  e  andò  a  mettersi  di  fianco  a  una  capanna; 
e  stette  lì  aspettando,  mezzo  nascosto,  con  la  persona  indie- 
tro e  la  testa  avanti,  con  gli  occhi  spalancati,  con  una  gran 
palpitazion  di  cuore,  ma  insieme  con  una  certa  nuova  e  par- 
ticolare fiducia,  nata,  cred'io,  dalla  tenerezza  che  gli  aveva 
ispirata  la  predica,  e  io  spettacolo  della  tenerezza  generale. 

Ed  ecco  arrivare  il  padre  Felice,  scalzo,  con  quella  corda 
al  collo,  con  quella  lunga  e  pesante  croce  alzata;  paUido 
e  scarno  il  viso,  un  viso  che  spirava  compunzione  insieme 
e  coraggio;  a  passo  lento,  ma  risoluto,  come  di  chi  pensa 
soltanto  a  risparmiare  l'altrui  debolezza;  e  in  tutto  come  un 
uomo  a  cui  un  di  più  di  fatiche  e  di  disagi  desse  la  forza 
di  sostenere  i  tanti  necessari  e  inseparabili  da  quel  suo  in- 
carico. Subito  dopo  lui,  venivano  i  fanciulli  più  grandi, 
scalzi  una  gran  parte,  ben  pochi  interamente  vestiti,  chi 
affatto  in  camicia.  Venivan  poi  le  donne,  tenendo  quasi  tutte 
per  la  mano  una  bambina,  e  cantando  alternativamente  il 
Miserere;  e  il  suono  fiacco  di  quelle  voci,  il  pallore  e  la 
languidezza  di  que'  visi  eran  cose  da  occupar  tutto  di  com- 
passione Y  animo  di  chiunque  si  fosse  trovato  lì  come  sem- 
plice spettatore.  Ma  Renzo  guardava,  esaminava,  di  fila  in 
fila,  di  viso  in  viso,  senza  passarne  uno;  che  la  processione 
andava  tanto  adagio,  da  dargliene  tutto  il  comodo.  Passa  e 
passa;  guarda  e  guarda;  sempre  inutilmente;  dava  qualche 
occhiata  di  corsa  alle  file  che  rimanevano  ancora  indietro: 
sono  ormai  poche;  siamo  all'  ultima;  son  passate  tutte;  fu- 
ron  tutti  visi  sconosciuti.  Con  le  braccia  ciondoloni,  e  con 
la  testa  ^piegata  sur  una  spalla,  accompagnò  con  l'occhio 
quella  schiera,  mentre  gli  passava  davanti  quella  degli  uo- 
mini. Una  nuova  attenzione,  una  nuova  speranza  gli  nacque 
nel  veder,  dopo  questi,  comparire  alcuni  carri,  su  cui  erano 
i  convalescenti  che  non  erano  ancora  in  istato  di  cammi- 
nare. Lì  le  donne  venivan  1*  ultime;  e  il  treno  andava  cosi 
adagio  che  Renzo  potè  ugualmente  esaminarle  tutte,  senza 
che  gliene  sfuggisse  una.  Ma  che?  esamina  il  primo  carro, 
il  secondo,  il  terzo,  e  via  discorrendo,  sempre  con  la  stessa 
riuscita,   fino  a  uno,  dietro   al  quale  non  veniva  più  che  un 


464  I   PROMESSI    SPOSI. 

altro  cappuccino  con  un  aspetto  serio,  e  con  un  bastone  in 
mano,  come  regolatore  della  comitiva.  Era  quel  padre  Mi- 
chele che  abbiam  detto  essere  stato  dato  per  compagno  nel 
governo  al  padre  Felice. 

Così  svanì  affatto  quella  cara  speranza;  e,  andandosene, 
non  solo  portò  via  il  conforto  che  aveva  recato,  ma,  come 
accade  le  più  volte,  lasciò  V  uomo  in  peggiore  stato  di  pri- 
ma. Ormai  quel  che  ci  poteva  esser  di  meglio,  era  di  trovar 
Lucia  ammalata.  Pure,  all'  ardore  d'  una  speranza  presente 
sottentrando  quello  del  timore  cresciuto,  il  poverino  s'  attaccò 
con  tutte  le  forze  dell'  animo  a  quel  tristo  e  debole  filo  ;  en- 
trò nella  corsia,  e  s' incamminò  da  quella  parte  di  dove  era 
venuta  la  processione.  Quando  fu  appiè  della  cappella,  andò 
a  inginocchiarsi  sull'  ultimo  scalino  ;  e  lì  fece  a  Dio  una  pre- 
ghiera, o,  per  dir  meglio,  una  confusione  di  parole  arruffa- 
te, di  frasi  interrotte,  d'  esclamazioni,  d' istanze,  di  lamenti,  di 
promesse:  uno  di  que'  discorsi  che  non  si  fanno  agli  uomini, 
perchè  non  hanno  abbastanza  penetrazione  per  intenderli,  né 
pazienza  per  ascoltarli;  non  son  grandi  abbastanza  per  sen- 
tirne compassione  senza  disprezzo. 

S'  alzò  alquanto  più  rincorato;  girò  intorno  alla  cappella; 
si  trovò  nell'  altra  corsia  che  non  aveva  ancora  veduta,  e  che 
riusciva  all'altra  porta;  dopo  pochi  passi,  vide  lo  stecconato 
di  cui  gli  aveva  parlato  il  frate,  ma  interrotto  qua  e  là,  ap- 
punto come  questo  aveva  detto;  entrò  per  una  eli  quelle  aper- 
ture, e  si  trovò  nel  quartiere  delle  donne.  Quasi  al  primo 
passo  che  fece,  vide  in  terra  un  campanello,  di  quelli  che  i 
monatti  portavano  a  un  piede;  gli  venne  in  mente  che  un 
tale  strumento  avrebbe  potuto  servirgli  come  di  passaporto  là 
dentro;  lo  prese,  guardò  se  nessuno  lo  guardava,  e  se  lo  le- 
gò come  usavan  quelli.  E  si  mise  subito  alla  ricerca,  a 
quella  ricerca,  che,  per  la  quantità  sola  degli  oggetti  sarebbe 
stata  fieramente  gravosa,  quand'anche  gli  oggetti  fossero  sta- 
ti tutt'  altri;  cominciò  a  scorrer  con  V  occhio,  anzi  a  contem- 
plar nuove  miserie,  così  simili  in  parte  alle  già  vedute,  in 
parte  cosi  diverse;  che,  sotto  la  stessa  calamità,  era  qui  un 
altro  patire,  per  dir  così,  un  altro  languire,  un  altro  lamen- 
tarsi, un  altro  sopportare,  un  altro  compatirsi  e  soccorrersi  a 
vicenda;  era,  in  chi  guardasse,  un'  altra  pietà  e  un  altro  ri- 
brezzo. 

Aveva  già  fatto  non  so  quanta  strada,  senza  frutto  e  senza 
accidenti;  quando  si  sentì  dietro  le  spalle  un  «oh!»  una 
chiamata,  che  pareva  diretta  a  lui.  Si  voltò  e  vide,  a  una 
certa  distanza,  un  commissario,  che  alzò  una  mano,  accen- 
nando proprio  a  lui,  e  gridando;  «là  nelle  stanze,  che  e'  è 
bisogno  d'aiuto:  qui  s'è  finito  ora  di  sbrattare.» 


CAPITOLO   XXXVI.  465 

Renzo  s'  avvide  subito  per  chi  veniva  preso,  e  che  il  cam- 
panello era  la  cagione  dell'equivoco:  si  diede  della  bestia 
d'  aver  pensato  solamente  agi'  impicci  che  queir  insegna  gli  po- 
teva scansare,  e  non  a  quelli  che  gli  poteva  tirare  addosso; 
ma  pensò  nello  stesso  tempo  alla  maniera  di  sbrigarsi  subito 
da  colui.  Gli  fece  replicatamele  e  in  fretta  un  cenno  col 
capo,  come  per  dire  che  aveva  inteso,  e  che  ubbidiva;  e 
si  levò  dalla  sua  vista,  cacciandosi  da  una  parte  tra  le  ca- 
panne. 

Quando  gli  parve  d'  essere  abbastanza  lontano,  pensò  an- 
che a  liberarsi  dalla  causa  dello  scandolo;  e,  per  far  quel- 
1'  operazione  senz'  essere  osservato,  andò  a  mettersi  in  un  pic- 
colo spazio  tra  due  capanne  che  si  voltavan,  per  dir  così,  la 
schiena.  Si  china  per  levarsi  il  campanello,  e  stando  così  col 
capo  appoggiato  alla  parete  di  paglia  d'  una  delle  capanne,  gli 
vien  da  quella  all'orecchio  una  voce....  Oh  cielo!  è  pos- 
sibile? Tutta  la  sua  anima  è  in  quell'  orecchio;  la  respira- 
zione   è   sospesa Sì!   sì!    è  quella  voce! «Paura   di 

che?»  diceva  quella  voce  soave:  «abbiam  passato  ben  altro 
che  un  temporale.  Chi  ci  ha  custodite  finora,  ci  custodirà 
anche  adesso.- 

Se  Renzo  non  cacciò  un  urlo,  non  fu  per  timore  di  farsi 
scorgere,  fu  perchè  non  n'  ebbe  il  fiato.  Gli  mancaron  le  gi- 
nocchia, gli  s'appannò  la  vista;  ma  fu  un  primo  momento; 
al  secondo,  era  ritto,  più  desto,  più  vigoroso  di  prima;  in  tre 
salti  girò  la  capanna,  fu  Bull'  uscio,  vide  colei  che  aveva  par- 
lato, la  vide  levata,  chinata  sopra  un  lettuccio.  Si  volta  essa 
al  rumore;  guarda,  crede  di  travedere,  di  sognare:  guarda 
più  attenta,  e  grida:  «oh  Signor  benedetto!» 

>Lucia!  v'ho  trovata!  vi  trovo!  siete  proprio  voi!  siete 
viva!»  esclamò  Renzo,  avanzandosi  tutto  tremante. 

«Oh  Signor  benedetto!»  replicò,  ancor  più  tremante.  Lu- 
cia: «voi?  che  cosa  è  questa!  in  che  maniera?  perchè?  La 
peste!» 

«L'ho  avuta.    E  voi  .  .  .  .?» 

«Ah!  ....  anch'  io.     E  di  mia  madre  ....?» 

«Non  l'ho  vista,  perchè  è  a  Pasturo;  credo  però  che  stia 
bene.  Ma  voi....  come  siete  ancora  pallida!  come  parete 
ancora  debole!  Guarita  però,  siete  guarita?-) 

«Il  Signore  m'  ha  voluto  lasciare  ancora  quaggiù.  Ah 
Renzo!  perchè  siete  voi  qui?» 

«Perchè?»  disse  Renzo  avvicinandosele  sempre  più:  «mi 
domandate  perchè?  Perchè  ci  dovevo  venire?  Avete  bisogno 
che  ve  lo  dica?  Chi  ho  io  a  cui  pensi?  Xon  mi  chiamo  più 
Renzo,  io?  Non  siete  più  Lucia,  voi?» 

«Ah  cosa  dite!  cosa  dite!  Ma  non  v'ha  fatto  scrivere 
mia  madre ....?» 

Manzoni.  30 


46G  I   PROMESSI    SPOSI. 

(■Sì:  pur  troppo  m'ha  fatto  scrivere.  Belle  cose  da  fare 
scrivere  a  un  povero  disgraziato,  tribolato,  ramingo,  a  un  gio- 
vine che,  dispetti  almeno,  non  ve  n'aveva  mai  fatti' 

Ma  Renzo!  Renzo!  giacché  sapevate....  perchè  venire? 
perchè?» 

c.Perchè  venire?  Oh  Lucia!  perchè  venire,  mi  dite?  Dopo 
tante  promesse!  Xon  siam  più  noi?  Non  vi  ricordate  più? 
Che  cosa  ci  mancava?» 

«Oh  Signore!»  esclamò  dolorosamente  Lucia,  giungendo  le 
mani,  e  alzando  gli  occhi  al  cielo:  «perchè  non  m' avete  fatta 
la  grazia  di  tirarmi  a  Voi....!  Oh  Renzo!  cos'avete  mai 
fatto?  Ecco;  cominciavo  a  sperare  che  ....  col  tempo  .... 
mi  sarei  dimenticata  .  .  .  .» 

«Bella  speranza!  belle  cose  da  dirmele  proprio  sul  viso!» 

«Ah,  cos'avete  fatto!  E  in  questo  luogo!  tra  queste  mi- 
serie! tra  questi  spettacoli!  qui  dove  non  si  fa  altro  che  mo- 
rire, avete  potuto. . . .!» 

«Quelli  che  muoiono,  bisogna  pregare  Iddio  per  loro,  e 
sperare  che  anderanno  in  un  buon  luogo;  ma  non  è  giusto, 
né  anche  per  questo,  che  quelli  che  vivono  abbiano  a  viver 
disperati . . .  .» 

«Ma,  Renzo!  Renzo!  voi  non  pensate  a  quel  che  dite.  Una 
promessa  alla  Madonna!  ....  Un  voto!» 

«E  io  vi  dico  che  son  promesse  che  non  contan  nulla.» 

«Oh  Signore!  Cosa  dite?  Dove  siete  stato  in  questo 
tempo?  Con  chi  avete  trattato?  Come  parlate?» 

«Parlo  da  buon  cristiano;  e  della  Madonna  penso  meglio 
io  che  voi;  perchè  credo  che  non  vuol  promesse  in  danno  del 
prossimo.  Se  la  Madonna  avesse  parlato,  oh,  allora!  Ma 
cos'  è  stato?  una  vostra  idea.  Sapete  cosa  dovete  promettere 
alla  Madonna?  Promettetele  che  la  prima  figlia  che  avremo, 
le  metteremo  nome  Maria  :  che  questo  son  qui  anch'  io  a 
prometterlo:  queste  son  cose  che  fanno  ben  più  onore  alla 
Madonna:  queste  son  divozioni  che  hanno  più  costrutto,  e  non 
portan  danno  a  nessuno.» 

«Xo  no;  non  dite  così:  non  sapete  quello  che  vi  dite:  non 
lo  sapete  voi  cosa  sia  fare  un  voto:  non  ci  siete  stato  voi  in 
quel  caso:  non  avete  provato.  Andate,  andate,  per  amor  del 
cielo!» 

E  si  scostò  impetuosamente  da  lui,  tornando  verso  il  let- 
tuccio. 

«Lucia!»     disse    Renzo,    senza    moversi:     (ditemi    almeno, 

ditemi:  se  non  fosse  questa  ragione sareste  la  stessa  per 

me?» 

«Uomo  senza  cuore!»  rispose  Lucia,  voltandosi,  e  ratte- 
nendo  a  stento  le  lacrime:  «quando  m' avreste  fatte  dir  delle 
parole  inutili,  delle  parole  che  mi  farebbero   male,   delle  pa- 


CAPITOLO    XXXVI. 


407 


role  che  sarebbero  forse  peccati,  sareste  contento?  Andate, 
oh  andate!  dimenticatevi  di  me:  si  vede  che  non  eravamo  de- 
stinati! Ci  rivedremo  lassù:  già  non  ci  si  deve  star  molto  in 
questo  mondo.  Andate;  cercate  di  far  sapere  a  mia  madre 
che  son  guarita,  che  anche  qui  Dio  m'ha  sempre  assistita, 
che  ho  trovato  un'  anima  buona,  questa  brava  donna,  che  mi 
fa  da  madre;  ditele  che  spero  che  lei  sarà  preservata  da  que- 
sto male,  e  che  ci  rivedremo  quando  Dio  vorrà,  e  come  vor- 
rà   Andate,  per  amor  del  cielo,   e  non  pensate  a  me 

se  non  quando  pregherete  il  Signore.» 

E,  come  chi  non  ha  più  altro  da  dire,  né  vuol  sentir  al- 
tro, come  chi  vuol  sottrarsi  a  un  pericolo,  si  ritirò  ancor 
più  vicino  al  lettuccio,  dov1  era  la  donna  di  cui  aveva 
parlato. 

(■Sentite,  Lucia,  sentite!»  disse  Renzo,  senza  però  acco- 
starsele di  più. 

hNo,  no;  andate  per  carità!» 

«Sentite:  il  padre  Cristoforo....» 

«Che?» 

«È  qui.) 

(•Qui?  dove?  come  lo  sapete?» 

«Gli  ho  parlato  poco  fa;  sono  stato  un  pezzo  con  lui:  e 
un  religioso  della  sua  qualità,  mi  pare  ....-> 

«È  qui!  per  assistere  i  poveri  appestati,  sicuro.  Ma  lui? 
P  ha  avuta  la  peste?» 

«Ah  Lucia!  ho  paura,  ho  paura  pur  troppo....»  e  men- 
tre Renzo  esitava  così  a  proferir  la  parola  dolorosa  per  lui, 
e  che  doveva  esserlo  tanto  a  Lucia,  questa  s'  era  staccata  di 
nuovo  dal  lettuccio,  e  si  ravvicinava  a  lui:  «ho  paura  che 
l'abbia  adesso!» 

«Oh  povero  sant'uomo!  Ma  cosa  dico,  pover' uomo?  Po- 
veri noi!    Com'è?  è  a  letto?  è  assistito?» 

«È  levato,  gira,  assiste  gli  altri;  ma  se  lo  vedeste,  che 
colore  che  ha,  come  si  regge!  Se  n' è  visti  tanti  e  tanti,  che 
pur  troppo  ....  non  si  sbaglia!» 

«Oh  poveri  noi!  E  è  proprio  qui!» 

«Qui,  e  poco  lontano:  poco  più  che  da  casa  vostra  a  casa 
mia  ....  se  vi  ricordate  ....!» 

«Oh  Vergine  santissima!» 

«Bene,  poco  più.    E  pensate  se  abbiamo  parlato    di   voi! 

M' ha   detto    delle   cose E   se  sapeste   cosa   m'  ha  fatto 

vedere!  Sentirete;  ma  ora  voglio  cominciare  a  dirvi  quel  che 
m' ha  detto  prima,  lui,  con  la  sua  propria  bocca.  M'  ha 
detto  che  facevo  bene  a  venirvi  a  cercare,  e  che  al  Signore 
gli  piace  che  un  giovine  tratti  così ,  e  m' avrebbe  aiutato  a 
far  che  vi  trovassi;  come  è  proprio  stato  la  verità:  ma  già  è 
un  santo.    Sicché,  vedetelo 

30* 


4G8  I    PROMESSI    SPOSI. 

(Ma  se  ha  parlato  così,  è  perchè  lui  non  sa  .  .  .  .» 

«Che  volete  che  sappia  lui  delle  cose  che  avete  fatte  voi 
di  vostra  testa,  senza  regola  e  senza  il  parere  di  nessuno? 
Un  brav'  uomo,  un  uomo  di  giudizio,  come  è  lui ,  non  va  a 
pensare  cose  di  questa  sorte.  Ma  quel  che  m' ha  fatto  ve- 
dere!-) E  qui  raccontò  la  visita  fatta  a  quella  capanna.  Lu- 
cia, quantunque  i  suoi  sensi  e  il  suo  animo  avessero,  in  quel 
soggiorno,  dovuto  avvezzarsi  alle  più  forti  impressioni,  stava 
tutta  compresa  d'  orrore  e  di  compassione. 

«E  anche  lì,»  proseguì  Renzo,  «ha  parlato  da  santo:  ha 
detto  che  il  Signore  forse  ha  destinato  di  far  la  grazia  a 
quel  meschino (ora  non  potrei  proprio  dargli  un  altro  no- 
me)     che    aspetta    di   prenderlo    in   un   buon   punto:  ma 

vuole  che  noi  preghiamo  insieme  per  lui  ...  .  Insieme!  avete 
inteso?» 

«Sì,  sì;  lo  pregheremo,   ognuno  dove   il  Signore  ci  terrà: 
le  orazioni  le  sa  mettere  insieme  Lui.» 
Ma  se  vi  dico  le  sue  parole  ....!» 

«Ma,  Renzo,  lui  non  sa  .  .  .  .» 

«Ma  non  capite  che,  quando  è  un  santo  che  parla,  è  il 
Signore  che  lo  fa  parlare?   e  che  non  avrebbe  parlato   così, 

se   non   dovesse    esser   proprio  così E  P  anima  di  quel 

poverino?  Io  ho  bensì  pregato,  e  pregherò  per  lui:  di  cuore 
ho  pregato,  proprio  come  se  fosse  stato  per  un  mio  fratello. 
Ma  come  volete  che  stia  nel  mondo  di  là,  il  poverino,  se  di 
qua  non  s;  accomoda  questa  cosa,  se  non  è  disfatto  il  male 
che  ha  fatto  lui?  Che  se  voi  intendete  la  ragione,  allora  tutto 
è  come  prima:  quel  che  è  stato  è  stato:  lui  ha  fatto  la  sua 
penitenza  di  qua  .  .  .» 

«No,  Renzo,  no.  Il  Signore  non  vuole  che  facciamo  del 
male,  per  far  Lui  misericordia.  Lasciate  fare  a  Lui,  per 
questo:  noi  il  nostro  dovere  è  di  pregarlo.  S'io  fossi  morta 
quella  notte,  non  gli  avrebbe  dunque  potuto  perdonare?  E 
se  non  son  morta,  se  sono  stata  liberata  .  .  .  .» 

«E  vostra  madre,  quella  povera  Agnese,  che  m'  ha  sem- 
pre voluto  tanto  bene,  e  che  si  struggeva  tanto  di  vederci 
marito  e  moglie,  non  ve  1*  ha  detto  anche  lei  che  P  è  un' 
idea  storta?  Lei,  che  v'  ha  fatto  intender  la  ragione  anche 
dell'  altre  volte,  perchè,  in  certe  cose,  pensa  più  giusto  di 
voi ....  » 

«Mia  madre!  volete  che  mia  madre  mi  desse  il  parere  di 
mancare  a  un  voto  !  Ma,  Renzo  !  non  siete  in  voi.» 

«Oh!  volete  che  ve  la  dica?  Voi  altre  donne,  queste  cose 
non  le  potete  sapere.  Il  padre  Cristoforo  m'  ha  detto  che 
tornassi  da  lui  a  raccontargli  se  v'avevo  trovata.  Vo:  lo 
sentiremo,  quel  che  dirà  lui  ....  » 

«Sì,  sì;  andate  da  quel  sant'uomo;  ditegli  che  prego  per 


CAPITOLO   XXXVI.  469 

lui,  e  che  preghi  per  me,  che  n'ho  bisogno  tanto  tanto!  Ma, 
per  amor  del  cielo,  per  l'anima  vostra,  per  l'anima  mia, 
non  venite  più  qui,  a  farmi  del  male,  a  .  .  .  .  tentarmi.  Il 
padre  Cristoforo,  lui  saprà  spiegarvi  le  cose,  e  farvi  tornare 
in  voi;  lui  vi  farà  mettere  il  cuore  in  pace.» 

oli  cuore  in  pace!  Oh!  questo,  levatevelo  dalla  testa. 
Già  me  l'avete  fatta  scrivere  questa  parolaccia:  e  so  io  quel 
che  m'ha  fatto  patire;  e  ora  avete  anche  il  cuore  di  dirme- 
la. E  io  invece  vi  dico  chiaro  e  tondo  che  il  cuore  in  pace 
non  lo  metterò  mai.  Voi  volete  dimenticarvi  di  me;  io  non 
voglio  dimenticarmi  di  voi.  E  vi  prometto,  vedete,  che,  se 
mi  fate  perdere  il  giudizio,  non  lo  acquisto  più.  Al  diavolo 
il  mestiere,  al  diavolo  la  buona  condotta!  Volete  condannar- 
mi a  essere  arrabbiato  per  tutta  la  vita;  e  da  arrabbiato  vi- 
vere ....  E  quel  disgraziato  !  Lo  sa  il  Signore  se  gli  ho 
perdonato  di  cuore;  ma  voi Volete  dunque  farmi  pen- 
sare per  tutta  la  vita  che  se  non  era  lui  .  .  .  .?  Lucia,  avete 
detto  ch'io  vi  dimentichi!  ch'io  vi  dimentichi!  Come  devo 
fare?  A  chi  credete  eh'  io  pensassi  in  tutto  questo  tempo? 
....  È  dopo  tante  cose!  dopo  tante  promesse!  Cosa  v'  ho 
fatto  io,  dopo  che  ci  siamo  lasciati?  Perchè  ho  patito,  mi 
trattate  così?  perchè  ho  avuto  delle  disgrazie?  perchè  la 
gente  del  mondo  m'  ha  perseguitato  ?  perchè  ho  passato  tanto 
tempo  fuori  di  casa,  tristo,  lontano  da  voi?  perchè,  al  primo 
momento  che  ho  potuto,  son  venuto  a  cercarvi?-) 

Lucia,  quando  il  pianto  le  permise  di  formar  parole, 
esclamò  giungendo  di  nuovo  le  mani,  e  alzando  al  cielo  gli 
occhi  pregni  di  lacrime:  «0  Vergine  santissima,  aiutatemi 
voi!  Voi  sapete  che,  dopo  quella  notte,  un  momento  come 
questo  non  l'ho  mai  passato.  M'avete  soccorsa  allora;  soc- 
corretemi anche  adesso!» 

«Sì,  Lucia;  fate  bene  d'invocar  la  Madonna;  ma  perchè 
volete  credere  che  Lei  che  è  tanto  buona,  la  madre  delle  mi- 
sericordie, possa  aver  piacere  di  farci  patire me  alme- 
no ... .  per  una  parola  scappata  in  un  momento  che  non  sa- 
pevate quello  che  vi  dicevate?  Volete  credere  che  v'  abbia 
aiutata  allora,  per  lasciarci  imbrogliati  dopo?  ...  Se  poi  que- 
sta fosse  una  scusa;  se  è  eh'  io  vi  sia  venuto  in  odio  .... 
ditemelo  ....  parlate  chiaro.» 

«Per  carità,  Renzo,  per  carità,  per   i   vostri  poveri   morti, 

finitola;  non  mi  fate  morire Non  sarebbe  un  buon  momento. 

Andate  dal  padre  Cristoforo,  raccomandatemi  a.  lui,  non  tor- 
nate più  qui,  non  tornate  più  qui.» 

«Vo;  ma  pensate  se  non  voglio  tornare;  tornerei  se  fosse 
in  capo  al  mondo,  tornerei.»     E  disparve. 

Lucia  andò  a  sedere,  o  piuttosto  si  lasciò  cadere  in  terra, 
accanto  al  lettuccio;  e,  appoggiata  a  quello  la  testa,  continuò 


470  I    PROMESSI    SPOSI. 

a  piangere  dirottamente.  La  donna,  che  fin  allora  era  stata 
a  occhi  e  orecchi  aperti,  senza  tìatare,  domandò  cosa  fosse 
quell'  apparizione,  quella  contesa,  questo  pianto.  Ma  forse 
il  lettore  domanda  dal  canto  suo  chi  fosse  costei;  e,  per  sod- 
disfarlo, non  ci  vorranno,  né  anche  qui,  troppe  parole. 

Era  un'  agiata  mercantessa,  di  forse  trent'  anni.  Nello 
spazio  di  pochi  giorni,  s'  era  visto  morire  in  casa  il  marito 
e  tutti  i  figliuoli:  di  lì  a  poco,  venutale  la  peste  anche  a  lei, 
era  stata  trasportata  al  lazzeretto,  e  messa  in  quella  capan- 
nuccia,  nel  tempo  che  Lucia,  dopo  aver  superata,  senza  av- 
vedersene, la  furia  del  male,  e  cambiate  ugualmente  senza  av- 
vedersene più  compagne,  cominciava  a  riaversi,  e  a  tornare 
in  sé;  che,  fin  dal  principio  della  malattia,  trovandosi  ancora 
in  casa  di  don  Ferrante,  era  rimasta  come  insensata.  La 
capanna  non  poteva  contenere  che  due  persone:  e  tra  queste 
due,  afflitte,  derelitte,  sbigottite,  sole  in  tanta  moltitudine,  era 
presto  nata  un'  intrinsichezza,  un'  affezione,  che  appena  sa- 
rebbe potuta  venire  da  un  lungo  vivere  insieme.  In  poco 
tempo,  Lucia  era  stata  in  grado  di  potere  aiutar  1'  altra,  che 
s'  era  trovata  aggravatissima.  Ora  che  questa  pure  era  fuori 
di  pericolo,  si  facevano  compagnia  e  coraggio  e  guardia  a  vi- 
cenda; s'  eran  promesse  di  non  uscir  dal  lazzeretto,  se  non 
insieme:  e  avevan  presi  altri  concerti  per  non  separarsi  neppur 
dopo.  La  mercantessa,  che,  avendo  lasciato  in  custodia  d'  un 
suo  fratello  commissario  della  sanità,  la  casa  e  il  fondaco  e 
la  cassa,  tutto  ben  fornito,  era  per  trovarsi  sola  e  trista  pa- 
drona di  molto  più  di  quel  che  le  bisognasse  per  viver  como- 
damente, voleva  tener  Lucia  con  sé,  come  una  figliuola  o  una 
sorella.  Lucia  aveva  aderito,  pensate  con  che  gratitudine  per 
lei,  e  per  la  Provvidenza;  ma  soltanto  fin  che  potesse  aver 
nuove  di  sua  madre,  e  sapere,  come  sperava,  la  volontà  di 
essa.  Del  resto,  riservata  com'  era,  né  della  promessa  dello 
sposalizio,  né  dell'  altre  sue  avventure  straordinarie,  non  aveva 
mai  detta  una  parola.  Ma  ora,  in  un  così  gran  ribollimento 
d'  affetti,  aveva  almen  tanto  bisogno  di  sfogarsi,  quanto  V  al- 
tra desiderio  di  sentire.  E,  stretta  con  tutt'  e  due  le  mani  la 
destra  di  lei,  si  mise  subito  a  soddisfare  alla  domanda,  sen- 
z'  altro  ritegno,  che  quello  che  le  facevano  i  singhiozzi. 

Renzo  intanto  trottava  verso  il  quartiere  del  buon  frate. 
Con  un  po'  di  studio,  e  non  senza  dover  rifare  qualche  pez- 
zetto di  strada,  gli  riuscì  finalmente  d'  arrivarci.  Trovò  la 
capanna;  lui  non  ce  lo  trovò;  ma,  ronzando  e  cercando  nel 
contorno,  lo  vide  in  una  baracca,  che,  piegato  a  terra,  e  quasi 
bocconi,  stava  confortando  un  moribondo.  Si  fermò  lì,  aspet- 
tando in  silenzio.  Poco  dopo,  lo  vide  chiuder  gli  occhi  a  quel 
poverino,  poi  mettersi  in  ginocchio,  far  orazione  un  momento, 
e  alzarsi.     Allora  si  mosse,  e  gli  andò  incontro. 


CAPITOLO  xxxvi  471 

«Oh!»  disse  il  frate,  vistolo  venire:  «ebbene ?« 

<La  e'  è:  1"  ho  trovata!" 

«•In  che  stato?;) 

«Guarita,  o  almeno  levata.» 

«Sia  ringraziato  il  Signore!» 

-Ma )    disse    Renzo,    quando    gli    fu    vicino   da  poter 

parlar  sottovoce:  «e'  è  un  altro  imbroglio.» 

«Cosa  e'  è?» 

«Voglio  dire  che  ....  Già  lei  lo  sa  come  è  buona  quella 
povera  giovine;  rna  alle  volte  è  un  po'  fissa  nelle  sue  idee. 
])opo  tante  promesse,  dopo  tutto  quello  che  sa  anche  lei,  ora 
dice  che  non  mi  può  sposare,  perchè  dice  che  so  io?  che, 
quella  notte  della  paura,  s'  è  scaldata  la  testa,  e  s'  è,  come 
a  dire,  votata  alla  Madonna.  Cose  senza  costrutto,  n'  è  vero? 
Cose  buone,  chi  ha  la  scienza  e  il  fondamento  da  farle,  ma 
per  noi  gente  ordinaria,  che  non  sappiamo  bene  come  si  de- 
von  fare ....  n'  è  vero  che  son  cose  che  non  valgono  ?» 

«Dimmi  :  è  molto  lontana  di  qui?» 

«Oh  no  :  pochi  passi  di  là  dalla  chiesa.» 

«Aspettami  qui  un  momento,»  disse  il  frate:  «e  poi  ci 
anderemo  insieme.) 

«Vuol  dire  che  lei  le  farà  intendere  ....  » 

«Non  so  nulla,  figliuolo;  bisogna  eh'  io  senta  lei.» 

«Capisco,»  disse  Renzo;  e  stette  con  gli  occhi  fissi  a  ter- 
ra, e  con  le  braccia  incrociate  sul  petto,  a  masticarsi  la  sua 
incertezza,  rimasta  intera.  Il  frate  andò  di  nuovo  in  cerca 
di  quel  padre  Vittore,  lo  pregò  di  supplire  ancora  per  lui, 
entrò  nella  sua  capanna,  n'  uscì  con  la  sporta  in  braccio, 
tornò  da  Renzo,  gli  disse:  «andiamo,»  e  andò  innanzi,  avvian- 
dosi a  quella  tal  capanna,  dove  qualche  tempo  prima,  erano 
entrati  insieme.  Questa  volta,  entrò  solo,  e  dopo  un  momen- 
to ricomparve,  e  disse:  «niente!  Preghiamo;  preghiamo.» 
Poi  riprese:  «ora  conducimi  tu.» 

E  senza  dir  altro,  s'  avviarono. 

Il  tempo  s'  era  andato  sempre  più  rabbuiando,  e  annun- 
ziava ormai  certa  e  poco  lontana  la  burrasca.  De'  lampi  fitti 
rompevano  l'oscurità  cresciuta,  e  lumeggiavano  d'un  chiarore 
istantaneo  i  lunghissimi  tetti  e  gli  archi  de'  portici,  la  cupola 
della  cappella,  i  bassi  comignoli  delle  capanne;  e  i  tuoni 
scoppiati  con  istrepito  repentino,  scorrevano  rumoreggiando 
dall'  una  all'  altra  regione  del  cielo.  Andava  innanzi  il  gio- 
vine, attento  alla  strada,  con  un  grand' impazienza  d'arri- 
vare, e  rallentando  però  il  passo,  per  misurarlo  alle  forze  del 
compagno;  il  quale,  stanco  dalle  fatiche,  aggravato  dal  male, 
oppresso  dall'  afa,  camminava  stentatamente,  alzando  ogni 
tanto  al  cielo  la  faccia  smunta,  come  per  cercare  un  respiro 
più  libero. 


472  I   PROMESSI    SPOSI. 

Renzo,  quando  vide  la  capanna,  si  fermò,  si  voltò  indietro, 
disse  con  voce  tremante:  «è  qui.» 

Entrano ((Eccoli!»  grida  la  donna  del  lettuccio.  Lu- 
cia si  volta,  s'  alza  precipitosamente,  va  incontro  al  vecchio, 
gridando:  «oh  chi  vedo!  0  padre  Cristoforo!» 

«Ebbene,  Lucia!  da  quante  angustie  v'ha  liberata  il  Si- 
gnore! Dovete  esser  ben  contenta  d'  aver  sempre  sperato  in 
Lui.» 

«Oh  sì!  Ma  lei,  padre?  Povera  me,  come  è  cambiato! 
Come  sta?  dica:  come  sta?» 

«Come  Dio  vuole,  e  come,  per  sua  grazia,  voglio  an- 
ch' io,»  rispose,  con  volto  sereno,  il  frate.  E,  tiratala  in  un 
canto,  soggiunse:  «sentite:  io  non  posso  rimaner  qui  che  po- 
chi momenti.  Siete  voi  disposta  a  confidarvi  in  me,  come 
altre  volte?» 

«Oh!  non  è  lei  sempre  il  mio  padre?» 
Figlinola,    dunque:    cos'  è   codesto    voto    che  m'  ha  detto 
Renzo  ?» 

«È  un  voto  che  ho  fatto  alla  Madonna....  oh!  in  una 
gran  tribolazione!  ....  di  non  maritarmi.» 

«Poverina  !  Ma  avete  pensato  allora,  eh'  eravate  legata 
da  una  promessa?» 

«Trattandosi  del  Signore  e  della  Madonna!  ....  non  ci 
ho  pensato.» 

«Il  Signore,  figliuola,  gradisce  i  sacrifizi,  1'  offerte,  quan- 
do le  facciamo  del  nostro.  È  il  cuore  che  vuole,  è  la  volon- 
tà: ma  voi  non  potevate  offrirgli  la  volontà  d'  un  altro  al 
quale  r  eravate  già  obbligata. 

«Ho  fatto  male?" 

«No,  poverina,  non  pensate  a  questo:  io  credo  anzi  che 
la  Vergine  santa  avrà  gradita  l' intenzione  del  vostro  cuore 
afflitto,  e  T  avrà  offerta  a  Dio  per  voi.  Ma  ditemi:  non  vi 
siete  mai  consigliata  con  nessuno  su  questa  cosa?» 

«Io  non  pensavo  che  fosse  male,  da  dovermene  confessa- 
re: e  quel  poco  bene  che  si  può  fare,  si  sa  che  non  bisogna 
raccontarlo.» 

«Non  avete  nessun  altro  motivo  che  vi  trattenga  dal  man- 
tener la  promessa  che  avete  fatta  a  Renzo?» 

«In  quanto  a  questo  ....  per  me ... .  che  motivo  ....  ? 
Non  potrei  proprio  dire....»  rispose  Lucia,  con  un'esita- 
zione che  indicava  tutt'  altro  che  un'  incertezza  del  pensiero  ; 
e  il  suo  viso  ancora  scolorito  dalla  malattia  fiorì  tutt'  a  un 
tratto  del  più  vivo  rossore. 

«Credete  voi,»  riprese  il  vecchio,  abbassando  gli  occhi, 
<  che  Dio  ha  dato  alla  sua  Chiesa  1'  autorità  di  rimettere  e 
di  ritenere,  secondo  che  torni  in  maggior  bene,  i  debiti  e  gli 
obblighi  che  gli  uomini  possono  aver  contratti  con  Lui?» 


CAPITOLO    XXXVI.  473 

«Sì,  che  lo  credo.» 

«Ora  sappiate  che  noi,  deputati  alla  cura  dell'  anime  in 
questo  luogo,  abbiamo,  per  tutti  quelli  che  ricorrono  a  noi, 
le  più  ampie  facoltà  della  Chiesa,  e  che  per  conseguenza,  io 
posso,  quando  voi  lo  chiediate,  sciogliervi  dall'  obbligo,  qua- 
lunque sia,  che  possiate  aver  contratto  a  cagion  di  codesto 
voto.» 

Ma  non  è  peccato  tornare  indietro,  pentirsi  d'  una  pro- 
messa fatta  alla  Madonna?  Io  allora  1'  ho  fatta  proprio  di 
cuore....»  disse  Lucia,  violentemente  agitata  dall'assalto 
d'  una  tale  inaspettata,  bisogna  pur  dire  speranza,  e  dall'  in- 
sorgere opposto  d'  un  terrore  fortificato  da  tutti  i  pensieri 
che,  da  tanto  tempo,  eran  la  principale  occupazione  dell'  ani- 
mo suo. 

«Peccato,  figliuola?^  disse  il  padre:  «peccato  il  ricorrere 
alla  Chiesa,  e  chiedere  al  suo  ministro  che  faccia  uso  del- 
l' autorità  che  ha  ricevuta  da  essa,  e  che  essa  ha  ricevuta  da 
Dio?  Io  ho  veduto  in  che  maniera  voi  due  siete  stati  con- 
dotti ad  unirvi;  e,  certo,  se  mai  m'  è  parso  che  due  fossero 
uniti  da  Dio,  voi  altri  eravate  quelli:  ora  non  vedo  perchè 
Dio  v'  abbia  a  voler  separati.  E  lo  benedico  che  m'  abbia 
dato,  indegno  come  sono,  il  potere  di  parlare  in  suo  nome,  e 
di  rendervi  la  vostra  parola.  E  se  voi  mi  chiedete  eh'  io  vi 
dichiari  sciolta  da  codesto  voto,  io  non  esiterò  a  farlo,  e  de- 
sidero anzi  che  me  lo  chiediate.» 

«Allora  .  .  .  .!  allora.  ...  !  lo  chiedo;»  disse  Lucia,  con  un 
volto  non  turbato  più  che  di  pudore. 

Il  frate  chiamò  con  un  cenno  il  giovine,  il  quale  se  ne 
stava  nel  cantuccio  il  più  lontano,  guardando  (giacché  non 
poteva  far  altro)  fisso  fisso  al  dialogo  in  cui  era  tanto  inte- 
ressato; e,  quando  quello  fu  lì,  disse,  a  voce  più  alta,  a  Lu- 
cia: «con  1'  autorità  che  ho  dalla  Chiesa,  vi  dichiaro  sciolta 
dal  voto  di  verginità,  annullando  ciò  che  ci  potè  essere  d' in- 
considerato, e  liberandovi  da  ogni  obbligazione  che  poteste 
averne  contratta.» 

Pensi  il  lettore  che  suono  facessero  all'  orecchio  di  Ren- 
zo tali  parole.  Ringraziò  vivamente  con  gli  occhi  colui 
che  le  aveva  proferite,  e  cercò  subito,  ma  invano,  quelli  di 
Lucia. 

«Tornate  con  sicurezza  e  con  pace,  ai  pensieri  d'  una 
volta,»  seguì  a  dirle  il  cappuccino:  «chiedete  di  nuovo  al 
Signore  le  grazie  che  Gli  chiedevate,  per  essere  una  moglie 
santa;  e  confidate  che  ve  le  concederà  più  abbondanti,  dopo 
tanti  guai.  E  tu,»  disse,  voltandosi  a  Renzo,  «ricordati, 
figliuolo,  che  se  la  Chiesa  ti  rende  questa  compagna,  non  lo 
fa  per  procurarti  una  consolazione  temporale  e  mondana,  la 
quale,  se  anche  potesse  essere  intera  e  senza  mistura  d'  alcun 


474  I   PROMESSI   SPOSI. 

dispiacere,  dovrebbe  finire  in  un  gran  dolore,  al  momento  di 
lasciarvi  ;  ma  lo  fa  per  avviarvi  tutt'  e  due  sulla  strada  della 
consolazione  che  non  avrà  fine.  Amatevi  come  compagni  di 
viaggio,  con  questo  pensiero  d'avere  a  lasciarvi,  e  con  la 
speranza  di  ritrovarvi  per  sempre.  Ringraziate  il  cielo  che 
v'  ha  condotti  a  questo  stato,  non  per  mezzo  dell'  allegrezze 
turbolente  e  passeggiere,  ma  co' travagli  e  tra  le  miserie,  per 
disporvi  a  un'  allegrezza  raccolta  e  tranquilla.  Se  Dio  vi  con- 
ceda figliuoli,  abbiate  in  mira  d'allevarli  per  Lui,  d'istillar 
loro  l'amore  di  Lui  e  di  tutti  gli  uomini:  e  allora  li  guide- 
rete bene  in  tutto  il  resto.  Lucia!  v'  ha  detto,»'  e  accennava 
Renzo,  echi  ha  visto  qui? 

«Oh  padre,  me  V  ha  detto!" 

Voi  pregherete  per  lui!  Non  ve  ne  stancate.  E  anche 
per  me  pregherete!  .  .  .  Figliuoli!  voglio  che  abbiate  un  ri- 
cordo del  povero  frate.»  E  qui  levò  dalla  sporta  una  scatola 
d'un  legno  ordinario, Nma  tornita  e  lustrata  con  una  certa 
finitezza  cappuccinesca;  e  proseguì:  "qui  dentro  c'è  il  resto 
di  quel  pane  ....  il  primo  che  ho  chiesto  per  carità;  quel 
pane,  di  cui  avete  sentito  parlare!  Lo  lascio  a  voi  altri: 
serbatelo:  fatelo  vedere  ai  vostri  figliuoli.  Verranno  in  un 
tristo  mondo,  e  in  tristi  tempi,  in  mezzo  a*  superbi  e  a'  pro- 
vocatori: dite  loro  che  perdonino  sempre,  sempre!  tutto,  tutto! 
e  che  preghino,  anche  loro,  per  il  povero  frate  ! 

E  porse  la  scatola  a  Lucia,  che  la  prese  con  rispetto,  co- 
me si  farebbe  d'  una  reliquia.  Poi  con  voce  più  tranquilla, 
riprese:  «ora  ditemi:  che  appoggi  avete  qui  in  Milano?  Dove 
pensate  d;  andare  a  alloggiare,  appena  uscita  di  qui?  E  chi 
vi  condurrà  da  vostra  madre,  che  Dio  voglia  aver  conservata 
in  salute?» 

('Questa  buona  signora  mi  fa  lei  intanto  da  madre:  noi 
due  usciremo  di  qui  insieme,  e  poi  essa  penserà  a  tutto. 

«Dio  la  benedica,»  disse  il  frate  accostandosi  al  lettuccio. 

«La  ringrazio  anch'io,»  disse  la  vedova,  «della  consola- 
zione che  ha  data  a  queste  povere  creature:  sebbene  io  avessi 
fatto  conto  di  tenerla  sempre  con  me,  questa  cara  Lucia.  Ma 
la  terrò  intanto;  l'accompagnerò  io  al  suo  paese,  la  conse- 
gnerò a  sua  madre;  e,»  soggiunse  poi  sotto  voce,  «voglio 
farle  io  il  corredo.  N'ho  troppa  della  roba;  e  di  quelli  che 
uovevan  goderla  con  me,  non  ho  più  nessuno!» 

«Così.-  rispose  il  frate,  «lei  può  fare  un  gran  sacrifizio 
al  Signore,  e  del  bene  al  prossimo.  Non  le  raccomando  que- 
sta giovine:  già  vedo  che  è  come  sua:  non  e'  è  che  da  lodare 
il  Signore,  il  quale  sa  mostrarsi  padre  anche  ne' flagelli,  e 
che,  col  farle  trovare  insieme,  ha  dato  un  così  chiaro  segno 
d'  amore  all'  una  e  all'  altra.  Orsù,»  riprese  poi,  voltandosi 
a  Renzo,  e  prendendolo  per  una  mano:  «noi  due  non  abbiam 


CAPITOLO    XXXVI.  475 

più  nulla  da  far  qui:  e  ci  siamo  stati  anche  troppo.  An- 
diamo.» 

«0  padre!»  disse  Lucia:  la  vedrò  ancora?  Io  sono 
guarita,  io  che  non  fo  nulla  di  bene  a  questo  mondo:  e 
lei .  . .  !» 

«È  già  molto  tempo,»  rispose  con  tono  serio  e  dolce  iì 
■vecchio,  «che  chiedo  al  Signore  una  grazia,  e  ben  grande:  di 
finire  i  miei  giorni  in  servizio  del  prossimo.  Se  me  la  vo- 
lesse ora  concedere,  ho  bisogno  che  tutti  quelli  che  hanno 
carità  per  me,  m'  aiutino  a  ringraziarlo.  Via;  date  a  Renzo 
le  vostre  commissioni  per  vostra  madre.» 

«Raccontatele  quel  che  avete  veduto.»  disse  Lucia  al  pro- 
messo sposo:  «che  ho  trovata  qui  un'  altra  madre,  che  verrò 
con  questa  più  presto  che  potrò,  e  che  spero,  spero  di  tro- 
varla sana.» 

«Se  avete  bisogno  di  danari.»  disse  Renzo,  «ho  qui  tutti 
quelli  che  m'  avete  mandati,  e  .  .  .  .» 

«No,  no,»  interruppe  la  vedova:  -ne  ho  io  anche 
troppi.» 

«Andiamo,»  replicò  il  frate. 

«A  rivederci.  Lucia  ...  !  e  anche  lei,  dunque,  quella  buo- 
na signora.»  disse  Renzo  non  trovando  parole  che  significas- 
sero quello  che  sentiva. 

«•Chi  sa  che  il  Signore  ci  faccia  la  grazia  di  rivederci 
ancora  tutti!-  esclamò  Lucia. 

«Sia  Egli  sempre  con  voi,  e  vi  benedica,»  disse  alle  due 
compagne  fra  Cristoforo;  e  uscì  con  Renzo  dalla  capanna. 

Mancava  poco  alla  sera,  e  il  tempo  pareva  sempre  più  vi- 
cino a  risolversi.  11  cappuccino  esibì  di  nuovo  al  giovine  di 
ricoverarlo  per  quella  notte  nella  sua  baracca.  «Compagnia, 
non  te  ne  potrò  fare,»  soggiunse:  «ma  avrai  da  stare  al  co- 
perto.» 

Renzo  però  si  sentiva  una  smania  d'  andare .  e  non  si  cu- 
rava di  rimaner  più  a  lungo  in  un  luogo  simile,  quando  non 
poteva  profittarne  per  veder  Lucia,  e  non  avrebbe  neppur  po- 
tuto starsene  un  po'  col  buon  frate  In  quanto  all'  ora  e  al 
tempo,  si  può  dire  che  notte  e  giorno,  sole  e  pioggia,  seffiro 
e  tramontano,  eran  tutt'  uno  per  lui  in  quel  momento.  Rin- 
graziò dunque  il  frate,  dicendo  che  voleva  andar  più  presto 
che  fosse  possibile  in  cerca  d"  Agnese. 

Quando  furono  nella  strada  di  mezzo,  il  frate  gli  strinse 
la  mano,  e  disse:  «se  la  trovi,  che  Dio  voglia!  quella  buona 
Agnese,  salutala  anche  in  mio  nome,  e  a  lei.  e  a  tutti  quelli 
che  rimangono,  e  si  ricordano  di  fra  Cristoforo,  di' che  pre- 
ghin  per  lui.     Dio  t'  accompagni,  e  ti  benedica   per  sempre.» 

«Oh  caro  padre  .  .  .!  ci  rivedremo?  ci  rivedremo?» 

«Lassù,  spero.»    E   con  queste   parole,  si  staccò  da  Reo- 


476  1    PROMESSI    SPOSI. 

zo,  il  quale,  stato  lì  a  guardarlo  fin  che  non  1'  ebbe  perso  di 
vista,  prese  in  fretta  verso  la  porta,  dando  a  destra  e  a  si- 
nistra V  ultime  occhiate  di  compassione  a  quel  luogo  di  do- 
lori. C  era  un  movimento  straordinario,  un  correr  di  monatti, 
un  trasportar  di  roba,  un  accomodar  le  tende  delle  baracche, 
uno  strascicarsi  di  convalescenti  a  queste  e  ai  portici,  per 
ripararsi  dalla  burrasca  imminente. 


CAPITOLO  XXXVII. 

Appena  infatti  ebbe  Renzo  passata  la  soglia  del  lazzeretto, 
e  preso  a  diritta,  per  ritrovar  la  viottola  di  dov'  era  sboccato 
la  mattina  sotto  le  mura,  principiò  come  una  grandine  di 
goccioloni  radi  e  impetuosi,  che,  battendo  e  risaltando  sulla 
strada  bianca  e  arida,  sollevavano  un  minuto  polverìo;  in  un 
momento,  diventaron  fitti;  e  prima  che  arrivasse  alla  viottola, 
la  veniva  giù  a  secchie.  Renzo,  invece  d' inquietarsene,  ci 
sguazzava  dentro,  se  la  godeva  in  quella  rinfrescata,  in  quel 
susurrìo,  in  quel  brulichìo  dell'  erbe  e  delle  foglie,  tremolanti, 
gocciolanti,  rinverdite,  lustre  ;  metteva  certi  respironi  larghi  e 
pieni  ;  e  in  quel  risolvimento  della  natura  sentiva  come  più 
liberamente  e  più  vivamente  quello  che  s'  era  fatto  nel  suo 
destino. 

Ma  quanto  più  schietto  e  intero  sarebbe  stato  questo  sen- 
timento, se  Renzo  avesse  potuto  indovinare  quel  che  si  vide 
pochi  giorni  dopo:  che  queir  acqua  portava  via  il  contagio; 
che,  dopo  quella,  il  lazzeretto,  se  non  era  per  restituire  ai 
viventi  tutti  i  viventi  che  conteneva,  almeno  non  n'  avrebbe 
più  ingoiati  altri;  che,  tra  una  settimana,  si  vedrebbero  ria- 
perti usci  e  botteghe,  non  si  parlerebbe  quasi  più  che  di  qua- 
rantina; e  della  peste  non  rimarrebbe  se  non  qualche  restic- 
ciolo  qua  e  là;  quello  strascico  che  un  tal  flagello  lasciava 
sempre  dietro  a  sé  per  qualche  tempo. 

Andava  adunque  il  nostro  viaggiatore  allegramente,  senza 
aver  disegnato  né  dove,  né  come,  né  quando,  né  se  avesse  da 
fermarsi  la  notte,  premuroso  soltanto  di  portarsi  avanti,  d'  ar- 
rivar presto  al  suo  paese,  di  trovar  con  chi  parlare,  a  chi 
raccontare,  soprattutto  di  poter  presto  rimettersi  in  cammino 
per  Pasturo,  in  cerca  d'Agnese.  Andava,  con  la  mente  tutta 
sottosopra  dalle  cose  di  quel  giorno;  ma  dì  sotto  le  miserie, 
gli  orrori,  i  pericoli,  veniva  sempre  a  galla  un  pensierino: 
l'ho  trovata;  è  guarita;  è  mia!  E  allora  faceva  uno  sgam- 
betto, e  con  ciò  dava  un'  annaffiata  all'  intorno,  come  un  can 
barbone  uscito  dall'acqua;  qualche  volta  si  contentava  d'una 


CAPITOLO    XXXVII.  4(  < 

fregatina  di  mani;  e  avanti,  con  più  ardore  di  prima.  Guar- 
dando per  la  strada,  raccattava,  per  dir  così,  i  pensieri,  che 
ci  aveva  lasciati  la  mattina  e  il  giorno  avanti,  nel  venire;  e 
con  più  piacere  quelli  appunto  che  allora  aveva  più  cercato 
di  scacciare,  i  dubbi,  le  difficoltà,  trovarla,  trovarla  viva,  tra 
tanti  morti  e  moribondi!  —  E  l'ho  trovata  viva!  —  conclu- 
deva. Si  rimetteva  col  pensiero  nelle  circostanze  più  terribili 
di  quella  giornata;  si  figurava  con  quel  martello  in  mano:  ci 
sarà  o  non  ci  sarà?  e  una  risposta  così  poco  allegra;  e  non 
aver  nemmeno  il  tempo  di  masticarla,  che  addosso  quella  fu- 
ria di  matti  birboni:  e  quel  lazzeretto,  e  quel  mare!  lì  ti  vole- 
vo a  trovarla!  E  averla  trovata!  Ritornava  su  quel  momento 
quando  fu  finita  di  passare  la  processione  de'  convalescenti: 
che  momento!  che  crepacuore  non  trovarcela!  e  ora  non  glie- 
ne importava  più  nulla.  E  quel  quartiere  delle  donne!  E  là 
dietro  a  quella  capanna,  quando  meno  se  Y  aspettava,  quella 
voce,  quella  voce  proprio!  E  vederla,  vederla  Levata!  Ma 
che?  e'  era  ancora  quel  nodo  del  voto,  e  più  stretto  che  mai. 
Sciolto  anche  questo.  E  queir  odio  contro  don  Rodrigo,  quel 
rodio  continuo  che  esacerbava  tutti  i  guai,  e  avvelenava  tutte 
le  consolazioni,  scomparso  anche  quello.  Talmentechè  non 
saprei  immaginare  una  contentezza  più  viva,  se  non  fosse  stata 
T  incertezza  intorno  ad  Agnese:  il  tristo  presentimento  in- 
torno al  padre  Cristoforo,  e  quel  trovarsi  ancora  in  mezzo  a 
una  peste. 

Arrivò  a  Sesto,  sulla  sera:  né  pareva  che  l'acqua  volesse 
cessare.  Ma,  sentendosi  più  in  gambe  che  mai,  e  con  tante 
difficoltà  di  trovar  dove  alloggiare,  e  così  inzuppato,  non  ci 
pensò  neppure.  La  sola  cosa  che  l'incomodasse,  era  un 
grand' appetito:  che  una  consolazione  come  quella  gli  avrebbe 
fatto  smaltire  altro  che  la  poca  minestra  del  cappuccino. 
Guardò  se  trovasse  anche  qui  una  bottega  da  fornaio:  ne  vide 
una:  ebbe  due  pani  con  le  molle,  e  con  quelì"  altre  cerimonie. 
Uno  in  tasca  e  1'  altro  alla  bocca,  e  avanti. 

Quando  passò  per  Monza,  era  notte  fatta;  nonostante,  gli 
riuscì  di  trovar  la  porta  che  metteva  sulla  strada  giusta.  Ma 
meno  questo,  che  per  dir  la  verità,  era  un  gran  merito,  po- 
tete immaginarvi  come  fosse  quella  strada,  e  come  andasse 
facendosi  di  momento  in  momento.  Affondata  (coni'  eran  tut- 
te: e  dobbiamo  averlo  detto  altrove)  tra  due  rive,  quasi  un 
letto  di  fiume,  si  sarebbe  a  quell'  ora  potuta  dire,  se  non  un 
fiume,  una  gora  davvero;  e  ogni  tanto  pozze,  da  volerci  del 
buono  e  del  bello  a  levarne  i  piedi,  non  che  le  scarpe.  Ma 
Renzo  n'  usciva  come  poteva,  senz'atti  d'impazienza,  senza 
parolacce,  senza  pentimenti;  pensando  che  ogni  passo,  per 
quando  costasse,  lo  conduceva  avanti,  e  che  l'acqua  ces- 
serebbe quando  a  Dio  piacesse,   e  che  a  suo  tempo,   spunte- 


478  I    PROMESSI    SPOSI. 

rebbe  il  giorno,  e  che  la  strada  che  faceva  intanto,  allora  sa- 
rebbe fatta. 

E  dirò  anche  che  non  ci  pensava  se  non  proprio  quando 
non  poteva  far  di  meno.  Eran  distrazioni  queste;  il  gran  la- 
voro della  sua  mente  era  di  riandare  la  storia  di  que'  tristi 
anni  passati:  tant"  imbrogli ,  tante  traversìe,  tanti  momenti  in 
cui  era  stato  per  perdere  anche  la  speranza,  e  fare  andata 
ogni  cosa:  e  di  contrapporci  1!  immaginazioni  d'un  avvenire 
così  diverso:  e  l'arrivar  di  Lucia,  e  le  nozze,  e  il  metter  su 
casa,  e  il  raccontarsi  le  vicende  passate,  e  tutta  la  vita. 

Come  la  facesse  quando  trovava  due  strade:  se  quella  po- 
ca pratica,  con  quel  poco  barlume,  fossero  quelli  che  1'  aiu- 
tassero a  trovar  sempre  la  buona,  o  se  V  indovinasse  sempre 
alla  ventura,  non  ve  lo  saprei  dire;  che  lui  medesimo,  il  quale 
soleva  raccontar  la  sua  storia  molto  per  minuto,  lunghetta- 
mente anzi  che  no  (e  tutto  conduce  a  credere  che  il  nostro 
anonimo  l'avesse  sentita  da  lui  più  d'una  volta),  lui  mede- 
simo a  questo  punto,  diceva  che,  di  quella  notte,  non  se  ne 
rammentava  che  come  se  1'  avesse  passata  in  letto  a  sognare. 
Il  fatto  sta  che,  sul  finir  di  essa,  si  trovò  alla  riva  del- 
l' Adda. 

>~on  era  mai  spiovuto:  ma,  a  un  certo  tempo,  da  diluvio 
era  diventata  pioggia,  e  poi  un'  acqueruggiola  fine  fine,  cheta 
cheta,  ugual  uguale:  i  nuvoli  alti  e  radi  stendevano  un  velo 
non  interrotto,  ma  leggiero  e  diafano,  e  il  lume  del  crepu- 
scolo fece  vedere  a  Renzo  il  paese  d'  intorno.  C  era  dentro 
il  suo;  e  quel  che  sentì,  a  quella  vista,  non  si  saprebbe  spie- 
gare. Altro  non  vi  so  dire,  se  non  che  que'  monti,  quel  Ite- 
segone  vicino,  il  territorio  di  Lecco,  era  diventato  tutto  come 
roba  sua.  Diede  un'  occhiata  anche  a  sé,  e  si  trovò  un  po' 
strano,  quale,  per  dir  la  verità,  da  quel  che  si  sentiva,  s'im- 
maginava già  di  dover  parere:  sciupata  e  attaccata  addosso 
ogni  cosa:  dalla  testa  alla  vita,  tutto  un  fradiciume,  una  gron- 
daia: dalla  vita  alla  punta  de'  piedi,  melletta  e  mota;  le  parti 
dove  non  ce  ne  fosse  si  sarebbero  potute  chiamare  esse  zac- 
chere e  schizzi.  E  se  si  fosse  visto  tutt' intero  in  uno  spec- 
chio, con  la  tesa  del  cappello  floscia  e  cascante,  e  i  capelli 
stesi  e  incollati  sul  viso,  si  sarebbe  fatto  ancor  più  specie. 
In  quanto  a  stanco,  lo  poteva  essere,  ma  non  ne  sapeva  nul- 
la: e  il  frescolino  dell'alba  aggiunto  a  quello  della  notte  e 
di  quel  poco  bagno,  non  gli  dava  altro  che  una  fierezza,  una 
voglia  di  camminar  più  presto. 

È  a  Pescate:  costeggia  queir  ultimo  tratto  dell'  Adda, 
dando  però  un'  occhiata  malinconica  a  Pescarenico;  passa  il 
ponte;  per  istrade  e  campi,  arriva  in  un  momento  alla  casa 
dell'  ospite  amico.  Questo,  che  s'  era  levato  allora,  e  stava 
sull*  uscio,  a  guardare  il  tempo,  alzò  gli  occhi  a  quella  figu- 


CAPITOLO  XXXVII.  479 

ra  così  inzuppata,  così  infangata,  diciam  pure  così  lercia,  e 
insieme  così  viva  e  disinvolta:  a'  suoi  giorni  non  aveva  visto 
un  uomo  peggio  conciato  e  più  contento. 

Ohe!»  disse:  «già  qui?  e  con  questo  tempo?  Com'è 
andata?" 

«La  e'  è,»  disse  Renzo:  -la  e'  è;  la  e'  è.» 

«Sana?» 

«Guarita,  che  è  meglio.  Devo  ringraziare  il  Signore  e  la 
Madonna  fin  che  campo.  Ma  cose  grandi,  cose  di  fuoco:  ti 
racconterò  poi  tutto.» 

Ma  come  sei  conciato!» 

«Son  bello  eh?» 

«A  dir  la  verità,  potresti  adoprare  il  da  tanto  in  su,  per 
levare  il  da  tanto  in  giù.  Ma,  aspetta,  aspetta;  che  ti  faccia 
un  buon  fuoco.» 

Non  dico  di  no.  Sai  dove  la  m'ha  preso?  proprio  alla 
porta  del  lazzeretto.  Ma  niente!  il  tempo  il  suo  mestiere,  e 
io  il  mio.» 

L'amico  andò  e  tornò  con  due  bracciate  di  stipa:  ne  mise 
una  in  terra,  P  altra  sul  focolare,  e,  con  un  po'  di  brace  ri- 
masta della  sera  avanti,  fece  presto  una  bella  fiammata.  Ren- 
zo intanto  s'  era  levato  il  cappello,  e,  dopo  averlo  scosso  due 
o  tre  volte,  1'  aveva  buttato  in  terra:  e,  non  così  facilmente, 
s'  era  tirato  via  anche  il  farsetto.  Levò  poi  dal  taschino  de' 
calzoni  il  coltello,  coi  fodero  tutto  fradicio,  che  pareva  stato 
in  molle;  lo  mise  su  un  panchetto,  e  disse:  (-anche  costui  è 
accomodato  a  dovere:  ma  l'è  acqua!  l'è  acqua!  sia  ringra- 
ziato il  Signore  ....  Sono  stato  lì  lì  .  .  .  .  !  Ti  dirò  poi.» 
E  si  fregava  le  mani.  "Ora  fammi  un  altro  piacere,»  sog- 
giunse: «quel  fagottino  che  ho  lasciato  su  in  camera,  va  a 
prendermelo,  che  prima  che  s' asciughi  questa  roba  che  ho 
addosso  .  .  .  .  !» 

Tornato  col  fagotto,  l'amico  disse:  «penso  che  avrai  an- 
che appetito:  capisco  che  da  bere,  per  la  strada,  non  te  ne 
sarà  mancato;  ma  da  mangiare  .  .  .  .» 

«Ho  trovato  da  comprar  due  pani,  ieri  sul  tardi;  ma  per 
dir  la  verità,  non  m'  hanno  toccato  un  dente.» 

«Lascia  fare,-)  disse  l'amico;  mise  l'acqua  in  un  paiolo, 
che  attaccò  poi  alla  catena;  e  soggiunse:  «vado  a  mungere: 
quando  tornerò  col  latte,  P  acqua  sarà  all'  ordine  ;  e  si  fa  una 
buona  polenta.     Tu  intanto  fa  il  tuo  comodo.» 

Renzo,  rimasto  solo,  si  levò  non  senza  fatica,  il  resto  de' 
panni,  che  gli  eran  come  appiccicati  addosso;  s'asciugò,  si 
rivestì  da  capo  a  piedi.  L'amico  tornò,  e  andò  al  suo  pa- 
iuolo:  Renzo  intanto  si  mise  a  sedere,  aspettando. 

«Ora  sento  che  sono  stanco,»  disse:  "ma  è  una  bella  ti- 
rata! Però  questo  è  nulla.    Xe  ho  da  raccontartene  per  tut- 


480  I    PROMESSI    SPOSI. 

ta  la  giornata.  Com'  è  conciato  Milano!  Le  cose  che  biso- 
gna vedere!  Le  cose  che  bisogna  toccare!  Cose  da  farsi  poi 
schifo  a  sé  medesimo.  Sto  per  dire  che  non  ci  voleva  meno 
di  quel  bucatino  che  ho  avuto.  E  quel  che  m'  hanno  voluto 
fare  que'  signori  di  laggiù  !  Sentirai.  Ma  se  tu  vedessi  il 
lazzeretto!  C'  è  da  perdersi  nelle  miserie.  Basta;  ti  raccon- 
terò tutto  ....  E  la  e'  è,  e  la  verrà  qui,  e  sarà  mia  moglie; 
e  tu  devi  far  da  testimonio,  e  peste  o  non  peste,  almeno  qual- 
che ora,  voglio  che  stiamo  allegri.» 

Del  resto  mantenne  ciò,  che  aveva  detto  all'  amico,  di  vo- 
ler raccontargliene  per  tutta  la  giornata;  tanto  più,  che  aven- 
do sempre  continuato  a  piovigginare,  questo  la  passò  tutta  in 
casa,  parte  seduto  accanto  all'  amico,  parte  in  faccende  intor- 
no a  un  suo  piccolo  tino,  e  a  una  botticina,  e  ad  altri  lavori, 
in  preparazione  della  vendemmia;  ne'  quali  Renzo  non  lasciò 
di  dargli  una  mano;  che,  come  soleva  dire,  era  di  quelli  che 
si  stancano  più  a  star  senza  far  nulla,  che  a  lavorare.  Non 
potè  però  tenersi  di  non  fare  una  scappatina  alla  casa  d' Agne- 
se, per  rivedere  una  certa  finestra,  e  per  dare  anche  lì  una 
fregatina  di  mani.  Tornò  senza  essere  stato  visto  da  nessu- 
no; e  andò  subito  a  letto.  S'alzò  prima  che  facesse  giorno; 
e,  vedendo  cessata  1'  acqua,  se  non  ritornato  il  sereno,  si  mise 
in  cammino  per  Pasturo. 

Era  ancor  presto  quando  ci  arrivò:  che  non  aveva  meno 
fretta  e  voglia  di  finire,  di  quel  che  possa  averne  il  lettore. 
Cercò  d'  Agnese;  sentì  che  stava  bene,  e  gli  fu  insegnata  una 
casuccia  isolata  dove  abitava.  Ci  andò;  la  chiamò  dalla  stra- 
da: a  una  tal  voce,  essa  s'  affacciò  di  corsa  alla  finestra;  e, 
mentre  stava  a  bocca  aperta  per  mandar  fuori  non  so  che  pa- 
rola, non  so  che  suono,  Renzo  la  prevenne  dicendo:  «Lucia 
è  guarita:  l'ho  veduta  ierlaltro;  vi  saluta;  verrà  presto.  E 
poi  ne  ho,  ne  ho  delle  cose  da  dirvi.» 

Tra  la  sorpresa  dell'  apparizione,  e  la  contentezza  della 
notizia,  e  la  smania  di  saperne  di  più,  Agnese  cominciava 
ora  un'esclamazione,  ora  una  domanda,  senza  finir  nulla;  poi, 
dimenticando  le  precauzioni  eh'  era  solita  a  prendere  da  mol- 
to tempo,  disse:  «vengo  ad  aprirvi.» 

«Aspettate:  e  la  peste?»  disse  Renzo:  «voi  non  l'avete 
avuta,  credo.» 

«Io  no:  e  voi?» 

«Io  sì  ;  ma  voi  dunque  dovete  aver  giudizio.  Vengo  da 
Milano;^,  sentirete,  sono  proprio  stato  nel  contagio  fino  agli 
occhi.  È  vero  che  mi  son  mutato  tutto  da  capo  a  piedi  ;  ma 
V  è  una  porcheria  che  s'  attacca  alle  volte  come  un  malefizio. 
E  giacché  il  Signore  v'  ha  preservata  finora,  voglio  che  stiate 
riguardata  fin  che  non  è  finito  quest'  influsso;  perchè  siete 
la    nostra    mamma:    e    voglio    che  campiamo  insieme  un  bel 


capitolo  xxxvrr.  43! 

pezzo  allegramente  a  conto  del  gran  patire  che  abbiamo  fatto, 
almeno  io.  » 

Ma  ....  »  cominciava  Agnese. 

«Eh!»  interruppe  Renzo:  non  c'è  ma  che  tenga.  So 
quel  che  volete  dire;  ma  sentirete,  sentirete,  che  de'  ma  non 
ce  n'  è  più.  Andiamo  in  qualche  luogo  all'  aperto,  dove  si 
possa  parlar  con  comodo,  senza  pericolo;  e  sentirete.) 

Agnese  gì'  indicò  un  orto  ch'era  dietro  alla  casa;  e  sog- 
giunse: «entrate  lì,  e  vedrete  che  e'  è  due  panche,  V  una  in 
faccia   all'altra,   che  paion  messe  apposta.     Io  vengo  subito.» 

Renzo  andò  a  mettersi  a  sedere  sur  una:  un  momento 
dopo,  Agnese  si  trovò  lì  sull'altra:  e  son  certo  che,  se  il  let- 
tore, informato  come  è  delle  cose  antecedenti,  avesse  potuto 
trovarsi  lì  in  terzo,  a  veder  con  gli  occhi  quella  conversazio- 
ne così  animata,  a  sentir  con  gli  orecchi  que' racconti,  quelle 
domande,  quelle  spiegazioni,  quel]'  esclamare,  quel  condolersi, 
quel  rallegrarsi,  e  don  Rodrigo,  e  il  padre  Cristoforo,  e  tutto 
il  resto,  e  quelle  descrizioni  dell'  avvenire  chiare  e  positive  co- 
me quelle  del  passato,  son  certo,  dico,  che  ci  avrebbe  preso 
gusto,  e  sarebbe  stato  1'  ultimo  a  venir  via.  Ma  d'  averla 
sulla  carta  tutta  quella  conversazione,  con  parole  mute,  fatte 
d' inchiostro,  e  senza  trovarci  un  solo  fatto  nuovo,  son  di  pa- 
rere che  non  se  ne  curi  molto ,  e  che  gli  piaccia  più  d' indo- 
vinarla da  sé.  La  conclusione  fu  che  s'  anderebbe  a  metter 
su  casa  tutti  insieme  in  quel  paese  del  bergamasco  dove  Ren- 
zo aveva  già  un  buon  avviamento:  in  quanto  al  tempo,  non 
si  poteva  decider  nulla,  perche  dipendeva  dalla  peste,  e  da 
altre  circostanze:  appena  cessato  il  pericolo,  Agnese  torne- 
rebbe a  casa,  ad  aspettarvi  Lucia,  o  Lucia  ve  l'aspetterebbe: 
intanto  Renzo  farebbe  spesso  qualche  altra  corsa  a  Pasturo,  a 
veder  la  sua  mamma,  e  a  tenerla  informata  di  quel  che  po- 
tesse accadere. 

Prima  di  partire,  offrì  anche  a  lei  danari,  dicendo:  «gli 
ho  qui  tutti,  vedete,  que' tali,  avevo  fatto  voto  anch'io  di 
non  toccarli,  fin  che  la  cosa  non  fosse  venuta  in  chiaro.  Ora, 
se  n'avete  bisogno,  portate  qui  una  scodella  d'acqua  e  ace- 
to; vi  butto  dentro  i  cinquanta  scudi  belli  e  lampanti. 

«No,  no,»  disse  Agnese:  «ne  ho  ancora  più  del  bisogno 
per  me:  i  vostri  serbateli,  che  saran  buoni  per  metter  su 
casa.» 

Renzo  tornò  al  paese  con  questa  consolazione  di  più  d'  aver 
trovata  sana  e  salva  una  persona  tanto  cara.  Stette  il  rima- 
nente di  quella  giornata,  e  la  notte,  in  casa  dell'amico:  il 
giorno  dopo,  in  viaggio  di  nuovo,  ma  da  un  altra  parte,  cioè 
verso  il  paese  adottivo. 

Trovò  Bortolo,  in  buona  salute  anche  lui,  e  in  minor  ti- 
more di  perderla;  che,  in  que' pochi  giorni,  le  cose,  anche  là 

Manzoni.  31 


482  I    PROMESSI    SPOSI. 

avevan  preso  rapidamente  una  bonissima  piega.  Pochi  eran 
quelli  che  s'  ammalavano;  e  il  male  non  era  più  quello;  non 
più  qu e' lividi  mortali,  uè  quella  violenza  di  sintomi;  ma 
febbricciatole,  intermittenti  la  maggior  parte,  con  al  più  qual- 
che piccol  bubbone  scolorito,  che  si  curava  come  un  fìgnol  > 
ordinario.  Già  1'  aspetto  del  paese  compariva  mutato;  i  ri- 
masti vivi  cominciavano  a  uscir  fuori,  a  contarsi  tra  loro,  a 
farsi  a  vicenda  condoglianze  e  congratulazioni.  Si  parlava  già 
di  ravviare  i  lavori;  i  padroni  pensavano  già  a  cercare  e  a 
caparrare  operai,  e  in  quell'arti  principalmente  dove  il  nu- 
mero n'  era  stato  scarso  anche  prima  del  contagio,  coni'  era 
quella  della  seta.  Renzo,  senza  fare  il  lezioso,  promise  (sal- 
ve però  le  debite  approvazioni)  al  cugino  di  rimettersi  al  la- 
voro, quando  verrebbe  accompagnato,  a  stabilirsi  in  paese. 
S'occupò  intanto  de'  preparativi  più  necessari:  trovò  una 
casa  più  grande:  cosa  divenuta  pur  troppo  facile  e  poco  co- 
stosa e  la  fornì  di  mobili  e  d'  attrezzi,  intaccando  questa  volta 
il  tesoro,  ma  senza  farci  un  gran  buco,  che  tutto  era  a  buon 
mercato ,  essendoci  molta  più  roba  che  gente  che  la  com- 
prassero. 

Dopo  non  so  quanti  giorni,  ritornò  al  paese  nativo,  che 
trovò  ancor  più  notabilmente  cambiato  in  bene.  Trottò  su- 
bito a  Pasturo;  trovò  Agnese  rincoraggita  affatto,  e  disposta 
a  ritornare  a  casa  quando  si  fosse;  di  maniera  che  ce  la  con- 
dusse lui:  né  diremo  quali  fossero  i  loro  sentimenti,  quali  le 
parole  al  rivedere  insieme  que'  luoghi. 

Agnese  trovò  ogni  cosa  come  1'  aveva  lasciata.  Sicché  non 
potè  far  a  meno  di  non  dire  che  questa  volta,  trattandosi 
d'una  povera  vedova  e  d'una  povera  fanciulla,  avevan  fatto 
la  guardia  gli  angioli.  «E  1'  altra  volta,  <>  soggiungeva,  «che 
si  sarebbe  creduto  che  il  Signore  guardasse  altrove,  e  non 
pensasse  a  noi,  giacché  lasciava  portar  via  il  povero  fatto 
nostro;  ecco  che  ha  fatto  vedere  il  contrario,  perchè  m'ha 
mandato  da  un'  altra  parte  di  bei  danari,  con  cui  ho  potuto 
rimettere  ogni  cosa.  Dico  ogni  cosa,  e  non  dico  bene;  per- 
chè il  corredo  di  Lucia  che  coloro  avevan  portato  via  beli'  e 
nuovo,  insieme  col  resto,  quello  mancava  ancora;  ma  ecco  che 
ora  ci  viene  da  un'  altra  parte.  Chi  nr  avesse  detto,  quando 
io  m'  arrapinavo  tanto  a  allestir  quell'  altro:  tu  credi  di  la- 
vorar per  Lucia:  eh  povera  donna!  lavori  per  chi  non  sai: 
sa  il  cielo,  questa  tela,  questi  panni  a  che  sorta  di  creature 
auderanno  indosso;  quelli  per  Lucia,  il  corredo  davvero  che 
ha  da  servire  per  lei,  ci  penserà  un'  anima  buona,  la  quale 
tu  non  sai  né  anche  che  la  sia  in  questo  mondo-» 

Il  primo  pensiero  d'  Agnese  fu  quello  di  preparare  nella 
sua  povera  casuccia   1'  alloggio  il  più  decente  che  potesse,  a 


capitolo  xxxvii.  483 

quell'anima  buona:  poi  andò  in  cerca  di  seta  da  annaspare, 
e  lavorando  ingannava  il  tempo. 

Renzo,  dal  canto  suo,  non  passò  in  ozio  qu e' giorni  già 
tanto  lunghi  per  sé:  sapeva  far  due  mestieri  per  buona  sorte; 
si  rimise  a  quello  del  contadino.  Parte  aiutava  il  suo  ospite, 
per  il  quale  era  una  gran  fortuna  1'  avere  in  tal  tempo  spes- 
so al  suo  comando  un'opera,  e  un'opera  di  quell'abilità; 
parte  coltivava,  anzi  dissodava  P  orticello  d'  Agnese,  trasan- 
dato affatto  nell'  assenza  di  lei.  In  quanto  al  suo  proprio 
podere,  non  se  n'occupava  punto,  dicendo  ch'era  una  par- 
rucca troppo  arruffata,  e  che  ci  voleva  altro  che  due  braccia 
a  ravviarla.  E  non  ci  metteva  neppure  i  piedi:  come  né  an- 
che in  casa:  che  gli  avrebbe  fatto  male  a  vedere  quella  deso- 
lazione; e  aveva  già  preso  il  partito  di  disfarsi  d'  ogni  cosa, 
a  qualunque  prezzo,  e  di  impiegar  nella  nuova  patria  quel 
tanto  che  ne  potrebbe  ricavare. 

Se  i  rimasti  vivi  erano,  1'  uno  per  1'  altro,  come  morti  ri- 
suscitati, Renzo,  per  quelli  del  suo  paese,  lo  era,  come  a  dire 
due  volte:  ognuno  gli  faceva  accoglienze  e  congratulazioni, 
ognuno  voleva  sentir  da  lui  la  sua  storia.  Direte  forse:  come 
andava  col  bando?  L'andava  benone:  lui  non  ci  pensava 
quasi  più,  supponendo  che  quelli  i  quali  avrebbero  potuto 
eseguirlo,  non  ci  pensassero  più  né  anche  loro:  e  non  s' in- 
gannava. E  questo  non  nasceva  solo  dalla  peste  che  aveva  fatto 
monte  di  tante  cose;  ma  era,  come  s'  è  potuto  vedere  anche 
in  vari  luoghi  di  questa  storia,  cosa  comune  a  que'  tempi, 
che  i  decreti,  tanto  generali  quanto  speciali,  contro  le  perso- 
ne, se  non  e'  era  qualche  animosità  privata  e  potente  che  li 
tenesse  vivi,  e  li  facesse  valere,  rimanevano  spesso  senza  ef- 
fetto, quando  non  1'  avessero  avuto  sul  primo  momento;  come 
palle  di  schioppo,  che,  se  non  fanno  colpo,  restano  in  terra, 
dove  non  danno  fastidio  a  nessuno.  Conseguenza  necessaria 
della  gran  facilità  con  cui  li  seminavano  que'  decreti.  L'  at- 
tività dell'uomo  è  limitata;  e  tutto  il  di  più  che  c'era  nel 
comandare,  doveva  tornare  in  tanto  meno  nell'  eseguire.  Quel 
che  va  nelle  maniche,  non  può  andar  ne' gheroni. 

Chi  volesse  anche  sapere  come  Renzo  se  la  passasse  con 
don  Abbondio,  in  quel  tempo  d'  aspetto,  dirò  che  stavano  alla 
larga  1'  uno  dall'  altro  :  don  Abbondio  per  timore  di  sentir 
intonar  qualcosa  di  matrimonio:  e  al  solo  pensarci,  si  vedeva 
davanti  agli  occhi  don  Rodrigo  da  una  parte,  co' suoi  bravi, 
il  cardinale  dall'  altra,  co'  suoi  argomenti:  Renzo,  perchè 
aveva  fissato  di  non  parlargliene  che  al  momento  di  conclu- 
dere, non  volendo  risicare  di  farlo  inalberar  prima  del  tem- 
po, eli  suscitar,  chi  sa  mai?  qualche  difficoltà,  e  d'imbrogliar 
le  cose  con  chiacchiere  inutili.  Le  sue  chiacchiere,  le  faceva 
con  Agnese,     « Credete    voi    che   verrà  presto?;)    domandava 


4SI  I   PROMESSI    SPOSI. 

l'uno.  «Io  sporo  di  sì,»  rispondeva  V  altro:  e  spesso  quello 
che  aveva  data  la  risposta,  faceva  poco  dopo  la  domanda  me- 
desima. E  con  queste  e  con  simili  furberie ,  s'  ingegnavano 
a  far  passare  il  tempo,  che  pareva  loro  più  lungo,  di  mano  in 
mano,  che  n'  era  più  passato. 

Al  lettore  noi  lo  faremo  passare  in  un  momento  tutto  quel 
tempo,  dicendo  in  compendio  che,  qualche  giorno  dopo  la  vi- 
sita di  Renzo  al  lazzeretto,  Lucia  n'uscì  con  la  buona  vedo- 
va; che,  essendo  stata  ordinata  una  quarantina  generale,  la 
fecero  insieme,  rinchiuse  nella  casa  di  quest'ultima;  che  una 
parte  del  tempo  fu  spesa  in  allestire  il  corredo  di  Lucia,  al 
quale,  dopo  aver  fatto  un  po'  di  cerimonie,  dovette  lavorare 
anche  lei;  e  che,  terminata  che  fu  la  quarantina,  la  vedova 
lasciò  in  consegna  il  fondaco  e  la  casa  a  quel  suo  fratello 
commissario;  e  si  fecero  i  preparativi  per  il  viaggio.  Potrem- 
mo anche  soggiunger  subito:  partirono,  arrivarono,  e  quel  che 
segue;  ma,  con  tutta  la  volontà  che  abbiamo  di  secondar  la 
fretta  del  lettore ,  ci  son  tre  cose  appartenenti  a  queir  inter- 
vallo di  tempo,  che  non  vorremmo  passar  sotto  silenzio;  e, 
per  due  almeno,  crediamo  che  il  lettore  stesso  dirà  che  avrem- 
mo fatto  male. 

La  prima,  che,  quando  Lucia  tornò  a  parlare  alla  vedova 
delle  sue  avventure,  più  in  particolare,  e  più  ordinatamente 
di  quel  che  avesse  potuto  in  queir  agitazione  della  prima  con- 
fidenza, e  fece  menzione  più  espressa  della  signora  che  V  aveva 
ricoverata  nel  monastero  di  Monza,  venne  a  sapere  di  costei 
cose  che,  dandole  la  chiave  di  molti  misteri,  le  riempiron 
T  anima  d'  una  dolorosa  e  paurosa  maraviglia.  Seppe  dalla 
vedova  che  la  sciagurata,  caduta  in  sospetto  d'atrocissimi 
fatti,  era  stata,  per  ordine  del  cardinale,  trasportata  in  un 
monastero  di  Milano  ;  che  lì ,  dopo  molto  infuriare  e  dibat- 
tersi, s"  era  ravveduta,  s'  era  accusata;  e  che  la  sua  vita  at- 
tuale era  supplizio  volontario  tale,  che  nessuno,  a  meno  di 
non  togliergliela,  ne  avrebbe  potuto  trovare  un  più  severo. 
Chi  volesse  conoscere  un  po'  più  in  particolare  questa  trista 
storia,  la  troverà  nel  libro  e  al  luogo  che  abbiamo  citato  al- 
trove, a  proposito  della  stessa  persona. J) 

L'  altra  cosa  è  che  Lucia,  domandando  del  padre  Cristo- 
foro a  tutti  i  cappuccini  che  potè  vedere  nel  lazzeretto,  sentì 
con  più  dolore  che  maraviglia,  eh'  era  morto  di  peste. 

Finalmente,  prima  di  partire,  avrebbe  anche  desiderato  di 
saper  qualcosa  de'  suoi  antichi  padroni,  e  di  fare,  come  di- 
ceva, un  atto  del  suo  dovere,  se  alcuno  ne  rimaneva.  La  ve- 
dova 1'  accompagnò  alla  casa,  dove  seppero  che  1'  uno  e  1'  al- 


1,  Ripam.  Hbt.  Pat.,  Dee.  V.  Lib.  VI,  Cap.  CI. 


CAPITOLO    XXXVII.  485 

tra  erano  andati  tra  que'  più.  Di  donna  Prassede,  quando 
si  dice  eh'  era  morta,  è  detto  tutto;  ma  intorno  a  don  Fer- 
rante, trattandosi  eh*  era  stato  dotto,  Y  anonimo  ha  creduto 
d'estendersi  un  po' più:  e  noi.  a  nostro  rischio,  trascrivere- 
mo a  un  di  presso  quello  che  ne  lasciò  scritto. 

Dice  adunque  che,  al  primo  parlar  che  si  fece  di  peste, 
don  Ferrante  fu  uno  de"  più  risoluti  a  negarla,  e  che  sosten- 
ne costantemente  fino  all'ultimo,  quell'opinione:  non  già  con 
ischiamazzi,  come  il  popolo;  ma  con  ragionamenti,  ai  quali 
nessuno  potrà  dire  almeno  che  mancasse  la  concatenazione. 

•In  rerum  natura,''  diceva,  e  non  ci  son  che  due  generi 
di  cose:  sostanze  e  accidenti:  e  se  io  provo  che  il  contagio 
non  può  esser  né  1'  uno  né  1'  altro,  avrò  provato  che  non  esi- 
ste, che  è  una  chimera.  E  son  qui.  Le  sostanze  sono,  o 
spirituali,  o  materiali.  Che  il  contagio  sia  sostanza  spirituale, 
è  uno  sproposito  che  nessuno  vorrebbe  sostenere;  sicché  è 
inutile  parlarne.  Le  sostanze  materiali  sono,  o  semplici,  o 
composte.  Ora,  sostanza  semplice  il  contagio  non  è:  e  si  di- 
mostra in  quattro  parole.  Non  è  sostanza  aerea;  perchè,  se 
fosse  tale,  in  vece  di  passar  da  un  corpo  ali"  altro,  volerebbe 
subito  alla  sua  sfera.  Xon  è  acquea;  perchè  bagnerebbe,  e 
verrebbe  asciugata  da' venti.  Non  è  ignea:  perchè  brucereb- 
be. Non  è  terrea:  perchè  sarebbe  visibile.  Sostanza  com- 
posta, neppure,  perchè  a  ogni  modo  dovrebbe  esser  sensibile 
all'occhio  o  al  tatto:  e  questo  contagio,  chi  l'ha  veduto? 
chi  1'  ha  toccato?  Rirnan  da  vedere  se  possa  essere  acciden- 
te. Peggio  che  peggio.  Ci  dicono  questi  signori  dottori  che 
si  comunica  da  un  corpo  all'  altro  :  che  questo  è  il  loro  achil- 
le, questo  il  pretesto  per  far  tante  prescrizioni  senza  costrutto. 
Ora  supponendolo  accidente,  verrebbe  a  essere  un  accidente 
trasportato:  due  parole  che  fanno  ai  calci,  non  essendoci 
in  tutta  la  filosofia,  cosa  più  chiara,  più  liquida  di  questa: 
che  un  accidente  non  può  passar  da  un  soggetto  all'  altro. 
Che  se,  per  evitar  questa  Scilla,  si  riducono  a  dire  che  sia 
accidente  prodotto,  danno  in  Cariddi:  perchè,  se  è  prodotto, 
non  si  comunica,  non  si  propaga,  come  vanno  blaterando. 
Posti  questi  princìpi,  cosa  serve  venirci  tanto  a  parlare  di 
vibici,  d'  esantemi,  d'  antraci  ....?» 

«Tutte  corbellerie,»  scappò  fuori  una  volta  un  tale. 

«No,  no,»  riprese  don  Ferrante:  «non  dico  questo:  la 
scienza  è  scienza;  solo  bisogna  saperla  adoprare.  Vibici, 
esantemi,  antraci,  parotidi,  bubboni  violacei,  furoncoli  nigri- 
canti,  son  tutte  parole  rispettabili,  che  hanno  il  loro  signifi- 
cato beli' e  buono;  ma  dico  che  non  han  che  fare  con  la  que- 
stione. Chi  nega  che  ci  possa  essere  di  queste  cose,  anzi 
che  ce  ne  sia?     Tutto  sta  a  veder  di  dove  vengano.» 


486  I    PROMESSI    SPOSI. 

Qui  cominciavano  i  guai  anche  per  don  Ferrante.  Fin  che 
non  faceva  che  dar  addosso  all'  opinion  del  contagio,  trova- 
va per  tutto  orecchi  attenti  e  ben  disposti:  perchè  non  si  può 
spiegare  quanto  sia  grande  1'  autorità  d'  un  dotto  di  profes- 
sione, allorché  vuol  dimostrare  agli  altri  le  cose  di  cui  sono 
già  persuasi.  Ma  quando  veniva  a  distinguere ,  e  a  voler  di- 
mostrare che  1'  errore  di  que'  medici  non  consisteva  già  nel- 
1'  affermare  che  ci  fosse  un  male  terribile  e  generale,  ma  nel- 
1'  assegnare  la  cagione;  allora  (parlo  de'  primi  tempi,  in  cui 
non  si  voleva  sentir  discorrer  di  peste),  allora,  in  vece  d'orec- 
chi, trovava  lingue  ribelli,  intrattabili;  allora,  di  predicare 
a  distesa  era  finita;  e  la  sua  dottrina  non  poteva  più  metter- 
la fuori,  che  a  pezzi  e  bocconi. 

«La  e'  è  pur  troppo  la  vera  cagione,»  diceva,  «e  son  co- 
stretti a  riconoscerla  anche  quelli  che  sostengono  poi  quel- 
1' altra  così  in  aria....  La  neghino  un  poco,  se  possono, 
quella  fatale  congiunzione  di  Saturno   con  Giove.     E  quando 

mai  s'  è  sentito  dire  che  V  influenze  si  propaghino ?  E  lor 

signori  mi  vorranno  negar  1'  influenze?  Mi  negheranno  che 
ci  sia  degli  altri?  0  mi  vorranno  dire  che  stian  lassù  a  far 
nulla,  come  tante  capocchie  di  spilli  ficcati  in  un  guanciali- 
no? ..  .  Ma  quel  che  non  mi  può  entrare,  è  di  questi  signori 
medici;  confessare  che  ci  troviamo  sotto  una  congiunzione 
così  maligna,  e  poi  venirci  a  dire,  con  faccia  tosta:  non  toc- 
cate qui,  non  toccate  là,  e  sarete  sicuri!  Come  se  questo 
schivare  il  contatto  materiale  de'  corpi  terreni,  potesse  im- 
pedir l'affetto  virtuale  de' corpi  celesti!  E  tanto  affannarsi  a 
bruciar  de' cenci!  Povera  gente!  brucerete  Giove?  brucerete 
Saturno?» 

His  frehis,  vale  a  dire  su  questi  bei  fundamenti,  non  prese 
nessuna  precauzione  contro  la  peste;  gli  s'attaccò;  andò  a 
letto,  a  morire,  come  un  eroe  di  Metastasio,  prendendosela 
con  le  stelle. 

E  quella  sua  famosa  libreria?  È  forse  ancora  dispersa  su 
per  i  muricciuoli. 


CAPITOLO  XXXVIII. 

Una  sera,  Agnese  sente  fermarsi  un  legno  all'  uscio.  —  È 
lei,  di  certo!  —  Era  proprio  lei,  con  la  buona  vedova.  L'ac- 
coglienze vicendevoli  se  le  immagini  il  lettore. 

La  mattina  seguente,  di  buon'  ora,  capita  Renzo  che  non 
sa  nulla,  e  vien  solamente  per  isfogarsi  un  po' con  Agnese 
su  quel  gran  tardare   di  Lucia.     Gli  atti  che  fece,  e  le  cose 


CAPITOLO    XXXVIII.  487 

che  disse,  al  trovarsela  davanti,  si  rimettono  anche  quelli  al- 
l' immaginazione  del  lettore.  Le  dimostrazioni  di  Lucia  in 
vece  furon  tali,  che  non  ci  vuol  molto  a  descriverle.  «Vi 
saluto:  come  state?»  disse,  a  occhi  bassi,  e  senza  scompor- 
si. E  non  crediate  che  Renzo  trovasse  quel  fare  troppo 
asciutto,  e  se  V  avesse  per  male.  Prese  benissimo  la  cosa 
per  il  suo  verso;  e,  come  tra  gente  educata,  si  sa  far  la  ta- 
ra ai  complimenti,  così  lui  intendeva  bene  che  quelle  parole 
non  esprimevan  tutto  ciò  che  passava  nel  cuore  di  Lucia. 
Del  resto,  era  facile  accorgersi  che  aveva  due  maniere  di  pro- 
nunziarle: una  per  Renzo,  e  un'  altra  per  tutta  la  gente  che 
potesse  conoscere. 

«Sto  bene  quando  vi  vedo,-  rispose  il  giovine,  con 
una  frase  vecchia,  ma  che  avrebbe  inventata  lui,  in  quel 
momento. 

«  Il  nostro  povero  padre  Cristoforo  ....!»  disse  Lucia  : 
«pregate  per  l'anima  sua:  benché  si  può  esser  quasi  sicuri 
che  a  quest'  ora  prega  lui  per  noi  lassù,  a 

«Me  l'aspettavo,  pur  troppo,»  disse  Renzo.  E  non  fu 
questa  la  sola  trista  corda  che  si  toccasse  in  quel  colloquio. 
Ma  che?  di  qualunque  cosa  si  parlasse,  il  colloquio  gli  riu- 
sciva sempre  delizioso.  Come  que'  cavalli  bisbetici  che  s' im- 
puntano, e  si  piantan  lì,  e  alzano  una  zampa  e  poi  un'  altra, 
e  le  ripiantano  al  medesimo  posto,  e  fanno  mille  cerimonie 
prima  di  fare  un  passo,  e  poi  tutto  a  un  tratto  prendon  V  an- 
dare, come  se  il  vento  li  portasse,  così  era  divenuto  il  tem- 
po per  lui:  prima  i  minuti  gli  parevan  ore;  poi  V  ore  gli  pa- 
revan  minuti. 

La  vedova,  non  solo  non  guastava  la  compagnia;  ma  ci 
faceva  dentro  molto  bene;  e  certamente,  Renzo,  quando  la 
vide  in  quel  lettuccio ,  non  se  la  sarebbe  potuta  immaginare 
d'  un  umore  così  socievole  e  gioviale.  Ma  il  lazzeretto  e  la 
campagna,  la  morte  e  le  nozze,  non  son  tutt'  uno.  Con 
Agnese  essa  aveva  già  fatto  amicizia;  con  Lucia  poi  era  un  pia- 
cere a  vederla,  tenera  e  scherzevole,  e  come  la  stuzzicava 
garbatamente,  e  senza  spinger  troppo,  appena  quanto  ci  vole- 
va per  obbligarla  a  dimostrar  tutta  1'  allegria  che  aveva  ia 
cuore. 

Renzo  disse  finalmente  che  andava  da  don  Abbondio  a 
prendere  i  concerti  per  lo  sposalizio.  Ci  andò,  e,  con  un 
certo  fare  tra  burlevole  e  rispettoso,  «signor  curato,»  gli 
disse:  «le  è  poi  passato  quel  dolor  di  capo,  per  cui  mi  dice- 
va di  non  poterci  maritare?  Ora  siamo  a  tempo;  la  sposa 
c'è;  e  son  qui  per  sentire  quando  le  sia  di  comodo:  ma 
questa  volta,  sarei  a  pregarla  di  far  presto.»  Don  Abbondio 
non  disse  di  no;  ma  cominciò  a  tentennare,  a  trovar  cert'  al- 
tre scuse,  a  far  cert'  altre  insinuazioni:    e  perchè  mettersi  in 


488  I    PROMESSI    SPOSI. 

piazza,  e  far  gridare  il  suo  nome:  con  quella  cattura  ad- 
dosso? e  che  la  cosa  potrebbe  farsi  ugualmente  altrove;  e 
questo  e  quest'  altro. 

«Ho  inteso,»  disse  Renzo:  «lei  ha  ancora  un  po' di  quel 
mal  di  capo.  Ma  senta,  senta. »  E  cominciò  a  descrivere  in 
che  stato  aveva  visto  quel  povero  don  Rodrigo;  e  che  già  a 
queir  ora  doveva  sicuramente  essere  andato.  «  Speriamo ,  » 
concluse,  «che  il  Signore  gli  avrà  usato  misericordia.» 

«Questo  non  ci  ha  che  lare,»  disse  don  Abbondio:  «v'ho 
forse  detto  di  no?  Io  non  dico  di  no;  parlo  ....  parlo  per 
delle  buone  ragioni.  Del  resto,  vedete,  fin  che  e*  è  fiato  .... 
Guardatemi  me:  sono  una  conca  fessa:  sono  stato,  anch*  io, 
più  di  là  che  di  qua:  e  son  qui;  e  ....  se  non  mi  vengono 
addosso  de'  guai  ....  basta  ....  posso  sperare  di  starci  ancora 
un  pochino.  Figuratevi  poi  certi  temperamenti.  Ma,  come 
dico,  questo  non  ci  ha  che  far  nulla.» 

Dopo  qualche  botta  e  risposta,  né  più  ne  meno  conclu- 
denti, Renzo  strisciò  una  bella  riverenza,  se  ne  tornò  alla  sua 
compagnia,  fece  la  sua  relazione  e  finì  con  dire:  «son  venu- 
to via,  che  n'  ero  pieno,  e  per  non  risicar  di  perdere  la  pa- 
zienza, e  di  levargli  il  rispetto.  In  certi  momenti,  pareva 
proprio  quello  dell'altra  volta:  proprio  quella  mutria,  quelle 
ragioni:  son  sicuro  che,  se  la  durava  ancora  un  poco,  mi  tor 
nava  in  campo  con  qualche  parola  in  latino.  Velo  che  vuol 
essere  un'altra  lungagnata:  è  meglio  fare  addirittura  come 
dice  lui,  andare  a  maritarsi  dove  andiamo  a  stare.» 

«Sapete  cosa  faremo?»  disse  la  vedova:  «voglio  che  an- 
diamo noi  altre  donne  a  fare  un'  altra  prova,  a  vedere  se 
ci  riesce  meglio.  Così  avrò  anch'  io  il  gusto  di  conoscerlo 
quest'uomo,  se  è  proprio  come  dite.  Dopo  desinare  voglio 
che  andiamo;  per  non  tornare  a  dargli  addosso  subito.  Ora, 
signore  sposo,  menateci  un  po' a  spasso  noi  altre  due,  intan- 
to che  Agnese  è  in  faccende:  che  a  Lucia  farò  io  da  mam- 
ma: e  ho  proprio  voglia  di  vedere  un  po'  meglio  queste  mon- 
tagne, questo  lago,  di  cui  ho  sentito  tanto  parlare;  e  il  poco 
che  n'ho  già  visto,  mi  pare  una  gran  bella  cosa.» 

Renzo  la  condusse  prima  di  tutto  alla  casa  del  suo  ospite, 
dove  fu  un"  altra  festa:  e  gli  fecero  promettere  che,  non  sol 
quel  giorno,  ma  tutti  i  giorni,  se  potesse,  verrebbe  a  desinare 
con  loro. 

Passeggiato,  desinato,  Renzo  se  n'andò,  senza  dir  dove. 
Le  donne  rimasero  un  pezzetto  a  discorrere,  a  concertarsi 
sulla  maniera  di  prender  don  Abbondio;  e  finalmente  anda- 
rono all'  assalto. 

—  Son  qui  loro  —  disse  questo  tra  sé;  ma  fece  faccia 
tosta:  gran  congratulazioni  a  Lucia,  saluti  ad  Agnese  ^com- 
plimenti alla  forestiera.    Le  fece  mettere  a  sedere,  e  p  i  en- 


CAPITOLO   XXXVIIJ.  489 

trò  subito  a  parlar  della  peste:  volle  sentir  da  Lucia  come 
P  aveva  passata  in  que'  guai  :  il  lazzeretto  diede  opportunità 
di  far  parlare  anche  quella  che  l'era  stata  compagna:  poi  co- 
ni' era  giusto,  don  Abbondio  parlò  anche  della  sua  burrasca; 
poi  de' gran  mirallegri  anche  a  Agnese,  che  l'aveva  passata 
liscia.  La  cosa  andava  in  lungo,  già  dal  primo  momento,  le 
due  anziane  stavano  alle  velette,  se  mai  venisse  1'  occasione 
d'  entrar  nel  discorso  essenziale:  finalmente  non  so  quale 
delle  due  ruppe  il  ghiaccio.  Ma  cosa  volete?  Don  Abbondio 
era  sordo  da  queir  orecchio.  Non  so  che  dicesse  di  no:  ma 
eccolo  di  nuovo  a  quel  suo  serpeggiare,  volteggiare  e  saltar 
di  palo  in  frasca.  «Bisognerebbe,')  diceva,  «poter  far  le- 
vare quella  catturacela.  Lei,  signora,  che  è  di  Milano,  co- 
noscerà più  e  meno  il  filo  delle  cose,  avrà  delle  buone  pro- 
tezioni, qualche  cavaliere  di  peso:  che  con  questi  mezzi  si 
sana  ogni  piaga.  Se  poi  si  volesse  andar  per  la  più  corta, 
senza  imbarcarsi  in  tante  storie:  giacché  codesti  giovani,  e 
qui  la  nostra  Agnese,  hanno  già  intenzione  di  spatriarsi  (e 
io  non  soprei  cosa  dire:  la  patria  è  dove  si  sta  bene),  mi 
pare  che  si  potrebbe  far  tutto  là,  dove  non  e'  è  cattura  che 
tenga.  Non  vedo  proprio  1'  ora  di  saperlo  concluso  questo 
parentado,  ma  lo  vorrei  concluso  bene,  tranquillamente.  Dico 
la  verità:  qui,  con  quella  cattura  viva,  spiattellar  dall'  altare 
quel  nome  di  Lorenzo  Tramaglino,  non  lo  farei  col  cuor  quie- 
to: gli  voglio  troppo  bene;  avrei  paura  di  fargli  un  cattivo 
servizio.     Veda  lei;  vedete  voi  altre.» 

Qui,  parte  Agnese,  parte  la  vedova,  a  ribatter  quelle  ra- 
gioni; don  Abbondio  rimetterle  in  campo,  sott' altra  forma; 
s'  era  sempre  da  capo;  quando  entra  Renzo,  con  un  passo 
risoluto,  e  con  una  notizia  in  viso,  e  dice:  «è  arrivato  il 
signor  marchese***.» 

■  C'osa  vuol  dir  questo?  arrivato  dove?»  domanda  don  Ab- 
bondio, alzandosi. 

«È  arrivato  nel  suo  palazzo,  ch'era  quel  di  don  Rodrigo; 
perchè  questo  signor  marchese  è  1'  erede  per  fidecommisso, 
come  dicono;  sicché  non  e'  è  più  dubbio.  Per  me,  ne  sarei 
contento,  se  potessi  sapere  che  quel  pover' uomo  fosse  morto 
bene.  A  buon  conto,  finora  ho  detto  per  lui  dei  paternostri, 
adesso  gli  dirò  de'  De  profundis.  E  questo  signor  marchese 
è  un  bravissim'  uomo.  » 

«Sicuro,»  disse  don  Abbondio:  «1'  ho  sentito  nominar 
più  d'  una  volta  per  un  bravo  signore  davvero ,  per  un  uomo 
della  stampa  antica.     Ma  che  sia  proprio  vero  ....?» 

«Al  sagrestano  gli  crede?» 

«Perchè?» 

«Perchè  lui  l'ha  veduto  co' suoi  occhi.  Io  sono  stato  so- 
lamente lì  ne'  contorni,  e,  per  dir  la  verità,  ci  sono  andato 


490  I    PROMESSI    SP03I. 

appunto  perchè  ho  pensato:  qualcosa  là  si  dovrebbe  sapere. 
E  più  d'  uno  m'  ha  detto  lo  stesso.  Ho  poi  incontrato  Am- 
brogio che  veniva  proprio  di  lassù,  e  che  l'ha  veduto,  come 
dico,  far  da  padrone.  Lo  vuol  sentire,  Ambrogio?  L'ho 
fatto  aspettar  qui  fuori  apposta.') 

('Sentiamo,»  disse  don  Abbondio.  Renzo  andò  a  chiamare 
il  sagrestano.  Questo  confermò  la  cosa  in  tutto  e  per  tutto, 
ci  aggiunse  altre  circostanze,  sciolse  tutti  i  dubbi;  e  poi  se 
n'  andò. 

«Ah!  è  morto  dunque!  è  proprio  andato!»  esclamò  don 
Abbondio.  «Vedete,  figliuoli,  se  la  Provvidenza  arriva  alla 
fine  certa  gente.  Sapete  che  1'  è  una  gran  cosa!  un  gran  re- 
spiro per  questo  povero  paese!  che  non  ci  si  poteva  vivere 
con  colui.  È  stata  un  gran  flagello  questa  peste;  ma  è  an- 
che stata  una  scopa;  ha  spazzato  via  certi  soggetti,  che,  fi- 
gliuoli miei,  non  ce  ne  liberavamo  più:  verdi,  freschi,  pro- 
sperosi: bisognava  dire  che  chi  era  destinato  a  far  loro  V  e- 
sequie,  era  ancora  in  seminario,  a  fare  i  latinucci.  E  in  un 
batter  d'  occhio,  sono  spariti,  a  cento  per  volta.  Non  lo  ve- 
dremo più  andare  in  giro  con  quegli  sgherri  dietro,  con  quel- 
1' albagìa,  con  quell'aria,  con  quel  palo  in  corpo,  con  quel 
guardar  la  gente ,  che  pareva  che  si  stesse  tutti  al  mondo 
per  sua  degnazione.  Intanto  lui  non  c'è  più,  e  noi  ci  sia- 
mo. Non  manderà  più  di  queir  imbasciate  ai  galantuomini. 
Ci  ha  dato  un  gran  fastidio  a  tutti,  vedete:  che  adesso  lo 
possiamo  dire.» 

«Io  gli  ho  perdonato  di  cuore,»  disse  Renzo. 

«E  fai  il  tuo  dovere,»  rispose  don  Abbondio:  «ma  si 
può  anche  ringraziare  il  cielo ,  che  ce  n'  abbia  liberati.  Ora, 
tornando  a  noi,  vi  ripeto:  fate  voi  altri  quel  che  credete.  Se 
volete  che  vi  mariti  io,  son  qui;  se  vi  torna  più  comodo  in 
altra  maniera,  fate  voi  altri.  In  quanto  alla  cattura,  vedo 
anch'  io  che,  non  essendoci  ora  più  nessuno  che  vi  tenga  di 
mira,  e  voglia  farvi  del  male,  non  è  cosa  da  prendersene 
gran  pensiero:  tanto  più,  che  c'è  stato  di  mezzo  quel  decre- 
to grazioso,  per  la  nascita  del  serenissimo  infante.  E  poi  la 
peste!  la  peste!  ha  dato  di  bianco  a  di  gran  cose  la. peste! 
Sicché,  se  volete  ....  oggi  è  giovedì  ....  domenica  vi  dico  in 
chiesa;  perchè  quel  che  s'è  fatto  l'altra  volta,  non  conta 
più  niente,  dopo  tanto  tempo;  e  poi  ho  la  consolazione  di 
maritarvi  io.  » 

«Lei  sa  bene  eh'  eravamo  venuti  appunto  per  questo?» 
disse  Renzo. 

«Benissimo;  e  io  vi  servirò:  e  voglio  darne  parte  subito 
a  sua  eminenza.» 

«Chi  è  sua  eminenza?»  domandò  Agnese. 


CAPITOLO    XXXVIII.  491 

«Sua  eminenza,»  rispose  don  Abbondio,  «è  il  nostro  car- 
dinale arcivescovo,  che  Dio  conservi.» 

«Oh!  in  quanto  a  questo  mi  scusi.»  replicò  Agnese:  «che, 
sebbene  io  sia  una  povera  ignorante,  le  posso  accertare  che 
non  gli  si  dice  così;  perchè,  quando  siamo  state  la  seconda 
volta  per  parlargli,  come  parlo  a  lei,  uno  di  que'  signori  preti 
mi  tirò  da  parte,  e  m'insegnò  come  si  doveva  trattare  con 
quel  signore,  e  che  gli  si  doveva  dire  vossignoria  illustrissi- 
ma, e  monsignore.» 

«E  ora,  se  vi  dovesse  tornare  a  insegnare,  vi  direbbe  che 
gli  va  dato  dell'eminenza:  avete  inteso?  Perchè  il  papa,  che 
Dio  lo  conservi  anche  lui,  ha  prescritto,  fin  dal  mese  di  giu- 
gno ,  che  ai  cardinali  si  dia  questo  titolo.  E  sapete  perchè 
sarà  venuto  a  questa  risoluzione?  Perchè  1'  illustrissimo, 
eh'  era  riservato  a  loro  e  a  certi  principi,  ora,  vedete  anche 
voi  altri,  eoa'  è  diventato,  a  quanti  si  dà:  e  come  se  lo  suc- 
ciano volentieri!  E  cosa  doveva  fare  il  papa?  Levarlo  a 
tutti?  Lamenti,  ricorsi,  dispiaceri,  guai;  e  per  di  più,  con- 
tinuar come  prima.  Dunque  ha  trovato  un  bollissimo  ripiego. 
A  poco  a  poco  poi,  si  comincerà  a  dar  dell'  eminenza  ai  ve- 
scovi: poi  lo  vorranno  gli  abati,  poi  i  proposti:  perchè  gli  uo- 
mini son  fatti  così:  sempre  voglion  salire,  sempre  salire:  poi 
i  canonici  . . . .» 

«Poi  i  curati,»  disse  la  vedova. 

«No,  no,»  riprese  don  Abbondio:  «i  curati  a  tirar  la 
carretta:  non  abbiate  paura  che  gli  avvezzili  male,  i  curati: 
del  reverendo  fino  alla  fin  del  mondo.  Piuttosto,  non  mi  ma- 
raviglierei  punto  che  i  cavalieri,  i  quali  sono  avvezzi  a  sentirsi 
dar  dell'illustrissimo,  a  esser  trattati  come  i  cardinali,  un 
giorno  volessero  dell'  eminenza  anche  loro.  E  se  la  vogliono, 
vedete,  troveranno  chi  gliene  darà.  E  allora,  il  papa  che  ci 
sarà  allora,  troverà  qualche  altra  cosa  per  i  cardinali.  Orsù, 
ritorniamo  alle  nostre  cose:  domenica  vi  dirò  in  chiesa;  e  in- 
tanto, sapete  cos'ho  pensato  per  servirvi  meglio?  Intanto 
chiederemo  la  dispensa  per  1'  altre  due  denunzie.  Hanno  a 
avere  un  bel  da  fare  laggiù  in  curia,  a  dar  dispense,  se  la 
va  per  tutto  come  qui.  Per  domenica  ne  ho  già ....  uno  .... 
due  ...  .tre;  senza  contarvi  voi  altri:  e  ne  può  capitare  an- 
cora. E  poi  vedrete,  andando  avanti,  che  affare  vuol  essere: 
non  ne  deve  rimanere  uno  scompagnato.  Ha  proprio^  fatto 
uno  sproposito  Perpetua  a  morire  ora;  che  questo  era  il  mo- 
mento che  trovava  l'avventore  anche  lei.  E  a  Milano,  si- 
gnora, mi  figuro  che  sarà  lo  stesso.» 

«Eccome!  si  figuri  che,  solamente  nella  mia  cura,  dome- 
nica passata,  cinquanta  denunzie.» 

«Se  lo  dico;  il  mondo  non  vuol  finire.  E  lei,  signora, 
non  hanno  principiato  a  ronzarle  intorno  de'  mosconi?» 


492  I   PEOMESSI    SPOSI. 

«No,  no;  io  non  ci  penso,  né  ci  voglio  pensare.» 

«Sì,  sì,  che  vorrà  esser  lei  sola.  Anche  Agnese,  veda;, 
anche  Agnese  .  .  .  .» 

«Uh!  ha  voglia  di  scherzare,  lei,»  disse  questa. 

«Sicuro  che  ho  voglia  di  scherzare:  e  mi  pare  che  sia 
ora  finalmente.  Ne  abbiam  passate  delle  brutte,  n'  è  vero ,  i 
miei  giovani?  delle  brutte  n' abbiam  passate:  questi  quattro 
giorni  che  dobbiamo  stare  in  questo  mondo,  si  può  sperare 
che  vogliano  essere  un  po'  meglio.  Ma!  fortunati  voi  altri 
che,  non  succedendo  disgrazie,  avete  ancora  un  pezzo  da 
parlare  de' guai  passati:  io  invece,  sono  alle  ventitré  e  tre 
quarti,  e....i  birboni  posson  morire;  della  peste  si  può  gua- 
rire: ma  agli  anni  non  c'è  rimedio:  e,  come  dice,  senectus 
ipsa  est  morbus.» 

«Ora,»  disse  Renzo,  «  parli  pur  latino  quanto  vuole;  che 
non  me  n'  importa  nulla.» 

«Tu  l'hai  ancora  col  latino,  tu:  bene  bene,  t'accomoderò 
io:  quando  mi  verrai  davanti,  con  questa  creatura,  per  sen- 
tirvi dire  appunto  certe  paroline  in  latino,  ti  dirò:  latino  tu 
non  ne  vuoi:  vattene  in  pace.     Ti  piacerà?» 

«Eh!  so  io  quel  che  dico,»  riprese  Renzo:  «non  è  quel 
latino  lì  che  mi  fa  paura:  quello  è  un  latino  sincero,  sacro- 
santo, come  quel  della  messa:  anche  loro,  lì  bisogna  che 
leggano  quel  che  e'  è  sul  libro.  Parlo  di  quel  latino  birbone, 
fuor  di  chiesa,  che  viene  addosso  a  tradimento,  nel  buono 
d'  un  discorso.  Per  esempio,  ora  che  siam  qui,  che  tutto  è 
finito;  quel  latino  che  andava  cavando  fuori,  lì  proprio,  in 
quel  canto,  per  darmi  ad  intendere,  che  non  poteva,  e  che 
ci  voleva  dell'  altre  cose,  e  che  so  io?  me  lo  volti  un  po'  in 
volgare  ora.» 

«Sta  zitto,  buffone,  sta  zitto:  non  rimestar  queste  cose; 
che,  se  dovessimo  ora  fare  i  conti,  non  so  chi  avanzerebbe. 
Io  ho  perdonato  tutto:  non  ne  parliam  più;  ma  me  n'avete 
fatti  de'  tiri.  Di  te  non  mi  fa  specie,  che  sei  un  malandri- 
naccio:  ma  dico  quest'acqua  cheta,  questa  santerella,  que- 
sta madonnina  infilzata,  che  si  sarebbe  creduto  far  peccato  a 
guardarsene.  Ma  già,  lo  so  io  chi  1'  aveva  ammaestrata,  lo 
so  io,  lo  so  io.»  Così  dicendo,  accennava  Agnese  col  dito, 
che  prima  aveva  tenuto  rivolto  a  Lucia:  e  non  si  potrebbe 
spiegare  con  che  bonarietà,  con  che  piacevolezza  facesse 
que'  rimproveri.  Quella  notizia  gli  aveva  dato  una  disinvol- 
tura, una  parlantina  insolita  da  gran  tempo;  e  saremmo  an- 
cor ben  lontani  dalla  fine,  se  volessimo  riferir  tutto  il  rima- 
nente di  que'  discorsi,  che  lui  tirò  in  lungo,  ritenendo  più 
d'una  volta  la  compagnia  che  voleva  andarsene,  e  ferman- 
dola poi  ancora  un  pochino  sulT  uscio  di  strada,  sempre  a 
parlar  di  bubbole. 


CAPITOLO    XXXVIII.  493 

fi  giorno  seguente,  gli  capitò  una  visita,  quanto  meno 
aspettata  tanto  più  gradita:  il  signor  marchese  del  quale  s'era 
parlato  :  un  uomo  tra  la  virilità  e  la  vecchiezza,  il  cui  aspetto 
era  come  un  attestato  dì  ciò  che  la  fama  diceva  di  lui:  aper- 
to, cortese,  placido,  umile,  dignitoso,  e  qualcosa  che  indica- 
va una  mestizia  rassegnata. 

«Vengo,»  disse,  «portarle  i  saluti  del  cardinale  arci- 
vescovo.) 

«Oh  che  degnazione  di  tutt' e  due!» 

«Quando  fui  a  prender  congedo  da  quest'  uomo  incompa- 
rabile, che  m'  onora  della  sua  amicizia,  mi  parlò  di  due  gio- 
vani di  codesta  cura,  eh'  eran  promessi  sposi,  e  che  hanno 
avuto  dei  guai,  per  causa  di  quel  povero  don  Rodrigo.  Mon- 
signore desidera  averne  notizia.  Son  vivi?  E  le  loro  cose 
sono  accomodate?» 

«Accomodato  ogni  cosa.    Anzi,  io  m'era  proposto  di  scri- 
verne a  sua  eminenza;  ma  ora  che  ho  1'  onore  .  .  .  .» 
Si  trovan  qui?» 

Qui;  e,  più  presto  che  si  potrà,  saranno  marito  e  mo- 
glie. » 

E  io  la  prego  di  volermi  dire  se  si  possa  far  loro  del 
bene,  e  anche  d'insegnarmi  la  maniera  più  conveniente.  In 
questa  calamità,  ho  perduto  i  due  soli  figli  che  avevo,  e  la 
madre  loro,  e  ho  avute  tre  eredità  considerabili.  Del  super- 
fluo, n'avevo  anche  prima:  sicché  lei  vede  che  il  darmi  una 
occasione  d'  impiegarne,  e  tanto  più  una  come  questa,  è  far- 
mi veramente  un  servizio.» 

«Il  cielo  la  benedica!  Perchè  non  sono  tutti  come  lei 
i....?  Basta;  la  ringrazio  anch'io  di  cuore  per  questi  miei 
figliuoli.  E  giacché  vossignoria  illustrissima  mi  dà  tanto  co- 
raggio, sì  signore,  che  ho  un  espediente  da  suggerirle,  il 
quale  forse  non  le  dispiacerà.  Sappia  dunque  che  questa 
buona  gente  son  risoluti  d'  andare  a  metter  su  casa  altrove, 
e  di  vender  quel  poco  che  hanno  al  sole  qui:  una  vignetta  il 
giovine,  di  nove  o  dieci  pertiche,  salvo  il  vero,  ma  trasan- 
data affatto:  bisogna  far  conto  del  terreno,  rrient'  altro;  di 
più  una  casuccia  lui,  e  un'  altra  la  sposa:  due  topaie,  veda. 
Un  signore  come  vossignoria  non  può  sapere  come  la  vada 
per  i  poveri,  quando  voglion  disfarsi  del  loro.  Finisce  sem- 
pre a  andare  in  bocca  di  qualche  furbo,  che  forse  sarà  già 
un  pezzo  che  fa  all'  amore  a  quelle  quattro  braccia  di  terra, 
e  quando  sa  che  l'altro  ha  bisogno  di  vendere,  si  ritira,  fa 
lo  svogliato;  bisogna  corrergli  dietro,  e  dargliele  per  un  pez- 
zo di  pane:  specialmente  poi  in  circostanze  come  queste.  Il 
signor  marchese  ha  già  veduto  dove  vada  a  parare  il  mio  di- 
scorso. La  carità  più  fiorita  che  vossignoria  illustrissima 
possa  fare  a  questa  gente,  è   di  cavarli  da    quest'impiccio, 


494  I    PROMESSI    SPOSI. 

comprando  quel  poco  fatto  loro.  Io ,  per  dire  la  verità,  do 
un  parere  interessato,  perchè  verrei  ad  acquistare  nella  mia 
cura  un  compadrone  come  il  signor  marchese;  ma  vossi- 
gnoria deciderà  secondo  che  le  parrà  meglio:  io  ho  parlato 
per  ubbidienza.» 

Il  marchese  lodò  molto  il  suggerimento;  ringraziò  don  Ab- 
bondio, e  lo  pregò  di  voler  esser  arbitro  del  prezzo,  e  di 
fissarlo  alto  bene;  e  lo  fece  poi  restar  di  sasso,  col  propor- 
gli che  s'  andasse  subito  insieme  a  casa  della  sposa,  dove  sa- 
rebbe probabilmente  anche  lo  sposo. 

Per  la  strada,  don  Abbondio,  tutto  gongolante,  come  vi 
potete  immaginare,  ne  pensò  e  ne  disse  un'  altra.  «Giacché 
vossignoria  illustrissima  è  tanto  inclinato  a  far  del  bene  a 
questa  gente,  ci  sarebbe  un  altro  servizio  da  render  loro.  Il 
giovine  ha  addosso  una  cattura,  una  specie  di  bando,  per 
qualche  scappatuccia  che  ha  fatta  in  Milano,  due  anni  sono, 
quel  giorno  del  gran  fracasso,  dove  s'  è  trovato  impicciato, 
senza  malizia,  da  ignorante,  come  un  topo  nella  trappola: 
nulla  di  serio,  veda;  razzagate,  scappataggini:  di  far  del  male 
veramente,  non  è  capace:  e  io  posso  dirlo,  che  1'  ho  battez- 
zato, l'ho  veduto  venir  su:  e  poi,  se  vossignoria  vuol  pren- 
dersi il  divertimento  di  sentir  questa  povera  gente  ragionar 
su  alla  carlona,  potrà  fargli  raccontar  la  storia  a  lui,  e  sen- 
tirà. Ora,  trattandosi  di  cose  vecchie,  nessuno  gli  dà  fasti- 
dio; e,  come  ho  detto,  lui  pensa  d'andarsene  fuor  di  stato; 
ma,  col  tempo,  o  tornando  qui,  o  altro,  non  si  sa  mai,  lei 
m'  insegna  che  è  sempre  meglio  non  esser  su  que'  libri.  Il 
signor  marchese,  in  Milano,  conta,  come  è  giusto,  e  per  quel 

gran  cavaliere,  e  per  quel  grand'  uomo  che  è No,  no,  mi 

lasci  dire;  che  la  verità  vuole  avere  il  suo  luogo.  Una  rac- 
comandazione, una  parolina  d'  un  par  suo;  è  più  del  bisogno 
per  ottenere  una  buona  assolutoria.» 

e  Non  e'  è  impegni  forti  contro  codesto  giovine?» 

«No,  no:  non  crederei.  Gli  hanno  fatto  fuoco  addosso 
nel  primo  momento;  ma  ora  credo  che  non  ci  sia  più  altro 
che  la  semplice  formalità.» 

«Essendo  così  la  cosa,  sarà  facile;  e  la  prendo  volentieri 
sopra  di  me.» 

«E  poi  non  vorrà  che  si  dica  che  è  un  grand'  uomo.  Lo 
dico,  e  lo  voglio  dire;  a  suo  dispetto,  lo  voglio  dire.  E  an- 
che se  io  stessi  zitto,  già  non  servirebbe  a  nulla,  perchè  par- 
lan  tutti;  e  vox  jpopuli,  vox  Dei.» 

Trovarono  appunto  le  tre  donne  e  Renzo.  Come  questi 
rimanessero,  lo  lascio  considerare  a  voi;  io  credo  che  anche 
quelle  nude  e  ruvide  pareti,  e  V  impannate,  e  i  panchetti,  e 
le  stoviglie  si  maravigliassero  di  ricever  tra  loro  una  visita 
così  straordinaria.     Avviò  lui  la  conversazione,  parlando  del 


CAPITOLO    XXXVIII.  495 

cardinale  e  dell'altre  cose,  con  aperta  cordialità,  e  insieme 
con  delicati  riguardi.  Passò  poi  a  far  la  proposta  per  cu- 
ora venuto.  Don  Abbondio,  pregato  da  lui  di  rissare  il  prezi 
zo ,  si  fece  avanti;  e  dopo  un  po'  di  cerimonie  e  di  scuse,  e 
che  non  era  sua  farina,  e  che  non  potrebbe  altro  che  andare 
a  tastoni,  e  che  parlava  per  ubbidienza,  e  che  si  rimetteva, 
proferì,  a  parer  suo,  uno  sproposito.  Il  compratore  disse 
che,  per  la  parte  sua  era  contentissimo,  e,  come  se  avesse 
franteso,  ripetè  il  doppio:  non  volle  sentir  rettificazioni,  e 
troncò  e  concluse  ogni  discorso  invitando  la  compagnia  a  de- 
sinare per  il  giorno  dopo  le  nozze,  al  suo  palazzo,  dove  si 
farebbe  V  istru mento  in  regole. 

—  Ah!  —  diceva  poi  tra  sé  don  Abbondio,  tornato  a  ca- 
sa: —  se  la  peste  facesse  sempre  e  per  tutto  le  cose  in  que- 
sta maniera,  sarebbe  proprio  peccato  il  dirne  male:  quasi 
quasi  ce  ne  vorrebbe  una  ogni  generazione:  e  si  potrebbe 
stare  a  patti  d'  averla:  ma  guarire,  ve'.  — 

Venne  la  dispensa,  venne  l'assolutoria,  venne  quel  bene- 
detto giorno:  i  due  promessi  andarono,  con  sicurezza  trion- 
fale, proprio  a  quella  chiesa,  dove,  proprio  per  bocca  di  don 
Abbondio,  furono  sposi.  Un  altro  trionfo,  e  ben  più  singo- 
lare, fu  P  andare  a  quel  palazzotto  :  e  vi  lascio  pensare  che 
cose  dovessero  passar  loro  per  la  mente  in  far  quella  salita, 
all'  entrar  in  quella  porta!  e  che  discorso  dovessero  fare,  ognu- 
no secondo  il  suo  naturale.  Accennerò  soltanto  che  in  mezzo 
all'  allegria,  ora  1'  uno  ora  P  altro  motivò  più  d"  una  volta, 
che  per  compir  la  festa,  ci  mancava  il  povero  padre  Cristo- 
foro! «Ma  per  lui,»  dicevan  poi,  «sta  meglio  di  noi  sicura- 
mente.)) 

Il  marchese  fece  loro  una  gran  festa,  li  condusse  in  un 
bel  tinello,  mise  a  tavola  gli  sposi,  con  Agnese  e  con  la  mer- 
cantessa, e  prima  di  ritirarsi  a  pranzare  altrove  con  don  Ab- 
bondio, volle  star  lì  un  poco  a  far  compagnia  agl'invitati,  e 
aiutò  anzi  a  servirli.  A  nessuno  verrà,  spero,  in  testa  di 
dire  che  sarebbe  stata  cosa  più  semplice  fare  addirittura  una 
tavola  sola.  Ve  1'  ho  dato  per  un  brav'  uomo,  ma  non  per 
un  originale,  come  si  direbbe  ora;  v'  ho  detto  eh'  era  umile, 
non  già  che  fosse  un  portento  d'  umiltà.  N'  aveva  quanta 
ne  bisognava  per  mettersi  al  di  sotto  di  quella  buona  gente, 
ma  non  per  istar  loro  in  pari. 

Dopo  i  due  pranzi,  fu  steso  il  contratto  per  mano  d'un 
dottore,  il  quale  non  fu  1' Azzecca-garbugli.  Questo,  voglio 
dire,  la  sua  spoglia,  era  ed  è  tuttavia  a  Canterelli.  E  per 
chi  non  è  di  quelle  parti,  capisco  anch'io  che  qui  ci  vuoie 
una  spiegazione. 

Sopra  Lecco  forse  un  mezzo  miglio,  e  quasi  sul  fianco 
dell'  altro  paese   chiamato  Castello,   e'  è  un  luogo  detto  Can- 


496  I    PROMESSI    SPOSI. 

terelli,  dove  s' incrociali  due  strade;  e  da  una  parte  del  cro- 
cicchio, si  vede  un  rialto,  come  un  poggetto  artificiale,  con 
una  croce  in  cima;  il  quale  non  è  altro  che  un  gran  mucchio 
di  morti  in  quel  contagio.  La  tradizione,  per  dir  la  verità, 
dice  semplicemente  i  morti  del  contagio;  ma  dev'essere  quel- 
lo senz'  altro,  che  fu  1'  ultimo,  e  il  più  micidiale  di  cui  ri- 
manga memoria.  E  sapete  che  le  tradizioni,  chi  non  le  aiu- 
ta, da  sé  dicon  sempre  troppo  poco. 

Nel  ritorno  non  ci  fu  altro  inconveniente,  se  non  che  Ren- 
zo era  un  po'  incomodato  dal  peso  de'  quattrini  che  portava 
via.  Ma  V  uomo,  come  sapete,  aveva  fatte  ben  altre  vite. 
Non  parlo  del  lavoro  della  mente,  che  non  era  piccolo,  a  pen- 
sare alla  miglior  maniera  di  farli  fruttare.  A  vedere  i  pro- 
getti che  passava  per  quella  mente,  le  riflessioni,  l'immagi- 
nazioni; a  sentire  i  prò  e  i  contro,  per  l'agricoltura  e  per 
T  industria,  era  come  se  ci  fossero  incontrate  due  accade- 
mie del  secolo  passato.  E  per  lui  1'  impiccio  era  ben  più 
reale;  perchè  essendo  un  uomo  solo,  non  gli  si  poteva  dire: 
che  bisogno  c'è  di  scegliere?  l'uomo  e  l'altro,  alla  buo- 
n'ora; che  i  mezzi,  in  sostanza,  sono  i  medesimi;  e  son  due 
cose  come  le  gambe,  che  due  vanno  meglio  d'  una  sola. 

Non  si  pensò  più  che  a  fare  i  fagotti,  e  a  mettersi  in 
viaggio;  casa  Tramaglino  per  la  nuova  patria,  e  la  vedova 
per  Milano.  Le  lagrime,  i  ringraziamenti,  le  promesse  d'  an- 
darsi a  trovare  furon  molte.  Non  meno  tenera,  eccettuate  le 
lacrime,  fu  la  separazione  di  Renzo  e  della  famiglia  dell'  ospi- 
te amico:  e  non  crediate  che  con  don  Abbondio  le  cose  pas- 
sassero freddamente.  Quelle  buone  creature  avevan  sempre 
conservato  un  certo  attaccamento  rispettoso  per  il  suo  cura- 
to; e  questo,  in  fondo,  aveva  sempre  voluto  bene  a  loro.  Son 
que'  benedetti  affari,  che  imbrogliano  gli  affetti. 

Chi  domandasse  se  non  ci  fu  anche  del  dolore  in  distac- 
carsi dal  paese  nativo,  da  quelle  montagne;  ce  ne  fu  sicuro: 
che  del  dolore,  ce  n'  è,  sto  per  dire,  un  po'  per  tutto.  Biso- 
gna però  che  non  fosse  molto  forte,  giacché  avrebbero  po- 
tuto risparmiarselo,  stando  a  casa  loro,  ora  che  i  due  gran- 
d' inciampi,  don  Rodrigo  e  il  bando,  eran  levati.  Ma,  già  da 
qualche  tempo,  erano  avvezzi  tutt'  e  tre  a  riguardar  come 
loro  il  paese  dove  andavano.  Renzo  1'  aveva  fatto  entrare  in 
grazia  alle  donne,  raccontando  1'  agevolezze  che  ci  trovavano, 
gli  operai,  e  cento  cose  della  bella  vita  che  si  faceva  là.  Del 
resto,  avevan  tutti  passato  de' momenti  ben  amari  in  quello 
a  cui  voltavan  le  spalle;  e  le  memorie  triste,  alla  lunga  gua- 
stan  sempre  nella  mente  i  luoghi  che  le  richiamano.  E  se 
que' luoghi  son  quelli  dove  siam  nati,  c'è  forse  in  tali  me- 
morie qualcosa  di  più  aspro  e  pungente.  Anche  il  bambino, 
dice  il  manoscritto,  riposa  volentieri  sul  seno  della  balia,  cer- 


CAPITOLO    XXXVIII. 


497 


ca  con  avidità  e  con  fiducia  la  poppa  che  V  ha  dolcemente 
alimentato  fino  allora;  ma  se  la  balia,  per  divezzarlo,  la  ba- 
gna d'assenzio,  il  bambino  ritira  la  bocca,  poi  torna  a 
provare,  ma  finalmente  se  ne  stacca;  piangendo  sì,  ma  se  ne 
stacca!  9 

Cosa  direte  ora,  sentendo  che,  appena  arrivati  e  accomo- 
dati nel  nuovo  paese,  Renzo  ci  trovò  de'  disgusti  beli' e  pre- 
parati? Miserie:  ma  ci  vuol  così  poco  a  disturbare  uno  sta- 
to felice!     Ecco,  in  poche  parole,  la  cosa. 

Il  parlare  che,  in  quel  paese,  s'  era  fatto  di  Lucia,  molto 
tempo  prima  che  la  ci  arrivasse;  il  saper  che  Renzo  aveva 
avuto  a  patir  tanto  per  lei.  e  sempre  fermo,  sempre  fedele:  forse 
qualche  parola  di  qualche  amico  parziale  per  lui  e  per  tinte 
le  cose  sue,  avevan  fatto  nascere  una  certa  curiosità  di  veder 
la  giovine,  e  una  certa  aspettativa  della  sua  bellezza.  Ora 
sapete  come  è  V  aspettativa:  immaginosa,  credula,  sicura; 
alla  prova  poi,  diffìcile,  schizzinosa:  non  trova  mai  tanto  che 
le  basti,  perchè,  in  sostanza,  non  sapeva  quello  che  si  volesse; 
e  fa  scontare  senza  pietà  il  dolce  che  aveva  dato  senza  ra- 
gione. Quando  comparve  questa  Lucia ,  molti  i  quali  crede- 
van  forse  che  dovesse  avere  i  capelli  proprio  d'  oro,  e  le  gote 
proprio  di  rosa,  e  due  occhi  l'uno  più  bello  dell'altro,  e  che 
so  io?  cominciarono  a  alzar  le  spalle,  ad  arricciare  il  naso, 
e  a  dire:  «eh:  l'è  questa?  Dopo  tanto  tempo,  dopo  tanti 
discorsi,  s'aspettava  qualcosa  di  meglio.  Cos'è  poi?  Una 
contadina  come  tant' altre.  Eh!  di  queste  e  delle  meglio,  ce 
n'  è  per  tutto.»  Venendo  poi  a  esaminarla  in  particolare, 
notavan  chi  un  difetto,  chi  un  altro:  e  ci  furon  fin  di  quelli 
che  la  trovavan  brutta  affatto. 

Siccome  però  nessuno  le  andava  a  dir  sul  viso  a  Renzo, 
queste  cose;  così  non  e'  era  gran  male  fin  lì.  Chi  lo  fece  il 
male,  furon  certi  tali  che  gliene  rapportarono:  e  Renzo,  che 
volete?  ne  fu  tocco  sul  vivo.  Cominciò  a  ruminarci  sopra,  a 
farne  di  gran  lamenti,  e  con  chi  gliene  parlava,  e  più  a  lun- 
go tra  sé.  —  E  cosa  v'importa  a  voi  altri?  E  chi  v'ha 
detto  d'  aspettare?  Son  mai  venuto  io  a  parlarcene?  a  dirvi 
che  la  fosse  bella?  E  quando  me  lo  dicevate  voi  altri,  v'  ho 
mai  risposto  altro,  se  non  che  era  una  buona  giovine?  È 
una  contadina!  V'ho  detto  mai  che  v'avrei  menato  qui  una 
principessa?  Non  vi  piace?  Non  la  guardate.  N'avete  delle 
belle  donne:  guardate  quelle.  — 

E  vedete  un  poco  come  alle  volte  una  corbelleria  basta  a 
decidere  dello  stato  d'  un  uomo  per  tutta  la  vita.  Se  Renzo 
avesse  dovuto  passar  la  sua  vita  in  quel  paese,  secondo  il  suo 
primo  disegno,  sarebbe  stata  una  vita  poco  allegra.  A  forza 
"  esser  disgi 

Manzoni. 


498  I    PROMESSI    SPOSI. 

bato  con  tutti,  perchè  ognuno  poteva  essere  uno  de'  critici  di 
Lucia.  Non  già  che  trattasse  proprio  contro  il  galateo;  ma 
sapete  quante  belle  cose  si  posson  fare  senza  offender  le  re- 
gole della  buona  creanza:  fino  sbudellarsi.  Aveva  un  non  so 
che  di  sardonico  in  ogni  sua  parola;  in  tutto  trovava  anche 
lui  da  criticare,  a  segno  che,  se  faceva  cattivo  tempo  due 
giorni  di  seguito,  subito  diceva:  «eh  già,  in  questo  paese!») 
Vi^  dico  che  non  eran  pochi  quelli  che  F  avevan  già  preso  a 
noia,  e  anche  persone  che  prima  gli  volevan  bene  ;  e  col  tem- 
po, d'  una  cosa  nelF  altra,  si  sarebbe  trovato  per  dir  così,  in 
guerra  con  quasi  tutta  la  popolazione,  senza  poter  forse  né 
anche  lui  conoscer  la  prima  cagione  d'  un  così  gran  male. 

Ma  si  direbbe  che  la  peste  avesse  preso  F  impegno  di 
raccomodar  tutte  le  malefatte  di  costui.  Aveva  essa  portato 
via  il  padrone  d'  un  altro  filatoio ,  situato  quasi  sulle  porte 
di  Bergamo;  e  l'erede,  giovine  scapestrato,  che  in  tutto  quel- 
F  edilìzio  non  trovava  che  ci  fosse  nulla  di  divertente,  era 
deliberato,  anzi  smanioso  di  vendere,  anche  a  mezzo  prezzo; 
ma  voleva  i  danari  F  uno  sopra  F  altro,  per  poterli  impie- 
gar subito  in  consumazioni  improduttive.  Venuta  la  cosa  agli 
orecchi  di  Bortolo,  corse  a  vedere;  trattò;  patti  più  grassi 
non  si  sarebbero  potuti  sperare;  ma  quella  condizione  de5 
pronti  contanti  guastava  tutto,  perchè  quelli  che  aveva  messi 
da  parte,  a  poco  a  poco,  a  forza  di  risparmi,  erano  ancor 
lontani  da  arrivare  alla  somma.  Tenne  1'  amico  in  mezza 
parola,  tornò  indietro  in  fretta,  comunicò  l'affare  al  cugino, 
e  gli  propose  di  farlo  a  mezzo.  Una  così  bella  proposta  tron- 
cò i  dubbi  economici  di  Renzo,  che  si  risolvette  subito  per 
F  industria,  e  disse  di  sì.  Andarono  insieme,  e  si  strinse  il 
contratto.  Quando  poi  i  nuovi  padroni  vennero  a  stare  sul 
loro,  Lucia,  che  lì  non  era  aspettata  per  nulla,  non  solo  non 
andò  soggetta  a  critiche,  ma  si  può  dire  che  non  dispiacque; 
e  Renzo  venne  a  risapere  che  s'era  detto  da  più  d'uno: 
«avete  veduto  quella  bella  baggiana  che  c'è  venuta?»  L'epi- 
teto faceva  passare  il  sostantivo. 

E  anche  del  dispiacere  che  aveva  provato  nell'  altro  pae- 
se ,  gli  restò  un  utile  ammaestramento.  Prima  d' allora  era 
stato  un  po' lesto  nel  sentenziare,  e  si  lasciava  andar  volen- 
tieri a  criticar  la  donna  d'  altri,  e  ogni  cosa.  Allora  s'  ac- 
corse che  le  parole  fanno  un  effetto  in  bocca,  e  un  altro  ne- 
gli orecchi,  e  prese  un  po' più  d'abitudine  d'ascoltar  di 
dentro  le  sue,  prima  di  proferirle. 

Non  crediate  però  che  non  ci  fosse  qualche  fastidiuccio 
anche  lì.  L'  uomo  (dice  il  nostro  anonimo:  e  già  sapete  per 
prova  che  aveva  un  gusto  un  po'  strano  in  fatto  di  similitu- 
dini; ma  passategli  anche  questa,  che  avrebbe  a  essere  F  ul- 
tima), 1'  uomo,  fin  che  sta  in  questo  mondo,  è  un  infermo  che 


CAPITOLO    XXXVIII,  499 

si  trova  sur  un  letto  scomodo  più  o  meno,  e  vede  incorno  a 
sé  altri  Ietti,  ben  rifatti  al  di  fuori,  piani,  a  livello:  e  si  figu- 
ra che  ci  si  deve  star  benone.  Ma  se  gli  riesce  di  cambiare, 
appena  s'  è  accomodato  nel  nuovo,  comincia,  pigiando,  a  sen- 
tire, qui  una  lisca  che  lo  punge,  lì  un  bernoccolo  che  lo  pre- 
me: siamo  in  somma,  a  un  di  presso,  alla  storia  di  prima, 
E  per  questo,  soggiunge  1'  anonimo ,  si  dovrebbe  pensare  più 
a  far  bene,  che  a  star  bene:  e  così  si  finirebbe  anche  a  star 
meglio.  È  tirata  un  po'  con  gli  argani ,  e  proprio  da  secen- 
tista; ma  in  fondo  ha  ragione.  Per  altro,  prosegue,  dolori  e 
imbrogli  della  qualità  e  della  forza  di  quelli  che  abbiam  rac- 
contati, non  ce  ne  furon  più  per  la  nostra  buona  gente:  fu, 
da  quel  punto  in  poi,  una  vita  delle  più  tranquille,  delle  più 
felici,  delle  più  invidiabili:  di  maniera  che,  se  ve  l'avessi 
a  raccontare,  vi  seccherebbe  a  morte. 

Gli  affari  andavan  d*  incanto:  sul  principio  ci  fu  un  po' 
d'  incaglio  per  la  scarsezza  de'  lavoranti  e  per  lo  sviamento 
e  le  pretensioni  de'  pochi  eh*  eran  rimasti.  Furon  pubblicati 
editti  che  limitavano  le  paghe  degli  operai:  malgrado  que- 
st'  aiuto,  le  cose  si  rincamminarono,  perchè  alla  fine  bisogna 
che  si  rincamminino.  Arrivò  da  Venezia  un  altro  editto,  un 
po'  più  ragionevole:  esenzione,  per  dieci  anni,  da  ogni  carico 
reale  e  personale  ai  forestieri  che  venissero  a  abitare  in  quel- 
lo staio.     Per  i  nostri  fu  una  nuova  cuccagna. 

Prima  che  finisse  l'anno  di  matrimonio,  venne  alla  luce 
una  bella  creatura:  e,  come  se  fosse  fatto  apposta  per  dar 
subito  opportunità  a  Renzo  d'  adempire  quella  sua  magnani- 
ma promessa,  fu  una  bambina;  e  potete  credere  che  le  fu 
messo  nome  Maria.  Xe  vennero  poi  col  tempo  non  so  quan- 
t'  altri,  dell*  uno  e  dell'altro  sesso:  e  Agnese  affaccendata  a 
portarli  in  qua  e  in  là,  Y  uno  dopo  1'  altro,  chiamandoli  cat- 
tivacci,  e  stampando  loro  in  viso  de'  bacioni,  che  ci  lasciava- 
no il  bianco  per  qualche  tempo.  E  furon  tutti  ben  inclinati; 
e  Picnzo  volle  che  imparassero  tutti  a  leggere  e  scrivere,  di- 
cendo che,  giacché  la  e'  era  questa  birberia,  dovevano  alme- 
no profittarne  anche  loro. 

Il  bello  era  a  sentirlo  raccontar  le  sue  avventure:  e  finiva 
sempre  col  dire  le  gran  cose  che  ci  aveva  imparate,  per  go- 
vernarsi meglio  in  avvenire.  «Ho  imparato,»  diceva,  «a  non 
mettermi  ne'  tumulti  :  ho  imparato  a  non  predicare  in  piazza: 
ho  imparato  a  non  alzar  troppo  il  gomito:  ho  imparato  a  non 
tenere  in  mano  il  martello  delle  porte,  quando  e'  è  lì  d'  in- 
torno gente  che  ha  la  testa  calda:  ho  imparato  a  non  attac- 
carmi un  campanello  al  piede,  prima  d'aver  pensato  quel 
che  ne  possa  nascere.»     E  cent'  altre  cose. 

Lucia  però ,  non  che  trovasse  la  dottrina  falsa  in  sé ,  ma 
non   n'  era   soddisfatta;   le   pareva,   così  in  confuso,    che   ci 


500  I    PROMESSI    SPOSI. 

mancasse  qualcosa.  A  forza  di  sentir  ripetere  la  stessa  can- 
zone, e  di  pensarci  sopra  ogni  volta,  «e  io.»  disse  un  giorno 
al  suo  moralista,  «cosa  volete  che  abbia  imparato?  Io  non 
sono  andata  a  cercare  i  guai:  son  loro  che  sono  venuti  a  cer- 
car me.  Quando  non  voleste  dire,»  aggiunse,  soavemente 
sorridendo,  «che  il  mio  sproposito  sia  stato  quello  di  volervi 
bene,  e  di  promettermi  a  voi.» 

Renzo,  alla  prima,  rimase  impicciato.  Dopo  un  lungo  di- 
battere e  cercare  insieme,  conclusero  che  i  guai  vengono  ben- 
sì spesso,  perchè  ci  si  è  dato  cagione;  ma  che  la  condo'.ta 
più  cauta  e  più  innocente  non  basta  a  tenerli  lontani;  e  che 
quando  vengono,  o  per  colpa  o  senza  colpa,  la  fiducia  in  Dio 
li  raddolcisce,  e  li  rende  utili  per  una  vita  migliore.  Questa 
conclusione,  benché  trovata  da  povera  gente,  e'  è  parsa  così 
giusta,  che  abbiam  pensato  di  metterla  qui,  come  il  sugo  di 
tutta  la  storia. 

La  quale,  se  non  v'  è  dispiaciuta  affatto,  vogliatene  bene 
a  chi  1'  ha  scritta,  e  anche  un  pochino  a  chi  V  ha  raccomo- 
data. Ma  se  invece  fossimo  riusciti  ad  annoiarvi,  credete  che 
non  s'  è  fatto  apposta. 


Leipzig,  coi  tipi  di  F.  A.  Brockhais. 


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