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I PROMESSI SPOSI
STORIA MILANESE DEL SEGOLO XVII
SCOPEnTA E RIFATTA
ALESSANDRO MANZONI
SCSTi ED^ilO^■E DELL ALTURE
STORIA
DELLA COLONNA INFAME
Ql'lNTA EDIZIONE DELL Al'TOBE
VOL. I.
LÌ
MILANO
TlI'UGHAFl.V Iti (JIUSEl'PE lìEUAELH
1856.
I Q5é
i, I
INTRODUZIONE.
• // hisitoria si può veramente deffinire vna guerra illn^lre contro il
Tempo, perchè logUendoU di mano gl'anni suoi prigionieri , anzi già
falli cadaaeri , li richiama in vita, li passa in rassegna , e li scliiera di
nuovo in battaglia. Ma gV illustri Campioni che in tal Arringo fanno
mes-ie di Palme e d'Allori , rapiscono solo che le sole spoglie piii sfar-
zose e brillanti, imbalsamando co' loro inchiostri le Imprese de Prencipi
e Potentati, e qualificali Personaggi . e traponlando coli' ago finissimo
dell'ingegno i fili d'oro e di seta, che formano un perpetuo ricamo di
Altioni gloriane. Però alla mia debolezza non èjecilo sollcuarsi a taTar-
gomenti, e sublimità pericolose, con aggirarsi tra Labirinti de' Politici
maneggi, et il rimbombo de' bellici Oricalchi: solo che hauendo hauuto
nolilia di fatti memorabili , se ben capitorno a gente meccaniche, e di
picrol ajfare , mi accingo di lasciarne memoria a Posteri, con far di
tallo schiena e genuinamente il Racconto , onucro sia Relalione. Nella
quale si vedrà in angusto Teatro luttuose Traggedic d'horrori^ e scene
di malvaggilà grandiosa, con inlermezi d'Imprese virtuose e buontà an-
geliche, opposte alle operationi diaboliche. E veramente, considerando
che questi nostri climi sijno sotto V amparo del Re Caltolico nostro S-
gnore, che è quel Sole che mai tramonta, e che sopra di essi, con rilìesso
Lume, qual Luna giamai ca tante , risplnda l' Ueroe di nobil Prosapia
6 I>TR0DrZ10>T-
ehe prò tempore ne tiene U Pie parti, e gr Amplissimi Senatori quali
StiOe /£*«, e ijraltri Spettabili Jiagisfrah fiwr?rro»fi Ptawli ^owfcia
la bure per ogni doue, venendo così a forcare m m&tiUtsimo C«to, al-
ira tmaale trovuzr non » p«ó del vederlo immutato w» inferno «f atti
ieiuknsi,maivaggità e sevitie che dagV huomini temeTarij u vanno mol-
1^6csmiOj se non se arte e fiittwa diabolica, attesoché rianmama mali-
Ua per sé sola bastar non dourebòe a resistere a tanti Berci, che «m
9tdùj d'Argo e braccj di Briareo , si vanno tralficando per li pubblici
emthimmti. Per lacchè descrrwmdo questo Racconto amtenuto ne' tempi
a wùa terée sta§fime , abbenché la più. parte delle persone che vi rap-
fmeulam» le Isr» farti, sijno sparite dalla Scena del Mondo, con ren-
éersi frAaier^ OOk PanMe, pare fer defmi rispetti, si tacerà K loro
marni, àoè la fomfeta, et a wteéemo ti perà de' Iwxhi , solo indicando
fi Territorij geiieralher. Ifé alano dira qmesta sij imperfettione del Rac-
amia, e éeg&rmOà di fasto ano rozzo Parto, a aiflto questo tale Cri-
Se» Boa sii fonamm afaito diggmna della Filoso/hi : che quanto agrhuo-
ami m ena tersati, bea tederammo mdla wtancare alla sostanza di detta
marra^ome. Im^ereioedù , essendo cosa evidente , e da verun negala non
essere i nomi se man puri jntrissimi accidenti . . . . >
— Ma, qnaiMio io avrò darata l'eroica fatica di trascriver innesta sti ria
da questo dilavato e graffiato autografo, e l'avrò data, come si suol dire,
aBa laee, a trorerà poi chi dori la fatica di leggerla-? —
Questa rìflessiDDe dobitativa, nata nel travaglio del decifrare ano sei-
rabocekio cfae Tenira dofto aeeidenU, mi fece sospender la copia, e pen-
sar pia soiaiBente a quello che convenisse di fare. — Ben e vero , di-
eero tra me, scartabellando il manoscritto, ben è vero che quella gramiinc
di oweettiBi e (fi ^nre doq eaatiiraa cosi alla distesa per tutu l'opera.
D Imk» secentista ha Totnio sai principio mettere in mostra la sua virtù;
■a poi, nel eorso deOa naira2ioae, e talvolta pét^ longbi tratti. Io stile
fammina ben più natnrale e più piano. Si ; ma com' é dozzinale ! com'è
sgaaiato! com'è 3-:orretto: Idiotismi lombardi a iosa, frasi della lingua
«loperate a spropiosito, grammatica arbitraria, periodi sgangherati. E poi,
^akfaé eleganza spagnola seminata qtu e là ; e p<3i, cb' è peggio , ne'
luoghi più tenibili o più pietosi della storia, a ogni occasione d'eccitar
■aravigtia, o di far pensare, a tatti qoe' passi insomma cbe richieilono
beasi aa po' di rettorica, ma reUùri«a discreu, fine, di buon gusto, co-
INTRODUZIONE. 7
sluì non manca mai di metterci di quella sua così fatta del proemio. E
allora, accozzando, con un'abilità mirabile, le qualità più opposte, trova
la maniera di riuscir rozzo insieme e alTellato, nella stessa pagina, nello
stesso periodo, nello stesso vocabolo. Ecco qui: declamazioni ampollose
composte a forza di solecismi pedestri , e da per tutto quella goffaggine
ambiziosa, ch'é il proprio carattere degli scritti di quel secolo, in questo
paese. In vero, non é cosa da presentare a lettori d'oggigiorno: son
troppo ammaliziati , troppo disgustati di questo genere di stravaganze.
Meno male, che il buon pensiero m'é venuto sul principio di questo
sciagurato lavoro ; e me ne lavo le mani. —
Nell'atto però di chiudere lo scartafaccio, per riporlo, mi sapeva mal(ì
che una storia così bella dovesse rimanersi tuttavia sconosciuta; perché,
in quanto storia, può essere che al lettore ne paia altrimenti, ma a me
era parsa bella, come dico; molto bella. — Perché non si potrebbe, pen-
sai , prender la serie de' fatti da questo manoscritto , e rifarne la dici-
tura? — Non essendosi presentato alcuna obiezion ragionevole, il par-
tito fu subito abbracciato. Ed ecco l'origine del presente libro, esposta
con un'ingenuità pari all'importanza del libro medesimo.
Taluni però di que' fatti, certi costumi descritti dal nostro autore,
e' eran sembrati cosi nuovi, cosi strani, per non dir peggio, che, prima
di prestargli fede , abbiam voluto interrogare altri testimoni ; e ci siam
messi a frugar nelle memorie di ijuel tempo, per chiarirci se veramente
il mondo camminasse allora a quel modo. Una tale indagine dissipò tutti
i nostri dubbi: a ogni passo ci abbattevamo in cose consimili, e in cose
più forti: e, quello che ci parve più decisivo, abbiam perfmo ritrovali
alcuni personaggi , de' quali non avendo mai avuto notizia fuor che dal
nostro manoscritto, eravamo in dubbio se fossero realmente esistiti. E,
all'occorrenza, citeremo alouna di (luelle testimonianze, per procacciar
fede alle cose, alle quali, per la loro stranezza, il lettore sarebbe più
tentato di negarla.
Ma, rifiutando come intollerabile la dicitura del nostro autore, che di-
citura vi abbiam noi sostituita? Qui sta il punto.
Chiunque, senza esser preg.ito, s'intromette a rifar l'opera altrui,
s'espone a rendere uno stretto conto della sua, e ne conlrae in certo
modo l'obbligazione: é questa una regola di fatto e di diritto, alla quale
non prelendiam punto di sottrarci. Anzi , per conl'onuarci ad essa di
8 INTRODUZIONE.
buon grailo, avcvam proposto di dar qui minulamfnlc rafriono del modo
di scrivere da noi tenuto; e, a questo fine, siamo anriaii, pfr lutto il
tempo del lavoro, cercando d'indovinare le critiche possibili e contin-
genti, con intenzione di ribatterlo tutte anticipatamente. Ne in questo
sarebbe stata la difdcoltà ; giacché (dobbiam dirlo a onor del vero) non
ci si presentò alla mente una critica , che non le venisse insieme una
risposta trionfante, di quelle risposte che, non dico risolvon le questioni,
ma le mutano. Spesso anche, mettendo due critiche alle mani tra loro,
le facevam battere l'una dall'altra; o, esaminandole ben a fondo, riscon-
trandole attentamente, riuscivamo a scoprire e a mostrare che, cosi op-
poste in apparenza, eran perù d'uno stesso genere, nascevan totl'e due
dal non badare ai fatti e ai principi su cui il giudizio doveva esser fon-
dato, e messele, con loro gran sorpresa, insieme, le mandavamo insieme
a spasso. Non ci sarebbe mai stato autore che provasse cosi ad evidenz.i
d'aver fatto bene. Ma che? quando siamo stati al punto di raccapezzar
tutte le dette obiezioni e risposte, per disporle con qualche ordine, mi-
sericordia! venivano a fare un libro. Veduta la qual cosa, abbia m me.sso
da parte il pensiero, per due ragioni che il lettore troverà certamente
buone: la prima, che un libro impiegato a giustificarne un altro, anzi
lo stile d'un altro, potrebbe parer cosa ridicola: la seconda, che di li-
bri basta uno per volta, quando non è d' avanzo.
1 PIIOAIESSI SPOSI
CAPITOLO PRIMO.
Qiiol rnmo del la^'o di C<jmo. elio volgo n mozzo.Qiorno,
tra due catene non interrotte di monti, tutto a soni e
a golfi, a seconda dello sporgere e del rientrare di qnelli,
vien, qnnsi a un tratto, a ristringersi, e a prender corso
e figura di fiume, tra un promontorio a dosti'a, e un'am-
pia costiera dall'altra parte: e il ponte, che ivi congiunge
le due rive, par che renda ancor più sensibile all'oc-
chio questa trasformazione, e segni il punto in cui il
lago cessa, e l'Adda rincomincia, per ripigliar poi nome
di lago dove le rive, allontanandosi di nuovo, lascian
l'acqua distendersi e rallentarsi in nuovi golfi e in nuovi
seni. La costiera, formata dal deposito di tre grossi lor-
renti , scende appoggiata a due monti contigui, Tiuio
detto di san Martino, l'altro, con voce lombarda, il Jh>-
sefjone, dai molti suoi cocuzzoli in fila, che in vero lo
fanno somigliare a una sega: talché non è chi, al primo
vederlo, purché sia di fronte, come per esempio di su
le mura di Milano che guardano a setlonlrione. non lo
discerna tosto, a un lai contrassegno, in ((uella lunga e
vasta giogaia, dagli altri monti di nome piìt oscuro e
di forma più comune. Per un buon [tezzo, la costa sale
10 1 PROMESSI SPOSI
con un pendio lento e continuo; poi si rompe in poggi
e in valloncelli, in erte e in {spianate, secondo l'ossatura
de' due monti, e il lavoro dell' acque. Il lembo estremo,
taglialo dalle foci de' torrenti, è quasi tutto ghiaia e
ciùttoloni; il resto, campi e vigne, sparse di terre, di
ville, di casali; in qualche parte boschi, che si prolun-
gano su per la montagna. Lecco, la principale di quelle
terre, e che dà nome al territorio, giace poco discosto
dal ponte, alla riva del lago, anzi viene in parte a tro-
varsi nel lago stesso, quando questo ingrossa: un gran
borgo al giorno d'oggi, e che s'incammina a diventar
città. Ai tempi in cui accaddero i fatti che prendiamo
a raccontare, quel borgo, già considerabile, era anche
un castello, e aveva perciò l'onore d'alloggiare un co-
mandante, e il vantaggio di possedere una stabile guar-
nigione di soldati spagnoli, che insegnavan la modestia
alle fanciulle e alle donne del paese , accarezzava n di
tempo in tempo le spalle a qualche marito, o a qualche
padre; e, sul finir dell'estate, non mancavan mai di
spandersi nelle vigne, per diradar l'uve, e alleggerire
a' conladini le fatiche della vendemmia. Dall' una all'altra
di quelle terre, dall'alture alla riva, da un poggio al-
l'altro, correvano, e corrono tuttavia, strade e stradette,
pili 0 men ripide, o piane; ogni tanto alTonJate , se-
polle tra (Ine muri, donde, alzando lo sguartlo, non isco-
prile che un pezzo di cielo e qualche vetta di monte;
ogni tanto elevate su terrapieni aperti; e da qui la vi-
sta spazia per prospetti più o meno estesi, ma ricchi
sempre e sempre qualcosa nuovi, secondo che i diversi
punti piglian più o meno della vasta scena circostante,
e secondo che questa o (juella parte campeggia o si
scorcia, spunta o sparisce a vicenda. Dove un pezzo, dove
un altro, dove una lunga distesa di quel vasto e variato
specchio dell'acqua; di qua- lago, chiuso all'estremità o
piuttosto smarrito in un griqipo, in un andirivieni di
montagne, e di mano in mano più allargato Ira altri
monti che si spiegano, a uno a uno, allo sguardo, e
CAPITOLO I. il
cho l'acqua riflotte capovoUi, co' pacsctli posti sulle
rive; di là braccio di lìume, poi lago, poi fiume ancora,
che va a perdersi in lucido serpeggiamento pur tra' monti
che l'accompagnano, degradando via via, e perdendosi
quasi anch'essi nell'orizzonte. 11 luogo stesso da dove
contemplate quo' vari spettacoli, vi fa spettacolo da ogni
parte: il monte di cui passeggiate le falde ^ vi svolge,
al di sopra, d'intorno, le sue cime e le balze, distinte,
rilevate, mutabili quasi a ogni passo, aprendosi e con-
tornandosi in gioghi ciò che v'era semiorato prima un
sol giogo, e cora[)arendo in vetta ciò che poco innanzi
vi si rappresentava sulla costa: e l'ameno, il domestico
di quelle falde tempera gradevolmente il selvaggio, e orna
vie pii^i il magnitìco dell'altre vedute.
Per una di queste stradicciole, tornava bel bello dalla
passeggiata verso casa, sulla sera del giorno 7 novembre
dell'anno 1628, don Abbondio, curato d'una delle terre
accennate di sopra : il nome di questa, nò il casato del
personaggio, non si Irovan nel manoscritto, nò a que-
sto luogo nò altrove. Diceva tranquillamente il suo ufizio,
e talvolta, tra un salmo e l'altro, chiudeva il breviario,
lenendovi dentro, per segno, T indice della mano destra,
e, messa poi questa nell'altra dietro*le schiena, prose-
guiva il suo cammino, guardando a terra , e buttando
con un piede verso il muro i ciottoli che facevano in-
cianqìo nel sentiero: i)oi alzava il viso, e, girati oziosa-
mente gli occhi all'intorno, li fissava alla parte di un
monte, dove la luce; del sole già scomparso, scappando
per i fessi del monte opposto, si dipingeva qua e là sui
massi sporgenti, come a larghe e inuguali pezze di ()or-
pora. Aperto poi di nuovo il breviario, e recitato un altro
squarcio, giunse a una voltata della stradetta , dov'era
solito d'alzar sem[)re gli occhi dal libro, (; di guar-
darsi dinanzi: e così fece anche (juel giorno. Uopo la
voltata, la strada correva diritta, forse un sessanta passi,
e poi si divideva in due viottole, a foggia d'un ipsilon:
quella a destra saliva verso il monte, e menava alla cura:
12 I PROMESSI SPOSI
■ r.'illra srcndova nella valle fino a un torrente: e da
questa parte il muro non arrivava che all' anche del pas-
sep'.iriero. I muri interni delle due viottole, in vece di
riiuiirsi ad angolo, terminavano in un tabernacolo, sid
quale eran dipinte certe figure lunghe, serpeggianti, ciie
finivano in punta, e che, neh' intenzion dell'artista, e
agli occhi degli abitanti del vicinato, volevan dir fiamme;
e, alternate con le fiamme, cert' altre figure da non po-
tersi descrivere, che volevan dire anime del purgatorio:
anime e fiamme a color di mattone, sur un fondo bigio-
gnolo, con qualche scalcinatura qua e là. Il curato, vol-
tala la stradetta, e dirizzando, com'era solito, lo sguardo
al tabernacolo, vide una cosa che non s'aspettava e che
non avrebbe voluto vedere. Due uomini stavano, l'uno
dirimpetto all'altro, al confluente, per dir così, delle due
viottole: un di costoro, a cavalcioni sul muricciolo basso,
con una gamba spenzolata al di fuori, e l'altro piede
posato sul terreno della strada: il compagno, in piedi,
appoggialo al muro, con le braccia incrociate sul petto.
L'abito, il portamento, e quello che, dal luogo ov'era
giunto il curato, si poteva distinguer dell'aspetto, non
lasciavan dubbio intorno alla lor condizione. Avevano
entrambi intorno al capo una reticella verde, che cadeva
suir omero sinistro, terminata in una gran nappa, e dalla
quale usciva sulla fronte un enorme ciulTo: due lunghi
mustacchi arricciati in punta: una cintura lucida di
cuoio, e a quella attaccate due pistole: un piccol corno
ripieno di polvere, cascante sul petto, come una collana:
un manico di coltellaccio che spuntava fuori d'un ta-
schino degli ampi e gonfi calzoni, uno spadone, con
una gran guardia traforata a lamine d'ottone, conge-
gnate come in cifra, forbite e lucenti ; a prima vista si
davano a conoscere per individui della specie de' bravi.
Questa specie, ora del tutto perduta, era allora flori-
dissima in Lombardia, e già molto antica. Chi non ne
avesse idea, ecco alcuni squarci autenlii'i. che potranno
darne una bastante de' suoi caratteri principali , degli
CAI'ITUI.U 1. 13
siov/À latii por ispegiicila. e della sua dura e l'igogliusa
vitalità.
Fino dalTH aprile dell'anno 1583, i" illustrissimo ed
Eccellentissimo signor don Carlo d'Aragon Principe di
Castelvetrano, Duca di Terranuova, .Marchese d'Avola,
Conte di Burgcto, grande Ammiraglio, e gran Conte-
slabile di Sicilia, Governatore di Milano e Capitan Ge-
nerale di Sua Maeslcà Cattolica in Italia, pienamente in-
foi'ìitiito della intollerabile miseria in che è virnfa e vive
lineata Città di MiUuio, per caijione dei bravi e raijahondi.
pubblica un bando contro di essi. Dichiara e di/finisce
tutti coloro essere compresi in questo bando, e doversi
ritenere bravi e vaijabondi . . . i quali, essendo forestieri
0 del paese, noìi hanno esercizio alcuno, od avendolo,
non lo fanno .... ma senza salario, o pur con esso,
s' apporjijiano a qualche cavaliere o gentiluomo, officiale
0 mercante .... per fargli spalle e favore, o veramente,
come si può presumere, per tender insidie ad altri .....
A tutti costoro ordina che, nel termine di giorni sei,
abbiano a sgomberare il paese, intima la galera a' re-
nitenti, e dà a tutti gli ufliziali della giustizia le [im
sti'anamenle ain[)ie e iudelinite facoltà, per l'esecuzione
delTordiue. Ma nell'anno seguente, il li2 aprile, scur-
gendu il detto signore, che questa Città è tuttavia piena
di detti bravi .... tornati a vivere come prima vivevano,
non punto mutato il costume loro, né scemato il numero.
dà fuori uu'alli'a grida, ancor più vigorosa e notabile,
nella (pi.ile. tra l'altre ordinazioni, prescrive:
Che iiualsivoijUa persona, così di questa Città, come fo-
restiera, che per due testimonj consterà esser tenuto, e co-
mìinemente riputalo per bravo, et aver tal nome, nncor-
cliè n<m si verifichi aver fatto delillo alcuno .... pei'
questa sola riputazione di bravo, senza altri indi' j, possa
dui detti ijiudici e da ognuno di loro esser posto alla
corda et al tinincnlo , per processo informativo . ... et
ancorchi' non confessi delitto alcuno . tuttavia sia man-
ddlo alla (jalai, per detto triennio, per la sola opinione
14 I l'IJU.MKSSl SPOSI
e nome ili hvavo, come di sopra. Tulio ciò, e il di più
che si Iralascia, pcirliè Sna Eccellenza è risoluta di voler
essere obbedita da ornano.
All'udir parole d'un tanto signore, cosi gagliarde e
sicure, e accompagnate da tali ordini, viene una gran
voglia di credere che, al solo rimbombo di esse, tulli
i bravi siano scomparsi por sempre. Ma la te.>limonian-
za d' un signore non meno autorevole, nò meno dotato
di nomi, ci obbliga a credere tutto il contrario. È que-
sti r lUus+rissimo ed Eccellentissimo Signor Juan Fer-
nandez de Yelasco, Contestabile di Castiglia, Cameriero
maggiore di Sua Maestà, Duca della Città di Frias, Conte
di Haro e Castelnovo, Signore della Casa di Yelasco. e
di quella delli sette Infanti di Lara, Governatore dello
Stato di Milano, etc. Il 5 giugno dell'anno 1593, piena-
mente informato anche lui di quanto danno e rovine
sieno . . . . i bravi, e vagabondi, e del pessimo effetto che
tal sorta di gente fa contra il ben pubblico, et in delti-
sione della giustizia, intima loro di nuovo che, nel ter-
mine di giorni sei, abbiano a sbrattare il paese, ripe-
tendo a un dipresso le prescrizioni e le minacce medesi-
me del suo predecessore. Il 23 maggio poi dell'anno 1398,
informato, con non poco dispiacere dell' animo suo. che
(igni dì pili in questa Città e Stato va crescendo il nunnno
di questi tali (bravi e vagabondi) né di loro, giorno e
notte, altro si sente che ferite appostatamente date, orni-
cidii e ruberie et ogni altra qualità di delitti, ai quali si
rendono più facili, confidati essi bravi d'essere aiutati dai
capi e fautori loro prescrive di nuovo gli stessi ri-
medi, accrescendo la dose, come s'usa nelle malattie osti-
nate. Ognuno dunque, conchiude poi, onninamente si
guardi di contravvenire in parte alcuna alla grida pre-
sente, perchè , in luogo di provare la clemenza di Sua Ec-
cellenza, proverà il rigore, e Vira sua essemlo riso-
luta e determinata che questa sia V ultima e perentoria
monizione.
Non fu però di questo parere l'Illustrissimo ed Ec-
CAPITOLO I. 15
cellentissimo Signore, il Signor Don Pietro Enri(iiiez de
Acevedo, Con le di Fuentes, Capitano, e Governatore dello
Stato di Milano ; non fu di questo parere, e per buone
ragioni. Pìcììamcìttc 'Diformato della miseria in che rive
quesla Città e Stato per cagione del gran numero di braci
che in esso abbonda e risoluto di totalamente estirpare
seme tanto pernizioso, dà fuori il 5 decembre 1600, una
nuova grida piena anch' essa di severissime commina-
zioni, con fermo proponimento che. con ogni rigore, e senza
speranza di remissione, siaìio onninamente eseguite.
Convien credere perù che non ci si mettesse con tutta
quella buona voglia che sapeva impiegare nelFordir ca-
bale, e nel suscitar nemici al suo gran nemico Enrico IV;
giaccliè per quesla parte, la storia attesta come riuscisse
ad armare contro quel re il duca di Savoia, a cui fece
perder più d'una città; come riuscisse a far congiurare
il duca di Biron, a cui fece perder la testa ; ma, per ciò
che riguarda quel seme tanto pernizioso de' bravi, certo
è che esso continuava a germogliare, il 22 settembre
dcU'anno 1012. In quel giorno F Illustrissimo ed Eccel-
lentissimo Signore. Don Giovanni de Mondezza, Marchese
de la Hynojosa, Gentiluomo etc. Governatore etc, pensò
seriamente ad estirparlo. A qucst' effetto, spedi a Pan-
dolt'o e Marco Tullio Malatesti, stampatori regi camerali,
la solila grida, corretta ed accresciuta. ])erchè la stam-
jtassero ad esterminio de' bravi. Ma questi vissero ancora
per ricevere, il 24 decembre dell'anno 1018, gli stessi
e più forti colpi dall'Illustrissimo ed Eccellentissimo Si-
gnore, il Signor Don Gomez Suarez de Figueroa, Duca
di Feria, eie. Governatore, etc. Però non essendo essi
morti n('p|)iu' di (|ueHi. T llluslrissinìo ed Kcccllenlissimo
Signore, il Signor Gonzalo Fernaiidez di Cordova, sotto
il cui governo accadde la passeggiata di don Abbondio,
s'era trovato costretto a ricorreggere e ripubblicare la
solita grida contro i bravi, il giorno 5 ottobre 1027, cioè
un anno, un mese e i\i\t' '/\ov\\\ prima di iincI inemo-
raliilc jjvxcninK'iilo.
10 l l'UOMESSI SI-OSI
NÒ Tu (|uosl;i riiHima i)iil)l)licazioMc; ina noi delle po-
steriori non crediamo dover far menzione, come di cosa
clic esce dal periodo della nostra storia. Ne accenneremo
soltanto una del 13 febbraio dell'anno 1G32, nella qnalo
r Illustrissimo ed Eccellentissimo Signore, d Dnqm de
Fcriii, per la seconda- volta govcrnalore. ci avvisa clie le
ìiKUjijiori scdkratjfjinl procedono dn qutdli die dtkiniaiiu
bravi. Questo basta ad assicurarci che. nel tempo di cui
noi trattiamo, c'era de' bravi tuttavia.
Che i due descritti di sopra stessero ivi ad aspettar
qualchednno, era cosa troppo evidente; ma quel che piij
dispiacque a don Abl)ondio fu il dover accorgersi, per
certi atti, che raspollato era lui. Perchè al suo apparire,
coloro s'eran guardati in viso, alzando la testa, con un
movimento dal quale si scorgeva che tuli' e due a un
tratto avevan detto: è lui; quello che stava a cavalcioni
s'era alzalo, tirando la sua gamba sulla strada; l'altro
s'era staccalo dal muro; e tutfe due gli s'avviavano in-
contro. Egli, lenendosi sempre il breviario aperto dinanzi,
come se leggesse, spingeva lo sguardo in su, per ispiar
le mosse di coloro; e vedendoseli venir proprio incon-
tro, fu assalito a un ti'alto da mille pensieri. Domandò
subito in fretta a sé slesso, se, tra i bravi e lui, ci fosse
(pialche liscila di slrada, a deslra o a sinistra; e gli sov-
venne subito di no. Fece un rapido esame, se avesse
peccato contro qualche potente, contro qualclie vendica-
tivo; ma, anche in quel turbamento, il testimonio con-
solante della coscienza lo rassicurava ahpianto: i bravi
però s'avvicinavano, guardandolo lìsso. Mise 1" indice e
il medio della mano sinistra nel collare, come per rac-
comodarlo; e, girando le due dita intorno al collo, vol-
geva intanto la faccia all' indietro, torcendo insieme la
bocca, e guardando con la coda dell'occhio, fin dove
poteva, se qualcbedimo arrivasse; ma non vide nessuno.
Diede un'occhiaia, al di sopra del muricciolo, ne' campi:
nessuno; un' altra più modesta sulla slrada dinanzi: nes-
suno, fuorché i liia\i. Che fare? tornare indietro, non
CAPITOLO I. 17
era a tempo: darla a gambe, era lo stesso che dire, in-
seguitemi, 0 peggio. Non potendo schivare il pericolo,
vi corse incontro, perchè i momenti di quell'incertezza
erano allora cosi [)enosi per lui, clic non desiderava al-
tro che d'abhreviarli. Atìrettò il passo, recitò un versetto
a voce più alta, compose la faccia a tutta quella quiete
e ilarità che potè, fece ogni sforzo per preparare un sor-
riso; quando si trovò a fronte dei due galantuomini,
disse mentalmente: ci siamo; e si fermò su due piedi.
« Signor curato, » disse un di que' due, piantandogli
gli occhi in faccia.
« Cosa comanda "? » rispose subito don Abbondio, al-
zando i suoi dal libro, che gli restò spalancato nelle mani,
come sur un leggio.
t Lei ha intenzione, > proseguì Taltro, con l'atto mi-
naccioso e iracondo di chi coglie un suo inferiore sul-
r intraprendere una ribalderia, » lei ha intenzione di ma-
ritar domani Renzo Tramaglino e Lucia Mondella ! »
« Cioè » rispose, con voce tremolante, don Ab-
bondio: 1 cioè. Lor signori son uomini di mondo, e
sanno benissimo come vanno queste faccende. Il povero
curato non c'entra: fanno i loro pasticci tra loro, e
poi e poi, vengon da noi, come s'andrebbe a un
banco a riscotere; e noi noi siamo i servitori del
comune. »
« Or bene. » gli disse il bravo, all'orecchio, ma in
tono solenne di comando, «questo matrimonio non s'Iia
da fare, né domani, né mai. »
< Ma, signori miei, » replicò don Abbondio, con la
voce mansueta e gentile di chi vuol persuadere un im-
paziente, « ma, signori miei, si degnino di mettersi ne'
miei panni. Se la cosa dipendesse da me,... vedon bene
che a m.c non me ne vien nulla in tasca »
« Orsù, » interruppe il bravo, « se la cosa avesse a
decidersi a ciarle, WÀ ci metterebbe in sacco. Noi non
ne sappiamo, nò vogliam saperne di più. IJoir.o avvertito ....
lei e' intende. »
18 1 PROMESSI SPOSI
« Ma lor signori son troppo giusti, troppo ragione-
voli .... »
« Ma, " interruppe questa volta l'altro compapfnone.
che non aveva parlato fin allora, « ma il matrisnonio non
si farà, o . . . . " e qui una buona bestemmia. « o chi
Io farà non se ne pentirà, perchè non ne avrà tempo,
e » un' altra bestemmia.
« Zitto, zitto, » riprese il primo oratore, « il signor
curato è un uomo che sa il viver del mondo; e noi
Siam galantuomini, cìie non vogliam fargli del male,
purché abbia giudizio. Signor curato, 1" illustrissimo si-
gnor don Rodrigo nostro padrone la riverisce caramente.»
Questo nome fu, nella mente di don Abbondio, come,
nel forte d'un temporale notturno, un lampo che illu-
mina momentaneamente e in confuso gli oggetti, e ac-
cresce il terrore. Fece, come per istinto, un grand' in-
chino, e disse: « se mi sapessero suggerire. ...»
* Ohi suggerire a lei cìie sa di latino! » interruppe
ancora il bravo, con un riso tra lo sguaiato e il feroce.
« A lei tocca. E sopra tutto , non si lasci uscir parola
su questo avviso che le alibiam dato per suo bene: al-
trimenti ehm sarebbe lo stesso che fare quel tal
matrimonio. Via, che vuol che si dica in suo nome al-
l'illustrissimo signor don Rodrigo? »
« Il mio rispetto .... »
« Si spieghi meglio ! ^
t Disposto disposto sempre all'ubbidienza. »
E proferendo queste parole, non sajìcva nemmen lui se
faceva una promessa , o un complimento. I bravi le
presero , o mosfraron di prenderle nel significato più
.serio.
« Benissimo, e buon.i notte, messere, » disse Ttui
d'essi, in atto di partir col compagno. Don Abbondio,
che, pochi momenti jirima, avrebbe dato un occhio per
scansarli, allora avrebbe voluto prolungar la conversa-
zione e le trattative. «Signori » cominciò, chiudendo
il libro con le due mani; ma quelli, senza più dargli
CAPITOLO ì, 19
iKÌionzn, presero la strnda dond'era lui venuto, e s'al-
lontanarono . cantando una canzonaccia che non voglio
trascrivere. Il povero don A1)hondio rimase un momento
a bocca aperta, come incantato; poi prese rpiella delle
due stradette che condnceva a casa sua, meltendo in-
nanzi a stento una gamba dopo l'altra, che parevano ag-
granchiate. Come stesse di dentro, s'intenderà meglio,
quando avrem detto rpialche cosa del suo naturale, e de'
tempi in cui gli era toccato di vivere.
Don Abbondio (il lettore se n'ò già avveduto) non era
nato con un cuor di leone. Ma, fin da' primi suoi anni,
aveva dovuto comprendere che la peggior condizione, a
que" tempi, era quella d'un animale senza artigli e senza
zanne, e che pure non si sentisse inclinazione d'esser
divorato. La forza legale non proteggeva in alcun conto
Tuomo tranquillo, inolTensivo, e che non avesse altri
mezzi di far paura altrui. Non già che mancassero leggi
e pene contro le violenze private. Le leggi anzi diluvia-
vano: i delitti erano enumerati, e particolareggiati, con
miiuita prolissità: le pene, pazzamente esorbitanti e, sa
non basta, aumentabili, quasi per ogni caso, ad arbitrio
del legislatore stesso e di cento esecutori; le procedure,
studiate soltanto a liberare il giudice da ogni cosa che
potesse essergli d' impedimento a proferire una con-
danna : gli squarci che al»biam riportati delle gride con-
tro i bravi, ne sono un piccolo, ma fedel saggio. Con
tutto ciò, anzi in gran parte a cagion di ciò, quelle
gi"ide, ripubblicate e rinforzale di governo in governo,
non servivano ad altro che ad attestare ampollosamenle
rim|)otenza de' loro autori; o, se producevan (pialche
elTcIto inunediato, era i)rinci[)almente d'aggiunger molle
vessazioni a quelle che i paciiìci e i deboli già solTri-
vano da' perturbatori, e d'accrescer le violenze e l'astu-
zia di questi. L' impunità era organizzata, e aveva radici
che 1(^ gride non toccavano, o non |)olevano smovere.
Tali eran gli asili, tali i privilegi d'alcune classi, in
parte riconosciuti dalla forza legale, in i)arte tollerati
20 I PROMESSI SPOSI
con aslioso silenzio, o impugnati con vane proteste, ma
sostenuti in fatto e difesi da quelle classi, con attività
(F interesse, e con gelosia di puntiglio. Ora, qucst' ini-
fìunità minacciata e insultata, ma non distrutta dalle
gride, doveva naturalmente, a ogni minaccia, e a ogni
insulto, adoperar nuovi sforzi e nuove invenzioni, per
conservarsi. Cosi accadeva in effetto; e, all'apparire delle
gride dirette a comprimere i violenti, questi cercavano
nella loro forza reale i nuovi mezzi pii!i op|iorluni, per
continuare a far ciò che le gride venivano a proibire.
Potevan ben esse inceppare a ogni passo, e molestare
l'uomo bonario, che fosse senza forza propria e senza
protezione; perchè col fine d'aver sotto la mano ogni
uomo, per prevenire o per punire ogni delitto, assog-
gettavano ogni mossa del privato al volere arbitrario d'e-
secutori d'ogni genere. Ma chi, prima di commettere il
delitto, aveva prese le sue misure per ricoverarsi a tempo
in un convento, in un palazzo, dove i birri non avrebber
mai osato metter piede; chi, senz'altro precauzioni, por-
tava una livrea che impegnasse a difenderlo la vanità e
l'interesse d'una famiglia potente, di tutto un ceto, era
libero nelle sue operazioni, e poteva ridersi di tutto quel
fracasso delle gride. Di quegli stessi ch'eran deputati a
farle eseguire, alcuni appartenevano per nascita alla parte
j)i'ivilegiata, alcuni ne dipendevano per clientela; gli uni
e gli altri, per educazione, per interesse, per consuetu-
dine, per imitazione, ne avevano abbracciate le massime.
e si sarebbero ben guardati dall' olfenderle, per amor
d'un pezzo di carta attaccato sulle cantonate. Gli uomini
poi incaricati dell'esecuzione immediata, quando fossero
stati intraprendenti come eroi, ubbidienti come monaci,
e pronti a sacrificarsi come martiri, non avrebber però
potuto venirne alla Une, inferiori com'eran di numero
a quelli che si trattava di sottomettere, e con una gran
probabilità d'essere abbandonati da chi, in astratto e,
l)er così dire, in teoria, inijioneva loro di operare. Ma,
oltre di ciò, costoro eran generalmente de' più abbietti
C.VPITOLO T. 21
c ribnUli soggetti del loro tempo; l'incarico loro era te-
nuto a vile anche di quelli che potevano averne terrore,
e il loro titolo un ini|)roperio. Era quindi ben naturale
che costoro, in vece d'arrischiare, anzi di gettar la vita
in un'impresa disperata, vendessero la loro inazione, o
anche la loro connivenza ai potenti, e si riservassero a
esercitare la loro esecrata autorità e la forza che pure
avevano, in quelle occasioni dove non c'era pericolo;
neiroppi'imer cioè, e nel vessare gli uomini pacilìci e
senza difesa.
L'uomo che vuole offendere, o che teme, ogni mo-
mento, d'essere olTeso, cerca naturalmente alleati e com-
pagni. Quindi era, in que' tempi, portata al massimo
punto la tendenza degl'individui a tenersi collegati in
classi, a formarne delle nuove, e a procurare ognuno la
maggior potenza di quella a cui apparteneva. Il clero
vegliava a sostenere e ad estendere le sue immunità, la
nohiUà i suoi privilegi, il mUitare le sue esenzioni. I
mercanti, gli artigiani erano arrotati in maestranze e in
confraternite, i giurisperiti formavano una lega, i medici
stessi una corporazione. Ognuna di queste piccole oligar-
chie aveva una sua forza speciale e propria; in ognuna
l'individuo trovava il vantaggio d'impiegar per sé, a
proporzione della sua autorità e della sua destrezza, le
forze riunite di molti. I più onesti si valevan di questo
vantaggio a difesa soltanto; gli astuti e i facinorosi ne
approfittavano, per condurre a termino i-ihalderie, alle
quali i loro mezzi personali non sarehber bastati, e per
assicurai'sene l'impiuiità. Le forze però di ((ueste varie
leghe eran molto disuguali; e, nelle campagne ])rinci-
pahnente, il nobile dovizioso e violento, con intorno uno
stuolo di bravi, e una popolazione di contadini avvezzi,
per tradizione famigliare, e interessati o forzati a riguar-
darsi quasi come sudditi e soldati ilei jiadrone, eserci-
tava un potere, a cui dilìicilmenle nessun' altra frazione
di lega avrebbe ivi potuto resistere.
Il nostro Abbondio, non nobile, ikhi i'ìcciì, coraggioso
^2 I PROMESSI SPOSI
ancor meno, s'era dunque accorto, primi quasi di toccar
•^li anni della discrezione, d'essere, in quella società,
come un vaso di terra cotta, costretto a viaggiare in com-
pagnia (li molti vasi di ferro. Aveva quindi, assai di buon
grado, ubbidito ai parenti, clic lo vollero prete. Per dir
la verità, non aveva gran fatto pensato agii obbligbi e
ai nobili fini del ministero al quale si dedicava: procac-
ciarsi di cbe vivere con qualcbe agio, e mettersi in una
classe riverita e forte, gli eran sembrate due ragioni più
cbe sufiìcienti per una tale scelta. Ma una classe qua-
lunque non protegge un individuo, non lo assicura, die
fino a un certo segno: nessuna lo dispensa dal farsi un
suo sistema particolare. Don Abbondio, assorbito conti-
nuamente ne' pensieri della propria quiete, non si curava
di que' vantaggi, per ottenere i quali, facesse bisogno
d'adoperarsi molto, o d'arrischiarsi un poco. Il suo si-
stema consisteva principalmente nello scansar tutti i con-
trasti, e nel cedere, in quelli cbe non poteva scansare.
Neutralità disarmata in tutle le guerre che scoppiavano
intorno a lui, dalle contese, allora frequentissime, tra il
clero e le podestà laiche, tra il militare e il civile, tra
nobili e nobili, fino alle questioni tra due contadini, nate
da una parola, e decise coi pugni o con le coltellate,
se si trovava assolutamente costretto a prender parte tra
due contendenti, slava col più forte, sempre però alla
retroguardia, e procurando di far vedere all'altro ch'egli
non gli era volontariamente nemico: pareva cbe gli di-
cesse: ma perchè non avete saputo esser voi il più forte?
ch'io mi sarei messo dalla vostra parte. Stando alla larga
da' prepotenti, dissimulando le loro soverchierie passeg-
giere e capricciose, corrispondendo con sommissioni a
quelle che vx^nissero da un'intenzione più seria e più
meditata, costringendo, a forza d'inchini e di rispetto
gioviale, anche i più burberi e sdegnosi, a fargli un
sorriso, ((uando gl'incontrava per la strada, il pover'uomo
era riuscito a passare i sessanl'anni, senza gran bur-
rasclie.
CAPITOLO 1. 23
Non ò però che non avesse nnclie lui il suo po' di
fiele in corpo: e quel conti uno esercitar la pa/.ienza,
qnel dar cosi spesso ragione agli altri, qne' tanti bocconi
amari inghiottiti in silenzio, glielo avevano esacerbato a
segno che. se non avesse, di tanto in tanto, potuto dargli
nn po' di sfogo, la sua salute n'avrebbe certamente sof-
ferto. Ma siccome v'eran poi finalmente al mondo, e vi-
cino a lui, pr'rsone ch'egli conosceva ben bene per in-
capaci di far male, così poteva con quelle sfogare qualche
volta il mal umore lungamente represso, e cavarsi anche
lui la voglia d'essere nn po' fantastico', e di gridare a
torto. Era poi un rigido censore degli uomini che non
si regolavan come lui. quando però la censura potesse
esercitarsi senza alcuno, anche lontano, pericolo. Il bat-
tuto era almeno almeno nn imprudente; l'ammazzato
era sempre stato un uomo torbido. A chi, messosi a
sostener le sue ragioni contro un potente, rimaneva col
capo rotto, don Abbondio sapeva trovar sempre qualche
torto, cosa non dilTicile, perchè la ragione e il torto non
si dividon mai con un taglio cosi netto, che ogni parto
abbia soltanto dell'uno o dell'altro. Soi)ra tutto poi, de-
clamava contro que'suoi confratelli che, a loro rischio,
prendevan le parti d'un debole oppresso, contro un so-
verchiatore potente. Questo chiamava un comprarsi gì' im-
picci a contanti, un voler raddrizzar le gambe ai cani;
diceva anche severamente, ch'era un mischiarsi nelle
cose profane, a danno della dignità del sacro ministero.
E contro questi predicava, sempre però a (juattr' occhi,
0 in un piccolissimo crocchio, con tanto più di veemenza,
(pianto più essi eran conosciuti per alieni dal risentirsi,
in cosa che li toccasse pers(ìnalinente. Aveva poi una
sua sentenza prediletta, con la quale sigillava sempre i
discorsi su queste materie: che a un galantuomo, il
quale badi a sé, e stia ne' suoi panni, non accadon mai
brutti incontri.
Pensino ora i miei venlicinqiu; lettori che impressione
dovesse fare sull'animo del |)overetto , (piello che s'è
24 I PROMESSI SPOSI
racconlnlo. Lo spavento di quo' visacci e di lineilo pa-
rolaccie, la minaccia d'un signore nolo per non minac-
ciare invano, un sistema di quieto vivere, ch'era costalo
tanti anni di studio e di pazienza, sconcertato in un
punto, 0 un passo dal quale non si poteva veder come
uscirne; lutti questi pensieri ronzavano lumultuariamenle
nel capo basso di don Abbondio. — Se Renzo si potesse
mandare in pace con un bel no, via; ma vorrà delle
ragioni; e cosa ho da rispondergli, per amor del cielo?
E, e, e, anche costui è una testa: un agnello se nes-
sun lo tocca, ma se uno vuol contraddirgli.... ih! E
poi, e poi, perduto dietro a quella Lucia, innamorato
come .... Ragazzacci, che, per non saper che fare, s'in-
namorano, voglion maritarsi, e non pensano ad altro;
non si fanno carico de' travagli in che mettono un po-
vero galantuomo. Oh povero mei vedete se quelle due
figuracele dovevan proprio piantarsi sulla mia strada, e
prenderla con mei Che c'entro io? Son io che voglio
maritarmi? Perchè non son andati piuttosto a parlare
Oh vedete un poco: gran destino è il mio, che le cose
a proposito mi vengan sempre in mente un momento
dopo l'occasione. Se avessi pensato di suggerir loro che
andassero a portar la loro ambasciata — Ma, a que-
sto punto, s'accorse che il pentirsi di non essere stalo
consigliere e cooperatore dell'iniquità era cosa troppo
iniqua; e rivolse tutta la stizza de' suoi pensieri contro
quell'altro che veniva così a togliergli la sua pace. Non
conosceva don Rodrigo che di vista e di fama, uè aveva
mai avuto che far con lui, altro che di toccare il petto
col mento, e la terra colla punta del suo cappello, quelle
poche volte che l'aveva incontrato per la strada. Gli era
occorso di difendere, in più d' un'occasione, la riputa-
zione di quel signore, contro coloro che, a bassa voce,
sospirando, e alzando gli occhi al cielo, maledicevano
qualche suo fatto : aveva dello cento volle ch'era un ri-
s])ettabile cavaliere. Ma, in quel momento, gli diede in
cuor suo tulli (pie' titoli che non aveva mai udilo ap-
CAPITOLO I. 25
plicargli da altri, senza interrompere in fretta con un
oibò. Giunto, tra il tumuUo di questi pensieri, alla porta
di casa sua, eh' era in fondo del paesello, mise in fretta
nella toppa la chiave , che già teneva in mano; aprì,
entrò, richiuse diligentemente, e, ansioso di trovarsi in
una compagnia fidata, chiamò subito: «Perpetua! Per-
petua! », avviandosi pure verso il salotto, dove questa
doveva esser certamente ad apparecchiar la tavola per
la cena. Era Perpetua, come ognun se n'avvede, la serva
di don Abbondio: serva affezionata e fedele, che sapeva
ubbidire e comandare, secondo l'occasione, tollerare a
tèmpo n brontolìo e le fantasticaggini del padrone, e far-
gli a tempo tollerar le proprie, che divenivan di giorno
in giorno più frequenti, da che avea passata l'età sino-
dale dei quaranta, rimanendo celibe, per aver rifiutati
tutti i partiti che le si erano offerti, come diceva lei, o
per non aver mai trovato un cane che la volesse, come
dicevan le sue amiche.
« Vengo, » rispose, mettendo sul tavolino, al luogo
solito, il fiaschetto del vino prediletto di don Abbondio,
e si mosse lentamente; ma non aveva ancor toccata la
soglia del salotto, eh' egli v' entrò, con un passo così le-
gato , con uno sguardo così adombrato, con un viso
così stravolto^ che non ci sarebbero nemmen bisognati
gli occhi esperti di Perpetua, per isco|)rire a prima vista
che gli era accaduto qualche cosa di straordinario davvero.
« Misericordia! cos'ha, signor padrone? »
« Niente, niente, » rispose don Abbondio, lasciandosi
andar tutto ansante sul suo seggiolone.
« Come, niente? La vuol dare ad intendere a me?
così brutto com'è? Qualche gran caso è avvenuto. »
« Oh, per amor del cielo! Quando dico niente, o è
niente, o è cosa che non posso dire. »
« Che non può dir neppure a me? Chi si prenderà
cura della sua salute? Chi le darà un parere?....»
« Ohimè! tacete, e non apparecchiate altro: datemi
un bicchier del mio vino. »
26 I PROMESSI SPOSI
« E lei mi vorrà sostenere che non hn niente! » disse
Porpetua, empiendo il l)iccliicro, e lenendolo poi in mano,
come se non volesse darlo che in premio della confi-
denza che si faceva tanto aspettare.
« Date qui, date qui, » disse don Abbondio, pren-
dendole il bicchiere, con la mano non ben ferma; e vo-
tandolo poi in fretta, come se fosse una medicina.
8 Yuol dunque ch'io sia costretta di domandar qua
e là cos'è accaduto al mio padrone? » disse Perpetua,
ritta dinanzi a lui, con le mani arrovesciate sui fìanclii,
e le gomita appuntate davanti, guardandolo fisso, quasi
volesse succhiargli dagli occhi il segreto.
« Per amor del cielo! non fate pettegolezzi, non fate
schiamazzi: ne va ... . ne va la vita! >
« La vita! »
« La vita. »
« Lei sa bene, che ogni volta che m'ha detto qual-
che cosa sinceramente, in confidenza, io non ho mai ...»
« Brava! come quando .... »
Perpetua s' avvide d'aver toccalo un tasto falso; onde,
cambiando subito il tono , « signor padrone , » disse,,
con voce commossa e da commovere, « io le sono sem-
pre stata affezionata; e, se ora voglio sapere, è per pre-
mura, perchè vorrei poterla soccorrere, darle un buon
[•arere, sollevarle l'animo .... »
Il fatto sta che don Abbondio aveva forse .tanta voglia
di scaricarsi del suo doloroso segreto, quanta ne avesse
Perpetua di conoscerlo : onde, dopo aver respinti sempre
pii!i debolmente i nuovi e più incalzanti assalti di lei ,
dopo averle fatto più d'una volta giurare che non fia-
lereltbe, finalmente, con molle sospensioni, con molti
ohimè, le raccontò il miserabile caso. Quando si venne
al nome terribile del mandante, bisognò che Perpetua
proferisse un nuovo e più solenne giuramento; e don
Abbondio, pronunziato quel nome, si rovesciò sulla
spalliera della seggiola , con un gran sospiro , alzando
le mani in atto insieme di comando e di supplica, e di-
cendo: e per amor del cielo! »
CAPITOLO 1. 27
« Delle sue! » esclamò Perpetua. « Oh che birbone!
oh che soverchiatore ! 0 che uomo senza timor di Dio!^
« Volete tacere? o volete rovinarmi del lutto"? »
« Oh! slam qui soli che nessun ci sente. Ma come
farà, povero signor padrone?»
« Oh vedete, » disse don Abbondio, con voce stizzosa :
« vedete che bei pareri mi sa dar costei! Viene a do-
mandarmi come farò, come farò; quasi fosse lèi nell'im-
piccio, e toccasse a me levamela. »
« Ma! io l'avrei bene il mio povero parere da darle;
ma poi .... »
« Ma poi, sentiamo. »
« Il mio parere sarebbe che, siccome tutti dicono che
il nostro arcivescovo è un sant' uomo , e un uomo di
polso, e che non ha paura di nessuno, e quando può
fare star a dovere un di questi prepotenti, per soste-
nere un curato, ci gongola; io direi, e dico che lei gli
scrivesse una bella lettera, per informarlo come qual-
mente .... »
1 Volete tacere? volete tacere? Son pareri codesti da
dare a un pover'uomo? Quando mi fosse toccata una
schioppettata nella schiena, Dio hberi ! l'arcivescovo me
la leverebbe? "
« Eh! le schioppettate non si danno via come con-
fetti; e guai se questi cani dovessero mordere tutte le
volte che abbaiano! E io ho sempre veduto che a chi
sa mostrare i denti, e farsi stimare, gli si porta rispetto;
e, appunto perchè lei non vuol mai dir la sua ragione,
Siam ridotti a segno che tutti vengono, con licenza a ... »
« Volete tacere? »
« Io taccio subito; ma è però certo che, quando il
mondo s'accorge che uno, sempre, in ogni incontro, ò
pronto a calar le . . ,. . »
« Volete tacere? È tempo ora di dir codeste bag-
gianate? >■>
« Basta: ci penserà questa notte; ma intanto non
cominci a farsi male da sé, a rovinarsi la salute; mangi
un boccone. »
28 I PROMESSI SPOSI, CAPITOLO I.
« Ci penserò io, » rispose, brontolando, don Abbon-
dio: « sicuro; io ci penserò, io ci ho da pensare. » E
s'alzò, continuando: « non voglio prender niente; niente;
ho altra voglia: lo so anch'io che tocca a pensarci a
me. Ma ! la doveva accader per 1' appunto a me. »
« Mandi almen giù quesf altro gocciolo, » disse Per-
petua, mescendo. « Lei sa che questo le rimette sem-
pre lo stomaco, j
« Eh! ci vuol altro, ci vuol altro, ci vuol altro. »
Cosi dicendo, prese il lume, e, brontolando sempre:
« una piccola bagattella! a un galantuomo par mio! e
domani com' andrà? » e altre simili lamentazioni, s'av-
viò per salire in camera. Giunto su la soglia, si voltò in-
dietro verso Perpetua , mise il dito sulla bocca , disse ,
con tono lento e solenne: « per amor del cielo! » e
disparve.
I
CAPITOLO II.
Si racconta che il principe di Concie dormi profon-
damente la notte avanti la giornata di Rocroi: ma, in
primo luogo, era molto alTaticato; secondariamente aveva
già date tutte le disposizioni necessarie, e stabilito ciò
che dovesse fare, la mattina. Don Abbondio in vece non
sapeva altro ancora se non che l'indomani sarebbe giorno
di battaglia; quindi una gran parte della notte fu spesa
in consulte angosciose. Non far caso delT intimazione
ribalda, nò delle minaccio, e fare il matrimonio, era un
partito, che non volle noppur mettere in deliberazione.
Confidare a Renzo 1' occorrente, e cercar con lui qualche
mezzo .... Dio liberi! « Non si lasci scappar parola ....
altrimenti .... cluii! » aveva detto uno di quei bravi;
e, al sentirsi rimbombar {[wcW ehìii! nella mente, don
Abbondio, non che pensare a trasgredire una tal legge,
si pentiva anche dell'aver ciarlato con Perpetua. Fug-
gire? Dove? E poi! Quant' impicci, e quanti conti da
rendere! A ogni partito che rifiutava, il pover'uomosi
rivoltava nel letto. Quello che, per ogni verso, gli parve
il meglio 0 il men mal(3, fu di guadagnar tempo, me-
nando Renzo per le lunghe. Si rammentò a proposito,
30 I PROMESSI SPOSI
che mancavan pochi giorni al tempo proihito per le
nozze; — e, se posso tener a bada, per questi pochi
giorni, quel ragazzone, ho poi due mesi di respiro: e,
in due mesi, può nascer di gran cose. — Ruminò pre-
testi da metter in campo; e, benché gli paressero un
po' leggieri, pur s'andava rassicurando col pensiero che
la sua autorità gli avrebbe fatti parer di giusto peso^
e che la sua antica esperienza gli darebbe gran van-
taggio sur un giovanetto ignorante. — Vedremo, — di-
ceva tra se: — egli pensa alla morosa; ma io penso alla
pelle: il più interessato son io, lasciando stare che sono
il più accorto. Figliuol caro, se tu ti senti il bruciore
addosso, non so che dire; ma io non voglio andarne di
mezzo. — Fermato così un poco l'animo a una delibe-
razione, potè finalmente chiuder occhio: ma che sonno!
che sogni! Bravi, don Rodrigo, Renzo, viottole, rupi, fu-
ghe, inseguimenti, grida, schioppettate.
Il primo svegliarsi, dopo una sciagura, e in un im-
piccio, è un momento molto amaro. La mente, appena
risentita, ricorre all'idee abituali della vita tranquilla
antecedente; ma il pensiero del nuovo stato di cose le
si afì'accia subito sgarbatamente; e il dispiacere ne è più
vivo in quel paragone istantaneo. Assaporato dolorosa-
mente questo momento, don Abbondio ricapilolò subito
i suoi disegni della notte, si confermò in essi, gli ordinò
meglio, s'alzò, e stette aspettando Renzo con timore e,
ad un tempo, con impazienza.
Lorenzo o, come dicevan tutti, Renzo non si fece
molto aspettare. Appena gli parve ora di poter, senza
indiscrezione, presentarsi al curato, v'andò, con la lieta
furia d'un uomo di veni' anni, che deve in quel giorno
sposare quella che ama. Era, fin dall' adolescenza, rima-
sto privo de' parenti, ed esercitava la professione di fi-
latore di seta, ereditaria, per dir cosi, nella sua famiglia;
professione, negli anni indietro, assai lucrosa; allora già
in decadenza, ma non però a segno che un abile ope-
Fiuo non potesse cavarne di che vivere onestamente. Il
CAPITOLO II. 31
lavoro andava di giorno in giorno scemando; ma l'emi-
grazione continua de' lavoranti, attirati negli stali vicini
da promesse, da privilegi e da grosse paghe, feceva sì
che non ne mancasse ancora a quelli che rimanevano
in paese. Oltre di questo, possedeva Renzo un poderetto
che faceva lavorare e lavorava egli stesso, quando il fi-
latoio stava fermo; di modo che, per la sua condizione,
poteva dirsi agiato. E quantunque quell'annata fosse an-
cor più scarsa delle antecedenti, e già si cominciasse a
provare una vera carestia, pure il nostro giovine, che,
da quando aveva messi gli occhi addosso a Lucia, era
divenuto massaio, si trovava provvisto bastantemente, e
non aveva a contrastar con la fame. Comparve davanti
a don Abbondio, in gran gala, con penne di vario co-
lore al cappello , col suo pugnale del manico bello ,
nel taschino de' calzoni, con una cert' aria di festa e
nello stesso tempo di braverìa, comune allora anche agli
uomini più quieti. L'accoglimento incerto e misterioso
di don Abdondio fece un contrapposto singolare ai modi
gioviali e risoluti del giovinotto.
— Che abbia qualche pensiero per la testa. — argo-
mentò Renzo tra se, poi disse; « son venuto, signor
curato, per sapere a che ora le comotla che ci troviamo
in chiesa. »
« Di che giorno volete parlare? »
« Come, di che giorno? non si ricorda che s'è fis-
sato per oggi? »
« Oggi? » replicò don Abbondio, come se ne sentisse
parlare per la prima volta. « Oggi , oggi .... abbiate
pazienza, ma oggi non posso. »
« Oggi non può! Cos'è nato? »
1 Prima di tutto, non mi sento bene, vedete. •
« Mi dispiace; ma (juello che ha da fare ò cosa di
così poco tempo, e di così poca fatica.. . »
« E poi, e poi, e poi.... »
« E poi che cosa? »
« E poi c'è dogli imbrogli. »
3iì 1 PROMESSI SPOSI
« Degli imbrogli? Che imbrogli ci può essere"? »
« Bisognerebbe trovarsi nei nostri piedi, per conoscer
quanti impicci nascono in queste materie, quanti conti
s' ha da rendere, lo son troppo dolce di cuore, non
penso che a levar di mezzo gli ostacoli, a facilitar tutto,
a far le cose secondo il piacere altrui, e trascuro il mio
dovere; e poi mi tocca de' rimproveri, e peggio. »
^< Ma col nome del cielo, non mi tenga così .sulla
corda, e mi dica chiaro e netto cosa e' è. >■>
« Sapete voi quante e quante formalità ci vogliono
per fare un matrimonio in regola ? »
« Bisogna ben eh' io ne sappia qualche cosa, » disse
Renzo, cominciando ad alterarsi, a poiché me ne ha già
rotta bastantemente la testa, questi giorni addietro. Ma
ora non s'è sbrigato ogni cosa? non s'è fatto tutto ciò
che s'aveva a fare? »
• Tutto, tutto, pare a voi: perchè abbiate pazienza,
la bestia son io, che trascuro il mio dovere, per non
far penare la gente. Ma ora basta, so quel che dico.
Noi poveri curali siamo tra l'ancudine e il martello:
voi impaziente; vi compatisco, povero giovane; e i su-
periori— basta, non si può dir tutto. E noi slam queUi
che ne andiam di mezzo. »
« Ma mi spieghi una volta cos' è quest' altra forma-
lità che s'ha a fare, come dice; e sarà subilo fatta. »
« Sapete voi quanti sieno gì' impedniienti dirimenti? »
« Che vuol ch'io sappia d'impedimenti? »
t Error , conditio , votum , cognatio , crimen ,
Cultus disparitas, vis, ordo, ligameu, honeslas,
Si sis affinis .... »
cominciava don Abbondio, contando sulla punta delle dita.
« Si piglia gioco di me? » interruppe il giovine. « Che
vuol cb'io faccia del suo latinorum:^ »
« Dunque, se non sapete le cose, abbiate pazienza, e
rimettetevi a chi le sa. »
» Orsù! . . . . T>
« Via , caro Renzo , non andate in collera , che son
CAPITOLO 11. 33
pronto a fare.... tutto quello che dipende da me. Io,
io vorrei vedervi contento; vi voglio bene io. Eh!
quando penso che stavate così bene; cosa vi mancava?
v'è saltato il grillo di maritarvi.... »
« Che discorsi son questi, signor mio? » proruppe
Renzo, con un volto tra l'attonito e l'adirato.
« Dico per dire, abbiate pazienza, dico per dire. Vor-
rei vedervi contento. »
« In somma .... »
« In somma , figliuol caro , io non ci ho colpa ; la
legge non l'ho fatta io. E prima di conchiudere un
matrimonio , noi slam proprio obbligati a far molte e
molte ricerche , per assicurarci che non ci siano impe-
dimenti. »
« Ma via, mi dica una volta che impedimento è so-
pravvenuto ? »
« Abbiate pazienza, non son cose da potersi decifrare
così su due piedi. Non ci sarà niente, così spero; ma,
non ostante , queste ricerche noi le dobbiam fare. Il
testo è chiaro e lampante : antequam matrunonium de-
nunciel .... »
« Le ho detto che non voglio latino. »
« Ma bisogna pur che vi spieghi .... »
« Ma non le ha già fatte queste ricerche? »
« Non le ho fatte tutte, come avrei dovuto, vi dico. »
« Perchè non le ha fatte a tempo? perchè dirmi che
tutto era finito? perchè aspettare .... »
« Eccol mi rimproverato la mia troppa bontà. Ho fa-
cilitato ogni cosa per servirvi più presto : ma ma
ora mi son venute basta, so io. »
» E che vorrebbe eh' io facessi ? »
« Che aveste pazienza per ([ualche giorno. Figliuol
caro, qualche giorno non è poi l'eternità: abbiate pa-
zienza. »
« Per quanto? »
— Siamo a buon porto, — pensò tra sé don Abbon-
dio ; e , con un l'are più manieroso clie mai , « via , »
34 I PROMESSI SPOSI
disse: in quindici giorni cercherò procurerò »
« Quindici giorni! oh qucsla sì ch'è nuova! s'è fallo
tulio ciò che ha vokilo lei; s'è fissato il giorno; il giorno
arriva ; e ora lei mi viene a dire che aspelli quindici
giorni! Quindici » riprese poi, con voce più alta
e stizzosa, stendendo il hraccio, e battendo il pugno
nell'aria; e chi sa qual diavoleria avrebbe attaccata a
quel numero, se don Abbondio non l'avesse interrotto,
prendendogli 1' alti'a mano, con un' amorevolezza timida
e premurosa: « via, via, non v'alterale, per amor del
cielo. Vedrò, cercherò se, in una settimana .... »
« E a Lucia che devo dire? »
« Ch' è stato un mio sbaglio. »
« E i discorsi del mondo? »
« Dite pure a tutti, che ho sbaglialo io, per troppa
furia, per troppo buon cuore: gettate tutta la colpa ad-
dosso a me. Posso parlar meglio? via, per una settimana. »
« E poi, non ci sarà più altri impedimenti? »
« Quando vi dico .... »
« Ebbene: avrò pazienza per una settimana; ma ri-
tenga bene che, passata questa, non m'appagherò più
di chiacchiere. Intanto la riverisco. » E cosi detto, se
n'andò, facendo a don Abbondio un inchino men pro-
fondo del solilo, e dandogli un' occhiala più espressiva
che riverente.
Uscito poi, e camminando di mala voglia, per la prima
volta, verso la casa della sua promessa, in mezzo alla
sti/.za, tornava con la mente su quel colloquio; e sem-
pre più lo trovava strano. L'accoglienza fredda e im-
picciata di don Abbondio, quel suo parlare stentato in-
sieme e impaziente , que' due occhi grigi che , mentre
parlava, eran sempre andati scappando qua e là, come
se avesser avuto paura d' incontrarsi con le parole che
gli uscivan di bocca, quel farsi quasi nuovo del matri-
monio cosi espressamente concertalo, e sopra tutto quel-
r accennar sempre qualche gran cosa, non dicendo mai
nulla di chiaro ; tulle queste circostanze messe insieme
I
CAPITOLO II. 3b
facevan pensare a Renzo che ci fosse sotto un mistero
diverso da quello die don Abbondio aveva voluto far
credere. Stette il giovine in forse un momento di tor-
nare indietro, per metterlo alle strette, e farlo parlar
pii^i chiaro ; ma alzando gli occhi , vide Perpetua che
camminava dinanzi a lui , ed entrava in un orticello
pochi passi distante dalla casa. Le diede una voce, men-
tre essa apriva l'uscio; studiò il passo, la raggiunse, la
ritenne sulla soglia , e , col disegno di scovar qualche
cosa di più positivo, si fermò ad attaccar discorso con essa.
» Buon giorno, Perpetua: io speravo che oggi si sa-
rebbe stati allegri insieme. »
« Mal quel che Dio vuole, il mio povero Renzo. »
« Fatemi un piacere: quel benedett' uomo del signor
curato m'ha impastocchiate certe ragioni che non lio
potuto ben capire; spiegatemi voi meglio perchè non
può 0 non vuole maritarci oggi. »
« Oh ! vi par egh ci' io sappia i segreti del mio
padrone? »
— L' ho detto io, che e' era mistero sotto, — pensò
Renzo; e, per tirarlo in luce, continuò: « via, Perpetua;
siamo amici; ditemi quel che saj)ete, aiutate un povero
figliuolo. J>
« Mala cosa nascer povero, il mio caro Renzo. »
« È vero, » riprese (luesto , sempre pii^i conferman-
dosi ne' suoi sospetti; e cercando d'accostarsi più alla
questione, « è vero^, » soggiunse, « ma tocca ai preti
a trattar male co' poveri? »
Sentite Renzo ; io non posso dir niente , lìcrchè ....
non so niente; ma quello che vi posso assicurare òche
il mio padrone non vuol far torto , nò a voi uè a nes-
suno; e lui non ci ha colpa.
« Chi è dunque che ci ha colpa? » domandò Renzo,
con un cert'atto trascurato, ma col cuor sospeso, e con
l'orecchio all' erta.
a Quando vi dici) che non so niente .... In difesa
del mio padrone, posso parlare; perchè mi fa male scn-
36 I PROMESSI SPOSI
tire che gli si dia carico di voler far dispiacere a qual-
cheduno. Pover' uomo ! se pecca , è per troppa bontà.
C è bene a questo mondo de' birboni . dei prepotenti ,
degli uomini senza timor di Dio .... »
— Prepotenti I birboni ! — pensò Renzo: — questi
non sono i superiori. « Via, » disse poi, nascondendo
a stento 1' agitazione crescente, « via, ditemi chi è. »
« Ah I voi vorreste farmi parlare ; e io non posso par-
lare, perchè non so niente : quando non so niente,
è come se avessi giurato di tacere. Potreste darmi la
corda , che non mi cavereste nulla di bocca. Addio ; è
tempo perduto per tutt' e due. » Così dicendo, entrò in
•fretta nell'orto, e chiuse l'uscio. Renzo, rispostole con
un saluto, tornò indietro pian piano, per non farla ac-
corgere del cammino che prendeva; ma quando fu fuor
del tiro dell'orecchio della buona donna, allungò il passo;
in un momento fu all' uscio di don Abbondio ; entrò ,
andò diviato al salotto dove l'aveva lasciato, ve lo trovò,
e corse verso lui , con un fare ardito . e con gli occhi
stralunati.
« Eh! eh! che novità è questa? » disse don Abbondio.
« Chi è quel prepotente, » disse Renzo, con la voce
d'un uomo risoluto d'ottenere una risposta precisa,
« chi è quel prepotente che non vuol ch'io sposi Lucia? »
« Che? che? che? » balbettò il povero sorpreso, con
un volto fatto in un istante bianco e floscio, come un
cencio che esca del bucato. E, pur brontolando, spiccò
un salto dal suo seggiolone, per lanciarsi all' uscio. Ma
Renzo, che doveva aspettarsi quella mossa, e stava al-
l'erta, vi balzò prima di lui, girò la chiave, e se la
mise in tasca.
«■ Ah! ahi parlerà ora, signor curato? Tutti sanno i
fatti miei, fuori di me. Voglio saperli, per bacco, an-
ch' io. Come si chiama colui ? »
« Renzo! Renzo! per carità, badale a quel che fate;
pensate all' anima vostra. »
« Penso che voglio saper subito, sul momento. » E,
CAPITOLO II. 37
COSI dicendo, mise, forse senz' avvedersene, la mano sui
manico del coltello che gli usciva dal taschino.
« Misericordia! » sclamò con voce fioca don Abbondio.
« Lo voglio sapere. »
« Chi v'ha detto »
« No, no; non più fandonie. Parli chiaro e subito. «
« Mi volete morto? »
« Voglio sapere ciò che ho ragion di sapere. >>
« Ma se parlo, son morto. Non m' ha da premere la
mia vita? »
« Dunque parli. «
Quel « dunque » fu proferito con una tal energia,
l'aspetto di Renzo divenne così minaccioso, che don Ab-
bondio non potè più nemmen supporre la possibilità di
disubbidire.
« Mi promettete, mi giurate, » disse <> di non par-
larne con nessuno, di non dir mai ? »
« Le prometto che fo uno sproposito, se lei non mi
(lice subito subito il nome di colui. »
A quel nuovo scongiuro, don Abbondio, col volto,
e con lo sguardo di chi ha in bocca le tanaglie del ca-
vadenti, proferì : « don «
« Don » ripetè Renzo, come per aiutare il paziente
a buttar fuori il resto; e stava curvo con l'orecchio
chino sulla bocca di lui, con le braccia tese, e i pugni
stretti all' indietro.
« Don Rodrigo! » pronunziò in fretta il forzato, pre-
cipitando quelle poche sillabe, e strisciando le conso-
nanti, parte per il tuibamento, parte perchè, rivolgendo
pure quella poca attenzione che gli rimaneva libera, a
fare una transazione tra le due paure, pareva che volesse
sottrarre e fare scomparir la parola, nel punto stesso
eh' era costretto a metterla fuori.
« Ah cane! » urlò Renzo. « E come ha l'alto? Cosa
le ha detto per .... ? >•
" Come eli? come?» rispo.se, con voce quasi sde-
gnosa, don Abbondio, il quale, dopo un sì gran sagrifì-
38 1 PROMESSI SPOSI
zio, si sentiva in certo modo divennlo creditore, « Co-
me eh? Vorrei che la fosse toccala a voi, come è toccala
a me, che non e' entro per nulla, che certamente non
vi sarebber rimasti tanti gi'illi in capo. * E qui si fece
a dipinger con colori terribili il brutto incontro; e, nel
discorrere, accorgendosi sempre più d' una gran collera
che aveva in corpo, e che fin allora era stata nascosta
e involta nella paura, e vedendo nello stesso tempo che
Renzo, tra la rabbia e la confusione, stava immobile,
col capo basso, continuò allegramente: « avete fatta una
bella azione! M'avete reso un bel servizio! Un tiro di
questa sorte a un galantuomo, al vostro curato! in casa
sua! in luogo sacro! Avete fatta una bella prodezza!
Per cavarmi di bocca il mio malanno, il vostro malan-
no! ciò ch'io vi nascondeva per prudenza, per vostro
bene! E ora che lo sapete? Vorrei vedere che mi face-
ste.... ! Per amor del cielo ! Non si scherza. Non si
tratta di torto o di ragione; si tratta di forza. E quando,
questa mattina, vi dava un buon parere eh! subilo
nelle furie. Io aveva giudizio per me e per voi; ma
come si fa? Aprite almeno; datemi la mia chiave. »
« Posso aver fallato, » rispose Renzo, con voce rad-
dolcita verso don Abbondio, ma nella quale si sentiva
il furore contro il nemico scoperto: « posso aver fal-
lato; ma si metta la mano al petto, e pensi se nel mio
caso ...»
Cosi dicendo, s'era levata la chiave di tasca, e an-
dava ad aprire. Don Abbondio gli andò dietro, e, men-
tre quegli girava la chiave nella toppa, se gli accostò,
e, con volto serio e ansioso, alzandogli davanti agli
occhi le tre prime dita della destra, come per aiutarlo
anche lui dal canto suo, » giurate almeno » gli
disse.
« Posso aver fallato; e mi scusi, » rispose Renzo,
aprendo, e disponendosi ad uscire.
« Giurate » replicò don Abbondio, afferrandogli
il braccio con la mano tremante.
CAPITOLO II. 39
« Posso aver fallato, >> ripetè Renzo, sprigionandosi
da Ini; e partì in fnria, troncando così la qnestione,
elle, al pari d' nna qnestione di letleratnra o di tìlosofia
0 d' altro, avrebbe potuto dnrar dei secoli, giacché ognu-
na delle parti non faceva clie replicare il suo proprio
argomento.
« Perpetua ! Perpetua ! » gridò don Aljhondio, dopo
avere invano richiamato il fuggitivo. Perpetua non ri-
sponde: don Abbondio non sapeva piì^i in che mondo
si fosse.
È accaduto più d' una volta a personaggi di ben pii^i
alto affare che don Abbondio, di trovarsi in frangenti
cosi fastidiosi, in tanta incertezza di partiti, che parve
loro un ottimo ripiego mettersi a letto con la febbre.
Onesto ripiego, egli non lo dovette andare a cercare,
perchè gli si offerse da sé. La paura del giorno avanti,
la veglia angosciosa della notte, la paura avuta in quel
momento, 1' ansiel.à dell' avvenire, fecero l'effetto. AfTan-
nato é l)alordo, si ripose sul suo seggiolone, cominciò
a sentirsi qualche brivido nell' ossa, si guardava le un-
ghie sospirando, e chiamava dì tempo in tempo, con voce
tremolante e stizzosa: « Perpetua! » La venne final-
mente, con un gran cavolo sotto il braccio, e con la
l'accia tosta, come se nulla fosse stato. Risparmio al let-
tore i lamenti, le condoglianze, le accuse, le difese, i
« voi sola potete aver parlato, » e i « non ito parlato, »
tutti i pasticci in somma di quel colloipiio. Basti diro
che don Abbondio ordinò a Perpetua di metter la stanga
air uscio, di non aprir più per nessuna cagione^ e, se
alcun bussasse, risponder dalla finestra che il curato era
andato a letto con la febbi'e. Salì poi leidameide le
scale', dicendo, ogni tre gradini, « son servito; » e si
mise davvero a letto, dove lo lasceremo.
Renzo intanto camminava a passi infuiàali ^r^s() casa,
senza aver detcì'miiialo qu(>l che dovesse fare, ma con
una smania aildosso di fai' ([ualcosa di strano (^ di ter-
ribile. I provocatori, i soverchiatori, lutti coloro che, in
40 I PROMESSI SPOSI
qualunque modo, fanno torlo altrui, sono rei, non solo
del male clic commettono, ma del perviMiimento ancora
a cui portano gli animi degli olTesi. Renzo era un gio-
vane pacifico e alieno dal sangue, un giovane schietto
e nemico d' ogni insidia; ma, in que' momenti, il suo
cuore non batteva che per 1' omicidio, la sua mente non
era occupata che a fantasticare un Iradimenlo. Avrehlte
voluto correre alla casa di don Rodrigo, atTerraiio per
il collo, e ma gli veniva in mente ch'era come una
fortezza, guarnita di bravi al di dentro, e guardata al
di fuori; che i soli amici e servitori ben conosciuli
v' entravan liberamente, senza essere squadrati da capo
a piedi ; che un artigianello sconosciuto non vi polreb-
b' entrare senza un esame, e ch'egli sopra lutto....
egli vi sarebbe forse troppo conosciuto. Si figurava al-
lora di prendere il suo schioppo, d' appiattarsi dietro
una siepe, aspettando se mai, se mai colui venisse a
passar solo; e, internandosi, con feroce compiacenza, in
queir immaginazione, si figurava di sentire una pedala,
quella pedata, d'alzar chetamente la testa; riconosceva
lo scellerato, spianava lo schioppo, prendeva la mira,
sparava, lo vedeva cadere e dare i tratti, gli lanciava
una maledizione, e correva sulla strada del confine a
mettersi in salvo. — E Lucia? — Appena questa parola
si fu gettata a traverso di quelle bieche fantasie, i mi-
gliori pensieri a cui era avvezza la mente di Renzo,
v'entrarono in folla. Si rammentò degli ultimi ricordi
de' suoi parenti, si rammentò di Dio, della Madonna e
de' santi, pensò alla consolazione che aveva tante volte
provata di trovarsi senza delitti, all'orrore che aveva
tante volte provato al racconto d'un omicidio; e si ri-
svegliò da quel sogno di sangue, con ispavento, con ri-
morso, e insieme con una specie di gioia di non aver
fallo altro che immaginare. Ma il pensiero di Lucia,
(pianti pensieri tirava seco! Tante speranze, tante pro-
messe, un avvenire così vagheggiato, e così tenuto si-
curo, e quel giorno così sospirato! E come, con che
CAPITOLO II. 41
parole annunziarle una tal nuova? E poi, che parlilo
prendere? Come farla sua, a dispello della iforza di quel-
l' iniquo potente? E insieme a tutto questo, non un
sospetto formalo, ma un' ombra tormentosa gli passava
la mente. Quella soverchieria di don Rodrigo non poteva
esser mossa che da una brutale passione per Lucia. E
Lucia? Che avesse data a colui la pii^i piccola occasio-
ne, la più leggiera lusinga, non era un pensiero che
potesse fermarsi un momento nella testa di Renzo. Ma
n' era informata? Poteva colui aver concepita quell' in-
fame passione senza che lei se n'avvedesse? Avrebbe
spinte le cose tanto in là, prima d' averla tentata in qual-
che modo? E Lucia non ne aveva mai detta una parola
a lui! al suo promesso I
Dominato da questi pensieri, passò davanti a casa
sua, ch'era nel mezzo del villaggio, e attraversatolo,
s'avviò a quella cH Lucia, ch'era in fondo, anzi un
po' fuori. Aveva quella casetta un piccolo cortile dinanzi,
che la separava dalla strada, ed era cinta da un muret-
tino. Renzo eidrò nel cortile, e sentì un misto e conti-
nuo ronzio che veniva da una stanza di sopra. S' imma-
ginò che sarebbero amiche e comari, venute a far
corteggio a Lucia; e non si volle mostrare a quei
mercato con ([uella nuova in corpo e sul volto. Una fan-
ciulletla che si trovava nel cortile, gli corse incontro
gridando: « lo sposo! lo sposo! »
« Zitta, Bettina, zitta I » disse Renzo. « Vien ([ua;va
su da Lucia, tirala in disparte, e dille all'orecchio....
ma che nessun senta, ne sospetti di nulla, ve'.... dille
che Ilo da parlarle, che 1' aspetto nella stanza terrena,
e che venga sultito. » La fanciulletta salì in fretta le
scale, lieta e supei'ba d' avere una commission segreta
da eseguire.
Lucia usciva in (piel momento tutta attillala dalle
mani della madre. Le amiclui si rubavano la sposa, e
le facevan foi-za p(nchè si lasciasse vedere; e lei s'an-
dava schermendo, con cpiella modestia un po' guerriera
VOL. I. 2*
42 1 PROMESSI SPOSI
delle contadine, facendosi scudo alla faccia col gomito,
chinandola sul busto, e aggrottando i lunghi e neri so-
praccigli, mentre però la bocca s'apriva al sorriso.
I neri e giovanili capelli, sparliti sopra la fronte, con
una bianca e sottile dirizzatura, si ravvolgevan, dietro
il capo, in cerchi moltiplici di trecce, trapassate da lun-
ghi spilli d' argento, che si dividevano all' intorno, quasi
a guisa de' raggi d' un' aureola, come ancora usano le
conladine nel Milanese. Intorno al collo aveva un vezzo
di granati alternati con Ijottoni d' oro a fdigrana: por-
tava un bel busto di broccato a fiori, con le maniche
separate e allacciate da bei nastri: una corta gonnella
di fdaticcio di seta, a pieghe fìtte e minute, due calze
vermiglie, due pianelle, di seta anch' esse, a ricami.
Oltre a questo, eh' era 1' ornamento particolare del giorno
delle nozze. Lucia aveva ipicllo quotidiano d' una mo-
desta bellezza, rilevala allora e accresciuta dalle varie
atfezioni che le si dipingevano sul viso: una gioia tem-
perata da un turbamento leggiero, quel placido accora-
mento che si mostra di quand' in quando sul volto
delle spose, e senza scompor la bellezza, le dà un ca-
rattere particolare. La piccola Bettina si cacciò nel croc-
chio, s' accostò a Lucia, le fece intendere accortamente
che aveva qualcosa da comunicarle, e le disse la sua
parolina all' orecchio.
« Vo un momento, e torno, » disse Lucia alle don-
ne; e scese in fretta. Al veder la faccia mutala, e il
portamento inquieto di Renzo, « cosa c'è? i> disse, non
senza un presentimento di terrore.
« Lucia! » rispose Renzo, « per oggi tutto è a mon-
te : e Dio sa quando potremo esser marito e moglie. »
« Che? j> disse Lucia lutla smarrila. Renzo le rac-
contò brevemente la storia di quella mattina: ella ascol-
tava con angoscia : e quando udì il nome di don Rodrigo,
« ah! » sclamò, arrossendo e tremando, « fino a questo
segno! »
« Dunque voi sapevate ... ? » disse Renzo.
CAPITOLO n. 43
« Pur troppo I » rispose Lucia; « ma a questo segno! »
« Glie cosa sapevate? »
« Non mi fate ora parlare, non mi fate piangere.
Corro a cliiamar mia madre, e a licenziar le donne: bi-
sogna elle Siam soli, j
Mentre ella partiva, Renzo susurrò: « non m'avete
mai detto niente. »
« Ah, Renzo! » rispose Lucia, rivolgendosi un mo-
mento, senza fermarsi. Renzo intese benissimo che il suo
nome pronunziato in quel momento, con (piel tono, da
Lucia, voleva dire: potete voi dubitare ch'io abbia ta-
ciuto se non per motivi giusti e puri?
Intanto la buona Agnese (così si chiamava la madre
di Lucia), messa in sospetto e in curiosila dalla parolina
all'orecchio, e dallo sparir della figlia, era discesa a ve-
der cosa c'era di nuovo. La figlia la lasciò con Renzo,
tornò alle donne radunate, e, accomodando Taspetto e la
voce, come potè meglio, disse: « il signor curato è am-
malato; e oggi non si fa nulla. » Ciò detto, le salutò
tutte in fretta, e scese di nuovo.
Le donne sfilarono, e si sparsero a raccontar Facca-
duto. Due 0 tre andaron fino all'uscio del curato, per
verificar se era ammalato davvero.
« Un febbrone, » rispose Perpetua dalla finestra; e la
trista parola, riportata all'altre, troncò le congetture che
già cominciavano a brulicar ne' loro cervelli, e ad an-
nunziarsi tronche e misteriose ne' luio discorsi.
CAPITOLO III.
Lucia entrò nella stanza terrena, mentre Renzo stava
angosciosamente informando Agnese, la quale angoscio-
samente lo ascoltava. Tutt' e due si volsero a chi ne sa-
peva più di loro, e da cui aspettavano uno schiarimento,
il quale non poteva essere che doloroso: lutt'e due, la-
sciando travedere, in mezzo al dolore, e con l'amore
diverso che ognun d'essi portava a Lucia, un cruccio
pur diverso perchè avesse taciuto loro qualche cosa, e
una tal cosa. Agnese, benché ansiosa di sentir parlare
la figlia, non potè tenersi di non farle un rimprovero
« A tua madre non dir niente d'una cosa simile! »
« Ora vi dirò tutto, i rispose Lucia, asciugandosi gli
occhi col grembiule.
« Parla, parla! — Parlate, parlate! » gridarono a un
tratto la madre e lo sposo.
« Santissima Vergine! » esclamò Lucia: « chi avrebbe
credulo che le cose potessero arrivare a questo segno! »
E, con voce rotta dal pianto, raccontò come, pochi giorni
prima, mentre tornava dalla fdanda, ed era rimasta in-
dietro dalle sue compagne, le era passato innanzi don
I PROMESSI SPOSI CAPITOLO III. 45
Rodrigo, in compagnia d'un altro signore; che il primo
aveva cercato di trattenerla con chiacchiere, com'ella di-
ceva, non punto belle; ma essa senza dargh retta, aveva
atlrettalo il passo, e raggiunte le compagne; e intanto
aveva sentito queir altro signore rider forte, e don Ro-
drigo dire: scommettiamo. Il .giorno dopo, coloro s"eran
trovati ancora sulla strada; ma Lucia era nel mezzo delle
compagne, con gli occhi bassi; e l'altro signore, sghi-
gnazzava, e don Rodrigo diceva: vedremo, vedremo. «Per
grazia del cielo, » continuò Lucia, « quel giorno era
l'ultimo della hlanda. Io raccontai subito....»
« A cbi hai raccontalo? » domandò Agnese, andando
incontro, non senza un po' di sdegno, al nome del con-
fidente preferito.
« Al padre Cristoforo, in confessione, mamma, » ri-
spose Lucia, con un accento soave di scusa. « Gli rac-
contai tutto, r ultima volta che siamo andate insieme alla
chiesa del convento; e, se vi ricordate, quella mattina, io
andava mettendo mano ora a una cosa, ora a un'altra,
per indugiare, tanto che passasse altra gente del paese
avviala a quella volta, e far la strada in compagnia con
loro; perchè, dopo queir incontro, le strade mi facevan
tanta paura »
Al nome riverito del padre Cristoforo, lo sdegno d'Agne-
se si raddolcì. « Hai fatto bene, » disse, « ma perchè non
raccontar tutto anclie a tua madre? »
Lucia aveva avute due buone ragioni: luna, di non
contristare né spaventare la buona donna, per cosa alla
quale essa non avrebbe potuto trovar rimedio, l'altra, di
non mei ter a riscliio di viaggiar per molte boccile una
storia che voleva essere gelosamiMite se[)olta: tanto più
che Lucia sperava che le sue nozze avrebber troncala,
sul principiare, quell'abbominala persecuzione. Di queste
duo ragioni però, non allegò che la prima.
« E a voi, » disse poi rivolgendosi a Rimizo, con (piella
voce che vuol far riconoscere a un amico che ha avulo
torto: « e a voi doveva io parlar di questo? Pur troppo
lo sapete ora! »
46 1 PROMESSI SPOSI
»E clic l'ha detlo il padre?» domandò Agnese.
«M'ha detto che cercassi d'affrettar le nozze il più
che potessi, e intanto stessi rinchiusa; che pregassi henc
il Signore; e che sperava che colui, non vedendomi, non
si curerehhe più di me. E fa allora che mi sforzai. «
prosegui, rivolgendosi di nuovo a Renzo, senza alzargli
però gli occhi in viso, e arrossendo tutta, « fu allora
che feci la sfacciata, e che vi pregai io che procuraste
di far presto, e di concludere prima del tempo che s'era
stahilito. Chi sa cosa avrete pensato di me! Ma io facevo
per hene, ed ero stata consigliata, e tenevo per certo
e questa mattina, ero tanto lontana da pensare .... » Qui
le parole furon troncate da un violento scoppio di pianto.
« Ah hirhonel ah dannato I ah assassino! » gridava
Renzo, correndo innanzi e indietro per la stanza, e strin-
gendo di tanto in tanto il manico del suo coltello.
1 Oh che imbroglio, per ajììor di Dio! » esclamava
Agnese. Il giovine si fermò d' improvviso davanti a Lu-
cia che piangeva; la guardò con un atto di tenerezza
mesta e rabbiosa, e disse: «t questa è l'ultima che fa
quell'assassino. »
«Ah! no, Renzo, per amor del cielo!» gridò Lucia.
« No, no, per amor del cielo! Il Signore c'è anche per i
poveri, e come volete che ci aiuti, se facciam del male? »
« No, no, per amor del cielo! » ripeteva Agnese.
« Renzo, » disse Lucia, con un'aria di speranza e di
risoluzione più tranquilla: « voi avete un mestiere, e io
so lavorare: andiamo tanto lontano, che colui non senta
più parlar di noi. »
« Ah Lucia! e poi? Non siamo ancora marito e mo-
glie! Il curato vorrà farci la fede di stato libero? Un
uomo come quello? Se fossimo maritali oh allora !»
Lucia si rimise a piangere: e luti' e tre rimasero in
silenzio, e in un abbattimento che faceva un tristo con-
trapposto alla pompa festiva de' loro abiti.
« Sentite, figliuoli; date retta a me, » disse, dopo
qualche momento, Agnese. « Io son venuta al mondo
CAPITOLO HI. 47
prima di voi; e il mondo lo conosco un poco. Non biso-
gna poi spaventarsi tanto: il diavolo non è brutto quanto
si dipinge. A noi poverelli le matasse paion più imbro-
gliale, perchè non sappiam trovarne il bandolo; ma
alle volte un parere, una parolina d'un uomo che abbia
studiato so ben io cpiel che voglio dire. Fate a mio
modo, Renzo; andate a Lecco; cercate del dottor Azzecca-
garbugli, raccontategli Ma non lo chiamate così, per
amor del cielo: è un soprannome. Bisogna dire il signor
dottor Come si chiama ora? Oh to'! non lo so il
nome vero: lo chiaman tutti a qnel modo. Basta, cercate
di quel dottore alto, asciutto, pelato, col naso rosso, e
una voglia di lampone sulla guancia. »
« Lo conosco di vista, » disse Renzo.
<i Bene, " continuò Agnese: « quello è una cima d'uo-
mo! Ho visto io piij d'uno ch'era più impicciato che un
pulcin nella stoppa, e non sapeva dove batter la testa,
e, dopo essere stato un'ora a quattr'occhi col dottor Az-
zecca-garbugli, (badate bene di non chiamarlo così!) l'ho
visto, dico, ridersene. Pigliate quei quattro capponi, po-
verelli! a cui dovevo tirare il collo, per il banchetto di
domenica, e portateglieli; perchè non bisogna mai andar
con le mani vote da que' signori. Raccontategli tutto l'ac-
caduto; e vedrete che vi dirà, su due piedi, di quelle
cose ciie a noi non verrebbero in testa, a pensarci un
anno. »
Renzo abbracciò mollo volentieri questo parere; Lucia
l'approvò; e Agnese, superba d'averlo dato, levò a una
a una, le povere bestie dalla stia, riunì le loro otto gambe,
come se facesse un mazzetto (h fiori, le avvolse e le strinse
con uno spago, e le consegnò in mano a Renzo; il quale,
date e ricevute parole di speranza, uscì dalla parte del-
l'orto, per non esser veduto da' ragazzi, che gli corrc-
rebber dietro, gridando: lo sposo! lo sposo! Così attra-
versando i campi, 0, come dicon colà, i luoghi, se n'andò
per viottole, h^emendo, ripensando alla sua disgrazia, e
ruminando il discorso da fare al dottor Azzecca-garbugli.
48 I PROMESSI SPOSI
Lascio poi pensare al letLorc", come dovessero slare in
viaggio quelle povere bestie, cos'i legale e tenute per le
zampe, a capo all' ingiù, nella mano d'un uomo il quale,
agitato da tante passioni, accompagnava col gesto i pen-
sieri che gli passavan a tumulto per la mente. Ora sten-
deva il braccio per collera, ora l'alzava per disperazione,
ora lo dibatleva in aria come per minaccia, e, in tutti
i modi, dava loro di fiere scosse, e faceva balzare quelle
quattro teste spenzolale; le quali inlaiUo s'ingegnavano
a beccarsi r una con l'altra, come accade troppo sovente
Ira compagni di sventura.
Giunto al borgo, domandò dell'abitazione del dottore; gli
fu indicala, e v'andò. All'entrare si senti preso da quella
suggezione che i poverelli illetterati provano in vicinanza
d'un signore e d'un dolio, e dimenticò tutti i discorsi
che aveva preparati; ma diede un'occhiata ai capponi, e
si rincorò. Entralo in cucina, domandò alla serva se si
poteva parlare al signor dottore. Adocchiò essa le bestie,
e, come avvezza a somiglianti doni, mise ,lorù le mani
addosso, quantunque Renzo andasse tirando indietro,
perchè voleva che il dottore vedesse e sapesse che egli
portava qualche cosa. Capitò appunto mentre la donna
diceva: « date qui, e andate innanzi. » Renzo fece un
grande inchino: il dottore l'accolse uinanamenU», con un
« venite, figliuolo, » e lo fece entrar con sé nello studio.
Era questo uno stanzone, su tre pareti del quale eran di-
stribuiti i ritratti de' dodici Cesari; la quarta, coperta da
un grande scaffale di libri vecchi e polverosi; nel mezzo,
una tavola gremita d'allegazioni, di suppliche, di libelli,
di gride, con tre o quattro seggiole all'intorno, e da
una parte un seggiolone a braccioli, con una spalliera
alla e quadrata, terminata agli angoli da due ornamenti
di legno, che s'alzavano a foggia di corna, coperta di
vacchella, con grosse borchie, alcune delle quali, cadute
da gran tempo, lasciavano in liberta gli angoli della co-
pertura, che s'accartocciava qua e là. Il dottore era in
veste da camera, cioè coperto d'una toga ormai consunta,
CAPITOLO III. 49
che gli aveva servito, molt'aìini addieiro, per perorare,
nei giorni d'apparato, quando andava a Milano, per qual-
che causa d'importanza. Chiuse l'uscio, e fece animo al
giovine, con queste parole; « figliuolo, ditemi il vostro
caso. »
« Vorrei dirle una parola in confidenza. »
« Son qui, » rispose il dottore; « parlate. » E si ac-
comodò sul seggiolone. Renzo, ritto davanti alla tavola,
con una mano nel cocuzzolo del cappello, che faceva gi-
rar con l'altra, ricominciò: « vorrei sapere da lei che
ha studiato »
a Ditemi il fatto come sta, » interruppe il dottore.
<t Lei m'ha da scusare: noi altri poveri non sappiamo
parlar bene. Vorrei dunque sapere ...»
« Benedetta gente! siete tutti così: in vece di raccon-
tar il fatto, volete interrogare, perchè avete già i vostri
disegni in testa. »
« Mi scusi, signor dottore. Vorrei sapere se, a minac-
ciare un curato, perchè non faccia un matrimonio, c'è
penale. »
— Ho capito, — disse tra sé il dottore, che in ve-
rità non aveva capito. — Ho capito. — E subito si fece
serio, ma d'una serietà mista di compassione e di pre-
mura; strinse fortemente le labbra, facendone uscire un
suono inarticolato che accennava un sentimento, espresso
poi più chiaramente nelle sue prime parole. « Caso se-
rio, figliuolo; caso contemplato. Avete fatto bene a ve-
nir da me. È un caso chiaro , contemplato in cento
gride, e . . . . appunto in una delfanno scorso, dell'at-
tuale signor governatore. Ora vi fo vedere, e toccar con
mano. »
Cosi dicendo, s'alzò dal suo seggiolone, o cacciò le
mani in quel caos di carte, rimescolandole dal sotto in
su, conK! se mettesse grano in uno staio.
« Dov'è ora? Vien fuori, vien fuori. Bisogna aver
tante cose alle mani! Ma la dev'essere qui sicuro, per-
chè è una grida d'importanza. Ah! ecco, ecco. » La
VOL. I. 3
^0 I PROMESSI SPOSI
proso, la spiopjò, guardò alla data, e, fallo un viso ancor
più sorio, osclamò: « il 15 d'o(fo])re 1627! Sicuro: ò
deiraiino passato: grida fresca; son rpiellc clic fanno
più paura. Sapete leggere, figliuolo? »
« Un podi ino, signor dottore. »
« Bene, venitemi dietro con l'occhio, e vedrete. »
E, tenendo la grida sciorinala in aria, cominciò a leg-
gere, borbottando a precipizio in alcuni passi e ferman-
dosi (kislinlamenle. con grand'ospressione, sopra alcuni
altri, secondo il Insogno:
« Se bene, per la grida pubblicala d' ordine del signor
Duca di Feria ai 14 di dicembre 1620, e/ confìnnata dal-
l' Illustriss. et Eccellenlisi^. Signore il Signor Gonzalo
Fernandcz de Cordova, eccetera, fa con rimedii straor-
dinarii e rigorosi provristo alle oppressioni, concussioni
ed atti tirannici che alcuni ardiscono di commettere con-
tra questi Vassalli tanto dii'oti di S. i/., ad ogni modo la
frequenza degli eccessi, e la malitia. eccetera, è cresciuta
a segno, che ha posto in necessità l' Eccell. Sua, eccetera.
Onde, col parere del Senato et di una Giunta, eccetera,
ha risoluto che si pubblichi la presente.
« E cominciando dagli atti tirannici, mostrando V espe-
rienza che molti, così nelle Città, come nelle Ville
sentite? di questo Stato, con tirannide esercitano coìicus-
sioni et opprimono i più deboli in varii modi, come in
operare che si facciano contratti violenti di compre, d' af-
fitti eccetera: dove sei? ah! ecco: sentite: che se-
gnano 0 non seguano matrimonii. Eh? »
« È il mio caso, » disse Renzo.
« Sentile, sentite, c'è ben altro: e poi vedremo la
l»ena. Si testifichi, o non si testifichi ; che uno si parta
dal luogo dorè cibila, eccetera; che quello paghi un de-
bito ; queir altro non lo molesti, quello vada al suo mo-
lino; tulio questo non ha che far con noi. Ah ci siamo:
quel prete non faccia quello che è obbligato per V uficio
suo, 0 faccia cose che non gli toccano. Eh? »
<i Pare die ablùan falla la grida apposta per me. -^
CAPITOLO III. ^^
« Eh? non è vero? sentite, sentite: et altre simili
violenze, quali seguono da feudatarii, nobili, mediocri,
vili, e plebei. Non se ne scappa; ci son lutti: è come
la valle di Giosafat. Sentite ora la pena. Tutte queste
et altre simili male attioni, benché siano proibite, nondi-
meno, convenendo metter mano a maggior rigore, S. E.,
per la presente, non derogando, eccetera, ordina e co-
manda che contra li contravventori in qualsivoglia dei
suddetti capi, o altro simile, si proceda da tutti li giu-
dici ordinarii di questo Stato a pena pecuniaria e corpo-
rale, ancora di relegatone o di galera, e fino alla morte....
una piccola bagattella! alV arbitrio dell'Eccellenza Sua,
0 del Senato, secondo la qualità dei casi, persone e cir-
costanze. E questo ir-re-mis-si-bil-men-te e con ogni rigore,
eccetera. Ce n'è della roba, eh? E vedete qui le sotto-
scrizioni: Gonzalo Fernandez de Cordova; e più in giù:
Platonus; e qui ancora: Vidit Ferrer: non ci manca
niente. »
Mentre il dottore leggeva, Renzo gli andava dietro
lentamente con l'occhio, cercando di cavar il costrutto
chiaro, e di mirar proprio, quelle sacrosante parole,
che gli parevano dover essere il suo aiuto. Il dottore,
vedendo il nuovo cliente più attento che atterrito, si
maravigliava. — Che sia matricolato costui, — pensava
Ira sé: « Ah! ah! » gli disse poi: «: vi siete però fatto
tagliare il ciuffo. Avete avuto prudenza: però, volendo
mettervi nelle mie mani, non faceva bisogno. Il caso è
serio; ma voi non sapete quel che mi basti 1" animo di
fare, in un'occasione. »
Per intender quest'uscita del dottore, bisogna sapere,
0 rammentarsi che, a quel tempo, i bravi di mestiere,
e i facinorosi d'ogni genere, usavan portarsi un lungo
ciuffo, che si tiravan poi sul volto, come una visiera,
all'atto d'affrontar qualcheduno, ne' casi in cui stimas-
ser necessario di travisarsi, e l'impresa fosse di quelle,
che richiedevan nello slesso tempo forza e prudenza. Le
gride non erano state in silenzio su (luesta moda. Co-
52 I PROMESSI SPOSI
manda sua Eccellenza (il marchese de la Hynojosa) che
chi porterà i capelli ili tal lìinijhezza che coprano il fronte
fino alli ciijli esclusivamente, ovvero porterà la trozza, a
avanti o dopo le orecchie, incorra la pena di trecento
scudi; et in caso d' inhabilità, di tre anni di (jalera, per
la prima volta, e per la seconda, oltre la suddetta, nia(j-
(fiore ancora, pecuniaria et corporale, all'arbitrio di Sua
Eccellenza.
Permette però che, per occasione di trovarsi alcuno calvo,
0 per altra ragionevole causa di segnale o ferita, possano
quelli tali, per maggior decoro e sanità loro, portare i
cappelli tanto lunghi, quanto sia bisogno per coprire si-
mili mancamenti e niente di più; avvertendo bene a non
eccedere il dovere e pura necessità, per (non) incorrere
nella pena agli altri contraffacienti imposta.
E parimente comanda a' barbieri, sotto pena di cento
scudi 0 di tre tratti di corda da esser dati loro in pub-
blico, et maggior anco corporale, aW arbitrio come sopra,
che non lascino a quelli che toseranno, sorte alcuna di
dette trezze, zuffi, rizzi, ne capelli più lunghi dell ordi-
nario, così nella fronte come dalle bande, e dopo le orec-
chie, ma che siano tutti uguali, come sopra, salvo nel
caso dei calvi, o altri difettosi, come si è detto. Il ciuffo
era dunque quasi una parte deirarmalura. e un dislui-
tivo de' bravacci e degli scapestrati; i quali poi da ciò
vennero comunemente chiamati ciuffi. Questo termine
è rimasto e vive tuttavia, con significazione pii!i miti-
gata, nel dialetto: e non ci sarà forse nessuno de' no-
stri lettori milanesi, che non si rammenti d'aver sen-
tito, nella sua fanciullezza, o i parenti o il maestro, o
qualche amico di casa, o qualche persona di servizio,
dir di lui: è un ciuffo, è un ciutTetto.
« In verità, da povero figliuolo, » rispose Renzo, « io
non ho mai portato ciuffo in vita mia. »
« Non faccia m niente, » rispose il dottore, scotendo
il capo, con un sorriso, tra malizioso e impaziente. « Se
lìon avete fede in me, non facciam niente. Chi dice le
CAPITOLO III. 53
bugìe al doltore, vedete figliuolo è uno sciocco che dirà
la verilà al giudice. All'avvocalo bisogna raccontar le
cose chiare: a noi tocca poi a imbrogliarle. Se volete
ch'io v'aiuti, bisogna dirmi tutto, dalla fino alla zettà,
col cuore in mano, come al confessore. Dovete nomi-
narmi la persona da cui avete avuto il mandato, sarà
naturalmente persona di riguardo; e, in questo caso, io
anderù da lui, a fare un alto di dovere. Non gli dirò,
vedete, ch'io sappia da voi che v'ha mantlalo lui: fida-
tevi. Gli dirò che vengo ad implorar la sua protezione,
per un povero giovine calunnialo. E con lui prenderò
i concerti opportuni, per finir l'affare lodevolmente.
Capite bene che, salvando se, salverà anche voi. Se poi
la scappala fosse tutta vostra, via, non mi ritiro: ho ca-
vato altri da peggio imbrogli Purché non abbiate
offeso persona di riguardo, intendiamoci, m'impegno a
togliervi d'impiccio: con un po' di spesa, intendiamoci.
Dovete dirmi chi sia l'offeso, come si dice: e, secondo
la condizione, la qualità e l'umore dell'amico, si vedrà
se convenga più di tenerlo a segno con le protezioni,
0 trovar qualche modo d'attaccarlo noi in criminale, e
mettergli una pulce nell'orecchio; perchè, vedete, a sa-
per ben maneggiare le gride, nessuno è reo, e nessuno
è innocente. In quanto al curato, se è persona di giu-
dizio, *se ne starà zitto; se fosse una testolina, c'è ri-
medio anche per quelle. D'ogni intrigo si può uscire;
ma ci vuole un uomo: e il vostro caso è serio; serio,
vi dico, serio: la grida canta chiaro; e se la cosa si
deve decider tra la giustizia e voi, così a quattr'occhi,
stale fresco. Io vi parlo da amico: le scappale bisogna
pagarle: se volete passarvela liscia, danari e sincerità,
fidarvi di chi vi vuol bene, ubbidire, far tutto quello
che vi sarà suggerito. »
Mentre il dottore mandava fuori tutte ((ueste parole,
Renzo lo slava guardando con un' atlenzione estatica,
come un malerialone sta sulla piazza guardando al gio-
calor di bussolotti, che, dopo essersi cacciata in bocca
54 I PROMESSI SPOSI
stoppa e stoppa e stoppa, ne cava nastro e nastro o na-
stro che non finisce mai. Quand'ebbe però capito l)cne
cosa il dottore volesse dire, e quale equivoco avesse
preso, ^li troncò il nastro in bocca dicendo: « oh! si-
gnor dottore, come l'ha intesa? Tè proprio tutta al ro-
vescio. Io non ho minacciato nessuno; io non fo di que-
sle cose, io: e domandi pure a tutto il mio comune'
che sentirà che non lio mai avuto che fare con la giu-
stizia. La bricconeria l'hanno falla a me; e vengo da
lei per sapere come ho da fare per ottener giustizia; e
son ben contento d'aver visto quella grida. »
« Diavolo! » esclamò il dottore^ spalancando gli oc-
chi: « Che pasticci mi fate? Tanfo; siete tutti così: pos-
sibile che non sappiale dirle chiare le cose? »
« Ma mi scusi; lei non m'ha dato tempo: ora le rac-
conterò la cosa, com'è. Sappia dunque ch'io dovevo
sposare oggi,» e qui la voce di Renzo si commosse,
« dovevo sposare oggi una giovine, alla quale discorrevo
fin da quest'estate; e oggi, come le dico, era il giorno
stabilito col signor curato, e s'era disposto ogni cosa. Ecco
che il signor curato comincia a cavar fuori certe scuse....
basta, per non tediarla, io l'ho fatto parlar chiaro, com'era
giusto; e lui m'ha confessato che gli era slato proibito,
pena la vita, di far questo matrimonio. Quel prepotente
di don Rodrigo.... »
a Eh via! » interruppe subito il dottore, aggrottando
le ciglia, aggrinzando il naso rosso, e storcendo la bocca,
« Eh via! Che mi venite a rompere il capo con queste
fandonie? Fate di questi discorsi tra voi altri, che non
sapete misurar le parole; e non venite a farli con un
galantuomo che sa quanto valgono. Andate, andate;
non sapete quel che vi dite: io non m'impiccio con ra-
gazzi; non voglio sentir discorsi di questa sorte, discorsi
in aria. >
« Le giuro.... »
« Andate, vi dico: che volete ch'io faccia de' vostri
giuramenti? Io non c'entro: me ne lavo le mani. » E se
CAPITOLO III. S5
le andava stropicciando, come se le lavasse davvero.
« Imparate a parlare: non si viene a sorprender cosi
un galantuomo. »
« Ma senta, ma senta, » ripeteva indarno Renzo: il
dottore sempre gridando, lo spingeva con le mani verso
l'uscio; e, quando l'ebbe cacciato, aprì, cliiamò la serva,
e le disse: « restituite subito a quest'uomo quello che
ha portato: io non voglio niente, non voglio niente. »
Quella donna non aveva mai, in tutto il tempo ch'era
stala in quella casa, eseguito un ordine simile: ma era
slato proferito con una tale risoluzione, che non esito
a ubbidire. Prese le quattro povere bestie, e le diede a
Renzo, con un'occhiata di compassione sprezzante, che
pareva volesse dire: bisogna che tu l'abbia fatta bella.
Renzo voleva far cerimonie; ma il dottore fu inespugna-
bile; e il giovine, più attonito e più stizzito che mai,
dovette riprendersi le vittime rilìutate, e tornar al paese,
a raccontar alle donne il bel coslmlto della sua spe-
dizione.
Le donne nella sua assenza, dopo essersi iristamente
levate il vestito delle feste e messo quello del giorno di
lavoro, si misero a consultar di nuovo. Lucia singhioz-
zando e Agnese sospirando. Quando questa ebbe ben
parlato de' grandi eil'etti che si dovevano sperare dai
consigli del dottore. Lucia disse che bisognava veder
d'aiutarsi in tutte le maniere; che il padre Cristoforo
era uomo non solo da consigliare, ma da metter l'opera
sua, quando si trattasse di sollevar poverelli; e che sa-
rebbe una gran bella cosa potergli far sapere ciò ch'era
accaduto. « Sicuro, » disse Agnese: e si diedero a cer-
care insieme la maniera; giacché andar esse al convento,
distante di là forse due miglia, non se ne sentivano il
coraggio, in ([uel giorno: e certo nessun uomo di giu-
dizio gliene avrebbe dato il parere. Ma, nel mentre che
bilanciavano i partiti, si senti un picchietto air uscio, e
nello stesso momento, un sommesso ma distinto: « Deo
gralias. » Lucia, immaginandosi chi poteva essere, corso
56 1 PROMESSI SPOSI
ad aprire; e subito, fallo un piccolo inchino famigliare,
venne avanti un laico cercatore cappuccino, con la sua
bisaccia pendente alla spalla sinistra, e lenendone l'im-
boccatura attortigliala e stretta nelle due mani sul petto.
« Oh fra Galdinol » dissero le due donne.
t II Signore sia con voi, » disse il frate. « Vengo alla
cerca delle noci. »
« Va a prendere le noci per i padri, » disse Agnese.
Lucia s'alzò, e s'avviò all'altra stanza, ma prima d'en-
trarvi, si trattenne dietro le spalle di fra Galdino, che
rimaneva diritto nella medesima positura; e, mettendo
il dito alla bocca, diede alla madre un'occhiata che chie-
deva il segreto, con tenerezza, con supplicazione, e an-
che con una certa autorità.
Il cercatore, sbirciando Agnese cosi da lontano, disse:
« e questo matrimonio? Si doveva pur fare oggi; ho
veduto nel paese una certa confusione, come se ci fosse
una novità. Cos'è stato? »
« Il signor curalo è ammalato, e bisogna differire, »
rispose in fretta la donna. Se Lucia non faceva quel
segno, la risposta sarebbe probabilmente stata diversa.
8 E come va la cerca? » soggiunse poi per mutar di-
scorso.
« Poco bene, buona donna, poco bene. Le son tutte
qui. " E, così dicendo, si levò la bisaccia d'addosso, e
la fece saltar tra le due mani. « son tutte qui; e, per
mettere insieme questa bella abbondanza, ho dovuto pic-
chiare a dieci porle. »
« Ma! le annate vanno scarse, fra Galdino, e; quando
s'ha a misurar il pane, non si può allargar la mano
nel resto. »
* E per far tornare il buon tempo, che rimedio c'è,
la mia donna? L'elemosina. Sapete di quel miracolo delle
noci, che avvenne, molt'anni sono, in quel nostro con-
vento di Romagna? »
t No, in verità; raccontatemelo un poco. »
« Oh! dovete dunque sapere che, in quel convento,
CAPITOLO III. 57
c'era un nostro padre, il quale era un santo, e si chia-
mava il padre Macario. Un giorno d'inverno, passando
per una viottola, in un campo d'un nostro benefattore,
uomo dabbene anche lui, il padre Macario vide questo
benefattore vicino a un suo gran noce; e quattro con-
tadini, con le zappe in aria, che principiavano a scalzar
la pianta, per metterle le radici al sole. — Che fate voi
a quella povera pianta? dimandò il padre Macario. — Eh !
padre, son anni e anni che la non mi vuol far noci;
e io ne faccio legna.— Lasciatela slare, disse il padre:
sappiate che, quest'anno, la farà più noci che foglie. Il
benefattore, che sapeva chi era colui che aveva detta
quella parola, ordinò subito ai lavoratori, che gettasser
di nuovo la terra sulle radici; e, chiamato il padre, che
continuava la sua strada, — padre Macario, gli disse,
la metà della raccolta sarà per il convento. Si sparse la
voce della predizione; e tutti correvano a guardare il
noce. In fatti, a primavera, fiori a bizzeffe, e, a suo
tempo, noci a bizzeffe. Il buon benefattore non ebbe la
consolazione di bacchiarle; perchè andò, prima della rac-
colta, a ricevere il premio della sua carità. Ma il mira-
colo fu tanto più grande, come sen lucete. Quel brav'uomo
aveva lascialo un figliuolo di stampa ben diversa. Or
dunque, alla raccolta, il cercatore andò per riscuotere
la metà ch'era dovuta al convento; ma colui se ne fece
nuovo affatto, ed ebbe la temerità di rispondere che non
aveva mai sentilo dire che i cappuccini sapessero far
noci. Sapete ora cosa avvenne? Un giorno, (sentite quesla(
lo scapestrato aveva invitato alcuni suoi amici dello stesso
pelo, e, gozzovigliando, raccontava la storia del noce,
e rideva de' frati. Que'giovinastri ebber voglia d'andar
a vedere quello sterminato mucchio di noci; e lui li
mena su in granaio. Ma sentite: apre l'uscio, va vcr.so
il cantuccio dov'era stato riposto il gran mucchio, e
mentre dice: guardale, guarda egli stesso e vede... che
cosa? Un bel mucchio di foglie secche di noce. Fu un
esempio questo? E il convento, in vece di scapitare, ci
58 I PROMESSI SPOSI
guadagnò; perchè, Uopo un così gran fallo, la cerca delle
noci rendeva lanlo, lanlo, che un henofallore, mosso a
compassione del povero cercalore, fece ai convento la
carila ermi asino, che aiulasse a porlar le noci a casa.
E si faceva lanlo olio, che ogni povero veniva a pren-
derne, secondo il suo bisogno; perchè noi slam come il
mare, che riceve acqua da tulle le parli, e la torna a
distribuire a tulli i fiumi. »
Qui ricomparve Lucia, col grembiule cosi carico di
noci, che lo reggeva a fatica, tenendone le due cocche
in alto, con le braccia tese e allungale. Mentre fra Gai-
di no, levatasi di nuovo la bisaccia, la metteva giù, e ne
scioglieva la bocca, per introdurvi l'abbondante elemo-
sina, la madre fece un volto allonilo e severo a Lucia,
per la sua prodigalità; ma Lucia le diede un'occhiata,
che voleva dire: mi giuslificherò. Fra Galdino proruppe
in elogi, in auguri, in promesse, in ringraziamenti, e,
rimessa la bisaccia al posto, s'avviava. Ma Lucia, richia-
matolo, disse: & vorrei un servizio da voi; vorrei che
diceste al padre Cristoforo, che ho gran premura di par-
largli, e che mi faccia la carità di venir da noi pove-
rette, subito subilo; perchè non possiamo andar noi alla
chiesa. »
« Non volete altro? Non passerà un'ora che il padre
Cristoforo saprà il vostro desiderio. »
« Mi fido. »
« Non dubitate. » E cosi dello, se n'andò, un po' più
curvo e più contento, di quel che fosse venuto.
Al vedere che una povera ragazza mandava a chia-
mare, con tanta confidenza, il padre Cristoforo, e ciie
il cercalore accettava la commissione, senza maraviglia
e senza dilficollà, nessun si pensi che quel Crisloforo
fosse un frale di dozzina, una cosa da strapazzo. Era
anzi uomo di molta autorità, presso i suoi, e in tutto
il contorno; ma tale era la condizione de' cappuccini,
che nulla pareva per loro troppo basso, nò troppo ele-
vato. Servir gl'intimi, ed esser servito dai potenti, en-
CAPITOLO IH. oy
trar ne' palazzi e ne' tuguri, con lo slesso contegno d'u-
miltà e di sicurezza, esser talvoila, nella stessa casa, un
soggetto di passatempo, e un pei'sonaggio senza il quale
non si decideva nulla, chieder l'elemosina per tutto, e
farla a tutti quelli che la chiedevano al convento, a tutto
era avvezzo un cappuccino. Andando per la strada, po-
teva ugualmente abbattersi in un principe che gli ba-
ciasse riverentemente la punta ilei cordone, o in una
brigata di ragazzacci che, tìngendo d' esser alle mani tra
loro, gl'inzaccherassero la barba di fango. La parola « frate »
veniva, in que' tempi, proferita col più gran rispetto, e
col più amaro disprezzo: e i cappuccini, lurse più d ogni
altr' ordine, eran oggetto de' due upposti sentimenti, e
provavano le due opposte fortune; perchè, non posse-
dendo nulla, portando un abito più stranamente diverso
dal comune, facendo più aperta professione d' umiltà,
s'espunevan più da vicino alla venerazione e al vilipen-
dio che queste cose possono attirare da' di\ ersi umori,
e dal diverso pensare degli uomini.
Partito h'a Galdino, « tutte quelle noci! » esclamò
Agnese: a in quest'anno!»
« Mamma, perdonatemi, » rispose Lucia: « ma, se
avessimo fatta un'elemosina come gli altri, fra Galdino
avrebbe dovuto girare ancora. Dio sa quanto, prima d'a-
ver la bisaccia piena; Dio sa ([uando sarebbe tornato al
convento, e, con le ciarle che avrebbe fatte e sentite,
Dio sa se gli sarebbe rimasto in mente »
« Hai pensato bene; e poi è tutta carità che porta
sempre buon frutto, » disse Agnese, la cpiale, co suoi
difettucci, era una gran buona donna, e si sarebbe, co-
me si dice, buttata nel fuoco per ([uelT unica lìglia , in
cui aveva riposta tutta la sua compiacenza.
In questa, arrivò Renzo, ed entrando con un volto
dispettoso insieme e morti ticato, 'gettò i capponi sur una
tavola; e fu questa l'ultima trista vicenda delle povere
bestie, per (jnel giorno.
« Bel parere che m'avete datol » disse ad Agnese.
60 I PROMESSI SPOSI, CAPITOLO III.
« M' avete mandalo da un buon galantuomo, da uno
che aiula veramcnle i poverelli! » E raccontò il suo ab-
boccamento col dottore. La donna, slupefatla di così
trista riuscita, voleva mettersi a dimostiare che il parere
però era buono, e che Renzo non doveva aver sapulo
far la cosa come andava fatta; ma Lucia interruppe quella
questione, annunziando che sperava d'aver trovato un
aiuto migliore. Renzo accolse anche questa speranza,
come accade a quelli che sono nella sventura e ncU' im-
piccio. « Ma, se il padre, » disse, « non ci trova ripiego,
lo troverò io, in un modo o nell'altro. »
Le donne consigliaron la pace, la pazienza, la prudenza.
« Domani, » disse Lucia, « il padre Cristoforo verrà si-
curamente; e vedrete che troverà qualche rimedio, di
quelli che noi poveretti non sappiain nemmeno Imma-
ginare. »
« Lo spero; » disse Renzo, » ma, in ogni caso, saprò
farmi ragione, o farmela fare. A questo mondo c'è giu-
stizia, finalmente. »
Co' dolorosi discorsi, e con le andate e venule che si
son riferite, quel giorno era passato ; e cominciava a im-
brunire.
« Ruona notte, » disse tristamente Lucia a Renzo, il
quale non sapeva risolversi d'andarsene.
« Ruona notte, » rispose Renzo, ancor piò tristamente.
d Qualche santo ci aiuterà, » replicò Lucia: » usate
prudenza e rassegnatevi. »
La madre aggiunse altri consigli dello stesso genere;
e lo sposo se n'andò, col cuore in tempesta, ripetendo
sempre quelle strane parole: « a questo mondo c'è giu-
stizia, finalmente! » Tant'è vero che un uomo sopraf-
fatto dal dolore non sa più quel che si dica.
CAPITOLO IV.
Il sole non era ancor tutto apparso siiirorizzonte, quando
il padre Cristoforo usci dal suo convento di Pescarenico,
per salire alla casetta dov'era aspettato. É Pescarenico
una terricciola, sulla riva sinistra dell'Adda, o vogiiam
dire del lago, poco discosto dal ponle: un gruppetto di
case, abitate la piij parte da pescatori, e addobbate qua
e là di tramagli e di reti teso ad asciugare. Il convento
era situalo ((; la fabbrica ne sussiste tuttavia) al di fuori,
e in faccia al Ceni rata della ((n^ra, con di mezzo la strada
die da Lecco conduce a Bergamo. Il cielo era lutto se-
reno: di mano in mano die il sole si alzava dietro il
monte, si vedeva la sua luce, dalle sommila de' monti
opposti, scendere, come spiegandosi rapidamenle, giù per
i pendii, e nella valle. Un venticello (rauUinno, slaccando
da' rami le foglie appassite del gelso, le portava a cadere,
qualdie passo distante dall'albero. A destra e a sinistra,
nelle vigne, sui tralci ancor lesi, brillavan le foglie ros-
seggianti a varie tinte; e la terra lavorata di fresco, spic-
cava l)runa e distinta ne' campi di stoppie biancastre e
luccicanti dalla guazza. La scena era lieta; ma ogni
02 I PROMESSI SPOSI
figura d'uomo che vi apparisse, raltrislava lo sguardo e
il pensiero. Ogni tanto, s'incontravano mendichi laceri
e macilenti, o invecchiati nel mestiere, o spinti allora
dalla necessità a tender la mano. Passavano zitti accanto
al padre Cristoforo, lo guardavano pietosamente; e, ben-
ché non avcsser nulla a sperar da lui, giacché un cap-
puccino non toccava mai moneta, gii facevano un inchino
di ringraziamento, per l'elemosina che avevan ricevuta, o
che andavano a cercare al convento. Lo spettacolo de' la-
voratori sparsi ne' campi, aveva qualcosa d'ancor più do-
loroso. Alcuni andavan gettando le lor semente, rade,
con risparmio, e a malincuore, come chi arrischia cosa
che troppo gli preme; altri spingevan la vanga come a
stento, e rovesciavano svogliatamente la zolla. La fan-
ciulla scarna, tenendo per la corda al pascolo la vacche-
rella magra stecchita, guardava innanzi, e si chinava in
fretta, a rubarle, per cibo della famiglia, qualche erba,
di cui la fame aveva insegnato che anche gli uomini po-
tevan vivere. Questi spettacoli accrescevano, a ogni passo,
la mestizia del frate, il quale camminava già col tristo pre-
sentimento in cuore, d'andar a sentire qualche sciagura.
— Ma perchè si prendeva tanto pensiero di Lucia? E
perchè, al primo avviso, s'era mosso con tanta sollecitu-
dine, come a una chiamata del padre provinciale? E chi
era questo padre Cristoforo? — Bisogna soddisfare a tutte
queste domande.
Il padre Cristoforo da'" era un uomo più vicino ai
sessanta che ai cinquant'anni. Il suo capo raso, salvo la
piccola corona di capelli, che vi girava intorno, secondo
d rito cappuccinesco, s'alzava di tempo in tempo, con un
movimento che lasciava trasparire un non so che d'altero
e d'inquieto; e subito s'abbassava, per riflessione d'umiltà.
La barba bianca e lunga, che gli copriva le guance e il
mento, faceva ancor più risaltare le forme rilevate della
parte superiore del volto, alle quali mi' astinenza, già
da gran pezzo abituale, aveva assai più aggiunto di gra-
vila che tolto d'espressione. Due occhi incavati eran per
CAPITOLO IV. 63
lo più (iiinali a terra, ma talvolta sfolgoravano, con vi-
vacità repentina; come due cavalli bizzarri, condotti a
mano da un cocchiere, col quale sanno, per esperienza,
che non si può vincerla, pure fanno, di tempo in tempo,
(|nalclie sgainl)etlo, che scontan subito, con una buona
tirala di morso.
Il padre Cristoforo non era sempre stato cosi, né sem-
pre era stato Cristoforo: il suo nome di battesimo era
Lodovico. Era figliuolo d'un mercante di*'* (questi aste-
rischi vengon tutti dalla circospezione del mio anonimo)
che, ne' suoi ultim'anni, trovandosi assai fornito di beni,
e con quell'unico figliuolo, aveva rinunziato al traffico,
e s'era dato a viver da signore.
Nel suo nuovo ozio, cominciò a entrargli in corpo una
gran vergogna di tutto quel tempo che aveva speso a far
qualcosa in questo mondo. Predominalo da una tal fan-
tasia, studiava tutte le maniere di far dimenticare eli 'era
slato mercante; avrebbe voluto poterlo dimenticare an-
che lui. Ma il fondaco, le balle, il libro, il braccio, gli
comparivan sempre nella memoria, come l'ombra di
Banco a Macbeth, anche tra la pompa delle mense, e il
sorriso de' parassiti. E non si potrebbe dire la cura che
dovevano aver que' poveretti , per schivare ogni parola
che potesse parere allusiva all'antica condizione del con-
vitante. Un giorno, per raccontarne una, un giorno, snl
finir della tavola, ne' momenti della piìi viva e schietta
allegria, die non si sarebbe potuto din; chi più godesse.
0 la brigata di sparecchiare, o il padrone d'aver appa-
recchiato, andava stuzzicando, con superiorità amiclie-
\olc, uno di que' commensali, il più onesto mangiatore
del mondo. Questo, jicr corrispondere alla celia, senza
III minima omlira di malizia, proprio col candore d'un
liambino, rispose: «eli! io fo l'orecchio d(4 mercante. «
Egli stesso fu subito colpito dal suono della parola rlio
gli era uscita di bocca, guardò, con faccia incerta, all.i
faccia del padrone, die .s'era rannuvolata: l'iino e T al-
ito avrebber voluto riiirender (pidla di prima; ma non
64 I PROMESSI SPOSI
era possibile. Gli altri convitati pensavano, ognun da sé,
al modo di sopire il piccolo scandolo, e di fare una di-
versione; ma, pensando, tacevano, e, in quel silenzio, lo
scandolo era più manifesto. Ognuno scansava d'incontrar
gli occhi degli altri; ognuno sentiva che tutti cran occu-
pati del pensiero che tutti volevan dissimulare. La gioia,
per quel giorno, se n'andò, e l'imprudente o, per parlar
con pili giustizia, lo sfortunato, non ricevette più invito.
Così il padre di Lodovico passò gli ultimi suoi anni in
angustie continue, temendo sempre di essere schernito,
e non riflettendo mai che il vendere non è cosa più ri-
dicola che il comprare, e che quella professione di cui
allora si vergognava, l'aveva pure esercitata per tant'anni,
in presenza del pubblico, e senza rimorso. Fece educare
il figlio nobilmente, secondo la condizione de' tempi, e
per quanto gli era concesso dalle leggi e dalle consue-
tudini; gli diede maestri di lettere e d'esercizi cavalle-
reschi; e morì, lasciandolo ricco e giovinetto.
Lodovico aveva contratte abitudini signorili ; e gli adu-
latori, tra i quali era cresciuto, l'avevano avvezzato ad
esser trattato con molto rispetto. Ma quando volle mi-
schiarsi coi principali della sua città, trovò un fare ben
diverso da quello a cui era accostumato; e vide che, a
voler essere della lor compagnia, come avrebbe deside-
ralo, gli conveniva fare una nuova scuola di pazienza e
di sommissione, star sempre al di sotto, e ingozzarne
una ogni momento. Una tal maniera di vivere non s'ac-
cordava, nò con l'educazione, nò con la natura di Lo-
dovico. S'allontanò da essi indispettito. Ma poi ne stava
lontano con rammarico; perchè gli pareva che questi
veramente avrebber dovuto essere i suoi compagni ; sol-
tanto gli avrebbe voluti più trattabili. Con questo misto
d'inclinazione e di rancore, non potendo frequentarli
famigliarmente, volendo pure aver che fare con loro in
qualche modo, s'era dato a competer con loro di sfoggi
e di magnificenza, comprandosi così a contanti inimicizie,
invidia e ridicolo. La sua indole, onesta insieme e vio-
CAPITOLO IV. 60
lenta, lo aveva poi imbarcato per tempo in altre gare
più serie. Sentiva un orrore spontaneo e sincero per le
anghtM'ic e per i soprusi: orrore reso ancor più vivo in
lui dalla qualità delle persone che più ne commettevano
alla giornata; ch'erano appunto coloro coi quali aveva
più di quella ruggine. Per acquietare, 0 per esercitare
tutte queste passioni in una volta, prendeva volentieri
le parti d'un debole sopraffatto, si piccava di farci stare
un soverciiiatore, s'intrometteva in una briga, se ne ti-
rava addosso un'altra; tanto che, a poco a poco, venne
a costituirsi come un prolettor degli oppressi, e un ven-
dicatore de' torti. L'impiego era gravoso; e non è da
domandare se il povero Lodovico avesse nemici, impegni
e pensieri. Oltre la guerra esterna, era poi tribolato con-
linuamente da contrasti interni; perchè, a spuntarla in
un impegno (senza parlare di quelli in cui reslava al
di sotto), doveva anche lui adoperar raggiri e violenze,
che la sua coscienza non poteva poi approvare. Doveva
tenersi intorno un buon numero di bravacci; e, così per
la sua sicurezza, come per averne un aiuto più vigoroso,
doveva scegliere i più arrischiali, cioè i più ribaldi; e
vivere co' birboni, per amor della giustizia. Tanto che,
più d'una volta, 0 scoraggilo, dopo una trista riuscita,
0 inquielo pi>r un pericolo imminente, annoiato dal con-
tinuo guardarsi, stomacato della sua compagnia, in pen-
siero delfavvenire, per le sue sostanze che se n'andavan,
di giorno in giorno, in opere buone e in braverie, più
d'una volta gli era saltata la fantasia di farsi frate; che,
a (piei tempi, era il ripiego più comune, per uscir d'im-
picci. Ma questa, che sarebbe forse slata una fantasia
pi'r lulta la sua vita, divenne una risoluzione, a causa
d'un accidente, il più serio che gli fosse ancor capitalo.
Andava un giorno per una strada della sua città, se-
guito da due bravi, e accompagnalo da un tal Ciàstoforo,
altn; volle giovine di bottega e, dopo chiusa (piesla,
diventato maestro di casa. Era uomo di circa cinquan-
t'anni, alYozionato, dalla gioventù, a Lodovico, che aveva
VOL. }. 3'
60 I PROMESSI SPOSI
vediilo nascere, e clic, Ira salario o regali, gli dava non
solo da vivere, ma di che mantenere e lirar su una nu-
merosa famiglia. Vide Lodovico spuntar da lontano un
signor tale, arrogante e sovcrcliiatore di professione, col
quale non aveva mai parlalo in vita sua, ma che gli
era cordiale nemico, e al (juale rendeva, pur di cuore,
il contraccambio: giacché è uno de' vantaggi di questo
mondo, quello di poter odiare ed esser odiati, senza co-
noscersi. Costui, seguilo da quattro bravi, s'avanzava
diriUo, con passo superbo, con la testa alta, con la bocca
composta airallerigia e allo sprezzo. Tuli' e due cammi-
navan rasente al muro; ma Lodovico (nolate bene) lo
strisciava eoi lato destro; e ciò, secondo una consuetu-
dine, gli dava il diritto (dove mai si va a ficcare il di-
ritto!) di non istaccarsi dal dello muro^ per dar passo
a chi si fosse: cosa della quale allora si faceva gran caso.
L'altro pretendeva all'opposto, che quel diritto compe-
tesse a lui, come a nobile, e che a Lodovico toccasse
d'andar nel mezzo; e ciò in forza d' un'altra consuetu-
dine. Perocché, in questo, come accade in molti altri
alTari, erano in vigore due consuetudini conliaric, senza
che fosse deciso qual delle due fosse la buona: il che
dava opportunità di fare una guerra, ogni volta che una
testa dura s'abbattesse in un'altra della stessa tempra.
Que' due si venivano incontro, ristretti alla muraglia,
come due figure di basso rilievo ambulanti. Quando si
trovarono a viso a viso, il signor tale, squadrando Lo-
dovico, a capo alto, col cipiglio imperioso, gli disse, in
un tono corrispondente di voce: « fate luogo. »
<■<■ Fate luogo voi, » rispose Lodovico. « La diritta è
mia. »
« Co' vostri pari, é sempre mia. »
« Sì, se l'arroganza de' vostri pari fosse legge per i
pari miei. »
I bravi dell'uno e dell'altro eran rimasti fermi, cia-
scuno dietro il suo padrone, guardandosi in cagnesco,
con le mani alle daghe, preparali alla battaglia. La gente
CAPITOLO IV. 67
che arrivava di qua e di là, si teneva in distanza a os-
servare il fatto; e la presenza di quegli spettatori ani-
mava sempre più il puntiglio de' conlendenli.
« Nel mezzo, vile meccanico; o ch'io t'insegno una
volta come si tratta co' gentiluomini. »
« Voi mentite ch'io sia vile. »
« Tu menti ch'io abbia mentito. » Questa risposta era
di prammatica. « E, se tu fossi cavaliere, come son io, »
aggiunse quel signore, « ti vorrei far vedere, con la
spada e con la cappa, che il mentitore sci tu. » ,
«■ E un buon pretesto per dispensarvi (Vi sostener coi
fatti l'insolenza delle vostre parole. »
« Gettate nel fango questo ribaldo, » disse \\ genti-
luomo, voltandosi a' suoi.
« Vejjcliamo! » disse Lodovico, dando subitamente un
passo indie! ro, e mettendo mano alla spada.
1 Temerario! « gridò l'altro, sfoderando la sua: «io
spezzerò questa, quando sarà mac hiala del tuo vii san-
gue. »
Cosi s'avventarono l'uno all'altro; i servitori delle due
parti si slanciarono alla difesa de' loro padroni. Il com-
battimento era disuguale, e per il numero, e anche p or-
che Lodovico mirava piuttosto a scansare i colpi, e a
disarmare il nemico, che ad ucciderlo; ma questo voleva
la morte di lui a ogni costo. Lo;lovico aveva già ri-
cevuta al braccio sinistro una pugnalata d'un bravo,
e una sgratTiatura leggiera in una guancia, e il nemico
principale gli piomlìava addosso per finirlo; quando Cri-
stoforo, vedendo il suo padrone nell'estremo pericolo,
andò col pugnale addosso al signore. Questo rivolta tutta
la sua ira contro di lui, lo passò con la spada, A quella
vista, Lodovico, come fuor di so, cacciò la sua nel ven-
tre del feritore, il quale cadde moribondo, quasi a un
punto col povero Crisloforo. I bravi del gentiluomo, vi-
sto ch'era finita, si diedero alla fuga, malconci: quelli di
Lodovico, tartassati e sfregiati anche loro, non essen-
dovi più a chi darò, e non volendo trovarsi impicciati
68 I PROMESSI SPOSI
nella genie, che già accorreva, scantonarono dall'altra
parte: e Lodovico si trovò solo, con que' due funesti com-
pagni ai piedi, in mezzo a una folla.
« Com' è andata? — È uno. — Son due. — Gli lia
fatto un occhiello nel ventre. — Chi è slato ammazza-
to? — Quel prepotente. — Oh santa Maria, che scon-
quasso! — Chi cerca trova. — Una le paga tutte. —
Ha finito anche lui. — Che colpo! — Vuol essere una
faccenda seria. — E queir altro disgraziato! — Miseri-
cor^lia! che spettacolo! — Salvatelo, salvatelo. — Sta
fresco anche lui. — Vedete com' è concio ! butta san-
gue da tutte le parti. — Scappi, scappi. Non si lasci
prendere. »
Queste parole, che più di lutle si facevan sentire nel
frastono confuso di quella folla, esprimevano il voto co -
mune; e, col consiglio, venne anche l'aiuto. Il fatto era
accaduto vicino a una chiesa di cappuccini, asilo, come
ognun sa, impenetrabile allora a birri, e a tutto quel
complesso di cose e di persone, che si chiamava la
giustizia. L' uccisore ferito fu quivi condotto o portato
dalla folla, quasi fuor di sentimento; e i frali lo ricevet-
tero dalle mani del popolo, che glielo raccomandava,
dicendo: « è un uomo dabbene che ha freddato un bir-
bone superbo: 1' ha fatto per sua difesa: c'è stato tirato
per i capelli. » -
Lodovico non aveva mai, prima d' allora, sparso san-
gue; e, benché l'omicidio fosse, a que' tempi, cosa tanto
comune, che gli Orecchi d'ognuno erano avvezzi a sen-
tirlo raccontare, e gli occhi a vederlo, pure l' impressione
eh' egli ricevette dal veder l' uomo morto per lui, e
l'uomo morto da lui, fu nuova e indicibile; fu una ri-
velazione di senlimenli ancora sconosciuti. Il cadere del
suo nemico^ l' alterazione ili quel volto, che passava
in un momento, dalla minaccia e dal furore, all' abbat-
timento e alla quiete solenne della morie, fu una vista
che cambiò, in un punto, 1' animo dell' uccisore. Stra-
iscinato al convento, non sapeva quasi dove si fosse, né
CAPITOLO IV. 69
cosa si facesse; e, quando fu tornato in so, si trovò in
un letto dell' infermeria, nelle mani del frate chirurgo,
(i cappuccini ne avevano ordinariamente uno in ogni
convento) che accomodava faldelle e fasce sulle due fe-
rite che' egli aveva ricevute nello scontro. Un padre, il
cui impiego particolare era d'assistere i moriboncU, e
che aveva spesso avuto a render questo servizio sulla
strada, fu chiamato subilo al luogo del combattimento.
Tornalo, pochi minuti dopo, entrò neh' infermeria, e,
avvicinatosi al letto dove Lodovico giaceva, « consolate-
vi, j> gli disse: « almeno è morto bene, e m' ha incari-
cato di chiedere il vostro perdono, e di portarvi il suo. »
Questa parola fece rinvenire atTafto il povero Lodovico,
e gli risvegliò più vivamente e più distintamente i sen-
timenti che eran confusi e affollati nel suo animo : do-
lore dell' amico, sgomento e rimorso del colpo «he gli
era uscito di mano, e nello stesso tempo, un' angosciosa
compassione dell'uomo che aveva ucciso. « E r altro?»
domandò ansiosamente al frale.
1 L'altro era spirato, quand' io arrivai. »
Frattanto, gli accessi e i contorni del convento formi-
colavan di popolo curioso : ma, giunta la sbirraglia, fece
smaltir la folla, e si postò a una Ci-rla disianza dalla
porla, in modo però che nessuno potesse uscirne inos-
servalo. Un fratello del morto, due suoi cugini e un
vecchio zio, vennero pure, armali da capo a piedi, con
grande accompagnamento di bravi; e si misero a far la
ronda inlorno, guardando, con aria e con atti di dispetto
minaccioso, (pie' curiosi, che non osavaii dire: gli sia
bene; ma l'avevano scritto in viso.
Appena Lodovico ebbe potuto raccogliere i suoi pen-
sieri, chiamato un frate confessore, lo pregò che cercasse
della vedova di Cristoforo, le chiedesse in suo nome
perdono d'essere sialo lui la cagione, (luanluiique ben
certo involontaria, di quella desolazione, e, nello stesso
tempo, l'assicurasse ch'egli prendeva la famiglia sopra
di sé. Rifleltendo quindi a' casi suoi, senti rinascere più
70 I PROMESSI SPOSI
che mai vivo e serio quel pensiero di farsi frale, che
altre volle gii era passato per la mente: e gii parve che
Dio medesimo l'avesse messo sulla slrada, e datogli un
segno del suo volere, facendolo capitare in un convento,
in quella congiuntura; e il partito fu preso. Fece chia-
mare il guardiano, e gli manifestò il suo desiderio.
N' ebbe in risposta, che bisognava guardarsi dalle riso-
luzioni precipitate; ma che, se presisteva, non sarebbe
rifiutato. Allora, fatto venire un notare, detiù una dona-
zione di tutto ciò che gli rimaneva (ch'era tuttavia un
bel patrimonio) alla famiglia di Cristoforo: una somma
alla vedova, come se le costituisse una contraddote, e il
resto a olio figliuoli che Cristoforo aveva lasciali.
La risoluzione di Lodovico veniva molto a proposito
per i suoi ospiti, i quali, per cagion sua, erano in un
heW intrigo. Rimandarlo dal convento, ed esporlo cosi
alla giustizia, cioè alla vendetta de' suoi nemici, non era
partito da metter neppure in consulta. Sarebbe stato lo
stesso che rinunziare ai propri privilegi, screditare il
convento presso il popolo, attirarsi il biasimo di tutti i
cappuccini dell'universo, per aver lasciato violare i\ di-
ritto di tutti, concitarsi contro tutte le autorità ecclesia-
stiche, le quali si consideravan come tutrici di questo
diritto. Dall' altra parte, la famiglia dell' ucciso, potente
assai, e per sé, e per le sue aderenze, s'era messa al
punto di voler vendetta; e dichiarava suo nemico chiun-
que s'attentasse di mettervi ostacolo. La storia non dice
che a loro dolesse molto dell' ucciso, e nemmeno che
una lagrima fosso stata sparsa per lui, in tutto il pa-
rentado: dice soltanto eh' eran tutti smaniosi d'aver
neir unghie l' uccisore, o vivo o morto. Ora questo, ve-
stendo l'abitò di cappuccino, accomodava ogni cosa.
Faceva in certa maniera, un' emenda, s' imponeva una
penitenza, si chiamava implicitamente in colpa, si riti-
rava da ogni gara: era in somma un nemico che depon
r armi. I parenti del morto potevan poi anche, se loro
pijacesse, credere e vantarsi che s'era fatto frate per di-
CAPITOLO IV. 71
sperazione. e per terrore del loro sdegno. E, ad ogni
modo, ridurre un uomo a spropriarsi del suo, a tosarsi
la testa, a camminare a piedi nudi, a dormir sur un
saccone, a viver d'elemosina, poteva parere una puni-
zione competente, anclie air offeso il più l)orioso.
Il padre guardiano si presentò, con un' umiltà disin-
volta, al fratello del morto, e, dopo mille proteste di
rispetto per l'illustrissima casa, e di desiderio di com-
piacere ad essa in tutto ciò che fosse fattibile, parlò del
pentimento di Lodovico, e della sua risoluzione, facendo
garltatament(3 sentire che la casa poteva esserne contenta,
e insinuando poi soavemente, e con maniera ancor più
destra, che, piacesse o non piacesse, la cosa doveva es-
sere. Il fratello diede in isinanie, che il cappuccino la-
sciò svaporare, dicendo di tempo in timipo: « è un troppo
giusto dolore. » Fece intendere che, in ogni caso, la
sua famiglia avrebbe saputo prendersi una soddisfazio-
ne: e il cappuccino, qualunque cosa ne pensasse, non
disse di no. Finalmente richiese, impose come una con-
dizione, che l'uccisor di suo fratello partirebbe subito
da quella città. Il guardiano, che aveva già deliberato
che questo fosse fatto, disse che si farebbe, lasciando
che l'altro credesse, se gli piaceva, esser questo un atto
d' ubbidienza: e tutto fu concluso. Contenta la famiglia,
che ne usciva con onore; contenti i frati, che salvavano
un uomo e i loro privilegi, senza farsi alcun nemico;
contenti i dilettanti di cavalleria, che vedevano un affare
terminarsi lodevolmente; conlento il popolo, che vedeva
fuor d' impiccio un uomo l)en voluto, e che, nello stesso
tempo, ammirava una conv(;rsione; conlcmto llnalmente,
e più di tutti, in mezzo al dolore, il nostro Lodovico,
il (piale cominciava una vita d' espiazione e di servizio,
che potesse, se non riparare^ pagare almeno il mal fatto,
e rintuzzare il pungolo intollerabile del rimorso. Il so-
spetto che la sua risoluzione fosse attribuita alla paura,
r aftlisse un momento; ma si consolò subito col pen-
siero che anche quell'ingiusto giudizio sarebbe un ga-
72 I PROMESSI SPOSI
sligo per lui, euri mezzo d' espiazione. Così, a treni' an-
ni, si ravvolse nel sacco; e dovendo, secondo l' uso, la-
sciare il suo nome, e prenderne un altro, ne scelse uno
che gli rammentasse, ogni momento, ciò che aveva da
espiare: e si chiamò fra Cristoforo.
Appena compita la cerimonia della vestizione, il guar-
diano gì' intimò che sarebbe andato a fare il suo novi-
ziato a'**, sessanta miglia lontano, e che partirebbe al-
l' indomani. Il novizio s' inchinò profondamente, e chiese
una grazia. « Permei (elemi, padre, » disse, « che, prima
di partir da questa città, dove ho sparsoli sangue d'un
uomo, dove lascio una famiglia crudchuente offesa, io
la ristori almeno dell" atfronto, ch'io mostri almeno il
mio rammarico di non poter risarcire il danno, col chie-
dere scusa al fratello dell' ucciso, e gli levi, se Dio be-
nedice la mia intenzione, il rancore dall'animo. » Al
guardiano parve che un tal passo, oltre all'essere jiuono
in se, servirebbe a riconciliar sempre più la famiglia
col convento; e andò diviato da quel signor fratello, ad
esporgli la domanda di fra Cristoforo. A proposta cosi
inaspettata, colui senti, insieme con la maraviglia, un
ribollimento di sdegno, non però senza qualche compia-
cenza. Dopo aver pensalo un momento, « venga doma-
ni, » disse; e assegnò l'ora. Il guardiano tornò, a por-
lare al novizio il consenso desiderato.
Il gentiluomo pensò subito che, quanto più quella
soddisfazione fosse solenne e clamorosa, tanlo più accre-
scerebbe il suo credilo presso tutta la parentela, e presso
il pubblico; e sarebbe (per dirla con un'eleganza mo-
derna) una beUa pagina nella storia della famiglia.
Fece avvertire in fretta tutti i parenti che, all' indomani,
a mezzogiorno, restassero serviti (cosi si diceva allora)
di venir da lui, a ricevere una soddisfazione comune.
A mezzogiorno, il palazzo brulicava di signori d' ogni
età e d'ogni sesso: era un girare, un rimescolarsi di
gran cappe, d'alte penne, di durlindane pendenli. un
moversi liltralo di gorgiere inamidate e cro-spe, uno sira-
CAPITOLO IV. 73
scico intralcialo di rabescale zimarre. Le anticamere, il
cortile e la strada formicolavan di servitori, di paggi,
di liravi e di curiosi. Fra Cristoforo vide queir apparec-
chio, ne indovinò il motivo, e provò un leggier turba-
mento; ma, dopo un istante, disse tra sé: — sta bene:
l'ho ucciso in pubblico, alla presenza di tanli suoi ne-
mici; quello fu scandolo, questa è riparazione. — Così,
con gli occhi bassi, col padre compagno al fianco, passò
la porta di quella casa, attraversò il cortile, tra una
folla che lo squadrava con una curiosità poco cerimonio-
sa; salì le scale, e, di mezzo all'altra folla signorile,
che fece ala al suo passaggio, seguito da cento sguardi,
giunse alla presenza del padron di casa; il quale, cir-
condato da' parenti più prossimi, stava ritto nel mezzo
della sala, con lo sguardo a terra, e il mento in aria,
impugnando, con la mano sinistra, il pomo della spa-
da, e stringendo con la destra il bavero della cappa
sul petto.
C è talvolta, nel volto e nel contegno d' un uomo,
un'espressione cosi immediata, si direbbe quasi un'effu-
sione dell' animo interno, che, in una folla di spettatori.
il giudizio sopra qncU' animo sarà nn solo. Il volto e il
contegno di fra Cristoforo disser chiaro agli astanti, che
non s'era fatto frate, né veniva a queir umiliazione per
timore umano: questo cominciò a concigliarglieli tutti.
Quando vide V olTeso, affrettò il passo, gli si poso in
ginocchioni ai piedi, incrociò le mani sul petto, e, chi-
nando la testa rasa, disse queste parole: « io sono l'o-
micida di suo fratello. Sa Iddio se vorrei restituirglielo
a costo del mio sangue : ma, non potendo altro clic farle
inefTicaci e tarde scuse, la supplico d' accettarle per l'a-
mor di Dio. » Tutti gli occhi erano immollili sul novi-
zio, e sul personaggio a cui egli parlava; lutti gli orec-
chi eran tesi. Quando fra Cristoforo tacque, s' alzò, per
tutta la sala , un mormorio di pietà e di rispetto. Il
gentiluomo, che stava in atto di degnazione forzata, e
d'ira compressa, fu turbalo da ([uellc parole; e, chinan-
VOL I. 4
74 I PROMESSI SPOSI
dosi verso l' inginocchiato: « alzalcvi, » disse con voce
alterala, « l'offesa il fallo veramente ma l'abito
elio portate non solo questo, ma anche per voi
S' alzi, padre Mio fratello non lo posso nega-
re era un cavaliere era un uomo un po'
impetuoso un po' vivo. Ma tutto accade per dispo-
sizion di Dio. Non se ne parli più .... Ma, padre, lei
non deve stare in codesta positura. » E, presolo per le
braccia, lo sollevò. Fra Cristoforo, in piedi, ma col capo
chino, rispose; « io posso dunque sperare che lei m'ab-
bia concesso il suo perdono! E se l'ottengo da lei, da
chi non devo sperarlo? Oh! s'io potessi sentire dalla
sua bocca questa parola, perdono! »
« Perdono? » disse il gentiluomo. « Lei non ne ha
più bisogno. Ma pure, poiché lo desidera, certo, certo,
io le perdono di cuore, e tutti »
« Tutti! tutti! » gridarono, a una voce, gli astanti.
Il volto del frate s' aprì a una gioia riconoscente, sotto
la quale traspariva però ancora un' umile e profonda
compunzione del male a cui la remissione degli uomini
non poteva riparare. Il gentiluomo, vinto da queh' aspet-
to, e trasportato dalla commozione generale, gli gettò
le braccia al collo, e gli diede e ne ricevette il bacio
di pace.
Un « bravo! bene! » scoppiò da tutte le parti della
sala; tutti si mossero, e si strinsero intorno al frate.
Intanto vennero servitori con gran copia di rinfreschi.
Il gentiluomo si accostò al nostro Cristoforo, il quale
faceva segno di volersi licenziare, e gli disse: « padre,
gradisca qualche cosa: mi dia questa prova d' amicizia. »
E si mise per servirlo prima d'ogni altro; ma egli, riti-
randosi, con una certa resistenza cordiale, « queste co-
se, j> disse, « non fanno più per me; ma non sarà mai
eh' io rifiuti i suoi doni. Io sto per mettermi in viaggio:
si degni di farmi portare un pane, perchè io possa dire
d' aver goduto la sua carità, d' aver mangiato il suo pane
e avuto un segno del suo perdono. » Il gentiluomo,
CAPITOLO IV. 75
commosso, ordinò che così si facesse; e venne subito
un cameriere, in gran gala, portando un pane sur un
piatto d' argento, e lo presentò al padre; il quale, pre-
solo e ringraziato, lo mise nella sporta. Chiese quindi
licenza; e abbracciato di nuovo il padron di casa, e tutti
quelli che, trovandosi più vicini a lui, poterono impa-
dronirsene un momento, si liberò da essi a fatica ; ebbe
a combatter nelle anticamere, per isbrigarsi da' servitori,
e anche da' bravi, che gli baciavano il lembo dell' abito,
il cordone, il cappuccio; e si trovò nella strada, portato
come in trionfo, e accompagnato da una folla di popolo,
fino a una porta della città; d'onde usci, comincian-
do il suo pedestre viaggio, verso il luogo del suo no-
viziato.
Il fratello dell'ucciso, e U parentado, che s'erano aspet-
tali d'assaporare in quel giorno la trista gioia dell'or-
goglio, si trovarono in vece ripieni della gioia serena
del perdono e della benevolenza. La compagnia si trat-
tenne ancor qualche tempo, con una bonarietà e con una
cordialità insolita, in ragionamenti ai quali nessuno era
preparato, andando là. In vece di soddisfazioni prese, di
soprusi vendicati, d' impegni spuntati, le lodi del novizio,
la riconciliazione, la mansuetudine furono i temi della
conversazione. E taluno, che, per la cinquantesima volta,
avrebbe raccontalo come il conte Muzio suo padre aveva
saputo, in (juella famosa congiuntura, far stare a dovere
il marchese Stanislao, ch'era quel rodomonte che ognun
sa, parlò in vece delle penitenze e della pazienza mira-
bile d'un fra Simone, morto molt'anui prima. Partita
la compagnia, il padrone, ancor tutto commosso, riandava
tra se, con maraviglia, ciò che av(;va inleso, ciò ch'egli
medesimo aveva detto; e borbottava fra i denti: — dia-
volo d'un frale! (bisogna bene che noi trascriviamo lo
sue parole) — diavolo d'un frate! se rimaneva lì in gi-
nocchio, ancora per qualche momento, quasi quasi gli
chiedeva scusa io, che m'abliia ammazzato il fratello. —
La nostra storia nota espressamente che, da quel giorno
76 I PROMESSI SPOSI
in poi, quel signore fu un po' mcn precipitoso, e un po'
più alla mano.
11 padre Cristoforo camminava, con una consolazione
che non aveva mai più provata, dopo quel giorno terri-
bile ad espiare il quale tutta la sua vita doveva esser
consacrala. Il silenzio ch'era imposto a' novizi, l'osser-
vava, senza avvedersene, assorto com'era, nel pensiero
delle fatiche, delle privazioni e dell' umiliazioni che avrebbe
sofferte per iscontare il suo fallo. Fermandosi, all'ora
della refezione, presso un benefattore, mangiò, con una
specie di voluttà, del pane del perdono: ma ne serbò
un pezzo e lo ripose nella sporta, per tenerlo, come un
ricordo perpetuo.
Non è nostro disegno di far la storia delle sua vita
claustrale: diremo soltanto che, adempiendo, sempre con
gran voglia, e con gran cura, gli ufizi che gli venivano
ordinariamente assegnati, di predicare e d'assistere i mo-
ribondi, non lasciava mai sfuggire un'occasione d'eser-
citarne due altri, che s'era imposti da sé; accomodar
differenze, e proteggere oppressi. In questo genio en-
trava, per qualche parte, senza ch'egh se n'avvedesse,
quella sua vecchia abitudine, e un resticciolo di spiriti
guerreschi, che l' umiliazioni e le macerazioni non avevan
potuto spegner del tutto. Il suo linguaggio era abitual-
mente umile e posato; ma, quando si trattasse di giu-
stizia 0 di verità combattuta, l'uomo s'animava, a un
tratto, deU'impeto antico, che, secondato e modificato da
un'enfasi solenne venutagli daU' uso del predicare, dava
a quel Unguaggio un carattere singolare. Tutto il suo
contegno, come l' aspetto, annunziava una lunga guerra,
tra un'indole focosa, risentita, e una volontà opposta,
abitualmente vittoriosa, sempre all'erta, e diretta da mo-
tivi e da ispirazioni superiori. Un suo confratello ed
amico, che lo conosceva bene, l'aveva una volta parago-
nato a quelle parole troppo espressive nella loro forma
naturale, che alcuni, anche ben educati, pronunziano,
quando la passione trabocca, smozzicate, con qualche
CAPITOLO IV. 77
lettera mutata; parole che, in quel travisamento, fanno
però ricordare della loro energia primitiva.
Se una poverella sconosciuta, nel tristo caso di Lucia,
avesse chiesto l'aiuto del padre Cristoforo, egli sarebbe
corso immediatamente. Trattandosi poi di Lucia, accorse
coiT tanta piìi sollecitudine, in quanto conosceva e am-
mirava l' innocenza di lei, era già in pensiero per i suoi
pericoli, e sentiva un' indegnazione santa, per la turpe
persecuzione della quale era divenuta l'oggetto. Oltre
di ciò, avendola consigliata, per il meno male, di non
palesar nulla, e di starsene quieta, temeva ora che il con-
siglio potesse aver prodotto qualche tristo effetto; e alla
sollecitudine di carità, ch'era in lui come ingenita, s'ag-
giungeva, in questo caso, quell'angustia scrnpolosa che
spesso tormenta i buoni.
Ma, intanto che noi siamo stali a raccontare i fatti
del padre Cristoforo, è arrivato, s'è affacciato all'uscio;
e le donne, lasciando il manico dell'aspo che facevan
girare e stridere, si sono alzate, dicendo, a una voce:
«oh padre Cristoforo I sia benedetto!»
CAPITOLO V.
Il qual padre Cristoforo si fermò ritto sulla soglia, e,
appena ebbe data un'occhiata alle donne, dovette accor-
gersi che i suoi presentimenti non eran falsi. Onde, con
quel tono d' interrogazione che va incontro a una trista
risposta, alzando la barba con un molo leggiero della
testa all' indietro, disse: « ebbene? » Lucia rispose con
uno scoppio di pianto. La madre cominciava a far le
scuse d'aver osato... ma il frate s'avanzò, e, messosi a
sedere sur un panchetto a tre piedi, troncò i compli-
menti, dicendo a Lucia: « quietatevi, povera figliuola.
E voi, » disse poi ad Agnese, « raccontatemi cosa c'èl »
Mentre la buona donna faceva alla meglio la sua dolo-
rosa relazione, il frate diventava di mille colori, e ora
alzava gli occhi al cielo, ora batteva i piedi. Terminata
la storia, si copri il volto con le mani, ed esclamò:
« 0 Dio benedetto! fino a quando....! » Ma, senza compir
la frase, voltandosi di nuovo alle donne: «poverelle!»
disse: «Dio vi ha visitate. Povera Lucia! »
« Non ci abbandonerà, padre? » disse questa, singhioz-
zando.
1 PROMESSI SPOSI, CAPITOLO V 79
« Abbandonarvi t » rispose. «E con clic faccia potrei
io chieder a Dio ([ualcosa per me, quando v'avessi ab-
bandonala? voi in (lueslo stalo! voi, eli' Egli mi confidai
Non vi perdete d'animo: Egli v'assisterà: Egli vede tutto:
Egli può servirsi anche d'un uomo da nulla come son
io, per confondere un.... Vediamo, pensiamo quel che si
possa fare. »
Così dicendo, appoggiò il gomito sinistro sul ginoc-
chio, chinò la fronte nella palma, e con la destra strinse
la barba e il mento, come per tener ferme e unite tutte
le potenze dell'animo. Ma la più attenta considerazione
non serviva che a fargli scorgere più distintamente quanto
il caso fosse pressante e intrigalo, e quanto scarsi, quanto
incerti e pericolosi i ripieghi. — Mettere un po' di ver-
gogna a don Abbondio, e fargli sentire quanto manchi
al suo dovere? Vergogna e dovere sono un nulla per
lui, quando ha paura. E fargli paura? Che mezzi ho io
mai di fargliene una che superi quella che ha d'una
schioppettata? Informar di tutto il cardinale arcivescovo,
e invocar la sua autorità? Ci vuol tempo: e intanto? e
poi? Quand' anche questa povera innocente fosse mari-
lata, sarebbe questo un freno per quell'uomo? Chi sa
a qual segno possa arrivare?.... E resistergli? Come?
Ah! se potessi, pensava il povero frate, se potessi tirar
dalla mia i miei frati di qui, que' di Milano! Ma! non
è un affare comune; sarei abbandonalo. Costui fa l'a-
mico del convento, si spaccia per partigiano de' cap-
puccini: e i suoi bravi non son venuti più d'una volta
a ricoverarsi da noi? Sarei solo in ballo; mi buscherei
anche dell'inquieto, dell'imbroglione, dell' accattalirighc;
e, (jucl eh' è più, potrei for' anche, con un tentativo fuor
di tempo, peggiorar la condizione di ([uesla poveretta. —
Coiilrappesalo il prò e il contro di (pieslo e di quel
parlilo, il migliore gli parve d'alh'onlar ilon Rodiigo
stesso, tentar di smoverlo dal suo infame proposito, con
le preghiere, coi terrori dell' altra vita, anche di questa,
se fosse possibile. Alla peggio, si potrebbe almeno co-
80 I PROMESSI SPOSI
noscere, per questa via, più dislinlamente rpianto colui
fosse ostinato nel suo sporco impep^no, scoprir di più le
sue intenzioni, e prender consiglio da ciò.
Mentre il frate stava cosi meditando, Renzo, il quale,
per tutte le ragioni che ognun può indovinare, non sa-
peva star lontano da quella casa, era comparso sull'uscio;
ma, visto il padre sopra pensiero, e le donne che facevan
cenno di non distnrliarlo, si fermò sulla soglia, in si-
lenzio. Alzando la faccia, per comunicare alle donne il
suo progetto, il frale s'accorse di lui, e lo salutò in un
modo ch'esprimeva un'affezione consueta, resa più in-
tensa dalla pietà.
« Le hanno detto..., padre? » gli domandò Renzo, con
voce commossa,
« Pur troppo; e per questo son qui. »
« Che dice di ciuel hirbone...?»
« Che vuoi ch'io dica di lui? Non è qui a sentire:
che gioverebbero le mie parole ? dico a te, il mio Renzo,
che tu confidi in Dio, e che Dio non t'abbandonerà. »
<( Benedette le sue parole! » esclamò il giovane. « Lei
non è di queUi che dan sempre torto a' poveri. Ma il
signor curato, e quel signor dottore delle cause perse. ... »
« Non rivangare quello che non può servire ad altro
che a inquietarti inutilmente. Io sono un povero frate;
ma ti ripeto quel che ho detto a queste donne: per quel
poco che posso, non v' abbandonerò, j
« Oh, lei non è come gli amici del mondo ! Ciarloni!
Chi avesse creduto alle proteste che mi facevan costoro,
nel buon tempo; eh eh! Eran pronti a dare il sangue
per me; m'avrebbero sostenuto coniro il diavolo. S'io
avessi avuto un nemico?.... bastava che mi lasciassi in-
tendere; avrebbe finito presto di mangiar pane. E ora,
se vedesse come si ritirano....» A questo punto, alzando
gli occhi al volto del padre, vide s'era tutto rannuvo-
lalo, e s'accorse d'aver dello ciò conveniva tacere. Ma
volendo raccomodarla, s'andava intrigando e imbroglian-
do: « volevo dire.... non intendo dire.... cioè, volevo
dire .... »
CAPITOLO V. 81
« Cosa volevi dire? E clie? lu avevi dunque comin-
ciato a guastar l'opera mia, prima che fosse intrapresa!
buon per te che sei stato disingannalo in tempo. Che!
tu andavi in cerca d'amici.... quali amici!... che non
t'avrebber potuto aiutare, neppur volendo! E cercavi di
perder Quel solo che lo può e lo vuole! Non sai tu che
che Dio è l'amico de' tribolati, che confidano in Lui?
Non sai tu che, a metter fuori l'unghie, il debole non
ci guadagna? E quando pure....» A questo punto, af-
ferrò fortemente il braccio di Renzo: il suo aspetlo, senza
perder d'autorità, s'atteggiò d'una compunzione solenne,
gli occhi s'abbassarono, la voce divenne lenta e come
sotterranea: «quando pure.... è un terribile guadagno!
Renzo! vuoi tu confidare in me?.... che dico in me,
omiciattolo, fraticello? Vuoi tu confidare in Dio? »
« Oh sì ! » rispose Renzo. « Quello è il Signore davvero. »
« Ebbene; prometti che non affronterai, che non pro-
vocherai nessuno, che ti lascerai guidar da me. »
I Lo prometto. »
Lucia fece un gran respiro, come se le avesser levato
un peso d'addosso; e Agnese disse: «bravo figliuolo.»
« Sentite, figliuoli, » riprese fra Cristoforo : « io anderò
oggi a parlare a quelP uomo. Se Dio gli tocca il cuore,
e dà forza alle mie parole, bene: se no, Egli ci farà
trovare qualche altro rimedio. Voi intanto, statevi cpiieli,
ritirati, scansate le ciarle, non vi fate vedere. Stasera,
0 domattina al più lardi, mi rivedrete. » Detto questo,
troncò tutti i ringraziamenti e le benedizioni, e parli.
S'avviò al convento, arrivò a tempo d'andare in coro a
cantar sesta, desinò, e si mise sal)ito in cammino, verso
il covile della fiera che voleva provarsi d'ammansare.
II palazzotto di don Rodrigo sorgeva isolato, a somi-
glianza d'una bicocca, sulla cima d'uno de' poggi ond'è
sparsa e rilevata quella costiera. A ([uesta indicazione
l'anonimo aggiunge che il luogo (avrehhe fatto meglio
a scriverne alla buona il nome) era più in su del pae-
sello deg^* *»Uosi, discosto da questo torse [m miglia, e
82 I PROMESSI SPOSI
quattro dal convcnlo. Appiè del poggio, dalla parte che
guarda a mezzogiorno, e verso il lago, giaceva un muc-
chiello di casupole, abitale da conladini di don Rodrigo; ed
era come la piccola capitale del suo piccol regno. Bastava
passarvi, per esser chiarito della condizione e de' costumi
del paese. Dando un' occhiata nelle stanze 'terrene, dove
qualche uscio fosse aperto, si vedevano attaccati al muro
schioppi, tromboni, zappe, rastrelli, cappelli di paglia,
reticelle e fìascbetli da polvere, alla rinfusa. La gente
che vi s'incontrava erano omacci tarchiati e arcigni,
con un gran ciuffo arrovesciato sul capo, e chiuso in
una reticeha; vecchi che, perdute le zanne, parevan sem-
pre pronti, chi nulla nulla gli aizzasse, a digrignar le
gengive; donne con certe facce maschie, e con certe
braccia nerborute, buone da venire in aiuto della lingua,
quando questa non bastasse: ne' sembianti e nelle mosse
de' fanciuUi stessi, che giocavan per la strada, si vedeva
un non so che di petulante e di provocativo.
Fra Cristoforo attraversò il villaggio, salì per una
viuzza a chiocciola^ e pervenne sur una piccola spianala,
davanti al palazzotto. La porta era chiusa, segno che il
padrone stava desinando, e non voleva esser frastornato.
Le rade e piccole finestre che davan sulla strada, chiuse
da imposte sconnesse e consunte dagli anni, eran però
difese da grosse inferriate, e quelle del pian terreno
lant'alte che appena vi sarebbe arrivato un uomo sulle
spalle d' un altro. — Regnava quivi un gran silenzio;
e un passeggiero avrebbe potuto credere che fosse una
casa abbandonata, se quattro creature, due vive e due
morte, collocate in simmetria, di fuori, non avesser dato
un indizio d'abitanti. Due grand' avolloi, con l'ali spa-
lancate, e co' teschi penzoloni, l'uno spennacchiato e
mezzo roso dal tempo, l'altro ancor saldo e pennuto,
erano inchiodati, ciascuno sur un battente del portone'
e due bravi, sdraiati, ciascuno sur una delle panche poste
a destra e a sinistra, facevan la guardia, aspettando d'es-
ser chiamali a goder gli avanzi della tavola del signore.
CAPITOLO V. 83
il padre si fermò ritto, in allo di chi si dispone ad aspet-
tare; ma un de'l)ravi s' alzò, e gli disse: « padre, padre,
venga pure avanti: qui non si fanno aspettare i cappuc-
cini: noi siamo amici del convento: e io ci sono stato
in certi momenti che fuori non era troppo buon'aria per
me; e se mi avesser tenuta la porta ctiiusa, la sarebbe
andata male. » Così dicendo, diede due picchi col martello,
A quel suono risposer subilo di dentro gli urli e le
strida di mastini e di cagnolini; e, pochi momenti dopo,
giunse borbottando un vecchio servitone; ma, veduto il
padre, gli fece un grand' inchino, acquietò le bestie, con
le mani e con la voce, introdusse l'ospite in un angusto
cortile, e richiuse la porta. Accompagnatolo poi in un
salotto, e guardandolo con una ceri' aria di maraviglia
e di rispetto, disse: « non è lei.... U padre Cristoforo
di Pescarenico? »
« Per l'appunto. ■»
« Lei qui? »
« Come vedete, buon uomo. »
« Sarà per far del bene. Del liene, » continuò mor-
morando tra i denti, e rincamminandosi, « se ne può
far per tulio. » Attraversati due o tre altri salotti oscuri,
arrivarono all'uscio della sala del convito. Quivi un gran
frastono confnso di forchelte, di coltelli, di bicchieri, di
pialli, e sopra tutto di voci discordi, che cercavano a
vicenda di soverchiarsi. Il frale voleva ritirarsi, e stava
contrastando dietro l'uscio col servitore, per ottenere
d'esser lasciato in qualche canto della casa, fin che il
pranzo fosse terminalo; quando l'uscio s'aprì. Un certo
conte Attilio, che stava seduto in faccia (era un cugino
del padron di casa; e abbiam già falla menzione di lui,
senza nominarlo), veduta una testa rasa e una tonaca,
e accortosi dell' intenzione modesta del buon frate ,
« ehi! ehi! » gridò: « non ci scappi, padre riverito:
avanti, avanti. » Don Rodrigo, senza indovinar precisa-
mente il soggetto di quella visita, pure, pei' non so (jual
presentimento confuso, n'avrebbe fallo di meno. Ma, poi-
84 1 PROMESSI SPOSI
chò lo spensicralo d'Attilio aveva falla quella irran chia-
mala, non conveniva a lui di tirarsene indietro; e disse:
« venga, padre, venga. » Il padre s'avanzò, inchinan-
dosi al padrone, e rispondendo, a due mani, ai saluti
de' commensali.
L'uomo onesto in faccia al malvagio, piace general-
mente (non dico a lutti) immaginarselo con la fronte
alla, con lo sguardo sicuro, col petto rilevato, con lo sci-
linguagnolo hene sciolto. Nel fallo però, per fargli pren-
der quell'attitudine, si richiedon molte circostanze, le
quali ben di rado si riscontrano insieme. Perciò, non vi
maravigliate se fra Cristoforo, col buon testimonio della
sua coscienza, col sentimento fermissimo della giustizia
della causa che veniva a sostenere, con un sentimento
misto d'orrore e di compassione per don Rodrigo, stesse
con una cert'aria di suggezione e di rispetto, alla pre-
senza di quello slesso don Rodrigo ch'era lì in capò
di tavola, in casa sua, nel suo regno, circondato d' a-
mici, d'omaggi, di tanti segni della sua potenza, con un
viso da far morire in bocca a chi si sia una preghiera,
non che un consiglio, non che una correzione, non che
un rimprovero. Alla sua destra sedeva quel conte Attilio
suo cugino, e, se fa bisogno di dirlo, suo collega di li-
bertinaggio e di soverchieria, il quale era venuto da Mi-
lano a villeggiare, per alcuni giorni, con lui. A sinistra,
e a un altro lato della tavola, stava, con gran rispetto,
temperalo però d'una certa sicurezza, e d'una certa sac-
centeria, il signor podestcà, quel medesimo a cui, in teo-
ria, sarebbe toccato a far giustizia a Renzo Tramaglino,
e a fare star a dovere don Rodrigo, come s'è visto di
sopra. In faccia al podestà, in atto d'un rispetto il più
puro , il piii sviscerato, sedeva il nostro dottor Azzecca-
garbugli, in cappa nera, e col naso più rubicondo del
solito: in faccia ai due cugini, due convitati oscuri, de'
quali la nostra storia dice soltanto che non facevano al-
tro che mangiare, chinare il capo , sorridere e appro-
vare ogni cosa che dicesse un commensale, e a cui
un altro non contraddicesse.
CAPITOLO V. 85
« Da sedere al padre, » disse don Rodrigo. Un ser-
vitore presentò una sedia, sulla quale si mise il padre
Cristoforo ;, facendo qualche scusa al signore , d' esser
venuto in ora inopportuna. « Bramerei di parlarle da
solo a solo, con suo comodo, per un affare d'importanza, »
soggiunse poi, con voce più sommessa, air orecchio di
don Rodrigo.
« Bene, bene, parleremo;» rispose questo: «ma in-
tanto si porti da bere al padre. »
Il padre voleva schermirsi ; ma don Rodrigo, alzando
la voce, in mezzo al trambusto ch'era ricominciato, gri-
dava: « no, per bacco, non mi farà questo torto; non
sarà mai vero che un cappuccino vada via da questa
casa, senza aver gustato del mio vino, nò un creditore
insolente, senza aver assaggiate le legna de' miei l)Oschi.»
Queste parole eccitarono un riso universale, e interrup-
pero un momento la questione che s'agitava caldamente
tra i commensali. Un servitore, portando sur una sot-
tocoppa un' ampolla di vino, e un lungo bicchiere in
forma di calice, lo presentò al padre ; il quale, non vo-
lendo resistere a un invito tanto pressante dell'uomo
che gli premeva tanto di farsi propizio, non esitò a me-
scere, e si mise a sorbir lentamente il vino.
« L'autorità del Tasso non serve al suo assunto, si-
gnor podestà riverito; anzi è contro di lei; » riprese a
urlare il conte Attilio: « perchè queir uomo erudito,
quell'uomo grande, che sapeva a mcMiadilo tutte le l'c-
gole della cavalleria, ha fatto che il messo d'Argante,
prima d'esporre la sfida ai cavalieri cristiani, chieda li-
cenza al pio Buglione .... »
« Ma questo » replicava, non meno urlando, il po-
destà, « questo è un di |»iìi, un mero di più, un orna-
mento poetico, giacche il messaggiero è di sua natura
inviolabile, per diritto delle gcaii.jare geniimi: e, senza
andar tanto a cercare, lo dice anche il proverbio: am-
basciator non porta pena. E , i pi'overbi, signor conte,
sono la sapienza del genere umano. E, non avendo il
86 I PROMESSI SPOSI
mcssaggiero dello nulla in suo proprio nome, ma sola-
mente presentata la sfida in iscritto .... »
« Ma quando vorrà capire che quel messaggicro era
un asino temerario, che non conosceva le prime . . . .? »
« Con huona licenza di lor signori, » interruppe don
Rodrigo, il quale non avrchbe voluto che la questione
andasse troppo avanti: « rimettiamola nel padre Cristo-
foro; e si stia alla sua sentenza. »
« Bene, benissimo, » disse il conte Attilio, al quale
parve cosa molto garbata il far decidere un punto di
cavalleria da un cappuccino; mentre il podestà, più in-
fervorato di cuore nella questione, si chetava a stento,
e con un certo viso, che pareva volesse dire : ragazzate.
« Ma, da quel che mi parve d'aver capito, » disse
il padre, « non son cose di cui io mi deva intendere. »
« Solite scuse di modestia di loro padri ; » disse don
Rodrigo: ma non mi scapperà. Eh via! sappiam bene
che lei non è venuta al mondo col cappuccio in capo,
e che il mondo l'ha conosciuto. Via, via: ecco la que-
stione. »
« Il fatto è questo, d cominciava a gridare il conte
Attilio.
« Lasciate dir a me, che son neutrale, cugino, » ri-
prese don Rodrigo. « Ecco la storia. Un cavaliere spa-
gnolo manda una sfida a un cavalier milanese: il por-
tatore, non trovando il provocato in casa, consegna il
cartello a un fratello del cavaliere; il qual fratello legge
la sfida, e in risposta dà alcune bastonate al portatore.
Si tratta »
« Ben date, ben applicate, » gridò il conte Attilio.
« Fu una vera ispirazione. »
« Del demonio, » soggiunse il podestà. « Battere un
ambasciatore! persona sacra! Anche lei padre, mi dirà
se questa è azione da cavaliere. »
« Si, signore, da cavaliere, » gridò il conte: « e lo
lasci dire a me, che devo intendermi di ciò che con-
viene a un cavaliere. Oh, se fossero stati pugni, sarebbe
CAPITOLO V. 87
un'altra faccenda; ma il bastone non isporca le mani a
nessuno. Quello che non posso capire è perchè le pre-
mano tante le spalle d'un mascalzone. »
« Chi le ha parlato delle spalle, signor conte mio?
Lei mi fa dire spropositi che non mi son mai passati
per la mente. Ho parlato del carattere, e non di spalle,
io. Parlo sopra tutto del diritto delle genti. Mi dica un
poco, di grazia, se i feciali che gli antichi Romani man-
davano a intimar le sfide agii altri popoli, chiedevan
licenza d'esporre l'ambasciata: e mi trovi un poco uno
scrittore che faccia menzione che un feciale sia mai stato
bastonato. »
« Che hanno a far con noi gli ufiziali degli antichi
Romani? gente che andava alla buona, e che, in que-
ste cose, era indietro^ indietro. Ma, secondo le leggi
della cavalleria moderna, eh' è la vera, dico e sostengo
che un messo il quale ardisce di porre in mano a un
cavaliere una sfida, senza avergliene chiesta licenza, è
un temerario, violabile violabilissimo, bastonabile basto-
nabilissimo »
« Risponda un poco a questo sillogismo »
« Niente, niente, niente. »
« Ma ascoHi, ma ascolti, ma ascolti. Percotere un di-
sarmato e atto proditorio; alqui il messo de quo era
senz' arme ; ergo »
« Piano, piano, signor podestà. »
« Che piano? »
« Piano, le dico: cosa mi viene a dire? Atto prodi-
torio è ferire uno con la spada, per di dietro, o dar-
gli una schioppettata nella schiena: e, anche per que-
sto, si possono dar certi casi .... ma stiamo nella que-
stione. Concedo che questo generalmente possa chiamarsi
atto proditorio; ma appoggiar quattro Itaslonate a un
mascalzone! Sarebbe bella che si (bwesse ilirgli: guarda
che li bastono: come si direi)! ic :i mi galantuomo: mano
alla spada. — E lei, signor dutlor riverito, in vece di
farmi de' sogghigni, per farmi capire ch'ò del mio pa-
88 I PROMESSI SPOSI
rerc, perchè non sosliciie le mie ragioni, con la sua
buona labella, per aiutarmi a persuader questo signore?»
« Io » rispose confusetto il dottore : a io godo
di questa dotta disputa; e ringrazio il bell'accidente
che ha dato occasione a una guerra d'ingegni così gra-
ziosa. E poi, a me non compete di dar sentenza: sua
signoria illustrissima ha già delegato un giudice qui
il padre .... »
« È vero; » disse don Rodrigo: « ma come volete
che il giudice parti, quando i litiganti non vogliono
stare zitti? »
<c Ammutolisco, » disse il conte Attilio. Il podestà
strinse le labl)ra, e alzò la mano, come in atto di ras-
segnazione.
« Ah sia ringraziato il cielo 1 A lei, padre, » disse don
Rodrigo, con una serietà mezzo canzonatoria.
« Ho già fatte le mie scuse, col dire che non me n'in-
tendo, » rispose fra Cristoforo, rendendo il bicchiere a
un servitore.
« Scuse magre: » gridarono i due cugini: « vogliamo
la sentenza. »
« Quand'è così, » riprese il frate, « il mio debole
parere sarei )be che non vi fossero né sfide, né porta-
tori, né bastonate. »
I commensali si guardarono l'un con l'altro maravi-
gliali.
« Oh questa è grossa! « disse il conte Attilio, a Mi
perdoni, padre, ma è grossa. Si vede che lei non cono-
sce il mondo. »
« Lui? » disse don Rodrigo: « me lo volete far ri-
dire: lo conosce, cugino mio, quanto voi: non è vero,
padre? Dica, dica se non ha fatta la sua carovana? »
In vece di rispondere a quest'amorevole domanda, il
padre disse una parolina in segreto a sé medesimo: —
queste vengono a te; ma ricordati, frate, che non sei
qui per te, e che tutto ciò che tocca te solo, non entra
nel conto.
CAPITOLO V. 89
« Sarà, » disse il cugino: « ma il padre come
si ciiiama il padre? »
1 Padre Cristoforo » rispose più d'uno.
« Ma, padre Cristoforo, padron mio colendissimo, con
queste sue massime, lei vorrebbe mandare il mondo sot-
tosopra. Senza sfide! Senza bastonate! Addio il punto
d'onore: impunità per tutti i mascalzoni. Per buona sorte
che il supposto è impossibile. »
o; Animo, dottoro, » scappò fuori don Rodrigo, clie
voleva sempre più divertire la disputa dai due primi
contendenti, « animo, a voi, cbe, per dar ragione a tutti,
siete un uomo. Vediamo un poco come farete per dar
ragione in questo al padre Cristoforo. t>
« In verità, » rispose il dottore, tenendo brandita in
aria la forchetta, e rivolgendosi al padre, « in verità io
non so intendere come il padre Cristoforo, il quale è
insieme il perfetto religioso e l'uomo di mondo, non
abbia pensato che la sua sentenza, buona, ottima e di
giusto peso sul pulpito, non vai niente, sia detto col
dovuto rispetto, in una disputa cavalleresca. Ma il padre
sa, meglio di me, che ogni cosa, è buona a suo luogo;
e io credo che, questa volta, abbia voluto cavarsi, con
una celia, dall'impiccio di proferire una sentenza. »
Che si poteva mai rispondere a ragionamenti dedotti
da una sapienza così antica, e sempre nuova? Niente:
e così fece il nostro frate.
Ma don Rodrigo, per voler troncare quella questione,
ne venne a suscitare un'altra. « A proposito, » disse,
« ho sentito che a Milano correvan voci d'accomoda-
mento. »
Il lettore sa che in quell'anno si combatteva per la
successione al ducato di Mantova, del quale, alia moi'te"
-*di Vincenzo Gonzaga, che non aveva lasciata prole le
gittima, era entrato in possesso il duca di Nevers, suo
parente più prossimo. Luigi XIII, ossia il cardinale di
Ricbclicu, sosteneva quel )ìrin('ipe, suo ben affetto, e
nati[rali/.zato francese: Filippo IV, ossia il conte d'Oli-
90 I PROMESSI SPOSI
vares, comunemente chiamalo il conte duca, non lo vo-
leva lì, per le stesse ragioni; e gli aveva mosso guerra.
Siccome poi quel ducato era feudo dell'impero, cosi le
due parti s'adoperavano, con pratiche, con istanze, con
minacce, presso l'imperator Ferdinando II, la prima per-
chè accordasse l'investitura al nuovo duca; la seconda
perchè gliela negasse, anzi aiutasse a cacciarlo da quello
stato.
« Non son lontano dal credere, » disse il conte At-
tilio, « che le cose si possano accomodare. Ho certi in-
dizi »
« Non creda, signor conte, non creda, » interruppe
il podestà. « Io, in questo cantuccio, posso saperle le
cose; perchè il signor castellano spagnolo, che, per sua
hontà, mi vuole un po' di bene, e per esser figliuolo d'un
creato del conte duca, è informato d' ogni cosa .... »
R Le dico che a me accade ogni giorno di parlare in
Milano con ben altri personaggi; e so di buon luogo che
il papa, interessatissimo, com'è, per la pace, ha fatto
proposizioni »
« Così dev'essere; la cosa è in regola; sua santità fa
il suo dovere; un papa deve saper sempre metter bene
tra i principi cristiani ; ma il conte duca ha la sua po-
litica, e »
« E, e, e; sa lei, signor mio, come la pensi l'impe-
ratore, in questo momento? Crede lei che non ci sia
altro che Mantova a questo mondo? Le cose a cui si
deve pensare son molte, signor mio. Sa lei, per esem-
pio, fino a che segno T imperatore possa ora fidarsi di
quel suo principe di Valdistano o di Vallistai, o come
lo chiamano, e se ... . »
« Il nome legittimo in lingua alemanna^ » interruppe
ancora il podestà, « è Vagliensteino, come l'ho sentito
proferir più volte dal nostro signor castellano spagnolo.
Ma stia pur di buon animo, che »
« Mi vuole insegnare . . . .? » riprendeva il conte; ma
don Rodrigo gli die d'occhio, per far intendere che, per
CAPITOLO V. '9l
amor suo, cessasse di conlraddirc. Il conte tacque, e il
podestà, come un bastimento disimbrogliato da una secca,
continuò, a vele gonfie, il corso della sua eloquenza,
« Vagliensteino mi dea poco fastidio ; percliè il conte duca
ha l'occhio a tutto, e per tutto; e se Vagliensteino vorrà
farcii bell'umore, saprà ben lui farlo rigar diritto, con
le buone, o con le cattive. Ha l'occhio per tutto, dico,
e le mani lunghe; e, se ha fisso il chiodo, come l'ha
fisso, e giustamente, da quel gran politico che è, che il
signor duca di Nivers non metta le radici in Mantova,
il signor duca di Nivers non ce le metterà; e il signor
cardinale di Riciliù farà un buco nell'acqua. Mi fa pur
ridere quel caro signor cardinale, a voler cozzare con
un conte duca, con un Olivares. Dico il vero, che vor-
rei rinascere di qui a dugent'anni, per sentir cosa di-
ranno i posteri, di questa bella pretensione. Ci vuol altro
che invidia; testa vuol essere: e teste come la testa d'un
conte duca, ce n'è una sola al mondo. Il conte duca,
signori miei, » proseguiva il podestà, sempre col vento
in poppa, e un po' maravigliato anche lui di non incon-
trar mai uno scoglio: « Il conte duca è una volpe vec-
chia, parlando col dovuto rispetto, che farebbe perder la
traccia a chi si sia : e, quando accenna a destra, si può
esser sicuri che batterà a sinistra: ond'è che nessuno
può mai vantarsi di conoscere i suoi disegni ; e quegli
stessi che devon metterli in esecuzione, quegli slessi che
scrivono i dispacci, non ne capiscon niente. Io posso par-
lare con qualche cognizion ili causa; perchè quel bra-
v'uomo del signor castellano si degna di trattenersi
meco, con qualche confidenza. Il conte duca, viceversa,
sa appuntino cosa bolle in pentola di tulle l'alln; corti;
e tulli (jue' politiconi (che ce n'è di diritti assai, non si
può negare) hanno appena immaginato un disegno, che
il conte duca te 1' ha già indovinato, con quella sua te-
sta, con quelle sue strade coperte, con qnc" suoi Idi lesi
per lullo. Quel pover'uomo del cardinale di Kicilii'i tenia
di ([ua, fiuta di là, suda, s'ingegna: e poi? (piandogli
^ I PROMESSI SPOSI
è riuscito di scavare una mina, irova la contraminina
già ijoll' e fatta dal conte duca »
Sa il ciclo quando il pOLlcstà avrebbe preso terra; ma
don Rodrigo, stimolato anclic da' versacci che faceva il
cugino, si voltò all'improvviso, come se gli venisse un'ispi-
razione, a un servitore, e gli accennò che portasse un
certo fiasco. « Signor podestà, e signori miei! » disse
poi: « un brindisi al conte duca; e mi sapranno dire
se il vino sia degno del personaggio. » Il podestà rispose
con un inchino, nel quale traspariva un sentimento di
riconoscenza particolare; perchè tutto ciò che si faceva
0 si diceva in onore del conte duca, lo riteneva in parte
come fatto a sé.
« Viva mill'anni don Gasparo Guzman, conte d'Oli-
vares, duca di san Lucar, gran privato del re don Fi-
lippo il grande, nostro signore! » esclamò alzando il
bicchiere.
Privato, chi non lo sapesse, era d termine in uso, a
que' tempi, per significare il favorito d'un principe.
« Viva mill'anni! » risposer tutti.
« Servite il padre, » disse don Rodrigo.
« Mi perdoni; » rispose il padre: « ma ho già fatto
un disordine, e non potrei .... »
« Come! » disse don Rodrigo: i si tratta d'un brin-
disi al conte duca. Vuol dunque far credere ch'ella tenga
dai navarrini? »
Così si chiamavano allora, per ischerno, i Francesi,
dai principi di Navarra, che avevan cominciato con En-
rico IV, a regnar sopra di loro.
A tale scongiuro, convenne bere. Tutti i commensali
proruppero in esclamazioni, e in elogi del vino ; fuor che
il dottore, il quale, col capo alzato, con gli occhi fissi,
con le labbra strette, esprimeva molto più che non avrebbe
potuto far con parole.
« Che ne dite eh, dottore? » domandò don Rodrigo.
Tirato fuor del bicchiere un naso più vermiglio e più
lucente di quello, il dottore rispose battendo con enfasi
CAPITOLO V. 93
Ogni sillaba: « dico, profferisco e sentenzio clic questo è
rOlivaros de' vini: censiil, et in eamivi sentenilam, che un
li([uor simile non si trova in tu Iti i ventidue regni del
re nostro signore, che Dio guardi: dichiaro e delìnisco
che i pranzi dell' illustrissimo signor don Rodrigo vin-
cono le cene d'Eliogabalo; e che la carestia è bandita
e confinata in perpetuo da questo palazzo, dove siede e
regna la splendidezza. »
« Ben detto! ben definito I» gridarono, a una voce, i
commensali; ma quella parola, carestia, che il dottore,
aveva buttato fuori a caso, rivolse in un punto tutte le
menti a quel tristo soggetto; e tutti parlarono della ca-
restia. Qui andavan tulli d'accordo, almeno nel princi-
pale; ma il fracasso era fors(3 pu'i grande che se ci fosse
stato disparere. Parlavan tutti insieme. « Non c'è care-
stia, » diceva uno: « sono gl'incettatori »
« E i fornai; » diceva un altro: « che nascondono il
grano. Impiccarli. »
« Appunto: impiccarli, senza misericordia. »
« De' buoni processi, » gridava il potestà.
« Che processi? » gridava più forte il conte Attilio:
« giustizia sommaria. Pigliarne tre o quattro o cinf[ue
0 sei, di quelli che, per voce pubblica, son conosciuti
come i più ricchi e i più cani, e im[)iccarh. »
« Esempli esempi! senza esemi)i non si la nulki. »
« Impiccarli! impiccarli!; e salterà fuori grano da tutte
le parti. »
Chi, passando per una fiera, s'è trovalo a goder l'armo-
nia che fa una cumpagiiia di canlambanchi, (juando, tra
una sonala e l'altra, ognuno acrurda il suo stromento,
facendolo stridere quanto più può, affine di sentirlo di-
stintamente, in mezzo al rumore degli altri, s'immagini
che tale fosse la consonanza di quei, se si può dire,
discorsi. S'andava inlanlu mescendo e l'imescendu di ([nel
tal vino; e le lodi di esso venivano, com'era giusto, fram-
mischiate alle sentenze di giurisprudenza economica ; sic-
ché le parole che s'udivau più sonore e inù frequenti
erano: ambrosia e impiccarli.
94 1 PROMESSI SPOSI, CAPITOLO V.
Don Rodrigo intanto dava dell'occhiato al solo che
slava zitto; e lo vedeva sempre li fermu, senza dar se-
gno d'impazienza ne di fretta, senza far atto che tendesse
a ricordare che stava aspettando; ma in aria di non vo-
ler andarsene, prima d' essere stato ascoltato. L' avrebbe
mandato a spasso volentieri, e fatto di meno di quel
collofpiio; ma congedare un cappuccino, senza avergli
dato udienza, non era secondo le regole della^ sua poli-
tica. Poiché la seccatura non si poteva scansare, si ri-
solvette d'affrontarla subito, e di liberarsene; s'alzò da
tavola, e seco tutta la rubiconda brigata, senza interrom-
pere il chiasso. Chiesta poi licenza agli ospiti, s'avvicinò,
in atto contegnoso, al frale, che s'era subito alzato con
gli altri; gli disse: « eccomi a' suoi comandi; » -e lo con-
dusse in un'altra sala.
CAPITOLO VI.
« In che posso ubbidirla? » disse don Rodrigo pian-
tandosi in piedi nel mezzo della sala. Il snono delle pa-
role era tale; ma il modo con cui eran proferite, voleva
dir chiaramente, bada a chi sei davanti, pesa le parole,
e sbrigati.
Per dar coraggio al nostro fra Cristoforo, non c'era
mezzo più sicuro e più spedilo, che prenderlo con ma-
niera arrogante. Egli che stava sospeso, cercando le pa-
role, e facendo scorrere tra le dita le ave marie della
corona che teneva a cintola, come se in qualcheduna di
quelle sperasse di trovare il suo esordio ; a quel fare di
tlon Rodrigo, si senti subito venir sulle labbra più parole
del bisogno. Ma pensando quanto importasse di non gua-
stare i fatti suoi 0, ciò ch'era assai più, i l'atti altrui,
corresse e temperò le frasi che gli si eran presentale
alla mente, e disse, con guardinga umiltà: « vengo a
proporle un allo di giustizia, a pregarla d'nna carità.
Cert'nomini di m;il affare hanno messo iinianzì il nome
di ^ossig^()|■i;l illiisttissimii, ])er fai' paura a un povero
curato, e iinpedii'gii di conqiire il suo dovere, e per
soverchiare due huiocenti. Lei può, con una parola, con-
96 I PROMESSI SPOSI
fonder coloro, rcsUtuirc al diritto la sua forza, e sollevar
quelli a cui è fatta una cosi crudel violenza. Lo può; e
jiolendolo la coscienza, l'onore »
« Lei mi parkM'à della mia coscienza, (piando verrò
a confessarmi da lei. In (pianto al mio onore, ha da sa-
pere che il custode ne son io, e io solo; e che chiunque
ardisce entrare a parte con me di questa cura, lo riguardo
come il temerario che T offende. »
Fra Cristoforo, avvertito da queste parole che quel
signore cercava di tirare al peggio le sue, per volgere
il discorso in contesa, e non dargli luogo di venire alle
strette, s' impegnò tanto più alla sofferenza, risolvette
di mandar giù qualunque cosa piacesse all' altro di di-
re, e rispose subito, con un tono sommesso: « se ho
detto cosa che le dispiaccia, è stato certamente contro
la mia intenzione. Mi corregga pure, mi riprenda, se
non so parlare come si conviene; ma si degni ascollar-
mi. P(3r amor del cielo, per quel Dio, al cui cospetto
dobhiam tutti comparire » e, cosi dicendo, aveva
preso tra le dita, e metteva davanti agli occhi del suo
accigliato ascoltatore il teschietto di legno attaccalo alla
sua corona, « non s'ostini a negare una giustizia cosi
facile, e così dovuta a de' poverelli. Pensi che Dio ha sem-
pre gli occhi sopra di loro, e che le loro grida, i loro ge-
mili sono ascoltali lassù. L'innocenza è polente al suo. ... »
« Eh, padre! » interruppe bruscamente don Rodrigo:
« il rispetto eh' io porto al suo abito è grande: ma se
qualche cosa potesse farmelo dimenticare, sarebbe il ve-
derlo indosso a uno che ardisse di venire a farmi la
spia in casa. »
Questa parola fece venir le fiamme sul viso del fra-
le : il (piale però, col sembiante di chi inghiottisce una
medicina molto amara, riprese: « lei non crede che un
tal titolo mi si convenga, Lei sente, in cuor suo, che il
passo eh' io fo ora qui , non ò ne vile ni'^ spregevole.
M' ascolti, signor don Hodrigo; e voglia il cielo che non
venga un giorno in cui si penta di non avermi ascoi-
CAPITOLO VI. 1)7
tato. Non vopiia motlor la ^ua gloria qnal ploria,
signor don Rodrigo! qiial gloria dinanzi agli nominiJ
E dinanzi a Dio! Lei può molto quaggiù; ma »
« Sa loi, » disse don Rodrigo, interrompendo, con
istizza, ma non senza qualche raccapriccio, « sa lei che,
quando mi viene lo schirihizzo di senlir(> una predica,
so benissimo andare in chiesa, come fanno gli altri?
Ma in casa mia! Oh! » e continuò, con un sorriso for-
zato di scherno: « lei mi tratta da piìi di quel che sono.
Il predicatore in casa! Non l'hanno che i principi. »
« E quel Dio che chiede conto ai principi della pa-
rola che fa loro sentire, nelle loro reggie; (pu>l Die che
le usa ora un tratto di misericordia, mandando un suo
ministro, indegno e miserabile, ma un suo ministro, a
pr(\iiar per una innocente .... »
« In somma, padre, » disse don Rodrigo, facendo
atto d'andarsene, « io non so quel che lei voglia dire:
non capisco altro se non che ci dev' essere (pialche fan-
ciulla che le preme molto. Vada a far le sue conlldenze
a chi le piace; e non si prenda la libertà d' inlìistidir
più a luogo un gentiluomo. »
Al moversi di don Rodrigo, il nostro frale gli s' era
messo tlavanli, ma con gran rispello; e, alzale le mani, co-
me per supplicare e per IrathMierlo ad un punto, risposo
ancora: « la mi preme, ò vero, ma non più di lei; son
due anime che, l'una e l'altra, mi premon più del mio
sangue. Don Rodrigo! io non posso far al Irò per lei, che
pi'cgar Dio; ma lo farò ben ili cuore. Non mi dica di
no: non voglia lener nell'angoscia e nel lerrore una
povera innocente. Una parola di lei può far tutto. »
« Ehlicne, » disse don Rodrigo, « giacche lei crede
eh' io possa far molto per questa persona; giacchi' (pu>-
sta persona \c sta tanto a cuore .... »
« Ebbene? » riprese ansiosamente il padre Cristoforo,
al quale l'alio e il conlcgno di don Rodrigo non per-
mellevano d'abbandonarsi alla spei'anza che pi;uvvano
aininnziai-e (piclle i)arole.
VOL. I. K
98 I PROMESSI SPOSI
« Ebbene, la consigli di venire a mettersi sotto la
mìa protezione. Non le manclierà più nulla, e nessuno
ardirà d' inquietarla, o eh' io non son cavaliere, r,
A siffatta proposta, l' indefinazione del frate, rattenuta
a stento fin allora, traboccò. Tutti que' bei proponimenti
di prudenza e di pazienza andarono in fumo: l'uomo
vecchio si trovò d'accordo col nuovo; e, in que' casi,
fra Cristoforo valeva veramente per due. « La vostra
protezione ! » esclamò dando indietro due passi, postan-
dosi fieramente sul piede destro, mettendo la destra sul-
1' anca, alzando la sinistra con l' indice leso verso don Ro-
drigo, e piantandogli in faccia due occhi infiammati: « la
vostra prolezione! É meglio che abbiate parlato così,
che abbiate fatta a me una tale proposta. Avete colmata
la misura; e non vi temo più. »
« Come parli, frate?.. . »
« Parlo come si parla a chi è abbandonato da Dio,
e non può più far paura. La vostra protezione! Sapevo
bene che quella innocente è sotto la protezione di Dio;
ma voi, voi me lo fate sentire ora, con tanta certezza,
che non ho più bisogno dì riguardi a parlarvene. Lucia,
dico: vedete come io pronunzio questo nome con la
fronte alla, e con gli occhi immobili. »
« Come! in questa casa »
« Ho compassione di questa casa: la maledizione le
sta sopra sospesa. State a vedere che la giustizia di Dio
avrà riguardo a quattro pietre, e suggezione di quattro
sgherri. Voi avete creduto che Dio abbia fatta una crea-
tura a sua immagine, per darvi ìì piacere di tormentarla !
Voi avete creduto che Dio non saprebbe difenderla ! Voi
avete disprezzato il suo avviso! Vi siete giudicato. Il cuo-
re di Faraone era indurito quanto il vostro; e Dio ha
sapulo spezzarlo. Lucia è sicura da voi: ve lo dico io
povero frate; e in quanto a voi sentite bene quel eh' io
Ai prometto. Verrà un giorno »
Don Rodrigo era fin allora rimasto tra la rabbia e la
maraviglia, attonito, non trovando parole; ma, quando
CAPITOLO VI. 99
senti intonare una predizione, s'aggiunse alla rabbia un
lontano e misterioso spavento.
Afferrò rapidamente per aria quella mano minacciosa,
e, alzando la voce, per troncar quella dell' infausto pro-
feta, gridò: 4 escimi di tra piedi, villano temerario, pol-
trone incappucciato. »
Queste parole cosi chiare acquietarono in un momento
il padre Cristoforo. All'idea di strapazzo e di villania
era, nella sua mente, così bene, e da tanto tempo, as-
sociata r idea di sofferenza e di silenzio, che, a quel
complimento, gli cadde ogni spirito d'ira e d'entusia-
smo, e non gli restò altra risoluzione che quella d'udir
tranquillamente ciò che a don Rodrigo piacesse d'aggiun-
gere. Onde, ritirata placidamente la mano dagli artigli
del gentiluomo, abbassò il capo, e rimase immobile, co-
me al cader del vento, nel forte della burrasca, un al-
bero agitato ricompone naturalmente i suoi rami, e
riceve la grandine come il ciel la manda.
« Villano rincivililo! » proseguì don Rodrigo; « tu
tratti da par tuo. Ma ringrazia il saio che ti copre co-
deste spalle di mascalzone, e ti salva dalle carezze che
si fanno a' tuoi pari, per insegnar loro a parlare. Esci
con le tue gambe, per questa volta e la vedremo. »
Cosi dicendo, additò, con impero sprezzante, un uscio
in faccia a quello per cui erano entrali; il padre Cristo-
foro chinò il capo, e se n'andò, lasciando don Rodri-go
a misurare, a passi infuriati, il campo di battaglia.
Quando il frate ebbe serrato 1' uscio dietro a sé, vide
neir altra stanza dove entrava, un uomo ritirarsi pian
piano, strisciando il muro, come per non esser veduto
dalla stanza del colloquio; e riconobbe il vecchio scn^vi-
lore eh' era venuto a riceverlo alla porla di strada. Era
costui in quella casa, forse da quarant' anni, cioè prima
che nascesse don Rodrigo; entratovi al servizio dc\ pa-
dre, il quale era stato lutf un' altra cosa. Morto lui, il
nuovo padrone, dando lo sfratlo a lulla la famiglia, <>
facendo Itrigala nuova, aveva però ritenuto quel servi-
100 I PROMESSI SPOSI
lore, e per esser già vecchio, e perchè, sehhen di mas-
sime e di cosliime diverso interamente dal suo, compen-
sava però questo difetto con due qualità: un' alta opi-
nione della dignità della casa, e una gran pratica del
cerimoniale, di cui conosceva, meglio ^d' ogni altro, le
più antiche tradizioni, e i più minuti particolari. In fac-
cia al signore, il povero vecchio non si sarebbe mai
arrischiato d'accennare, nonché d'esprimere la sua di-
sapprovazione di ciò che vedeva tutto il giorno: appena
ne faceva qualche eBclamazione, qualche rimprovero tra
i denti a' suoi colleghi di servizio; i quali se ne rideva-
no, e prendevano anzi piacere qualche volta a toccargli
quel tasto, per fargli dir di più che non avrebbe voluto,
e per sentirlo ricantar le lodi dell'antico modo di vivere
in quella casa. Le sue censure non arrivavano agli orec-
chi del padrone che accompagnate dal racconto delle
risa che se n' eran fatte; dimodoché riuscivano anche
per lui un soggetto di scherno, senza risentimento. Ne'
giorni poi d' invito e di ricevimento, il vecchio diven-
tava un personaggio serio e d' importanza.
Il padre Cristoforo lo guardò, passando, lo salutò, e
seguitava la sua strada; ma il vecchio se gli accostò mi-
steriosamente, mise il dito alla bocca, e poi, col dito
slesso, gli fece un cenno, per invitarlo a entrar con lui
in un andito buio. Quando furon lì, gli disse sotto vo-
ce: « padre, ho sentito tutto, e ho bisogno di parlarle. »
« Dite presto, buon uomo. »
« Qui no: guai se il padrone s' avvede .... Ma io so
molte cose; e vedrò di venir domani al convento. »
«C'è qualche disegno? »
« Qualcosa per aria c'è di sicuro: già me ne son
potuto accorgere. Ma ora starò suU' inlesa, e spero di
scoprir tulio. Lasci fare a me. Mi tocca a vedere e a sen-
tir cose...! cose di fuoco! Sono in una casa...! Ma
io vorrei salvar 1' anima mia. »
« Il Signore vi benedica! » e, proferendo sottovoce
(lueste parole, il frate mise la mano sul cap o del servi-
CAPITOLO Vi. 101
lore, che, qnantunciiio più vecchio di hii, gli stava curvo
dinanzi, nell' attitudine d' un figliuolo. « Il Signore vi
ricompenserà, » proseguì il frate: « non mancate di ve-
nir domani, j
a Verrò, » rispose il servitore: « ma lei vada via su-
bito e per amor del cielo non mi nomini. »
Così dicendo, e guardando intorno, uscì per Taltra parte
dell'andito, in un salotto, che rispondeva nel cortile; e,
visto il campo libero, chiamò fuori il buon frate, il
volto del quale rispose a queir uUima parola più chiaro
che non avrebbe potuto fare qualunque prolesta. Il ser-
vitore gii additò l'uscita; e il frate, senza dir altro,
partì.
Queir uòmo ' era slato a sentire all'uscio del suo pa-
drone: aveva fatto tiene ? E fra Cristoforo faceva bene a
lodarlo di ciò? Secondo le regole più comuni e men
contraddette, è cosa molto brutta; ma quel caso non
poteva riguardarsi come un'eccezione? E ci sono dell' ec-
cezioni alle ''regole più comuni e men contraddette?
Questioni importanti; ma che il lettore risolverà da sé,
se ne ha voglia. Noi non intendiamo di dar giudizi : ci
basta d'aver dei falli da raccontare.
Uscito fuori, e voltate le spalle a quella casacci a,
fra Cristoforo respirò più liberamente, e s'avviò in fretta
per la scesa, tutto infocato in volto, commosso e sotto-
sopra, come ognuno può immaginarsi, per quel che aveva
sentito, e per quel die aveva detto. Ma (juella così ina-
spettata esibizione del vecchio era stata un gran ristora-
tivo per lui: gli pareva clie il cielo gli avesse dato un
segno visibile dalla sua protezione. — Ecco un fdo,
pensava, un fdo die la provvidiMiza mi mette nelle mani.
E in (puìlla casa medesima I E senza die io sognassi
neppure di cercarlo! — Così ruminando, alzò gli occhi
verso l' occidente, vide il sole inclinalo, che già già toc-
cava la cima del monte, e pensò che rimaneva ben poco
del giorno. Allora, beiicliè seidisse le ossa gravi e fiac-
cate da varii strapazzi di cpiella giornata, pure studiò
lOà I PROMESSI SPOSI
di più il passo, por poter riportare un avviso, qiial si
fosse, a' suoi protetti, e arrivar poi al convento, prima
di notte: che era una delle leggi più precise, e più se-
veramente mantenute del codice cappuccinesco.
Intanto nella casetta di Lucia, erano stati messi in
campo e ventilali disegni, de''(iuali ci conviene informare
il lettore. Dopo la partenza del frate, i tre rimasti erano
stati qualche tempo in silenzio; Lucia preparando trista-
mente il desinare; Renzo sul punto d' andarsene ogni
momento, per levarsi dalla vista di lei così accorata, e
non sapendo slaccarsi; Agnese tutta intenta, in apparen-
za, all'aspa che faceva girare. Ma, in realtà, sfava ma-
turando un progetto; e, quando le parve maturo, ruppe
il silenzio in questi termini:
« Sentite, figliuoli! Se volete aver cuore e destrezza,
quanto bisogna, se vi fidate di vostra math^e, » a quel
vostra Lucia si riscosse, « io m' impegno di cavarvi di
quest' impiccio, meglio forse, e più presto del padre Cri-
stoforo^ quantunque sia queir uomo che è. » Lucia ri-
mase li, e la guardò con un volto eh' esprimeva più
maraviglia che fiducia in una promessa tanto magnifica;
e Renzo disse subitamente: « cuore? deslrezza'? dite,
dite pure quel che si può fare. »
« Non è vero, » proseguì Agnese, « che se foste ma-
ritali, si sarebbe già un pezzo avanti? E che a tutlo il
resto si Irovereljbe più facilmente ripiego? »
« C è dubbio ? » disse Renzo : « maritati che fossi-
mo tutto il mondo è paese; e, a due passi di qui,
sul bergamasco, chi lavora seta è ricevuto a braccia
aperte. Sapete quante volte Bortolo mio cugino m' ha
fatto sollecitare d' andar là a star con lui, che farei for-
tuna, com' ha fatto lui: e se non gU ho mai dato retta,
gli è che serve? perchè il mio cuore era qui. Mari-
tati, si va tulli insieme, si mette su casa là, si vive
in santa pace, fuor delf unghie di questo ribaldo, lon-
tano dalla tentazione di fare uno sproposito. N' è vero,
Lucia? »
CAPITOLO VI. 103
« Sì, » disse Lucia: « ma come ?»
« Come ho detto io, » riprese la madre : « cuore e
destrezza; e la cosa è facile. »
« Facile! » dissero insieme que'due, per cui la cosa
era divenuta tanto stranamente e dolorosamente ditTicile.
« Facile, a saperla fare, » replicò Agnese. « Ascolta-
temi bene, che vedrò di farvela intendere. Io ho sentito
dire da gente che sa, e anzi ne ho veduto io un caso,
che, per fare un matrimonio, ci vuole bensì il curato,
ma non è necessario che voglia; basta che ci sia. »
« Come sta questa faccenda? » domandò Renzo.
« Ascoltate e sentirete. Bisogna aver due testimoni
ben lesti e ben d'accordo. Si va dal curalo: il punto
sta di chiapparlo all' improvviso, che non abbia tempo
di scappare. L' uomo dice: signor curalo, questa è mia
moglie: la donna dice: signor curato, questo è mio ma-
rito. Bisogna che il curato senta, che i testimoni senta-"
no; e il matrimonio è beli' e fatto, sacrosanto come se
r avesse fatto il papa. Quando le parole son dette il cu-
rato può strillare, strepitare fare il diavolo; è inutile; siete
marito e moglie. »
a Possibile? » esclamò Lucia.
« Come! » disse Agnese: « state a vedere che, in
trent' anni che ho passati in questo mondo, prima che
nasceste voi altri, non avrò imparato nulla. La cosa è
tale quale ve la dico: per segno tale che una mia amica,
che voleva prender uno contro la volontà de' suoi pa-
renti, facendo in quella maniera, ottenne il suo inlento.
Il curato, che ne aveva sospetto, slava all'erta; ma i due
diavoli seppero far così bene, che lo colsero in un
punto giusto, dissero le parole, e furon marito e mo-
glie: benché la poveretta se ne pentì poi, in capo a tre
giorni. T>
Agnese diceva il vero, e riguardo alla possibilità, e
riguardo al pericolo di non ci riuscire: che, siccome non
ricorrevano a un tale espediente, se non persone che
avesser trovato ostacolo o rifiuto nella via ordinaria, così
104 l PROMESSI SPOSI
i parrochi mellevan gran cura a scansare quella coope-
razione forzata; e, quando un d'essi venisse pure sor-
preso da una di quelle coppie, accompagnata da testi-
moni, faceva di tutto per iscapolarsene, come Proteo
dalle mani di coloro che volevano farlo vaticinare per
forza.
« Se fosse vero, Lucia! » disse Renzo, guardandola
con un' aria d' aspettazione supplichevole.
« Comel se fosse verol » disse Agnese. « Anche voi
credete ch'io dica fandonie. Io m' a Hanno per voi, e
non son creduta : bene bene; cavatevi d' impiccio come
potete: io me ne lavo le mani. »
« Ah noi non ci abbandonate, » disse Renzo. « Parlo
così, perchè la cosa mi par troppo bella. Sono nelle
vostre mani ; vi considero come se foste proprio mia
madre. >
Queste parole fecero svanire il piccolo sdegno di Agne-
se, e dimenticare un proponimento che, per verità, non
era stato serio.
« Ma perchè dunque mamma, » disse Lucia, con quel
suo con legno sommesso, « perchè questa cosa non è ve-
nuta in mente al padre Cristoforo? »
« In mente ? » rispose Agnese : « pensa se non gli
sarà venuta in mente! Ma non ne avrà voluto parlare. »
« Perchè? » domandarono a un trailo i due giovani.
1 Perchè perchè, quando lo volete sapere, i reli-
giosi dicono che veramente è cosa che non istà bene. »
e Come può essere che non istia bene, e che sia ben
fatta^ quand' è fatta? » disse Renzo.
« Che volete eh' io vi dica? » rispose Agnese. « La
legge l'hanno fatta loro, come gli è piaciuto; e noi po-
verelli non possiamo capir tutto. E poi quante cose . . .
Ecco; è come lasciar andare un pugno a un cristiano.
Non istà bene; ma, dato che gliel abbiale, né anche il
papa non glielo può levare. »
« Se è cosa che non istà bene, » disse Lucia, « non
bisogna farla. »
CAPITOLO VI. 105
« Che! » disse Agnese, * ti vorrei forse dare un pa-
rere contro il timor di Dio? Se fosse contro la volontà
de' tuoi parenti, per prendere un rompicollo.... ma,
contenta me, e per prender questo figliuolo ; e chi fa
nascer tutte le difficoltà è un birbone ; e il signor
curato .... »
« L'è chiara^ che l'intenderebbe ognuno, » disse
Renzo.
« Non bisogna parlarne al padre Cristoforo, prima
di far la cosa, » proseguì Agnese : « ma, fatta che sia,
e ben riuscita, che pensi tu che ti dirà il padre? — Ah
figliuola ! è una scappata grossa ; me 1' avete fatta. —
I religiosi devon parlar cosi. Ma credi pure che, in cuor
suo, sarà contento anche lui. d
Lucia, senza trovar che rispondere a quel ragiona-
mento, non ne sembrava però capacitata: ma Renzo,
tutto rincoralo, disse: «t quand' è così, la cosa è fatta. »
« Piano, » disse Agnese « E i testimoni? Trovar due
che vogliano, e che intanto sappiano stare zitti ! E poter
cogliere il signor curato che, da due giorni, se ne sta
rintanato in casa ? E farlo star lì ? che, benché sia pe-
sante di sua natura, vi so dir io che al vedervi compa-
rire in quella conformità, diventerà lesto come un gatto,
e scapperà come il diavolo dall'acqua santa. »
« L' ho trovato io il verso, 1' ho trovato, j disse Ren-
zo, battendo il pugno sulla tavola, e facendo balzellare
le stoviglie apparecchiate per il desinare. E seguitò
esponendo il suo pensiero, che Agnese approvò in tntto
e per tutto.
« Son imbrogli, » disse Lucia : i non son cose lisce.
Finora abbiamo operato sinceramente^ tiriamo avanti
con fede, e Dio ci aiuterà; il padre Cristoforo l'ha detto.
Sentiamo il suo parere. »
« Lasciati guidare da chi ne sa i)iìi di le. » disse
Agnese, con volto grave. « Che bisogno c'è di chieder
pareri? Dio dice: aiutati, ch'io t' aiuto. Al padre raccon-
teremo tutto, a cose fatte. »
106 1 PROMESSI SPOSI
« Lucia, » disse Renzo, « volete voi mancarmi ora?
Non avevamo noi fatto tulle le cose da buon crisliani?
Non dovremmo esser già marito, e moglie? Il curato
non ci aveva fissato lui il giorno e l'ora? E di chi è
la colpa, se dobbiamo ora aiutarci con un po' d' ingegno?
No, non mi manclierele. Vado e (orno con la risposta. »
E salutando Lucia, con un atto dì preghiera, e Agnese,
con un'aria d'intelligenza, partì in fretta.
Le tribolazioni aguzzano il cervello: e Renzo il quale,
nel sentiero retto e piano di vita percorso da lui fin
allora, non s'era mai trovalo nelToccasione d'assottigliar
molto il suo, ne aveva, in questo caso, immaninata una,
da far onore a un giureconsulto. Andò addirittura, .se-
condo che aveva disegnato, alla casetta d' un certo To-
nio, ch'era li poco distante; e lo trovò in cucina, che,
con un ginocchio sullo scalino del focolare, e lenendo,
con una mano, l' orlo d' un paiolo, messo sulle ceneri
calde, dimenava, col matterello ricurvo, una piccola po-
lenta bigia, di gran saraceno. La madre, un fratello, la
moglie di Tonio, erano a tavola ; e tre o quattro ragaz-
zetti, ritti accanto al babbo, stavano aspettando, con gli
occhi fissi al paiolo, che venisse il momento di scodel-
lare. Ma non c'era quell'allegria che la vista del desi-
nare suol pur dare a chi se 1' è meritato con la fatica.
La mole della polenta era in ragion dell' annata, e non
del numero e della buona voglia de' commensali : e
ognun d'essi, fissando, con uno sguardo bieco d'amor
rabbioso, la vivanda comune, pareva pensare alla por-
zione d' appetito, che le doveva sopravvivere. Mentre
Renzo barattava i saluti con la famiglia, Tonio scodellò
la polenta sulla tafleria di faggio, che stava apparecchiata
a riceverla : e parve una piccola luna, in un gran cer-
chio di vapori. Nondimeno le donne dissero cortesemente
a Renzo: « volete restar servito? » complimenlo che il
conladino di Lombardia, e chi sa di quant' altri paesi !
non lascia mai di fare a chi lo trovi a mangiare, quan-
d' anche questo fosse un ricco epulone alzatosi allora
da tavola, e lui fosse all' ullimo boccone.
CAPITOLO VI. 107
« Vi ringrazio, » rispose Renzo: « venivo solamente
per dire una parolina a Tonio; e, se vuoi, Tonio, per
non disturbar le lue donne, possiamo andar a desinare
air osteria, e lì parleremo, r, La proposta tu per Tonio
tanto più gradita, quanto meno aspettata; e le donne, e
anche i bimbi (giacché, su questa materia, principian
presto a ragionare) non videro mal volentieri che si
sottraesse alla polenta un concorrente, e il più formida-
bile. L' invitato non islette a domandar altro, e andò
con Renzo.
Giunti all'osteria del villaggio; seduti, con tutta li-
bertà, in una perfetta solitudine, giacché la miseria aveva
divezzati tutti i frequentatori di quel luogo di delizie;
fatto portare quel poco die si trovava; votato un boc-
cale di vino; Renzo, con aria di mistero, disse a Tonio:
« se tu vuoi farmi un piccolo servizio, io te ne voglio
fare uno grande. >
« Parla, parla; comandami pure, j rispose Tonio, me-
scendo. « Oggi mi butterei nel fuoco per te. »
«1 Tu hai un debito di venticinque lire col signor
curato, per fitto del suo campo, che lavoravi l'anno
passato. »
« Ah, Renzo, Renzo! tu mi guasti il benefizio. Con
che cosa mi vieni fuori"? M'hai fatto andar via il buon
umore. »
« Se ti parlo del debito, » disse Renzo, « è perchè, se
tu vuoi, io intendo di darti il mezzo di pagarlo. »
« Dici davvero? »
« Davvero. Eh? saresti coidento? »
« Contento'? Per diana, se sarei contento! Se non
foss' altro, per non veder più ([ue' versacci, e que' cenni
col capo, che mi fa il signor curalo, ogni volta che e' in-
contriamo. E poi sempre: Tonio, ricordatevi: Tonio,
quando ci vediamo, per quel negozio? A tal segno che
quando, nel predicare, mi fissa quegli orchi addosso,
io sto (piasi in timore che abbia a tlirnii, li in pub-
blico: quelle venticinque lire! Che maledette siano le
108 I PROMESSI SPOSI
venticinque lire! E poi, m'avrebl)c a restituir la collana
d'oro (li mia moglie, die la baratterei in tanta polenta.
Ma.... ■»
a Ma, ma, se tu mi vuoi fare un serviziello, le ven-
ticinque lire son preparale. »
« Dì su.
1 Ma....l» disse Renzo, mettendo il dito alla bocca.
« Fa bisogno di queste cose? tu mi conosci. »
« Il signor curato va cavando fuori certe ragioni senza
sugo, per tirare in lungo il mio matrimonio; e io in
vece vorrei spicciarmi. Mi dicon di sicuro die, presen-
tandosi egli davanti i due sposi, con due testimoni, e
dicendo io: questa è mia moglie, e Lucia: questo è mio
marito, il matrimonio è beli' e fatto. M' bai tu inteso? ^
« Tu vuoi ch'io venga per testimonio?»
« Per r appunto. »
« E pagherai per me le venticinque lire? »
« Così r intendo. »
« Birba chi manca. »
« Ma bisogna trovare un altro testimonio. »
« L' ho trovato. Quel sempliciotto di mio fralel Ger-
vaso farà quello che gli dirò io. Tu gli pagherai da
bere? j
« E da mangiare, » rispose Renzo. « Lo condurremo
qui a stare allegro con noi. Ma saprà fare? »
« GÌ' insegnerò io; tu sai bene eh' io ho avuta anche
la sua parte di cervello. »
e Domani .... »
« Bene. »
« Verso sera.... »
« Benone. »
« Mal... » disse Renzo, mettendo di nuovo il dilo alla
bocca.
« Polli... » rispose Tonio, piegando il capo sulla spalla
destra, e alzando la mano sinistra, con un viso che di-
ceva: mi fai torto,
« Ma se tua moglie ti domanda, come ti domanderà,
senza dubbio.... »
CAPITOLO VI. 109
» Di bugie, sono in debito io con mia moglie, e tanto
tanto, che non so se arriverò mai a saldare il conto.
Qualche pastocchia la troverò, da metterle il cuore in
pace. »
« Domattina, » disse Renzo, « discorreremo con più
comodo, per intenderci bene su tutto. »
Con questo, uscirono dall'osteria, Tonio avviandosi a
casa, e studiando la fandonia che racconterebbe alle donne,
e Renzo a render conto da' concerti presi.
In questo tempo, Agnese s'era afTaticata invano a per-
suader la figliuola. Questa andava opponendo a ogni ra-
gione, ora runa, ora l'altra parte del suo cUlemma: o
la cosa è cattiva, e non bisogna farla; o non è, e per-
chè non dirla al padre Cristoforo?
Renzo arrivò tutto trionfante, fece il suo rapporto, e
terminò con un ahn? interiezione che significa: sono o
non sono un uomo io? si poteva trovar di meglio? vi
sarebbe venuta in mente? e cento cose simili.
Lucia tentennava mollemente il capo; ma i due in-
fervorati le badavan poco, come si suol fare con un fan-
ciullo, al quale non si spera di far intendere tutta la
ragione d'una cosa, e che s'indurrà poi, con le pre-
ghiere e con r autorità, a ciò che si vuol da lui.
« Va bene, » disse Agnese: « va bene; ma.... non avete
pensato a lutto. »
« Cosa ci manca? » rispose Renzo.
« E Perpetua? non avete pensalo a Perpetua. Tonio
e suo fratello, li lascerà entrare; ma voi! voi due! pen-
sate ! avrà ordine di tenervi lontani, più che un ragazzo
da un pero che ha le frutte mature. »
1 Come faremo? » disse Renzo, un po' imbrogliato.
« Ecco: ci ho pensato io. Verrò io con voi; e ho un
segreto per attirarla, e per incantarla di maniera che
non s'accorga di voi altri, e possiate entrare. La chia-
merò io, e le toccherò una corda.... vedrete. »
« Benedetta voi! » esclamò Renzo: « l'ho senqire detto
che siete nostro aiuto in lutto. »
110 I PROMESSI SPOSI, CAPITOLO VI.
« Ma (ulto questo non serve a nulla, » disse Agnese'
« se non si persuade costei, che si ostina a dire ciie ò
peccato. »
Renzo mise in campo anche lui la sua eloquenza; ma
Lucia non si lasciava smovere.
« Io non so che rispondere a queste vostre ragioni, »
diceva: « ma vedo che, per far questa cosa, come dite voi,
bisogna andar avanti a furia di sotterfugi, di bugie, di
finzioni. Ah Renzo! non abbiam cominciato così. Io voglio
esser vostra moglie, d e non e' era verso che potesse pro-
ferir quella parola, e spiegar quell'intenzione, senza fare
il viso rosso: « io voglio esser vostra moglie, ma per la
strada diritta, col timor di Dio, all'altare. Lasciamo fare
a Quello lassù. Non volete che sappia trovar Lui il ban-
dolo d'aiutarci, meglio che non possiamo far noi, con
tutte codeste furberie? E perchè far misteri al padre
Cristoforo?»
La disputa durava tuttavia, e non pareva vicina a fi-
nire, quando un calpestio affrettato di sandali, e un ru-
more di tonaca sbattuta, somigliante a quello che fanno
in una vela allentata i soffi ripetuti del vento, annun-
ziarono il padre Cristoforo. Si chetaron tutti; e Agnese
ebbe appena tempo di susurrare all'orecchio di Lucia:
« bada bene, ve', di non dirgli nulla. »
!
CAPITOLO VII.
Il padre Cristoforo arrivava nell' atliludine d' un buon
capitano che, perduta, senza sua colpa, una battaglia
importante, afflitto ma non scoraggito, sopra pensiero
ma non sbalordito, di corsa e non in fuga, si porla dove
il bisogno lo chiede, a premunire i luoghi minacciati,
a raccoglier le truppe, a dar nuovi ordini.
« La pace sia con voi, » disse, nell' entrare. « Non e' è
nulla da sperare dall'uomo : tanto più bisogna confidare
in Dio: e già ho (jualche pegno della sua prolezione. »
Sebbene nessuno dei tre sperasse mollo nel tentativo
del. padre Cristoforo, giacche il vedere un potente riti-
rarsi da una soverchieria, senza esserci costretto, e per
mera condiscendenza a preghiere disarmale, era cosa
piuttosto iiiaudila clu^ rara; nulladimeno la trista cer-
tezza fu un colpo per tutti. Le donne abbassarono il
capo; ma nell'animo di Renzo, l'ira prevalse all'abbat-
timento. Quell'annunzio lo trovava già amareggialo da
tante sorprese dolorose, da tanti leidali\i andai! a \òlo,
da tante siieranze deluse, e, per di iiiìi, esacerbato, in
(jiiel momento, dalle ripulse di Lucia.
112 I PROMESSI SPOSI
« Vorrei sapere, » gridò, digrignando i denti, e al-
zando la voce, quaiilo non aveva mai fallo prima d'al-
lora, alla presenza del padre Cristoforo; « vorrei sapere
che ragioni ha dette quel cane, per sostenere.... per so-
stenere che la mia sposa non dev' essere la mia sposa. »
« Povero Renzo ! d rispose il frate, con una voce grave
e pietosa, e con uno sguardo che comandava amorevol-
mente la pacatezza: « se il potente che vuol commettere
l'iingiustizia fosse sempre obhligalo a dir le sue ragioni,
le cose non anderebbero come vanno. »
« Ha dello dunque quel cane, che non vuole, perchè
non vuole ? »
« Non ha detto nemmen questo, povero Renzo! Sa-
rebbe ancora un vantaggio se, per commeller l' iniquità,
dovessero confessarla apertamente. »
« Ma qualcosa ha dovuto dire: cos'ha dello quel tiz-
zone d' inferno ? »
« Le sue parole, io l'ho sentite, e non le le saprei
ripetere. Le parole dell'iniquo che è forle, penetrano e
sfuggono. Può adirarsi che tu mostri sospetto di lui,
e, nello stesso tempo, farli sentire che quello di che tu
sospetti è certo: può insultare e chiamarsi offeso, scher-
nire e chieder ragione, atterrire e lagnarsi, essere sfac-
ciato e irreprensibile. Non chieder più in là. Colui non
ha proferito il nome di questa innocente, né il tuo, non
ha figurato nemmen di conoscervi, non ha detto di pre-
tender nulla; ma.... ma pur troppo ho dovuto intendere
eh' è irremovibile. Nondimeno confidenza in Dio! Voi,
poverette, non vi perdete d'animo; e tu, Renzo.... oh!
credi pure, ch'io so mettermi ne' tuoi panni, ch'io sento
quello che passa nel tuo cuore. Ma pazienza! É una
magra parola, una parola amara, per chi non crede ; ma
tu ! non vorrai tu concedere a Dio un giorno, due
giorni, il tempo che vorrà prendere, per far trionfare
la giustizia? Il tempo è suo; e ce n'ha promesso tanto I
Lascia fare a Lui, Renzo; e sappi.... sappiate tutti eh' io
ho già in mano un filo, per aiutarvi. Per ora non posso
CAPITOLO VII. 113
dirvi di più. Domani io non verrò quassù; devo stare
al convento lutto il giorno, per voi. Tu, Renzo, procura
di venirci: o se, per caso impensato, tu non potessi,
mandale un uomo fidato, un garzoncello di giudizio, per
mezzo del quale io possa farvi sapere quello che occor-
rerà. Si fa buio; bisogna ch'io corra al convento. Fede,
coraggio ; e addio. »
Detto tjuesto, usci in fretta, e se n'andò, correndo, e
quasi saltelloni, giù per quella viottola storta e sassosa,
per non arrivar tardi al convento, a rischio di buscarsi
una buona sgridata, o quel che gli sarebbe pesato ancor
più, una penitenza, che gì' impedisse, il giorno dopo, di
trovarsi pronto e spedito a ciò che potesse richieder il
bisogno de' suoi protetti.
« Avete sentito cos'ha detto d'un non so che....
d'un fdo che ha, per aiutarci? » disse Lucia. « Con-
vien fidarsi a lui; è un uomo che, quando promette
dieci »
« Se non e' è altro ....!» interruppe Agnese. « Avrebbe
dovuto parlar più chiaro, o chiamar me da una parte,
e dirmi cosa sia (|uesto .... »
« Chiacchiere! la finirò io : io la finirò! » interruppe
Renzo, questa volta, andando in su e in giù per la stanza,
e con una voce, con un viso da non lasciar dubbio sul
senso di quelle parole.
« Oh Renzo ! » esclamò Lucia.
« Cosa volete dire? » esclamò Agnese.
« Che bisogno c'è di dire? La finirò io. Abbia pur
cento, mille diavoli nell'anima, finalmente è di carne e
ossa anche lui .... »
« No, no, per amor del cielo ! » cominciò Lucia;
ma il pianto le troncò la voce.
« Non son discorsi da farsi, neppur per buri a, » disse
Agnese.
« Per burla? » gridò Renzo, fermandosi ritto in faccia
ad Agnese seduta, e piantandole in faccia due occhi stra-
lunati. « Per burla! vedrete se sarà liurla. »
114 I PROMESSI SPOSI
e Oh Renzo I » disse Lucia, a slento, tra i singhiozzi :
« non v'ho mai visto cosi. »
« Non dite queste cose, per amor del cielo, » riprese
ancora in fretta Agnese, abbassando la voce. « Non vi
ricordate quante braccia ha al suo comando colui? E
quand'anche Dio hberi I contro i poveri c'è sem-
pre giustizia. »
t La farò io, la giustizia, iol É ormai tempo. La
cosa non è facile: lo so anch'io. Si guarda bene, il cane
assassino: sa come sta; ma non importa. Risoluzione e
pazienza e il momento arriva. Sì, la farò io, la giu-
stizia: lo libererò io, il paese: quanta gente mi bene-
dirà ! e poi in tre salti .... I »
L'orrore che Lucia sentì di queste più chiare parole,
le sospese il pianto, e le diede forza di parlare. Levando
dalle palme il viso lagrimoso , disse a Renzo , con voce
accorata, ma risoluta: «non v'importa più dunque d'a-
vermi per moglie. Io m'era promessa a un giovine che
aveva il timor di Dio ; ma un uomo che avesse ....
Fosse al sicuro d'ogni giustizia e d'ogni vendetta, fos-
s' anche il figlio del re ... . »
« E bene! » gridò Renzo, con un viso più che mai
stravolto: « io non v' avrò; ma non v'avrà nò anche lui.
Io qui senza di voi, e lui a casa del »
« Ah noi per carità, non dite così, non fate quegli
occhi: no, non posso vedervi così, » esclamò Lucia, pian-
gendo, supplicando, con le mani giunte; mentre Agnese
chiamava e richiamava il giovine per nome, e gli pal-
pava le spalle, le braccia, le mani per acquietarlo. Stette
egli immobile e pensieroso, qualche tempo, a contemplar
quella faccia supplichevole di Lucia; poi, tutt'a un tratto,
la guardò torvo, diede addietro, tese il braccio e l'in-
dice verso di essa, e gridò: « questa! sì questa egli
vuole. Ha da morirei »
« E io che male v'ho fatto, perchè mi facciate mo-
rire? " disse Lucia, buttandosegli inginocchioni davanti.
« Voi! » rispose, con una voce ch'esprimeva un'ira
CAPITOLO VII. 115
ben diversa, ma un'ira tuttavia: « voi! Glie bene mi vo-
lete voi'? Glie prova m'avete data? Non v'iio io pregala,
e pregata, e pregata? E voi: no! no!»
« Sì, sì, » rispose precipilosamenle Lucia: « verrò
dal curato, domani, ora, se volete ; verrò. Tornate quello
di prima; verrò. »
« Me lo promettete? » disse Renzo, con una voce e
con un viso divenuto, tuli' a un tratto, più umano.
<i Ve lo prometto. »
« Me l'avete promesso. »
« Signore, vi ringrazio! » esclamò Agnese, doppia-
mente contenta.
In mezzo a quella sua gran collera, aveva Renzo pen-
sato di che prolìtio poteva esser per lui lo spavento di
Lucia? E non aveva adoperato un po' d'artifizio a farlo
crescere, per farlo fruttare? Il nostro autore protesta di
non ne saper nulla; e io credo che nemmen Renzo non
lo sapesse bene. Il fatto sta ch'era realmente infuriato
contro don Rodrigo, e che bramava adentemente il con-
senso di Lucia; e quando due forti passioni schiamaz-
zano insieme nel cuor d'un uomo, nessuno, neppure
il paziente, può sempre distinguer chiaramente una voce
dall'altra, e dir con sicurezza ([ual sia quella che pre-
domini.
1 Ve riio promesso, » rispose Lucia, con un tono di
rimprovero timido e alTettuoso: « ma anche voi ave-
vate promesso di non fare scandoli, di rimcttervene al
padre »
« Oh via! per amor di chi vado in furia? Volete tor-
nare indietro, ora? e farmi fare uno sproposito? »
« No no, » disse Lucia, cominciando a rispaventarsi.
« Ho promesso, e non mi ritiro. Ma vedete voi come mi
avete fatto promettere. Dio non voglia .... »
« P(M'cliè volete far de' cattivi auguri, Lucia? Dio sa
cTie non facciam male a nessuno. »
<t PrometUitemi almeno che questa sarà l'ultima.»
« Ve lo prometlo, da povero figliuolo. »
116 I PROMESSI SPOSI
« Ma, questa volta, mantenete poi, » disse Agnese.
Qui l'autore confessa di non sapere un'altra cosa: se
Lucia fosse, in tutto e per tutto, malcontenta d'essere
stata spinta ad acconsentire. Noi lasciamo, come lui. la
cosa in dubbio.
Renzo avrebbe voluto prolungare il discorso, e fissare,
a parte, a parte quello clie si doveva fare il giorno dopo;
ma era già notte, e le donne glieFaugurarono buona non
parendo loro cosa conveniente che, a quell'ora, si trat-
tenesse pii^i a lungo.
La notte però fu a tult'e tre così buona, come può
essere quella die succede a un giorno pieno d' agitazioni
e di guai, e che ne precede uno destinato a un' impresa
importante e d'esito incerto. Renzo si lasciò veder di
buon'ora, e concertò con le donne, o piuttosto con Agnese,
la grand' operazione della sera, proponendo e sciogliendo
a vicenda dilficoltà, antivedendo contrattempi , e rico-
minciando, ora l'uno ora l'altra, a descriver la faccenda,
come si racconterebbe una cosa fatta. Lucia ascoltava;
e, senza approvar con parole ciò che non poteva ap-
provare in cuor suo, prometteva di far meglio che sa-
prebbe.
« Andrete voi giù al convento, per parlare al padre
Cristoforo, come v'ha detto ier sera?» domandò Agnese
a Renzo.
« Le zucche! k rispose questo: « sapete che diavoli
d'occhi ha il padre: mi leggerebbe in viso, come sur
un libro, che e' è qualcosa per aria ; e se cominciasse a
farmi dell'interrogazioni, non potrei uscirne a bene. E
poi, io devo star qui, per accudire all' affare. Sarà me-
glio che mandiate voi qualcheduno. »
« Manderò Menico. »
« Va bene, » rispose Renzo; e partì, per accudire al-
l'affare, come aveva detto.
Agnese andò a una casa vicina, a cercar Menico, ch'era
un ragazzetto di circa dodici anni, sveglio la sua parte,
e che, per via di cugini e di cognati, veniva a essere
CAPITOLO VII. 117
un po' suo nipote. Lo chiese ai parenti, come in pre-
stito, per tutto quel giorno, « per un certo servizio, »
diceva. Avutolo, lo condusse nella sua cucina, gii diede
da colazione, e gli disse che andasse a Pescarenico, e
si facesse vedere al padre Cristoforo, il quale lo riman-
derebbe poi, con una risposta, quando sarebbe tempo,
« Il padre Cristoforo, quel bel vecchio, tu sai, con la
barba bianca, quello che chiamano il santo »
« Ho capito, » disse Menico: a quello che ci accarezza
sempre, noi altri ragazzi, e ci dà, ogni tanto, qualche
santino. »
' « Appunto, Menico. E se ti dirà che tu aspelli qual-
che poco, h vicino al convento, non ti s\iare: bada di
non andar, con de' compagni, al lago, a veder pescare,
nò a divertirti con le reti attaccate al muro ad asciu-
gare, nò a far quell'altro tuo giochetto solito »
Bisogna saper che Menico era bravissimo per fare a
rimbalzello; e si sa che tutti, grandi e piccoli, facciam
volentieri le cose alle quali abbiamo abilità; non dico
quelle sole.
« Poh! zia; non sono poi un ragazzo. »
« Bene, abbi giudizio; e, quando tornerai con la ri-
sposta guarda; queste due belle parpagliole nuove
son per te. »
« Datemele ora, eh' è lo stesso. »
« No, no, tu le giocheresti. Va, e portati bene; che
n'avrai anche di più. »
« Nel rimanente di quella lunga mattinata, si videro
certe novità che misero non poco in sospetto l'animo
già conturbato delle donne. Un mendico, nò rifiiiilo nò
cencioso come i suoi pari, e con un non so che d'oscuro
e di sinistro nel sembiante, entrò a chieder la carità,
dando in qua e in là cert' occhiate da spione. Gli fu
dato un pezzo di pane, che ricevette e ripose, con
un' indifferenza mal dissimulata. Si trattenne poi, con
una certa sfacciataggine, e, nello stesso tempo, con
esitazione, facendo molte domande, alle quali Agnese
118 I PROMESSI SPOSI
s'affretlò di risponder sempre il contrnrio di quello che
era. Movendosi, come per andar via, Unse di sbagliar
l'uscio, entrò in quello che metteva alla scala, e lì
diede un'altra occhiata in fretta, come potò. Gridatogli
dietro: « ehi ehi! dove andate, galantuomo? di qua!
di qua! » tornò indietro, e usci dalla parlo clie gli veniva
indicata, scusandosi, con una sommissione, con un'u-
miltà affettata, che stentava a collocarsi nei lineamenti
duri di quella faccia. Dopo costui, continuarono a farsi
vedere, di tempo in tempo, altre slrane ligure. Che
razza d'uomini fossero, non si sarebbe potuto dir fa-
cilmente; ma non si poteva creder neppure che fossero
quegli onesti viandanti che- volevan parere. Uno entrava
col pretesto di farsi insegnar la strada ; altri, passando
davanti air uscio, rallentavano il passo, e guardavan sot-
tocchio nella stanza, a traverso il cortile, come chi
vuol vedere senza dar sospetto. Finalmente , verso il
mezzogiorno, quella fastidiosa processione finì. Agnese
s'alzava ogni tanto, attraversava il cortile, s'affacciava
all' uscio di strada, guardava a destra e a sininistra , e
tornava dicendo: « nessuno: » parola che proferiva con
piacere, e che Lucia con piacere sentiva, senza che né
1' una né l'altra ne sapessero ben chiaramente il per-
chè. Ma ne rimase a tutt'e due una non so quale in-
quietudine, che levò loro, e alla tlgliuola principalmente,
una gran parte del coraggio che avevaii messo in serbo
per la sera.
Convien però che il lettore sappia qualcosa di più
preciso, intorno a que' ronzatori misteriosi : e, per infor-
marlo di tutto, dobbiam tornare un passo indietro, e
ritrovar don Rodrigo, che abbiam lascialo ieri, solo in
una sala del suo palazzotto, al partir del padre Cristoforo.
Don Rodrigo, come abbiam detto, misurava innanzi
e indietro, a passi lunghi, quella sala, dalle pareti della
quale pendevano ritratti di famiglia, di varie generazioni.
Quando si trovava col viso a una parete, e voltava, si
vedeva in faccia un suo antenato guerriero, terrore dei
CAPITOLO VII, 119
nemici e de' suoi solcìali, torvo nella guardatura, co' ca-
pelli corti e ritti, co' bafiì tirali e a punta, che sporge-
van dalle guance, col mento obliquo: ritto in piedi l'eroe,
con le gambiere, co' cosciali, con la corazza, co' bracciali,
co' guanti, tutto di ferro; con la destra sul fianco, e la
sinistra sul pomo della spada. Don Rodrigo lo guardava;
e quando gli era arrivato sotto, e voltava, ecco in faccia
un altro antenato, magistrato, terrore de' litiganti e degli
avvocati, a sedere sur una gran seggiola coperta di vel-
luto rosso, ravvolto in un'ampia toga nera; tutto nero,
fuorché un collare bianco, con due larghe facciole, e una
fodera di zibellino arrovesciata (era il distintivo de' se-
natori, e non lo portavan che l' inverno, ragion per cui
non si troverà mai un ritratto di senatore vestito d'esta-
te); macilento, con le ciglia aggrottate: teneva in mano
una supplica, e pareva che dicesse: vedremo. Di qua una
matrona, terrore delle sue cameriere; di là un abate,
terrore de' suoi monaci: tutta gente in somma che aveva
fatto terrore, e lo spirava ancora dalle tele. Alla presenza
di tali memorie, don Rodrigo tanto più s'arrovellava, si
vergognava, non poteva darsi pace, che un frate av(!sse
osato venirgli addosso, con la prosopopea di Nathan. For-
mava un disegno di vendetta, l'abbandonava, pensava
come soddisfare insieme alla passione, e a ciò che chia-
mava onore; e talvolta (vedete un poco!) sentendosi fi-
schiare ancora agli orecchi quell'esordio di profezia, si
sentiva venir, come si dice, i bordoni, e stava quasi per
deporre il pensiero delle due soddisfazioni. Finalnunite,
per far qualche cosa, chiamò un servitone e gli oi'dinù
che lo scusasse con la compagnia, dicendo ch'era trat-
tenuto da un affare urgente. Quando ([uello tornò a rife-
rire che quo' signori eran partiti, lasciando i loro rispetti:
« e il conte Attilio? » domandò, sempre cauuuiiiando,
don Rodrigo.
e È uscito con que' signori, illustrissimo. »
« Bene: sei persone di seguito, per la passeggiata:
subito. La spada, la cappa, il cappello: subito. »
120 I PROMESSI SPOSI
Il servitore parli, rispondendo con un inchino ; e poco
dopo, tornò, portando la ricca spada, che il padrone si
cinse; la cappa, che si buttò sulle spalle; il cappello a
gran penne, che mise e inchiodò, con una manata, fie-
ramente sul capo: segno di marina torbida. Si mosse,
e, alla porta, trovò i sei ribaldi tutti armati, i quali, fatto
ala, e inchinatolo, gli andaron dietro. Più burbero, più
superbioso, più acciglialo del solito, uscì e andò passeg-
giando verso Lecco. I contadini, gli artigiani, al vederlo
venire, si riliravan rasente al muro, e di lì facevano scap-
pellate e inchini profondi, ai quali non rispondeva. Come
inferiori, l'inchinavano anche quelli che da questi eran
detti signori ; che, in que' contorni , non ce n' era uno
che potesse, a mille miglia, competer con lui, di nome,
di ricchezze, d'aderenze e della voglia di servirsi di tutto
ciò, per istare al di sopra degli altri. E a questi corri-
spondeva con una degnazione contegnosa. Quel giorno
non avvenne, ma quando avveniva che s'incontrasse col
signor castellano spagnolo, l'inchino allora era ugual-
mente profondo dalle due parli; la cosa era come tra
due potentati, i quali non abbiano nulla da spartire tra
loro; ma per convenienza, fanno onore al grado l'uno
dell'altro. Per passare un poco la mattana, e per contrap-
porre all'immagine del frate che gli assediava la fantasia,
immagini in tutto diverse, don Rodrigo entrò quel giorno,
in una casa, dove andava, per il solito, molta gente, e
dove fu ricevuto con quella cordialità alTaccendata e ri-
spettosa, eh' è riserbata agli uomini che si fanno molto
amare o molto temere; e, a notte già fatta, tornò al suo
palazzotto. Il conte Attilio era anche lui tornalo in quel
momento; e fu messa in tavola la cena, durante la quale,
don Rodrigo fu sempre sopra pensiero, e parlò poco.
« Cugino, quando pagate questa scommessa? » disse,
con un fare di malizia e di scherno, il conte Attilio, ap-
pena sparecchialo, e andati via i servitori.
« San Martino non è ancor passato. »
« Tant'è che la paghiate subito; 'perchè passeranno
tutti i santi del lunario, prima che. ...»
CAPITOLO VII. i2l
« Questo è quel che si vedrà. »
« Cugino, voi volete fare il politico; ma io ho capito
tutto, e son tanto certo d'aver vinta la scommessa, che
son pronto a farne un'altra. »
« Sentiamo. »
« Che il padre il padre che so io ? quel frate
in somma v' ha convertito. »
«Eccone un'altra delle vostre. »
«Convertito, cugino; convertito, vi dico. Io per me,
ne godo. Sapete che sarà un hello spettacolo vedervi
tutto compunto, e con gii occhi bassi! E che gloria per
quel padre! Come sarà tornato a casa gonfio e pettoruto!
Non son pesci che si piglino tutti i giorni, né con tutte
le reti. Siate certo che vi porterà per esempio; e, quando
anderà a far qualche missione un po' lontano, parlerà
de' fatti vostri. Mi par di sentirlo. » E qui, parlando col
naso, e accompagnando le parole con gesti caricati, con-
tinuò, in tono di predica: « in una parte di questo mondo,
che per degni rispetti non nomino, viveva, uditori caris-
simi, e vive tuttavia, un cavaliere scapestrato, amico più
delle femmine che degli uomini dabbene, il quale, av-
vezzo a far d'ogni erba un fascio, aveva messo gli oc-
chi »
« Basta, basta, » interruppe don Rodrigo, mezzo sog-
ghignando, e mezzo annoiato. « Se volete raddoppiar la
scommessa, son pronto anch'io. »
«Diavolo! che aveste voi convertito il padre!»
«Non mi parlate di colui: e in ((uanto alla scom-
messa, san Martino deciderà. » La curiosità ckH conte
era stuzzicata; nou gli risparmiò interrogazioni, ma don
Rodrigo le seppe eluder tutte, rimettendosi sempre al
giorno della decisione, e non volendo comunicare alla
parte avversa disegni che non erano ne incamminati, nò
assolutamente fissati.
La mattina seguent(?, don Rodrigo si destò don Ro-
drigo. L'apprensione che quel verrà un ijlorìio gli aveva
messa in corpo, era svanita del tutto co' sogni della notte
VOL. r. 6
iti l PROMESSI SPOSI
e gli rimaneva la rabbia sola, esacerbala ancbc dalla ver-
gogna (li quella debolezza passeggiera. L'immagini più
recenli della passeggiata trionfale, degl'incliini, dell'ac-
coglienze, e il canzonare del cugino, avevano contribuito
non poco a rendergli l'animo antico. Appena alzato, fece
cbiamare il Griso. — Cose grosse, — disse tra se il ser-
vitore a cui fu dato l'ordine; perchè l'uomo che aveva
quel soprannome, non era niente meno che il capo de'
bravi, quello a cui s' imponevano le imprese più riscliiose
e più inique, il fidatissimo del padrone, l'uomo tutto suo,
per gratitudine e per interesse. Dopo aver ammazzato
uno, di giorno, in piazza, era andato ad implorar la
protezione di don Rodrigo; e questo, vestendolo della
sua livrea, l'aveva messo al coperto da ogni ricerca della
giustizia. Così, impegnandosi a ogni delitto che gli ve-
nisse comandato, colui si era assicurata l'impunità del
primo. Per don Rodrigo, l'acquisto non era stato di poca
importanza; perchè il Griso, oltre all'essere, senza pa-
ragone, il più valente della famiglia, era anche una prova
di ciò che il suo padrone aveva potuto attentar felice-
mente contro le leggi; di modo che la sua potenza ne
veniva ingrandita, nel fatto e nell'opinione.
« Griso! » disse don Rodrigo: « in questa congiuntura,
si vedrà quel che tu vali. Prima di domani quella Lu-
cia deve trovarsi in questo palazzo. »
« Non si dirà mai che il Griso si sia ritirato da un
comando dell' illustrissimo signor padrone. »
« Piglia quanti uomini ti possono bisognare, ordina ,
e disponi, come ti par meglio; purché la cosa riesca a
buon fine. Ma bada sopra tutto, che non le sia fatto
male. »
« Signore, un po' di spavento, perchè la non faccia
troppo strepito non si potrà far di meno. »
« Spavento capisco .... è inevitabile. Ma non le
si forca un capello; e sopra tutto le si porti rispetto in
ogni maniera. Hai inteso?»
« Signore, non si può levare un flore dalla pianta^ e
CAPITOLO VII. 123
portarlo a vossignoria, senza toccarlo. Ma non si farà
che il puro necessario. »
«»Solto la tua sicurtà. E come farai?»
«Ci stavo pensando, signore. Siam fortunati che la
casa è in fondo al paese. Abhiam bisogno d'un luogo
per andarci a postare: e appunto c'è, poco distante di
là, quel casolare disabitato e solo, in mezzo ai campi,
quella casa .... vossignoria non sai)rà niente di queste
cose una casa che bruciò pochi anni sono, e non
hanno avuto danari da riattarla, e l'hanno abbandonala,
e ora ci vanno le streghe: ma non è sabato, e me ne
rido. Questi villani, che son pieni d'ubbie, non ci bazzi-
cherebbero, in nessuna notte della settimana, per tutto
l'oro del mondo: sicché possiamo andare a fermarci là,
con sicurezza che nessuno verrà a guastare i fatti nostri. »
« Va bene ! e poi ? »
Qui il Griso a proporre, don Rodrigo a discutere, fm-
chè d'accordo ebbero concertala la maniera di condurre
a fine l'impresa, senza che rimanesse traccia degli au-
tori, la maniera anche di rivolgere, con falsi indizi, i
sospetti altrove, d'impor silenzio alla povera Agnese,
d'incutere a Renzo tale spavento, da fargli passare il
dolore, e il pensiero di ricorrere alla giustizia, e anche
la volontà di lagnarsi; e tutte l'altre bricconerie neces-
sarie alla riuscita della bricconeria principale. Noi tra-
lasciamo di riferir que' concerti , perchè come il lettore
vedrà, non son necessari air intelligenza della storia; e
Siam contenti anche noi di non doverlo trattener più
lungamente a sentir parlamentare (pie' due fastidiosi ri-
baldi. Basta che, mentre il Griso se n'andava, per met-
ter mano all'esecuzione, don Rodrigo lo richiamò, e gii
disse: « sciiti: se per caso, quel tanghero temerario vi
dess(Mieir unghie (piesta sera, non sarà male che gli sia
dato anticipatamente un buon l'icoi'do sulle spall(\ Così,
l'ordine che gli verrà intimato domani di stare zitto,
farà più sicuramente TelTetto. Ma non Tandate a cercare,
per non guastare quello che più imporla: tu m'hai inteso.»
Ì2Ì I PROMESSI SPOSI
« Lasci fare a me, » rispose il Griso, inrliinandosi. ron
un allo d'ossequio e di millanteria; e se n'andò. La mat-
tina fu spesa in giri, per riconoscere il paese. Quel falso
pezzente che s'era inoltralo a quel modo nella povera
casetta, non era altro che il Griso, il quale veniva per
levarne a occhio la pianta: i falsi viandanti eran suoi
ribaldi, ai quali per operare sotto i suoi ordini, bastava
una cognizione più superficiale del luogo. E, fatta la sco-
perta, non s'eran più lasciati vedere, per non dar troppo
sospetto.
Tornati che furon tutti al palazzotto, il Griso rese conto,
e fissò definitivamente il disegno dell'impresa; assegnò
le parti, diede istruzioni. Tutto ciò non si potè fare senza
che quel vecchio servitore, il quale stava a occhi aperti,
e a orecchi lesi, s'accorgesse che qualche gran cosa si
macchinava. A forza di stare attento e di domandare;
accattando una mezza notizia di qua, una mezza di là,
commentando tra sé una parola oscura, interpretando un
andare misterioso, tanto fece, che venne in chiaro di ciò
che si doveva eseguir quella notte. Ma quando ci fu riu-
scito, essa era già poco lontana, e già una piccola van-
guardia di bravi era andata a imboscarsi in (juel casolare
diroccato. Il povero vecchio, quantunque sentisse bene a
che rischioso giuoco giocava, e avesse anche paura di
portare il soccorso di Pisa, pure non volle mancare : use/,
con la scusa di prendere un po' d'aria, e s'incamminò
in fretta in fretta al convento, per dare al padre Cristo-
foro l'avviso promesso. Poco dopo, si mossero gli altri
bravi, e discesero spicciolati, per non parere una com-
pagnia: il Griso venne dopo; e non rimase indietro che
una bussola, la quale doveva esser portata al casolare,
a sera inoltrata; come fu fatto. Radunati che furono in
quel luogo, il Griso spedi tre di coloro all'osteria del
paesetto: uno che si mettesse sull'uscio, a osservar ciò
che accadesse nella strada, e a veder quando tutti gli
abitanti fossero ritirati: gli altri due che stessero den-
tro a giocare e a bere, come dilettanti: e attendessero
CAPITOLO VII. 12o
intanlo a spiare se qualche cosa da spiare ci fosse. Egli,
col grosso della truppa, rimase uell' agguato ad aspettare.
Il povero vecchio trottava ancora, i tre esploratori ar-
rivavano al loro posto; il sole cadeva; quando Renzo
entrò dalle donne, e disse: « Tonio e Gervaso m'aspet-
tan fuori : vo con loro all'osteria, a mangiare un boccone ;
e, quando sonerà Fave maria, verremo a prendervi. Su,
coraggio. Lucia ! lutto dipende da un momento. » Lucia
sospirò, e ripetè: «coraggio,» con una voce che smen-
tiva la parola.
Quando Renzo e i due compagni giunsero all'osteria,
vi trovaron quel tale già piantato in sentinella, che in-
gombrava mezzo il vano della porta, appoggiato con la
schiena a uno stipite, con le braccia incrociate sul petto;
e guardava e riguardava, a destra e a sinistra, facendo
lampeggiare ora il bianco, ora il nero di due occhi gri-
fagni. Un berretto piatto di velluto chermisi, messo storto,
gli copriva la metà del ciuffo, che, dividendosi sur una
fronte fosca, girava, da una parte e dall'altra, sotto gli
orecchi, e terminava in trecce, fermate con un pettine
sulla nuca. Teneva sospeso in una mano un grosso ran-
dello; arme propriamente non ne portava in vista; ma,
solo a guardargli in viso, anche un fanciullo avreldie
pensalo che doveva averne sotto quanto ce ne poteva
stare. Quando Renzo, ch'era innanzi agli altri, fu li per
entrare, colui senza scomodarsi, lo guardò lìsso fisso;
ma il giovine, intento a schivare ogni questione, come
suole ognuno che abbia un'impresa scabrosa alle mani,
non fece vista iraccorgersene, non disse neppure : fatevi
in là ; e, rasentando l'altro stipite, passò per isbieco, col
fianco innanzi, per l'apertura lasciala da quella cariatide.
I due compagni dovettero far la stessa evoluzione, se
vollero entrare. Entrati, videro gli altri, de' quali avevan
già sentila la voce, cioè que' due bravacci, che seduti a
un canto della tavola, giocavano alla mora, gridando
tutl'e due insieme [ì\ è il giuoco che lo richiede), e
mescendosi or l'uno or l'altro da bere, con un graa
126 I PROMESSI SPOS[
fiasco ch'era tra loro. Questi pure p^uardaron fisso la
nuova compagnia; e un de' due specialmente, tenendo
una mano in aria, con tre ditacci tesi e allargati, e
avendo la bocca ancora aperta, per un gran « sei » che
n'era scoppiato fuori in quel momento, squadrò Renzo
da capo a piedi; poi diede d'occhio al compagno, poi a
quel dell'uscio, che rispose con un cenno del capo. Renzo
insospettito e incerto guardava ai suoi due convitati, come
se volesse cercare ne' loro aspetti un'interpretazione di
lutti que' segni: ma i loro aspetti non indicavano altro
che un buon appetito. L'oste guardava in viso a lui, come
per aspellar gli ordini: egli lo fece venir con se in una
stanza vicina, e ordinò da cena.
« Chi sono que' forestieri? » gli domandò poi a voce
bassa, quando quello tornò, con una tovaglia grossolana
sotto il braccio, e un fiasco in mano.
« Non li conosco , » rispose l' oste , spiegando la to-
vaglia.
« Come? nò anche uno?»
« Sapete bene,» rispose ancora colui, stirando, con
luti' e due le mani, la tovaglia sulla tavola, « che la prima
regola del nostro mestiere, è di non domandare i fatti
degli altri: tanto che, fin le nostre donne non son cu-
riose. Si starebbe freschi, con tanta gente che va e viene:
è sempre un porto di mare: quando le annate son ra-
gionevoli, voglio dire; ma stiamo allegri, che tornerà il
buon tempo. A noi basta che gli avventori siano galan-
tuomini: chi siano poi, o chi non siano, non fa niente.
E ora vi porterò un piatto di polpette, che le simili non
le avete mai mangiate. »
« Come potete sapere ....?» ripigliava Renzo, ma
l'oste^ già avviato alla cucina, seguitò la sua strada. E
lì, mentre prendeva il legame delle polpette summento-
vate, gli s'accostò pian piano quel bravaccio che aveva
squadrato il nostro giovine, e gli disse sottovoce: «Chi
sono que' galantuomini? »
« Buona gente qui del paese, » rispose l'oste, scodel-
lando le polpette nel piatto.
CAPITOLO VII. 127
« Va bene; ma come si chiamano'? chi sono? » insi-
stette cohii, con voce alquanto sgarbata.
« Uno si chiama Renzo, » rispose l'oste, pur sottovoce:
« un buon giovine, assestato; filatore di seta, che sa bene
il suo mestiere. L'altro è un contadino che ha nome
Tonio : buon camerata, allegro : peccato che n' abbia po-
chi; che gh spenderebbe tutti qui. L'altro è un sem-
pliciotto, che mangia però volentieri, quando gliene danno.
Con permesso. »
E, con uno sgambetto, uscì tra il fornello e T inter-
rogante; e andò a portare il piatto a chi si doveva.
« Come potete sapere, » riattaccò Renzo, quando lo vide
ricomparire, « che siano galantuomini, se non li cono-
scete 1 B
< Le azioni, caro mio: l'uomo si conosce all'azioni.
Quelli che bevono il vino senza criticarlo, che pagano
il conto senza tirare, che non metton su lite con gli
altri avventori, e se hanno una coltellata da consegnare
a uno, lo vanno ad aspettar fuori, e lontano dall' osteria,
tanto che il povero oste non ne vada di mezzo, quelli
sono i galantuomini. Però, se si può conoscer la gente
bene, come ci conosciamo tra noi quattro, ò meglio. E
che diavolo vi vien voglia di saper tante cose, quando
siete sposo, e dovete aver tutt' altro in testa? e con da-
vanti quelle polpette, che farebbero resuscitare un morto?»
Cosi dicendo, se ne tornò in cucina.
Il nostro autore, osservando al diverso modo che te-
neva costui nel soddisfare alle domande, dic^ eh' era un
uomo cosi fatto, che, in tutti i suoi discorsi, faceva pro-
fessióne d'esser molto amico de' galantuomini in gene-
rale; ma in atto pratico, usava molto maggior compia-
cenza con quelli che avessero riputazione o sembianza
di birboni. Che carattere singolare! eh?
La cena non fu molto allegra. I due convitati avreb-
bero voluto godersela con tutto loro comodo: ma l'in-
vitante, preoccupato di ciò che il lettore sa, e infastidito,
e anche un po' inquieto del conleijno strano di quejili
128 1 pnoMESSi SPOSI
sconosciuti, non vedeva l'ora d'andarsene. Si parlava
sottovoce, per causa loro; ed eran parole tronche e
svogliate.
« Che bella cosa, » scappò fuori di punto in bianco
Gervaso, « che Renzo voglia prender moglie, e abbia bi-
sogno ... ! » Renzo gli fece un viso brusco. « Vuoi stare
zitto, bestia?» gli disse Tonio, accompagnando il titolo
con una gomitata. La conversazione fu sempre più fredda,
fino alla fine. Renzo, stando indietro nel mangiare, come
nel bere, attese a mescere ai due testimoni, con discre-
zione, in maniera di dar loro un po' di brio, senza farli
uscir di cervello. Sparecchialo, pagato il conto da colui
che aveva fatto men guasto, dovettero tutti e tre passar
novamente davanti a quelle facce, le quali tutte si vol-
tarono a Renzo, come quand'era entrato. Questo, fatti
ch'ebbe pochi passi fuori dell'osteria, si voltò indietro,
e vide che i due che aveva lasciati seduti in cucina, lo
seguitavano: si fermò allora, co' suoi compagni, come se
dicesse: vediamo cosa voglion da me costoro. Ma i due,
quando s'accorsero d'essere osservati, si fermarono an-
ch'essi, si parlaron sottovoce, e tornarono indietro. Se
Renzo fosse stato tanto vicino da sentir le loro parole,
gli sarebbero parse molto strane. « Sarebbe però un beb
1' onore, senza contar la mancia, » diceva uno de' malan-
drini, CL se tornando al palazzo, potessimo raccontare d' a-
vergli spianate le costole in fretta in fretta, e così da
noi, senza che il signor Griso fosse qui a regolare. »
<tE guastare il negozio principale!» rispondeva Tab
tro. « Ecco: s' è avvisato di qualche cosa; si ferma a guar-
darci. Ih! se fosse più lardi! Torniamo indietro, per non
dar sospetto. Vedi che vien gente da tutte le parli: la-
sciamoli andar tutti a pollaio. »
C'era infatti quel brulichìo, quel ronzìo che si sente
in un villaggio, sulla sera, e che, dopo pochi momenti,
dà luogo alla quiete solenne della notte. Le donne ve-
nivan dal campo, portandosi in colio i bambini, e tenendo
pej la mano i ragazzi più grandini, ai quali facevan dire
CAPITOLO VII. 129
le divozioni della sera; venivan gli uomini, con le vanghe,
e con le zappe sulle spalle. All'aprirsi degli usci si ve-
devan luccicare qua e là i fuochi accesi per le povere
cene: si sentiva nella strada barattare i saluti, e qualche
parola, sulla scarsità della raccolta, e sulla miseria del-
l'annata e più delle parole, si sentivano i tocchi misu-
rali e sonori della campana, che annunziava il finir del
giorno. Quando Renzo vide che i due indiscreti s' eran
ritirati, continuò la sua strada nelle tenebre crescenti,
dando sottovoce ora un ricordo, ora un altro, ora all' uno,
ora all'altro fratello. Arrivarono alla casetta di Lucia,
eh' era già notte.
Tra il primo pensiero d' una impresa terribile, e l' e-
secuzione di essa, (ha detto un barbaro che non era
privo d'ingegno) T intervallo è un sogno, pieno di fan-
tasmi e di paure. Lucia era, da molte ore nell'angosce
d'un tal sogno: e Agnese, Agnese medesima, l'autrice
del consiglio, slava sopra pensiero, e trovava a slento
parole per rincorare la figlia. Ma al momento di destarsi,
al momento, cioè, lU dar principio ah' opera, l'animo
si trova tutto trasformato. Al terrore e al coraggio che
vi contrastavano, succede un altro terrore e un altro
coraggio: l'impresa s'allaccia alla mente, come una nuova
apparizione: ciò che prima spaventava di più, sembra
talvolta divenuto agevole luti' a un tratto: talvolta com-
parisce grande l'ostacolo a cui s'era appena badalo: l' im-
maginazione dà indietro sgomentata; le membra par cbe
ricusino d'ubbidire; e il cuore manca alle promesse ch(>
aveva falle con più sicurezza. Al picchiare sommesso di
Renzo, Lucia fu assalita da tanto terrore, che risolvette,
in qu(!l momento, di solTrir(^ ogni cosa, di star sempre
divisa da lui, piuttosto eli" eseguire quella risoluzione;
ma quando si fu l'alto vedere, ed ebbe dello: « soii (lui,
andiamo; » quando tulli si moslraron pronti ad avviarsi,
senza esitazione, come a cosa stabilita, irrevocabile; Lucia
non ebbe tempo nr forza di far dilììcollà, e. come slra-
scinala, prese tremando un braccio tlella madre, un brac-
i30 I PROMESSI SPOSI
ciò del promesso sposo, e si mosse con la brigala av-
venturiera.
Zitti zitti, nelle tenebre, a passo misurato, usciron
dalla casetta, e preser la strada fuori del paese. La più
corta sarebbe stata d' attraversarlo : cbè s'andava diritto
alla casa di don Abbondio ; ma scelsero quella, per non
esser visti. Per viottole, tra gli orti e i campi, arrivaron
vicino a quella casa, e li si divisero. I due promessi
rimaser nascosti dietro l'angolo di essa; Agnese con loro,
ma un po' più innanzi, per accorrere in tempo a fermar
Perpetua, e a impadronirsene; Tonio, con lo scempiato
di Gervaso, che non sapeva far nulla da sé, e senza il
quale non si poteva far nulla, s'affacciaron bravamente
alla porta, e picchiarono.
« Chi è, a quest'ora? » gridò una voce daUa finestra,
che s'aprì in quel momento: era la voce di Perpetua.
8 Ammalali non ce n'è, ch'io sappia. É forse a caduta
qualche disgrazia? »
« Son io, ■» rispose Tonio, « con mio fratello, che ab-
biam bisogno di parlare al signor curato.»
« É ora da cristiani questa? » disse bruscamente Per-
petua, a Che discrezione? Tornate domani.»
« Sentite: tornerò o non tornerò: ho riscosso non so
che danari, e venivo a saldar quel debituccio che sapete :
aveva qui venticinque belle berlinghe nuove; ma se non
si può, pazienza : questi, so come spenderli , e tornerò
quando n'abbia messi insieme degli altri. »
« Aspettate, aspettate: vo e torno. Ma perchè venire
a quest' ora ? »
« Gli ho ricevuti anch'io, poco fa; e ho pensato, come
vi dico, che, se li tengo a dormir con me, non so di
che parere sarò domattina. Però, se l'ora non vi piace,
non so che dire: per me, son qui; e se non mi volete,
me ne vo. »
« No, no, aspettate un momento : torno con la risposta. »
Così dicendo, richiuse la finestra. A questo punto,
Agnese si staccò dai promessi, e, detto sottovoce a Lucia :
CAPITOLO VII. 13i
« coraggio; è un momento ; è come farsi cavar un dente, »
si riunì ai due fratelli, davanti all'uscio; e si mise a
ciarlare con Tonio in maniera che Perpetua, venendo
ad aprire, dovesse credere che si fosse abbattuta li a
casOj e che Tonio l' avesse trattenuta un momento.
CAPITOLO VITI.
Cameade! Chi era costui? — ruminava tra sé don
Abbondio seduto sul suo seggiolone, in una stanza del
piano superiore, con un libriccioio aperlo davanti, quando
Perpetua entrò a portargli l'imbasciata. — Cameade!
questo nome mi par bene d'averlo letto o sentito; do-
veva essere un uomo di studio, un letleratone del tempo
antico: è un nome di quelli; ma chi diavolo era costui?
— Tanto il pover uomo era lontano da prevedere che
burrasca gli si addensasse sul capo!
Bisogna sapere che don Abbondio si dilettava di leg-
gere un pochino ogni giorno; e un curato suo vicino,
che aveva un po' di libreria, gli prestava un libro dopo
l'altro, il primo che gli veniva alle mani. Quello su cui
meditava in quel momento don Abbondio, convalescente
della felìlire dello spavento, anzi più guarito (quanto
alla febbre) che non volesse lasciar credere, era un pa-
negirico in onore di san Carlo, detto con molta enfasi,
e udito con molta ammirazione nel duomo di Milano,
due anni prima. Il santo v'era paragonalo, per l'amore
allo studio ad Archimede; e fin (pii don Abbondio non
trovava inciampo; perchè Archimede ne ha fatte di così
I PROMESSI SPOSI, CAPITOLO Vili. 133
curiose, ha fa(to dir tanto di sé, che, per saperne qual-
che cosa, non c'è bisogno d'un' erudizione molto vasta.
Ma, dopo Archimede, l' oratore chiamava a paragone an-
che Cameade: e li il lettore era rimasto arenato. In
quel momento entrò Perpetua ad annunziar la visita di
Tonio.
« A quest' ora ? » disse anche don Abbondio, com' era
naturale.
« Cosa vuole? Non hanno discrezione: ma se non lo
piglia al volo.... »
« Già: se non lo piglio ora, chi sa quando lo potrò
pigliare! Fatelo venire Ehi! ehi ! siete poi ben sicura
che sia proprio lui? »
« Diavolo!» rispose Perpetua, e scese; aprì l'uscio,
e disse: «dove siete?» Tonio si fece vedere; e, nello
stesso tempo, venne avanti anche Agnese, e saiutò Per-
petua per nome.
« Buona sera, Agnese, » disse Perpetua: « di dove si
viene, a quest'ora? »
« Vengo da » e nominò un paesetto vicino. « E se
sapeste....» continuò: «mi son fermata di pi ìi, appunto
in grazia vostra. »
« Oh perciiè? » dimandò Perpetua; e vollaiidosi a' due
fratelli, « entrale, » disse, « che vengo anch'io. »
i Perchè, » rispose Agnese, « una donna di quelle che
non sanno le cose, e voglion parlare credereste?
s'ostinava a dire che voi non vi siete maritata con Beppe
Suolavecchia, né con Anselmo Lunghina perchè non
v'hanno voIuUì. Io sostenevo che siete siala voi che gli
avete rifiutali, l'uno e l'altro.. .»
« Sicuro. Oh la bugiarda! la bugiardona! Cbi è
costei? »
« Non me lo domandale, che non mi piace metter
male. »
« Me lo direte, me l'avete a dire: dli la bugiarda!»
« Basta.... ma non potete credere (piaiiUi mi sia di-
spiaciuto di non saper bene lutla la storia, per confon-
der colei. »
134 I PROiMESSI SPOSI
« Guardate se si può inventare, a questo modo! »
esclamò di nuovo Perpetua; e riprese subito: i in quanto
a Beppe, tutti sanno, e hanno potuto vedere.... Ehi,
Tonio! accostate l'uscio, e salite pure, che vengo. ^ Tonio,
di dentro, rispose di si, e Perpetua continuò la sua nar-
razione appassionata.
In faccia all'uscio di don Abbondio, s'apriva tra due
casipole, una stradetta, che, finite quelle, voltava in un
campo. Agnese vi s'avviò, come se volesse tirarsi alquanto
in disparte, per parlar più liberamente; e Perpetua dietro.
Quand'ebbero voltalo, e furono in luogo, donde non si
poteva più veder ciò che accadesse davanti alla casa di
don Abbondio, Agnese tossì forte. Era il segnale: Renzo
lo senti, fece coraggio a Lucia, con una stretta di braccio;
e tutt'e due, in punta di piedi, vennero avanti, rasen-
tando il muro, zitti zitti; arrivarono all'uscio, Ib spinsero
adagino adagino; cheti e chinati, entraron nell'andito,
dov'erano i due fratelli ad aspettarli. Renzo accostò di
nuovo l'uscio pian piano; e tutt'e quattro su per le
scale, non facendo rumore neppur per uno. Giunti sul
pianerottolo, i due fratelli s'avvicinarono all'uscio della
stanza, ch'era di fianco alla scala; gli sposi si strinsero
al muro.
« Dea gratias, » disse Tonio a voce chiara.
« Tonio, eh? Entrate, » rispose la voce di dentro.
Il chiamato aprì l'uscio, appena quanto bastava per
poter passar lui e il fratello, a un per volta. La striscia
di luce, che uscì d' improvviso per quella apertura, e si
disegnò sul pavimento oscuro del pianerottolo, fece risco-
ter Lucia, come se fo^se scoperta. Entrati i fratelli, Tonio
si tirò dietro l'uscio: gli sposi rimasero immobili nelle
tenebre, con l'orecchie tese, tenendo il fiato: il rumore
più forte era il martellar che faceva il povero cuore di
Lucia.
Don Abbondio stava, come abbiam detto, sur una vec-
chia seggiola, ravvolto in una vecchia zimarra, con in capo
una vecchia papalina, che gli faceva cornice intorno alia
CAPITOLO Vili. . 135
faccia, al lume scarso d'una piccola lucerna. Due folle
ciocche di capelli, che gii scappavano fuor della papa-
lina, due folli sopraccigli, due folli baffi, un follo pizzo,
lutti canuti, e sparsi su quella faccia bruna e rugosa,
potevano assomigliarsi a cespugli coperti di neve, spor-
genti da un dirupo, al chiaro di luna.
t Ah! ahi» fu il suo saluto, mentre si levava gli
occhiali, e li riponeva nel libricciolo,
« Dirà il signor curato, che son venuto tardi, d disse
Tonio, inchinandosi, come pure fece, ma più goffamente,
Gervaso.
« Sicuro ch'ò tardi: tardi in tulle le maniere. Lo
sapete, che sono ammalato? »
« Oh ! mi dispiace. »
« L'avrete sentito dire; sono ammalato, e non so
quando potrò lasciarmi vedere.... Ma perchè vi siete con-
dotto dietro quel.... quel figliuolo?»
« Così per compagnia, signor curalo. »
« Basta, vediamo. »
« Son venticinque berlinghe nuove, di quelle col
sant'Ambrogio a cavallo, « disse Tonio, levandosi un in-
voltino di tasca.
« Vediamo: » replicò don Abbondio: e, preso l'invol-
tino, si rimesse gli occhiali, l'apri, cavò le berlinghe,
le contò, le voltò, le rivoltò, le trovò senza difetto.
« Ora, signor curato, mi darà la collana della mia
Tecla. »
« É giusto, » rispose don Abbondio; poi andò a un
armadio, si levò una cliiave di lasca, e, guardandosi
intorno, come per tener lontani gli spellatori, apri una
parte di sportello, riempi l'apertura con la persona, mise
dentro la testa, per guardare, e un braccio, per prender
la collana; la prese, e, chiuso l'armadio, la consegnò a
Tonio, dicendo: va bene?»
« Oi'a, » disse Tonio, « si conlcnli di incllcre un po'
di nero sul liianco. »
« Anche questa! « disse don Abbondio: « le sanno
136 1 PROMESSI SPOSI
tiittp. Ih ! com' è divcnulo sospettoso il mondo ! Non vi
fidale di me? »
« Come, signor curato! s' io mi fido? Lei mi fa torto.
Ma siccome il mio nome è sul suo libraccio dalla parie
del debito .... dunque, giacche ha già avnio l' iiicomoilo
di scrivere una volta, così . . . dalla vita alla morte ...»
« Bene bene, » interruppe don Alibondio, e bronto-
lando, tirò a sé una cassetta del tavolino, levò fuori
carta, penna e calamaio, e si mise a scrivere, ripetendo
a viva voce le parole, di mano in mano che gli uscivan
dalla penna Frallanto Tonio e. a un suo cenno, Gervaso,
si piantaron ritti davanti al tavolino, in maniera d' im-
pedire allo scrivente la vista dell' uscio ; e, come per
ozio, andavano stropicciando, co' piedi, il pavimento, per
dar segno a quei eh' erano fuori, d' entrare, e per con-
fondere nello stesso tempo il rumore delle loro pedate.
Don Abbondio, immerso nella sua scrittura, non badava
ad altro. Allo stropiccìo de' quattro piedi, Renzo prese
un braccio di Lucia, lo strinse, per darle coraggio, e si
mosse, tirandosela dietro tutta tremante, che da sé non
vi sarebbe potuta venire. Entraron pian piano, in punta
di piedi, rattenendo il respiro; e si nascosero dietro i
due fratelli. Intanto don Abbondio, finito di scrivere, ri-
lesse attentamente, senza alzar gli occhi dalla carta: la
piegò in quattro, dicendo: « ora, sarete contento? » e,
levatosi con una mano gli occhiali dal naso, la porse
con r altra a Tonio, alzando il viso. Tonio, allungando
la mano per prender la carta, si ritirò da una parte;
Gervaso, a un suo cenno, dall'altra; e, nel mezzo, co-
me al dividersi d'una scena, apparvero Renzo e Lucia.
Don Abbondio, vide confusamente, poi vide chiaro, si
spaventò, si stupì, s' infuriò, pensò, prese una risoluzio-
ne: tutto questo nel tempo che Renzo mise a proferire
le parole: « signor curato, in presenza di questi testi-
moni, quest' é mia moglie. » Le sue labbra non erano
ancora tornate al posto, che don Abbondio, lasciando
cader la carta, aveva già atferrata, e alzata, con la man-
CAPITOLO Vili. 137
Cina, la lucerna, ghermito, con la diritta, il tappeto del
tavolo, e tiratolo a se, con furia, buttando in terra libro,
carta, calamaio e polverino; e, balzando tra la seggiola
e il tavolino, s'era avvicinalo a Lucia. La poveretta,
con ({uella sua voce soave, e allora tutla tremante, aveva
appena potuto proferire: « e questo....» che don Ab-
bondio le aveva buttato sgarbatamenic il tappeto sulla
testa e sul viso, per impedirle di pronunziare intera la
formola. E subito, lasciata cader la lucerna che teneva
neir altra mano, s' aiutò anche con quella a imbacuccarla
col tappeto, che quasi la soffogava: e intanto gridava
quanto n'aveva in canna: » Perpetua! Perpetua! tradi-
mento! aiuto! » Il lucignolo, che moriva sul pavimento,
mandava una luce languida e saltellante sopra Lucia, la
quale affatto smarrita, non tentava neppure di svolgersi,
e poteva parere una statua abltozzata in creta, sulla quale
l'artefice ha gettalo un umido panno. Cessata ogni luce,
don Abbondio lasciò la poveretta, e andò cercando a
tastoni l'uscio che metteva a una stanza più interna:
lo trovò, entrò in quella, si chiuse dentro, gridando
tuttavia: « Perpetua! tradimento! aiuto! fuori di questa
casa! fuori di questa casa! » Neh' altra stanza, tutto era
confusione : Renzo, cercando di fermare il curalo, e re-
mando con le mani, come se facesse a mosca cieca, era
arrivato all'uscio, e picchiava, gridando: « apra, apra:
non faccia schiamazzo. » Lucia chiamava Renzo, con
voce fiora, e diceva preganilo: « andiamo, andiamo, per
l'amor di Dio. >> Tonio, carponi, andava spazzando con
le mani il pavimento, per veder di raccapezzare la sua
ricevuta. Gervaso, spiritalo, gridava e saltellava, cercando
I' uscio di scala, per uscire a salvanaento.
In mezzo a questo serra serra, non possiam lasciar
di fei-marci un mouKìnto a fare una ritlessione. Renzo,
che strepitava di notte in casa altrui, che vi s' era intro-
dotto di soppiatto, e teneva il padrone stesso assediato
in una stanza, ha tutta l'apparenza d'un oppressore;
eppure, alla fin de" fatti, ei-a l' (appresso. Don Abbondio.
138 I PROMESSI SPOSI
sorpreso, messo in fuga, spaventalo, mentre attendeva
tran([uillamente a' falli suoi, parrebbe la vittima: eppure,
in realtà, era lui che faceva un sopruso. Così va spesso
il mondo voglio dire, così andava nel secolo deci-
mosettimo.
L' assediato, vedendo clic il nemico non dava segno
di ritirarsi, aprì una finestra che guardava sulla piazza
della chiesa, e si diede a gridare: « aiuto! aiuto! » Era
il più bel chiaro di luna; l'ombra della chiesa, e più
in fuori r ombra lunga ed acuta del campanile, si sten-
deva bruna e spiccala sul piano erboso e lucente della
piazza : ogni oggetto si poteva distinguere, quasi come
di giorno. Ma, fin dove arrivava lo sguardo, non appa-
riva indizio di persona vivente. Contiguo però al muro
laterale della chiesa, e appunto dal lato che rispondeva
verso la casa parrocchiale, era un piccolo abituro, un
bugigattolo, dove dormiva il sagrestano. Fu questo ri-
scosso da quel disordinato grido, fece un salto, scese il
letto in furia, aprì V impannata d' una sua fìnestrina,
mise fuori la testa, con gli occhi tra' peli, e disse : < cosa
c'è? »
« Correte, Ambrogio ! aiuto I gente in casa, » gridò
verso lui don Abbondio. « Vengo subito, » rispose quello :
tirò indietro la testa, richiuse la sua impannata, e, quan-
tunque mezzo tra '1 sonno, e più che mezzo sbigottito,
trovò su due piedi un espediente per dar più aiuto di quel-
lo che gli si chiedeva, senza mettersi lui nel talferuglio ,
quale si fosse. Dà di piglio alle brache, che teneva sul
letto; se le caccia sotto il braccio, come un cappello di
gala, e giù balzelloni per una scaletta di legno; corre
al campanile, afferra la corda della più grossa di due
campanette che c'erano, e suona a martello.
Ton, ton, ton, ton: i con ladini balzano a sedere sul
letto; i giovinetti sdrajati sul fenile, teiidon l'orecchio,
si rizzano. » Cos'è? Cos'è? Campana a martello! fuoco?
ladri? banditi? i Molle donne consigliano, pregano i
mariti, di non moversi, di lasciar correre gli allri: al-
CAPITOLO YIIl. 139
cani s'alzano, e vanno alla finestra: i poltroni, come se
si arrendessero alle preghiere, ritornan sotto: i più
curiosi e più bravi scendono a prender le forche e gli
schioppi, per correre al rumore: allri stanno a vedere.
Ma, prima che quelh fossero all'ordine, prima anzi
che fosser ben desti, il rumore era giunto agli orecchi
d'altre persone che vegliavano, non lontano, ritte e ve-
stite: i bravi in un luogo, Agnese e Perpetua in un altro.
Diremo prima brevemente ciò che facesser coloro, dal mo-
mento in cui gli abbiamo lasciati, parte nel casolare e parte
all'osteria. Questi tre, quando videro tutti gli usci chiusi
e la strada deserta, uscirono in fretta, come se si fossero
avvisti d'aver fatto tardi, e dicendo di voler andar subito
a casa; diedero una giravolta per il paese, per venire in
chiaro se tutti eran ritirati; e in fatti, non incontrarono
anima vivente, ne sentirono il più piccolo strepito. Passa-
rono anche, pian piano, davanti alla nostra povera casetta:
la più quieta di tutte, giacché non c'era più nessuno. An-
darono allora diviato al casolare, e fecero la loro relazione
al signor Griso. Subito, questo si mise in testa un cap-
pellaccio, sulle spalle un sanroccliino di tela incerata,
sparso di conchiglie; prese un bordone da pellegrino,
disse: « andiamo da bravi: zitti, e attenti agli ordini,»
s'incamminò il primo, gli altri dietro; e, in un momento,
arrivarono alla cadetta, per una strada opposta a quella
per cui se n'era allontanata la nostra brigatella, andando
anch'essa alla sua spedizione. Il Griso trattenne la truppa,
alcuni passi lontano, andò innanzi solo ad esplorare, e,
visto tutto deserto o tranquillo di fuori, fece venire
avanti due di quei tristi, diede loro ordine di scalar ada-
gino il muro che chiudeva il cortiletto, e, calati dentro,
nascondersi in un angolo, dietro un folto fico, sul qnale
aveva messo l'occhio la mattina. Ciò fatto, picchiò pian
piano, con intenzione di dirsi un pellegrino smari'ito,
che chiedeva ricovero, fino a giorno. Nessun rispumle:
ripiccbia un po' più forte ; nennncno unu zitto. Allora
va a chiamare un terzo malandiino, lo fa scendere nel
140 I PROMESSI sposr
cortiletto, come gli altri due, con l'ordine di sconfic-
care adagio il paletto , per aver libero l' ingresso e la
ritirata. Tutto s'eseguisce con gran cautela, e con pro-
spero successo. Va a chiamar gli altri, li fa enirar con
sé, li manda a nascondersi accanto ai primi; accosta
adagio adagio 1' uscio di strada , vi posta due senti-
nelle di dentro; e va diritto all'uscio del terreno. Pic-
chia anche lì, e aspetta: e' poteva bene aspettare. Scon-
ficca pian pianissimo anche quell'uscio: nessuno di den-
tro dice: chi va là? nessuno si fa sentire: megho non
può andare. Avanti dunque: « st, » chiama quei del
fico, entra con loro nella stanza terrena, dove, la mat-
tina, aveva scelleratamente accattato quel pezzo di pane.
Cava fuori esca, pietra, acciarino e zolfanelli, accende
un suo lanternino, entra nell'altra stanza più interna,
per accertarsi che nessun ci sia; non e' è nessuno. Torna
indietro, va all'uscio di scala, guarda, porge l'orecchio:
solitudine e silenzio. Lascia due altre sentinelle a ter-
reno, si fa venir dietro il Grignapoco, ch'era un bravo
del contado di Bergamo, il quale solo doveva minacciare,
acchetare, comandare, esser in somma il dicitore, afTin-
chè il suo linguaggio potesse far credere ad Agnese che
la spedizione veniva da quella parte. Con costui al fianco,
e gli altri dietro, il Griso sale adagio adagio, bestem-
miando in cuor suo ogni scalino che scricchiolasse, ogni
passo di que' mascalzoni che facesse rumore. Finalmente
è in cima. Qui giace la lepre. Spinge mollemente l'uscio
che melte alla prima stanza; l'uscio cede, si fa spiraglio:
Vi mette l'occhio; è buio: vi mette l'orecchio, per sen -
tire se qualcheduno russa, fiata, brulica là dentro; niente.
Dunque avanti: si mette la lanterna davanti al viso, per
vedere, senza esser veduto, spalanca l'uscio, vede un
letto; addosso: il letto è fatto e spianato, con la rim-
boccatura arrovesciala, e composta sul capezzale. Si strin-
ge nelle spalle, si volta alla compagnia, accenna loro
che va a vedere nell'altra stanza, e che gli vengan die-
tro pian piano; entra, fa le stesse cerimonie , trova la
CAPITOLO Vili. 141
stessa cosa. «Che diavolo è questo?» dice allora «che
qualche cane traditore abbia fatto la spia?» Si mctton
con men cautela a guardare, a tastare per ogni canto,
l)ultan sottosopra la casa. Mentre costoro sono in tali
faccende, i due che fan la guardia all'uscio di strada,
sentono un calpestìo di passini frettolosi, che s'avvici-
nano in fretta; s'immaginano che, chiunque sia, pas-
serà diritto; stan quieli, e, a buon conto, si mettono al-
l'erta. In fatti, il calpestìo si ferma appunto all'uscio.
Era Menico che veniva di corsa, mandato dal padre Cri-
stoforo ad avvisar le due donne che, per l'amor del
cielo, scappassero subito di casa, e si rifugiassero al
convento, perchè .... il perchè lo sapete. Prende la ma-
niglia del paletto, per picchiare, e se lo sente tenten-
nare in mano, schiodato e sconficcato. — Che è que-
sto? — pensa; e spinge l'uscio con paura: quello s'a-
pre. Menico mette il piede dentro, in gran sospetto, e
si sente a un punto acchiappar per le braccia, e due
voci sommesse, a destra e a sinistra, che dicono in tuono
minaccioso: « zitto! o sei morto. » Lui invece caccia
un urlo: uno di quei malandrini gli mette una mano
alla bocca; l'altro tira fuori un coltellaccio, per fargli
paura. Il garzoncello trema come una foglia, e non lenta
nep[)ur di gridare; ma, tutt'a un tratto, in vece di lui,
e con ben altro tono, si fa sentir quel primo tocco di
campana così fatto, e dietro una tempesta di rintocchi
in fila. Chi è in difetto è in sospetto, dice il proverbio
milanese: all'uno e all'altro furfante parve di sentire
in que' tocchi il suo nome, cognome e saprannome :
lasciano andar le braccia di Menicj, ritirano le loro in fu-
ria, spalancan la mano e la bocca, si guardano in viso,
e corrono alla casa, dov'era il grosso della compagnia.
Menico, via a gambe per la strada, alla voi la del cam-
panile, dove a buon conio (inalcbcduno ci doveva essere.
Agli altri ['ui'fanti, che IVugavan la casa, dall' allo al basso,
il terribile tocco fece la stessa impressione: si confon-
dono, si scompigliano, s'urlano a vicenda: ognuno cerca
142 I PROMESSI SPOSI
la strada più corta per arrivare all' u^cio. Eppure era
tutta gente provata e avvezza a mostrare il viso; ma
non poterono star saldi contro un pericolo indetermi-
nato, e che non s'era fatto vedere un po' da lontano, prima
di venir loro addosso. Ci volle tutta la superiorità del Griso
a tenerli insieme, tanto che fosse ritirata e non fuga.
Come il cane che scorta una mandra di porci, corre or
qua or là a quei che si sbandano; ne addenta uno per
un orecchio, e lo tira in ischiera; ne spinge un altro
col muso; abl)aia a un altro che esce di fila in quel
momento; così il pellegrino acciulTa un di coloro, che
già toccava la soglia, e lo strappa indietro; caccia in-
dietro col bordone uno e un altro che s'avviavan da
quella parie: grida agli altri che corron qua e là, senza
saper dove ; tanto che li raccozzò tutti nel mezzo del cor-
tiletto. «Presto, presto I pistole in mano, coltelli in
pronto, tutti insieme: e poi anderemo : cosi si va. Chi
volete che ci tocchi, se stiam ben insieme, sciocconi?
Ma, se ci lasciamo acchiappare a uno a uno, anche i vil-
lani ce ne daranno. Vergognai Dietro a me, e uniti. »
Dopo questa breve aringa, si mise alla fronte, e usci il
primo. La casa, come abbiam detto, era in fondo al vil-
laggio; il Griso prese la strada che metteva fuori, e tutti
gli andaron dietro in buon ordine.
Lasciamoli andare, e torniamo un passo indietro a
prendere Agnese e Perpetua, che abbiam lasciate in una
certa stradetta. Agnese aveva procurato d'allontanar l'al-
tra dalla casa di don Abbondio, il più che fosse possi-
bile; e, fino a un certo punto, la cosa era andata bene.
Ma tutt'a un tratto, la serva s'era ricordata dell'uscio
rimasto aperto, e aveva voluto tornare indietro. Non
c'era che ridire: Agnese, per non farle nascere qual-
che sospetto, aveva dovuto voltar con lei, e andarle die-
tro, cercando però di trattenerla, ogni volta che la ve-
desse riscaldata ben bene nel racconto di que' tali ma-
trimoni andati a monte. Mostrava di darle molta udien-
za; e, ogni tanto, per far vedere che stava attenta, o
CAPITOLO Vili. 143
per ravviare il cicalio, diceva: .« sicuro: adesso capisco:
va benissimo: è cliiara: e poi? e lui? e voi?» Ma in-
lanlo, faceva un altro discorso con sé slessa. — Saran-
no usciti a quest'ora? o saranno ancor dentro? Che
sciocchi che siamo stati tutt'e tre, a non concertar
qualclie segnale, per avvisarmi, quando la cosa fosse
riuscita! È stata proprio grossa! Ma è fatta: ora non
c'è altro che tener costei a l)ada, più che posso: alia
.peggio, sarà un po' di lempo perduto. — Così, a cor-
serelJe e a fermatine, eran tornate poco distante dalla
casa di don Abbondio, la quale però non vedevano, per
ragione di quella cantonata: e Perpetua, trovandosi a
un punto importante del racconto, s'era lasciala fermare
senza far resistenza, anzi senza avvedersene; quando,
tutt'a un tratto, si senti venir rimbombando dall'alto,
nel vano immoto dell'aria, per l'ampio silenzio della
notte, quel primo sgangherato grido di don Abbondio:
« aiuto! aiulo! »
« Misericordia! cos'è stato? » gridò Perpetua, e volle
correre.
<■ Cosa c'è? cosa c'è? » disse Agnese, tenendola per
la sotlana.
« Misericordia! non avete sentilo? » replicò quella,
svincolandosi.
« Cosa c'è? cosa c'è? « ripetè Agnese, alTerrandola
per un braccio.
« Diavolo d'una donna! «esclamò Perpetua, rispin-
gendola, per mellersi in libertà; e prese la rincorsa.
Quando, più lontano, più acuio, più istantaneo, si sente
l'urlo di 3I(;iùco.
« Misericordia! » grida anche Agnese; e di galoppo
dietro l'altra. Avevan quasi appena alzati i calcagni,
([uando scoccò la campana: un tocco, e due, e tre, e
seguita; sarebbero slati s|)roni, se ([uelle ne avessero
avuto bisogno. Perpetua arriva, un momento prima del-
l'altra: mentre vuole spinger l'uscio, l' uscio si spalanca di
dentro, e sulla soglia compariscono Tonio, Gervaso,
Mi I PROMESSI SPOSI
Renzo, Lucia, che, trovata la scala, eran venuti giù sal-
telloni; e, sentendo poi quel terribile scampanìo, corre-
vano in furia, a mettersi in salvo.
« Cosa c'ò? cosa c'è? » domandò Perpetua ansante
ai fratelli, che le risposero con un urlone, e scantona-
rono. « E voi! come! che fate qui voi?» domandò po-
scia all'altra coppia, quando l'ebbe rafTigurata. Ma quelli
pure usciron senza rispondere. Perpetua, per accorrere
dove il bisogno era maggiore, non domandò altro, entrò
in fretta neirandito, e corse, come poteva al buio, verso
la scala.
I due sposi rimasti promessi si trovarono in faccia
Agnese, che arrivava futt' affannata, t Ah siete qui! »
disse questa, cavando fuori la parola a stento: « com'è
andata? cos'è la campana? mi par d'aver sentho.... »
« A casa, a casa, » diceva Renzo, « prima che venga
gente. » E s'avviavano; ma arriva Menico di corsa, li
riconosce, li ferma, e, ancor lutto tremante, con voce
mezza fioca, dice: « dove andate? indietro, indietro! per
di qua, al convenlo ! »
« Sei tu che ?» cominciava Agnese.
« Cc^a c'è d'altro? » domandava Renzo. Lucia, tutta
smarrita, taceva e tremava.
« C è il diavolo in casa , ■» riprese Menico ansante.
« Gli ho visti io: m'hanno voluto ammazzare: l'ha detto
il padre Cristoforo: e anche voi , Renzo . ha detto che
veniate subito : e poi gli ho visti io : provvidenza che
vi trovo qui tutti ! vi dirò poi, quando saremo fuori. »
Renzo, ch'era il più in se di tutti, pensò che, di qua
0 di là, conveniva andar subito, prima cbe la gente ac-
corresse; e che la più sicura era di far ciò che Menico
consigliava, anzi comandava, con la forza d'uno spaven-
tato. Per istrada poi, e fuor del pericolo, si potrebbe do-
mandare al ragazzo una spiegazione più chiara. « Cam-
mina avanti, » gli disse, « Andiam con lui, » disse alle
donne. Voltarono , s' incamminarono in fretta verso la
chiesa, attraversaron la piazza, dove per grazia del cielo,
CAPITOLO Vili. 145
non c'era ancora anima vivente; entrarono in una stradetta
che era tra la chiesa e la casa di don Abbondio; al primo
buco che videro in nna siepe, dentro, e via per i campi.
Non s'eran forse allontanati un cinquanta passi, quando
la gente cominciò ad accorrere sulla piazza, e ingrossava
ogni momento. Si guardavano in viso gli uni con gli
altri: ognuno aveva una domanda da fare, nessuno una
risposta da dare. I primi arrivati corsero alla porta della
chiesa: era serrata. Corsero al campanUe di fuori; e uno
di quelli, messa la bocca a un finestrino, una specie di
feritoia, cacciò dentro un: « che diavolo c'è? » Quando
Ambrogio sentì una voce conosciuta, lasciò andar la corda;
e assicurato dal ronzìo, ch'era accorso molto popolo, ri-
spose: « vengo ad aprire. » Si mise in fretta 1' arnese
che aveva portato sotto il braccio, venne, dalla parte di
dentro, alla porta della chiesa, e l'aprì.
« Cos' è tutto questo fracasso? — Cos'è — Dov'è? —
Cni è ? »
« Come, chi è? disse Ambrogio, tenendo con una mano
un battente deUa porta, e, con l'altra il lembo di quel
tale arnese, che s'era messo così in fretta: « come! non
lo sapete? gente in casa del signor curato. Animo, fi-
gliuoli: aiuto. » Si voltan tulli a quella casa, vi s'avvi-
cinano in folla, guardano in su, stanno in orecchi: tutto
quieto. Altri corrono dalla parto dove c'(!ra 1' uscio: è
chiuso, e non par che sia stato toccato. Guardano in su
anche loro: non c'è una finestra aperta: non si sente
uno zitto.
« Chi è là dentro? — Ohe, ohe! — Signor curato! —
Signor curalo! »
Dou Abbondio, il quale appena accortosi della fuga
degl'invasori, s'era ritiralo dalla finestra, e l'aveva ri-
chiusa, e che in questo momento stava a bisticciar sot-
tovoce con Perpetua, che l'aveva lascialo solo iti (jiiel-
r imbroglio, dovette, (|uando si sentì chiamare a voce di
popolo, venir di nuovo alla finestra: e \islo (pici gran
soccorso, si [lentì (VaNerlo cliieslo.
VOI.. I. 7
146 I PROMESSI SPOSI
« Cos'è stato? — Clic le hanno fallo? — Clii sono
costoro? — Dove sono? » gli veniva gridalo da cinquanta
voci a un tratto.
« Non c'è più nessuno: vi ringrazio: tornate pure a
casa. »
« Ma chi è sialo? — Dove sono andati? — Che è
accaduto? »
« Cattiva gente, gente che gira di notte ; ma sono fug-
giti: tornate a casa; non c'è più niente: un'altra volta,
figliuoli: vi ringrazio del vostro huon cuore, » E detto
questo, si ritirò, e chiuse la finestra. Qui alcuni comin-
ciarono a brontolare, altri a canzonare, altri a sagrare :
altri si stringevan nelle spalle, e se n'andavano: quando
arriva uno tutto trafelato, che stentava a formar le pa-
role. Stava costui di casa quasi dirimpetto alle nostre
danne , ed essendosi, al rumore, affacciato alla finestra,
aveva veduto nel cortiletto quello scompiglio de' bravi ,
quando il Griso s'affannava a raccoglierli. Quand'ebbe
ripreso fiato, gridò : « che fate qui, figliuoli? non e qui
il diavolo ; è giù in fondo alla strada, alla casa d'Agnese
Mondella: gente armata; son dentro; par che vogliano
ammazzare un pellegrino; chi sa che diavolo c'è! »
« Che? — Che? — Che? » E comincia una consulta
tumultuosa. « Bisogna andare. — Bisogna vedere. —
Quanti sono? — Quanti siamo? — Chi sono ? — Il con-
sole I il console I »
« Son qui, » risponde il console, di mezzo alla folla
t son qui, ma bisogna aiutarmi, bisogna ubbidire. Presto
dov'è il sagrestano ? Alla campana, alla campana. Presto
uno che corra a Lecco a cercar soccorso : venite qui
tutti .... »
Chi accorre , chi sguizza tra uomo e uomo , e se la
batte; il tumulto era grande, quando arriva un altro,
che gli aveva veduti partire in fretta, e grida : « correte,
figliuoli: ladri, o banditi che scappano con un pelle-
grino : son già fuori del paese : addosso ! addosso ! » A
quest'avviso, senza aspellar gli ordini del capitano, si
CAPITOLO Vili. 147
movono in massa , e giù alla rinfusa per la strada : di
mano in mano che l'esercito s' avanza , qualclieduno di
quei della vanguardia rallenta il passo, si lascia sopra-
vanzare, e si ficca nel corpo di battaglia : gli ultimi spin-
gono innanzi : lo sciame confuso giunge finalmente al
luogo indicato. Le tracce dell' invasione eran fresche e
manifeste: l'uscio spalancato, la serratura sconficcata;
ma gì' invasori erano spariti. S' entra nel cortile; si va
all'uscio del terreno: aperto e sconficcalo anche quello:
si chiama: «Agnese! Lucia! Il pellegrino! Dov'è il pel-
legrino? L'avrà sognato Stefano, il pellegrino. — No, no:
l'ha visto anche Caiiandrea. Ohe, pellegrino! — Agnese I
Lucia! » Nessuno risponde, t Le hanno portate via! Le
hanno portate via! » Ci fu allora di quelli che, alzando
la voce, proposero d'inseguire i rapitori : che era un'in-
famità ; e sarebbe una vergogna per il paese , se ogni
birbone potesse a man salva venire a portar via le donne,
come il nibbio i pulcini da un'aia deserta. Nuova con-
sulta e più tumultuosa : ma uno ( e non si seppe mai
bene chi fosse stato ) gettò nella brigata una voce, che
Agnese e Lucia s' eran messe in salvo in una casa. La
voce corse rapidamente, ottenne credenza; non si parlò
pili di dar la caccia ai fuggitivi; e la brigata si spar-
pagliò, andando ognuno a casa sua. Era un bisbiglio ,
uno .strepito, un picchiare e un aprir d'usci , un appa-
rire e uno sparire di lucerne, un interrogare di donne
dalle finestre, un rispondere dalla strada. Tornata que-
sta deserta e silenziosa, i discorsi continuaron nelle case,
e moriron negli sbadigli, per ricominciar poi la mattina.
Fatti però, non ce ne fu altri; se non clie, quella me-
desima mattina , il console stando nel suo campo , col
mento in una mano, e il gomito appoggiato sul manico
della vanga mezza ficcata nel terreno, e con un piede
sul vangile; stando, dico, a speculare Ira se sui misteri
della notte passata, e sulla ragion composta di ciò che
gli toccasse a fare, e di ciò che gli convenisse fare, vide
venirsi incontro due uomini d'assai gagliarda presenza,
148 I PROMESSI SPOSI
chiomati come due re de' Franchi della prima razza, e
somigliantissimi nel resto a quo' due che cinque giorni
prima avevano affronlalo don Abbondio, se pur non eian
que' medesimi. Costoro , con un fare mcn cerimoiùoso,
intimarono al console che guardasse bene di non far de-
posizione al podestà dell'accaduto, di non rispondere il
vero, caso che ne venisse interrogato, di non ciarlare,
di non fomentar le ciarle de' villani, per quanto aveva
cara la speranza di morir di malattia.
I nostri fuggiaschi camminarono un pezzo di buon
trotto, in silenzio, voltandosi , ora 1' uno ora l' altro , a
guardare se nessuno gì' inseguiva, tutti in affanno per
la fatica della fuga, per il batticuore e per la sospen-
sione in cui erano stati, per il dolore della cattiva riu-
scita, por r apprensione confusa del nuovo oscuro peri-
colo. E ancor più in affanno li teneva l' incalzare con-
tinuo di que' rintocchi , i quali , quanto , per 1' allonta-
narsi, venivan più fiochi e ottusi, tanto pareva che pren-
dessero un non so che di più lugubre e sinislro. Final-
mente cessarono. I fuggiaschi allora , trovandosi in un
campo disabitato, e non sentendo un alito all'intorno,
rallentarono il passo; e fu la prima Agnese che, ripreso
fiato , ruppe il silenzio , domandando a Renzo com' era
andata, domandando a Menico cosa fosse quel diavolo in
casa. Renzo raccontò brevemente la sua trista storia; e
tutt' e tre si voltarono al fanciullo , il quale riferì più
espressamente l'avviso del patire, e racconiò quello ch'egli
stesso aveva veduto e rischiato, e che pur troppo con-
fermava r avviso. Gli ascoltatori compresero più di quel
che Menico avesse saputo dire: a quella scoperta, si sen-
tiron rabbrividire ; si fermaron tutt' e tre a un tratto, si
guardarono in viso l'un con l'altro, spaventati; e subito,
con un movimento unanime, tutt' e tre posero una mano,
chi sul capo, chi sulle spalle del ragazzo, come per ac-
carezzarlo , per ringraziarlo tacilamenle che fosse stato
per loro un angelo tutelare, per dimoslrargli la compas-
sione che sentivano dell'angoscia da lui solTerta , e. del
CAPITOLO Vili, 149
pericolo corso per la loro salvezza; e quasi per chieder-
gliono scusa. « Ora torna a casa, perchè i (noi non ab-
biano a star più in pena per te, » gli disse Agnese; e
rammentandosi delle due parpagliole promesse , se ne
levò quattro di tasca, e gliele diede, aggiungendo : « ba-
sta : prega il Signore clie ci rivediamo presto : e al-
lora » Renzo gli diede una berlinga nuova, e gli rac-
comandò mollo di non dir nulla della commissione avuta
dal frate : Lucia l'accarezzò di nuovo, lo salutò con voce
accorata; il ragazzo li salutò tutti, intenerito; e tornò
indietro. Quelli ripresero la loro strada, tutti pensierosi;
le donne innanzi, e Renzo dietro, come por guardia. Lu-
cia stava stretta al braccio della madre, e scansava dol-
cemente, e con destrezza, l'aiuto che il giovine le offriva
ne' passi malagevoli di quel viaggio fuor di strada; ver-
gognosa in se , anche in un tale turbamento , d' esser
già stala tanto sola con lui , e tanto famigliarmente ,
quando s'aspettava di divenir sua moglie, tra pochi mo-
menti. Ora, svanito così dolorosamente quel sogno , si
penliva d'essere andata troppo avanti, e, h-a tante ca-
gioni di tremare , tremava anche per quel pudore che
non nasce dalla trista scienza del male, per quel pudore
che ignora sé stesso, somigliante alla paura del fanciullo,
che trema nelh; tenel)re, senza saper di che.
« E la casa? » disse a un tratto Agnese. Ma , per
quanto la domanda fosse importante, nessuno rispose,
perchè nessuno poteva darle una risposta soddisfacente.
Continuarono in silenzio la loro strada, e poco dopo,
sboccarono lìnalmenl(! sulla piazzetta davanti alla chiesa
del convento.
Renzo s'affacciò alla porta, e la sospinse bel bello.
La porta di fatto s'aprì; e la luna, entrando per lo spi-
raglio, illuminò la faccia pallida, e la barba d'argento
del padre Cristoforo, che slava quivi ritto in aspettativa.
Visto che non ci mancava nessuno, « Dio sia benedetto! »
disse, e fece lor cenno ch'entrassero. Accanto a lui stava
un altro cappuccino; ed era il laico sagrestano, ch'egli.
150 I PROMESSI SPOSI
con preghiere e con ragioni, aveva persuaso a vegliar
con lui, a lasciar socchiusa la porta, e a slarci in sen-
tinella, per accogliere que' poveri minacciali: e non si
richiedeva meno dell' autorilà del padre, e della sua fama
di santo, per ottener dal laico una condiscendenza incomo-
da, pericolosa e irregolare. Entrati che furono, il padre Cri-
stoforo riaccostò la porta adagio adagio. Allora il sa-
grestano non potè più reggere, e chiamato il padre
da una parte, gli andava susurrando all'orecchio: « ma
padre, padre I di notte in chiesa con donne ....
chiudere la regola ma padre I » E tentennava
la testa. Mentre diceva stentatamente quelle parole, —
vedete un pocol — pensava il padre Cristoforo, — se
fosse un masnadiere inseguito, fra Fazio non gli farehbe
una diflicollà al mondo: e una povera hinocente , che
scappa dagli artigli del lupo — a Omnia mumla
mundis, » disse poi, voltandosi tult'a un tratto a fra Fa-
zio, e dimenticando che questo non intendeva il latino.
Ma una tale dimenticanza fu appunto (picUa che fece
r effetto. Se il padre si fosse messo a questionare con
ragioni, a fra Fazio non sarebber mancate altre ragioni
da opporre; e sa il cielo quando e come la cosa sarebbe
finita. Ma al sentir quelle parole gravide d'un senso
misterioso, e proferite così risolutamente, gli parve che
in quelle dovesse contenersi la soluzione di tulli i suoi
dubbi. S'acquietò, e disse; i basta! lei ne sa più di me. »
« Fidatevi pure, » rispose il padre Cristoforo; e al-
l'incerto chiarore della lampada che ardeva davanti all'al-
tare, s'accostò ai ricoverali, i quali stavano sospesi aspet-
tando, e disse loro: « lìgliuoli! ringraziate il Signore,
che v' ha scampati da un gran pericolo. Forse in que-
sto momento !» E qui si mise a spiegare ciò che
aveva fatto accennare dal piccol messo : giacche non
sospettava ch'essi ne sapesser più di lui, e supponeva
che Menico gli avesse trovali tranquilli in casa, prima
che arrivassero i malandrini. Nessuno lo disingannò ,
nemmeno Lucia, la quale però sentiva un rimorso so-
CAPITOLO Vili. iol
greto d'una late dissimulazione, con un tal uomo; ma
era la notte degl'imbrogli e de' sotterfugi.
« Dopo di ciò, D continuò egli, « vedete bene, figliuoli,
che ora questo paese non è sicuro per voi. É il vostro;
ci siete nati; non avete fatto male a nessuno; ma Dio
vuol così. È una prova, figliuoli: sopportatela con pa-
zienza, con fiducia, senza odio, e siate sicuri che verrà
un tempo in cui vi troverete contenti di ciò che ora ac-
cade. Io ho pensalo a trovarvi un rifugio, per questi primi
momenti. Presto, io spero, potrete ritornar sicuri a casa
vostra; a ogni modo, Dio vi provvederà, per il vostro
meglio; e io certo mi studierò di non mancare alla gra-
zia che mi fa, scegliendomi per suo ministro, nel ser-
vizio di voi suoi poveri cari tribolati. Voi, » continuò
volgendosi alle due donne, « potrete fermarvi a " *. Là
sarete abbastanza fuori d'ogni pericolo, e, nello slesso
tempo, non troppo lontane da casa vostra. Cercale del
nostro convento, fate chiamare il padre guardiano, da-
tegli questa lettera: sarà per 'voi un altro fra Cristoforo.
E anche tu, il mio Renzo, anche tu devi metterti, per
ora, in salvo dalla rabbia degli altri, e dalla tua. Porta
questa lettera al padre Bonaventura da Lodi, nel nostro
convento di Porta Orientale in Milano. Egli ti farà da
padre, ti guiderà, ti troverà del lavoro, per fin che tu
non possa tornare a viver qui tranquillamente. Andate
alla riva del lago, vicino allo sbocco del Bione. » È un
torrente a pochi passi da Pescarenico. « Li vedrete un
battello fermo; direte: barca ; vi sarà domandato per chi;
rispondete: san Francesco. La barca vi riceverà, vi tra-
sporterà alTailra riva, dove troverete un baroccio che vi
condurrà addirittura lino a"*.»
Chi domandasse come fra Cristoforo avesse cosi su-
bilo a sua disposizione que mezzi di trasporto, per ac-
qua e per terra, farebbe vedere di non conoscere (juai
fosse il potere d'un cappuccino tenuto in concetto di
santo.
Reslava da pensare alla custodia delle case. Il padre
152 1 PROMESSI SPOSI
ne ricevellc le chiavi, incaricandosi di -conscjrnarle a
quelli che Renzo e Agnese gì' indicarono. Quest'ultima,
levandosi di lasca la sua, mise un gran sospiro, pen-
sando che, in quel momento, la casa era aperta, che
e' era stalo il diavolo, e chi sa cosa ci rimaneva da cu-
stodire I
« Prima che partiate, » disse il padre, « preghiamo
tutti insieme il Signore, perchè sia con voi, in codesto
viaggio^ e sempre; e sopra tutto vi dia forza, vi dia
amore di volere ciò ch'Egli ha voluto. " Così dicendo
s'inginocchiò nel mezzo della chiesa; e tutti fecer lo
stesso. Dopo eh' ebbero pregato, alcuni momenti, in si-
lenzio, il padre, con voce sommessa , ma distinta , arti-
colò queste parole : « noi vi preghiamo ancora per quel
poveretto che ci ha condotti a questo passo. Noi, sarem-
mo indegni della vostra misericordia, se non ve la chie-
dessimo di cuore per lui •. ne ha tanto bisogno ! Noi,
nella nostra tribolazione, abbiamo questo conforto, che
siamo nella strada dove ci avete messi Voi: possiamo
offrirvi i nostri guai; e diventano un guadagno. Ma
lui ! ... . è vostro nemico. Oh disgraziato I compete con
Voi! Abbiale pietà di lui, o Signore, toccategli il cuore,
rendetelo vostro amico, concedetegli tutti i beni che noi
possiamo desiderare a noi stessi. »
Alzatosi poi, come in fretta, disse: « via, figliuoli,
non e' è tempo da perdere: Dio vi guardi, il suo angelo
v' accompagni : andate. » E mentre s' avviavano , con
quella commozione che non trova parole, e che si ma-
nifesta senza di esse, il padre soggiunse, con voce alte-
rata: « il cuor mi dice che ci rivedremo presto. »
Certo, il cuore, chi gli dà retta, ha sempre qualche
cosa da dire su quello che sarà. Ma che sa il cuore?
Appena un poco di quello che è già accaduto.
Senza aspettar risposta^ fra Cristoforo, andò verso la
sagrestia; i viaggiatori usciron di chiesa; e fra Fazio
chiuse la porta, dando loi'o un addio, con la voce alte-
rata anche lui. Essi s'avviarono zitti zitti alla riva ch'era
CAPITOLO Vili. 153
stata loro indicala; videro il battello pronto, e dala e
barattata la parola, c'entrarono. Il barcaiolo, puntando
un remo alla proda, se ne staccò; afferrato poi 1' altro
remo, e AOgando a due braccia, prese il largo, verso la
spiaggia opposta. Non tirava un alito di vento; il lago
giaceva liscio e piano, e sarebbe parso immobile, se non
fosse stato il Iremolare e l' ondeggiar leggiero della lu-
na, elle vi si speccliiava da mezzo il cielo. S'udiva sol-
tanto il fiotto morto e lento frangersi sulle gliiaie del
lido, il gorgoglìo più lontano dell' acqua rotta tra le pile
del ponte, e il tonfo misuralo di que'due remi, che ta-
gliavano la superficie azzurra del lago, uscivano a un
colpo grondanti, e si rituffavano. L' onda segata dalla
barca, riunendosi dietro la poppa, segnava una striscia
increspata, che s'andava allontanando dal lido. I passeg-
gieri silenziosi, con la testa voltata indietro, guardavano
i monti, e il paese riscliiarato dalla luna, e varialo qua
0 là di grand' ombre. Si distinguevano i villaggi, le
case, le capanne: il palazzotto di don Rodrigo, con la
sua torre piatta, elevalo sopra le casucce ammucchiate
alla falda del promontorio, pareva un feroce che, ritto
nelle tenebre, in mezzo a una compagnia d'addormen-
tali, vegliasse, meditando un delitto. Lucia lo vide, e
raliljrividi; scese con l'occhio giù giù per la china, fino
al suo paesello, guardò fìsso all'estremità, scoprila sua
casetta, scopri la chioma folta del fico che sopravanzava
il muro del cortile, scopri la finestra della sua camera;
e seduta, coni' era, nel fondo della barca, ]iosò il braccio
sulla sponda, posò sul braccio la fronte, come per dor-
mire, e pianse segretamente.
Addio, monti sorgenti dall'acque, ed elevati al cielo;
cime inuguali, note a chi è cresciuto tra voi, e impresse
nella sua melile, non meno che lo sia l'aspetto de' suoi
più familiari; torrenti, de' ({uali distingue, lo scroscio,
comi! il suono delle voci domestiche; ville sparse e bian-
cheggianti sul pendio, come branchi di pecore pascenti;
addiol Quanto ò tristo il passo di chi, cresciuto tra voi,
154 1 PROMESSI SPOSI
se ne allontana! Alla fantasia di quello stesso che se ne
parte volontariamente, tratto dalla speranza di fare al-
trove fortuna, si disabbelliscono, in quel momento, i
sogni della ricchezza; egli si maraviglia d'essersi potuto
risolvere, e tornerebbe allora indietro, se non pensasse
che, un giorno, tornerà dovizioso. Quanto più s'avanza
nel piano, il suo occhio si ritira, disgustato e stanco, da
quell'ampiezza uniforme; l'aria gli par gravosa e mor-
ta; s'inoltra mesto e disattento nelle città tumultuose;
le case aggiunte a case, le strade che sboccano nelle
strade, pare che gli levino il respiro; e davanti agli
edifizi ammirati dallo straniero, pensa, con desldti^rio
inquieto, al campicello del suo paese, alla casuccia a cui
ha già messi gli occhi addosso, da gran tempo, e che
comprerà, tornando ricco a' suoi monti.
Ma chi non aveva mai spinto al di là di quelli nep-
pure un desiderio fuggitivo, chi aveva composti in essi
tutti i disegni dell'avvenire, e n' è sbalzato lontano, da
una forza perversai Chi, staccato a un tempo dalle più
care abitudini, e distui-balo nelle più care speranze, la-
scia que' monti, per avviarsi in traccia di sconosciuti che
non ha mai desiderato di conoscere, e non può con
r immaginazione arrivare a un momento stabilito per il
ritorno! Addio, casa natia, dove, sedendo, con un pen-
siero occulto, s' imparò a distinguere dal rumore de' passi
comuni il rumore d'un passo aspettato con un misterioso
timore. Aildio, casa ancora straniera, casa sogguardata
tante volte alla sfuggita^, passando, e non senza rosso-
re; nella quale la mente si figurava un soggiorno tran-
quillo e perpetuo di sposa. Addio, chiesa, dove l'animo
tornò tante volte sereno, cantando le lodi del Signore;
dov'era promesso, preparalo un rito; dove il sospiro se-
greto del cuore doveva essere solennemente benedetto,
e l'amore venir comandato, e chiamarsi santo; addio!
Chi dava a voi tanta giocondità è per tutto; e non turba
mai la gioia de' suoi figli, se non per prepararne loro
una più certa e più grande.
CAPITOLO Vili. 155
Di tal genere, se non tali appunto, erano i pensieri
di Lucia, e poco diversi i pensieri degli altri due pelle-
grini, mentre la barca gli aiida\a avvicinando alla riva
destra deli' Adda.
CAPITOLO IX.
L'urtar che fece la l)arca contro la proda, scosse Lu-
cia, la quale, dopo aver asciugate in se.^reto le lacrime,
alzò la testa, come se si svegliasse. Renzo usci il primo,
e diede la mano ad Agnese, la quale uscita pure, la
diede alla figlia; e tutt'e tre resero tristamente grazie
al barcaiolo. « Di che cosa? » rispose quello : « siam
quaggiù per aiutarci l'uno con l'altro, » e ritirò la ma-
no, quasi con ribrezzo, come se gli fosse proposto di
rullare, allorché Renzo cercò di farvi sdruc'iolare una
parte de' quattrinelli che si trovava indosso, e che aveva
presi quella sera, con intenzione di regalar generosa-
mente don Abbondio, quando questo l'avesse, suo mal-
grado, servilo. Il baroccio era lì pronto; il conduttore
salutò i tre aspettati, li fece salire, diede una voce alla
bestia, una frustata, e via.
Il nostro autore non descrive quel viaggio notturno,
tace il nome del paese dove fra Cristoforo aveva indi-
rizzate le due donne; anzi protesta espressamente di non
lo voler dire. Dal progresso della storia si rileva poi la
cagione di queste reticenze. Le avventure di Lucia in
I PROMESSI SPOSI, CAPITOLO IX. 157
quel soggiorno, si trovano avviluppate in un intrigo te-
nebroso (li persona appartenente a una famiglia, come
pare, molto potente, al tempo che l'autore scriveva. Per
render ragione della strana condotta di quella persona,
nel caso particolare, egli ha poi anche dovuto raccon-
tarne in succinto la vita antecedente; e la famiglia ci
fa quella figura che vedrà chi vorrà leggere. Ma ciò che
la circospezione del pover' uomo ci ha voluto sottrarre,
le nostre diligenze ce V hanno fatto trovare in altra
parte. Uno storico milanese (*) che ha avuto a far menzio-
ne di quella persona medesima, non nomina, è vero, né
lei, né il paese; ma di questo dice ch'era un borgo an-
tico e nobile, a cui di città non mancava altro che il
nome ; dice altrove, che ci passa il Lambro ; altrove, che
e' è un arciprete. Dal riscontro di questi dati noi dedu-
ciamo che fosse Monza senz'altro. Nel vasto tesoro del-
l'induzioni erudite ce ne potrà ben essere delle più fine,
ma delle più sicure, non crederei. Potremmo anche, so-
pra congetture mollo fondate, dire il nome della fami-
glia ; ma, sebbene sia estinta da un pezzo, ci par meglio
lasciarlo nella penna, per non metterci a rischio di far
torto neppure ai morti, e per lasciare ai dotti qualche
soggetlo di ricerca.
I nostri viaggiatori arrivaron dunque a Monza, poco
dopo il levar del sole: il conduttore entrò in un'oste-
ria, e lì, come pratico del luogo, e conoscente del pa-
drone, fece assegnar loro una stanza, e ve li accompa-
gnò. Tra i ringraziamenti, Renzo tentò pure di fargli
ricevere qualche danaro; ma quello, al pari del barcaiolo,
aveva in mira un'altra ricompensa, più lontana, ma più
abbondante: ritirò le mani, anche lui, e, come fuggendo,
corse a governare la sua bestia.
Dopo una sera (piale 1' abbiamo dcscritln, e una notte
(piale ognuno può inunagiiiai'sela, passala in (■0Hq)agnia
di tpie' pensieri, col sospetto incessanlc di ipialiiic iii-
(•) Jusi'iihi Ripammilii, nislniia; l'Mlikf, ni'ruili.s V, I.ili. ^1, Ca\i. Ili,
pag. 358 el scq.
158 1 PROMESSI SPOSI
contro spiacevole, al soffio d'una hrezzolina piii che
autunnale, e tra le continue scosse della disapfiata vettura,
che ridestavano sA'arbalamentc chi di loro cominciasse
appena a velar l'occhio, non parve vero a tult'e tre di
sedersi sur una panca che stava ferma, in una stanza,
qualunque fosse. Fecero colazione, come permetteva la
penuria de' tempi, e i mezzi scarsi in proporzione de'con-
tingenti bisogni d' un avvenire incerlo, e il poco appe-
tito. A tutt' e tre passò per la mente U banchetlo che,
due giorni prima, s'aspettavan di fare; e ciascuno mise
un gran sospiro. Renzo avrebbe voluto fermarsi lì, al-
meno tutto quel giorno, veder le donne allogate, render
loro i primi servizi ; ma il padre aveva raccomandato a
queste di mandarlo subito per la sua strada. Addussero
quindi esse e quegli ordini, e cento altre ragioni; che
la gente ciarlerebbe, che la separazione più ritardata
sarebbe più dolorosa, eh' egli potrebbe venir presto a
dar nuove e a sentirne ; tanto che si risolvette di par-
tire. Si concerlaron, come poterono, sulla maniera di
rivedersi, più presto che fosse possibile. Lucia non na-
scose le lacrime ; Renzo trattenne a stento le sue, e,
stringendo forte forte la mano a Agnese, disse con voce
solTogata: « a rivederci, » e parti.
Le donne si sarebber trovate ben impicciate, se non
fosse stato quel buon barocciaio, che aveva ordine di
guidarle al convento de' cappuccini, e di dar loro ogn' al-
tro aiuto che potesse bisognare. S'avviaron dunque con
lui a quel convento; il quale, come ognun sa, era po-
chi passi distante da Monza. Arrivati alla porla, il con-
duttore tirò il campanello, fece chiamare il padre guar-
diano; questo venne subito, e ricevette la lettera, sulla
soglia.
« Oh! fra Cristoforo! » disse, riconoscendo il caratte-
re. Il tono della voce e i movimenii del volto indicavano
nianifeslamenle che proferiva il nome d'un grand'amico.
Convien poi dire che il nostro liuon Cristoforo avesse,
in quella lettera, raccomandate le donne con molto calore,
CAPITOLO IX. 159
e riferito il loro caso con mollo sentimenlo, perchè il
guardiano, faceva, di tanto in tanto, atti di sorpresa e
d' indeg'nazione; e, alzando gli occhi dal foglio, li fis-
sava sulle donne con una certa espressione di pietà e
d' interesse. Finito eh' ehbe di leggere, stette lì alquanto
a pensare; poi disse: « non c'è che la signora: se la
signora vuol prendersi quest' impegno »
Tirata quindi Agnese in disparte, sulla piazza davanti
al convento, le fece alcune interrogazioni, alle quali essa
soddisfece; e, tornato verso Lucia, disse a tutt'e due:
« donne mie, io tenterò; e spero di potervi trovare un
ricovero più che sicuro, più che onorato, fin che Dio
non v' abbia provvedute in miglior maniera. Volete ve-
nir con me? »
Le donne accennarono rispettosamente di sì; e il frate
riprese: « bene; io vi conduco subito al monastero della
signora. State però discoste da me alcuni passi, perchè
la gente si diletta di dir male; e Dio sa quante belle
cbiacchiere si farebbero, se si vedesse il padre guardia-
no per la strada, con una bella giovine con donne
voglio dire, »
Così dicendo, andò avanti. Lucia arrossì ; il barocciaio
sorrise, guardando Agnese, la quale non potè tenersi di
non fare altrettanto; e tutt' e tre si mossero, ([uando il
frate si fu avviato; e gli andaron dietro, dieci passi
discosto. Le donne allora domandarono al barocciaio,. ciò
clie non avevano osato al padre guardiano, chi fosse la
signora.
a La signora, » rispose quello, t è una monaca ; ma
non è una monaca come 1' altre. Non è che si;i la ba-
dessa, né la priora; che anzi, a quel che dicono, è una
delle più giovani : ma è della costola d' Adamo ; e i
suoi del tempo antico erano gente grande, venuta di
Spagna, dove son quelli che comandano; e per questo
la cbianiano la signora, per dire eh' è una gran signo-
l'a ; e tulio il paese la cbiania con quel nome, perchè
dicono rlic in (|nt'l monastero non banno a\nlo mai
160 I PROMESSI SPOSI
una persona simile ; e i suoi d' adesso, laggiù a Milano,
conlan mollo, e son di f[iicUi che liaiino sempre ragio-
ne ; e in Monza anche di più, perchè suo padre, quan-
tunque non ci stia, è il primo del paese; onde anche
lei può far alto e basso nel monastero; e anche la gente
di fuori le porta un gran rispello; e quando prende
un impegno, le riesce anche di spuntarlo; e perciò, se
quel buon religioso lì, ottiene di mettervi nelle sue ma-
ni, e che lei v' accetti, vi posso dire che sarete sicure
come suir altare. »
Quando fu vicino alla porta del borgo, fiancheggiata
allora da un antico torracchione mezzo rovinato, e da
un pezzo di castellacelo^ diroccato anch' esso, che forse
dieci de' miei lettori possono ancor rammentarsi d' aver
veduto in piedi, il guardiano si fermò, e si voltò a guar-
dare se gli altri venivano ; quindi entrò, e s' avviò al
monastero ; dove arrivato, si fermò di nuovo sulla so-
glia, aspettando la piccola brigala. Pregò il barocciaio
che, tra un par d' ore, tornasse da lui, a prender la ri-
sposta : questo lo promise, e sì licenziò dalle donne, che
lo caricaron di ringraziamenti, e di commissioni per il
padre Cristoforo. Il guardiano fece entrare la madre e
la figlia nel primo cortile del monastero, le introdusse
neUe camere della fattoressa ; e andò solo a chieder la
grazia. Dopo qualche tempo, ricomparve giulivo, a dir
loro che venissero avanti con lui ; ed era ora, perchè la
figlia e la madre non sapevan più come fare a distri-
garsi dall' interrogazioni pressanli della fatloressa. Attra-
versando un secondo cortile, diede qualche avvertimento
alle donne, sul modo di portarsi, con la signora. « É
ben disposta per voi altre, » disse, « e vi può far del
bene quanto vuole. Siale umili e rispettose, rispondete
con sincerità alle domande che le piacerà di farvi, e
(piando non siete interrogate, lasciate fare a me. » En-
trarono in una stanza lerrena, dalla quale si passava
nel parlatorio : prima di mettervi il piede, il guardiano,
accennando l'uscio, disse sottovoce alle donne: « è qui, »
CAPITOLO IX. 1^1
come per rammentar loro lutti quegli avvertimenti. Lu-
cia, che non aveva mai visto un monastero, quando fu
nel parlaljorio, guardò in giro dove fosse la signora a
cui fare il suo inchino, e, non iscorgendo persona, stava
come incantala ; quando, visto il padre e Agnese andar
verso un angolo, guardò da quella parte, e vide una fi-
nestra d' una forma singolare, con due grosse e fìtte
grate di ferro, distanti l'una dall'altra un palmo; e die-
tro quelle una monaca ritta. Il suo aspetto, che poteva
dimostrar venticinque anni, faceva a prima vista un' im-
pressione di hellezza, ma d' una bellezza sbattuta, sfio-
rita e, direi quasi, scomposta. Un velo nero, sospeso e
stirato orizzontalmente sulla testa, cadeva dalle due parti,
discosto alquanto dal viso: sotto il velo, una bianchissi-
ma benda di lino cingeva, fino al mezzo una fronte di
diversa, ma non d' inferiore bianchezza ; un'altra benda
a pieghe circondava il viso, e terminava sotto il mento
in un soggolo, che si stendeva alquanto sul petto, a co-
prire lo scollo d' un nero saio. Ma quella fronte si rag-
grinzava spesso, come per una contrazione dolorosa ; e
allora due sopraccigli neri si ravvicinavano, con un ra-
pido movimento. Due occhi, neri neri anch'essi, si fissava-
no talora in viso alle persone, con un' investigazione super-
ba; talora si chinavano in fretta, come per cercare un
nascondiglio ; in certi momenti, un attento osservatore
avrebbe argomentato che chiedessero affetto, corrispon-
denza, pietà; altre volte avrebbe creduto coglierci la ri-
velazione islanlanea d' un odio inveterato e compresso,
un non so clie di minaccioso e di feroce: quando resta-
vano immobili e fìssi senza attenzione, chi ci avrebbe
immaginata una svogliatezza orgogliosa, chi avrebbe po-
tuto sospettarci il travaglio d'un pensiero nascosto, d'una
preoccupazione familiare all' animo , e più forte su
quello che gli oggelli circoslanli. Le gole pallidissime
scendevano con un contorno delicalo e grazioso, ma al-
terato e reso mancante da una lenta estenuazione. Le
labbra, quantiin(iue appena tinte d'un roseo sbiadilo,
VOL. I. 7*
162 I PROMESSI SPOSI
pure, spiccavano in quel pallore : i loro moli erano, ro-
me quelli degli ocelli, subitanei, vivi, pieni d'espressione
e di mistero. La grandezza ben formala della persona
scompariva in un certo abbandono del portamento, o
compariva sfigurata in certe mosse repentine, irregolari
e troppo risolute per una donna, non che per una mo-
naca. Nel vestire stesso e' era qua e là qualcosa di stu-
diato 0 di negletto, che annunziava una monaca singolare:
la vita era attillata con una certa cura secolan.'sca, e
dalla benda usciva sur una tempia una cioccheltina di
neri capelli ; cosa che dimostrava o dimenticanza o di-
sprezzo della regola che prescriveva di tenerli sempre
corti, da quando erano stati tagliali, nella cerimonia so-
lenne del vestimento.
Queste cose non facevano specie alle due donne, non
esercitate a distinguer monaca da monaca : e il padre
guardiano, che non vedeva la signora per la prima
volta, era gicà avvezzo, come tant' altri, a quel non so
che di strano, che appariva nella sua persona, come
nelle sue maniere.
Era essa in quel momento, come abbiam detto, ritta
vicino alla grata, con una mano appoggiata languida-
mente a quella, e le bianchissime dita intrecciate ne'
vóti ; e guardava fìsso Lucia, che veniva avanti esitando.
« Reverenda madre, e signora illustrissima, » disse il
guardiano, a capo basso, e con la mano al petto: » que-
sta è quella povera giovine, per la quale m' ha fatto
sperare la sua valida protezione: e questa è la madre. »
Le due presentate facevano grand' inchini: la signora
accennò loro con la mano, che bastava, e disse, voltan-
dosi al padre: « è una fortuna per me il poter fare un
piacere a' nostri buoni amici i padri cappuccini. Ma, »
continuò, « mi dica un po' più particolarmente il caso
di questa giovine, per veder meglio cosa si possa fare
per lei. »
Lucia diventò rossa, e abbassò la testa.
a Deve sapere , reverenda madre » incominciava
CAPITOLO IX. 163
Agnese; ma il giiardiano le troncò, con un'occhiaia le
parole in bocca, e rispose: « questa giovine, signora il-
lustrissima, mi vien raccomandata, come le ho detto, da
un mio confratello. Essa ha dovuto partir di nascosto
dal suo paese, per sottrarsi a de' gravi pericoli; e ha
bisogno, per qualche tempo, d'un asilo nel quale possa
vivere sconosciuta, e dove nessuno ardisca venire a di-
sturbarla, quand' anche .... »
« Quali pericoli? » interruppe la signora. « Di gra-
zia, padre guardiano, non mi dica la cosa cos'i in enimma.
Lei sa che noi altre monache, ci piace di sentir le sto-
rie per minuto. »
« Sono pericoU, D rispose U guardiano, «che all' orec-
chie purissime della reverenda madre devon essere ap-
pena leggermente accennati »
« Oh certamente, » dissc^ in fretta la signora, arros-
sendo alquanto. Era verecondia? Chi avesse osservata
una rapida espressione di dispetto che accompagnava
quel rossore, avrebbe potuto dubitarne; e tanto più se
l'avesse paragonato con quello che di tanto in tanto si
spandeva sulle gote di Lucia.
« Basterà dire, » riprese il guardiano, « che un ca-
valier prepotente.... non tutti i grandi del mondo si
servono dei doni di Dio a gloria sua, e in vantaggio
del prossimo, come vossignoria illustrissima: un cavalier
prepotente, dopo aver pcrseguilata (fualche tempo que-
sta creatura con indegne lusinghe, vedendo ch'erano inu-
tili, ebbe cuore di pi^seguitarla apertamente con la
forza, di modo che la poveretta ò stata ridotta a fuggir
da casa sua. »
a Accostatevi, quella giovine, » disse la signora a Lucia,
facendole cenno col dito. « So che il padre guardiano
è la bocca della verità ; ma nessuno può esser meglio
informalo di voi, in quesl' aliare. Tocca a voi a dirci se
questo cavaliere era un persecutore odioso. » In quanto
all'accostarsi. Lucia ubbidì subilo: ma rispondere era
un' altra faccenda. Una domanda su (lucila materia.
164 I PROMESSI SPOSI
quand'anche le fosse slata fatta da una persona sua
pari, l'avrebbe imbrogliata non poco: proferita da (piella
signora, e con una cercaria di dnbi)io maligno, le levò
ogni coraggio a rispondere, e Signora madre reve-
renda » balbettò, e non dava segno d'aver altro a
dire. Qui Agnese, come quella che, dopo di lei era cer-
tamente la meglio informata, si credè autorizzata a ve-
nirle in aiuto. «Illustrissima signora, » disse, » io posso
far testimonianza che questa mia figlia aveva in odio
quel cavaliere, come il diavolo l'acqua santa: voglio dire,
il diavolo era lui; ma mi perdonerà se parlo male, [»er-
chè noi Siam gente alla buona. Il fatto sia che questa
povera ragazza era promessa a un giovine nostro pari,
timorato di Dio, e ben avviato; e se il signor curalo
fosse stato un po' più un uomo di quelli che m' intendo
io so che parlo d' un religioso, ma il padre Cristo-
foro, amico qui del padre guardiano, è religioso al par
di lui, e quello è un uomo pieno di carità, e, se fosse
qui, potrebbe attestare »
• Siete ben pronta a parlare senz'essere interrogala,»
interruppe la signora, con un atto altero e iracondo, che
la fece quasi parer brutta. « State zitta voi: già lo so
che i parenti hanno sempre una risposta da dare in
nome de' loro figliuoli! »
Agnese mortificata diede a Lucia una occhiata che
voleva dire: vedi quel che mi tocca, per esser tu tanto
impicciata. Anche il guardiano accennava alla giovine,
dandole d' occhio e tentennando il capo, che quello era
il momento di sgranchirsi , e di non lasciare in secco
la povera mamma.
« Reverenda signora, » disse Lucia, « quanto le ha
detto mia madre è la pura verità. Il giovine che mi di-
scorreva, » e qui diventò rossa rossa, « lo prendevo io
di mia volontà. Mi scusi se parlo da sfacciala, ma è per
non lasciar pensar male di mia madre. E in quanto a
quel signore (Dio gli perdoni !) vorrei piuttosto morire,
che cader nelle sue mani. E se lei fa questa carità
CAPITOLO IX. 16^
di metterci al sicuro, giacché siam ridotte a far questa
faccia di chieder ricovero , e ad incomodare le persone
dabbene; ma sia fatta la volontà di Dio; sia certa, si-
gnora, che nessuno potrà pregare per lei più di cuore
che noi povere donne. »
« A voi credo, s disse la signora con voce raddolcita.
« Ma avrò piacere di sentirvi da solo a solo. Non che
abbia bisogno d'altri schiarinienli, nò d'altri molivi,
per servire alle premure del padre guardiano, » aggiunse
subilo, rivolgendosi a lui, con una compitezza sludiata.
« Anzi, » continuò, i ci ho già pensalo; ed ecco ciò
che mi pare di poler far di meglio, per ora. La fatto-
ressa del monastero ha maritata, pochi giorni sono, l' ul-
tima sua figliuola. Queste donne polranno occupar la
camera lasciata in libertà da quella, e supplire a que'
pochi servizi che faceva lei. Veramente » e qui ac-
cennò al guardiano che s'avvicinasse alla grata, e con-
tinuò sottovoce: « veramente., altera la scarsezza del-
l'annate, non si pensava di sostituir nessuno a quella
giovine; ma parlerò io alla madre badessa, e una mia
parola .... e per una premura del padre guardiano ....
In somma do la cosa per fatta. »
Il guardiano cominciava a ringraziare, ma la signora
l'interruppe: * non occorron cerimonie: anch'io, in un
caso, in un bisogno, saprei far capitale dell'assistenza
de' padri cappuccini. Alla fine, » continuò, con un sor-
riso, nel ([uale traspariva un non so che d'ironico (^ d'a-
maro, « alla fine, non siam noi fratelli e sorelle'?»
Così dello, chiamò una conversa, (due di queste erano,
per una distinzione singolare, assegnate al suo servizio
privato) e le ordinò che avvertisse di ciò la badessa, e
prendesse poi i concerti opportuni, con la faltoressa e
con Agnese. Licenziò questa, accommiatò il guai'diano,
ritenne Lucia. Il guardiano accom])agnò Agnese alla [)orta,
dandole nuove istruzioni, e se n'andò a scriver la let-
tera di ragguaglio all' amico Cristoforo. — Gran cervel-
lino che ò questa signora! — pensava tra se, per la strada:
166 1 PROMESSI SPOSI
curiosa davvero! Ma chi la sa prendere p3r il suo verso,
le fa far ciò che vuole. Il mio Cristoforo non s' aspcllerà
C{>r(amenlc eli' io l'ahbia servito cosi presto e bene. Quel
hrav'uomo! non c'è rimedio: bisogna clie si prenda sem-
pre qualche impegno; ma lo fa per bene. Buon per lui
questa volta, che ha trovato un amico, il quale, senza
tanto strepito, senza tanto apparato, senza tante faccende,
ha condotto l'affare a buon porto, in un batter d'oc-
chio. Sarà contento quel buon Gristofoì-o, e s'accorgerà
che anche noi qui, slam buoni a qualche cosa.
La signora, che, aUa presenza d'un provetto cappuc-
cino, aveva studiati gli atti e le parole, rimasta poi sola
con una giovine contadina inesperta , non pensava più
tanto a contenersi; e i suoi discorsi divennero a poco
a poco così strani, che, in vece di riferirli, noi crediam
più opportuno di raccontar brevemente la storia ante-
cedente di questa infelice; quel tanto cioè che basti a
render ragione dell' insolito e del misterioso che abbiam
veduto in lei, e a far comprendere i motivi della sua con-
dotta in quello che avvenne dopo.
Era essa l'ultima figlia del principe'*', gran gen-
tiluomo milanese, che poteva contarsi tra i più doviziosi
della città. Ma l'alta opinione che aveva del suo titolo
gli faceva parer le sue sostanze appena suthcienti, anzi
scarse, a sostenerne il decoro; e tutto il suo pensiero
era di conservarle, almeno quali erano, unite in per-
petuo , per quanto dipendeva da lui. Quanti figliuoli
avesse, la storia non lo dice espressamente; fa solamente
intendere che aveva destinati al chiostro tutti i cadetti
dell'uno e deir altro sesso, per lasciare intatta la sostanza
al primogenito, destinato a conservar la famiglia, a pro-
crear cioè de' figliuoli, per tormentarsi a tormentarli
nella stessa maniera. La nostra infelice era ancor nasco-
sta nel ventre della madre, che la sua condizione era
già irrevocabilmente stabilita. Rimaneva soltanto da de-
cidersi se sarebbe un monaco o una monaca; decisione
per la quale faceva hisogno non il suo consenso, ma la
CAPITOLO IX. 167
sua presenza. Quando venne alla luce; il principe suo
padre, voleiulo darle un nome che risvegliasse imme-
diatamonle l'idea del chiostro, e che fosse stato portato
da una santa d'aUi natali, la chiamò Gertrude. Bamhole
vestite da monaca furono i primi balocchi che le si die-
dero in mano; poi santini che rappresentavan monache;
e que' regali eran sempre accompagnati con gran rac-
comandazioni di tenerli ben di conto, come co:=;a preziosa,
e con rpiell' interrogare atTermativo: «bello eh?» Quando
il principe, o la principessa o il principino, che solo de'
maschi veniva allevato in casa, volevano lodar l'aspetto
prospero della fanciullina, pareva che non trovasser modo
d'esprimer bene la loro idea, se non con le parole:
« che madre badessa! " Nessuno però le disse mai di-
rettamente: tu devi farti monaca. Era un'idea sottintesa
e toccata incidentemente, in. ogni discorso che riguar-
dasse i suoi destini futuri. Se qualche volta la Gertru-
dina trascorreva a qualche atto un po' arrogante e im-
perioso, al che la sua indole la portava molto facilmente,
« tu sei una ragazzina, ». le si diceva: « queste maniere
non ti convengono: quando sarai madre badessa, allora
comanderai a bacchetta, farai alto e basso. » Qualche
altra volta il principe, riprendendola di cert' altre ma-
niere troppo libere e famigliari alle quali essa trascor-
reva con uguale facilità, « ehii ehi!» le diceva; «non
è questo il fare d'una par tua: se vuoi che un giorno
ti si porti il rispetto che ti sarà dovuto, impara fin d'ora
a star sopra di te: ricordati che tu devi essere, in ogni
cosa, la prima del monastero: perchè il sangue si porta
per tutto dove si va. »
Tutte le parole di questo genere stampavano nel cer-
vello della fanciullina l' idea che già lei doveva esser
monaca; ma quelle che venivan dalla bocca del padre,
facevan più elTetto di Inde rallrc insieme. Il contegno
del principe era abitualmcnle (jnello d'un padrone au-
stero; ma quando si trattava dello stalo futuro de' suoi
figli , dal suo volto e da ogni sua parola traspariva
168 I PROMESSI SPOSI
un'immobilità di risoluzione, un'ombrosa gelosia di co-
mando, che imprimeva il senlimenlo d'una Decessila
fatale.
A sei anni, Gertrude fu collocala, per educazione e
ancor più per istradamento alla vocazione impostale, nel
monastero dove 1' abbiamo veduta : e la scelta del luogo
non fu senza disegno. Il buon conduttore delle due
donne ha detto che il padre della signora era il primo
in Monza: e, accozzando, questa qualsisia testimonianza
con alcune altre indicazioni che l' anonimo lascia scap-
pare sbadatamente qua e là, noi potremmo anche asse-
rire che fosse il feudatario di quel paese. Comunque sia,
vi godeva d' una grandissima autorità ; e pensò che lì,
meglio che altrove, la sua figlia sarebbe trattata con
quelle distinzioni e con quelle finezze che potesser più
allettarla a scegliere quel monastero per sua perpetua
dimora. Nò s'ingannava: la badessa e alcune allre mo-
nache faccendiere, che avevano, come si suol dire, il
mestolo in mano, esultarono nel vedersi offerto il pegno
d' una protezione tanto utile in ogni occorrenza, tanto
gloriosa in ogni momento ; accettaron la proposta, con
espressioni di riconoscenza, non esagerate per quanto
fossero forti ; e corrisposero pienamente all' intenzioni
che il principe aveva lasciate trasparire sul collocamento
slabile della figliuola: intenzioni che andavan così d'ac-
cordo con le loro. Gertrude, appena entrata nel mona-
stero, fu chiamata per antonomasia la signorina ; posto
distinto a tavola, nel dormitorio; la sua condotta propo-
sta all'altre per esemplare; chicche e carezze senza fi-
ne, e condite con quella famigliarità un po' rispetlosa,
che tanto adesca i fanciulli, quando la trovano in coloro
che vedon tratiare gii altri fanciulli con un contegno
abituale di superiorità. Non che tutte le monache fossero
congiurale a tirar la poverina nel laccio : ce n' eran
molte delle semplici e lontane da ogni intrigo, alle quali
il pensiero di sacrificare una figlia a mire interessate
avrebbe fatto ribrezzo ; ma queste, tutte attente alle loro
CAPITOLO IX. 169
occupazioni particolari, parte non s' accorgevan bene di
lutti que' maneggi, parte non distinguevano quanto vi
fosse di cattivo, parte s' astenevano dal farvi sopra esa-
me, parte stavano zitte, per non fare scandoli inutili.
Qualcheduna anche rammentandosi d' essere stata, con
simili arti, condotta a quello di cui s'era pentita poi,
sentiva compassione della povera innocentina, e si sfo-
gava col farle carezze tenere e malinconiche: ma questa
era ben lontana dal sospettare che ci fosse sotto miste-
ro ; e la faccenda camminava. Sarebbe forse camminata
così fino alla fine, se Gertrude fosse stata la sola ragazza
in quel monastero. Ma, tra le sue compagne d' educa-
zione, ce n' erano alcune che sapevano d' esser destinate
al matrimonio. Gertrudina, nudrita nelle idee della sua
superiorità, parlava magnificamente de' suoi destini fu-
turi di badessa, di principessa del monastero, voleva a
ogni conto esser per le altre un soggetto d' invidia ; e
vedeva con maraviglia e con dispetto, che alcune di
quelle non ne sentivano punto. All' immagini maestose,
ma circoscritte e fredde, che può somministrare il pri-
mato in un monastero, contrapponevan esse le immagini
varie e luccicanti, di nozze, di pranzi, di conversazioni,
di festini, come dicevano allora, di villeggiature, di ve-
stili, di carrozze. Queste immagini cagionarono nel cer-
vello di Gertrude quel movimento, quel nrulichìo che
produrrebl)e un gran paniere di fiori appena colti, messo
davanti a un alveare. I parenti e l' educatrici avevan
coltivata e accresciuta in lei la vanità naturale, per farle
piacere il chiostro ; ma quando questa passione fu stuz-
zicata da idee tanto più omogenee ad essa, si gettò su
quelle con un ardore ben più vivo e più spontaneo.
Per non restare al di sotto di quelle sue compagne, e
per condiscendere nello stesso tempo al suo nuovo ge-
nio, rispondeva che, alla fin de' conti, nessuno le poteva
mettere il velo in capo senza il suo consenso, che anche
lei poteva marilarsi, abilare un palazzo, godersi il mon-
do, e meglio di tutte loro; che lo poteva, pur che l'avesse
VOL. I. 8
170 I PROMESSI SPOSI
volulo, che lo vorrebbe, che lo voleva; e lo voleva in
fatti. L' idea della necessità del suo consenso, idea che,
fino a quel tempo, era stata come inosservata e rannic-
chiata in un angolo della sua mente, si sviluppò allora,
e si manifestò, con tutta la sua importanza. Essa la
chiamava ogni momento in suo aiuto, per godersi più
tranquillamente l'immagini d' un avvenire gradilo. Dietro
quest' iilea però ne compariva sempre infallibilmente
un' altra : che quel consenso si trattava di negarlo al
principe padre, il quale lo teneva già, o mostrava di te-
nerlo per dato ; e, a questa idea, l' animo della figlia
era ben lontano dalla sicurezza che ostentavano le sue
parole. Si paragonava allora con le compagne, eh' erano
ben altrimenti sicure, e provava per esse dolorosamente
r invidia che, da principio, aveva creduto di far loro
provare. Invidiandole, le odiava: talvolta l'odio s'esalava
in dispetti, in isgarbatezze, in motti pungenti ; talvolta
l'uniformità dell' inclinazioni e delle speranze lo sopiva,
e faceva nascere un' intrinsichezza apparente e passeg-
giera. Talvolta, volendo pure godersi intanto qualche
cosa di reale e di presente, si compiaceva delle prefe-
renze che le venivano accordate, e faceva sentire all' al-
tre queUa sua superiorità ; talvolta, non potendo più
tollerar la solitudine de' suoi timori e de' suoi desideri,
andava, tutta buona, in cerca di quelle, quasi ad implo-
rar benevolenza, consigli, coraggio. Tra queste deplora-
bili guerricciole con sé e con gli altri, aveva varcata la
puerizia, e s' inoltrava in quel!' età cosi critica, nella
quale par che entri nell' animo quasi una potenza mi-
steriosa, che solleva, adorna, rinvigorisce tutte l'inclina-
zioni^ tutte r idee, e qualche volta le trasforma, o le
rivolge a un corso impreveduto. Ciò che Gertrude aveva
fino allora più distintamente vagheggiato in que' sogni
dell'avvenire, era lo splendore esterno e la pompa: un
non so che di molle e d'afi'etluoso, che da prima v'era
diffuso leggermente e come in nebbia, cominciò allora
a spiegarsi e a primeggiare nelle sue fanlasic. S" era
CAPITOLO IX. 17l
fatto, nella parte più riposla della mente, come uno splen-
dido ritiro : ivi si rifugiava dagli oggetti presenti, ivi
accoglieva certi personaggi stranamente composti di con-
fuse memorie della puerizia, di quel poco che poteva
vedere del mondo esteriore, di ciò che aveva imparato
dai discorsi delle compagne ; si tratteneva con essi, par-
lava loro, e si rispondeva in loro nome; ivi dava ordini,
e riceveva omaggi d' ogni genere. Di quando in quando,
i [ìonsicri della religione venivano a disturbare quelle
feste brillanti e faticose. Ma la religione, come l'avevano
insegnata alla nostra poveretta, e come essa 1' aveva ri-
cevuta, non bandiva 1' orgoglio, anzi lo santificava e lo
proponeva come un mezzo per ottenere una felicità ter-
rena. Privata cosi della sua essenza, non era più la re-
ligione, ma una larva come V altre. NegP intervalli in
cui questa larva prendeva il* primo posto, e grandeggiava
nella fantasia di Gertrude, l'infelice, sopraffatta da ter-
rori confusi, e compresa da una confusa idea di doveri,
s' immaginava che le sua ripugnanza al chiostro, e la
resistenza all'insinuazioni de' suoi maggiori, nella scelta
dello stalo, fossero una colpa; e prometteva in cuor suo
d' espiarla, chiudendosi volontariamente nel chiostro.
Era legge che una giovane non potesse venire accet-
lata monaca, prima d'essere stala esaminala da un
ecclesiastico, chiamalo vicario delle monache, o da qual-
che allro deputalo a ciò, affinchè fosse certo che ci
andava di sua libera scella : e questo esame non poteva
aver luogo, se non un anno dopo eh' ella avesse esposto
a quel vicario il suo desiderio con una supplica in
iscritto. Quelle monache che avevan preso il tristo inca-
rico di far che Gertrude s'obbligasse per sempre, con la
minor possibile cognizione di ciò che faceva, colsero un
de' momenti che abbiara detto, per farle trascrivere e sotto-
scrivere una lai supplica. E a fine d'indin'la i>iii facilnienle
a ciò, non mancaron di dirle e di riix'Ierlc. che linalinente
era una mera formalilà, la quale (e (|uesto era vero)
non poteva avere elTicacia, se non da altri alti posteriori,
172 I PROMESSI SPOSI
che dipenderebbero dalla sua volontà. Con lui lo ciò, la
supplica non era forse ancor giunta al suo destino, che
Gertrude s' era già pentita d' averla sottoscritta. Si pen-
tiva poi d' essersi pentita, passando cosi i giorni e i
mesi in un' incessante vicenda di sentimenti contrari.
Tenne lungo tempo nascosto alle compagne quel passo,
ora per timore d' esporre alle contraddizioni una buona
risoluzione, ora per vergogna di palesare uno spropo-
sito. Vinse finalmente il desiderio di sfogar l' animo, e
d' accattar consiglio e coraggio. C era un' altra legge,
che una giovane non fosse ammessa a quell'esame della
vocazione, se non dopo aver dimorato almeno un mese
fuori del monastero dove era stata in educazione. Era
già scorso l'anno da che la supplica era stata mandata;
e Gertrude fu avvertita che tra poco verrebbe levata dal
monastero, e condotta nella casa paterna, per rimanervi
quel mese, e far tutti i passi necessari al compimento
dell' opera che aveva di fatto cominciala. Il principe e
il resto della famiglia tenevano tutto ciò per certo, come
se fosse già avvenuto; ma la giovine aveva tutt' altro in
testa : in vece di far gli altri passi, pensava alla maniera
di tirare indietro il primo. In tali angustie, si risolvette
d' aprirsi con una delle sue compagne, la più franca, e
pronta sempre a dar consigli risoluti. Questa suggerì a
Gertrude d' informar con una lettera il padre della sua
nuova risoluzione ; giacché non le bastava 1' animo di
spiai lellargli sul viso un bravo: non voglio. E perchè
i pareri gratuiti, in c^uesto mondo, son mollo rari, la
consigliera fece pagar questo a Gertrude, con tante beffe
sulla sue dappocaggine. La lettera fu concertata tra quat-
tro 0 cinque confidenti, scritta di nascosto, e fatta rica-
pitare per via d' artifizi molto studiali. Gertrude stava
con griind' ansietà, aspettando una risposta che non ven-
ne mai. Se non che, alcuni giorni dopo, la badessa, la
fece venir nella sua cella, e, con un conlegno di mi-
stero, di disgusto e di compassione, le diede un cenno
oscuro d' una gran collera del principe, e d' un fallo
CAPITOLO IX. 173
eh' ella doveva aver commesso, lasciandole però inten-
dere che, portandosi bene, poteva sperare che tutto sa-
rebbe dimenticalo. La giovinetta intese, e non osò do-
mandar pili in là.
Venne finalmeiìle il giorno tanto temuto e bramalo.
Quantunque Gertrude sapesse che andava a un combat-
timento, pure r uscir di monastero, il lasciar quelle
mura nelle quali era stata ott' anni rinchiusa, lo scor-
rere in carrozza per l' aperta campagna, il riveder la
città, la casa, furon sensazioni piene d' una gioia tumul-
tuosa. In quanto al comljattimento, la poveretta, con la
direzione di quelle confidenti, aveva già prese le sue
misure, e fatto, com' ora si direbbe, il suo piano. — 0
mi vorranno forzare, — pensava, — e io starò dura: sarò
umile, rispcllosa, ma non acconsentirò: non si tratta
che di non dire un altro sì ; e non lo dirò. Ovvero mi
prenderanno con le jjuone ; e io sarò più buona di lo-
ro ; piangerò, pregherò, li moverò a compassione : final-
mente non pretendo altro che di non esser sacrificata,
— Ma, come accade spesso di simili previdenze, non
avvenne né una cosa nò l' altra. I giorni passavano,
senza che il padre nò altri le parlasse della supplica,
nò della ritrattazione, senza che le venisse fatta propo-
sta nessuna, ne con carezze, né con minacce. I parenti
eran seri, tristi, burberi con lei, senza mai dirne il per-
chè. Si vedeva solamente die la riguardavano come una
rea, come un' indegna : un anatema misterioso pareva
che pesasse sopra di lei, e la segregasse dalla famiglia,
lasciandovela soltanto unita quanto bisognava per farle
sentire la sua suggezione. Di rado, e solo a certe ore
stabilite, (ira ammessa alla compagnia de' parenti e del
primogenito. Tra loro tre pareva che regnasse una gran
confidenza, la (piale rendeva piii sensibile e più doloroso
l'abbandono in cui era lasciata Gertrude. N(;ssuno le
rivolgeva il discorso; e quando essa arriscbiava tiniida-
mente qnalcbe i)arola, d\c non fosse per cosa iKH'cssaria,
0 non attaccava, o veniva corrisposta con uno sguardo
ìli l PKOMESSI SPOSI
distratto, o sprezzante, o severo. Che se, non polendo
più soffrire una così amara e iimilianle disiinzionc. itt
sisteva, e tentava di famigliari zzarsi ; se implorava nn
po' d'amore, si sentiva sul lilo toccare, in maniera indi-
retta ma chiara, quel taslo della scelta dello stalo ; le
si faceva copertamente sentire che c'era un mezzo di
riacquistar 1' affetto della famiglia. Allora Gertrude, che
non l'avrebbe voluto a quella condizione, era costretta
di ritirarsi indietro, di rifiutar quasi i primi segni di
benevolenza che aveva tanto desiderati, di rimettersi da
sé al suo posto di scomunicata ; e per di più. vi rima-
neva con una certa apparenza del torto.
Tali sensazioni d'oggetti presenti facevano un contra-
sto doloroso con quelle ridenti visioni delle quali Ger-
trude s'era già tanto occupata, e s'occupava tuttavia, nel
segreto della sua mente. Aveva sperato che, nella splen-
dida e frequentata casa paterna, avrebbe potuto godere
almeno qualche saggio reale delle cose immaginate; ma
si trovò del tutto ingannata. La clausura era stretta e
intera^ come nel monastero; d' andare a spasso non si
parlava neppure; e un coretto che, dalla casa, guardava
in una chiesa contigua, toglieva anche l'unica necessità
che ci sarabbe stata d'uscire. La compagnia era più trista,
più scarsa, meno variata che nel monastero. A ogni an-
nunzio d'una visita, Gertrude doveva salire all'ultimo
piano, per chiudersi con alcune vecchie donne di servi-
zio : e lì anche desinava, quando c'era invito. I servi-
tori s'uniformavano, nelle maniere e ne' discorsi^ all'e-
sempio e all'intenzioni de' padroni: e Gertrude, che,
per sua inclinazione, avrebbe voluto trattarli con una fa-
migliarità signonle, e che, nello stalo in cui si trovava,
avrebbe avuto di grazia che le facessero qualche dimo-
strazione d'affetto, come a una loro pari, e scendeva an-
che a mendicarne, rimaneva poi umiliata', e sempre più
afflitta di vedersi corrisposta con una noncuranza mani-
festa, benché accompagnata da un leggiero osseipiio di
formalità. Dovette però accorgersi che un paggio , ben
CAPITOLO IX. 175
livorso da coloro, le porlava un rispetto, e sentiva per
lei una compassione d'un genere particolare. Il contegno
di quel ragazzotlo era ciò che Gertrude aveva fino allora
visto di più somigliante a cpiell'ordine di cose tanto con-
templato nella sua immaginativa, al contegno di quelle
sue creature ideali. A poco a poco si scoprì un non so
che (li nuovo nelle maniere della giovinetta : una tran-
cpiiUità e un' inquietudine diversa dalla solila;, un fare
di chi ha trovato qualche cosa che gli preme, che vor-
rehbe guardare ogni momento, e non lasciar vedere agli
altri. Le furon tenuti gli occhi addosso più che mai: che
è che non è, una mattina, fu sorpresa da una di quelle
cameriere, mentre stava piegando alla sfuggita una caria,
sulla quale avrebbe fatto meglio a non iscriver nulla.
Dopo un breve tira tira, la carta rimase nelle mani della
cameriera, e da queste passò in quelle del principe.
Il terrore di Gertrude^ al rumor de' passi di lui, non
si può descrivere nò immaginare : era quel padre , era
irritalo , e lei si sentiva colpevole. Ma quando lo vide
comparire, con quel cipiglio, con quella carta in mano,
avrebbe voluto esser cento braccia sotto terra, non che
in un chiostro. Le parole non furon molle, ma terribUi :
il gastigo intimato subito non fu che d'esser rinchiusa
in quella camera, sotto la guardia della donna che aveva
fatta la scoperta ; ma questo non era che un principio,
che un ripiego del momento; si prometteva, si lasciava
vedere per aria, un altro gastigo oscuro^ indeterminato,
e quindi più spaventoso.
Il paggio fu subilo sfraltato, com'era naturale; e fu
minacciato anche a lui qualcosa di terribile, se, in qua-
lunque tempo , avesse osato lìatar nulla dell' avvenuto.
Nel fargli questa intimazione , il principe gli appoggiò
due solenni schiarii, per associare a queir avventura un
ricordo , che togliesse al ragazzaccio ogni lenlazion di
vantarsene. Un pretesto qualunque, per coonestare la li-
cenza data a un paggio, non era difficile a trovarsi: in
quanto alla figlia si disse ch'era incomodala.
i76 1 PROMESSI SPOSI
Rimase essa adunque col batticuore, con la vergogna,
col rimorso, col terrore deir avvenire, e con la sola com-
pagnia di quella donna odiala da lei, come il testimo-
nio della sua colpa, e la cagione della sua disgra/.ia.
Costei odiava poi a vicenda Gertrude , per la qua/e si
trovava ridotta, senza saper per quanto tempo, alla vita
noiosa di carceriera, e divenuta per sempre custode d'un
segreto pericoloso.
Il primo confuso tumulto di que' sentimenti s'acquietò
a poco a poco ; ma tornando essi poi a uno per volta
nell'animo, vi s'ingrandivano, e si fermavano a tormen-
tarlo più distiniamenie e a bell'agio. Clic poteva mai es-
ser quella punizione minacciala in enimma? Molte e va-
rie e strane se ne affacciavano alla fantasia ardente e
inesperta di Gertrude. Quella cbe pareva più probabile,
era di venir ricondotta al monastero di Monza , di ri-
comparirvi, non più come la signorina, ma in forma di
colpevole^ e di starvi rincbiusa, cbi sa fino a quando!
obi sa con quali trattameidi! Ciò cbe una tale immagi-
nazione, tutta piena di dolori , aveva forse di più dolo-
roso per lei, era l'apprensione della vergogna. Le frasi,
le parole, le virgole di quel foglio sciagurato^ passavano
e ripassavano nella sua memoria : le immaginava osser-
vate, pesate da un lettore tanto impreveduto , tanto di-
verso da quello a cui eran destinate ; si figurava cbe
avesser potuto cader sotto gli ocelli ancbe della madre
0 del fratello, o di cbi sa altri : e , al paragon di ciò ,
tutto il rimanente le pareva quasi un nulla. L' immagine
di colui cb' era slato la prima origine di tutto lo scan-
dolo, non lasciava di venire spesso ancb'essa ad infestar
la povera rincbiusa: e pensate cbe strana comparsa do-
veva far quel fantasma, tra quegli altri così diversi da
lui, seri, freddi, minacciosi. Ma, appunlo perdio non po-
teva separarlo da essi, nò tornare un momento a quelle
fuggitive compiacenze, senza cbe subito non le s' allac-
ciassero i dolori presenti che n' erano la conseguenza ,
cominciò a poco a poco a tornarci più di rado, a rispin-
CAPITOLO IX. 177
geme la rimembranza, a divezzarsene. Ne più a lungo,
0 più volentieri , si fermava in quelle liete e brillanti
fantasie d"una volta : eran Iroppo opposte alle circostanze
reali, a ogni probabilità dell'avvenire. Il solo castello
nel quale Gertrude potesse immaginare un rifugio tran-
quillo e onorevole, e che non fosse in aria, era il mo-
nastero, quando si risolvesse d'entrarci per sempre. Una
tal risoluzione (non poteva dubitarne) avrebbe accomo-
dalo ogni cosa , saldato ogni debito , e camliiata in un
attimo la sua situazione. Contro questo proposilo insor-
gevano, è vero, i pensieri di tutta la sua vita: ma i
tempi eran mutati ; e, nell' abisso in cui Gertrude era
caduta, e al paragone di ciò che poteva temere in certi
momenti, la condizione di monaca festeggiata, ossequiala,
ubbidita, le pareva uno zuccherino. Due sentimenti di
ben diverso genere contribuivan pure a intervalli a sce-
mare quella sua antica avversione : talvolta il rimorso
del fallo, e una tenerezza fantastica di divozione; tal-
volta r orgoglio amareggiato e irritalo dalle maniere
della carceriera, la quale (spesso, a dire il vero, provo-
cata da lei ) si vendicava , ora facendole paura di quel
minacciato gastigo, ora svergognandola del fallo. Quando
poi voleva moslrarsi benigna, prendeva un tono di pro-
lezione , più odioso ancora dell' insulto. In tali diverse
occasioni, il desiderio che Gertrude sentiva d'uscir dal-
l'unghie di colei, e di comparirle in uno stato al di so-
pra della sua collera e della sua pietà, questo desiderio
abituale diveniva tanto vivo e pungente, da far parere
amabile ogni cosa che potesse condurre ad apjìagarlo.
In capo a quattro o cinque lunghi giorni di prigio-
nia, una mattina, Gertrude stuccala e invelenita all'ec-
cesso, per un di que' dispelli della sua guardiana, andò
a cacciarsi in un angolo della camera, e li, con la fac-
cia nascosta tra le mani, stette qualche tempo a divoi'ar
la sua rabbia. Senti allora un bisogno pi'epotenle di ve-
dere altri visi, di sentire altre parole, d'esser trattata
diversamente. Pensò al padre, alla famiglia: il pensiero
Ì78 1 PROMESSI SPOSI, CAPITOLO IX.
se ne arretrava spaviìiilalo. Ma le venne in mente che
dipendeva da lei di trovare in loro degli amici; e provò
una gioia improvvisa. Dietro rpiesta , una confusione e
un pentimento straordinario del suo fallo, e un ugual
desiderio d' espiarlo. Non già che la sua volontà si fer-
masse in quel proponimento, ma giammai non c'era en-
trata con tanto ardore. S'alzò di lì, andò a un tavolino,
riprese quella penna fatale , e scrisse al padre una let-
tera piena d'entusiasmo e d'abbattimento, d'afdizionc e
di speranza . implorando il perdono , e mostrandosi in-
determinatamente pronta a tutto ciò che potesse piacere
a chi doveva accordarlo.
CAPITOLO X.
Vi son (lo'momenli in cui l'animo, parlicolarmenlc
de' giovani, è disposto in maniera che ogni poco d'istanza
basta a ottenerne ogni cosa che a])bia un'apparenza di
bene e di sacrifizio : come un flore appena sbocciato ,
s' abbandona mollemente sul suo fragile stelo, pronto a
concedere le sue fragranze alla prim' aria che gli aliti
punto d' intorno. Questi momenti, che si dovrebbero da-
gli altri ammirare con timido rispetto , son quelli ap-
punto che l'astuzia interessala spia attentamente e coglie
di volo, per legare una volontà che non si guarda.
Al legger quella lettera, il principe "*' vide sultilo lo
spiraglio apei'lo alle sue anticlie e costanti mire. Mandò
a dire a Gertrude che venisse da lui ; e aspettandola,
si dispose a batter II ferro, mentr' era caldo. Gertrude
comparve, e, senza alzar gli occhi in viso al padre, gli
si buttò in ginocchioni davanti, ed ebbe appena (iato di
dire: « perdono! » Egli le fece cenno che s'alzasse;
ma, con una voce poco alla a rincorare, le i-ispose che
il perdono non hastava desiderarlo né chiederlo; ch'era
cosa troppo agevole e troppo naturale a chiunque sia
180 1 PROMESSI SPOSI
trovalo in colpa , e tema la punizione ; che in somma
bisognava meritarlo. Gertrude domandò, sommessamente
e tremando , che cosa dovesse fare. Il principe ( non ci
regge il cuore di dargli in questo momento il titolo di
padre) non rispose diretlamente, ma cominciò a parlare
a lungo del fallo di Gertrude : e quelle parole frizzavano
sull'animo della poveretta, come lo scorrere d'una mano
ruvida sur una ferita. Continuò dicendo ciie, quand'an-
che .... caso mai che avesse avuto prima qualche
intenzione di collocarla nel secolo , lei stessa ci aveva
messo ora un ostacolo insuperabile ; giacché a un ca-
valier d'onore, com'era lui, non sarebbe mai bastato
l'animo di regalare a un galantuomo una signorina che
aveva dato un sai saggio di se. La misera ascoltatrice
era annichilata: allora il principe, raddolcendo a grado
a grado la voce e le parole, proseguì dicendo che però
a ogni fallo c'era rimedio e misericordia ; che il suo era
di quelli per i quali il rimedio è più chiaramente indi-
cato : eh' essa doveva vedere, in questo tristo accidente,
come un avviso che la vita del secolo era troppo piena
di pericoli per lei
« Ah sì I » esclamò Gertrude, scossa dal timore, pre-
parata dalla vergogna , e mossa in quel punto da una
tenerezza istantanea.
« Ah I Io capite anche voi , » riprese incontanente il
principe. « Ebbene, non si parli più del passato : tutto
è cancellato. Avete preso il solo partito onorevole, con-
veniente, che vi rimanesse; ma perchè l'avete preso di
buona voglia, e con buona maniera, tocca a me a far-
velo riuscir gradito in tutto e per tutto ; tocca a me a
farne tornare lutto il vantaggio e tutto il merito sopra
di voi. Ne prendo io la cura. » Così dicendo, scosse un
campanello che slava sul tavolino, e al servitore che en-
trò, disse: « la principessa e il principino subito. » E
seguitò poi con Gertrude : « voglio metterli suliilo a
parte della mia consolazione ; voglio che tutti comincin
subito a trattarvi come si conviene. Avete sperimentato
CAPITOLO X. 181
in parte il padre severo ; ma da qui innanzi proverete
tutto il padre amoroso. »
A queste parole, Gertrude rimaneva come sbalordita.
Ora ripensava come mai quel si che le era scappato ,
avesse potuto significar tanto , ora cercava se ci fosse
maniera di riprenderlo, di ristringerne il senso ; ma la
persuasione del principe pareva così intera, la sua gioia
così gelosa, la benignità così condizionata, che Gertrude
non osò proferire una parola che potesse turbarle me-
nomamente.
Dopo pochi momenti, vennero i due chiamati, e ve-
dendo lì Gertrude, la guardarono in viso, incerti e ma-
ravigliati. Ma il principe, con un contegno lieto e amo-
revole, che ne prescriveva loro un somigliante, « ecco, »
disse, « la pecora smarrita: e sia questa l'ultima parola
che richiami triste memorie. Ecco la consolazione della
famiglia. Gertrude non ha più bisogno di consigli; ciò
che noi desideravamo per suo bene , l' ha voluto lei spon-
taneamente. É risoluta , m' ha fatto intendere che è ri-
soluta » A questo passo, alzò essa verso il padre
uno sguardo tra atterrito e supplichevole, come per chie-
dergli che sospendesse , ma egli proseguì francamente :
« che è risoluta di prendere il velo. »
« Brava! bene! » esclamarono, a una voce, la madre
(! il figlio, e l'uno dopo l'altra abbracciaron Gertrude;
la quale ricevette queste accoglienze con lacrime , che
furono interpretate per lacrime di consolazione. Allora
il pi'incipe si dilTuse a spiegar ciò che farebbe per ren-
der lieta e splendida la sorte; della figlia. Parlò delle di-
stinzioni di cui godci'cbbo nel monastero e nel paese;
che, là sarebbe come una principessa, come la rai^pre-
sentante della famiglia; che, appena l'età l'avrebbe per-
messo, sarebbe innalzala alla prima dignilà: e. inlanlo,
non sarebbe sogticlla che di nome. La pi'incipcssa e il
principino i'inn()\a\an() , ogni momento, le congralida-
zioni e gli apphiisi. (iciirndc ci'a (•(due duniinnla da nn
sogno.
182 I PROMESSI SPOSI
« Convorrà poi fissare il giorno, per andare a Monza,
a far la richiesla alla batlossa, » disse il principe. « Come
sarà contenta ! Vi so dire che lutto il monastero saprà
valutar l'onore che Gertrude gli fa. Anzi perche non
ci andiamo oggi ? Gertrude prenderà volentieri un po'
d' aria. »
« Andiamo pure, » disse la principessa.
« Vo a dar gli ordini, » disse il principino.
« Ma » proferì sommessamente Gertrude.
« Piano, piano, » riprese il principe: « lasciam deci-
dere a lei : forse oggi non si sente abbastanza disposta,
e le piacerebbe piìi aspettar fino a domani. Dite : volete
che andiamo oggi o domani ? »
« Domani, » rispose, con voce fiacca, Gertrude alla
(juale pareva ancora di far qualche cosa, prendendo un
po' di tempo.
« Domani, » disse solennemente il principe: « lia sta-
bilito che si vada domani. Intanto io vo dal vicario delle
monache, a fissare un giorno per l' esame. » Detto fatto,
il principe usci, e andò veramente (che non fu piccola
degnazione) dal detto vicario; e concertarono che verrebbe
di lì a due giorni.
In tutto il resto di quella giornata, Gertrude non ebbe
un minuto di bene. Avrebbe desiderato riposar l'animo
da tante commozioni, lasciar, per dir così, chiarire i
suoi pensieri, render conto a se stessa di ciò che aveva
fatto, di ciò che le rimaneva da fare, sapere ciò che vo-
lesse, rallentare un momento quella macchina che, ap-
pena avviata, andava così precipitosamente ; ma non ci fu
verso. L'occupazioni si succedevano senza interruzione,
s'incastravano Tuna con l'altra. Subito dopo partito il
principe, fu condotta nel galtinetto della principessa, per
essere, sotto la sua direzione, pettinata e rivestita dalla
sua propria cameriera. Non era ancor terminato di dar
l'ultima mano, che furon avvertite ch'era in tavola.
Gertrude passò in mezzo agi' inchini della servitù, che
accennava di congratularsi i)er la guarigione, e trovò
CAPITOLO X. 183
alcuni parenti più prossimi, ch'erano stati invitali in
liei la, per farle onore, e per rallegrarsi con lei de' due
felici avvenimenti , la ricuperata salute , e la spiegala
vocazione.
La sposina, (così si chiamavan le giovani monacande,
e Gertrude, al suo apparire, fu da tutti salutata con quel
nome), la sposina ebbe da dire e da fare a rispondere
n complimenti die le fioccavan da tutte le parti. Sen-
tiva bene che ognuna delle sue risposte era come un'ac-
cettazione e una conferma; ma come rispondere diver-
samente? Poco dopo alzati da tavola, venne l'ora della
I rollata. Gertrude entrò in carrozza con la madre, e con
due zii ch'erano stali al pranzo. Dopo un solito giro,
si riuscì alla strada Marina, che allora attraversava lo
spazio occupato ora dal giardin pubblico, ed era il luogo
dove i signori venivano in carrozza a ricreai'si delle fa-
I ielle della giornata. Gli zii parlarono anche a Gertrude,
come portava la convenienza in quel giorno: e uno di
loro, il qual pareva che, più dell'altro, conoscesse ogni
livrea, e aveva ogni momento qualcosa da dire del si-
gnor tale e della signora tal altra, si voltò a lei tuli' a
un tratto, e le disse: « ah furbelta! voi date un calcio
a tutte queste corbellerie; siete una dirittona voi; pian-
tate negl'impicci noi poveri mondani, vi ritirate a fare
una vita beala, e andate in paradiso in carrozza. »
Sul tardi, si tornò a casa; e i servitori, scendendo
in fretta con lo torce, avvertirono che molle ^isile sla-
\ano aspettando. La voce era corsa; e i parenti e gli
amici venivano a fare il loro dovere. S'entrò nella sala
della conversazione. La sposina ne fu l' idolo, il trastullo,
la vittima. Ognuno la voleva per sé: chi si faceva i)ro-
nielter dolci, chi prometteva visite, chi parlava della ma-
dre tale sua parente, chi della madre lai altra sua
conoscente, chi lodava il cielo di 31onza, chi iliscorrcva,
con gran sapore, della gran figura ch'essa avrebbe falla
là. Altri, che non avevan polulo ancora avvicinarsi a
Gertrude cosi assediala, stavano spiando l'occasione di
184 I PROMESSI SPOSI
farsi innanzi, e sentivano un certo rimorso, fin che
non avessero fallo il loro dovere. A poco a poco, la com-
pagnia s'andò dileguando; lutti se n'andarono senza ri-
morso, e Gertrude rimase sola co' genitori e il fratello.
« Finalmente, » disse il principe, « ho avuto la con-
solazione di veder mia figlia trattata da i)ar sua. Biso-
gna però confessare che anche lei s'è portala henone,
e ha fallo vedere che non sarà impicciata a far la pri-
ma figura, e a sostenere il decoro della famiglia. »
Si cenò in fretta, per ritirarsi subito, ed esser pronti
preslo la mattina seguente.
Gerlrude contrislala, indispettita e, nello stesso tempo,
un po' gonfiala da lutti que' complimenti, si rammentò
in quel punto ciò che aveva patito dalla sua carceriera;
e, vedendo il padre così disposto a compiacerla in tutto,
fuor che in una cosa, volle aprofiltare dell' auge in cui
si trovava, per acquietare almeno una delle passioni che
la tormentavano. Mostrò quindi una gran ripugnanza
a trovarsi con colei, lagnandosi fortemente delle sue
maniere.
« Come! » disse il principe: « v'ha mancato di ri-
spetto colei! Domani, domani, le laverò il capo come va.
Lasciale fare a me, che le farò conoscere chi è lei, e
chi siete voi. E a ogni modo, una figlia della quale io
son contento, non deve vedersi intorno una persona che
le dispiaccia. » Così dello, fece chiamare un' altra donna,
e le ordinò di servir Gertrude; la quale intanto, masti-
cando e assaporando la soddisfazione che aveva ricevuta,
si stupiva di trovarci così poco sugo, in paragone del
desiderio che n'aveva avuto. Ciò che, anche suo mal-
grado, s'impossessava di tutto il suo animo, era il sen-
timento de' gran progressi che aveva fatti, in quella gior-
nata, sulla strada del chiostro, il pensiero che a ritirar-
sene ora ci vorrebbe molta piìi forza e risolutezza di
quella elio sarebbe bastala pochi giorni prima , e che
pure non s'era sentita d'avere.
La donna che andò ad accompagnarla in camera, era
CAPITOLO X. 185
una vecchia di casa, stata già governante del principino,
elio aveva ricevuto appena uscito dalle fasce, e tirato su
fino all'adolescenza, e nel quale aveva riposte tutte le
sue compiacenze, le sue speranze, la sua gloria. Era essa
contenta della decisione fatta in quel giorno, come d'una
sua propria fortuna; e Gertrude, per ultimo divertimento,
dovette succiarsi le congratulazioni, le lodi, i consigli della
vecchia, e sentir parlare di certe sue zie e prozie, le quali
s'eran trovate ben contente d'esser monache, perchè,
essendo di quella casa, avevan sempre goduto i primi
onori, avevan sempre saputo tenere uno zampino di fuori,
e, dal loro parlatorio, avevano ottenuto cose che le più
gran dame, nelle loro sale, non c'eran potute arrivare.
Le parlò delle visite che avrebbe ricevute: un giorno
poi, verrebbe il signor principino con la sua sposa , la
quale doveva esser certamente una gran signorona; e
allora, non solo il monastero, ma tutto il paese sarebbe
in moto. La vecchia aveva parlalo mentre spogliava Ger*
trude, quando Gertrude era a letto; parlava ancora, che
Gertrude dormiva. La giovinezza e la fatica erano state
più forti de' pensieri. Il sonno fu affannoso, torbido, pieno
di sogni penosi, ma non fu rotto che dalla voce stril-
lante della vecchia, che venne a svegliarla, perchè si
preparasse per la gita di Monza.
« Andiamo, andiamo, signora sposina: è giorno fatto;
e prima che sia vestita e pettinata, ci vorrà un' ora al*
meno. La signora principessa si sta vestendo; e l'hanno
svegliata qualtr'orc prima del solito. Il signor princi*
pino è già sceso alle scuderie, poi è tornato su, ed è
all'ordine per partire quando si sia. Vispo come una
lepre, quel diavoletto: mal è stato così fin da bambino;
e io posso dirlo, che l'ho portato in collo. Maquand'è
pronto, non bisogna farlo aspettare, perchè, sebbene sia
della miglior pasta del mondo, allora s'impazientisce e
strepita. Poveretto! bisogna compatirlo: è il suo natu-
rale; e poi questa volta avrebbe anche un po' di ragione^
perchè s'incomoda per lei. Guai chi lo tocca in quo*
186 1 PROMESSI SPOSI
momenti I non lia riguardo per nessuno, fuorcliò per il
signor principe. Ma, un giorno, il signor principe, sarà
lui; più tardi clic sia possibile, però. Lesta, lesta, si-
gnorina! Perchè mi guarda COSI incantata? A quest'ora
dovrebbe esser fuor della cuccia. »
All'immagine del principino impaziente, lutti gli al-
tri pensieri che s'erano affollati alla mente risvegliata
di Gertrude, si levaron subito, come uno stormo di pas-
sere all'apparir del nibbio. Ubbidì, si vestì in fretta, si
lasciò pettinare, e comparve nella sala, dove i genitori
e il fratello eran radunati. Fu fatta sedere sur ujia se-
dia a braccioli , e le fu portata una chicchera di cioc-
colata: il che, a que' tempi, era quel che già presso i
Romani il dare la veste virUe.
Quando vennero a avvertir ch'era attaccalo, il principe
tirò la figlia in disparte, e le disse: « orsù, Gertrude,
ieri vi siete falla onore : oggi dovete superar voi mede-
sima. Si tratta di fare una comparsa solenne nel mona-
stero e nel paese dove siete destinata a far la prima
figura. V'aspettano ^ É inutile dire che il principe
aveva spedito un avviso alla badessa, il giorno avanti.
« V'aspettano, e tutti gU occhi saranno sopra di voi.
Dignità e disinvoltura. La badessa vi domanderà cosa
volete: è una formalità. Potete rispondere che chiedete
d'essere ammessa a vestir l'abito in quel monastero,
dove siete stata educata così amorevolmente, dove avete
ricevute tante finezze: che è la pura verità. Dile quelle
poche parole, con un fare sciolto: che non s'avesse a
dire che v'hanno imboccata, e che non sapete parlare
da voi. Quelle buone madri non sanno nulla dell'ac-
caduto: e un segreto che deve restar sepolto nella fa-
miglia; e perciò non fate una faccia contrita e dub-
biosa, che potesse dar qualche sospetto. Fate vedere di
che sangue uscite: manierosa, modesta; ma ricordatevi
che, in quel luogo, fuor della famiglia, non ci sarà nes-
suno sopra di voi. »
Senza aspettar risposta, il principe si mosse; Gertrude,
CAPITOLO X. 187
la principessa e il principino lo seguirono; scesero tutti
lo scalo, e raoiilaroiio in carrozza. Gl'impicci e le noie
del mondo, e la vita beata del chiostro, principalmente
per le giovani di sangue nobilissimo furono il tema della
conversazione, durante il tragitto. Sul finir della strada,
il principe rinnovò l' istruzioni alla figlia, e le ripetè
più volte la formola della risposta. All' entrare in Monza,
Gertrude si senti stringere il cuore; ma la sua atten-
zione fu attirata per un istante da non so quali signori
che, fatta fermar la carrozza, recitarono non so qual com-
plimento. Ripreso il cammino, s'andò quasi di passo al
monastero, tra gli sguardi de' curiosi, che accorrevano
da tutte le parti sulla strada. Al fermarsi della carrozza,
davanti a quelle mura, davanti a quella porta, il cuore
si strinse ancor più a Gertrude. Si smontò tra due ale
di popolo, che i servitori facevano stare indietro. Tutti
quegli occhi addosso alla poveretta l'obbligavano a stu-
diar continuamente il suo contegno: ma più di tutti
quelli insieme, la tenevano in suggezione i due del pa-
dre, a' quali essa, quanlunque ne avesse così gran paura,
non poteva lasciar di rivolgere i suoi , ogni momento.
E quegli occhi governavano le sue mosse e il suo volto,
come per mezzo di redini invisibili. Attraversato il primo
cortile, s'entrò in un altro, e li si vide la porla del chio-
stro interno , spalancata e tutta occupata da monache.
Nella prima fila, la l)adcssa circondata da anziane; die-
tro, altre monache alla rinfusa, alcune in punta di
piedi; in ultimo le converse ritte sopra panchetti. Si
vedevan pure qua e là luccicare a mezz'aria alcuni
occhietti, spuntar qualche visino tra le tonache: eran
le più destre, e le più coraggiose tra l'educande, che,
ficcandosi e penetrando tra monaca e monaca, eran riu-
scite a farsi un po' di pertugio, per vedere anch'esse
qualche cosa. Da quella calca uscivano acclamazioni; si
vedevan molte braccia dimenarsi, in segno d'accoglienza
e di gioia. Giunsero alla porta; Gertrude si trovò a viso
a viso con la madre badessa. Dopo i primi complimenti,
188 I PROMESSI SPOSI
que.'^la, con una maniera tra il giulivo e il solenne, le
domandò cosa desiderasse in quel luogo, dove non c'era
chi le potesse negar nulla.
« Son qui , » cominciò Gertrude; ma, al punto di
proferir le parole che dovevano decider quasi irrevoca-
bilmente del suo destino, esitò un momento, e rimase
con gli occhi fìssi sulla folla che le stava davanti. Vide,
in quel momento, una di quelle sue note compagne, che
la guardava con un' aria di compassione e di malizia
insieme, e pareva che dicesse : ah ! la e' è cascata la brava.
Quella vista, risvegliando più vivi nell'animo suo tutti
gli antichi sentimenti, le restituì anche un po' di quel
poco antico coraggio: e già stava cercando una risposta
qualunque, diversa da quella che le era stala dettata;
quando, alzato lo sguardo alla faccia del padre, quasi
per esprimentar le sue forze, scorse su quella un" inquie-
tudine così cupa, un'impazienza così minaccevole, che,
risoluta per paura, con la stessa prontezza che avrebbe
preso la fuga dinanzi un oggetto terribile, proseguì « son
qui a chiedere d'esser ammessa a vestir l'abito religioso,
in questo monastero^ dove sono slata allevata così amo-
revolmente. » La badessa rispose subito, che le dispia-
ceva molto, in una tale occasione, che le regole non le
permettessero di dare immediatamente una risposta , la
quale doveva venire dai voti comuni delle suore, e alla
quale doveva precedere la licenza de' superiori. Che però
Gertrude, conoscendo i sentimenti che s'avevan per lei
in quel luogo, poteva preveder con certezza qual sa-
rebbe questa risposta; e che intanto nessuna regola proi-
biva alla badessa e alle suore di manifestare la conso-
lazione che sentivano di quella richiesta. S'alzò allora
un frastono confuso di congratulazioni e d' acclamazioni.
Vennero subito gran guantiere colme di dolci, che fu-
ron presentali, prima alla sposina, e dopo ai parenti.
Mentre alcune monache facevano a rubarsela, e altre
complimentavan la madre, altre il principino, la badessa
fece pregare il principe che volesse venire alla grata del
CAPITOLO X. 189
parlatorio, dove l'attendeva. Era accompagnata da due
anziane ; e quando lo vide comparire, « signor principe, »
disse: « per ubbidire alle regole per adempire una
formalità indispensabile, sebbene in questo caso pure
devo dirle.... cbe, ogni volta cbe una figlia cbiede
d'essere ammessa a vestir l'abito, .... la superiora, quale
io sono indegnamente, è obbHgata d'avvertire i ge-
nitori .... cbe se , per caso forzassero la volontà
della figlia , incorrerebbero nella scomunica. Mi scu-
serà .... »
« Benissimo, benissimo, reverenda madre. Lodo la
sua esattezza: è troppo giusto Ma lei non può du-
bitare .... »
« Olì! pensi, signor principe, bo parlato per ob-
bligo preciso, del resto »
« Certo, certo, madre badessa. »
Barattate queste pocbe parole, i due interlocutori s' in-
cbinavano vicendevolmente, e si separarono, come se a
tutt'e due pesasse di rimaner li testa testa; e andarono
a riunirsi ciascuno alla sua compagnia, l'uno fuori, l'al-
tra dentro la soglia claustrale.
« Oli via, » disse il principe: » Gertrude potrà presto
godersi a suo beli' agio la compagnia di queste madri.
Per ora le abbiamo incomodate abbastanza. » Così detto,
fece un inchino; la famiglia si mosse con lui; si rinno-
varono i complimenti, e si partì.
Gertrude, nel tornare, non aveva troppa voglia di di-
scorrere. Spaventata d(!l passo che aveva fatto, vergo-
gnosa della sua dappocaggine, indispettita contro gli altri
e contro se slessa, faceva tristamente il conto dell' occa-
sioni, che le rimanevano ancora di dir di no; e promet-
teva debolmente e confusamente a se stessa che, in que-
sta, 0 in (piella, o in (jueir altra, sarebbe più destra e
pili forte. Con tutti questi pensieri, non le era però ces-
sato atfatlo il terrore di quel cipiglio del padre; talché,
quando, con un'occhiaia datagli alla sfuggila, potò chia-
rirsi che sul volto di lui non c'era più alcun vestigio
190 1 PROMESSI SPOSI
di collera, quando anzi vide che si mostrava soddisfat-
tissimo di lei, le parve una bella cosa, e fu, per un istante,
tutta contenta.
Appena arrivati, bisognò rivestirsi e rilisciarsi; poi il
dt!sinare, poi alcune visite, poi la trottata, poi la con-
versazione, poi la cena. Sulla fine di questa, il principe
mise in campo un altro affare, la scelta della madrina.
Così si chiamava una dama, la quale, pregata da' geni-
tori, diventava custode e scorta della giovane monacan-
da, nel tempo tra la richiesta e l'entratura nel mona-
stero; tempo che veniva speso in visitar le chiese, i
palazzi pubblici, le conversazioni, le ville, i santuari :
tutte le cose in somma più notabili della città e de' con-
torni ; affinchè le giovani, prima di proferire un voto
irrevocabile, vedessero bene a cosa davano un calcio.
« Bisognerà pensare a una madrina, » disse il principe :
t perchè domani verrà il vicario delle monache per la
formalità dell' esame, e subito dopo, Gertrude verrà pro-
posta in capitolo, per esser accettata dalle madri. » Nel
dir questo, s'era voltato verso la principessa; e questa,
credendo che fosse un invito a proporre, cominciava :
« ci sarebbe » Ma il principe interruppe : « No, no,
signora principessa : la madrina deve prima di lutto
piacere alla sposina ; e benché l' uso universale dia la
scelta ai parenti, pure Gertrude ha tanto gmdizio, tanta
assennatezza, che merita bene che si faccia un' eccezione
per lei. » E qui, voltandosi a Gertrude, in atto di chi
annunzia una grazia singolare, continuò : « ognuna delle
dame che si son trovate questa sera alla conversazione,
ha quel che si richiede per esser madrina d'una figlia
della nostra casa ; non ce n' è nessuna, crederei, che
non sia per tenersi onorata della preferenza : scegliete
voi. »
Gertrude vedeva bene che far questa scelta era dare
un nuovo consenso; ma la proposta veniva fatta con
tanto apparato, che il rifiuto, per quanto fosse umile,
poteva parer disprezzo, o almeno capriccio e leziosaggi-
CAPITOLO X. 191
ne. Fece dunque anche quel passo; e nominò la dama
che, in quella sera, le era andata più a genio ; quella
cioè che le aveva fallo più carezze, che V aveva più lo-
data, che r aveva trattata con quelle maniere famigliari,
affettuose e premurose, che, ne' primi momenti d' una
conoscenza , contraffanno un' antica amicizia. » Ottima
scelta, » disse il principe, che desiderava e aspettava
appunto quella. Fosse arte o caso, era avvenuto come
quando il giocator di bussolotti facendovi scorrere da-
vanti agli occhi le carte d' un mazzo, vi dice che ne
pensiate una, e lui poi ve la indovinerà ; ma le ha fatte
scorrere in maniera che ne vediate una sola. Quella dama
era stata tanto intorno a Gertruiie tutta la sera, l'aveva
tanto occupata di se, che a questa sarebbe bisognato uno
sforzo di fantasia per pensarne un'altra. Tante premure
poi non eran senza motivo: la dama aveva, da molto
tempo, messo gli occhi addosso al principino, per farlo
suo genero: quindi riguardava le cose di quella casa
come sue proprie; ed era ben naturale che s'interessasse
per quella cara Gertrude, niente meno de' suoi parenti
più prossimi.
Il giorno dopo, Gertrude si svegliò col pensiero del-
l'esaminatore che doveva venire ; e mentre stava rumi-
nando se potesse cogliere quella occasione cosi decisiva,
per tornare indietro, e 'in qual maniera, il principe la
fece chiamare. « Orsù, figliuola, » le disse: « finora vi
siete portata egregiamente: oggi si tratta di coronar
l'opera. Tutto quel che s'è fattp finora, s'è fatto di vo-
stro consenso. Se in questo tempo vi fosse nato qualche
dubbio, qualche pentiinenluccio, grilli di gioventù, avre-
ste dovuto spiegarvi; ma al punto a cui sono ora le cose,
non è più tempo di far ragazzate. Queir uomo dabbene
che deve venire slamai lina, vi fiwà cento domande sulla
vostra vocazione: e se vi fate. monaca di vostra volontà,
e il perchè e il per coinc.^ij che so io? Se vai titubate
nel rispondere, vi terrà «^uJ la. corda chi sa quanto. Sa-
rebbe un'uggia, un tonnnTto per voi: ma ne potrebbe
1^2 I PROMESSI SPOSI
anche venire un altro guaio più serio. Dopo tulle le di-
mostrazioni pubbliche che si son fatte, ogni più piccola
esitazione che si vedesse in voi, metterebbe a repentaglio
il mio onore, potrebbe far credere ch'io avessi presa
una vostra leggerezza per una ferma risoluzione, che
avessi precipalato la cosa , che avessi che so io ?
In questo caso, mi troverei nella necessità di scegliere
tra due partiti dolorosi: o lasciar che il mondo formi
un tristo concetto della mia condotta: partilo che non
può stare assolutamente con ciò che devo a me stes-
so. 0 svelare il vero motivo della vostra risoluzione
e » Ma qui, vedendo che Gertrude era diventata
scarlatta , che le si gonfiavan gli occhi , e il viso si
contraeva, come le foglie d'un liore nell'afa che pre-
cede la burrasca, troncò quel discorso, e, con aria se-
rena, riprese: « via, via, tutto dipende da voi, dal vo-
stro giudizio. So che n'avete molto, e non siete ragazza
da guastar sulla fine una cosa fatta bene; ma io doveva
preveder tutti i casi. Non se ne parli più; e restiam
d'accordo che voi risponderete con franchezza, in ma-
niera di non far nascer dubbi nella lesta di queir uomo
dabbene. Così anche voi ne sarete fuori più presto. »
E qui, dopo aver suggerita qualche risposta all' interro-
gazioni più probabili, entrò nel solito discorso delle dol-
cezze e de' godimenti ch'eran preparali a Gertrude nel
monastero ; e la trattenne in quello, fin che venne un
servitore ad annunziare il vicario. Il principe rinnovò in
fretta gli avvertimenti più importanti, e lasciò la figlia
sola con lui, com'era prescritto.
L'uomo dabbene veniva con un po' d'opinione già
fatta che Gertrude avesse una gran vocazione al chiostro;
perchè così gli aveva detto il principe, quando era stato
a invitarlo. É vero che il buon prete , il quale sapeva
che la diffidenza era una delle virtù più necessarie nel
suo uffizio, aveva per massima d'andar adagio nel cre-
dere a simili proleste, e di stare in guardia contro le
preoccupazioni; ma ben di rado avviene che le parole
CAPITOLO X. 193
affermative e sicure d' una persona autorevole, in qualsi-
voglia genere, nun tingano del loro colore la mente di
chi le ascolta.
Dopo i primi complimenti, « signorina, » le disse « io
vengo a far la parte del diavolo; vengo a mettere in dub-
bio ciò che, nella sua supplica lei ha dato per certo;
vengo a metterle davanti agli occhi le difTicoltà, e ad ac-
certarmi se le ha ben considerate. Si contenti ch'io le
faccia qualche interrogazione. »
« Dica pure, » rispose Gertrude.
Il buon prete cominciò allora a interrogarla, nella for-
ma prescritta dalle regole. « Sente lei in cuor suo una
libera, spontanea risoluzione di farsi monaca? Non sono
state adoperate minacce, o lusingiie? Non s'è fatto uso
di nessuna autorità, per indurla a questo? Parli senza
riguardi, e con sincerità, a un uomo il cui dovere è di
conoscere la sua vera volontà, per impedire che non le
venga usata violenza in nessun modo. »
La vera risposta a una tale domanda s'affacciò subito
alla mente di Gertrude, con un'evidenza terribile. Per
dare ([uella risposta, bisognava venire a una spiegazione,
diro di che era stala minacciata, raccontare una storia —
L'infelice rifuggì spaventata da questa idea; cercò in
fretta un'altra risposta; ne trovò una sola che potesse
liberarla presto e sicuramente da ({uel supplizio, la più
contraria al vero. « Mi fo monaca, » disse nascondendo
il suo turi lamento, « mi fo monaca, di mio genio, libe-
ramente. »
« Da quanto tempo le è nato codesto pensiero? » do-
mandò ancora il buon prete.
« L'ho sempre avuto, » rispose Gertrude, diveiuila,
dopo qu(!l primo passo, più franca a mentire contro so
slessa.
» Ma quale è il molivo principale clic la iniluce a
fai'si monaca? »
Il buon prete non sa[»eva cIk; terribih^ tasto toccasse;
e Gcrtiudc si fece una giaii forza per non lasciar Ira-
VOL. i- <)
194 I PROMESSI SPOSI
sparire sul viso l'elTctto clic quelle parole le proiìiicevano
nell'animo. « Il motivo, » disse, «è di servire a Dio e
di fu.i^gire i pencoli del mondo. »
«Non sarebbe mai (pialche disgusto? qualche
mi scusi capriccio? Alle volte^ una cagione momen-
tanea può fare un'impressione che par che deva durar
sempre; e quando poi la cagione cessa, e l'animo si muta,
allora »
«No, no,» rispose precipitosamente Gertrude: « la ca-
gione ò quella che le ho detto. »
Il vicario, più per adempire interamente il suo obbligo,
che per la persuasione che ce ne fosse bisogno_, insistette
con le domande; ma Gertrude era determinata d'ingan-
narlo. Olire il ribrezzo che le cagionava il pensiero di
render consapevole della sua debolezza quel grave e dab-
ben prete, che pareva così lontano dal sospettar tal cosa
di lei; la poveretta pensava poi anche ch'egli poteva bene
impedire che si facesse monaca; ma lì finiva la sua au-
torità sopra di lei, e la sua protezione. Partito che fosse,
essa rimarrebbe sola col principe. E qualunque cosa
avesse poi a patire in quella casa, il buon prete non
n'avrebbe saputo nulla, o sapendolo, con tutta la sua
buona intenzione, non avrebbe potuto far altro che aver
compassione di lei, quella compassione tranquilla e mi-
surala, che, in generale, s'accorda, come per cortesia,
a chi abbia dato cagione o prelesto al male che gli fanno.
L' esaminatore fu prima stanco d' interrogare , che la
sventurata di mentire: e, sentendo quelle risposte sem-
pre conformi, e non avendo alcun motivo di dubitare
della loro schiettezza, mutò finalmente linguaggio; si
rallegrò con lei, le chiese, in certo modo, scusa d'aver
tardalo tanto a far questo suo dovere; aggiunse ciò che
credeva più allo a confermarla nel buon proposilo: e si
licenziò.
Attraversando le sale per uscire, s'abbattè nel prin-
cipe, il ijuale pareva che passasse di là a caso; e con
lui pure si congratulò delle buone di-^ posizioni in cui
CAPITOLO X 195
aveva trovata la sua figlinola. Il principe era stato Ano
allora in una sospensione mollo penosa: a (piella noli-
zia, respirò, e dimenticando la sua gravità consueta, andò
quasi di corsa da Gerlrude, la ricolmò di lodi, di ca-
rezze e di promesse, con un giubilo cordiale, con una
tenerezza in gran parie sincera: cosi fatto è questo guaz-
zabuglio del cuore umano.
Noi non seguiremo Gerlrude in ([uel giro continualo
di spettacoli e di divertimenti. E neppure descriveremo, in
particolare e per ordine, i sentimenli deir animo suo in
tutto quel tempo: sarebbe una storia di dolori e di lliit-
tuazioni, troppo monotona, e Iroppo somigliante alle cose
già dette. L'amenità de' luoghi, la varietà degli oggetti,
quello svago che pur trovava nello scorrere in qua e in là
all'aria aperta, le rendevan più odiosa l'idea del luogo dove
alla fine si smonterebbe per l'ullima volta, per sempre. Più
pungenti ancora eran l'impressioni che riceveva nelle
conversazioiu e nelle fesle. La vista delle spose allo quali
si dava questo titolo nel senso più ovvio e più usitalo,
le cagionava un'invidia, un rodimento intollerabile; e
talvolta l'aspetto di (juakiio allro personaggio le faceva
parere che, nel sinitirsi dare quel titolo, dovesse trovarsi
il colmo d'ogni felicità. Talvolta la pompa de' palazzi,
lo splendore degli addobbi, il brulichìo o il fracasso
giulivo delle feste, le comunicavano un'ebbrezza, un ar-
dor tale di viver lieto, che prometteva a se slessa di
disdirsi, di soffrir tutto, pini tosto che tornare all'ombra
fredda e morta del cliiostro. Ma tiilte qnclle risoluzioni
sfumavano alla considerazione più riposala delle diffi-
coltà, al solo fissar gii occhi in viso al principe. Tal-
volta anche, il pensiero di dover abbandonare per sem-
pre que' godimenti, gliene; rend(!va amaro e penoso (pici
piccol saggio; come l'infermo assetato guarda con l'abbia,
e (piasi rispinge con (lisjtetlo il cucchiaio (racipi.i v\\r
il medico gli concede! a fatica. Intanto il vicariti drllc
monache ebbe rilasciala F attestazione necessaria, e \c\u\r
la licenza di tenere il capitolo per l' accettazione di Ger^
196 I PROMESSI SPOSI
(nule. Il capitolo si tenne ; concorsero , coni' era da
aspellarsi, i due terzi de' voti segreti ch'eran richie-
sti da' regolamenti; e Gertrude fu accettata. Lei me-
desima , stanca di quel lungo strazio , chiese allora
d'entrare più presto che fosse possibile, nel monastero.
Non c'era sicuramente chi volesse frenare una tale
impazienza. Fu dunque fatta la sua volontà; e, con-
dotta pomposamente al monastero, vestì T abito. Dopo
dodici mesi di noviziato , pieni di pentimenti , e di
ringraziamenti , si trovò al momento della professione ,
al momento cioè in cui conveniva , o dire un no più
strano, più inaspettato, più scandaloso che mai, o ri-
petere un sì tante volte detto; lo ripetè; e fu monaca
per sempre.
É una delle facoltà singolari e incomunicabili della
religione cristiana, il poter indirizzare e consolare chiun-
que, in qualsivoglia congiuntura, a qualsivoglia termine,
ricorra ad essa. Se al passato e' è rimedio, essa lo pre-
scrive , lo somministra , dà lume e vigore per metter-
lo in opera , a qualunque costo ; se non e' è, essa dà
il modo di far realmente e in effetto , ciò che si dice
in proverbio, di necessità virtù. Insegna a continuare
con sapienza ciò eh' è stalo intrapreso per leggerezza;
piega r animo ad abbracciar con propensione ciò che
è stalo imposto dalla prepotenza , e dà a una scelta
che fu temeraria, ma che è irrevocabile, tutta la san-
tità, tutta la saviezza, diciamolo pur francamente, tutte
le gioie della vocazione. É una strada così fatta che, da
qualunque laberinto, da qualunque precipizio, 1' uomo
capiti ad essa, e vi faccia un passo, può d'allora in poi
camminare con sicurezza e di buona voglia, e arrivar
lielamenlG a un lieto fine. Con questo mezzo, Gertrude
avrebbe potuto essere una monaca santa e contenta, co-
munque lo fosse divenula. Ma T infelice si dibatteva in
vece sotto il giogo, e così ne sentiva più forte il peso
e le scosse. Un rammarico incessante della libertà per-
(luta, l'abborrimento dello stato presente, un vagar fa-
CAPITOLO X. 197
licose dietro a do^^ldèri che non sarebbero mai soddi-
sfatti, tali erano le principali occupazioni dell' animo suo.
Rimasticava queir amaro passalo, ricomponeva nella me-
moria tutte le circostanze per le quali si trovava lì; e
disfaceva mille volte inutilmente col pensiero ciò che
aveva fatto con l'opera; accusava sé di dappocaggine,
altri di tirannia e di perfidia; e si rodeva. Idolatrava
insieme e piangeva la sua bellezza, deplorava una gio-
ventù destinata a struggersi in un lento martirio, e in-
vidiava, in certi momenti, qualunque donna, in qua-
lunque condizione , con qualunque coscienza, potesse li-
beramente godersi nel mondo qu<3' doni.
La vista di quelle monache che avevan tenuto di mano
a tirarla là dentro, le era odiosa. Si ricordava l'arti e
i raggiri che avevan messi in opera , e le pagava con
tante sgarbatezze, con tanti dispetti , e anche con aperti
rinfacciamenti. A quelle conveniva le più volte mandar
giù e tacere: perchè il principe aveva ben voluto tiran-
neggiar la figlia quanto era necessario per ispingerla al
chiostro: ma ottenuto l'intento, non avrebbe cosi facil-
mente solTerto che altri pretendesse d'aver ragione con-
tro il suo sangue: e ogni po' di rumore che avesser
fatto, poteva esser cagione di far loro perdere quella
gran protezione , o cambiar per avventura il protettore
in nemico. Pare che Gerti'ude avrebbe dovuto sentire
una certa propensione per l'altre suore, che non ave-
vano avuto parte in quegl' intrighi, e che, senza averla
desiderata per compagna, l'amavano come tale; e pie,
occupate e ilari, le mostravano col loro esempio come
anche là dentro si potesse non solo vivere, ma star. i
bene. Ma (juesle pure le erano odiose, per un altro verso.
La loro aria di pietà e di contentezza le riusciva come
un rimprovero della sua hiquietudinc, e della sua con-
dotta bisbetica; e non lasciava sfuggire occasione di de-
riderle dietro le spalle, come pinzochere, o di morderle
comi! ipucrile. Forse saivhbe slata meno avversa ad esso
.<e avesse saputo o induvinatu che le poche palle nere,
198 1 PROMESSI SPOSI
trovale nel bossolo che decise della sua acceliazionc,
c'erano appunto state messe da quelle.
Qualclic consolazione le pareva talvolta di trovar nel
comandare, nel!' esser corteggiata in monastero nel ri-
cever visite di complimento da persone di fuori, nello
spuntar qualche impegno, nello spendere la sua proie-
zione, nel sentirsi chiamar la signora : ma quali conso-
lazioni! Il cuore, trovandosene così poco appagato, avreb-
be voluto di quando in quando aggiungervi, e goder
con esse le consolazioni della religione; ma queste non
vengono se nona chi trascura queir altre: come il nau-
frago, se vuole afferrar la tavola che può condurlo
in salvo sulla riva, deve pure allargare il pugno, e
abbandonar l' alghe , che aveva prese ; per una rabbia
d' istinto.
Poco dopo la professione, Gertrude era stata falla
maestra dell'educande; ora pensate come dovevano stare
quelle giovinette sotto una tal disciplina. Le sue antiche
confidenti eran tutte uscite; ma lei serbava vive tutte
le passioni di quel tempo; e, in un modo o in un altro,
r allieve dovevan portarne il peso. Quando le veniva in
mente che molle di loro eran destinate a vivere in
quel mondo dal quale era esclusa per sempre, provava
contro quelle poverine un astio, un desiderio quasi di
vendetta; e le teneva sotto, le bistrattava, faceva loro
scontare anticipatamente i piaceri che avrebber goduti
un giorno. Chi avesse sentito, in que' momenti, conche
sdegno magistrale le gridava, per ogni piccola scappatella,
l'avrebbe creduta una donna d'una spiritualità salvatica
e indiscreta. In altri momenti, lo stesso orrore per il
chiostro, per la regola, per l'ubbidienza, scoppiava in
accessi d'umore tutto opposto. Allora, non solo soppor-
tava la svagatezza clamorosa delle sue allieve, ma l'ec-
citava; si mischiava ne' loro giochi, e li rendeva più
sregolati; entrava a parte de' loro discorsi, e li spingeva
più in là dell'intenzioni con le quali esse gli avevano
incominciali. Se qualcheduna diceva una parola sul ci-
CAPITOLO X. 199
calìe della madre badessa, la maestra lo imitava lunga-
mente, e ne faceva una scena da commedia; contraffa-
ceva il volto d'una monaca, l'andatura d'un' altra: ri-
deva allora sgangheralamenle: ma eran risa che non la
lasciavano piij allegra di prima. Così era vissuta alcuni
anni non avendo comodo, nò occasione di far di più;
quando la sua disgrazia volle die un' occasione si pre-
sentasse.
Tra l'altre distinzioni e privilegi che le erano stati
concessi, per compensarla di non poter esser badessa,
c'era anche quello di stare in un quartiere a parte. Quel
lato del monastero era contiguo a una casa abitata da
un giovane, scellerato di professione, uno de' tanti, che
in quo' tempi, e co' loro sgherri, e con l'alleanze d'al-
tri scellerati, potevano, fino a un certo segno, ridersi
della forza pubblica e delle leggi. Il nostro mano-
scritto lo nomina Egidio, senza parlar del casato. Co-
stui da una sua fmestrina che dominava un corti-
letto di quel quartiere , avendo veduta Gertrude qual-
che volta passare o girandolar lì per ozio , allettato
anzi che atterrilo dai pericoli e dall'empietà dell'im-
presa, un giorno osò rivolgerle il discorso. La sventu-
rata rispose.
In que' primi momenti, provò una contentezza, non
schietta al certo, ma viva. Nel voto uggioso dell'animo
suo s'era venuta a infondore un' occupazione forte, con-
tinua e, direi quasi, una vita prepotente; ma ([uella con-
lentezza era simile alla bevanda ristorativa che la cru-
deltà ingegnosa degli antichi mesceva al condannato, per
dargli forza a sostenere i tormenti. Si videro, nello stesso
tempo, di gran novità in tutta la sua condotta: divenne,
lutt'a un tratto, più regolare, più tranipiilla, smesse gli
scherni e il brontolìo, si mostrò anzi carezzevole e ma-
nierosa, dimodoché le suore si rallegravano a vicenda
del cambiamento felice; lontane com'erano dall' imma-
ginarne il vero motivo, e dal comprendere che (juclla
nuova virtù non era altro che ipocrisia aggiunta allan-
200 1 PROMESSI SPOSI
lidie magagne. Quell'apparenza però, quella per dir
cos;ì, imbiancatura esleriore, non durò gran tempo, al-
meno con quella continuità e uguaglianza: ben presto
(ornarono in campo i soliti dispetti e i soliti capricci ,
tornarono a farsi sentire; l'imprecazioni e gii sclierni con-
tro la prigione claustrale, e talvolta espressi in m\ lin-
guaggio insolito in quel luogo, e anche in quella l)Occa.
Però, ad ognuna di queste scappate veniva dieiro un pen-
limenlo, una gran cura di farle dimenticare, a forza di
moine e di buone parole. Le suore sopportavano alla me-
glio tutti questi all'è bassi, e gli attribuivano all'indole
bisbetica e leggiera della signora.
Per qualche tempo, non parve che nessuna pensasse
più in là; ma un giorno che la signora, venuta a parole
con una conversa, per non so che pettegolezzo, si lasciò
andare a maltrattarla fuor di modo, e non la finiva più,
la conversa, dopo aver sofferto, ed essersi morse la lab-
bra un pezzo, scappatale finalmente la pazienza, buttò
là una parola, che lei sapeva qualche cosa, e che, a tempo
e luogo, avrebbe parlato. Da quel momento in poi, la
signora non ebbe più pace. Non passò però molto tempo
che la conversa fu aspettata in vano, una mattina, a'
suoi ufizi consueti: si va a veder nella sua cella, e non
si trova: è chiamata ad alta voce; non risponde: cerca di
qua, cerca di là, gira e rigira, dalla cima al fondo; non c'è
in nessun luogo. E chi sa quali congetture si sarel)ber
fatte, se, appunto nel cercare, non si fosse scoperto una
buca nel muro dell'orto; la qual cosa fece pensare a
tutte, che fosse sfrattata di là. Si fecero gran ricerche in
Monza e ne' contorni, e principalmente a Meda, di do-
v'era quella conversa: si scrisse in varie parti: non se
n'ebbe mai la più piccola notizia. Forse se ne sarebbe
potuto saper di più, se, in vece di cercar lontano, si
fosse scavato vicino. Dopo molte maraviglie, perchè nes-
suno r avrebbe creduta capace di ciò, e dopo molti di-
scorsi, si concluse che doveva essere andata lontano lontano.
E perchè scappò detto a una suora: « s'è rifugiata in
CAPITOLO X. 201
Olanda di sicuro,» si disse subilo, osi ritenne per un
pezzo nel monastero e fuori, che si fosse rifugiata in
Olanda. Non pare però clie la signora fosse di questo
parere. Non già che mostrasse di non credere, o com-
battesse r opinion comune, con sue ragioni parlicolari:
se ne aveva, certo, ragioni non furono mai così ben
dissimulate; nò e' era cosa da cui s'astenesse più volen-
tieri che da rimestar quella storia, cosa di cui si curas-
se meno che di toccare il fondo di quel mistero. Ma
quanto meno ne parlava, tanto pii!i ci pensava. Quante
volte al giorno l'immagine di quella donna veniva a cac-
ciarsi d'improvviso nella sua mente, e si piantava li,
e non voleva moversi I Quante volte avrebbe desiderato
di vedersela dinanzi viva e reale, piuttosto che averla
sempre fissa nel pensiero, piuttosto che dover trovarsi,
giorno e notte, in compagnia di quella forma vana, ter-
ribile, impassibile ! Quante volte avrebbe voluto sentir
davvero la voce di colei, qualunque cosa avesse potuto
minacciare, piuttosto che aver sempre nell'intimo dell'o-
recchio mentale il susurro fantastico di quella slessa
voce, e sentirne parole l'ipetuie con una pertinacia, con
un'insistenza infaticabile, che nessuna persona vivente
non ebbe mail
Era scorso circa un anno dopo quel fatto, quando Lu-
cia fu presentala alla signora, ed ebbe con hn quel col-
lo(|uio al (piale slam rimasti col racconto. La signora
molti[)licava le domande intorno alla persecuzione di
don Rodrigo, e entrava in certi particolari, con una in-
trepidezza, che riuscì e doveva riuscire più che nuova a
Lucia, la quale non aveva mai pensato che la curosità
delle monache potesse esercitarsi intorno a simili argo-
menti. I giudizi poi che quc.'lla frammischiava alTinier-
rogazioni, o che lasciava trasparire, non eran meno strani.
Pareva quasi che ridesse del gran ribrezzo che TiUcia
aveva sempre avuto di quel signore, e domandava se er;i
un mostro, da lar tanta paura: jiareva quasi che aMcbbe
trovato irragionevole e sciocca la ritrosia della giovine,
202 1 PROMESSI SPOSI
>;o non avosso aviilo per ragione la preferenza data a
Renzo. E sn fpieslo pure s' avanzava a domande, che face-
vano stupire e arrossire T interrogata. Avvedendosi d'aver
troppo lasciata correr la lingua dietro agli svagamenti
d(}l cervello, cercò di correggere e d' interpretare in me-
glio quelle sue ciarle; ma non potè fare che a Lucia
non ne rimanesse uno stupore dispiacevole, e come un
confuso spavento. E appena potè trovarsi sola con la ma-
dre, se n'aprì con lei; ma Agnese, come più esperta,
sciolse, con poche parole, tutti que'dubhi, e spiegò tutto
il mistero. « Non te ne far maraviglia, » disse: « quando
avrai conosciuto il mondo quanto me, vedrai che non son
cose da farsene maraviglia. I signori, chi più, chi meno,
chi per un verso, chi per un altro, han tutti un po' del
matto. Convien lasciarli dire, principalmente quando s'ha
bisogno di loro; far vista d'ascoltarli sul serio, come
se dicessero delle cose giuste. Hai sentilo come m'ha
dato sulla voce, come se avessi detto qualche gran spro-
posito? Io non me ne son fatta caso punto. Son tutti
così. E con tutto ciò, sia ringraziato il cielo, che pare
che questa signora t'abbia preso a ben volere, e voglia
proteggerci davvero. Del resto, se camperai, figliuola mia,
e se t'accaderà ancora d'aver che fare con de'signori, ne
sentirai, ne sentirai, ne sentirai. »
Il desiderio d' obbligare il padre guardiano , la com-
piacenza di proteggere, il pensiero del buon concetto che
poteva fruttare la protezione impiegata così santamente,
una certa inclinazione per Lucia, e anche un certo sol-
lievo nel far del bene a una creatura innocente , nel soc-
correre e consolare oppressi, avevan realmente disposta
la signora a prendersi a petto la sorte delle due povere
fuggitive. A sua richiesta, e a suo riguardo, furono al-
loggiale nel quartiere della fai loressa attiguo al chiostro,
e trattate come se fossero addette al servizio del mona-
stero. La madre e la figlia si rallegrarono insieme d'aver
trovalo così presto un asilo sicuro e onorato. Avrebber
anche avuto molto piacere di rimanervi ignorate da ogni
Capitolo x. '^0^
persona ; ma la cosa non era facile in un monastero •
tanto più clu; e' era un uomo troppo premuroso d' aver
notizie d'una di loro, e nell'animo del quale, alla pas-
sione e alla picca di prima, s'era aii'giunta anche la
slizza d' essere stato prevenuto e deluso. E noi, lasciando
le donne nel loro ricovero , torneremo al palazzotto di
costui, nell'ora in cui stava attendendo l'esito della sua
scellerata spedizione.
CAPITOLO XI.
Come un branco di segugi , dopo aver inseguita in-
vano una lepre, tornano mortificati verso il padrone, co'
musi bassi, e con le code ciondoloni, cosi, in quella scom-
pigliata notte, tornavano i braA'i al palazzotto di don Ro-
drigo. Egli camminava innanzi e indietro, al Iniio, per
una stanzaccia disabitata dell'ultimo piano, che rispon-
deva sulla spianata. Ogni tanto si fermava^ tendeva l'orec-
chio, guardava dalle fessure dell'imposte intarlate, pieno
d' impazienza e non privo d' inquietudine, non solo per
r incertezza della riuscita, ma anche per le conseguenze
possibili ; perchè era la più grossa e la più arrischiala
a cui il brav'uomo avesse ancor messo mano. S'andava
però rassicurando col pensiero delle precauzioni prese
per distrugger gV indizi, se non i sospetti. — In qnanlo
ai sospetti, — pensava — me ne rido. Vorrei un po' sa-
pere chi sarà quel voglioso che venga quassù a veder se
e' è 0 non e' è una ragazza. Venga, venga quel tanghero,
che sarà ben ricevuto. Venga il frate, venga. La vecchia?
Vada a Bergamo la vecchia. La giustizia? Poh la giu-
stiziai Il podestà non è un ragazzo, ne un matto. E a
I PROMESSI SPOSI, CAPITOLO XI. 205
Milano? Chi si cura di costoro a Milano? Chi gli darehbe
rella? Chi sa che ci siano? Son come gente perduta sulla
terra ; non hanno né anche un padrone : gente di nes-
suno. Via, via, niente paura. Come rimarrà Attilio, do-
mattina ! Vedrà, vedrà s' io fo ciarle o fatti. E poi
se mai nascesse qualche imbroglio che so io? qual-
che nemico che volesse cogliere quesl' occasione .... anche
Attilio saprà consigliarmi: e' è impegnato l'onore di tutto
il parentado. — Ma il pensiero sul quale si fermava di
più , perchè in esso trovava insieme un acquietamento
de' dubbi , e un pascolo alla passion principale, era il
pensiero delle lusinghe, delle promesse che adoprerebbe
per abbonire Lucia. — Avrà tanta paura di trovarsi (pii
sola, in mezzo a costoro, a queste facce, che .... il viso
più umano qui son io , per bacco che dovrà ricor-
rere a me, toccherà a lei a pregare ; e se prega —
Mentre fa questi bei conti, sente un calpestìo, va alia
finestra, apre un poco , fa capolino ; son loro. — E la
bussola? Diavolo! dov'è la bussola? Tre, cinque, otto:
ci son tutti ; e' è anche il Griso ; la bussola non e' è ;
diavolo ! diavolo ! il Griso me ne renderà conto. —
Entrati clic furono, il Griso posò in un angolo d'una
stanza terrena il suo bordone , posò il cappellaccio e il
sanrocchino, e, conio richiedeva la sua carica, che in (juel
momento nessuno gf invidiava, salì a render quel conto
a don Rodrigo. Questo l'aspettava in cima alla scala; e
vistolo ai){)arire con (lucila goffa e sguaiata presenza del
birbone deluso, « ebbene^ » gli disse, o gli gridò : « si-
gnore spaccone, signor capitano, signor lasdfareamef »
«L'è dura; » rispose il Griso, restando con un piede
sul primo scalino, «l'è dura di ricever de' rimproveri,
dopo aver lavorato fedclnKuite, e cercato di fare il pro-
l)i'io dovere, (; aiTischiala anche la pelle. »
« Com'è andata? Sentiremo, sentiivuio, » disse don
Rodrigo, e s'avviò verso la sua camera, (ln\e il Griso lo
seguì, e fece subito la relazione di ciò che a\e\a disiio-
.sto, fallo, veduto e non veduto, sentito, temuto, riparato;
206 I PROMESSI SPOSI
e la fece {'Oli quel 1' ordine e con ([nella confusione, con
((nella dubbiezza e con (juello sbalonlinìento, che dove-
vano per forza regnare insieme nelle sue idee.
« Tu non hai torto, e ti sei portato bene, » disse don
Rodrigo: a hai fatto quello che si poteva; ma, ... ma,
che sotto questo tetto ci fosse una spia! Se c'è, se lo
arrivo a scoprire, e lo scopriremo se c'è, le l'accomodo
io; li so dir io, Griso, che lo concio per il di delle feste. »
« Anche a me, signore, » disse il Griso, « è passalo
per la mente un tal sospetto: e se fosse vero, se si ve-
nisse a scoprire un birbone di questa sorte, il signor
padrone lo deve metter nelle mie mani. Uno che si fosse
preso il divertimento di farmi passare una notte come
questa ! toccherebbe a me a pagarlo. Però da varie cose
m' è parso di poter rilevare che ci dev'essere qualche al-
tro intrigo, che per ora non si può capire. Domani, si-
gnore, domani se ne verrà in chiaro. »
« Non siete slati riconoscinli almeno ? »
Il Griso rispose cbe sperava di no ; e la conclusione
del discorso fu che don Rodrigo gli ordinò, per il giorno
dopo, tre cose che colui avrebbe sapute ben pensare an-
che da sé. Spedire la mattina presto due uomini a fare
al console quella (ale inumazione, che fu poi fatta, come
abbiam veduto; due altri al casolare a far la ronda, per
tenerne lontano ogni ozioso che vi capitasse, e sottrarre
a ogni sguardo la bussola fino alla notte prossima, in
chi si manderebbe a prenderla ; giacché per allora non
conveniva fare altri movimenti da dar sospetto ; antlar
poi lui , e mandare anche altri de' più disinvolti e di
buona testa, a mescolarsi con la gente, per scovar ({ual-
cosa intorno all' imbroglio di quella notte. Dati tali or-
dini, don Rodrigo se n' andò a dormire, e ci lasciò an-
dare anclic il Griso, congedandolo con molte lodi, dalle
(piali traspariva evidcnlcmente l' inlenzione di risarcirlo
iW'^y iinpr(i|)('ri [ncci[)ilati coi ([uali lo aveva accollo.
Va a dormire, pov(TO Griso, che tu ne devi aver bi-
sogno. Povero Griso! In faccende tutto il giorno, in fac-
CAPITOLO XI. 207
cendc mezza la notte, senza conlare il pericolo di cader
sotto r unghie de' villani , o di buscarli una taglia per
rapto (U donna kunesta, per giunta di quelle che hai già
addosso; e poi esser ricevuto in quella maniera! Mal
così pagano spesso gii uomini. Tu hai però potuto ve-
dere, in questa circostanza, che qualche volta la giusti-
zia, se non arriva alla prima, arriva, o presto o tardi
anche in questo mondo. Va a dormire per ora : che un
giorno avrai forse a somministrarcene un' altra prova, e
più notabile di questa.
La mattina seguente il Griso era fuori di nuovo in
faccende, quando don Rodrigo s'alzò. Questo cercò su-
bito del conte Attilio, il quale, vedendolo spuntare, fece
un viso e un atto canzonatorio, e gii gridò : » san Mar-
tino ! »
« Non so cosa vi dire , » rispose don Rodrigo , arri-
vandogli accanto : « pagherò la scommessa ; ma non è
questo quel che più mi scotta. Non v'aveva detto nulla,
perchè, lo confesso, pensavo di farvi rimanere stamattina.
Ma .... Iiasla, ora vi racconterò tutto. »
« Ci ha messo uno zampino quel frate in ipiesf af-
fare, » disse il cugino, dopo aver sentito tutto, con più
serietà che non si sarebbe aspettato da un cervello così
Ijalzano. <» Quel frate, » continuò, « con quel suo fare
di gatta morta, e con quelle sue proposizioni sciocche,
io r ho per un dirillone, e per un impiccione. E voi non
vi siete lidalo di me, non m'avete mai detto chiaro cosa
sia venuto qui a impastocchiarvi 1' altro giorno. » Don
l\odrigo riferì il dialogo. « E voi avete avuto tanta sof-
Irrenza? » esclamò il conte Attilio: « e l'avete lasciato
andare com'era venuto? »
« Che volevat(^ ch'io mi tirassi addosso tulli i cap-
pucciru d' Italia? »
« Non so, » disse il conlc Allibo, « se. in (|ti(i mo-
mento, mi sar(!Ì ricordato (iic ci l'ossero al niomlo al hi
cap|»iiccini (iie tpui temerario birbanle: ma ^ia, antiie
nelle regole della pruden/.a. manca la maniera di pren-
208 I l'HOMESSI SPOSI
tlcrsi soddisfazione anche d'un cappuccino? Bisogna sa-
per raddoppiare a tempo le gentilezze a lutto il corpo, e
allora si può impunemente dare un carico di bastonate
a un membro. Basta: ha scansato la punizione che gli
stava più bene; ma lo prendo io sotto la mia prolezione,
e voglio aver la consolazione d' insegnargli come si parla
co' pari nostri. »
« Non mi fate peggio. »
« Fidatevi una volta, che vi servirò da parente e da
amico. »
« Cosa pensate di fare? »
« Non lo so ancora ; ma lo servirò io di sicuro il frate.
Ci penserò, e il signor conte zio del Consiglio segreto
è lui che mi deve fare il servizio. Caro signor conte zio!
Quanto mi diverto ogni volta che lo posso far lavorare
per me, un politicone di quel calibro ! Doman l'altro sarò
a Milano, e, in una maniera o in un'altra, il frate sarà
servito. »
Venne intanto la colazione , la quale non interruppe
il discorso d'un atfare di queir importanza. Il conte At-
tilio ne parlava con disinvoltura -, e , sebbene ci pren-
desse quella parte che ricliiedeva la sua amicizia per il
cugino e l'onore del nome comune, secondo le idee che
aveva d' amicizia e d'onore, pure ogni tanto non poteva
tenersi di non rider sotto i baffi, di quella bella riuscita.
Ma don Rodrigo , eh' era in causa propria , e che , cre-
dendo di far quietamente un gran colpo, gli era andato
fallilo con fracasso, era agitato da passioni più gravi e
distratto da pensieri più fastidiosi. » Di belle ciarle, »
diceva, « faranno questi mascalzoni, in tutto il contorno.
Ma che m' imporla? In quanto alla giustizia, me ne rido:
prove non ce n' è ; ({uando ce ne fosse , me ne ritierei
ugualmente : a buon conto, ho fatto stamattina avverlire
il console che guardi bene di non far deposizione del-
l'avvenuto. Non ne seguirijbbe nulla : ma le ciarle, quando
vanno in lungo, mi seccano. É anche Iropiio ch'io sia
slato burlato cosi barbaramente. »
CAPITOLO XI. 20!J
4 Avete fatto benissimo, » rispondeva il conte Attilio.
« Codesto vostro podestà gran caparbio, gran lesta
vota, gran seccature criin podestà e poi un galantuo-
mo, UH uomo clic sa il suo dovere ; e appunto quando
s' ba che fare con persone tali, bisogna aver più riguardo
di non metterle in impicci. Se un mescalzone di console
fa una deposizione, il podestà, per quanto sia ben inten-
zionato , bisogna pure clic »
» Ma voi, » interruppe, con un po' di stizza, don Ro-
drigo, « voi guastale le mie faccende , con quel vostro
contraddirgli in tutto, e dargli sulla voce, e canzonarlo
anche, all' occorrenza. Che diavolo, che un podestà non
possa esser bestia e ostinalo , quando nel rimanente è
un galantuomo ! d
1 Sapete, cugino,» disse guardandolo, maravigliato,
il conte Attilio , « sapete , che comincio a credere che
abbiate un po' di paura ? Mi prendete sul serio anche il
podestà »
« Via via, non avete detto voi slesso che bisogna te-
nerlo di conto ? »
t L' ho detto : e quando si tratta d'un alTare serio, vi
farò vedere che non sono un ragazzo. Sapete cosa mi
basta l'animo di far per voi? Son uomo da andare in
vpersona a far visita al signor podestà. Ah! sarà contento
dell'onore? E son uomo da lasciarlo parlari; per mez-
z' ora del conte duca, e del nostro signor castellano spa-
gnolo , e da dargli ragione in tutto , anche quando ne
dirà di quelle così massicce. Butterò poi là qualche pa-
rolina sul conte zio del Consiglio segreto : e sapete che
elfetlo fanno quelle paroline neH' orecchio del signor pò
desta. Alla fin de' conti, ha più bisogno lui della nostra
proiezione , che voi della sua condiscendenza. Farò di
buono, e ci anderò, e ve lo lascerò meglio disposto che mai.»
Dopo queste e altre simili parole, il conte Attilio uscì,
per andare a caccia ; e don Rodrigo stette aspettando con
ansietà il ritorno del Griso. Venne costui fuìalmcnte. sul-
r ora del desinare, a far la sua relazione.
210 I l'ROMESSI SPOSI
Lo scompiglio di quella notte era stato tanto clamo-
roso, la sparizione di tre persone da un paesello era un
tal a\v(Miiniento, clic le ricerche, e per premura e per
curiosità, dovevano naluralmenle essere molt(; e calde e
insistenti; e dalFalIra parte, gì' informati di (piolche cosa
eran troppi, per andar tutti d'accordo a tacer tutto. Per-
petua non poteva farsi veder sull' uscio , che non fosse
tempestata da quello e da quell'altro, perchè dicesse chi
era stato a far quella gran paura al suo padrone : e Per-
petua, ripensando a tutte le circostanze del fatto, e rac-
capezzandosi finalmente eh' era stala infinocchiata da
Agnese, sentiva tanta rabbia di quella perfidia, che aveva
proprio bisogno d'un po' di sfogo. Non già che andasse
lamentandosi col terzo e col quarto della maniera tenuta
per infinocchiar lei : su questo non fiatava ; ma il tiro
fatto al suo proprio padrone non lo poteva passare affatto
sotto silenzio ; e sopra tutto, che un tiro tale fosse stato
concertato e tentato da quel giovine dabbene, da quella
buona vedova , da quella madonnina infilzata. Don Ab-
bondio poteva ben comandarle risolutamente, e pregarla
cordialmente che stesse zitta; lei poteva bene ripetergli
che non faceva bisogno di suggerirle una cosa tanto
chiara e tanto naturale ; certo è che un così gran se-
greto stava nel cuore della povera donna, come, in una
botte vecchia e mal cerchiata, un vino mollo giovine, che
grilla e gorgoglia e ribolle, e, se non manda il lappo per
aria, gli geme all'intorno, e vien fuori in ischiuma, e
trapela tra doga e doga, e gocciola di qua e di là, tanto
che uno può assaggiarlo, e dire a un di presso che vino
è. Gervaso, a cui non pareva vero d'essere una volta più
informato degli altri, a cui non pareva piccola gloria
l'avere avuta una gran paura, a cui, per aver tenuto di
mano a una cosa che puzzava di criminale, pareva d'es-
ser diventato un uomo come gli altri, crepava di voglia
di vantarsene. E (piaidunquc Tonio, che p(>nsava seria-
menta all'inquisizioni e ai processi possibili e al conto
da rendere, gli comandasse, co' pugni sul viso, di non
CAPITOLO XT, 211
dir nulla a nessuno, pure non ci fu verso dì soffoprargli
in bocca ogni parola. Del resto Tonio, anche lui. dopo
essere stato quella notte fuor di casa in ora insolita,
tornandovi, con un passo e con un sembiante insolito, e
con una agitazion d'animo che lo disponeva alla since-
rità, non potè dissimulare il fatto a sua moglie; la quale
non era muta. Clii parlò meno, fu Menico; perchè, ap-
pena ebbe raccontata ai genitori la storia e il motivo della
sua spedizione, parve a questi una cosa così terribile che
un loro figliuolo avesse avuto parte a buttare all' aria
un' impresa di don Rodrigo, che quasi quasi non lascia-
ron finire al ragazzo il suo racconto. Gli fecero poi su-
bito i più forti e minacciosi comandi che guardasse bene
di non far neppure un cenno di nulla : e la mattina se-
guente, non parendo loro d'essersi abbastanza assicurati,
risolvettero di tenerlo chiuso in casa , per quel giorno.
e per qualche altro ancora. Ma che? essi medesimi poi
chiacchierando con la gente del paese, e senza voler mo-
strar di saperne più di loro , quando si veniva a quel
punto oscuro della fuga de' nostri tre poveretti , e del
come, e del perchè, e del dove, aggiungevano, come cosa
conosciuta, che s' eran rifugiati a Pescarenico. Così an-
che questa circostanza eiUrò ne' discorsi comuni.
Con tutti questi brani di notizie, messi poi insieme e
uniti come s'usa, e con la frangia che ci s'attacca na-
turalmente nel cucire, c'era da fare una storia d'una cer-
tezza e d'una chiarezza tale, da esserne pago ogni in-
telletto più critico. Ma ([uella invasion de;' bravi, accidente
troppo grave e trojtpo rumoroso per esser lasciato fuori,
e del quale nessuno aveva una conoscenza un po' posi-
tiva, quell'accidente era ciò che imbrogliava tutta la
storia. Si mormorava il nome di don Rodrigo: in que-
sto andavan lutti d'accordo; nel resto tutto era oscurità
e congetture diverse. Si parlava molto de' due bravacci
ch'erano siali veduti nella strada, sul far della sera, e
dell'auro che stava sull'uscio dell'osteria; madie lume
si poteva ricavane da questo fatto cosi asciiitto? Si do-
212 1 PROMESSI SPOSI
mandava bene all'oslc chi era sialo da lui la sera avanli;
ma l'oste, a dargli retta, non si rammentava neppure se
avesse vedulo gente quella sera ; e badava a dire che
1' osteria è un porlo di mare. Sopra tulio, confondeva le
leste, e disordinava le congetture quel pehegrino vedulo
da Stefano e da Carlandrea, quel pellegrino che i ma-
landrini volevano ammazzare, e che se n'era andato con
loro, 0 che essi avevan portato via. Cos'era venuto a
fare? Era un'anima del purgatorio, comparsa per aiutar
le donne; era un'anima dannata d'un pellegrino bir-
bante e impostore, che veniva sempre di notte a unirsi
con chi facesse di quelle che lui aveva fatte vivendo; era
un pellegrino vivo e vero, che coloro avevan voluto am-
mazzare, per timor che gridasse, e destasse il paese; era
(vedete un po' cosa si va a pensare! ) uno di quegli stessi
malandrini travestito da pellegrino; era questo, era quello,
era tante cose che tulla la sagacità e l' esperienza del
Griso non sarebbe bastata a scoprire chi fosse, se il Griso
avesse dovuto rilevar questa parte della storia da' discorsi
altrui. Ma, come il leltore sa, ciò che la rendeva imbro-
gliala agli altri, era appunto il più chiaro per lui: ser-
vendosene di chiave per interpretare le altre notizie rac-
colte da lui immediatamente, o col mezzo degli esplo-
ratori subordinati, potè di lutto comporne per don Ro-
drigo una relazione bastantemente distinta. Si chiuse su-
bito con lui , e r informò del colpo tentato dai poveri
sposi, il che spiegava naluralmenle la casa trovata vota
e il sonare a martello, senza che facesse bisogno di sup-
porre che in casa ci fosse qualche traditore, come dice-
vano que' due galantuomini. L' informò della fuga ; e
anche a questa era facile trovarci le sue ragioni: il ti-
more degli sposi colti in fallo, o qualche avviso dell' in-
vasione, dato loro quand'era scoperta, e il paese lutto a
soqquadro. Disse finalmente che s' eran ricoverati a Pe-
scarenico ; più in là non andava la sua scienza. Piacque
a don Rodrigo l'esser certo che nessuno l'aveva tradito,
e il vedere che non rimanevano tracce del suo fatto; ma
CAPITOLO xr. 213
fu quella una rapida e leggiera compiacenza. « Fuggiti
insieme! » gridò : « insieme ! E quel frate birbante ! Quel
frate ! » la parola gli usciva arrantolala dalla gola , e
smo/.zicala tra' ileiili, che mordevano il dito: il suo aspetto
era brutto come le sue passioni : « Quel frate me la pa-
gherà. Griso! non son chi sono voglio sapere, voglio
trovare questa sera, voglio saper dove sono. Non ho
pace. A Pescarenico, subito, a sapere, a vedere, a tro-
vare Quattro scudi subilo , e la mia prolezione per
sempre. Questa sera lo voglio sapere. E quel birbone....!
quel frale ....!»
Il Griso di nuovo in campo ; e, la sera di quel giorno
medesimo , potè riportare al suo degno padrone la no-
tizia desiderala: ed ecco in qual maniera.
Una delle pii^i gran consolazioni di questa vila è l'ami-
cizia; e una delle consolazioni dell'amicizia è quell'avere
a cui confidare un segreto. Ora , gli amici non sono a
due a due, come gli sposi ; ognuno, generalmente par-
lando, ne ha più d'uno: il che forma una catena, di cui
nessuno polrebi)e trovar la fine. Quando dunque un amico
si procura (piella consolazione di deporre un segreto nel
seno d'un altro, dà a costui la voglia di procurarsi la
stessa consolazione anche lui. Lo prega, ò vero, di non
dir milla a nessuno: e una tal condizione, chi la pren-
desse nel senso rigoroso delle parole, troncherebbe ini-
medialainenle il corso delle consolazioni. Ma la pratica
generale ha voluto che obblighi soltanto a non confidare
il segreto, se non a chi sia un amico ugualmente fidalo,
e imponendogli la slessa condizione. Cosi, d'amico fidalo
in amico fidalo , il segreto gira e gira per ([uell' im-
mensa catena, tanto che arriva all'urecrhio di colui o di
coloro a cui il primo che ha parlalo intendeva appunto
di non lasciarlo arrivar mai. Avrebbe però ordinaria-
menle a stare un gran pezzo in cammino , se ognuno
non avesse che due amici: ((uello che gli dice, e (pu'llo
a (Ili ridice la cosa da tacersi. Ma ci son degli uomini
privilegiali che li contano a centinaia ; e (juaiulo il so-
I
214 I PROMESSI SPOSI
greto è venuto a imo di questi uomini, i giri divcngon
sì rapidi e si moltiplici, che non è più possibile di se-
guirne la traccia. Il nostro autore non ha potuto accer-
tarsi per quante bocche fosse passato il segreto che il
Griso aveva ordine di scovare : il fatto sta che il buon
uomo da cui erano stale scortate le donne a Monza, tor-
nando, verso le ventitré, col suo baroccio, a Pescarenico,
s'abbattè, prima d'arrivare a casa, in un amico fidato,
al quale raccontò in gran confidenza, l'opera buona che
aveva fatta , e il rimanente ; e il fatto sta che il Griso
potè , due ore dopo , correre al palazzotto , a riferire a
don Rodrigo che Lucia e sua madre s' eran ricoverate
in un convento di Monza, e che Renzo aveva seguitata
la sua strada fino a Milano.
Don Rodrigo provò una scellerata allegrezza di quella
separazione^ e senti rinascere un po' di quella scellerata
speranza d'arrivare al suo in lento. Pensò alla maniera,
gran parte della notte ; e s' alzò presto, con due disegni,
r uno stabilito, l'altro abbozzato. Il primo era di spedire
immantinente il Griso a Monza, per aver più chiare no-
tizie di Lucia , e sapere se ci fosse da tentar qualche
cosa. Fece dunque chiamar subito quel suo fedele, gli
mise in mano i quattro scudi, lo lodò di nuovo dell'abi-
lità con cui gli aveva guadagnati , e gli diede 1' ordine
che aveva premeditato.
« Signore » disse, tentennando, il Griso.
« Che ? non ho io parlato chiaro ? »
« Se potesse mandar qualchedun altro »
« Come ? »
« Signore illustrissimo , io son pronto a metterci la
pelle per il mio padrone : è il mio dovere, ma so anche
che lei non vuole arrischiar troppo la vita de' suoi
sudditi. K
« Ebbene? »
« Vossignoria illustrissima sa bene quelle poche ta-
glie eh' io ho addosso : e Qui son sotto la sua pro-
lezione ; siamo una brigata; il signor podestà è amico
CAPITOLO XI. 215
di casa; i birri mi portan rispetto; e anch'io è cosa
clic fa poco onore, ma per viver quieto li tratto da
amici. In Milano la livrea di vossignoria è conosciuta;
ma in Monza ci sono conosciuto io in vece. E sa
vossignoria che, non fo per dire, chi mi potesse conse-
gnare alla giustizia, o presentar la mia testa, farebbe un
liei colpo? Cento scudi l'uno sull'altro, e la facoltà di
liberar due banditi. »
« Che diavolo ! » disse don Rodrigo : « tu mi riesci
ora un can da pagliaio che ha cuore appena d' avven-
tarsi alle gambe di chi passa sulla porta , guardandosi
indietro se quei di casa lo spalleggiano, e non si sente
d' allontanarsi ! »
s Credo, signor padrone, d'aver date prove .... »
« Dunque ! »
« Dunque, » ripigliò francamente il Griso, messo cosi
al punto , « dunque vossignoria faccia conto eh' io non
abbia parlato: cuor di leone, gamba di lepre, e son pronto
a partire. »
« E io non ho detto che tu vada solo. Piglia con te
un paio de' meglio lo Sfregiato, e il Tiradritto; e va
di buon animo, e sii il Griso. Che diavolo! Tre figure
come le vostre , e che vanno per i fatti loro , chi vuoi
che non sia contento di lasciarle passare ? Bisognerebbe
che a' birri di Monza fosse ben venuta a noia la vita,
per metterla su contro cento scudi a un gioco cosi ri-
schioso. E poi, e poi, non credo d'esser cosi sconosciuto
da (pielle parli, che la (pialilii di mio servitore non ci
si conti per nulla. »
Svergognato così un poco il Griso, gli diede poi più
ampie e particolari istruzioni. Il Griso prese i due com-
pagni , e parti con faccia allegra e baldanzosa . ma be-
stemmiando in cuor suo Monza e le taglie e le donne
e i caiiricci de' padroni : e camminava come il lupo, che
spinto dalla fame, col venln>. raggrinzato, e con le co-
stole che gU si potrebber contare, scende da' suoi monti,
dove non c'è che neve, s'avanza sospettosamente nel
216 1 PROMESSI SPOSI
piano, si l'erma ogni lauto, con una zampa sospesa, di-
menando la coda spelacchiala,
Leva il muso, odoranrlo il votilo infirlo,
se mai gli porti odore d'uomo o di ferro, rizza gli orec-
chi acuti , e gira due occhi sanguigni , da cui traluce
insieme 1' ardore della preda , e il terrore defila caccia.
Del rimanente quel hel verso , chi volesse saper donde
venga, è trailo da una diavoleria inedita di crociate e
di lombardi, che presto non sarà pii!i inedita, e farà un
bel rumore; e io l' lio preso, perchè mi veniva in taglio;
e dico dove^ per non farmi bello della roba altrui: che
qualcheduno non pensasse che sia una mia astuzia per
far sapere che l'autore di quella diavoleria ed io siamo
come fratelli , e eh' io frugo a piacer mio ne' suoi ma-
noscritti.
L'altra cosa che premeva a don Rodrigo, era di tro-
var la maniera che Renzo non potesse più tornar con
Lucia, nò metter piede in paese ; e a questo fine, mac-
chinava di fare sparger voci di minacce e d' insidie, che,
venendogli all'oreccltio, per mezzo di qualche amico, gli
facessero passar la voglia di tornar da quelle parli. Pen-
sava però che la più sicura sarebbe se si potesse farlo
sfrattar dallo stato : e per riuscire in questo, vedeva che
più della forza gli avrebbe potuto servir la giustizia. Si
poteva, per esempio, dare un po' di colore al tentativo
fatto nella casa parrocchiale, dipingerlo come un'aggres-
sione, un atto sedizioso, e, per mezzo del dottore, fare
intendere al podestà ch'era il caso di spedir contro Renzo
una buona cattura. Ma pensò che non conveniva a lui
di rimestar quella brulla faccenda ; e senza star altro a
lamljiccarsi il cervello, si risolvette d'aprirsi col dottor
Azzecca-garl lugli, quanto era necessario per fargli com-
prendere il suo desiderio. — Le gride son tante ! — pen-
sava: — e il dottore non è un'oca; qualcosa che faccia
CAPITOLO XI. 217
al caso mio saprà trovare, qualche garbuglio da azzec-
care a quel villanaccio : allrimenli gii muto nome. — Ma
(come vanno alle volte le cose di questo mondo ! ) in-
tanto che colui pensava al dottore , come all' uomo più
abile a servirlo in questo, un altr'uomo, l'uomo cbe nes-
suno s'immaginerebbe, Renzo medesimo, per dirla, la-
vorava di cuore a servirlo, io un modo più certo e più
spedito di tutti quelli cbe il dottore avrebbe mai saputi
trovare.
Ho visto più volte un caro fanciullo, vispo, per dire
il vero, più del bisogno, ma cbe, a tutti i segnali, mo-
stra di voler riuscire un galantuomo; T bo visto, dico,
più volle afTaccendato sulla sera a mandare al coperto
un suo gregge di porcellini d' India, cbe aveva lasciati
scorrer liberi il giorno, in un giardinetto. Avrebbe vo-
luto fargli andar tutti insieme al covile ; ma era fatica
buttala: uno si sbandava a destra, e mentre il piccolo
pastore correva per cacciarlo nel branco, un altro, due,
tre ne uscivano a sinistra , da ogni parte. Dimodoché ,
dopo essersi un po' impazientito, s'adattava al loro genio,
spingeva prima dentro quelli cb'eran più vicini all'uscio,
poi andava a prender gli altri, a uno, a due, a tre, come
gli riusciva. Un gioco simile ci convien fai'e co' nostri
personaggi : ricoverata Lucia, slam corsi a don Rodrigo;
e ora lo dobbiamo abbandonare, per andar dietro a Renzo,
che avevam perduto di vista.
Dopo la se[)arazione dolorosa cbe ahbiam raccontata,
camminava Renzo da Monza verso Milano, in quello stato
d'animo che ogiunio può immaginarsi lacilmenle. Abban-
donar la casa, tralasciare il mestiere, e (luel ch'era più
di tutto, allontanarsi da Lucia, trovarsi sur una strada,
senza saper dove allibirebbe a posarsi ; e tutto per causa
di (Ilici Itirhone ! Quando si tratteneva col pensiero sul-
l'una o sull'altra di (piesle cose, s'ingollava tutto nella
rabbia, e nel desiderio della vendetta; ma gli tornava
poi in mente quella preghiera che aveva recitata anche
lui col suo buon frate, nella chiesa di PescanMiico; e si
VOL. I. 1(1
218 I PROMESSI SPOSI
ravvedeva : gli si risvegliava ancora la slizza : ma ve-
dendo un'immagine sul muro, si levava il eappello, e
si fermava un momento a pregar di nuovo : tanto die,
in quel viaggio, ebbe ammazzato in cuor suo don Ro-
<lrigo, e risuscitatolo, almeno venti volle. La strada era
allora tutla sepolta tra due alte rive, fangosa, sassosa,
solcala da rotaie profonde, clie, dopo una pioggia, dive-
nivan rigagnoli ; e in certe parli più basse , s' allagava
tutta , che si sarebbe potuto andarci in barca. A que'
passi, un piccol sentiero erto, a scalini, sulla riva, indi-
cava che altri passeggieri s'eran fatta una strada ne' campi.
Renzo, salito per un di que' valichi sul terreno più elevato,
vide quella gran macchina del duomo sola sul piano,
come se, non di mezzo a una città, ma sorgesse in un
deserto; e si fermò su due piedi, dimenticando tutti i
suoi guai, a contemplare anche da lontano queir oliava
maraviglia, di cui aveva tanto sentilo parlare fin da bam-
liino. Ma dopo qualche momento, voltandosi indietro, vide
all'orizzonte quella cresta frastagliala di montagne, vide
distinto e alto tra quelle il suo fìesecjone, si sentì tutto
riraestolare il sangue, stette lì alquanto a guardar tripla-
mente da quella parte, poi tristamente si voltò, e seguitò
la sua strada. A poco a poco cominciò poi a scoprir cam-
panili e torri e cupole e tetti; scese allora nella strada,
camminò ancora qualche tempo, e quando s'accorse d'es-
ser ben vicino alla città , s' accostò a un viandante , e,
inchinatolo, con tutto quel garbo che seppe, gli disse:
« di grazia, quel signore. »
« Che volete, bravo giovine? »
« Saprebbe insegnarmi la strada più corta, per an-
dare al convento de' cappuccini dove sta il patire Bona-
ventura? »
L' uomo a cui Renzo s' indirizzava, era un agiato abi-
tante del contorno, che, andato quella manina a Milano,
per certi suoi affari, se ne tornava, senza aver fallo nulla,
in gran fretta, che non vedeva l'ora di trovarsi a casa,
e avrebbe fatto volentieri di meno di quella fermata. Con
CAPITOLO XI. 219
lutto ciò, senza dar segno d'impazienza, rispose molto
gentilmente: « figliuol caro, de' conventi ce n'è più d'uno:
bisognerebbe cbe mi sapeste dir più chiaro quale è quello
che voi cercate. » Renzo allora si levò di seno la lettera
del padre Cristoforo, e la fece vedere a quel signore, il
quale, lettovi: porta orientale, gliela rendette, dicendo:
« siete fortunato, bravo giovine : il convento che cercate
ò poco lontano di qui. Prendete per questa viottola a
mancina : è una scorciatoia : in pochi minuti arriverete
a una cantonata d'una fabbrica lunga e bassa: è il laz-
zaretto; costeggiate il fossato che lo circonda, e riusci-
rete a porla orientale. Entrale, e, dopo Ire o quattrocento
passi, vedrete una piazzetta con de' begli olmi : là è il
convento: non potete sbagliare. Dio v' assista, bravo gio-
vine. » E, accompagnando l'ultime parole con un gesto
grazioso della mano, se n'andò. Renzo rimase stupefatto
e edificato della buona maniera de' cittadini verso la genie
di campagna ; e non sapeva ch'era un giorno fuor del-
l'ordinario, un giorno in cui le cappe s' inchinavano ai
farsetti. Fece la strada che gli era slata insegnata, e si
trovò a porta orientale. Non bisogna però, che a questo
nome, d lettore si lasci corren; alla fantasia l' immagini
che ora vi sono associale. Quando Renzo entrò per quella
porla, la strada al di fuori non andava diritta che per
tutta la lunghezza del lazzaretto ; poi scorreva serpeg-
giante e stretta, tra due siepi. La porta consisteva in due
pilaslri, con sopra una tettoia, per riftarare i ballenii. o
da una parie, una casiuTÌa per i galiellini. l ha-^lioni
scendevano in pendio irregolare, e il terreno era una
superlicie aspra e inuguale di rottami e di cocci buttali
là a caso. La si rada che s'apriva dinanzi a chi entrava
per quella porta, non si i)aragonerebbe male a quella
che ora si presenta a chi entri da porla Tosa. Un l'os-
salcllo l(^ scorreva nel mezzo, lino a poca disianza dalla
porla, e la divideva cosi in due slradelle tortuose, ri-
coperte di polvere o di fango, secondo la stagione. Al
punto dov'era, e dov'è lullora ([nella viuzza chiamala di
220 I PROMESSI SPOSI
BorglioUo, il fossatollo si perdeva in una fop:nn. Li c'era
lina colonna, con sopra ima croce, della di san Dionigi:
a desira e a sinislra. erano orli cinti di siepe e. ad in-
tervalli, casucce, abitale per lo più da lavandai. Renzo
entra, passa; nessuno de' gabellini gli bada : cosa che gli
parve strana, giacché , da que' pochi del suo paese che
potevan vantarsi d'essere stati a Milano, aveva sentilo
raccontar cose grosse de' frugamenti e dell' interroga-
zioni a cui venivan sottoposti quelli che arrivavan dalla
campagna. La strada era deserta , dimodoché , se non
avesse sentito un ronzio lontano che indicava un gran
movimento , gli sarebbe parso d' entrare in una città
disabitata. Andando avanti, senza saper cosa si pensare,
Aide per lerra certe strisce bianche e soffici, come di
neve ; ma neve non poteva essere ; che non viene a stri-
sce, ne, per il solito , in quella stagione. Si chinò sur
una di quelle, guardò, toccò, e trovò eh' era farina. —
Grand' abbondanza, — disse tra se, — ci dev' e.s.sere in
Milano, se straziano in questa maniera la grazia di Dio.
Ci davan poi ad intendere che la carestia è per tutto.
Ecco come fanno, per tener quieta la povera gente di
campagna. — Ma, dopo pochi altri passi, arrivato a fianco
della colonna, vide, appiè di quella, qualcosa di più strano;
vide sugli scalini del piedestallo certe cose sparse, che
certamente non eran ciottoli, e se fossero stale sul banco
d'un fornaio, non si sarebbe esitato un momento a chia-
marli pani. Ma Renzo non ardiva creder cosi presto a'
suoi occhi ; perchè, diamine! non era luogo da pani quello.
— Vediamo un po' che alTare è questo, — disse ancora
Ira se; andò verso la colonna, si chinò, ne raccolse uno:
era veramente un pan tondo bianchissimo, di (incili che
Renzo non era solito mangiarne che nelle solennità. —
È pane davvero! — disse ad alta voce; lanla era la sua
maraviglia : — cosi lo seminano in questo paese? in que-
st'anno? e non si scomodano neppure per raccoglierlo,
quando cade? Che sia il paese di cuccagna (pieslo? —
Dopo dieci miglia di slraila, all'aria fresca della inaltina.
CAPITOLO XI. 221
quel pane, insieme con la maraviglia, gli risvegliò l'ap-
pelilo. — Lo piglio? — deliberava Ira sé: — poh I l'han-
no lascialo qui alla discre/.ion de' cani : lanl' è che ne
goda anche ini ci-isliaiio. Alla fine, se comparisci» il pa-
drone, glielo pagherò. — Cosi pensando, si mise in una
tasca quello clic aveva in mano, ne prese un secondo, e
lo mise neir altra; un terzo, e cominciò a mangiare; e
si rincamminò, più incerto che mai, e desideroso di chia-
rirsi che storia fosse quella. Appena mosso, vide spuntar
gente che veniva dall' interno della cillcà , e guardò at-
tentamente quelli che apparivano i primi. Erano un uomo,
una donna e, qualche passo indietro, un ragazzotlo; tut-
t' e tre con un carico addosso, che pareva superiore alle
loro forze, e tutfe Ire in una figura strana. I vesliti o
gli stracci infarinati: infarinati i visi, e di più stravolti
e accesi; e andavano, non solo curvi, per il peso, ma
sopra doglia, come se gli fossero state peste l'ossa. L'uo-
mo reggeva a stento sulle spalle un gran sacco di fa-
rina, il quale, bucato qua e là, ne seminava un poco, a
ogni intoppo, a ogni mossa disequilibrala. Ma più scon-
cia era la figura della donna : un pancione smisurato.
che pareva tenuto a fatica da due braccia piegate: come
una pentolaccia a due manichi ; e di sotto a quel pan-
cione uscivan due gamlx^, nude fin sopra il ginocchio,
che venivano innanzi liarcollando. Renzo guardò più at-
tenlamente, e vide che quel gran corpo era la sollana
che la donna teneva per il lembo , con dentro farina
quanta ce ne poteva staro, e un po' di più; dimodochò,
(piasi a ogni passo, ne volava via una ventala. Il ragaz-
zotlo teneva con tuli' e due le mani sul capo una paniera
colma di pani; ma per aver le ganilu' più cuile de' suoi
genitori, rimaneva a poco a poco indieiro, e, allungando
poi il passo ogni tanto, per raggiungerli, la paniera per-
deva l'equilibrio, e (fualche pane cadeva.
« Bnllane via ancor un allio, buono a nienle che sei,»
disse la madre, digrignando i denli wrso il ragazzo.
« Io non li liutlo via; cascan da sé: confilo a l'are"? »
risposi; quello.
222 1 PROMESSI SPOST
« lii ! buon por te, die lin le mani impirciate, <> ri-
prese la donna, dimenando i pugni, come se desse una
buona scossa al povero ragazzo ; e, con quel movimento,
fece volar via più farina, di quel cbc ci sarebbe voluto per
farne i due pani lasciali cadere allora dal ragazzo. « Via,
via,» disse l'uomo: « torneremo indietro a raccoglierli,
0 qualcbeduno li raccoglierà. Si stenta da tanto tempo: ora
elle viene un po' d'abbondanza, godiamola in santa pace. "
Intanto arrivava altra gente dalla porta; e uno di que-
sti, accostatosi alla donna, le domandò : « dove si va a
prendere il pane ? y
« Pili avanti, » rispose quella; e (juando furon lontani
dieci passi, soggiunse borbottando: « questi contadini
birboni verranno a spazzar tutti i forni e tutti i magaz-
zini, e non resterà piij niente per noi. »
e Un po' per uno, tormento clie sei, » diss.' il marito :
« abbondanza, abbondanza. »
Da queste e da altrettali cose die vedeva e sentiva,
Renzo cominciò a raccapezzarsi eh' era arrivato in una
città sollevata, e che quello era un giorno di conquista,
vale a dire che ognuno pigliava, a proporzione della vo-
glia e della forza, dando busse in pagamento. Per quanto
noi desideriamo di far fai'e buona figura al nostro po-
vere montanaro, la sincerità storica ci obbliga a dire cIk;
il suo primo sentimento fu di piacere. Aveva cosi poco
da lodarsi dell'andamento ordinario delle cose, che si
trovava inclinato ad approvare ciò die lo mutasse in qua-
lunque maniera. E del resto, non essendo punto un uomo
superiore al suo secolo , viveva anche lui in quell' opi-
nione 0 in quella passione comune, che la scarsezza del
pane fosse cagionata dagl'incettatori e da' fornai; ed era
disposto a trovar giusto ogni modo di strappar loro dalle
mani l'alimento die essi, secondo quell'opinione, negava-
no crudelmente alla fame di tutto un popolo. Pure, si pro-
pose di star fuor del tumulto, e si rallegrò d'esser diretto
a un cappuccino, che gli troverebbe ricovero, e gli farebbe
da padre. Così pensando, e guardando intanto i nuovi
CAPITOLO XI. 223
conquista tori che venivano carichi di preda, fece quella
po' di strada che gli rimaneva per arrivare al convento.
Dove ora sorge quel bel palazzo , con queir allo log-
giato, c'era allora, e c'era ancora, non son moli' anni,
una piazzetta, e in fondo a quella la chiesa e il convento
de' cappuccini , con quattro grand' olmi davanti. Noi ci
rallegriamo, non senza invidia, con quo' nostri lettori che
non han viste le cose in quello stato : ciò vuol dire che
son molto giovani, e non hanno a\uto tempo di far molte
corbellerie. Renzo andò diritto alla porta , si ripose in
seno il mezzo pane che gli rimaneva, levò fuori e teime
preparala la lettera , e tirò il campanello. S' aprì uno
sportellino che aveva una grata, e vi comparve la faccia
del frate portinaio a domandar chi era.
« Uno di campagna, che porta al padre Bonaventura
una lettera pressante del padre Cristoforo. »
« Date qui, » disse il portinaio, mettendo una mano
alla grata.
& No, no, !> disse Renzo : « gliela devo consegnare in
proprie mani. »
« Non è in convento. »
« Mi lasci entrare, che l' aspetterò. »
« Fate a mio modo , » rispose il frale : « anelale a
aspettare in chiesa , che intanto potrete fare un po' di
bene. In convento, per adesso, non s'entra. » E dello
questo, richiuse lo sportello. Renzo rimase lì, con la sua
lettera in mano. Fece dieci passi verso la porla della
chiesa, per seguire il consiglio del portinaio: ma poi
pensò di dar prima un'altra occhiata al tumullo. Attra-
versò la piazzetta , si porlo suU' orlo della strada , e si
fermò, con le braccia incrociate sul petto, a guardare a
sinistra, verso l' interno della città, dove il brulichio era
piti l'ulto e più rumoroso. Il vortice attrasse lo spetta-
tore. — Andiamo a vedei'e, — disse tra sé; tirò fuori
il suo mezzo pane , e sbocconcellando , si mosse verso
quella parte. Intanto che s' incammina, noi racconteremo,
più brevemente che sia possibile, le cagioni e il princi-
pio di (lucilo sconvolgiuicnlo.
CAPITOLO XII.
Era quello il sccond'anno di raccoKa scarsa. NelFau-
tecendeiilc , le provvisioni rimasle degli anni addietro
avevan supplito, fino a un certo segno, al difetto; e la
popolazione era giunta, non satolla né a (Tania la, ma, cerio,
affatto sprovveduta, alla messe del 1628, nel quale siamo
con la nostra storia. Ora, questa messe tanto desiderata
riuscì ancor più misera della precedente, in parte per
maggior contrarietà delle stagioni (e questo non solo
nel milanese, ma in un buon tratto di paese circonvi-
cino); in parte per colpa degli uomini. Il guasto e lo
sperperìo della guerra, di quella bella guerra di cui ab-
biam fatto menzione di sopra, era tale, die, nella parte
dello stato più vicina ad essa, molti poderi pii!i dell'or-
dinario rimanevano incolti e abbandonati da' contadini,
i quali, in vece di procacciar col lavoro pane per sé e
per gli altri, eran costretti d'andare ad accattarlo per
carità. Ho detto: piìi dell'ordinario; percbe le insoppor-
tabili gravezze, imposte con una cupidigia e con un" in-
sensatezza del pari sterminate, la condotta abituale, an-
che in piena pace, delle truppe alloggiate nei paesi, con-
dona che i dolorosi documenti di que' tempi uguagliano
1 PROMESSI SPOSI, CAPITOLO XII. 225
a qiiolla d'un nemico invasore, altre cagioni che non è
qui il luogo (li mentovare , andavano gicà da qualche
tempo operando lentamente quel tristo elTiMlo in tutto
il milanese: le circostanze particolari di cui ora parlia-
mo, erano come una repentina esacerha/.ione d'uiì mal
cronico. E quella qualunque raccolta non era ancor fi-
nita di riporre, che le provvisioni per l'esercito, e lo
sciupinio che sempre le accompagna, ci fecero dentro un
tal voto, che la penuria si fece suhito sentire, e con la
penuria quel suo doloroso, ma salutevole come inevitahile
effetto, il rincaro.
Ma quando questo arriva a un certo segno, nasce sem-
pre (o almeno è sempre nata finora; e se ancora, dopo
tanti scritti di valentuomini, pensate in quel tempo!),
nasce un' opinione ne' molti, che non ne sia cagione la
scarsezza. Si dimentica d'averla temuta, predetta; si
suppone tutl'a un tratto che ci sia grano abbastanza, e
che il male venga dal non vendersene abbastanza, per il
consumo: supposizioni che non stanno nò in cielo, ne in
terra; ma che lusingano a un tempo la collera e la spe-
ranza. Gì' incettatori di grano , reali o immaginari , i
possessori di terre , che non lo vendevano lutto in un
giorno, i fornai che ne compravano, lutti coloro in som-
ma che ne avessero o poco o assai, o che avessero il
nome d' averne, a questi si dava la colpa della penuria
e del rincaro, questi erano il bersaglio <lel lamento uni-
versale, r abbominio della moltitudine male e ben ve-
stita. Si diceva di sicuro dov'erano i magazzini, i gra-
nai, colmi, traboccanti, appuntellati; s'indicava il numero
de' sacchi, spropositato; si parlava con certezza dell'im-
mensa (juantità di granaglie che veniva spedita segre-
tamente in altri paesi; ne' ([uali probaltilinenle si gri-
dava, con altrettanta sicurezza e con IVemilo ugnale, che
le granaglie di là venivano a Milano. S'imploravan da"
magistrati que' provvedimenti , che alla molililndine
paion sempre o almeno sono sempn; parsi linofa. cosi
giusti, cosi semplici, cosi alti a far saltar fiioii il grano,
220 1 PROMESSI SPOSI
nascoslo, muralo, sepolto, corno dicevano, o a far ritor-
nar l'abbondanza. I magistrati qiialclie cosa facevano:
coiiu' di siabiliie il prezzo massimo d'alcune derrate,
d'intimar pene a clii ricusasse di vendere, e altri editti
di (jnel genere. Siccome perù tutti i provvedimenti di
({ueslo mondo, per quanto siano gagliardi, non hanno
virtù di diminuire il bisogno del cibo, né di far venire
derrate fuor di stagione ; e siccome questi in ispecie non
avevan certamente quella d' attirarne da dove ce ne po-
tesse essere di sopprabbondanti: così il male durava e
cresceva. La moltitudine attribuiva un tale effetto alla
scarsezza a alla debolezza de' rimedi, e ne sollecitava ad
alte grida de'piìi generosi e decisivi. E per sua sventura^
trovò l'uomo secondo il suo cuore.
Nell'assenza del governatore don Gonzalo Fernandez
de Cordova, che comandava l'assedio di Casale del 3Ion-
ferrato, faceva le sue veci in Milano il gran cancelliere
Antonio Ferrer, pure spagnolo. Costui vide^ e chi non
l'avrebbe veduto? che l'essere il panca un prezzo giu-
sto, è per sé una cosa molto desiderabile; e pensò, e
qui fu lo sbaglio, che un suo ordine potesse bastare a
produrla. Fissò la mela (cosi chiamano qui la tariffa in
materia di commestibili), fissò la meta del pane al prezzo
che sarebbe stato il giusto, se il grano si fosse comu-
nemente venduto trentalrè lire il moggio: e si vendeva
fino a ottanta. Fece come una donna stata giovine, che
pensasse di ringiovinire, alterando la sua fede di bat-
tesimo.
Ordini meno insensati e meno iniqui eran, più d'una
volta, per la resistenza delle cose stesse, rimasti inse-
guili: ma all'esecuzione di questo vegliava la moltitu-
dine, che, vedendo fliialmente convertito in legge il suo
desiderio, non avrebbe solTerto che fosse per celia. Ac-
corse subito ai forni, a chieder pane al prezzo tassato;
e lo chiese con quel fare di risolutezza e di minaccia,
che danno la passione , la forza e la legge riunite in-
sieme. Se i fornai strillassero, non lo domandale. In tri-
IIAPITOLO XII. 2^7
dero, dimenare, infornare e sfornare senza posa ; perche
il poi)Olo, sentendo in confuso, che l'era una cosa vio-
lenta, assediava i forni di continuo, per goder quella cuc-
cagna fin che durava ; affacchinarsi, dico, e scalmanarsi
pili del solito, per iscapitarci, ognun vede che hel pia-
cere dovesse essere. Ma, da una parte i magistrali che
intimavan pene, dall'altra il popolo che voleva esser ser-
vito, e, punto punto che qualche fornaio indugiasse, pres-
sava e brontolava, con quel suo vocione , e minacciava
una di quelle sue giustizie, che sono delle peggio che si
facciano in questo mondo; non c'era redenzione, biso-
gnava rimenare, infornare, sfornare e vendere. Però, a
farli continuare in quell'impresa, non bastava che fosse
lor comandato, né che avessero molta paura; bisognava
potere: e un po' più che la cosa fosse durata, non avreb-
bero pii^i potuto. Facevan vedere ai magistrali l'iniquità
e l'insopportabilità del carico imposto loro, protestavano
di voler gettare la pala nel forno, e andarsene; e in-
tanto tiravano avanti come potevano, sperando che, una
volta 0 l'altra, il gran cancelliere avrebbe inteso la ra-
gione. Ma Antonio Fcrrer, il quale era quel che ora si
direbbe un uomo di carallere, rispondeva che i fornai
s'erano avvantaggiati molto e poi mollo nel passato, che
s'avvantaggerebbero molto e poi mollo col ritornar del-
l'abbondanza; che anclie si vedrebbe, si penserebbe forse
a dar loro qualche risarcimento; e che intanto tirassero
ancora avanti. 0 fosse veramente persuaso lui di queste
ragioiù che allegava agli altri, o che, ancbe conoscendo
dagli effetti l'impossibililà di mantener quel suo editto,
volesse lasciare agli altri l'odiosità di rivocarlo ; giacche,
chi può ora entrai' nel cervello d'Antonio Fcrrer? il
fallo sia che rimase fermo su ciò che aveva stabililo.
Finalmente i decurioni (un magistrato municipale com-
posto di nobili, che durò (Ino al novanlasei del secolo
.scorso) informaron per lederà il governatore, dello slato
in cui eran le cose: trovasse lui qualche ripiego, che
le facesse andan.'.
228 1 PROMESSI SPOSI
Don Gonzalo, ingolfalo fin sopra i capelli nelle fac-
cende! (Iella iruerra, fece ciò che il lellore s'immatrina
cerlamenle: nominò una triunla, alla quale conferi l'au-
torilà di stabilire al pane un prezzo che potesse correre;
una cosa da poterci campar lanlo una parie che l'altra.
I deputati si radunarono, o come si diceva spafrnolesca-
mente nel gergo segretariesco d'allora, si giuntarono;
e dopo mille riverenze, complimenti, preamboli, sospiri,
sospensioni, proposizioni in aria, tergiversazioni, strasci-
nati tutti verso una deliberazione da una necessità sen-
tita da lutti, sapendo bene che giocavano una gran carta,
ma convinti che non c'era da far allio, conclusero di
rincarare il pane. I fornai respirarono; ma il popolo im-
beslialì.
La sera avanti questo giorno in cui Renzo arrivò in
Milano, le strade e le piazze brulicavano d' uomini, che
trasportati da una rabbia comune, predominati da un
pensiero comune, conoscenti o estranei, si riunivano in
crocchi, senza essersi dati l'intesa, quasi senza avveder-
sene, come gocciole sparse sullo stesso pendio. Ogni di-
scorso accresceva la persuasione e la passione degli udi-
tóri, come di colui che l'aveva proferito. Tra tanti ap-
passionati, c'eran pure alcuni di sangue freddo , i quali
stavano osservando con molto piacere, che l'acqua s'an-
dava intorbidando: e s'ingegnavano d'intorbidarla di
pili, con que' ragionamenti, e con quelle storie che i
furbi sanno comporre e che gli animi alterati sanno cre-
dere: e si proponevano di non lasciarla posare , quel-
l'acqua, ^enza farci un po' di pesca. Migliaia d'uomini
andarono a letto col sentimento indeterminato che qual-
che cosa bisognava fare, che qualche cosa si farebbe.
Avanti giorno, le strade eran di nuovo sparse di croc-
chi; fanciulli, donne, uomini, vecchi, operai, poveri, si
radunavano a sorte: qui era un bisbiglio confuso di molte
voci; là uno predicava, e gli altri appla'ulivano; questo
faceva al più vicino la stessa domanda ch'era allora stala
fatta a lui; quest'altro ripeteva l'esclamazione che s'era
CAPITOLO XII. 229
sentita risuonare agli orecclii; per tutto lamenti, minacce,
maraviglie: un piccol numero di vocaboli era il mate-
riale di tanti discorsi.
Non mancava altro che un'occasione, una spinta, un
avviamento qualunque, per ridurre le parole a fai ti; e
non lardò mollo. Uscivano, sul far del giorno, dalle bot-
teglie de' fornai i garzoni che. eoa una gerla carica di
pane, andavano a portarne alle solite case. Il primo com-
parire d'uno di que' malcapitati ragazzi dov'era un croc-
chio di gente, fu come il cadere d'un salterello acceso
in una polveriera. « Ecco se c'è il pane! » gridarono
cento voci insieme. « Si, per i tiranni, che notano nel-
l'abbondanza, e voglion far morire noi di fame, » dice
uno; s'accosta al ragazzetto, avventa la mano all'orlo
della gerla, dà una stratta, e dice: « lascia vedere. » Il
ragazzetto diventa rosso, pallido, trema, vorrebbe dire:
lasciatemi andare; ma la parola gli muore in l)occa; al-
lenta le braccia, e cerca di liberarle in frolla dalle ci-
gno. « Giù quella gerla, » si grida intanto. Molte mani
l'afTerrano a un tempo; è in terra; si butta per aria il
canovaccio che la copre; una tq)i(la fragranza si dif-
roiide all'intorno. « Siam cristiani anche noi: dobbiamo
mangiar pane anche noi, » dice il primo; prende nn
pan tondo, l'alza, facendolo veder alla folla, T addenta:
mani alla gerla, pani per aria; in raen che non si dice,
fu sparecchialo. Coloro a cui non era toccato nulla, ir-
ritati alla vista del guadagno altrui, e animati dalla fa-
cilità dell' impresa, si mossero a branchi, in cerca d'al-
Ire gerle: (pianle inconti'ale. tante svaligiale K non c'era
neppur bisogno di dar l'assalto ai portatori: (luelli che,
per loro disgrazia, si trovavano in giro, vista la mala pa-
rata, posavano volontariamente il carico, e via a gamlie.
Con tutto ciò, coloro che rimain^vano a denti secchi, erano
senza paragone i più; anche i conquistatori n(»n ei'an
soddisfatti di iirede così piccole, e, mescolati poi con gli
uni e con gli altri, c'eran coloro che avevan fallo dise-
gno sopra un disoi'diiK» più co' lìoccbi. « Al forno! al
forno ! ^ si grida-
230 [ PROMESSI SPOSI
Nella strada chiamala la Corsia de' Servi, c'era, e
c'è tuttavia un forno, che conservalo slesso nome, no-
me che in toscano viene a dire il forno delle grucce, e in
milanese ò composto di parole cosi eteroclite, così bi-
shetiche, cosi salvatichc, che l'alfal)eto della lingua non
ha i segni per indicarne il suono ('). A quella parte
s'avventò la gente. Quelli della hottega stavano interro-
gando il garzone torna tu scarico, il quale, tutto sbigot-
tito e abbaruffato, riferiva balbettando la sua trista av-
ventura; quando si sente un calpestìo e un urlìo in-
sieme; cresce e s'avvicina; compariscono i forieri della
masnada.
Serra, serra; presto, presto: uno corre a chiedere
aiuto al capitano di giustizia; gli altri chiudono in fretta
la bottega, e appuntellano i l)atlenli. La gente comin-
cia a affollarsi di fuori, e a gridare: « pane! pane!
aprite! aprile! »
Pochi momenti dopo, arriva il capitano di giustizia,
con una scorta d'alal)ardieri. « Largo, largo, figliuoli:
a casa, a casa; fate luogo al capitano di giustizia,» grida
lui e gli alabardieri. La gente, che non era ancor troppo
fìtta, fa un po' di luogo; dimodoché (pielli poterono arri-
vare, e postarsi, insieme, se non in ordine, davanti alla
porta della bottega.
« Ma figliuoli, » predicava di li il capitano, & che fate
qui? A casa, a casa. Dov'è il timor di Dio? Che dirà il
re nostro signore? Non vogliam farvi male; ma andate
a casa. Da bravi! Che diamine volete far qui, così am-
montati? Niente di bene, ne per T anima, ne per il corpo.
A casa, a casa. »
Ma quelli che vedevan la faccia del dicitore, e senli-
van le sue parole, quand' anche avessero voluto ubbidire,
dite un poco in che maniera avrebber potuto, spinti com'e-
rano, e incalzali da quelli di dietro, spinti anch'essi da
altri, come llutti da flutti, via via fino airestremità della
folla, che andava sempre crescendo. Al capitano, coiiiin-
(*) El pieslin di scansc. .
CAPITOLO XII. 231
ciava a mancargli il respiro. « Fateli dare addietro eh' io
possa riprender fiato, » diceva agli alabardieri: «ma non
fate male a nessuno. Vediamo d' entrare in bottega: pic-
chiate: fateli stare indietro. ■»
« Indietro! indietro! » gridano gli alabardieri, but-
tandosi tutti insieme addosso ai primi, e respingendoli
con l'aste dell'alabarde. Quelli urlano, si tirano indie-
tro, come possono ; danno con le schiene ne' petti , co'
gomiti nelle pance, co' calcagni sulle punte de' piedi
a quelli che son dietro a loro: si fa un pigìo, una calca,
che (|uelli che si trovano in mezzo , avrebbero pagato
(pialcosa a essere altrove. Intanto un po' di vóto s'è fatto
davanti alla porta: il capitano picchia, ripicchia, urla die
gli aprano: quelli di dentro vedono dalle finestre, scendon
di corsa, aprono; il capitano entra, chiama gli alabardieri,
che si ficcan dentro anch'essi l'un dopo l'altro, gli ultimi
rattenendo la folla con l'alabarde. Quando sono entrali
tutti, si mette tanto di catenaccio, si riappuntella: il ca-
pitano sale di corsa, e s'affaccia a una finestra. Uh, che
formicolaio!
« Figliuoli,» grida: molti si voltano in su: «figliuoli,
andate a casa. Perdono generale a chi torna subito a
casa. »
« Pane! Pane! aprite! aprili;! » eran le parole iiiìi
distinte nell'urlìo oi'i'eiido, che la folla man(la\a in ri-
sposta.
« Giudizio. fi.Lilinoli! badale bene! siete ancora a tempo.
Via, andate, tornate a casa. Pane, ne avrete; ma non è
questa la maniera. Eh!.... eh! che fate laggiù! Kb!
a quella porta! Oibò oihò! Vedo, vedo: giudizio! badale
bene! è un delitto grosso. Or ora vengo io. Eh! eh!
smcllele con (pie' ferri; giù (pielle mani. Ver.uogiia! Voi
allri milanesi, cli(\ per la bontà, sieie nominali in tulio
il inondo! Seiilile, seiilile : siele seni[)i'e siali buoni li
Ah canaglia! »
Questa rapida mutazioni! di stile lìi i-.i^iionala da una
pietra che, uscita dalle inani diino di i|iie' buoni li-
232 I PROMESSI SPOSI
giiuoli , venne a baller nella fronle del capitano, sulla
proluberanza sinistra della profondila nielafisica. « Cana-
glia! canaglia! » continuava a gridare, cliindcndo pre-
sto presto la finestra, e ritirandosi. Ma quantunque^ avesse
gridato quanto n' aveva in canna, le sue parole, buone e
cattive, s'eran tutte dileguate e disfatte a mezz'aria, nella
tempesta delle grida che venivan di giù. Quello poi che
diceva di vedere, era un gran lavorare di pietre, di t'erri
(i primi che coloro avevano potuto proccacciarsi per la
strada), che si faceva alla porta, per sfondarla, e alle
finestre, per svellere l' inferriate : e già 1' opera era molto
avanzata.
Intanto, padroni e garzoni della bottega, ch'erano alle
finestre de' piani di sopra, con una munizione di pietre
(avraono probabilmente disselciato un cortile), urlavano
e facevau versacci a quelli di giù, perchè smettessero;
facevan vedere le pietre, accennavano di volerle buttare.
Visto eh' ei'a tempo perso, cominciarono a buttarle dav-
vero, Neppur una ne cadeva in fallo; giacche la calca era
(ale che un granello di miglio, come si suol dire, non
sarebbe andato in terra.
« Ah birboni! ah furfantonil É questo il pane che
date alla povera gente? Ah! Ahimè! Ohi! Ora, ora! »
s'urlava di giù. Più d' uno fu conciato male; due ragazzi
vi rimasero morti. Il furore accrebbe le forze della mol-
titudine: la porla fu sfondata, l'inferriate, svelte; e il tor-
rente penetrò per lutti i varchi. Quelli ili dentro, ve-
dendo la mala parata, scapparono in sofììlla: il capitano,
gli alabardieri, e alcuni della casa stettero lì rannicchiati
ne' cantucci; altri, uscendo per gli abbaini, andavano su
pe' tetti, come i gatti.
La vista della preda fece dimenticare ai vincitori i di-
segni di vendette sanguinose. Si slanciano ai cassoni; il
pane è messo a ruba. Qualcheduno in vece corre al banco,
butta giù la serratura, agguanta le ciotole, piglia a ma-
nate, intasca, ed esce carico di quattrini, per tornar poi
a rubar pane, se ne rimarrà. La folla si sparge ne'magaz-
CAPITOLU XII. 533
Zini. Mctlonmano ai sacchi, lislrascicano, li rovesciano: chi
se ne caccia uno tra le gambe, gli scioglie la bocca, e per
i'idurlo a un carico da potersi portare, butta via una
parie della farina: chi, gridando: « aspetta, aspetta, »
si china a parare il greml)iule, un fazzoletto, il cappello,
per ricever quella grazia di Dio; uno corre a una ma-
dia, e prende un pezzo di pasta, che s'allunga, e gli
scappa da ogni parte ; un altro , che ha conquistato un
burattello, lo porta per aria: chi va, chi viene: uomini,
donne, fanciulli^ spinte, rispinte, urli^ e un bianco pol-
verìo che per tutto si posa^ per tutto si solleva, e tutto
vela e annebbia. Di fuori , una calca composta di due
processioni opposte, che si rompono e s'intralciano a
vicenda, di chi esce con la preda, e di chi vuol entrare
a farne.
Mentre quel forno veniva cosi messo sottosopra, nes-
sun altro della città era quieto e senza pericolo. Ma a
nessuno la gente accorse in numero tale da potere in-
traprender tutto ; in alcuni , i padroni avevan raccolto
degli ausiliari, e stavan sulle difese; altrove, trovandosi
in pochi, venivano in certo modo a patti: distribuì van
pane a quelli che s' eran cominciati a affollare davanti
alle botteghe, con questo che se n'andassero. E quelli
se n'andavano, non tanto perchè fosser soddisfatti, quanto
perchè gli alal)ardieri t; la sbirraglia^ stando alla larga
da quel Iremendo forno delle grucce , si facevan perù
vedere altrove, in forza bastante a tenere in rispetto i
tristi che non fossero una folla. Cosi il trambusto andava
sempre crescendo a quel primo disgraziato forno; per-
chè tutti coloro che gli pizzicavan le mani di far ([ual-
che beli' impresa, correvan là, dove gli amici erano i più
forti, e r impunità sicura.
A questo punto eran le cose^ (piando Renzo, avendo
ormai sgranocchiato il suo pane , veniva avanti per il
borgo di porla orientale, e s'avviava, senza saperlo, prò-
[)rio al luogo cenirahi d(!l lunuUio. Andava, ora lesto,
ora rilardalo dalla l'olla ; e anelando . guardava e slava
vi.r. i IO*
234 I PROMESSI SPOSI
in orecchi, per ricavar da quel ronzio confuso di discorsi
quaiclie notizia più positiva dello stalo delle cose. Ed
ecco a un di presso le parole che gli riuscì di rilevare
in tutla la strada che fece.
« Ora è scoperta, » gridava uno, « l'impostura in-
fanae di ([ue' birboni, che dicevano che non c'era nò pane,
nò farina, né grano. Ora si vede la cosa chiara e lam-
pante ; e non ce la potranno piij dare ad intendere. Viva
r abbondanza I »
« Vi dico io che tutto questo non serve a nulla, » di-
ceva un altro; « è un buco nell'acqua; anzi sarà peggio
.se non si fa una buona giustizia. Il pane verrà a buon
mercato, ma ci metteranno il veleno , per far morir la
povera gente, come mosche. Già lo dicono che slam
troppi ; r hanno detto nella giunta ; e lo so di certo, per
averlo sentito dir io, con quest'orecchi, da una mia co-
mare, che è amica d'un parente d'uno sguattero d'uno
di que' signori. »
Parole da non ripetersi diceva, con la schiuma alla
bocca, un altro, che teneva con una mano un cencio di
fazzoletto su' capelli arruffati e insanguinali. E qualche
vicino, come per consolarlo, gli faceva eco.
« Largo, largo, signori, in cortesia ; lascio passare un
povero padre di famiglia, che porta da mangiare a cin-
que figliuoli. » Cosi diceva uno che veniva barcollando
sotto un gran sacco di farina; e ognuno s'ingegnava di
ritirarsi, per fargli largo.
s Io? » diceva un altro, (juasi sottovoce, a un suo
compagno : « io me la batto. Son uomo di mondo, e so
come vanno queste cose. Questi merlolli che fanno ora
tanto fracasso, domani o doman l'altro, se ne staranno
in casa, tutti pieni di paura. Ho già visti certi visi, certi
galantuomini che giran, facendo l' indiano, e notano chi
e' è e chi non c'è: quando poi tutto è finito, si raccol-
gono i conti, e a chi tocca, tocca. »
« Quello che protegge i fornai , » gridava una xoce
sonora, che attirò T attenzione di Renzo, « è il vicario
di provvisione. »
CAPITOLO XIT. 235
« Son tulli birboni, » diceva un vicinò.
« Si; ma il capo è lui, » replicava il primo.
Il vicario di provvisione, eletto o.aii'anno dal .gover-
natore tra sei nobili proposti dal consiglio de' tlecurioni,
era il presidente di questo, e del tribunale di provvi-
sione ; il quale, composto di dodici, anclie questi nojnli,
aveva con altre attribuzioni, ([uella principalmente del-
l' annona. Chi occupava un tal posto doveva necessaria-
mente, in tempi di fame e d'ignoranza^ esser detto l'au-
tore de' mali : meno die non avesse fatto ciò cbe fece
Ferrer ; cosa che non era nelle sue facoltà , se anche
fosse stata nelle sue idee.
« Scellerati I » esclamava un altro : « si può far di
peggio ? sono arrivati a dire che il gran cancelliere è
un vecchio rimbambito, per levargli il credito, e coman-
dar loro soli. Bisognerebbe fare una gran stia , e met-
terli dentro, a viver di vecce e di loglio, come volevano
trattar noi. j
« Pane eh? » diceva uno che cercava d'andar in fretta:
« sassate di libbra : pietre di questa fatta, che venivan
giù come la grandine. E che schiacciata di costole! Non
vedo l'ora d'essere a casa mia. »
Tra questi discorsi, dai quali non saprei dire se fosse
pili informato o sbalordito, e tra gli urloni, arrivò Renzo
niialiiieiilc davanti a quel forno. La gente era già mollo
diradata, (hmodoclu' [ìolè conlenqilare il brullo e recenle
so(|(|nadro. Le miu'a sral(-iiiate e annnaccate da sassi^ da
mattoni, le finestre sgangherale, diroccala la porta.
— Questa poi non ò una bella cosa, — disse Renzo
tra se: — se concian così tulli i forni, dove vogliou
fare il pane ? Ne;' pozzi ? —
Ogni tanto, usciva dalla ItoUega qualcheduno che iior-
tava un pezzo di cassone, o di madia, o di fiullone, la
stanga d'una gramola, una panca, una paniei-a, un libro
di conti, qualche cosa in soinina di (jnel povero foi'no ;
e gridando: «largo, largo» pass;i\;i ira la gente. Tulli
cpiesti s' incamminavano (l:dla slessa [larte, e a un luogo
236 1 PROMESSI SPOSI
coiivcMiiilo^ si vedeva. — Cos'è (iiiesl'allra storia ? — pensò
di nuovo Renzo: e andò dietro a uno che, fatto un fa-
scio d'asse spezzate e di schegge, se lo mise in ispalla,
avviandosi, come gh altri^ per la strada che costeggia il
fianco settentrionale del duomo, e ha preso nome dagli
scalini che c'erano, e da poco in qua non ci son più. La
voglia d' osservar gli avvenimenti non potè fare che il
montanaro, quando gli si scoprì davanti la gran mole,
non si soffermasse a guardare in su, con la bocca aperta.
Studiò poi il passo, per raggiunger colui che aveva preso
come per guida ; voltò il canto, diede un'occhiata anche
alla facciata del duomo , rustica allora in gran parte e
ben lontana dal compimento ; e sempre dietro a colui,
che andava verso il mezzo della piazza. La gente era più
fìtta quanto più s' andava avanti, ma al portatore gli si
faceva largo : egli fendeva l' onda del popolo , e Renzo,
standogli sempre attaccalo, arrivò con lui al centro della
folla. Lì c'era uno spazio vóto, e in mezzo, un mucchio
di brace , reliquie degli attrezzi delti di sopra. Air in-
torno era un batter di mani e di piedi, un frastono di
mille grida di trionfo e d' imprecazione.
L'uomo del fascio lo buttò su quel mucchio; un altro
con un jnozzicone di pala mezzo abbruciacchiato , sbracia
il fuoco : il fumo cresce e s' addensa ; la fiamma si ri-
desta ; con essa le grida sorgon più forti. « Viva V ab-
bondanza ! Muoiano gli affamatori I Muoia la carestia !
Crepi la Provvisione I Crcpi la giunta I Viva il pane ! »
Veramente, la distruzion de' frulloni e delle madie, la
devastazion de' forni, e lo scompiglio de" fornai, non sono
i mezzi più spicci per far vivere il pane; ma questa è
una di quelle sottigliezze metafisiche, che una moltitu-
dine non ci arriva. Però, senza essere un gran metalì-
sico, un uomo ci arriva talvolta alla prima, finch'è nuovo
nella questione ; e solo a forza di parlarne, e di sentirne
parlare, diventerà inabile anche a intenderle. A Renzo
in fatti quel pensiero gli era venuto da principio, e gli
tornava, come abbiam visto, ogni momento. Lo tenne per
CAPITOLO xii. :237
altro in sé; perchè, in lanli visi, non ce n'era uno che
sembrasse dire: fratello, se fallo, correggimi, che Favrò
caro.
Già era di nuovo finita la fiamma ; non si vedeva più
venir nessuno con altra materia, e la gente cominciava
a annoiarsi; quando si sparse la voce, clic, al Cordusio
(una piazzetta o un crocicchio non molto distante di lì),
s' era messo l'assedio a un forno. Spesso, in simili cir-
costanze, rannunzio d'una cosa la fa essere. Insieme con
quella voce, si ditTuse nella moltitudine una voglia di
correr là: « io vo ; tu, vai? vengo; andiamo, » si sen-
tiva per tutto : la calca si rompe, e diventa una proces-
sione. Renzo rimaneva indietro , non movendosi quasi,
se non quanto era strascinato dal torrente; e teneva in-
tanto consiglio in cuor suo , se dovesse uscir dal bac-
cano, e ritornare al convento in cerca del padre Bona-
ventura, 0 andare a vedere anche quest'altra. Prevalse
di nuovo la curiosità. Però risolvette di non cacciarsi
nel fitto della mischia, a farsi ammaccar Tossa, o a ri-
sicar qualcosa di peggio ; ma di tenersi in qualclie di-
stanza, a osservare. E trovandosi già un poco al largo,
si levò di tasca il secondo pane, e attaccandoci un morso,
s'avviò alla coda dell'esercito tumultuoso.
Questo, dalla piazza, era già (Mitrato nella strada corta
e stretta di Pesclieria vecchia, e di là, per quell'arco a
sbieco , nella piazza de' Mercanti. E li eran ben pocbi
((uelli che, nel passar davanti alla nicchia che taglia il
mezzo d(}lla loggia dell' edifizio chiamato allora il col-
legio de' dottori, non dessero un'occbiatina alla grande
statuii cbe vi campeggiava, a quel viso serio, burbei'o,
accipigliato, e non dico abbastanza, di don Filippo li,
che, anche dal marmo, imponeva un non so che di ri-
spetto, e, con quel braccio leso, parcna che fosse li pi'r
dire: ora vengo io, marmaglia.
Quella statua non c'è più, per un caso singolare, (lirca
ccntosettant'anni dopo quello che sliam racconlaiulo, un
giorno le fu caralùata la testa, le fu levato di mano lo
238 T PROMÉSSI SPOSI, CAPnul,0 XII.
sccllro, e sostiluilo a queslo un pugnalo ; o alla stallia
fu messo nome Marco Binilo. Cosi accomodala slelle forse
un par d'anni; ma, una manina, (•crtuni che non ave-
van simpalia con Marco Bruto, anzi dovevano av(!rc con
lui una ruggine segreta, gellarono una lune intorno alla
stallia, la tiraron giù, le fecero cento angherie; e, mu-
tilala e ridotta a un torso informe, la strascicarono, con
gli occhi in fuori, e con le lingue fuori, per le strade,
e, quando furono stracchi hene, la ruzzolarono non so
dove. Chi Tavessc detto a Andrea Biflì, quamlo la scolpiva !
Dalla piazza de' Mercanti, la marmaglia insaccò, per
quell' allr'arco, nella via de' Fustagnai, e di lì si sparpa-
gliò nel Cordusio. Ognuno , al primo sboccarvi , guar-
dava subito verso il forno eh' era stato indicato. Ma in
vece della moltitudine d'amici che s'aspettavano di tro-
var lì già al lavoro, videro soltanto alcuni starsene, co-
me esitando, a qualche distanza della bottega, la quale
era chiusa, e alle finestre gente armata, in atto di star
pronti a difendersi. A quella vista, chi si maravigliava,
chi sagrava, chi rideva; chi si voltava, per informar
quelli che arrivavan via via ; chi si fermava, chi voleva
tornare indietro, chi diceva : « avanti, avanti. » C'era un
incalzare e un rattenere, come un ristagno, una tituba-
zione, un ronzìo confuso di contrasti e di consulte. In
questa, scoppiò di mezzo alla folla una maledetta voce:
« c'è qui vicino la casa del vicario di provvisione: an-
diamo a far giustizia, e a dare il sacco. » Parve il ram-
mentarsi comune d'un concerto preso, piuttosto che l'ac-
cettazione d'una proposta. « Dal vicario 1 dal vicario!»
è il solo grido che si possa sentire. La turba si move,
tu Ila insieme, verso la strada dov'era la casa nominata
in un così cattivo punto.
CAPITOLO XIII.
Lo sventiiralo vicario slava, in ((iicl inoiiKMito, facendo
un chilo agro e stentato d'un desinare Ijiascicato senza
appetito, e senza pan fresco ; e attendeva, con gran so-
spensione, come avesse a finire quella burrasca, lontano
\)orò dal sospettare che dovesse cader così spaventosa-
mente addosso a lui. Qualche galantuomo precorse di
galoppo la folla, per avverlirlo di quel che gli sovrastava.
I servitori, attirati già dal rumore sulla porta, guarda-
vano sgomentati lungo la strada ;, dalla parto donde il
rumore veniva avvicinandosi. Mentre ascollan l'avviso,
vedon comparire la vanguardia: in fretta e in furia, si
porla r avviso al padrone : mentre qneslo pensa a fug-
gire, e couK! fnggire, un altro viene a dii'gli che non ò
più a tempo. I servitori ne hanno appena tanto che ha-
sti per chiuder la porta. Metton la stanga, metton pun-
telli, corrono a chiuder le hnestrc, come quando si \ri\r
venire avanti un tempo nero, e s'aspetta la grandine, da
un momento all'altro. L'urlio crescente, scendendo dal-
Talio come un tuono, rimbomha nel vólo cortile ; ogiìi
buco della casa ne rintrona: o di mezzo al vasto e confuso
strepilo, si scnlon forti e filli colpi di pietre alla porla.
240 I PROMESSI SPOSI
« Il vicario! Il tiranno! L'afTamalorc ! Lo vogliamoì
vivo 0 morlo ! »
Il meschino girava di slan/.a in stanza, pallido, senza
fiato, battendo jialina a palina, raccomandandosi a Dio, e
a' suoi servitori che tenessero fermo, che trovassero la
maniera di farlo scappare. Ma come, e di dove? Salì in
soflìlta ; da un pertugio, guardò ansiosamente nella
strada; e la vide piena zeppa di furibondi; sentì le voci
che chiedevan la sua morte; e più smarrito che mai si
ritirò e andò a cercare il più sicuro e riposto nascon-
diglio. Lì rannicchiato, stava attento, attento, se mai il
funesto rumore s'affievolisse^ se il tumulto s'acquietasse
un poco; ma sentendo in vece il muggito alzarsi più
feroce e più rumoroso, e raddoppiare i picchi, preso da
un nuovo sopprassalto al cuore, si turava gli orecchi in
fretta. Poi, come fuori di se, stringendo i denti, e rag-
grinzando il viso, stendeva le braccia, e puntava i pu-
gni, come se volesse tener ferma la porta Del resto,
quel che facesse precisamente non si può sapere, giac-
ché era solo ; e la storia è costretta a indovinare. For-
tuna che e' è avvezza.
Renzo, questa volta, si trovava nel forte del tumulto,
non già portatovi dalla piena , ma caccialovisi delibera-
tamente. A cpiella prima proposta di sangue, aveva sen-
tito il suo rimescolarsi tutto : in quanto al saccheggio,
non avreblie saputo dire se fosse bene o male in quel
caso; ma l'idea dell'omicidio gli cagionò un orrore pretto
e immediato. E, quantunque, per quella funesta docilità
degli animi appassionati all'alTermarc appassionato di
molti , fosse persuasissimo che il vicario era la cagion
principale della fame, il nemico de' poveri, pure, avendo,
al primo moversi della turba, sentita a caso (pialche pa-
rola che indicava la volontà di fare ogid sforzo per sal-
varlo, s'era subilo proposto d' aiutare anche lui un'opera
tale; e, con quest'intenzione, s'era cacciato, quasi fino
a quella porta, che veniva travagliata in cento modi. Chi
con ciottoli picchiava su' chiodi della serratura, per iscon-
CAPITOLO XIII. 241
ficcarla ; altri con pali e scarpelli e martelli, cercavano
di lavorar più in regola : altri poi, con pietre, con col-
telli spuntati, con chiodi, con bastoni, con Fnngliie, non
avendo altro, scalcinavano e sgretolavano il muro, e s' in-
gegnavano di levare i mattoni, e fare ima breccia. Quelli
che non potevano aiutare, facevan coraggio con gli urli;
ma nello slesso tempo, con lo star lì a pigiare, impic-
ciavan di più il lavoro già impicciato dalla gara disor-
dinala de' lavoranti : giacché, per grazia del cielo, accade
talvolta anche nel male quella cosa troppo frequente nel
bene, che i fautori più ardenti divengono un impedimento.
I magistrati ch'ebbero i primi l'avviso di quel che
accadeva, spediron subito a chieder soccorso al coman-
dante del castello^ che allora si diceva di porta Giovia;
il quale mandò alcuni soldati. Ma, tra l'avviso, e l'or-
dine, e il radunarsi, e il mettersi in cammino, e il
cammino, essi arrivaron che la casa era già cinta di
vasto assedio; e fecero allo lontano da quella, all'estre-
mità della folla. L'ufiziale che li comandava, non sapeva
die partito prendere. Lì non era altro che una, lascia-
temi dire, accozzaglia di gente varia d'età e di sesso,
che stava a vedere. All' intimazioni che gli venivan fatte,
di sbandarsi, e di dar luogo, rispondevano con un cupo
e lungo mormorio; nessuno si moveva. Far fuoco sopra
quella ciurma, pareva all' ufiziale cosa non solo crudele,
ma piena di pericolo; cosa che, offendendo i meno ter-
ribili, avrebbe irritato i molti violenti: e del resto, non
aveva una tale istruzione. Aprire quella prima folla,
rovesciarla a destra e a sinistra, e andare avanti a portar
la guerra e clii la faceva, sarel)l)c stata la meglio; ma
riuscirvi, li stava il punto. Chi sapeva se i soldati avreb-
ber potuto avanzarsi uniti e ordinati"? Che se, invece
di romper la folla, si fossero sparpagliati loro tra quella,
si sarel)h(,'r trovati a sua discrezione, dopo averla aiz-
zata. L' irresolutezza del comandante e l' imnidbilità
de' soldati parve, a diritto o a torto, paura. La gente
che si trovavau vicino a loro, si contentavano di gnar-
VOL. I. il
242 I PIJOMESSI SPOSI
dargli in viso, con un'aria, come si dice, di me n'im-
pipo; quelli ch'erano un po' più lontani, non se ne sta-
vano di provocarli, con visacci e con grida di scherno;
più in là, pochi sapevano o si curavano che ci fossero;
i guastatori seguitavano a smurare, senz'altro pensiero
che di riuscir presto nell'impresa; gli spettatori non
cessavano d'animarla con urli.
Spiccava tra questi, ed era lui stesso spettacolo, un
vecchio mal vissuto, che, spalancando due occhi alTos-
sati e infocati, conlraendo le grinze a un sogghigno di
compiacenza diabolica, con le mani alzate sopra una
canizie vituperosa;, agitava in aria un martello, una corda,
quattro gran chiodi, con che diceva di volere attaccare
il vicario a un battente della sua porta, ammazzato che
fosse.
« Oibò! vergogna!» scappò fuori Renzo, inorridito
a quelle parole, alla vista di tant' altri visi che davan
segno d'approvarle, e incoraggilo dal vederne degli altri,
sui quali, benché muti, traspariva lo stesso orrore del
quale era compreso lui. « Vergogna! Vogliam noi rubare
il mestiere al boia? assassinare un cristiano? Come vo-
lete che Dio ci dia del pane, se facciamo di queste atro-
cità? Ci manderà de' fulmini, e non del pane! »
« Ah cane! ah traditor della patria! » gridò voltandosi
a Renzo, con un viso da indemoniato, un di coloro che
avevan potuto sentire tra il frastono quelle sante parole.
« Aspetta, aspettai É un servitore del vicario, travestito
da contadino; è una spia: dalli, dalli! » Cento voci si
spargono all'intorno. «Cos'è? dov'ù? chi è? Un servi-
tore del vicario. Una spia. Il vicario travestito da con-
tadino, che scappa. Dov'è? dov'è? dalli, dalli!»
Renzo ammutolisce, diventa piccino piccino, vorrebbe
sparire; alcuni snoi vicini lo prendono in mezzo; e con
alte e diverse grida cercano di confondciv ipielle \(k:ì
nemiche e omicide. Ma ciò che più di tutto lo servì fu
un • largo, largo, » che si senti gridar lì vicino: « largo!
è qui l'aiuto: largo! ohe! »
CAPITOLO XIII. 243
Cos'era? Era una lunga scala a mano, che alcuni
porlavano per appoggiarla alla casa, e entrarci da una
finestra. Ma per buona sorte, quel mezzo, che avrebbe
resa la cosa facile, non era facile esso a mettere in opera.
I portatori, all'una e all'altra cima, e di qua e di là
della macchina, urlati, scompigliati, divisi dalla calca,
andavano a onde: uno, con la testa tra due scalini e gli
staggi sulle spalle, oppresso come sotto un giogo scosso,
mugghiava; un altro veniva staccato dal carico, con una
spinta: la scala abbandonata picchiava spalle, braccia,
costole; pensate cosa dovevan dire coloro de' quali erano.
Altri sollevano con le mani il peso morto, vi si cac-
cian sotto, se lo mettono addosso, gridando: a animo!
andiamo I » La macchina fatale s'avanza balzelloni, e ser-
peggiando. Arrivò a tempo a distrarre e a disordinare
i nemici di Renzo, il quale profittò della confusione nata
nella confusione; e, quatto quatto sul principio, poi gio-
cando di gomita a più non posso, s'allontanò da quel
luogo, dove non c'era buon'aria per lui, con l'inten-
zione anche d' uscire, più presto che potesse, dal tumulto,
e d'andar davvero a trovare o aspettare ì\ padre Bona-
ventura.
Tutta un tratto, un movimento straordinario comin-
cialo a una estremità, si propaga per la folla, una voce
si sparge, viene avanti di bocca in bocca: « Ferrer! Fer-
rer! » Una maraviglia, una gioia, una rabbia, un'incli-
nazione, una ripugnanza, scoppiano per lutto ilove arriva
quel nome; chi lo grida, chi vuol solfogarlo; chi alTerma,
chi nega, chi benedice, chi bestemmia.
È qui Ferrer! — Non è vero, non e vero! — Sì, si;
viva Ferrer! qn(^llo che ha messo il pane a buon mer-
cato. No, no! — É (pii, è qui in carrozza. — Cosa im-
porla'? che c'entra lui? non vogliamo nessuno! — Ferrer!
viva Ferrer! l'amico della povera gente! viene per con-
durre in prigione il vicario. — No, no; vogliamo fai'
giustizia noi: indietro, indicMro! — Sì, sì: Ferrer! venga
Ferrer! in prigione il vicario! "
244 I PROMESSI SPOSI
E tulli alzandosi in punta di piedi, si voltano a p:uar-
dare da (juella parte donde s'annunziava l'iunaspellato
arrivo. Alzandosi tutti, vedevano nò più ne meno che
se fossero stali tutti con le piante in terra; ma tant' ,
tutti s'alzavano.
In fatti, all' estremità della folla, dalla parte opposta
a fpiella dove slavano i soldati, era arrivalo in carrozza
Antonio Ferrer, il gran cancelliere; il quale rimorden-
dogli probabilmente la coscienza d' essere, co' suoi spro-
positi e con la sua ostinazione, stato causa, o almeno
occasione di quella sommossa, veniva ora a cercar d'acquie-
tarla, e d' impedirne almeno il più terribile e irrepara-
bile effetto: veniva a spender bene una poiiolarilà mal
acquistata.
Ne' tumulti popolari c'è sempre un certo numero d' no-
mini che, 0 per un riscaldamento di passione, o per
una persuasione fanatica, o per un disegno scellerato,
0 per un maledetto gusto del soqquadro, fanno di lutto
per ispinger le cose al peggio; propongono o promovono
i più spietati consigli, soffian nel fuoco ogni volta che
principia a illanguidire: non è mai troppo per costoro;
non vorrebbero che il tumulto avesse nò line né misura.
Ma per contrappeso, e' è sempre anche un cerio numero
d'altri uomini che, con pari ardore e con insistenza
pari, s'adoprano per produr l'elTetto contrario; taluni
mossi da amicizia o da parzialità per le persone minac-
ciate; altri senz'altro impulso che d'un pio e spontaneo
orrore del sangue e de' falli atroci. Il cielo li benedica.
In ciascuna di queste due parli opposte, anche (piando
non ci siano concerti antecedenti, l'uniformila de' vo-
leri crea un concerto istantaneo nell'operazioni. Chi
forma poi la massa, e quasi il materiale del tumulto,
è un miscuglio accidentale d'uomini, che, più o meno
per gradazioni indermile, teiìgono dell'uno e deirallro
estremo: un jìo' riscaldali, un pu" furbi, un po' inclinali
a una certa giustizia, come l'inlendon loro, un po' vo-
gliosi di vederne qualcheduna grossa, pronti alla ferocia
CAPITOLO XIII. 245
0 alla misericordia, a deleslarc e ad adorare, secondo
che si presenti l'occasione di provar con pienezza l'nno
0 l'altro sentimento; avidi ogni momcnlo di sapere, di
credere qualche cosa grossa, hisognosi di gridare, d'ap-
plaudire a qualchedniio. o d'urlargli dietro. Viva e muoia,
son le parole che inandan fuori più volentieri; e chi è
riuscilo a persuaderli che un tale non meriti d'essere
squartato, non ha hisogno di spender più parole per
convincerli che sia degno d'esser portato in trionfo: at-
tori, spettatori, strumenti, ostacoli, secondo il vento;
pronti anche a slare zitti, quando non sentan più grida
da ripetere, a finirla, quando manchino gl'istigatori, a
shandarsi, quando molte voci concordi e non contrad-
dette ahhiano detto: andiamo; e a toruarsene a casa,
domandaudosi l'uno con l'altro: cos'è stato? Siccome
però questa massa, avendo la maggior forza, la può
dare a chi vuole, così ognuna delle due parti attive usa
ogni arte per tirarla dalla sua, per impadronirsene: sono
quasi due anime nemiche, che comhatlono per entrare
in ijuel corpaccio, e farlo movere. Fanno a chi saprà
sparger le voci più atte a eccitar le passioni, a dirigere
i movimenti a favore dell'uno o dell'altro intento; a chi
saprà più a proposito trovare le nuove che riaccendano
gli sdegni, 0 gli affievoliscano, risveglino le speranze o
i terrori: a chi saprà trovare il grido, che ripetuto dai
l)iù e più forti^, espi'ima, attesti e crei nello stesso lem|to
il volo della phiralilà, per l' una o per l'altra parte. Tutta
qu(ista chiacchierata s' è fatta per venire a dire che,
nella lotta tra le due parti che si contendevano il voto
della gente atfollata alla casa del vicario, l'apparizione
(rAiitoHii) Fei'rer diede, quasi in un momento, un gran
vaniaggio alla parl(! degli uma:ti, la (piale era mani-
leslainenle al di sotto e, un po' più che (pu^l soccorso
t'osse lardalo, non avrebbe avuto più, nò forza, nò mo-
tivo di coml)atlei'e. I/uomoera gradilo alla mollitudine,
pei' (pu'lla iarilVa ili sua invenzione cosi la\(ii'e\ole a" com-
pratori, e per (piel suo eroico star diuo conti'o ogni ra-
24() 1 PROMESSI SPOSI
gionam?'nlo in contrario. Gii animi già propensi orano ora
ancor [)iìi innamorali tl;illa nducia animosa del veccliio
clic, senza guardie, senza apparato, veniva cosi a tro-
vare, ad alTrontare una moltitudine, irritata e procel-
losa. Faceva poi un effetto mirabile il sentire che veniva
a condurre in prigione il vicario: cosi il furore contro
costui, che si sarebbe scatenato peggio, chi l'avesse
preso con le brusche, o non gli avesse voluto conceder
nulla, ora, con quella promessa di soddisfazione, con
quell'osso in bocca s'acquietava un poco, e dava luogo
agli allri opposti sentimenti, che sorgevano in una gran
parte degli animi.
I partigiani della pace, ripreso fiato, secondavano
Ferrer in cento maniere: quelli che si trovavan vicini
a lui, eccitando e rieccitando col loro il pubblico ap-
plauso, e cercando insieme di far ritirare la gente, per
aprire il passo alla carrozza; gli altri, applaudendo, ri-
petendo e facendo passare le sue parole, o quelle clw
a lor parevano le migliori che potesse dire, dando sulla
voce ai furiosi ostinati, e rivolgendo contro di loro la
nuova passione della mobile adunanza. « Chi è che non
vuole che si dica: viva Ferrer? Tu non vorresti eh, che
il pane fosse a buon mercato? Son birboni che non vo-
gliono una giustizia da cristiani: e e' è di quelli che
schiamazzano pii!i degli altri, per fare scappare il vicario.
In prigione il vicario! Viva Ferrer I Largo a Ferrer! »
E crescendo sempre più quelli che parlavan così, s'an-
dava a proporzione abbassando la baldanza della parte
contraria; di maniera che i primi dal predicare vennero
anche a dar sulle mani a quelli che diroccavano ancora,
a cacciarli indietro, a levar loro dall'unghie gli ordigni.
Questi fremevano, minacciavano anche, cercavan di ri-
farsi; ma la causa del sangue era pertluta: il grido che
predominava era: prigione, giustizia. Ferrer! Dopo un
po' di dibattimento, coloro furon respinti: gli altri s'im-
padroniron della porla, e per tenerla difesa da nuovi
assalti, e per prepararvi l'adito a Ferrer; e alcuno di
CAPITOLO xni. 247
issi, mandando dentro una voce a quelli di casa (fes-
sure non ne mancava) gli avvisò che arrivava soccorso,
e che facessero star pronto il vicario, « per andar su-
])ito... .in prigione: ehm, avete inteso.»
« É quel Ferrer che aiuta a far le gride? » domandò
a un nuovo vicino il nostro Renzo, che si rammentò del
ridit Ferrer che il dottore gli aveva gridato all'orecchio,
facendoglielo vedere in fondo di quella tale.
« Già: il gran cancelliere » gli fu risposto. %'
« É un galantuomo, n' è vero?»
« Eccome se è un galantuomo! è quello che aveva
messo il pane a buon mercato; e gli altri non hanno
voluto; e ora viene a condurre in prigione il vicario
che non ha fatto le cose giust(\ »
Non fa bisogno di dire che Renzo fu sul)ito per Fer-
rer. Volle andargli incontro addirittura: la cosa non era
facile; ma con certe sue spinte e gomitate da alpigiano,
riusci a farsi far largo, e a arrivare in prima fila, pro-
prio di fianco alla carrozza.
Era ({uesta già un po' inoltrata nella folla; e in quel
momento stava ferma, per uno di quegl' incagli inevita-
bili e frequenti, in un'andata di quella sorte. Il vecchio
Ferrer presentava ora all'uno, ora all'altro sportello, un
viso tutto umile, lutto ridente, lutto amoroso, un viso
che aveva tenuto sempre in serbo per quando si trovasse
alla presenza di don Filippo IV; ma fu costretto a spen-
derlo anche in quesl' occasione. Parlava anche; ma il
chiasso e il ronzìo di tante voci, gli evviva stessi che
si facevano a lui, lasciavano ben poco e a ben pochi sen-
tir le sue parole. S'aiutava dunque co' gesti, ora mel-
t(!nd() la punta delle mani sull(> labbra, a prenib^re un
bacio che le mani, se[)aranil()si subito, distribuivano a
d(;slra e a sinistra in ringraziamento alla pubblica be-
nevolenza; ora stendendole e movendole lentamcnlc fuori
d'uno sportello, per chiedere un po' di luogo; ora ab-
iiassandole gai'batainente, per chiedere un po' di silenzio.
(Juando n'aveva ottenuto un poco, i più vicini sentivano
248 I PROMESSI SPOSI
0 ripcicvano lo sue parole: «pane, abbondanza: vengo
a far giustizia: un po' di luogo di grazia.» Sopraffatln
poi e come soffogalo dal fracasso di tante voci, dalla
vista di tanti visi futi, di lant' occhi addosso a lui, si
tirava indietro un momento, gonfiava le gote, mandava
un gran soffio, e diceva tra m: — por mi rida, que de
cjenle. —
» Viva Ferrer! Non abbia paura. Lei è un galantuomo.
Pane, pane! »
« Si; pane; pane.» rispondeva Ferrer: «abbondanza;
lo prometto io,» e metteva la mano al petto.
« Un po' di luogo,» aggiungeva subito: «vengo per
condurlo in prigione, per elargii il giusto gastigo che si
merita: » e soggiungeva sottovoce: « si es culpable. » Chi-
nandosi poi innanzi verso il cocchiere, gli diceva in fretta:
« adelante, Fedro, si piiedes. »
Il cocchiere sorrideva anche lui alla moltitudine, con
una grazia affettuosa, come se fosse slato un gran per-
sonaggio; e con un gari)o ineffabile, dimenava adagio
adagio la frusta, a destra e a sinistra, per cliiedere agl'in-
comodi vicini che si ristringessero e si ritirassero un
poco. « Di grazia, » diceva anche lui, « signori miei,
un po' di luogo, un pochino ; appena appena da poter
passare. »
Intanto i benevoli più attivi s' adopravano a far fare
il luogo chiesto così gentilmente. Alcuni davanti ai ca-
valli facevano ritirar le persone, con buone parole, con
un mettere le mani sui petti, con certe spinte soavi:
«in là, via, un po' di luogo, signori;» alcuni facevan
lo stesso dalle due parli della carrozza, perchè potesse
passare senza arrotar piedi, ne ammaccar mostacci ; che,
oltre il male delle persone, sarebbe stato porre a un gran
repentaglio l'auge d'Antonio Ferrer.
« Henzo, dopo essere stato qualche momento a va-
gheggiare quella decorosa vecchiezza, conUirliata un po'
dall'angustia; aggravala dalla fatica, ina animala dalla
sollecitudine, abbellita, per dir così, dalla speranza di
CAPITOLO XIU. i^49
logliero un nomo all'an.uosce morlali, Renzo, dico, mise
da parte ojiiii pensiero d'andarsene; osi risolvette d'a-
iutare Ferrer, e di non ai^bandonarlo, fin che non fosse
ottenuto l' intento. Detto fatto, si mise con gli altri a far
far largo; e non era certo de' meno attivi. Il largo si
fece; «venite pure avanti,» diceva più d'uno al cocchiere,
ritirandosi e andando a fargli un po' di strada più innanzi.
o-Adelanle, presto, con juicio, y gli disse anche il padrone;
e la carrozza si mosse. Ferrer, in mezzo ai saluti che
scialacquava al pubblico in massa, ne faceva certi parti-
colari di ringraziamento, con un sorriso d'intelligenza,
a quelli che vedeva adoprarsi per lui: e di questi sor-
risi ne toccò più d' uno a Renzo, il quale per verità se
li meritava, e serviva in quel giorno il gran cancelliere
meglio che non avrei )be potuto fare il più bravo de'
suoi segretari. Al giovane montanaro invaghito di quella
buona grazia, pareva quasi d' aver fatto amicizia con An-
tonio Ferrer.
La carrozza, una volta incamminala, seguitò poi più
0 meno adagio, e non senza qualche altra fermatina. Il
tragitto non era forse più che un tiro di schioppo; ma
riguardo al tempo impiegatovi, avrel)be potuto pai'ere un
viaggetto, anche a chi non avesse avuto la saida fretta di
Ferrer. La gente si moveva, davanti e di dietro, a destra o
a sinistra della carrozza, a guisa di cavalloni intorno a
una nave che avanza nel forte della tempesta. Più acuto,
più scordato, più assordante di (piello della lenqiesla era
il fraslono. Ferrer, guardando ora da una parte, ora
dall'altra, atteggiandosi e gestendo insieme, corcava d'in-
tender qualche cosa, per accomodar le risposte al biso-
gno; voleva far alla meglio un po' di dialogo con (piella
brigala d'amici; ma la cosa era dillicile, la più dilììcile
forse che gli fosse ancoi'a ca|titala, in tanl'anni di gran-
cancellieralo. Ogni tanto [icrò (pialche parola, anche qnal-
che frase, ripetuta da un crocchio nel suo passaggio, gli si
faceva seidire, come lo scoppio d' un razzo più forte si fa
sentire neU'Immenso scoppiettio d'un fuoco artilìziale. E
250 1 PROMESSI SPOSI
lui, ora ino^Oirnandosi <li risponilcn; in modo soddisfa-
C(!ii(c a qucslc grida, ora di(;oiido a buon conio \(t pa-
role clic sapeva dover esser più accette, o che qualche
iiecessitii istantanea pareva richiedere , parlò anche lui
per tutta la strada. «Si, signori; pane, abbondanza. Lo
condurrò io in prigione: sarà gastigato . . . . si es cui-
pable. Sì, sì, comanderò io: il pane a buon mercato. Asi,
es, . . . cosi è, voglio dire: il re nostro signore non vuole
che codesti fedelissimi vassalli patiscan la fame. 0x1 or!
(juardaos: non si facciano male, signori. Fedro, adelanle
con juicio. Abbondanza, abbondanza. Un po' di luogo,
per carità. Pane, pane. In prigione, in prigione. Cosa?»
domandava poi a uno che s'era buttalo mezzo dentro
lo sportello, a urlargli qualche suo consiglio o preghiera
0 applauso che fosse. Ma costui, senza poter neppure ri-
cevere il «cosa?», era stalo tirato indietro da uno che
lo vedeva lì lì per essere schiacciato da una rota. Con
queste l)Otte e risposte, tra le incessanti acclamazioni ,
tra qualche fremito anche d'opposizione, che si faceva
sentire qua e là, ma era subito soffocato, e.^o alla fine
Ferrer arrivato alla casa, per opera principalmente di
que' buoni ausiliari.
Gli altri che, come abbiam detto, eran già lì con le
medesime buone intenzioni, avevano intanto lavorato a
fare e a rifare un po' di piazza. Prega, esorla, minaccia ;
pigia, ripigia, incalza di qua e di là, con quel raddop-
piare di voglia, e con quel rinnovamento di forze che
viene dal veder vicino il fine desiderato; gli era final-
mente riuscito di divider la calca in due, e poi di spin-
gere indietro le due calche; tanto che, tra la porla e la
carrozza, che vi si fermò davanti, v'era un piccolo spa-
zio vóto. Renzo, che, facendo un po' da battistrada, un
po' da scorta, era arrivalo con la carrozza, potè collocarsi
in una di quelle due frontiere di benevoli, che facevano,
nello stesso tempo, ala alla carrozza e argine alle due
onde prementi di popolo. E aiutando a raiteaerne una
con le poderose sue spalle, si trovò anche in un bel po-
sto per i)oter vedere.
Capitolo xiii. 2?)1
Ferrer mise un orari respiro, qiian(]o vide quella piaz-
zetta libera, e la porta ancor chiusa. Chiusa qui vuol
(lire non aporia: del resto i ghanghcri eraii qnasi scon-
ficcati fuor de' pilastri: i battenti scheggiati, ammaccali,
sforzati e scombaciati nel mezzo lasciavano veder fuori
da un largo spiraglio un pezzo di catenaccio storio, al-
lentato, e quasi divelto, che, se vogliam dir cosi, li te-
neva insieme. Un galantuomo s'era alTacciato a quel fesso,
a gridar che aprissero; un altro spalancò in fretta lo
sportello della carrozza: il vecchio mise fuori la testa,
s'alzò, e afTerrando con la destra il braccio di quel ga-
lantuomo, usci e scese sul predellino.
La folla, da una parte e dall'altra, stava tutta in punta
di piedi per vedere: mille visi, mille barbe in aria: la
curiosità e l'attenzione generale creò un momento di
generale silenzio. Ferrer, fermatosi quel momento sul
predellino, diede un'occhiata in giro, salutò con un in-
chino la moltitudine, come da un pulpito, e messa la
mana sinistra al petto, gridò: « pane e giustizia ; » e franco,
diritto, togato, scese in terra, tra l'acclamazioni che an-
davano alle stelle.
Intanto quelli didentro avevano aperto, ossia avevano
finito d'aprire, tirando via il catenaccio insieme con gli
anelli già mezzi sconficcati , e allargando lo spiraglio,
appena quanto Inastava per fare entrare il desidei'alissimo
ospite. «Presto, presto,» diceva lui: « ai)rile heiic, ch'io
possa entrare: e voi, da bravi, tenete indietro la gente;
non mi lasciate venire addosso per l'amor del cielo !
Serbate un po' di largo per tra poco Ehi! ehi! si-
gnori, un momento, » diceva poi ancora a ipiclli di den-
tro: «adagio con (|uel lialtcnlc lasciatemi passare: eh!
le mie costole; vi raccomando le mie costole. Chiudete
ora: no; eh! eh! la toga! la toga!» Sarebbe infatti ri-
masta presa tra i hallenti, se Ferrer non n'avesse ri-
tirato con molta disinvoltura lo strascico, che disparve
come la coda d'una scipe, che si i-imhuca inseguila.
Riaccostali i hattenii, birono anche riai»|uintellali alla
2o2 I PROMESSI SPOSI
mt\ii"lio. Di fuori, qiKslli che s'oran cosiituili .crnanlia do]
corpo (li FccRM", lavoravano di spalle, di braccia e di Licida,
a mantener la piazza vota, pregando in cuor loro il Si-
gnore che lo facesse far preslo.
« Presto, presto, » diceva anche Ferrer di dentro, sotto
il portico, ai servitori, che gli si eran messi d'intorno
ansanti, gridando: a sia benedetto I ah eccellenza ! oh ec-
cellenza! uh eccellenza!»
a Presto, presto,» ripeteva Ferrer: «dov'è questo be-
nedett'uomo? »
Il vicario scendeva le scale, mezzo strascicato e mezzo
portato da altri suoi servitori, bianco come un panno la-
vato. Quando vide il suo aiuto, mise un gran respiro,
gli tornò il polso, gli scorse un po' di vita nelle gambe,
un po' di colore sulle gote; e corse, come potè, verso
Ferrer, dicendo: «sono nelle mani di Dio e di vostra
eccellenza. Ma come uscir di qui? Per tutto e" è gente
che mi vuol morto. »
« Venr/a usied con rnUjo, e si faccia coraggio: qui fuori
c'è la mia carrozza; presto^ presto.» Lo prese per la
mano, e lo condusse verso la porta, facendogli coraggio
InUavia; ma diceva intanto trasè: — ^wi està elbusilis;
Dios nos valga ! —
La porta s'apre; Ferrer esce il primo; l'altro dietro,
rannicchiato, attaccato, incollalo alla toga salvatrice, come
un l)anil)ino alla sottana della mamma. Quelli che ave-
van mantenuta la i)iazza vota, fanno oi-a, con un alzar
di mani, di cappelli, come una rete, una nuvola, per sot-
trarre alla vista pericolosa della moltitudine il vicario;
il quale entra il primo nella carrozza, e vi si rimpiatta
in un angolo.
Ferrer sale dopo; lo sportello vien chiuso. La mol-
titudine vide in, confuso, riseppe, indovinò (piel ch'era
accaduto; e mandò un urlo d'applausi e d'inqjreca/.ioni.
La parte della strada che rimaneva da farsi, poteva
parer la più dithcile e la più pericolosa. Ma il voto pub-
blico era abbastanza spiegato per lasciar andare in pri-
CAPITOLO XllL 2o3
gione il vicario; e nel tempo della fermata, molli di quelli
che avevano agevolato l'arrivo di Ferrer, s'eran tanto
ingegnati a preparare e a men tener come una corsia nel
mezzo della folla, che la carrozza potè, questa seconda
volta, andare un po' più lesta, e di seguito. Di mano
in mano che s'avanzava, le due folle rattenutc dalle
parti, si ricadevano addosso e si rimischiavano, dietro a
quella.
Ferrer, appena seduto, s'era chinato per avvertire il
vicario, che stesse hen rincaiitncciato nel fondo, e non
si facesse vedere, per l'amor (M cielo; ma ravvertimiMito
era superfluo. Lui, in vece, bisognava che si facesse ve-
dere per occupare e attirare a sé tutta l' attenzione del
pubblico. E per tutta questa gita, come nella prima,
fece al mutabile uditorio un discorso, il più continuo
nel tempo, e il più sconnesso nel senso che fosse mai;
interrompendolo però ogni tanto con qualche parolina
spagnola, che in fretta si voltava a bisl)igliar nell'orec-
chio del suo acquattalo compagno. «Si, signori; pane e
giustizia: in castello, in prigione, sotto lamia guardia.
Grazie, grazie, grazie tante. No, no : non iscap{)erà ! Poì-
alìlaniarlos. È troppo giusto; s' esaminerà, si vedrei. An-
ch'io voglio beni! a lor signori. Un gasligo severo. Està
lo (Ugo por su bien. Una meta giusta, una meta onesta,
e gastigo agli alfamatori. Si tirin da parte, di grazia.
Si, si; io sono un galantnomo, amico del popolo. Sarà
gastigato; ò V(!ro, è un birbante, uno scellerato. Pt?^Y/o//f',
usted. La passerà male, la passerà male si es cul-
pable. Sì, sì, li faremo rigar diritto i fornai. Viva il re,
e i buoni milanesi, suoi fedelissimi vassalli ! Sta fresco,
sta fresco. Animo: estainos i/a quasi [nera. »
Avevano in fatti al traversala la maggior calca, e già
eran vicini a usch' al laruo, del tulio. Lì Ferrer, men-
tre cominciava a dare un poMi ri|ioso a' suoi polmoni,
vide il soccorso di l'isa, (ine' soldati spagnoli, che però
sulla lini! non erano stati alTallo iindili, giai'i'iiè sdsli'-
inili e dir(!lti da (pialche cilladiiio, avevano cooperalo a
f
254 I PROMESSI SPOSI
mandare in pace un po' di gente, e a tenere il passo
lil)ero all'ullima uscita. All'arrivar della carrozza, fecero
ala, e presenlaron l'arme al gran cancellien;, il quale
fece anche qui un saluto a destra e un saluto a sini-
stra; e all'ulfiziale, che venne più vicino a fargli il suo,
disse, accompagnando le parole con un cenno della de-
stra: «■beso a visteci las manos : t> parole che l'ufiziale in-
tese per quel che volevano dir realmente^ cioè: m'avete
dato un bell'aiuto! In risposta, fece un altro saluto, e
si ristrinse nelle spalle. Era veramente il caso di dire:
cedant arme togce; ma Ferrer non aveva in quel momento
la testa a citazioni: e del resto sarebbero state parole
buttate via, perchè l'ufiziale non intendeva il latino.
A Fedro, nel passar tra quelle due file di micheletti,
tra que' moschetti cosi rispettosamente alzati, gli tornò
in petto il cuore antico. Si riebbe affatto dallo sbalordi-
mento, si rammentò chi era, e chi conduceva; e gri-
dando: « ohe! ohe! » senz'aggiunta d'altre cerimonie, alla
gente ormai rada aljbastanza per poter esser trattata così,
e sferzando i cavalli, fece loro prender la rincorsa verso
il castello.
« Levantese, levantese; estamos ya fuera, » disse Ferrer
al vicario; il quale, rassicuralo dal cessar delle grida, e
dal rapido molo della carrozza, e da quelle parole, si
svolse, si sgruppò, s'alzò; e riavutosi alquanto, comin-
ciò a render grazie, grazie e grazie al suo liberatore.
Questi, dopo essersi condoluto con lui del pericolo e ral-
legrato della salvezza: «ah» esclamò battendo la mano
sulla sua zucca monda, « qm dirà de esto su crceìenciii,
che ha già tanto la luna a rovescio, per ([uel maledetto
Casale, che non vuole arrendersi? Que dirà el conde du-
que, che piglia ombra se una foglia fa più rumore del
solito? Quo dirà (d, n-// nueslro spiwr . che pur qualche
cosa Insognerà che venga a risapere d'un fracasso così'?
E sarà poi finito? Dio lo sabe.
* Ah I per me, non voglio più impicciarmene, » diceva
il vicario: «me ne chiamo fuori; rassegno la mia carica
CAPITOLO XIII. 255
nelle mani di vostra eccellenza, vo a vivere in nna grotla,
?ur una montagna, a far l'eremita, lontano, lontano da
questa gente bestiale. »
« Usted farà quello che sarà più conveniente por el
senicio de su mnijesfad,^ rispose graveìtiente il gran
cancelliere.
« Sua maestà non vorrà la mia morte, » replicava il
vicario: « in una grotta, in una grotta; lontano da co-
storo. >
Che avvenisse poi di questo suo proponimento non
lo dice il nostro autore, il quale dopo avere accompa-
gnato il pover'uomo in castello, non fa più menzione de'
fatti suoi.
CAPITOLO XIV.
La folla rimasta indietro cominciò a sbandarsi, a di-
ramarsi a destra e a sinistra, per questa e per quella
strada. Chi andava a casa, a accudire anche alle sue
faccende; chi s'allontanava, per respirare un po' al largo,
dopo tante ore di stretta; chi, in cerca d'amici, per ciar-
lare de' gran fatti della giornata. Lo stesso sgombero
s'andava facendo dall'altro sbocco della strada, nella
quale la gente restò abbastanza rada perche quel drap-
pello di spagnoli potesse, senza trovar resistenza, avan-
zarsi, e postarsi alla casa del vicario. Accosto a quella
slava ancor condensato il fondaccio, per dir così, del
tumulto; un branco di birboni, che malcontenti d'una
fine così fredda e così imperfetta d' un cosi grand' appa-
rato, parte brontolavano, parte bestemmiavano, parie te-
nevan consiglio, per veder se qualche cosa si potesse
ancora intraprendere; e, come per provare, andavano
urtacchiando e pigiando quella povera porta, ch'era stata
di nuovo appunlellata alla meglio. All'arrivar del drap-
pello, tulli coloro, chi dirillo dirillo, chi baloccandosi, e
comi; a stento, se n'andarono dalla parte opposta, la-
sciando il campo libero a' soldati, che lo presero, e vi
1
ì PROMESSI SPOSI, CAPITOLO XIV. 2o7
si postarono a guaidia della casa e della strada. Ma tutte
le strade del contorno erano seminate da crocchi: dove
c'eran due o tre persone ferme , se ne fermavano tre,
quadro, venti altre: qui qualclieduno si staccava; là tutto
un croccino si moveva insieme: era come quella nuvo-
laglia che talvolta rimane sparsa, e gira per l'azzurro
del cielo, dopo una burrasca; e fa dire a chi guarda in
su: questo tempo non è rimesso bene. Pensate poi che
babilonia di discorsi. Chi raccontava con enfasi i casi
particolari che aveva visti; chi raccontava ciò che lui
stesso aveva fatto; chi si rallegrava che la cosa fosse
finita bene, e lodava Ferrer, e pronosticava guai seri
per il vicario: chi, sghignazzando, diceva: «non abbiate
paura che non l'ammazzeranno; il lupo non mangia la
carne del lupo;» chi più stizzosamente mormorava che
non s'eran fatte le cose a dove re ^ ch'era un inganno,
e ch'era slata una pazzia il far tanto chiasso, per la-
sciarsi poi canzonare in quella maniera.
Intanto il sole era andato sotto, le cose diventavan
hitle d'un colore; e molti, stanchi della giornata e an-
noiati di ciarlare al buio, tornavano verso casa. Il no-
siro giovine, dopo avere aiutato il passaggio della car-
rozza, finche c'era stato bisogno d'aiuto, e esser passato
anche lui dietro a quella, tra le file de' soldati, come in
Ii'ionfo, si rallegrò quando la vide correr liberamente,
e hior di pericolo; fece un po' di strada con la folla, e
n'uscì, alla prima cantonata, per respirare anche lui un
po' liberamente. Fatto ch'ebbe pochi passi al largo, in
mezzo all'agitazione di tanti sentimenti, di tante imma-
gini, recenti e confuse, sentì un gran bisogno di man-
giare e di riposarsi; e cominciò a gnardan; in su, da
una parie e ilalT altra, cercando un'insegna d'osteria,
giacché, per andare al convento de'cappuccini, era tropjto
tardi. Camminando così con la testa per aria, si trovò
a ridosso a un crocchio ; e fermatosi , sentì che vi di-
scorrevan di congellure, di disegni, per il giorno dopo.
Sialo un momento a stMilire , non polr teniMsi di non
VOL. I. Il*
1
2S8 1 piROM!i:ssi Sposi
dire anello lui la sua; paronclogli che potesse senza pre-
sunzione proporre qualche cosa chi aveva fatto tanlo. E
persuaso, per tutto ciò che aveva visto in quei giorno,
che ormai, per mandare a effetto una cosa, hastasse farla
entrare in grazia a quelli che giravano per le slrade,
«signori mici I » gridò in tono d'esordio: «devo dire
anch'io il mio dehol parere ? Il mio dehol parere è que-
sto : che non è solamente nel!' affare del pane che si
fanno delle hricconerie : e giacché oggi s' è visto chiaro
che, a farsi sentire, s'ottiene quel che è giusto; bisogna
andar avanti così, fin che non si sia messo rimedio a
tutte quelle altre scelleratezze, e che il mondo vada un
po' più da cristiani. Non è vero, signori miei, che c'è
una mano di tiranni, che fanno proprio al rovescio dei
dieci comandamenti, e vanno a cercar la gente quieta,
che non pensa a loro, per farle ogni male, e poi lianno
sempre ragione ? anzi quando n' hanno fatta una più
grossa del solito, camminano con la testa più alta, che
par che gli s'abbia a rifare il resto? Già anche in Mi-
lano ce ne dev' essere la sua parie. »
«Pur troppo,» disse una voce.
8 Lo dicevo io,» riprese Renzo: «già le storie si
raccontano anche da noi. E poi Ih cosa parla da sé.
Mettiamo, per esempio, che qualcuno di costoro che vo-
glio dir io stia un po' in campagna, un po' in Milano:
se è un diavolo là, non vorrà esser un angiolo qui ; mi
pare. Dunque mi dicano un poco, signori miei, se hanno
mai visto uno di questi col muso all'inferriata. E quel
che è peggio (e questo lo posso dir io di sicuro), è che
le gride ci sono, stampate, per gastigarli : e non già
gride senza costrutto ; fatte benissimo, che noi non po-
tremmo trovar niente di meglio ; ci son nominate le
bricconerie chiare, proprio come succedono; e a ciasche-
duna, il suo buon gastigo. E dice: sia chi si sia, vili
e plebei , e che so io. Ora , andate a dire ai dottori ,
scribi e farisei, che vi facciano far giustizia, secondo che
canta la grida: vi danno retta come il papa ai furfanti:
CAPITOLO XIV. 259
cose (In far jrirarc il cervello a (iiialunque galaninomo.
Si vede (liiii(|ne cliiarameiile che il re, e quelli che co-
mantlano, vorrebbero che i birboni fossero gasliftaii:
ma non se ne fa nulla , perchè e' è una lega. DuiKiue
bisogna romperla ; bisogna andar domallina da Ferrer,
che quello è un galantuomo, un signore alla mano; e
oggi s'è potuto vedere com'era contento di trovarsi con
la povera gente, e come cercava di sentir le ragioni che
gli venivan dette, e rispondeva con buona grazia. Biso-
gna andar da Ferrer , e dirgli come stanno le cose ; e
io, per la parte mia, gliene posso raccontar delle belle;
che ho visto io, co'miei occhi, una grida con tanto d'arme
in cima, ed era stata fatta (la tre di quiMli che possono,
che d'ognuno c'era sotto il suo nome beli' e stampat(\
e uno di questi nomi era Ferrer, visto da ,me, co'miei
occhi : ora , questa grida diceva proprio le cose giuste
per me : e un dottore al quale io gli dissi che dunque
mi facesse render giustizia, com'era l'intenzione di (jue'
tre signori. Ira i quali c'era anche Ferrer, questo signor
dottore, che m'aveva fatto veder la grida lui medesimo,
che è il più bello, ah ! ah ! pareva che gli dicessi delle
pazzie. Son sicuro che, quando quel caro vecchione sen-
tirà queste belle cose ; che lui non le pu() saper tutte,
specialmente quelle di fuori: non vorrà i)iù che il mondo
vada così, e ci metterà un buon rimedio. E poi, anche
loro, se fanno le gride, devono aver piacere che s'ub-
bidisca: che è anche un disprezzo, un pitatfio col loro
nome, contarlo per nulla. E se i prepotenti non vogliono
abbassar la testa, e fanno il pazzo, slam (pii noi per
aiutarlo come s'è fatto oggi. Non dico che deva andar
lui in giro, in carrozza, ad acchiappar tutti i birboni,
prepotenti e tiranni: sì; ci vorrebbe l'arca di Noè. Bi-
sogna che lui comandi a chi tocca, e non solamente in
Milano, ma per tulio, che faccian le cose conforme di-
con 1(! gride; e formare un buon processo addosso a
tutti quelli che hanno c()nim(\sso di (pielle bricconerie;
e dove dice prigione, prigione; dove dice galera, galera;
260 1 PROMESSI SPOSI
e (lire ai podestà clic faccian davvero; se no, mandarli
a spasso , e mellerne de' meglio ; e poi , come dico , ci
saremo anche noi a dare nna maiìo. E ordinare a' dot-
tori ctie stiano a sentire i poveri e parlino in difesa della
ragione. Dico bene, signori miei'?»
Renzo aveva parlato tanto di cuore, clic, fin dall'esor-
dio, una gran parte de' radunati, sospeso ogni altro di-
scorso, s'eran rivoltati a lui e, a un certo punto lutti
eran divenuti suoi uditori. Un grido confuso d'api)lausi,
di <■ bravo : sicuro : ha ragione : è vero pur trujjpo , »
fu come la risposta dell' udienza. Non mancarono però
i critici. «E sì,» diceva uno: «dar retta a'montanari:
son tutti avvocati ; » e se ne andava. » Ora , » mormo-
rava un altro , « ogni scalzacane vorrà dir la sua ; e a
furia di metter carne a fuoco non s'avrà il pane a buon
mercato , che è quello per cui ci siani mossi. » Renzo
però non sentì che i complimenti; chi gli prendeva una
mano chi gli prendeva 1' altra « A rivederci a domani.
— Dove? — Sulla piazza del duomo. — Va bene. —
Va bene. — E qualcosa si farà. — E ipialcosa si farà. »
« Chi è di questi bravi signori che voglia insegnarmi
un'osteria, per mangiare un boccone, e dormire da po-
vero iìgliuolo ? » disse Renzo.
« Son qui io a servirvi , quel bravo giovine , » disse
uno, che aveva ascoltata attentamente la predica, e non
aveva detto ancor nulla. Conosco appunto un'osteria che
farà al caso vostro; e vi raccomanderò al padrone, che
è mio amico, e galantuomo. »
«Qui vicino?» domandò Renzo. «Poco distante,»
rispose colui.
La radunata si sciolse; e Renzo, dopo molle strette
di mani sconosciute, s'avviò con lo sconosciuto, ringra-
ziandolo della sua cortesia.
« Di che cosa? » diceva colui: « una mano lava l'altra,
e tutt'e due lavano il viso. Non siamo obbligati a far
servizio al prossimo? » E camminando, faceva a Renzo,
in aria di discorso, ora una, ora un' altra domanda.
CAPITOLO XIV. 261
t Non per sapere i fatti vostri; ma voi mi parete molto
stracco: da che paese venite? »
« Venuto, » rispose Renzo, « lino, fino da Lecco. »
« Fin da Lecco? Di Lecco siele? »
« Di Lecco.... cioè del territorio. »
« Povero giovine! per qnanto lio potnto intendere
da'voslri discorsi, ve n'iianno fatte delle grosse.»
i Eh! caro il mio galantnomo! ho dovulo parlane con
un po' di politica, per non dire in pnbhiico i falli miei;
ma.... basta, qualche giorno si saprà; e allora.... Ma
qui vedo un'insegna d'osleria; e, in fede mia, non ho
voglia d'andar pii^i lontano. »
« No, no; venite dov'ho detto io, che c'è poco, »
disse la guida: «qui non islareste bene.»
« Eh, si; » rispose il giovine: « non sono un signo-
rino avvezzo a star nel cotone: qualcosa alla buona da
mettere in castello, e un saccone, mi basta: quel che
mi preme è di trovar presto l'uno e l'altro. Alla prov-
videnza! » Ed entrò in un usciaccio, sopra il quale pen-
deva l'insegna della luna ] iena. « Bene; vi condurrò qui,
giacche vi piace così, » disse lo sconosciuto; e gli andò
dietro.
« Non occorre che v'incomodiate di più,» rispose
Renzo. i Però » soggiunse, i se venite a bere un bicchiere
con me, mi fate piacere, j
« Accetterò le vostre grazie,» rispose colui: e andò,
come più pratico del luogo, innanzi a Renzo, per un
cortiletto; s'accostò all'uscio che metteva in cucina, alzò
il saliscendi, aprì, e v'entrò col suo compagno. Due lumi
a mano, pendenti da due perti('he atlaccale alla trave
del jìalco, vi spandevano una mezza luce. Alulla genie
era setluta, non però in ozio, su due pani he, di (pia e
di là d'una lavola slrella e lunga, che leneva (juasi
tutta una parte della stanza: a intervalli, tovaglie e [ìialti;
a intervalli, carte voltale e rivoltale, dadi buttati e rac-
colti; fiaschi e hicchicri per tutto. Si vedevano anche
conerò berlitujhe reali e parpaijliole , che, se avessero
262 1 PÌ^OMESSI SPOSI
potuto parlare, avrebbero detto probabilmente: — noi
ei-avamo slanialliiia nella ciotola d' un l'ornaio, o nelle
tasclic di qualche speltalore del lumullo, che ttilT in-
tenlo a vedere come andassero gli alTari pubblici, si di-
menticava di vigilar le sue faccendole private. — Il chiasso
era grande. Un garzone girava innanzi e indietro, in
fretta e in furia, al servizio di quella (avola insieme e
tavoliere: 1' oste era a sedere sur una piccola panca,
solfo la cappa del cammino, occupato, in apparenza, in
certe figure che faceva e disfaceva nella cenere, con le
molle; ma in realtà intento a tutto ciò che accadeva
intorno a lui. S'alzò, al rumore del saliscendi; e andò
incontro ai soprarrivali. Visto ch'ebbe la guida, — ma-
ledetto! — disse tra sé: — che tu m'abbia a venir sem-
pre tra piedi, quando meno ti vorrei! — Data poi un'oc-
chiata in fretta a Renzo, disse ancora tra sé: — non ti
conosco; ma venendo con un tal cacciatore, o cane o
lepre sarai: quando avrai detto due parole, ti conoscerò. —
Però, di queste riflessioni nulla trasparve sulla faccia
dell'oste, la quale stava immobile come un ritratto: una
faccia pienotta e lucente, con una barltetla folta, rossic-
cia, e due occhietti chiari e fissi.
« Cosa comandan questi signori? » disse ad alta voce.
a Prima di tutto, un buon fiasco di vino sincero, »
disse Renzo: « e poi un boccone. » Cosi dicendo, si buttò
a sedere sur una panca, verso la cima della tavola, e
mandò un tali!» sonoro, come se volesse dire: fa bene
un po' di panca, dopo essere stato, tanto tempo, ritto e
in faccende. Ma gli venne subito in mente quella panca e
quella tavola, a cui era stato seduto l'ultima volta, con
Lucia e con Agnese: e mise un sospiro. Scosse poi la
testa, come per iscacciar quel pensiero: e vide venir
l'oste col vino. Il compagno s'era messo a sedere in
faccia a Renzo. Questo gli mescè subito da bere, dicen-
do: « per bagnar le labbra. » E riempito l'altro bicchiere,
lo tracannò in un sorso.
« Cosa mi darete da mangiare?» disse poi all'oste.
CAPITOLO XIV. :26;ì
« Ho dolio stufato: vi piace? » disse questo.
« Sì, bravo; dello slufalo. »
« Sarete servito,» disse l'oste a Renzo; e al garzone:
« servile questo forestiero. » E s'avviò verso il cammino.
«Ma... » riprese poi, tornaiìdo verso Renzo: «ma pane
non ce n'ho in questa aiornala. »
« Al pane, » disse Renzo, ad alta voce e ridendo, « ci
ha pensato la provvidenza. » E tirato fuori il terzo e
ultimo di que' pani raccolti sotto la croce di san Dio-
nigi, l'alzò per aria, gridando: « ecco il pane della prov-
videnza! »
All'esclamazione, molti si voltarono; e vedendo quel
trofeo in aria, uno gridò: « viva il pane a buon mer-
cato ! »
« A huon mercato? » disse Renzo: « ijralis ci amore. »
« Meglio, meglio. »
« Ma,» soggiunse subito Renzo, « non vorrei che lor
signori pensassero a male. Non è ch'io l'abbia, come si
suol dire, sgrafiìgnato. L'ho trovato in terra; e se po-
tessi trovare anche il padrone, son pronto a pagarglielo. »
« Rravo! bravo! » gridarono, sghignazzando più forte,
i compagnoni; a nessuno dei (juali passò per la mente
che quelle parole fossero dette davvero.
« Credono eh' io canzoni; me l'è proprio cosi,» disse
Renzo alla sua guida; e, girando in mano quel pane,
soggiunse: «vedete come l'hanno accomodato; pare una
schiacciata: ma ce n'era del prossimo! Se ci si trovavan
di quelli che bau l'ossa un po' tenere, saranno stali
freschi.» E subito, divorati tre o tpiatlro Itocconi di
quel pane, gli mandò dietro un secondo bicchier di vino:
e soggiunse: « da sé non vuol andar giù questo pane.
Non ho avuto mai la gola tanto secca. S'è fatto un gran
gridare ! »
« Preparate un buon letto a (jucslo bravo giovine, »
disse la guida: « [lerchè ha iiilenzitjne di dormir ipii. »
« Volete dormir (juiN duniandò l'oste a Renzo, av-
vicinandosi alla tavola.
264 I PROMESSI SPOSI
« Sicuro, » mposc Renzo: « un letto alla buona; basta
clic i lon/.oli sian di bucalo; pcrcbè son povero liirliiiolo,
ma avvezzo alla pulizia. »
« Oh, in quanto a questo! » disse l'oste: andò al
banco, ch'era in un angolo della cucina; e ritornò, con
un calamaio e un pezzello di caria bianca in una mano,
e una penna nell'altra.
« Cosa vuol dir questo?» esclamò Renzo, ingoiando
un l)Occone dello stufato che il garzone gli aveva messo
davanti, e sorridendo poi con meraviglia, soggiunse:
« è il lenzolo di bucato, codesto? »
L'oste, senza rispondile, posò sulla tavola il calamaio
e la carta: poi appoggiò sulla tavola medesima il braccio
sinistro e il gomito destro; e, con la penna in aria, e
il viso alzato verso Renzo, gli disse: « fatemi il piacere
di dirmi il vostro nome, cognome e patria. »
« Cosa? » disse Renzo: « cosa c'entrano codeste storie
col letto? »
« Io fu il mio dovere, » disse l'oste, guardando in
viso alla guida: « noi siamo obbligali a render conto di
tutte le persone che vengono a alloggiar da noi: nome
e cognome, e di che nazione sarà, a che negozio viene,
se ha seco armi.... quanto tempo ha di fermarsi in que-
sta città.... Son parole della grida. »
Prima di rispondere, Renzo votò un altro bicchiere:
era il terzo; e d'ora in poi ho paura che non li po-
tremo pii!i contare. Poi disse: «ah ah! avete la grida!
E io fo conto d'esser dottor di legge; e allora so subito
che caso si fa delle gride. »
1 Dico davvero,» disse l'oste, sempre guardando il
muto compagno di Renzo; e, andato di nuovo al banco,
ne levò dalla cassetta un gran foglio, un proprio esem-
plare della grida; e venne a spiegarlo davanti agli occhi
di Renzo.
« Ah! ecco!» esclamò questo, alzando con una mano
il bicchiere riempito di nuovo, e rivotandolo subilo, e
stendendo poi l'altra mano, con un dito leso, verso la
CAPITOLO XIV. 265
grida: « ecco quel bel foglio di messale. Me ne rallegro
moltissimo. La conosco quell'arme; so cosa vuol dire
quella faccia d'ariano, con la corda al collo. » (In cima
alle gride si metteva allora l'arme del governatore; e
in quella di don Gonzalo Fernandez de Cordova, spic-
cava un re moro incatenato per la gola.) "Vuol dire,
quella faccia: comanda chi può, e ubbidisce chi vuole.
Quando questa faccia avrà fatto andare in galera il si-
gnor don basta, lo so io; come dice in un altro foglio
di messale compagno a questo; quando avrà fatto in
maniera che Uii giovine onesto possa sposare una giovine
onesta che è contenta di sposarlo, allora le dir(5 il mio
nome a questa faccia; le darò anche un bacio per di
più. Posso aver delle buone ragioni per non dirlo, il
mio nome. Oh bella! E se un furfantone, che avesse
al suo comando una mano d'altri furfanti: perchè se
fosse solo » equi fini la frase con un gesto: « se un
furfantone volesse saper dov' io sono, per farmi qualche
brutto tiro, domando io se questa faccia si moverebbe
per aiutarmi. Devo dire i fatti miei! Anche questa è
nuova. Son venuto a Milano per confessarmi, supponiamo;
ma voglio confessarmi da un padi'e cappuccino, per modo
di dire, e non da un oste. »
L' oste stava zitto, e seguitava a guardar la guida, la
quale non faceva dimostrazione di sorte veruna. Renzo,
ci dispiace il dirlo, ti-acaiinò un altro bicchiere, e pro-
seguì: « li porterò una ragione, il mio caro oste, che ti
capaciter'à: Se le gride che parlan bene, in favore de'
buoni crisliaiu, non contano; tanto meno devoii cun-
tare quelle che parlan male. Dunciue leva tutti (pie-
st' imbrogli, e porla in vece un altro fiasco, perchè que-
sto è fesso. » Cosi dicendo, lo p(;rcosse leggermente
con le nocca, e soggiunse: i senti, senti, oste, come croc-
chia. »
Anche ([uesla vglta, Uenzo aveva, a poco a poco, at-
tirala ratlonzione di quelli che gii slavan d'intorno: e
anche questa volta, fu apitlaudilo dal suo utlilurio.
voL. r 12
266 1 l'UUMESSl SPOSI
« Cosa devo fare?» disse Toste, guardando tinello
sconosciiilo, che non era tale per lui,
« Via, via,» gridaroii molli di que compagnoni: « ha
ragione quel giovine: som tutte angherie, trappole, im-
picci: legge nuova oggi, legge nuova. »
In mezzo a queste grida, lo sconosciulo, dando all'oste
un'occhiata di rimprovero, per (inoli' iiitorrogazione troppo
scoperta, disse: «lasciatelo un po' fare a suo modo: non
fate scene. »
a Ho fatto il mio dovere,» disse l'oste, forte; e poi
tra sé: — ora ho le spalle al muro. — E prese la caria,
la penna, il calamaio, la grida, e il fiasco vóto, per con-
segnarlo al garzone.
« Porla del medesimo, » disse Renzo: « che lo trovo
galantuomo: e lo metteremo a letto come l'altro, senza
domandargli nome e cognome, e di che nazione sarà,
e cosa viene a fare, e se ha a stare un pezzo in questa
città. »
« Del medesimo, » disse l'oste al garzone, dandogli
il fiasco; e ritornò a sedere sotto la cappa del cammino.
— Altro che lepre! — pensava, istoriando di nuovo la
cenere: — e in che mani sei capitato! Pezzo d'asino! se
vuoi affogare, affoga; ma l'osle della luna piena non
deve andarne di mezzo, per le lue pazzie. —
Renzo ringraziò la guida, e tutti quegli altri che ave-
van prese le sue parti. « Bravi amici! » disse: « ora vedo
proprio che i gaìanUiomini, si danno la mano, e si so-
stengono. » Poi, spianando la destra per aria sopra la
tavola, e mettendosi di nuovo in atlitudiiie di predica-
tore, « gran cosa,» esclamò, «che tutti quelli che rego-
lano il mondo, voglian fare entrar per tutto carta, penna
e calamaio! Sempre la penna per aria! Grande smania
che hanno que' signori d'adoprar la penna!»
« Ehi, (piel galaiilnomo di campagna! volete sa|)('rne
la ragione? » disse ridendo uno di (|ue' giocatori che
vinceva,
«t Senliamo un poco, » rispose Renzo.
CAPITOLO XIV. 267
« La ragione è qiiesia, » disse colui: « clic que/ signor'
son loro che raangian l'oche, e si trovan h tante penne^
tanle penne, che qualcosa hisogna che ne facciano. »
Tulli si misero a ridere, fuor che il compagno che
perdeva.
« To', » disse Renzo: « è un poeta costui. Ce n'è an-
che qui de' poeti: già ne nasce per lutlo. N'ho una
vena anch'io, e qualche volta ne dico delle curiose
ma quando le cose vanno hene. »
Per capire questa haggianata del povero Renzo, hiso-
gna sapere che, presso il vol,::o di Milano, e del contado
ancora più, poeta non significa già, come per tutti i
galantuomini, un sacro ingegno, un ahitator di Pindo,
un allievo delle Muse; vuol dire un cervello Itizzarro e
un po' balzano, che, ne' discorsi e ne' fatti, abbia piò
dell'arguto e del singolare che del ragionevole. Tanto
quel guastamestieri del volgo è ardito a manomettere
le parole, e a far dir loro le cose piò lontane dal loro
legittimo significato! Perchè, vi domando io, cosa ci ha
che fare poeta con cervello balzano?
« Ma la ragione ginsta la dirò io, » soggiunse Reirzo:
« è perchè la penna la tengon loro: e cosi, le parole che
dicon loro, volan via, e sparis(;ono; le parole che dice
un povero figlinolo, stanno attenti hene, e presto presto
le infìlzan per aria, con quella penna, e te le inchiodano
sulla caria, per servirsene a tempo e Inogo. Hanno poi
anche un'altra malizia, che, quando vogliono imbrogliare
un povero figliuolo, che non abbia studialo, ma che
abbia un po' di — so io (\uv\ che voglio dire » e,
per fnrsi iiit(Mulere, andava picchiando, e come arielando
la Ironie con la piinla dell'indice; «e s'accorgono che
comincia a caj)ir l'imbroglio, lafi'ele, hultan deniro nel
discoi'so qualche parola in Ialino, per fargli peidciv il
Ilio, p(>r confondergli la lesi;). Basin ; se ne deve snicllci'
dell'usanze! Oggi, a buon conio, s'è fallo liflio in vol-
gai'c, e senza caria, penna e calamaio: e domani, se
la genie sapi'à l'egolai'si, se ne farà anche delle meglio;
268 I PROMESSI SPOSI
senza torcere un capello a nessuno, però; tutto per via
di giustizia, s
Intanto alcuni di que' compagnoni s' erano rimessi a
giuocare, altri a mangiare, molti a gridare; alcuni se
n'andavano; altra gente arrivava; l'oste badava agli uni
e agli altri; tutte cose che non hanno che fare con la
nostra storia. Anche la sconosciuta guida non vedeva
l'ora d'andarsene; non aveva, a quel che paresse, nessun
affare in quel luogo; eppure non voleva partire prima
d'aver chiacchierato un altro poco con Renzo in parti-
colare. Si voltò a lui, riattaccò il discorso del pane; e
dopo alcune di quelle frasi che, da qualche tem[)0, cor-
revano per tutte le bocche, venne a metter fuori un suo
progetto. «Eh! se comandassi io, i disse, «lo troverei il
verso di fare andar le cose bene. »
et Come vorreste fare? » domandò Renzo, guardandolo
con due occhietti brillanti più del dovere, e storcendo
un po' la bocca come per star più attento.
« Come vorrei fare? » disse colui: j vorrei che ci
fosse pane per tutti; tanto per i poveri , come per i
ricchi. »
« Ah ! così va bene, » disse Renzo.
« Ecco come farei. Una mela onesta, che tutti ci po-
tessero campare. E poi, distribuire il pane in ragione
delle bocche: perchè c'è degl'ingordi indiscreti, che
vorrebbero tutto per loro, e fanno a ruffa rafia, pigliano
a buon conto; e poi manca il pane alla povera gente.
Dunque dividere il pane. E come si fa"? Ecco: dare un
bel biglietto a ogni famiglia, in proporzion delle bocche,
per andare a prendere il pane dal fornaio. A me, per
esempio, dovrebbero rilasciare un biglietto in questa
forma: Ambrogio Fusella, di professione spadaio, con
moglie e quattro figliuoli, tutti in età da mangiar pane
(notate bene): gli si dia pane tanto, e paghi soldi tanti,
Ma far le cose giuste, sempre in ragion delle bocche.
A voi, per esempio, dovrebbero fare un Itiglietto per
il vostro nome? »
CAPITOLO XIV. 269
« Lorenzo Tramaglino, » disse il giovine ; il quale,
invaghito del progetto, non fece attenzione ch'era tutto
fondato su carta, penna e calamaio; e che per metterlo
in opera, la prima cosa doveva essere di raccogliere i
nomi delle persone.
a Benissimo, » disse lo sconosciuto: « ma avete moglie
e figliuoli? »
« Dovrei bene figliuoli no troppo presto
ma la moglie se il mondo andasse come dovrebbe
andare — »
« Ah siete solo! Dunque abbiate pazienza, ma una
porzione più piccola. »
« É giusto; ma se presto come spero — e con l'a-
iuto di Dio Basta; quando avessi moglie anch'io?»
« Allora si cambia il biglietto, e si cresce la porzione.
Come v'ho detto; sempre in ragion delle bocche, » disse
lo sconosciuto, alzandosi.
« Così va bene, » gridò Renzo; e continuò, gridando e
battendo il pugno sulla tavola: « e perchè non la fanno
una legge così ? »
« Cosa volete che vi dica? Intanto vi do la buona notte,
e me ne vo; perchè penso che la moglie e i figliuoli
m'aspetteranno da un pezzo.»
« Un altro gocciolino, uri altro gocciolino, » gridava
Renzo, riempiendo in fretta il bicchiere di colui; e su-
bito alzatosi, e acchiappatolo per una fakla del farsetto,
tirava forte, per farlo seder di nuovo. « Un altro goc-
ciolino: non mi fate quest' affronto. »
Ma l'amico, con una stratta^ si liberò, e lasciando
Renzo fare un gazzabuglio d'istanze e di rinqiroveri,
disse di nuovo: « buona notte, » e se n'andò. Renzo se-
guitava ancora a predicargli, che ({uello era già in istrada;
e poi ripiombò sulla panca. Fissò gli occhi su quel bic-
chiere che aveva riempio; e, vedendo passar davanti
alla tavola il garzone, gli acciaino di fei-marsi, come se
avesse qualche aliare da comunicargli; poi gli accennò
il bicchiere^ e con una pronuncia lenta e solenne, spie-
270 I PROMESSI SPOSI
cando le parole in un certo modo particolare, disse « ecco,
l'avevo preparato per quel galantuomo: vedete; pieno
raso, proprio da amico; ma non l'iia voluto. Alle volle,
la gente ha dell'idee curiose. Io non ci ho colpa: il mio
huon cuore l'ho fallo vedere. Ora, giacché la cosa è fatta,
non hisogna lasciarlo andare a male. » Cosi detto, lo prese,
e lo votò in un sorso.
<i Ho inteso, » disse il garzone, andandosene.
« Ahi avete inteso, anche voi, » riprese Renzo, ^ dun-
que è vero. Quando le ragioni son giuste...! »
Qui è necessario tutto l' amore, che portiamo alla ve-
rità, per farci proseguire fedelmente un racconto di così
poco onore a un personaggio tanto principale, si potrebbe
quasi dire al primo uomo della nostra storia. Per questa
stessa ragione d'imparzialità, dobbiamo però anche av-
vertire eh' era la prima volta, che a Renzo avvenisse un
caso simile: e appunto questo suo non esser uso a stra-
vizi fu cagione in gran parte che il primo gli riuscisse
così fatale. Que' pochi bicchieri che aveva buttati giù da
principio, l'uno dietro l'altro, contro il suo solito, parte
per quell'arsione che si sentiva, parte per una certa al-
terazione d'animo, che non gli lasciava far nulla con mi-
sura, gli diedero subito alla testa; a un bevitore un po'
esercitato non avrebbero fallo altro che levargli la sete.
Su questo il nostro anonimo fa una osservazione, che
noi ripeteremo: e conti quel che può contare. Le abi-
tudini temperate e oneste, dice, recano anche questo
vantaggio, che, quanto più sono inveterate e radicate
in un uomo, tanto più facilmente, appena appena se
n'allontani, se ne risente subito; dimodoché se ne ri-
corda poi per un pezzo ; e anche uno sproposito gli serve
di scola.
Comunque sia, quando que' primi fumi furono saliti
alla testa di Renzo, vino e parole continuarono a andare,
l'uno in giù e l'altre in su, senza misura nò regola:
e, al punto a cui l'abbiam lasciato, stava già come po-
teva. Si sentiva una gran voglia di parlare: ascoltatori.
CAPITOLO XIV. 271
0 almeno uomini presemi che potesse prender por tali,
non ne mancava; e, per qualclie tempo, anche le parole
eran venute via senza farsi pregare, e s'eran lasciate
collocare in un certo qual ordine. Ma a poco a poco,
quella faccenda di finir le frasi cominciò a divenirgli
fieramente dilUcile. Il pensiero, che s'era presentalo vivo
e risoluto alla sua mente, s' annebbiava e svaniva tult'a
un tratto; e la parola, dopo essersi fatta aspettare un
pezzo, non era quella che fosse al caso. In queste an-
gustie, per uno di que' falsi istiidi che, in tante cose,
rovinan gli uomini, ricorreva a quel Ijcnedetlo fiasco.
Ma di che aiuto gli potesse essere il fiasco, in una tale
circostanza, chi ha fior di senno lo dica.
Noi riferiremo soltanto alcuno delle moltissime parole
che mandò fuori, in quella sciagurata sera: le molle più
che Iralasciamo disdireijbero troppo; [icrchè, non solo
non hanno senso, ma non fanno vista d'averlo: condi-
zione necessaria in un libro stampato.
« Ah oste, oste ! » ricominciò, accompagnandolo con
l'occhio intorno alla tavola, o sotto la cappa del cam-
mino; (alvolla fìssaiulolo dove non era, e parlando sem-
pre in mezzo al chiasso della brigala: « oste che tu sei!
Non posso mandarla giù — quel tiro del nome, cognome
e negozio. A un figliuolo par mio....! Non li sei por-
tato bene. Che soddisfazione, che sugo, che gusto
di mellm-e in carta un i)Overo figliuolo"? Parlo bene,
signori ^? Gli osti dovrebbero tenere dalla parte de' buoni
''olinoli Senti, senli, oste; ti voglio fare un para-
gone.... per la ragione .... Ridono eh? Ho un po' di
brio, si — ma le i-agioni le dico giuste. Dimmi un poco;
chi è clic II manda avanti la bottega 'f 1 poveri figliuoli,
ii'è vero? dico tiene? Guarda un po' se que' signori tlelie
gride vengono mai da te a bere un biccbicritio? »
« Tutta gente che beve acqua, » disse un \icino dì
Renzo.
' Vogliono slare in se, » soggiunse un allro, « per
polcr (br le liugie a dovere. »
272 I PROMESSI SPOSI
« Ah I » gridò Renzo : « ora è il poeta che ha parlato.
Dunque intendete anche voi aUri le mie ragioni. Ri-
spondi dunque, oste: e Ferrer, che ò il meglio di tutti,
è mai venuto qui a fare un brindisi, e a spendere un
becco d'un quattrino? E quel cane assassino di don....?
Sto zitto, perchè, sono in cervello anche troppo. Ferrer
e il padre Crr so io, son due galantuomi ; ma ce
n'è pochi de' galantuomini. I vecchi peggio de' giovani,
e i giovani peggio ancora de' vecchi. Però, son con-
tento-che non si sia fatto sangue: oibò ; barbarie, da
lasciarle fare al boia. Pane : oh questo sì. Ne ho rice-
vuti degli urloni ; ma ma ne ho anche dati. Largo !
abbondanza I viva I Eppure anche Ferrer qual-
che parolina in latino siés baraòs trapolorum
Maledetto vizio ! Viva ! giustizia ! pane ! ah, ecco le pa-
role giuste ! ... Là ci volevano que' galantuomini ....
quando scappò fuori quel maledetto ton ton ton , e poi
ancora ton ton ton. Non si sarebbe fuggiti, ve' , allora.
Tenerlo l'i quel signor curato So io a chi penso ! »
A questa parola, abbassò la testa , e stette qualche
tempo, come assorto in un pensiero ; poi mise un gran
sospiro, e alzò il viso, con due occhi inumiditi e lustri,
con un certo accoramento cosi svenevole, così sguaiato,
che guai se chi n'era l'oggetto avesse potuto vederlo
un momento. Ma quegli omacci che già avevan comin-
ciato a prendersi spasso dell' eloquenza appassionata e
imbrogliata di Renzo, lauto più se ne presero della sua
aria compunta; i più vicini dicevano agli altri: guardate;
e tutti si voltavano a lui ; tanto che divenne lo zimbello
della brigata. Non già che tulli fossero nel loro buon
senno , o nel loro qual si fosse senno ordinario ; ma ;,
per dire il vero, nessuno n'era tanto uscito, quanto il
povero Renzo; e per di più era contadino. Si misero,
or l'uno or l'altro, a stuzzicarlo con domande sciocche
e grossolane , con cerimonie canzonatorie. Renzo , ora
dava segno d'averselo per male, ora prendeva la cosa in
ischerzo, ora, senza badare a tutte quelle voci, parlava
CAPITOLO XIV. 273
di tult'aUro, ora rispondeva, ora interrogava ; sempre a
salti, e fuor di proposilo. Per buona sorte, in quel va-
neggiamento , gli era però rimasta come un' attenzione
istintiva a scansare i nomi delle persone; dimodoché
anche quello che doveva esser più altamente fiito nella
sua memoria, non fu proferito ; che troppo ci dispiace-
rebbe se quel nome, per il quale anche noi sentiamo
un po' d' alletto e di riverenza , fosse stato strascinato
per quelle boccacce , fosse divenuto trastullo di quelle
lingue sciagurate.
CAPITOLO XV
L' oste vedendo che il sioco andava in Inno-o . s' era
accostato a Renzo ; e pregando, con buona grazia, ([ue-
gli altri che lo lasciassero stare, l'andava scuotendo per
un braccio , e cercava di fargli intendere e di persua-
derlo che andasse a dormire. Ma Renzo tornava sempre
da capo, o col nome e cognome, o con le gride , e co'
buoni figliuoli. Però quelle parole: letto e dormire, ri-
pc^tute al suo orecchio, gli cntraron finalmente in lesta;
gli fecero sentire un po' più distintamente il bisogno di
ciò che significavano, e produssero un momento di lu-
cido intervallo. Quel po' di senno che gli tornò, gli fece
in certo modo capire che il pii^i se n'era andato : a un
di presso come l'ultimo moccolo rimasto acceso d'un' il-
luminazione, fa vedere gli altri spenti. Si fece coraggio;
stese la mani, e le appuntellò sulla tavola, tentò, una e
due volle, d'alzarsi; sospirò, barcollò; alla terza, sorretto
dall'oste, si rizzò. Quello, reggendolo tuttavia, lo fece
uscire di tra la tavola e la panca; e, preso con una
mano un lume, con l'altra, parte lo condusse, parte lo
tirò, alla meglio, verso l'uscio di scala. Lì Renzo, al
chiasso de' saluti che coloro gli urlavan dietro, si voltò
I PROMESSI SPOSI, CAPITOLO XV. 275
in fretta; e se il suo sostenitore non fosse stato ben lesto
a tenerlo per un braccio, la voltata sarebbe stata un
capitombolo; si voltò dunque, e, con l'altro braccio che
gli rimaneva libero, andava trinciando e iscrivendo nel-
r aria certi saluti, a guisa d'un nodo di Salomone.
« Andiamo a letto, a letto, » disse Toste strascican-
dolo; gli fece imboccar l'uscio; e con più fatica ancora,
lo tirò in cima di quella scaletta, e poi nella camera che
gli aveva destinala, Renzo, visto il letto che T aspettava,
si rallegrò; guardò amorevolmente l'oste, con due oc-
chietti che ora scintillavano più che mai, ora s' ecclissa-
vano, come due lucciole; cercò d'equilibrarsi sulle gain-
be; e stese la mano al viso dell'oste, per prendergli il
ganascino, in segno d'amicizia e di riconoscenza; ma
non gli riuscì. « Bravo oste! " gli riuscì però di dire:
« ora vedo che sei un galantuomo: questa è un'opera
buona, dare un letto a un buon figliuolo; ma (juclla
figura che m' hai fatta sul nome e cognome, (luelia non
era da galantuomo. Per buona sorte che anch' io son
furbo la mia parte .... »
L'oste, il ([uale non pensava che colui potesse ancor
tanto connellcrc; l'oste che, per lunga esperienza, sapeva
quanto gli uomini, in quello stato, sian più soggetti dd
solito a cambiar di parere, volle approfittare di quel lu-
cido intervallo, per fare un altro tentativo. « Figliuol
caro, » disse;, con una voce e con un fare tutto gen-
tile: « non r ho fatto per seccarvi, nò per sapere i fatti
vostri. Go>a volete? è legge : anclu.; noi bisogna ubbi-
dire; altrimenti siamo i primi a portarne la pena. È
meglio contentarli, e ... Di che si tratta finalmente?
Gran cosa I dir due parole. Non per loro, ma per fare
un piacere a me: via; ([iii Ira noi , a ([uatlr' occhi, fac-
ciam le nostre cose; ditemi il vosti'u nome, e... e poi
andate a letto col cuor quieto. »
« Ah birbone! » esclamò Renzo: » maiiolo! tu mi torni
ancora in campo con (pielT infamità di;l nome, cognome
e negozio I »
276 1 PROMESSI SPOSI
« Sta zitto, buffone; va a letto, > diceva l'oste.
Ma Renzo continuava più forte: « lìo inteso: sei della
lega anche tu. Aspetta, aspetta, che t' accomodo io. » E
voltando la testa verso la scaletta, coniiiiciava a urlare
più forte ancora: « amici! Toste è della.... »
« Ho detto per celia, » gridò questo sul viso di Renzo,
spingendolo verso il letto: « per celia; non hai inteso
elle ho detto per celia? »
« Ah ! per celia : ora parli bene. Quando hai detto per
celia Son proprio celie. » E cadde bocconi sul letto.
« Animo; spogliatevi presto,» disse Toste, e al con-
siglio aggiunse T aiuto, che ce n'era bisogno. Quando
Renzo si fu levato il farsetto , ( e ce ne volle ) T oste
T agguantò subito, e corse con le mani alle tasche, per
vedere se e' era il morto. Lo trovò : e pensando che , il
giorno dopo, il suo ospite avrebbe avuto a fare i conti
con tutT altri che con lui, e che quel morto sarebbe
probabilmente caduto in mani di dove un oste non
avrebbe potuto farlo uscire ; volle provarsi se almeno
gli riusciva di concluder quesT altro altare.
« Voi siete un buon figliuolo , un galantuomo ; n' è
vero ? » disse.
» Buon figliuolo, galantuomo, » rispose Renzo, facendo
tuttavia litigar le dita co' bottoni de' panni che non s' era
ancor potuto levare.
« Bene, » replicò Toste: « .saldate ora dunque quel
poco conticino, perchè domani io devo uscire per certi
miei altari »
« QuesT è giusto , » disse Renzo. » Son furbo , ma
galantuomo Ma i danari? Andare a cercare i da-
nari ora ! »
« Eccoli qui, » disse Toste: e mettendo in opera tutta
la sua pratica, tutta la sua pazienza, tutta la sua de-
strezza, gli riuscì di fare il conto con Renzo, e di
pagarsi.
t Dammi una mano, ch'io possa finir di spogliarmi,
oste,» disse Renzo. * Lo vedo anch'io^ ve', clie iio ad-
dosso un gran sonno. »
CAPITOLO XV. 277
L' oste gli diede T aiuto richiesto ; gii stese per di
più la coperta addosso, e gli disse sgarbatamente i buona
notte , » che già quello russava. Poi , per quella specie
d' attrattiva, che alle volle ci tiene a considerare un og-
getto di stizza, al pari che un oggetto d' amore , e che
forse non è altro che il desiderio di conoscere ciò che
opera fortemente suU' animo nostro, si fermò un mo-
mento a contemplare V ospite così noioso per lui, alzan-
dogli il lume sul viso , e fac(^n(lovi , colla mano slesa ,
ribatter sopra la luce: in quell'atto a un dipresso che
vien cUpinta Psiche, quando sta a spiare furtivamente
le forme del consorte sconosciuto. « Pezzo d' asino ! »
disse nella sua mente al povero addormentato : « sei an-
dato proprio a cercartela. Domani poi , mi saprai dire
che bel gusto ci avrai. Tangheri, che volete girare il
mondo, senza saper da che parte si levi il sole; per
imbrogliar voi e il prossimo. »
Cosi detto. 0 pensato, ritirò il lume, si mosse, uscì
dalla camera, e chiuse V uscio a chiave. Sul pianerottolo
della scala chiamò T ostessa; alla quale disse che lasciasse
i figliuoli in guardia a una loro servetta, e scendesse
in cucina a far le sue veci. « Bisogna eh' io vada fuori,
in grazia d' un forestiero capitato qui , non so come
diavolo, per mia disgrazia, » soggiunse; e le raccontò in
compendio il noioso accidente. Poi soggiunse ancora:
« occhio a (ulto; e sopra tulio prudenza, in (piesta ma-
ledetta giornata. Alìhiamo laggiù una mano di sca|)e-
strati che, tra il bere, e tra che di natura sono sboccati,
ne dicon di tutti i colori. Basta, se cjualche temerario... . »
« Oh ! non sono una bambina, e so anch'io quel che
va fallo. Finora, mi pare che non si possa dire »
« Bene, bene; e badar che paghino; e tutti que' discorsi
che fanno, sul vicario di provvisione e il governatore e
Ferrcr e i decurioni e i cavalieri e Spagna e Francia
e altre simili corbellerie, far vista di non senlire: per-
chè, se si contraddice, la può andar male subilo: e se
si dà ragione, la può andar male in avvenire: e già sai
278 I PROMESSI SPOSI
anclit! Ili elio ([ualclie volta (incili che le (licori piò grosso....
Basta; quando si sentoii certo proposizioni, girar la lesta,
0 dire: vengo; come se qualclicduno chiamasse da un'
altra parte. Io cercherò di tornare piij presto che posso. »
Ciò detto, scese con lei in cucina, diodo un'occhiaia
in giro, per veder se c'era novità di rilievo: staccò da
un cavicchio il cappello e la cappa, prese un randello
da un cantuccio, ricapitolò, con un' altra occhiala alla
moglie, l'istruzioni che le aveva date; e usci. Ma, già
nel far quello operazioni, aveva riproso, dentro di so. il
filo dell'apostrofe cominciala al lotto del povero Ronzo;
e la proseguiva, camminando in istrada.
— Testardo d'un montanaro! — Che, per quanto
Renzo avesse voluto tener nascosto l'esser suo, questa
qualità si manifoslava da se, nello parole, nella pronunzia,
iieiraspetto e negli atti. — Una giornata corno qm^sla,
a forza di politica, a forza d'aver giudizio, io n'usciva nello;
e dovevi venir tu sulla fine, a guastarmi l' uova nel pa-
niere. Manca osterie in Milano, che tu dovessi proprio
capitare alla mia? Fossi almeno capitato solo: che avrei
chiuso un occhio, por questa sera; e domattina t'avrei
fatto intondor la ragiono. Ma no signoro; in compagnia
ci vieni; e in compagnia d' un barg(;llo, por far meglio ! —
A ogni passo, l'oste incontrava o passeggieri scompa-
gnati, 0 coppie, 0 brigato di genie, che gii^avano susur-.
rando. A questo punto della sua mula allocuzione, vide
venire una pallugiia di soldati; e tirandosi da parto, por
lasciarli passare, li guardò con la coda doli' occhio, e con-
tinuò tra so: — eccoli i gastigamatti. E lu, pezzo d'asino,
per aver visto un po' di gente in giro a far baccano, li
sei caccialo in testa che il mondo abbia a mutarsi, E
su questo boi fondamonlo, li sei rovinalo te, e volevi
anche rovinar me; che non è giusto. Io facevo di tulio
por salvarti; è tu, bestia, in contraccambio, c'è mancato
poco che non m'hai mosso sottosopra l'osteria. Ora toc-
cherà a le a levarti d'impiccio: per me ci penso io.
Come se io volessi sapere il luo nome por una mia cu-
CAPITOLO XV. 279
riosilà! Cosa m'importa a me che tu li chiami Taddeo
0 Bartolomeo? Ci ho un hel gusto anch'io a prender
h\ penna in mano! ma non siete voi altri soli a voler
le cose a modo vostro. Lo so anch'io che ci son dello
gride che conlan nulla: hella novità, da venircela a dire
un montanaro! Ma tu non sai che le gride contro gli
osti contano. E pretendi girare il mondo, e parlare; e
non sai che, a voler fare a modo suo, e impiparsi delle
gride, la prima cosa è di parlarne con gran riguardo.
E per un povero oste che fosse del tuo parere, e non
domandasse il nome di chi capita a favorirlo, sai tu,
hestia, cosa c'è di hello? Sotto pena a qual si voglia
dei (letti osti, tavernai ed altri, come sopra, di trecento
scudi: sì, son lì che covano trecento scudi ; e per ispen-
derli così Ijene; da essere applicati per i due terzi alla
regia Camera, e V altro all' accusatore o delatore: quel
hel cecino! Ed in caso di inabilità, cinque anni di goderà,
e maggior pena, pecuniaria o corporale, aW arbitrio di
di sua eccellenza. Obhligatissimo alle sue grazie. —
A queste parole, l'oste toccava la soglia del palazzo
di giustizia.
Lì, come a tutti gli altri ufizi, c'era un gran da fan»:
per tutto s'attendeva a dar gli ordini che parevan più
atti a preoccupare il giorno seguente, a levare i pretesti
e l'ardire agli animi vogliosi di nuovi tuniulli, ad assi-
curare la forza nelle mani solile ad adoprarla. S'accrehhe
la soldatesca alla casa del vicario; gli shocchi della strada
furono sbarrali di travi, trincerali di carri. S'ordinò a
tutti i fornai che facessero pane senza intermissione; si
spedirono stafTetle a' paesi circonvicini . con ordini di
mandar grano alla cillà; a ogni forno furono depiilali
nobili, (^lie vi si portassero di buon mail ino, a invigi-
lai'c sulla dislriliuzione e a lenen^ a freno grinquicli.
con raiilorilà della presenza, e con le linone parole.
Ma |iei' dar, come si dice, un colp(» al ceicbio e uno
alla botte, e l'ender |)iii ellìcaci i consigli con imi pndi
spavenlo, si pensò aiirbe u Innur la maniera di niellei le
280 I PROMESSI SPOSI
mani addosso e qualche sedizioso: e ((ucsla era princi-
palmente la parie del capitano di giustizia; il quale,
ognuno può pensare che sentimenti avesse per le solle-
vazioni e per i sollevati, con una pezzetta d'acqua vul-
neraria sur uno degli organi della profondila melafisica.
I suoi bracchi erano in campo fino dal principio del
tumulto: e quel sedicente Ambrogio Fusella era, come
ha detto l' oste, un bargello travestito, mandato in giro
appunto per cogliere sul fatto qualcheduno da potersi
riconoscere, e tenerlo in petto, e appostarlo, e acchiap-
parlo poi, a notte affatto quieta, o il giorno dopo. Sen-
tite quattro parole di quella predica di Renzo, colui gli
aveva fatto subito assegnamento sopra; parendogli quello
un reo buon uomo, proprio quel che ci voleva. Trovan-
dolo poi nuovo affatto del paese, aveva tentato il colpo
maestro di condurlo caldo caldo alle carceri, come alla
locanda più sicura della città; ma gli andò fallito, come
avete visto. Potè però portare a casa la notizia sicura
del nome, cognome e patria, oltre cent' altre belle no-
tizie congetturali; dimodoché, quando l'oste capitò W,
a dir ciò che sapeva intorno a Renzo, ne sapevan già
più di lui. Entrò nella solita stanza, e fece la sua de-
posizione: come era giunto ad alloggiar da lui un
forestiero, che non aveva mai voluto manifestare il suo
nome.
«Avete fatto il vostro dovere a informar la giustizia; »
disse un notaio criminale, mettendo giù la penna, «ma
già lo sapevamo »
— Bel segreto! pensò l'oste: — ci vuole un gran fa-
lento!— «E sappiamo anche,» continuò il notaio, «quel
riverito nome. »
— Diavolo! il nome poi, com' hanno fatto! — pensò
sic questa volta.
« Ma voi,» riprese l'altro, con volto serio, «voi non
dite tutto sinceramente. »
« Cosa devo dire di più?»
« Ah! ah! sappiamo benissimo che colui ha portato
CAPITOLO XV. 181
nella vostra osteria una quantità di pane rubato e ru-
bato con violenza, per via di saccheggio e di sedizione. »
« Vien uno con un pano in tasca ; so assai dov' è
andato a prenderlo. Perchè, a parlar come in punto di
morte, posso dire di non avergli visto che un pane solo. »
«Già sempre scusare, difendere: chi sente voi altri,
son tutti gaiaiituomiai. Come potete provare che quel pane
fosse di buon acquisto?»
« Cosa ho da provare io? io non e' entro: io fo Y oste. »
« Non potrete però negare che codesto vostro avven-
tore non abbia avuta la temerità di proferir parole ingiu-
riose contro le gride, e di fare atti mali e indecenti contro
Tarme di sua eccellenza.»
« Mi faccia grazia, vossignoria: come può mai essere
mio avventore, se lo vedo per la prima volta? È il dia-
volo, con rispetto parlando, che l'ha mandalo a casa
mia : e se lo conoscessi, vossignoria vede bene che non
avrei avuto bisogno di domandargli il suo nome. »
« Però, nella vostra osteria , alla vostra presenza , si
son dette cose di fuoco: parole temerarie, proposizioni
sediziose, mormorazioni, strida, clamori. »
e Come vuole vossignoria ch'io badi agli spropositi
che posson dire tanti urloni che parlan tutti insieme?
Io devo attendere a miei interessi, che sono un povcr'uo-
mo. E poi vossignoria sa bene che chi è di lingua
sciolta, per il solilo è anche lesto di mano, tanto più
quando sono una brigata; e .... »
« Si, sì; lasciateli fare e dire: domani, domani, vedrete
se gli sarà passato il ruzzo. Cosa credete'?»
» Io non credo nulla. »
« Che la canaglia sia discutala padrona di Milano? »
« Oh giusto I »
« Vedrete, vedrete. »
« Intendo benissimo; il re sarà sempre il re; ma chi
avrà riscosso avrà riscosso: e naturalmente un povero pa-
dre di famiglia non ha voglia di riscutere. Lor signori
bainn» la forza: a lor signori tocca. »
V..T.. I. 1%"
28^ 1 PROMESSI SPOSI
« Avele ancora molta gente in casa? »
« Un visibilio. »
« E quel vostro avventore cosa fa? Continua a schia-
mazzare, a metter su la gente, a preparar tumulti per
domani? »
« Quel forasliero, vuol dire vossignoria: è andato a
letto. »
« Dunque avete molla gente Basta; badate a non
lasciarlo scappare. »
— Che devo fare il birro io? — pensò Toste: ma non
disse nò si né no.
« Tornate pure a casa ; e abbiate giudizio, » riprese
il notaio.
« Io ho sempre avuto giudizio. Vossignoria può dire
se ho mai dato da fare alla giustizia. »
« E non crediate che la giustizia abbia perduta la sua
forza. "
« Io? per carità! io non credo nulla; abbado a far
r oste. »
« La solita canzone: non avete mai altro da dire. >
« Che ho da dire altro? La verità è una sola. "
« Basta; per ora riteniamo ciò che avete deposto; se
vorrà poi il caso, informerete più minutamenic la giu-
slizia, intorno a ciò che vi potrà venir domandato. »
« Cosa ho da informare? io non so nulla; appena ho
la tesla da attendere ai fatti miei, s
« Badate a non lasciarlo partire. »
« Spero che V illustrissimo signor capitano saprà che
son venuto subito a fare il mio dovere. Bacio le mani
a vossignoria. »
Allo spuntar del giorno, Renzo russava da circa set-
l' ore, ed era ancora, poveretto! sul più bello, quando
due forti scosse alle braccia, e una voce che dappiè del
letto gridava: «Lorenzo Tramaglino! », lo fecero risco-
tere. Si risentì, ritirò le braccia, apri gli occhi a stento:
e vide rillu appiè del letto un uomo vestilo di nero, e
due armali, uno di qua, uno di là, del capezzale. E, tra
CAPiTOi^o XV. 283
la sorpresa, e il non esser desto bene, e la spranghetla
di quel vino che sapete, rimase un momento come in-
cantato; e credendo di sognare, e non piacendogli quel
sogno, si dimenava, come per isvegtiarsi alTatlo.
« Ali! avete sentito una volta, Lorenzo Tramaglino? »
disse l'uomo dalla cappa nera, quel notaio medesimo
della sera avanti. » Animo dunque ; levatevi , e venite
con noi. »
« Lorenzo Tramaglino!» disse Renzo Tramaglino:
« cosa vuol dir questo? Cosa volete da me? Chi v'ha
detto il mio nome? »
« Meno ciarle, e fate presto, » disse un de' birri che
gli slavano a fianco, prendendogli di nuovo il braccio.
« Ohe! che prepotenza è questa?» gridò Renzo, riti-
rando il braccio. « Oste ! o l' oste ! ^
« Lo portiam via in camicia? » disse ancora quel
birro, voltandosi al notaio.
« Avete inteso? » disse questo a Renzo: « si farà cosi,
se non vi levale subito subito per venir con noi. »
€ E perchè? » domandò Renzo.
« Il perchè lo sentirete dal signor capitano di giu-
stizia. »
« Io? Io sono un galantuomo: non ho fatto nulla; e
mi maraviglio »
« Meglio per voi, meglio per voi; così, in due pa-
role sarete spicciato, e potrete andarvene per i falli
vostri. »
« Mi lascino andare ora, » disse Renzo : « io non ho a
che far nulla con la giustizia. »
« Orsù, finiamola I » disse un birro.
« Lo poi'liamo via davvero?» disse l'altro.
« Lorenzo Tramaglino! » disse il notaio.
« Come sa il mio nome, vossignoria?»
» Fate il vostro dovere,» disse il notaio a' birri, i
quali misero subito le mani addosso a Renzo, per tirarli»
fuori del letto.
« Kli! non toccale la carne d' un galantuomo, clu^ . . . .!
Mi so vestir da me. »
^84 I PROMESSI SPOSI
« Diiiiqiifi vestitevi sui)ito, » disse il notaio.
« Mi vesto, » rispose Renzo; e andava di fatti racco-
gliendo qua e là i panni sparsi sul letto, come jiii avanzi
d'un naufragio sul lido. E cominciando a metterseli,
proseguiva tuttavia dicendo: «ma io non ci voglio an-
dare dal capitano di giustizia. Non ho che far nulla con
lui. Giacché mi si fa quest'affronto ingiustamente, voglio
esser conduilo da Ferrer. Quello lo conosco, so cIk; è
un galantuomo; e m'ha dell' ohhligazioni. »
« Sì, sì, figliuolo, sarete condotto da Ferrer, » risposi;
il notaio. In altre circostanze, avrebhe riso, proprio di
gusto, d'una richiesta simile; ma non era momento da
ridere. Già nel venire, aveva visto per le strade un certo
movimento, da non potersi ben definire se fossero rima-
sugli d' una sollevazione non del tutto sedata, o principii
d'una nuova: uno sbucar di persone, un accozzarsi, un
andare a brigale, un far crocchi. E ora, senza farne sem-
biante, 0 cercando almeno di non farlo, stava in orec-
chi, e gli pareva che il ronzìo andasse crescendo. Desi-
derava dunque di spicciarsi; ma avrebbe anche voluto
condur via Renzo d' amore e d' accordo ; giacche , se si
fosse venuti a guerra aperta con lui, non poteva esser
certo, quando fossero in istrada, di trovarsi tre contr'uno.
Perciò dava d'occhio a' birri, che avessero pazienza, e
non inasprissero il giovine; e dalla parte sua, cercava
di persuaderlo con buone parole. 11 giovine intanto, men-
tre si vestiva adagino adagino, richiamandosi, come po-
teva, alla memoria gli avvenimenti del giorno avanti,
indovinava bene, a un di presso, che le gride e il nome
e il cognome dovevano esser la causa di tutto; ma come
diamine colui lo sapeva quel nome? E che diamine era
accaduto in quella notte, perchè la giustizia avesse preso
lanf animo, da venire a colpo sicuro, a metter le mani
addosso a uno de buoni figliuoli che, il giorno avaidi,
avevan tanta voce in capitolo? e che non dovevan esser
tutti addormentati, poiché Renzo s' accorgeva anche lui
d'un ronzio crescente nella strada. Guardando poi in
CAPITOLO XV. ^85
viso il notaio, vi scorgeva in pelle inpellelatitubazioncche
costui si sforzava invano di tener nascosta. Onde, così
per venire in cliiaro delle sue congetture, e scoprir paese,
come per tirare in lungo, e anche per tentare un colpo,
disse: «vedo bene cos'è l'origine di tutto questo: gilè
per amor del nome e del cognome. ler sera veramente
ero un po' allegro: questi osti alle volle hanno certi vini
traditori; e alle volte, come dico, si sa, quando il vino è
giù, è lui che parla. Ma, se non si tratta d' altro, ora son
pronto a darle ogni soddisfazione. E poi, già lei lo sa il
mio nome. Chi diamine gliel ha detto? »
a Bra\o, figliuolo, bravo! » rispose il notaio, tutto ma-
nieroso: «vedo che avete giudizio: e, credete a me che
son del mestiere, voi siete più furbo che tant' altri. É la
miglior maniera d'uscirne presto e bene: con codeste
buone disposizioni, in due parole siete spicciato, e la-
sciato in libertà. Ma io, vedete figliuolo, ho le mani le-
gate, non posso rilasciarvi qui, come vorrei. Via fate pi'e-
sto, e venite pure senza timore; che quando veilranno
chi siete : e poi io dirò .... Lasciale fare a me .... Basta ;
sbrigatevi, figliuolo. »
« Ah! lei non può: intendo,» disse Renzo; e conti-
nuava a vestirsi, rispingendo con de' cenni i cenni che
i birri facevano di mettergli le maiù addosso, per farlo
spicciare.
« Passeremo dalla [dazza ilei duomo,» domandò i)oi
al notaio.
« Di dove volete; per la più corta, afììne di lasciarvi
più presto in libertà, » disse (juello, rodendosi deidro di
se, di dover lasciar cadere in terra quella domanda mi-
steriosa di Renzo, che poteva divenire un tema di cento
interrogazioin. — Quando uno nasce disgraziato! — pen-
sava. — Ecco; mi viene alle mani uno che, si vede, non
vorrebbe altro che cantare, e, un po' di respiro die s'a-
vesse, così cifra formum. accademicamenle, in \ia di
discorso amichevole, gli si fai'ebbe confessar, senza corda,
quel che uno volesse; un yomo da condurlo in prigione
286 I PROMESSI SPOSI
sia beli' e esaminato, senza, che se ne fosse accorto: e
un uomo di questa sorte mi deve per l'appunto capilare
in un momento così angustiato. Eh! non e' è scampo, —
continuava a pensare, tendendo gii orecchi, e piegando
la testa all' indietro: — non c'è rimedio; e' risica d'es-
sere una giornala peggio di ieri. — Ciò clie lo fece pen-
sar così , fu un rumore straordinario che si sentì nella
strada: e non potò tenersi di non aprir l'impannata, per
dare un'occhiatina. Vide ch'era un crocchio di cittadini,
i quali, all'intimazione di sbandarsi, fatta loro da una
pattuglia, avevan da principio risposto con cattive parole,
e finalmente si separavan continuando a brontolare; e
quel che al notaio parve un segnale mortale, i soldati
erano pieni di civiltà. Chiuse l'impannata, e stette un
momento in forse, se dovesse condur l' impresa a termine,
0 lasciar Renzo in guardia de' due birri, e correr dal ca-
pitano di giustizia, a render conto di ciò che accadeva. —
Ma, — pensò -subilo, — mi si dirà che sono un buono a
nulla, un pusillanime, e che dovevo eseguir gli ordini.
Siamo in ballo; bisogna ballare. Malannaggia la furia!
Maledetto il mestiere! —
Renzo era levato; i due satelliti gli slavano a' fian-
chi. Il notaio accennò a costoro che non lo sforzas^er
troppo, e disse a lui: «da bravo, figliuolo; a noi, spic-
ciatevi. »
Anche Renzo sentiva, vedeva e pensava. Era ormai
tutto vestito, salvo il farsetto, che teneva con una mano,
frugando con l'altra nelle tasche. «Ohe!» disse, guar-
dando il notaio, con un viso molto significante: «qui
c'era de' soldi e una lettera. Signor mio.»
« Vi sarà dato ogni cosa puntualmente, » disse il no-
taio, «dopo adempite quelle poche formalità. Andiamo,
andiamo. »
« No, no, no,» disse Renzo, tentennando il capo:
«questa non mi va: voglio la roba mia, signor mio.
Renderò conto delle mie azioni; ma voglio la roba mia. »
«. Voglio farvi vedere che mi fido di voi: tenete, e fate
CAPITOLO XV. ^87
preslo, » disse il nolaio, levandosi di seno, e consegnando,
con un sospiro, a Renzo le cose sequestrale. Questo, ripo-
nendole al loro posto, mormorava tra denti: « alla largai
bazzicate tanto co' ladri, che avete un poco imparato il
niesliere. » I birri non polevan più slare alle mosse; ma
il notalo li teneva a freno con gli occhi, e diceva intanto
tra se: — se tu arrivi a metter piede dentro quella so-
glia, l'hai da pagar con usura, l'hai da [)agare. —
Mentre Renzo si metteva il farsetto, e prendeva il cap-
pello, il nolaio fece cenno a un de' birri, che s'avviasse
per la scala; gli mandò dietro il prigioniero, poi l'altro
amico; poi si mosse anche lui. In cucina che furono,
mentre Renzo dice: «e quest'oste benedetto dove s'è
cacciato? ^ il notaio fa un altro cenno a' birri; i quali
afferrano, l'uno la destra, l'altro la sinistra del giovine,
(' in fretta in fretta gli legano i polsi con certi ordigni,
})er quell'ipocrita tìgnra d'eufemismo, chiamati mani-
chini. Consistevano questi (ci dispiace di dover discen-
dere a particolari indegni della gravità storica; ma la
chiarezza lo richiede), consistavano in una cordicella
lunga un po' più che il giro d'un' polso ordinario, la
quale aveva nelle cime due pezzetti di legno, come due
piccole stanghette. La cordicella circondava il polso del
paziente; i legnelti passati tra il medio e l'anulare del
prenditore, gli rimanevano chiusi in pugno, di modo
che, girandoli, ristringeva la legatura a volontà: con ciò
aveva mezzo, non solo d'assicurare la presa, ma anche
di martirizzare un ricalcitrante: e a questo Hne, la cor-
dicella era sparsa di nodi.
Renzo si divincola, grida: «die tradimento è questo?
A un galantuomo ....!« Ma il notaio, che per ogni tri-
sto fatto aveva le sue buone parole, « abbiale pazienza, »
diceva: « fanno il loro dovere. Cosa volete? son tulle
formalità; e anche noi non possiamo trattar la gente a
seconda del nostro cuore. Se non si facesse quello che
ci vien comandato, staremmo freschi noi altri, peggio
di voi. Abbiate pazienza. »
288 1 PìtOMÈSSl SPOSI
M(Mitrc parlava, i due a cui toccava faro, diedero una
girata a' le^netli. Renzo s'aciiuielò, come un cavallo biz-
zarro che si senl(! il labbro slrello Ira le morse, e escla-
mò: « pazienza! '
« Bravo figliuolo! » disse il notaio: « questa è la vera
maniera d'uscirne a bene. Cosa volete? è una seccatura;
lo vedo anch'io; ma, portandovi bene, in un momento
ne siete fuori. E giacche vedo che siete ben disposto, e
io mi sento inclinato a aiutarvi, voglio darvi anche un
altro parere, per vostro bene. Credete a me, che son
pratico di queste cose: andate via diritto diritto, senza
guardare in qua e in là, senza farvi scorgere : cosi nes-
suno bada a voi, nessuno s'avvede di quel che è ; e voi
conservate il vostro onore. Di qui a un' ora voi siete in
libertà: e' è tanto da fare, che avranno fretta anche loro
di sbrigarvi : e poi parlerò io Ve n'andate per i
fatti vostri; e nessuno saprà che siete stato nelle mani
della giustizia. E voi altri, » continuò poi, voltandosi
a' birri, con un viso severo: «guardale bene di non
fargli male, perche lo proteggo io: il vostro dovere bi-
sogna che lo facciate; ma ricordatevi che è un galan-
tuomo, un giovine civile, il quale, di qui a poco, sarà
in libertà; e che gli deve premere il suo onore. Andate
in maniera che nessuno s'avveda di nulla: come se fo-
ste tre galantuomini che vanno a spasso. " E con tono
imperativo , e con sopracciglio minaccioso , concluse :
« m'avete inteso. » Voltandosi poi a Renzo , col soprac-
ciglio spianato, e col viso divenuto a un tratto ridente,
che pareva volesse dire: oh noi si che siamo amici!,
gli bisbigliò di nuovo: « giudizio; fate a mio modo;
andate raccolto e quieto; fidatevi di chi vi vuol bene:
andiamo. » E la comitiva s'avviò.
Però di tante belle parole, Renzo non ne credette una :
ne che il notaio volesse più bene a lui che a' birri, nò
che prendesse tanto a cuore la sua riputazione, né che
avesse inlenzion d'aiutarlo; capi benissimo che il galan-
tuomo, temendo che si presentasse per la strada qual-
CAPITOLO XV. • 289
che buona occasione di scappargli dalle mani, metteva
innanzi quo' l)ei motivi, per istornar lui dallo starci at-
tento e da approQUarne. Dimodoché tutte quelle esor-
tazioni non servirono ad altro che a confermarlo nel
disegno che già aveva in testa, di far tutto il contrario.
Nessuno concluda da ciò che il notaio fosse un furbo
inesperto o novizio; perchè s'ingannerebbe. Era un furbo
matricolato, dice il nostro storico, il quale pare che fosse
nel numero de' suoi amici : ma, in quel momento si tro-
vava con l'animo agitato. A sangue freddo, vi so dir io
come si sarebbe fatto beffe di chi per indurre un altro
a fare una cosa per sé sospelta, fosse andato suggeren-
dogliela e inculcandogliela caldamente, con quella mise-
rabile finta di dargli un parere disinteressato, da amico.
Ma è una tendenza generale degli uomini, quando sono
agitati e angustiati, e vedono ciò che un altro potrebbe
fare per levarli l'impiccio di chiederglielo con istanza
e ripetutamente e con ogni sorte di pretesti; ei furbi,
quando sono angustiali e agitali, cadono anche loro sotto
questa legge comune. Quindi è che, in simili circostanze,
fanno per lo più una cosi meschina figura. Que' ritro-
vati maestri, quelle belle malizie, con le quali sono av-
vezzi a vincere, che son diventate per loro quasi una
seconda natiu'a, e che, messe in opera a tempo, e con-
dotte con la pacatezza d'animo, con la serenità di mente
necessario, fanno il colpo così bene e così nascostamente,
e conosciute anche, dopo la riuscita, riscotono l'applauso
universale; i poverini quando sono alle strette, le ado-
prano in fretta, all'impazzata-, senza garbo nò grazia. Di
maniera che a uno che li veda ingegnarsi e arrabbat-
tarsi a quel modo, fanno pietà e movon le risa, e l'uomo
che pretendono allora di mettere in mezzo, quantunque
meno accorto di loro, scopre benissimo tulio il loro gioco,
e da (|uonli jirtifìzi ricava hnne per sr, contro di loi-(t.
Perciò non si può mai alibaslanza raccomandare a' furbi
di professione di consei'var sempre il loro sangue freddo.
0 d'esser sempre i più forti, che è la più sicura.
voli. 1. 13
290 . 1 PHUMESSI SPOSI
Renzo adunque, appena furono in istrada, cominciò a
girar gli occhi in qua e in là , a sporgersi con la per-
sona, a destra e a sinistra, a tender gli orecclii. Non
c'era però concorso straordinario; e benché sul viso di
più d'un passaggiero si potesse legger facilmente un
certo non so che di sedizioso, pure ognuno andava di-
ritto per la sua strada; e sedizione propriamente della,
non c'era.
«i Giudizio, giudizio! » gli susurrava il notaio dietro
le spalle: « il vostro onore; Tenore, figliuolo. » Ma quando
Renzo, badando attentamente a tre che venivano con visi
accesi, senti cbe parlavan d'un forno, di farina nascosta,
di giustizia, cominciò ancbe a far loro de' cenni col viso,
e a tossire in quel modo che indica tutf altro che un
raffreddore. Quelli guardarono più attentamente la co-
mitiva, e si fermarono: con loro si fermarono altri che
arrivavano; altri, che gli eran passati davanti, voltatisi
al bisbiglio, tornavano indietro, e facevan coda.
«Badate a voi; giudizio, figliuolo; peggio per voi ve-
dete; non guastate i fatti vo>tri; Toiiure, la riputazione, »
continuava a susurrare il notaio. Renzo faceva peggio.
I birri, dopo essersi consultati con rocchio, pensando di
far bene (ognuno è soggetto a .sbagUare), gli diedero
una stretta di manichini.
«Ahi! ahi! ahi!» grida il tormentato, al grido, la
gente s'affolla intorno; n'accorre da ogni parte della
strada: la comitiva si trova incagliata. « È un malviven-
te, » bisbigliava il notaio a quelli che gli erano a ridosso :
f è un ladro colio sul fatto. Si ritirino, lascin passar la
giustizia. Ma Renzo, visto il bel momento, visti i birri
diventar bianchi, o almeno pahidi, — se non m'aiuto
ora, pensò, mio danno. — E subito alzò la voce: « fi-
gliuoli! mi menano in prigione, perchè ieri ho gridato :
pane e giustizia. Non ho fatto nulla; son galantuomo:
aiutatemi, non m'abbandonate, figliuoli!»
Un mormorio favorevole, voci più chiare di protezione
s'alzano in rispuilu; i birri sul principio comandano, poi
CAPITOLO XV. !^1)1
chiedono, poi pregano i più vicini rrandarsene, e <li far
largo; la folla in vece incalza e pigia sempre più. Quelli,
visla la mala parala, lascian andare i manichini, e non
si curan più d'altro che di perdersi nella folla, per uscirne
inosservati. Il notaio desiderava ardentemeide di far lo
stesso ; ma c'era de' guai, per amor della cappa nera. Il
pover' uomo, pallido e sbigottito, cercava di faisi piccino
piccino, s'andava storcendo, per isgusciar fuor della folla;
ma non poteva alzar gli occhi, che non se ne vedesse
venti addosso. Studiava tutte le maniere di comparire
un estraneo che, passando di lì a caso, si fosse trovalo
stretto nella calca, come una pagliucola nel ghiaccio ; e
riscontrandosi a viso a viso con uno che lo guardava
fisso, con un cipiglio peggio degli altri, lui, composta
la bocca al sorriso, con un suo fare sciocco, gli domandò
« cos' è stato ? »
« Uh corvavaccio! » rispose colui. « Corvaccio! corvac-
cio! » risonò all'intorno. Alle grida s'aggiunsero gli ur-
loni; di maniera che, in poco tempo, parte con le gambe
proprie, parte con le gomita altrui, otienne ciò che più
gli premeva in quel momento, d'esser fuori di quel
serra serra.
CAPITOLO XVI.
«Scappa, scappa, galantuomo: li c'è un roriveiito,
ecco là una chiesa: di qui, di là, » si grida a Renzo da
ogni parte. In quanto allo scappare, pensate se aveva
bisogno di consigli. Fin dal primo momento che gli era
balenato in mente una speranza d'uscir da quell'unghie,
aveva cominciato a fare i suoi conti, e stabilito, se que-
sto gli riusciva, d'andare senza fermarsi, fin che non
fosse fuori, non solo della città, ma del ducato. — Per-
chè, — aveva pensato, — il mio nome l'hanno su' loro
libracci, in qualunque maniera l'hanno avuto; e col nome
e cognome, mi vengono a prendere quando vogliono. —
E in quanto a un asilo, non vi si sarebbe cacciato che
quando avesse avuto i birri alle spalle. — Perchè, se posso
essere uccel di bosco, — aveva anche pensato, — non vo-
glio diventare uccel di gabbia. — Aveva dunque disegnato
per suo rifugio quel paese nel territorio di Bergamo,
dov'era accasato ([uel suo cugino Bortolo, se ve ne ram-
mentate, che più volte l'aveva invitato a tuidar là. Ma
trovar la stratla, h stava il male. Lasciato in una parte
sconosciuta d'una città si può dire sconosciuta, Renzo
l PROMESSI SPOSI. CAPITOLO XVI. ^203
non <;apeva neppure da che porla s'uscisse per andare
a Bergamo; e quando T avesse saputo, non sapeva poi
andare alla porla. Fu li li per farsi insegnare la strada
da qualcheduno de' suoi liberatori ; ma siccome nel poco
tempo che aveva avuto per meditare su' casi suoi , gli
eran passate per la mente certe idee su quello spadaio
cosi obbligante, padre di quattro figliuoli, così, a buon
conto, non volle manifestare i suoi disegni a una gran
brigata, dove ce ne poteva essere qualche altro di quel
conio; e risolvette subito d'allontanarsi in fretta di lì:
che la strada se la farebbe poi insegnare, in luogo dove
nessuno sapesse chi era, uè il perchè la domandasse.
Disse a' suoi liberatori: «grazie tante, figlinoli: siate
benedetti, » e, uscendo per il largo che gli fu fatto im-
mediatamente, prese la rincorsa, e via; dentro per un
vicolo, giù per una stradetta, galoppò un pezzo, senza
saper dove. Quando gli parve d'essersi allontanato ab-
bastanza, rallentò il passo per non dar sospetto; e co-
minciò a guardare in (jua e in là, per isccglier la per-
sona a cui far la sua domanda, una faccia che ispirasse
confidenza. Ma anche qui c'era dell' imbroglio. La do-
manda per sé era sospetta: il tempo stringeva; i birri,
appena liberati da quel piccolo intoppo , dovevan senza
dubbio essersi l'imessi in traccia del loro fuggitivo; la
voce di quella fuga poteva essere arrivata fin là, e in
tali strette, Renzo dovette fare forse dieci giudizi fisio-
nomici, prima di trovar la figura che gli paresse a pro-
posito. Quel grassotto, che stava ritto sulla soglia della
sua bottega, a gamlx! larghe, con le mani di dieti'o, con
la pancia in fuori, col mento in aria, dal (piale pemleva
una gran pappagorgia, e che, non avendo altro clic
fare , andava allernalivamente sollevando sulla punta
de' piedi la sua massa tremolante, e lasciandola ricadere
sui calcagni, aveva un viso di cicalone cui'ioso, che, in-
vece di dar delle risposte, avrebbe fatto delle interroga-
zioni. Quell'altro che veniva innanzi, con gii occbi tissi.
e col labbro in fuori, non che insegnar presto e bene
^4 I PROMESSI SPOSI
la strada a un altro, appena pareva conoscer la sua. Onci
ragaz/.oUo, che, a dire il vero, mostrava d'esser molto
sveglio, mostrava però d' essere anche più malizioso , e
prohabilmenle avrebbe avuto un gusto matto a far an-
dare un povero contadino dalla parte opposta a (juella
che desiderava. Taiit'è vero che all'uomo impicciato,
quasi ogni cosa è un nuovo impiccio! Visto finalmente
uno che veniva in fretta, pensò che questo, avendo pro-
babilmente qualche atfare pressante, gli risponderebbe
subito senz'altro chiacchiere: e sentendolo parlar da se,
giudicò che dovesse essere un uomo sincero. Gli s'ac-
costò, e disse: « di grazia, quel signore, da che parte
si va per andare a Bergamo? »
« Per andare a Bergamo? Da porta orientale. »
« Grazie tante; e per andare a porta orientale? »
« Prendete questa strada a mancina ; vi troverete sulla
piazza del duomo ; poi ... »
« Basta, signore; il resto lo so, Dio glie ne renda
merito. » E deviato s' incamminò dalla parte che gli
era stata indicata. L' altro gli guardò dietro un mo-
mento , e, accozzando nel suo pensiero quella maniera
di camminare con la domanda, disse tra se : — o n' ha
fatui una, o qualcheduno la vuol fare a lui. —
Renzo arriva sulla piazza del duomo ; 1" attraversa ,
passa accanto a un mucchio di cenere e di carboni spenti,
e riconosce gli avanzi del falò di cui era stato spettatore
il giorno avanti : costeggia gli scalini del duomo , ri-
vede il forno delle gruccie, mezzo smantellato, e guar-
dato da soldati; e tira diritto per la strada da cui era
venuto insieme con la folla: arriva al co;ivento dei cap-
puccini ; dà un' occhiata a quella piazza e alla porta della
chiesa, e dice tra se, sospirando : — m' aveva però dato
un buon parere quel frate di ieri ; che stessi in chiesa
a aspettare, e a fare un po' di Ijone. —
Qui, essendosi fermato un momento a guardare at-
tentamente alla porta per cui doveva passare, e veden-
dovi, cosi da lontano, molta gente a guardia, e avendo
CAPITOLO X.VI. 295
la fantasia nn po' riscaldala (l)isogna compatirlo ; aveva
i suoi motivi), provò una certa ripugnanza ad affrontare
quel passo. Si trovava cosi a mano un luogo d' asilo ,
e dove, con quella lettera, sarebbe ben raccomandalo ;
fu tentato fortemente d' entrarvi. Ma, subito ripreso ani-
mo, pensò:— uccel di bosco, fin che si può. Chi mi
conosce? Di ragione, i birri non si saran fatti in pezzi,
per andarmi ad aspettare a tutte le porle. — Si voltò,
per vedere se mai venissero da quella parte : non vide
nò quelli , né altri che paressero occuparsi di lui. Va
innanzi; rallenta quelle gambe benedette , che volevan
sempre correre, mentre conveniva soltanto camminare ;
e adagio adagio, fischiando in semitono, arriva alla porla.
C era, proprio sul passo, un mucchio di gabellini, e
per rinforzo , anche de' micheletti spagnoli ; ma stavan
tutti attenti verso il di fuori, per non lasciare entrar di
quelli che, alla notizia d' una sommossa , v' accorrono ,
come i corvi al campo dove e stala data battaglia; di
maniera che Renzo, con un'aria indilTer.'Ute , con gli
occhi l)assi, e con un andare cosi tra il viandanle e uno
che vada a spasso, usci, senza che nessuno gli dicesse;
nulla ; ma il cuore di dentro faceva un gran battere.
Vedendo a diritta una viottola, entrò in quella, per evi-
lare la strada maeslra ; e camminò un pezzo prima di
voltarsi ne[)pure indietro.
Cammina , cammina ; trova cascine , trova villaggi ,
tira innanzi senza domandarne il nome ; è (;erto d' al-
lontanarsi da Milano , spera d' andar verso Bergamo ;
questo gli basta \M'v ora. Ogni tanto, si voltava indietro;
ogni tanto , andava aneliti guardando e strofinando or
r uno or r altro polso, ancora un po' indoleiizili, e sin-
gnati in giro d' una striscia rosseggiante, vestigio della
cordicella. I suoi [)ensieri erano, come ognuno può im-
maginarsi, un guazzabuglio di pentimenti, d'inquietu-
dini, di rabbie, di lenerezzi; ; (ira uno studio ralicosu di
raccapezzare li; cose dette e fall(! la sera avanli , di
scoprir la parte segreta della sua dolorosa sloria. e so-
296 I PROMESSI SPOSI
pra tutto come aveaii pollilo risapere il suo nomo. I suoi
sospetti cadcvan naturalmente sullo spadaio, al quale si
rammentava bene d'averlo spiattellato. E ripensando
alla maniera con cui gliel aveva cavalo di bocca . e a
tutto il fare di colui, e a tutte queir esibizioni die riu-
scivan sempre a voler saper qualcosa, il sospetto dive-
niva quasi certezza. Se non cbe si rammentava poi an-
che, in confuso, d' aver, dopo la partenza dello spadaio,
continuato a cicalare ; con chi, indovinala grillo ; di cosa,
la memoria, per quanto venisse esaminata, non lo sa-
peva dire : non sapeva dir altro che d' essersi in quel
tempo trovata fuor di casa. Il poverino si smarriva in
quella ricerca: era come un uomo che ha sottoscritti
molti fogli bianchi, e gli ha afTidati a uno che credeva
il fior de' galantuomini ; e scoprendolo poi un imbro-
glione, vorrebbe conoscere lo stato de' suoi affari: che
conoscere? è un caos. Un altro studio penoso era quello
di far suir avvenire un disegno che gli potesse piacere :
quelli che non erano in aria, eran tutti malinconici.
Ma ben presto, lo studio più penoso fu quello di tro-
var la strada. Dopo aver camminalo un pezzo , si può
dire, alla ventura, vide clic da sé non ne poteva uscire.
Provava bensì una certa ripugnanza a metter fuori quella
parola Bergamo, come se avesse un non so che di so-
spetto, di sfacciato ; ma non si poteva far di meno. Ri-
solvette dunque di rivolgersi, come aveva fatto in Mi-
lano, al primo viandante la cui flsonomia gli andasse a
genio ; e cosi fece.
« Siete fuor di strada,» gli rispose ' questo : e, pen-
satoci un poco, parie con parole, parte co' cenni, gl'in-
dico il giro che doveva fare, per rimettersi sulla strada
maestra. Renzo lo ringraziò, fece le viste di far come
gli era slato detto, prese in fatti da quella parte, con
intenzione però d' avvicinarsi bene a quella benedetta
strada maestra, di non perderla di vista, di costeggiarla,
più che fosse possibile; ma senza mettervi piede. Il di-
segno era più facile da concepirsi che da eseguirsi. La
CAPITOLO XVI. 297
conclusione fu clie, andando cosi da destra a sinistra,
e come si dice, a zig zag, parte seguendo 1' altre indi-
cazioni elle si faceva coraggio a pescar qua e là, parte
correggendole secondo i suoi lumi, e adattandole al suo
intento, parte lasciandosi guidar dalle strade in cui si
trovava incamminato, il nostro fuggitivo aveva fatte forse
dodici miglia, che non era distante da Milano più di
sei; e in quanto a Bergamo, era molto se non se n'era
allontanato. Cominciò a persuadersi che, anche in quella
maniera, non se n' usciva a bene; e pensò a trovar qual-
che altro ripiego. Quello che gli venne in mente, fu di
scovar, con qualche astuzia, il nome di qualche paese
vicino al confine, e al quale si potesse andare per istrado
comunali: e domandando di quello, si farelihe insegnar
la strada, senza seminar qua e là quella domanda di
Bergamo, che gli pareva j)uzzar tanto di fuga, di sfratto,
di criminale.
Mentre cerca la maniera di pescar tutte quelle noti-
zie, senza dar sospetto, vede pendere una frasca da una
casuccia solitaria, fuori d' un paesello. Da qualche tempo,
sentiva anche crescere il bisogno di ristorar le sue for-
ze ; pensò che li sarebbe il luogo di fare i due servizi
in una volta; entrò. Non c'era che una vecchia, conia
rocca al fianco, e col fuso in mano. Chiese un boccone;
gli fu offerto un po' di stracchino e del vino buono:
accellò lo stracchino, del vino la ringraziò (gli era ve-
nuto in odio, per quello scherzo che gli aveva fatto la
sera avanti) ; e si mise a sedere pregando la donna che
facesse presto. Quesla, in un momento, ebbe mt.\sso in
(avola ; e subito dopo cominciò a tempestare il suo ospite
di domand(! , e sul suo essere, e sui gran fatti di Mi-
lano : che la voce n' era arrivala fin là. Renzo , non
solo seppe schermirsi dalle domande , con molta disin-
voltura ; ma approfillandosi della difficollà medesima,
fece servire al suo inlenlo la curiosila della vecchia, che
gli domandava dove fosse incamminalo.
«Devo andare in molli luoghi, » rispose: «e, se
298 l PUOMESSI SPOSI
trovo un ritaglio di tempo, vorrei anche passare un rno-
menlo da quel paese, piuttosto grosso, sulla strada di
Bergamo, vicino al contine, però nello slato di Milano...
Come si chiama? » — Qualcheduno ce ne sarà, — pen-
sava intanto tra se.
'< Gorgonzola, volete dire, » rispose la vecchia.
« Gorgonzola ! » ripetè Renzo, quasi per mettersi me-
glio in mente la parola. « È molto lontano di qui ? »
riprese poi.
« Non lo so precisamente: saranno dieci, saranno do-
dici miglia. Se ci fosse qualcheduno de' miei figliuoli ,
ve lo saprebbe dire. »
« E credete che ci si possa andare per queste belle
viottole, senza prender la strada maestra? dove e' è una
polvere, una polvere ! Tanto tempo che non piove ! »
« A me mi par di si : potete domandare nel primo
paese che troverete andando a diritta. » E glielo nominò.
«Va bene; » disse Renzo; s'alzò, prese un pezzo di
pane che gli era avanzato della magra colazione, un
pane ben diverso da (]uello che avea trovato, il giorno
avanti, appiè della croce di san Dionigi; pagò il conto,
uscì, e prese a diritta. E, per non ve l'allungar più
del bisogno, col nome di Gorgonzola in bocca, di paese
in paese, ci arrivò, un' ora circa prima di sera.
Già cammin facendo, aveva disegnato di far li un' al-
tra fermatina, per fare un pasto un po' sostanzioso. Il
corpo avrebbe anche gradito un po' di letto ; ma prima
che contentarlo in questo, Renzo 1' avrebbe lasciato ca-
der rifinito sulla strada. Il suo proposilo era d' infor-
marsi all' osteria della distanza dell'Adda, di cavar de-
stramente notizia di ipialche traversa che mettesse là, e
di rincamminarsi da quella parte, subito dopo essersi
rinfrescato. Nato e cresciuto alla seconda sorgente, per
dir cosi, di quel fiume, aveva sentito dir più volte, che.
a un certo punto, e per un certo tratto, esso faceva con-
fine tra lo slato milanese e il veneto : del punto e del
tratto non aveva un' idea precisa ; ma , allora come al-
CAPITOLO XVI. "^DU
lora, l'affar più nrp:ente era di passarlo, dovunque si
fosse. Se non ,ali riusciva in quel giorno, era risoluto
di camminare fin che Torà e la lena glielo permelles-
sero : e d' aspettar poi V alba in un campo , in un de-
serto; dove piacesse a Dio; purché non fosse un'osteria.
Fatti alcuni passi in Gorgonzola , vide un' insegna ,
entrò: e all' oste, che gli venne incontro, chiese un boc-
cone, e una mezzetta di vino : le miglia di più , e il
tempo gli avevan fatto passare queir odio cosi estremo
e fanatico. « Vi prego di far presto, » soggiunse; « per-
chè ho bisogno di rimettermi subito in istrada.» E questo
lo disse, non solo percliè era vero, ma anche per paura
che r oste, immaginandosi che volesse dormir li , non
gli uscisse fuori a domandar del nome e del cognome,
e donde veniva, e per che negozio .... Alla larga !
L' oste rispose a Renzo che sarebbe servito : e questo
si mise a sedere in fondo della tavola, vicino all' uscio:
il posto de' vergognosi.
G' erano in quella stanza alcuni sfaccendati del paese,
i quali, dopo aver discusse e commentate le gran no-
tizie di Milano del giorno avanti, si struggevano di sa-
pere un poco come fosse andata anche in quel giorno:
tanto più che (pielle prime eran più atte a stuzzicar la
curiosità, che a soddisfarla : una sollevazione, nò soggio-
gata ne vittoi'iosa, sospesa più ch(> tei'minata dalla notte ;
una cosa tronca, la (ine d' un atto piuttosto che d' un
dramma. Un di coloro si staccò dalla brigala, s' accostò
al soprarrivalo, e gli domandò se veniva da Milano.
«Io? » disse Henzo sorpreso, per prender tempo a
rispondere.
« Voi, se la domanda è lecita. »
Renzo, tentennando il capo, slì'ingendu le laljbra, e
tacendone uscire un suono inarticolato, disse : « Milano,
da (juel che ho sentito dire. . . non dev'essere un luogo
da andarci in ([uesti momenti, meno che per una gran
necessità. »
« Gonlinua dunque anche oggi il tVacasso? » domandò
con più costanza, il curioso.
;ìOO 1 PROMESSI SPOSI
"Bisognerebbe esser là per saperlo,» disse Renzo.
« 3Ia voi non venite da Milano ? »
« Vengo da Liscale, " rispose lesto il giovine, clie in-
tanto aveva pensata la sua risposta. Ne veniva in fatti,
a rigor di termini , perchè e' era passato ; e il nome
r aveva saputo, a un certo punto di strada, da un vian-
dante che gli aveva indicalo quel paese come il primo
che doveva attraversare, per arrivare a Gorgonzola.
« Oh! » disse l'amico; come se volesse dire: faresti
meglio a venir da Milano, ma pazienza. » E aLiscate, »
soggiunse, «non si sapeva niente da Milano?»
« Potrebb' essere benissimo che qualchednno là sa-
pesse qualche cosa, » rispose il montanaro : " ma io non
ho sentito dir nulla. »
E queste parole le proferì in quella maniera partico-
lare che par che voglia dire : ho fuiito. Il curioso ri-
tornò al suo posto ; e, un momento dopo, Y oste venne
a mettere in tavola.
«Quanto c'è da qui all'Adda?» gli disse Renzo,
mezzo tra' denti, con un fare da addormentato, che gli
abl»iam visto qualche altra volta.
« All'Adda per passare? » disse l'oste.
« Cioè sì all' Adda. »
« Volete passare dal ponte di Cassano, o sulla chialta
di Canonica? »
« Dove si sia .... Domando così per curiosità. »
« Eh, volevo dire, perchè quelli sono i luoghi dove
pissano i galantuomini , la gente che può dar conto
di sé. »
« Va bene: e quanto c'è? »
« Fate conto che, tanto a un luogo, come all'altro,
poco più, poco meno, ci sarà sei miglia. »
« Sei migliai non credevo tanto, » disse Renzo. « E
già, » riprese poi, con un'aria d'indifferenza, portala fino
all'arfettazione: e già, chi avesse bisogno di prendere
una scorciatoia, ci saranno altri luoghi da poter pas-
sare? »
CAPITOLO XVI. 301
« Ce n'è sicuro, » rispose l'oste, ficcandogli in viso
due occhi pieni d'una curiosila maliziosa. Bastò questo
per far morir tra' denti al giovane l' altre domande che
aveva preparate, si tirò davanti il piatto; e guardando la
mezzetta che l'oste aveva posala, insieme con quella,
sulla tavola, disse: « il vino è sincero? "
« Come l'oro, » disse l'oste: « domandatene pure a
tutta le gente del paese e del contorno , che se n' in-
tende: e poi, lo sentirete. » E così dicendo, tornò verso
la brigata.
— Maledetti gli osti! — esclamò Renzo tra sé: —
[liìi ne conosco, peggio li trovo. — Non ostante, si mise
a mangiare con grand' appetito, stando, nello stesso tempo,
in orecchi, senza che paresse suo fatto, per veder di sco-
prir paese, di rilevare come si pensasse colà sul gran-
d'avvenimento nel quale egli aveva avuta non piccola
parte, e d'osservare specialmente se, tra que' parlatori,
ci fosse qualche galantuomo , a cui un povero figliuolo
potesse fidarsi di domandar la strada, senza timore d' es-
ser messo alle strette, e forzalo a ciarlare de' fatti suoi.
« Ma! » diceva uno: « questa volta par proprio che i
milanesi ahhian voluto far davvero. Basta ; domani al
più tardi, si saprà qualcosa. »
Mi pento di non esser andato a Milano stamattina. »
(liceva un altro.
« Se vai domani, vengo ancir io, » dissi; un ler/.ft;pui
un altro, poi un altro.
« Quel che vorrei sapere, » riprese il primo, « è se
i|ue' signori di Milano penseranno anche alla povera gente
di campagna, o se faranno far la legge buona solamente
per loro. Sapete come sono eh? Cittadini superbi, tutto
per loro; gli altri, come se non ci fossero. "
« La bocca f abbiamo anche noi, sia pi'r maiigiaiv ,
sia per dir la nostra ragione, disse \\n altro, con voce
tanto più modesta, quanto più la proposizione l'ia avan-
zata : « e (juando la cosa sia incamminata .... » Ma cre-
dette meglio di non finir la frase.
302 1 l'HU.MESSl SPOSI
« Del grano nascosto, non ce n'è solamente in iMi-
lano, » cominciava un altro, con un'aria cupa (; mali-
ziosa; quando sentono avvicinarsi un cavallo. Corron tutti
all'uscio; e riconosciuto colui che arrivava, gli vanno
incontro. Era un mercante di Milano, che, andando più
volte l'anno a Bergamo, per i suoi trafTichi, era solito
passar la notte in quell'osteria; e siccome ci trovava
quasi sempre la slessa compagnia, li conosceva lutti. Gli
s'affollano intorno; uno prende la briglia, un altro la
staffa. « Ben arrivato, ben arrivato ! »
« Ben trovati. »
« Avete fatto buon viaggio ? »
« Benissimo; e voi altri, come state? »
« Bene. bene. Che nuove ci portate di Milano ? »
« Ah ! ecco quelli delle novità, » disse il mercanle,
smontando e lasciando il cavallo in mano d'un garzone.
« E poi, e poi, » continuò, entrando con la compagnia,
« a quest' ora le salirete forse meglio di me. »
« Non sappiamo nulla, davvero, » disse pii^i d'uno,
mettendosi la mano al petto.
« Possibile? » disse il mercanle. « Dunque ne senli-
rete delle belle o delle brutte. Ehi , oste , il mio
letto solito è in libertà? Bene: un bicchier di vino, e
il mio solito boccone, subito, perchè voglio andare a
letto presto, per partir presto domattina, e arrivare a
Bergamo per l' ora del desinare. E voi altri, » continuò,
mettendosi a sedere, dalla parte opposta a quella dove
stava Renzo, zitto e attento, « voi altri non sapete di
tutte quelle diavolerie di ieri? »
« Di ieri sì. »
« Vedete dunque, » riprese il mercante, « se le sa-
pete le novità. Lo dicevo io, che stando qui sempre di
guardia, per frugar quelli che passano «
« Ma oggi, com'è andata oggi? »
« Ah oggi. Non sapete niente d'oggi? »
« Niente affatto: non è passato nessuno. »
« Dunque lasciatemi bagnar le labbra; e poi vi dirò
tlAPlTOLU XVI. 303
le cose d'oggi. Sentirete. » Empi il bicchiere, lo prese
con una mano, poi con le due prime dita dell' altra sol-
levò i lìafìì, poi si lisciò la barba, bevette, e riprese:
« oggi, amici cari, ci mancò poco, che non fosse una
giornata brusca come ieri, o peggio. E non mi par quasi
vero d'esser qui a chiacchierar con voi altri; perchè
avevo già messo da parte ogni pensiero di viaggio, per
restare a guardar la mia povera bottega. »
« Che diavolo c'era?» dissenno degli ascoltanti.
« Proprio il diavolo : sentirete. » E trinciando la pie-
tanza che gii era stata messa davanti, e poi mangiando,
continuò il suo racconto. I compagni, ritti di qua e di
là della tavola, lo stavano a sentire, con la hocca aperta;
Renzo, al suo posto, senza che paresse suo fallo, slava
attento, forse piìi di tutti, maslicando adagio adagio gli
ultimi suoi bocconi.
« Stamattina dunque que' birboni che ieri avevano fatto
([nel chiasso orrendo, si trovarono a' posli convenuti (già
c'era un' inlelligenza: tulle cose preparate); si riuni-
rono, e ricominciarono quella bella storia di girare di
strada in strada, gridando per tirar altra gente. Sapete
che e come quando si spazza, con riverenza parlando,
la casa; il mucchio del sudiciume ingrossa quanto più
va avanli. Quando parve loro d'esser genie abbaslanza,
s'avviarono verso la casa del signor vicario di provvi-
sione; come se non bastassero le tirannie che gli hanno
rall(>, ieri: a un signore di (luella sorte! oh che birboni!
K la roba che dicevan contro di lui! Tutte invenzioni:
un signor dabbene, puntuale; e io lo posso dire, che son
tulio di casa, e lo servo di panno per le livree della
servila. S' iiicamminaron dunque verso quella casa: bi-
sognava veder che canaglia, che facce; figuralevi che
son passali davanti alla mia bottega: facce che i
giudei della Via Crucis non ci son per nulla. E le cose
che uscivan da quelle bocche! da turarsene gli orecchi,
se non fosse stalo che non toi'nava conio dì farsi scoi--
gen*. Andavan dunque con la buona inlenzione di dare
204 1 PROMESSI SPOSI
il sacco; ma » E qui, alzala in aria, e >^lesa la
mano sinistra, si mise la punta del pollice alia pnnta
del naso.
« Ma? » dissero forse lutti gli a.scoltatori.
«Ma, » continuò il mercante, « trovaron la strada
chiusa con travi e con carri, e, dietro quella barricala,
una bella fila di michcletti , con gli archibusi spianati
per riceverli come si meritavano. Quando vid(>ro questo
beli' apparato Cosa avreste fatto voi altri ? »
« Tornare indietro. »
« Sicuro; e cosi fecero. Ma vedete un poco se non
era il demonio die li portava. Son li sul Cordusio, vc-
don lì quel forno che, fin da ieri , avevan voluto sac-
cheggiare ; e cosa si faceva in quella bottega ? si distri-
buiva il pane agli avventori; c'era de'cavaUeri, e fior
di cavalieri, a invigilare che tutto andasse bene; e co-
storo (avevano il diavolo addosso vi dico, e poi c'era
chi gii aizzava) costoro, dentro come disperati; piglia tu,
che piglio anch'io: in un batter d'occhio, cavalieri,
fornai, avventori, pani, banco, panche, madie, casse, sac-
chi, frulloni, crusca, farina, pasta, tutto sottosopra. »
« E i micheletti ? »
« I micheletti avevan la casa del vicario da guardare:
non si può cantare, e portar la croce. Fu in un bat-
ter d'occhio, vi dico: piglia piglia; tutto ciò che c'era
buono a qualcosa, fu preso. E poi torna in campo quel
liei ritrovato di ieri, di portare il resto sulla piazza, e
di farne una fiammata. E già cominciavano, i mani-
goldi, a tirar fuori roba: quando uno più manigoldo
degli altri, indovinate un po' con che bella proposta venne
fuori. »
« Con che cosa? »
« Di fare un mucchio di tallo nella bottega, e di dar
fuoco al mucchio e alla casa insi{Miie. DiMIo fallo....»
« Ci han dalo fuoco? »
« Aspettate. Un galantuomo del vicinato ebbe un' ispi-
razione dal cielo. Corse su nelle stanze, cercò d' un Cro-
CAPITOLO XVI. 30rS
cifisso. lo trovò, r attaccò all' archetto (runa fuKstra,
prese da capo d'un letto due candele benedette, le accese,
e le mise sul davanzale , a destra e a sinistra del Cro-
cifìsso. La gente guarda in su. In un Milano, bisogna
dirla, c'è ancora del timor di Dio; tutti tornarono in
sé. La più parte, voglio dire; c'era bensì de' diavoli che,
per rullare, avrebbero dato fuoco anche al paradiso; mi
visto che la gente non era del loro parere, dovei loro
.smettere e star cheti. Indovinate ora chi arrivò all'im-
provviso. Tutti i monsignori del duomo, in processione,
a croce alzala, in abito corale: e monsignor Mazenta, ar-
ciprete, cominciò a predicare da una parte, e monsignor
Settata, penitenziere, da un' altra^ e gli altri anche loro;
ma, brava gente! ma cosa volete fare? ma è questo l'e-
.sempio che date a' vostri figliuoli? ma tornate a casa ; ma
non sapete che il pane è a buon mercato, pii^i di prima?
ma andate a vedere , che e' è l'avviso sulle cantonate. »
« Era vero? »
« Diavolo! Volete che i monsignori del duomo venis-
sero in cappa magna a dir delle fandonie? »
« E la gente cosa fece? »
« A poco a poco se n'andarono; corsero alle canto*
nate; e, chi sapeva leggere, la c'era proprio la meta. In-
dovinale un poco: un pane d'ott'once, per un soldo. »
« Che bazza! «
« La vigna è bella; pur che la duri. Sapete quanta
farina hanno mandata a male, tra ieri e stamattina? Da
mantenerne il ducato per due mesi. »
« E per fuori di Milano, non s'è fatta nessuna legge
buona? »
« Quel che s' è fatto per Milano, è tutto a spese della
città. Non so che \i dire: per voi altri sarà quel che Dio
vorrà. A buon conto, i fracassi son finiti. Non v' ho detto
tutto; ora viene il buono. »
« Cosa c'è ancora? »
« C è che icr .sera o stamattina che sia, ne sono stati
agguantati molti; e subito s'è saputo die i capi saranno
voL. 1. : V
300 I PROMESSI SPOSI
impiccali. Appona cominciò a spargersi questa voce, ognu-
no andava a casa per la più corta, per non arrischiare
d'esser nel numero. Milano, quand'io ne sono uscito, pa-
reva un convento di frati, j
« or impiccheranno poi davvero? »
« Eccome! e presto, " rispose il mercante.
« E la gente cosa farà? » domandò ancora colui che
aveva fatto V altra domanda.
« La gente? anderà a vedere, » disse il mercante.
8 Avevan tanta voglia di veder morire un cristiano
all'aria aperta, che volevano, birboni! far la festa al si-
gnor vicario di provvisione. In vece sua, avranno quattro
tristi, serviti con tutte le formalità, accompagnati da' cap-
puccini; e da' confratelli della buona morte; e gente che
se r è meritato. È una provvidenza, vedete ; era una cosa
necessaria. Cominciavan già a prender il vizio d' entrar
nelle botteghe, e di servirsi, senza metter mano alla borsa ;
se li lasciavan fare, dopo il pane sarebbero venuti al
vino, e così di mano in mano . . , Pensate se coloro vo/
levano smettere, di loro spontanea volontà, una usanza
così comoda. E vi so dir io che, per un galantuomo che
ha bottega aperta, era un pensier poco allegro. »
« Davvero, « disse uno degli ascoltatori. » Davvero , »
ripeteron gli altri, a una voce.
« E , D continuò il mercante, asciugandosi la barba
col tovagliolo, « l'era ordita da un pezzo: c'era una lega,
sapete? »
» C'era una lega? »
« C'era una lega. Tutte cabale ordite da' navarrini,
da quel cardinale là di Francia, sapete chi voglio dire,
che ha un certo nome mezzo turco, e che ogni giorno
ne pensa una , per far qualche dispetto alla corona di
Spagna. Ma sopra tutto, tende a far qualche tiro a Mi-
lano; perchè vede bene, il furbo, che qui sta la forza
del re. »
« Già. »
« Ne volete una prova? Chi ha fatto il più gran chias-
CAPITOLO XVl, 307
SO, eran forestieri ; andavano in giro facce , che in Mi-
lano non s'eran mai vedute. Anzi mi dimenticativo di
dirvene una che nV è stata data per certa. La giuslizia
aveva acchiappato uno in un'osteria . . . ,» Renzo, il ijuale
non perdeva un elte di quel discorso, al tocco di ({ue-
sla corda, si senti venir freddo, e diede un guizzo, prima
che potesse pensare a contenersi. Nessuno però se n' av-
vide ; e il dicitore, senza interrompere il fdo del racconto,
seguitò:'! uno che non si sa hene ancora da che parte
fosse venuto, da chi fosse mandato, ne che razza d' uomo
si fosse ; ma certo era uno de capi. Già ieri, nel forte
del baccano, aveva fatto il diavolo; e poi. non contento
di questo, s'era messo a predicare, e a proporre, così
una galanteria, che s'ammazzassero tutti i signori. Bir-
bante! Chi farebbe viver la povera gente, (piando i si-
gnori fossero ammazzali? La giustizia, che l'aveva ap-
postato, gli mise l'unghie addosso; gli trovarono un
fascio di lettere; e lo menavano in gabbia; ma che? i
suoi compagni, che facevan la ronda intorno all'oste-
ria, vennero in gran numero, e lo liljerarono, il mani-
goldo. -0
« E cosa n' è slato ? >
« Non si sa; sarà scappato, o sarà nascosto in Milano:
son gente che non ha nò casa nò tetto, e trovan per
tutto da alloggiare e da rintanarsi: però finché il dia-
volo può, e vuole aiularli: ci dan poi dciilro (piando
meno se lo pensano; perclu"', (juando la pera è matura,
convien che caschi. Per ora si sa di sicuro che le let-
tere son rimaste in mano della giustizia, e che e' è de-
scritta lulia la cabala; e si dice che n' anderà dimezzo
molta gei»le. Peggio per loro; che hanno messo a soq-
quadro ni(!zzo Milano, e voUnano anche far peggio. Di-
cono che i fornai son birboni. Lo so anch'io; ma biso-
gna impiccarli per via di giustizia. Ci' del grano na-
scosto. Chi non lo sa? Ma tocca a chi comanda a tener
buone spie, e andarlo a disollerrare, e mandare anche
gì' incettatori a dar calci all'aria in compagnia de' tu iiai.
;ÌO(S 1 1>I{0MESSI SPOSI, C.\1'1T()I,0 XVI.
E se chi comanda iioii l'ii nulla, locca alla cillà a ricorrere:
e se non danno rella alla prima, ricorrere ancora: che a
forza (U ricorrere s'olliene; e non metter su niT usanza
cosi scellei'ata d' entrar nelle holteghe e ne' fondachi, a
l)i'eiuler la l'oba a man salva. »
A Renzo quel poco mangiare era andato in tanto ve-
leno. GU pareva mill'anni d'esser fuori e lontano da
quell'osteria, da quel paese; e più di dieci volte aveva
detto a se stesso: andiamo, andiamo. Ma quella paura
di dar sospetto, cresciuta allora oltremodo, e fatta tiranna
di tutti i suoi pensieri, l'aveva tenuto sempre incliio-
dato sulla panca. In quella perplessità, pensò che il ciar-
lone doveva poi finire di parlar di lui ; e concluse tra
sé, di moversi, appena sentisse attaccare qualclie altro
discorso.
« E per questo, » disse uno della brigata, « io che so
come vanno queste faccende, e che ne' tumulti i galan-
tuomini non ci stanno bene, non mi son lascialo vincere
dalla curiosità, e son rimasto a casa mia. »
« E io, mi son mosso?» disse un altro.
« Io? » soggiunse un terzo: i se p(!r caso mi fossi
trovalo in Milano, avrei lasciato imperfetto qualuncjue
affare, e sarei tornato subito a casa mia. Ho moglie e
figliuoli; e poi, dico la verità, i baccani non mi piac-
ciono. »
A questo punto, roste, ch'era stato anche lui a sen-
tire, andò verso Tal tra cima della tavola, per veder cosa
faceva quel forestiero, Renzo colse l'occasione, chiamò
l'oste con un cenno, gli chiese il conto, lo saldò senza
tirare, quantunque l'acque fossero mollo basse ; e, senza
far altri discorsi, andò diritto all' uscio, passò la stiglia,
e, a gnida della Provvidenza, s'incamminò dalla parte
opposta a i[iiclla per cui era venuto.
CAPITOLO XVII.
Hn^la sposso una voulia, pnr non lasciar ben avere
un nomo; pensale poi dne alla volta, 1' nna in guerra
coir altra. Il povero Rcn/.o n'aveva, da molle ore, due
tali in corpo, come sapete: la voglia di correre, e quella
di star nascosto: e le sciagurate parole del mercante gli
avevano accn^sciula oltremodo l'una e l'altra a un colpo.
Dnnrpie la sua avventura aveva fatto chiasso; dunque lo
volevano a ([ualunque patto; chi sa (pianti birri erano
in campo p(!r dargli la cacciai quali ordini erano stati
.spediti di frugar ne' paesi, nell'osterie, per le strade!
Pensava bensì che finalmente i birri che lo conoscevano
eran due soli, e che il nome non lo portava scritto in
fronte; ma gli tornavano in mente certe storie che aveva
sentile raccontare, di fnggilivi colti e scoperti per istrane
combinazioni, riconosciuti all'andare, all' aria sospettosa,
ad altri segnali impensali : lutto gli faceva ombra. Quan-
tunque, nel momento che usciva di Gorgonzola, scoccas-
sero le ventiqnallro, e 1(^ tenebre che venivano innanzi,
diminuissero sempre |>iii que' pericoli, ciò non ostante
prese contro voglia la sli'ada maestra, e- si propose d'en-
trar nella prima viottola che gli paresse condur dalla
;V10 i PROMESSI SPOSI
[larlc (love ,uii pivincva di riuscire. Sul principio, incon-
trava (luaiclic viandanti'; ma, pieno la fantasia di quelle
l)rultc apprensioni, non ebi)e cuore d'aldìoi'darne nes-
suno, per informarsi della strada. — Ha detto sei mi-
glia, colui, — pensava: — se andando fuor di strada,
dovessero anche diventar otto o dieci, le gambe che
hanno fatte V altre, faranno anche queste. Verso Milano
non vo di certo-, dunque vo verso l'Adda. Cammina,
cammina, 0 presto o lardi ci arriverò. L'Adda ha buona
voce; e, quando le sarò vicino, non ho più bisogno di
chi me l' insegni. Se qualche barca c'è da poter passare,
passo subito; altrimenti mi fermerò sino alla mattina, in
un campo, sur una pianta, come le passere: meglio sur
una pianta, che in prigione. —
Ben presto vide aprirsi una straducola a mancina ; e
v'entrò. A quell'ora, se si fosse abbattuto in (pialche-
duno, non avrebbe più fatte tante cerimonie per farsi
insegnar la strada ; ma non sentiva anima vivente. An-
dava dunque dove la strada lo conduceva; e pensava.
— Io fare il diavolo! Io ammazzare tutti i signori!
Un fascio di lettere, io! I miei compagni che mi stavano
a far la guardia! Pagherei (jiialche cosa a trovarmi a viso
a viso con quel mercante, di là dall' Adda (ah quando
l'avrò passala quest'Adda benedetta!), e fermarlo, e
domandargli con comodo dov'abbia pescate tutte quelle
belle notizie. Sappiate ora, mio caro signore, clic la cosa
e andata cosi e cosi, e che il diavolo eh' io ho fatto, è
slato d'aiutar Ferrer, come se fosse stato un mio fra-
tello; sappiate che que' birboni che a sentir voi, erano
i miei amici, perchè in un certo momento, io dissi una
parola da buon cristiano , mi vollero fare un brutto
scherzo; sappiate che, intanto che voi stavate a guardar
la vostra bottega, io mi faceva schiacciar le costole, per
salvare il vostro signor vicario di provvisione, che non
r ho mai nò visto né conosciuto. Aspetta che mi mova
un'altra volta, per aiutar signori . . . . É vero che biso-
gna farlo per l'anima: son prossimo anche loro. E quel
CAPITOLU XVII. 311
gran fascio di lettere, dove c'era tutta la cabala, e che
adesso è iti mano della giustizia , come voi sapete di
certo; scomnieliiamo che ve lo fo comparir qui, senza
l'aiuto del diavolo? Avreste curiosità di vederlo ({ael
fascio? Eccolo qui .... Una lettera sola? Si signore,
una lettera sola; e questa lettera, se lo volete sapere,
r ha scritta un religioso che vi può insegnar la dottrina,
quando si sia; un religioso che, senza farvi torto, vai
più un pelo della sua barba che tutta la vostra; e è scritta,
quesla lettera, come vedete, a un altro religioso, un uomo
anche lui Vedete ora quali sono i furfanti miei amici.
E imparate a parlare un'altra volta; principalmente
quando si tratta del prossimo. —
Ma dopo qualche tempo , (juesti pensieri ed altri si-
mili cessarono affatto: le circoslanze presenti occupavan
tutte le facoltà del povero pellegrino. La paura d'essere
inseguito o scoperto, che aveva tanto amareggialo il viag-
gio in pieno giorno, non gli dava ormai più fastidio, ma
quante cose rendevan questo molto più noioso! Le te-
nebre, la solitudine, la stanchezza cresciuta, e ormai do-
lorosa; tirava una brezzolina sorda, uguale, sottile, che
doveva far poco servizio a chi si trovava ancora indosso
quegli stessi vestiti che s'era messi per andare a nozze
in quattro salti, e tornare subito trionfante a casa sua ;
e, ciò che rendeva ogni cosa più grave, quell'andare
alla ventura, e per dir cosi, al tasto, cercando un luogo
di riposo e di sicurezza.
Quando s'abbatteva a passare per qualche paese, an-
dava adagio adagio, guardando però se vi fosse ancora
qualche uscio aperto ; ma non vide mai altro segno di
gente desta, che (pialche himicino trasparenle da qual-
che inqìaiinata. Nella slrada fuor delT ahilalo, si sulìer'
mava ogni tanto; stava in orecchi, per veiler se sentiva
quella benedetta voce dell'Adda; ma invano. Al tic voci
non sentiva, che un mugolìo di cani, che veniva da
qualche cascina isolala, vagaiulo per Paria, lanicnlcvolc
insieme e minaccioso. Al suo avvicinarsi a qualchcduna
:II2 1 IMìO.MESSl SPOSI.
dì (indio, il mugolìo si cambiava in nn alibiiiar frolln-
loso e rabbioso: nel pa>;?ar davanli alla porla, sentiva,
vptbn'a quasi, il bosijone, col muso al fcssolino della
])orla, ra(l(lop]ìiar ali urli: cosa cbe gli faceva andar via
la Icniazionc di piccbiarc, (3 di cbioder ricovero. E forse,
anche senza i cani, uon ci si sarebbe risolto. — Chi è
là? — pensava: — cosa volete a quesC ora? Come siete
venuto rpii? Fatevi conoscere. Non c'è osterie da allog-
giare? Ecco, andandomi bene, quel clic mi diranno, se
picchio: quand' anche non ci do^nia qualclie pauroso
che, a buon conto, si metta a grillare: aiuto! al ladro!
Bisogna aver subito qualcosa di chiaro da rispondere:
e cosa ho da rispondere io? Chi sente un rumori^ la
notte, non gli viene in testa altro che ladri, malviventi,
trappole; non si pensa mai che un galantuomo possa
trovarsi in istrada di notte, se non è un cavaliere in
carrozza. — Allora serbava quel partito all' estrema ne-
cessità, e tirava innanzi, colla speranza di scoprire al-
meno l'Adda, se non passarla, in quella notte; e di non
dover andarne alla cerca, di giorno chiaro.
Cammina, cammina; arrivò dove la campagna coltivata
moriva in una sodaglia sparsa di felci e di scope. Gli
parve, se non indizio, almeno un certo qual argomento
di fiume vicino, e s'inoltrò per quella, seguendo un
sentiero che l'attraversava. Fatti pochi passi, si fermò
ad ascoltare ; ma ancora invano. La noia del viaggio ve-
niva accresciuta dalla selvatichezza del luogo, da (juel
non veder più né un gelso, né una vite, nò altri segni
di coltura umana, che prima pareva quasi che gli fa-
cessero una mezza compagnia. Ciò non ostante andò
avanti; e siccome nella sua mente cominciavano a susci-
tarsi certe immagini, certe apparizioni, lasciatevi in serbo
dalle novelle sentite raccontar da bambino, cosi, per di-
scacciarle, 0 per acquietarle, recitava, camminando, del-
l'orazioni per i morti.
A poco a poco, si trovò tra macchie più alte, di pruni,
di (piorciolij di marruche. Seguitando a andare avanti.
CAPITOLO XVII ol3
e allungando il passo, con più impazienza che voglia,
cominciò a veder tra le macchie qualche alhero sparso,
e andando ancora, sempre per lo stesso sentiero, s'ac-
corse d' entrare in un bosco. Provava un certo rii)rezzo
a inoltrarvisi; ma lo vinse, e controvoglia andò avanti;
ma più che s' inoltrava, più il ribrezzo cresceva, più ogni
cosa gli dava fastidio. Gli alberi che vedeva in lonta-
nanza, gli rappresenlavan figure strane, deformi, mo-
struose; l'annoiava l'ombra delle cime leggermente agi-
tate, che tremolava sul sentiero illuminato qua e là dalla
luna ; lo stesso scrosciar delle foglie secche che calpestava
0 moveva camminando, aveva per il suo orecchio un
non so che d' odioso. Le gambe provavano come una
smania, un impulso di corsa, e nello stesso tempo pa-
reva che durassero fatica a regger la persona. Sentiva
la brezza notturna batter più rigida e maligna sulla
fronte e sulle gote; se la sentiva scorrer tra i panni e
le carni, e raggrinzarle, e penetrar più acuLa nelle ossa
rotte dalla stanchezza, e spegnervi quel!' ultimo rimasu-
glio di vigore. A un certo punto, quell'uggia, quell'or-
rore indefinito con cui l'animo combatteva da qualche
tempo, parve che a un tratto lo soverchiasse. Era per
perdersi affatto ; ma atterrito , più che d' ogni altra
cosa, del suo terrore, richiamò al cuore gli antichi spi-
riti, e gli comandò che reggesse. Così rinfrancalo un
momento, si fermò su due piedi a deliberare; e risol-
veva d'uscir subito di li per la strada già fatta, d' andar
diritto all'ultimo i)aes(3 per cui era passato, di ritornar
fra gli nomini, e di cei'care un ricovero, anche all' oste-
ria. K stando così fermo, sospesoli fruscio de' [liet li nel
fogliame, tutto tacendo d' intorno a lui, cominciò a sen-
tire un mormorio (rac((ua corrente. StQ in orecchi; nv
certo; (esclama: « è l'Adda! » Fu il ritrovamento d'un
amico, (Tun fratello, d'un salvatore. La stanchezza (piasi
scomparve, gli tornò il polso, sentì il sangue scorrer II-
b(;ro e tepido per tulle le vene, senli rrescer la llilncia
de' pensieri, e svanire in gran parli- quell" incertezza e
VOL. I. Il
14 I PROMESSI SPOSI
gravila delle cose; e non esitò a internarsi sempre più
nel bosco, dietro all'amico rumore.
Arrivò in pochi momrnli all' estremità del piano, sul-
Torlo d'una riva profonda; e guardando in giù tra le
macchie che tutta la rivestivano, vide l'acqua luccicare e
correre. Alzando poi lo sguardo, vide il vasto piano del-
l'altra riva, sparso di paesi, e al di là i colli, e sur uno
di quelli una gran macchia biancastra, che gli parve do-
ver essere una città, Bergamo sicuramente. Scese un po'
sul pendìo, e, separando e diramando, con le mani e con
le braccia, il prunaio, guardò giù, se qualche barchetta
si movesse nel fiume, ascollò se sentisse batter de' remi ;
ma non vide né sentì nulla. Se fosse stato (jualcosa di
meno dell'Adda, Renzo scendeva subito, per tentarne il
guado; ma sapeva bene che l'Adda non era fiume da
trattarsi così in confidenza.
Perciò si mise a consultar tra sé, mollo a sangue
freddo, sul partito da prendere. Arrampicarsi sur una
pianta, e star lì a aspettar l'aurora, per forse sei ore
che poteva ancora indugiare, con quella brezza, con quella
brina, vestito così, c'era più che non bisognasse per
intirizzir davvero. Passeggiare innanzi e indietro tutto
((uel tempo , oltre che sarebbe stalo poco efficace aiuto
contro il rigore del sereno, era un richieder troppo da
(|uelle povere gambe, che già avevano fatto più del loro
dovere. Gli venne in mente d'aver veduto, in uno de'
campi più vicini alla sodaglia, una di quelle capanne
coperte di paglia, costruite di tronchi e di rami, into-
nacali poi con la mota, dove i conladini del milanese
usan, l'estate, depositar la raccolta, e ripararsi la noit(!
a guardarla: nell'altre stagioni, rimangono abbandonate.
La disegnò subito per suo albergo; si rimise sul sen-
tiero, ripassò il bosco, le macchie, la sodaglia; e andò
verso la capanna. Un usciaccio intarlato e sconnesso, era
rabbattuto, senza chiave ne catenaccio; Renzo l' aprì, en-
trò; vide sospeso per aria, e sostenuto da ritorte di rami,
un graticcio, a foggia d" liamac : ma non si curò di sa-
CAPITOLO XVII. 315
lirvi. Vide in terra un po' di paglia: e pensò che anche
lì, una dormii ina sarebbe ben saporita.
Prima però di sdraiarsi su quel letto che la Provvi-
denza gli aveva preparato, vi s' inginocchiò, a ringraziarla
di quel benefizio, e di tutta l'assistenza che aveva avuta
da essa, in quella terribile giornata. Disse poi le sue
solite divozioni; e per di più, chiese perdono a Dome-
neddio di non averle dette la sera avanti, anzi per dir le
sue parole, d'essere andato a dormire come un cane, e
peggio. — E per questo — soggiunse poi tra se ; appog-
giando le mani sulla paglia, e d'inginocchioni metten-
dosi a giacere: — per questo, m'è toccata, la mattina,
(luella bella svegliata. — Raccolse poi tutta la paglia che
rimaneva all' intorno, e se l' accomodò addosso, facendo-
sene, alla meglio, una specie di coperta, per temperare il
freddo, che anche là dentro si faceva sentir molto bene;
e vi si rannicchiò sotto, con V intenzion(? di dormire un
bel sonno, parendogli d^uerio comprato anche più caro
del dovere.
Ma appena ebbe ciiiusl gli occhi, cominciò nella sua
memoria o nella sua fantasia (il luogo preciso non ve
lo saprei dire), cominciò, dico, un andare e venire di
gente, cosi alTollato, cosi incessante, che addio sonno. Il
mercante, il notaio, i birri, lo spadaio, l'oste, Ferrer,i
vicario, la brigata dell' osteria, tutta quella turba delle
strade, poi don Abbondio, poi don Rodrigo: tutta gente
con cui Renzo aveva che dire.
Tre sole immagini gli si presentavano non accompa-
gnate da alcuna memoria amara, ncllf d'ogni sospetto,
amabili in lutto; e due prin('i[)almente, molto diflerenti
al certo, ma strettamente legate nel cuore del giovine:
una treccia nera e una barba bianca. Ma anche la con-
solazione che provava nel fermare sopra di esse il pen-
siero, era lull' altro che pretta e IraiKpiill.i. Pensando
al buon frale, sentiva più vivamente la vergogna delle
proprie scappale, della turpe intemperanza, del bel caso
che aveva fatto de' pateriu consigli di Ini : e contemplando
316 I PROMESSI SPOSI
r immagine di Lucia ! non ci proveremo a dire ciò che
sentisse: il lettore conosce le circostanze; se lo figuri.
E (juella povera Agnese, come r avrebbe potuta dimenti-
care? Quell'Agnese, che l'aveva scello, che l'aveva già
considerato come una cosa sola con la sua unica figlia,
e prima di ricever da lui il titolo di madre, n'aveva preso
il linguaggio e il cuore, e dimostrata co' fatti la pre-
mura. Ma era un dolore di più, e non il meno pungente,
quel pensiero, che in grazia appunto di cosi amorevoli
intenzioni, di tanto bene che voleva a lui, la povera donna
si trovava ora snidata, quasi raminga, incerta dell'avve-
nire^ e raccoglieva guai e travagli da quelle cose ap-
punto da cui aveva sperato il riposo e la giocondità degli
ultimi suoi anni. Che notte, povero Renzo! Quella che
doveva esser la quinta delle sue nozze! Che stanza! che
letto matrimoniale! e dopo qual giornata! e per arrivare
a qual domani, a qual serie di giorni! — Quel che Dio
vuole, — rispondeva ai pensieri che gli davan più noia:
— quel che Dio vuole. Lui sa quel che fa: c'è anche
per noi. Vada tutto in isconto de' miei peccati. Lucia è
tanto buona I non vorrà poi farla patire un pezzo, un
pezzo, un pezzo! —
Tra questi pensieri, e disperando ormai d'attaccar son-
no, e facendosegli il freddo sentir sempre più, a segno
ch'era costretto ogni tanto a tremare e a battere i denti,
sospirava la venuta del giorno, e misurava con impazienza
il lento scorrer dell'ore. Dico misurava, perchè ^ ogni
mezz'ora, sentiva in quel vasto silenzio, rimbombare i
tocchi d'un orologio: m'immagino che dovesse esser
quello di Trczzo. E la pfima volta che gli feri gli orec-
chi quello scocco, cosi inaspettato, senza che potesse avere
alcuna idea del luogo donde venisse, gli fece un senso
misterioso e solenne , come d' un avvertimento che ve-
nisse da persona non vista, con una voce sconosciuta.
Quando finalmente quel martello ebbe battuto undici
tocchi, ch'era l'ora disegnata da Renzo per levarsi, s'alzò
mezzo intirizzito, si mise inginocchioni, disse, e con più
CAPITOLO XVII. 317
fervore del solito, le divozioni della mattina, si rizzò, si
stirò in lunpo e in larpo, scosse la vita e le spalle, come
per mettere insieme tutte le membra, che ognuno pa-
reva che facesse da sé, soffiò in una mano, poi nell'altra,
se le stropicciò, aprì l'uscio della capanna; e, per la
prima cosa, diede un' occhiala in qua e in là, per veder
se c'era nessuno. E non vedendo nessuno, cercò con
l'occhio il sentiero della sera avanti; lo riconobbe su-
bilo, e prese per quello.
Il cielo prometteva una bella giornata: la luna, in un
canto, pallida e senza raggio, pure spiccava nel campo
immenso d'un bigio ceruleo, che, gii^i giù verso 1' oriente,
s'andava sfumando leggermente in un giallo roseo. Più
giù, all'orizzonte, si stendevano, a lunghe falde ineguali,
poche nuvole, tra l'azzurro e il bruno, le più basse or-
late al di sotto d'una striscia quasi di fuoco, che di mano
in mano si faceva più viva e tagliente: da mezzogiorno,
altre nuvole ravvolte insieme, leggieri e soflìci, per dir
così, s'andavan lumeggiando di mille colori senza nome:
quel cielo di Lombardia, così bello quand'è bello, cosi
splendido, così in pace. Se Renzo si fosse trovato lì an-
dando a spasso, certo avrebbe guardato in su. e ammi-
ralo queir albeggiare così diverso da quello ch'era solito
vedere ne' suoi monti ; ma badava alla sua strada, e cam-
minava a passi lunghi, per riscaldarsi, e per arrivar pre-
sto. Passa i campi, passa la sodaglia, passa le macchie,
attraversa il. bosco, guardando in qua e in là, e ridendo
e vergognandosi nello stesso tempo, del ribrezzo che vi
aveva provalo poche ore prima: è sul ciglio della riva,
guarda giù; e, di tra i rami, vede una barchetta di pe-
scatore, che veniva adagio, conlr' acqua, radendo quella
sponda. Scende subito per la più corta, tra i pruni; è
sulla riva; dà una voce leggiera leggiera al pescalore:
e, con rinlenzione di fai' come se chiedessi» un servizio
di poca importanza, ma .senza avvedersene, in una ma-
niera mezzo supplichevole, gli accenna che approdi. Il
pescatore gira uno sguardo lungo la riva, guarda attenta-
318 1 PROMESSI SPOSI
mente lungo l'acqua che viene, si volta a guardare indie-
tro, lungo l'acqua che va, e poi dirizza la prora verso
Renzo, e approda. Renzo che slava sulTorlo della riva,
quasi con un piede ned' acqua, all'erra la punta del bat-
tello, ci salta dentro, e dice: « mi fareste il servizio, col
pagare, di tragittarmi di là? » Il pescatore 1' avena in-
dovinato, e gicà voltava da quella parte. Renzo, vedendo
.sul fondo della barca un altro remo, si china, e l' afferra.
« Adagio, adagio ; » disse il padrone ; ma nel veder
poi con che garbo il giovine aveva preso lo strumento,
e si disponeva a maneggiarlo, « ah, ah, » rispose : « siete
del mestiere, n
«Un pochino,» rispose Renzo, e ci si mise con un
vigore e con una maestria , più che da dilettante. E
senza mai rallentare , dava ogni tanto un' occhiata om-
brosa alla riva da cui s' allontanavano, e poi una impa-
ziente a quella dov'eran rivolti, e si coceva di non po-
terci andar per la più corta ; che la corrente era, in quel
luogo, troppo rapida , per tagliarla direttam(!nle ; e la
barca, parte rompendo, parte secondando il ilio dell'ac-
qua, doveva fare un tragitto diagonale. Come accade in
tutti gli affari un po' imbrogliati, che le difficoltà alla
prima si presentino all'ingrosso, e neh' eseguire poi,
vengan fuori per minuto, Renzo, ora che V Adda era ,
si può dir, passata, gli dava fastidio il non saper di certo
se li essa fosse confine, o se , superato quell' ostacolo ,
gliene rimanesse un altro da superare. Onde, chiamato
il pescatore, e accennando col capo quella macchia bian-
castra che aveva veduta le notte avanti, e che allora gli
appariva ben più distinta , disse : . « è Bergamo quel
paese ? »
« La città di Bergamo, » rispose il pescatore.
« E quella riva li, è bergamasca ? »
« Terra di san Marco. »
« Viva san Marco I » esclamò Renzo. Il pescatore non
disse nulla.
Toccano finalmente quella riva ; Renzo vi si slancia ;
CAPITOLO XVll. -^l''
ringrazia Dio tra se, e poi cuii la l)OCi'a il liarcaiuolo ;
mello le mani in tasca , lira fuori una berlinga , che,
allese le circostanze, non fu un piccolo sproprio, e la
porge al galantuomo ; il quale, data ancora una occhiata
alla riva milanese, e al fiume eli sopra e di sotto, slese
la mano, prese la mancia, la ripose, poi strinse le lab-
bra, e per di più ci mise il dito in croce, accompa-
gnando quel gesto con un' occhiala espressiva ; e disse
poi : « buon viaggio, » e tornò indietro.
Perchè la così pronta e discreta cortesia di costui verso
uno sconosciuto non faccia troppo maravigliare il let-
tore, dobl)iamo informarlo che queir uomo, pregalo spesso
d'un simile servizio da conlrabbandicri e da banditi,
era avvezzo a farlo ; non tanto per amore del poco e
incerto guadagno che gliene poteva venire, quanto per
non farsi de' nemici in quelle classi. Lo faceva , dico ,
ogni volta che potesse esser sicuro che non lo vedes-
sero nò gabellieri, nò birri , nò esploratori. Cosi , senza
voler più bene ai primi che ai secondi, cercava di sod-
disfarli tutti, con queir imparzialità , che è la dote or-
dinaria di chi è obbligato a trattar con ceri' uni, e sog-
getto a render conto a ceri' altri.
Renzo si fermò un momento sulla riva a contemplar
la riva opposta , quella ii^rra che poco prima scollava
tanto sotto i suoi piedi. — Ah ! ne son proprio fuori !
— fu il suo primo pensiero. — Sta li, maledetto pae-
se, — fu il secondo, l'addio alla patria. Ma il terzo corse
a chi lasciava in ([uel paese. Allora incrociò le braccii
sul petto, mise un sospiro, abbassò gli occhi sull'acqua
che gli scorreva a' piedi, e pensò — ò passata sotto il
ponte 1 — Così, all'uso del suo paese, chiamava, per
antonomasia, ([nello di Lecco. — Ab mondo birltone !
Hasta ; (iu(!l cIkì Dio vuol»;. —
Voltò le spall(^ a que' tristi oggetti, e s'incamminò,
prendendo per punto di mira la macchia biancastra sul
pendio del monle, finché trovasse (pialchinUino da farsi
insegnar la strada giusta. K bisognava vedere con {lic
3i20 1 PROMESSI SPOSI.
disinvoltura s'accostava a' viandanti, e, senza tanti ri-
giri, nominava il paese dove abitava quel suo cu.trino.
Dal primo a cui si rivolse, seppe che gli rimanevano
ancor nove miglia da fare.
Quel viaggio non fu lieto. Senza parlare de' guai che
Renzo portava con sé, il suo occhio veniva ogni mo-
mento rattristato da oggetti dolorosi, da' quaH dovette
accorgersi che troverebbe nel paese in cui si inoltrava,
la penuria che aveva lasciata nel suo. Per tutta la strada,
e più ancora nelle terre e ne' borghi, incontrava a ogni
passo poveri, che non eran poveri di mestiere, e nio-
stravan la miseria più nel viso che nel vestiario : con-
tadini, montanari, artigiani, famiglie intere ; e un mi-
sto ronzio di preghiere, di lamenti e di vagiti. Quella
vista, oltre la compassione e la malinconia, lo metteva
anche in pensiero de' casi suoi.
— Chi sa, — andava meditando,— se trovo da far
bene? se c'è lavoro, come negli anni passali? Basta;
Bortolo mi voleva bene, e un buon figliuolo , ha fatto
danari, m' ha invitato tante volte ; non m' abbandonerà.
E poi, la Provvidenza m'ha aiutato finora; m'aiuterà
anche per l' avvenire. —
Intanto l'appetito, risvegliato già da qualche tempo,
andava crescendo di miglio in miglio ; e quantunque
Renzo, quando cominciò a dargli retta, sentisse di poter
reggere, senza grand' incomodo, per quelle due o tre
che gli potevan rimanere : pensò, da un' altra parti», che
non sarebbe una bella cosa di presentarsi al cugino,
come un pitocco, e dirgli, per primo complimento: dammi
da mangiare. Si levò di tasca tutte le sue ricchezze, le
fece scorrere sur una mano, tirò la somma. Non era
conto che richiedesse una grande aritmetica; ma però
c'era abbondantemente da fare una mangiatina. Entrò
in un'osteria a ristorarsi lo stomaco; e in fatti, pagato
che ebbe, gli rimase ancora qualche soldo.
Neil' uscire, vide, accanto alla porta, che quasi v'in-
ciampava, sdraiate in terra, più che sedule, due donne
CAPITOLO XVll. 321
una allempala, un' altra più giovane, con un bambino,
che dopo aver succliiala invano Tuna e l'altra mam-
mella, piangeva, piangeva; lutti del color della morte:
e ritto, vicino a loro, un uomo, nel viso del quale e
nelle membra, si potevano ancor vedere i segni d' un'an-
tica robustezza, domata e quasi spenta dal lungo disa-
gio. Tutt' e tre stesero la mano verso colui che usciva
con passo franco, e con l'aspetto rianimato: nessuno
parlò; che poteva dir di più una preghiera?
« La c'è la Provvidenza! '> disse Renzo; e, cacciata
subito la mano in tasca, la votò di que'pochi soldi; li
mise nella mano che si trovò più vicina, e riprese la
sua strada.
La refezione e l'opera buona (giacché slam composti
d'anima e di corpo) avevano riconfortati e rallegrati tutti
i suoi pensieri. Certo, dall' essersi così spogliato degli
ultimi danari, gli era venuto più di confidenza per l'av-
venire, ch(! non glie/ie avrebbe dato il trovarne dieci
volte tanth: Perchè, se a sostenere in quel giorno que'
poverini che mancavano sulla strada , la Provvidenza
aveva tenuti in serbo proprio gli ultimi quattrini d'un
estraneo, fuggitivo, incerto anche lui del come vivrel)l)e;
chi poteva crederi^ che volesse poi lasciare in secco co-
lui del quale s'era servita a ciò, e a cui aveva dato un
sentimento cosi vivo di sé stessa, cosi efficace, così ri-
soluto? Questo era, a un di presso, il pensiero del gio-
vine; però men «hiaro ancora di qu(^llo ch'io l'abbia
sapulo esprimere. Nel rimanente d(;lla strada, ri|)ensando
a' casi suoi, lutto gli si spianava. La canstia doveva poi
linirc; tutti gli anni si miete: intanto aveva il cugino
Bortolo e la propria abilità: aveva, per di più, a casa
un po' di danaro, che si farebbe mandar subito. Con
qu(!llo, alla peggio, camperebbe, giorno per giorno, fin
che tornasse l'al^bondanza. — Ecco jmìì tornala tìnal
mente f abbondanza, — proseguiva Renzo nella sua fan-
tasia: — rinasce la furia de' lavori: i padroni fanno a
gara per aver degli opiM-ai milanesi, che son (pit'lli che
322 1 PROMESSI SPOSI
sanno ])e\w il mestiere; gli operai milanesi alzan la ere-
sia ; chi vuol gente ahile, bisogna che la paghi : si gua-
dagna (la vivere per i)iìi d'uno, e da metter ([ualcosa
da parte; e si la scrivere alle donne che vengano....
E poi, perchè aspellar tanto? Non e vero che, con quel
poco che abbiamo in serbo, si sarebbe campati là, anche
quest'inverno? Così camperemo qui. De' curati ce n'è
per lutto. Vengono quelle due care donneisi mette su
casa. Che piacere, amlar passeggiando su questa stessa
strada tutti insieme I andar hno all' Adda in baroccio, e
far merenda sulla riva, proprio sulla riva, e far vedere
alle donne il luogo dove mi sono imbarcato, il prunaio
da cui sono sceso, quel posto dove sono stato a guar-
dare se c'era un battello. —
Arriva al paese del cugino: nell'entrare, anzi prima
di mettervi piede, distingue una casa alta alta, a piii
ordini di finestre lunghe lunghe; riconosce un filatoio,
entra, domanda ad alta voce, tra il rumore delfaciiua
cadente e delle rote, se stia lì un certo Bortolo Casta-
gneri.
« Il signor Bortolo! Eccolo là. ^
— Signore? buon segno, — pensa Renzo; vede il
cugino, gli corre incontro. Quello si volta, riconosce il
giovine, che gli dice: » son qui. » Un oh! di sorpresa.
un alzar di braccia, un gettarsele al collo scambievol-
mente. Dopo quelle prime accoglienze , Bortolo tira il
nostro giovine lontano dallo strepito degli ordigni, e da-
gli occhi de' curiosi, in un'altra stanza e gli dice: « ti
vedo volentieri; ma sei un l>enedetto figliuolo. T'avevo
invitalo tante volte; non sei mai voluto venire; ora arrivi
in un momento un po' critico. »
« Se te lo devo dire, non sono venuto via di mia vo-
lontà, » disse Renzo; e, con la più gran brevità, non
però senza molta commozione, gli raccontò la dolorosa
storia.
» È un altro par di maniche , » disse Bortolo. « Oh
povero Renzo ! Ma tu hai fatto capitale di me ; e io non
CAPITOLO XVll. 3123
t'abbandonerò. Veramente, ora non c'è ricerca d'operai;
anzi appena appena ognuno tiene i suoi, per non per-
derli e disviare il iiego/.io; ma il padrone mi vuol bene,
e Ila della rolia. E, a dirtela, in gran parte la deve a
me, senza vaidarmi: lui il capitale, e io quella poca abi-
lità. Sono il primo lavorante, sai ? e poi, a dirtela, sono
il faclolum. Povera Lucia Mondellal Me ne ricordo, come
se fosse ieri: una buona ragazza! sempre la più composta
in chiesa; e quando si passava da quella sua casuccia ....
Mi par di vederla, quella casuccia, appena fuor del paese,
con un bel fico che passava il muro «
» No, no; non ne parliamo. »
« Volevo dire che, quando si passava da quella ca-
succia, sempre si sentiva queir aspo, che girava, girava,
girava. E quel don Rodrigo! già, anche al mio tempo,
era per quella strada; ma ora fa il diavolo alìalto, a
quel che vedo : fin che Dio gli lascia la briglia sul collo.
Dunque, come ti dicevo; anche qui si patisce un po' la
fame A proposito, come stai d'appetito? »
< Ho mangialo poco fa, per viaggio. »
» E a danari, come stiamo? »
Renzo slese una mano, l' avvicinò alla bocca, e vi fece
scorrer sopra un piccol solilo.
« Non importa, » disse Bortolo: « n'ho io; e non ci
pensare, che, presto presto, cambiandosi le cose, se Dio
vorrà, me li renderai, e te n' avanzerà anche per le. «
« Ho qualcosina a casa; e me li farò mandare. »
« Va bene; e intanto fa conto di me. Dio m'ha dato
del bene, perchè faccia del bene; e se non ne l'o a" pa-
renti e agli amici, a chi ne farò"? •
« L'ho detto io della Provvidenza! » esclamò Renzo,
stringendo alTelluosamente la mano al buon cugino.
« Dunque, » rispose questo, « in Mdano hanno fallo
lutto quel chiasso. Mi [ìaioiio un po' malli coloro. Già,
n'era corsa la voce anche (pii; ma \oglio che tu mi
racconti poi la cosa i)iù minutamente. Eh ! n' abbiamo
delle cose da discorrere. Qui però, vedi, la va più ipiic-
3'24 I PROMESSI SPOSI
tamenlc, e si fanno le cose con un po' più di giudizio-
La cillà ha comprate duemila some di grano da un
mcrcanle che sia a Venezia: grano che vien d'i Tnirliia;
ma, quando si Umilia dì mangiare, la non si guarda lanfo
per il sottile. Ora senti un po' cosa nasce: nasce che i
rettori di Verona e Brescia chiudono i passi, e dicono :
di qui non passa grano. Che ti fanno -i hergamaschi?
Spediscono a Venezia Lorenzo Torre, un dottore, ma di
quelli! É partito in fretta, s'è presentalo al doge, e ha
detto: che idea è venuta a que' signori rettori? Ma un
discorsoi un discorso, dicono, da dare alle stampe. -Cosa
vuol dire avere un uomo che sappia parlare! Suhito un
ordine che si lasci passare il grano; e i rettori, non solo
lasciarlo passare, ma bisogna che lo facciano scortare;
ed è in viaggio. E s' è pensato anche al contado. Gio-
vanbatista Biava, nunzio di Bergamo in Venezia (un
uomo anche quello!) ha fatto intendere al senato che,
anche in campagna, si pativa la fame; e il senato ha
concesso quattromila stala di miglio. Anche questo aiuta
a far pane. E poi, lo vuoi sapere? se non ci sarà pane,
mangeremo del companatico. Il Signore m' ha dato del
bene come ti dico. Ora li condurrò dal mio padrone:
gli ho parlato di te tante volte, e ti farà buona acco-
glienza. Un buon bergamascone all'antica, un uomo di
cuor largo. Veramente ora non l'asi)ettava; ma quando
sentirà la storia E poi gli operai sa tenerli di conto,
perchè la carestia passa, e il negozio dura. Ma prima di
tutto, bisogna che t'avverta d'una cosa. Sai come ci
chiamano in questo paese, noi altri dello stato di Mi-
lano? »
n Come ci chiamano? »
« Ci chiaman baggiani. »
« Non è un bel nome. »
« Tant'è: chi è nato nel milanese, e vuol vivere nel
bergamasco, bisogna prenderselo in santa p;u'e. Per que-
sta gente, dar del baggiano a un milanese, è come dar
dell'illustrissimo a un cavaliere. »
CAPITOLO XVII. 323
« Lo diranno, m'immagino, a chi se lo vorrà lasciar
dire. »
«t Figliuolo mio, se la non sei disposto a succiarti
del baggiano a tutto pasto, non far conto di poter viver
qui. Bisognerebbe esser sempre col coltello in mano: e
quando, supponiamo, tu n'avessi ammazzali due, tre,
([uattro, verrebbe poi quello che ammazzerebbe le: e al-
lora, che bel gusto di comparire al triliunal di Dio, con
tre 0 quattro omicidi sull'anima! »
« E un milanese che abbia un po' di . ...» e qui pic-
chiò la fronte col dito, come aveva fatto nell'osteria della
luna piena. « Voglio dire, uno che sappia bene il suo
mestiere? »
« Tult'uno: qui è un baggiano anche lui. Sai come
dice il mio padrone, quando parla di me co' suoi amici? —
Quel baggiano è stata la man di Dio, per il mio negozio;
se non avessi quel baggiano, sarei ben impicciato. —
L'è usanza così. »
» L'è un'usanza sciocca. E vedendo quello che sap-
piam fare (che finalmente chi ha porlala ((ui quest' arte,
e chi la fa andare, siamo noi), possibile che non si
sian corretti? »
« Finora no: col tempo può essere; i ragazzi che ven-
gon su; ina gli uomini falli, non c'è rimedio: hanno
preso quel vizio: non lo smellon più. Cos'è poi final-
mente? Era ben un'altra cosa quelle galanterie che
l'hanno fatto, e il di piii che li volevan fare i nostri
cari compatriolli. »
« Già, è vero: se non c'è altro di male.. .. »
« Ora che sei persuaso di (pieslo, lutto anderà \h'\u\
Vieni dal padrone, e coraggio. »
Tutto in fatti andò bene, e tanto a seconda delle pro-
messe di Bortolo, che crediamo inutile di farne parli-
colar relazione. E fn verainenle provvidenza; perchè la
roba e i (|nallrini clit; Uen/o aveva lasciali in casa, ve-
dremo oi- ora qnanlo l'osse da farci assegnamento.
CAPITOLO XVIII.
Quello stesso giorno, 13 di novembre, arriva un espresso
al signor podestà di Lecco, e gli presenta un dispaccio
del signor capitano di giustizia, contenente un ordine di
fare ogni possibile e più opportuna inquisizione, per
iscoprire se un certo giovine nominato Lorenzo Trama-
glino, filatore di seta, scappato dalle forze jmpjlicti efire-
fjii domini capilnnei, sia (ornato, pnlnm rei ciani, al suo
paese, ignotnm quale per l'appunto, vernm in territorio
Lenci: qnod si compertum. fuerit sic esse, cercbi il detto
signor podestà, quanta maxima dUirfentia fieri poterit.
d'averlo nelle mani; e. legato a dovere, videUzel con
l)Uone manette, attesa X esperimentata insufficienza de'
manicbini pel nominato soggetto, lo faccia condurre nelle
carceri, e lo ritenga lì, sotto buona custodia, per farne
consegna a cbi sarà spedito a prenderlo; e tanto nel
caso del sì, come nel caso del no, accedatis ad domuni
pra'ilicti Lanrenlii Tramaliini: et. facfa dehitn diìifientia,
quldquid ad rem repertum fuerit auferalis: et informa-
tioues de ilUus prava qualitate, tuta, et conijilicibus su-
matis: e di tutto il dello e il fatto, il trovato e il non
l l'HO.MESSI SPOSI, CAPITOLO XVIII. 327
trovalo, il preso e il lasciato, diligenter referalis. Il si-
Gfnor podestà, dopo essersi umanamente cerziorato che
il so^rgetto non era tornato in paese, fa chiamare il con-
sole del villaggio, e si fa condur da lui alla casa indi-
cata, con gran treno di notaio e di hirri. La casa è
chiusa; chi ha le chiavi non c'è, o non si lascia tro-
vare. Si sfonda l'uscio; si fa la dehita diligenza, vale a
dire che si fa come in una città presa d' assalto. La voce
di quella spedizione si sparge immediatamente per tutto
il contorno; viene agli orecchi del padre Cristoforo; il
quale, attonito non meno che afllitto, domanda al terzo
e al quarto, per aver qualche lume intorno alla cagione
d'un fatto così inaspettato; ma non raccoglie altro che
congetture in aria, e scrive subilo al padre Bonaventura,
dal (juale spera di poter ricevere ([ualche notizia più
precisa. Intanto i parenti e gli amici di Renzo vengono
citati a deporre ciò che posson sapere della sua prava
qualilà: aver nome Tramaglino è una disgrazia, una
vergogna, un delitto: il paese è sottosopra. A poco a
poco, si viene a sapere che Renzo è scappalo dalla giu-
stizia, nel Ijel mezzo di Milano, e poi scomparso; corre
voce che abbia fatto qualcosa di grosso; ma la cosa poi non
si sa dire, o si racconta in cento maniere. Quanto più
ò grossa, tanto meno viene credula nel paese, dove Renzo
è conosciuto per un bravo giovine : i più presumono, e
vanno susurrandosi agli orecchi l'uno con l'altro, che è
una macchina mossa da quel prepotente di don Rodrigo,
per rovinare il suo povero rivale. Tant'è vero che, a
giudicar per induzione, e senza la necessaria cogni/.ion(^
de' fatti, si fa alle volte gran torto anche ai birbanti.
Ma noi, co' fatti alla mano, come si suoi dire, pos-
siamo affermare che, se colui non aveva avuto parte nella
sciagura di Renzo, se ne compiacque però, come se fosse
opei'a sua, (! ne trionfò Cd' suoi fidali, e principalmente
col conte Attilio. Oi""^!*'- secondo i suoi primi tlisegni,
avrebbe dovuto a (pielTora trovarsi già in .Milano; ma,
alle prime notizie del tumullo, e della canagH.i che gi-
328 I PROMESSI SPOSI
rava per le strade, in lutt'allra alliliuline die di ricever
bastonate, aveva creduto bene di trattenersi in campa-
gna, fino a cose quiete. Tanto più cbe, avendo offeso
molti , aveva qualche ragion di temere che alcuno de'
tanti, cbe solo per impotenza slavano cheti, non pren-
desse animo dalle circostanze, e giudicasse il momento
buono da far le vendette di tutti. Questa sospensione
non fu di lunga durata: l'ordine venuto da Milano del-
l' esecuzione da farsi contro Renzo era già un indizio
cbe le cose avevan ripreso il corso ordinario; e, quasi
nello stesso tempo, se n'ebbe la certezza positiva. Il conte
Attilio parti immediatamente, animando il cugino a per-
sister nell' impresa, a spuntar l'impegno, e prometten-
dogli che, dal canto suo, metterebbe subilo mano a sbri-
garlo dal frale; al qual affare, il fortunato accidente del-
l'abietlo rivale doveva fare un gioco mirabile. Appena
parlilo Attilio, arrivò il Griso da Monza sano e salvo, e
riferi al suo padrone ciò cbe aveva potuto raccogliere:
cbe Lucia era ricoverata nel tal monastero, sotto la pro-
tezione della tal signora; e slava sempre nascosta, come
se fosse una monaca anche lei, non mettendo mai piede
fuor della porta, e assistendo alle funzioni di chiesa da
una finestrina con la grata: cosa che dispiaceva a molti,
i quali avendo sentilo motivar non so cbe di sue avven-
ture, e dir gran cose del suo viso, avrebbero voluto un
poco vedere come fosse fatto.
Questa relazione mise il diavolo addosso a don Ro-
drigo, 0, per dir meglio, rendè più cattivo quello che
già ci stava di casa. Tante circostanze favorevoli al suo
disegno infiammavano sempre più la sua passione, cioè
(juel misto di puntiglio, di rabbia e d'infame capriccio,
(li cui la sua passione era composta. Renzo assente, sfral-
tato, bandito, di maniera cbe ogni cosa diventava lecita
contro di lui, e anche la sua sposa poteva esser consi-
derala, in certo modo, come roba di rn bello : il solo uomo
al mondo cbe volesse e potesse prender le sue parli, e
fare rumore da esser sentito anche lontano e da persone
CAPITOLO XVI 11. 320
alle, l'airabljialo frate, tra poco saichlx; prolìahilmente
anche lui fuor del caso di nuocere. Ed ecco che un nuovo
impedimento, non che contrappesare tulli que' vantaggi,
li rendeva, si può dire, inutili. Un monastero di Monza,
quand" anche non ci fosse stala una principessa, era un
osso troppo duro per i denti di don Rodrigo; e pe •
quanto egli ronzasse con la fantasia intorno a quel ri-
covero, non sapeva immaginar nò via nò verso d'espi-
gnarlo, ne con la forza, ne per insidie. Fu quasi quasi
per ahbandonar T impresa; fu per risolversi d'andare a
Milano, allungando anche la strada, per non passar nep-
pure da Monza; e a Milano gettarsi in mezzo agli amici
e ai divertimenti, i)er discacciar, con pensieri a ITatlo al-
legri, (pici pensiero divenuto ormai tulio tormentoso. Ma,
ma, ma, gli amici : piano un poco con questi amici. In
vece d'una distrazione, poteva aspeilarsi di trovar nella
loro compagnia, nuovi dispiaceri: perchè Attilio certa-
mente avrebbe già preso la tromba e messo lutti in
aspettativa. Da ogni parte gli verrebbero domandate no-
tizie della montanara: bisognava render ragione. S'era
voluto, s'era tentato; cosa s'era ollenuto? S'era preso
un impegno: un impegno un po' ignoltile, a dire il vero:
ma, via, uno non può alle volle regolare i suoi capricci ;
il punto è di soddisfarli; e come s'usciva da quest im-
pegno? Dandola vinta a un villano e a un frale! Uh!
E ([uando una buona sorte inaspettata, senza fatica del
buon a nulla, aveva tolto di mezzo l'uno, e un abile
amico l'altro, il buon a nulla non aveva sapulo valersi
della congiuntura, e si ritirava vihmjnte dall' impresa.
Co n'era i»iii del bisogno, per non alzar mai più il viso
tra i galanluomini, o avere ogni momento la s[)ada alle
mani. E poi, come tornare, o come rimanere in quella
villa, in quel paese, dove, lasciando da parie i riconti
incessanti e pungenti della passione , si porterebbe lo
sfregio d'un colpo fallilo? dove, nello stesso lenqio, sa-
rebbe cresciuto l'odio pubblico, e scemata la ripulazion
del potere? dov(> su' vi>^(» d'ogni mascalzone, anche in
v.ii I !t' .
330 l PROMESSI SPOSI
mezzo agf inchini, si potrebl)e leggere un amaro: Tliai
ingoiata, ci ho gusto? La strada dciriniijuilà, dice qui
il manoscritto, e larga; ma ([U(s!o non vuol dire che
sia comoda: ha i suoi buoni intoppi, i suoi passi sca-
lirosi; è noiosa la sua parte, e faticosa, benché vada
all' ingiù.
A don Rodrigo, il quale non voleva uscirne, uè dare
addietro, nò fermarsi, e non poteva andare avanti da sé,
veniva bensì in mente un mezzo con cui potrebbe : ed
era di chieder l'aiuto d'un tale, le cui mani arrivavano
spesso dove non arrivava la vista degli altri: un uomo
0 un diavolo, per cui la dilTicollà dclTimprese era spesso
uno stimolo a prenderle sopra di sé. 3Ia questo partito
aveva anche i suoi inconvenienti e i suoi rischi, tanto
più gravi quanto meno si potevano calcolar prima ; giac-
ché nessuno avrebl-e saputo prevedere fin dove ande-
rebbe, una volta che si fosse imbarcato con quell'uomo,
potente ausiliario certamente, ma non meno assoluto e
pericoloso condottiero.
Tali pensieri tennero per più giorni don Rodrigo fra
un sì e un no, l'uno e l'altro più che noiosi, venne in-
tanto una lettera del cugino, la quale diceva che la
trama era ben avviata. Poco dopo il baleno, scoppiò il
(nono; vale a dire che, una bella mattina, si senti che
il palre Cristoforo era partito dal convento di Pescare-
nico. Questo buon successo così pronto, la lettera d'At-
tilio che faceva un gran coraggio^ e minacciava di gran
canzonature, fecero inclinar sempre più don Rodrigo al
partito rischioso: ciò che gli diede l'ultima spinta, fu
la notizia inaspettata cbe Agnese era tornala a casa sua :
un impedimento di meno vicino a Lucia. Kendiam conto
di questi due avvenimenti, cominciando dall'ultimo.
Le due povere donne s'erano appena accomodate nel
loro ricovero , che si sparse per Monza , e per conse-
guenza anche nel monastero, la nuova di quel gran fra-
casso di Milano; e dietro alla nuova grande, una serie
infinita di particolari, che andavano crescendo e varian-
CAPITOLO XVIII, 331
dosi ogni raomenlo. La fatloressa, che, dalla sua casa,
poteva tenere un orecchio alla strada, e uno al mona-
stero, raccoglieva notizie di qui, notizie di lì, e ne fa-
ceva parte all'ospiti. «Due, sei, otto, quattro, sette ne
hanno messi in prigione; grimpiccheranno, parte davanti
al forno delle grucce, parie in cima alla strada dove c'è
la casa del vicario di provvisione — Ehi, ehi, sentite
questa: n'è scappato uno, che è di Lecco, o di quelle
parti. Il nome non lo so; ma verrà qualcheduno che
me lo saprà dire ; per veder se lo conoscete. »
Quest'annunzio, con la circostanza d'esser Renzo ap-
punto arrivato in Milano nel giorno fatale, diede qual-
che inquietudine alle donne, e principalmente a Lucia:
ma pensate cosa fu quando la fattoressa venne a dir
loro: « è proprio del vostro paese quello che se l'è bat-
tuta, per non essere impiccato, un fdatore di seta, che
si chiama Tramaglino: lo conoscete?»
A Lucia, ch'era a sedere, orlando non so che cosa,
cadde il lavoro di mano; impallidì, si cambiò tutta, di
maniera che la fatloressa se ne sarebbe avvista certa-
racnte, se la fosse stala più vicina. Ma era ritta sulla
soglia con Agnese; la quale conturbata anche lei, però
non tanto, potè star forte; e, per risponder (pialcosa ,
disse che, in un piccolo paese, tutti si conoscono, e che
lo conosceva; ma che non sapeva pensare come mai gli
fosse potuta seguire una cosa simile; perchè era un
giovine posalo. Domandò poi se era scappato di certo ,
e dove.
«Scappato, lo dicon tutti; dove, non si sa; può es-
sere che l'acchiappino ancora, può essere che sia in
salvo; ma se gli torna sotto l'unghie, il vostro giovine
posato »
Qui, per buona sorte, la fattoressa fu chiamata, e se
n'andò; liguratevi come rimanessero la niadi'c e la tl-
glia. Più d'un giorno, dovettero la povera donna e la
desolata fanciulla stare in una tale incertezza , e muli-
nare sul come, sul perchè, sulle conseguenze di quel
33^ l PROMESSI SPOSI
fallo doloroso, a commentare, ognuna Ira sé, o solto-
voce tra loro, (juando potevano, quelle terribili parole.
Un giovedì, finalmente, capilo al monastero un uomo
a cercar d'Agnese. Era un peseiaiolo di Pescarenico,
che andava a Milano, secondo l'ordinario, a spacciar la
sua mercanzia ; e il buon frate Cristoforo V aveva pre-
galo che, passando per Monza , facesse una scappata al
monastero, salutasse le donne da parte sua, raccontasse
loro quel che si sapeva del tristo caso di Renzo , rac-
comandasse loro d'aver pazienza, e confidare in Dio; e
che lui povero frate non si dimenticherebbe certamente
di loro , e spierebbe l' occasione di poterle aiutare : e
intanto non mancherebbe , ogni settimana , di far loro
saper le sue nuove, per quel mezzo, o altrimenti. In-
torno a Renzo , il messo non seppe dir altro di nuovo
e di certo, se non la visita fattagli in casa, e le ricer-
che per averlo nelle mani ; ma insieme eh' erano tulle
andate a vólo, e si sapeva di certo che s' era messo in
salvo sul bergamasco. Una tale certezza, e non fa biso-
gno di dirlo , fu un gran balsamo per Lucia : d' allora
in poi le sue lacrime scorsero più facili e più dolci ;
provò maggior conforto negli sfoghi segreti con la ma-
dre; e in tutte le sue preghiere, c'era mescolalo un
ringraziamento.
Gertrude la faceva venire spesso in un suo parlatorio
privato, e la tratteneva talvolta lungamente, compiacen-
dosi dell'ingenuità e tlella dolcezza della poverina, e nel
sentirsi ringraziare e benedire ogni momento. Le rac-
contava anche, in confidenza, una parte (la parte netta)
della sua storia, ili ciò che aveva patito, per andare li
a patire; e quella prima maraviglia sospettosa di Lucia
s'andava cambiando in compassione. Trovava in quella
storia ragioni più che sufficienti a spiegar ciò che c'era
d'un po' strano nelle maniere della sua benefattrice:
tanto più con l'aiuto di quella dottrina d'Agnese su'cer-
velli de' signori. Per quanto però si sentisse portala a
contraccambiare la confidenza che Gertrude le dimosli-ava,
CAPITOLO XVIII. 333
non le passò noppnr por la testa di parlarle delle sne
nuove nKpiieliidini , della sua nuova disgrazia, di dirle
chi fosse quel filatore scappalo; per non rischiare di
spargere una voce così piena di dolore e di scandolo.
Si schermiva anche, quanlo poteva, dal rispondere alle
domande curiose di quella, sulla sloria antecedenle alla
promessa ; ma qui non eran ragioni di prudenza. Era
perchè alla povera innocente quella sloria pareva più
spinosa, più difficile da raccontarsi, di lutle quelle che
aveva sentile, e che credesse di poter senlire dalla si-
gnora. In queste c'era tirannia, insidie, patimenti: cose
brutte e dolorose, ma che pur si polevan nominare:
nella sua cera mescolato per tulio un senlimenlo, una
parola, che non le pareva possihile di proferire, parlando
di se: e alla quale non avrebbe mai- trovalo da sosti-
tuire una perifrasi che non le paresse sfacciala : l'amore!
Qualche volta, Gertrude quasi s'indispettiva di quello
star così sulle difese; ma vi traspariva tanta amorevo-
lezza, tanlo rispello, lauta riconoscenza, e auclie tanta
fiducia! Qualche volta forse, quel pudore così delicato,
così ombroso, le dispiaceva ancor più per un altro verso;
ma lutto si perdeva nella soavità d' un pensiero che le
toruava ogni momeuto, guardando Lucia: — a questa
fo ilei bene. — Kd era vero; perchè oltre il ricovero,
que' discorsi, ((uellt! carezze famigliari erano di non poro
conforto a Lucia. Un altro ne trovava nel lavorar di con-
tinuo ; e pregava sempre che le dessero qualcosa da
fare: anche nel parlatorio, portava sempre (lualche la-
voro da tener le mani in esercizio: ma, come i [UMisieri
dolorosi si caccian per tutto ! cucendo, cucendo, ch'era
un mestiere quasi nuo\o per lei, le veniva ogni poco in
mente il suo aspo; e dietro all'aspo, quanle cose!
Il secondo giovedì , tornò cpiel pesciaiolo o un altro
messo, co"saluli del padre Cristoforo, e con la conferma
della fuga felice di Renzo. Notizie [liù |iositive intorno
a'suoi guai, nessuna; perchè, come abhiam dello al let-
tore, il cappuccino aveva speralo d'a\erle dal suo con-
33^1. 1 PROMESSI SPOSI
fralello di Milano, a cui l'aveva raccomandalo ; e qncslo
rispose (li non aver vcilulo nò la persona, nò la lellora;
che uno di campagna era bensì venuto al convento , a
cercar di lui; ma che non avendocelo trovato, era an-
dato via, e non era più comparso.
Il terzo giovedì, non si vide nessuno; e, per le po-
vere donne , fu non solo una privazione d' im conforto
desiderato e sperato, ma, come accade per ogni piccola
cosa a chi è affliLto e impicciato, una cagione d'inquie-
tudine , di cento sospetti molesti. Già prima d' allora ,
Agnese aveva pensato a fare una scappala a casa; que-
sta novità di non vedere l'ambasciatore promesso, la lece
risolvere. Per Lucia era una faccenda seria il rimanere
distaccata dalla gonnella della madre ; ma la smania di
saper qualche cosa, e la sicurezza che trovava in ciuel-
r asilo così guardato e sacro, vinsero le sue ripugnanze.
E fn deciso tra loro che Agnese anderebbe il giorno
seguente ad aspettar sulla strada il pesciaiolo che doveva
passar li lì, tornando da Milano; e gli chiederebbe in
cortesia un posto sul baroccio, per farsi condurre a'suoi
monti. ^0 trovò infatti, gli domandò se il padre Cristo-
foro non gli aveva data qualche commissione per lei:
il pesciaiolo, lutto il giorno avanti la sua partenza era
stato a pescare, e non aveva saputo niente del padre.
La donna non ebbe bisogno di pregare, per ottenere il
piacere che desiderava: prese congedo dalla signora e
dalla figlia , non senza lacrime, promettendo di mandar
subito le sue nuove, e di tornar presto; e partì.
Nel viaggio, non accadde nulla di particolare. Ripo-
sarono parte della notte in un'osteria, secondo il solito;
ripartirono innanzi giorno; e arrivaron di buon'ora a
Pescarenico. Agnese smontò sulla piazzetta del convento,
lasciò andare il suo conduttore con molti: Dio ve ne
renda merito; e giacché era W, volle, prima d'andare a
casa, vedere il suo buon frate benefattore. Sonò il cam-
panello; chi venne ad aprire, fu fra Caldino, quel delle
noci.
CAPITOLO XVIII. 335
« Oli! la mia donna, che venie v'ha portala?»
« Vengo a cercare il padre Cristoforo. »
« Il padre Cristoforo ? Non e' è, d
«Oh! starà mollo a tornare?"
«Ma ? » disse il frate, alzando le spalle, e riti-
rando nel cappuccio la lesta rasa.
« Dov' è andato ? »
« A Rimini. » ■ ' ■
i A ? » . ' -
« A Rimini. »
« Dov' è questo paese ? »
«Eh eh eh!» rispose il frate, trinciando vertical-
mente l'aria con la mano distesa , per sionitìcare una
gran distanza.
« Oh povera me I Ma perchè è andato via così all' im-
provviso ? »
« Perche ha voluto così il padir. provinciale. »
« E perchè mandarlo via? che faceva tanto l)ene qui ?
Oh Signore ! »
«Se i superiori dovessero render conto degli ordini
elle danno, dove sarehhe 1' uhhidienza, la mia donna ? ■>
« Sì; ma questa è la mia rovina. »
« Sapete cosa sarà? Sarà che a Riinini avi'anno avuto
hisogno d'un huon predicatore; (ce n'abbiamo per tutto;
ma alle volte ci vuol quell'uomo fatto apposta) il padre
provinciale di là avrà scritto al padre provinciale di qui,
se aveva un soggetto così e così; e il padre pi'Oviiici;ile
avrà detto: (jui ci vuole il patire Cristoforo. Dev' cssim'
proprio così, vedete. '
«Oh poveri noi! Ouand'è pai'lito?»
« leiialtro. »
«Ecco! s'io davo retta alla mia ispii'a/ione di Nciiir
via (pialche giorno prima! E non si sa (piando possii
tornare? così a un di presso?»
«Eh la mia donna! lo sa il p;ubc provinciah;; se lo
sa anche lui. Quando un nostro padre pivilicatore ha
preso il volo, non si può [ìrevedeic su che ramo polià
336 1 PROMESSI SPOSI
andarsi a posare. Li cercali di qua, li cerca n di là; e
alil)iamo conventi in tutte le quattro parti del mondo.
Supponete che, a Rimini, il padre Cristoforo faccia un
pran fi'acasso col suo quaresimale; perchè non prethca
senqtre a hraccio, come faceva qui, per i pescatori e i
contadini: per i pulpiti della città, ha le sue belle pre-
diche scritte; e fior di roba. Si sparge la voce, da quelle
parti, di questo gran predicatore; e lo possono cercare
da da che so io? E allora, bisogna mandarlo; per-
chè noi viviamo della carità di lutto il mondo, ed è
giusto che serviamo tulio il mondo.»
« Oh Signore I Signore I » esclamò di nuovo Agnese ,
quasi piangendo: «come devo fare, senza quell'uomo?
Era quello che ci faceva da padre! Per noi è una ro-
vina. »
« Sentite, huona donna ; il padre Crisloforo era vera-
mente un uomo: ma ce n'abbiamo degli altri, sapete?
pieni di carità e di talento, e che sanno trattare ugual-
mente co' signori e co' poveri. Volete il padre Atanasio ?
volete il padre Girolamo? Volete il padre Zaccaria. È
un uomo di vaglia . vedete , il padre Zaccaria. E non
istate a badare, come fanno certi ignoranti, che sia così
mingherlino, con una vocina fessa, e una barbetta mi-
sera misera: non dico per predicare, perchè ognuno
ha i suoi doni; ma per dar pareri, e un uomo, sa-
pete? »
» Oh per carità! » esclamò Agnese, con quel misto di
gratitudine e d'impazienza, che si prova a un'esibizione
in cui si trovi più la huona volontà altrui, che la pro-
pria convenienza : « cosa m' importa a me che uouìo sia o
non sia un altro, quando quel pover'uomo che non c'è
più, era quello che sapeva le nostre cose, e aveva pre-
parato tutto per aiutarci?»
« Allora, bisogna aver pazienza. »
« Questo lo so,» rispose Agnese: «scusate dell'inco-
modo. »
« Di che cosa, la mia donna? mi dispiace per voi. E
CAI'ITULO XVlll. 337
se vi risolvete di cercar qualchedimo de' nostri padri, il
convento è qui che non si move. Ehi , mi lascerò poi
veder presto , per la cerca dell'olio. »
« State bene, » disse Agnese; e s' incamminò verso il
suo paesetto, desolata, confusa, sconcertata, come il po-
vero cieco che avesse perduto il suo bastone.
Un po' meglio informati che fra Galdino, noi possiamo
dire come andò veramente la cosa. Attilio, appena arri-
vato a Milano, andò, come aveva promesso a don Rodrigo,
a far visita al loro comune zio del Consiglio segreto.
(Era una consulta, composta allora di tredici personaggi
di toga e di spada, da cui il governatore prendeva pa-
rere, e che, morendo uno di questi, o venendo mutato,
assumeva lemporariamente il governo}. 11 conte zio, to-
gato , e uno degli anziani del consiglio , vi godeva un
cerio credito; ma nel farlo valere, e nel farlo rendere
con gli altri , non e' era il suo compagno. Un parlare
ambiguo , un tacere significativo, un restare a mezzo,
uno stringer d'occhi clie esprimeva : non posso parlare ;
un lusingare senza promettere, un minacciare in cerimo-
nia ; tutto era diretto a quel fine ; e tutto, o più o meno,
tornava in prò. A segno che fino a un : io non posso
niente in questo aliare : detto talvolta per la pura verità,
ma detto in modo che non gli era creduto, serviva ad
accrescere il concetto , e ijuindi la realtà del suo po-
tere: come quelle scatole che si vedono ancora in
qualche bottega di speziale, con su certe parole arabe,
e dentro non c'è nulla; ma servono a mantenere il
credito alla bottega. Quello del conte zio, che , da gran
tempo, era sempre andato crescendo a lentissimi gradi ,
ullimamonte aveva fatto in una volta un passo, come
si dice, di gigante, pcu" un'occasione straordinaria, un
viaggio a Madrid, con una missione alla corte; dove,
che accoglienza gli fosse fatta , bisognava sentirlo rac-
contar da lui. Per non dir altro, il conte duca l'aveva
trattalo con una degnazione particolare, e anunesso alla
sua confidenza, a segno ti' avergli una \olla duman-
VUL. 1. 15
338 I pnoMESSi sposi
dato, in presenza, si può dire, di mezza la corte, come
gli piacesse Madrid, e d'avergli un'altra voHu ([('ito a
qualtr' occhi, nel vano d'una finestra, che il dnomo di
Milano era il tempio più grande che fosse negli stali
del re.
Fatti i suoi complimenti al conte zio, e presentatigli
quelli del cugino, Attilio, con un suo contegno serio,
che sapeva prendere a tempo , disse : « credo di fare il
mio dovere , senza mancare alla confidenza di Rodrigo,
avvertendo il signore zio d' un affare che, se lei non ci
mette una mano, può diventar serio, e portar delle con-
seguenze ...»
« Qualcheduna delle sue, m'immagino. »
<t Per giustizia, devo dire che il torto non ò dalla
])arte di mio cugino. Ma è riscaldato ; e, come dico, non
e' è che il signore zio, che possa »
« Vediamo , vediamo. »
« C è da quelle parti un frate cappuccino che Tha con
Rodrigo; e la cosa è arrivata a un punto che »
« Quanto volte v'ho detto, all'uno e all'altro, che i
frati bisogna lasciarli cuocere nel loro brodo? Basta il da
fare che danno a chi deve ... a chi tocca ...» E qui
soffiò. « Ma voi altri che potete scansarli ...»
« Signore zio, in questo, è mio dovere di dirle che
Rodrigo l'avrebbe scansalo, se avesse ix)tulo. É il frate
che l'ha con lui, che ha preso a provocarlo in tutte le
maniere »
« Che diavolo ha codesto frate con mio nipote? »
« Prima di tutto, è una testa inquieta, conosciuto per
tale, e che fa professione di prendersela coi cavalieri.
Costui protegge, dirige, che so io? una contadinotta di
Ica; e ha per questa creatura una carità, una carila ....
non dico pelosa, ma una carità molto gelosa, sospettosa,
permalosa. »
« Intendo,» disse il conle zio: e sur un cerio fondo
di, goffaggine, dipintogli in viso dalla natura, velalo poi
e ricoperto, a pii^i mani, di politica, balenò un raggio di
malizia, che vi faceva un bellissimo \edere.
CAPITOLO XVlll. 339
« Ora da qualche tempo, » continuò Attilio: «s'è cac-
ciato in lesta (luesto frate, che Rodrigo avesse non so che
disegni sopra questa .... »
« S'è cacciato in lesta, s'è cacciato in lesta: lo cono-
sco anch'io il signor don Rodrigo; e ci vuol altro av-
vocato che vossignoria, per giustificarlo in queste ma-
terie. ■»
« Signore zio, che Rodrigo possa aver fatto ([ualche
scherzo a quella creatura, incontrandola per la strada,
non sarei lontano dal crederlo: è giovine, e finalmente
Jion è cappuccino; ma queste son bazzecole da non trat-
tenerne il signore zio : il serio è che il frate s' è messo
a parlar di Rodrigo come si farebbe d'un mascalzone,
cerca d'aizzargli ''ontro tutto il paese....»
« E gli altri frati ? »
« Non se ne impicciano, perchè lo conoscono per una
tesla calda, e hanno tutto il rispetto per Rodrigo; ma,
dall'altra parie, questo frate ha un gran credito presso
i villani, perchè fa poi anche il santo, e.. ..»
« M'immagino che non sappia che Rodrigo è mio
iiipole.»
« Se lo sa! Anzi questo è quel che gli mette più il
diavolo addosso. »
« Come? come?»
<t Perchè, e lo va dicendo lui, ci trova più gusto a
farla vedere a Rodrigo, appunto perchè questo ha un
protettor naturale, di tanta autorità come vossignoria: e
che lui se la ride de' grandi e de' politici , e che il
cordone di san Francesco lien legate anche le spade, e
che .... »
« Oh frate temerario! Come si chiama costui? »
« Fra Cristoforo da'**» disse Attilio; e il conte zio.
preso da una cassetta del suo tavolino, un lihriccino di
memorie, vi sci'isse, soflìando, soffiando, (piel povero nome.
Intanto Attilio segnilava: «è sem|)r(! sialo di (pielT n-
morc, costui: si sa la sii,i \ii,i. Kim un plebeo che, Iro-
vandosi aver (pialli'o soldi. \o|ev;i compelei'e coi c;iv;i-.
340 ' I PROMESSI SPOSI
lieri del suo paese; e, per rabbia di jion poterla viiic(!r
con tutti, ne ammazzò uno; onde, per iscansar la forca,
si fece frate. »
« Ma bravo! ma bene! La vedremo, la vedremo,»
diceva il conte zio, seguitando a soffiare.
« Ora poi,» continuava Allilio, «èpiij arrabbiato che
mai, perche gli è andato a monte un disegno che gli
premeva molto molto: e da questo il signore zio capirà
che uomo sia. Voleva costui maritare quella sua creatura:
fosse per levarla dai pericoli del mondo, lei m'intende,
0 perchè altro si fosse, la voleva maritare assolutamente;
e aveva trovato il l'uomo: un'altra sua creatura, un
soggetto, che, forse e senza forse, anche il signore zio
lo conoscercà di nome; perdio tengo per certo che il
Consiglio segreto avrà dovuto occuparsi di quel degno
soggetto. »
« Chi è costui? »>
« Un filatore di seta, Lorenzo Tramaglino, quello
che »
« Lorenzo Tramaglino!» esclamò il conte zio. «Ma
bene! ma bravo, padre! Sicuro.... in fatti.... aveva
una lettera per un Peccato che Ma non im-
porta ; va bene. E perchè il signor don Rodrigo non
mi dice nulla di tutto questo? perchè lascia andar le cose
tant' avanti e non si rivolge a chi lo può e vuole diri-
gere e sostenere?
« Dirò il vero anche in questo, » proseguiva Attilio.
« Da una parte, sapendo quante brighe, quante cose ha
per la testa il signore zio » (questo, soffiando, vi
mise la mano, come per significare la gran fatica ch'era
a farcele star tutte) «s'è fallo scrupolo di darle una
briga di più. E poi, dirò tutto: da quello che ho po-
tuto capire, è così irritato, così fuor de' gangheri, così
stucco delle villanie di quel frale, che ha più voglia di
farsi giusii/.ia da sé, in qualche maniera sommaria, che
d'ottenerla in una maniera regolare, dalla prudcMiza e
dal braccio ilei signore zio. Io ho cercato ili smorzare ;
CAPITOLO xvm. Vt\
ma vedemlo che la cosa andava per le brnlte, ho cre-
duto che fosse mio dovere d'avvertir di lutto il signore
zio, che alla fine è il capo e la colonna della casa ... »
« Avresti fatto meglio a parlare un poco prima. »
« É vero; ma io andavo sperando che la cosa svani-
rebbe da sé, 0 che il frate tornerebbe finalmente in cer-
vello, 0 che se n' anderebbe da quel convento, come ac-
cadde di questi frati, che ora sono (jua, ora sono là; e
allora tutto sarebbe finito. Ma....» •
« Ora toccherà a me a raccomodarla. »
«Cosi ho pensato anch'io. Ho detto tra me: il si-
gnore zio, con la sua awedulezza, con la sua autorità,
saprà lui prevenire uno scandolo, e insieme salvar l'o-
nore di Rodrigo, che è poi anche il suo. Questo frate,
dicevo io, l'ha sempre col cordone di san Francesco, ma
per adoprarlo a proposito, il cordone di san Francesco
non è necessario d' averlo intorno alla pancia. Il signore
zio ha cento mezzi eh' io non conosco : so che il padre
provinciale ha, com'è giusto, una gran deferenza per
lui ; e se il signore zio crede che in questo caso il mi-
glior ripiego sia di far cambiar aria al frate , lui con
due parole .... »
«Lasci il pensiero a chi tocca, vossignoria,» disse
un po' ruvidamente il conte zio.
« Ah è vero!» esclamò Attilio con una lenlennatina
di testa, e con un sogghigno di compassione per so
stesso. « Son io l' uomo da dar pareri al signore zio ! Ma
è la passione che ho della riputazione del casato che mi
fa parlai'e. K ho anche jìaura d'aver fallo un allro male, »
soggiunse con un'aria pensierosa: « ho paura d'aver fallo
torto a Rodrigo nel concetto del signore zio. Non mi da-
rei pace, se fossi cagione di farle pensare ch(> Rodrigo
non abbia tutta quella feib'. in bn, Inlla (piclla sonnnis-
sione che deve avere. Creda, signore zio, che in (pieslo
caso ò proprio .... »
« Via, via; che torto, che torlo tra voi altri due-? che
.sarete sempre amici, finché l'uno non niella Miudizio.
34là I PROMESSI SPOSI, CAPITOLO XVllI.
Scapestrati, scapestrati, che sempre ne fate una ; e a me
tocca di rattopparle: che mi fareste dire uno spro-
posito, mi date più da pensare voi altri due, clic, » e qui
immaginatevi clie soffio mise; <« tutti questi benedetti af-
fari di stato. »
Attilio fece ancora qualciie scusa, qualche promessa,
qualche complimento; poi si licenziò, e se n'andò, ac-
compagnato da un «e abbiamo giudizio,» ch'eralafor-
mola di commiato del conte zio per i suoi nipoti.
CAPITOLO XIX.
Chi, vedendo in \m campo mal coltivato, un erbaccia
per esempio un bii lapazio, volesse proprio sapere se sia
venuto da un seme maturato nel campo stesso, o porta-
tovi dal vtMUo, 0 lasciatovi cader da un uccello, per quanto
ci pensasse, non ne verrelil)e mai a una conclusione. Così
anche noi non sapremmo dire se dal fondo naturale del
suo cervello, o dall'insinuazione d'Attilio, venisse al conte
zio la risoluzione di servirsi del padre pi'ovinciale per tron-
care nella mi.^lior maniera ipicl nodo imbrogliato. Certo
è che Attilio non av(!va detta a caso ({nella parola: e quan-
tunque dovesse aspettarsi che, a un suggerimento cosi
scoperto, la boria ombrosa del conte zio avrebbe rical-
citrato, a ogni modo volle fargli balenar dinanzi l'idea
di quel ripiego, e metterlo sulla strada dove desiderava
che anelasse. D'altra parte, il ri|)iego era talmente adat-
tato all'umore del conte zio, talmente indicati) dalle cir-
costanze, che, senza suggerimenlo di chi si sia, si può
scommettere che l'avrebbe ti'ovato da sé. Si trattava che,
in una guerra pur troppo aperta, uno del suo nome,
un suo nipote, non rimanesse al di sotto: i)unto essen-
3Ì5- 1 PROMESSI SPOSI
zialissimo alla ripulazionc del polerc dio gli slava tanto
a cuore. La soddisfazione che il nipote poteva prendersi
da sé, sarebbe stala un rimedio peagior del male, una
sementa dì guai: e bisognava impedirla, in (pialunque
maniera, e senza perder tempo. Comandargli che partisse
in quel momento dalla sua villa; già non avrebbe ubbi-
dito; e quand'anche avesse, era un cedere il campo, una
ritirata della casa dinanzi a un convento. Ordini, forza
legale, spauracchi di tal genere, non valevano contro un
avversario di quella condizione: il clero regolare e seco-
lare era affalto immune da ogni giurisdizione laicale ;
non solo le persone, ma i luoghi ancora abitati da esso:
come deve sapere anche chi non avesse letta altra storia
che la presente; che starebbe fresco. Tutto fjuel che si
poteva contro un tale avversario era cercar d'alloniaiiarlo,
e il mezzo a ciò era il padre provinciale, in arbitrio del
quale era l'andare e lo stare di quello.
Ora, tra il padre provinciale e il conte zio passava un'an-
tica conoscenza: s'eran veduti di rado, ma sempre con
gran dimostrazioni d'amicizia, e con esibizioni sperticate
di servizi. E alle volte, è meglio aver che fare con uno
che sia sopra a molti individui, che con un solo di questi,
il quale non vede che la sua causa, non sente che la
sua passione, non cura che il suo punto; mentre l'altro
vede in un tratto cento relazioni, cento conseguenze; cento
interessi, cento cose da scansare, cento cose da salvare ;
nò si può quindi prendere da cento parti.
Tutto ben ponderalo, il conte zio invitò un giorno a
pranzo il padre provinciale, e gli fece trovare una corona
di commensali assortiti con un inlendimento sopraffino.
Qualche parente de' pii^i tilolali, di quelli il cui solo ca-
sato era un gran titolo; e che, col solo conlegno, con
una certa sicurezza nativa, con una sprezzatura signorile^
parlando di cose grandi con termini famigliari, riusci-
vano, anche senza farlo apposta, a imprimere e rinfrescare,
ogni momento, l'idea della superiorità e della potenza;
e alcuni clienti legali alla casa per una dipendenza ere-
CAPITOLO XIX. 3Vo
ditaria, e al personagpfio per una servitù di lutla la vita;
quali, cominciando dalla mincsU-a a dir di sì, con la
bocca, con gii occhi, con gli orecchi, con tulla la testa,
con tutto il corpo, con tutta l'anima, alle fruite v'avevan
ridotto un uomo a non ricordarsi più come si facesse a
dir di no.
A tavola, il conte padrone fece cader ben presto il di-
scorso sul tema di Madrid. A Roma si va per più strade;
a Madrid egli andava per tutte. Parlò della corte, del
conte duca, de' ministri, della famiglia del governatore,
delle cacce del toro, che lui poteva descriver benissimo,
perchè le aveva godute da un posto distinto, dell'Escu-
riale di cui poteva render conto a un puntino, perchè un
creato del conte duca l'aveva conilotto per tutti i buchi.
Per qualche tempo, tutta la comiiagnia stette, come un
uditorio, attenta a lui solo, poi si divise in colloqui par-
ticolari; e lui allora continuò a raccontare altre di quelle
belle cose, come in confidenza, al padre provinciale che
gli era accanto, e che lo lasciò dire, dire e dire. Ma a
un certo punto, diede una girata al discorso, lo staccò
da Madrid, e di corte m corte, di dignità in dignità, lo
tirò sul cardinal Barberini, eh' era cappuccino, e fratello
del papa allora sedente. Urbano Vili: niente meno. Il
conte zio dovette anche lui lasciar parlare un poco, e
stare a sentire, e ricordarsi che finalmente, in questo
mondo, non c'era soltanto i personaggi che faceva n per
lui. Poco dopo alzati da tavola, pregò il provinciale di
passar con lui in un'altra stanza.
Due potestà , due canizie , due esperienze consumate
si trovavano a fronte. Il magnifico signore fece sedere
il padre molto reverendo, sedette anche lui, e cominciò:
« stante l'amicizia che passa tra di noi, ho creduto di
far parola a vostra paternità d' un affare di comune
interesse, da concluder tra di noi, senz'andar per altre
strade, che .potrebbero .... E perciò, alla buona, col
cuore in mano, h; diròdi che si ti-atta; e in due parole
son cerio cIk; aiiderenio d'accordo. Mi dica : nel loro con-
34(5 1 l'HOMKSSl SPOSI
vcnlo di Pescarenico c'è un padre Crisloloro da " * ? »
Il provinciale fece cenno di si.
<« Mi dica un poco vostra palcrnilà, scliicllamonte, da
buon amico.... ipieslo soggelto.... questo padre....
Di persona io non lo conosco ; e si che de' padri cap-
puccini ne conosco parecchi: uomini d'oro, zelanti, pru-
denti, umUi: sono stalo amico dell'ordine fin da ragaz-
zo Ma in tutte le famiglie un po' numerose c'è
sempre qualche individuo, qualche testa .... E questo
padre Cristoforo, so da certi ragguagli che è un uomo
un po' amico de contrasti che non ha tutta quella
prudenza, tutti que' riguardi Scommetterei che ha
dovuto dar più d' una volta da pensare a vostra pa-
ternità. »
— Ho inteso: è un impegno, — pensava intanto il pro-
vinciale: — Colpa mia; lo sapevo che quel benedetto Cri-
"stoforo era un soggetto da farlo girare di pulpito in pul-
pito, e non lasciarlo fermare sei mesi in un luogo, spe-
cialmente in conventi di campagna. —
« Oh ! disse poi : " mi dispiace davvero di sentire che
vostra magnificenza aljbia in un tal concetto il padre Cri-
stoforo; mentre, per quanto ne so io, è un religioso
esemplare in convento, e tenuto in molta stima anche
di fuori. »
« Intendo benissimo; vostra paternità deve .... Però,
però, da amico sincero, voglio avvertirla d'una cosa che
le sarà utile di sapere; e se anche ne fosse già infor-
mata, posso, senza mancare a' miei doveri, metterle sot-
t' occhio certe conseguenze.... possibili: non dico di più.
Questo padre Cristoforo, sappiamo che proteggeva un
uomo di quelle parli, un uomo vostra paternità n'avrà
sentito parlare; quello che, con tanto scandolo, scappò
dalle mani della giustizia, dopo aver fatto, in quella ter-
ribile giornata di san Martino, cose — cose Lorenzo
Tramaglino ! »
— Ahi! —pensò il provinciale ; e disse: «questa cir-
costanza mi riesce nuova; ma vostra magnificenza sa bene
CAPITOLO XIX -{47
che una parte del noslro ufizio è appunto d' andare in
cerca de' traviati per ridurli »
« Va bene; ma la protezione de' traviati d'una cerla
specie .... ! Son cose spinose, affari delicati . . . . " E qui,
in vece di gonllar le gole e di soffiare, strinse le lab-
bra, e tirò dentro tant'aria quanta ne soleva mandar fuori,
soffiando. E riprese : <i ho creduto bene di darle un cenno
su questa circostanza, perchè se mai sua eccellenza
Potrebhe esser fallo qualche passo a Roma.... non so
niente e da Roma venirle .... »
« Son ben tenuto a vostra magnificenza di codeslo av-
viso; però son certo che, se si prenderanno informazioni
su questo proposito , si troverà che il padre Cristoforo
non avrà avuto che fare con l'uomo che lei dice, se non
a fine di mettergli il cervello a partito. Il padre Cristo-
foro, lo conosco. "
« Già lei sa meglio di me che soggetto fosse al secolo,
le cosette che ha fatte in gioventù. »
" È la gloria dell'abito questa, signor conte, che un
uomo, il quale al secolo ha poluto far dir di sé, con que-
sto indosso, diventi un altro. E da che il padre Crislo-
foro porta qucst' abito . . . . "
« Vorrei crederlo: lo dico di cuore: vorrei crederlo;
ma alle volte, come dice il proverbio.... l'abilo non fa
il monaco. »
Il proverbio non veniva in (aglio esallamenic; ma il
conte l'aveva soslilniio in bella a un altro che gli era
venuto sulla punta della lingua: il lupo cambia il pelo,
ma non il vizio.
« Ilo de' risronlri, » coiilinuava, « ho tic" roiilrasse-
gni. ...»
« Se lei sa posiliva^lenl(^ » disse il provinciale;, che
(|ueslo religioso abbia commesso qualche errore (tulli si
[)uò mancare), avrò per un vero favore l'esserne infor-
malo. Son superiore: iiidiìgnaineiilc: ma lo sono niipuiilo
per cori'cggere, per rimediare. »
« Le dirò: insieme con ([uesla circostanza dispiacevole
iV't.S I PROMESSI SPOSI
(Iella proiezione aperta di questo padre per chi le ho
dello, c'è un'altra cosa disgustosa, e che polrehbe
Ma, tra di noi, accomoderemo tutto in una volta. C'è,
dico, clie lo stesso padre Cristoforo ha preso a cozzare
con mio nipote, don Rodrigo ' ' '. »
« Ohi questo mi dispiace, mi dispiace, mi dispiace
davvero. »
« Mio nipote è giovine, vivo , si sente quello che è ,
non è avvezzo a esser provocato .... »
« Sarà mio dovere di prender buone informazioni d'un
fatto simile. Come ho già detto a vostra magnificenza, e
parlo con un signore che non ha meno giustizia che
pratica di mondo, tutti siamo di carne, soggetti a sba-
gliare tanto da una parte, quanto dall'altra: e se il
padre Cristoforo avrà mancato t
« Veda vostra paternità; son cose, come io le dicevo,
da finirsi tra di noi, da seppellirsi qui, cose che a ri-
mestarle troppo. ... si fa peggio. Lei sa cosa segue:
quest'urti, queste picche, principiano talvolta da una ba-
gattella, e vanno avanti, vanno avanti .... A voler tro-
varne il fondo, 0 non se ne viene a capo, o vengon fuori
ceni' altri imbrogli. Sopire, troncare, padre molto reve-
rendo : troncare, sopire. Mio nipote è giovine ; il reli-
gioso, da quel che sento, ha ancora tutto lo spirito, le....
inclinazioni d'un giovine ; e tocca a noi , che abbiamo
i nostri anni . . . pur troppo eh , padre molto reve-
rendo? .... »
Chi fosse stato lì a vedere , in quel punto , fu come
quando, nel mezzo d' un'opera seria, s' alza, per isbaglio,
uno scenario, prima del tempo, e si vede un cantante»
che, non pensando, in quel momento, che ci sia un pub-
blico al mondo, discorre alla buona con un suo compa-
gno. Il viso, l'alto, la voce del conte zio, nel dir quel
pur troppo!, tutto fu naturale: li non e' era politica : era
proprio vero che gli dava noia d' avere i suoi anni. Non
già che piangesse i passatempi, il brio, l" avvenenza della
gioventù: frivolezze, sciocchezze, miserie! La cagion del
CAPITOLO XIX. 349
suo dispiacere era lìen più soda e imporlanle : era che
sperava mi certo posto più alto, quando fosse vacato; e
temeva di non arrivare a tempo. Ottenuto che l'avesse,
si poteva esser certi che non si sarehbe più curato degli
anni, non avrebbe desiderato altro, e sarebbe morto con-
tento, come tutti quelli che desideran molto una cosa,
as.'ieurano di voler fare, quando siano arrivali a otte-
nerla.
Ma per lasciarlo parlar lui, « tocca a noi, » continuò,
« a aver giudizio per i giovani, e a rassettar le loro
malefatte. Per buona sorte, siamo ancora a tempo; la
cosa non ha fatto chiasso; è ancora il caso d'un buon
priucipiis obsta. Allontanare il fuoco dalla paglia. Alle
volte un soggetto che, in un luogo, non fa bene, o che
può esser causa di qualche inconveniente riesce a ma
raviglia in un altro. Vostra paternità saprà ben trovare
la nicchia conveniente a questo religioso. C è giusto an-
che l'altra circostanza, che possa esser caduto in sospetto
di chi..., potrebbe desiderare che fosse rimosso: e,
collocandolo in qualche posto un po' lontanetto, facciamo
un viaggio e due servizi; tutto s'accomoda da se, o per
dir meglio, non e' è nulla di guasto. »
Qiu'sla conclusione, il padre provinciale se l'aspettava
fino dal principio del discorso. ■ — Eh già! — pensava
tra sé: — veilo dove vuoi andar a parare: delle solite;
quando un povero frate è preso a noia da voi altri, o
da uno di voialtri, o vi dà ombra, subito, senza cercar
se abbia torto o ragione, il superiore ^U'\^^ farlo sgom-
berare. —
E ([uando il conte ebbe Unito, e messo un lungo sof-
fio, che ecjuivaleva a un punto fermo, « intendo benis-
simo, » dis.sc il provinciale, « quel che il signor conte
vuol (lire; ma prima di fare un passo.,..»
» E un passo e non è un passo, padre mollo ii'\e-
rendo: è una cosa naluiale, una cosa oidinaria ; e se
non si prende queslo ripiego^ e suliito, [ìrevedo un nionle
di disordini, un'iliade di guai. Uno sproposito mio
350 I PROMESSI SPOSI
nipolo non crederci ci son io, per questo Ma,
al pniilo a cui la cosa ò arrivala, se non la tronchiamo
noi senza perder tempo, con un col{)0 netto, non è pos-
sibile che si fermi, che resti segreta e allora non è
più solamente mio nipote Si stuzzica un vespaio,
padre molto reverendo. Lei vede; siamo una casa, ab-
biamo attinenze .... »
« Cospicue. »
« Lei m' intende; tutta gente che ha sangue nelle vene,
e che , a questo mondo è qualche cosa. C entra il
puntiglio; diviene un affare comune; e allora an-
che chi è amico della pace Sarebbe un vero crepa-
cuore per me, di dovere .... di trovarmi io che ho
sempre avuta tanta propensione per i padri cappuccini . . .'
Loro padri, per far del bene, come fanno con tanta edi-
ficazione del pubblico, hanno bisogno di pace, di non
aver contese, di stare in buona armonia con chi .... E
poi, hanno de' parenti al secolo .... e questi alTaracci di
puntiglio , per poco che vadano in lungo , s' estendono,
si ramificano, tiran dentro mezzo mondo. Io mi trovo
in questa benedetta carica, che m'obbliga a sostenere
un certo decoro Sua eccellenza i miei signori col-
leghi tutto diviene afTar di corpo tanto più con
quell'altra circostanza Lei sa come vanno queste cose. »
« Veramente, » disse il padre provinciale, «t il padre
Cristoforo è predicatore; e avevo già qualche pensiero... J
Mi si richiede appunto Ma in questo momento, in
in tali circostanze, potrebbe parere una punizione ; e una
punizione prima d'aver ben messo in chiaro .... »
« No punizione, no: un provvedimento prudenziale,
un ripiego di comune convenienza, per impedire i sini-
stri che potrebbero .... mi sono spiegato. »
« Tra il signor conte e me, la cosa rimane in questi
termini ; iiilciido. Ma, stando il fatto come fu riferito a
vostra mai-I ni licenza, è impossibile, mi pare, che nel paese
non sia traspirato qualcosa. Per tutto e' è degli aizzatori,
de' mettimale, o almeno de' curiosi maligni che. se pos-
CAPITOLO XIX. 351
SDII vedere alle prese signori e religiosi , ci lianno un
gusto matto; e fiutano, intei^pretano, ciarlano Ognuno
ha il suo decoro da conservare ; e io poi , come supe-
riore (indegno), ho un dovere espresso.... L'onor del-
l'abito — non è cosa mia — è un deposilo del quale
Il suo signor nipote; giachè è cosi alterato, come dice
vostra magnificenza, potrebbe prender la cosa come una
soddisfazione data a lui, e.... non dico vantarsene, trion-
farne, ma . . . . »
<t Le pare, padre molto reverendo? Mio nipote è un
cavaliere che nel mondo è considerato secondo il suo
grado e il dovere : ma davanti a me è un ragazzo ; e
non farà uè piò nò meno di quello che gli prescriverò
io. Le dirò di più : mio nipote non ne saprà nulla. Che
bisogno abbiamo noi di render conto? Son cose che fac-
ciamo Ira di noi , da buoni amici ; e Ira di noi hanno
da rimanere. Non si dia pensiero di ciò. Devo essere
avvezzo a non parlare. » E soffiò. « In quanto ai cica-
loni, » riprese, « che vuol che dicano? Un religioso che
vada a predicare in un altro paese , ò cosa così ordina-
ria ! E poi, noi che vediamo noi che prevediamo
noi che ci tocca.. .. non dobbiamo poi curarci delle ciarle.»
» Però, affine di prevenirle, sarebbe ikmic che, in f|ue-
st'occasione, il suo signor nipote facesse (pialche dimo-
strazione, desse (pialche segno palese d'amicizia, di ri-
guardo .... non per noi, ma per l'abilo .... »
« Sicuro, sicuro; quest'ò giusto .... Però non c'è biso-
gno: so clic i cappuccini son sempre accolti come si deve
da mio nipote. Lo fa per inclinazione: è un genio in
famiglia: e poi sa di far cosa grata a me. Di'l ivslo. in
questo caso qualcosa di straordinario.... è troppo
giusto. Lasci fare a me , padre mollo reverendo ; che
comanderò a mio nipote.... Cioè bisognerà insinuargli
con prudenza, affincliè non s'avveda di (pn'l che è pas-
salo tra (li noi. IV'rcbè non vorrei alle \olte clic nicl-
l(!ssimo nn impiastr'o dove non c/è ferila. K pei' {(nel ch(>
abbiamo concluso, (pianlo pii'i prcslo sai'à. meglio. K se
352 I PROMESSI SPOSI
si (rovassc qualche niccliia un po' lontana .... per levar
proprio ogni occa.sione .... »
« Mi vien chiesto por l'appunto un predicatore da Ri-
uiiiii; e fors'anche, senz'altro motivo, avrei potuto met-
ter gli occhi .... »
a Molto a proposito, mollo a proposito. E quando...? >•
« Giacché la cosa si deve fare, si farà presto. »
« Presto, presto, padre molto reverendo : meglio oggi
che domani. E,» continuava poi, alzandosi da sedere,
« se posso qualche cosa, tanto io, come la mia famiglia,
per i nostri huoni padri cappuccini »
«Conosciamo per prova la bontà della casa,» disse
il padre provinciale , alzatosi anche lui , e avviandosi
verso l'uscio, dietro al suo vincitore.
«Abbiamo spento una favilla,» disse questo, soffer-
mandosi, « una favilla, padre mollo reverendo, che po-
teva destare un grand' incendio. Tra buoni amici, con
due parole s'accomodano di gran cose. »
Arrivato all' uscio, lo spalancò, e volle assolutamente
che il padre provinciale andasse avanti: entrarono nel-
Tallra stanza, e si riunirono al resto della compagnia.
Un grande studio , una grand' arte , di gran parole ,
metteva quel signore nel maneggio d' un affare ; ma
produceva poi anche elTetti corrispondenti. Infatti, col
colloquio che abbiam riferito, riusci a far andar fra Cri-
stoforo a piedi da Pescarenico a Rimini, che è una bella
passeggiata.
Una sera, arriva a Pescarenico un cappuccino di Mi-
lano, con un plico per il padre guardiano. C'è dentro
l'obbedienza per fra Cristoforo, di portarsi a Rimini,
dove predicherà la quaresima. La lettera al guardiano
porta l'istruzione d'insinuare al dello frale che deponga
ogni pensiero d'atfari che potesse avere avviali nel paese
da cui deve partire, e che non vi mantenga corrispon-
denze : il frale latore dev'essere il compagno di viaggio.
Il guardiano non dice nulla la sera; la mattina, fa chia-
mar fra Crislufoi'o, gli fa vedere l'obbcd lenza, gli dice che
ÒAfITÒLO XIX. 35.1
vada a prender la sporta, il bastone, il sudario e la
cintura, e con quel padre compagno che gii presenta,
si metta poi subito in viaggio.
Se fu un colpo per il nostro frate, lo lascio pensare
a voi. Renzo, Lucia, Agnese, gli vennero subito in mente;
e esclamò, per dir così, dentro di sé : — Oh Dio ! cosa
faranno que' meschini, quando io non sarò più qui! —
3Ia alzò gli occhi al cielo, e s'accusò d'aver mancato di
fiducia, d'essersi creduto necessario a qualche cosa. Mise
le mani in croce sul petto , in segno d' ubbidienza , e
chinò la testa davanti al padre guardiano: il quale lo
tirò poi in disparte, e gli diede quell'altro avviso, con
parole di consiglio, e con significazione di precetto. Fra
Cristoforo andò alla sua cella, prese la sporta, vi ripose
il breviario, il suo quaresimale, e il pane del perdono,
s'allacciò la tonaca con la sua cintura di pelle, si licen-
ziò da'suoi confratelli che si trovavano in convento, andò
da ultimo a prender la benedizione del guardiano, e col
compagno, prese la strada che gli era stata prescritta.
Abbiamo detto che don Rodrigo, intestalo più che mai
di venire a fine della sua bella impresa, s' era risoluto
di cercare il soccorso d'un terribile uomo. Di costui non
possiam dare nò il nome, nò il cognome, nò un titolo,
e nemmeno una congettura sopra nulla di tutto ciò ;
cosa tanto più strana, che del personaggio troviamo me-
moria in più d'un libro (libri stampati , dico) di quel
tempo. Che il personaggio sia quel medesimo, l'identità
de'fatti non lascia luogo a dubitarne; ma per tutto un
grande studio a scansarne il nome, ([nasi avesse dovuto
bruciar la jìcnna, la mano dello scrittore. Francesco Ri-
vola, nella vita del cardinal Federigo Rorromeo, dovendo
parlar di quelTuomo, lo chiama « un signore altrettanto
potente per ricchezze, quanto nobile per nascila, » e
fermi lì. Gius(;ppe Ripamonti, che, nel ([uinto libro della
quinta decade della sua Storia Patria, ne fa itiù dislesa
menzione, lo nomina uno, costui, colui, (piest'uomo, quel
personaggio. «Riferirò,» dice, nel suo bel laluio , da
vor.. I. 15"
3S4 1 PROMESSI SPOSI
cui traduciamo come ci riesce , « il caso d" un tale clic
essendo de'primi tra i grandi della città, aveva stabilita
la sua dimora in una campagna, situata sul confine; e
li, assicurandosi a forza di delitti, teneva per niente i
giudizi, i giudici, ogni magistratura, la sovranità; me-
nava una vita affatto indipendente; ricettatore di foru-
sciti, foruscito un tempo anche lui ; poi tornato , come
se niente fosse » Da questo scrittore prenderemo
qualche altro passo, che ci venga in taglio per confer-
mare e per dUucidare il racconto del nostro anonimo ;
col quale tiriamo avanti.
Fare ciò ch'era vietalo dalle leggi, o impedito da una
forza qualunque; esser arbitro, padrone negli affari al-
trui, senz'altro interesse che il gusto di comandare; es-
ser temuto da tutti, aver la mano da coloro eh' eran so-
liti averla dagli altri ; tali erano state in ogni tempo le
passioni principali di costui. Fino dall'adolescenza, allo
spettacolo e al rumore di tante prepotenze, di tante gare,
alla vista di tanti tiranni, provava un misto sentimento
di sdegno e d' invidia impaziente. Giovine, e vivendo in
città, non tralasciava occasione, anzi n' andava in cerca,
d'aver che dire co' più famosi di quella professione,
d' attraversarli, per provarsi con loro, e farli stare a do-
vere, 0 tirarli a cercare la sua amicizia. Superiore di
ricchezze e di seguito alla più parte, e forse a tutti d'ar-
dire e di costanza, ne ridusse molti a ritirarsi da ogni
rivalità, molti ne conciò male, molti n'ebbe amici; non
già amici del pari, ma, come soltanto potevan piacere a
lui, amici subordinati, che si riconoscessero suoi infe-
riori, che gli stessero alla sinistra. Nel fatto però, veniva
anche lui a essere il faccendiere, lo strumento di tutti
coloro: essi non mancavano di richiedere ne' loro im-
pegni l'opera d'un tanto ausUiario; per lui, tirarsene
indietro sarebbe stato decadere dalla sua riputazione, man-
care al suo assunto. Di maniera che, per conto suo, e per
conto d' altri, tante ne fece che, non bastando ne il nome,
ne il parentado, né gli amici, ne la sua audacia a so-
CAPITOLO XIX. 355
stoneiio contro i bandi pubblici, e contro tante animo-
sità potenti, dovette dar luogo, e uscir dallo stato. Credo
che a questa circostanza si riferisca un tratto notabile
raccontato dal Ripamonti. « Una volta che costui ebbe a
sgomberare il paese, la segretezza che usò, il rispetto,
la timidezza, furon tali : attraversò la città a cavallo, con
un seguito di cani, a suon di tromba; e passando da-
vanti al palazzo di corte, lasciò alla guardia un'imba-
sciata d' impertinenze per il governatore. »
Neir assenza, non ruppe le pratiche , né tralasciò le
corrispondenze con que'suoi tali amici, i quali rimasero
uniti con lui, per tradurre letteralmente dal Ripamonti,
«in lega occulta di consigli atroci, e di cose funeste.»
Pare anzi che allora contraesse con più alte persone,
certe nuove terribili pratiche, delle quali lo storico sum-
mentovato parla con una brevità misteriosa. » Anche al-
cuni principi esteri,» dice, «si valsero più volte del-
l'opera sua, per qualche importante omicidio, e spesso
gli ebbero a mandar da lontano rinforzi di gente che
servisse sotto i suoi ordini, »
Finalmente (non si sa dopo quanto tempo) o fosse le-
valo il bando, per qualche polente intercessione, o l'au-
dacia di quell'uomo gli tenesse luogo d'immunità, si
risolvette di tornare a casa, e vi tornò difatli; non però
in Milano, ma in un castello confinante col territorio
bergamasco, che allora era, come ognun sa, stato ve-
neto. «Quella casa,» cito ancora il Ripamonti, «era
come un'officina di mandali sanguinosi: servitori, la cui
testa era messa a taglia, e che avc^van per mestiere di
troncar teste: ne cuoco, nò sguattero dispensati dal-
l' omicidio: le mani de' ragazzi insanguinate. » Oltre que-
sta bella famiglia domestica, n'aveva, come all'erma lo
stesso storico, un'altra di sogg(!tti simili, dispersi e pO'
sii come a quartieri! in vari luoghi de' dm; stati sul
lembo de'(iuali viveva, e i)ronti sempre a' suoi ordini.
Tutti i tiranni, per un bel tratto di paese all'intorno,
avevan dovuto, chi in un'occasione e chi in un'altra,
tiriC) 1 PROMESSI SPOSI
scegliere tra l'amicizia e l'inimicizia di quel tiranno
straordinario. Ma ai primi che avevano voluto provar di
resistergli, la gli era andata cosi male, che nessuno si
sentiva più di mettersi a quella prova. E neppur col
hadare a' falli suoi, con lo stare a sé, uno non poteva
rimanere indipendente da lui. Capitava un suo messo a
intimargli che abbandonasse la tale impresa, che cessasse
di molestare il tal debitore, o cose simili: bisognava ri-
spondere sì 0 no. Quando una parte, con un omaggio
vassallesco, era andata a rimettere in lui un affare qua-
lunque, l'altra parte si trovava a quella dura scella, o
di stare alla sua sentenza, o di dichiararsi suo nemico;
il che equivaleva a esser, come si diceva altre volte , ti-
sico in terzo grado. Molti, avendo il torto, ricorrevano a
lui per aver ragione in elTelto; molti anche avendo ra-
gione, per preoccupare un così gran -patrocinio,?, e chiu-
derne l'adito all'avversario: gli uni e gli altri diveni-
vano più specialmente suoi dipendenti. Accadde qualche
volta che un debole oppresso, vessato da un prepolcnte,
si rivolse a lui; e lui prendendo le parti del debole,
forzò il prepotente a finirla , a riparare il mal fatto, a
chiedere scusa; o, se stava duro, gli mosse tal guerra,
da costringerlo a sfrattar dai luoghi che aveva tiran-
neggiati, 0 gli fece anche pagare un più pronto e più
terribile fio. E in quei casi, quel nome tanto temuto e
abborrito era stalo benedetto un momento: perchè, non
dirò quella giustizia, ma quel rimedio, quel compenso
qualunque, non si sarebbe potuto, in que' tempi, aspet-
tarlo da nessun'altra forza né privata, né pubblica. Più
spesso, anzi per l' ordinario, la sua era stata ed era mi-
nistra di voleri iniqui, di soddisfazioni atroci, di capricci
superbi. Ma gli usi così diversi di quella forza produ-
cevan sempre l'effetto medesimo, d'imprimere negli
animi una grand' idea di quanto egli potesse volere e
eseguire in onta dell' equità e dell'iniquità, quelle due
cose che metton tanti ostacoli alla volontà degli uomini,
e li fanno cosi spesso tornare indietro. La fama de" ti-
CAPITOLO XIX. 3S^
ranni ordinari rimaneva per lo più ristrcKa in (|ue] pic-
colo tratto eli paese dov'erano i più ricchi e i più forti;
ogni distretto aveva i suoi; e si rassomigliavan tanto,
che non c'era ragione che la gente s'occupasse di quelli
che non aveva a ridosso. Ma la fama di questo nostro
era già da gran tempo diffusa in ogni parte del mila-
nese: per tutto, la sua vita era un soggetto di racconti
popolari ; e il suo nome significava qualcosa d' irresisti-
bile, di strano, di favoloso. Il sospetto che per lutto s'a-
veva de' suoi collegati e de' suoi sicari, contribuiva an-
ch'esso a tener viva per tutto la memoria di lui. Non
eran più che sospetti; giacché chi avrebbe confessala
apertamente una tale dipendenza? ma ogni tiranno po-
teva essere un suo collegato, ogni malandrino, uno de'
suoi; e l'incertezza slessa rendeva più vasta l' opinione,
e più cupo il terrore della cosa. E ogni volta che in
qualche parte si vedessero comparire figure di bravi sco-
nosciute e più brutte dell'ordinario, a ogni fallo enorme
di cui non si sapesse alla prima indicare o indovinar
r autore, si proferiva, si mormorava il nome di colui che
noi, grazie a quella benedetta, per non dir altro, circo-
spezione de' nostri autori, saremo costretti a chiamare
r innumirialo.
Dal caslellaccio di costui al palazzotto di don Rodrigo,
non c'era più di sette miglia: e quest'ultimo, appena
divenuto padrone e tiranno, aveva dovuto vedere che, a
così poca distanza da un tal personaggio, non era pos-
sibile far (piel mestiere senza venire alle prese, o andar
d'accordo con lui. Gii s'era perciò offerto e gli era di-
venuto amico, al modo di tulli gli altri, s'intende; gli
aveva reso più d'un servizio (il manoscritto non dice di
più); e n'aveva riportato ogni volta piomesse di con-
traccambio e d'aiulo , in (pialunque occasione. Met-
teva però molla cura a nascondere una lalc; amicizia, o
almeno a non lasciare scorgere quanto stretta, e di che
natura fosse. Don Rodrigo voleva bensì fare il tiranno,
ma non tiranno salvalico: la professione era per lui un
358 I PROMESSI SPOSI, CAPITOLO XIX.
mezzo, non uno scopo: voleva dimorar liberamente in
città, godere i comodi, gli spassi, gli onori della vita ci-
vile; e perciò bisognava cbe usasse certi riguardi, tenesse
di conio parenti, coltivasse l'amicizia di persone alte,
avesse una mano sulle bilance della giustizia, per farle
a un bisogno traboccare dalla sua parte, o per farle spa-
rire, 0 per darle anche, in qualche occasione, sulla testa
di qualcheduno che in quel modo si potesse servir più
facilmente che con l' armi della violenza privata. Ora,
r intrinsichezza, diciam meglio, una lega con un uomo
di quella sorte^ con un aperto nemico della forza pub-
blica, non gli avrebbe certamente fatto buon gioco a ciò,
specialmente presso il conte zio. Però quel tanto d'una
tale amicizia che non era possibile di nascondere, poteva
passare per una relazione indispensabile con un uomo la
cui inimicizia era troppo pericolosa ; e così ricevere scusa
dalla necessità; giacché chi ha l'assunto di provvedere,
e non n'ha la volontà, o non ne trova il verso, alla
lunga acconsente che altri provveda da se, fino a un certo
segno, a' casi suoi; e se non acconsente espressamente,
chiude un occhio.
Una mattina, don Rodrigo uscì a cavallo, in treno da
caccia, con una piccola scorta di bravi a piedi; il Griso
alla statTa, e quattro altri in coda; e s'avviò al castello
dell'innominato.
CAPITOLO XX.
Il castello dell'innominato era a cavaliere a una valle
angusta e uggiosa, sulla cima d'un poggio che sporge
in fuori da un'aspra giogaia di monti, ed è, non si sa-
prebbe dir bene, se congiunto ad essa o separatone, da
un mucchio di massi e di dirupi, e da un andirivieni di
tane e di precipizi, che si prolungano anche dalle due
parti. Quella che guarda la valle è la sola praticabile, un
pendìo piuttosto erto, ma uguale e continuato; a prati
in alto; nelle falde a campi, sparsi qua e là di casucce.
Il fondo è un letto di ciottoloni , dove scorre un riga-
gnolo o torrcntaccio, secondo la stagione: allora serviva
di confine ai due stati. I gioghi opposti, che formano, per
dir cosi, l'altra parete della valle, hanno anch'essi un
po' di falda coltivata ; il resto è schegge e macigni, erte
ripide, senza strada e nude, meno qualche cespuglio nei
fessi e sui ciglioni.
Dall'alto del castellaccio, come l'aquila dal suo nitlo iii-
sangninalo, il selvaggio signore dominava all'inlorno tutto
lo si)aziu dove piede (raoino potesse posarsi, e non vedeva
mai nessuno al di sui>ra di sé, né i»iii in ;dlo. Dando
360 I PROMESSI SPOSI
un'occhiata in giro, scorreva tulio quel rcciiilo, i pendii,
il fondo, le strade praticate \h dentro. Quella che, a go-
miti e a giravolte, saliva al terribile domicilio, si spiegava
davanti a chi guardasse di lassù, come un nastro ser-
peggiante; dalle finestre, dalle feritoie, poteva il signore
contare a suo heir agio i passi di chi veniva, e spianar-
gli Tarme contro, cento volte. E anche d'una grossa coni-
pagnia, avrebbe potuto, con quella guarnigione di bravi
che teneva lassù, stenderne sul sentiero, o farne ruzzo-
lare al fondo parecchi, prima che uno arrivas.se a toccar
la cima. Del resto, non che lassù, ma neppure nella valle,
e neppur di passaggio, non ardiva metter piede nessuno
che non fosse ben visto dal padrone del castello. Il bii'ro
poi che vi si fos,se lasciato vedere, sarebbe stato trattalo
come una spia nemica che venga colta in un accampa-
mento. Si raccontavano le storie tragiche degli ultimi che
avevano voluto tentar l'impresa; ma eran già storie an-
tiche; e nessuno de' giovani si rammentava d'aver ve-
duto nella valle uno di quella razza, né vivo, nò morto.
Tale è la descrizione che l'anonimo fa del luogo: del
nome, nulla ; anzi, per non metterci sulla strada di sco-
prirlo, non dice niente del viaggio di don Rodrigo, e lo
porta addirittura nel mezzo della valle appiè del poggio,
all'imboccatura dell'erto e tortuoso sentiero. Lì c'era una
taverna, che si sarebbe anche potuta chiamare un corpo
di guardia. Sur una vecchia insegna che pendeva sopra
r uscio , era dipinto da tutt' e due le parti un sole rag-
giante; ma la voce pubblica, che talvolta ripete i nomi
come le vengono insegnati, talvolta li rifcà a modo suo,
non chiamava quella taverna che col nome della Malanollc.
Al rumore d'una cavalcatura che s'avvicinava, com-
parve sulla soglia un ragazzaccio armato come un Sara-
cino ; e data un'occhiata, entrò ad informare tre sgherri,
che stavan giocando, con certe carte sudicc e piegale in
forma di tegoli. Colui che pareva il capo s'alzò, s'af-
facciò all'uscio, e riconosciuto un amico del suo pa-
drone, lo salutò rispettosamente. Don Rodrigo, resogli
CAPITOLO XX 3G1
con molto garbo il saluto, domandò se il signore si tro-
vasse al castello ; e rispostogli da quel caporalaccio che
credeva di sì, smontò da cavallo, e buttò la briglia al
Tiradritto, uno del suo seguilo. Si levò lo schioppo, e
lo consegnò al Montanarolo , come per isgravarsi d' un
peso inutile, e salir più lesto; ma, in realtà, perchè sapeva
bene, che su queir erta non era permesso d'andar con lo
schioppo. Si cavò poi di tasca alcune berlinghe, e le
diede al Tanabuso, dicendogli: voi altri state ad aspet-
tarmi; e intanto starete un po' allegri con questa brava
gente. * Cavò hnalmente alcuni scudi d'oro e li mise
in mano al caporalaccio ; assegnandone metà a lui , e
metà da dividersi tra i suoi uomini. Finalmente , col
Griso, che aveva anche lui posato lo schioppo, cominciò
a piedi la salita. Intanto i tre bravi sopradetti, e lo Squin-
ternotto ch'era il quarto (oh! vedete che bei nomi, da
serbarceli con tanta cura), rimasero coi tre dell' innomi-
nato, e con quel ragazzo allevato alle forcbe, a giocare,
a trincare, e raccontarsi a vicenda le loro prodezze.
Un altro bravaccio dell' innominato , che saliva , rag-
giunse poco dopo don Rodrigo: lo guardò^ lo riconobbe,
e s'accompagnò con lui; e gli risparmiò così la noia di
dire il suo nome, e di rendere altro conto di sé a quan-
l' altri avrebbe incontrati, che non lo conoscessero. Arri-
vato al castello, e introdotto (lasciando però il Griso alla
poi'la)j fu fatto passare per un andirivieni di corridoi
bui, e per varie sale (appczzate di moschelti, di sciabole
e di partigiane, e in ognuna delle (piali c'era di guardia
ciualcbe bravo; e, dopo avere alquanto aspettalo, fu am-
messo in quella dove si trovava l'innominato.
Questo gli andò incontro, rendendogli il saluto, e in
sieine unardandoali le mani e il viso ^ come faceva per
abiliidinc, <> oi'mai ipiasi involontariamente, a chiun(|ue
venisse da lui, per ({uanlo fosse d(i' più vecclii e provati
amici. Kra grande, bruno, calvo; bianchi i pochi capelli
che gli rimanevano; rugosa la faccia: a prima vista, gii
si sarebbe dato itiù tic' sessaiil' anni cbe aveva: ni.i il
voL. i. le,
362 I PHOMESSI SPOSI
contegno, le mosse, la durezza risentita de' lineamenli, il
I ampeggiar sinistro, ma vivo degli occhi, indicavano una
forza di corpo e d'animo, che sarebbe stata straordinaria
in un giovane.
Don Rodrigo disse che veniva per consiglio e per
aiuto: che, trovandosi in un impegno difficile, dal quale
il suo onore non gli permetteva di ritirarsi, s'era ricor-
dato delle promesse di (luell'uomo che non prometteva
mai troppo, né invano ; e si fece ad esporre il suo scel-
lerato imbroglio. L' innominato che ne sapeva già qual-
cosa, ma in confuso, stette a sentire con attenzioni*, e
come curioso di simili storie, e per essere in questa mi-
schiato un nome a lui noto e odiosissimo, quello di fra
Cristoforo, nemico aperto de tiranni, e in parole e, dove
poteva, in opere. Don Rodrigo, sapendo con chi parlava,
si mise poi a esagerare le difficoltà dell' impresa ; la di-
stanza del luogo, un monastero, la signora !.. . . A que-
sto, r innominato, come se un demonio nascosto nel suo
cuore gliel avesse comandato, interruppe subitamente
dicendo che prendeva l' impresa sopra di sé. Prese l' ap-
punto del nome della nostra povera Lucia, e licenziò
don Rodrigo, dicendo: « tra poco avrete da me l'avviso
di quel che dovrete fare. »
Se il lettore si ricorda di quello sciagurato Egidio che
abitava accanto al monastero dove la povera Lucia stava
ricoverata, sappia ora che costui era uno de' più stretti
ed inlimi colleghi di scelleratezze che avesse l' innomi-
nato : perciò questo aveva lasciata correre così pronta-
mente e risolutamente la sua parola. Ma appena rimase
solo, si trovò^ non dirò pentito, ma indispettito d'averla
data. Già da qualche tempo cominciava a provare, se
non un rimorso, una cert' uggia delle sue scelleratezze.
Quelle tante eh' erano ammontate, se non sulla sua co-
scienza, ahneno nella sua memoria, si risvegliavano ogni
•volta che ne commettesse una di nuovo, e si presenta-
vano all' animo brutte e troppe ; era come il crescere e
crescere d'un peso già incomodo. Una certa ripugnanza
CAPITOLO XX. 363
provata ne' primi delitti, e vinta poi, e scomparsa quasi
atTatto, (ornava ora a farsi sentire. Ma in qiie' primi tempi
r immagine d'un avvenire lungo, indeterminalo, il sen-
timento d' una vitalità vigorosa, riempivano l' animo d'una
fiducia spensierata; ora all'opposto, i pensieri dell'avve-
nire eran quelli che rendevano più noioso il passato. —
Invecchiare! morire! e poi? — E, cosa notahile! l'im-
magine della morte, che, in un pericolo vicino, a fronte
d'un nemico, soleva raddoppiar gli spiriti di quell' uomo,
e infondergli un' ira piena di coraggio, quella stessa im-
magine, apparendogli nel silenzio della notte, nella si-
curezza del suo castello, gli metteva addosso una coster-
nazione repentina. Non era la morte minacciata da un
avversario mortale anche lui; non si poteva rispingerla
con armi migliori, e con un braccio più pronto; veniva
sola, nasceva di d(Mitro; era forse ancor lontana, ma fa-
ceva un passo ogni mouKMito; e, intanto che la mente
combatteva dolorosamente per allontanarne il pensiero ,
quella s' avvicinava. Ne' primi tempi, gli esempi cosi fre-
quenti, lo spettacolo, per dir così, continuo della vio-
lenza, della vendetta, dell'omicidio, inspirandogli un'emu-
lazione feroce, gli avevano anche servilo come d'una specie
d'auloril<à contro la coscienza: ora, gli rinasceva ogni
tanto nell'animo l'idea confusa, ma terribile, d' un giu-
dizio individuaN^ d'una ragione indipendente dall'esem-
pio; ora, l'essere uscito dalla turba volgare de' malvagi,
Tessere innanzi a tutti, gli dava talvolta il sentimento
d' una solitudine Ircnienda. Quel Dio di cui aveva sen-
tito parlare, ma che, da gran tempo, non si curava di
negare nò di riconoscere, occupato sollanlo a vivere cojne
se non ci fosse, ora, in certi momenti d' abbattimento
senza motivo, di teirore senza pericolo, gli pareva sen-
tirlo gridar dentro di so: Io sono però. Nel primo bollor
delle passioni, la legge che aveva, se non altro, sciilita
annuiiziaiv in nome dì I.ni, non gli (M'a parsa che odiosa:
ora, quando gli tornava (rinq)rovviso alla mente, la im^nlc,
suo, malgrado, la concepiva come una cosa che ha il suo
364 1 PROMESSI SPOSI
adempimento. Ma, non che aprirsi con nessuno su questa
sua nuova inquietudine, la copriva anzi profondamente
e la mascherava con F apparenze d'una più cupa ferocia;
e con questo mezzo, cercava anche di nasconderla a se
stesso, 0 di soffogarla. Invidiando (giacche non poteva
annientarli né dimenticarli) que' tempi in cui era solito
commettere l'iniquità senza rimorso, senz' altro pensiero
che della riuscita, faceva ogni sforzo per farli tornare,
per ritenere, o per riafferrare quell'antica volonlà, pronta,
superha, imperlurbala, per convincer se stesso ch'era an-
cor quello.
Cosi in quest'occasione, aveva subito impegnata la sua
parola a don Rodrigo, per chiudersi Y adito a ogni esi-
tazione. Ma appena partito costui, sentendo scemare quella
fermezza che s' era comandata per promettere, sentendo
a poco a poco venirsi innanzi nella mente pensici i che
lo tentavano di mancare a quella parola, e 1' avrebbero
condotto a scomparire in faccia a un amico, a un com-
plice secondario; per troncare a un tratto quel contrasto
penoso, chiamò il Nibbio^ uno de' più destri e arditi
ministri delle sue enormità, e quello di cui era solilo
servirsi per la corrispondenza con Egidio. E, con aria
risoluta, gli comandò che montasse subito a cavallo, an-
dasse diritto a Monza , informasse Egidio dell' impegno
contratto, e richiedesse il suo aiuto per adempirlo.
Il messo ribaldo tornò più presto che il suo padrone
non se l'aspettasse, con la risposta d'Egidio; che l' impresa
era facile e sicura ; gli si mandasse subito una carrozza,
con due o tre bravi ben travisati ; e lui prendeva la cura
di tutto il resto, e guiderebbe la cosa. A quest'annunzio,
l'innominato, comunque stesse di dentro, diede ordine in
fretta al Nibbio slesso, che disponesse tutto secondo aveva
dello Egidio, e andasse con due altri che gli nominò,
alla spedizione.
Se per rendere l'orribile servizio che gli era stato chie-
.sto, Egidio avesse dovuto far conio de' soli suoi mezzi
prdinari, non avrebbe certamente data così subito una
CAPITOLO XX. 365
promessa così decisa. Ma , in queir asilo .slesso dove pa-
reva che lutto dovesse essere ostacolo, l'atroce giovine
aveva un mezzo nolo a lui solo, e ciò che per gii altri
sarehhe stata la maggior difficoltà, era strumento por lui.
Noi abhiamo riferito come la sciagurata signora desse
una volta retta alle sue parole; e il lettore può avere
inteso che quella volta non fu l'ultima, non fu che un
primo passo in una strada d'ahhominaziono e di sangue.
Quella stessa voce, che aveva acquistato forza e. direi
f[uasi, autorità dal delitto, le impose ora il sagrifizio del-
l'innocente che aveva in custodia.
La proposta riuscì spaventosa a Gertrude. Perder
Lucia per un caso impreveduto, senza colpa, le sarehhe
parsa una sventura, una punizione amara: e le veniva
comandato di privarsene con una scellerata perfidia, di
camhiare in un nuovo rimorso un mezzo d'espiazione.
La sventurata tentò tutte le strade per esimersi dall'or-
rihile comando: tutte, fuorché la sola ch'era sicura, e che
le slava pur sempre aperta davanti. Il dehllo è un pa-
drone rigido e inflessiitile, coiUro cui non divien forte
se non chi se ne rihclla interamente. A questo Gertrude
non voleva risolversi; e uhbidi.
Era il giorno stabilito; l'ora convenuta s'avvicinava;
Gertrude ritirala con Lucia nel suo parlatorio privalo,
le faceva più carezze dell' ordinario, e [.ucia le riceveva
e le conlraccamhiava con tenerezza crescente: come la
pecora, tremolando senza timore sotto la mano del pa-
store che la palpa e la strascina mollemenie, si volta a
leccar quella mano; e non sa che fuori della sl.dla. l'a-
spetta il macellaio, a cui il [laslore riuMcndiila un nio-
menlo [irima.
« Ho bisogno d'un gran servizio; e voi sola potete
farmelo. Ho tanla gente a' miei comandi; ma dì cui mi
fidi, nessuno. Per un altare di grand' iin[)orlaii/a . liic \i
dirò poi, ho bisogno di parlar subito subito con (pici
padre guardiano de' cappuccini che v'ha condona (pii da
me, la mia povera Lucia; ina è ancbc necessario che
:i66 1 PROMESSI SPOSI
nessuno sappia che Tlio mandalo a chiamare io. Non
ho che voi per far segretamente quest' imhasciata. »
Lucia fu atterrita d' una tale richiesta; e con ciuella sua
suggezione, ma senza nascondere una gran maravigha,
addusse suhiio, per disinipegnarsene, le ragioni ch(; la
signora doveva intendere, che avi-ehbe dovute prevedere;
senza la madre, senza nessuno, per una strada solitaria,
in un paese sconosciuto .... Ma Gertrude, ammaestrata
a una scola infernale, mostrò tanta maraviglia anche lei,
e tanto dispiacere di trovare una tal ritrosìa nella per-
sona di cui credeva poter far più conto, figurò di tro-
var cosi vane quelle scuse! di giorno chiaro, quattro
passi, una strada che Lucia aveva fatta pochi giorni pri-
ma, e che, quand'anche non l'avesse mai veduta, a inse-
gnargliela, non la poteva sbagliare ! . . . . Tanio disse, che
la poverina, commossa e punta a un tempo, si lasciò
sfuggir di bocca : & e bene ; cosa devo fare ? »
i Andate al convento de' cappuccini: » e le descrisse
la strada di nuovo: « fate chiamare il padre guardiano,
ditegli, da solo a solo, che venga da me suiiito subilo;
ma che non dica a nessuno che son io che lo mando a
chiamare. »
0. Ma cosa dirò alla fatloressa che non m' ha mai vista
uscire, e mi domanderà dove vo ? »
« Cercate di passare senz' esser vista ; e se non vi rie-
sce, ditele che andate alla chiesa tale, dove avete pro-
messo di fare orazione. »
Nuova difficoltà per la povera giovine; dire una bugia;
ma la signora si mostrò di nuovo così afflitta delle ri-
pulse, le fece parer cosi brutta cosa l' anteporre un vano
scrupolo alla riconoscenza, che Lucia, sbalordita i)iìi che
convhita, e sopralulto commossa più che mai, rispose:
« e bene; anderò. Dio m'aiuti! » E si mosse.
Quando Gertrude, che dalla grata la seguiva con l'oc-
chio fisso e torbido, la vide metter piede sulla soglia,
come sopraffatta da un sentimento irresistibile , apri la
bocca, e disse: « sentite, Lucia 1 »
OAIMTGLO XX. ' 367
Questa si voltò, o ionio verso la grata. Ma già un
altro pensiero, un pensiero avvezzo a predominare^ aveva
^inlo di nuovo nella mente sciagurata di Gerlrude. Fa-
cendo le viste di non esser contenta dell' istruzioni già
date, spiegò di nuovo a Lucia la strada che doveva te-
nere , e la licenziò dicendo : « fate ogni cosa come v' ho
detto, e tornale presto. > Lucia partì.
Passò inosservata la porla del chiostro, prese la slrada,
con gli occhi bassij rasente al muro ; trovò, con V indi-
cazioni avute e con le proprie rimembranze, la porta del
borgo, n'uscì, andò tutta raccolta e un po' tremante, per
la strada maestra, arrivò in pochi momenti a (juella che
conduceva al convento ; e la riconobbe. Quella strada
era, ed è lult'ora, adondata, a guisa d'un letto di fiume,
tra due alte rive orlale di macchie, che vi forinan sopra
una spece di volta. Lucia, entrandovi e vedendola afì'atto
solitaria, senlì crescere la paura, e allungava il passo;
ma poco dopo si rincorò alquanto, nel vedere una car-
rozza da viaggio ferma, e accanto a quella, davanti allo
sportello aperto, due viaggiatori, che guardavano in qua
e in là, come incerti della strada. Andando avanti, senti
uno di que' due, che diceva : « ecco una buona giovine
che c'insegnerà la strada. » Infatti, quando tu arrivala
alla carrozza, quel medesimo, con un fare iiiìi gentile
che non fosse l'aspetto, si voltò, e disse: « (juella gio-
vine, ci sapreste insegnar la strada di Monza? »
« Andando di lì, vanno a rovescio, » rispondeva la po-
verina : » Monza è di qua ... » e si voltava, per accennar
col dito; (piando l'allro compagno (era il Nibliio), alTer-
randola (rinìi)rovviso per la vila, l'alzò da (erra. Lucia girò
la testa indietro atterrila, e cacciò un urlo; il malan-
drino la mise per forza nella carrozza : uno che slava a
sedere davanti, la prese e la cacciò; per (luanlo lei si di-
vincolasse e slrid(>ss(\ a sed(!re dirimpetto a se: un altro,
mellcndole un l'azzolctlo alla bocca, le chiuse il grido in
gola. Intanto il Nibbio entrò presto presto anche lui nella
carrozza: lo sportello si chiuse, e la carrozza parti di car-
368 ì PROMESSI SPOSI
riera. L' altro che le aveva fatta quella domaiula tradi-
lora, rimarlo nella strada, diede uii'ocdiiata in qua e in
là, per veder se fosse accorso quakiieduno a,Q:li urli di
Lucia: non c'era nessuno; saltò sur una riva, attaccan-
dosi a un albero della nmcchia ; e disparve. Era costui
uno sgherro d'Egidio; era stato, facendo l'indiano, sulla
porta del suo padrone, per veder quando Lucia usciva
dal monastero; l' aveva osservata bene, por poterla rico-
noscere; ed era corso per una scorciatoia, ad aspettarla
al posto convenuto.
Chi potrà ora descrivere il terrore, l'angoscia di co-
stei, esprimere ciò che passava nel suo animo? Spalan-
cava gli occhi spaventali, per ansietà di conoscere la sua
orribile situazione, e li richiudeva subito, per il ribrezzo
e per il terrore di qne'visacci: si storceva, ma era te-
nuta da tutte le parti : raccoglieva tutte le sue forze, e
dava delle stratte, per buttarsi verso lo sportello; ma
due braccia nerborute la tenevano come conficcata nel
fondo della carrozza; quattro altre manacce ve l'appun-
tellavano. Ogni volta che aprisse la bocca per cacciare
un urlo; il fazzoletto veniva a soffogarglielo in gola.
Intanto tre bocche d'inferno, con la voce più umana
che sapessero formare, andava n ripetendo : « zitta, zitta,
non abbiate paura , non vogliamo farvi male. » Dopo
qualche momento d' una lotta così angosciosa, parve che
s' acquietasse : allentò le braccia , lasciò cader la testa
all' indietro, alzò a stento le palpebre, tenendo 1' occhio
immobile; e quegli orridi visacci che le stavan davanti
le parvero confondersi e ondeggiare insieme in un me-
scuglio mostruoso; le fuggì il colore dal viso; un sudor
freddo glielo coprì; s'abbandonò, e svenne.
« Su^ su, coraggio, » diceva il Nibbio. « Coraggio,
coraggio, » ripetevan gli altri due birboni ; ma lo smar-
rimento d'ogni senso preservava in quel momento Lucia
dal sentire i conforti di quelle orribili voci.
« Diavolo I par morta, » disse uno di coloro: « se
fosse morta davvero? »
CAPITOLO XX. •3(Ì9
« Oh ! morta ! ' disse 1' altro : « è uno di quegli sve-
nimenti die vengono nlle donne. Io so che. quando ho
voluto mandare all' altro mondo qualcheduno, uomo o
donna che fosse, c'è voluto altro. »
« Via! » disse il Nibhio : « attenti al vostro dovere, -
e non andate a cercar altro. Tiraie fuori dalla cassetta
i tromboni, e teneteli pronti; che in questo bosco dove
s'entra ora, c'è sempre de' birboni annidali. Non cosi
in mano , diavolo ! riponeteli dietro le spalle, U stesi :
non vedete che costei è un pulcin bagnato che basisce
per nulla? Se vede armi è capace di morir davvero. E
quando sarà rinvenuta, badate bene di non farle paura :
non la toccate se non vi fo segno ; a tenerla basto io. E
zitti; lasciate parlare a me. »
Intanto la carrozza , andando sempre di corsa, s' era
inoltrata nel bosco.
Dojio qualche tempo la povera Lucia cominciò a ri-
sentii'si fonie da un sonno profondo e affannoso, e apri
gli occhi. Penò alquaiìto a distinguere gli spaventosi
oggetti che la circondavano, a raccogliere i suoi pensieri :
alfine comprese di nuovo la sua terribile situazione. Il
primo uso ch(; fece delle poche forze ritornatele, fu di
buttarsi ancora verso lo sportello, per slanciarsi fuori;
ma fu ritenuta e non potò che vedere un momento la
solitudine selvaggia del luogo per cui passava. Cacciò
di nuovo un urlo ; ma il Niblno , alzando la manaccia
col fazzoletto, « via, » le disse, più dolcemente che
potè: « state zitta, che; sarà meglio per voi: non vo-
gliamo farvi male; ma se non istale zitta, vi faremo
star noi. »
« Lasciatemi andare! Chi siete voi? Dove mi condu-
cete? Perchè m'avete jiresa? Lasciatemi andare, lascia-
temi andare ! »
« Vi dico che non abbiale paura; non si('l(> mia bam-
bina, e dovete capire clu^ noi non vogliamo far\i nude.
Non vedete che avremmo potuto ammazzarvi cento volte,
se avessimo cattive intenzioni? Dunque stale (piieta. »
370 1 PROMESSI SPOSI
« No, no, lasciatemi andare ikt la mia slradii: io non
vi conosco. »
« Vi conosciamo noi. »
« Oli sanlissima Vergine ! come mi conoscete ? La-
s(;ialemi andare, per carità. Chi siete voi ? Perchè m' a-
vete presa? »
« Perchè e' è slato comandalo. »
« Chi? chi? chi ve lo può aver comandalo ? »
« Zitta! » disse con un visaccio severo il Nibbio:
« a noi non si fa di codeste domande. »
Lucia tentò un' altra volta di buttarsi d' improvviso
allo sportello ; ma vedendo eh' era inutile, ricorse di
nuovo alle preghiere; e con la testa bassa, con le gole
irrigate di lagrime , con la voce interrotta dal pianto ,
con le mani giunte dinanzi alle labbra, « oh ! » diceva :
« per r amor di Dio, e della Vergi na santissima, lascia-
temi andare ! Cosa v' ho fatto di male io ? Sono una
povera creatura che non v' ha fatto niente. Quello che
m' avete fatto voi ve lo perdono di cuore ; e pregherò
Dio per voi. Se avete anche voi una figlia, una moglie,
una madre, pensate quello che patirebbero, se fossero
in questo stato. Ricordatevi che dobbiamo morir tulli, e
che un giorno desidererete che Dio vi usi misericordia.
Lasciatemi andare, lasciatemi qui: il Signore mi farà
trovar la mia strada. »
« Non possiamo. t>
« Non potete? Oh Signore! perchè non potete-? Dove
volete condurmi? Perchè...?»
" Non possiamo : è inutile : non abbiate paura , che
non vogliamo farvi male: state quieta, e nessuno vi toc-
cherà. »
Accorata, atlannata, atterrita sempre più n^'l vedere
che le sue parole non facevano nessun colpo. Lucia si
rivolse a Colui che tiene in mano il cuore degli uomini,
e può quando voglia, intenerire i pm duri. Si strinse
il più che potè, nel canto della carrozza, mise le bi-accia
in croce sul petto, e pregò qualche tempo con la mente;
CAPITOLO XX. 371
poi, tirata fuoi'i la corona , cominciò a dire il rosario
con più fede e con più affetto clic non avesse ancor
fatto in vita sua. Ogni tanto, sperando d'avere impetrata
la misericordia die implorava, si voltava a ripregar co-
loro; ma sempre inutilmente. Poi ricadeva ancora senza
sentimenti, poi si riaveva di nuovo, per rivivere a nuove
angosce. Ma ormai non ci regge il cuore a descriverle
più a lungo: una pietà troppo dolorosa ci alTretla al
termine di (pud viaggio, che durò più di qualtr'ore; e
dopo il quale avremo altre ore angosciose da passaic.
Trasportiamoci al castello dove l'infelice era aspellata.
Era aspettata dall'innominato, con un'inquietudine,
con una sospension d'animo insolita. Cosa strana ! (juel-
l'uomo, che aveva disposto a sangue freddo di tante,
vite, che in tanti suoi fatti non aveva conlato pei" nulla
i ilolori da lui cagionati, se non qualche volta per as-
saporare in essi una selvaggia voluttà di vendetta, ora,
nel metter le mani addosso a questa sconosciuta, a (pie-
sta povera contadina, sentiva come un rihrez/.o, direi
quasi un terroi'e. Da un'alta finestra del suo caslellac-
cio, guardava da qualche tempo verso uno shocco dcll.i
valle; ed ecco spuntar la carrozza, e venire innanzi len-
tamente; perchè quel primo andar di carriera aveva
consumata la foga, e domate le forze de' cavalli. E hen-
chè , dal punto dove stava a guardare, la non paresse
che una di quelle carrozzine che si danno per balocco
ai fanciulli, la riconohhe subito, e si senti il cuore batter
più forte.
— Ci sai'à? — pensò sid)ito : e continuava tra sé:
— che noia nn dà costei ! LiberiamoC(Mie. —
E voleva (Chiamare uno de' suoi sgherri, e s|iedirlo su-
bito incontro alla carrozza, a ordinai'e al Nibbio che
voltasse, e conducessi" colei al pala/./.o di doii Uodrigo.
Ma un ìio inqu'rioso che l'isonò nella sua mente, fece
svanii'e (piel disegno. Toi'mentalo jXM'ò dal bisogno di
dar fjualche ordine, riuscendogli intollerabile lu stare
aspettando oziosanientt! quella carrozza che veniva avanti
372 I PROMESSI SfOSl
passo passo, come un tradimento, che so io ? come nn
gasligo, fece chiamare una sua vecchia donna.
Era costei naia in quello slesso castello, da un aiitiiO
custode di esso^ e aveva passala li tutta la sua vita. Ciò
che aveva veduto e sentilo fin dalle fasce, le aveva im-
presso nella mente un concetto magnifico e terrihilc del
potere de' suoi padroni; e la massima principale che aveva
attinta dalT istruzioni e dagli esempi, era che Insognava
uhliidirli in ogni cosa, perchè potevano far del gran male
e d(^l gran bene. L'idea del dovere, deposta come un
germe nel cuore di tutti gli uomini, svolgendosi nel suo,
insieme co' sentimenti d'un rispetto, d' un terrore, d'una
cupidigia servile, s'era associata e adattata a quelli. Quando
l'innominato, divenuto padrone, cominciò a far quell'uso
spaventevole della sua forza, costei ne provò da princi-
pio un certo ribrezzo insieme, e un sentimento più pro-
fondo di sommissione. Col tempo, s' era avvezzata a ciò
che aveva tutto il giorno davanti agli occhi e negli orec-
chi: la volontà polente e sfrenata d'un così gran signore,
era per lei come una specie di giustizia fatale. Ragazza
già fatta, aveva sposato un servitor di casa, il quale, poco
dopo, essendo andato a una spedizione rischiosa, lasciò
l'ossa sur una strada, e lei vedova nel castello. La ven-
detta che il signore ne fece subito, le diede una conso-
lazione feroce, e le accrehbe l'orgoglio di trovarsi sollo
una tal protezione. D'allora in poi, non mise piede fuor
del castello, che molto di rado, e a poco a poco non le
rimase del vivere umano quasi altre idee salvo quelle
che ne riceveva in quel luogo. Non era addetta ad alcun
servizio perticolare, ma, in quella masnada di sgherri,
ora l'uno ora l'altro, le davan da fare ogni poco; ch'era
il suo rodimento. Oi'a aveva cenci da rattoppare, ora da
preparare in fretta da mangiare a chi tornasse da una
spedizione, ora feriti da medicare. I comandi poi di co-
loro, i rimproveri, i ringraziamenti, eran conditi di heffe
e d'improperi: vecchia, era il suo appellativo usuale;
gli aggiunti, che qualcheduno sempre ci se n'attaccava.
CAPITOLO XX. 373
variavano secondo le circoslaiize e rumore dell'amico.
E colei, disturbata nella pigrizia, e provocata nella stizza,
ch'erano due delle sue passioni predominanti, contrac-
cambiava alle volte que' complimenti con parole, in cui
Satana avrebbe riconosciuto più del suo ingegno, che in
(pielle de' provocatori.
€ Tu vedi laggiù quella carrozza! » le disse il signore.
« La vedo, » rispose la vecchia, cacciando avanti il
mento appuntato, e aguzzando gli occhi infossali come
se cercasse di spingerli su gli orli dell' occhiaie.
« Fa allestir subito una bussola, entraci, e fatti por-
tare alla Malanotte. Subito subilo; che tu ci arrivi prima
di quella carrozza: già la viene avanti col passo della
morte. In quella carrozza c'è ci dev'essere una
giovine. Se c'è, di al Nibbio, in mio nome, che la uielta
nella bussola, e lui venga su subito da me. Tu starai
nella bussola, con ([uclla . . . . giovine; e quando sarete
([uassù, la condurrai nella tua camera. Se li domanda
dove la meni, di chi è il castello, guarda di non »
« Oh! » disse la vecchia.
« Ma, » continuò l'innominato, « falle coraggio. » •
« Cosa le devo dire? ».
« Cosa le devi din;? Falle coraggio, ti dico. Tu sei
venuta a codesta età, senza sapere come si fa coraggio
a una creatura, quando si vuole! Hai tu mai sentito af-
fanno di cuore? Hai tu mai avuto paura? Non sai le
parole che fanno piacen; in (pu;' momenti? Dille di (pielle
parole: trovale, alla malora. Va. »
E pallila che In, si fermò abpianto alla iìneslra, con
gli occhi lìssi a ciucila carrozza, che già appariva piii
grande di mollo, poi gli alzò al sole, che in quel mo-
mento si nascondeva dietro la montagna; poi guardò le
nuvole sparse al di sopra, che di brune si fecero, (piasi
a un tratto, di fuoco. Si ritirò, chiuse la tìneslra. e si
mise a camminan! innanzi e indieiro per la sl;iii/.;i. ((Ui
un passo di viaggiatore lìvlloldso.
CAPITOLO XXI.
La veccliici ora corsa a ubbidire e a comaii{lan3, con
I' auloritcà di quel nome che, da cfiinnque fosse pronun-
ziato in quel luogo, li faceva spicciar lutti; perchè a nes-
suno veniva in testa che ci fosse uno tanto ardito da
servirsene falsamente. Si trovò infatti alla Malanotte un
po' prima che la carrozza ci arrivasse: e vistala venire,
uscì di bussola, fece segno al cocchiere che fermasse, s'av-
vicinò allo sportello ; e al Nibbio, che mise il capo fuori,
riferì sottovoce gli ordini del padrone.
Lucia, al fermarsi della carrozza, si scosse, e rinvenne
da una specie di letargo. Si senti da capo rimescolare il
sangue, spalancò la bocca e gli occhi, e guardò. Il Nib-
bio s'era tiralo iìidieiro; e la vecchia, col mento sullo
sportello, guardando Lucia, diceva: « venite, la mia gio-
vine; venite, poverina; venite con me, che ho ordine di
trattarvi bene e di farvi coraggio. »
Al suono d'una voce di donna, la povei'ina provò un
conforto, un coraggio momentaneo ; ma ricadde subito
in uno spavento più cupo. «Chi siete? » disse con voce
tremante, fissando lo sguardo attonito in viso alla vecchia.
I PROMESSI SPOSI, CAPITOLO XXI. 375
« Venite, venite, poverina, » andava questa ripetendo-
li Nibbio e gii altri due, argomentando dalle parole e
dalla voce cosi straordinariamente raddolcita di colei ,
quali fossero T intenzioni del signore, cercavano di per-
suadere con le buone l'oppressa a ubbidire. Ma lei se-
guitava a guardar fuori ; e benché il luogo selvaggio e
sconosciuto, e la sicurezza de' suoi guardiani non le la-
sciassero concepire speranza di soccorso, apriva non ostante
la bocca per gridare; ma vedendo il Nibbio far gli oc-
cbiacci del fazzoletto, ritenne il grido, tremò, si storse,
fu presa e messa nella bussola. Dopo c'entrò la vecchia;
il Nibbio disse ai due altri manigoldi che andassero die-
tro, e prese speditamente la salita, per accorrere ai co-
mandi del padrone.
« Chi siete? » domandava con ansietà Lucia al ceffo
sconosciuto e deforme: « perchè son con voi? dove sono?
dove mi conducete? »
« Da chi vuol farvi del bene, » rispondeva la vecchia,
« da un gran Fortunati quelli a cui vuol far (l{>l bene!
Buon per voi , buon per voi. Non abbiale paura , state
allegra, che m'ha comandato di farvi coraggio. Glielo di-
rete, eh"? che v'ho fatto coraggio? »
« Chi è? perchè? che vuol da me? Io non son sua.
Ditemi dove sono; lasciatemi andare ; dite a costoro che
mi lascino andare, che mi portino in (pialche chiesa. Oh!
voi che siete una donna, in nome di Maria Vergine...! j
Quel nome santo e soave, già ripetuto con venerazione
nei primi anni, e poi non più invocato per tanto tempo,
nò forse sentito protTerire, faceva nella mente della scia-
gurata che lo sentiva in (iuel momento, un'impressione
confusa, strana, lenta, come la rimembranza della Ince.
in un vecchione accecalo da bambino.
Intanto l' innominalo, ritto sulla porla del (•asicllo, guar-
dava in giù; e vedeva la bussola venir [)asso passo, conu'
prima la («m'ozza, e avanti, a una distanza elio cresceva
ogni momento, salir di corsa il Nibbio. Quando (pnrsto
fu in cima, il signore gli accennò che lo seguisse; e andò
con lui in una stanza del castello.
;}7G I PROMESSI SPOSI
« El)bcne? » disse, fermandosi li.
« Tulio a un punlino, » rispose, incliiiiandusi, il Nib-
bio: « l'avviso a lempo, la donna a tempo, nessuno sul
luofio, un urlo solo, nessuno comparso, il cocchiere pronto,
i cavalli bravi, nessun incontro: ma ... . »
« Ma che? »
« Ma dico il vero, che avrei avuto più piacere che
r ordine fosse stalo di darle una schioppellata nella schie-
na, senza sentirla parlare, senza vederla in viso. »
« Cosa? cosa? che vuoi tu dire? j
« Vogjiio dire che tutto quel lempo, tutto quel tempo....
M' ha fatto troppa compassione. »
« Compassione! Che sai tu di compassione? Cos'è la
compassione ? »
« Non r ho mai capito così bene come questa volia :
è una storia la compassione un poco come la paura : se
uno la lascia prender possesso, non è più uomo. »
« Sentiamo un poco come ha fatto costei per moverli
a compassione. »
« 0 signore illustrissimo ! tanto tempo ! piangere,
pregare, e far ceri' occhi, e diventar bianca bianca come
morta, e poi singhiozzare, e pregar di nuovo, e certe
parole »
— Non la voglio in casa costei , — pensava intanto
r innominato. ■ — Sono stato una bestia a impegnarmi;
ma ho promesso, ho promesso. Quando sarà lontana
— E alzando la lesta, in alto di comando, verso il Nib-
bio, « ora, » gli disse, metti da parte la compassione:
monta a cavallo, prendi un compagno, due se vuoi ; e
va di corsa a casa di quel don Rodrigo che tu sai. Digli
che mandi.... ma subito subito, perchè altrimenti »
Ma un altro no interno più imperioso del primo gli
proibì di finire. « No, » disse con voce risoluta, quasi
per esprimere a sé slesso il comando di quella voce se-
greta, « no: va a riposarli; e domattina — farai quello
che li dirò ! »
— Un qualche demonio ha costei dalla sua, — pen-
CAPITOLO XXI. 377
sava poi, rimasto solo, ri Ilo con le braccia incrociate sul
petto, e con lo sguardo immobile sur una parte del pa-
vimento, dove il raggio della luna, entrando da una
finestra alta, disegnava un quadrato di luce pallida, ta-
gliata a scaccili dalle grosse inferriate, e intagliata più
minutamente dai piccoli compartimenti delle vetriale. —
Un qualcbe demonio, o un qualcbe angelo die la
protegge.... Compassione al Nibbio! Domattina, do-
mattina di buon'ora, fuor di qui costei; al suo destino,
e non se ne parli pii^i, e, — ■ proseguiva tra se, con quel-
r animo con cui si comanda a un ragazzo indocile, sa-
pendo che non ul)bidirà, e non ci si pensi più. Quell'a-
nimale di don Rodrigo non mi venga a romper la lesta
con ringraziamenti: che — non voglio più sentir parlar
di costei. L' ho servito perchè perchè ho promesso :
e ho promesso perchè è il mio destino. Ma voglio che
me lo paghi bene questo servizio , colui. Vediamo un
poco —
E voleva almanaccare cosa avrebbe potuto richiedergli
di scabroso, per compenso, e ([uasi per pena : ma gli si
attraversaron di nuovo alla mente quelle parole: com-
passione al Nibbio ! — Come può aver fatto costei ? —
continunva, strascinato da quel pensiero. — Voglio ve-
derla .... Eh ! no Sì, voglio vederla.
E d'una stanza in un'altra, trovò una scaletta, e su a
tastone, andò alla camera della vecchia, e picchiò all'uscio
con un calcio.
. Chi è? .
« Apri. »
A (piella voce, la vecchia fece tre salti ; e subito si
.senti scorrere il paletto negli anelli, e l' uscio si spalancò,
L'innominato, dalla soglia, diede un'occhiata in giro; e,
al lume d'una lucerna clic ardeva sur un tavolino, vide
Lucia rannicchiala in terra , nel canto il più lontano
dall' uscio.
« Chi r ha detto che tu la bultiissi l;i come un sacco
VOI.. I. \6'
378 l PROMESSI SPOSI
(li cenci, sciagurata? » disse alla vecchia, con un ciplirlio
iracondo.
« S' è messa dove le è piaciuto, » rispose umilmente
colei: « io ho fatto di tutto per farle coraggio: lo può
dire anche lei ; ma non e' è stato verso. »
« Alzatevi, » disse l'innominato a Lucia, andandole
vicino. Ma Lucia, a cui il picchiare, T aprire, il comparir
di queir uomo , le sue parole, avevan messo un nuovo
spavento nell' animo spaventato, stava più che mai rag-
gomitolata nel cantuccio, col viso nascosto tra le mani,
0 non movendosi, se non che tremava tutta.
1 Alzatevi, che non voglio farvi del male e posso
farvi del bene, ■» ripetè il signore « Alzatevi ! »
tonò poi quella voce, sdegnata d'aver due volte coman-
dato invano.
Come rinvigorita dallo spavento, 1" infelicissima si rizzò
subito inginocchioni; e giungendo le mani, come avrebbe
fatto davanti a un'immagine, alzò gli occhi in viso al-
l'innominato, e riabbassandoli subito, disse: « son qui:
m'ammazzi. »
e V ho detto che non voglio farvi del male. » rispose,
con voce mitigata, l' innominato, llssaiulo quel viso tur-
bato dall'accoramento e dal terrore.
« Coraggio, coraggio, » diceva la vecchia : se ve lo
dice lui, che non vuol farvi del male »
« E perchè, » riprese Lucia con una voce, in cui, col
tremito della paura, si sentiva una certa sicurezza del-
l'indegnazione disperata, « perchè mi fa patire le pene
dell'inferno? Cosa le ho fatto io?.... »
« V'hanno forse maltrattala? Parlate. »
(i Oh maltrattala! M'hanno presa a tradimento, per
forza! perchè? perchè m'hanno presa? perchè son qui?
dove sono? Sono una povera creatura: cosa le ho fatto?
In nome di Dio »
« Dio, Dio, » hderruppe l'innominato: ^ sempre Dio:
coloro che non possono difendersi da sé, che non hanno
la forza, sempre bau questo Dio da mettere in campo,
CAPITOLO XXI. 37iì
come se gli avessero parlato. Cosa pretendete con code-
sta vostra parola? di farmi ....?» e lasciò la frase a
mezzo.
« Oli Signore! pretenderei Cosa posso pretendere io
meschina, se non che lei mi usi misericordia? Dio per-
dona tante cose, per un' opera di miso'icordia ! Mi lasci
andare; per carità mi lasci andare! Non torna conto a
uno che un giorno deve morire di far patir tanto una
povera creatura. Oh ! lei che può comandare , dica che
mi lascino andare! M'hanno portata qui per forza. Mi
mandi con questa donna a " ' ', dov' è mia madre. Oh
Vergine santissima! mia madre! mia madre, per carità,
mia madre! Forse non è lontana di qui — ho veduto i
miei monti! Perchè lei mi fa patire? Mi faccia condurre
in una chiesa. Pregherò per lei, tutta la mia vita. Cosa
le costa dire una parola? Oh ecco! vedo che si move a
compassione: dica una parola, la dica. Dio perdona tante
cose, per un'opera di misericordia! d
— Oh perchè non è figlia d'uno di quei cani che
m'hanno bandito! — pensava l'innominato: — d'uno
di quei vili che mi vorrebbero morto ! che ora godrei di
questo suo strillare: e invece —
« Non iscacci una buona ispirazione ! » proseguiva
fervidamente Lu('ia, rianimala dal vedere una cert'aria
d' esitazione nel viso e nel conlegno del suo tiranno. « Se
lei non mi fa questa carità, me la farà il Signore: mi
farà morire e per me sarà finita; ma lei! Forse un
giorno anche lei.... Ma no, no; pregluM'ò sempre io il
Signore che la preservi da ogni male. Cosa le cosla dire
una parola? S(5 provasse lei a patir (jnesle pene....! »
« Via, fatevi coraggio, » interruppe l'innominato, con
una dolcezza che fece trasecolar la vercliia. «V'ho fallo
nessun male? V'ho minacciala? »
» Oh no! » Vedo clu^ lei ha buon cuore, e che sente
pietà di (piesta povera creatura. Se lei V(»lesse. potrebbe
l'armi paura più di tulli gli altri, poirebbe fai'mi morire;
e in vece mi ha — un po' allargalo il cuore. Dio gliene
380 I PROMESSI SPOSI
renderà merilo. Compisca l'opera di misericordia: mi
liberi, mi liberi. »
« Domallina »
« Oli mi liberi ora, subilo »
f Domattina ci rivedremo, vi dico. Via, intanto fatevi
coraggio. Riposate. Dovete aver bisogno di mangiare.
Ora ve ne porteranno. »
« No, no, io moio se alcuno entra qui: io moio. Mi
conduca lei in chiesa — que' passi Dio glieli conterà. »
« Verrà una donna a portarvi da mangiare, » disse
l'innominato; e dettolo, rimase stupito anche lui che
gli fosse venuto in mente un tal ripiego, e che gli fosse
nato il bisogno di cercarne uno, per assicurare una don-
nicciola.
« E tu » riprese poi subito, voltandosi alla vecchia,
« falle coraggio che mangi; mettila a dormire in questo
letto: e se ti vuole in compagnia, bene; altrimenti, tu
puoi ben dormire una notte in terra. Falle coraggio, li
dico ; tienla allegra. E che non abbia a lamentarsi di te! »
Così detto, si mosse rapidamente verso l'uscio. Lucia
s'alzò e corse per trattenerlo, e rinnovare la sua pre-
ghiera ; ma era sparito.
« Oh povera me! Chiudete, chiudete subito. » E sen-
tito ch'ebbe accostare i battenti e scorrere il paletto,
tornò a rannicchiarsi nel suo cantuccio. « Oh povera
me! » esclamò di nuovo singhiozzando: « chi pregherà
ora? Dove sono? Ditemi voi, ditemi per carità, chi è
quel signore quello che m'ha parlato? »
« Chi è, eh ? chi è? Volete eh' io ve Io dica. Aspetta
ch'io le lo dica. Perchè vi protegge, avete messo su
superbia; e volete essere soddisfalla voi, e farne andar
di mezzo me. Domandatene a lui. S'io vi contentassi an-
che in questo, non mi toccherebbe di quelle buone pa-
role che avete sentile voi. » — Io son vecchia, son vecchia,
— continuò mormorando tra i denti. — Maledette le
giovani; che fan bel vedere a piangere e a ridere, e hanno
sempre ragione. — Ma sentendo Lucia singhiozzare, e
CAPITOLO XXI. 381
tornandole minaccioso alla mente il comando del padrone,
si chinò verso la povera rincantucciata, e, con voce rad-
dolcita, riprese: « via, non v'ho detto niente di male:
state allegra. Non mi domandate di quelle cose che non
vi posso dire : e del resto state di huon animo. Oh se
sapeste quanta gente sarebbe contenta di sentirlo parlare
come ha parlato a voi! State allegra, che or ora verrà
da mangiare; e io che capisco.... nella maniera che
v' ha parlato, ci sarà della roba buona. E poi anderete a
letto, e mi lascerete un cantuccino anche a me,
spero, » soggiunse, con una voce, suo malgrado, stizzosa.
« Non voglio mangiare, non voglio dormire. Lascialemi
stare, non v'accostate; non parlile di qui! »
« No, no, via, » disse la vecchia, ritirandosi e mellen-
dosi a sedere sur una seggiolaccia, donde dava alla po-
verina certe occhiate di terrore e d' astio insieme ; e poi
guardava il suo covo, rodendosi d' esserne forse esclusa
per tutta la notte, e bronlolando contro il freddo. Ma si
rallegrava col pensiero della cena, e con la speranza clu;
ce ne sarebbe anche per lei. Lucia non s'avvedeva del
freddo, non sentiva la fame, e come sbalordita, non aveva
de' suoi dolori, de' suoi terrori slessi, che un sentimento,
confuso, simile all'immagini sognale da un lebbricilanle.
Si riscosse quando senti picchiare; e, alzandola fac-
cia atterrila, gridò: «■ chi è? chi è7Non v(Miga nessuno?»
« Nulla, nulla; buone nuove, » disse la vecchia: « ò
Marta che porta da mangiare. »
« Chiudelc, chiudete, » gridava Lucia.
« Ih! subito, subitu, » rispondeva la vecchia; e presa
una paniei'a dalk; mani di (piella Marta, la mandò via,
richiuse, e venne a posar la paniera sur una tavola nel
mezzo della camera. Invitò poi piii volte Lucia che ve-
nisse a goder di (luella buona l'oha. Adopiava le parole
jiiii efficaci, secondo lei, a mettere appetito alla poverina,
prorompeva in esclamazioni sulla sipiisitezza de' cibi:
« di (juc' bocconi che, quando le persone come noi pos-
sono arrivare a assaggiarne, se ne riconlan per un
382 I PROMESSI SPOSI
pezzo! Del vino che l)eve il padrone co'.suoi amici
quando capita qualcheduno di quelli — ! e vogliono stare
allegri! Ehm! » Ma vedendo che tutti gl'incanti riusci-
vano inutili, « siete voi che non volete, » disse. « Non
islale poi a dirgli domani ch'io non v' fatto coraggio.
Mangerò io; e ne resterà più che abhastanza per voi.
per quando metterete giudizio, e vorrete uhbidire. » Cosi
detto, si mise a mangiare avidamente. Saziata che fu,
s'alzò, andò verso il cantuccio, e, chinandosi sopra Lu-
cia, l'invitò di nuovo a mangiare, per andar poi a letto.
« No, no, non voglio nulla, » rispose questa, con voce
fiacca e come .sonnolenta. Poi , con più risolutezza, ri-
prese : « è serrato 1' uscio ? è serrato hene ? » E dopo
aver guardato in giro per la camera, s' alzò , e con le
mani avanti, con passo sospettoso, andava verso quella
parte.
« La vecchia ci corse prima di lei, stese la mano al
paletto, lo scosse e disse: « sentite? vedete? è .serrato
bene? siete contenta ora? »
« Oh contenta ! conlenta io qui! » disse Lucia, rimet-
len losi di nuovo nel suo cantuccio.» Ma il Signore lo
sa che ci sono ! »
« Venite a letto: cosa volete far li, accucciata come
un cane? S'è mai visto rifiutare i comodi, quando si
possono avere? »
« No, no ; lasciatemi stare. »
« Siete voi che lo volete. Ecco, io vi lascio il posto
buono; mi metto sulla sponda; starò incomoda per voi.
Se volete venire a letto, sapete come avete a fare. Ri-
cordatevi che v'ho pregata più volte. » Così dicendo, si
cacciò sotto vestita; e tutto tacque.
Lucia stava immobile in quel cantuccio, tutta in un
gomitolo, con le ginocchia alzate, con le mani appog-
giate sulle ginocchia , e col viso nascosto nelle mani.
Non era il suo, nò sonno né veglia^ ma una rapida suc-
cessione, una torbida vicenda di pensieri, d'immagina-
zioni, di spaventi. Ora, più presen'c a se stessa, e ram-
CAPITOLO XXI. 383
montandosi più distinlamciite gli orrori vctluli o sofferti
in quella liiornala, s' applicava dolorosamente alle circo-
stanze dell' oscura e formidaliile realtà in cui si trovava
avviluppata; ora la mente, trasportala in una regione an-
cor più oscura, si dibatteva contro i fantasmi nati dal-
l'incertezza e dal terrore. Stette un pezzo in quest'an-
goscia; alfine, più che mai stanca e abliattuta, stese le
membra intormentite, si sdraiò, o cadde sdraiata, e ri-
mase alquanto in uno stato più somigliante a un sonno
vero. Ma lult'a un tratto si risentì, come a una cbia-
raata irderna , e provò il bisogno di risentirsi intera-
mente, di riaver tutto il suo pensiero, di conoscere dove
fosse, come, percliè. Tese l'orecchio a un snono; era il
russare lento, arrantolato della vecchia; spalancò gli occhi,
e vide un chiarore fioco apparire e sparire a vicenda: era
il lucignolo della lucerna, che, vicino a spegnersi, scoccava
una luce tremola, e subito la ritirava, per dir cosi, in-
dietro, come è il venire e l'andare dell'onda sulla riva:
e quella luce, fuggendo dagli oggetti, prima che pren-
dessero da essa rilievo e colore distinto, non rappresen-
tava allo sguardo che una successione di guazzabugli.
Ma ben presto le recenti impressioni, ricomparendo nella
mente, l' aiutarono a distinguere ciò che appariva con-
fuso al senso. L'infelice risvegliata riconobbe la sua pri-
gione: tutte le memorie dell' orribil giornata trascorsa,
tutti i terrori dell'avvenire, l'assalirono in una volta:
quella nuova (luiele stessa dopo tante agitazioni, quella
specie di riposo, quell'abbandono in cui era lasciala, le
facevano un nuovo terrore; e fu vinta da un tale af-
fanno, che desiderò di morire. Ma in (jucl momento,
si rammentò che poteva almen pregare, e insieme con
quel pensiero, le spuntò in cuore come un improvvisa
speranza. Prese di nuovo la sua corona, e ricominciò a
dire il rosario; e, di mano in mano che la preghiera
usciva dal suo labbro tremarne, il ciKire seidiva crescere
una fiducia indeterminata. Tutt' a un trailo, le passò per
la mente un altro pensiero: clic la sua orazione .sarebbe
384 I PROMESSI SPOSI
siala più accolta e più certamente esaudita fjuando, nella
sua desolazione, facesse anclic qualche offerta. Si ricordò
di quello che aveva di più caro, o che di più caro aveva
avuto; giacché, in quel momento, l'animo suo non po-
teva sentire altra affezione che di spavento, né conce-
pire altro desiderio che della liberazione; se ne ricordo,
e risolvette subilo di farne un sacrifizio. S' alzò, e si
mise in ginocchio, e tenendo giunte al petto le mani,
dalle quali pendeva la corona, alzò il viso e le pupille
al cielo, e disse : « o Vergine santissima I Voi, a cui mi
sono raccomandata tante volle, e che tante volle m'avete
consolala! Voi che avete palilo. tanti dolori, e siete ora
tanto gloriosa, e avete falli tanti miracoli per i poveri
tribolali ; aiutatemi ! falerni uscire da questo pericolo .
fatemi tornar salva con mia madre, Madre del Signore:
e fo volo a voi di rimaner vergine; rinunzio per sem-
pre a quel mio poveretto, per non esser mai d' altri clie
vostra. »
Proferite queste parole, abbassò la lesta, e si mise la
corona intorno al collo, quasi come un segno di consa-
crazione, e una salvaguardia a un tempo, come un'arma-
tura della nuova milizia acuì s'era ascritta. Rimessasi
a sedere in terra, sentì entrar nell' animo una certa tran-
quillità, una più larga fiducia. Le venne in mente quel
domaUina ripetuto dallo sconosciuto poiente, e le parve
di sentire in quella parola una promessa di salvazione.
I sensi, affaticali da tanta guerra s' assopirono a poco a
poco in queir acquietamento di pensieri : e finalmente,
già vicino a giorno, col nome della sua protettrice tronco
tra le labbra. Lucia s'addormentò d'un sonno perfetto
e continuo.
Ma c'era qualchedun altro in quello stesso castello,
che avrebbe voluto fare altreltanto, e non potè mai. Par-
tito, 0 quasi scappato da Lucia, dato l'ordine per la cena
di lei, fatta una consueta visita a certi posti' del castello,
sempre con quell'immagine viva nella mente, e con
quelle parole risonanti all'orecchio, il signore s'era an-
CAPITOLO XX[. - 385
(lalo a Tacciare in camera, s'era cliiuso dentro in fretta
e in furia, come se avesse avuto a trincerarsi contro una
squadra di nemici; e spogliatosi, pure in furia, era an-
dato a letto. Ma queir immagine , più che mai presente,
parve che in quel momento gli dicesse: tu non dormi-
rai. — Che sciocca curiosità da donnicciola , — pen-
sava , — m' ò venuta di vederla ? Ha ragione quel be-
stione del Nibbio; uno non è più uomo; è vero, non
è più uomo!... Io?... io non son più uomo, io? Cos'è
slato"? che diavolo m'è venuto addosso? che e' è di nuovo?
Non lo sapevo io prima d' ora , che le donne strillano?
Strillano anche gli uomini alle volte, quando non si
possono rivoltare. Che diavolo ! non ho mai sentito belar
donne? —
E qui, senza che s'affaticasse molto a rintracciare
nella memoria, la memoria da sé gli rappresentò più
d'un caso in cui uè preghi nò- lamenti, non l'avevano
punto smosso dal compire le sue risoluzioni. Ma la ri-
membranza di tali imprese , non che gli ridonasse la
fermezza, che già gli mancava, di compir questa; non
che spegnesse neh' anima quella molesta pietà ; vi de-
stava in vece una specie di terrore, una non so qual
rabbia di pentimento. Di maniera che gli parve un sol-
lievo il tornare a quella prima immagine di Lucia, contro
la quale aveva cercato di rinfrancare il suo coraggio.
— È viva costei, — pensava, è (jui ; sono a tempo ; le
posso dire: andate, rallegratevi; posso veder «luel viso
cambiarsi, le posso anche dire: perdonatemi.... Per-
donatemi? io domandar perdono? a una donna? io...!
Ah, eppure! se una parola, una parola tale mi potesse
far bene, levarmi d' -addosso un po' di questa diavoleria,
la direi ; eh I sento che la direi. A che cosa son ridotto !
Non son più uomo, non son più uomo!... Via! — disse
poi, rivoltandosi arrabbiatamente nel letto diveiuilo duro
duro, sotto le -coperte divenute pesanti pesanti: — \ia!
sono sciocchezze che mi son passate per la testa altre
volte. Passerà anche c|uesta. —
386 I PROMESSI SPOSI
E per farla passare, andò cercando col pensiero qual-
che cosa importante, qiialcheduna di quelle che solevano
occuparlo fortemente , onde applicarvelo lutto ; ma non
ne trovò nessuna. Tutto gli appariva cambiato: ciò che
altre volte stimolava più fortemente i suoi desideri, ora
non aveva più nulla di desiderabile : la passione, come
un cavallo divenuto tutt' a un tratto restio per un'ombra,
non voleva più andare avanti. Pensando all' imprese av-
viate e non finite, in vece d'animarsi al compimento,
invece d'irritarsi degli ostacoli (che l'ira in quel mo-
mento gli sarebbe parsa soave ) , sentiva una tristezza ,
quasi uno spavento dei passi già fatti. Il tempo gli s'af-
facciò davanti voto d' ogni inlento, d' ogni occupazione,
d' ogni volere, pieno soltanto di memorie intollerabili ;
tutte r ore somiglianti a quella che gli passava cosi lenta,
cosi pesante sul capo. Si schierava nella fantasia tutti i
suoi malandrini, e non trovava da comandare a nessuno
di loro una cosa che gì' importasse : anzi l' idea di ri-
vederli, di trovarsi tra loro, era un nuovo peso, un' idea
di schifo e d' impiccio. E se volle trovare un' occupa-
zione per l'indomani, un'opera fattibile, dovette pen-
sare che all' indomani poteva lasciare in libertà quella
poverina.
— La libererò, si; appena spunta il giorno, correrò
da lei, e le dirò: andate, andate. La farò accompagna-
re E la promessa? e l'impegno? e don Rodrigo?...
Chi è don Rodrigo? —
A guisa di chi è colto da una interrogazione inaspet-
tata e imbarazzante d' un superiore, l' innominato pensò
suhito a rispondere a questa che s' era fatta lui stesso,
0 piuttosto quel nuovo lui, che cresciuto terribilmente
a un tratto, sorgeva come a giudicare l'antico. Andava
dunque cercando le ragioni per cui, prima quasi d'esser
pregato, s' era potuto risolvere a prender l' impegno di
far tanto patire, senz'odio, senza timore, un'infelice sco-
nosciuta, per servire colui; ma, non che riuscisse a tro-
var ragioni che in quel momento gli paressero buone
c.vpitOLO XXI. 387
n scusare il fatto, non sapeva quasi spiegare a sé stesso
come ci si fosse indotto. Quel volere, piuttosto che una
deliberazione , era stato un movimento istantaneo del-
l'animo ubbidiente a sentimenti anticbi, abituali, una con-
seguenza di mille fatti antecedenti ; e il tormentato esa-
minator di se stesso, per rendersi ragione d' un sol fatto,
si trovò ingolfato nell'esame di tutta la sua vita. Indie-
tro, indietro, d' anno in anno, d' impegno in impegno,
di sangue in sangue, di scelleratezza in scelleratezza:
ognuna ricompariva all'animo consapevole e nuovo, se-
parata da' sentimenti che Y avevan fatta volere e com-
mettere, ricompariva con una mostruosità che que' sen-
timenti non avevano allora lasciato scorgere in essa. Eran
tutte sue, eran lui: l'orrore di questo pensiero, rinascente
a ognuna di quell'immagini, attaccato a tutte, crebbe fino
alla disperazione. S'alzò in furia a sedere, gettò in furia
le mani alla parete accanto al letto, afferrò una pistola.
la staccò, e al momento di finire una vita divenuta
nsopportabile. il suo pensiero, sorpreso da un terrore,
da un'inquietudine, per dir così, superstite, si slanciò
nel tempo che pure continuerebbe a scorrere dopo la
sua fine. S' immaginava con raccapriccio il suo cadavere
sformato, immobile, in balia del più vile sopravvissuto;
la sorpresa, la confusione nel castello, il giorno dopo:
ogni cosa sottosopra; lui, senza forza, senza voce, but-
tato chi sa dove. Immaginava i discorsi che se ne sa-
rebber fatti li, d'intorno, lontano, la gioia de' suoi nemici.
Anche le tenebre, anche il silenzio, gli facevan veder
nella morte; cpialcosa di più tristo, di spaventevole; gli
pareva che non avrebbe esitato, se fosse stalo di giorno,
all'aperto, in faccia alla gente: buttarsi in un fiume e
sparii'e, E assorto in queste contemplazioni tormentose,
andava alzando e riabbassando, con una forza convulsiva
del pollice, il cane della pistola; (juando gli balenò in
mente un altro pensiero. — Se ipiell' altra vita di cui
m'hanno parlato quand'ero ragazzo, di cui pailano sem-
pre, come se fosse cosa sicura, se quella vita non c'è,
388 I PROMESSI SPOSI
se ò un' invenzione dc'preli; elio fo io? porcile morire?
cos' importa quello che ho fatto? co.V importa? ó una paz-
zia la mia E se e' e quesf altra vita ! —
A un tal (luhhio, a un tal rischio, gli venne addosso
una disperazione più nera, più grave, dalla quale non si
poteva fuggire, neppur con la morte. Lasciò cader l'ar-
me, e stava con le mani ne' cappelli, battendo i denti,
tremando. Tutt' a un tratto, gli tornarono in mente pa-
role che aveva sentite e risentite, poche ore prima: —
Dio perdona tante cose, per un' opera di misericordia !
— e non gli tornavan già con quell' accento d' umile
preghiera, con cui erano state proferite; ma con un suono
pieno d' autorità, e che insieme induceva una lontana
speranza. Fu quello un momento di sollievo: levò le mani
dalle tempiOj e, in un' attitudine più composta, fissò gli
occhi della mente in colei da cui aveva sentite quelle
parole: e la vedeva, non come la sua prigioniera, non
come una supplichevole, ma in alto di chi dispensa gra-
zie e consolazioni. Aspettava ansiosamente il giorno, per
correre a liherarla, a sentire dalla bocca di lei altre pa-
role di refrigerio e di vita; s'immaginava di condarla
lui stesso alla madre. — E poi? che farò domani, il
resto della giornata? che farò doman l' altro ? che farò
dopo doman l'altro? Eia notte? la notte ^ che tornerà
tra dodici ore! Oh la notte! no, no, la notte! — E ri-
caduto nel vóto penoso dell' avvenire , cercava indarno
un impiego del tempo, una maniera di passare i giorni,
le notti. Ora si proponeva d'abbandonare il castello, e
d'andarsene in paesi lontani, dove nessun lo conoscesse,
neppur di nome; ma sentiva che lui, lui sarebbe sem-
pre con se; ora gli rinasceva una fosca speranza di ri-
pigliar l'animo antico, le antiche voglie; e che quello
fosse come un delirio passeggiero; ora temeva il giorno,
che doveva farlo vedere a' suoi cosi miserabilmente mu-
tato; ora lo sospirava, come se dovesse portar la luce
anche ne' suoi pensieri. Ed ecco, appunto sull' albeggiare;
p.)chi momonli dopo che Lucia s' era addoiiiionlala, ecco
CAPITOLO XX!. 389
che, slancio così immoto a sedere, sentì arrivarsi all'o'
recchio come un'onda di suono non bene espresso, ma
che pure aveva non so che d'allegro. Stette attento, e
riconobbe uno scampanare a festa lontano; e dopo qual-
che momento, sentì anche l'eco del monte, che ogni
tanto ripeteva languidamente il concento, e si confon-
deva con esso. Di lì a poco , sente un altro scampaìiio
più vicino, anche quello a festa; poi un altro. — Che
allegria c'è? — Cos'hanno di bello tutti costoro? — Saltò
fuori da quel covile di pruni; e vestitosi a mezzo, corse
a aprir una finestra, e guardò. Le montagne eran mezze
velate di nebbia; il cielo, piuttosto che nuvoloso, era
tutto una nuvola cenerognola; ma, al chiarore che pure
andava a poco a poco crescendo, si distingueva, nella
strada in fondo alla valle, gente che passava, altra che
usciva dalle; case, e s'avviava; lutti dalla stessa parte,
verso Io sbocco, a destra del castello, tutti col vestilo delle
feste, e con un'alacrità straordinaria.
— Che diavolo hanno costoro? che c'è d'allegro in
questo mal(>detto paese? dove va tutta quella canaglia?
— E data una voce a un bravo fidato che dormiva in
una stanza accanto, gli domandò qual fosse la cagione
di ipiel movimento. Quello, che ne sapeva quanto Ini,
rispose che andcrebite subito a informarsene. Il signore
rimase appoggiato alla finestra, tulio intento al mobile
spettacolo. Erano uomini, donne, fanciulli, a brigate, a
coppie, soli; uno, raggiungendo chi gli era avanti, s'ac-
compagnava con lui; un altro, uscendo di casa, s'univa
col pi'imo che rinloppasse; e andavano insieme, come
amici a un viaggio convenuto. Gli atti indicavano ma-
nifestamenh^ una fretta e una gioia comune: e quel rim-
bombo non accordato ma consentaneo delle varie cam-
pane, quali pili, quali mcnn virine, jiareva, per dir cosi,
la voce di tpie' gesti, e il supplinìenhi delle parol(> cIk;
non potevano arrivar lassù. Ciiardava, guardava; e gli
cresceva in cuore una più clu' curiosila di sapei' ("osa
mai potesse comunicaiv un lras[)(M'lo uguale ;i lauta genb;
diversa,
CAPITOLO XXII.
Poco dopo , il bravo venne a riferire che , il giorno
avanti, il cardinal Federigo Borromeo, arcivescovo di Mi-
lano, era arrivato a " ', e ci starebbe tutto quel giorno;
e che la nuova sparsa la sera di quesl' arrivo ne' paesi
d' intorno aveva invogliati tutti d' andare a veder quel-
l' uomo ; e si scampanava più per allegria, che per avvertir
la genie. Il signore, rimasto solo, continuò a guardar
nella valle, ancor più pensieroso. — Per un uomo! Tutti
premurosi, tutti allegri, per vedere un uomo! E però
ognuno di costoro avrà il suo diavolo che lo tormenti.
Ma nessuno, nessuno n'avrà uno come il mio; nessuno
avrà passata una notte come la mia! Cos' ha quell'uomo,
per render tanta gente allegra? Qualche soldo che di-
stribuirà così alla ventura Ma costoro non vanno
tutti per l'elemosina. Ebbene, qualche segno nell'aria,
qualche parola Oh se le avesse per me le parole che
possono consolare! se — ! Perchè non vado anch'io?
Perchè no? — Anderò, anderò; e gii voglio parlare; a
quattr'occhi gli voglio parlare. Cosa gli dirò? Ebbene.
quello che, quello che Sentirò cosa sa dir lui, ([ue-
sl' uomo ! — ■
l PROMESSI SPOSI, CAPITOLO XXII, 391
Fatta così in confuso questa risoluzione, finì in fretta
di vestirsi, mettendosi una sua casacca d'un taglio che
aveva qualche cosa del militare; prese la terzetta rima-
sta sul letto, e l'attaccò alla cintura da una parte; dal-
l'altra, un'altra che staccò da un chiodo della parete;
mise in quella stessa cintura il suo pugnale; e staccata
pur dalla parete una carabina famosa quasi al par di
lui, se la mise ad armacollo; prese il cappello, usci di
camera; e andò prima di tutto a quella dove aveva la-
sciata Lucia, posò fuori la carabina in un cantuccio vicino
all'uscio, e picchiò, facendo insieme sentir la sua voce.
La vecchia scese il letto in un salto, e corse ad aprire.
Il signore entrò, e data un'occhiata per la camera, vide
Lucia rannicchiata nel suo cantuccio e quieta.
« Dorme? » domandò sotto voce alla vecchia: là dorme?
eran questi i miei ordini, sciagurata? «
« Io ho fallo di tutto, » rispose quella: ina non ha mai
voluto mangiare, non è mai voluta venire .... »
« Lasciala dormire in pace; guarda di non la distur-
bare; e quando si sveglierà.... Marta verrà (pii nella
stanza vicina; e tu manderai a prendere qualunque cosa
che costei possa chiederti. Quando si sveglierà — dille
che io ... . che il padrone è partito per poco tempo ,
che tornerà, e che farà tutto quello che lei vorrà.»
La vecchia rimase tulla sLupefalla pensando tra se:
— che sia qualche principessa costei? —
Il signore uscì, riprese la sua cai'abina, mandò Marta
a fare anticamera, mandò il primo bravo che incontrò a
far la guardia , perchè nessun altro cIk; (|iiella donna
mettesse piede nella camera ; e poi usci dal casicllo , e
prese la scesa di corsa.
Il manoscritto non dice quanto ci fosse dal i aslello al
paese dov'era il cardinale; ma dai fatti che siam per
raccontare, risulla che non doveva essere più che una
lunga i)asseggiala. Dal solo accorrei'c de' valligiani , e
anche di gente [liii loiilaii;;, ;i ([nel paese, ([ueslo non si
poirebbe argonieulare; giacche nelle niemorie di ipiel
392 I l'HOMESSI SPOSI
tempo Iroviamo clic da venti e più miglia veniva gente
in folla por vodor Federigo.
I bravi che s' abhallevano sulla salila, si fermavano ri-
speltosamentc al passar del signore, aspellando se mai
avesse ordini da dar loro , o se volesse prenderli seco ,
per qualche spedizione ; e non sapendo che si pensare
della sua aria, e dell' occhiate che dava in risposta a'
loro inchini.
Quando fu nella strada pubblica, quello che faceva ma-
ravigliare i passeggieri, era di vederlo senza seguito.
Del resto, ognuno gli faceva luogo, prendendola larga,
quanto sareltbe bastalo aiìche per il seguito, e levandosi
rispetlosamenle il cappello. Arrivato al paese, trovò una
gran folla ; ma il suo nome passò subilo di bocca in
bocca; e la folla s'apriva. S'accostò a uno, e gli do-
mandò dove fosse il cardinale. « In casa del curato, »
rispose quello, inchinandosi, e gì' indicò dov' era. Il si-
gnore andò là, entrò in un cortiletto dove c'eran molli
preti, che tulli lo guardarono con un' attenzione mara-
vigliata e sospettosa. Vide dirimpetto un uscio spalancalo,
che metteva in un salottino, dove molti altri preti eran
congregati. Si levò la carabina, e l'appoggiò in un canto
del cortile; poi entrò nel salottino: e anche lì occhiate,
bisbigli , un nome ripetuto, e silenzio. Lui, vollalosi a
uno di quelli, gli domandò dove fosse il cardinale; e
che voleva parlargli.
« Io son forestiero , » rispose l' interrogato , e dala
un'occhiata intorno, chiamò il cappellano crocifero, che
in un canto del salottino, stava appunto dicendo sotto
voce a un suo compagno: « colui? quel famoso? che ha
a far qui colui? alla larga! » Però, a quella rhianiata
che risonò nel silenzio generale, dovette venire, inchinò
l'innominato, stette a sentir quel che voleva, e alzando
con una curiosità inquieta gli occhi su quel viso , e
riabbassandoli subito, rimase li un poco, poi disse o
balbettò : « non saprei se monsignore illustrissimo ....
in questo momento .... si trovi , . . . sia ... . possa . , . . Basta,
CAPITOLO XXII. 393
vado a vedere. » E andò a malincorpo a far l' imba-
sciata nella stanza vicina, dove si trovava il cardinale.
A questo punto della nostra storia, noi non possiam
far a meno di non fermarci qualche poco, come il vian-
dante stracco e tristo da un lunp^o camminare per un
terreno arido e salvatico, si trattiene e perde un po' di
tempo all'ombra d'un bell'albero, sull'erba, vicino a
una fonte d' acqua viva. Ci siamo alibattuti in un per-
sonapiiio, il nome e la memoria del quale, affacciandosi
in qualunque tempo, alla mente, la ricreano con una
placida commozione di riverenza, e con un s(>nso gio-
condo di simpatia: ora, quanto più dopo tante immagini
di dolore, dopo la contemiìlazione d' una moltiplico e
fastidiosa perversitcà! Intorno a questo personaggio biso-
gna assolutamente che noi spendiamo quattro parole: chi
non si curasse di sentirle, e avesse però voglia d'an-
dare avanti nella storia, salii addirittnra al capitolo se-
guente.
Federigo Borromeo, nato nel loOi , fu degli uomini
rari in (puilumiue tempo, che abbiano inqùegato un in-
gegno egregio, tnlli i mezzi d'una grand' 0[)ul('n7.a, lutti
i vantaggi d'una condizione privilegiala, un intento con-
tinuo, nella ricerca dell'esercizio del meglio. La sua vita
ò come un ruscello che, scaturito limpido dalla roccia
senza ristagnare nò intorbidarsi mai, in un lungo corso
per diversi terreni, va linìjiido a gettarsi nel fiume. Tra
gli agi e le ponq)e, iiadò fin dalla puerizia a quelle [)a-
rol(> d'annegazione e d' umiltà, a quelle massijn(> intorno
alla vanità de' piaceli, all'ingiustizia dell'orgoglio, alla
vera dignità, e a' veri beni, che, sentite o non sentite
no' cuori, vengono trasmesse da una generazione all'altra,
nel più elementare insegnamento della religione. Badò,
dico, a (pielle parole, a (luelle masiì^inic, le prese sul se-
rio, le gustò, le trovò vere; vide che non polcv.-in duiniiic
esjer vere altre parole e altre massime o|i|iosic, clic
pinv si trasmettono di genei'azionc in gciicia/ionc. con
la stessa sicurezza, e talora diillc stesse labbra: e prn^
VOL. 1. 17"
304 1 l'IiUMKSSI SPOSI
pose di prender per norma deira/.ioni e de' pensieri
quelle che erano i! vero. Persuaso che la vita non è u;\h
destinata ad essere un peso per molti, e una festa per
alcuni, ma per tutti un impiego, del quale ognuno ren-
derà conto, cominciò da fanciullo a pensare come potesse
render la sua utile e santa.
Nel 1580, manifestò la risoluzione di dedicarsi al mi-
nistero ecclesiastico, e ne prese T ahilo dalle mani di
quel suo cugino Carlo, che una fama, già fin d'allora
antica e universale, predicava santo. Entrò poco dopo nel
collegio fondato da questo in Pavia, e che porta ancora
il nome del loro casato; e li, applicandosi assiduamente
alle occupazioni che trovò prescritle, due altre ne assunse
di sua volontà; e furono d'insegnar la dottrina cristiana
ai più rozzi e derelitti del popolo, e di visitare, servire,
consolare e soccorrere gl'infermi. Si valse dell' autorilà
che tutto gli conciliava in quel luogo, per attirare i suoi
compagni a secondarlo in tali opere; e in ogni cosa
onesta e profittevole esercitò come un primato d'esem-
pio, un primato che le sue doti personali sarebhero forse
bastate a procacciargli, se fosse anche stato l' infimo per
condizione. I vantaggi d'un altro genere, che la sua gli
a\ rehhe potuto procurare, non solo non li ricercò , ma
mise ogni studio a schivarli. Volle una tavola piuttosto
povera che frugale, usò un vestiario piuttosto povei'o
ohe semplice; a conformità di questo, tutto il tenore
della vita e il contegno. Nò credette mai di doverlo mu-
tane, per quanto alcuni congiunti gridassero e si lamen-
tassero che avvilisse così la dignità della casa. Un'altra
guerra ebbe a sostenere con gl'istitutori, i quali, fur-
tivamente e come per sorpresa, cercavano di mettergli
davanti, addosso, intorno, qualche suppellettile più si-
gnorile, qualcosa che lo facesse distinguere dagli altri,
e llgurare come il principe del luogo: o credessero di
farsi alla lunga ben volere con ciò; o fossero mossi da
quella svisceratezza servile che s'invanisce e si ricrea
dello splendore altrui; o fossero di quei prudenti che
CAPITOLO XXII. 395
s' adoni hraiìo delle virtù come de' vizi, predicano sem-
pre che la perfezione sta nel mezzo ; e il mezzo lo fissan
giusto in quel punto dov'essi sono arrivati, e ci stanno
comodi. Federigo, non che lasciarsi vincere da quei ten-
tativi, riprese coloro che li facevano; e ciò tra la pu-
bertà e la giovinezza.
Che, vivente il cardinal Carlo, maggiore di lui di ven-
tisei anni, davanti a quella presenza grave, solenne,
ch'esprimeva così al vivo la santità, e ne rammentava
le opere, e alla quale, se ce ne fosse stato bisogno,
avrebbe aggiunto autorità ogni momento l'ossequio ma-
nifesto e spontaneo de' circostanti, quali e quanti si fos-
sero, Federigo fanciullo e giovinetto cercasse di confor-
marsi al contegno e al pensare d'un tal superiore, non
è cortamente da farsene maraviglia; ma è bensì cosa
molto notabile che, dopo la morte di lui, nessuno si sia
potuto accorgere che a Federigo, allor di veni' anni, fosse
mancata una guida e un censore. La fama crescente del
suo ingegno, della sua dottrina e della sua pietà, la pa-
rentela e gl'impegni di più d'un cardinale pofenl(\ il
credito d(;lla sua famiglia, il nome stesso, a cui Carlo
aveva quasi annessa nelle menti un' idea di santità e di
preminenza, tutto ciò che deve, e lutto ciò che può con-
durre gli uomini alle dignità ecclesiastiche, concorreva
a proiìosticargliole. Ma egli, persuaso in onore di ciò che
nessuno il (piale professi cristianesimo può negar con
la bocca, non ci esser giusta superiorità d'uomo sopi'a
gli uomini, se non in loro servizio, temeva le dignità,
e cercava di scansarle: non certamente perchè sfuggisse
di servire altrui; che poche vite furono spese in ((ueslo
come la sua; ma pi^rchè non si stimava abbastanza de-
gno né caiiace di cosi allo e pcn'icoloso siM'vizio. Perciò,
venendogli, nel 151)5, proposto da Clemente VII) l'arci-
vescovado di Milano, apparve fortiMuenle turbalo, e ir-
cusò senza esitare. Cedelle poi al comando espresso
del papa.
T.ili dimoslra/.ioiii. e (Ili nnn lo sa? non 'fonone dil-
306 I PROMESSI SPOSI
fìcili nò rare; e T ipocrisia non lia l)iso,cno d'un più
grande sforzo (T ingegno por farle, che la Ituffoneria per
deriderle a huon conto, in ogni caso. Ma cessan forse
per questo d' esser V espressione naturale d' un senti-
mento virtuoso e sapiente ? La vita è il paragone delle
parole; e le parole ch'esprimono quel senlimenlo, fos-
sero anclie passate sulle labbra di tulli gì' impostori e
di tutti i beffardi del mondo, saranno sempre iìclie,
quando siano precedute e seguite da una vita di disin-
teresse e di sacrifi/Ao.
In Federigo arcivescovo apparve uno studio singolare
e continuo di non prender per se, delle ricchezze, del
tempo, delle cure, di tutto sé stesso in somma, se non
(jtfSnto fosse strettamente necessario. Diceva, come tutti
dicono, che le rendite ecclesiastiche sono patrimonio de'
poveri: come poi intendesse infatti una tal massima, si
veda da questo. Volle che si stimasse a quanto poteva
ascendere il suo mantenimento e quello della sua ser-
vitù; e dettogli che seicento scudi (scudo si chiamava
allora quella moneta d'oro che, rimanendo sempre dello
slesso peso e titolo, fu poi detta zecchino), diede or-
dine elle tanti se ne contasse ogni anno dalla sua cassa
particolare a quella della mensa; non credendo che a
lui ricchissimo fosse lecito vivere di quel patrimonio.
Del suo poi era cosi si^arso e sottile misuratore a sé
stesso, che badava di non ismettere un vestito, prima
che fosse logoro affatto: unendo però, come fu nolato
da scrittori contemporanei, al genio della semplicità (lucilo
d'una squisita pulizia: due abitudini nolahili infalli, in
ipiell'elà sudicia e sfarzosa. Similmente, allinchè nulla
si disperdesse degli avanzi della sua mensa frugale, gli
assegnò a un ospizio di poveri ; e uno di questi, per
suo ordine, entrava ogni giorno nella sala del pranzo a
raccoglier ciò che fosse rimasto. Cure , che potrebbero
forse indur concetlo d'una virtù gretta, misera, angu-
stiosa, d'una mente impaniata nelle minuzie, e incapace
di disegni elevali; se non fosse in piedi questa bibliu-
CAPITOLO XXII. 397
teca ambrosiano, die Federigo ideò con sì animosa lau-
tezza, ed eresse, con tanto dispendio, da' fondamenti; per
fornir la quale di libri e di manoscritti, oltre il dono
de' già raccolti con grande studio e spesa da lui, spedi
otto uomini, de' più colti ed esperti che potè avere, a
farne incetta, per l'Italia, per la Francia, per la Spagna,
per la Germania, per le Fiandre, nella Grecia, al Libano,
a Gerusalemme. Così riuscì a radunarvi circa trenta-
mila volumi stampati, e quattordicimila manoscritti. Alla
biblioteca unì un collegio di dottori (furon nove, e pen-
sionati da lui fin che visse, dopo, non bastando a (piella
spesa l'entrate ordinarie, furon ristretti a due); e il loro
ufìzio era di coltivare vari sludi, teologia, storia, lettere,
antichità ecclesiastiche, lingue orientali , con 1' obbligo
ad ognuno di pubblicar qualcbe lavoro sulla materia as-
segnatagli; v'unì un collegio daini detto trilingue, per
lo studio delle lingue greca, latina e italiana ; un col-
legio d'alunni, clic venissero istruiti in quelle facoltà e
lingue, per insegnarle un giorno; v'unì una stamperia
di lingue orientali, dell'ebraica, cioò, della caldea, del-
l'arabica, della persiana, dell'armena; una galleria di
quadi'i, una di statue, e una scuola delle tre principali
arti del disegno. Per queste, potè trovar professoi'i già
formati; per il linianente, ahbiam visto die da fare gli
avesse dato la raccolta de'lihri e de' manoscritti; certo
più difficili a trovarsi dovevano essere i tipi di quelle
lingue, alloi-a molto men coltivate in Europa che al pr(>-
sente; più ancora de'liiii, gli uomini. Basterà il diiv
die, di nove dottori, otto ne prese tra i giovani alunni
del seminario; e da questo si può argomentare che giu-
dizio facesse degli studi consumali e delle riputazioni
fatte di quel tempo: giudizio conforme a (piello che par
elio n'abbia portato la posterità, col mettere gli uni e
le altre in dinieiiticMiiza. Nelle regole che slahili per
l'uso (> pei' il governo della hiblioleca, si vede un in-
lento d'utilità ]ierpeliia, inni solamente hello in -è, ni;i
in molte parti saiiiente e giMitile multo al di là dell'idee
398 I moMESsi sposi
e deirabiliKÌini comuni di quel tempo. Prescrisse al bi-
bliotecario che mantenesse commercio con gli uomini
più dotti d' Europa, \)er aver da loro notizie dello stato
delle scienze, e avviso de' libri migliori che venissero
fuori in ogni genere, e farne acquisto; gli prescrisse
d'indicare agli studiosi i libri che non conoscessero, e
potcsser loro esser utili; ordinò che a tutti, fossero cit-
tadini 0 forestieri, si desse comodità e tempo di servir-
sene, secondo il bisogno. Una tale intenzione deve ora
parere ad ognuno troppo naturale, e immedesimata con la
fondazione d' una biblioteca : allora non era così. E in
una storia dell'ambrosiana, scritta (col costruito e con
r eleganze comuni del secolo) da un Pit^rpaolo Bosca,
che vi fu bibliotecario dopo la morte di Federigo, vien
notato espressamente, come cosa singolare, che in que-
sta libreria, eretta da un privato quasi lutla a sue spese,
i libri fossero esposti alla vista del pubblico, dati a chiun-
que li chiedesse, e datogli anche da sedere, e carta,
penne e calamaio, per prender gli appunti che gli po-
tessero bisognare: mentre in qualche insigne biblioteca
pubblica d'Italia, i libri non erano neramen visibili, ma
chiusi in armadi, donde non si levavano se non per
gentilezza de' bibliotecari, quando si sentivano di farli
vedere un momento; di dare ai concorrenti il comodo
di studiare, non se n'aveva neppur l'idea. Dimodoché
arricchir tali biblioteche era un sotlrar libri all' uso co-
mune: una di quelle coltivazioni, come ce n'era e ce
n'è tuttavia molte, che isteriliscono il campo.
Non domandate quali siano stati gli elTetti di questa
fondazione del Borromeo sulla coltura pubblica ; sarebbe
facile dimostrare in due frasi, al modo che si dimostra,
che furon miracolosi, o che non furon niente ; cercare
e spiegare, fino a un certo segno, quali siano stati ve-
ramente, sarebbe cosa di molta fatica, di poco costrutto,
e fuor di tempo. Ma pensate che generoso, che giudi-
zioso, che benevolo, che perseverante amatore del mi-
glioramento umano, dovess' essere colui che volle una
CAPITOLO XXII. 399
lai cosa, lo volle in (inolia maniera, e l'eseguì, in mezzo
a queir ignorantaggine, a qucU' inerzia, a queir antipa-
tia generale per ogni applicazione studiosa, e per con-
seguenza in mezzo ai cos' importai a e' era altro da pen-
sare? e che beli' inreììzione? e mancava anche questa, e
simili; che saranno certissimamenle stati più che gli
scudi spesi (la lui in ciuelF impresa; i quali furon cen-
tocinquemila, la più parte de' suoi.
Per chiamare un tal uomo sommamente henefìco e li-
berale, pu() parer che non ci sia bisogno di sapere se
n'abbia spesi molt' altri in soccorso immediato de' biso-
gnosi; e ci son forse ancora di quelli che pensano che
le spese di quel genere, e sto per dire tutte le spese,
siano la migliore e la più utile elemosina. Ma Federigo
teneva l'elemosina propriamente detta per un (lov<^re
principalissimo; e qui, come nel resto, i suoi fatti luron
consentanei all'opinione. La sua vita fu un continuo pro-
fondere ai poveri; e a proposito di ([uesta stessa care-
stia di cui ha già parlalo la nostra storia, avn^mo tra
poco occasione di riferire alcuni tratti, dai quali si \e-
drà che sapienza e che genlilezza abbia saputo mettere
anche in questa libcralilà. Di^.' molti esem])! singolari che
d'una tale sua virlù hanno notali i suoi biografi, ne
citeremo qui un solo. Avendo risaputo che un nobile
usava artifizi e angluTie per far monaca una sua figlia,
la quale desiderava piuttosto di maritarsi, fece venire il
padre; e cavatogli di bocca che il vero motivo di quella
vessazione era il non avere (piallromila scudi che, se-
condo lui, sarebbero stati necessari a maritar la lìglia
convenevolmente, Federigo la dotò di ((uattromila scudi.
Forse a taluno parrà questa ima larghezza eccessiva,
non ben ponderala, troppo condisciMidenle agli slolli ca-
pricci d'un superilo; e che (piiiilidMiila scudi poIcNano
esser meglio impiegali in cent' altre maniere. A ipiesfo
non al)biam nulla da rispondere, se non che sarebbe da
desiderarsi che si vedessero sp(!sso eccessi d'una virlìi
così lib(>ra dall'opinioni dominanti (ogni tempo ha l(>
400 I l'HOMKSSl SPOSI
sue), così indipendente dalla (cndenza generale, corno,
in qncslo caso, fu (inella che mosse un uomo a dar
(|uallromila scudi, perchè una piovine non fosse falla
monaca.
La carità inesausta di quest'uomo, non meno che nel
dare, spiccava in tutto il suo contegno. Di facile ahhordo
con tutti, credeva di dovere specialmente a quelli che
si chiamano di bassa condizione, un viso gioviale, una
cortesia affettuosa; tanto più, quanto ne trovan meno
nel mondo. E qui pure ebbe a combattere co' galantuo-
mini del ne quid nimis, i quali in ogni cosa, avrebbero
voluto farlo star ne' limiti, cioè ne' loro limiti. Uno di
costoro, una volta che, nella visita d' un paese alpestre
e salvatico, Federigo istruiva certi poveri fanciulli, e. tra
l'interrogare e l'insegnare, gli andava amorevolmente
accarezzando, l'avvert'i che osasse più riguardo nel far
tante carezze a que' ragazzi, perchè eran troppo sudici
e stomacosi: come se supponesse, il buon uomo, che
Federigo non avesse senso abbastanza per fare una tale
scoperta, o non abbastanza perspicacia, per trovar da sé
quel ripiego così fino. Tale è , in certe condizioni di
tempi e di cose, la sventura degli uomini costituiti in
certe dignità: che mentre così di rado si trova chi gli
avvisi de' loro mancamenti, non manca poi gente corag-
giosa a riprenderli del loro far bene. Ma il buon ve-
scovo, non senza un certo risentimento, rispose: « sono
mie anime, e forse non vedranno mai più la mia fac-
cia; e non volete che gli abbracci? »
Ben raro era però il risentimento in lui , ammirato
per la soavità de' suoi modi, per una pacatezza imper-
turbabile, che si sarebbe attribuita a una felicilà straor-
dinaria di temperamento; ed era l't^lTetto d'una disci-
plina costante sopra un' indole viva e risentita. Se qual-
che volta si mostrò severo, anzi brusco, fu co' pastori
suoi sul)ordinati che scoprisse rei d'avarizia o di negli-
genza o d'altre tacce specialmente opposte allo spirito
del loro nobile ministero. Per tutto ciò che potesse toc-
CAPITOLO XX n. 401
care 0 il suo interesse, o la sua gloria leiiiporale, non
dava mai segno di gioia, né di rammarico, nò d' ardore,
nò d' agnazione: mirabile se ([ucsli moli non si desia-
vano nell'animo suo, più mirabile se vi si desiavano.
Non solo da' molli conclavi ai quali assistelle, riporlo il
concetlo di non aver mai aspiralo a (jucl poslo così de-
siderabile all' ambizione, e così terribile alla piclà ; ma
una volla che un collega, il quale conlava molto, venne
a olTrirgli il suo voto e cjuelli della sua fazione (bruita
parola, ma era quella che usavano), Federigo rifiutò una
tal proposta in modo, che quello depose il pensiero, e
si rivolse altrove. Questa slessa modestia, (luesf avver-
sione al predominare apparivano ugualmente nell'occa-
sioni più comuni della vita. Attento e infaticabile a di-
sporre e a governare, dove riteneva che fosse suo do-
vere il farlo , sfuggì sempre d' impicciarsi negli altari
altrui; anzi si scusava a tutto potere dall' ingerirvisi ri-
cercato: discrezione e rilegno non comune, come ognuno
sa, negli uomini zelatori del bene, qual era Federigo.
Se volessimo lasciarci andare al piacere di raccogliere
i tratti notabili del suo carailere, ne risulterebbe certa-
mente un complesso singolare di meriti in apparenza
opposti;, e certo dilTIcili a trovarsi insieme. Perù non
ometteremo di notare un'altra singolarità di (piella bella
vita: che, piena come fu d'attività, di governo, di fun-
zioni, d'insegnamento, d' udienze, di visite diocesane, di
viaggi, di contrasti, non solo lo studio c'ebbe una parte,
ma ce n'cìbbe tanta, che per un letterato di professione
sarel)l)e bastato. E infatti, con tanl' altri e diversi titoli
di lode, Federigo ebbe anche, presso i suoi contempo-
ranei, quello d'uom dotto.
Non dobbiamo pei'ò dissimulare che tenne con ferma
pei'suasione, e sostenne in pratica, con lunga costanza,
()l)iiiioni, che al giorno d' oggi |)arrel)bero a ognuno
l)iullosto strane che mal fondale; dico ancln; a coloro
che avrebbero una gran voglia di trovarle giusle. (<hi
lo voltasse dif(Mìd(MV in queslo, ci sai'cbbi' quelbi scusii
402 1 PROMESSI Sposi
cosi corrente e ricevuta, eh' erano errori del suo tempo,
piuttosto che suoi: scusa che, per certe cose, e qii.iiKlo
risulti dall'esame particolare de'fatti, può aver qualche
valore, o anche molto; ma che applicata cosi nuda e
alla cieca, come si fa d'ordinario, non signilica proprio
nulla. E perciò, non volendo risolvere con formolo sem-
plici questioni complicate, nò allungar troppo un episo-
dio, tralasceremo anche d'esporle; bastandoci d'avere
accennato così alla sfuggita che, d'un uomo cosi ammi-
rabile in complesso, noi non pretendiamo che ogni cosa
lo fosse ugualmente; perdio non paia che abbiam voluto
scrivere un'orazion funebre.
Non è certamente fare un' ingiuria ai nostri lettori il
supporre che qualcheduno di loro domandi se di tanto
ingegno e di tanto studio quest'uomo abbia lascialo
qualche monumento. Se n' ha lasciati I Circa cento son
l'opere che rimangon di lui, tra granii e piccole, tra
latine e italiane, tra stampate e manoscritte, che si ser-
bano nella biblioteca da lui fondata; trattati di morale,
orazioni, dissertazioni di storia, d' antichità sacra e pro-
fana, di letteratura, d'arti e d'altro.
— E come mai, dirà codesto lettore, tante opere sono
dimenticate, o almeno cosi poco conosciute, così poco ri-
cercate? Come mai, con tanto ingegno, con tanto stu-
dio, con tanta pratica degli uomini e delle cose , con
tanto meditare, con tanta passione per il buono e per
il bello, con tanto candor d'animo, come tant' altre di
quelle qualità che fanno il grande scrittore, questo, in
cento opere, non ne ha lasciata neppur una di quelle
che son ripetute insigni anche da chi non le approva
in tutto, e conosciute di titolo anche da chi non le legge?
Come mai, tutte insieme, non sono bastate a procurare,
almeno col numero , al suo nome una fama letteraria
presso noi posteri? —
La domanda è ragionevole senza dubbio, e la que-
stione molto interessante ; perchè le ragioni di questo
fenomeno si troverebbero con 1' osservar molli fatti gè-
CAPITOLO XXM. 403
nerali : e trovale, condurrebbero alla spiegazione di più
altri fenomeni simili. Ma sarebbero molte e prolisse : e
poi se non v'andassero a genio? se vi facessero arric-
ciare il naso? Sicché sarà meglio che riprendiamo il filo
della storia, e che, in vece di cicalar più a lungo in-
torno a quest'uomo, andiamo a vederlo in azione, con
la guida del nostro autore.
FI^'K DEI. IMUMO VoLlIMIC.
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Manzoni , Alessandro
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I promessi sposi
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