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Full text of "I promessi sposi : storia milanese del secolo XVII"

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I  PROMESSI  SPOSI 


STORIA    MILANESE    DEL    SEGOLO    XVII 


SCOPEnTA  E  RIFATTA 


ALESSANDRO  MANZONI 


SCSTi     ED^ilO^■E    DELL  ALTURE 


STORIA 

DELLA  COLONNA  INFAME 


Ql'lNTA   EDIZIONE   DELL  Al'TOBE 


VOL.  I. 


LÌ 


MILANO 

TlI'UGHAFl.V    Iti    (JIUSEl'PE    lìEUAELH 
1856. 


I  Q5é 
i,  I 


INTRODUZIONE. 


•  //  hisitoria  si  può  veramente  deffinire  vna  guerra  illn^lre  contro  il 
Tempo,  perchè  logUendoU  di  mano  gl'anni  suoi  prigionieri ,  anzi  già 
falli  cadaaeri ,  li  richiama  in  vita,  li  passa  in  rassegna ,  e  li  scliiera  di 
nuovo  in  battaglia.  Ma  gV  illustri  Campioni  che  in  tal  Arringo  fanno 
mes-ie  di  Palme  e  d'Allori ,  rapiscono  solo  che  le  sole  spoglie  piii  sfar- 
zose e  brillanti,  imbalsamando  co'  loro  inchiostri  le  Imprese  de  Prencipi 
e  Potentati,  e  qualificali  Personaggi .  e  traponlando  coli' ago  finissimo 
dell'ingegno  i  fili  d'oro  e  di  seta,  che  formano  un  perpetuo  ricamo  di 
Altioni  gloriane.  Però  alla  mia  debolezza  non  èjecilo  sollcuarsi  a  taTar- 
gomenti,  e  sublimità  pericolose,  con  aggirarsi  tra  Labirinti  de'  Politici 
maneggi,  et  il  rimbombo  de' bellici  Oricalchi:  solo  che  hauendo  hauuto 
nolilia  di  fatti  memorabili ,  se  ben  capitorno  a  gente  meccaniche,  e  di 
picrol  ajfare  ,  mi  accingo  di  lasciarne  memoria  a  Posteri,  con  far  di 
tallo  schiena  e  genuinamente  il  Racconto  ,  onucro  sia  Relalione.  Nella 
quale  si  vedrà  in  angusto  Teatro  luttuose  Traggedic  d'horrori^  e  scene 
di  malvaggilà  grandiosa,  con  inlermezi  d'Imprese  virtuose  e  buontà  an- 
geliche,  opposte  alle  operationi  diaboliche.  E  veramente,  considerando 
che  questi  nostri  climi  sijno  sotto  V amparo  del  Re  Caltolico  nostro  S- 
gnore,  che  è  quel  Sole  che  mai  tramonta,  e  che  sopra  di  essi,  con  rilìesso 
Lume,  qual  Luna  giamai  ca tante  ,  risplnda  l' Ueroe  di  nobil  Prosapia 


6  I>TR0DrZ10>T- 

ehe  prò  tempore  ne  tiene  U  Pie  parti,  e  gr  Amplissimi  Senatori  quali 
StiOe  /£*«,  e  ijraltri  Spettabili  Jiagisfrah  fiwr?rro»fi  Ptawli  ^owfcia 
la  bure  per  ogni  doue,  venendo  così  a  forcare  m  m&tiUtsimo  C«to,  al- 
ira  tmaale  trovuzr  non  »  p«ó  del  vederlo  immutato  w»  inferno  «f  atti 
ieiuknsi,maivaggità  e  sevitie  che  dagV  huomini  temeTarij  u  vanno  mol- 
1^6csmiOj  se  non  se  arte  e  fiittwa  diabolica,  attesoché  rianmama  mali- 
Ua  per  sé  sola  bastar  non  dourebòe  a  resistere  a  tanti  Berci,  che  «m 
9tdùj  d'Argo  e  braccj  di  Briareo ,  si  vanno  tralficando  per  li  pubblici 
emthimmti.  Per  lacchè  descrrwmdo  questo  Racconto  amtenuto  ne'  tempi 
a  wùa  terée  sta§fime ,  abbenché  la  più.  parte  delle  persone  che  vi  rap- 
fmeulam»  le  Isr» farti,  sijno  sparite  dalla  Scena  del  Mondo,  con  ren- 
éersi  frAaier^  OOk  PanMe,  pare  fer  defmi  rispetti,  si  tacerà  K  loro 
marni,  àoè  la  fomfeta,  et  a  wteéemo  ti  perà  de'  Iwxhi ,  solo  indicando 
fi  Territorij  geiieralher.  Ifé  alano  dira  qmesta  sij  imperfettione  del  Rac- 
amia,  e  éeg&rmOà  di  fasto  ano  rozzo  Parto,  a  aiflto  questo  tale  Cri- 
Se»  Boa  sii  fonamm  afaito  diggmna  della  Filoso/hi  :  che  quanto  agrhuo- 
ami  m  ena  tersati,  bea  tederammo  mdla  wtancare  alla  sostanza  di  detta 
marra^ome.  Im^ereioedù ,  essendo  cosa  evidente ,  e  da  verun  negala  non 
essere  i  nomi  se  man  puri  jntrissimi  accidenti . . . .  > 

—  Ma,  qnaiMio  io  avrò  darata  l'eroica  fatica  di  trascriver  innesta  sti  ria 
da  questo  dilavato  e  graffiato  autografo,  e  l'avrò  data,  come  si  suol  dire, 
aBa  laee,  a  trorerà  poi  chi  dori  la  fatica  di  leggerla-?  — 

Questa  rìflessiDDe  dobitativa,  nata  nel  travaglio  del  decifrare  ano  sei- 
rabocekio  cfae  Tenira  dofto  aeeidenU,  mi  fece  sospender  la  copia,  e  pen- 
sar pia  soiaiBente  a  quello  che  convenisse  di  fare.  —  Ben  e  vero ,  di- 
eero  tra  me,  scartabellando  il  manoscritto,  ben  è  vero  che  quella  gramiinc 
di  oweettiBi  e  (fi  ^nre  doq  eaatiiraa  cosi  alla  distesa  per  tutu  l'opera. 
D  Imk»  secentista  ha  Totnio  sai  principio  mettere  in  mostra  la  sua  virtù; 
■a  poi,  nel  eorso  deOa  naira2ioae,  e  talvolta  pét^  longbi  tratti.  Io  stile 
fammina  ben  più  natnrale  e  più  piano.  Si  ;  ma  com'  é  dozzinale  !  com'è 
sgaaiato!  com'è  3-:orretto:  Idiotismi  lombardi  a  iosa,  frasi  della  lingua 
«loperate  a  spropiosito,  grammatica  arbitraria,  periodi  sgangherati.  E  poi, 
^akfaé  eleganza  spagnola  seminata  qtu  e  là  ;  e  p<3i,  cb'  è  peggio ,  ne' 
luoghi  più  tenibili  o  più  pietosi  della  storia,  a  ogni  occasione  d'eccitar 
■aravigtia,  o  di  far  pensare,  a  tatti  qoe'  passi  insomma  cbe  richieilono 
beasi  aa  po'  di  rettorica,  ma  reUùri«a  discreu,  fine,  di  buon  gusto,  co- 


INTRODUZIONE.  7 

sluì  non  manca  mai  di  metterci  di  quella  sua  così  fatta  del  proemio.  E 
allora,  accozzando,  con  un'abilità  mirabile,  le  qualità  più  opposte,  trova 
la  maniera  di  riuscir  rozzo  insieme  e  alTellato,  nella  stessa  pagina,  nello 
stesso  periodo,  nello  stesso  vocabolo.  Ecco  qui:  declamazioni  ampollose 
composte  a  forza  di  solecismi  pedestri ,  e  da  per  tutto  quella  goffaggine 
ambiziosa,  ch'é  il  proprio  carattere  degli  scritti  di  quel  secolo,  in  questo 
paese.  In  vero,  non  é  cosa  da  presentare  a  lettori  d'oggigiorno:  son 
troppo  ammaliziati ,  troppo  disgustati  di  questo  genere  di  stravaganze. 
Meno  male,  che  il  buon  pensiero  m'é  venuto  sul  principio  di  questo 
sciagurato  lavoro  ;  e  me  ne  lavo  le  mani.  — 

Nell'atto  però  di  chiudere  lo  scartafaccio,  per  riporlo,  mi  sapeva  mal(ì 
che  una  storia  così  bella  dovesse  rimanersi  tuttavia  sconosciuta;  perché, 
in  quanto  storia,  può  essere  che  al  lettore  ne  paia  altrimenti,  ma  a  me 
era  parsa  bella,  come  dico;  molto  bella.  —  Perché  non  si  potrebbe,  pen- 
sai ,  prender  la  serie  de'  fatti  da  questo  manoscritto ,  e  rifarne  la  dici- 
tura? —  Non  essendosi  presentato  alcuna  obiezion  ragionevole,  il  par- 
tito fu  subito  abbracciato.  Ed  ecco  l'origine  del  presente  libro,  esposta 
con  un'ingenuità  pari  all'importanza  del  libro  medesimo. 

Taluni  però  di  que'  fatti,  certi  costumi  descritti  dal  nostro  autore, 
e' eran  sembrati  cosi  nuovi,  cosi  strani,  per  non  dir  peggio,  che,  prima 
di  prestargli  fede ,  abbiam  voluto  interrogare  altri  testimoni  ;  e  ci  siam 
messi  a  frugar  nelle  memorie  di  ijuel  tempo,  per  chiarirci  se  veramente 
il  mondo  camminasse  allora  a  quel  modo.  Una  tale  indagine  dissipò  tutti 
i  nostri  dubbi:  a  ogni  passo  ci  abbattevamo  in  cose  consimili,  e  in  cose 
più  forti:  e,  quello  che  ci  parve  più  decisivo,  abbiam  perfmo  ritrovali 
alcuni  personaggi ,  de'  quali  non  avendo  mai  avuto  notizia  fuor  che  dal 
nostro  manoscritto,  eravamo  in  dubbio  se  fossero  realmente  esistiti.  E, 
all'occorrenza,  citeremo  alouna  di  (luelle  testimonianze,  per  procacciar 
fede  alle  cose,  alle  quali,  per  la  loro  stranezza,  il  lettore  sarebbe  più 
tentato  di  negarla. 

Ma,  rifiutando  come  intollerabile  la  dicitura  del  nostro  autore,  che  di- 
citura vi  abbiam  noi  sostituita?  Qui  sta  il  punto. 

Chiunque,  senza  esser  preg.ito,  s'intromette  a  rifar  l'opera  altrui, 
s'espone  a  rendere  uno  stretto  conto  della  sua,  e  ne  conlrae  in  certo 
modo  l'obbligazione:  é  questa  una  regola  di  fatto  e  di  diritto,  alla  quale 
non  prelendiam  punto  di  sottrarci.  Anzi ,  per  conl'onuarci  ad  essa  di 


8  INTRODUZIONE. 

buon  grailo,  avcvam  proposto  di  dar  qui  minulamfnlc  rafriono  del  modo 
di  scrivere  da  noi  tenuto;  e,  a  questo  fine,  siamo  anriaii,  pfr  lutto  il 
tempo  del  lavoro,  cercando  d'indovinare  le  critiche  possibili  e  contin- 
genti, con  intenzione  di  ribatterlo  tutte  anticipatamente.  Ne  in  questo 
sarebbe  stata  la  difdcoltà  ;  giacché  (dobbiam  dirlo  a  onor  del  vero)  non 
ci  si  presentò  alla  mente  una  critica ,  che  non  le  venisse  insieme  una 
risposta  trionfante,  di  quelle  risposte  che,  non  dico  risolvon  le  questioni, 
ma  le  mutano.  Spesso  anche,  mettendo  due  critiche  alle  mani  tra  loro, 
le  facevam  battere  l'una  dall'altra;  o,  esaminandole  ben  a  fondo,  riscon- 
trandole attentamente,  riuscivamo  a  scoprire  e  a  mostrare  che,  cosi  op- 
poste in  apparenza,  eran  perù  d'uno  stesso  genere,  nascevan  totl'e  due 
dal  non  badare  ai  fatti  e  ai  principi  su  cui  il  giudizio  doveva  esser  fon- 
dato, e  messele,  con  loro  gran  sorpresa,  insieme,  le  mandavamo  insieme 
a  spasso.  Non  ci  sarebbe  mai  stato  autore  che  provasse  cosi  ad  evidenz.i 
d'aver  fatto  bene.  Ma  che?  quando  siamo  stati  al  punto  di  raccapezzar 
tutte  le  dette  obiezioni  e  risposte,  per  disporle  con  qualche  ordine,  mi- 
sericordia! venivano  a  fare  un  libro.  Veduta  la  qual  cosa,  abbia m  me.sso 
da  parte  il  pensiero,  per  due  ragioni  che  il  lettore  troverà  certamente 
buone:  la  prima,  che  un  libro  impiegato  a  giustificarne  un  altro,  anzi 
lo  stile  d'un  altro,  potrebbe  parer  cosa  ridicola:  la  seconda,  che  di  li- 
bri basta  uno  per  volta,  quando  non  è  d'  avanzo. 


1  PIIOAIESSI  SPOSI 


CAPITOLO  PRIMO. 


Qiiol  rnmo  del  la^'o  di  C<jmo.  elio  volgo  n  mozzo.Qiorno, 
tra  due  catene  non  interrotte  di  monti,  tutto  a  soni  e 
a  golfi,  a  seconda  dello  sporgere  e  del  rientrare  di  qnelli, 
vien,  qnnsi  a  un  tratto,  a  ristringersi,  e  a  prender  corso 
e  figura  di  fiume,  tra  un  promontorio  a  dosti'a,  e  un'am- 
pia costiera  dall'altra  parte:  e  il  ponte,  che  ivi  congiunge 
le  due  rive,  par  che  renda  ancor  più  sensibile  all'oc- 
chio questa  trasformazione,  e  segni  il  punto  in  cui  il 
lago  cessa,  e  l'Adda  rincomincia,  per  ripigliar  poi  nome 
di  lago  dove  le  rive,  allontanandosi  di  nuovo,  lascian 
l'acqua  distendersi  e  rallentarsi  in  nuovi  golfi  e  in  nuovi 
seni.  La  costiera,  formata  dal  deposito  di  tre  grossi  lor- 
renti ,  scende  appoggiata  a  due  monti  contigui,  Tiuio 
detto  di  san  Martino,  l'altro,  con  voce  lombarda,  il  Jh>- 
sefjone,  dai  molti  suoi  cocuzzoli  in  fila,  che  in  vero  lo 
fanno  somigliare  a  una  sega:  talché  non  è  chi,  al  primo 
vederlo,  purché  sia  di  fronte,  come  per  esempio  di  su 
le  mura  di  Milano  che  guardano  a  setlonlrione.  non  lo 
discerna  tosto,  a  un  lai  contrassegno,  in  ((uella  lunga  e 
vasta  giogaia,  dagli  altri  monti  di  nome  piìt  oscuro  e 
di  forma  più  comune.  Per  un  buon  [tezzo,  la  costa  sale 


10  1  PROMESSI  SPOSI 

con  un  pendio  lento  e  continuo;  poi  si  rompe  in  poggi 
e  in  valloncelli,  in  erte  e  in  {spianate,  secondo  l'ossatura 
de'  due  monti,  e  il  lavoro  dell' acque.  Il  lembo  estremo, 
taglialo  dalle  foci  de'  torrenti,  è  quasi  tutto  ghiaia  e 
ciùttoloni;  il  resto,  campi  e  vigne,  sparse  di  terre,  di 
ville,  di  casali;  in  qualche  parte  boschi,  che  si  prolun- 
gano su  per  la  montagna.  Lecco,  la  principale  di  quelle 
terre,  e  che  dà  nome  al  territorio,  giace  poco  discosto 
dal  ponte,  alla  riva  del  lago,  anzi  viene  in  parte  a  tro- 
varsi nel  lago  stesso,  quando  questo  ingrossa:  un  gran 
borgo  al  giorno  d'oggi,  e  che  s'incammina  a  diventar 
città.  Ai  tempi  in  cui  accaddero  i  fatti  che  prendiamo 
a  raccontare,  quel  borgo,  già  considerabile,  era  anche 
un  castello,  e  aveva  perciò  l'onore  d'alloggiare  un  co- 
mandante, e  il  vantaggio  di  possedere  una  stabile  guar- 
nigione di  soldati  spagnoli,  che  insegnavan  la  modestia 
alle  fanciulle  e  alle  donne  del  paese ,  accarezzava n  di 
tempo  in  tempo  le  spalle  a  qualche  marito,  o  a  qualche 
padre;  e,  sul  finir  dell'estate,  non  mancavan  mai  di 
spandersi  nelle  vigne,  per  diradar  l'uve,  e  alleggerire 
a'  conladini  le  fatiche  della  vendemmia.  Dall'  una  all'altra 
di  quelle  terre,  dall'alture  alla  riva,  da  un  poggio  al- 
l'altro, correvano,  e  corrono  tuttavia,  strade  e  stradette, 
pili  0  men  ripide,  o  piane;  ogni  tanto  alTonJate  ,  se- 
polle  tra  (Ine  muri,  donde,  alzando  lo  sguartlo,  non  isco- 
prile  che  un  pezzo  di  cielo  e  qualche  vetta  di  monte; 
ogni  tanto  elevate  su  terrapieni  aperti;  e  da  qui  la  vi- 
sta spazia  per  prospetti  più  o  meno  estesi,  ma  ricchi 
sempre  e  sempre  qualcosa  nuovi,  secondo  che  i  diversi 
punti  piglian  più  o  meno  della  vasta  scena  circostante, 
e  secondo  che  questa  o  (juella  parte  campeggia  o  si 
scorcia,  spunta  o  sparisce  a  vicenda.  Dove  un  pezzo,  dove 
un  altro,  dove  una  lunga  distesa  di  quel  vasto  e  variato 
specchio  dell'acqua;  di  qua- lago,  chiuso  all'estremità  o 
piuttosto  smarrito  in  un  griqipo,  in  un  andirivieni  di 
montagne,  e  di  mano  in  mano  più  allargato  Ira  altri 
monti  che  si  spiegano,  a  uno  a  uno,  allo  sguardo,  e 


CAPITOLO   I.  il 

cho  l'acqua  riflotte  capovoUi,  co'  pacsctli  posti  sulle 
rive;  di  là  braccio  di  lìume,  poi  lago,  poi  fiume  ancora, 
che  va  a  perdersi  in  lucido  serpeggiamento  pur  tra'  monti 
che  l'accompagnano,  degradando  via  via,  e  perdendosi 
quasi  anch'essi  nell'orizzonte.  11  luogo  stesso  da  dove 
contemplate  quo'  vari  spettacoli,  vi  fa  spettacolo  da  ogni 
parte:  il  monte  di  cui  passeggiate  le  falde ^  vi  svolge, 
al  di  sopra,  d'intorno,  le  sue  cime  e  le  balze,  distinte, 
rilevate,  mutabili  quasi  a  ogni  passo,  aprendosi  e  con- 
tornandosi in  gioghi  ciò  che  v'era  semiorato  prima  un 
sol  giogo,  e  cora[)arendo  in  vetta  ciò  che  poco  innanzi 
vi  si  rappresentava  sulla  costa:  e  l'ameno,  il  domestico 
di  quelle  falde  tempera  gradevolmente  il  selvaggio,  e  orna 
vie  pii^i  il  magnitìco  dell'altre  vedute. 

Per  una  di  queste  stradicciole,  tornava  bel  bello  dalla 
passeggiata  verso  casa,  sulla  sera  del  giorno  7  novembre 
dell'anno  1628,  don  Abbondio,  curato  d'una  delle  terre 
accennate  di  sopra  :  il  nome  di  questa,  nò  il  casato  del 
personaggio,  non  si  Irovan  nel  manoscritto,  nò  a  que- 
sto luogo  nò  altrove.  Diceva  tranquillamente  il  suo  ufizio, 
e  talvolta,  tra  un  salmo  e  l'altro,  chiudeva  il  breviario, 
lenendovi  dentro,  per  segno,  T  indice  della  mano  destra, 
e,  messa  poi  questa  nell'altra  dietro*le  schiena,  prose- 
guiva il  suo  cammino,  guardando  a  terra  ,  e  buttando 
con  un  piede  verso  il  muro  i  ciottoli  che  facevano  in- 
cianqìo  nel  sentiero:  i)oi  alzava  il  viso,  e,  girati  oziosa- 
mente gli  occhi  all'intorno,  li  fissava  alla  parte  di  un 
monte,  dove  la  luce;  del  sole  già  scomparso,  scappando 
per  i  fessi  del  monte  opposto,  si  dipingeva  qua  e  là  sui 
massi  sporgenti,  come  a  larghe  e  inuguali  pezze  di  ()or- 
pora.  Aperto  poi  di  nuovo  il  breviario,  e  recitato  un  altro 
squarcio,  giunse  a  una  voltata  della  stradetta ,  dov'era 
solito  d'alzar  sem[)re  gli  occhi  dal  libro,  (;  di  guar- 
darsi dinanzi:  e  così  fece  anche  (juel  giorno.  Uopo  la 
voltata,  la  strada  correva  diritta,  forse  un  sessanta  passi, 
e  poi  si  divideva  in  due  viottole,  a  foggia  d'un  ipsilon: 
quella  a  destra  saliva  verso  il  monte,  e  menava  alla  cura: 


12  I    PROMESSI   SPOSI 

■  r.'illra  srcndova  nella  valle  fino  a  un  torrente:  e  da 
questa  parte  il  muro  non  arrivava  che  all' anche  del  pas- 
sep'.iriero.  I  muri  interni  delle  due  viottole,  in  vece  di 
riiuiirsi  ad  angolo,  terminavano  in  un  tabernacolo,  sid 
quale  eran  dipinte  certe  figure  lunghe,  serpeggianti,  ciie 
finivano  in  punta,  e  che,  neh' intenzion  dell'artista,  e 
agli  occhi  degli  abitanti  del  vicinato,  volevan  dir  fiamme; 
e,  alternate  con  le  fiamme,  cert' altre  figure  da  non  po- 
tersi descrivere,  che  volevan  dire  anime  del  purgatorio: 
anime  e  fiamme  a  color  di  mattone,  sur  un  fondo  bigio- 
gnolo, con  qualche  scalcinatura  qua  e  là.  Il  curato,  vol- 
tala la  stradetta,  e  dirizzando,  com'era  solito,  lo  sguardo 
al  tabernacolo,  vide  una  cosa  che  non  s'aspettava  e  che 
non  avrebbe  voluto  vedere.  Due  uomini  stavano,  l'uno 
dirimpetto  all'altro,  al  confluente,  per  dir  così,  delle  due 
viottole:  un  di  costoro,  a  cavalcioni  sul  muricciolo  basso, 
con  una  gamba  spenzolata  al  di  fuori,  e  l'altro  piede 
posato  sul  terreno  della  strada:  il  compagno,  in  piedi, 
appoggialo  al  muro,  con  le  braccia  incrociate  sul  petto. 
L'abito,  il  portamento,  e  quello  che,  dal  luogo  ov'era 
giunto  il  curato,  si  poteva  distinguer  dell'aspetto,  non 
lasciavan  dubbio  intorno  alla  lor  condizione.  Avevano 
entrambi  intorno  al  capo  una  reticella  verde,  che  cadeva 
suir  omero  sinistro,  terminata  in  una  gran  nappa,  e  dalla 
quale  usciva  sulla  fronte  un  enorme  ciulTo:  due  lunghi 
mustacchi  arricciati  in  punta:  una  cintura  lucida  di 
cuoio,  e  a  quella  attaccate  due  pistole:  un  piccol  corno 
ripieno  di  polvere,  cascante  sul  petto,  come  una  collana: 
un  manico  di  coltellaccio  che  spuntava  fuori  d'un  ta- 
schino degli  ampi  e  gonfi  calzoni,  uno  spadone,  con 
una  gran  guardia  traforata  a  lamine  d'ottone,  conge- 
gnate come  in  cifra,  forbite  e  lucenti  ;  a  prima  vista  si 
davano  a  conoscere  per  individui  della  specie  de'  bravi. 
Questa  specie,  ora  del  tutto  perduta,  era  allora  flori- 
dissima in  Lombardia,  e  già  molto  antica.  Chi  non  ne 
avesse  idea,  ecco  alcuni  squarci  autenlii'i.  che  potranno 
darne  una  bastante  de'  suoi  caratteri  principali ,   degli 


CAI'ITUI.U    1.  13 

siov/À  latii  por  ispegiicila.  e  della  sua  dura  e  l'igogliusa 
vitalità. 

Fino  dalTH  aprile  dell'anno  1583,  i"  illustrissimo  ed 
Eccellentissimo  signor  don  Carlo  d'Aragon  Principe  di 
Castelvetrano,  Duca  di  Terranuova,  .Marchese  d'Avola, 
Conte  di  Burgcto,  grande  Ammiraglio,  e  gran  Conte- 
slabile  di  Sicilia,  Governatore  di  Milano  e  Capitan  Ge- 
nerale di  Sua  Maeslcà  Cattolica  in  Italia,  pienamente  in- 
foi'ìitiito  della  intollerabile  miseria  in  che  è  virnfa  e  vive 
lineata  Città  di  MiUuio,  per  caijione  dei  bravi  e  raijahondi. 
pubblica  un  bando  contro  di  essi.  Dichiara  e  di/finisce 
tutti  coloro  essere  compresi  in  questo  bando,  e  doversi 
ritenere  bravi  e  vaijabondi .  .  .  i  quali,  essendo  forestieri 
0  del  paese,  noìi  hanno  esercizio  alcuno,  od  avendolo, 
non  lo  fanno  ....  ma  senza  salario,  o  pur  con  esso, 
s' apporjijiano  a  qualche  cavaliere  o  gentiluomo,  officiale 
0  mercante  ....  per  fargli  spalle  e  favore,  o  veramente, 
come  si  può  presumere,  per  tender  insidie  ad  altri ..... 
A  tutti  costoro  ordina  che,  nel  termine  di  giorni  sei, 
abbiano  a  sgomberare  il  paese,  intima  la  galera  a'  re- 
nitenti, e  dà  a  tutti  gli  ufliziali  della  giustizia  le  [im 
sti'anamenle  ain[)ie  e  iudelinite  facoltà,  per  l'esecuzione 
delTordiue.  Ma  nell'anno  seguente,  il  li2  aprile,  scur- 
gendu  il  detto  signore,  che  questa  Città  è  tuttavia  piena 
di  detti  bravi  ....  tornati  a  vivere  come  prima  vivevano, 
non  punto  mutato  il  costume  loro,  né  scemato  il  numero. 
dà  fuori  uu'alli'a  grida,  ancor  più  vigorosa  e  notabile, 
nella  (pi.ile.  tra  l'altre  ordinazioni,  prescrive: 

Che  iiualsivoijUa  persona,  così  di  questa  Città,  come  fo- 
restiera, che  per  due  testimonj  consterà  esser  tenuto,  e  co- 
mìinemente  riputalo  per  bravo,  et  aver  tal  nome,  nncor- 
cliè  n<m  si  verifichi  aver  fatto  delillo  alcuno  ....  pei' 
questa  sola  riputazione  di  bravo,  senza  altri  indi' j,  possa 
dui  detti  ijiudici  e  da  ognuno  di  loro  esser  posto  alla 
corda  et  al  tinincnlo ,  per  processo  informativo  .  ...  et 
ancorchi'  non  confessi  delitto  alcuno .  tuttavia  sia  man- 
ddlo  alla  (jalai,  per  detto  triennio,  per  la  sola  opinione 


14  I    l'IJU.MKSSl   SPOSI 

e  nome  ili  hvavo,  come  di  sopra.  Tulio  ciò,  e  il  di  più 
che  si  Iralascia,  pcirliè  Sna  Eccellenza  è  risoluta  di  voler 
essere  obbedita  da  ornano. 

All'udir  parole  d'un  tanto  signore,  cosi  gagliarde  e 
sicure,  e  accompagnate  da  tali  ordini,  viene  una  gran 
voglia  di  credere  che,  al  solo  rimbombo  di  esse,  tulli 
i  bravi  siano  scomparsi  por  sempre.  Ma  la  te.>limonian- 
za  d'  un  signore  non  meno  autorevole,  nò  meno  dotato 
di  nomi,  ci  obbliga  a  credere  tutto  il  contrario.  È  que- 
sti r  lUus+rissimo  ed  Eccellentissimo  Signor  Juan  Fer- 
nandez  de  Yelasco,  Contestabile  di  Castiglia,  Cameriero 
maggiore  di  Sua  Maestà,  Duca  della  Città  di  Frias,  Conte 
di  Haro  e  Castelnovo,  Signore  della  Casa  di  Yelasco.  e 
di  quella  delli  sette  Infanti  di  Lara,  Governatore  dello 
Stato  di  Milano,  etc.  Il  5  giugno  dell'anno  1593,  piena- 
mente informato  anche  lui  di  quanto  danno  e  rovine 
sieno . . . .  i  bravi,  e  vagabondi,  e  del  pessimo  effetto  che 
tal  sorta  di  gente  fa  contra  il  ben  pubblico,  et  in  delti- 
sione  della  giustizia,  intima  loro  di  nuovo  che,  nel  ter- 
mine di  giorni  sei,  abbiano  a  sbrattare  il  paese,  ripe- 
tendo a  un  dipresso  le  prescrizioni  e  le  minacce  medesi- 
me del  suo  predecessore.  Il  23  maggio  poi  dell'anno  1398, 

informato,  con  non  poco  dispiacere  dell' animo  suo.  che 

(igni  dì  pili  in  questa  Città  e  Stato  va  crescendo  il  nunnno 
di  questi  tali  (bravi  e  vagabondi)  né  di  loro,  giorno  e 
notte,  altro  si  sente  che  ferite  appostatamente  date,  orni- 
cidii  e  ruberie  et  ogni  altra  qualità  di  delitti,  ai  quali  si 
rendono  più  facili,  confidati  essi  bravi  d'essere  aiutati  dai 
capi  e  fautori  loro prescrive  di  nuovo  gli  stessi  ri- 
medi, accrescendo  la  dose,  come  s'usa  nelle  malattie  osti- 
nate. Ognuno  dunque,  conchiude  poi,  onninamente  si 
guardi  di  contravvenire  in  parte  alcuna  alla  grida  pre- 
sente, perchè ,  in  luogo  di  provare  la  clemenza  di  Sua  Ec- 
cellenza, proverà  il  rigore,  e  Vira  sua essemlo  riso- 
luta e  determinata  che  questa  sia  V  ultima  e  perentoria 
monizione. 

Non  fu  però   di  questo  parere  l'Illustrissimo  ed  Ec- 


CAPITOLO   I.  15 

cellentissimo  Signore,  il  Signor  Don  Pietro  Enri(iiiez  de 
Acevedo,  Con  le  di  Fuentes,  Capitano,  e  Governatore  dello 
Stato  di  Milano  ;  non  fu  di  questo  parere,  e  per  buone 
ragioni.  Pìcììamcìttc  'Diformato  della  miseria  in  che  rive 
quesla  Città  e  Stato  per  cagione  del  gran  numero  di  braci 

che  in  esso  abbonda e  risoluto  di  totalamente  estirpare 

seme  tanto  pernizioso,  dà  fuori  il  5  decembre  1600,  una 
nuova  grida  piena  anch'  essa  di  severissime  commina- 
zioni, con  fermo  proponimento  che.  con  ogni  rigore,  e  senza 
speranza  di  remissione,  siaìio  onninamente  eseguite. 

Convien  credere  perù  che  non  ci  si  mettesse  con  tutta 
quella  buona  voglia  che  sapeva  impiegare  nelFordir  ca- 
bale, e  nel  suscitar  nemici  al  suo  gran  nemico  Enrico  IV; 
giaccliè  per  quesla  parte,  la  storia  attesta  come  riuscisse 
ad  armare  contro  quel  re  il  duca  di  Savoia,  a  cui  fece 
perder  più  d'una  città;  come  riuscisse  a  far  congiurare 
il  duca  di  Biron,  a  cui  fece  perder  la  testa  ;  ma,  per  ciò 
che  riguarda  quel  seme  tanto  pernizioso  de'  bravi,  certo 
è  che  esso  continuava  a  germogliare,  il  22  settembre 
dcU'anno  1012.  In  quel  giorno  F  Illustrissimo  ed  Eccel- 
lentissimo Signore.  Don  Giovanni  de  Mondezza,  Marchese 
de  la  Hynojosa,  Gentiluomo  etc.  Governatore  etc,  pensò 
seriamente  ad  estirparlo.  A  qucst' effetto,  spedi  a  Pan- 
dolt'o  e  Marco  Tullio  Malatesti,  stampatori  regi  camerali, 
la  solila  grida,  corretta  ed  accresciuta.  ])erchè  la  stam- 
jtassero  ad  esterminio  de'  bravi.  Ma  questi  vissero  ancora 
per  ricevere,  il  24  decembre  dell'anno  1018,  gli  stessi 
e  più  forti  colpi  dall'Illustrissimo  ed  Eccellentissimo  Si- 
gnore, il  Signor  Don  Gomez  Suarez  de  Figueroa,  Duca 
di  Feria,  eie.  Governatore,  etc.  Però  non  essendo  essi 
morti  n('p|)iu' di  (|ueHi.  T  llluslrissinìo  ed  Kcccllenlissimo 
Signore,  il  Signor  Gonzalo  Fernaiidez  di  Cordova,  sotto 
il  cui  governo  accadde  la  passeggiata  di  don  Abbondio, 
s'era  trovato  costretto  a  ricorreggere  e  ripubblicare  la 
solita  grida  contro  i  bravi,  il  giorno  5  ottobre  1027,  cioè 
un  anno,  un  mese  e  i\i\t'  '/\ov\\\  prima  di  iincI  inemo- 
raliilc  jjvxcninK'iilo. 


10  l   l'UOMESSI   SI-OSI 

NÒ  Tu  (|uosl;i  riiHima  i)iil)l)licazioMc;  ina  noi  delle  po- 
steriori  non  crediamo  dover  far  menzione,  come  di  cosa 
clic  esce  dal  periodo  della  nostra  storia.  Ne  accenneremo 
soltanto  una  del  13  febbraio  dell'anno  1G32,  nella  qnalo 
r  Illustrissimo  ed  Eccellentissimo  Signore,  d  Dnqm  de 
Fcriii,  per  la  seconda- volta  govcrnalore.  ci  avvisa  clie  le 
ìiKUjijiori  scdkratjfjinl  procedono  dn  qutdli  die  dtkiniaiiu 
bravi.  Questo  basta  ad  assicurarci  che.  nel  tempo  di  cui 
noi  trattiamo,  c'era  de'  bravi  tuttavia. 

Che  i  due  descritti  di  sopra  stessero  ivi  ad  aspettar 
qualchednno,  era  cosa  troppo  evidente;  ma  quel  che  piij 
dispiacque  a  don  Abl)ondio  fu  il  dover  accorgersi,  per 
certi  atti,  che  raspollato  era  lui.  Perchè  al  suo  apparire, 
coloro  s'eran  guardati  in  viso,  alzando  la  testa,  con  un 
movimento  dal  quale  si  scorgeva  che  tuli'  e  due  a  un 
tratto  avevan  detto:  è  lui;  quello  che  stava  a  cavalcioni 
s'era  alzalo,  tirando  la  sua  gamba  sulla  strada;  l'altro 
s'era  staccalo  dal  muro;  e  tutfe  due  gli  s'avviavano  in- 
contro. Egli,  lenendosi  sempre  il  breviario  aperto  dinanzi, 
come  se  leggesse,  spingeva  lo  sguardo  in  su,  per  ispiar 
le  mosse  di  coloro;  e  vedendoseli  venir  proprio  incon- 
tro, fu  assalito  a  un  ti'alto  da  mille  pensieri.  Domandò 
subito  in  fretta  a  sé  slesso,  se,  tra  i  bravi  e  lui,  ci  fosse 
(pialche  liscila  di  slrada,  a  deslra  o  a  sinistra;  e  gli  sov- 
venne subito  di  no.  Fece  un  rapido  esame,  se  avesse 
peccato  contro  qualche  potente,  contro  qualclie  vendica- 
tivo; ma,  anche  in  quel  turbamento,  il  testimonio  con- 
solante della  coscienza  lo  rassicurava  ahpianto:  i  bravi 
però  s'avvicinavano,  guardandolo  lìsso.  Mise  1"  indice  e 
il  medio  della  mano  sinistra  nel  collare,  come  per  rac- 
comodarlo; e,  girando  le  due  dita  intorno  al  collo,  vol- 
geva intanto  la  faccia  all' indietro,  torcendo  insieme  la 
bocca,  e  guardando  con  la  coda  dell'occhio,  fin  dove 
poteva,  se  qualcbedimo  arrivasse;  ma  non  vide  nessuno. 
Diede  un'occhiaia,  al  di  sopra  del  muricciolo,  ne'  campi: 
nessuno;  un' altra  più  modesta  sulla  slrada  dinanzi:  nes- 
suno, fuorché  i  liia\i.  Che  fare?  tornare  indietro,  non 


CAPITOLO   I.  17 

era  a  tempo:  darla  a  gambe,  era  lo  stesso  che  dire,  in- 
seguitemi, 0  peggio.  Non  potendo  schivare  il  pericolo, 
vi  corse  incontro,  perchè  i  momenti  di  quell'incertezza 
erano  allora  cosi  [)enosi  per  lui,  clic  non  desiderava  al- 
tro che  d'abhreviarli.  Atìrettò  il  passo,  recitò  un  versetto 
a  voce  più  alta,  compose  la  faccia  a  tutta  quella  quiete 
e  ilarità  che  potè,  fece  ogni  sforzo  per  preparare  un  sor- 
riso; quando  si  trovò  a  fronte  dei  due  galantuomini, 
disse  mentalmente:  ci  siamo;  e  si  fermò  su  due  piedi. 
«  Signor  curato,  »  disse  un  di  que'  due,  piantandogli 
gli  occhi  in  faccia. 

«  Cosa  comanda  "?  »  rispose  subito  don  Abbondio,  al- 
zando i  suoi  dal  libro,  che  gli  restò  spalancato  nelle  mani, 
come  sur  un  leggio. 

t  Lei  ha  intenzione,  >  proseguì  Taltro,  con  l'atto  mi- 
naccioso e  iracondo  di  chi  coglie  un  suo  inferiore  sul- 
r intraprendere  una  ribalderia,  »  lei  ha  intenzione  di  ma- 
ritar domani  Renzo  Tramaglino  e  Lucia  Mondella  !  » 

«  Cioè »  rispose,  con  voce  tremolante,  don  Ab- 
bondio: 1  cioè.  Lor  signori  son  uomini  di  mondo,  e 
sanno  benissimo  come  vanno  queste  faccende.  Il  povero 
curato  non  c'entra:  fanno   i  loro  pasticci   tra  loro,  e 

poi e  poi,  vengon  da  noi,  come  s'andrebbe  a  un 

banco  a  riscotere;  e  noi noi  siamo  i  servitori  del 

comune.  » 

«  Or  bene.  »  gli  disse  il  bravo,  all'orecchio,  ma  in 
tono  solenne  di  comando,  «questo  matrimonio  non  s'Iia 
da  fare,  né  domani,  né  mai.  » 

<  Ma,  signori  miei,  »  replicò  don  Abbondio,  con  la 
voce  mansueta  e  gentile  di  chi  vuol  persuadere  un  im- 
paziente, «  ma,  signori  miei,  si  degnino  di  mettersi  ne' 
miei  panni.  Se  la  cosa  dipendesse  da  me,...  vedon  bene 
che  a  m.c  non  me  ne  vien  nulla  in  tasca » 

«  Orsù,  »  interruppe  il  bravo,  «  se  la  cosa  avesse  a 
decidersi  a  ciarle,  WÀ  ci  metterebbe  in  sacco.  Noi  non 
ne  sappiamo,  nò  vogliam  saperne  di  più.  IJoir.o  avvertito .... 
lei  e'  intende.  » 


18  1   PROMESSI   SPOSI 

«  Ma  lor  signori  son  troppo  giusti,  troppo  ragione- 
voli ....  » 

«  Ma,  "  interruppe  questa  volta  l'altro  compapfnone. 
che  non  aveva  parlato  fin  allora,  «  ma  il  matrisnonio  non 
si  farà,  o  . . . .  "  e  qui  una  buona  bestemmia.  «  o  chi 
Io  farà  non  se  ne  pentirà,  perchè  non  ne  avrà  tempo, 
e »   un'  altra  bestemmia. 

«  Zitto,  zitto,  »  riprese  il  primo  oratore,  «  il  signor 
curato  è  un  uomo  che  sa  il  viver  del  mondo;  e  noi 
Siam  galantuomini,  cìie  non  vogliam  fargli  del  male, 
purché  abbia  giudizio.  Signor  curato,  1"  illustrissimo  si- 
gnor don  Rodrigo  nostro  padrone  la  riverisce  caramente.» 

Questo  nome  fu,  nella  mente  di  don  Abbondio,  come, 
nel  forte  d'un  temporale  notturno,  un  lampo  che  illu- 
mina momentaneamente  e  in  confuso  gli  oggetti,  e  ac- 
cresce il  terrore.  Fece,  come  per  istinto,  un  grand' in- 
chino, e  disse:   «  se  mi  sapessero  suggerire. ...» 

*  Ohi  suggerire  a  lei  cìie  sa  di  latino!  »  interruppe 
ancora  il  bravo,  con  un  riso  tra  lo  sguaiato  e  il  feroce. 
«  A  lei  tocca.  E  sopra  tutto  ,  non  si  lasci  uscir  parola 
su  questo  avviso  che  le  alibiam  dato  per  suo  bene:  al- 
trimenti  ehm sarebbe  lo  stesso  che  fare  quel  tal 

matrimonio.  Via,  che  vuol  che  si  dica  in  suo  nome  al- 
l'illustrissimo signor  don  Rodrigo?  » 

«  Il  mio  rispetto  ....  » 

«  Si  spieghi  meglio  !  ^ 

t Disposto disposto  sempre  all'ubbidienza.  » 

E  proferendo  queste  parole,  non  sajìcva  nemmen  lui  se 
faceva  una  promessa ,  o  un  complimento.  I  bravi  le 
presero ,  o  mosfraron  di  prenderle  nel  significato  più 
.serio. 

«  Benissimo,  e  buon.i  notte,  messere,  »  disse  Ttui 
d'essi,  in  atto  di  partir  col  compagno.  Don  Abbondio, 
che,  pochi  momenti  jirima,  avrebbe  dato  un  occhio  per 
scansarli,  allora  avrebbe  voluto  prolungar  la  conversa- 
zione e  le  trattative.  «Signori »  cominciò,  chiudendo 

il  libro  con  le  due  mani;  ma  quelli,  senza  più  dargli 


CAPITOLO  ì,  19 

iKÌionzn,  presero  la  strnda  dond'era  lui  venuto,  e  s'al- 
lontanarono .  cantando  una  canzonaccia  che  non  voglio 
trascrivere.  Il  povero  don  A1)hondio  rimase  un  momento 
a  bocca  aperta,  come  incantato;  poi  prese  rpiella  delle 
due  stradette  che  condnceva  a  casa  sua,  meltendo  in- 
nanzi a  stento  una  gamba  dopo  l'altra,  che  parevano  ag- 
granchiate. Come  stesse  di  dentro,  s'intenderà  meglio, 
quando  avrem  detto  rpialche  cosa  del  suo  naturale,  e  de' 
tempi  in  cui  gli  era  toccato  di  vivere. 

Don  Abbondio  (il  lettore  se  n'ò  già  avveduto)  non  era 
nato  con  un  cuor  di  leone.  Ma,  fin  da'  primi  suoi  anni, 
aveva  dovuto  comprendere  che  la  peggior  condizione,  a 
que"  tempi,  era  quella  d'un  animale  senza  artigli  e  senza 
zanne,  e  che  pure  non  si  sentisse  inclinazione  d'esser 
divorato.  La  forza  legale  non  proteggeva  in  alcun  conto 
Tuomo  tranquillo,  inolTensivo,  e  che  non  avesse  altri 
mezzi  di  far  paura  altrui.  Non  già  che  mancassero  leggi 
e  pene  contro  le  violenze  private.  Le  leggi  anzi  diluvia- 
vano: i  delitti  erano  enumerati,  e  particolareggiati,  con 
miiuita  prolissità:  le  pene,  pazzamente  esorbitanti  e,  sa 
non  basta,  aumentabili,  quasi  per  ogni  caso,  ad  arbitrio 
del  legislatore  stesso  e  di  cento  esecutori;  le  procedure, 
studiate  soltanto  a  liberare  il  giudice  da  ogni  cosa  che 
potesse  essergli  d'  impedimento  a  proferire  una  con- 
danna :  gli  squarci  che  al»biam  riportati  delle  gride  con- 
tro i  bravi,  ne  sono  un  piccolo,  ma  fedel  saggio.  Con 
tutto  ciò,  anzi  in  gran  parte  a  cagion  di  ciò,  quelle 
gi"ide,  ripubblicate  e  rinforzale  di  governo  in  governo, 
non  servivano  ad  altro  che  ad  attestare  ampollosamenle 
rim|)otenza  de' loro  autori;  o,  se  producevan  (pialche 
elTcIto  inunediato,  era  i)rinci[)almente  d'aggiunger  molle 
vessazioni  a  quelle  che  i  paciiìci  e  i  deboli  già  solTri- 
vano  da'  perturbatori,  e  d'accrescer  le  violenze  e  l'astu- 
zia di  questi.  L' impunità  era  organizzata,  e  aveva  radici 
che  1(^  gride  non  toccavano,  o  non  |)olevano  smovere. 
Tali  eran  gli  asili,  tali  i  privilegi  d'alcune  classi,  in 
parte  riconosciuti   dalla   forza  legale,   in   i)arte  tollerati 


20  I   PROMESSI   SPOSI 

con  aslioso  silenzio,  o  impugnati  con  vane  proteste,  ma 
sostenuti  in  fatto  e  difesi  da  quelle  classi,  con  attività 
(F  interesse,  e  con  gelosia  di  puntiglio.  Ora,  qucst' ini- 
fìunità  minacciata  e  insultata,  ma  non  distrutta  dalle 
gride,  doveva  naturalmente,  a  ogni  minaccia,  e  a  ogni 
insulto,  adoperar  nuovi  sforzi  e  nuove  invenzioni,  per 
conservarsi.  Cosi  accadeva  in  effetto;  e,  all'apparire  delle 
gride  dirette  a  comprimere  i  violenti,  questi  cercavano 
nella  loro  forza  reale  i  nuovi  mezzi  pii!i  op|iorluni,  per 
continuare  a  far  ciò  che  le  gride  venivano  a  proibire. 
Potevan  ben  esse  inceppare  a  ogni  passo,  e  molestare 
l'uomo  bonario,  che  fosse  senza  forza  propria  e  senza 
protezione;  perchè  col  fine  d'aver  sotto  la  mano  ogni 
uomo,  per  prevenire  o  per  punire  ogni  delitto,  assog- 
gettavano ogni  mossa  del  privato  al  volere  arbitrario  d'e- 
secutori d'ogni  genere.  Ma  chi,  prima  di  commettere  il 
delitto,  aveva  prese  le  sue  misure  per  ricoverarsi  a  tempo 
in  un  convento,  in  un  palazzo,  dove  i  birri  non  avrebber 
mai  osato  metter  piede;  chi,  senz'altro  precauzioni,  por- 
tava una  livrea  che  impegnasse  a  difenderlo  la  vanità  e 
l'interesse  d'una  famiglia  potente,  di  tutto  un  ceto,  era 
libero  nelle  sue  operazioni,  e  poteva  ridersi  di  tutto  quel 
fracasso  delle  gride.  Di  quegli  stessi  ch'eran  deputati  a 
farle  eseguire,  alcuni  appartenevano  per  nascita  alla  parte 
j)i'ivilegiata,  alcuni  ne  dipendevano  per  clientela;  gli  uni 
e  gli  altri,  per  educazione,  per  interesse,  per  consuetu- 
dine, per  imitazione,  ne  avevano  abbracciate  le  massime. 
e  si  sarebbero  ben  guardati  dall' olfenderle,  per  amor 
d'un  pezzo  di  carta  attaccato  sulle  cantonate.  Gli  uomini 
poi  incaricati  dell'esecuzione  immediata,  quando  fossero 
stati  intraprendenti  come  eroi,  ubbidienti  come  monaci, 
e  pronti  a  sacrificarsi  come  martiri,  non  avrebber  però 
potuto  venirne  alla  Une,  inferiori  com'eran  di  numero 
a  quelli  che  si  trattava  di  sottomettere,  e  con  una  gran 
probabilità  d'essere  abbandonati  da  chi,  in  astratto  e, 
l)er  così  dire,  in  teoria,  inijioneva  loro  di  operare.  Ma, 
oltre  di  ciò,  costoro  eran  generalmente  de' più  abbietti 


C.VPITOLO   T.  21 

c  ribnUli  soggetti  del  loro  tempo;  l'incarico  loro  era  te- 
nuto a  vile  anche  di  quelli  che  potevano  averne  terrore, 
e  il  loro  titolo  un  ini|)roperio.  Era  quindi  ben  naturale 
che  costoro,  in  vece  d'arrischiare,  anzi  di  gettar  la  vita 
in  un'impresa  disperata,  vendessero  la  loro  inazione,  o 
anche  la  loro  connivenza  ai  potenti,  e  si  riservassero  a 
esercitare  la  loro  esecrata  autorità  e  la  forza  che  pure 
avevano,  in  quelle  occasioni  dove  non  c'era  pericolo; 
neiroppi'imer  cioè,  e  nel  vessare  gli  uomini  pacilìci  e 
senza  difesa. 

L'uomo  che  vuole  offendere,  o  che  teme,  ogni  mo- 
mento, d'essere  olTeso,  cerca  naturalmente  alleati  e  com- 
pagni. Quindi  era,  in  que' tempi,  portata  al  massimo 
punto  la  tendenza  degl'individui  a  tenersi  collegati  in 
classi,  a  formarne  delle  nuove,  e  a  procurare  ognuno  la 
maggior  potenza  di  quella  a  cui  apparteneva.  Il  clero 
vegliava  a  sostenere  e  ad  estendere  le  sue  immunità,  la 
nohiUà  i  suoi  privilegi,  il  mUitare  le  sue  esenzioni.  I 
mercanti,  gli  artigiani  erano  arrotati  in  maestranze  e  in 
confraternite,  i  giurisperiti  formavano  una  lega,  i  medici 
stessi  una  corporazione.  Ognuna  di  queste  piccole  oligar- 
chie aveva  una  sua  forza  speciale  e  propria;  in  ognuna 
l'individuo  trovava  il  vantaggio  d'impiegar  per  sé,  a 
proporzione  della  sua  autorità  e  della  sua  destrezza,  le 
forze  riunite  di  molti.  I  più  onesti  si  valevan  di  questo 
vantaggio  a  difesa  soltanto;  gli  astuti  e  i  facinorosi  ne 
approfittavano,  per  condurre  a  termino  i-ihalderie,  alle 
quali  i  loro  mezzi  personali  non  sarehber  bastati,  e  per 
assicurai'sene  l'impiuiità.  Le  forze  però  di  ((ueste  varie 
leghe  eran  molto  disuguali;  e,  nelle  campagne  ])rinci- 
pahnente,  il  nobile  dovizioso  e  violento,  con  intorno  uno 
stuolo  di  bravi,  e  una  popolazione  di  contadini  avvezzi, 
per  tradizione  famigliare,  e  interessati  o  forzati  a  riguar- 
darsi quasi  come  sudditi  e  soldati  ilei  jiadrone,  eserci- 
tava un  potere,  a  cui  dilìicilmenle  nessun' altra  frazione 
di  lega  avrebbe  ivi  potuto  resistere. 

Il  nostro  Abbondio,  non  nobile,  ikhi  i'ìcciì,  coraggioso 


^2  I    PROMESSI   SPOSI 

ancor  meno,  s'era  dunque  accorto,  primi  quasi  di  toccar 
•^li  anni  della   discrezione,  d'essere,  in    quella  società, 
come  un  vaso  di  terra  cotta,  costretto  a  viaggiare  in  com- 
pagnia (li  molti  vasi  di  ferro.  Aveva  quindi,  assai  di  buon 
grado,  ubbidito  ai  parenti,  clic  lo  vollero  prete.  Per  dir 
la  verità,  non  aveva  gran  fatto  pensato  agii  obbligbi  e 
ai  nobili  fini  del  ministero  al  quale  si  dedicava:  procac- 
ciarsi di  cbe  vivere  con  qualcbe  agio,  e  mettersi  in  una 
classe  riverita  e  forte,  gli  eran  sembrate  due  ragioni  più 
cbe  sufiìcienti  per  una   tale  scelta.  Ma   una  classe  qua- 
lunque non  protegge  un  individuo,  non  lo  assicura,  die 
fino  a  un  certo  segno:  nessuna  lo  dispensa  dal  farsi  un 
suo  sistema  particolare.  Don  Abbondio,  assorbito  conti- 
nuamente ne' pensieri  della  propria  quiete,  non  si  curava 
di  que' vantaggi,  per  ottenere   i  quali,  facesse   bisogno 
d'adoperarsi  molto,  o  d'arrischiarsi  un  poco.  Il  suo  si- 
stema consisteva  principalmente  nello  scansar  tutti  i  con- 
trasti, e  nel  cedere,  in  quelli  cbe  non   poteva  scansare. 
Neutralità  disarmata  in  tutle  le  guerre  che  scoppiavano 
intorno  a  lui,  dalle  contese,  allora  frequentissime,  tra  il 
clero  e  le  podestà  laiche,  tra  il  militare  e  il  civile,  tra 
nobili  e  nobili,  fino  alle  questioni  tra  due  contadini,  nate 
da  una  parola,  e  decise   coi  pugni  o  con  le  coltellate, 
se  si  trovava  assolutamente  costretto  a  prender  parte  tra 
due  contendenti,  slava  col   più   forte,  sempre  però  alla 
retroguardia,  e  procurando  di  far  vedere  all'altro  ch'egli 
non  gli  era  volontariamente  nemico:  pareva  cbe  gli  di- 
cesse: ma  perchè  non  avete  saputo  esser  voi  il  più  forte? 
ch'io  mi  sarei  messo  dalla  vostra  parte.  Stando  alla  larga 
da' prepotenti,  dissimulando  le  loro  soverchierie  passeg- 
giere  e  capricciose,  corrispondendo  con   sommissioni  a 
quelle  che  vx^nissero  da  un'intenzione  più   seria  e  più 
meditata,  costringendo,   a   forza  d'inchini  e  di  rispetto 
gioviale,   anche  i   più  burberi  e  sdegnosi,   a  fargli  un 
sorriso,  ((uando  gl'incontrava  per  la  strada,  il  pover'uomo 
era  riuscito  a  passare  i  sessanl'anni,  senza  gran  bur- 
rasclie. 


CAPITOLO    1.  23 

Non  ò  però  che  non  avesse  nnclie  lui  il  suo  po'  di 
fiele  in  corpo:  e  quel  conti  uno  esercitar  la  pa/.ienza, 
qnel  dar  cosi  spesso  ragione  agli  altri,  qne'  tanti  bocconi 
amari  inghiottiti  in  silenzio,  glielo  avevano  esacerbato  a 
segno  che.  se  non  avesse,  di  tanto  in  tanto,  potuto  dargli 
nn  po'  di  sfogo,  la  sua  salute  n'avrebbe  certamente  sof- 
ferto. Ma  siccome  v'eran  poi  finalmente  al  mondo,  e  vi- 
cino a  lui,  pr'rsone  ch'egli  conosceva  ben  bene  per  in- 
capaci di  far  male,  così  poteva  con  quelle  sfogare  qualche 
volta  il  mal  umore  lungamente  represso,  e  cavarsi  anche 
lui  la  voglia  d'essere  nn  po' fantastico',  e  di  gridare  a 
torto.  Era  poi  un  rigido  censore  degli  uomini  che  non 
si  regolavan  come  lui.  quando  però  la  censura  potesse 
esercitarsi  senza  alcuno,  anche  lontano,  pericolo.  Il  bat- 
tuto era  almeno  almeno  nn  imprudente;  l'ammazzato 
era  sempre  stato  un  uomo  torbido.  A  chi,  messosi  a 
sostener  le  sue  ragioni  contro  un  potente,  rimaneva  col 
capo  rotto,  don  Abbondio  sapeva  trovar  sempre  qualche 
torto,  cosa  non  dilTicile,  perchè  la  ragione  e  il  torto  non 
si  dividon  mai  con  un  taglio  cosi  netto,  che  ogni  parto 
abbia  soltanto  dell'uno  o  dell'altro.  Soi)ra  tutto  poi,  de- 
clamava contro  que'suoi  confratelli  che,  a  loro  rischio, 
prendevan  le  parti  d'un  debole  oppresso,  contro  un  so- 
verchiatore potente.  Questo  chiamava  un  comprarsi  gì'  im- 
picci a  contanti,  un  voler  raddrizzar  le  gambe  ai  cani; 
diceva  anche  severamente,  ch'era  un  mischiarsi  nelle 
cose  profane,  a  danno  della  dignità  del  sacro  ministero. 
E  contro  questi  predicava,  sempre  però  a  (juattr' occhi, 
0  in  un  piccolissimo  crocchio,  con  tanto  più  di  veemenza, 
(pianto  più  essi  eran  conosciuti  per  alieni  dal  risentirsi, 
in  cosa  che  li  toccasse  pers(ìnalinente.  Aveva  poi  una 
sua  sentenza  prediletta,  con  la  quale  sigillava  sempre  i 
discorsi  su  queste  materie:  che  a  un  galantuomo,  il 
quale  badi  a  sé,  e  stia  ne' suoi  panni,  non  accadon  mai 
brutti  incontri. 

Pensino  ora  i  miei  venlicinqiu;  lettori  che  impressione 
dovesse  fare  sull'animo  del  |)overetto  ,  (piello  che  s'è 


24  I    PROMESSI   SPOSI 

racconlnlo.  Lo  spavento  di  quo'  visacci  e  di  lineilo  pa- 
rolaccie,  la  minaccia  d'un  signore  nolo  per  non  minac- 
ciare invano,  un  sistema  di  quieto  vivere,  ch'era  costalo 
tanti  anni  di  studio  e  di  pazienza,  sconcertato  in  un 
punto,  0  un  passo  dal  quale  non  si  poteva  veder  come 
uscirne;  lutti  questi  pensieri  ronzavano  lumultuariamenle 
nel  capo  basso  di  don  Abbondio.  —  Se  Renzo  si  potesse 
mandare  in  pace  con  un  bel  no,  via;  ma  vorrà  delle 
ragioni;  e  cosa  ho  da  rispondergli,  per  amor  del  cielo? 
E,  e,  e,  anche  costui  è  una  testa:  un  agnello  se  nes- 
sun lo  tocca,  ma  se  uno  vuol  contraddirgli....  ih!  E 
poi,  e  poi,  perduto  dietro  a  quella  Lucia,  innamorato 
come  ....  Ragazzacci,  che,  per  non  saper  che  fare,  s'in- 
namorano, voglion  maritarsi,  e  non  pensano  ad  altro; 
non  si  fanno  carico  de'  travagli  in  che  mettono  un  po- 
vero galantuomo.  Oh  povero  mei  vedete  se  quelle  due 
figuracele  dovevan  proprio  piantarsi  sulla  mia  strada,  e 
prenderla  con  mei  Che  c'entro  io?  Son  io  che  voglio 

maritarmi?  Perchè  non  son  andati  piuttosto  a  parlare 

Oh  vedete  un  poco:  gran  destino  è  il  mio,  che  le  cose 
a  proposito  mi  vengan  sempre  in  mente  un  momento 
dopo  l'occasione.  Se  avessi  pensato  di  suggerir  loro  che 
andassero  a  portar  la  loro  ambasciata —  Ma,  a  que- 
sto punto,  s'accorse  che  il  pentirsi  di  non  essere  stalo 
consigliere  e  cooperatore  dell'iniquità  era  cosa  troppo 
iniqua;  e  rivolse  tutta  la  stizza  de' suoi  pensieri  contro 
quell'altro  che  veniva  così  a  togliergli  la  sua  pace.  Non 
conosceva  don  Rodrigo  che  di  vista  e  di  fama,  uè  aveva 
mai  avuto  che  far  con  lui,  altro  che  di  toccare  il  petto 
col  mento,  e  la  terra  colla  punta  del  suo  cappello,  quelle 
poche  volte  che  l'aveva  incontrato  per  la  strada.  Gli  era 
occorso  di  difendere,  in  più  d' un'occasione,  la  riputa- 
zione di  quel  signore,  contro  coloro  che,  a  bassa  voce, 
sospirando,  e  alzando  gli  occhi  al  cielo,  maledicevano 
qualche  suo  fatto  :  aveva  dello  cento  volle  ch'era  un  ri- 
s])ettabile  cavaliere.  Ma,  in  quel  momento,  gli  diede  in 
cuor  suo  tulli  (pie'  titoli  che  non  aveva  mai  udilo  ap- 


CAPITOLO  I.  25 

plicargli  da  altri,  senza  interrompere  in  fretta  con  un 
oibò.  Giunto,  tra  il  tumuUo  di  questi  pensieri,  alla  porta 
di  casa  sua,  eh'  era  in  fondo  del  paesello,  mise  in  fretta 
nella  toppa  la  chiave ,  che  già  teneva  in  mano;  aprì, 
entrò,  richiuse  diligentemente,  e,  ansioso  di  trovarsi  in 
una  compagnia  fidata,  chiamò  subito:  «Perpetua!  Per- 
petua! »,  avviandosi  pure  verso  il  salotto,  dove  questa 
doveva  esser  certamente  ad  apparecchiar  la  tavola  per 
la  cena.  Era  Perpetua,  come  ognun  se  n'avvede,  la  serva 
di  don  Abbondio:  serva  affezionata  e  fedele,  che  sapeva 
ubbidire  e  comandare,  secondo  l'occasione,  tollerare  a 
tèmpo  n  brontolìo  e  le  fantasticaggini  del  padrone,  e  far- 
gli a  tempo  tollerar  le  proprie,  che  divenivan  di  giorno 
in  giorno  più  frequenti,  da  che  avea  passata  l'età  sino- 
dale dei  quaranta,  rimanendo  celibe,  per  aver  rifiutati 
tutti  i  partiti  che  le  si  erano  offerti,  come  diceva  lei,  o 
per  non  aver  mai  trovato  un  cane  che  la  volesse,  come 
dicevan  le  sue  amiche. 

«  Vengo,  »  rispose,  mettendo  sul  tavolino,  al  luogo 
solito,  il  fiaschetto  del  vino  prediletto  di  don  Abbondio, 
e  si  mosse  lentamente;  ma  non  aveva  ancor  toccata  la 
soglia  del  salotto,  eh'  egli  v'  entrò,  con  un  passo  così  le- 
gato ,  con  uno  sguardo  così  adombrato,  con  un  viso 
così  stravolto^  che  non  ci  sarebbero  nemmen  bisognati 
gli  occhi  esperti  di  Perpetua,  per  isco|)rire  a  prima  vista 
che  gli  era  accaduto  qualche  cosa  di  straordinario  davvero. 

«  Misericordia!  cos'ha,  signor  padrone?  » 

«  Niente,  niente,  »  rispose  don  Abbondio,  lasciandosi 
andar  tutto  ansante  sul  suo  seggiolone. 

«  Come,  niente?  La  vuol  dare  ad  intendere  a  me? 
così  brutto  com'è?  Qualche  gran  caso  è  avvenuto.  » 

«  Oh,  per  amor  del  cielo!  Quando  dico  niente,  o  è 
niente,  o  è  cosa  che  non  posso  dire.  » 

«  Che  non  può  dir  neppure  a  me?  Chi  si  prenderà 
cura  della  sua  salute?  Chi  le  darà  un  parere?....» 

«  Ohimè!  tacete,  e  non  apparecchiate  altro:  datemi 
un  bicchier  del  mio  vino.  » 


26  I  PROMESSI  SPOSI 

«  E  lei  mi  vorrà  sostenere  che  non  hn  niente!  »  disse 
Porpetua,  empiendo  il  l)iccliicro,  e  lenendolo  poi  in  mano, 
come  se  non  volesse  darlo  che  in  premio  della  confi- 
denza che  si  faceva  tanto  aspettare. 

«  Date  qui,  date  qui,  »  disse  don  Abbondio,  pren- 
dendole il  bicchiere,  con  la  mano  non  ben  ferma;  e  vo- 
tandolo poi  in  fretta,  come  se  fosse  una  medicina. 

8  Yuol  dunque  ch'io  sia  costretta  di  domandar  qua 
e  là  cos'è  accaduto  al  mio  padrone?  »  disse  Perpetua, 
ritta  dinanzi  a  lui,  con  le  mani  arrovesciate  sui  fìanclii, 
e  le  gomita  appuntate  davanti,  guardandolo  fisso,  quasi 
volesse  succhiargli  dagli  occhi  il  segreto. 

«  Per  amor  del  cielo!  non  fate  pettegolezzi,  non  fate 
schiamazzi:  ne  va  ...  .  ne  va  la  vita!  > 

«  La  vita!  » 

«  La  vita.  » 

«  Lei  sa  bene,  che  ogni  volta  che  m'ha  detto  qual- 
che cosa  sinceramente,  in  confidenza,  io  non  ho  mai ...» 

«  Brava!  come  quando  ....  » 

Perpetua  s'  avvide  d'aver  toccalo  un  tasto  falso;  onde, 
cambiando  subito  il  tono ,  «  signor  padrone  ,  »  disse,, 
con  voce  commossa  e  da  commovere,  «  io  le  sono  sem- 
pre stata  affezionata;  e,  se  ora  voglio  sapere,  è  per  pre- 
mura, perchè  vorrei  poterla  soccorrere,  darle  un  buon 
[•arere,  sollevarle  l'animo  ....  » 

Il  fatto  sta  che  don  Abbondio  aveva  forse  .tanta  voglia 
di  scaricarsi  del  suo  doloroso  segreto,  quanta  ne  avesse 
Perpetua  di  conoscerlo  :  onde,  dopo  aver  respinti  sempre 
pii!i  debolmente  i  nuovi  e  più  incalzanti  assalti  di  lei , 
dopo  averle  fatto  più  d'una  volta  giurare  che  non  fia- 
lereltbe,  finalmente,  con  molle  sospensioni,  con  molti 
ohimè,  le  raccontò  il  miserabile  caso.  Quando  si  venne 
al  nome  terribile  del  mandante,  bisognò  che  Perpetua 
proferisse  un  nuovo  e  più  solenne  giuramento;  e  don 
Abbondio,  pronunziato  quel  nome,  si  rovesciò  sulla 
spalliera  della  seggiola ,  con  un  gran  sospiro ,  alzando 
le  mani  in  atto  insieme  di  comando  e  di  supplica,  e  di- 
cendo:  e  per  amor  del  cielo!  » 


CAPITOLO   1.  27 

«  Delle  sue!  »   esclamò  Perpetua.   «  Oh  che  birbone! 
oh  che  soverchiatore  !  0  che  uomo  senza  timor  di  Dio!^ 
«  Volete  tacere?  o  volete  rovinarmi  del  lutto"?  » 
«  Oh!  slam  qui  soli  che  nessun   ci  sente.  Ma  come 
farà,  povero  signor  padrone?» 

«  Oh  vedete,  »  disse  don  Abbondio,  con  voce  stizzosa  : 
«  vedete  che  bei  pareri  mi  sa  dar  costei!  Viene  a  do- 
mandarmi come  farò,  come  farò;  quasi  fosse  lèi  nell'im- 
piccio, e  toccasse  a  me  levamela.  » 

«  Ma!  io  l'avrei  bene  il  mio  povero  parere  da  darle; 
ma  poi  ....  » 

«  Ma  poi,  sentiamo.  » 

«  Il  mio  parere  sarebbe  che,  siccome  tutti  dicono  che 
il  nostro  arcivescovo  è  un  sant'  uomo ,  e  un  uomo  di 
polso,  e  che  non  ha  paura  di  nessuno,  e  quando  può 
fare  star  a  dovere  un  di  questi  prepotenti,  per  soste- 
nere un  curato,  ci  gongola;  io  direi,  e  dico  che  lei  gli 
scrivesse  una  bella  lettera,  per  informarlo  come  qual- 
mente ....  » 

1  Volete  tacere?  volete  tacere?  Son  pareri  codesti  da 
dare  a  un  pover'uomo?  Quando  mi  fosse  toccata  una 
schioppettata  nella  schiena,  Dio  hberi  !  l'arcivescovo  me 
la  leverebbe?  " 

«  Eh!  le  schioppettate  non  si  danno  via  come  con- 
fetti; e  guai  se  questi  cani  dovessero  mordere  tutte  le 
volte  che  abbaiano!  E  io  ho  sempre  veduto  che  a  chi 
sa  mostrare  i  denti,  e  farsi  stimare,  gli  si  porta  rispetto; 
e,  appunto  perchè  lei  non  vuol  mai  dir  la  sua  ragione, 
Siam  ridotti  a  segno  che  tutti  vengono,  con  licenza  a  ...  » 
«  Volete  tacere?  » 

«  Io  taccio  subito;  ma  è  però  certo  che,  quando  il 
mondo  s'accorge  che  uno,  sempre,  in  ogni  incontro,  ò 
pronto  a  calar  le  .  . ,.  .  » 

«  Volete  tacere?  È  tempo  ora  di  dir  codeste  bag- 
gianate? >■> 

«  Basta:  ci  penserà  questa  notte;  ma  intanto  non 
cominci  a  farsi  male  da  sé,  a  rovinarsi  la  salute;  mangi 
un  boccone.  » 


28  I   PROMESSI   SPOSI,  CAPITOLO  I. 

«  Ci  penserò  io,  »  rispose,  brontolando,  don  Abbon- 
dio: «  sicuro;  io  ci  penserò,  io  ci  ho  da  pensare.  »  E 
s'alzò,  continuando:  «  non  voglio  prender  niente;  niente; 
ho  altra  voglia:  lo  so  anch'io  che  tocca  a  pensarci  a 
me.  Ma  !  la  doveva  accader  per  1'  appunto  a  me.  » 

«  Mandi  almen  giù  quesf  altro  gocciolo,  »  disse  Per- 
petua, mescendo.  «  Lei  sa  che  questo  le  rimette  sem- 
pre lo  stomaco,  j 

«  Eh!  ci  vuol  altro,  ci  vuol  altro,  ci  vuol  altro.  » 

Cosi  dicendo,  prese  il  lume,  e,  brontolando  sempre: 
«  una  piccola  bagattella!  a  un  galantuomo  par  mio!  e 
domani  com' andrà?  »  e  altre  simili  lamentazioni,  s'av- 
viò per  salire  in  camera.  Giunto  su  la  soglia,  si  voltò  in- 
dietro verso  Perpetua ,  mise  il  dito  sulla  bocca ,  disse  , 
con  tono  lento  e  solenne:  «  per  amor  del  cielo!  »  e 
disparve. 


I 


CAPITOLO  II. 


Si  racconta  che  il  principe  di  Concie  dormi  profon- 
damente la  notte  avanti  la  giornata  di  Rocroi:  ma,  in 
primo  luogo,  era  molto  alTaticato;  secondariamente  aveva 
già  date  tutte  le  disposizioni  necessarie,  e  stabilito  ciò 
che  dovesse  fare,  la  mattina.  Don  Abbondio  in  vece  non 
sapeva  altro  ancora  se  non  che  l'indomani  sarebbe  giorno 
di  battaglia;  quindi  una  gran  parte  della  notte  fu  spesa 
in  consulte  angosciose.  Non  far  caso  delT  intimazione 
ribalda,  nò  delle  minaccio,  e  fare  il  matrimonio,  era  un 
partito,  che  non  volle  noppur  mettere  in  deliberazione. 
Confidare  a  Renzo  1'  occorrente,  e  cercar  con  lui  qualche 
mezzo  ....  Dio  liberi!  «  Non  si  lasci  scappar  parola  .... 
altrimenti  ....  cluii!  »  aveva  detto  uno  di  quei  bravi; 
e,  al  sentirsi  rimbombar  {[wcW ehìii!  nella  mente,  don 
Abbondio,  non  che  pensare  a  trasgredire  una  tal  legge, 
si  pentiva  anche  dell'aver  ciarlato  con  Perpetua.  Fug- 
gire? Dove?  E  poi!  Quant' impicci,  e  quanti  conti  da 
rendere!  A  ogni  partito  che  rifiutava,  il  pover'uomosi 
rivoltava  nel  letto.  Quello  che,  per  ogni  verso,  gli  parve 
il  meglio  0  il  men  mal(3,  fu  di  guadagnar  tempo,  me- 
nando Renzo  per  le  lunghe.  Si  rammentò  a   proposito, 


30  I   PROMESSI  SPOSI 

che  mancavan  pochi  giorni  al  tempo  proihito  per  le 
nozze;  —  e,  se  posso  tener  a  bada,  per  questi  pochi 
giorni,  quel  ragazzone,  ho  poi  due  mesi  di  respiro:  e, 
in  due  mesi,  può  nascer  di  gran  cose.  —  Ruminò  pre- 
testi da  metter  in  campo;  e,  benché  gli  paressero  un 
po'  leggieri,  pur  s'andava  rassicurando  col  pensiero  che 
la  sua  autorità  gli  avrebbe  fatti  parer  di  giusto  peso^ 
e  che  la  sua  antica  esperienza  gli  darebbe  gran  van- 
taggio sur  un  giovanetto  ignorante.  —  Vedremo,  —  di- 
ceva tra  se:  —  egli  pensa  alla  morosa;  ma  io  penso  alla 
pelle:  il  più  interessato  son  io,  lasciando  stare  che  sono 
il  più  accorto.  Figliuol  caro,  se  tu  ti  senti  il  bruciore 
addosso,  non  so  che  dire;  ma  io  non  voglio  andarne  di 
mezzo.  —  Fermato  così  un  poco  l'animo  a  una  delibe- 
razione, potè  finalmente  chiuder  occhio:  ma  che  sonno! 
che  sogni!  Bravi,  don  Rodrigo,  Renzo,  viottole,  rupi,  fu- 
ghe, inseguimenti,  grida,  schioppettate. 

Il  primo  svegliarsi,  dopo  una  sciagura,  e  in  un  im- 
piccio, è  un  momento  molto  amaro.  La  mente,  appena 
risentita,  ricorre  all'idee  abituali  della  vita  tranquilla 
antecedente;  ma  il  pensiero  del  nuovo  stato  di  cose  le 
si  afì'accia  subito  sgarbatamente;  e  il  dispiacere  ne  è  più 
vivo  in  quel  paragone  istantaneo.  Assaporato  dolorosa- 
mente questo  momento,  don  Abbondio  ricapilolò  subito 
i  suoi  disegni  della  notte,  si  confermò  in  essi,  gli  ordinò 
meglio,  s'alzò,  e  stette  aspettando  Renzo  con  timore  e, 
ad  un  tempo,  con  impazienza. 

Lorenzo  o,  come  dicevan  tutti,  Renzo  non  si  fece 
molto  aspettare.  Appena  gli  parve  ora  di  poter,  senza 
indiscrezione,  presentarsi  al  curato,  v'andò,  con  la  lieta 
furia  d'un  uomo  di  veni' anni,  che  deve  in  quel  giorno 
sposare  quella  che  ama.  Era,  fin  dall'  adolescenza,  rima- 
sto privo  de'  parenti,  ed  esercitava  la  professione  di  fi- 
latore di  seta,  ereditaria,  per  dir  cosi,  nella  sua  famiglia; 
professione,  negli  anni  indietro,  assai  lucrosa;  allora  già 
in  decadenza,  ma  non  però  a  segno  che  un  abile  ope- 
Fiuo  non  potesse  cavarne  di  che  vivere  onestamente.  Il 


CAPITOLO   II.  31 

lavoro  andava  di  giorno  in  giorno  scemando;  ma  l'emi- 
grazione continua  de' lavoranti,  attirati  negli  stali  vicini 
da  promesse,  da  privilegi  e  da  grosse  paghe,  feceva  sì 
che  non  ne  mancasse  ancora  a  quelli  che  rimanevano 
in  paese.  Oltre  di  questo,  possedeva  Renzo  un  poderetto 
che  faceva  lavorare  e  lavorava  egli  stesso,  quando  il  fi- 
latoio stava  fermo;  di  modo  che,  per  la  sua  condizione, 
poteva  dirsi  agiato.  E  quantunque  quell'annata  fosse  an- 
cor più  scarsa  delle  antecedenti,  e  già  si  cominciasse  a 
provare  una  vera  carestia,  pure  il  nostro  giovine,  che, 
da  quando  aveva  messi  gli  occhi  addosso  a  Lucia,  era 
divenuto  massaio,  si  trovava  provvisto  bastantemente,  e 
non  aveva  a  contrastar  con  la  fame.  Comparve  davanti 
a  don  Abbondio,  in  gran  gala,  con  penne  di  vario  co- 
lore al  cappello ,  col  suo  pugnale  del  manico  bello , 
nel  taschino  de' calzoni,  con  una  cert' aria  di  festa  e 
nello  stesso  tempo  di  braverìa,  comune  allora  anche  agli 
uomini  più  quieti.  L'accoglimento  incerto  e  misterioso 
di  don  Abdondio  fece  un  contrapposto  singolare  ai  modi 
gioviali  e  risoluti  del  giovinotto. 

—  Che  abbia  qualche  pensiero  per  la  testa.  —  argo- 
mentò Renzo  tra  se,  poi  disse;  «  son  venuto,  signor 
curato,  per  sapere  a  che  ora  le  comotla  che  ci  troviamo 
in  chiesa.  » 

«  Di  che  giorno  volete  parlare?  » 

«  Come,  di  che  giorno?  non  si  ricorda  che  s'è  fis- 
sato per  oggi?  » 

«  Oggi?  »  replicò  don  Abbondio,  come  se  ne  sentisse 
parlare  per  la  prima  volta.  «  Oggi ,  oggi ....  abbiate 
pazienza,  ma  oggi  non  posso.  » 

«  Oggi  non  può!  Cos'è  nato?  » 

1  Prima  di  tutto,  non  mi  sento  bene,  vedete.  • 

«  Mi  dispiace;  ma  (juello  che  ha  da  fare  ò  cosa  di 
così  poco  tempo,  e  di  così  poca  fatica..  .  » 

«  E  poi,  e  poi,  e  poi....  » 

«  E  poi  che  cosa?  » 

«  E  poi  c'è  dogli  imbrogli.  » 


3iì  1   PROMESSI    SPOSI 

«  Degli  imbrogli?  Che  imbrogli  ci  può  essere"?  » 

«  Bisognerebbe  trovarsi  nei  nostri  piedi,  per  conoscer 
quanti  impicci  nascono  in  queste  materie,  quanti  conti 
s' ha  da  rendere,  lo  son  troppo  dolce  di  cuore,  non 
penso  che  a  levar  di  mezzo  gli  ostacoli,  a  facilitar  tutto, 
a  far  le  cose  secondo  il  piacere  altrui,  e  trascuro  il  mio 
dovere;  e  poi  mi  tocca  de'  rimproveri,  e  peggio.  » 

^<  Ma  col  nome  del  cielo,  non  mi  tenga  così  .sulla 
corda,  e  mi  dica  chiaro  e  netto  cosa  e'  è.  >■> 

«  Sapete  voi  quante  e  quante  formalità  ci  vogliono 
per  fare  un  matrimonio  in  regola  ?  » 

«  Bisogna  ben  eh'  io  ne  sappia  qualche  cosa,  »  disse 
Renzo,  cominciando  ad  alterarsi,  a  poiché  me  ne  ha  già 
rotta  bastantemente  la  testa,  questi  giorni  addietro.  Ma 
ora  non  s'è  sbrigato  ogni  cosa?  non  s'è  fatto  tutto  ciò 
che  s'aveva  a  fare?  » 

•  Tutto,  tutto,  pare  a  voi:  perchè  abbiate  pazienza, 
la  bestia  son  io,  che  trascuro  il  mio  dovere,  per  non 

far  penare  la  gente.  Ma  ora basta,  so  quel  che  dico. 

Noi  poveri  curali  siamo  tra  l'ancudine  e  il  martello: 
voi  impaziente;  vi  compatisco,  povero  giovane;  e  i  su- 
periori—  basta,  non  si  può  dir  tutto.  E  noi  slam  queUi 
che  ne  andiam  di  mezzo.  » 

«  Ma  mi  spieghi  una  volta  cos'  è  quest'  altra  forma- 
lità che  s'ha  a  fare,  come  dice;  e  sarà  subilo  fatta.  » 

«  Sapete  voi  quanti  sieno  gì'  impedniienti  dirimenti?  » 

«  Che  vuol  ch'io  sappia  d'impedimenti?  » 

t  Error  ,  conditio ,  votum ,  cognatio  ,  crimen  , 
Cultus  disparitas,  vis,  ordo,  ligameu,  honeslas, 
Si  sis  affinis ....  » 
cominciava  don  Abbondio,  contando  sulla  punta  delle  dita. 

«  Si  piglia  gioco  di  me?  »  interruppe  il  giovine.  «  Che 
vuol  cb'io  faccia  del  suo  latinorum:^  » 

«  Dunque,  se  non  sapete  le  cose,  abbiate  pazienza,  e 
rimettetevi  a  chi  le  sa.  » 

»  Orsù! . . . .  T> 

«  Via ,  caro  Renzo ,  non  andate  in  collera ,  che  son 


CAPITOLO  11.  33 

pronto  a  fare....  tutto  quello  che  dipende  da  me.  Io, 

io  vorrei  vedervi  contento;  vi  voglio  bene  io.  Eh! 

quando  penso  che  stavate  così  bene;  cosa  vi  mancava? 
v'è  saltato  il  grillo  di  maritarvi....  » 

«  Che  discorsi  son  questi,  signor  mio?  »  proruppe 
Renzo,  con  un  volto  tra  l'attonito  e  l'adirato. 

«  Dico  per  dire,  abbiate  pazienza,  dico  per  dire.  Vor- 
rei vedervi  contento.  » 

«  In  somma  ....  » 

«  In  somma ,  figliuol  caro ,  io  non  ci  ho  colpa  ;  la 
legge  non  l'ho  fatta  io.  E  prima  di  conchiudere  un 
matrimonio ,  noi  slam  proprio  obbligati  a  far  molte  e 
molte  ricerche ,  per  assicurarci  che  non  ci  siano  impe- 
dimenti. » 

«  Ma  via,  mi  dica  una  volta  che  impedimento  è  so- 
pravvenuto ?  » 

«  Abbiate  pazienza,  non  son  cose  da  potersi  decifrare 
così  su  due  piedi.  Non  ci  sarà  niente,  così  spero;  ma, 
non  ostante ,  queste  ricerche  noi  le  dobbiam  fare.  Il 
testo  è  chiaro  e  lampante  :  antequam  matrunonium  de- 
nunciel ....  » 

«  Le  ho  detto  che  non  voglio  latino.  » 

«  Ma  bisogna  pur  che  vi  spieghi ....  » 

«  Ma  non  le  ha  già  fatte  queste  ricerche?  » 

«  Non  le  ho  fatte  tutte,  come  avrei  dovuto,  vi  dico.  » 

«  Perchè  non  le  ha  fatte  a  tempo?  perchè  dirmi  che 
tutto  era  finito?  perchè  aspettare ....  » 

«  Eccol  mi  rimproverato  la  mia  troppa  bontà.  Ho  fa- 
cilitato ogni  cosa   per  servirvi   più  presto  :  ma ma 

ora  mi  son  venute basta,  so  io.  » 

»  E  che  vorrebbe  eh'  io  facessi  ?  » 

«  Che  aveste  pazienza  per  ([ualche  giorno.  Figliuol 
caro,  qualche  giorno  non  è  poi  l'eternità:  abbiate  pa- 
zienza. » 

«  Per  quanto?  » 

—  Siamo  a  buon  porto,  —  pensò  tra  sé  don  Abbon- 
dio ;  e ,  con  un  l'are  più  manieroso  clie  mai  ,   «  via ,  » 


34  I   PROMESSI   SPOSI 

disse:  in  quindici  giorni  cercherò procurerò » 

«  Quindici  giorni!  oh  qucsla  sì  ch'è  nuova!  s'è  fallo 
tulio  ciò  che  ha  vokilo  lei;  s'è  fissato  il  giorno;  il  giorno 
arriva  ;  e  ora  lei  mi   viene  a  dire  che  aspelli  quindici 

giorni!  Quindici »   riprese  poi,  con  voce    più    alta 

e  stizzosa,  stendendo  il  hraccio,  e  battendo  il  pugno 
nell'aria;  e  chi  sa  qual  diavoleria  avrebbe  attaccata  a 
quel  numero,  se  don  Abbondio  non  l'avesse  interrotto, 
prendendogli  1'  alti'a  mano,  con  un'  amorevolezza  timida 
e  premurosa:  «  via,  via,  non  v'alterale,  per  amor  del 
cielo.  Vedrò,  cercherò  se,  in  una  settimana ....  » 

«  E  a  Lucia  che  devo  dire?  » 

«  Ch'  è  stato  un  mio  sbaglio.  » 

«  E  i  discorsi  del  mondo?  » 

«  Dite  pure  a  tutti,  che  ho  sbaglialo  io,  per  troppa 
furia,  per  troppo  buon  cuore:  gettate  tutta  la  colpa  ad- 
dosso a  me.  Posso  parlar  meglio?  via,  per  una  settimana.  » 

«  E  poi,  non  ci  sarà  più  altri  impedimenti?  » 

«  Quando  vi  dico ....  » 

«  Ebbene:  avrò  pazienza  per  una  settimana;  ma  ri- 
tenga bene  che,  passata  questa,  non  m'appagherò  più 
di  chiacchiere.  Intanto  la  riverisco.  »  E  cosi  detto,  se 
n'andò,  facendo  a  don  Abbondio  un  inchino  men  pro- 
fondo del  solilo,  e  dandogli  un'  occhiala  più  espressiva 
che  riverente. 

Uscito  poi,  e  camminando  di  mala  voglia,  per  la  prima 
volta,  verso  la  casa  della  sua  promessa,  in  mezzo  alla 
sti/.za,  tornava  con  la  mente  su  quel  colloquio;  e  sem- 
pre più  lo  trovava  strano.  L'accoglienza  fredda  e  im- 
picciata di  don  Abbondio,  quel  suo  parlare  stentato  in- 
sieme e  impaziente ,  que'  due  occhi  grigi  che ,  mentre 
parlava,  eran  sempre  andati  scappando  qua  e  là,  come 
se  avesser  avuto  paura  d' incontrarsi  con  le  parole  che 
gli  uscivan  di  bocca,  quel  farsi  quasi  nuovo  del  matri- 
monio cosi  espressamente  concertalo,  e  sopra  tutto  quel- 
r  accennar  sempre  qualche  gran  cosa,  non  dicendo  mai 
nulla  di  chiaro  ;  tulle  queste  circostanze  messe  insieme 


I 


CAPITOLO  II.  3b 

facevan  pensare  a  Renzo  che  ci  fosse  sotto  un  mistero 
diverso  da  quello  die  don  Abbondio  aveva  voluto  far 
credere.  Stette  il  giovine  in  forse  un  momento  di  tor- 
nare indietro,  per  metterlo  alle  strette,  e  farlo  parlar 
pii^i  chiaro  ;  ma  alzando  gli  occhi ,  vide  Perpetua  che 
camminava  dinanzi  a  lui  ,  ed  entrava  in  un  orticello 
pochi  passi  distante  dalla  casa.  Le  diede  una  voce,  men- 
tre essa  apriva  l'uscio;  studiò  il  passo,  la  raggiunse,  la 
ritenne  sulla  soglia ,  e ,  col  disegno  di  scovar  qualche 
cosa  di  più  positivo,  si  fermò  ad  attaccar  discorso  con  essa. 

»  Buon  giorno,  Perpetua:  io  speravo  che  oggi  si  sa- 
rebbe stati  allegri  insieme.  » 

«  Mal  quel  che  Dio  vuole,  il  mio  povero  Renzo.  » 

«  Fatemi  un  piacere:  quel  benedett' uomo  del  signor 
curato  m'ha  impastocchiate  certe  ragioni  che  non  lio 
potuto  ben  capire;  spiegatemi  voi  meglio  perchè  non 
può  0  non  vuole  maritarci  oggi.  » 

«  Oh  !  vi  par  egh  ci'  io  sappia  i  segreti  del  mio 
padrone?  » 

—  L'  ho  detto  io,  che  e'  era  mistero  sotto,  —  pensò 
Renzo;  e,  per  tirarlo  in  luce,  continuò:  «  via,  Perpetua; 
siamo  amici;  ditemi  quel  che  saj)ete,  aiutate  un  povero 
figliuolo.  J> 

«  Mala  cosa  nascer  povero,  il  mio  caro  Renzo.  » 

«  È  vero,  »  riprese  (luesto ,  sempre  pii^i  conferman- 
dosi ne' suoi  sospetti;  e  cercando  d'accostarsi  più  alla 
questione,  «  è  vero^,  »  soggiunse,  «  ma  tocca  ai  preti 
a  trattar  male  co'  poveri?  » 

Sentite  Renzo  ;  io  non  posso  dir  niente  ,  lìcrchè .... 
non  so  niente;  ma  quello  che  vi  posso  assicurare  òche 
il  mio  padrone  non  vuol  far  torto  ,  nò  a  voi  uè  a  nes- 
suno; e  lui  non  ci  ha  colpa. 

«  Chi  è  dunque  che  ci  ha  colpa?  »  domandò  Renzo, 
con  un  cert'atto  trascurato,  ma  col  cuor  sospeso,  e  con 
l'orecchio  all'  erta. 

a  Quando  vi  dici)  che  non  so  niente  ....  In  difesa 
del  mio  padrone,  posso  parlare;  perchè  mi  fa  male  scn- 


36  I   PROMESSI  SPOSI 

tire  che  gli  si  dia  carico  di  voler  far  dispiacere  a  qual- 
cheduno.  Pover'  uomo  !  se  pecca ,  è  per  troppa  bontà. 
C  è  bene  a  questo  mondo  de'  birboni .  dei  prepotenti , 
degli  uomini  senza  timor  di  Dio ....  » 

—  Prepotenti  I  birboni  !  —  pensò  Renzo:  —  questi 
non  sono  i  superiori.  «  Via,  »  disse  poi,  nascondendo 
a  stento  1'  agitazione  crescente,   «  via,  ditemi  chi  è.  » 

«  Ah  I  voi  vorreste  farmi  parlare  ;  e  io  non  posso  par- 
lare, perchè non  so  niente  :  quando  non  so  niente, 

è  come  se  avessi  giurato  di  tacere.  Potreste  darmi  la 
corda ,  che  non  mi  cavereste  nulla  di  bocca.  Addio  ;  è 
tempo  perduto  per  tutt'  e  due.  »  Così  dicendo,  entrò  in 
•fretta  nell'orto,  e  chiuse  l'uscio.  Renzo,  rispostole  con 
un  saluto,  tornò  indietro  pian  piano,  per  non  farla  ac- 
corgere del  cammino  che  prendeva;  ma  quando  fu  fuor 
del  tiro  dell'orecchio  della  buona  donna,  allungò  il  passo; 
in  un  momento  fu  all'  uscio  di  don  Abbondio  ;  entrò , 
andò  diviato  al  salotto  dove  l'aveva  lasciato,  ve  lo  trovò, 
e  corse  verso  lui ,  con  un  fare  ardito .  e  con  gli  occhi 
stralunati. 

«  Eh!  eh!  che  novità  è  questa?  »  disse  don  Abbondio. 

«  Chi  è  quel  prepotente,  »  disse  Renzo,  con  la  voce 
d'un  uomo  risoluto  d'ottenere  una  risposta  precisa, 
«  chi  è  quel  prepotente  che  non  vuol  ch'io  sposi  Lucia?  » 

«  Che?  che?  che?  »  balbettò  il  povero  sorpreso,  con 
un  volto  fatto  in  un  istante  bianco  e  floscio,  come  un 
cencio  che  esca  del  bucato.  E,  pur  brontolando,  spiccò 
un  salto  dal  suo  seggiolone,  per  lanciarsi  all'  uscio.  Ma 
Renzo,  che  doveva  aspettarsi  quella  mossa,  e  stava  al- 
l'erta, vi  balzò  prima  di  lui,  girò  la  chiave,  e  se  la 
mise  in  tasca. 

«■  Ah!  ahi  parlerà  ora,  signor  curato?  Tutti  sanno  i 
fatti  miei,  fuori  di  me.  Voglio  saperli,  per  bacco,  an- 
ch' io.  Come  si  chiama  colui  ?  » 

«  Renzo!  Renzo!  per  carità,  badale  a  quel  che  fate; 
pensate  all'  anima  vostra.  » 

«  Penso  che  voglio  saper  subito,  sul  momento.  »  E, 


CAPITOLO  II.  37 

COSI  dicendo,  mise,  forse  senz'  avvedersene,  la  mano  sui 
manico  del  coltello  che  gli  usciva  dal  taschino. 

«  Misericordia!  »  sclamò  con  voce  fioca  don  Abbondio. 

«  Lo  voglio  sapere.  » 

«  Chi  v'ha  detto » 

«  No,  no;  non  più  fandonie.  Parli  chiaro  e  subito.  « 

«  Mi  volete  morto?  » 

«  Voglio  sapere  ciò  che  ho  ragion  di  sapere.  >> 

«  Ma  se  parlo,  son  morto.  Non  m'  ha  da  premere  la 
mia  vita?  » 

«  Dunque  parli.  « 

Quel  «  dunque  »  fu  proferito  con  una  tal  energia, 
l'aspetto  di  Renzo  divenne  così  minaccioso,  che  don  Ab- 
bondio non  potè  più  nemmen  supporre  la  possibilità  di 
disubbidire. 

«  Mi  promettete,  mi  giurate,  »  disse  <>  di  non  par- 
larne con  nessuno,  di  non  dir  mai ?  » 

«  Le  prometto  che  fo  uno  sproposito,  se  lei  non  mi 
(lice  subito  subito  il  nome  di  colui.  » 

A  quel  nuovo  scongiuro,  don  Abbondio,  col  volto, 
e  con  lo  sguardo  di  chi  ha  in  bocca  le  tanaglie  del  ca- 
vadenti, proferì  :   «  don « 

«  Don  »  ripetè  Renzo,  come  per  aiutare  il  paziente 
a  buttar  fuori  il  resto;  e  stava  curvo  con  l'orecchio 
chino  sulla  bocca  di  lui,  con  le  braccia  tese,  e  i  pugni 
stretti  all'  indietro. 

«  Don  Rodrigo!  »  pronunziò  in  fretta  il  forzato,  pre- 
cipitando quelle  poche  sillabe,  e  strisciando  le  conso- 
nanti, parte  per  il  tuibamento,  parte  perchè,  rivolgendo 
pure  quella  poca  attenzione  che  gli  rimaneva  libera,  a 
fare  una  transazione  tra  le  due  paure,  pareva  che  volesse 
sottrarre  e  fare  scomparir  la  parola,  nel  punto  stesso 
eh'  era  costretto  a  metterla  fuori. 

«  Ah  cane!  »  urlò  Renzo.  «  E  come  ha  l'alto?  Cosa 
le  ha  detto  per  ....  ?  >• 

"  Come  eli?  come?»  rispo.se,  con  voce  quasi  sde- 
gnosa, don  Abbondio,  il  quale,  dopo  un  sì  gran  sagrifì- 


38  1   PROMESSI  SPOSI 

zio,  si  sentiva  in  certo  modo  divennlo  creditore,  «  Co- 
me eh?  Vorrei  che  la  fosse  toccala  a  voi,  come  è  toccala 
a  me,  che  non  e'  entro  per  nulla,  che  certamente  non 
vi  sarebber  rimasti  tanti  gi'illi  in  capo.  *  E  qui  si  fece 
a  dipinger  con  colori  terribili  il  brutto  incontro;  e,  nel 
discorrere,  accorgendosi  sempre  più  d' una  gran  collera 
che  aveva  in  corpo,  e  che  fin  allora  era  stata  nascosta 
e  involta  nella  paura,  e  vedendo  nello  stesso  tempo  che 
Renzo,  tra  la  rabbia  e  la  confusione,  stava  immobile, 
col  capo  basso,  continuò  allegramente:  «  avete  fatta  una 
bella  azione!  M'avete  reso  un  bel  servizio!  Un  tiro  di 
questa  sorte  a  un  galantuomo,  al  vostro  curato!  in  casa 
sua!  in  luogo  sacro!  Avete  fatta  una  bella  prodezza! 
Per  cavarmi  di  bocca  il  mio  malanno,  il  vostro  malan- 
no! ciò  ch'io  vi  nascondeva  per  prudenza,  per  vostro 
bene!  E  ora  che  lo  sapete?  Vorrei  vedere  che  mi  face- 
ste....  !  Per  amor  del  cielo  !  Non  si  scherza.  Non  si 
tratta  di  torto  o  di  ragione;  si  tratta  di  forza.  E  quando, 

questa  mattina,  vi  dava  un  buon  parere eh!  subilo 

nelle  furie.  Io  aveva  giudizio  per  me  e  per  voi;  ma 
come  si  fa?  Aprite  almeno;  datemi  la  mia  chiave.  » 

«  Posso  aver  fallato,  »  rispose  Renzo,  con  voce  rad- 
dolcita verso  don  Abbondio,  ma  nella  quale  si  sentiva 
il  furore  contro  il  nemico  scoperto:  «  posso  aver  fal- 
lato; ma  si  metta  la  mano  al  petto,  e  pensi  se  nel  mio 
caso ...» 

Cosi  dicendo,  s'era  levata  la  chiave  di  tasca,  e  an- 
dava ad  aprire.  Don  Abbondio  gli  andò  dietro,  e,  men- 
tre quegli  girava  la  chiave  nella  toppa,  se  gli  accostò, 
e,  con  volto  serio  e  ansioso,  alzandogli  davanti  agli 
occhi  le  tre  prime  dita  della  destra,  come  per  aiutarlo 

anche  lui  dal   canto  suo,   »  giurate  almeno »   gli 

disse. 

«  Posso  aver  fallato;  e  mi  scusi,  »  rispose  Renzo, 
aprendo,  e  disponendosi  ad  uscire. 

«  Giurate »  replicò  don  Abbondio,  afferrandogli 

il  braccio  con  la  mano  tremante. 


CAPITOLO  II.  39 

«  Posso  aver  fallato,  >>  ripetè  Renzo,  sprigionandosi 
da  Ini;  e  partì  in  fnria,  troncando  così  la  qnestione, 
elle,  al  pari  d'  nna  qnestione  di  letleratnra  o  di  tìlosofia 
0  d'  altro,  avrebbe  potuto  dnrar  dei  secoli,  giacché  ognu- 
na delle  parti  non  faceva  clie  replicare  il  suo  proprio 
argomento. 

«  Perpetua  !  Perpetua  !  »  gridò  don  Aljhondio,  dopo 
avere  invano  richiamato  il  fuggitivo.  Perpetua  non  ri- 
sponde: don  Abbondio  non  sapeva  piì^i  in  che  mondo 
si  fosse. 

È  accaduto  più  d'  una  volta  a  personaggi  di  ben  pii^i 
alto  affare  che  don  Abbondio,  di  trovarsi  in  frangenti 
cosi  fastidiosi,  in  tanta  incertezza  di  partiti,  che  parve 
loro  un  ottimo  ripiego  mettersi  a  letto  con  la  febbre. 
Onesto  ripiego,  egli  non  lo  dovette  andare  a  cercare, 
perchè  gli  si  offerse  da  sé.  La  paura  del  giorno  avanti, 
la  veglia  angosciosa  della  notte,  la  paura  avuta  in  quel 
momento,  1'  ansiel.à  dell'  avvenire,  fecero  l'effetto.  AfTan- 
nato  é  l)alordo,  si  ripose  sul  suo  seggiolone,  cominciò 
a  sentirsi  qualche  brivido  nell'  ossa,  si  guardava  le  un- 
ghie sospirando,  e  chiamava  dì  tempo  in  tempo,  con  voce 
tremolante  e  stizzosa:  «  Perpetua!  »  La  venne  final- 
mente, con  un  gran  cavolo  sotto  il  braccio,  e  con  la 
l'accia  tosta,  come  se  nulla  fosse  stato.  Risparmio  al  let- 
tore i  lamenti,  le  condoglianze,  le  accuse,  le  difese,  i 
«  voi  sola  potete  aver  parlato,  »  e  i  «  non  ito  parlato,  » 
tutti  i  pasticci  in  somma  di  quel  colloipiio.  Basti  diro 
che  don  Abbondio  ordinò  a  Perpetua  di  metter  la  stanga 
air  uscio,  di  non  aprir  più  per  nessuna  cagione^  e,  se 
alcun  bussasse,  risponder  dalla  finestra  che  il  curato  era 
andato  a  letto  con  la  febbi'e.  Salì  poi  leidameide  le 
scale',  dicendo,  ogni  tre  gradini,  «  son  servito;  »  e  si 
mise  davvero  a  letto,  dove  lo  lasceremo. 

Renzo  intanto  camminava  a  passi  infuiàali  ^r^s()  casa, 
senza  aver  detcì'miiialo  qu(>l  che  dovesse  fare,  ma  con 
una  smania  aildosso  di  fai'  ([ualcosa  di  strano  (^  di  ter- 
ribile. I  provocatori,  i  soverchiatori,  lutti  coloro  che,  in 


40  I   PROMESSI  SPOSI 

qualunque  modo,  fanno  torlo  altrui,  sono  rei,  non  solo 
del  male  clic  commettono,  ma  del  perviMiimento  ancora 
a  cui  portano  gli  animi  degli  olTesi.  Renzo  era  un  gio- 
vane pacifico  e  alieno  dal  sangue,  un  giovane  schietto 
e  nemico  d'  ogni  insidia;  ma,  in  que'  momenti,  il  suo 
cuore  non  batteva  che  per  1'  omicidio,  la  sua  mente  non 
era  occupata  che  a  fantasticare  un  Iradimenlo.  Avrehlte 
voluto  correre  alla  casa  di  don  Rodrigo,  atTerraiio  per 

il  collo,  e ma  gli  veniva  in  mente  ch'era  come  una 

fortezza,  guarnita  di  bravi  al  di  dentro,  e  guardata  al 
di  fuori;  che  i  soli  amici  e  servitori  ben  conosciuli 
v'  entravan  liberamente,  senza  essere  squadrati  da  capo 
a  piedi  ;  che  un  artigianello  sconosciuto  non  vi  polreb- 
b' entrare  senza  un  esame,  e  ch'egli  sopra  lutto.... 
egli  vi  sarebbe  forse  troppo  conosciuto.  Si  figurava  al- 
lora di  prendere  il  suo  schioppo,  d' appiattarsi  dietro 
una  siepe,  aspettando  se  mai,  se  mai  colui  venisse  a 
passar  solo;  e,  internandosi,  con  feroce  compiacenza,  in 
queir  immaginazione,  si  figurava  di  sentire  una  pedala, 
quella  pedata,  d'alzar  chetamente  la  testa;  riconosceva 
lo  scellerato,  spianava  lo  schioppo,  prendeva  la  mira, 
sparava,  lo  vedeva  cadere  e  dare  i  tratti,  gli  lanciava 
una  maledizione,  e  correva  sulla  strada  del  confine  a 
mettersi  in  salvo.  —  E  Lucia?  —  Appena  questa  parola 
si  fu  gettata  a  traverso  di  quelle  bieche  fantasie,  i  mi- 
gliori pensieri  a  cui  era  avvezza  la  mente  di  Renzo, 
v'entrarono  in  folla.  Si  rammentò  degli  ultimi  ricordi 
de'  suoi  parenti,  si  rammentò  di  Dio,  della  Madonna  e 
de'  santi,  pensò  alla  consolazione  che  aveva  tante  volte 
provata  di  trovarsi  senza  delitti,  all'orrore  che  aveva 
tante  volte  provato  al  racconto  d'un  omicidio;  e  si  ri- 
svegliò da  quel  sogno  di  sangue,  con  ispavento,  con  ri- 
morso, e  insieme  con  una  specie  di  gioia  di  non  aver 
fallo  altro  che  immaginare.  Ma  il  pensiero  di  Lucia, 
(pianti  pensieri  tirava  seco!  Tante  speranze,  tante  pro- 
messe, un  avvenire  così  vagheggiato,  e  così  tenuto  si- 
curo, e  quel   giorno  così  sospirato!  E  come,  con  che 


CAPITOLO   II.  41 

parole  annunziarle  una  tal  nuova?  E  poi,  che  parlilo 
prendere?  Come  farla  sua,  a  dispello  della  iforza  di  quel- 
l' iniquo  potente?  E  insieme  a  tutto  questo,  non  un 
sospetto  formalo,  ma  un'  ombra  tormentosa  gli  passava 
la  mente.  Quella  soverchieria  di  don  Rodrigo  non  poteva 
esser  mossa  che  da  una  brutale  passione  per  Lucia.  E 
Lucia?  Che  avesse  data  a  colui  la  pii^i  piccola  occasio- 
ne, la  più  leggiera  lusinga,  non  era  un  pensiero  che 
potesse  fermarsi  un  momento  nella  testa  di  Renzo.  Ma 
n'  era  informata?  Poteva  colui  aver  concepita  quell'  in- 
fame passione  senza  che  lei  se  n'avvedesse?  Avrebbe 
spinte  le  cose  tanto  in  là,  prima  d' averla  tentata  in  qual- 
che modo?  E  Lucia  non  ne  aveva  mai  detta  una  parola 
a  lui!  al  suo  promesso I 

Dominato  da  questi  pensieri,  passò  davanti  a  casa 
sua,  ch'era  nel  mezzo  del  villaggio,  e  attraversatolo, 
s'avviò  a  quella  cH  Lucia,  ch'era  in  fondo,  anzi  un 
po' fuori.  Aveva  quella  casetta  un  piccolo  cortile  dinanzi, 
che  la  separava  dalla  strada,  ed  era  cinta  da  un  muret- 
tino.  Renzo  eidrò  nel  cortile,  e  sentì  un  misto  e  conti- 
nuo ronzio  che  veniva  da  una  stanza  di  sopra.  S' imma- 
ginò che  sarebbero  amiche  e  comari,  venute  a  far 
corteggio  a  Lucia;  e  non  si  volle  mostrare  a  quei 
mercato  con  ([uella  nuova  in  corpo  e  sul  volto.  Una  fan- 
ciulletla  che  si  trovava  nel  cortile,  gli  corse  incontro 
gridando:   «  lo  sposo!  lo  sposo!  » 

«  Zitta,  Bettina,  zitta I  »  disse  Renzo.  «  Vien  ([ua;va 
su  da  Lucia,  tirala  in  disparte,  e  dille  all'orecchio.... 
ma  che  nessun  senta,  ne  sospetti  di  nulla,  ve'....  dille 
che  Ilo  da  parlarle,  che  1'  aspetto  nella  stanza  terrena, 
e  che  venga  sultito.  »  La  fanciulletta  salì  in  fretta  le 
scale,  lieta  e  supei'ba  d'  avere  una  commission  segreta 
da  eseguire. 

Lucia  usciva  in  (piel  momento  tutta  attillala  dalle 
mani  della  madre.  Le  amiclui  si  rubavano  la  sposa,  e 
le  facevan  foi-za  p(nchè  si  lasciasse  vedere;  e  lei  s'an- 
dava schermendo,  con  cpiella  modestia  un  po'  guerriera 

VOL.    I.  2* 


42  1   PROMESSI  SPOSI 

delle  contadine,  facendosi  scudo  alla  faccia  col  gomito, 
chinandola  sul  busto,  e  aggrottando  i  lunghi  e  neri  so- 
praccigli, mentre  però  la  bocca  s'apriva  al  sorriso. 
I  neri  e  giovanili  capelli,  sparliti  sopra  la  fronte,  con 
una  bianca  e  sottile  dirizzatura,  si  ravvolgevan,  dietro 
il  capo,  in  cerchi  moltiplici  di  trecce,  trapassate  da  lun- 
ghi spilli  d'  argento,  che  si  dividevano  all'  intorno,  quasi 
a  guisa  de'  raggi  d'  un'  aureola,  come  ancora  usano  le 
conladine  nel  Milanese.  Intorno  al  collo  aveva  un  vezzo 
di  granati  alternati  con  Ijottoni  d'  oro  a  fdigrana:  por- 
tava un  bel  busto  di  broccato  a  fiori,  con  le  maniche 
separate  e  allacciate  da  bei  nastri:  una  corta  gonnella 
di  fdaticcio  di  seta,  a  pieghe  fìtte  e  minute,  due  calze 
vermiglie,  due  pianelle,  di  seta  anch'  esse,  a  ricami. 
Oltre  a  questo,  eh'  era  1'  ornamento  particolare  del  giorno 
delle  nozze.  Lucia  aveva  ipicllo  quotidiano  d'  una  mo- 
desta bellezza,  rilevala  allora  e  accresciuta  dalle  varie 
atfezioni  che  le  si  dipingevano  sul  viso:  una  gioia  tem- 
perata da  un  turbamento  leggiero,  quel  placido  accora- 
mento che  si  mostra  di  quand'  in  quando  sul  volto 
delle  spose,  e  senza  scompor  la  bellezza,  le  dà  un  ca- 
rattere particolare.  La  piccola  Bettina  si  cacciò  nel  croc- 
chio, s'  accostò  a  Lucia,  le  fece  intendere  accortamente 
che  aveva  qualcosa  da  comunicarle,  e  le  disse  la  sua 
parolina  all'  orecchio. 

«  Vo  un  momento,  e  torno,  »  disse  Lucia  alle  don- 
ne; e  scese  in  fretta.  Al  veder  la  faccia  mutala,  e  il 
portamento  inquieto  di  Renzo,  «  cosa  c'è?  i>  disse,  non 
senza  un  presentimento  di  terrore. 

«  Lucia!  »  rispose  Renzo,  «  per  oggi  tutto  è  a  mon- 
te :  e  Dio  sa  quando  potremo  esser  marito  e  moglie.  » 

«  Che?  j>  disse  Lucia  lutla  smarrila.  Renzo  le  rac- 
contò brevemente  la  storia  di  quella  mattina:  ella  ascol- 
tava con  angoscia  :  e  quando  udì  il  nome  di  don  Rodrigo, 
«  ah!  »  sclamò,  arrossendo  e  tremando,  «  fino  a  questo 
segno!  » 

«  Dunque  voi  sapevate ...  ?  »  disse  Renzo. 


CAPITOLO  n.  43 

«  Pur  troppo I  »  rispose  Lucia;  «  ma  a  questo  segno!  » 

«  Glie  cosa  sapevate?  » 

«  Non  mi  fate  ora  parlare,  non  mi  fate  piangere. 
Corro  a  cliiamar  mia  madre,  e  a  licenziar  le  donne:  bi- 
sogna elle  Siam  soli,  j 

Mentre  ella  partiva,  Renzo  susurrò:  «  non  m'avete 
mai  detto  niente.  » 

«  Ah,  Renzo!  »  rispose  Lucia,  rivolgendosi  un  mo- 
mento, senza  fermarsi.  Renzo  intese  benissimo  che  il  suo 
nome  pronunziato  in  quel  momento,  con  (piel  tono,  da 
Lucia,  voleva  dire:  potete  voi  dubitare  ch'io  abbia  ta- 
ciuto se  non  per  motivi  giusti  e  puri? 

Intanto  la  buona  Agnese  (così  si  chiamava  la  madre 
di  Lucia),  messa  in  sospetto  e  in  curiosila  dalla  parolina 
all'orecchio,  e  dallo  sparir  della  figlia,  era  discesa  a  ve- 
der cosa  c'era  di  nuovo.  La  figlia  la  lasciò  con  Renzo, 
tornò  alle  donne  radunate,  e,  accomodando  Taspetto  e  la 
voce,  come  potè  meglio,  disse:  «  il  signor  curato  è  am- 
malato; e  oggi  non  si  fa  nulla.  »  Ciò  detto,  le  salutò 
tutte  in  fretta,  e  scese  di  nuovo. 

Le  donne  sfilarono,  e  si  sparsero  a  raccontar  Facca- 
duto.  Due  0  tre  andaron  fino  all'uscio  del  curato,  per 
verificar  se  era  ammalato  davvero. 

«  Un  febbrone,  »  rispose  Perpetua  dalla  finestra;  e  la 
trista  parola,  riportata  all'altre,  troncò  le  congetture  che 
già  cominciavano  a  brulicar  ne'  loro  cervelli,  e  ad  an- 
nunziarsi tronche  e  misteriose  ne'  luio  discorsi. 


CAPITOLO  III. 


Lucia  entrò  nella  stanza  terrena,  mentre  Renzo  stava 
angosciosamente  informando  Agnese,  la  quale  angoscio- 
samente lo  ascoltava.  Tutt'  e  due  si  volsero  a  chi  ne  sa- 
peva più  di  loro,  e  da  cui  aspettavano  uno  schiarimento, 
il  quale  non  poteva  essere  che  doloroso:  lutt'e  due,  la- 
sciando travedere,  in  mezzo  al  dolore,  e  con  l'amore 
diverso  che  ognun  d'essi  portava  a  Lucia,  un  cruccio 
pur  diverso  perchè  avesse  taciuto  loro  qualche  cosa,  e 
una  tal  cosa.  Agnese,  benché  ansiosa  di  sentir  parlare 
la  figlia,  non  potè  tenersi  di  non  farle  un  rimprovero 
«  A  tua  madre  non  dir  niente  d'una  cosa  simile!  » 

«  Ora  vi  dirò  tutto,  i  rispose  Lucia,  asciugandosi  gli 
occhi  col  grembiule. 

«  Parla,  parla!  —  Parlate,  parlate!  »  gridarono  a  un 
tratto  la  madre  e  lo  sposo. 

«  Santissima  Vergine!  »  esclamò  Lucia:  «  chi  avrebbe 
credulo  che  le  cose  potessero  arrivare  a  questo  segno!  » 
E,  con  voce  rotta  dal  pianto,  raccontò  come,  pochi  giorni 
prima,  mentre  tornava  dalla  fdanda,  ed  era  rimasta  in- 
dietro dalle  sue  compagne,  le  era  passato  innanzi  don 


I   PROMESSI   SPOSI   CAPITOLO     III.  45 

Rodrigo,  in  compagnia  d'un  altro  signore;  che  il  primo 
aveva  cercato  di  trattenerla  con  chiacchiere,  com'ella  di- 
ceva, non  punto  belle;  ma  essa  senza  dargh  retta,  aveva 
atlrettalo  il  passo,  e  raggiunte  le  compagne;  e  intanto 
aveva  sentito  queir  altro  signore  rider  forte,  e  don  Ro- 
drigo dire:  scommettiamo.  Il  .giorno  dopo,  coloro  s"eran 
trovati  ancora  sulla  strada;  ma  Lucia  era  nel  mezzo  delle 
compagne,  con  gli  occhi  bassi;  e  l'altro  signore,  sghi- 
gnazzava, e  don  Rodrigo  diceva:  vedremo,  vedremo.  «Per 
grazia  del  cielo,  »  continuò  Lucia,  «  quel  giorno  era 
l'ultimo  della  hlanda.  Io  raccontai  subito....» 

«  A  cbi  hai  raccontalo?  »  domandò  Agnese,  andando 
incontro,  non  senza  un  po'  di  sdegno,  al  nome  del  con- 
fidente preferito. 

«  Al  padre  Cristoforo,  in  confessione,  mamma,  »  ri- 
spose Lucia,  con  un  accento  soave  di  scusa.  «  Gli  rac- 
contai tutto,  r ultima  volta  che  siamo  andate  insieme  alla 
chiesa  del  convento;  e,  se  vi  ricordate,  quella  mattina,  io 
andava  mettendo  mano  ora  a  una  cosa,  ora  a  un'altra, 
per  indugiare,  tanto  che  passasse  altra  gente  del  paese 
avviala  a  quella  volta,  e  far  la  strada  in  compagnia  con 
loro;  perchè,  dopo  queir  incontro,  le  strade  mi  facevan 
tanta  paura » 

Al  nome  riverito  del  padre  Cristoforo,  lo  sdegno  d'Agne- 
se si  raddolcì.  «  Hai  fatto  bene,  »  disse,  «  ma  perchè  non 
raccontar  tutto  anclie  a  tua  madre?  » 

Lucia  aveva  avute  due  buone  ragioni:  luna,  di  non 
contristare  né  spaventare  la  buona  donna,  per  cosa  alla 
quale  essa  non  avrebbe  potuto  trovar  rimedio,  l'altra,  di 
non  mei  ter  a  riscliio  di  viaggiar  per  molte  boccile  una 
storia  che  voleva  essere  gelosamiMite  se[)olta:  tanto  più 
che  Lucia  sperava  che  le  sue  nozze  avrebber  troncala, 
sul  principiare,  quell'abbominala  persecuzione.  Di  queste 
duo  ragioni  però,  non  allegò  che  la  prima. 

«  E  a  voi,  »  disse  poi  rivolgendosi  a  Rimizo,  con  (piella 
voce  che  vuol  far  riconoscere  a  un  amico  che  ha  avulo 
torto:  «  e  a  voi  doveva  io  parlar  di  questo?  Pur  troppo 
lo  sapete  ora!  » 


46  1   PROMESSI   SPOSI 

»E  clic  l'ha  detlo  il  padre?»   domandò  Agnese. 

«M'ha  detto  che  cercassi  d'affrettar  le  nozze  il  più 
che  potessi,  e  intanto  stessi  rinchiusa;  che  pregassi  henc 
il  Signore;  e  che  sperava  che  colui,  non  vedendomi,  non 
si  curerehhe  più  di  me.  E  fa  allora  che  mi  sforzai.  « 
prosegui,  rivolgendosi  di  nuovo  a  Renzo,  senza  alzargli 
però  gli  occhi  in  viso,  e  arrossendo  tutta,  «  fu  allora 
che  feci  la  sfacciata,  e  che  vi  pregai  io  che  procuraste 
di  far  presto,  e  di  concludere  prima  del  tempo  che  s'era 
stahilito.  Chi  sa  cosa  avrete  pensato  di  me!  Ma  io  facevo 

per  hene,  ed  ero  stata  consigliata,  e  tenevo  per  certo 

e  questa  mattina,  ero  tanto  lontana  da  pensare  ....  »  Qui 
le  parole  furon  troncate  da  un  violento  scoppio  di  pianto. 

«  Ah  hirhonel  ah  dannato I  ah  assassino!  »  gridava 
Renzo,  correndo  innanzi  e  indietro  per  la  stanza,  e  strin- 
gendo di  tanto  in  tanto  il  manico  del  suo  coltello. 

1  Oh  che  imbroglio,  per  ajììor  di  Dio!  »  esclamava 
Agnese.  Il  giovine  si  fermò  d' improvviso  davanti  a  Lu- 
cia che  piangeva;  la  guardò  con  un  atto  di  tenerezza 
mesta  e  rabbiosa,  e  disse:  «t  questa  è  l'ultima  che  fa 
quell'assassino.  » 

«Ah!  no,  Renzo,  per  amor  del  cielo!»  gridò  Lucia. 
«  No,  no,  per  amor  del  cielo!  Il  Signore  c'è  anche  per  i 
poveri,  e  come  volete  che  ci  aiuti,  se  facciam  del  male?  » 

«  No,  no,  per  amor  del  cielo!  »   ripeteva  Agnese. 

«  Renzo,  »  disse  Lucia,  con  un'aria  di  speranza  e  di 
risoluzione  più  tranquilla:  «  voi  avete  un  mestiere,  e  io 
so  lavorare:  andiamo  tanto  lontano,  che  colui  non  senta 
più  parlar  di  noi.  » 

«  Ah  Lucia!  e  poi?  Non  siamo  ancora  marito  e  mo- 
glie! Il  curato  vorrà  farci  la  fede  di  stato  libero?  Un 
uomo  come  quello?  Se  fossimo  maritali  oh  allora !» 

Lucia  si  rimise  a  piangere:  e  luti' e  tre  rimasero  in 
silenzio,  e  in  un  abbattimento  che  faceva  un  tristo  con- 
trapposto alla  pompa  festiva  de'  loro  abiti. 

«  Sentite,  figliuoli;  date  retta  a  me,  »  disse,  dopo 
qualche  momento,  Agnese.   «  Io  son  venuta  al  mondo 


CAPITOLO  HI.  47 

prima  di  voi;  e  il  mondo  lo  conosco  un  poco.  Non  biso- 
gna poi  spaventarsi  tanto:  il  diavolo  non  è  brutto  quanto 
si  dipinge.  A  noi  poverelli  le  matasse  paion  più  imbro- 
gliale, perchè  non  sappiam  trovarne  il  bandolo;  ma 
alle  volte  un  parere,  una  parolina  d'un  uomo  che  abbia 

studiato so  ben  io  cpiel  che  voglio  dire.  Fate  a  mio 

modo,  Renzo;  andate  a  Lecco;  cercate  del  dottor  Azzecca- 
garbugli, raccontategli Ma  non  lo  chiamate  così,  per 

amor  del  cielo:  è  un  soprannome.  Bisogna  dire  il  signor 

dottor Come  si  chiama  ora?  Oh  to'!  non  lo  so  il 

nome  vero:  lo  chiaman  tutti  a  qnel  modo.  Basta,  cercate 
di  quel  dottore  alto,  asciutto,  pelato,  col  naso  rosso,  e 
una  voglia  di  lampone  sulla  guancia.  » 

«  Lo  conosco  di  vista,  »   disse  Renzo. 

<i  Bene,  "  continuò  Agnese:  «  quello  è  una  cima  d'uo- 
mo! Ho  visto  io  piij  d'uno  ch'era  più  impicciato  che  un 
pulcin  nella  stoppa,  e  non  sapeva  dove  batter  la  testa, 
e,  dopo  essere  stato  un'ora  a  quattr'occhi  col  dottor  Az- 
zecca-garbugli,  (badate  bene  di  non  chiamarlo  così!)  l'ho 
visto,  dico,  ridersene.  Pigliate  quei  quattro  capponi,  po- 
verelli! a  cui  dovevo  tirare  il  collo,  per  il  banchetto  di 
domenica,  e  portateglieli;  perchè  non  bisogna  mai  andar 
con  le  mani  vote  da  que'  signori.  Raccontategli  tutto  l'ac- 
caduto; e  vedrete  che  vi  dirà,  su  due  piedi,  di  quelle 
cose  ciie  a  noi  non  verrebbero  in  testa,  a  pensarci  un 
anno.  » 

Renzo  abbracciò  mollo  volentieri  questo  parere;  Lucia 
l'approvò;  e  Agnese,  superba  d'averlo  dato,  levò  a  una 
a  una,  le  povere  bestie  dalla  stia,  riunì  le  loro  otto  gambe, 
come  se  facesse  un  mazzetto  (h  fiori,  le  avvolse  e  le  strinse 
con  uno  spago,  e  le  consegnò  in  mano  a  Renzo;  il  quale, 
date  e  ricevute  parole  di  speranza,  uscì  dalla  parte  del- 
l'orto, per  non  esser  veduto  da' ragazzi,  che  gli  corrc- 
rebber  dietro,  gridando:  lo  sposo!  lo  sposo!  Così  attra- 
versando i  campi,  0,  come  dicon  colà,  i  luoghi,  se  n'andò 
per  viottole,  h^emendo,  ripensando  alla  sua  disgrazia,  e 
ruminando  il  discorso  da  fare  al  dottor  Azzecca-garbugli. 


48  I   PROMESSI   SPOSI 

Lascio  poi  pensare  al  letLorc",  come  dovessero  slare  in 
viaggio  quelle  povere  bestie,  cos'i  legale  e  tenute  per  le 
zampe,  a  capo  all' ingiù,  nella  mano  d'un  uomo  il  quale, 
agitato  da  tante  passioni,  accompagnava  col  gesto  i  pen- 
sieri che  gli  passavan  a  tumulto  per  la  mente.  Ora  sten- 
deva il  braccio  per  collera,  ora  l'alzava  per  disperazione, 
ora  lo  dibatleva  in  aria  come  per  minaccia,  e,  in  tutti 
i  modi,  dava  loro  di  fiere  scosse,  e  faceva  balzare  quelle 
quattro  teste  spenzolale;  le  quali  inlaiUo  s'ingegnavano 
a  beccarsi  r una  con  l'altra,  come  accade  troppo  sovente 
Ira  compagni  di  sventura. 

Giunto  al  borgo,  domandò  dell'abitazione  del  dottore;  gli 
fu  indicala,  e  v'andò.  All'entrare  si  senti  preso  da  quella 
suggezione  che  i  poverelli  illetterati  provano  in  vicinanza 
d'un  signore  e  d'un  dolio,  e  dimenticò  tutti  i  discorsi 
che  aveva  preparati;  ma  diede  un'occhiata  ai  capponi,  e 
si  rincorò.  Entralo  in  cucina,  domandò  alla  serva  se  si 
poteva  parlare  al  signor  dottore.  Adocchiò  essa  le  bestie, 
e,  come  avvezza  a  somiglianti  doni,  mise  ,lorù  le  mani 
addosso,  quantunque  Renzo  andasse  tirando  indietro, 
perchè  voleva  che  il  dottore  vedesse  e  sapesse  che  egli 
portava  qualche  cosa.  Capitò  appunto  mentre  la  donna 
diceva:  «  date  qui,  e  andate  innanzi.  »  Renzo  fece  un 
grande  inchino:  il  dottore  l'accolse  uinanamenU»,  con  un 
«  venite,  figliuolo,  »  e  lo  fece  entrar  con  sé  nello  studio. 
Era  questo  uno  stanzone,  su  tre  pareti  del  quale  eran  di- 
stribuiti i  ritratti  de'  dodici  Cesari;  la  quarta,  coperta  da 
un  grande  scaffale  di  libri  vecchi  e  polverosi;  nel  mezzo, 
una  tavola  gremita  d'allegazioni,  di  suppliche,  di  libelli, 
di  gride,  con  tre  o  quattro  seggiole  all'intorno,  e  da 
una  parte  un  seggiolone  a  braccioli,  con  una  spalliera 
alla  e  quadrata,  terminata  agli  angoli  da  due  ornamenti 
di  legno,  che  s'alzavano  a  foggia  di  corna,  coperta  di 
vacchella,  con  grosse  borchie,  alcune  delle  quali,  cadute 
da  gran  tempo,  lasciavano  in  liberta  gli  angoli  della  co- 
pertura, che  s'accartocciava  qua  e  là.  Il  dottore  era  in 
veste  da  camera,  cioè  coperto  d'una  toga  ormai  consunta, 


CAPITOLO   III.  49 

che  gli  aveva  servito,  molt'aìini  addieiro,  per  perorare, 
nei  giorni  d'apparato,  quando  andava  a  Milano,  per  qual- 
che causa  d'importanza.  Chiuse  l'uscio,  e  fece  animo  al 
giovine,  con  queste  parole;  «  figliuolo,  ditemi  il  vostro 
caso.  » 

«  Vorrei  dirle  una  parola  in  confidenza.  » 

«  Son  qui,  »  rispose  il  dottore;  «  parlate.  »  E  si  ac- 
comodò sul  seggiolone.  Renzo,  ritto  davanti  alla  tavola, 
con  una  mano  nel  cocuzzolo  del  cappello,  che  faceva  gi- 
rar con  l'altra,  ricominciò:  «  vorrei  sapere  da  lei  che 
ha  studiato » 

a  Ditemi  il  fatto  come  sta,  »    interruppe  il  dottore. 

<t  Lei  m'ha  da  scusare:  noi  altri  poveri  non  sappiamo 
parlar  bene.  Vorrei  dunque  sapere ...» 

«  Benedetta  gente!  siete  tutti  così:  in  vece  di  raccon- 
tar il  fatto,  volete  interrogare,  perchè  avete  già  i  vostri 
disegni  in  testa.  » 

«  Mi  scusi,  signor  dottore.  Vorrei  sapere  se,  a  minac- 
ciare un  curato,  perchè  non  faccia  un  matrimonio,  c'è 
penale.  » 

—  Ho  capito,  —  disse  tra  sé  il  dottore,  che  in  ve- 
rità non  aveva  capito.  —  Ho  capito.  —  E  subito  si  fece 
serio,  ma  d'una  serietà  mista  di  compassione  e  di  pre- 
mura; strinse  fortemente  le  labbra,  facendone  uscire  un 
suono  inarticolato  che  accennava  un  sentimento,  espresso 
poi  più  chiaramente  nelle  sue  prime  parole.  «  Caso  se- 
rio, figliuolo;  caso  contemplato.  Avete  fatto  bene  a  ve- 
nir da  me.  È  un  caso  chiaro ,  contemplato  in  cento 
gride,  e . . . .  appunto  in  una  delfanno  scorso,  dell'at- 
tuale signor  governatore.  Ora  vi  fo  vedere,  e  toccar  con 
mano.  » 

Cosi  dicendo,  s'alzò  dal  suo  seggiolone,  o  cacciò  le 
mani  in  quel  caos  di  carte,  rimescolandole  dal  sotto  in 
su,  conK!  se  mettesse  grano  in  uno  staio. 

«  Dov'è  ora?  Vien  fuori,  vien  fuori.  Bisogna  aver 
tante  cose  alle  mani!  Ma  la  dev'essere  qui  sicuro,  per- 
chè è  una  grida  d'importanza.  Ah!  ecco,  ecco.  »   La 

VOL.  I.  3 


^0  I   PROMESSI   SPOSI 

proso,  la  spiopjò,  guardò  alla  data,  e,  fallo  un  viso  ancor 
più  sorio,  osclamò:  «  il  15  d'o(fo])re  1627!  Sicuro:  ò 
deiraiino  passato:  grida  fresca;  son  rpiellc  clic  fanno 
più  paura.  Sapete  leggere,  figliuolo?  » 

«  Un  podi  ino,  signor  dottore.  » 

«  Bene,  venitemi  dietro  con  l'occhio,  e  vedrete.  » 

E,  tenendo  la  grida  sciorinala  in  aria,  cominciò  a  leg- 
gere, borbottando  a  precipizio  in  alcuni  passi  e  ferman- 
dosi (kislinlamenle.  con  grand'ospressione,  sopra  alcuni 
altri,  secondo  il  Insogno: 

«  Se  bene,  per  la  grida  pubblicala  d' ordine  del  signor 
Duca  di  Feria  ai  14  di  dicembre  1620,  e/  confìnnata  dal- 
l' Illustriss.  et  Eccellenlisi^.  Signore  il  Signor  Gonzalo 
Fernandcz  de  Cordova,  eccetera,  fa  con  rimedii  straor- 
dinarii  e  rigorosi  provristo  alle  oppressioni,  concussioni 
ed  atti  tirannici  che  alcuni  ardiscono  di  commettere  con- 
tra  questi  Vassalli  tanto  dii'oti  di  S.  i/.,  ad  ogni  modo  la 
frequenza  degli  eccessi,  e  la  malitia.  eccetera,  è  cresciuta 
a  segno,  che  ha  posto  in  necessità  l' Eccell.  Sua,  eccetera. 
Onde,  col  parere  del  Senato  et  di  una  Giunta,  eccetera, 
ha  risoluto  che  si  pubblichi  la  presente. 

«  E  cominciando  dagli  atti  tirannici,  mostrando  V  espe- 
rienza che  molti,  così  nelle  Città,  come  nelle  Ville 

sentite?  di  questo  Stato,  con  tirannide  esercitano  coìicus- 
sioni  et  opprimono  i  più  deboli  in  varii  modi,  come  in 
operare  che  si  facciano  contratti  violenti  di  compre,  d' af- 
fitti  eccetera:  dove  sei?  ah!  ecco:  sentite:  che  se- 
gnano 0  non  seguano  matrimonii.  Eh?  » 

«  È  il  mio  caso,  »   disse  Renzo. 

«  Sentile,  sentite,  c'è  ben  altro:  e  poi  vedremo  la 
l»ena.  Si  testifichi,  o  non  si  testifichi  ;  che  uno  si  parta 
dal  luogo  dorè  cibila,  eccetera;  che  quello  paghi  un  de- 
bito ;  queir  altro  non  lo  molesti,  quello  vada  al  suo  mo- 
lino; tulio  questo  non  ha  che  far  con  noi.  Ah  ci  siamo: 
quel  prete  non  faccia  quello  che  è  obbligato  per  V  uficio 
suo,  0  faccia  cose  che  non  gli  toccano.  Eh?  » 

<i  Pare  die  ablùan  falla  la  grida  apposta  per  me.  -^ 


CAPITOLO   III.  ^^ 

«  Eh?  non  è  vero?  sentite,  sentite:  et  altre  simili 
violenze,  quali  seguono  da  feudatarii,  nobili,  mediocri, 
vili,  e  plebei.  Non  se  ne  scappa;  ci  son  lutti:  è  come 
la  valle  di  Giosafat.  Sentite  ora  la  pena.  Tutte  queste 
et  altre  simili  male  attioni,  benché  siano  proibite,  nondi- 
meno, convenendo  metter  mano  a  maggior  rigore,  S.  E., 
per  la  presente,  non  derogando,  eccetera,  ordina  e  co- 
manda che  contra  li  contravventori  in  qualsivoglia  dei 
suddetti  capi,  o  altro  simile,  si  proceda  da  tutti  li  giu- 
dici ordinarii  di  questo  Stato  a  pena  pecuniaria  e  corpo- 
rale, ancora  di  relegatone  o  di  galera,  e  fino  alla  morte.... 
una  piccola  bagattella!  alV arbitrio  dell'Eccellenza  Sua, 
0  del  Senato,  secondo  la  qualità  dei  casi,  persone  e  cir- 
costanze. E  questo  ir-re-mis-si-bil-men-te  e  con  ogni  rigore, 
eccetera.  Ce  n'è  della  roba,  eh?  E  vedete  qui  le  sotto- 
scrizioni: Gonzalo  Fernandez  de  Cordova;  e  più  in  giù: 
Platonus;  e  qui  ancora:  Vidit  Ferrer:  non  ci  manca 
niente.  » 

Mentre  il  dottore  leggeva,  Renzo  gli  andava  dietro 
lentamente  con  l'occhio,  cercando  di  cavar  il  costrutto 
chiaro,  e  di  mirar  proprio,  quelle  sacrosante  parole, 
che  gli  parevano  dover  essere  il  suo  aiuto.  Il  dottore, 
vedendo  il  nuovo  cliente  più  attento  che  atterrito,  si 
maravigliava.  —  Che  sia  matricolato  costui,  —  pensava 
Ira  sé:  «  Ah!  ah!  »  gli  disse  poi:  «:  vi  siete  però  fatto 
tagliare  il  ciuffo.  Avete  avuto  prudenza:  però,  volendo 
mettervi  nelle  mie  mani,  non  faceva  bisogno.  Il  caso  è 
serio;  ma  voi  non  sapete  quel  che  mi  basti  1" animo  di 
fare,  in  un'occasione.  » 

Per  intender  quest'uscita  del  dottore,  bisogna  sapere, 
0  rammentarsi  che,  a  quel  tempo,  i  bravi  di  mestiere, 
e  i  facinorosi  d'ogni  genere,  usavan  portarsi  un  lungo 
ciuffo,  che  si  tiravan  poi  sul  volto,  come  una  visiera, 
all'atto  d'affrontar  qualcheduno,  ne'  casi  in  cui  stimas- 
ser  necessario  di  travisarsi,  e  l'impresa  fosse  di  quelle, 
che  richiedevan  nello  slesso  tempo  forza  e  prudenza.  Le 
gride  non  erano  state  in  silenzio  su  (luesta  moda.  Co- 


52  I    PROMESSI  SPOSI 

manda  sua  Eccellenza  (il  marchese  de  la  Hynojosa)  che 
chi  porterà  i  capelli  ili  tal  lìinijhezza  che  coprano  il  fronte 
fino  alli  ciijli  esclusivamente,  ovvero  porterà  la  trozza,  a 
avanti  o  dopo  le  orecchie,  incorra  la  pena  di  trecento 
scudi;  et  in  caso  d' inhabilità,  di  tre  anni  di  (jalera,  per 
la  prima  volta,  e  per  la  seconda,  oltre  la  suddetta,  nia(j- 
(fiore  ancora,  pecuniaria  et  corporale,  all'arbitrio  di  Sua 
Eccellenza. 

Permette  però  che,  per  occasione  di  trovarsi  alcuno  calvo, 
0  per  altra  ragionevole  causa  di  segnale  o  ferita,  possano 
quelli  tali,  per  maggior  decoro  e  sanità  loro,  portare  i 
cappelli  tanto  lunghi,  quanto  sia  bisogno  per  coprire  si- 
mili mancamenti  e  niente  di  più;  avvertendo  bene  a  non 
eccedere  il  dovere  e  pura  necessità,  per  (non)  incorrere 
nella  pena  agli  altri  contraffacienti  imposta. 

E  parimente  comanda  a' barbieri,  sotto  pena  di  cento 
scudi  0  di  tre  tratti  di  corda  da  esser  dati  loro  in  pub- 
blico, et  maggior  anco  corporale,  aW arbitrio  come  sopra, 
che  non  lascino  a  quelli  che  toseranno,  sorte  alcuna  di 
dette  trezze,  zuffi,  rizzi,  ne  capelli  più  lunghi  dell  ordi- 
nario, così  nella  fronte  come  dalle  bande,  e  dopo  le  orec- 
chie, ma  che  siano  tutti  uguali,  come  sopra,  salvo  nel 
caso  dei  calvi,  o  altri  difettosi,  come  si  è  detto.  Il  ciuffo 
era  dunque  quasi  una  parte  deirarmalura.  e  un  dislui- 
tivo  de' bravacci  e  degli  scapestrati;  i  quali  poi  da  ciò 
vennero  comunemente  chiamati  ciuffi.  Questo  termine 
è  rimasto  e  vive  tuttavia,  con  significazione  pii!i  miti- 
gata, nel  dialetto:  e  non  ci  sarà  forse  nessuno  de'  no- 
stri lettori  milanesi,  che  non  si  rammenti  d'aver  sen- 
tito, nella  sua  fanciullezza,  o  i  parenti  o  il  maestro,  o 
qualche  amico  di  casa,  o  qualche  persona  di  servizio, 
dir  di  lui:  è  un  ciuffo,  è  un  ciutTetto. 

«  In  verità,  da  povero  figliuolo,  »  rispose  Renzo,  «  io 
non  ho  mai  portato  ciuffo  in  vita  mia.  » 

«  Non  faccia m  niente,  »  rispose  il  dottore,  scotendo 
il  capo,  con  un  sorriso,  tra  malizioso  e  impaziente.  «  Se 
lìon  avete  fede  in  me,  non  facciam  niente.   Chi  dice  le 


CAPITOLO  III.  53 

bugìe  al  doltore,  vedete  figliuolo  è  uno  sciocco  che  dirà 
la  verilà  al  giudice.  All'avvocalo  bisogna  raccontar  le 
cose  chiare:  a  noi  tocca  poi  a  imbrogliarle.  Se  volete 
ch'io  v'aiuti,  bisogna  dirmi  tutto,  dalla  fino  alla  zettà, 
col  cuore  in  mano,  come  al  confessore.  Dovete  nomi- 
narmi la  persona  da  cui  avete  avuto  il  mandato,  sarà 
naturalmente  persona  di  riguardo;  e,  in  questo  caso,  io 
anderù  da  lui,  a  fare  un  alto  di  dovere.  Non  gli  dirò, 
vedete,  ch'io  sappia  da  voi  che  v'ha  mantlalo  lui:  fida- 
tevi. Gli  dirò  che  vengo  ad  implorar  la  sua  protezione, 
per  un  povero  giovine  calunnialo.  E  con  lui  prenderò 
i  concerti  opportuni,  per  finir  l'affare  lodevolmente. 
Capite  bene  che,  salvando  se,  salverà  anche  voi.  Se  poi 
la  scappala  fosse  tutta  vostra,  via,  non  mi  ritiro:  ho  ca- 
vato altri  da  peggio  imbrogli Purché  non  abbiate 

offeso  persona  di  riguardo,  intendiamoci,  m'impegno  a 
togliervi  d'impiccio:  con  un  po' di  spesa,  intendiamoci. 
Dovete  dirmi  chi  sia  l'offeso,  come  si  dice:  e,  secondo 
la  condizione,  la  qualità  e  l'umore  dell'amico,  si  vedrà 
se  convenga  più  di  tenerlo  a  segno  con  le  protezioni, 
0  trovar  qualche  modo  d'attaccarlo  noi  in  criminale,  e 
mettergli  una  pulce  nell'orecchio;  perchè,  vedete,  a  sa- 
per ben  maneggiare  le  gride,  nessuno  è  reo,  e  nessuno 
è  innocente.  In  quanto  al  curato,  se  è  persona  di  giu- 
dizio, *se  ne  starà  zitto;  se  fosse  una  testolina,  c'è  ri- 
medio anche  per  quelle.  D'ogni  intrigo  si  può  uscire; 
ma  ci  vuole  un  uomo:  e  il  vostro  caso  è  serio;  serio, 
vi  dico,  serio:  la  grida  canta  chiaro;  e  se  la  cosa  si 
deve  decider  tra  la  giustizia  e  voi,  così  a  quattr'occhi, 
stale  fresco.  Io  vi  parlo  da  amico:  le  scappale  bisogna 
pagarle:  se  volete  passarvela  liscia,  danari  e  sincerità, 
fidarvi  di  chi  vi  vuol  bene,  ubbidire,  far  tutto  quello 
che  vi  sarà  suggerito.  » 

Mentre  il  dottore  mandava  fuori  tutte  ((ueste  parole, 
Renzo  lo  slava  guardando  con  un' atlenzione  estatica, 
come  un  malerialone  sta  sulla  piazza  guardando  al  gio- 
calor  di  bussolotti,  che,  dopo  essersi  cacciata  in  bocca 


54  I  PROMESSI  SPOSI 

stoppa  e  stoppa  e  stoppa,  ne  cava  nastro  e  nastro  o  na- 
stro che  non  finisce  mai.  Quand'ebbe  però  capito  l)cne 
cosa  il  dottore  volesse  dire,  e  quale  equivoco  avesse 
preso,  ^li  troncò  il  nastro  in  bocca  dicendo:  «  oh!  si- 
gnor dottore,  come  l'ha  intesa?  Tè  proprio  tutta  al  ro- 
vescio. Io  non  ho  minacciato  nessuno;  io  non  fo  di  que- 
sle  cose,  io:  e  domandi  pure  a  tutto  il  mio  comune' 
che  sentirà  che  non  lio  mai  avuto  che  fare  con  la  giu- 
stizia. La  bricconeria  l'hanno  falla  a  me;  e  vengo  da 
lei  per  sapere  come  ho  da  fare  per  ottener  giustizia;  e 
son  ben  contento  d'aver  visto  quella  grida.  » 

«  Diavolo!  »  esclamò  il  dottore^  spalancando  gli  oc- 
chi: «  Che  pasticci  mi  fate?  Tanfo;  siete  tutti  così:  pos- 
sibile che  non  sappiale  dirle  chiare  le  cose?  » 

«  Ma  mi  scusi;  lei  non  m'ha  dato  tempo:  ora  le  rac- 
conterò la  cosa,  com'è.  Sappia  dunque  ch'io  dovevo 
sposare  oggi,»  e  qui  la  voce  di  Renzo  si  commosse, 
«  dovevo  sposare  oggi  una  giovine,  alla  quale  discorrevo 
fin  da  quest'estate;  e  oggi,  come  le  dico,  era  il  giorno 
stabilito  col  signor  curato,  e  s'era  disposto  ogni  cosa.  Ecco 
che  il  signor  curato  comincia  a  cavar  fuori  certe  scuse.... 
basta,  per  non  tediarla,  io  l'ho  fatto  parlar  chiaro,  com'era 
giusto;  e  lui  m'ha  confessato  che  gli  era  slato  proibito, 
pena  la  vita,  di  far  questo  matrimonio.  Quel  prepotente 
di  don  Rodrigo....  » 

a  Eh  via!  »  interruppe  subito  il  dottore,  aggrottando 
le  ciglia,  aggrinzando  il  naso  rosso,  e  storcendo  la  bocca, 
«  Eh  via!  Che  mi  venite  a  rompere  il  capo  con  queste 
fandonie?  Fate  di  questi  discorsi  tra  voi  altri,  che  non 
sapete  misurar  le  parole;  e  non  venite  a  farli  con  un 
galantuomo  che  sa  quanto  valgono.  Andate,  andate; 
non  sapete  quel  che  vi  dite:  io  non  m'impiccio  con  ra- 
gazzi; non  voglio  sentir  discorsi  di  questa  sorte,  discorsi 
in  aria.  > 

«  Le  giuro....  » 

«  Andate,  vi  dico:  che  volete  ch'io  faccia  de' vostri 
giuramenti?  Io  non  c'entro:  me  ne  lavo  le  mani.  »  E  se 


CAPITOLO   III.  S5 

le  andava  stropicciando,  come  se  le  lavasse  davvero. 
«  Imparate  a  parlare:  non  si  viene  a  sorprender  cosi 
un  galantuomo.  » 

«  Ma  senta,  ma  senta,  »  ripeteva  indarno  Renzo:  il 
dottore  sempre  gridando,  lo  spingeva  con  le  mani  verso 
l'uscio;  e,  quando  l'ebbe  cacciato,  aprì,  cliiamò  la  serva, 
e  le  disse:  «  restituite  subito  a  quest'uomo  quello  che 
ha  portato:  io  non  voglio  niente,  non  voglio  niente.  » 

Quella  donna  non  aveva  mai,  in  tutto  il  tempo  ch'era 
stala  in  quella  casa,  eseguito  un  ordine  simile:  ma  era 
slato  proferito  con  una  tale  risoluzione,  che  non  esito 
a  ubbidire.  Prese  le  quattro  povere  bestie,  e  le  diede  a 
Renzo,  con  un'occhiata  di  compassione  sprezzante,  che 
pareva  volesse  dire:  bisogna  che  tu  l'abbia  fatta  bella. 
Renzo  voleva  far  cerimonie;  ma  il  dottore  fu  inespugna- 
bile; e  il  giovine,  più  attonito  e  più  stizzito  che  mai, 
dovette  riprendersi  le  vittime  rilìutate,  e  tornar  al  paese, 
a  raccontar  alle  donne  il  bel  coslmlto  della  sua  spe- 
dizione. 

Le  donne  nella  sua  assenza,  dopo  essersi  iristamente 
levate  il  vestito  delle  feste  e  messo  quello  del  giorno  di 
lavoro,  si  misero  a  consultar  di  nuovo.  Lucia  singhioz- 
zando e  Agnese  sospirando.  Quando  questa  ebbe  ben 
parlato  de'  grandi  eil'etti  che  si  dovevano  sperare  dai 
consigli  del  dottore.  Lucia  disse  che  bisognava  veder 
d'aiutarsi  in  tutte  le  maniere;  che  il  padre  Cristoforo 
era  uomo  non  solo  da  consigliare,  ma  da  metter  l'opera 
sua,  quando  si  trattasse  di  sollevar  poverelli;  e  che  sa- 
rebbe una  gran  bella  cosa  potergli  far  sapere  ciò  ch'era 
accaduto.  «  Sicuro,  »  disse  Agnese:  e  si  diedero  a  cer- 
care insieme  la  maniera;  giacché  andar  esse  al  convento, 
distante  di  là  forse  due  miglia,  non  se  ne  sentivano  il 
coraggio,  in  ([uel  giorno:  e  certo  nessun  uomo  di  giu- 
dizio gliene  avrebbe  dato  il  parere.  Ma,  nel  mentre  che 
bilanciavano  i  partiti,  si  senti  un  picchietto  air  uscio,  e 
nello  stesso  momento,  un  sommesso  ma  distinto:  «  Deo 
gralias.  »  Lucia,  immaginandosi  chi  poteva  essere,  corso 


56  1  PROMESSI   SPOSI 

ad  aprire;  e  subito,  fallo  un  piccolo  inchino  famigliare, 
venne  avanti  un  laico  cercatore  cappuccino,  con  la  sua 
bisaccia  pendente  alla  spalla  sinistra,  e  lenendone  l'im- 
boccatura attortigliala  e  stretta  nelle  due  mani  sul  petto. 

«  Oh  fra  Galdinol  »  dissero  le  due  donne. 

t  II  Signore  sia  con  voi,  »  disse  il  frate.  «  Vengo  alla 
cerca  delle  noci.  » 

«  Va  a  prendere  le  noci  per  i  padri,  »  disse  Agnese. 
Lucia  s'alzò,  e  s'avviò  all'altra  stanza,  ma  prima  d'en- 
trarvi, si  trattenne  dietro  le  spalle  di  fra  Galdino,  che 
rimaneva  diritto  nella  medesima  positura;  e,  mettendo 
il  dito  alla  bocca,  diede  alla  madre  un'occhiata  che  chie- 
deva il  segreto,  con  tenerezza,  con  supplicazione,  e  an- 
che con  una  certa  autorità. 

Il  cercatore,  sbirciando  Agnese  cosi  da  lontano,  disse: 
«  e  questo  matrimonio?  Si  doveva  pur  fare  oggi;  ho 
veduto  nel  paese  una  certa  confusione,  come  se  ci  fosse 
una  novità.  Cos'è  stato?  » 

«  Il  signor  curalo  è  ammalato,  e  bisogna  differire,  » 
rispose  in  fretta  la  donna.  Se  Lucia  non  faceva  quel 
segno,  la  risposta  sarebbe  probabilmente  stata  diversa. 
8  E  come  va  la  cerca?  »  soggiunse  poi  per  mutar  di- 
scorso. 

«  Poco  bene,  buona  donna,  poco  bene.  Le  son  tutte 
qui.  "  E,  così  dicendo,  si  levò  la  bisaccia  d'addosso,  e 
la  fece  saltar  tra  le  due  mani.  «  son  tutte  qui;  e,  per 
mettere  insieme  questa  bella  abbondanza,  ho  dovuto  pic- 
chiare a  dieci  porle.  » 

«  Ma!  le  annate  vanno  scarse,  fra  Galdino,  e;  quando 
s'ha  a  misurar  il  pane,  non  si  può  allargar  la  mano 
nel  resto.  » 

*  E  per  far  tornare  il  buon  tempo,  che  rimedio  c'è, 
la  mia  donna?  L'elemosina.  Sapete  di  quel  miracolo  delle 
noci,  che  avvenne,  molt'anni  sono,  in  quel  nostro  con- 
vento di  Romagna?  » 

t  No,  in  verità;  raccontatemelo  un  poco.  » 

«  Oh!  dovete  dunque  sapere  che,  in  quel  convento, 


CAPITOLO  III.  57 

c'era  un  nostro  padre,  il  quale  era  un  santo,  e  si  chia- 
mava il  padre  Macario.  Un  giorno  d'inverno,  passando 
per  una  viottola,  in  un  campo  d'un  nostro  benefattore, 
uomo  dabbene  anche  lui,  il  padre  Macario  vide  questo 
benefattore  vicino  a  un  suo  gran  noce;  e  quattro  con- 
tadini, con  le  zappe  in  aria,  che  principiavano  a  scalzar 
la  pianta,  per  metterle  le  radici  al  sole.  —  Che  fate  voi 
a  quella  povera  pianta?  dimandò  il  padre  Macario.  —  Eh  ! 
padre,  son  anni  e  anni  che  la  non  mi  vuol  far  noci; 
e  io  ne  faccio  legna.—  Lasciatela  slare,  disse  il  padre: 
sappiate  che,  quest'anno,  la  farà  più  noci  che  foglie.  Il 
benefattore,  che  sapeva  chi  era  colui  che  aveva  detta 
quella  parola,  ordinò  subito  ai  lavoratori,  che  gettasser 
di  nuovo  la  terra  sulle  radici;  e,  chiamato  il  padre,  che 
continuava  la  sua  strada,  —  padre  Macario,  gli  disse, 
la  metà  della  raccolta  sarà  per  il  convento.  Si  sparse  la 
voce  della  predizione;  e  tutti  correvano  a  guardare  il 
noce.  In  fatti,  a  primavera,  fiori  a  bizzeffe,  e,  a  suo 
tempo,  noci  a  bizzeffe.  Il  buon  benefattore  non  ebbe  la 
consolazione  di  bacchiarle;  perchè  andò,  prima  della  rac- 
colta, a  ricevere  il  premio  della  sua  carità.  Ma  il  mira- 
colo fu  tanto  più  grande,  come  sen lucete.  Quel  brav'uomo 
aveva  lascialo  un  figliuolo  di  stampa  ben  diversa.  Or 
dunque,  alla  raccolta,  il  cercatore  andò  per  riscuotere 
la  metà  ch'era  dovuta  al  convento;  ma  colui  se  ne  fece 
nuovo  affatto,  ed  ebbe  la  temerità  di  rispondere  che  non 
aveva  mai  sentilo  dire  che  i  cappuccini  sapessero  far 
noci.  Sapete  ora  cosa  avvenne?  Un  giorno,  (sentite  quesla( 
lo  scapestrato  aveva  invitato  alcuni  suoi  amici  dello  stesso 
pelo,  e,  gozzovigliando,  raccontava  la  storia  del  noce, 
e  rideva  de' frati.  Que'giovinastri  ebber  voglia  d'andar 
a  vedere  quello  sterminato  mucchio  di  noci;  e  lui  li 
mena  su  in  granaio.  Ma  sentite:  apre  l'uscio,  va  vcr.so 
il  cantuccio  dov'era  stato  riposto  il  gran  mucchio,  e 
mentre  dice:  guardale,  guarda  egli  stesso  e  vede...  che 
cosa?  Un  bel  mucchio  di  foglie  secche  di  noce.  Fu  un 
esempio  questo?  E  il  convento,  in  vece  di  scapitare,  ci 


58  I  PROMESSI  SPOSI 

guadagnò;  perchè,  Uopo  un  così  gran  fallo,  la  cerca  delle 
noci  rendeva  lanlo,  lanlo,  che  un  henofallore,  mosso  a 
compassione  del  povero  cercalore,  fece  ai  convento  la 
carila  ermi  asino,  che  aiulasse  a  porlar  le  noci  a  casa. 
E  si  faceva  lanlo  olio,  che  ogni  povero  veniva  a  pren- 
derne, secondo  il  suo  bisogno;  perchè  noi  slam  come  il 
mare,  che  riceve  acqua  da  tulle  le  parli,  e  la  torna  a 
distribuire  a  tulli  i  fiumi.  » 

Qui  ricomparve  Lucia,  col  grembiule  cosi  carico  di 
noci,  che  lo  reggeva  a  fatica,  tenendone  le  due  cocche 
in  alto,  con  le  braccia  tese  e  allungale.  Mentre  fra  Gai- 
di  no,  levatasi  di  nuovo  la  bisaccia,  la  metteva  giù,  e  ne 
scioglieva  la  bocca,  per  introdurvi  l'abbondante  elemo- 
sina, la  madre  fece  un  volto  allonilo  e  severo  a  Lucia, 
per  la  sua  prodigalità;  ma  Lucia  le  diede  un'occhiata, 
che  voleva  dire:  mi  giuslificherò.  Fra  Galdino  proruppe 
in  elogi,  in  auguri,  in  promesse,  in  ringraziamenti,  e, 
rimessa  la  bisaccia  al  posto,  s'avviava.  Ma  Lucia,  richia- 
matolo, disse:  &  vorrei  un  servizio  da  voi;  vorrei  che 
diceste  al  padre  Cristoforo,  che  ho  gran  premura  di  par- 
largli, e  che  mi  faccia  la  carità  di  venir  da  noi  pove- 
rette, subito  subilo;  perchè  non  possiamo  andar  noi  alla 
chiesa.  » 

«  Non  volete  altro?  Non  passerà  un'ora  che  il  padre 
Cristoforo  saprà  il  vostro  desiderio.  » 

«  Mi  fido.  » 

«  Non  dubitate.  »  E  cosi  dello,  se  n'andò,  un  po'  più 
curvo  e  più  contento,  di  quel  che  fosse  venuto. 

Al  vedere  che  una  povera  ragazza  mandava  a  chia- 
mare, con  tanta  confidenza,  il  padre  Cristoforo,  e  ciie 
il  cercalore  accettava  la  commissione,  senza  maraviglia 
e  senza  dilficollà,  nessun  si  pensi  che  quel  Crisloforo 
fosse  un  frale  di  dozzina,  una  cosa  da  strapazzo.  Era 
anzi  uomo  di  molta  autorità,  presso  i  suoi,  e  in  tutto 
il  contorno;  ma  tale  era  la  condizione  de' cappuccini, 
che  nulla  pareva  per  loro  troppo  basso,  nò  troppo  ele- 
vato. Servir  gl'intimi,  ed  esser  servito  dai  potenti,  en- 


CAPITOLO  IH.  oy 

trar  ne' palazzi  e  ne'  tuguri,  con  lo  slesso  contegno  d'u- 
miltà e  di  sicurezza,  esser  talvoila,  nella  stessa  casa,  un 
soggetto  di  passatempo,  e  un  pei'sonaggio  senza  il  quale 
non  si  decideva  nulla,  chieder  l'elemosina  per  tutto,  e 
farla  a  tutti  quelli  che  la  chiedevano  al  convento,  a  tutto 
era  avvezzo  un  cappuccino.  Andando  per  la  strada,  po- 
teva ugualmente  abbattersi  in  un  principe  che  gli  ba- 
ciasse riverentemente  la  punta  ilei  cordone,  o  in  una 
brigata  di  ragazzacci  che,  tìngendo  d' esser  alle  mani  tra 
loro,  gl'inzaccherassero  la  barba  di  fango.  La  parola  «  frate  » 
veniva,  in  que'  tempi,  proferita  col  più  gran  rispetto,  e 
col  più  amaro  disprezzo:  e  i  cappuccini,  lurse  più  d  ogni 
altr' ordine,  eran  oggetto  de' due  upposti  sentimenti,  e 
provavano  le  due  opposte  fortune;  perchè,  non  posse- 
dendo nulla,  portando  un  abito  più  stranamente  diverso 
dal  comune,  facendo  più  aperta  professione  d'  umiltà, 
s'espunevan  più  da  vicino  alla  venerazione  e  al  vilipen- 
dio che  queste  cose  possono  attirare  da' di\ ersi  umori, 
e  dal  diverso  pensare  degli  uomini. 

Partito  h'a  Galdino,  «  tutte  quelle  noci!  »  esclamò 
Agnese:  a  in  quest'anno!» 

«  Mamma,  perdonatemi,  »  rispose  Lucia:  «  ma,  se 
avessimo  fatta  un'elemosina  come  gli  altri,  fra  Galdino 
avrebbe  dovuto  girare  ancora.  Dio  sa  quanto,  prima  d'a- 
ver la  bisaccia  piena;  Dio  sa  ([uando  sarebbe  tornato  al 
convento,  e,  con  le  ciarle  che  avrebbe  fatte  e  sentite, 
Dio  sa  se  gli  sarebbe  rimasto  in  mente » 

«  Hai  pensato  bene;  e  poi  è  tutta  carità  che  porta 
sempre  buon  frutto,  »  disse  Agnese,  la  cpiale,  co  suoi 
difettucci,  era  una  gran  buona  donna,  e  si  sarebbe,  co- 
me si  dice,  buttata  nel  fuoco  per  ([uelT  unica  lìglia  ,  in 
cui  aveva  riposta  tutta  la  sua  compiacenza. 

In  questa,  arrivò  Renzo,  ed  entrando  con  un  volto 
dispettoso  insieme  e  morti ticato, 'gettò  i  capponi  sur  una 
tavola;  e  fu  questa  l'ultima  trista  vicenda  delle  povere 
bestie,  per  (jnel  giorno. 

«  Bel   parere   che   m'avete  datol  »  disse  ad  Agnese. 


60  I   PROMESSI  SPOSI,  CAPITOLO   III. 

«  M'  avete  mandalo  da  un  buon  galantuomo,  da  uno 
che  aiula  veramcnle  i  poverelli!  »  E  raccontò  il  suo  ab- 
boccamento col  dottore.  La  donna,  slupefatla  di  così 
trista  riuscita,  voleva  mettersi  a  dimostiare  che  il  parere 
però  era  buono,  e  che  Renzo  non  doveva  aver  sapulo 
far  la  cosa  come  andava  fatta;  ma  Lucia  interruppe  quella 
questione,  annunziando  che  sperava  d'aver  trovato  un 
aiuto  migliore.  Renzo  accolse  anche  questa  speranza, 
come  accade  a  quelli  che  sono  nella  sventura  e  ncU'  im- 
piccio. «  Ma,  se  il  padre,  »  disse,  «  non  ci  trova  ripiego, 
lo  troverò  io,  in  un  modo  o  nell'altro.  » 

Le  donne  consigliaron  la  pace,  la  pazienza,  la  prudenza. 
«  Domani,  »  disse  Lucia,  «  il  padre  Cristoforo  verrà  si- 
curamente; e  vedrete  che  troverà  qualche  rimedio,  di 
quelli  che  noi  poveretti  non  sappiain  nemmeno  Imma- 
ginare. » 

«  Lo  spero;  »  disse  Renzo,  »  ma,  in  ogni  caso,  saprò 
farmi  ragione,  o  farmela  fare.  A  questo  mondo  c'è  giu- 
stizia, finalmente.  » 

Co'  dolorosi  discorsi,  e  con  le  andate  e  venule  che  si 
son  riferite,  quel  giorno  era  passato  ;  e  cominciava  a  im- 
brunire. 

«  Ruona  notte,  »  disse  tristamente  Lucia  a  Renzo,  il 
quale  non  sapeva  risolversi  d'andarsene. 

«  Ruona  notte,  »  rispose  Renzo,  ancor  piò  tristamente. 

d  Qualche  santo  ci  aiuterà,  »  replicò  Lucia:  »  usate 
prudenza  e  rassegnatevi.  » 

La  madre  aggiunse  altri  consigli  dello  stesso  genere; 
e  lo  sposo  se  n'andò,  col  cuore  in  tempesta,  ripetendo 
sempre  quelle  strane  parole:  «  a  questo  mondo  c'è  giu- 
stizia, finalmente!  »  Tant'è  vero  che  un  uomo  sopraf- 
fatto dal  dolore  non  sa  più  quel  che  si  dica. 


CAPITOLO  IV. 


Il  sole  non  era  ancor  tutto  apparso  siiirorizzonte,  quando 
il  padre  Cristoforo  usci  dal  suo  convento  di  Pescarenico, 
per  salire  alla  casetta  dov'era  aspettato.  É  Pescarenico 
una  terricciola,  sulla  riva  sinistra  dell'Adda,  o  vogiiam 
dire  del  lago,  poco  discosto  dal  ponle:  un  gruppetto  di 
case,  abitate  la  piij  parte  da  pescatori,  e  addobbate  qua 
e  là  di  tramagli  e  di  reti  teso  ad  asciugare.  Il  convento 
era  situalo  ((;  la  fabbrica  ne  sussiste  tuttavia)  al  di  fuori, 
e  in  faccia  al  Ceni  rata  della  ((n^ra,  con  di  mezzo  la  strada 
die  da  Lecco  conduce  a  Bergamo.  Il  cielo  era  lutto  se- 
reno: di  mano  in  mano  die  il  sole  si  alzava  dietro  il 
monte,  si  vedeva  la  sua  luce,  dalle  sommila  de' monti 
opposti,  scendere,  come  spiegandosi  rapidamenle,  giù  per 
i  pendii,  e  nella  valle.  Un  venticello  (rauUinno,  slaccando 
da'  rami  le  foglie  appassite  del  gelso,  le  portava  a  cadere, 
qualdie  passo  distante  dall'albero.  A  destra  e  a  sinistra, 
nelle  vigne,  sui  tralci  ancor  lesi,  brillavan  le  foglie  ros- 
seggianti  a  varie  tinte;  e  la  terra  lavorata  di  fresco,  spic- 
cava l)runa  e  distinta  ne' campi  di  stoppie  biancastre  e 
luccicanti   dalla   guazza.   La   scena  era   lieta;  ma  ogni 


02  I   PROMESSI   SPOSI 

figura  d'uomo  che  vi  apparisse,  raltrislava  lo  sguardo  e 
il  pensiero.  Ogni  tanto,  s'incontravano  mendichi  laceri 
e  macilenti,  o  invecchiati  nel  mestiere,  o  spinti  allora 
dalla  necessità  a  tender  la  mano.  Passavano  zitti  accanto 
al  padre  Cristoforo,  lo  guardavano  pietosamente;  e,  ben- 
ché non  avcsser  nulla  a  sperar  da  lui,  giacché  un  cap- 
puccino non  toccava  mai  moneta,  gii  facevano  un  inchino 
di  ringraziamento,  per  l'elemosina  che  avevan  ricevuta,  o 
che  andavano  a  cercare  al  convento.  Lo  spettacolo  de'  la- 
voratori sparsi  ne'  campi,  aveva  qualcosa  d'ancor  più  do- 
loroso. Alcuni  andavan  gettando  le  lor  semente,  rade, 
con  risparmio,  e  a  malincuore,  come  chi  arrischia  cosa 
che  troppo  gli  preme;  altri  spingevan  la  vanga  come  a 
stento,  e  rovesciavano  svogliatamente  la  zolla.  La  fan- 
ciulla scarna,  tenendo  per  la  corda  al  pascolo  la  vacche- 
rella magra  stecchita,  guardava  innanzi,  e  si  chinava  in 
fretta,  a  rubarle,  per  cibo  della  famiglia,  qualche  erba, 
di  cui  la  fame  aveva  insegnato  che  anche  gli  uomini  po- 
tevan  vivere.  Questi  spettacoli  accrescevano,  a  ogni  passo, 
la  mestizia  del  frate,  il  quale  camminava  già  col  tristo  pre- 
sentimento in  cuore,  d'andar  a  sentire  qualche  sciagura. 

—  Ma  perchè  si  prendeva  tanto  pensiero  di  Lucia?  E 
perchè,  al  primo  avviso,  s'era  mosso  con  tanta  sollecitu- 
dine, come  a  una  chiamata  del  padre  provinciale?  E  chi 
era  questo  padre  Cristoforo?  —  Bisogna  soddisfare  a  tutte 
queste  domande. 

Il  padre  Cristoforo  da'"  era  un  uomo  più  vicino  ai 
sessanta  che  ai  cinquant'anni.  Il  suo  capo  raso,  salvo  la 
piccola  corona  di  capelli,  che  vi  girava  intorno,  secondo 
d  rito  cappuccinesco,  s'alzava  di  tempo  in  tempo,  con  un 
movimento  che  lasciava  trasparire  un  non  so  che  d'altero 
e  d'inquieto;  e  subito  s'abbassava,  per  riflessione  d'umiltà. 
La  barba  bianca  e  lunga,  che  gli  copriva  le  guance  e  il 
mento,  faceva  ancor  più  risaltare  le  forme  rilevate  della 
parte  superiore  del  volto,  alle  quali  mi' astinenza,  già 
da  gran  pezzo  abituale,  aveva  assai  più  aggiunto  di  gra- 
vila che  tolto  d'espressione.  Due  occhi  incavati  eran  per 


CAPITOLO   IV.  63 

lo  più  (iiinali  a  terra,  ma  talvolta  sfolgoravano,  con  vi- 
vacità repentina;  come  due  cavalli  bizzarri,  condotti  a 
mano  da  un  cocchiere,  col  quale  sanno,  per  esperienza, 
che  non  si  può  vincerla,  pure  fanno,  di  tempo  in  tempo, 
(|nalclie  sgainl)etlo,  che  scontan  subito,  con  una  buona 
tirala  di  morso. 

Il  padre  Cristoforo  non  era  sempre  stato  cosi,  né  sem- 
pre era  stato  Cristoforo:  il  suo  nome  di  battesimo  era 
Lodovico.  Era  figliuolo  d'un  mercante  di*'*  (questi  aste- 
rischi vengon  tutti  dalla  circospezione  del  mio  anonimo) 
che,  ne' suoi  ultim'anni,  trovandosi  assai  fornito  di  beni, 
e  con  quell'unico  figliuolo,  aveva  rinunziato  al  traffico, 
e  s'era  dato  a  viver  da  signore. 

Nel  suo  nuovo  ozio,  cominciò  a  entrargli  in  corpo  una 
gran  vergogna  di  tutto  quel  tempo  che  aveva  speso  a  far 
qualcosa  in  questo  mondo.  Predominalo  da  una  tal  fan- 
tasia, studiava  tutte  le  maniere  di  far  dimenticare  eli 'era 
slato  mercante;  avrebbe  voluto  poterlo  dimenticare  an- 
che lui.  Ma  il  fondaco,  le  balle,  il  libro,  il  braccio,  gli 
comparivan  sempre  nella  memoria,  come  l'ombra  di 
Banco  a  Macbeth,  anche  tra  la  pompa  delle  mense,  e  il 
sorriso  de' parassiti.  E  non  si  potrebbe  dire  la  cura  che 
dovevano  aver  que' poveretti ,  per  schivare  ogni  parola 
che  potesse  parere  allusiva  all'antica  condizione  del  con- 
vitante. Un  giorno,  per  raccontarne  una,  un  giorno,  snl 
finir  della  tavola,  ne' momenti  della  piìi  viva  e  schietta 
allegria,  die  non  si  sarebbe  potuto  din;  chi  più  godesse. 
0  la  brigata  di  sparecchiare,  o  il  padrone  d'aver  appa- 
recchiato, andava  stuzzicando,  con  superiorità  amiclie- 
\olc,  uno  di  que' commensali,  il  più  onesto  mangiatore 
del  mondo.  Questo,  jicr  corrispondere  alla  celia,  senza 
III  minima  omlira  di  malizia,  proprio  col  candore  d'un 
liambino,  rispose:  «eli!  io  fo  l'orecchio  d(4  mercante.  « 
Egli  stesso  fu  subito  colpito  dal  suono  della  parola  rlio 
gli  era  uscita  di  bocca,  guardò,  con  faccia  incerta,  all.i 
faccia  del  padrone,  die  .s'era  rannuvolata:  l'iino  e  T al- 
ito avrebber  voluto  riiirender  (pidla  di  prima;  ma  non 


64  I   PROMESSI  SPOSI 

era  possibile.  Gli  altri  convitati  pensavano,  ognun  da  sé, 
al  modo  di  sopire  il  piccolo  scandolo,  e  di  fare  una  di- 
versione; ma,  pensando,  tacevano,  e,  in  quel  silenzio,  lo 
scandolo  era  più  manifesto.  Ognuno  scansava  d'incontrar 
gli  occhi  degli  altri;  ognuno  sentiva  che  tutti  cran  occu- 
pati del  pensiero  che  tutti  volevan  dissimulare.  La  gioia, 
per  quel  giorno,  se  n'andò,  e  l'imprudente  o,  per  parlar 
con  pili  giustizia,  lo  sfortunato,  non  ricevette  più  invito. 
Così  il  padre  di  Lodovico  passò  gli  ultimi  suoi  anni  in 
angustie  continue,  temendo  sempre  di  essere  schernito, 
e  non  riflettendo  mai  che  il  vendere  non  è  cosa  più  ri- 
dicola che  il  comprare,  e  che  quella  professione  di  cui 
allora  si  vergognava,  l'aveva  pure  esercitata  per  tant'anni, 
in  presenza  del  pubblico,  e  senza  rimorso.  Fece  educare 
il  figlio  nobilmente,  secondo  la  condizione  de' tempi,  e 
per  quanto  gli  era  concesso  dalle  leggi  e  dalle  consue- 
tudini; gli  diede  maestri  di  lettere  e  d'esercizi  cavalle- 
reschi; e  morì,  lasciandolo  ricco  e  giovinetto. 

Lodovico  aveva  contratte  abitudini  signorili  ;  e  gli  adu- 
latori, tra  i  quali  era  cresciuto,  l'avevano  avvezzato  ad 
esser  trattato  con  molto  rispetto.  Ma  quando  volle  mi- 
schiarsi coi  principali  della  sua  città,  trovò  un  fare  ben 
diverso  da  quello  a  cui  era  accostumato;  e  vide  che,  a 
voler  essere  della  lor  compagnia,  come  avrebbe  deside- 
ralo, gli  conveniva  fare  una  nuova  scuola  di  pazienza  e 
di  sommissione,  star  sempre  al  di  sotto,  e  ingozzarne 
una  ogni  momento.  Una  tal  maniera  di  vivere  non  s'ac- 
cordava, nò  con  l'educazione,  nò  con  la  natura  di  Lo- 
dovico. S'allontanò  da  essi  indispettito.  Ma  poi  ne  stava 
lontano  con  rammarico;  perchè  gli  pareva  che  questi 
veramente  avrebber  dovuto  essere  i  suoi  compagni  ;  sol- 
tanto gli  avrebbe  voluti  più  trattabili.  Con  questo  misto 
d'inclinazione  e  di  rancore,  non  potendo  frequentarli 
famigliarmente,  volendo  pure  aver  che  fare  con  loro  in 
qualche  modo,  s'era  dato  a  competer  con  loro  di  sfoggi 
e  di  magnificenza,  comprandosi  così  a  contanti  inimicizie, 
invidia  e  ridicolo.  La  sua  indole,  onesta  insieme  e  vio- 


CAPITOLO  IV.  60 

lenta,  lo  aveva  poi  imbarcato  per  tempo  in  altre  gare 
più  serie.  Sentiva  un  orrore  spontaneo  e  sincero  per  le 
anghtM'ic  e  per  i  soprusi:  orrore  reso  ancor  più  vivo  in 
lui  dalla  qualità  delle  persone  che  più  ne  commettevano 
alla  giornata;  ch'erano  appunto  coloro  coi  quali  aveva 
più  di  quella  ruggine.  Per  acquietare,  0  per  esercitare 
tutte  queste  passioni  in  una  volta,  prendeva  volentieri 
le  parti  d'un  debole  sopraffatto,  si  piccava  di  farci  stare 
un  soverciiiatore,  s'intrometteva  in  una  briga,  se  ne  ti- 
rava addosso  un'altra;  tanto  che,  a  poco  a  poco,  venne 
a  costituirsi  come  un  prolettor  degli  oppressi,  e  un  ven- 
dicatore de'  torti.  L'impiego  era  gravoso;  e  non  è  da 
domandare  se  il  povero  Lodovico  avesse  nemici,  impegni 
e  pensieri.  Oltre  la  guerra  esterna,  era  poi  tribolato  con- 
linuamente  da  contrasti  interni;  perchè,  a  spuntarla  in 
un  impegno  (senza  parlare  di  quelli  in  cui  reslava  al 
di  sotto),  doveva  anche  lui  adoperar  raggiri  e  violenze, 
che  la  sua  coscienza  non  poteva  poi  approvare.  Doveva 
tenersi  intorno  un  buon  numero  di  bravacci;  e,  così  per 
la  sua  sicurezza,  come  per  averne  un  aiuto  più  vigoroso, 
doveva  scegliere  i  più  arrischiali,  cioè  i  più  ribaldi;  e 
vivere  co' birboni,  per  amor  della  giustizia.  Tanto  che, 
più  d'una  volta,  0  scoraggilo,  dopo  una  trista  riuscita, 
0  inquielo  pi>r  un  pericolo  imminente,  annoiato  dal  con- 
tinuo guardarsi,  stomacato  della  sua  compagnia,  in  pen- 
siero delfavvenire,  per  le  sue  sostanze  che  se  n'andavan, 
di  giorno  in  giorno,  in  opere  buone  e  in  braverie,  più 
d'una  volta  gli  era  saltata  la  fantasia  di  farsi  frate;  che, 
a  (piei  tempi,  era  il  ripiego  più  comune,  per  uscir  d'im- 
picci. Ma  questa,  che  sarebbe  forse  slata  una  fantasia 
pi'r  lulta  la  sua  vita,  divenne  una  risoluzione,  a  causa 
d'un  accidente,  il  più  serio  che  gli  fosse  ancor  capitalo. 
Andava  un  giorno  per  una  strada  della  sua  città,  se- 
guito da  due  bravi,  e  accompagnalo  da  un  tal  Ciàstoforo, 
altn;  volle  giovine  di  bottega  e,  dopo  chiusa  (piesla, 
diventato  maestro  di  casa.  Era  uomo  di  circa  cinquan- 
t'anni,  alYozionato,  dalla  gioventù,  a  Lodovico,  che  aveva 

VOL.  }.  3' 


60  I  PROMESSI  SPOSI 

vediilo  nascere,  e  clic,  Ira  salario  o  regali,  gli  dava  non 
solo  da  vivere,  ma  di  che  mantenere  e  lirar  su  una  nu- 
merosa famiglia.  Vide  Lodovico  spuntar  da  lontano  un 
signor  tale,  arrogante  e  sovcrcliiatore  di  professione,  col 
quale  non  aveva  mai  parlalo  in  vita  sua,  ma  che  gli 
era  cordiale  nemico,  e  al  (juale  rendeva,  pur  di  cuore, 
il  contraccambio:  giacché  è  uno  de' vantaggi  di  questo 
mondo,  quello  di  poter  odiare  ed  esser  odiati,  senza  co- 
noscersi. Costui,  seguilo  da  quattro  bravi,  s'avanzava 
diriUo,  con  passo  superbo,  con  la  testa  alta,  con  la  bocca 
composta  airallerigia  e  allo  sprezzo.  Tuli' e  due  cammi- 
navan  rasente  al  muro;  ma  Lodovico  (nolate  bene)  lo 
strisciava  eoi  lato  destro;  e  ciò,  secondo  una  consuetu- 
dine, gli  dava  il  diritto  (dove  mai  si  va  a  ficcare  il  di- 
ritto!) di  non  istaccarsi  dal  dello  muro^  per  dar  passo 
a  chi  si  fosse:  cosa  della  quale  allora  si  faceva  gran  caso. 
L'altro  pretendeva  all'opposto,  che  quel  diritto  compe- 
tesse a  lui,  come  a  nobile,  e  che  a  Lodovico  toccasse 
d'andar  nel  mezzo;  e  ciò  in  forza  d' un'altra  consuetu- 
dine. Perocché,  in  questo,  come  accade  in  molti  altri 
alTari,  erano  in  vigore  due  consuetudini  conliaric,  senza 
che  fosse  deciso  qual  delle  due  fosse  la  buona:  il  che 
dava  opportunità  di  fare  una  guerra,  ogni  volta  che  una 
testa  dura  s'abbattesse  in  un'altra  della  stessa  tempra. 
Que' due  si  venivano  incontro,  ristretti  alla  muraglia, 
come  due  figure  di  basso  rilievo  ambulanti.  Quando  si 
trovarono  a  viso  a  viso,  il  signor  tale,  squadrando  Lo- 
dovico, a  capo  alto,  col  cipiglio  imperioso,  gli  disse,  in 
un  tono  corrispondente  di  voce:   «  fate  luogo.  » 

<■<■  Fate  luogo  voi,  »  rispose  Lodovico.  «  La  diritta  è 
mia.  » 

«  Co'  vostri  pari,  é  sempre  mia.  » 

«  Sì,  se  l'arroganza  de' vostri  pari  fosse  legge  per  i 
pari  miei.  » 

I  bravi  dell'uno  e  dell'altro  eran  rimasti  fermi,  cia- 
scuno dietro  il  suo  padrone,  guardandosi  in  cagnesco, 
con  le  mani  alle  daghe,  preparali  alla  battaglia.  La  gente 


CAPITOLO   IV.  67 

che  arrivava  di  qua  e  di  là,  si  teneva  in  distanza  a  os- 
servare il  fatto;  e  la  presenza  di  quegli  spettatori  ani- 
mava sempre  più  il  puntiglio  de'  conlendenli. 

«  Nel  mezzo,  vile  meccanico;  o  ch'io  t'insegno  una 
volta  come  si  tratta  co'  gentiluomini.  » 

«  Voi  mentite  ch'io  sia  vile.  » 

«  Tu  menti  ch'io  abbia  mentito.  »  Questa  risposta  era 
di  prammatica.  «  E,  se  tu  fossi  cavaliere,  come  son  io,  » 
aggiunse  quel  signore,    «  ti  vorrei  far  vedere,  con  la 
spada  e  con  la  cappa,  che  il  mentitore  sci  tu.  »     , 

«■  E  un  buon  pretesto  per  dispensarvi  (Vi  sostener  coi 
fatti  l'insolenza  delle  vostre  parole.  » 

«  Gettate  nel  fango  questo  ribaldo,  »  disse  \\  genti- 
luomo, voltandosi  a'  suoi. 

«  Vejjcliamo!  »  disse  Lodovico,  dando  subitamente  un 
passo  indie!  ro,  e  mettendo  mano  alla  spada. 

1  Temerario!  «  gridò  l'altro,  sfoderando  la  sua:  «io 
spezzerò  questa,  quando  sarà  mac  hiala  del  tuo  vii  san- 
gue. » 

Cosi  s'avventarono  l'uno  all'altro;  i  servitori  delle  due 
parti  si  slanciarono  alla  difesa  de'  loro  padroni.  Il  com- 
battimento era  disuguale,  e  per  il  numero,  e  anche  p  or- 
che Lodovico  mirava  piuttosto  a  scansare  i  colpi,  e  a 
disarmare  il  nemico,  che  ad  ucciderlo;  ma  questo  voleva 
la  morte  di  lui  a  ogni  costo.  Lo;lovico  aveva  già  ri- 
cevuta al  braccio  sinistro  una  pugnalata  d'un  bravo, 
e  una  sgratTiatura  leggiera  in  una  guancia,  e  il  nemico 
principale  gli  piomlìava  addosso  per  finirlo;  quando  Cri- 
stoforo, vedendo  il  suo  padrone  nell'estremo  pericolo, 
andò  col  pugnale  addosso  al  signore.  Questo  rivolta  tutta 
la  sua  ira  contro  di  lui,  lo  passò  con  la  spada,  A  quella 
vista,  Lodovico,  come  fuor  di  so,  cacciò  la  sua  nel  ven- 
tre del  feritore,  il  quale  cadde  moribondo,  quasi  a  un 
punto  col  povero  Crisloforo.  I  bravi  del  gentiluomo,  vi- 
sto ch'era  finita,  si  diedero  alla  fuga,  malconci:  quelli  di 
Lodovico,  tartassati  e  sfregiati  anche  loro,  non  essen- 
dovi più  a  chi  darò,  e  non  volendo  trovarsi  impicciati 


68  I  PROMESSI   SPOSI 

nella  genie,  che  già  accorreva,  scantonarono  dall'altra 
parte:  e  Lodovico  si  trovò  solo,  con  que'  due  funesti  com- 
pagni ai  piedi,  in  mezzo  a  una  folla. 

«  Com'  è  andata?  —  È  uno.  —  Son  due.  —  Gli  lia 
fatto  un  occhiello  nel  ventre.  —  Chi  è  slato  ammazza- 
to? —  Quel  prepotente.  —  Oh  santa  Maria,  che  scon- 
quasso! —  Chi  cerca  trova.  —  Una  le  paga  tutte.  — 
Ha  finito  anche  lui.  —  Che  colpo!  —  Vuol  essere  una 
faccenda  seria.  —  E  queir  altro  disgraziato!  —  Miseri- 
cor^lia!  che  spettacolo!  —  Salvatelo,  salvatelo.  —  Sta 
fresco  anche  lui.  —  Vedete  com'  è  concio  !  butta  san- 
gue da  tutte  le  parti.  —  Scappi,  scappi.  Non  si  lasci 
prendere.  » 

Queste  parole,  che  più  di  lutle  si  facevan  sentire  nel 
frastono  confuso  di  quella  folla,  esprimevano  il  voto  co  - 
mune;  e,  col  consiglio,  venne  anche  l'aiuto.  Il  fatto  era 
accaduto  vicino  a  una  chiesa  di  cappuccini,  asilo,  come 
ognun  sa,  impenetrabile  allora  a  birri,  e  a  tutto  quel 
complesso  di  cose  e  di  persone,  che  si  chiamava  la 
giustizia.  L'  uccisore  ferito  fu  quivi  condotto  o  portato 
dalla  folla,  quasi  fuor  di  sentimento;  e  i  frali  lo  ricevet- 
tero dalle  mani  del  popolo,  che  glielo  raccomandava, 
dicendo:  «  è  un  uomo  dabbene  che  ha  freddato  un  bir- 
bone superbo:  1' ha  fatto  per  sua  difesa:  c'è  stato  tirato 
per  i  capelli.  »  - 

Lodovico  non  aveva  mai,  prima  d'  allora,  sparso  san- 
gue; e,  benché  l'omicidio  fosse,  a  que'  tempi,  cosa  tanto 
comune,  che  gli  Orecchi  d'ognuno  erano  avvezzi  a  sen- 
tirlo raccontare,  e  gli  occhi  a  vederlo,  pure  l' impressione 
eh'  egli  ricevette  dal  veder  l' uomo  morto  per  lui,  e 
l'uomo  morto  da  lui,  fu  nuova  e  indicibile;  fu  una  ri- 
velazione di  senlimenli  ancora  sconosciuti.  Il  cadere  del 
suo  nemico^  l' alterazione  ili  quel  volto,  che  passava 
in  un  momento,  dalla  minaccia  e  dal  furore,  all'  abbat- 
timento e  alla  quiete  solenne  della  morie,  fu  una  vista 
che  cambiò,  in  un  punto,  1'  animo  dell'  uccisore.  Stra- 
iscinato  al  convento,  non  sapeva  quasi  dove  si  fosse,  né 


CAPITOLO  IV.  69 

cosa  si  facesse;  e,  quando  fu  tornato  in  so,  si  trovò  in 
un  letto  dell'  infermeria,  nelle  mani  del  frate  chirurgo, 
(i  cappuccini  ne  avevano  ordinariamente  uno  in  ogni 
convento)  che  accomodava  faldelle  e  fasce  sulle  due  fe- 
rite che' egli  aveva  ricevute  nello  scontro.  Un  padre,  il 
cui  impiego  particolare  era  d'assistere  i  moriboncU,  e 
che  aveva  spesso  avuto  a  render  questo  servizio  sulla 
strada,  fu  chiamato  subilo  al  luogo  del  combattimento. 
Tornalo,  pochi  minuti  dopo,  entrò  neh'  infermeria,  e, 
avvicinatosi  al  letto  dove  Lodovico  giaceva,  «  consolate- 
vi, j>  gli  disse:  «  almeno  è  morto  bene,  e  m'  ha  incari- 
cato di  chiedere  il  vostro  perdono,  e  di  portarvi  il  suo.  » 
Questa  parola  fece  rinvenire  atTafto  il  povero  Lodovico, 
e  gli  risvegliò  più  vivamente  e  più  distintamente  i  sen- 
timenti che  eran  confusi  e  affollati  nel  suo  animo  :  do- 
lore dell'  amico,  sgomento  e  rimorso  del  colpo  «he  gli 
era  uscito  di  mano,  e  nello  stesso  tempo,  un'  angosciosa 
compassione  dell'uomo  che  aveva  ucciso.  «  E  r altro?» 
domandò  ansiosamente  al  frale. 

1  L'altro  era  spirato,  quand' io  arrivai.  » 
Frattanto,  gli  accessi  e  i  contorni  del  convento  formi- 
colavan  di  popolo  curioso  :  ma,  giunta  la  sbirraglia,  fece 
smaltir  la  folla,  e  si  postò  a  una  Ci-rla  disianza  dalla 
porla,  in  modo  però  che  nessuno  potesse  uscirne  inos- 
servalo. Un  fratello  del  morto,  due  suoi  cugini  e  un 
vecchio  zio,  vennero  pure,  armali  da  capo  a  piedi,  con 
grande  accompagnamento  di  bravi;  e  si  misero  a  far  la 
ronda  inlorno,  guardando,  con  aria  e  con  atti  di  dispetto 
minaccioso,  (pie' curiosi,  che  non  osavaii  dire:  gli  sia 
bene;  ma  l'avevano  scritto  in  viso. 

Appena  Lodovico  ebbe  potuto  raccogliere  i  suoi  pen- 
sieri, chiamato  un  frate  confessore,  lo  pregò  che  cercasse 
della  vedova  di  Cristoforo,  le  chiedesse  in  suo  nome 
perdono  d'essere  sialo  lui  la  cagione,  (luanluiique  ben 
certo  involontaria,  di  quella  desolazione,  e,  nello  stesso 
tempo,  l'assicurasse  ch'egli  prendeva  la  famiglia  sopra 
di  sé.  Rifleltendo  quindi  a' casi  suoi,  senti  rinascere  più 


70  I  PROMESSI  SPOSI 

che  mai  vivo  e  serio  quel  pensiero  di  farsi  frale,  che 
altre  volle  gii  era  passato  per  la  mente:  e  gii  parve  che 
Dio  medesimo  l'avesse  messo  sulla  slrada,  e  datogli  un 
segno  del  suo  volere,  facendolo  capitare  in  un  convento, 
in  quella  congiuntura;  e  il  partito  fu  preso.  Fece  chia- 
mare il  guardiano,  e  gli  manifestò  il  suo  desiderio. 
N'  ebbe  in  risposta,  che  bisognava  guardarsi  dalle  riso- 
luzioni precipitate;  ma  che,  se  presisteva,  non  sarebbe 
rifiutato.  Allora,  fatto  venire  un  notare,  detiù  una  dona- 
zione di  tutto  ciò  che  gli  rimaneva  (ch'era  tuttavia  un 
bel  patrimonio)  alla  famiglia  di  Cristoforo:  una  somma 
alla  vedova,  come  se  le  costituisse  una  contraddote,  e  il 
resto  a  olio  figliuoli  che  Cristoforo  aveva  lasciali. 

La  risoluzione  di  Lodovico  veniva  molto  a  proposito 
per  i  suoi  ospiti,  i  quali,  per  cagion  sua,  erano  in  un 
heW  intrigo.  Rimandarlo  dal  convento,  ed  esporlo  cosi 
alla  giustizia,  cioè  alla  vendetta  de'  suoi  nemici,  non  era 
partito  da  metter  neppure  in  consulta.  Sarebbe  stato  lo 
stesso  che  rinunziare  ai  propri  privilegi,  screditare  il 
convento  presso  il  popolo,  attirarsi  il  biasimo  di  tutti  i 
cappuccini  dell'universo,  per  aver  lasciato  violare  i\  di- 
ritto di  tutti,  concitarsi  contro  tutte  le  autorità  ecclesia- 
stiche, le  quali  si  consideravan  come  tutrici  di  questo 
diritto.  Dall'  altra  parte,  la  famiglia  dell'  ucciso,  potente 
assai,  e  per  sé,  e  per  le  sue  aderenze,  s'era  messa  al 
punto  di  voler  vendetta;  e  dichiarava  suo  nemico  chiun- 
que s'attentasse  di  mettervi  ostacolo.  La  storia  non  dice 
che  a  loro  dolesse  molto  dell'  ucciso,  e  nemmeno  che 
una  lagrima  fosso  stata  sparsa  per  lui,  in  tutto  il  pa- 
rentado: dice  soltanto  eh' eran  tutti  smaniosi  d'aver 
neir  unghie  l'  uccisore,  o  vivo  o  morto.  Ora  questo,  ve- 
stendo l'abitò  di  cappuccino,  accomodava  ogni  cosa. 
Faceva  in  certa  maniera,  un'  emenda,  s' imponeva  una 
penitenza,  si  chiamava  implicitamente  in  colpa,  si  riti- 
rava da  ogni  gara:  era  in  somma  un  nemico  che  depon 
r  armi.  I  parenti  del  morto  potevan  poi  anche,  se  loro 
pijacesse,  credere  e  vantarsi  che  s'era  fatto  frate  per  di- 


CAPITOLO  IV.  71 

sperazione.  e  per  terrore  del  loro  sdegno.  E,  ad  ogni 
modo,  ridurre  un  uomo  a  spropriarsi  del  suo,  a  tosarsi 
la  testa,  a  camminare  a  piedi  nudi,  a  dormir  sur  un 
saccone,  a  viver  d'elemosina,  poteva  parere  una  puni- 
zione competente,  anclie  air  offeso  il  più  l)orioso. 

Il  padre  guardiano  si  presentò,  con  un'  umiltà  disin- 
volta, al  fratello  del  morto,  e,   dopo  mille  proteste  di 
rispetto  per  l'illustrissima  casa,  e  di  desiderio  di  com- 
piacere ad  essa  in  tutto  ciò  che  fosse  fattibile,  parlò  del 
pentimento  di  Lodovico,  e  della  sua  risoluzione,  facendo 
garltatament(3  sentire  che  la  casa  poteva  esserne  contenta, 
e  insinuando  poi  soavemente,  e  con  maniera  ancor  più 
destra,  che,  piacesse  o  non  piacesse,  la  cosa  doveva  es- 
sere. Il  fratello  diede  in  isinanie,  che  il  cappuccino  la- 
sciò svaporare,  dicendo  di  tempo  in  timipo:  «  è  un  troppo 
giusto  dolore.  »  Fece  intendere  che,   in   ogni  caso,  la 
sua  famiglia  avrebbe  saputo  prendersi  una  soddisfazio- 
ne: e  il  cappuccino,  qualunque  cosa  ne  pensasse,   non 
disse  di  no.  Finalmente  richiese,  impose  come  una  con- 
dizione, che  l'uccisor  di  suo  fratello  partirebbe   subito 
da  quella  città.   Il  guardiano,  che  aveva   già  deliberato 
che  questo  fosse   fatto,  disse  che   si  farebbe,    lasciando 
che  l'altro  credesse,  se  gli  piaceva,  esser  questo  un  atto 
d'  ubbidienza:  e  tutto  fu  concluso.  Contenta  la  famiglia, 
che  ne  usciva  con  onore;  contenti  i  frati,  che  salvavano 
un  uomo  e  i  loro  privilegi,  senza  farsi  alcun  nemico; 
contenti  i  dilettanti  di  cavalleria,  che  vedevano  un  affare 
terminarsi  lodevolmente;  conlento  il  popolo,  che  vedeva 
fuor  d' impiccio  un  uomo  l)en  voluto,  e  che,  nello  stesso 
tempo,  ammirava  una  conv(;rsione;  conlcmto  llnalmente, 
e  più  di  tutti,  in  mezzo   al  dolore,  il  nostro  Lodovico, 
il  (piale  cominciava  una  vita  d'  espiazione  e  di  servizio, 
che  potesse,  se  non  riparare^  pagare  almeno  il  mal  fatto, 
e  rintuzzare  il  pungolo  intollerabile  del  rimorso.  Il  so- 
spetto che  la  sua  risoluzione  fosse  attribuita  alla  paura, 
r  aftlisse  un   momento;  ma   si  consolò  subito  col   pen- 
siero che  anche  quell'ingiusto  giudizio  sarebbe  un  ga- 


72  I   PROMESSI   SPOSI 

sligo  per  lui,  euri  mezzo  d' espiazione.  Così,  a  treni' an- 
ni, si  ravvolse  nel  sacco;  e  dovendo,  secondo  l'  uso,  la- 
sciare il  suo  nome,  e  prenderne  un  altro,  ne  scelse  uno 
che  gli  rammentasse,  ogni  momento,  ciò  che  aveva  da 
espiare:  e  si  chiamò  fra  Cristoforo. 

Appena  compita  la  cerimonia  della  vestizione,  il  guar- 
diano gì'  intimò  che  sarebbe  andato  a  fare  il  suo  novi- 
ziato a'**,  sessanta  miglia  lontano,  e  che  partirebbe  al- 
l' indomani.  Il  novizio  s' inchinò  profondamente,  e  chiese 
una  grazia.  «  Permei (elemi,  padre,  »  disse,  «  che,  prima 
di  partir  da  questa  città,  dove  ho  sparsoli  sangue  d'un 
uomo,  dove  lascio  una  famiglia  crudchuente  offesa,  io 
la  ristori  almeno  dell"  atfronto,  ch'io  mostri  almeno  il 
mio  rammarico  di  non  poter  risarcire  il  danno,  col  chie- 
dere scusa  al  fratello  dell'  ucciso,  e  gli  levi,  se  Dio  be- 
nedice la  mia  intenzione,  il  rancore  dall'animo.  »  Al 
guardiano  parve  che  un  tal  passo,  oltre  all'essere  jiuono 
in  se,  servirebbe  a  riconciliar  sempre  più  la  famiglia 
col  convento;  e  andò  diviato  da  quel  signor  fratello,  ad 
esporgli  la  domanda  di  fra  Cristoforo.  A  proposta  cosi 
inaspettata,  colui  senti,  insieme  con  la  maraviglia,  un 
ribollimento  di  sdegno,  non  però  senza  qualche  compia- 
cenza. Dopo  aver  pensalo  un  momento,  «  venga  doma- 
ni, »  disse;  e  assegnò  l'ora.  Il  guardiano  tornò,  a  por- 
lare  al  novizio  il  consenso  desiderato. 

Il  gentiluomo  pensò  subito  che,  quanto  più  quella 
soddisfazione  fosse  solenne  e  clamorosa,  tanlo  più  accre- 
scerebbe il  suo  credilo  presso  tutta  la  parentela,  e  presso 
il  pubblico;  e  sarebbe  (per  dirla  con  un'eleganza  mo- 
derna) una  beUa  pagina  nella  storia  della  famiglia. 
Fece  avvertire  in  fretta  tutti  i  parenti  che,  all'  indomani, 
a  mezzogiorno,  restassero  serviti  (cosi  si  diceva  allora) 
di  venir  da  lui,  a  ricevere  una  soddisfazione  comune. 
A  mezzogiorno,  il  palazzo  brulicava  di  signori  d'  ogni 
età  e  d'ogni  sesso:  era  un  girare,  un  rimescolarsi  di 
gran  cappe,  d'alte  penne,  di  durlindane  pendenli.  un 
moversi  liltralo  di  gorgiere  inamidate  e  cro-spe,  uno  sira- 


CAPITOLO  IV.  73 

scico  intralcialo  di  rabescale  zimarre.  Le  anticamere,  il 
cortile  e  la  strada  formicolavan  di  servitori,  di  paggi, 
di  liravi  e  di  curiosi.  Fra  Cristoforo  vide  queir  apparec- 
chio, ne  indovinò  il  motivo,  e  provò  un  leggier  turba- 
mento; ma,  dopo  un  istante,  disse  tra  sé:  —  sta  bene: 
l'ho  ucciso  in  pubblico,  alla  presenza  di  tanli  suoi  ne- 
mici; quello  fu  scandolo,  questa  è  riparazione.  —  Così, 
con  gli  occhi  bassi,  col  padre  compagno  al  fianco,  passò 
la  porta  di  quella  casa,  attraversò  il  cortile,  tra  una 
folla  che  lo  squadrava  con  una  curiosità  poco  cerimonio- 
sa; salì  le  scale,  e,  di  mezzo  all'altra  folla  signorile, 
che  fece  ala  al  suo  passaggio,  seguito  da  cento  sguardi, 
giunse  alla  presenza  del  padron  di  casa;  il  quale,  cir- 
condato da'  parenti  più  prossimi,  stava  ritto  nel  mezzo 
della  sala,  con  lo  sguardo  a  terra,  e  il  mento  in  aria, 
impugnando,  con  la  mano  sinistra,  il  pomo  della  spa- 
da, e  stringendo  con  la  destra  il  bavero  della  cappa 
sul  petto. 

C  è  talvolta,  nel  volto  e  nel  contegno  d' un  uomo, 
un'espressione  cosi  immediata,  si  direbbe  quasi  un'effu- 
sione dell'  animo  interno,  che,  in  una  folla  di  spettatori. 
il  giudizio  sopra  qncU'  animo  sarà  nn  solo.  Il  volto  e  il 
contegno  di  fra  Cristoforo  disser  chiaro  agli  astanti,  che 
non  s'era  fatto  frate,  né  veniva  a  queir  umiliazione  per 
timore  umano:  questo  cominciò  a  concigliarglieli  tutti. 
Quando  vide  V  olTeso,  affrettò  il  passo,  gli  si  poso  in 
ginocchioni  ai  piedi,  incrociò  le  mani  sul  petto,  e,  chi- 
nando la  testa  rasa,  disse  queste  parole:  «  io  sono  l'o- 
micida di  suo  fratello.  Sa  Iddio  se  vorrei  restituirglielo 
a  costo  del  mio  sangue  :  ma,  non  potendo  altro  clic  farle 
inefTicaci  e  tarde  scuse,  la  supplico  d' accettarle  per  l'a- 
mor di  Dio.  »  Tutti  gli  occhi  erano  immollili  sul  novi- 
zio, e  sul  personaggio  a  cui  egli  parlava;  lutti  gli  orec- 
chi eran  tesi.  Quando  fra  Cristoforo  tacque,  s'  alzò,  per 
tutta  la  sala ,  un  mormorio  di  pietà  e  di  rispetto.  Il 
gentiluomo,  che  stava  in  atto  di  degnazione  forzata,  e 
d'ira  compressa,  fu  turbalo  da  ([uellc  parole;  e,  chinan- 

VOL  I.  4 


74  I   PROMESSI  SPOSI 

dosi  verso  l' inginocchiato:  «  alzalcvi,  »  disse  con  voce 

alterala,  «  l'offesa il  fallo  veramente ma  l'abito 

elio  portate non  solo  questo,  ma  anche  per  voi 

S' alzi,  padre Mio  fratello non  lo  posso  nega- 
re   era  un  cavaliere era  un  uomo un  po' 

impetuoso un  po'  vivo.  Ma  tutto  accade  per  dispo- 

sizion  di  Dio.  Non  se  ne  parli  più  ....  Ma,  padre,  lei 
non  deve  stare  in  codesta  positura.  »  E,  presolo  per  le 
braccia,  lo  sollevò.  Fra  Cristoforo,  in  piedi,  ma  col  capo 
chino,  rispose;  «  io  posso  dunque  sperare  che  lei  m'ab- 
bia concesso  il  suo  perdono!  E  se  l'ottengo  da  lei,  da 
chi  non  devo  sperarlo?  Oh!  s'io  potessi  sentire  dalla 
sua  bocca  questa  parola,  perdono!  » 

«  Perdono?  »  disse  il  gentiluomo.  «  Lei  non  ne  ha 
più  bisogno.  Ma  pure,  poiché  lo  desidera,  certo,  certo, 
io  le  perdono  di  cuore,  e  tutti » 

«  Tutti!  tutti!  »  gridarono,  a  una  voce,  gli  astanti. 
Il  volto  del  frate  s'  aprì  a  una  gioia  riconoscente,  sotto 
la  quale  traspariva  però  ancora  un'  umile  e  profonda 
compunzione  del  male  a  cui  la  remissione  degli  uomini 
non  poteva  riparare.  Il  gentiluomo,  vinto  da  queh'  aspet- 
to, e  trasportato  dalla  commozione  generale,  gli  gettò 
le  braccia  al  collo,  e  gli  diede  e  ne  ricevette  il  bacio 
di  pace. 

Un  «  bravo!  bene!  »  scoppiò  da  tutte  le  parti  della 
sala;  tutti  si  mossero,  e  si  strinsero  intorno  al  frate. 
Intanto  vennero  servitori  con  gran  copia  di  rinfreschi. 
Il  gentiluomo  si  accostò  al  nostro  Cristoforo,  il  quale 
faceva  segno  di  volersi  licenziare,  e  gli  disse:  «  padre, 
gradisca  qualche  cosa:  mi  dia  questa  prova  d'  amicizia.  » 
E  si  mise  per  servirlo  prima  d'ogni  altro;  ma  egli,  riti- 
randosi, con  una  certa  resistenza  cordiale,  «  queste  co- 
se, j>  disse,  «  non  fanno  più  per  me;  ma  non  sarà  mai 
eh'  io  rifiuti  i  suoi  doni.  Io  sto  per  mettermi  in  viaggio: 
si  degni  di  farmi  portare  un  pane,  perchè  io  possa  dire 
d' aver  goduto  la  sua  carità,  d' aver  mangiato  il  suo  pane 
e  avuto  un  segno  del  suo  perdono.  »  Il  gentiluomo, 


CAPITOLO  IV.  75 

commosso,  ordinò  che  così  si  facesse;  e  venne  subito 
un  cameriere,  in  gran  gala,  portando  un  pane  sur  un 
piatto  d'  argento,  e  lo  presentò  al  padre;  il  quale,  pre- 
solo e  ringraziato,  lo  mise  nella  sporta.  Chiese  quindi 
licenza;  e  abbracciato  di  nuovo  il  padron  di  casa,  e  tutti 
quelli  che,  trovandosi  più  vicini  a  lui,  poterono  impa- 
dronirsene un  momento,  si  liberò  da  essi  a  fatica  ;  ebbe 
a  combatter  nelle  anticamere,  per  isbrigarsi  da'  servitori, 
e  anche  da'  bravi,  che  gli  baciavano  il  lembo  dell'  abito, 
il  cordone,  il  cappuccio;  e  si  trovò  nella  strada,  portato 
come  in  trionfo,  e  accompagnato  da  una  folla  di  popolo, 
fino  a  una  porta  della  città;  d'onde  usci,  comincian- 
do il  suo  pedestre  viaggio,  verso  il  luogo  del  suo  no- 
viziato. 

Il  fratello  dell'ucciso,  e  U  parentado,  che  s'erano  aspet- 
tali d'assaporare  in  quel  giorno  la  trista  gioia  dell'or- 
goglio, si  trovarono  in  vece  ripieni  della  gioia  serena 
del  perdono  e  della  benevolenza.  La  compagnia  si  trat- 
tenne ancor  qualche  tempo,  con  una  bonarietà  e  con  una 
cordialità  insolita,  in  ragionamenti  ai  quali  nessuno  era 
preparato,  andando  là.  In  vece  di  soddisfazioni  prese,  di 
soprusi  vendicati,  d' impegni  spuntati,  le  lodi  del  novizio, 
la  riconciliazione,  la  mansuetudine  furono  i  temi  della 
conversazione.  E  taluno,  che,  per  la  cinquantesima  volta, 
avrebbe  raccontalo  come  il  conte  Muzio  suo  padre  aveva 
saputo,  in  (juella  famosa  congiuntura,  far  stare  a  dovere 
il  marchese  Stanislao,  ch'era  quel  rodomonte  che  ognun 
sa,  parlò  in  vece  delle  penitenze  e  della  pazienza  mira- 
bile d'un  fra  Simone,  morto  molt'anui  prima.  Partita 
la  compagnia,  il  padrone,  ancor  tutto  commosso,  riandava 
tra  se,  con  maraviglia,  ciò  che  av(;va  inleso,  ciò  ch'egli 
medesimo  aveva  detto;  e  borbottava  fra  i  denti: —  dia- 
volo d'un  frale!  (bisogna  bene  che  noi  trascriviamo  lo 
sue  parole)  —  diavolo  d'un  frate!  se  rimaneva  lì  in  gi- 
nocchio, ancora  per  qualche  momento,  quasi  quasi  gli 
chiedeva  scusa  io,  che  m'abliia  ammazzato  il  fratello.  — 
La  nostra  storia  nota  espressamente  che,  da  quel  giorno 


76  I    PROMESSI   SPOSI 

in  poi,  quel  signore  fu  un  po'  mcn  precipitoso,  e  un  po' 
più  alla  mano. 

11  padre  Cristoforo  camminava,  con  una  consolazione 
che  non  aveva  mai  più  provata,  dopo  quel  giorno  terri- 
bile ad  espiare  il  quale  tutta  la  sua  vita  doveva  esser 
consacrala.  Il  silenzio  ch'era  imposto  a' novizi,  l'osser- 
vava, senza  avvedersene,  assorto  com'era,  nel  pensiero 
delle  fatiche,  delle  privazioni  e  dell'  umiliazioni  che  avrebbe 
sofferte  per  iscontare  il  suo  fallo.  Fermandosi,  all'ora 
della  refezione,  presso  un  benefattore,  mangiò,  con  una 
specie  di  voluttà,  del  pane  del  perdono:  ma  ne  serbò 
un  pezzo  e  lo  ripose  nella  sporta,  per  tenerlo,  come  un 
ricordo  perpetuo. 

Non  è  nostro  disegno  di  far  la  storia  delle  sua  vita 
claustrale:  diremo  soltanto  che,  adempiendo,  sempre  con 
gran  voglia,  e  con  gran  cura,  gli  ufizi  che  gli  venivano 
ordinariamente  assegnati,  di  predicare  e  d'assistere  i  mo- 
ribondi, non  lasciava  mai  sfuggire  un'occasione  d'eser- 
citarne due  altri,  che  s'era  imposti  da  sé;  accomodar 
differenze,  e  proteggere  oppressi.  In  questo  genio  en- 
trava, per  qualche  parte,  senza  ch'egh  se  n'avvedesse, 
quella  sua  vecchia  abitudine,  e  un  resticciolo  di  spiriti 
guerreschi,  che  l' umiliazioni  e  le  macerazioni  non  avevan 
potuto  spegner  del  tutto.  Il  suo  linguaggio  era  abitual- 
mente umile  e  posato;  ma,  quando  si  trattasse  di  giu- 
stizia 0  di  verità  combattuta,  l'uomo  s'animava,  a  un 
tratto,  deU'impeto  antico,  che,  secondato  e  modificato  da 
un'enfasi  solenne  venutagli  daU' uso  del  predicare,  dava 
a  quel  Unguaggio  un  carattere  singolare.  Tutto  il  suo 
contegno,  come  l' aspetto,  annunziava  una  lunga  guerra, 
tra  un'indole  focosa,  risentita,  e  una  volontà  opposta, 
abitualmente  vittoriosa,  sempre  all'erta,  e  diretta  da  mo- 
tivi e  da  ispirazioni  superiori.  Un  suo  confratello  ed 
amico,  che  lo  conosceva  bene,  l'aveva  una  volta  parago- 
nato a  quelle  parole  troppo  espressive  nella  loro  forma 
naturale,  che  alcuni,  anche  ben  educati,  pronunziano, 
quando  la  passione  trabocca,  smozzicate,  con  qualche 


CAPITOLO   IV.  77 

lettera  mutata;  parole  che,  in  quel  travisamento,  fanno 
però  ricordare  della  loro  energia  primitiva. 

Se  una  poverella  sconosciuta,  nel  tristo  caso  di  Lucia, 
avesse  chiesto  l'aiuto  del  padre  Cristoforo,  egli  sarebbe 
corso  immediatamente.  Trattandosi  poi  di  Lucia,  accorse 
coiT  tanta  piìi  sollecitudine,  in  quanto  conosceva  e  am- 
mirava l' innocenza  di  lei,  era  già  in  pensiero  per  i  suoi 
pericoli,  e  sentiva  un' indegnazione  santa,  per  la  turpe 
persecuzione  della  quale  era  divenuta  l'oggetto.  Oltre 
di  ciò,  avendola  consigliata,  per  il  meno  male,  di  non 
palesar  nulla,  e  di  starsene  quieta,  temeva  ora  che  il  con- 
siglio potesse  aver  prodotto  qualche  tristo  effetto;  e  alla 
sollecitudine  di  carità,  ch'era  in  lui  come  ingenita,  s'ag- 
giungeva, in  questo  caso,  quell'angustia  scrnpolosa  che 
spesso  tormenta  i  buoni. 

Ma,  intanto  che  noi  siamo  stali  a  raccontare  i  fatti 
del  padre  Cristoforo,  è  arrivato,  s'è  affacciato  all'uscio; 
e  le  donne,  lasciando  il  manico  dell'aspo  che  facevan 
girare  e  stridere,  si  sono  alzate,  dicendo,  a  una  voce: 
«oh  padre  Cristoforo I  sia  benedetto!» 


CAPITOLO  V. 


Il  qual  padre  Cristoforo  si  fermò  ritto  sulla  soglia,  e, 
appena  ebbe  data  un'occhiata  alle  donne,  dovette  accor- 
gersi che  i  suoi  presentimenti  non  eran  falsi.  Onde,  con 
quel  tono  d' interrogazione  che  va  incontro  a  una  trista 
risposta,  alzando  la  barba  con  un  molo  leggiero  della 
testa  all' indietro,  disse:  «  ebbene?  »  Lucia  rispose  con 
uno  scoppio  di  pianto.  La  madre  cominciava  a  far  le 
scuse  d'aver  osato...  ma  il  frate  s'avanzò,  e,  messosi  a 
sedere  sur  un  panchetto  a  tre  piedi,  troncò  i  compli- 
menti, dicendo  a  Lucia:  «  quietatevi,  povera  figliuola. 
E  voi,  »  disse  poi  ad  Agnese,  «  raccontatemi  cosa  c'èl  » 
Mentre  la  buona  donna  faceva  alla  meglio  la  sua  dolo- 
rosa relazione,  il  frate  diventava  di  mille  colori,  e  ora 
alzava  gli  occhi  al  cielo,  ora  batteva  i  piedi.  Terminata 
la  storia,  si  copri  il  volto  con  le  mani,  ed  esclamò: 
«  0  Dio  benedetto!  fino  a  quando....!  »  Ma,  senza  compir 
la  frase,  voltandosi  di  nuovo  alle  donne:  «poverelle!» 
disse:  «Dio  vi  ha  visitate.  Povera  Lucia!  » 

«  Non  ci  abbandonerà,  padre?  »  disse  questa,  singhioz- 
zando. 


1  PROMESSI  SPOSI,  CAPITOLO  V  79 

«  Abbandonarvi t  »  rispose.  «E  con  clic  faccia  potrei 
io  chieder  a  Dio  ([ualcosa  per  me,  quando  v'avessi  ab- 
bandonala? voi  in  (lueslo  stalo!  voi,  eli' Egli  mi  confidai 
Non  vi  perdete  d'animo:  Egli  v'assisterà:  Egli  vede  tutto: 
Egli  può  servirsi  anche  d'un  uomo  da  nulla  come  son 
io,  per  confondere  un....  Vediamo,  pensiamo  quel  che  si 
possa  fare.  » 

Così  dicendo,  appoggiò  il  gomito  sinistro  sul  ginoc- 
chio, chinò  la  fronte  nella  palma,  e  con  la  destra  strinse 
la  barba  e  il  mento,  come  per  tener  ferme  e  unite  tutte 
le  potenze  dell'animo.  Ma  la  più  attenta  considerazione 
non  serviva  che  a  fargli  scorgere  più  distintamente  quanto 
il  caso  fosse  pressante  e  intrigalo,  e  quanto  scarsi,  quanto 
incerti  e  pericolosi  i  ripieghi.  —  Mettere  un  po'  di  ver- 
gogna a  don  Abbondio,  e  fargli  sentire  quanto  manchi 
al  suo  dovere?  Vergogna  e  dovere  sono  un  nulla  per 
lui,  quando  ha  paura.  E  fargli  paura?  Che  mezzi  ho  io 
mai  di  fargliene  una  che  superi  quella  che  ha  d'una 
schioppettata?  Informar  di  tutto  il  cardinale  arcivescovo, 
e  invocar  la  sua  autorità?  Ci  vuol  tempo:  e  intanto?  e 
poi?  Quand'  anche  questa  povera  innocente  fosse  mari- 
lata,  sarebbe  questo  un  freno  per  quell'uomo?  Chi  sa 
a  qual  segno  possa  arrivare?....  E  resistergli?  Come? 
Ah!  se  potessi,  pensava  il  povero  frate,  se  potessi  tirar 
dalla  mia  i  miei  frati  di  qui,  que' di  Milano!  Ma!  non 
è  un  affare  comune;  sarei  abbandonalo.  Costui  fa  l'a- 
mico del  convento,  si  spaccia  per  partigiano  de'  cap- 
puccini: e  i  suoi  bravi  non  son  venuti  più  d'una  volta 
a  ricoverarsi  da  noi?  Sarei  solo  in  ballo;  mi  buscherei 
anche  dell'inquieto,  dell'imbroglione,  dell' accattalirighc; 
e,  (jucl  eh' è  più,  potrei  for' anche,  con  un  tentativo  fuor 
di  tempo,  peggiorar  la  condizione  di  ([uesla  poveretta.  — 
Coiilrappesalo  il  prò  e  il  contro  di  (pieslo  e  di  quel 
parlilo,  il  migliore  gli  parve  d'alh'onlar  ilon  Rodiigo 
stesso,  tentar  di  smoverlo  dal  suo  infame  proposito,  con 
le  preghiere,  coi  terrori  dell'  altra  vita,  anche  di  questa, 
se  fosse  possibile.  Alla  peggio,  si  potrebbe  almeno  co- 


80  I  PROMESSI  SPOSI 

noscere,  per  questa  via,  più  dislinlamente  rpianto  colui 
fosse  ostinato  nel  suo  sporco  impep^no,  scoprir  di  più  le 
sue  intenzioni,  e  prender  consiglio  da  ciò. 

Mentre  il  frate  stava  cosi  meditando,  Renzo,  il  quale, 
per  tutte  le  ragioni  che  ognun  può  indovinare,  non  sa- 
peva star  lontano  da  quella  casa,  era  comparso  sull'uscio; 
ma,  visto  il  padre  sopra  pensiero,  e  le  donne  che  facevan 
cenno  di  non  distnrliarlo,  si  fermò  sulla  soglia,  in  si- 
lenzio. Alzando  la  faccia,  per  comunicare  alle  donne  il 
suo  progetto,  il  frale  s'accorse  di  lui,  e  lo  salutò  in  un 
modo  ch'esprimeva  un'affezione  consueta,  resa  più  in- 
tensa dalla  pietà. 

«  Le  hanno  detto...,  padre?  »  gli  domandò  Renzo,  con 
voce  commossa, 

«  Pur  troppo;  e  per  questo  son  qui.  » 

«  Che  dice  di  ciuel  hirbone...?» 

«  Che  vuoi  ch'io  dica  di  lui?  Non  è  qui  a  sentire: 
che  gioverebbero  le  mie  parole  ?  dico  a  te,  il  mio  Renzo, 
che  tu  confidi  in  Dio,  e  che  Dio  non  t'abbandonerà.  » 

<(  Benedette  le  sue  parole!  »  esclamò  il  giovane.  «  Lei 
non  è  di  queUi  che  dan  sempre  torto  a'  poveri.  Ma  il 
signor  curato,  e  quel  signor  dottore  delle  cause  perse. ...  » 

«  Non  rivangare  quello  che  non  può  servire  ad  altro 
che  a  inquietarti  inutilmente.  Io  sono  un  povero  frate; 
ma  ti  ripeto  quel  che  ho  detto  a  queste  donne:  per  quel 
poco  che  posso,  non  v'  abbandonerò,  j 

«  Oh,  lei  non  è  come  gli  amici  del  mondo  !  Ciarloni! 
Chi  avesse  creduto  alle  proteste  che  mi  facevan  costoro, 
nel  buon  tempo;  eh  eh!  Eran  pronti  a  dare  il  sangue 
per  me;  m'avrebbero  sostenuto  coniro  il  diavolo.  S'io 
avessi  avuto  un  nemico?....  bastava  che  mi  lasciassi  in- 
tendere; avrebbe  finito  presto  di  mangiar  pane.  E  ora, 
se  vedesse  come  si  ritirano....»  A  questo  punto,  alzando 
gli  occhi  al  volto  del  padre,  vide  s'era  tutto  rannuvo- 
lalo, e  s'accorse  d'aver  dello  ciò  conveniva  tacere.  Ma 
volendo  raccomodarla,  s'andava  intrigando  e  imbroglian- 
do: «  volevo  dire....  non  intendo  dire....  cioè,  volevo 
dire ....  » 


CAPITOLO   V.  81 

«  Cosa  volevi  dire?  E  clie?  lu  avevi  dunque  comin- 
ciato a  guastar  l'opera  mia,  prima  che  fosse  intrapresa! 
buon  per  te  che  sei  stato  disingannalo  in  tempo.  Che! 
tu  andavi  in  cerca  d'amici....  quali  amici!...  che  non 
t'avrebber  potuto  aiutare,  neppur  volendo!  E  cercavi  di 
perder  Quel  solo  che  lo  può  e  lo  vuole!  Non  sai  tu  che 
che  Dio  è  l'amico  de' tribolati,  che  confidano  in  Lui? 
Non  sai  tu  che,  a  metter  fuori  l'unghie,  il  debole  non 
ci  guadagna?  E  quando  pure....»  A  questo  punto,  af- 
ferrò fortemente  il  braccio  di  Renzo:  il  suo  aspetlo,  senza 
perder  d'autorità,  s'atteggiò  d'una  compunzione  solenne, 
gli  occhi  s'abbassarono,  la  voce  divenne  lenta  e  come 
sotterranea:  «quando  pure....  è  un  terribile  guadagno! 
Renzo!  vuoi  tu  confidare  in  me?....  che  dico  in  me, 
omiciattolo,  fraticello?  Vuoi  tu  confidare  in  Dio?  » 
«  Oh  sì  !  »  rispose  Renzo.  «  Quello  è  il  Signore  davvero.  » 
«  Ebbene;  prometti  che  non  affronterai,  che  non  pro- 
vocherai nessuno,  che  ti  lascerai  guidar  da  me.  » 

I  Lo  prometto.  » 

Lucia  fece  un  gran  respiro,  come  se  le  avesser  levato 
un  peso  d'addosso;  e  Agnese  disse:  «bravo  figliuolo.» 

«  Sentite,  figliuoli,  »  riprese  fra  Cristoforo  :  «  io  anderò 
oggi  a  parlare  a  quelP  uomo.  Se  Dio  gli  tocca  il  cuore, 
e  dà  forza  alle  mie  parole,  bene:  se  no,  Egli  ci  farà 
trovare  qualche  altro  rimedio.  Voi  intanto,  statevi  cpiieli, 
ritirati,  scansate  le  ciarle,  non  vi  fate  vedere.  Stasera, 
0  domattina  al  più  lardi,  mi  rivedrete.  »  Detto  questo, 
troncò  tutti  i  ringraziamenti  e  le  benedizioni,  e  parli. 
S'avviò  al  convento,  arrivò  a  tempo  d'andare  in  coro  a 
cantar  sesta,  desinò,  e  si  mise  sal)ito  in  cammino,  verso 
il  covile  della  fiera  che  voleva  provarsi  d'ammansare. 

II  palazzotto  di  don  Rodrigo  sorgeva  isolato,  a  somi- 
glianza d'una  bicocca,  sulla  cima  d'uno  de' poggi  ond'è 
sparsa  e  rilevata  quella  costiera.  A  ([uesta  indicazione 
l'anonimo  aggiunge  che  il  luogo  (avrehhe  fatto  meglio 
a  scriverne  alla  buona  il  nome)  era  più  in  su  del  pae- 
sello deg^*  *»Uosi,  discosto  da  questo  torse  [m  miglia,  e 


82  I   PROMESSI   SPOSI 

quattro  dal  convcnlo.  Appiè  del  poggio,  dalla  parte  che 
guarda  a  mezzogiorno,  e  verso  il  lago,  giaceva  un  muc- 
chiello  di  casupole,  abitale  da  conladini  di  don  Rodrigo;  ed 
era  come  la  piccola  capitale  del  suo  piccol  regno.  Bastava 
passarvi,  per  esser  chiarito  della  condizione  e  de'  costumi 
del  paese.  Dando  un'  occhiata  nelle  stanze 'terrene,  dove 
qualche  uscio  fosse  aperto,  si  vedevano  attaccati  al  muro 
schioppi,  tromboni,  zappe,  rastrelli,  cappelli  di  paglia, 
reticelle  e  fìascbetli  da  polvere,  alla  rinfusa.  La  gente 
che  vi  s'incontrava  erano  omacci  tarchiati  e  arcigni, 
con  un  gran  ciuffo  arrovesciato  sul  capo,  e  chiuso  in 
una  reticeha;  vecchi  che,  perdute  le  zanne,  parevan  sem- 
pre pronti,  chi  nulla  nulla  gli  aizzasse,  a  digrignar  le 
gengive;  donne  con  certe  facce  maschie,  e  con  certe 
braccia  nerborute,  buone  da  venire  in  aiuto  della  lingua, 
quando  questa  non  bastasse:  ne' sembianti  e  nelle  mosse 
de'  fanciuUi  stessi,  che  giocavan  per  la  strada,  si  vedeva 
un  non  so  che  di  petulante  e  di  provocativo. 

Fra  Cristoforo  attraversò  il  villaggio,  salì  per  una 
viuzza  a  chiocciola^  e  pervenne  sur  una  piccola  spianala, 
davanti  al  palazzotto.  La  porta  era  chiusa,  segno  che  il 
padrone  stava  desinando,  e  non  voleva  esser  frastornato. 
Le  rade  e  piccole  finestre  che  davan  sulla  strada,  chiuse 
da  imposte  sconnesse  e  consunte  dagli  anni,  eran  però 
difese  da  grosse  inferriate,  e  quelle  del  pian  terreno 
lant'alte  che  appena  vi  sarebbe  arrivato  un  uomo  sulle 
spalle  d' un  altro.  —  Regnava  quivi  un  gran  silenzio; 
e  un  passeggiero  avrebbe  potuto  credere  che  fosse  una 
casa  abbandonata,  se  quattro  creature,  due  vive  e  due 
morte,  collocate  in  simmetria,  di  fuori,  non  avesser  dato 
un  indizio  d'abitanti.  Due  grand' avolloi,  con  l'ali  spa- 
lancate, e  co' teschi  penzoloni,  l'uno  spennacchiato  e 
mezzo  roso  dal  tempo,  l'altro  ancor  saldo  e  pennuto, 
erano  inchiodati,  ciascuno  sur  un  battente  del  portone' 
e  due  bravi,  sdraiati,  ciascuno  sur  una  delle  panche  poste 
a  destra  e  a  sinistra,  facevan  la  guardia,  aspettando  d'es- 
ser chiamali  a  goder  gli  avanzi  della  tavola  del  signore. 


CAPITOLO  V.  83 

il  padre  si  fermò  ritto,  in  allo  di  chi  si  dispone  ad  aspet- 
tare; ma  un  de'l)ravi  s'  alzò,  e  gli  disse:  «  padre,  padre, 
venga  pure  avanti:  qui  non  si  fanno  aspettare  i  cappuc- 
cini: noi  siamo  amici  del  convento:  e  io  ci  sono  stato 
in  certi  momenti  che  fuori  non  era  troppo  buon'aria  per 
me;  e  se  mi  avesser  tenuta  la  porta  ctiiusa,  la  sarebbe 
andata  male.  »  Così  dicendo,  diede  due  picchi  col  martello, 
A  quel  suono  risposer  subilo  di  dentro  gli  urli  e  le 
strida  di  mastini  e  di  cagnolini;  e,  pochi  momenti  dopo, 
giunse  borbottando  un  vecchio  servitone;  ma,  veduto  il 
padre,  gli  fece  un  grand' inchino,  acquietò  le  bestie,  con 
le  mani  e  con  la  voce,  introdusse  l'ospite  in  un  angusto 
cortile,  e  richiuse  la  porta.  Accompagnatolo  poi  in  un 
salotto,  e  guardandolo  con  una  ceri' aria  di  maraviglia 
e  di  rispetto,  disse:  «  non  è  lei....  U  padre  Cristoforo 
di  Pescarenico?  » 

«  Per  l'appunto.  ■» 

«  Lei  qui?  » 

«  Come  vedete,  buon  uomo.  » 

«  Sarà  per  far  del  bene.  Del  liene,  »  continuò  mor- 
morando tra  i  denti,  e  rincamminandosi,  «  se  ne  può 
far  per  tulio.  »  Attraversati  due  o  tre  altri  salotti  oscuri, 
arrivarono  all'uscio  della  sala  del  convito.  Quivi  un  gran 
frastono  confnso  di  forchelte,  di  coltelli,  di  bicchieri,  di 
pialli,  e  sopra  tutto  di  voci  discordi,  che  cercavano  a 
vicenda  di  soverchiarsi.  Il  frale  voleva  ritirarsi,  e  stava 
contrastando  dietro  l'uscio  col  servitore,  per  ottenere 
d'esser  lasciato  in  qualche  canto  della  casa,  fin  che  il 
pranzo  fosse  terminalo;  quando  l'uscio  s'aprì.  Un  certo 
conte  Attilio,  che  stava  seduto  in  faccia  (era  un  cugino 
del  padron  di  casa;  e  abbiam  già  falla  menzione  di  lui, 
senza  nominarlo),  veduta  una  testa  rasa  e  una  tonaca, 
e  accortosi  dell'  intenzione  modesta  del  buon  frate  , 
«  ehi!  ehi!  »  gridò:  «  non  ci  scappi,  padre  riverito: 
avanti,  avanti.  »  Don  Rodrigo,  senza  indovinar  precisa- 
mente il  soggetto  di  quella  visita,  pure,  pei'  non  so  (jual 
presentimento  confuso,  n'avrebbe  fallo  di  meno.  Ma,  poi- 


84  1  PROMESSI  SPOSI 

chò  lo  spensicralo  d'Attilio  aveva  falla  quella  irran  chia- 
mala, non  conveniva  a  lui  di  tirarsene  indietro;  e  disse: 
«  venga,  padre,  venga.  »  Il  padre  s'avanzò,  inchinan- 
dosi al  padrone,  e  rispondendo,  a  due  mani,  ai  saluti 
de'  commensali. 

L'uomo  onesto  in  faccia  al  malvagio,  piace  general- 
mente (non  dico  a  lutti)  immaginarselo  con  la  fronte 
alla,  con  lo  sguardo  sicuro,  col  petto  rilevato,  con  lo  sci- 
linguagnolo hene  sciolto.  Nel  fallo  però,  per  fargli  pren- 
der quell'attitudine,  si  richiedon  molte  circostanze,  le 
quali  ben  di  rado  si  riscontrano  insieme.  Perciò,  non  vi 
maravigliate  se  fra  Cristoforo,  col  buon  testimonio  della 
sua  coscienza,  col  sentimento  fermissimo  della  giustizia 
della  causa  che  veniva  a  sostenere,  con  un  sentimento 
misto  d'orrore  e  di  compassione  per  don  Rodrigo,  stesse 
con  una  cert'aria  di  suggezione  e  di  rispetto,  alla  pre- 
senza di  quello  slesso  don  Rodrigo  ch'era  lì  in  capò 
di  tavola,  in  casa  sua,  nel  suo  regno,  circondato  d'  a- 
mici,  d'omaggi,  di  tanti  segni  della  sua  potenza,  con  un 
viso  da  far  morire  in  bocca  a  chi  si  sia  una  preghiera, 
non  che  un  consiglio,  non  che  una  correzione,  non  che 
un  rimprovero.  Alla  sua  destra  sedeva  quel  conte  Attilio 
suo  cugino,  e,  se  fa  bisogno  di  dirlo,  suo  collega  di  li- 
bertinaggio e  di  soverchieria,  il  quale  era  venuto  da  Mi- 
lano a  villeggiare,  per  alcuni  giorni,  con  lui.  A  sinistra, 
e  a  un  altro  lato  della  tavola,  stava,  con  gran  rispetto, 
temperalo  però  d'una  certa  sicurezza,  e  d'una  certa  sac- 
centeria, il  signor  podestcà,  quel  medesimo  a  cui,  in  teo- 
ria, sarebbe  toccato  a  far  giustizia  a  Renzo  Tramaglino, 
e  a  fare  star  a  dovere  don  Rodrigo,  come  s'è  visto  di 
sopra.  In  faccia  al  podestà,  in  atto  d'un  rispetto  il  più 
puro ,  il  piii  sviscerato,  sedeva  il  nostro  dottor  Azzecca- 
garbugli, in  cappa  nera,  e  col  naso  più  rubicondo  del 
solito:  in  faccia  ai  due  cugini,  due  convitati  oscuri,  de' 
quali  la  nostra  storia  dice  soltanto  che  non  facevano  al- 
tro che  mangiare,  chinare  il  capo ,  sorridere  e  appro- 
vare ogni  cosa  che  dicesse  un  commensale,  e  a  cui 
un  altro  non  contraddicesse. 


CAPITOLO  V.  85 

«  Da  sedere  al  padre,  »  disse  don  Rodrigo.  Un  ser- 
vitore presentò  una  sedia,  sulla  quale  si  mise  il  padre 
Cristoforo ;,  facendo  qualche  scusa  al  signore ,  d'  esser 
venuto  in  ora  inopportuna.  «  Bramerei  di  parlarle  da 
solo  a  solo,  con  suo  comodo,  per  un  affare  d'importanza,  » 
soggiunse  poi,  con  voce  più  sommessa,  air  orecchio  di 
don  Rodrigo. 

«  Bene,  bene,  parleremo;»  rispose  questo:  «ma  in- 
tanto si  porti  da  bere  al  padre.  » 

Il  padre  voleva  schermirsi  ;  ma  don  Rodrigo,  alzando 
la  voce,  in  mezzo  al  trambusto  ch'era  ricominciato,  gri- 
dava: «  no,  per  bacco,  non  mi  farà  questo  torto;  non 
sarà  mai  vero  che  un  cappuccino  vada  via  da  questa 
casa,  senza  aver  gustato  del  mio  vino,  nò  un  creditore 
insolente,  senza  aver  assaggiate  le  legna  de' miei  l)Oschi.» 
Queste  parole  eccitarono  un  riso  universale,  e  interrup- 
pero un  momento  la  questione  che  s'agitava  caldamente 
tra  i  commensali.  Un  servitore,  portando  sur  una  sot- 
tocoppa un'  ampolla  di  vino,  e  un  lungo  bicchiere  in 
forma  di  calice,  lo  presentò  al  padre  ;  il  quale,  non  vo- 
lendo resistere  a  un  invito  tanto  pressante  dell'uomo 
che  gli  premeva  tanto  di  farsi  propizio,  non  esitò  a  me- 
scere, e  si  mise  a  sorbir  lentamente  il  vino. 

«  L'autorità  del  Tasso  non  serve  al  suo  assunto,  si- 
gnor podestà  riverito;  anzi  è  contro  di  lei;  »  riprese  a 
urlare  il  conte  Attilio:  «  perchè  queir  uomo  erudito, 
quell'uomo  grande,  che  sapeva  a  mcMiadilo  tutte  le  l'c- 
gole  della  cavalleria,  ha  fatto  che  il  messo  d'Argante, 
prima  d'esporre  la  sfida  ai  cavalieri  cristiani,  chieda  li- 
cenza al  pio  Buglione  ....  » 

«  Ma  questo  »  replicava,  non  meno  urlando,  il  po- 
destà, «  questo  è  un  di  |»iìi,  un  mero  di  più,  un  orna- 
mento poetico,  giacche  il  messaggiero  è  di  sua  natura 
inviolabile,  per  diritto  delle  gcaii.jare  geniimi:  e,  senza 
andar  tanto  a  cercare,  lo  dice  anche  il  proverbio:  am- 
basciator  non  porta  pena.  E ,  i  pi'overbi,  signor  conte, 
sono  la  sapienza  del  genere  umano.  E,  non  avendo  il 


86  I  PROMESSI   SPOSI 

mcssaggiero  dello  nulla  in  suo  proprio  nome,  ma  sola- 
mente presentata  la  sfida  in  iscritto ....  » 

«  Ma  quando  vorrà  capire  che  quel  messaggicro  era 
un  asino  temerario,  che  non  conosceva  le  prime  . . . .?  » 

«  Con  huona  licenza  di  lor  signori,  »  interruppe  don 
Rodrigo,  il  quale  non  avrchbe  voluto  che  la  questione 
andasse  troppo  avanti:  «  rimettiamola  nel  padre  Cristo- 
foro; e  si  stia  alla  sua  sentenza.  » 

«  Bene,  benissimo,  »  disse  il  conte  Attilio,  al  quale 
parve  cosa  molto  garbata  il  far  decidere  un  punto  di 
cavalleria  da  un  cappuccino;  mentre  il  podestà,  più  in- 
fervorato di  cuore  nella  questione,  si  chetava  a  stento, 
e  con  un  certo  viso,  che  pareva  volesse  dire  :  ragazzate. 

«  Ma,  da  quel  che  mi  parve  d'aver  capito,  »  disse 
il  padre,   «  non  son  cose  di  cui  io  mi  deva  intendere.  » 

«  Solite  scuse  di  modestia  di  loro  padri  ;  »  disse  don 
Rodrigo:  ma  non  mi  scapperà.  Eh  via!  sappiam  bene 
che  lei  non  è  venuta  al  mondo  col  cappuccio  in  capo, 
e  che  il  mondo  l'ha  conosciuto.  Via,  via:  ecco  la  que- 
stione. » 

«  Il  fatto  è  questo,  d  cominciava  a  gridare  il  conte 
Attilio. 

«  Lasciate  dir  a  me,  che  son  neutrale,  cugino,  »  ri- 
prese don  Rodrigo.  «  Ecco  la  storia.  Un  cavaliere  spa- 
gnolo manda  una  sfida  a  un  cavalier  milanese:  il  por- 
tatore, non  trovando  il  provocato  in  casa,  consegna  il 
cartello  a  un  fratello  del  cavaliere;  il  qual  fratello  legge 
la  sfida,  e  in  risposta  dà  alcune  bastonate  al  portatore. 
Si  tratta » 

«  Ben  date,  ben  applicate,  »  gridò  il  conte  Attilio. 
«  Fu  una  vera  ispirazione.  » 

«  Del  demonio,  »  soggiunse  il  podestà.  «  Battere  un 
ambasciatore!  persona  sacra!  Anche  lei  padre,  mi  dirà 
se  questa  è  azione  da  cavaliere.  » 

«  Si,  signore,  da  cavaliere,  »  gridò  il  conte:  «  e  lo 
lasci  dire  a  me,  che  devo  intendermi  di  ciò  che  con- 
viene a  un  cavaliere.  Oh,  se  fossero  stati  pugni,  sarebbe 


CAPITOLO  V.  87 

un'altra  faccenda;  ma  il  bastone  non  isporca  le  mani  a 
nessuno.  Quello  che  non  posso  capire  è  perchè  le  pre- 
mano tante  le  spalle  d'un  mascalzone.  » 

«  Chi  le  ha  parlato  delle  spalle,  signor  conte  mio? 
Lei  mi  fa  dire  spropositi  che  non  mi  son  mai  passati 
per  la  mente.  Ho  parlato  del  carattere,  e  non  di  spalle, 
io.  Parlo  sopra  tutto  del  diritto  delle  genti.  Mi  dica  un 
poco,  di  grazia,  se  i  feciali  che  gli  antichi  Romani  man- 
davano a  intimar  le  sfide  agii  altri  popoli,  chiedevan 
licenza  d'esporre  l'ambasciata:  e  mi  trovi  un  poco  uno 
scrittore  che  faccia  menzione  che  un  feciale  sia  mai  stato 
bastonato.  » 

«  Che  hanno  a  far  con  noi  gli  ufiziali  degli  antichi 
Romani?  gente  che  andava  alla  buona,  e  che,  in  que- 
ste cose,  era  indietro^  indietro.  Ma,  secondo  le  leggi 
della  cavalleria  moderna,  eh'  è  la  vera,  dico  e  sostengo 
che  un  messo  il  quale  ardisce  di  porre  in  mano  a  un 
cavaliere  una  sfida,  senza  avergliene  chiesta  licenza,  è 
un  temerario,  violabile  violabilissimo,  bastonabile  basto- 
nabilissimo   » 

«  Risponda  un  poco  a  questo  sillogismo » 

«  Niente,  niente,  niente.  » 

«  Ma  ascoHi,  ma  ascolti,  ma  ascolti.  Percotere  un  di- 
sarmato e  atto  proditorio;  alqui  il  messo  de  quo  era 
senz'  arme  ;  ergo » 

«  Piano,  piano,  signor  podestà.  » 

«  Che  piano?  » 

«  Piano,  le  dico:  cosa  mi  viene  a  dire?  Atto  prodi- 
torio è  ferire  uno  con  la  spada,  per  di  dietro,  o  dar- 
gli una  schioppettata  nella  schiena:  e,  anche  per  que- 
sto, si  possono  dar  certi  casi ....  ma  stiamo  nella  que- 
stione. Concedo  che  questo  generalmente  possa  chiamarsi 
atto  proditorio;  ma  appoggiar  quattro  Itaslonate  a  un 
mascalzone!  Sarebbe  bella  che  si  (bwesse  ilirgli:  guarda 
che  li  bastono:  come  si  direi)! ic  :i  mi  galantuomo:  mano 
alla  spada.  —  E  lei,  signor  dutlor  riverito,  in  vece  di 
farmi  de'  sogghigni,  per  farmi  capire  ch'ò  del  mio  pa- 


88  I   PROMESSI  SPOSI 

rerc,  perchè  non  sosliciie  le  mie  ragioni,  con  la  sua 
buona  labella,  per  aiutarmi  a  persuader  questo  signore?» 

«  Io »    rispose  confusetto  il  dottore  :    a  io  godo 

di  questa  dotta  disputa;  e  ringrazio  il  bell'accidente 
che  ha  dato  occasione  a  una  guerra  d'ingegni  così  gra- 
ziosa. E  poi,  a  me  non  compete  di  dar  sentenza:  sua 

signoria  illustrissima  ha  già  delegato  un  giudice qui 

il  padre  ....  » 

«  È  vero;  »  disse  don  Rodrigo:  «  ma  come  volete 
che  il  giudice  parti,  quando  i  litiganti  non  vogliono 
stare  zitti?  » 

<c  Ammutolisco,  »  disse  il  conte  Attilio.  Il  podestà 
strinse  le  labl)ra,  e  alzò  la  mano,  come  in  atto  di  ras- 
segnazione. 

«  Ah  sia  ringraziato  il  cielo  1  A  lei,  padre,  »  disse  don 
Rodrigo,  con  una  serietà  mezzo  canzonatoria. 

«  Ho  già  fatte  le  mie  scuse,  col  dire  che  non  me  n'in- 
tendo, »  rispose  fra  Cristoforo,  rendendo  il  bicchiere  a 
un  servitore. 

«  Scuse  magre:  »  gridarono  i  due  cugini:  «  vogliamo 
la  sentenza.  » 

«  Quand'è  così,  »  riprese  il  frate,  «  il  mio  debole 
parere  sarei )be  che  non  vi  fossero  né  sfide,  né  porta- 
tori, né  bastonate.  » 

I  commensali  si  guardarono  l'un  con  l'altro  maravi- 
gliali. 

«  Oh  questa  è  grossa!  «  disse  il  conte  Attilio,  a  Mi 
perdoni,  padre,  ma  è  grossa.  Si  vede  che  lei  non  cono- 
sce il  mondo.  » 

«  Lui?  »  disse  don  Rodrigo:  «  me  lo  volete  far  ri- 
dire: lo  conosce,  cugino  mio,  quanto  voi:  non  è  vero, 
padre?  Dica,  dica  se  non  ha  fatta  la  sua  carovana?  » 

In  vece  di  rispondere  a  quest'amorevole  domanda,  il 
padre  disse  una  parolina  in  segreto  a  sé  medesimo:  — 
queste  vengono  a  te;  ma  ricordati,  frate,  che  non  sei 
qui  per  te,  e  che  tutto  ciò  che  tocca  te  solo,  non  entra 
nel  conto. 


CAPITOLO  V.  89 

«  Sarà,  »  disse  il  cugino:   «  ma  il  padre come 

si  ciiiama  il  padre?  » 

1  Padre  Cristoforo  »   rispose  più  d'uno. 

«  Ma,  padre  Cristoforo,  padron  mio  colendissimo,  con 
queste  sue  massime,  lei  vorrebbe  mandare  il  mondo  sot- 
tosopra. Senza  sfide!  Senza  bastonate!  Addio  il  punto 
d'onore:  impunità  per  tutti  i  mascalzoni.  Per  buona  sorte 
che  il  supposto  è  impossibile.  » 

o;  Animo,  dottoro,  »  scappò  fuori  don  Rodrigo,  clie 
voleva  sempre  più  divertire  la  disputa  dai  due  primi 
contendenti,  «  animo,  a  voi,  cbe,  per  dar  ragione  a  tutti, 
siete  un  uomo.  Vediamo  un  poco  come  farete  per  dar 
ragione  in  questo  al  padre  Cristoforo.  t> 

«  In  verità,  »  rispose  il  dottore,  tenendo  brandita  in 
aria  la  forchetta,  e  rivolgendosi  al  padre,  «  in  verità  io 
non  so  intendere  come  il  padre  Cristoforo,  il  quale  è 
insieme  il  perfetto  religioso  e  l'uomo  di  mondo,  non 
abbia  pensato  che  la  sua  sentenza,  buona,  ottima  e  di 
giusto  peso  sul  pulpito,  non  vai  niente,  sia  detto  col 
dovuto  rispetto,  in  una  disputa  cavalleresca.  Ma  il  padre 
sa,  meglio  di  me,  che  ogni  cosa,  è  buona  a  suo  luogo; 
e  io  credo  che,  questa  volta,  abbia  voluto  cavarsi,  con 
una  celia,  dall'impiccio  di  proferire  una  sentenza.  » 

Che  si  poteva  mai  rispondere  a  ragionamenti  dedotti 
da  una  sapienza  così  antica,  e  sempre  nuova?  Niente: 
e  così  fece  il  nostro  frate. 

Ma  don  Rodrigo,  per  voler  troncare  quella  questione, 
ne  venne  a  suscitare  un'altra.  «  A  proposito,  »  disse, 
«  ho  sentito  che  a  Milano  correvan  voci  d'accomoda- 
mento. » 

Il  lettore  sa  che  in  quell'anno  si  combatteva  per  la 
successione  al  ducato  di  Mantova,  del  quale,  alia  moi'te" 
-*di  Vincenzo  Gonzaga,  che  non  aveva  lasciata  prole  le 
gittima,  era  entrato  in  possesso  il  duca  di  Nevers,  suo 
parente  più  prossimo.  Luigi  XIII,  ossia  il  cardinale  di 
Ricbclicu,  sosteneva  quel  )ìrin('ipe,  suo  ben  affetto,  e 
nati[rali/.zato  francese:  Filippo  IV,  ossia  il  conte  d'Oli- 


90  I  PROMESSI  SPOSI 

vares,  comunemente  chiamalo  il  conte  duca,  non  lo  vo- 
leva lì,  per  le  stesse  ragioni;  e  gli  aveva  mosso  guerra. 
Siccome  poi  quel  ducato  era  feudo  dell'impero,  cosi  le 
due  parti  s'adoperavano,  con  pratiche,  con  istanze,  con 
minacce,  presso  l'imperator  Ferdinando  II,  la  prima  per- 
chè accordasse  l'investitura  al  nuovo  duca;  la  seconda 
perchè  gliela  negasse,  anzi  aiutasse  a  cacciarlo  da  quello 
stato. 

«  Non  son  lontano  dal  credere,  »  disse  il  conte  At- 
tilio, «  che  le  cose  si  possano  accomodare.  Ho  certi  in- 
dizi   » 

«  Non  creda,  signor  conte,  non  creda,  »  interruppe 
il  podestà.  «  Io,  in  questo  cantuccio,  posso  saperle  le 
cose;  perchè  il  signor  castellano  spagnolo,  che,  per  sua 
hontà,  mi  vuole  un  po'  di  bene,  e  per  esser  figliuolo  d'un 
creato  del  conte  duca,  è  informato  d' ogni  cosa ....  » 

R  Le  dico  che  a  me  accade  ogni  giorno  di  parlare  in 
Milano  con  ben  altri  personaggi;  e  so  di  buon  luogo  che 
il  papa,  interessatissimo,  com'è,  per  la  pace,  ha  fatto 
proposizioni » 

«  Così  dev'essere;  la  cosa  è  in  regola;  sua  santità  fa 
il  suo  dovere;  un  papa  deve  saper  sempre  metter  bene 
tra  i  principi  cristiani  ;  ma  il  conte  duca  ha  la  sua  po- 
litica, e » 

«  E,  e,  e;  sa  lei,  signor  mio,  come  la  pensi  l'impe- 
ratore, in  questo  momento?  Crede  lei  che  non  ci  sia 
altro  che  Mantova  a  questo  mondo?  Le  cose  a  cui  si 
deve  pensare  son  molte,  signor  mio.  Sa  lei,  per  esem- 
pio, fino  a  che  segno  T  imperatore  possa  ora  fidarsi  di 
quel  suo  principe  di  Valdistano  o  di  Vallistai,  o  come 
lo  chiamano,  e  se ... .  » 

«  Il  nome  legittimo  in  lingua  alemanna^  »  interruppe 
ancora  il  podestà,  «  è  Vagliensteino,  come  l'ho  sentito 
proferir  più  volte  dal  nostro  signor  castellano  spagnolo. 
Ma  stia  pur  di  buon  animo,  che » 

«  Mi  vuole  insegnare  . .  . .?  »  riprendeva  il  conte;  ma 
don  Rodrigo  gli  die  d'occhio,  per  far  intendere  che,  per 


CAPITOLO  V.  '9l 

amor  suo,  cessasse  di  conlraddirc.  Il  conte  tacque,  e  il 
podestà,  come  un  bastimento  disimbrogliato  da  una  secca, 
continuò,  a  vele  gonfie,  il  corso  della  sua  eloquenza, 
«  Vagliensteino  mi  dea  poco  fastidio  ;  percliè  il  conte  duca 
ha  l'occhio  a  tutto,  e  per  tutto;  e  se  Vagliensteino  vorrà 
farcii  bell'umore,  saprà  ben  lui  farlo  rigar  diritto,  con 
le  buone,  o  con  le  cattive.  Ha  l'occhio  per  tutto,  dico, 
e  le  mani  lunghe;  e,  se  ha  fisso  il  chiodo,  come  l'ha 
fisso,  e  giustamente,  da  quel  gran  politico  che  è,  che  il 
signor  duca  di  Nivers  non  metta  le  radici  in  Mantova, 
il  signor  duca  di  Nivers  non  ce  le  metterà;  e  il  signor 
cardinale  di  Riciliù  farà  un  buco  nell'acqua.  Mi  fa  pur 
ridere  quel  caro  signor  cardinale,  a  voler  cozzare  con 
un  conte  duca,  con  un  Olivares.  Dico  il  vero,  che  vor- 
rei rinascere  di  qui  a  dugent'anni,  per  sentir  cosa  di- 
ranno i  posteri,  di  questa  bella  pretensione.  Ci  vuol  altro 
che  invidia;  testa  vuol  essere:  e  teste  come  la  testa  d'un 
conte  duca,  ce  n'è  una  sola  al  mondo.  Il  conte  duca, 
signori  miei,  »  proseguiva  il  podestà,  sempre  col  vento 
in  poppa,  e  un  po'  maravigliato  anche  lui  di  non  incon- 
trar mai  uno  scoglio:   «  Il  conte  duca  è  una  volpe  vec- 
chia, parlando  col  dovuto  rispetto,  che  farebbe  perder  la 
traccia  a  chi  si  sia  :  e,  quando  accenna  a  destra,  si  può 
esser  sicuri  che  batterà  a  sinistra:  ond'è  che   nessuno 
può  mai  vantarsi  di  conoscere  i  suoi  disegni  ;  e  quegli 
stessi  che  devon  metterli  in  esecuzione,  quegli  slessi  che 
scrivono  i  dispacci,  non  ne  capiscon  niente.  Io  posso  par- 
lare con  qualche  cognizion  ili  causa;  perchè  quel  bra- 
v'uomo   del   signor  castellano   si  degna   di  trattenersi 
meco,  con  qualche  confidenza.  Il  conte  duca,  viceversa, 
sa  appuntino  cosa  bolle  in  pentola  di  tulle  l'alln;  corti; 
e  tulli  (jue'  politiconi  (che  ce  n'è  di  diritti  assai,  non  si 
può  negare)  hanno  appena  immaginato  un  disegno,  che 
il  conte  duca  te  1'  ha  già  indovinato,  con  quella  sua  te- 
sta, con  quelle  sue  strade  coperte,  con  qnc"  suoi  Idi  lesi 
per  lullo.  Quel  pover'uomo  del  cardinale  di  Kicilii'i  tenia 
di  ([ua,  fiuta  di  là,  suda,  s'ingegna:  e  poi?  (piandogli 


^  I  PROMESSI  SPOSI 

è  riuscito  di  scavare  una  mina,  irova  la   contraminina 
già  ijoll'  e  fatta  dal  conte  duca » 

Sa  il  ciclo  quando  il  pOLlcstà  avrebbe  preso  terra;  ma 
don  Rodrigo,  stimolato  anclic  da'  versacci  che  faceva  il 
cugino,  si  voltò  all'improvviso,  come  se  gli  venisse  un'ispi- 
razione, a  un  servitore,  e  gli  accennò  che  portasse  un 
certo  fiasco.  «  Signor  podestà,  e  signori  miei!  »  disse 
poi:  «  un  brindisi  al  conte  duca;  e  mi  sapranno  dire 
se  il  vino  sia  degno  del  personaggio.  »  Il  podestà  rispose 
con  un  inchino,  nel  quale  traspariva  un  sentimento  di 
riconoscenza  particolare;  perchè  tutto  ciò  che  si  faceva 
0  si  diceva  in  onore  del  conte  duca,  lo  riteneva  in  parte 
come  fatto  a  sé. 

«  Viva  mill'anni  don  Gasparo  Guzman,  conte  d'Oli- 
vares,  duca  di  san  Lucar,  gran  privato  del  re  don  Fi- 
lippo il  grande,  nostro  signore!  »  esclamò  alzando  il 
bicchiere. 

Privato,  chi  non  lo  sapesse,  era  d  termine  in  uso,  a 
que' tempi,  per  significare  il  favorito  d'un  principe. 

«  Viva  mill'anni!  »   risposer  tutti. 

«  Servite  il  padre,  »   disse  don  Rodrigo. 

«  Mi  perdoni;  »  rispose  il  padre:  «  ma  ho  già  fatto 
un  disordine,  e  non  potrei ....  » 

«  Come!  »  disse  don  Rodrigo:  i  si  tratta  d'un  brin- 
disi al  conte  duca.  Vuol  dunque  far  credere  ch'ella  tenga 
dai  navarrini?  » 

Così  si  chiamavano  allora,  per  ischerno,  i  Francesi, 
dai  principi  di  Navarra,  che  avevan  cominciato  con  En- 
rico IV,  a  regnar  sopra  di  loro. 

A  tale  scongiuro,  convenne  bere.  Tutti  i  commensali 
proruppero  in  esclamazioni,  e  in  elogi  del  vino  ;  fuor  che 
il  dottore,  il  quale,  col  capo  alzato,  con  gli  occhi  fissi, 
con  le  labbra  strette,  esprimeva  molto  più  che  non  avrebbe 
potuto  far  con  parole. 

«  Che  ne  dite  eh,  dottore?  »   domandò  don  Rodrigo. 

Tirato  fuor  del  bicchiere  un  naso  più  vermiglio  e  più 
lucente  di  quello,  il  dottore  rispose  battendo  con  enfasi 


CAPITOLO    V.  93 

Ogni  sillaba:  «  dico,  profferisco  e  sentenzio  clic  questo  è 
rOlivaros  de'  vini:  censiil,  et  in  eamivi  sentenilam,  che  un 
li([uor  simile  non  si  trova  in  tu  Iti  i  ventidue  regni  del 
re  nostro  signore,  che  Dio  guardi:  dichiaro  e  delìnisco 
che  i  pranzi  dell' illustrissimo  signor  don  Rodrigo  vin- 
cono le  cene  d'Eliogabalo;  e  che  la  carestia  è  bandita 
e  confinata  in  perpetuo  da  questo  palazzo,  dove  siede  e 
regna  la  splendidezza.  » 

«  Ben  detto!  ben  definito I»  gridarono,  a  una  voce,  i 
commensali;  ma  quella  parola,  carestia,  che  il  dottore, 
aveva  buttato  fuori  a  caso,  rivolse  in  un  punto  tutte  le 
menti  a  quel  tristo  soggetto;  e  tutti  parlarono  della  ca- 
restia. Qui  andavan  tulli  d'accordo,  almeno  nel  princi- 
pale; ma  il  fracasso  era  fors(3  pu'i  grande  che  se  ci  fosse 
stato  disparere.  Parlavan  tutti  insieme.  «  Non  c'è  care- 
stia, »   diceva  uno:   «  sono  gl'incettatori » 

«  E  i  fornai;  »  diceva  un  altro:  «  che  nascondono  il 
grano.  Impiccarli.  » 

«  Appunto:  impiccarli,  senza  misericordia.  » 

«  De'  buoni  processi,  »   gridava  il  potestà. 

«  Che  processi?  »  gridava  più  forte  il  conte  Attilio: 
«  giustizia  sommaria.  Pigliarne  tre  o  quattro  o  cinf[ue 
0  sei,  di  quelli  che,  per  voce  pubblica,  son  conosciuti 
come  i  più  ricchi  e  i  più  cani,  e  im[)iccarh.  » 

«  Esempli  esempi!  senza  esemi)i  non  si  la  nulki.  » 

«  Impiccarli!  impiccarli!;  e  salterà  fuori  grano  da  tutte 
le  parti.  » 

Chi,  passando  per  una  fiera,  s'è  trovalo  a  goder  l'armo- 
nia che  fa  una  cumpagiiia  di  canlambanchi,  (juando,  tra 
una  sonala  e  l'altra,  ognuno  acrurda  il  suo  stromento, 
facendolo  stridere  quanto  più  può,  affine  di  sentirlo  di- 
stintamente, in  mezzo  al  rumore  degli  altri,  s'immagini 
che  tale  fosse  la  consonanza  di  quei,  se  si  può  dire, 
discorsi.  S'andava  inlanlu  mescendo  e  l'imescendu  di  ([nel 
tal  vino;  e  le  lodi  di  esso  venivano,  com'era  giusto,  fram- 
mischiate alle  sentenze  di  giurisprudenza  economica  ;  sic- 
ché le  parole  che  s'udivau  più  sonore  e  inù  frequenti 
erano:  ambrosia  e  impiccarli. 


94  1  PROMESSI  SPOSI,  CAPITOLO  V. 

Don  Rodrigo  intanto  dava  dell'occhiato  al  solo  che 
slava  zitto;  e  lo  vedeva  sempre  li  fermu,  senza  dar  se- 
gno d'impazienza  ne  di  fretta,  senza  far  atto  che  tendesse 
a  ricordare  che  stava  aspettando;  ma  in  aria  di  non  vo- 
ler andarsene,  prima  d' essere  stato  ascoltato.  L' avrebbe 
mandato  a  spasso  volentieri,  e  fatto  di  meno  di  quel 
collofpiio;  ma  congedare  un  cappuccino,  senza  avergli 
dato  udienza,  non  era  secondo  le  regole  della^  sua  poli- 
tica. Poiché  la  seccatura  non  si  poteva  scansare,  si  ri- 
solvette d'affrontarla  subito,  e  di  liberarsene;  s'alzò  da 
tavola,  e  seco  tutta  la  rubiconda  brigata,  senza  interrom- 
pere il  chiasso.  Chiesta  poi  licenza  agli  ospiti,  s'avvicinò, 
in  atto  contegnoso,  al  frale,  che  s'era  subito  alzato  con 
gli  altri;  gli  disse:  «  eccomi  a'  suoi  comandi;  »  -e  lo  con- 
dusse in  un'altra  sala. 


CAPITOLO  VI. 


«  In  che  posso  ubbidirla?  »  disse  don  Rodrigo  pian- 
tandosi in  piedi  nel  mezzo  della  sala.  Il  snono  delle  pa- 
role era  tale;  ma  il  modo  con  cui  eran  proferite,  voleva 
dir  chiaramente,  bada  a  chi  sei  davanti,  pesa  le  parole, 
e  sbrigati. 

Per  dar  coraggio  al  nostro  fra  Cristoforo,  non  c'era 
mezzo  più  sicuro  e  più  spedilo,  che  prenderlo  con  ma- 
niera arrogante.  Egli  che  stava  sospeso,  cercando  le  pa- 
role, e  facendo  scorrere  tra  le  dita  le  ave  marie  della 
corona  che  teneva  a  cintola,  come  se  in  qualcheduna  di 
quelle  sperasse  di  trovare  il  suo  esordio  ;  a  quel  fare  di 
tlon  Rodrigo,  si  senti  subito  venir  sulle  labbra  più  parole 
del  bisogno.  Ma  pensando  quanto  importasse  di  non  gua- 
stare i  fatti  suoi  0,  ciò  ch'era  assai  più,  i  l'atti  altrui, 
corresse  e  temperò  le  frasi  che  gli  si  eran  presentale 
alla  mente,  e  disse,  con  guardinga  umiltà:  «  vengo  a 
proporle  un  allo  di  giustizia,  a  pregarla  d'nna  carità. 
Cert'nomini  di  m;il  affare  hanno  messo  iinianzì  il  nome 
di  ^ossig^()|■i;l  illiisttissimii,  ])er  fai'  paura  a  un  povero 
curato,  e  iinpedii'gii  di  conqiire  il  suo  dovere,  e  per 
soverchiare  due  huiocenti.  Lei  può,  con  una  parola,  con- 


96  I   PROMESSI   SPOSI 

fonder  coloro,  rcsUtuirc  al  diritto  la  sua  forza,  e  sollevar 
quelli  a  cui  è  fatta  una  cosi  crudel  violenza.  Lo  può;  e 
jiolendolo la  coscienza,  l'onore » 

«  Lei  mi  parkM'à  della  mia  coscienza,  (piando  verrò 
a  confessarmi  da  lei.  In  (pianto  al  mio  onore,  ha  da  sa- 
pere che  il  custode  ne  son  io,  e  io  solo;  e  che  chiunque 
ardisce  entrare  a  parte  con  me  di  questa  cura,  lo  riguardo 
come  il  temerario  che  T offende.  » 

Fra  Cristoforo,  avvertito  da  queste  parole  che  quel 
signore  cercava  di  tirare  al  peggio  le  sue,  per  volgere 
il  discorso  in  contesa,  e  non  dargli  luogo  di  venire  alle 
strette,  s' impegnò  tanto  più  alla  sofferenza,  risolvette 
di  mandar  giù  qualunque  cosa  piacesse  all'  altro  di  di- 
re, e  rispose  subito,  con  un  tono  sommesso:  «  se  ho 
detto  cosa  che  le  dispiaccia,  è  stato  certamente  contro 
la  mia  intenzione.  Mi  corregga  pure,  mi  riprenda,  se 
non  so  parlare  come  si  conviene;  ma  si  degni  ascollar- 
mi. P(3r  amor   del  cielo,  per  quel  Dio,  al  cui   cospetto 

dobhiam   tutti   comparire »  e,  cosi   dicendo,   aveva 

preso  tra  le  dita,  e  metteva  davanti  agli  occhi  del  suo 
accigliato  ascoltatore  il  teschietto  di  legno  attaccalo  alla 
sua  corona,  «  non  s'ostini  a  negare  una  giustizia  cosi 
facile,  e  così  dovuta  a  de'  poverelli.  Pensi  che  Dio  ha  sem- 
pre gli  occhi  sopra  di  loro,  e  che  le  loro  grida,  i  loro  ge- 
mili sono  ascoltali  lassù.  L'innocenza  è  polente  al  suo. ...  » 

«  Eh,  padre!  »  interruppe  bruscamente  don  Rodrigo: 
«  il  rispetto  eh'  io  porto  al  suo  abito  è  grande:  ma  se 
qualche  cosa  potesse  farmelo  dimenticare,  sarebbe  il  ve- 
derlo indosso  a  uno  che  ardisse  di  venire  a  farmi  la 
spia  in  casa.  » 

Questa  parola  fece  venir  le  fiamme  sul  viso  del  fra- 
le :  il  (piale  però,  col  sembiante  di  chi  inghiottisce  una 
medicina  molto  amara,  riprese:  «  lei  non  crede  che  un 
tal  titolo  mi  si  convenga,  Lei  sente,  in  cuor  suo,  che  il 
passo  eh'  io  fo  ora  qui ,  non  ò  ne  vile  ni'^  spregevole. 
M'  ascolti,  signor  don  Hodrigo;  e  voglia  il  cielo  che  non 
venga  un   giorno  in  cui  si  penta  di  non  avermi  ascoi- 


CAPITOLO   VI.  1)7 

tato.  Non  vopiia   motlor  la  ^ua  gloria qnal    ploria, 

signor  don  Rodrigo!  qiial  gloria  dinanzi  agli  nominiJ 
E  dinanzi  a  Dio!  Lei  può  molto  quaggiù;  ma » 

«  Sa  loi,  »  disse  don  Rodrigo,  interrompendo,  con 
istizza,  ma  non  senza  qualche  raccapriccio,  «  sa  lei  che, 
quando  mi  viene  lo  schirihizzo  di  senlir(>  una  predica, 
so  benissimo  andare  in  chiesa,  come  fanno  gli  altri? 
Ma  in  casa  mia!  Oh!  »  e  continuò,  con  un  sorriso  for- 
zato di  scherno:  «  lei  mi  tratta  da  piìi  di  quel  che  sono. 
Il  predicatore  in  casa!  Non  l'hanno  che  i  principi.  » 

«  E  quel  Dio  che  chiede  conto  ai  principi  della  pa- 
rola che  fa  loro  sentire,  nelle  loro  reggie;  (pu>l  Die  che 
le  usa  ora  un  tratto  di  misericordia,  mandando  un  suo 
ministro,  indegno  e  miserabile,  ma  un  suo  ministro,  a 
pr(\iiar  per  una  innocente  ....  » 

«  In  somma,  padre,  »  disse  don  Rodrigo,  facendo 
atto  d'andarsene,  «  io  non  so  quel  che  lei  voglia  dire: 
non  capisco  altro  se  non  che  ci  dev'  essere  (pialche  fan- 
ciulla che  le  preme  molto.  Vada  a  far  le  sue  conlldenze 
a  chi  le  piace;  e  non  si  prenda  la  libertà  d' inlìistidir 
più  a  luogo  un  gentiluomo.  » 

Al  moversi  di  don  Rodrigo,  il  nostro  frale  gli  s'  era 
messo  tlavanli,  ma  con  gran  rispello;  e,  alzale  le  mani,  co- 
me per  supplicare  e  per  IrathMierlo  ad  un  punto,  risposo 
ancora:  «  la  mi  preme,  ò  vero,  ma  non  più  di  lei;  son 
due  anime  che,  l'una  e  l'altra,  mi  premon  più  del  mio 
sangue.  Don  Rodrigo!  io  non  posso  far  al  Irò  per  lei,  che 
pi'cgar  Dio;  ma  lo  farò  ben  ili  cuore.  Non  mi  dica  di 
no:  non  voglia  lener  nell'angoscia  e  nel  lerrore  una 
povera  innocente.  Una  parola  di  lei  può  far  tutto.  » 

«  Ehlicne,  »  disse  don  Rodrigo,  «  giacche  lei  crede 
eh'  io  possa  far  molto  per  questa  persona;  giacchi'  (pu>- 
sta  persona  \c  sta  tanto  a  cuore  ....  » 

«  Ebbene?  »  riprese  ansiosamente  il  padre  Cristoforo, 
al  quale  l'alio  e  il  conlcgno  di  don  Rodrigo  non  per- 
mellevano  d'abbandonarsi  alla  spei'anza  che  pi;uvvano 
aininnziai-e  (piclle  i)arole. 

VOL.  I.  K 


98  I   PROMESSI  SPOSI 

«  Ebbene,  la  consigli  di  venire  a  mettersi  sotto  la 
mìa  protezione.  Non  le  manclierà  più  nulla,  e  nessuno 
ardirà  d' inquietarla,  o  eh'  io  non  son  cavaliere,  r, 

A  siffatta  proposta,  l' indefinazione  del  frate,  rattenuta 
a  stento  fin  allora,  traboccò.  Tutti  que'  bei  proponimenti 
di  prudenza  e  di  pazienza  andarono  in  fumo:  l'uomo 
vecchio  si  trovò  d'accordo  col  nuovo;  e,  in  que' casi, 
fra  Cristoforo  valeva  veramente  per  due.  «  La  vostra 
protezione  !  »  esclamò  dando  indietro  due  passi,  postan- 
dosi fieramente  sul  piede  destro,  mettendo  la  destra  sul- 
1'  anca,  alzando  la  sinistra  con  l' indice  leso  verso  don  Ro- 
drigo, e  piantandogli  in  faccia  due  occhi  infiammati:  «  la 
vostra  prolezione!  É  meglio  che  abbiate  parlato  così, 
che  abbiate  fatta  a  me  una  tale  proposta.  Avete  colmata 
la  misura;  e  non  vi  temo  più.  » 

«  Come  parli,  frate?.. .  » 

«  Parlo  come  si  parla  a  chi  è  abbandonato  da  Dio, 
e  non  può  più  far  paura.  La  vostra  protezione!  Sapevo 
bene  che  quella  innocente  è  sotto  la  protezione  di  Dio; 
ma  voi,  voi  me  lo  fate  sentire  ora,  con  tanta  certezza, 
che  non  ho  più  bisogno  dì  riguardi  a  parlarvene.  Lucia, 
dico:  vedete  come  io  pronunzio  questo  nome  con  la 
fronte  alla,  e  con  gli  occhi  immobili.  » 

«  Come!  in  questa  casa » 

«  Ho  compassione  di  questa  casa:  la  maledizione  le 
sta  sopra  sospesa.  State  a  vedere  che  la  giustizia  di  Dio 
avrà  riguardo  a  quattro  pietre,  e  suggezione  di  quattro 
sgherri.  Voi  avete  creduto  che  Dio  abbia  fatta  una  crea- 
tura a  sua  immagine,  per  darvi  ìì  piacere  di  tormentarla  ! 
Voi  avete  creduto  che  Dio  non  saprebbe  difenderla  !  Voi 
avete  disprezzato  il  suo  avviso!  Vi  siete  giudicato.  Il  cuo- 
re di  Faraone  era  indurito  quanto  il  vostro;  e  Dio  ha 
sapulo  spezzarlo.  Lucia  è  sicura  da  voi:  ve  lo  dico  io 
povero  frate;  e  in  quanto  a  voi  sentite  bene  quel  eh'  io 
Ai  prometto.  Verrà  un  giorno » 

Don  Rodrigo  era  fin  allora  rimasto  tra  la  rabbia  e  la 
maraviglia,  attonito,  non  trovando  parole;  ma,  quando 


CAPITOLO  VI.  99 

senti  intonare  una  predizione,  s'aggiunse  alla  rabbia  un 
lontano  e  misterioso  spavento. 

Afferrò  rapidamente  per  aria  quella  mano  minacciosa, 
e,  alzando  la  voce,  per  troncar  quella  dell'  infausto  pro- 
feta, gridò:  4  escimi  di  tra  piedi,  villano  temerario,  pol- 
trone incappucciato.  » 

Queste  parole  cosi  chiare  acquietarono  in  un  momento 
il  padre  Cristoforo.  All'idea  di  strapazzo  e  di  villania 
era,  nella  sua  mente,  così  bene,  e  da  tanto  tempo,  as- 
sociata r  idea  di  sofferenza  e  di  silenzio,  che,  a  quel 
complimento,  gli  cadde  ogni  spirito  d'ira  e  d'entusia- 
smo, e  non  gli  restò  altra  risoluzione  che  quella  d'udir 
tranquillamente  ciò  che  a  don  Rodrigo  piacesse  d'aggiun- 
gere. Onde,  ritirata  placidamente  la  mano  dagli  artigli 
del  gentiluomo,  abbassò  il  capo,  e  rimase  immobile,  co- 
me al  cader  del  vento,  nel  forte  della  burrasca,  un  al- 
bero agitato  ricompone  naturalmente  i  suoi  rami,  e 
riceve  la  grandine  come  il  ciel  la  manda. 

«  Villano  rincivililo!  »  proseguì  don  Rodrigo;  «  tu 
tratti  da  par  tuo.  Ma  ringrazia  il  saio  che  ti  copre  co- 
deste spalle  di  mascalzone,  e  ti  salva  dalle  carezze  che 
si  fanno  a'  tuoi  pari,  per  insegnar  loro  a  parlare.  Esci 
con  le  tue  gambe,  per  questa  volta  e  la  vedremo.  » 

Cosi  dicendo,  additò,  con  impero  sprezzante,  un  uscio 
in  faccia  a  quello  per  cui  erano  entrali;  il  padre  Cristo- 
foro chinò  il  capo,  e  se  n'andò,  lasciando  don  Rodri-go 
a  misurare,  a  passi  infuriati,  il  campo  di  battaglia. 

Quando  il  frate  ebbe  serrato  1'  uscio  dietro  a  sé,  vide 
neir  altra  stanza  dove  entrava,  un  uomo  ritirarsi  pian 
piano,  strisciando  il  muro,  come  per  non  esser  veduto 
dalla  stanza  del  colloquio;  e  riconobbe  il  vecchio  scn^vi- 
lore  eh'  era  venuto  a  riceverlo  alla  porla  di  strada.  Era 
costui  in  quella  casa,  forse  da  quarant'  anni,  cioè  prima 
che  nascesse  don  Rodrigo;  entratovi  al  servizio  dc\  pa- 
dre, il  quale  era  stato  lutf  un' altra  cosa.  Morto  lui,  il 
nuovo  padrone,  dando  lo  sfratlo  a  lulla  la  famiglia,  <> 
facendo  Itrigala  nuova,  aveva  però  ritenuto  quel  servi- 


100  I  PROMESSI  SPOSI 

lore,  e  per  esser  già  vecchio,  e  perchè,  sehhen  di  mas- 
sime e  di  cosliime  diverso  interamente  dal  suo,  compen- 
sava però  questo  difetto  con  due  qualità:  un'  alta  opi- 
nione della  dignità  della  casa,  e  una  gran  pratica  del 
cerimoniale,  di  cui  conosceva,  meglio  ^d'  ogni  altro,  le 
più  antiche  tradizioni,  e  i  più  minuti  particolari.  In  fac- 
cia al  signore,  il  povero  vecchio  non  si  sarebbe  mai 
arrischiato  d'accennare,  nonché  d'esprimere  la  sua  di- 
sapprovazione di  ciò  che  vedeva  tutto  il  giorno:  appena 
ne  faceva  qualche  eBclamazione,  qualche  rimprovero  tra 
i  denti  a'  suoi  colleghi  di  servizio;  i  quali  se  ne  rideva- 
no, e  prendevano  anzi  piacere  qualche  volta  a  toccargli 
quel  tasto,  per  fargli  dir  di  più  che  non  avrebbe  voluto, 
e  per  sentirlo  ricantar  le  lodi  dell'antico  modo  di  vivere 
in  quella  casa.  Le  sue  censure  non  arrivavano  agli  orec- 
chi del  padrone  che  accompagnate  dal  racconto  delle 
risa  che  se  n'  eran  fatte;  dimodoché  riuscivano  anche 
per  lui  un  soggetto  di  scherno,  senza  risentimento.  Ne' 
giorni  poi  d' invito  e  di  ricevimento,  il  vecchio  diven- 
tava un  personaggio  serio  e  d' importanza. 

Il  padre  Cristoforo  lo  guardò,  passando,  lo  salutò,  e 
seguitava  la  sua  strada;  ma  il  vecchio  se  gli  accostò  mi- 
steriosamente, mise  il  dito  alla  bocca,  e  poi,  col  dito 
slesso,  gli  fece  un  cenno,  per  invitarlo  a  entrar  con  lui 
in  un  andito  buio.  Quando  furon  lì,  gli  disse  sotto  vo- 
ce: «  padre,  ho  sentito  tutto,  e  ho  bisogno  di  parlarle.  » 

«  Dite  presto,  buon  uomo.  » 

«  Qui  no:  guai  se  il  padrone  s'  avvede ....  Ma  io  so 
molte  cose;  e  vedrò  di  venir  domani  al  convento.  » 

«C'è  qualche  disegno?  » 

«  Qualcosa  per  aria  c'è  di  sicuro:  già  me  ne  son 
potuto  accorgere.  Ma  ora  starò  suU'  inlesa,  e  spero  di 
scoprir  tulio.  Lasci  fare  a  me.  Mi  tocca  a  vedere  e  a  sen- 
tir cose...!  cose  di  fuoco!  Sono  in  una  casa...!  Ma 
io  vorrei  salvar  1'  anima  mia.  » 

«  Il  Signore  vi  benedica!  »  e,  proferendo  sottovoce 
(lueste  parole,  il  frate  mise  la  mano  sul  cap  o  del  servi- 


CAPITOLO  Vi.  101 

lore,  che,  qnantunciiio  più  vecchio  di  hii,  gli  stava  curvo 
dinanzi,  nell'  attitudine  d'  un  figliuolo.  «  Il  Signore  vi 
ricompenserà,  »  proseguì  il  frate:  «  non  mancate  di  ve- 
nir domani,  j 

a  Verrò,  »  rispose  il  servitore:  «  ma  lei  vada  via  su- 
bito e per   amor  del    cielo non  mi   nomini.  » 

Così  dicendo,  e  guardando  intorno,  uscì  per  Taltra  parte 
dell'andito,  in  un  salotto,  che  rispondeva  nel  cortile;  e, 
visto  il  campo  libero,  chiamò  fuori  il  buon  frate,  il 
volto  del  quale  rispose  a  queir  uUima  parola  più  chiaro 
che  non  avrebbe  potuto  fare  qualunque  prolesta.  Il  ser- 
vitore gii  additò  l'uscita;  e  il  frate,  senza  dir  altro, 
partì. 

Queir  uòmo  '  era  slato  a  sentire  all'uscio  del  suo  pa- 
drone: aveva  fatto  tiene  ?  E  fra  Cristoforo  faceva  bene  a 
lodarlo  di  ciò?  Secondo  le  regole  più  comuni  e  men 
contraddette,  è  cosa  molto  brutta;  ma  quel  caso  non 
poteva  riguardarsi  come  un'eccezione?  E  ci  sono  dell'  ec- 
cezioni alle ''regole  più  comuni  e  men  contraddette? 
Questioni  importanti;  ma  che  il  lettore  risolverà  da  sé, 
se  ne  ha  voglia.  Noi  non  intendiamo  di  dar  giudizi  :  ci 
basta  d'aver  dei  falli  da  raccontare. 

Uscito  fuori,  e  voltate  le  spalle  a  quella  casacci  a, 
fra  Cristoforo  respirò  più  liberamente,  e  s'avviò  in  fretta 
per  la  scesa,  tutto  infocato  in  volto,  commosso  e  sotto- 
sopra, come  ognuno  può  immaginarsi,  per  quel  che  aveva 
sentito,  e  per  quel  die  aveva  detto.  Ma  (juella  così  ina- 
spettata esibizione  del  vecchio  era  stata  un  gran  ristora- 
tivo per  lui:  gli  pareva  clie  il  cielo  gli  avesse  dato  un 
segno  visibile  dalla  sua  protezione.  —  Ecco  un  fdo, 
pensava,  un  fdo  die  la  provvidiMiza  mi  mette  nelle  mani. 
E  in  (puìlla  casa  medesima  I  E  senza  die  io  sognassi 
neppure  di  cercarlo!  —  Così  ruminando,  alzò  gli  occhi 
verso  l'  occidente,  vide  il  sole  inclinalo,  che  già  già  toc- 
cava la  cima  del  monte,  e  pensò  che  rimaneva  ben  poco 
del  giorno.  Allora,  beiicliè  seidisse  le  ossa  gravi  e  fiac- 
cate da  varii  strapazzi  di  cpiella  giornata,  pure  studiò 


lOà  I   PROMESSI  SPOSI 

di  più  il  passo,  por  poter  riportare  un  avviso,  qiial  si 
fosse,  a'  suoi  protetti,  e  arrivar  poi  al  convento,  prima 
di  notte:  che  era  una  delle  leggi  più  precise,  e  più  se- 
veramente mantenute  del  codice  cappuccinesco. 

Intanto  nella  casetta  di  Lucia,  erano  stati  messi  in 
campo  e  ventilali  disegni,  de''(iuali  ci  conviene  informare 
il  lettore.  Dopo  la  partenza  del  frate,  i  tre  rimasti  erano 
stati  qualche  tempo  in  silenzio;  Lucia  preparando  trista- 
mente il  desinare;  Renzo  sul  punto  d' andarsene  ogni 
momento,  per  levarsi  dalla  vista  di  lei  così  accorata,  e 
non  sapendo  slaccarsi;  Agnese  tutta  intenta,  in  apparen- 
za, all'aspa  che  faceva  girare.  Ma,  in  realtà,  sfava  ma- 
turando un  progetto;  e,  quando  le  parve  maturo,  ruppe 
il  silenzio  in  questi  termini: 

«  Sentite,  figliuoli!  Se  volete  aver  cuore  e  destrezza, 
quanto  bisogna,  se  vi  fidate  di  vostra  math^e,  »  a  quel 
vostra  Lucia  si  riscosse,  «  io  m' impegno  di  cavarvi  di 
quest'  impiccio,  meglio  forse,  e  più  presto  del  padre  Cri- 
stoforo^ quantunque  sia  queir  uomo  che  è.  »  Lucia  ri- 
mase li,  e  la  guardò  con  un  volto  eh'  esprimeva  più 
maraviglia  che  fiducia  in  una  promessa  tanto  magnifica; 
e  Renzo  disse  subitamente:  «  cuore?  deslrezza'?  dite, 
dite  pure  quel  che  si  può  fare.  » 

«  Non  è  vero,  »  proseguì  Agnese,  «  che  se  foste  ma- 
ritali, si  sarebbe  già  un  pezzo  avanti?  E  che  a  tutlo  il 
resto  si  Irovereljbe  più  facilmente  ripiego?  » 

«  C  è  dubbio  ?  »  disse  Renzo  :  «  maritati  che  fossi- 
mo  tutto  il  mondo  è  paese;  e,  a  due  passi  di  qui, 

sul  bergamasco,  chi  lavora  seta  è  ricevuto  a  braccia 
aperte.  Sapete  quante  volte  Bortolo  mio  cugino  m'  ha 
fatto  sollecitare  d'  andar  là  a  star  con  lui,  che  farei  for- 
tuna, com' ha  fatto  lui:  e  se  non  gU  ho  mai  dato  retta, 
gli  è che  serve?  perchè  il  mio  cuore  era  qui.  Mari- 
tati, si  va  tulli  insieme,  si  mette  su  casa  là,  si  vive 
in  santa  pace,  fuor  delf  unghie  di  questo  ribaldo,  lon- 
tano dalla  tentazione  di  fare  uno  sproposito.  N'  è  vero, 
Lucia?  » 


CAPITOLO  VI.  103 

«  Sì,  »  disse  Lucia:  «  ma  come ?» 

«  Come  ho  detto  io,  »  riprese  la  madre  :  «  cuore  e 
destrezza;  e  la  cosa  è  facile.  » 

«  Facile!  »  dissero  insieme  que'due,  per  cui  la  cosa 
era  divenuta  tanto  stranamente  e  dolorosamente  ditTicile. 

«  Facile,  a  saperla  fare,  »  replicò  Agnese.  «  Ascolta- 
temi bene,  che  vedrò  di  farvela  intendere.  Io  ho  sentito 
dire  da  gente  che  sa,  e  anzi  ne  ho  veduto  io  un  caso, 
che,  per  fare  un  matrimonio,  ci  vuole  bensì  il  curato, 
ma  non  è  necessario  che  voglia;  basta  che  ci  sia.  » 

«  Come  sta  questa  faccenda?  »  domandò  Renzo. 

«  Ascoltate  e  sentirete.  Bisogna  aver  due  testimoni 
ben  lesti  e  ben  d'accordo.  Si  va  dal  curalo:  il  punto 
sta  di  chiapparlo  all'  improvviso,  che  non  abbia  tempo 
di  scappare.  L'  uomo  dice:  signor  curalo,  questa  è  mia 
moglie:  la  donna  dice:  signor  curato,  questo  è  mio  ma- 
rito. Bisogna  che  il  curato  senta,  che  i  testimoni  senta-" 
no;  e  il  matrimonio  è  beli' e  fatto,  sacrosanto  come  se 
r  avesse  fatto  il  papa.  Quando  le  parole  son  dette  il  cu- 
rato può  strillare,  strepitare  fare  il  diavolo;  è  inutile;  siete 
marito  e  moglie.  » 

a  Possibile?  »  esclamò  Lucia. 

«  Come!  »  disse  Agnese:  «  state  a  vedere  che,  in 
trent'  anni  che  ho  passati  in  questo  mondo,  prima  che 
nasceste  voi  altri,  non  avrò  imparato  nulla.  La  cosa  è 
tale  quale  ve  la  dico:  per  segno  tale  che  una  mia  amica, 
che  voleva  prender  uno  contro  la  volontà  de'  suoi  pa- 
renti, facendo  in  quella  maniera,  ottenne  il  suo  inlento. 
Il  curato,  che  ne  aveva  sospetto,  slava  all'erta;  ma  i  due 
diavoli  seppero  far  così  bene,  che  lo  colsero  in  un 
punto  giusto,  dissero  le  parole,  e  furon  marito  e  mo- 
glie: benché  la  poveretta  se  ne  pentì  poi,  in  capo  a  tre 
giorni.  T> 

Agnese  diceva  il  vero,  e  riguardo  alla  possibilità,  e 
riguardo  al  pericolo  di  non  ci  riuscire:  che,  siccome  non 
ricorrevano  a  un  tale  espediente,  se  non  persone  che 
avesser  trovato  ostacolo  o  rifiuto  nella  via  ordinaria,  così 


104  l  PROMESSI  SPOSI 

i  parrochi  mellevan  gran  cura  a  scansare  quella  coope- 
razione forzata;  e,  quando  un  d'essi  venisse  pure  sor- 
preso da  una  di  quelle  coppie,  accompagnata  da  testi- 
moni, faceva  di  tutto  per  iscapolarsene,  come  Proteo 
dalle  mani  di  coloro  che  volevano  farlo  vaticinare  per 
forza. 

«  Se  fosse  vero,  Lucia!  »  disse  Renzo,  guardandola 
con  un'  aria  d'  aspettazione  supplichevole. 

«  Comel  se  fosse  verol  »  disse  Agnese.  «  Anche  voi 
credete  ch'io  dica  fandonie.  Io  m' a  Hanno  per  voi,  e 
non  son  creduta  :  bene  bene;  cavatevi  d' impiccio  come 
potete:  io  me  ne  lavo  le  mani.  » 

«  Ah  noi  non  ci  abbandonate,  »  disse  Renzo.  «  Parlo 
così,  perchè  la  cosa  mi  par  troppo  bella.  Sono  nelle 
vostre  mani  ;  vi  considero  come  se  foste  proprio  mia 
madre.  > 

Queste  parole  fecero  svanire  il  piccolo  sdegno  di  Agne- 
se, e  dimenticare  un  proponimento  che,  per  verità,  non 
era  stato  serio. 

«  Ma  perchè  dunque  mamma,  »  disse  Lucia,  con  quel 
suo  con  legno  sommesso,  «  perchè  questa  cosa  non  è  ve- 
nuta in  mente  al  padre  Cristoforo?  » 

«  In  mente  ?  »  rispose  Agnese  :  «  pensa  se  non  gli 
sarà  venuta  in  mente!  Ma  non  ne  avrà  voluto  parlare.  » 

«  Perchè?  »  domandarono  a  un  trailo  i  due  giovani. 

1  Perchè perchè,  quando  lo  volete  sapere,  i  reli- 
giosi dicono  che  veramente  è  cosa  che  non  istà  bene.  » 

e  Come  può  essere  che  non  istia  bene,  e  che  sia  ben 
fatta^  quand' è  fatta?  »  disse  Renzo. 

«  Che  volete  eh'  io  vi  dica?  »  rispose  Agnese.  «  La 
legge  l'hanno  fatta  loro,  come  gli  è  piaciuto;  e  noi  po- 
verelli non  possiamo  capir  tutto.  E  poi  quante  cose . . . 
Ecco;  è  come  lasciar  andare  un  pugno  a  un  cristiano. 
Non  istà  bene;  ma,  dato  che  gliel  abbiale,  né  anche  il 
papa  non  glielo  può  levare.  » 

«  Se  è  cosa  che  non  istà  bene,  »  disse  Lucia,  «  non 
bisogna  farla.  » 


CAPITOLO  VI.  105 

«  Che!  »  disse  Agnese,  *  ti  vorrei  forse  dare  un  pa- 
rere contro  il  timor  di  Dio?  Se  fosse  contro  la  volontà 
de' tuoi  parenti,  per  prendere  un  rompicollo....  ma, 
contenta  me,  e  per  prender  questo  figliuolo  ;  e  chi  fa 
nascer  tutte  le  difficoltà  è  un  birbone  ;  e  il  signor 
curato ....  » 

«  L'è  chiara^  che  l'intenderebbe  ognuno,  »  disse 
Renzo. 

«  Non  bisogna  parlarne  al  padre  Cristoforo,  prima 
di  far  la  cosa,  »  proseguì  Agnese  :  «  ma,  fatta  che  sia, 
e  ben  riuscita,  che  pensi  tu  che  ti  dirà  il  padre?  —  Ah 
figliuola  !  è  una  scappata  grossa  ;  me  1'  avete  fatta.  — 
I  religiosi  devon  parlar  cosi.  Ma  credi  pure  che,  in  cuor 
suo,  sarà  contento  anche  lui.  d 

Lucia,  senza  trovar  che  rispondere  a  quel  ragiona- 
mento, non  ne  sembrava  però  capacitata:  ma  Renzo, 
tutto  rincoralo,  disse:  «t  quand' è  così,  la  cosa  è  fatta.  » 

«  Piano,  »  disse  Agnese  «  E  i  testimoni?  Trovar  due 
che  vogliano,  e  che  intanto  sappiano  stare  zitti  !  E  poter 
cogliere  il  signor  curato  che,  da  due  giorni,  se  ne  sta 
rintanato  in  casa  ?  E  farlo  star  lì  ?  che,  benché  sia  pe- 
sante di  sua  natura,  vi  so  dir  io  che  al  vedervi  compa- 
rire in  quella  conformità,  diventerà  lesto  come  un  gatto, 
e  scapperà  come  il  diavolo  dall'acqua  santa.  » 

«  L'  ho  trovato  io  il  verso,  1'  ho  trovato,  j  disse  Ren- 
zo, battendo  il  pugno  sulla  tavola,  e  facendo  balzellare 
le  stoviglie  apparecchiate  per  il  desinare.  E  seguitò 
esponendo  il  suo  pensiero,  che  Agnese  approvò  in  tntto 
e  per  tutto. 

«  Son  imbrogli,  »  disse  Lucia  :  i  non  son  cose  lisce. 
Finora  abbiamo  operato  sinceramente^  tiriamo  avanti 
con  fede,  e  Dio  ci  aiuterà;  il  padre  Cristoforo  l'ha  detto. 
Sentiamo  il  suo  parere.  » 

«  Lasciati  guidare  da  chi  ne  sa  i)iìi  di  le.  »  disse 
Agnese,  con  volto  grave.  «  Che  bisogno  c'è  di  chieder 
pareri?  Dio  dice:  aiutati,  ch'io  t'  aiuto.  Al  padre  raccon- 
teremo tutto,  a  cose  fatte.  » 


106  1   PROMESSI  SPOSI 

«  Lucia,  »  disse  Renzo,  «  volete  voi  mancarmi  ora? 
Non  avevamo  noi  fatto  tulle  le  cose  da  buon  crisliani? 
Non  dovremmo  esser  già  marito,  e  moglie?  Il  curato 
non  ci  aveva  fissato  lui  il  giorno  e  l'ora?  E  di  chi  è 
la  colpa,  se  dobbiamo  ora  aiutarci  con  un  po'  d' ingegno? 
No,  non  mi  manclierele.  Vado  e  (orno  con  la  risposta.  » 
E  salutando  Lucia,  con  un  atto  dì  preghiera,  e  Agnese, 
con  un'aria  d'intelligenza,  partì  in  fretta. 

Le  tribolazioni  aguzzano  il  cervello:  e  Renzo  il  quale, 
nel  sentiero  retto  e  piano  di  vita  percorso  da  lui  fin 
allora,  non  s'era  mai  trovalo  nelToccasione  d'assottigliar 
molto  il  suo,  ne  aveva,  in  questo  caso,  immaninata  una, 
da  far  onore  a  un  giureconsulto.  Andò  addirittura,  .se- 
condo che  aveva  disegnato,  alla  casetta  d'  un  certo  To- 
nio, ch'era  li  poco  distante;  e  lo  trovò  in  cucina,  che, 
con  un  ginocchio  sullo  scalino  del  focolare,  e  lenendo, 
con  una  mano,  l' orlo  d' un  paiolo,  messo  sulle  ceneri 
calde,  dimenava,  col  matterello  ricurvo,  una  piccola  po- 
lenta bigia,  di  gran  saraceno.  La  madre,  un  fratello,  la 
moglie  di  Tonio,  erano  a  tavola  ;  e  tre  o  quattro  ragaz- 
zetti, ritti  accanto  al  babbo,  stavano  aspettando,  con  gli 
occhi  fissi  al  paiolo,  che  venisse  il  momento  di  scodel- 
lare. Ma  non  c'era  quell'allegria  che  la  vista  del  desi- 
nare suol  pur  dare  a  chi  se  1'  è  meritato  con  la  fatica. 
La  mole  della  polenta  era  in  ragion  dell'  annata,  e  non 
del  numero  e  della  buona  voglia  de'  commensali  :  e 
ognun  d'essi,  fissando,  con  uno  sguardo  bieco  d'amor 
rabbioso,  la  vivanda  comune,  pareva  pensare  alla  por- 
zione d' appetito,  che  le  doveva  sopravvivere.  Mentre 
Renzo  barattava  i  saluti  con  la  famiglia,  Tonio  scodellò 
la  polenta  sulla  tafleria  di  faggio,  che  stava  apparecchiata 
a  riceverla  :  e  parve  una  piccola  luna,  in  un  gran  cer- 
chio di  vapori.  Nondimeno  le  donne  dissero  cortesemente 
a  Renzo:  «  volete  restar  servito?  »  complimenlo  che  il 
conladino  di  Lombardia,  e  chi  sa  di  quant'  altri  paesi  ! 
non  lascia  mai  di  fare  a  chi  lo  trovi  a  mangiare,  quan- 
d' anche  questo  fosse  un  ricco  epulone  alzatosi  allora 
da  tavola,  e  lui  fosse  all'  ullimo  boccone. 


CAPITOLO  VI.  107 

«  Vi  ringrazio,  »  rispose  Renzo:  «  venivo  solamente 
per  dire  una  parolina  a  Tonio;  e,  se  vuoi,  Tonio,  per 
non  disturbar  le  lue  donne,  possiamo  andar  a  desinare 
air  osteria,  e  lì  parleremo,  r,  La  proposta  tu  per  Tonio 
tanto  più  gradita,  quanto  meno  aspettata;  e  le  donne,  e 
anche  i  bimbi  (giacché,  su  questa  materia,  principian 
presto  a  ragionare)  non  videro  mal  volentieri  che  si 
sottraesse  alla  polenta  un  concorrente,  e  il  più  formida- 
bile. L' invitato  non  islette  a  domandar  altro,  e  andò 
con  Renzo. 

Giunti  all'osteria  del  villaggio;  seduti,  con  tutta  li- 
bertà, in  una  perfetta  solitudine,  giacché  la  miseria  aveva 
divezzati  tutti  i  frequentatori  di  quel  luogo  di  delizie; 
fatto  portare  quel  poco  die  si  trovava;  votato  un  boc- 
cale di  vino;  Renzo,  con  aria  di  mistero,  disse  a  Tonio: 
«  se  tu  vuoi  farmi  un  piccolo  servizio,  io  te  ne  voglio 
fare  uno  grande.  > 

«  Parla,  parla;  comandami  pure,  j  rispose  Tonio,  me- 
scendo. «  Oggi  mi  butterei  nel  fuoco  per  te.  » 

«1  Tu  hai  un  debito  di  venticinque  lire  col  signor 
curato,  per  fitto  del  suo  campo,  che  lavoravi  l'anno 
passato.  » 

«  Ah,  Renzo,  Renzo!  tu  mi  guasti  il  benefizio.  Con 
che  cosa  mi  vieni  fuori"?  M'hai  fatto  andar  via  il  buon 
umore.  » 

«  Se  ti  parlo  del  debito,  »  disse  Renzo,  «  è  perchè,  se 
tu  vuoi,  io  intendo  di  darti  il  mezzo  di  pagarlo.  » 

«  Dici  davvero?  » 

«  Davvero.  Eh?  saresti  coidento?  » 

«  Contento'?  Per  diana,  se  sarei  contento!  Se  non 
foss' altro,  per  non  veder  più  ([ue' versacci,  e  que' cenni 
col  capo,  che  mi  fa  il  signor  curalo,  ogni  volta  che  e'  in- 
contriamo. E  poi  sempre:  Tonio,  ricordatevi:  Tonio, 
quando  ci  vediamo,  per  quel  negozio?  A  tal  segno  che 
quando,  nel  predicare,  mi  fissa  quegli  orchi  addosso, 
io  sto  (piasi  in  timore  che  abbia  a  tlirnii,  li  in  pub- 
blico: quelle  venticinque  lire!  Che  maledette   siano  le 


108  I  PROMESSI   SPOSI 

venticinque  lire!  E  poi,  m'avrebl)c  a  restituir  la  collana 
d'oro  (li  mia  moglie,  die  la  baratterei  in  tanta  polenta. 
Ma....  ■» 

a  Ma,  ma,  se  tu  mi  vuoi  fare  un  serviziello,  le  ven- 
ticinque lire  son  preparale.  » 

«  Dì  su. 

1  Ma....l»  disse    Renzo,  mettendo  il  dito  alla  bocca. 

«  Fa  bisogno  di  queste  cose?  tu  mi  conosci.  » 

«  Il  signor  curato  va  cavando  fuori  certe  ragioni  senza 
sugo,  per  tirare  in  lungo  il  mio  matrimonio;  e  io  in 
vece  vorrei  spicciarmi.  Mi  dicon  di  sicuro  die,  presen- 
tandosi egli  davanti  i  due  sposi,  con  due  testimoni,  e 
dicendo  io:  questa  è  mia  moglie,  e  Lucia:  questo  è  mio 
marito,  il  matrimonio  è  beli'  e  fatto.  M'  bai  tu  inteso?  ^ 

«  Tu  vuoi  ch'io  venga  per  testimonio?» 

«  Per  r  appunto.  » 

«  E  pagherai  per  me  le  venticinque  lire?  » 

«  Così  r  intendo.  » 

«  Birba  chi  manca.  » 

«  Ma  bisogna  trovare  un  altro  testimonio.  » 

«  L'  ho  trovato.  Quel  sempliciotto  di  mio  fralel  Ger- 
vaso  farà  quello  che  gli  dirò  io.  Tu  gli  pagherai  da 
bere?  j 

«  E  da  mangiare,  »  rispose  Renzo.  «  Lo  condurremo 
qui  a  stare  allegro  con  noi.  Ma  saprà  fare?  » 

«  GÌ'  insegnerò  io;  tu  sai  bene  eh'  io  ho  avuta  anche 
la  sua  parte  di  cervello.  » 

e  Domani ....  » 

«  Bene.  » 

«  Verso  sera....  » 

«  Benone.  » 

«  Mal...  »  disse  Renzo,  mettendo  di  nuovo  il  dilo  alla 
bocca. 

«  Polli...  »  rispose  Tonio,  piegando  il  capo  sulla  spalla 
destra,  e  alzando  la  mano  sinistra,  con  un  viso  che  di- 
ceva: mi  fai  torto, 

«  Ma  se  tua  moglie  ti  domanda,  come  ti  domanderà, 
senza  dubbio....  » 


CAPITOLO  VI.  109 

»  Di  bugie,  sono  in  debito  io  con  mia  moglie,  e  tanto 
tanto,  che  non  so  se  arriverò  mai  a  saldare  il  conto. 
Qualche  pastocchia  la  troverò,  da  metterle  il  cuore  in 
pace.  » 

«  Domattina,  »  disse  Renzo,  «  discorreremo  con  più 
comodo,  per  intenderci  bene  su  tutto.  » 

Con  questo,  uscirono  dall'osteria,  Tonio  avviandosi  a 
casa,  e  studiando  la  fandonia  che  racconterebbe  alle  donne, 
e  Renzo  a  render  conto  da' concerti  presi. 

In  questo  tempo,  Agnese  s'era  afTaticata  invano  a  per- 
suader la  figliuola.  Questa  andava  opponendo  a  ogni  ra- 
gione, ora  runa,  ora  l'altra  parte  del  suo  cUlemma:  o 
la  cosa  è  cattiva,  e  non  bisogna  farla;  o  non  è,  e  per- 
chè non  dirla  al  padre  Cristoforo? 

Renzo  arrivò  tutto  trionfante,  fece  il  suo  rapporto,  e 
terminò  con  un  ahn?  interiezione  che  significa:  sono  o 
non  sono  un  uomo  io?  si  poteva  trovar  di  meglio?  vi 
sarebbe  venuta  in  mente?  e  cento  cose  simili. 

Lucia  tentennava  mollemente  il  capo;  ma  i  due  in- 
fervorati le  badavan  poco,  come  si  suol  fare  con  un  fan- 
ciullo, al  quale  non  si  spera  di  far  intendere  tutta  la 
ragione  d'una  cosa,  e  che  s'indurrà  poi,  con  le  pre- 
ghiere e  con  r  autorità,  a  ciò  che  si  vuol  da  lui. 

«  Va  bene,  »  disse  Agnese:  «  va  bene;  ma....  non  avete 
pensato  a  lutto.  » 

«  Cosa  ci  manca?  »  rispose  Renzo. 
«  E  Perpetua?  non  avete  pensalo  a  Perpetua.  Tonio 
e  suo  fratello,  li  lascerà  entrare;  ma   voi!  voi  due!  pen- 
sate !  avrà  ordine  di  tenervi  lontani,  più  che  un  ragazzo 
da  un  pero  che  ha  le  frutte  mature.  » 

1  Come  faremo?  »  disse  Renzo,  un  po'  imbrogliato. 
«  Ecco:  ci  ho  pensato  io.  Verrò  io  con  voi;  e  ho  un 
segreto  per  attirarla,  e  per  incantarla  di  maniera  che 
non  s'accorga  di  voi  altri,  e  possiate   entrare.  La  chia- 
merò io,  e  le  toccherò  una  corda....  vedrete.  » 

«  Benedetta  voi!  »  esclamò  Renzo:  «  l'ho  senqire  detto 
che  siete  nostro  aiuto  in  lutto.  » 


110  I   PROMESSI   SPOSI,  CAPITOLO  VI. 

«  Ma  (ulto  questo  non  serve  a  nulla,  »  disse  Agnese' 
«  se  non  si  persuade  costei,  che  si  ostina  a  dire  ciie  ò 
peccato.  » 

Renzo  mise  in  campo  anche  lui  la  sua  eloquenza;  ma 
Lucia  non  si  lasciava  smovere. 

«  Io  non  so  che  rispondere  a  queste  vostre  ragioni,  » 
diceva:  «  ma  vedo  che,  per  far  questa  cosa,  come  dite  voi, 
bisogna  andar  avanti  a  furia  di  sotterfugi,  di  bugie,  di 
finzioni.  Ah  Renzo!  non  abbiam  cominciato  così.  Io  voglio 
esser  vostra  moglie,  d  e  non  e'  era  verso  che  potesse  pro- 
ferir quella  parola,  e  spiegar  quell'intenzione,  senza  fare 
il  viso  rosso:  «  io  voglio  esser  vostra  moglie,  ma  per  la 
strada  diritta,  col  timor  di  Dio,  all'altare.  Lasciamo  fare 
a  Quello  lassù.  Non  volete  che  sappia  trovar  Lui  il  ban- 
dolo d'aiutarci,  meglio  che  non  possiamo  far  noi,  con 
tutte  codeste  furberie?  E  perchè  far  misteri  al  padre 
Cristoforo?» 

La  disputa  durava  tuttavia,  e  non  pareva  vicina  a  fi- 
nire, quando  un  calpestio  affrettato  di  sandali,  e  un  ru- 
more di  tonaca  sbattuta,  somigliante  a  quello  che  fanno 
in  una  vela  allentata  i  soffi  ripetuti  del  vento,  annun- 
ziarono il  padre  Cristoforo.  Si  chetaron  tutti;  e  Agnese 
ebbe  appena  tempo  di  susurrare  all'orecchio  di  Lucia: 
«  bada  bene,  ve',  di  non  dirgli  nulla.  » 


! 


CAPITOLO  VII. 


Il  padre  Cristoforo  arrivava  nell'  atliludine  d' un  buon 
capitano  che,  perduta,  senza  sua  colpa,  una  battaglia 
importante,  afflitto  ma  non  scoraggito,  sopra  pensiero 
ma  non  sbalordito,  di  corsa  e  non  in  fuga,  si  porla  dove 
il  bisogno  lo  chiede,  a  premunire  i  luoghi  minacciati, 
a  raccoglier  le  truppe,  a  dar  nuovi  ordini. 

«  La  pace  sia  con  voi,  »  disse,  nell'  entrare.  «  Non  e'  è 
nulla  da  sperare  dall'uomo  :  tanto  più  bisogna  confidare 
in  Dio:  e  già  ho  (jualche  pegno  della  sua  prolezione.  » 

Sebbene  nessuno  dei  tre  sperasse  mollo  nel  tentativo 
del.  padre  Cristoforo,  giacche  il  vedere  un  potente  riti- 
rarsi da  una  soverchieria,  senza  esserci  costretto,  e  per 
mera  condiscendenza  a  preghiere  disarmale,  era  cosa 
piuttosto  iiiaudila  clu^  rara;  nulladimeno  la  trista  cer- 
tezza fu  un  colpo  per  tutti.  Le  donne  abbassarono  il 
capo;  ma  nell'animo  di  Renzo,  l'ira  prevalse  all'abbat- 
timento. Quell'annunzio  lo  trovava  già  amareggialo  da 
tante  sorprese  dolorose,  da  tanti  leidali\i  andai!  a  \òlo, 
da  tante  siieranze  deluse,  e,  per  di  iiiìi,  esacerbato,  in 
(jiiel  momento,  dalle  ripulse  di  Lucia. 


112  I   PROMESSI  SPOSI 

«  Vorrei  sapere,  »  gridò,  digrignando  i  denti,  e  al- 
zando  la  voce,  quaiilo  non  aveva  mai  fallo  prima  d'al- 
lora, alla  presenza  del  padre  Cristoforo;  «  vorrei  sapere 
che  ragioni  ha  dette  quel  cane,  per  sostenere....  per  so- 
stenere che  la  mia  sposa  non  dev'  essere  la  mia  sposa.  » 

«  Povero  Renzo  !  d  rispose  il  frate,  con  una  voce  grave 
e  pietosa,  e  con  uno  sguardo  che  comandava  amorevol- 
mente la  pacatezza:  «  se  il  potente  che  vuol  commettere 
l'iingiustizia  fosse  sempre  obhligalo  a  dir  le  sue  ragioni, 
le  cose  non  anderebbero  come  vanno.  » 

«  Ha  dello  dunque  quel  cane,  che  non  vuole,  perchè 
non  vuole  ?  » 

«  Non  ha  detto  nemmen  questo,  povero  Renzo!  Sa- 
rebbe ancora  un  vantaggio  se,  per  commeller  l' iniquità, 
dovessero  confessarla  apertamente.  » 

«  Ma  qualcosa  ha  dovuto  dire:  cos'ha  dello  quel  tiz- 
zone d' inferno  ?  » 

«  Le  sue  parole,  io  l'ho  sentite,  e  non  le  le  saprei 
ripetere.  Le  parole  dell'iniquo  che  è  forle,  penetrano  e 
sfuggono.  Può  adirarsi  che  tu  mostri  sospetto  di  lui, 
e,  nello  stesso  tempo,  farli  sentire  che  quello  di  che  tu 
sospetti  è  certo:  può  insultare  e  chiamarsi  offeso,  scher- 
nire e  chieder  ragione,  atterrire  e  lagnarsi,  essere  sfac- 
ciato e  irreprensibile.  Non  chieder  più  in  là.  Colui  non 
ha  proferito  il  nome  di  questa  innocente,  né  il  tuo,  non 
ha  figurato  nemmen  di  conoscervi,  non  ha  detto  di  pre- 
tender nulla;  ma....  ma  pur  troppo  ho  dovuto  intendere 
eh' è  irremovibile.  Nondimeno  confidenza  in  Dio!  Voi, 
poverette,  non  vi  perdete  d'animo;  e  tu,  Renzo....  oh! 
credi  pure,  ch'io  so  mettermi  ne'  tuoi  panni,  ch'io  sento 
quello  che  passa  nel  tuo  cuore.  Ma  pazienza!  É  una 
magra  parola,  una  parola  amara,  per  chi  non  crede  ;  ma 

tu !  non  vorrai  tu  concedere  a  Dio  un   giorno,  due 

giorni,  il  tempo  che  vorrà  prendere,  per  far  trionfare 
la  giustizia?  Il  tempo  è  suo;  e  ce  n'ha  promesso  tanto I 
Lascia  fare  a  Lui,  Renzo;  e  sappi....  sappiate  tutti  eh'  io 
ho  già  in  mano  un  filo,  per  aiutarvi.  Per  ora  non  posso 


CAPITOLO  VII.  113 

dirvi  di  più.  Domani  io  non  verrò  quassù;  devo  stare 
al  convento  lutto  il  giorno,  per  voi.  Tu,  Renzo,  procura 
di  venirci:  o  se,  per  caso  impensato,  tu  non  potessi, 
mandale  un  uomo  fidato,  un  garzoncello  di  giudizio,  per 
mezzo  del  quale  io  possa  farvi  sapere  quello  che  occor- 
rerà. Si  fa  buio;  bisogna  ch'io  corra  al  convento.  Fede, 
coraggio  ;  e  addio.  » 

Detto  tjuesto,  usci  in  fretta,  e  se  n'andò,  correndo,  e 
quasi  saltelloni,  giù  per  quella  viottola  storta  e  sassosa, 
per  non  arrivar  tardi  al  convento,  a  rischio  di  buscarsi 
una  buona  sgridata,  o  quel  che  gli  sarebbe  pesato  ancor 
più,  una  penitenza,  che  gì' impedisse,  il  giorno  dopo,  di 
trovarsi  pronto  e  spedito  a  ciò  che  potesse  richieder  il 
bisogno  de'  suoi  protetti. 

«  Avete  sentito  cos'ha  detto  d'un  non  so  che.... 
d'un  fdo  che  ha,  per  aiutarci?  »  disse  Lucia.  «  Con- 
vien  fidarsi  a  lui;  è  un  uomo  che,  quando  promette 
dieci » 

«  Se  non  e' è  altro ....!»  interruppe  Agnese.  «  Avrebbe 
dovuto  parlar  più  chiaro,  o  chiamar  me  da  una  parte, 
e  dirmi  cosa  sia  (|uesto  ....  » 

«  Chiacchiere!  la  finirò  io  :  io  la  finirò!  »  interruppe 
Renzo,  questa  volta,  andando  in  su  e  in  giù  per  la  stanza, 
e  con  una  voce,  con  un  viso  da  non  lasciar  dubbio  sul 
senso  di  quelle  parole. 

«  Oh  Renzo  !  »   esclamò  Lucia. 

«  Cosa  volete  dire?  »  esclamò  Agnese. 

«  Che  bisogno  c'è  di  dire?  La  finirò  io.  Abbia  pur 
cento,  mille  diavoli  nell'anima,  finalmente  è  di  carne  e 
ossa  anche  lui ....  » 

«  No,  no,  per  amor  del  cielo !  »   cominciò  Lucia; 

ma  il  pianto  le  troncò  la  voce. 

«  Non  son  discorsi  da  farsi,  neppur  per  buri  a,  »  disse 
Agnese. 

«  Per  burla?  »  gridò  Renzo,  fermandosi  ritto  in  faccia 
ad  Agnese  seduta,  e  piantandole  in  faccia  due  occhi  stra- 
lunati. «  Per  burla!  vedrete  se  sarà  liurla.  » 


114  I   PROMESSI   SPOSI 

e  Oh  Renzo  I  »  disse  Lucia,  a  slento,  tra  i  singhiozzi  : 
«  non  v'ho  mai  visto  cosi.  » 

«  Non  dite  queste  cose,  per  amor  del  cielo,  »  riprese 
ancora  in  fretta  Agnese,  abbassando  la  voce.  «  Non  vi 
ricordate  quante  braccia  ha  al  suo  comando  colui?  E 
quand'anche Dio  hberi  I contro  i  poveri  c'è  sem- 
pre giustizia.  » 

t  La  farò  io,  la  giustizia,  iol  É  ormai  tempo.  La 
cosa  non  è  facile:  lo  so  anch'io.  Si  guarda  bene,  il  cane 
assassino:  sa  come  sta;  ma  non  importa.  Risoluzione  e 
pazienza e  il  momento  arriva.  Sì,  la  farò  io,  la  giu- 
stizia: lo  libererò  io,  il  paese:  quanta  gente  mi  bene- 
dirà   !  e  poi  in  tre  salti ....  I  » 

L'orrore  che  Lucia  sentì  di  queste  più  chiare  parole, 
le  sospese  il  pianto,  e  le  diede  forza  di  parlare.  Levando 
dalle  palme  il  viso  lagrimoso ,  disse  a  Renzo ,  con  voce 
accorata,  ma  risoluta:  «non  v'importa  più  dunque  d'a- 
vermi per  moglie.  Io  m'era  promessa  a  un  giovine  che 
aveva  il  timor  di  Dio  ;  ma  un  uomo  che  avesse .... 
Fosse  al  sicuro  d'ogni  giustizia  e  d'ogni  vendetta,  fos- 
s' anche  il  figlio  del  re ... .  » 

«  E  bene!  »  gridò  Renzo,  con  un  viso  più  che  mai 
stravolto:  «  io  non  v'  avrò;  ma  non  v'avrà  nò  anche  lui. 
Io  qui  senza  di  voi,  e  lui  a  casa  del » 

«  Ah  noi  per  carità,  non  dite  così,  non  fate  quegli 
occhi:  no,  non  posso  vedervi  così,  »  esclamò  Lucia,  pian- 
gendo, supplicando,  con  le  mani  giunte;  mentre  Agnese 
chiamava  e  richiamava  il  giovine  per  nome,  e  gli  pal- 
pava le  spalle,  le  braccia,  le  mani  per  acquietarlo.  Stette 
egli  immobile  e  pensieroso,  qualche  tempo,  a  contemplar 
quella  faccia  supplichevole  di  Lucia;  poi,  tutt'a  un  tratto, 
la  guardò  torvo,  diede  addietro,  tese  il  braccio  e  l'in- 
dice verso  di  essa,  e  gridò:  «  questa!  sì  questa  egli 
vuole.  Ha  da  morirei  » 

«  E  io  che  male  v'ho  fatto,  perchè  mi  facciate  mo- 
rire? "   disse  Lucia,  buttandosegli  inginocchioni  davanti. 

«  Voi!  »  rispose,  con  una  voce  ch'esprimeva  un'ira 


CAPITOLO  VII.  115 

ben  diversa,  ma  un'ira  tuttavia:  «  voi!  Glie  bene  mi  vo- 
lete voi'?  Glie  prova  m'avete  data?  Non  v'iio  io  pregala, 
e  pregata,  e  pregata?  E  voi:  no!  no!» 

«  Sì,  sì,  »  rispose  precipilosamenle  Lucia:  «  verrò 
dal  curato,  domani,  ora,  se  volete  ;  verrò.  Tornate  quello 
di  prima;  verrò.  » 

«  Me  lo  promettete?  »  disse  Renzo,  con  una  voce  e 
con  un  viso  divenuto,  tuli' a  un  tratto,  più  umano. 

<i  Ve  lo  prometto.  » 

«  Me  l'avete  promesso.  » 

«  Signore,  vi  ringrazio!  »  esclamò  Agnese,  doppia- 
mente contenta. 

In  mezzo  a  quella  sua  gran  collera,  aveva  Renzo  pen- 
sato di  che  prolìtio  poteva  esser  per  lui  lo  spavento  di 
Lucia?  E  non  aveva  adoperato  un  po'  d'artifizio  a  farlo 
crescere,  per  farlo  fruttare?  Il  nostro  autore  protesta  di 
non  ne  saper  nulla;  e  io  credo  che  nemmen  Renzo  non 
lo  sapesse  bene.  Il  fatto  sta  ch'era  realmente  infuriato 
contro  don  Rodrigo,  e  che  bramava  adentemente  il  con- 
senso di  Lucia;  e  quando  due  forti  passioni  schiamaz- 
zano insieme  nel  cuor  d'un  uomo,  nessuno,  neppure 
il  paziente,  può  sempre  distinguer  chiaramente  una  voce 
dall'altra,  e  dir  con  sicurezza  ([ual  sia  quella  che  pre- 
domini. 

1  Ve  riio  promesso,  »  rispose  Lucia,  con  un  tono  di 
rimprovero  timido  e  alTettuoso:  «  ma  anche  voi  ave- 
vate promesso  di  non  fare  scandoli,  di  rimcttervene  al 
padre » 

«  Oh  via!  per  amor  di  chi  vado  in  furia?  Volete  tor- 
nare indietro,  ora?  e  farmi  fare  uno  sproposito?  » 

«  No  no,  »  disse  Lucia,  cominciando  a  rispaventarsi. 
«  Ho  promesso,  e  non  mi  ritiro.  Ma  vedete  voi  come  mi 
avete  fatto  promettere.  Dio  non  voglia  ....  » 

«  P(M'cliè  volete  far  de' cattivi  auguri,  Lucia?  Dio  sa 
cTie  non  facciam  male  a  nessuno.  » 

<t  PrometUitemi  almeno  che  questa  sarà  l'ultima.» 

«  Ve  lo  prometlo,  da  povero  figliuolo.  » 


116  I  PROMESSI  SPOSI 

«  Ma,  questa  volta,  mantenete  poi,  »   disse  Agnese. 

Qui  l'autore  confessa  di  non  sapere  un'altra  cosa:  se 
Lucia  fosse,  in  tutto  e  per  tutto,  malcontenta  d'essere 
stata  spinta  ad  acconsentire.  Noi  lasciamo,  come  lui.  la 
cosa  in  dubbio. 

Renzo  avrebbe  voluto  prolungare  il  discorso,  e  fissare, 
a  parte,  a  parte  quello  clie  si  doveva  fare  il  giorno  dopo; 
ma  era  già  notte,  e  le  donne  glieFaugurarono  buona  non 
parendo  loro  cosa  conveniente  che,  a  quell'ora,  si  trat- 
tenesse pii^i  a  lungo. 

La  notte  però  fu  a  tult'e  tre  così  buona,  come  può 
essere  quella  die  succede  a  un  giorno  pieno  d'  agitazioni 
e  di  guai,  e  che  ne  precede  uno  destinato  a  un'  impresa 
importante  e  d'esito  incerto.  Renzo  si  lasciò  veder  di 
buon'ora,  e  concertò  con  le  donne,  o  piuttosto  con  Agnese, 
la  grand' operazione  della  sera,  proponendo  e  sciogliendo 
a  vicenda  dilficoltà,  antivedendo  contrattempi ,  e  rico- 
minciando, ora  l'uno  ora  l'altra,  a  descriver  la  faccenda, 
come  si  racconterebbe  una  cosa  fatta.  Lucia  ascoltava; 
e,  senza  approvar  con  parole  ciò  che  non  poteva  ap- 
provare in  cuor  suo,  prometteva  di  far  meglio  che  sa- 
prebbe. 

«  Andrete  voi  giù  al  convento,  per  parlare  al  padre 
Cristoforo,  come  v'ha  detto  ier  sera?»  domandò  Agnese 
a  Renzo. 

«  Le  zucche!  k  rispose  questo:  «  sapete  che  diavoli 
d'occhi  ha  il  padre:  mi  leggerebbe  in  viso,  come  sur 
un  libro,  che  e'  è  qualcosa  per  aria  ;  e  se  cominciasse  a 
farmi  dell'interrogazioni,  non  potrei  uscirne  a  bene.  E 
poi,  io  devo  star  qui,  per  accudire  all' affare.  Sarà  me- 
glio che  mandiate  voi  qualcheduno.  » 

«  Manderò  Menico.  » 

«  Va  bene,  »  rispose  Renzo;  e  partì,  per  accudire  al- 
l'affare, come  aveva  detto. 

Agnese  andò  a  una  casa  vicina,  a  cercar  Menico,  ch'era 
un  ragazzetto  di  circa  dodici  anni,  sveglio  la  sua  parte, 
e  che,  per  via  di  cugini  e  di  cognati,  veniva  a  essere 


CAPITOLO  VII.  117 

un  po'  suo  nipote.  Lo  chiese  ai  parenti,  come  in  pre- 
stito, per  tutto  quel  giorno,  «  per  un  certo  servizio,  » 
diceva.  Avutolo,  lo  condusse  nella  sua  cucina,  gii  diede 
da  colazione,  e  gli  disse  che  andasse  a  Pescarenico,  e 
si  facesse  vedere  al  padre  Cristoforo,  il  quale  lo  riman- 
derebbe poi,  con  una  risposta,  quando  sarebbe  tempo, 
«  Il  padre  Cristoforo,  quel  bel  vecchio,  tu  sai,  con  la 
barba  bianca,  quello  che  chiamano  il  santo » 

«  Ho  capito,  »  disse  Menico:  a  quello  che  ci  accarezza 
sempre,  noi  altri  ragazzi,  e  ci  dà,  ogni  tanto,  qualche 
santino.  » 

'  «  Appunto,  Menico.  E  se  ti  dirà  che  tu  aspelli  qual- 
che poco,  h  vicino  al  convento,  non  ti  s\iare:  bada  di 
non  andar,  con  de'  compagni,  al  lago,  a  veder  pescare, 
nò  a  divertirti  con  le  reti  attaccate  al  muro  ad  asciu- 
gare, nò  a  far  quell'altro  tuo  giochetto  solito » 

Bisogna  saper  che  Menico  era  bravissimo  per  fare  a 
rimbalzello;  e  si  sa  che  tutti,  grandi  e  piccoli,  facciam 
volentieri  le  cose  alle  quali  abbiamo  abilità;  non  dico 
quelle  sole. 

«  Poh!  zia;  non  sono  poi  un  ragazzo.  » 

«  Bene,  abbi  giudizio;  e,  quando  tornerai  con  la  ri- 
sposta  guarda;  queste  due  belle  parpagliole  nuove 

son  per  te.  » 

«  Datemele  ora,  eh'  è  lo  stesso.  » 

«  No,  no,  tu  le  giocheresti.  Va,  e  portati  bene;  che 
n'avrai  anche  di  più.  » 

«  Nel  rimanente  di  quella  lunga  mattinata,  si  videro 
certe  novità  che  misero  non  poco  in  sospetto  l'animo 
già  conturbato  delle  donne.  Un  mendico,  nò  rifiiiilo  nò 
cencioso  come  i  suoi  pari,  e  con  un  non  so  che  d'oscuro 
e  di  sinistro  nel  sembiante,  entrò  a  chieder  la  carità, 
dando  in  qua  e  in  là  cert' occhiate  da  spione.  Gli  fu 
dato  un  pezzo  di  pane,  che  ricevette  e  ripose,  con 
un' indifferenza  mal  dissimulata.  Si  trattenne  poi,  con 
una  certa  sfacciataggine,  e,  nello  stesso  tempo,  con 
esitazione,   facendo  molte  domande,  alle  quali  Agnese 


118  I  PROMESSI  SPOSI 

s'affretlò  di  risponder  sempre  il  contrnrio  di  quello  che 
era.  Movendosi,  come  per  andar  via,  Unse  di  sbagliar 
l'uscio,  entrò  in  quello  che  metteva  alla  scala,  e  lì 
diede  un'altra  occhiata  in  fretta,  come  potò.  Gridatogli 
dietro:  «  ehi  ehi!  dove  andate,  galantuomo?  di  qua! 
di  qua!  »  tornò  indietro,  e  usci  dalla  parlo  clie  gli  veniva 
indicata,  scusandosi,  con  una  sommissione,  con  un'u- 
miltà affettata,  che  stentava  a  collocarsi  nei  lineamenti 
duri  di  quella  faccia.  Dopo  costui,  continuarono  a  farsi 
vedere,  di  tempo  in  tempo,  altre  slrane  ligure.  Che 
razza  d'uomini  fossero,  non  si  sarebbe  potuto  dir  fa- 
cilmente; ma  non  si  poteva  creder  neppure  che  fossero 
quegli  onesti  viandanti  che-  volevan  parere.  Uno  entrava 
col  pretesto  di  farsi  insegnar  la  strada  ;  altri,  passando 
davanti  air  uscio,  rallentavano  il  passo,  e  guardavan  sot- 
tocchio nella  stanza,  a  traverso  il  cortile,  come  chi 
vuol  vedere  senza  dar  sospetto.  Finalmente  ,  verso  il 
mezzogiorno,  quella  fastidiosa  processione  finì.  Agnese 
s'alzava  ogni  tanto,  attraversava  il  cortile,  s'affacciava 
all'  uscio  di  strada,  guardava  a  destra  e  a  sininistra  ,  e 
tornava  dicendo:  «  nessuno:  »  parola  che  proferiva  con 
piacere,  e  che  Lucia  con  piacere  sentiva,  senza  che  né 
1' una  né  l'altra  ne  sapessero  ben  chiaramente  il  per- 
chè. Ma  ne  rimase  a  tutt'e  due  una  non  so  quale  in- 
quietudine, che  levò  loro,  e  alla  tlgliuola  principalmente, 
una  gran  parte  del  coraggio  che  avevaii  messo  in  serbo 
per  la  sera. 

Convien  però  che  il  lettore  sappia  qualcosa  di  più 
preciso,  intorno  a  que'  ronzatori  misteriosi  :  e,  per  infor- 
marlo di  tutto,  dobbiam  tornare  un  passo  indietro,  e 
ritrovar  don  Rodrigo,  che  abbiam  lascialo  ieri,  solo  in 
una  sala  del  suo  palazzotto,  al  partir  del  padre  Cristoforo. 

Don  Rodrigo,  come  abbiam  detto,  misurava  innanzi 
e  indietro,  a  passi  lunghi,  quella  sala,  dalle  pareti  della 
quale  pendevano  ritratti  di  famiglia,  di  varie  generazioni. 
Quando  si  trovava  col  viso  a  una  parete,  e  voltava,  si 
vedeva  in  faccia  un  suo  antenato  guerriero,  terrore  dei 


CAPITOLO  VII,  119 

nemici  e  de'  suoi  solcìali,  torvo  nella  guardatura,  co'  ca- 
pelli corti  e  ritti,  co'  bafiì  tirali  e  a  punta,  che  sporge- 
van  dalle  guance,  col  mento  obliquo:  ritto  in  piedi  l'eroe, 
con  le  gambiere,  co'  cosciali,  con  la  corazza,  co'  bracciali, 
co' guanti,  tutto  di  ferro;  con  la  destra  sul  fianco,  e  la 
sinistra  sul  pomo  della  spada.  Don  Rodrigo  lo  guardava; 
e  quando  gli  era  arrivato  sotto,  e  voltava,  ecco  in  faccia 
un  altro  antenato,  magistrato,  terrore  de' litiganti  e  degli 
avvocati,  a  sedere  sur  una  gran  seggiola  coperta  di  vel- 
luto rosso,  ravvolto  in  un'ampia  toga  nera;  tutto  nero, 
fuorché  un  collare  bianco,  con  due  larghe  facciole,  e  una 
fodera  di  zibellino  arrovesciata  (era  il  distintivo  de'  se- 
natori, e  non  lo  portavan  che  l' inverno,  ragion  per  cui 
non  si  troverà  mai  un  ritratto  di  senatore  vestito  d'esta- 
te); macilento,  con  le  ciglia  aggrottate:  teneva  in  mano 
una  supplica,  e  pareva  che  dicesse:  vedremo.  Di  qua  una 
matrona,  terrore  delle  sue  cameriere;  di  là  un  abate, 
terrore  de' suoi  monaci:  tutta  gente  in  somma  che  aveva 
fatto  terrore,  e  lo  spirava  ancora  dalle  tele.  Alla  presenza 
di  tali  memorie,  don  Rodrigo  tanto  più  s'arrovellava,  si 
vergognava,  non  poteva  darsi  pace,  che  un  frate  av(!sse 
osato  venirgli  addosso,  con  la  prosopopea  di  Nathan.  For- 
mava un  disegno  di  vendetta,  l'abbandonava,  pensava 
come  soddisfare  insieme  alla  passione,  e  a  ciò  che  chia- 
mava onore;  e  talvolta  (vedete  un  poco!)  sentendosi  fi- 
schiare ancora  agli  orecchi  quell'esordio  di  profezia,  si 
sentiva  venir,  come  si  dice,  i  bordoni,  e  stava  quasi  per 
deporre  il  pensiero  delle  due  soddisfazioni.  Finalnunite, 
per  far  qualche  cosa,  chiamò  un  servitone  e  gli  oi'dinù 
che  lo  scusasse  con  la  compagnia,  dicendo  ch'era  trat- 
tenuto da  un  affare  urgente.  Quando  ([uello  tornò  a  rife- 
rire che  quo'  signori  eran  partiti,  lasciando  i  loro  rispetti: 
«  e  il  conte  Attilio?  »  domandò,  sempre  cauuuiiiando, 
don  Rodrigo. 

e  È  uscito  con  que'  signori,  illustrissimo.  » 
«  Bene:   sei  persone  di  seguito,  per  la  passeggiata: 
subito.  La  spada,  la  cappa,  il  cappello:  subito.  » 


120  I  PROMESSI  SPOSI 

Il  servitore  parli,  rispondendo  con  un  inchino  ;  e  poco 
dopo,  tornò,  portando  la  ricca  spada,  che  il  padrone  si 
cinse;  la  cappa,  che  si  buttò  sulle  spalle;  il  cappello  a 
gran  penne,  che  mise  e  inchiodò,  con  una  manata,  fie- 
ramente sul  capo:  segno  di  marina  torbida.  Si  mosse, 
e,  alla  porta,  trovò  i  sei  ribaldi  tutti  armati,  i  quali,  fatto 
ala,  e  inchinatolo,  gli  andaron  dietro.  Più  burbero,  più 
superbioso,  più  acciglialo  del  solito,  uscì  e  andò  passeg- 
giando verso  Lecco.  I  contadini,  gli  artigiani,  al  vederlo 
venire,  si  riliravan  rasente  al  muro,  e  di  lì  facevano  scap- 
pellate e  inchini  profondi,  ai  quali  non  rispondeva.  Come 
inferiori,  l'inchinavano  anche  quelli  che  da  questi  eran 
detti  signori  ;  che,  in  que'  contorni ,  non  ce  n'  era  uno 
che  potesse,  a  mille  miglia,  competer  con  lui,  di  nome, 
di  ricchezze,  d'aderenze  e  della  voglia  di  servirsi  di  tutto 
ciò,  per  istare  al  di  sopra  degli  altri.  E  a  questi  corri- 
spondeva con  una  degnazione  contegnosa.  Quel  giorno 
non  avvenne,  ma  quando  avveniva  che  s'incontrasse  col 
signor  castellano  spagnolo,  l'inchino  allora  era  ugual- 
mente profondo  dalle  due  parli;  la  cosa  era  come  tra 
due  potentati,  i  quali  non  abbiano  nulla  da  spartire  tra 
loro;  ma  per  convenienza,  fanno  onore  al  grado  l'uno 
dell'altro.  Per  passare  un  poco  la  mattana,  e  per  contrap- 
porre all'immagine  del  frate  che  gli  assediava  la  fantasia, 
immagini  in  tutto  diverse,  don  Rodrigo  entrò  quel  giorno, 
in  una  casa,  dove  andava,  per  il  solito,  molta  gente,  e 
dove  fu  ricevuto  con  quella  cordialità  alTaccendata  e  ri- 
spettosa, eh' è  riserbata  agli  uomini  che  si  fanno  molto 
amare  o  molto  temere;  e,  a  notte  già  fatta,  tornò  al  suo 
palazzotto.  Il  conte  Attilio  era  anche  lui  tornalo  in  quel 
momento;  e  fu  messa  in  tavola  la  cena,  durante  la  quale, 
don  Rodrigo  fu  sempre  sopra  pensiero,  e  parlò  poco. 

«  Cugino,  quando  pagate  questa  scommessa?  »  disse, 
con  un  fare  di  malizia  e  di  scherno,  il  conte  Attilio,  ap- 
pena sparecchialo,  e  andati  via  i  servitori. 

«  San  Martino  non  è  ancor  passato.  » 

«  Tant'è  che  la  paghiate  subito;  'perchè  passeranno 
tutti  i  santi  del  lunario,  prima  che. ...» 


CAPITOLO  VII.  i2l 

«  Questo  è  quel  che  si  vedrà.  » 

«  Cugino,  voi  volete  fare  il  politico;  ma  io  ho  capito 
tutto,  e  son  tanto  certo  d'aver  vinta  la  scommessa,  che 
son  pronto  a  farne  un'altra.  » 

«  Sentiamo.  » 

«  Che  il  padre il  padre che  so  io  ?  quel  frate 

in  somma  v'  ha  convertito.  » 

«Eccone  un'altra  delle  vostre.  » 

«Convertito,  cugino;  convertito,  vi  dico.  Io  per  me, 
ne  godo.  Sapete  che  sarà  un  hello  spettacolo  vedervi 
tutto  compunto,  e  con  gii  occhi  bassi!  E  che  gloria  per 
quel  padre!  Come  sarà  tornato  a  casa  gonfio  e  pettoruto! 
Non  son  pesci  che  si  piglino  tutti  i  giorni,  né  con  tutte 
le  reti.  Siate  certo  che  vi  porterà  per  esempio;  e,  quando 
anderà  a  far  qualche  missione  un  po'  lontano,  parlerà 
de' fatti  vostri.  Mi  par  di  sentirlo.  »  E  qui,  parlando  col 
naso,  e  accompagnando  le  parole  con  gesti  caricati,  con- 
tinuò, in  tono  di  predica:  «  in  una  parte  di  questo  mondo, 
che  per  degni  rispetti  non  nomino,  viveva,  uditori  caris- 
simi, e  vive  tuttavia,  un  cavaliere  scapestrato,  amico  più 
delle  femmine  che  degli  uomini  dabbene,  il  quale,  av- 
vezzo a  far  d'ogni  erba  un  fascio,  aveva  messo  gli  oc- 
chi   » 

«  Basta,  basta,  »  interruppe  don  Rodrigo,  mezzo  sog- 
ghignando, e  mezzo  annoiato.  «  Se  volete  raddoppiar  la 
scommessa,  son  pronto  anch'io.  » 

«Diavolo!  che  aveste  voi  convertito  il  padre!» 

«Non  mi  parlate  di  colui:  e  in  ((uanto  alla  scom- 
messa, san  Martino  deciderà.  »  La  curiosità  ckH  conte 
era  stuzzicata;  nou  gli  risparmiò  interrogazioni,  ma  don 
Rodrigo  le  seppe  eluder  tutte,  rimettendosi  sempre  al 
giorno  della  decisione,  e  non  volendo  comunicare  alla 
parte  avversa  disegni  che  non  erano  ne  incamminati,  nò 
assolutamente  fissati. 

La  mattina  seguent(?,  don  Rodrigo  si  destò  don  Ro- 
drigo. L'apprensione  che  quel  verrà  un  ijlorìio  gli  aveva 
messa  in  corpo,  era  svanita  del  tutto  co' sogni  della  notte 

VOL.  r.  6 


iti  l   PROMESSI  SPOSI 

e  gli  rimaneva  la  rabbia  sola,  esacerbala  ancbc  dalla  ver- 
gogna (li  quella  debolezza  passeggiera.  L'immagini  più 
recenli  della  passeggiata  trionfale,  degl'incliini,  dell'ac- 
coglienze, e  il  canzonare  del  cugino,  avevano  contribuito 
non  poco  a  rendergli  l'animo  antico.  Appena  alzato,  fece 
cbiamare  il  Griso.  —  Cose  grosse,  —  disse  tra  se  il  ser- 
vitore a  cui  fu  dato  l'ordine;  perchè  l'uomo  che  aveva 
quel  soprannome,  non  era  niente  meno  che  il  capo  de' 
bravi,  quello  a  cui  s' imponevano  le  imprese  più  riscliiose 
e  più  inique,  il  fidatissimo  del  padrone,  l'uomo  tutto  suo, 
per  gratitudine  e  per  interesse.  Dopo  aver  ammazzato 
uno,  di  giorno,  in  piazza,  era  andato  ad  implorar  la 
protezione  di  don  Rodrigo;  e  questo,  vestendolo  della 
sua  livrea,  l'aveva  messo  al  coperto  da  ogni  ricerca  della 
giustizia.  Così,  impegnandosi  a  ogni  delitto  che  gli  ve- 
nisse comandato,  colui  si  era  assicurata  l'impunità  del 
primo.  Per  don  Rodrigo,  l'acquisto  non  era  stato  di  poca 
importanza;  perchè  il  Griso,  oltre  all'essere,  senza  pa- 
ragone, il  più  valente  della  famiglia,  era  anche  una  prova 
di  ciò  che  il  suo  padrone  aveva  potuto  attentar  felice- 
mente contro  le  leggi;  di  modo  che  la  sua  potenza  ne 
veniva  ingrandita,  nel  fatto  e  nell'opinione. 

«  Griso!  »  disse  don  Rodrigo:  «  in  questa  congiuntura, 
si  vedrà  quel  che  tu  vali.  Prima  di  domani  quella  Lu- 
cia deve  trovarsi  in  questo  palazzo.  » 

«  Non  si  dirà  mai  che  il  Griso  si  sia  ritirato  da  un 
comando  dell'  illustrissimo  signor  padrone.  » 

«  Piglia  quanti  uomini  ti  possono  bisognare,  ordina , 
e  disponi,  come  ti  par  meglio;  purché  la  cosa  riesca  a 
buon  fine.  Ma  bada  sopra  tutto,  che  non  le  sia  fatto 
male.  » 

«  Signore,  un  po'  di  spavento,  perchè  la  non  faccia 
troppo  strepito non  si  potrà  far  di  meno.  » 

«  Spavento capisco ....  è  inevitabile.  Ma  non  le 

si  forca  un  capello;  e  sopra  tutto  le  si  porti  rispetto  in 
ogni  maniera.  Hai  inteso?» 

«  Signore,  non  si  può  levare  un  flore  dalla  pianta^  e 


CAPITOLO   VII.  123 

portarlo  a  vossignoria,  senza  toccarlo.  Ma  non  si  farà 
che  il  puro  necessario.  » 

«»Solto  la  tua  sicurtà.  E come  farai?» 

«Ci  stavo  pensando,  signore.  Siam  fortunati  che  la 
casa  è  in  fondo  al  paese.  Abhiam  bisogno  d'un  luogo 
per  andarci  a  postare:  e  appunto  c'è,  poco  distante  di 
là,  quel  casolare  disabitato  e  solo,  in  mezzo  ai  campi, 
quella  casa ....  vossignoria  non  sai)rà  niente  di  queste 

cose una  casa  che  bruciò  pochi  anni  sono,   e  non 

hanno  avuto  danari  da  riattarla,  e  l'hanno  abbandonala, 
e  ora  ci  vanno  le  streghe:  ma  non  è  sabato,  e  me  ne 
rido.  Questi  villani,  che  son  pieni  d'ubbie,  non  ci  bazzi- 
cherebbero,  in  nessuna  notte  della  settimana,  per  tutto 
l'oro  del  mondo:  sicché  possiamo  andare  a  fermarci  là, 
con  sicurezza  che  nessuno  verrà  a  guastare  i  fatti  nostri.  » 

«  Va  bene  !  e  poi  ?  » 

Qui  il  Griso  a  proporre,  don  Rodrigo  a  discutere,  fm- 
chè  d'accordo  ebbero  concertala  la  maniera  di  condurre 
a  fine  l'impresa,  senza  che  rimanesse  traccia  degli  au- 
tori, la  maniera  anche  di  rivolgere,  con  falsi  indizi,  i 
sospetti  altrove,  d'impor  silenzio  alla  povera  Agnese, 
d'incutere  a  Renzo  tale  spavento,  da  fargli  passare  il 
dolore,  e  il  pensiero  di  ricorrere  alla  giustizia,  e  anche 
la  volontà  di  lagnarsi;  e  tutte  l'altre  bricconerie  neces- 
sarie alla  riuscita  della  bricconeria  principale.  Noi  tra- 
lasciamo di  riferir  que'  concerti ,  perchè  come  il  lettore 
vedrà,  non  son  necessari  air  intelligenza  della  storia;  e 
Siam  contenti  anche  noi  di  non  doverlo  trattener  più 
lungamente  a  sentir  parlamentare  (pie'  due  fastidiosi  ri- 
baldi. Basta  che,  mentre  il  Griso  se  n'andava,  per  met- 
ter mano  all'esecuzione,  don  Rodrigo  lo  richiamò,  e  gii 
disse:  «  sciiti:  se  per  caso,  quel  tanghero  temerario  vi 
dess(Mieir  unghie  (piesta  sera,  non  sarà  male  che  gli  sia 
dato  anticipatamente  un  buon  l'icoi'do  sulle  spall(\  Così, 
l'ordine  che  gli  verrà  intimato  domani  di  stare  zitto, 
farà  più  sicuramente  TelTetto.  Ma  non  Tandate  a  cercare, 
per  non  guastare  quello  che  più  imporla:  tu  m'hai  inteso.» 


Ì2Ì  I   PROMESSI   SPOSI 

«  Lasci  fare  a  me,  »  rispose  il  Griso,  inrliinandosi.  ron 
un  allo  d'ossequio  e  di  millanteria;  e  se  n'andò.  La  mat- 
tina fu  spesa  in  giri,  per  riconoscere  il  paese.  Quel  falso 
pezzente  che  s'era  inoltralo  a  quel  modo  nella  povera 
casetta,  non  era  altro  che  il  Griso,  il  quale  veniva  per 
levarne  a  occhio  la  pianta:  i  falsi  viandanti  eran  suoi 
ribaldi,  ai  quali  per  operare  sotto  i  suoi  ordini,  bastava 
una  cognizione  più  superficiale  del  luogo.  E,  fatta  la  sco- 
perta, non  s'eran  più  lasciati  vedere,  per  non  dar  troppo 
sospetto. 

Tornati  che  furon  tutti  al  palazzotto,  il  Griso  rese  conto, 
e  fissò  definitivamente  il  disegno  dell'impresa;  assegnò 
le  parti,  diede  istruzioni.  Tutto  ciò  non  si  potè  fare  senza 
che  quel  vecchio  servitore,  il  quale  stava  a  occhi  aperti, 
e  a  orecchi  lesi,  s'accorgesse  che  qualche  gran  cosa  si 
macchinava.  A  forza  di  stare  attento  e  di  domandare; 
accattando  una  mezza  notizia  di  qua,  una  mezza  di  là, 
commentando  tra  sé  una  parola  oscura,  interpretando  un 
andare  misterioso,  tanto  fece,  che  venne  in  chiaro  di  ciò 
che  si  doveva  eseguir  quella  notte.  Ma  quando  ci  fu  riu- 
scito, essa  era  già  poco  lontana,  e  già  una  piccola  van- 
guardia di  bravi  era  andata  a  imboscarsi  in  (juel  casolare 
diroccato.  Il  povero  vecchio,  quantunque  sentisse  bene  a 
che  rischioso  giuoco  giocava,  e  avesse  anche  paura  di 
portare  il  soccorso  di  Pisa,  pure  non  volle  mancare  :  use/, 
con  la  scusa  di  prendere  un  po' d'aria,  e  s'incamminò 
in  fretta  in  fretta  al  convento,  per  dare  al  padre  Cristo- 
foro l'avviso  promesso.  Poco  dopo,  si  mossero  gli  altri 
bravi,  e  discesero  spicciolati,  per  non  parere  una  com- 
pagnia: il  Griso  venne  dopo;  e  non  rimase  indietro  che 
una  bussola,  la  quale  doveva  esser  portata  al  casolare, 
a  sera  inoltrata;  come  fu  fatto.  Radunati  che  furono  in 
quel  luogo,  il  Griso  spedi  tre  di  coloro  all'osteria  del 
paesetto:  uno  che  si  mettesse  sull'uscio,  a  osservar  ciò 
che  accadesse  nella  strada,  e  a  veder  quando  tutti  gli 
abitanti  fossero  ritirati:  gli  altri  due  che  stessero  den- 
tro a  giocare  e  a  bere,  come  dilettanti:   e  attendessero 


CAPITOLO  VII.  12o 

intanlo  a  spiare  se  qualche  cosa  da  spiare  ci  fosse.  Egli, 
col  grosso  della  truppa,  rimase  uell' agguato  ad  aspettare. 

Il  povero  vecchio  trottava  ancora,  i  tre  esploratori  ar- 
rivavano al  loro  posto;  il  sole  cadeva;  quando  Renzo 
entrò  dalle  donne,  e  disse:  «  Tonio  e  Gervaso  m'aspet- 
tan  fuori  :  vo  con  loro  all'osteria,  a  mangiare  un  boccone  ; 
e,  quando  sonerà  Fave  maria,  verremo  a  prendervi.  Su, 
coraggio.  Lucia  !  lutto  dipende  da  un  momento.  »  Lucia 
sospirò,  e  ripetè:  «coraggio,»  con  una  voce  che  smen- 
tiva la  parola. 

Quando  Renzo  e  i  due  compagni  giunsero  all'osteria, 
vi  trovaron  quel  tale  già  piantato  in  sentinella,  che  in- 
gombrava mezzo  il  vano  della  porta,  appoggiato  con  la 
schiena  a  uno  stipite,  con  le  braccia  incrociate  sul  petto; 
e  guardava  e  riguardava,  a  destra  e  a  sinistra,  facendo 
lampeggiare  ora  il  bianco,  ora  il  nero  di  due  occhi  gri- 
fagni. Un  berretto  piatto  di  velluto  chermisi,  messo  storto, 
gli  copriva  la  metà  del  ciuffo,  che,  dividendosi  sur  una 
fronte  fosca,  girava,  da  una  parte  e  dall'altra,  sotto  gli 
orecchi,  e  terminava  in  trecce,  fermate  con  un  pettine 
sulla  nuca.  Teneva  sospeso  in  una  mano  un  grosso  ran- 
dello; arme  propriamente  non  ne  portava  in  vista;  ma, 
solo  a  guardargli  in  viso,  anche  un  fanciullo  avreldie 
pensalo  che  doveva  averne  sotto  quanto  ce  ne  poteva 
stare.  Quando  Renzo,  ch'era  innanzi  agli  altri,  fu  li  per 
entrare,  colui  senza  scomodarsi,  lo  guardò  lìsso  fisso; 
ma  il  giovine,  intento  a  schivare  ogni  questione,  come 
suole  ognuno  che  abbia  un'impresa  scabrosa  alle  mani, 
non  fece  vista  iraccorgersene,  non  disse  neppure  :  fatevi 
in  là  ;  e,  rasentando  l'altro  stipite,  passò  per  isbieco,  col 
fianco  innanzi,  per  l'apertura  lasciala  da  quella  cariatide. 
I  due  compagni  dovettero  far  la  stessa  evoluzione,  se 
vollero  entrare.  Entrati,  videro  gli  altri,  de'  quali  avevan 
già  sentila  la  voce,  cioè  que' due  bravacci,  che  seduti  a 
un  canto  della  tavola,  giocavano  alla  mora,  gridando 
tutl'e  due  insieme  [ì\  è  il  giuoco  che  lo  richiede),  e 
mescendosi  or  l'uno  or  l'altro  da  bere,  con  un  graa 


126  I   PROMESSI  SPOS[ 

fiasco  ch'era  tra  loro.  Questi  pure  p^uardaron  fisso  la 
nuova  compagnia;  e  un  de' due  specialmente,  tenendo 
una  mano  in  aria,  con  tre  ditacci  tesi  e  allargati,  e 
avendo  la  bocca  ancora  aperta,  per  un  gran  «  sei  »  che 
n'era  scoppiato  fuori  in  quel  momento,  squadrò  Renzo 
da  capo  a  piedi;  poi  diede  d'occhio  al  compagno,  poi  a 
quel  dell'uscio,  che  rispose  con  un  cenno  del  capo.  Renzo 
insospettito  e  incerto  guardava  ai  suoi  due  convitati,  come 
se  volesse  cercare  ne'  loro  aspetti  un'interpretazione  di 
lutti  que' segni:  ma  i  loro  aspetti  non  indicavano  altro 
che  un  buon  appetito.  L'oste  guardava  in  viso  a  lui,  come 
per  aspellar  gli  ordini:  egli  lo  fece  venir  con  se  in  una 
stanza  vicina,  e  ordinò  da  cena. 

«  Chi  sono  que' forestieri?  »  gli  domandò  poi  a  voce 
bassa,  quando  quello  tornò,  con  una  tovaglia  grossolana 
sotto  il  braccio,  e  un  fiasco  in  mano. 

«  Non  li  conosco ,  »  rispose  l'  oste ,  spiegando  la  to- 
vaglia. 

«  Come?  nò  anche  uno?» 

«  Sapete  bene,»  rispose  ancora  colui,  stirando,  con 
luti' e  due  le  mani,  la  tovaglia  sulla  tavola,  «  che  la  prima 
regola  del  nostro  mestiere,  è  di  non  domandare  i  fatti 
degli  altri:  tanto  che,  fin  le  nostre  donne  non  son  cu- 
riose. Si  starebbe  freschi,  con  tanta  gente  che  va  e  viene: 
è  sempre  un  porto  di  mare:  quando  le  annate  son  ra- 
gionevoli, voglio  dire;  ma  stiamo  allegri,  che  tornerà  il 
buon  tempo.  A  noi  basta  che  gli  avventori  siano  galan- 
tuomini: chi  siano  poi,  o  chi  non  siano,  non  fa  niente. 
E  ora  vi  porterò  un  piatto  di  polpette,  che  le  simili  non 
le  avete  mai  mangiate.  » 

«  Come  potete  sapere ....?»  ripigliava  Renzo,  ma 
l'oste^  già  avviato  alla  cucina,  seguitò  la  sua  strada.  E 
lì,  mentre  prendeva  il  legame  delle  polpette  summento- 
vate,  gli  s'accostò  pian  piano  quel  bravaccio  che  aveva 
squadrato  il  nostro  giovine,  e  gli  disse  sottovoce:  «Chi 
sono  que'  galantuomini?  » 

«  Buona  gente  qui  del  paese,  »  rispose  l'oste,  scodel- 
lando le  polpette  nel  piatto. 


CAPITOLO  VII.  127 

«  Va  bene;  ma  come  si  chiamano'?  chi  sono?  »  insi- 
stette cohii,  con  voce  alquanto  sgarbata. 

«  Uno  si  chiama  Renzo,  »  rispose  l'oste,  pur  sottovoce: 
«  un  buon  giovine,  assestato;  filatore  di  seta,  che  sa  bene 
il  suo  mestiere.  L'altro  è  un  contadino  che  ha  nome 
Tonio  :  buon  camerata,  allegro  :  peccato  che  n'  abbia  po- 
chi; che  gh  spenderebbe  tutti  qui.  L'altro  è  un  sem- 
pliciotto, che  mangia  però  volentieri,  quando  gliene  danno. 
Con  permesso.  » 

E,  con  uno  sgambetto,  uscì  tra  il  fornello  e  T  inter- 
rogante; e  andò  a  portare  il  piatto  a  chi  si  doveva. 
«  Come  potete  sapere,  »  riattaccò  Renzo,  quando  lo  vide 
ricomparire,  «  che  siano  galantuomini,  se  non  li  cono- 
scete 1  B 

<  Le  azioni,  caro  mio:  l'uomo  si  conosce  all'azioni. 
Quelli  che  bevono  il  vino  senza  criticarlo,  che  pagano 
il  conto  senza  tirare,  che  non  metton  su  lite  con  gli 
altri  avventori,  e  se  hanno  una  coltellata  da  consegnare 
a  uno,  lo  vanno  ad  aspettar  fuori,  e  lontano  dall'  osteria, 
tanto  che  il  povero  oste  non  ne  vada  di  mezzo,  quelli 
sono  i  galantuomini.  Però,  se  si  può  conoscer  la  gente 
bene,  come  ci  conosciamo  tra  noi  quattro,  ò  meglio.  E 
che  diavolo  vi  vien  voglia  di  saper  tante  cose,  quando 
siete  sposo,  e  dovete  aver  tutt' altro  in  testa?  e  con  da- 
vanti quelle  polpette, che  farebbero  resuscitare  un  morto?» 
Cosi  dicendo,  se  ne  tornò  in  cucina. 

Il  nostro  autore,  osservando  al  diverso  modo  che  te- 
neva costui  nel  soddisfare  alle  domande,  dic^  eh'  era  un 
uomo  cosi  fatto,  che,  in  tutti  i  suoi  discorsi,  faceva  pro- 
fessióne d'esser  molto  amico  de' galantuomini  in  gene- 
rale; ma  in  atto  pratico,  usava  molto  maggior  compia- 
cenza con  quelli  che  avessero  riputazione  o  sembianza 
di  birboni.  Che  carattere  singolare!  eh? 

La  cena  non  fu  molto  allegra.  I  due  convitati  avreb- 
bero voluto  godersela  con  tutto  loro  comodo:  ma  l'in- 
vitante, preoccupato  di  ciò  che  il  lettore  sa,  e  infastidito, 
e  anche  un  po' inquieto  del  conleijno  strano  di  quejili 


128  1  pnoMESSi  SPOSI 

sconosciuti,  non  vedeva  l'ora  d'andarsene.  Si  parlava 
sottovoce,  per  causa  loro;  ed  eran  parole  tronche  e 
svogliate. 

«  Che  bella  cosa,  »  scappò  fuori  di  punto  in  bianco 
Gervaso,  «  che  Renzo  voglia  prender  moglie,  e  abbia  bi- 
sogno ...  !  »  Renzo  gli  fece  un  viso  brusco.  «  Vuoi  stare 
zitto,  bestia?»  gli  disse  Tonio,  accompagnando  il  titolo 
con  una  gomitata.  La  conversazione  fu  sempre  più  fredda, 
fino  alla  fine.  Renzo,  stando  indietro  nel  mangiare,  come 
nel  bere,  attese  a  mescere  ai  due  testimoni,  con  discre- 
zione, in  maniera  di  dar  loro  un  po'  di  brio,  senza  farli 
uscir  di  cervello.  Sparecchialo,  pagato  il  conto  da  colui 
che  aveva  fatto  men  guasto,  dovettero  tutti  e  tre  passar 
novamente  davanti  a  quelle  facce,  le  quali  tutte  si  vol- 
tarono a  Renzo,  come  quand'era  entrato.  Questo,  fatti 
ch'ebbe  pochi  passi  fuori  dell'osteria,  si  voltò  indietro, 
e  vide  che  i  due  che  aveva  lasciati  seduti  in  cucina,  lo 
seguitavano:  si  fermò  allora,  co' suoi  compagni,  come  se 
dicesse:  vediamo  cosa  voglion  da  me  costoro.  Ma  i  due, 
quando  s'accorsero  d'essere  osservati,  si  fermarono  an- 
ch'essi, si  parlaron  sottovoce,  e  tornarono  indietro.  Se 
Renzo  fosse  stato  tanto  vicino  da  sentir  le  loro  parole, 
gli  sarebbero  parse  molto  strane.  «  Sarebbe  però  un  beb 
1'  onore,  senza  contar  la  mancia,  »  diceva  uno  de'  malan- 
drini, CL  se  tornando  al  palazzo,  potessimo  raccontare  d'  a- 
vergli  spianate  le  costole  in  fretta  in  fretta,  e  così  da 
noi,  senza  che  il  signor  Griso  fosse  qui  a  regolare.  » 

<tE  guastare  il  negozio  principale!»  rispondeva  Tab 
tro.  «  Ecco:  s'  è  avvisato  di  qualche  cosa;  si  ferma  a  guar- 
darci. Ih!  se  fosse  più  lardi!  Torniamo  indietro,  per  non 
dar  sospetto.  Vedi  che  vien  gente  da  tutte  le  parli:  la- 
sciamoli andar  tutti  a  pollaio.  » 

C'era  infatti  quel  brulichìo,  quel  ronzìo  che  si  sente 
in  un  villaggio,  sulla  sera,  e  che,  dopo  pochi  momenti, 
dà  luogo  alla  quiete  solenne  della  notte.  Le  donne  ve- 
nivan  dal  campo,  portandosi  in  colio  i  bambini,  e  tenendo 
pej  la  mano  i  ragazzi  più  grandini,  ai  quali  facevan  dire 


CAPITOLO   VII.  129 

le  divozioni  della  sera;  venivan  gli  uomini,  con  le  vanghe, 
e  con  le  zappe  sulle  spalle.  All'aprirsi  degli  usci  si  ve- 
devan  luccicare  qua  e  là  i  fuochi  accesi  per  le  povere 
cene:  si  sentiva  nella  strada  barattare  i  saluti,  e  qualche 
parola,  sulla  scarsità  della  raccolta,  e  sulla  miseria  del- 
l'annata e  più  delle  parole,  si  sentivano  i  tocchi  misu- 
rali e  sonori  della  campana,  che  annunziava  il  finir  del 
giorno.  Quando  Renzo  vide  che  i  due  indiscreti  s'  eran 
ritirati,  continuò  la  sua  strada  nelle  tenebre  crescenti, 
dando  sottovoce  ora  un  ricordo,  ora  un  altro,  ora  all'  uno, 
ora  all'altro  fratello.  Arrivarono  alla  casetta  di  Lucia, 
eh'  era  già  notte. 

Tra  il  primo  pensiero  d' una  impresa  terribile,  e  l' e- 
secuzione  di  essa,  (ha  detto  un  barbaro  che  non  era 
privo  d'ingegno)  T intervallo  è  un  sogno,  pieno  di  fan- 
tasmi e  di  paure.  Lucia  era,  da  molte  ore  nell'angosce 
d'un  tal  sogno:  e  Agnese,  Agnese  medesima,  l'autrice 
del  consiglio,  slava  sopra  pensiero,  e  trovava  a  slento 
parole  per  rincorare  la  figlia.  Ma  al  momento  di  destarsi, 
al  momento,  cioè,  lU  dar  principio  ah' opera,  l'animo 
si  trova  tutto  trasformato.  Al  terrore  e  al  coraggio  che 
vi  contrastavano,  succede  un  altro  terrore  e  un  altro 
coraggio:  l'impresa  s'allaccia  alla  mente,  come  una  nuova 
apparizione:  ciò  che  prima  spaventava  di  più,  sembra 
talvolta  divenuto  agevole  luti' a  un  tratto:  talvolta  com- 
parisce grande  l'ostacolo  a  cui  s'era  appena  badalo:  l' im- 
maginazione dà  indietro  sgomentata;  le  membra  par  cbe 
ricusino  d'ubbidire;  e  il  cuore  manca  alle  promesse  ch(> 
aveva  falle  con  più  sicurezza.  Al  picchiare  sommesso  di 
Renzo,  Lucia  fu  assalita  da  tanto  terrore,  che  risolvette, 
in  qu(!l  momento,  di  solTrir(^  ogni  cosa,  di  star  sempre 
divisa  da  lui,  piuttosto  eli" eseguire  quella  risoluzione; 
ma  quando  si  fu  l'alto  vedere,  ed  ebbe  dello:  «  soii  (lui, 
andiamo;  »  quando  tulli  si  moslraron  pronti  ad  avviarsi, 
senza  esitazione,  come  a  cosa  stabilita,  irrevocabile;  Lucia 
non  ebbe  tempo  nr  forza  di  far  dilììcollà,  e.  come  slra- 
scinala,  prese  tremando  un  braccio  tlella  madre,  un  brac- 


i30  I   PROMESSI  SPOSI 

ciò  del  promesso  sposo,  e   si   mosse  con  la  brigala  av- 
venturiera. 

Zitti  zitti,  nelle  tenebre,  a  passo  misurato,  usciron 
dalla  casetta,  e  preser  la  strada  fuori  del  paese.  La  più 
corta  sarebbe  stata  d' attraversarlo  :  cbè  s'andava  diritto 
alla  casa  di  don  Abbondio  ;  ma  scelsero  quella,  per  non 
esser  visti.  Per  viottole,  tra  gli  orti  e  i  campi,  arrivaron 
vicino  a  quella  casa,  e  li  si  divisero.  I  due  promessi 
rimaser  nascosti  dietro  l'angolo  di  essa;  Agnese  con  loro, 
ma  un  po'  più  innanzi,  per  accorrere  in  tempo  a  fermar 
Perpetua,  e  a  impadronirsene;  Tonio,  con  lo  scempiato 
di  Gervaso,  che  non  sapeva  far  nulla  da  sé,  e  senza  il 
quale  non  si  poteva  far  nulla,  s'affacciaron  bravamente 
alla  porta,  e  picchiarono. 

«  Chi  è,  a  quest'ora?  »  gridò  una  voce  daUa  finestra, 
che  s'aprì  in  quel  momento:  era  la  voce  di  Perpetua. 
8  Ammalali  non  ce  n'è,  ch'io  sappia.  É  forse  a  caduta 
qualche  disgrazia?  » 

«  Son  io,  ■»  rispose  Tonio,  «  con  mio  fratello,  che  ab- 
biam  bisogno  di  parlare  al  signor  curato.» 

«  É  ora  da  cristiani  questa?  »  disse  bruscamente  Per- 
petua, a  Che  discrezione?  Tornate  domani.» 

«  Sentite:  tornerò  o  non  tornerò:  ho  riscosso  non  so 
che  danari,  e  venivo  a  saldar  quel  debituccio  che  sapete  : 
aveva  qui  venticinque  belle  berlinghe  nuove;  ma  se  non 
si  può,  pazienza  :  questi,  so  come  spenderli ,  e  tornerò 
quando  n'abbia  messi  insieme  degli  altri.  » 

«  Aspettate,  aspettate:  vo  e  torno.  Ma  perchè  venire 
a  quest'  ora  ?  » 

«  Gli  ho  ricevuti  anch'io,  poco  fa;  e  ho  pensato,  come 
vi  dico,  che,  se  li  tengo  a  dormir  con  me,  non  so  di 
che  parere  sarò  domattina.  Però,  se  l'ora  non  vi  piace, 
non  so  che  dire:  per  me,  son  qui;  e  se  non  mi  volete, 
me  ne  vo.  » 

«  No,  no,  aspettate  un  momento  :  torno  con  la  risposta.  » 

Così  dicendo,  richiuse   la  finestra.  A   questo  punto, 

Agnese  si  staccò  dai  promessi,  e,  detto  sottovoce  a  Lucia  : 


CAPITOLO   VII.  13i 

«  coraggio;  è  un  momento  ;  è  come  farsi  cavar  un  dente,  » 
si  riunì  ai  due  fratelli,  davanti  all'uscio;  e  si  mise  a 
ciarlare  con  Tonio  in  maniera  che  Perpetua,  venendo 
ad  aprire,  dovesse  credere  che  si  fosse  abbattuta  li  a 
casOj  e  che  Tonio  l' avesse  trattenuta  un  momento. 


CAPITOLO  VITI. 


Cameade!  Chi  era  costui?  —  ruminava  tra  sé  don 
Abbondio  seduto  sul  suo  seggiolone,  in  una  stanza  del 
piano  superiore,  con  un  libriccioio  aperlo  davanti,  quando 
Perpetua  entrò  a  portargli  l'imbasciata.  —  Cameade! 
questo  nome  mi  par  bene  d'averlo  letto  o  sentito;  do- 
veva essere  un  uomo  di  studio,  un  letleratone  del  tempo 
antico:  è  un  nome  di  quelli;  ma  chi  diavolo  era  costui? 
—  Tanto  il  pover  uomo  era  lontano  da  prevedere  che 
burrasca  gli  si  addensasse  sul  capo! 

Bisogna  sapere  che  don  Abbondio  si  dilettava  di  leg- 
gere un  pochino  ogni  giorno;  e  un  curato  suo  vicino, 
che  aveva  un  po'  di  libreria,  gli  prestava  un  libro  dopo 
l'altro,  il  primo  che  gli  veniva  alle  mani.  Quello  su  cui 
meditava  in  quel  momento  don  Abbondio,  convalescente 
della  felìlire  dello  spavento,  anzi  più  guarito  (quanto 
alla  febbre)  che  non  volesse  lasciar  credere,  era  un  pa- 
negirico in  onore  di  san  Carlo,  detto  con  molta  enfasi, 
e  udito  con  molta  ammirazione  nel  duomo  di  Milano, 
due  anni  prima.  Il  santo  v'era  paragonalo,  per  l'amore 
allo  studio  ad  Archimede;  e  fin  (pii  don  Abbondio  non 
trovava  inciampo;  perchè  Archimede  ne  ha  fatte  di  così 


I  PROMESSI  SPOSI,   CAPITOLO  Vili.  133 

curiose,  ha  fa(to  dir  tanto  di  sé,  che,  per  saperne  qual- 
che cosa,  non  c'è  bisogno  d'un' erudizione  molto  vasta. 
Ma,  dopo  Archimede,  l' oratore  chiamava  a  paragone  an- 
che Cameade:  e  li  il  lettore  era  rimasto  arenato.  In 
quel  momento  entrò  Perpetua  ad  annunziar  la  visita  di 
Tonio. 

«  A  quest'  ora  ?  »  disse  anche  don  Abbondio,  com'  era 
naturale. 

«  Cosa  vuole?  Non  hanno  discrezione:  ma  se  non  lo 
piglia  al  volo....  » 

«  Già:  se  non  lo  piglio  ora,  chi  sa  quando  lo  potrò 

pigliare!  Fatelo  venire Ehi!  ehi  !  siete  poi  ben  sicura 

che  sia  proprio  lui?  » 

«  Diavolo!»  rispose  Perpetua,  e  scese;  aprì  l'uscio, 
e  disse:  «dove  siete?»  Tonio  si  fece  vedere;  e,  nello 
stesso  tempo,  venne  avanti  anche  Agnese,  e  saiutò  Per- 
petua per  nome. 

«  Buona  sera,  Agnese,  »  disse  Perpetua:  «  di  dove  si 
viene,  a  quest'ora?  » 

«  Vengo  da »  e  nominò  un  paesetto  vicino.  «  E  se 

sapeste....»  continuò:  «mi  son  fermata  di  pi ìi,  appunto 
in  grazia  vostra.  » 

«  Oh  perciiè?  »  dimandò  Perpetua;  e  vollaiidosi  a'  due 
fratelli,  «  entrale,  »  disse,  «  che  vengo  anch'io.  » 

i  Perchè,  »  rispose  Agnese,  «  una  donna  di  quelle  che 

non    sanno    le    cose,  e   voglion  parlare credereste? 

s'ostinava  a  dire  che  voi  non  vi  siete  maritata  con  Beppe 
Suolavecchia,  né  con  Anselmo  Lunghina  perchè  non 
v'hanno  voIuUì.  Io  sostenevo  che  siete  siala  voi  che  gli 
avete  rifiutali,  l'uno  e  l'altro..  .» 

«  Sicuro.  Oh  la  bugiarda!  la  bugiardona!  Cbi  è 
costei?  » 

«  Non  me  lo  domandale,  che  non  mi  piace  metter 
male.  » 

«  Me  lo  direte,  me  l'avete  a  dire:  dli  la  bugiarda!» 

«  Basta....  ma  non  potete  credere  (piaiiUi  mi  sia  di- 
spiaciuto di  non  saper  bene  lutla  la  storia,  per  confon- 
der colei.  » 


134  I   PROiMESSI  SPOSI 

«  Guardate  se  si  può  inventare,  a  questo  modo!  » 
esclamò  di  nuovo  Perpetua;  e  riprese  subito:  i  in  quanto 
a  Beppe,  tutti  sanno,  e  hanno  potuto  vedere....  Ehi, 
Tonio!  accostate  l'uscio,  e  salite  pure,  che  vengo.  ^  Tonio, 
di  dentro,  rispose  di  si,  e  Perpetua  continuò  la  sua  nar- 
razione appassionata. 

In  faccia  all'uscio  di  don  Abbondio,  s'apriva  tra  due 
casipole,  una  stradetta,  che,  finite  quelle,  voltava  in  un 
campo.  Agnese  vi  s'avviò,  come  se  volesse  tirarsi  alquanto 
in  disparte,  per  parlar  più  liberamente;  e  Perpetua  dietro. 
Quand'ebbero  voltalo,  e  furono  in  luogo,  donde  non  si 
poteva  più  veder  ciò  che  accadesse  davanti  alla  casa  di 
don  Abbondio,  Agnese  tossì  forte.  Era  il  segnale:  Renzo 
lo  senti,  fece  coraggio  a  Lucia,  con  una  stretta  di  braccio; 
e  tutt'e  due,  in  punta  di  piedi,  vennero  avanti,  rasen- 
tando il  muro,  zitti  zitti;  arrivarono  all'uscio,  Ib  spinsero 
adagino  adagino;  cheti  e  chinati,  entraron  nell'andito, 
dov'erano  i  due  fratelli  ad  aspettarli.  Renzo  accostò  di 
nuovo  l'uscio  pian  piano;  e  tutt'e  quattro  su  per  le 
scale,  non  facendo  rumore  neppur  per  uno.  Giunti  sul 
pianerottolo,  i  due  fratelli  s'avvicinarono  all'uscio  della 
stanza,  ch'era  di  fianco  alla  scala;  gli  sposi  si  strinsero 
al  muro. 

«  Dea  gratias,  »  disse  Tonio  a  voce  chiara. 

«  Tonio,  eh?  Entrate,  »  rispose  la  voce  di  dentro. 

Il  chiamato  aprì  l'uscio,  appena  quanto  bastava  per 
poter  passar  lui  e  il  fratello,  a  un  per  volta.  La  striscia 
di  luce,  che  uscì  d' improvviso  per  quella  apertura,  e  si 
disegnò  sul  pavimento  oscuro  del  pianerottolo,  fece  risco- 
ter  Lucia,  come  se  fo^se  scoperta.  Entrati  i  fratelli,  Tonio 
si  tirò  dietro  l'uscio: gli  sposi  rimasero  immobili  nelle 
tenebre,  con  l'orecchie  tese,  tenendo  il  fiato:  il  rumore 
più  forte  era  il  martellar  che  faceva  il  povero  cuore  di 
Lucia. 

Don  Abbondio  stava,  come  abbiam  detto,  sur  una  vec- 
chia seggiola,  ravvolto  in  una  vecchia  zimarra,  con  in  capo 
una  vecchia  papalina,  che  gli  faceva  cornice  intorno  alia 


CAPITOLO  Vili.  .     135 

faccia,  al  lume  scarso  d'una  piccola  lucerna.  Due  folle 
ciocche  di  capelli,  che  gii  scappavano  fuor  della  papa- 
lina, due  folli  sopraccigli,  due  folli  baffi,  un  follo  pizzo, 
lutti  canuti,  e  sparsi  su  quella  faccia  bruna  e  rugosa, 
potevano  assomigliarsi  a  cespugli  coperti  di  neve,  spor- 
genti da  un  dirupo,  al  chiaro  di  luna. 

t  Ah!  ahi»  fu  il  suo  saluto,  mentre  si  levava  gli 
occhiali,  e  li  riponeva  nel  libricciolo, 

«  Dirà  il  signor  curato,  che  son  venuto  tardi,  d  disse 
Tonio,  inchinandosi,  come  pure  fece,  ma  più  goffamente, 
Gervaso. 

«  Sicuro  ch'ò  tardi:  tardi  in  tulle  le  maniere.  Lo 
sapete,  che  sono  ammalato?  » 

«  Oh  !  mi  dispiace.  » 

«  L'avrete  sentito  dire;  sono  ammalato,  e  non  so 
quando  potrò  lasciarmi  vedere....  Ma  perchè  vi  siete  con- 
dotto dietro  quel....  quel  figliuolo?» 

«  Così  per  compagnia,  signor  curalo.  » 

«  Basta,  vediamo.  » 

«  Son  venticinque  berlinghe  nuove,  di  quelle  col 
sant'Ambrogio  a  cavallo,  «  disse  Tonio,  levandosi  un  in- 
voltino di  tasca. 

«  Vediamo:  »  replicò  don  Abbondio:  e,  preso  l'invol- 
tino, si  rimesse  gli  occhiali,  l'apri,  cavò  le  berlinghe, 
le  contò,  le  voltò,  le  rivoltò,  le  trovò  senza  difetto. 

«  Ora,  signor  curato,  mi  darà  la  collana  della  mia 
Tecla.  » 

«  É  giusto,  »  rispose  don  Abbondio;  poi  andò  a  un 
armadio,  si  levò  una  cliiave  di  lasca,  e,  guardandosi 
intorno,  come  per  tener  lontani  gli  spellatori,  apri  una 
parte  di  sportello,  riempi  l'apertura  con  la  persona,  mise 
dentro  la  testa,  per  guardare,  e  un  braccio,  per  prender 
la  collana;  la  prese,  e,  chiuso  l'armadio,  la  consegnò  a 
Tonio,  dicendo:  va  bene?» 

«  Oi'a,  »  disse  Tonio,  «  si  conlcnli  di  incllcre  un  po' 
di  nero  sul  liianco.  » 

«  Anche   questa!  «  disse    don   Abbondio:  «  le  sanno 


136  1  PROMESSI   SPOSI 

tiittp.  Ih  !  com'  è  divcnulo  sospettoso  il  mondo  !  Non  vi 
fidale  di  me?  » 

«  Come,  signor  curato!  s' io  mi  fido?  Lei  mi  fa  torto. 
Ma  siccome  il  mio  nome  è  sul  suo  libraccio  dalla  parie 
del  debito  ....  dunque,  giacche  ha  già  avnio  l' iiicomoilo 
di  scrivere  una  volta,  così . . .  dalla  vita  alla  morte  ...» 

«  Bene  bene,  »  interruppe  don  Alibondio,  e  bronto- 
lando, tirò  a  sé  una  cassetta  del  tavolino,  levò  fuori 
carta,  penna  e  calamaio,  e  si  mise  a  scrivere,  ripetendo 
a  viva  voce  le  parole,  di  mano  in  mano  che  gli  uscivan 
dalla  penna  Frallanto  Tonio  e.  a  un  suo  cenno,  Gervaso, 
si  piantaron  ritti  davanti  al  tavolino,  in  maniera  d' im- 
pedire allo  scrivente  la  vista  dell'  uscio  ;  e,  come  per 
ozio,  andavano  stropicciando,  co' piedi,  il  pavimento,  per 
dar  segno  a  quei  eh'  erano  fuori,  d' entrare,  e  per  con- 
fondere nello  stesso  tempo  il  rumore  delle  loro  pedate. 
Don  Abbondio,  immerso  nella  sua  scrittura,  non  badava 
ad  altro.  Allo  stropiccìo  de'  quattro  piedi,  Renzo  prese 
un  braccio  di  Lucia,  lo  strinse,  per  darle  coraggio,  e  si 
mosse,  tirandosela  dietro  tutta  tremante,  che  da  sé  non 
vi  sarebbe  potuta  venire.  Entraron  pian  piano,  in  punta 
di  piedi,  rattenendo  il  respiro;  e  si  nascosero  dietro  i 
due  fratelli.  Intanto  don  Abbondio,  finito  di  scrivere,  ri- 
lesse attentamente,  senza  alzar  gli  occhi  dalla  carta:  la 
piegò  in  quattro,  dicendo:  «  ora,  sarete  contento?  »  e, 
levatosi  con  una  mano  gli  occhiali  dal  naso,  la  porse 
con  r  altra  a  Tonio,  alzando  il  viso.  Tonio,  allungando 
la  mano  per  prender  la  carta,  si  ritirò  da  una  parte; 
Gervaso,  a  un  suo  cenno,  dall'altra;  e,  nel  mezzo,  co- 
me al  dividersi  d'una  scena,  apparvero  Renzo  e  Lucia. 
Don  Abbondio,  vide  confusamente,  poi  vide  chiaro,  si 
spaventò,  si  stupì,  s' infuriò,  pensò,  prese  una  risoluzio- 
ne: tutto  questo  nel  tempo  che  Renzo  mise  a  proferire 
le  parole:  «  signor  curato,  in  presenza  di  questi  testi- 
moni, quest'  é  mia  moglie.  »  Le  sue  labbra  non  erano 
ancora  tornate  al  posto,  che  don  Abbondio,  lasciando 
cader  la  carta,  aveva  già  atferrata,  e  alzata,  con  la  man- 


CAPITOLO  Vili.  137 

Cina,  la  lucerna,  ghermito,  con  la  diritta,  il  tappeto  del 
tavolo,  e  tiratolo  a  se,  con  furia,  buttando  in  terra  libro, 
carta,  calamaio  e  polverino;  e,  balzando  tra  la  seggiola 
e  il  tavolino,  s'era  avvicinalo  a  Lucia.  La  poveretta, 
con  ({uella  sua  voce  soave,  e  allora  tutla  tremante,  aveva 
appena  potuto  proferire:  «  e  questo....»  che  don  Ab- 
bondio le  aveva  buttato  sgarbatamenic  il  tappeto  sulla 
testa  e  sul  viso,  per  impedirle  di  pronunziare  intera  la 
formola.  E  subito,  lasciata  cader  la  lucerna  che  teneva 
neir  altra  mano,  s'  aiutò  anche  con  quella  a  imbacuccarla 
col  tappeto,  che  quasi  la  soffogava:  e  intanto  gridava 
quanto  n'aveva  in  canna:  »  Perpetua!  Perpetua!  tradi- 
mento! aiuto!  »  Il  lucignolo,  che  moriva  sul  pavimento, 
mandava  una  luce  languida  e  saltellante  sopra  Lucia,  la 
quale  affatto  smarrita,  non  tentava  neppure  di  svolgersi, 
e  poteva  parere  una  statua  abltozzata  in  creta,  sulla  quale 
l'artefice  ha  gettalo  un  umido  panno.  Cessata  ogni  luce, 
don  Abbondio  lasciò  la  poveretta,  e  andò  cercando  a 
tastoni  l'uscio  che  metteva  a  una  stanza  più  interna: 
lo  trovò,  entrò  in  quella,  si  chiuse  dentro,  gridando 
tuttavia:  «  Perpetua!  tradimento!  aiuto!  fuori  di  questa 
casa!  fuori  di  questa  casa!  »  Neh' altra  stanza,  tutto  era 
confusione  :  Renzo,  cercando  di  fermare  il  curalo,  e  re- 
mando con  le  mani,  come  se  facesse  a  mosca  cieca,  era 
arrivato  all'uscio,  e  picchiava,  gridando:  «  apra,  apra: 
non  faccia  schiamazzo.  »  Lucia  chiamava  Renzo,  con 
voce  fiora,  e  diceva  preganilo:  «  andiamo,  andiamo,  per 
l'amor  di  Dio.  >>  Tonio,  carponi,  andava  spazzando  con 
le  mani  il  pavimento,  per  veder  di  raccapezzare  la  sua 
ricevuta.  Gervaso,  spiritalo,  gridava  e  saltellava,  cercando 
I'  uscio  di  scala,  per  uscire  a  salvanaento. 

In  mezzo  a  questo  serra  serra,  non  possiam  lasciar 
di  fei-marci  un  mouKìnto  a  fare  una  ritlessione.  Renzo, 
che  strepitava  di  notte  in  casa  altrui,  che  vi  s'  era  intro- 
dotto di  soppiatto,  e  teneva  il  padrone  stesso  assediato 
in  una  stanza,  ha  tutta  l'apparenza  d'un  oppressore; 
eppure,  alla  fin  de"  fatti,  ei-a  l'  (appresso.  Don  Abbondio. 


138  I   PROMESSI  SPOSI 

sorpreso,  messo  in  fuga,  spaventalo,  mentre  attendeva 
tran([uillamente  a'  falli  suoi,  parrebbe  la  vittima:  eppure, 
in  realtà,  era  lui  che  faceva  un  sopruso.  Così  va  spesso 
il  mondo voglio  dire,  così  andava  nel  secolo  deci- 
mosettimo. 

L'  assediato,  vedendo  clic  il  nemico  non  dava  segno 
di  ritirarsi,  aprì  una  finestra  che  guardava  sulla  piazza 
della  chiesa,  e  si  diede  a  gridare:  «  aiuto!  aiuto!  »  Era 
il  più  bel  chiaro  di  luna;  l'ombra  della  chiesa,  e  più 
in  fuori  r  ombra  lunga  ed  acuta  del  campanile,  si  sten- 
deva bruna  e  spiccala  sul  piano  erboso  e  lucente  della 
piazza  :  ogni  oggetto  si  poteva  distinguere,  quasi  come 
di  giorno.  Ma,  fin  dove  arrivava  lo  sguardo,  non  appa- 
riva indizio  di  persona  vivente.  Contiguo  però  al  muro 
laterale  della  chiesa,  e  appunto  dal  lato  che  rispondeva 
verso  la  casa  parrocchiale,  era  un  piccolo  abituro,  un 
bugigattolo,  dove  dormiva  il  sagrestano.  Fu  questo  ri- 
scosso da  quel  disordinato  grido,  fece  un  salto,  scese  il 
letto  in  furia,  aprì  V  impannata  d'  una  sua  fìnestrina, 
mise  fuori  la  testa,  con  gli  occhi  tra'  peli,  e  disse  :  <  cosa 
c'è?  » 

«  Correte,  Ambrogio  !  aiuto  I  gente  in  casa,  »  gridò 
verso  lui  don  Abbondio.  «  Vengo  subito,  »  rispose  quello  : 
tirò  indietro  la  testa,  richiuse  la  sua  impannata,  e,  quan- 
tunque mezzo  tra  '1  sonno,  e  più  che  mezzo  sbigottito, 
trovò  su  due  piedi  un  espediente  per  dar  più  aiuto  di  quel- 
lo che  gli  si  chiedeva,  senza  mettersi  lui  nel  talferuglio  , 
quale  si  fosse.  Dà  di  piglio  alle  brache,  che  teneva  sul 
letto;  se  le  caccia  sotto  il  braccio,  come  un  cappello  di 
gala,  e  giù  balzelloni  per  una  scaletta  di  legno;  corre 
al  campanile,  afferra  la  corda  della  più  grossa  di  due 
campanette  che  c'erano,  e  suona  a  martello. 

Ton,  ton,  ton,  ton:  i  con  ladini  balzano  a  sedere  sul 
letto;  i  giovinetti  sdrajati  sul  fenile,  teiidon  l'orecchio, 
si  rizzano.  »  Cos'è?  Cos'è?  Campana  a  martello!  fuoco? 
ladri?  banditi?  i  Molle  donne  consigliano,  pregano  i 
mariti,  di  non  moversi,  di  lasciar  correre  gli  allri:  al- 


CAPITOLO   YIIl.  139 

cani  s'alzano,  e  vanno  alla  finestra:  i  poltroni,  come  se 
si  arrendessero  alle  preghiere,  ritornan  sotto:  i  più 
curiosi  e  più  bravi  scendono  a  prender  le  forche  e  gli 
schioppi,  per  correre  al  rumore:  allri  stanno  a  vedere. 
Ma,  prima  che  quelh  fossero  all'ordine,  prima  anzi 
che  fosser  ben  desti,  il  rumore  era  giunto  agli  orecchi 
d'altre  persone  che  vegliavano,  non  lontano,  ritte  e  ve- 
stite: i  bravi  in  un  luogo,  Agnese  e  Perpetua  in  un  altro. 
Diremo  prima  brevemente  ciò  che  facesser  coloro,  dal  mo- 
mento in  cui  gli  abbiamo  lasciati,  parte  nel  casolare  e  parte 
all'osteria.  Questi  tre,  quando  videro  tutti  gli  usci  chiusi 
e  la  strada  deserta,  uscirono  in  fretta,  come  se  si  fossero 
avvisti  d'aver  fatto  tardi,  e  dicendo  di  voler  andar  subito 
a  casa;  diedero  una  giravolta  per  il  paese,  per  venire  in 
chiaro  se  tutti  eran  ritirati;  e  in  fatti,  non  incontrarono 
anima  vivente,  ne  sentirono  il  più  piccolo  strepito.  Passa- 
rono anche,  pian  piano,  davanti  alla  nostra  povera  casetta: 
la  più  quieta  di  tutte,  giacché  non  c'era  più  nessuno.  An- 
darono allora  diviato  al  casolare,  e  fecero  la  loro  relazione 
al  signor  Griso.  Subito,  questo  si  mise  in  testa  un  cap- 
pellaccio, sulle  spalle  un  sanroccliino  di  tela  incerata, 
sparso  di  conchiglie;  prese  un  bordone  da  pellegrino, 
disse:  «  andiamo  da  bravi:  zitti,  e  attenti  agli  ordini,» 
s'incamminò  il  primo,  gli  altri  dietro;  e,  in  un  momento, 
arrivarono  alla  cadetta,  per  una  strada  opposta  a  quella 
per  cui  se  n'era  allontanata  la  nostra  brigatella,  andando 
anch'essa  alla  sua  spedizione.  Il  Griso  trattenne  la  truppa, 
alcuni  passi  lontano,  andò  innanzi  solo  ad  esplorare,  e, 
visto  tutto  deserto  o  tranquillo  di  fuori,  fece  venire 
avanti  due  di  quei  tristi,  diede  loro  ordine  di  scalar  ada- 
gino il  muro  che  chiudeva  il  cortiletto,  e,  calati  dentro, 
nascondersi  in  un  angolo,  dietro  un  folto  fico,  sul  qnale 
aveva  messo  l'occhio  la  mattina.  Ciò  fatto,  picchiò  pian 
piano,  con  intenzione  di  dirsi  un  pellegrino  smari'ito, 
che  chiedeva  ricovero,  fino  a  giorno.  Nessun  rispumle: 
ripiccbia  un  po'  più  forte  ;  nennncno  unu  zitto.  Allora 
va  a  chiamare  un  terzo  malandiino,  lo  fa  scendere  nel 


140  I  PROMESSI  sposr 

cortiletto,  come  gli  altri  due,  con  l'ordine  di    sconfic- 
care adagio  il  paletto ,  per  aver  libero  l' ingresso  e  la 
ritirata.  Tutto  s'eseguisce  con  gran  cautela,  e  con  pro- 
spero successo.  Va  a  chiamar  gli  altri,  li  fa  enirar  con 
sé,  li  manda  a  nascondersi  accanto  ai  primi;   accosta 
adagio  adagio   1'  uscio  di   strada ,    vi  posta  due   senti- 
nelle di  dentro;  e  va  diritto  all'uscio  del  terreno.  Pic- 
chia anche  lì,  e  aspetta:  e'  poteva  bene  aspettare.  Scon- 
ficca pian  pianissimo  anche  quell'uscio:  nessuno  di  den- 
tro dice:  chi  va  là?  nessuno  si  fa  sentire:  megho  non 
può  andare.  Avanti  dunque:    «  st,  »    chiama  quei  del 
fico,  entra  con  loro  nella  stanza  terrena,  dove,  la  mat- 
tina, aveva  scelleratamente  accattato  quel  pezzo  di  pane. 
Cava  fuori  esca,  pietra,  acciarino  e  zolfanelli,   accende 
un  suo  lanternino,  entra  nell'altra  stanza  più  interna, 
per  accertarsi  che  nessun  ci  sia;  non  e'  è  nessuno.  Torna 
indietro,  va  all'uscio  di  scala,  guarda,  porge  l'orecchio: 
solitudine  e  silenzio.  Lascia  due  altre  sentinelle  a  ter- 
reno, si  fa  venir  dietro  il  Grignapoco,  ch'era  un  bravo 
del  contado  di  Bergamo,  il  quale  solo  doveva  minacciare, 
acchetare,  comandare,  esser  in  somma  il  dicitore,  afTin- 
chè  il  suo  linguaggio  potesse  far  credere  ad  Agnese  che 
la  spedizione  veniva  da  quella  parte.  Con  costui  al  fianco, 
e  gli  altri  dietro,  il  Griso  sale  adagio  adagio,  bestem- 
miando in  cuor  suo  ogni  scalino  che  scricchiolasse,  ogni 
passo  di  que'  mascalzoni  che  facesse  rumore.  Finalmente 
è  in  cima.  Qui  giace  la  lepre.  Spinge  mollemente  l'uscio 
che  melte  alla  prima  stanza;  l'uscio  cede,  si  fa  spiraglio: 
Vi  mette  l'occhio;  è  buio:  vi  mette  l'orecchio,  per  sen - 
tire  se  qualcheduno  russa,  fiata,  brulica  là  dentro;  niente. 
Dunque  avanti:  si  mette  la  lanterna  davanti  al  viso,  per 
vedere,  senza  esser  veduto,  spalanca  l'uscio,   vede  un 
letto;  addosso:  il  letto  è  fatto  e  spianato,   con  la  rim- 
boccatura arrovesciala,  e  composta  sul  capezzale.  Si  strin- 
ge nelle  spalle,  si  volta  alla  compagnia,  accenna  loro 
che  va  a  vedere  nell'altra  stanza,  e  che  gli  vengan  die- 
tro pian  piano;  entra,  fa  le  stesse  cerimonie  ,  trova  la 


CAPITOLO  Vili.  141 

stessa  cosa.  «Che  diavolo  è  questo?»  dice  allora  «che 
qualche  cane  traditore  abbia  fatto  la  spia?»  Si  mctton 
con  men  cautela  a  guardare,  a  tastare  per  ogni  canto, 
l)ultan  sottosopra  la  casa.  Mentre  costoro  sono  in  tali 
faccende,  i  due  che  fan  la  guardia  all'uscio  di  strada, 
sentono  un  calpestìo  di  passini  frettolosi,  che  s'avvici- 
nano in  fretta;  s'immaginano  che,  chiunque  sia,  pas- 
serà diritto;  stan  quieli,  e,  a  buon  conto,  si  mettono  al- 
l'erta. In  fatti,  il  calpestìo  si  ferma  appunto  all'uscio. 
Era  Menico  che  veniva  di  corsa,  mandato  dal  padre  Cri- 
stoforo ad  avvisar  le  due  donne  che,  per  l'amor  del 
cielo,  scappassero  subito  di  casa,  e  si  rifugiassero  al 
convento,  perchè ....  il  perchè  lo  sapete.  Prende  la  ma- 
niglia del  paletto,  per  picchiare,  e  se  lo  sente  tenten- 
nare in  mano,  schiodato  e  sconficcato.  —  Che  è  que- 
sto? —  pensa;  e  spinge  l'uscio  con  paura:  quello  s'a- 
pre. Menico  mette  il  piede  dentro,  in  gran  sospetto,  e 
si  sente  a  un  punto  acchiappar  per  le  braccia,  e  due 
voci  sommesse,  a  destra  e  a  sinistra,  che  dicono  in  tuono 
minaccioso:  «  zitto!  o  sei  morto.  »  Lui  invece  caccia 
un  urlo:  uno  di  quei  malandrini  gli  mette  una  mano 
alla  bocca;  l'altro  tira  fuori  un  coltellaccio,  per  fargli 
paura.  Il  garzoncello  trema  come  una  foglia,  e  non  lenta 
nep[)ur  di  gridare;  ma,  tutt'a  un  tratto,  in  vece  di  lui, 
e  con  ben  altro  tono,  si  fa  sentir  quel  primo  tocco  di 
campana  così  fatto,  e  dietro  una  tempesta  di  rintocchi 
in  fila.  Chi  è  in  difetto  è  in  sospetto,  dice  il  proverbio 
milanese:  all'uno  e  all'altro  furfante  parve  di  sentire 
in  que'  tocchi  il  suo  nome,  cognome  e  saprannome  : 
lasciano  andar  le  braccia  di  Menicj,  ritirano  le  loro  in  fu- 
ria, spalancan  la  mano  e  la  bocca,  si  guardano  in  viso, 
e  corrono  alla  casa,  dov'era  il  grosso  della  compagnia. 
Menico,  via  a  gambe  per  la  strada,  alla  voi  la  del  cam- 
panile, dove  a  buon  conio  (inalcbcduno  ci  doveva  essere. 
Agli  altri  ['ui'fanti,  che  IVugavan  la  casa,  dall' allo  al  basso, 
il  terribile  tocco  fece  la  stessa  impressione:  si  confon- 
dono, si  scompigliano,  s'urlano  a  vicenda:  ognuno  cerca 


142  I  PROMESSI  SPOSI 

la  strada  più  corta  per  arrivare  all'  u^cio.  Eppure  era 
tutta  gente  provata  e  avvezza  a  mostrare  il  viso;  ma 
non  poterono  star  saldi  contro  un  pericolo  indetermi- 
nato, e  che  non  s'era  fatto  vedere  un  po'  da  lontano,  prima 
di  venir  loro  addosso.  Ci  volle  tutta  la  superiorità  del  Griso 
a  tenerli  insieme,  tanto  che  fosse  ritirata  e  non  fuga. 
Come  il  cane  che  scorta  una  mandra  di  porci,  corre  or 
qua  or  là  a  quei  che  si  sbandano;  ne  addenta  uno  per 
un  orecchio,  e  lo  tira  in  ischiera;  ne  spinge  un  altro 
col  muso;  abl)aia  a  un  altro  che  esce  di  fila  in  quel 
momento;  così  il  pellegrino  acciulTa  un  di  coloro,  che 
già  toccava  la  soglia,  e  lo  strappa  indietro;  caccia  in- 
dietro col  bordone  uno  e  un  altro  che  s'avviavan  da 
quella  parie:  grida  agli  altri  che  corron  qua  e  là,  senza 
saper  dove  ;  tanto  che  li  raccozzò  tutti  nel  mezzo  del  cor- 
tiletto. «Presto,  presto I  pistole  in  mano,  coltelli  in 
pronto,  tutti  insieme:  e  poi  anderemo  :  cosi  si  va.  Chi 
volete  che  ci  tocchi,  se  stiam  ben  insieme,  sciocconi? 
Ma,  se  ci  lasciamo  acchiappare  a  uno  a  uno,  anche  i  vil- 
lani ce  ne  daranno.  Vergognai  Dietro  a  me,  e  uniti.  » 
Dopo  questa  breve  aringa,  si  mise  alla  fronte,  e  usci  il 
primo.  La  casa,  come  abbiam  detto,  era  in  fondo  al  vil- 
laggio; il  Griso  prese  la  strada  che  metteva  fuori,  e  tutti 
gli  andaron  dietro  in  buon  ordine. 

Lasciamoli  andare,  e  torniamo  un  passo  indietro  a 
prendere  Agnese  e  Perpetua,  che  abbiam  lasciate  in  una 
certa  stradetta.  Agnese  aveva  procurato  d'allontanar  l'al- 
tra dalla  casa  di  don  Abbondio,  il  più  che  fosse  possi- 
bile; e,  fino  a  un  certo  punto,  la  cosa  era  andata  bene. 
Ma  tutt'a  un  tratto,  la  serva  s'era  ricordata  dell'uscio 
rimasto  aperto,  e  aveva  voluto  tornare  indietro.  Non 
c'era  che  ridire:  Agnese,  per  non  farle  nascere  qual- 
che sospetto,  aveva  dovuto  voltar  con  lei,  e  andarle  die- 
tro, cercando  però  di  trattenerla,  ogni  volta  che  la  ve- 
desse riscaldata  ben  bene  nel  racconto  di  que'  tali  ma- 
trimoni andati  a  monte.  Mostrava  di  darle  molta  udien- 
za; e,  ogni  tanto,  per  far  vedere  che  stava  attenta,  o 


CAPITOLO  Vili.  143 

per  ravviare  il  cicalio,  diceva:  .«  sicuro:  adesso  capisco: 
va  benissimo:  è  cliiara:  e  poi?  e  lui?  e  voi?»  Ma  in- 
lanlo,  faceva  un  altro  discorso  con  sé  slessa.  —  Saran- 
no usciti  a  quest'ora?  o  saranno  ancor  dentro?  Che 
sciocchi  che  siamo  stati  tutt'e  tre,  a  non  concertar 
qualclie  segnale,  per  avvisarmi,  quando  la  cosa  fosse 
riuscita!  È  stata  proprio  grossa!  Ma  è  fatta:  ora  non 
c'è  altro  che  tener  costei  a  l)ada,  più  che  posso:  alia 
.peggio,  sarà  un  po'  di  lempo  perduto.  —  Così,  a  cor- 
serelJe  e  a  fermatine,  eran  tornate  poco  distante  dalla 
casa  di  don  Abbondio,  la  quale  però  non  vedevano,  per 
ragione  di  quella  cantonata:  e  Perpetua,  trovandosi  a 
un  punto  importante  del  racconto,  s'era  lasciala  fermare 
senza  far  resistenza,  anzi  senza  avvedersene;  quando, 
tutt'a  un  tratto,  si  senti  venir  rimbombando  dall'alto, 
nel  vano  immoto  dell'aria,  per  l'ampio  silenzio  della 
notte,  quel  primo  sgangherato  grido  di  don  Abbondio: 
«  aiuto!  aiulo!  » 

«  Misericordia!  cos'è  stato?  »  gridò  Perpetua,  e  volle 
correre. 

<■  Cosa  c'è?  cosa  c'è?  »  disse  Agnese,  tenendola  per 
la  sotlana. 

«  Misericordia!  non  avete  sentilo?  »  replicò  quella, 
svincolandosi. 

«  Cosa  c'è?  cosa  c'è?  «  ripetè  Agnese,  alTerrandola 
per  un  braccio. 

«  Diavolo  d'una  donna!  «esclamò  Perpetua,  rispin- 
gendola, per  mellersi  in  libertà;  e  prese  la  rincorsa. 
Quando,  più  lontano,  più  acuio,  più  istantaneo,  si  sente 
l'urlo  di  3I(;iùco. 

«  Misericordia!  »  grida  anche  Agnese;  e  di  galoppo 
dietro  l'altra.  Avevan  quasi  appena  alzati  i  calcagni, 
([uando  scoccò  la  campana:  un  tocco,  e  due,  e  tre,  e 
seguita;  sarebbero  slati  s|)roni,  se  ([uelle  ne  avessero 
avuto  bisogno.  Perpetua  arriva,  un  momento  prima  del- 
l'altra:  mentre  vuole  spinger  l'uscio,  l' uscio  si  spalanca  di 
dentro,  e    sulla  soglia  compariscono   Tonio,    Gervaso, 


Mi  I   PROMESSI  SPOSI 

Renzo,  Lucia,  che,  trovata  la  scala,  eran  venuti  giù  sal- 
telloni; e,  sentendo  poi  quel  terribile  scampanìo,  corre- 
vano in  furia,  a  mettersi  in  salvo. 

«  Cosa  c'ò?  cosa  c'è?  »  domandò  Perpetua  ansante 
ai  fratelli,  che  le  risposero  con  un  urlone,  e  scantona- 
rono. «  E  voi!  come!  che  fate  qui  voi?»  domandò  po- 
scia all'altra  coppia,  quando  l'ebbe  rafTigurata.  Ma  quelli 
pure  usciron  senza  rispondere.  Perpetua,  per  accorrere 
dove  il  bisogno  era  maggiore,  non  domandò  altro,  entrò 
in  fretta  neirandito,  e  corse,  come  poteva  al  buio,  verso 
la  scala. 

I  due  sposi  rimasti  promessi  si  trovarono  in  faccia 
Agnese,  che  arrivava  futt' affannata,  t  Ah  siete  qui!  » 
disse  questa,  cavando  fuori  la  parola  a  stento:  «  com'è 
andata?  cos'è  la  campana?  mi  par  d'aver  sentho....  » 

«  A  casa,  a  casa,  »  diceva  Renzo,  «  prima  che  venga 
gente.  »  E  s'avviavano;  ma  arriva  Menico  di  corsa,  li 
riconosce,  li  ferma,  e,  ancor  lutto  tremante,  con  voce 
mezza  fioca,  dice:  «  dove  andate?  indietro,  indietro!  per 
di  qua,  al  convenlo  !  » 

«  Sei  tu  che ?»   cominciava  Agnese. 

«  Cc^a  c'è  d'altro?  »  domandava  Renzo.  Lucia,  tutta 
smarrita,  taceva  e  tremava. 

«  C  è  il  diavolo  in  casa ,  ■»  riprese  Menico  ansante. 
«  Gli  ho  visti  io:  m'hanno  voluto  ammazzare:  l'ha  detto 
il  padre  Cristoforo:  e  anche  voi ,  Renzo  .  ha  detto  che 
veniate  subito  :  e  poi  gli  ho  visti  io  :  provvidenza  che 
vi  trovo  qui  tutti  !  vi  dirò  poi,  quando  saremo  fuori.  » 

Renzo,  ch'era  il  più  in  se  di  tutti,  pensò  che,  di  qua 
0  di  là,  conveniva  andar  subito,  prima  cbe  la  gente  ac- 
corresse; e  che  la  più  sicura  era  di  far  ciò  che  Menico 
consigliava,  anzi  comandava,  con  la  forza  d'uno  spaven- 
tato. Per  istrada  poi,  e  fuor  del  pericolo,  si  potrebbe  do- 
mandare al  ragazzo  una  spiegazione  più  chiara.  «  Cam- 
mina avanti,  »  gli  disse,  «  Andiam  con  lui,  »  disse  alle 
donne.  Voltarono ,  s' incamminarono  in  fretta  verso  la 
chiesa,  attraversaron  la  piazza,  dove  per  grazia  del  cielo, 


CAPITOLO   Vili.  145 

non  c'era  ancora  anima  vivente;  entrarono  in  una  stradetta 
che  era  tra  la  chiesa  e  la  casa  di  don  Abbondio;  al  primo 
buco  che  videro  in  nna  siepe,  dentro,  e  via  per  i  campi. 

Non  s'eran  forse  allontanati  un  cinquanta  passi,  quando 
la  gente  cominciò  ad  accorrere  sulla  piazza,  e  ingrossava 
ogni  momento.  Si  guardavano  in  viso  gli  uni  con  gli 
altri:  ognuno  aveva  una  domanda  da  fare,  nessuno  una 
risposta  da  dare.  I  primi  arrivati  corsero  alla  porta  della 
chiesa:  era  serrata.  Corsero  al  campanUe  di  fuori;  e  uno 
di  quelli,  messa  la  bocca  a  un  finestrino,  una  specie  di 
feritoia,  cacciò  dentro  un:  «  che  diavolo  c'è?  »  Quando 
Ambrogio  sentì  una  voce  conosciuta,  lasciò  andar  la  corda; 
e  assicurato  dal  ronzìo,  ch'era  accorso  molto  popolo,  ri- 
spose: «  vengo  ad  aprire.  »  Si  mise  in  fretta  1'  arnese 
che  aveva  portato  sotto  il  braccio,  venne,  dalla  parte  di 
dentro,  alla  porta  della  chiesa,  e  l'aprì. 

«  Cos'  è  tutto  questo  fracasso?  —  Cos'è  —  Dov'è?  — 
Cni  è  ?  » 

«  Come,  chi  è?  disse  Ambrogio,  tenendo  con  una  mano 
un  battente  deUa  porta,  e,  con  l'altra  il  lembo  di  quel 
tale  arnese,  che  s'era  messo  così  in  fretta:  «  come!  non 
lo  sapete?  gente  in  casa  del  signor  curato.  Animo,  fi- 
gliuoli: aiuto.  »  Si  voltan  tulli  a  quella  casa,  vi  s'avvi- 
cinano in  folla,  guardano  in  su,  stanno  in  orecchi:  tutto 
quieto.  Altri  corrono  dalla  parto  dove  c'(!ra  1'  uscio:  è 
chiuso,  e  non  par  che  sia  stato  toccato.  Guardano  in  su 
anche  loro:  non  c'è  una  finestra  aperta:  non  si  sente 
uno  zitto. 

«  Chi  è  là  dentro?  —  Ohe,  ohe!  —  Signor  curato!  — 
Signor  curalo!  » 

Dou  Abbondio,  il  quale  appena  accortosi  della  fuga 
degl'invasori,  s'era  ritiralo  dalla  finestra,  e  l'aveva  ri- 
chiusa, e  che  in  questo  momento  stava  a  bisticciar  sot- 
tovoce con  Perpetua,  che  l'aveva  lascialo  solo  iti  (jiiel- 
r  imbroglio,  dovette,  (|uando  si  sentì  chiamare  a  voce  di 
popolo,  venir  di  nuovo  alla  finestra:  e  \islo  (pici  gran 
soccorso,  si  [lentì  (VaNerlo  cliieslo. 

VOI..  I.  7 


146  I  PROMESSI  SPOSI 

«  Cos'è  stato?  —  Clic  le  hanno  fallo?  —  Clii  sono 
costoro?  —  Dove  sono?  »  gli  veniva  gridalo  da  cinquanta 
voci  a  un  tratto. 

«  Non  c'è  più  nessuno:  vi  ringrazio:  tornate  pure  a 
casa.  » 

«  Ma  chi  è  sialo?  —  Dove  sono  andati?  —  Che  è 
accaduto?  » 

«  Cattiva  gente,  gente  che  gira  di  notte  ;  ma  sono  fug- 
giti: tornate  a  casa;  non  c'è  più  niente:  un'altra  volta, 
figliuoli:  vi  ringrazio  del  vostro  huon  cuore,  »  E  detto 
questo,  si  ritirò,  e  chiuse  la  finestra.  Qui  alcuni  comin- 
ciarono a  brontolare,  altri  a  canzonare,  altri  a  sagrare  : 
altri  si  stringevan  nelle  spalle,  e  se  n'andavano:  quando 
arriva  uno  tutto  trafelato,  che  stentava  a  formar  le  pa- 
role. Stava  costui  di  casa  quasi  dirimpetto  alle  nostre 
danne ,  ed  essendosi,  al  rumore,  affacciato  alla  finestra, 
aveva  veduto  nel  cortiletto  quello  scompiglio  de'  bravi , 
quando  il  Griso  s'affannava  a  raccoglierli.  Quand'ebbe 
ripreso  fiato,  gridò  :  «  che  fate  qui,  figliuoli?  non  e  qui 
il  diavolo  ;  è  giù  in  fondo  alla  strada,  alla  casa  d'Agnese 
Mondella:  gente  armata;  son  dentro;  par  che  vogliano 
ammazzare  un  pellegrino;  chi  sa  che  diavolo  c'è!  » 

«  Che?  —  Che?  —  Che?  »  E  comincia  una  consulta 
tumultuosa.  «  Bisogna  andare.  —  Bisogna  vedere.  — 
Quanti  sono?  —  Quanti  siamo?  —  Chi  sono  ?  —  Il  con- 
sole I  il  console  I  » 

«  Son  qui,  »   risponde  il  console,  di  mezzo  alla  folla 
t  son  qui,  ma  bisogna  aiutarmi,  bisogna  ubbidire.  Presto 
dov'è  il  sagrestano  ?  Alla  campana,  alla  campana.  Presto 
uno  che   corra  a  Lecco  a  cercar  soccorso  :  venite  qui 
tutti ....  » 

Chi  accorre ,  chi  sguizza  tra  uomo  e  uomo ,  e  se  la 
batte;  il  tumulto  era  grande,  quando  arriva  un  altro, 
che  gli  aveva  veduti  partire  in  fretta,  e  grida  :  «  correte, 
figliuoli:  ladri,  o  banditi  che  scappano  con  un  pelle- 
grino :  son  già  fuori  del  paese  :  addosso  !  addosso  !  »  A 
quest'avviso,  senza  aspellar  gli  ordini  del  capitano,  si 


CAPITOLO  Vili.  147 

movono  in  massa ,  e  giù  alla  rinfusa  per  la  strada  :  di 
mano  in  mano  che  l'esercito  s'  avanza ,  qualclieduno  di 
quei  della  vanguardia  rallenta  il  passo,  si  lascia  sopra- 
vanzare, e  si  ficca  nel  corpo  di  battaglia  :  gli  ultimi  spin- 
gono innanzi  :  lo  sciame  confuso  giunge  finalmente  al 
luogo  indicato.  Le  tracce  dell'  invasione  eran  fresche  e 
manifeste:  l'uscio  spalancato,  la  serratura  sconficcata; 
ma  gì'  invasori  erano  spariti.  S'  entra  nel  cortile;  si  va 
all'uscio  del  terreno:  aperto  e  sconficcalo  anche  quello: 
si  chiama:  «Agnese!  Lucia!  Il  pellegrino!  Dov'è  il  pel- 
legrino? L'avrà  sognato  Stefano,  il  pellegrino.  —  No,  no: 
l'ha  visto  anche  Caiiandrea.  Ohe,  pellegrino!  —  Agnese  I 
Lucia!  »  Nessuno  risponde,  t  Le  hanno  portate  via!  Le 
hanno  portate  via!  »  Ci  fu  allora  di  quelli  che,  alzando 
la  voce,  proposero  d'inseguire  i  rapitori  :  che  era  un'in- 
famità ;  e  sarebbe  una  vergogna  per  il  paese ,  se  ogni 
birbone  potesse  a  man  salva  venire  a  portar  via  le  donne, 
come  il  nibbio  i  pulcini  da  un'aia  deserta.  Nuova  con- 
sulta e  più  tumultuosa  :  ma  uno  (  e  non  si  seppe  mai 
bene  chi  fosse  stato  )  gettò  nella  brigata  una  voce,  che 
Agnese  e  Lucia  s'  eran  messe  in  salvo  in  una  casa.  La 
voce  corse  rapidamente,  ottenne  credenza;  non  si  parlò 
pili  di  dar  la  caccia  ai  fuggitivi;  e  la  brigata  si  spar- 
pagliò, andando  ognuno  a  casa  sua.  Era  un  bisbiglio , 
uno  .strepito,  un  picchiare  e  un  aprir  d'usci ,  un  appa- 
rire e  uno  sparire  di  lucerne,  un  interrogare  di  donne 
dalle  finestre,  un  rispondere  dalla  strada.  Tornata  que- 
sta deserta  e  silenziosa,  i  discorsi  continuaron  nelle  case, 
e  moriron  negli  sbadigli,  per  ricominciar  poi  la  mattina. 
Fatti  però,  non  ce  ne  fu  altri;  se  non  clie,  quella  me- 
desima mattina ,  il  console  stando  nel  suo  campo ,  col 
mento  in  una  mano,  e  il  gomito  appoggiato  sul  manico 
della  vanga  mezza  ficcata  nel  terreno,  e  con  un  piede 
sul  vangile;  stando,  dico,  a  speculare  Ira  se  sui  misteri 
della  notte  passata,  e  sulla  ragion  composta  di  ciò  che 
gli  toccasse  a  fare,  e  di  ciò  che  gli  convenisse  fare,  vide 
venirsi  incontro  due  uomini  d'assai  gagliarda  presenza, 


148  I   PROMESSI  SPOSI 

chiomati  come  due  re  de'  Franchi  della  prima  razza,  e 
somigliantissimi  nel  resto  a  quo'  due  che  cinque  giorni 
prima  avevano  affronlalo  don  Abbondio,  se  pur  non  eian 
que'  medesimi.  Costoro ,  con  un  fare  mcn  cerimoiùoso, 
intimarono  al  console  che  guardasse  bene  di  non  far  de- 
posizione al  podestà  dell'accaduto,  di  non  rispondere  il 
vero,  caso  che  ne  venisse  interrogato,  di  non  ciarlare, 
di  non  fomentar  le  ciarle  de'  villani,  per  quanto  aveva 
cara  la  speranza  di  morir  di  malattia. 

I  nostri  fuggiaschi  camminarono  un  pezzo  di  buon 
trotto,  in  silenzio,  voltandosi ,  ora  1'  uno  ora  l'  altro ,  a 
guardare  se  nessuno  gì' inseguiva,  tutti  in  affanno  per 
la  fatica  della  fuga,  per  il  batticuore  e  per  la  sospen- 
sione in  cui  erano  stati,  per  il  dolore  della  cattiva  riu- 
scita, por  r  apprensione  confusa  del  nuovo  oscuro  peri- 
colo. E  ancor  più  in  affanno  li  teneva  l' incalzare  con- 
tinuo di  que'  rintocchi ,  i  quali ,  quanto ,  per  1'  allonta- 
narsi, venivan  più  fiochi  e  ottusi,  tanto  pareva  che  pren- 
dessero un  non  so  che  di  più  lugubre  e  sinislro.  Final- 
mente cessarono.  I  fuggiaschi  allora ,  trovandosi  in  un 
campo  disabitato,  e  non  sentendo  un  alito  all'intorno, 
rallentarono  il  passo;  e  fu  la  prima  Agnese  che,  ripreso 
fiato ,  ruppe  il  silenzio ,  domandando  a  Renzo  com'  era 
andata,  domandando  a  Menico  cosa  fosse  quel  diavolo  in 
casa.  Renzo  raccontò  brevemente  la  sua  trista  storia;  e 
tutt'  e  tre  si  voltarono  al  fanciullo ,  il  quale  riferì  più 
espressamente  l'avviso  del  patire,  e  racconiò  quello  ch'egli 
stesso  aveva  veduto  e  rischiato,  e  che  pur  troppo  con- 
fermava r  avviso.  Gli  ascoltatori  compresero  più  di  quel 
che  Menico  avesse  saputo  dire:  a  quella  scoperta,  si  sen- 
tiron  rabbrividire  ;  si  fermaron  tutt'  e  tre  a  un  tratto,  si 
guardarono  in  viso  l'un  con  l'altro,  spaventati;  e  subito, 
con  un  movimento  unanime,  tutt' e  tre  posero  una  mano, 
chi  sul  capo,  chi  sulle  spalle  del  ragazzo,  come  per  ac- 
carezzarlo ,  per  ringraziarlo  tacilamenle  che  fosse  stato 
per  loro  un  angelo  tutelare,  per  dimoslrargli  la  compas- 
sione che  sentivano  dell'angoscia  da  lui  solTerta ,  e. del 


CAPITOLO  Vili,  149 

pericolo  corso  per  la  loro  salvezza;  e  quasi  per  chieder- 
gliono  scusa.  «  Ora  torna  a  casa,  perchè  i  (noi  non  ab- 
biano a  star  più  in  pena  per  te,  »  gli  disse  Agnese;  e 
rammentandosi  delle  due  parpagliole  promesse ,  se  ne 
levò  quattro  di  tasca,  e  gliele  diede,  aggiungendo  :  «  ba- 
sta :  prega  il  Signore  clie  ci  rivediamo  presto  :  e  al- 
lora  »  Renzo  gli  diede  una  berlinga  nuova,  e  gli  rac- 
comandò mollo  di  non  dir  nulla  della  commissione  avuta 
dal  frate  :  Lucia  l'accarezzò  di  nuovo,  lo  salutò  con  voce 
accorata;  il  ragazzo  li  salutò  tutti,  intenerito;  e  tornò 
indietro.  Quelli  ripresero  la  loro  strada,  tutti  pensierosi; 
le  donne  innanzi,  e  Renzo  dietro,  come  por  guardia.  Lu- 
cia stava  stretta  al  braccio  della  madre,  e  scansava  dol- 
cemente, e  con  destrezza,  l'aiuto  che  il  giovine  le  offriva 
ne' passi  malagevoli  di  quel  viaggio  fuor  di  strada;  ver- 
gognosa in  se ,  anche  in  un  tale  turbamento ,  d'  esser 
già  stala  tanto  sola  con  lui ,  e  tanto  famigliarmente , 
quando  s'aspettava  di  divenir  sua  moglie,  tra  pochi  mo- 
menti. Ora,  svanito  così  dolorosamente  quel  sogno ,  si 
penliva  d'essere  andata  troppo  avanti,  e,  h-a  tante  ca- 
gioni di  tremare ,  tremava  anche  per  quel  pudore  che 
non  nasce  dalla  trista  scienza  del  male,  per  quel  pudore 
che  ignora  sé  stesso,  somigliante  alla  paura  del  fanciullo, 
che  trema  nelh;  tenel)re,  senza  saper  di  che. 

«  E  la  casa?  »  disse  a  un  tratto  Agnese.  Ma ,  per 
quanto  la  domanda  fosse  importante,  nessuno  rispose, 
perchè  nessuno  poteva  darle  una  risposta  soddisfacente. 
Continuarono  in  silenzio  la  loro  strada,  e  poco  dopo, 
sboccarono  lìnalmenl(!  sulla  piazzetta  davanti  alla  chiesa 
del  convento. 

Renzo  s'affacciò  alla  porta,  e  la  sospinse  bel  bello. 
La  porta  di  fatto  s'aprì;  e  la  luna,  entrando  per  lo  spi- 
raglio, illuminò  la  faccia  pallida,  e  la  barba  d'argento 
del  padre  Cristoforo,  che  slava  quivi  ritto  in  aspettativa. 
Visto  che  non  ci  mancava  nessuno,  «  Dio  sia  benedetto!  » 
disse,  e  fece  lor  cenno  ch'entrassero.  Accanto  a  lui  stava 
un  altro  cappuccino;  ed  era  il  laico  sagrestano,  ch'egli. 


150  I   PROMESSI  SPOSI 

con  preghiere  e  con  ragioni,  aveva  persuaso  a  vegliar 
con  lui,  a  lasciar  socchiusa  la  porta,  e  a  slarci  in  sen- 
tinella, per  accogliere  que'  poveri  minacciali:  e  non  si 
richiedeva  meno  dell' autorilà  del  padre,  e  della  sua  fama 
di  santo,  per  ottener  dal  laico  una  condiscendenza  incomo- 
da, pericolosa  e  irregolare.  Entrati  che  furono,  il  padre  Cri- 
stoforo riaccostò  la  porta  adagio  adagio.  Allora  il  sa- 
grestano non  potè  più  reggere,  e  chiamato  il  padre 
da  una  parte,  gli  andava  susurrando  all'orecchio:   «  ma 

padre,  padre  I  di  notte in  chiesa con  donne  .... 

chiudere la  regola ma  padre  I  »   E  tentennava 

la  testa.  Mentre  diceva  stentatamente  quelle  parole,  — 
vedete  un  pocol  —  pensava  il  padre  Cristoforo,  —  se 
fosse  un  masnadiere  inseguito,  fra  Fazio  non  gli  farehbe 
una  diflicollà  al  mondo:  e  una  povera   hinocente ,  che 

scappa  dagli  artigli  del  lupo —    a  Omnia  mumla 

mundis,  »  disse  poi,  voltandosi  tult'a  un  tratto  a  fra  Fa- 
zio, e  dimenticando  che  questo  non  intendeva  il  latino. 
Ma  una  tale  dimenticanza  fu  appunto  (picUa  che  fece 
r effetto.  Se  il  padre  si  fosse  messo  a  questionare  con 
ragioni,  a  fra  Fazio  non  sarebber  mancate  altre  ragioni 
da  opporre;  e  sa  il  cielo  quando  e  come  la  cosa  sarebbe 
finita.  Ma  al  sentir  quelle  parole  gravide  d'un  senso 
misterioso,  e  proferite  così  risolutamente,  gli  parve  che 
in  quelle  dovesse  contenersi  la  soluzione  di  tulli  i  suoi 
dubbi.  S'acquietò,  e  disse;  i  basta!  lei  ne  sa  più  di  me.  » 
«  Fidatevi  pure,  »  rispose  il  padre  Cristoforo;  e  al- 
l'incerto chiarore  della  lampada  che  ardeva  davanti  all'al- 
tare, s'accostò  ai  ricoverali,  i  quali  stavano  sospesi  aspet- 
tando, e  disse  loro:  «  lìgliuoli!  ringraziate  il  Signore, 
che  v'  ha  scampati  da  un  gran  pericolo.  Forse  in  que- 
sto momento !»   E  qui  si  mise  a  spiegare  ciò  che 

aveva  fatto  accennare  dal  piccol  messo  :  giacche  non 
sospettava  ch'essi  ne  sapesser  più  di  lui,  e  supponeva 
che  Menico  gli  avesse  trovali  tranquilli  in  casa,  prima 
che  arrivassero  i  malandrini.  Nessuno  lo  disingannò , 
nemmeno  Lucia,   la  quale  però  sentiva  un  rimorso  so- 


CAPITOLO  Vili.  iol 

greto  d'una  late  dissimulazione,  con  un  tal  uomo;  ma 
era  la  notte  degl'imbrogli  e  de' sotterfugi. 

«  Dopo  di  ciò,  D  continuò  egli,  «  vedete  bene,  figliuoli, 
che  ora  questo  paese  non  è  sicuro  per  voi.  É  il  vostro; 
ci  siete  nati;  non  avete  fatto  male  a  nessuno;  ma  Dio 
vuol  così.  È  una  prova,  figliuoli:  sopportatela  con  pa- 
zienza, con  fiducia,  senza  odio,  e  siate  sicuri  che  verrà 
un  tempo  in  cui  vi  troverete  contenti  di  ciò  che  ora  ac- 
cade. Io  ho  pensalo  a  trovarvi  un  rifugio,  per  questi  primi 
momenti.  Presto,  io  spero,  potrete  ritornar  sicuri  a  casa 
vostra;  a  ogni  modo,  Dio  vi  provvederà,  per  il  vostro 
meglio;  e  io  certo  mi  studierò  di  non  mancare  alla  gra- 
zia che  mi  fa,  scegliendomi  per  suo  ministro,  nel  ser- 
vizio di  voi  suoi  poveri  cari  tribolati.  Voi,  »  continuò 
volgendosi  alle  due  donne,  «  potrete  fermarvi  a  "  *.  Là 
sarete  abbastanza  fuori  d'ogni  pericolo,  e,  nello  slesso 
tempo,  non  troppo  lontane  da  casa  vostra.  Cercale  del 
nostro  convento,  fate  chiamare  il  padre  guardiano,  da- 
tegli questa  lettera:  sarà  per 'voi  un  altro  fra  Cristoforo. 
E  anche  tu,  il  mio  Renzo,  anche  tu  devi  metterti,  per 
ora,  in  salvo  dalla  rabbia  degli  altri,  e  dalla  tua.  Porta 
questa  lettera  al  padre  Bonaventura  da  Lodi,  nel  nostro 
convento  di  Porta  Orientale  in  Milano.  Egli  ti  farà  da 
padre,  ti  guiderà,  ti  troverà  del  lavoro,  per  fin  che  tu 
non  possa  tornare  a  viver  qui  tranquillamente.  Andate 
alla  riva  del  lago,  vicino  allo  sbocco  del  Bione.  »  È  un 
torrente  a  pochi  passi  da  Pescarenico.  «  Li  vedrete  un 
battello  fermo;  direte:  barca  ;  vi  sarà  domandato  per  chi; 
rispondete:  san  Francesco.  La  barca  vi  riceverà,  vi  tra- 
sporterà alTailra  riva,  dove  troverete  un  baroccio  che  vi 
condurrà  addirittura  lino  a"*.» 

Chi  domandasse  come  fra  Cristoforo  avesse  cosi  su- 
bilo a  sua  disposizione  que  mezzi  di  trasporto,  per  ac- 
qua e  per  terra,  farebbe  vedere  di  non  conoscere  (juai 
fosse  il  potere  d'un  cappuccino  tenuto  in  concetto  di 
santo. 

Reslava  da  pensare  alla  custodia  delle  case.  Il  padre 


152  1  PROMESSI  SPOSI 

ne  ricevellc  le  chiavi,  incaricandosi  di  -conscjrnarle  a 
quelli  che  Renzo  e  Agnese  gì' indicarono.  Quest'ultima, 
levandosi  di  lasca  la  sua,  mise  un  gran  sospiro,  pen- 
sando che,  in  quel  momento,  la  casa  era  aperta,  che 
e'  era  stalo  il  diavolo,  e  chi  sa  cosa  ci  rimaneva  da  cu- 
stodire I 

«  Prima  che  partiate,  »  disse  il  padre,  «  preghiamo 
tutti  insieme  il  Signore,  perchè  sia  con  voi,  in  codesto 
viaggio^  e  sempre;  e  sopra  tutto  vi  dia  forza,  vi  dia 
amore  di  volere  ciò  ch'Egli  ha  voluto.  "  Così  dicendo 
s'inginocchiò  nel  mezzo  della  chiesa;  e  tutti  fecer  lo 
stesso.  Dopo  eh' ebbero  pregato,  alcuni  momenti,  in  si- 
lenzio, il  padre,  con  voce  sommessa ,  ma  distinta ,  arti- 
colò queste  parole  :  «  noi  vi  preghiamo  ancora  per  quel 
poveretto  che  ci  ha  condotti  a  questo  passo.  Noi,  sarem- 
mo indegni  della  vostra  misericordia,  se  non  ve  la  chie- 
dessimo di  cuore  per  lui  •.  ne  ha  tanto  bisogno  !  Noi, 
nella  nostra  tribolazione,  abbiamo  questo  conforto,  che 
siamo  nella  strada  dove  ci  avete  messi  Voi:  possiamo 
offrirvi  i  nostri  guai;  e  diventano  un  guadagno.  Ma 
lui  ! ... .  è  vostro  nemico.  Oh  disgraziato  I  compete  con 
Voi!  Abbiale  pietà  di  lui,  o  Signore,  toccategli  il  cuore, 
rendetelo  vostro  amico,  concedetegli  tutti  i  beni  che  noi 
possiamo  desiderare  a  noi  stessi.  » 

Alzatosi  poi,  come  in  fretta,  disse:  «  via,  figliuoli, 
non  e'  è  tempo  da  perdere:  Dio  vi  guardi,  il  suo  angelo 
v'  accompagni  :  andate.  »  E  mentre  s'  avviavano ,  con 
quella  commozione  che  non  trova  parole,  e  che  si  ma- 
nifesta senza  di  esse,  il  padre  soggiunse,  con  voce  alte- 
rata: «  il  cuor  mi  dice  che  ci  rivedremo  presto.  » 

Certo,  il  cuore,  chi  gli  dà  retta,  ha  sempre  qualche 
cosa  da  dire  su  quello  che  sarà.  Ma  che  sa  il  cuore? 
Appena  un  poco  di  quello  che  è  già  accaduto. 

Senza  aspettar  risposta^  fra  Cristoforo,  andò  verso  la 
sagrestia;  i  viaggiatori  usciron  di  chiesa;  e  fra  Fazio 
chiuse  la  porta,  dando  loi'o  un  addio,  con  la  voce  alte- 
rata anche  lui.  Essi  s'avviarono  zitti  zitti  alla  riva  ch'era 


CAPITOLO  Vili.  153 

stata  loro  indicala;  videro  il  battello  pronto,  e  dala  e 
barattata  la  parola,  c'entrarono.  Il  barcaiolo,  puntando 
un  remo  alla  proda,  se  ne  staccò;  afferrato  poi  1'  altro 
remo,  e  AOgando  a  due  braccia,  prese  il  largo,  verso  la 
spiaggia  opposta.  Non  tirava  un  alito  di  vento;  il  lago 
giaceva  liscio  e  piano,  e  sarebbe  parso  immobile,  se  non 
fosse  stato  il  Iremolare  e  l'  ondeggiar  leggiero  della  lu- 
na, elle  vi  si  speccliiava  da  mezzo  il  cielo.  S'udiva  sol- 
tanto il  fiotto  morto  e  lento  frangersi  sulle  gliiaie  del 
lido,  il  gorgoglìo  più  lontano  dell'  acqua  rotta  tra  le  pile 
del  ponte,  e  il  tonfo  misuralo  di  que'due  remi,  che  ta- 
gliavano la  superficie  azzurra  del  lago,  uscivano  a  un 
colpo  grondanti,  e  si  rituffavano.  L' onda  segata  dalla 
barca,  riunendosi  dietro  la  poppa,  segnava  una  striscia 
increspata,  che  s'andava  allontanando  dal  lido.  I  passeg- 
gieri  silenziosi,  con  la  testa  voltata  indietro,  guardavano 
i  monti,  e  il  paese  riscliiarato  dalla  luna,  e  varialo  qua 
0  là  di  grand' ombre.  Si  distinguevano  i  villaggi,  le 
case,  le  capanne:  il  palazzotto  di  don  Rodrigo,  con  la 
sua  torre  piatta,  elevalo  sopra  le  casucce  ammucchiate 
alla  falda  del  promontorio,  pareva  un  feroce  che,  ritto 
nelle  tenebre,  in  mezzo  a  una  compagnia  d'addormen- 
tali, vegliasse,  meditando  un  delitto.  Lucia  lo  vide,  e 
raliljrividi;  scese  con  l'occhio  giù  giù  per  la  china,  fino 
al  suo  paesello,  guardò  fìsso  all'estremità,  scoprila  sua 
casetta,  scopri  la  chioma  folta  del  fico  che  sopravanzava 
il  muro  del  cortile,  scopri  la  finestra  della  sua  camera; 
e  seduta,  coni' era,  nel  fondo  della  barca,  ]iosò  il  braccio 
sulla  sponda,  posò  sul  braccio  la  fronte,  come  per  dor- 
mire, e  pianse  segretamente. 

Addio,  monti  sorgenti  dall'acque,  ed  elevati  al  cielo; 
cime  inuguali,  note  a  chi  è  cresciuto  tra  voi,  e  impresse 
nella  sua  melile,  non  meno  che  lo  sia  l'aspetto  de' suoi 
più  familiari;  torrenti,  de' ({uali  distingue,  lo  scroscio, 
comi!  il  suono  delle  voci  domestiche;  ville  sparse  e  bian- 
cheggianti sul  pendio,  come  branchi  di  pecore  pascenti; 
addiol  Quanto  ò  tristo  il  passo  di  chi,  cresciuto  tra  voi, 


154  1    PROMESSI    SPOSI 

se  ne  allontana!  Alla  fantasia  di  quello  stesso  che  se  ne 
parte  volontariamente,  tratto  dalla  speranza  di  fare  al- 
trove fortuna,  si  disabbelliscono,  in  quel  momento,  i 
sogni  della  ricchezza;  egli  si  maraviglia  d'essersi  potuto 
risolvere,  e  tornerebbe  allora  indietro,  se  non  pensasse 
che,  un  giorno,  tornerà  dovizioso.  Quanto  più  s'avanza 
nel  piano,  il  suo  occhio  si  ritira,  disgustato  e  stanco,  da 
quell'ampiezza  uniforme;  l'aria  gli  par  gravosa  e  mor- 
ta; s'inoltra  mesto  e  disattento  nelle  città  tumultuose; 
le  case  aggiunte  a  case,  le  strade  che  sboccano  nelle 
strade,  pare  che  gli  levino  il  respiro;  e  davanti  agli 
edifizi  ammirati  dallo  straniero,  pensa,  con  desldti^rio 
inquieto,  al  campicello  del  suo  paese,  alla  casuccia  a  cui 
ha  già  messi  gli  occhi  addosso,  da  gran  tempo,  e  che 
comprerà,  tornando  ricco  a'  suoi  monti. 

Ma  chi  non  aveva  mai  spinto  al  di  là  di  quelli  nep- 
pure un  desiderio  fuggitivo,  chi  aveva  composti  in  essi 
tutti  i  disegni  dell'avvenire,  e  n' è  sbalzato  lontano,  da 
una  forza  perversai  Chi,  staccato  a  un  tempo  dalle  più 
care  abitudini,  e  distui-balo  nelle  più  care  speranze,  la- 
scia que' monti,  per  avviarsi  in  traccia  di  sconosciuti  che 
non  ha  mai  desiderato  di  conoscere,  e  non  può  con 
r  immaginazione  arrivare  a  un  momento  stabilito  per  il 
ritorno!  Addio,  casa  natia,  dove,  sedendo,  con  un  pen- 
siero occulto,  s' imparò  a  distinguere  dal  rumore  de'  passi 
comuni  il  rumore  d'un  passo  aspettato  con  un  misterioso 
timore.  Aildio,  casa  ancora  straniera,  casa  sogguardata 
tante  volte  alla  sfuggita^,  passando,  e  non  senza  rosso- 
re; nella  quale  la  mente  si  figurava  un  soggiorno  tran- 
quillo e  perpetuo  di  sposa.  Addio,  chiesa,  dove  l'animo 
tornò  tante  volte  sereno,  cantando  le  lodi  del  Signore; 
dov'era  promesso,  preparalo  un  rito;  dove  il  sospiro  se- 
greto del  cuore  doveva  essere  solennemente  benedetto, 
e  l'amore  venir  comandato,  e  chiamarsi  santo;  addio! 
Chi  dava  a  voi  tanta  giocondità  è  per  tutto;  e  non  turba 
mai  la  gioia  de' suoi  figli,  se  non  per  prepararne  loro 
una  più  certa  e  più  grande. 


CAPITOLO  Vili.  155 

Di  tal  genere,  se  non  tali  appunto,  erano  i  pensieri 
di  Lucia,  e  poco  diversi  i  pensieri  degli  altri  due  pelle- 
grini, mentre  la  barca  gli  aiida\a  avvicinando  alla  riva 
destra  deli'  Adda. 


CAPITOLO  IX. 


L'urtar  che  fece  la  l)arca  contro  la  proda,  scosse  Lu- 
cia, la  quale,  dopo  aver  asciugate  in  se.^reto  le  lacrime, 
alzò  la  testa,  come  se  si  svegliasse.  Renzo  usci  il  primo, 
e  diede  la  mano  ad  Agnese,  la  quale  uscita  pure,  la 
diede  alla  figlia;  e  tutt'e  tre  resero  tristamente  grazie 
al  barcaiolo.  «  Di  che  cosa?  »  rispose  quello  :  «  siam 
quaggiù  per  aiutarci  l'uno  con  l'altro,  »  e  ritirò  la  ma- 
no, quasi  con  ribrezzo,  come  se  gli  fosse  proposto  di 
rullare,  allorché  Renzo  cercò  di  farvi  sdruc'iolare  una 
parte  de' quattrinelli  che  si  trovava  indosso,  e  che  aveva 
presi  quella  sera,  con  intenzione  di  regalar  generosa- 
mente don  Abbondio,  quando  questo  l'avesse,  suo  mal- 
grado, servilo.  Il  baroccio  era  lì  pronto;  il  conduttore 
salutò  i  tre  aspettati,  li  fece  salire,  diede  una  voce  alla 
bestia,  una  frustata,  e  via. 

Il  nostro  autore  non  descrive  quel  viaggio  notturno, 
tace  il  nome  del  paese  dove  fra  Cristoforo  aveva  indi- 
rizzate le  due  donne;  anzi  protesta  espressamente  di  non 
lo  voler  dire.  Dal  progresso  della  storia  si  rileva  poi  la 
cagione  di  queste  reticenze.  Le  avventure  di  Lucia  in 


I  PROMESSI   SPOSI,   CAPITOLO   IX.  157 

quel  soggiorno,  si  trovano  avviluppate  in  un  intrigo  te- 
nebroso (li  persona  appartenente  a  una  famiglia,  come 
pare,  molto  potente,  al  tempo  che  l'autore  scriveva.  Per 
render  ragione  della  strana  condotta  di  quella  persona, 
nel  caso  particolare,  egli  ha  poi  anche  dovuto  raccon- 
tarne in  succinto  la  vita  antecedente;  e  la  famiglia  ci 
fa  quella  figura  che  vedrà  chi  vorrà  leggere.  Ma  ciò  che 
la  circospezione  del  pover'  uomo  ci  ha  voluto  sottrarre, 
le  nostre  diligenze  ce  V  hanno  fatto  trovare  in  altra 
parte.  Uno  storico  milanese  (*)  che  ha  avuto  a  far  menzio- 
ne di  quella  persona  medesima,  non  nomina,  è  vero,  né 
lei,  né  il  paese;  ma  di  questo  dice  ch'era  un  borgo  an- 
tico e  nobile,  a  cui  di  città  non  mancava  altro  che  il 
nome  ;  dice  altrove,  che  ci  passa  il  Lambro  ;  altrove,  che 
e'  è  un  arciprete.  Dal  riscontro  di  questi  dati  noi  dedu- 
ciamo che  fosse  Monza  senz'altro.  Nel  vasto  tesoro  del- 
l'induzioni erudite  ce  ne  potrà  ben  essere  delle  più  fine, 
ma  delle  più  sicure,  non  crederei.  Potremmo  anche,  so- 
pra congetture  mollo  fondate,  dire  il  nome  della  fami- 
glia ;  ma,  sebbene  sia  estinta  da  un  pezzo,  ci  par  meglio 
lasciarlo  nella  penna,  per  non  metterci  a  rischio  di  far 
torto  neppure  ai  morti,  e  per  lasciare  ai  dotti  qualche 
soggetlo  di  ricerca. 

I  nostri  viaggiatori  arrivaron  dunque  a  Monza,  poco 
dopo  il  levar  del  sole:  il  conduttore  entrò  in  un'oste- 
ria, e  lì,  come  pratico  del  luogo,  e  conoscente  del  pa- 
drone, fece  assegnar  loro  una  stanza,  e  ve  li  accompa- 
gnò. Tra  i  ringraziamenti,  Renzo  tentò  pure  di  fargli 
ricevere  qualche  danaro;  ma  quello,  al  pari  del  barcaiolo, 
aveva  in  mira  un'altra  ricompensa,  più  lontana,  ma  più 
abbondante:  ritirò  le  mani,  anche  lui,  e,  come  fuggendo, 
corse  a  governare  la  sua  bestia. 

Dopo  una  sera  (piale  1' abbiamo  dcscritln,  e  una  notte 
(piale  ognuno  può  inunagiiiai'sela,  passala  in  (■0Hq)agnia 
di  tpie'  pensieri,  col   sospetto  incessanlc  di   ipialiiic   iii- 

(•)  Jusi'iihi  Ripammilii,  nislniia;  l'Mlikf,  ni'ruili.s  V,  I.ili.  ^1,  Ca\i.  Ili, 
pag.  358  el  scq. 


158  1  PROMESSI  SPOSI 

contro  spiacevole,  al  soffio  d'una  hrezzolina  piii  che 
autunnale,  e  tra  le  continue  scosse  della  disapfiata  vettura, 
che  ridestavano  sA'arbalamentc  chi  di  loro  cominciasse 
appena  a  velar  l'occhio,  non  parve  vero  a  tult'e  tre  di 
sedersi  sur  una  panca  che  stava  ferma,  in  una  stanza, 
qualunque  fosse.  Fecero  colazione,  come  permetteva  la 
penuria  de' tempi,  e  i  mezzi  scarsi  in  proporzione  de'con- 
tingenti  bisogni  d'  un  avvenire  incerlo,  e  il  poco  appe- 
tito. A  tutt' e  tre  passò  per  la  mente  U  banchetlo  che, 
due  giorni  prima,  s'aspettavan  di  fare;  e  ciascuno  mise 
un  gran  sospiro.  Renzo  avrebbe  voluto  fermarsi  lì,  al- 
meno tutto  quel  giorno,  veder  le  donne  allogate,  render 
loro  i  primi  servizi  ;  ma  il  padre  aveva  raccomandato  a 
queste  di  mandarlo  subito  per  la  sua  strada.  Addussero 
quindi  esse  e  quegli  ordini,  e  cento  altre  ragioni;  che 
la  gente  ciarlerebbe,  che  la  separazione  più  ritardata 
sarebbe  più  dolorosa,  eh'  egli  potrebbe  venir  presto  a 
dar  nuove  e  a  sentirne  ;  tanto  che  si  risolvette  di  par- 
tire. Si  concerlaron,  come  poterono,  sulla  maniera  di 
rivedersi,  più  presto  che  fosse  possibile.  Lucia  non  na- 
scose le  lacrime  ;  Renzo  trattenne  a  stento  le  sue,  e, 
stringendo  forte  forte  la  mano  a  Agnese,  disse  con  voce 
solTogata:  «  a  rivederci,  »  e  parti. 

Le  donne  si  sarebber  trovate  ben  impicciate,  se  non 
fosse  stato  quel  buon  barocciaio,  che  aveva  ordine  di 
guidarle  al  convento  de' cappuccini,  e  di  dar  loro  ogn' al- 
tro aiuto  che  potesse  bisognare.  S'avviaron  dunque  con 
lui  a  quel  convento;  il  quale,  come  ognun  sa,  era  po- 
chi passi  distante  da  Monza.  Arrivati  alla  porla,  il  con- 
duttore tirò  il  campanello,  fece  chiamare  il  padre  guar- 
diano; questo  venne  subito,  e  ricevette  la  lettera,  sulla 
soglia. 

«  Oh!  fra  Cristoforo!  »  disse,  riconoscendo  il  caratte- 
re. Il  tono  della  voce  e  i  movimenii  del  volto  indicavano 
nianifeslamenle  che  proferiva  il  nome  d'un  grand'amico. 
Convien  poi  dire  che  il  nostro  liuon  Cristoforo  avesse, 
in  quella  lettera,  raccomandate  le  donne  con  molto  calore, 


CAPITOLO   IX.  159 

e  riferito  il  loro  caso  con  mollo  sentimenlo,  perchè  il 
guardiano,  faceva,  di  tanto  in  tanto,  atti  di  sorpresa  e 
d' indeg'nazione;  e,  alzando  gli  occhi  dal  foglio,  li  fis- 
sava sulle  donne  con  una  certa  espressione  di  pietà  e 
d' interesse.  Finito  eh'  ehbe  di  leggere,  stette  lì  alquanto 
a  pensare;  poi  disse:  «  non  c'è  che  la  signora:  se  la 
signora  vuol  prendersi  quest'  impegno » 

Tirata  quindi  Agnese  in  disparte,  sulla  piazza  davanti 
al  convento,  le  fece  alcune  interrogazioni,  alle  quali  essa 
soddisfece;  e,  tornato  verso  Lucia,  disse  a  tutt'e  due: 
«  donne  mie,  io  tenterò;  e  spero  di  potervi  trovare  un 
ricovero  più  che  sicuro,  più  che  onorato,  fin  che  Dio 
non  v'  abbia  provvedute  in  miglior  maniera.  Volete  ve- 
nir con  me?  » 

Le  donne  accennarono  rispettosamente  di  sì;  e  il  frate 
riprese:  «  bene;  io  vi  conduco  subito  al  monastero  della 
signora.  State  però  discoste  da  me  alcuni  passi,  perchè 
la  gente  si  diletta  di  dir  male;  e  Dio  sa  quante  belle 
cbiacchiere  si  farebbero,  se  si  vedesse  il  padre  guardia- 
no per  la  strada,  con  una  bella  giovine con  donne 

voglio  dire,  » 

Così  dicendo,  andò  avanti.  Lucia  arrossì  ;  il  barocciaio 
sorrise,  guardando  Agnese,  la  quale  non  potè  tenersi  di 
non  fare  altrettanto;  e  tutt' e  tre  si  mossero,  ([uando  il 
frate  si  fu  avviato;  e  gli  andaron  dietro,  dieci  passi 
discosto.  Le  donne  allora  domandarono  al  barocciaio,.  ciò 
clie  non  avevano  osato  al  padre  guardiano,  chi  fosse  la 
signora. 

a  La  signora,  »  rispose  quello,  t  è  una  monaca  ;  ma 
non  è  una  monaca  come  1'  altre.  Non  è  che  si;i  la  ba- 
dessa, né  la  priora;  che  anzi,  a  quel  che  dicono,  è  una 
delle  più  giovani  :  ma  è  della  costola  d' Adamo  ;  e  i 
suoi  del  tempo  antico  erano  gente  grande,  venuta  di 
Spagna,  dove  son  quelli  che  comandano;  e  per  questo 
la  cbianiano  la  signora,  per  dire  eh' è  una  gran  signo- 
l'a  ;  e  tulio  il  paese  la  cbiania  con  quel  nome,  perchè 
dicono   rlic   in    (|nt'l    monastero    non    banno   a\nlo   mai 


160  I    PROMESSI   SPOSI 

una  persona  simile  ;  e  i  suoi  d' adesso,  laggiù  a  Milano, 
conlan  mollo,  e  son  di  f[iicUi  che  liaiino  sempre  ragio- 
ne ;  e  in  Monza  anche  di  più,  perchè  suo  padre,  quan- 
tunque non  ci  stia,  è  il  primo  del  paese;  onde  anche 
lei  può  far  alto  e  basso  nel  monastero;  e  anche  la  gente 
di  fuori  le  porta  un  gran  rispello;  e  quando  prende 
un  impegno,  le  riesce  anche  di  spuntarlo;  e  perciò,  se 
quel  buon  religioso  lì,  ottiene  di  mettervi  nelle  sue  ma- 
ni, e  che  lei  v'  accetti,  vi  posso  dire  che  sarete  sicure 
come  suir  altare.  » 

Quando  fu  vicino  alla  porta  del  borgo,  fiancheggiata 
allora  da  un  antico  torracchione  mezzo  rovinato,  e  da 
un  pezzo  di  castellacelo^  diroccato  anch'  esso,  che  forse 
dieci  de'  miei  lettori  possono  ancor  rammentarsi  d'  aver 
veduto  in  piedi,  il  guardiano  si  fermò,  e  si  voltò  a  guar- 
dare se  gli  altri  venivano  ;  quindi  entrò,  e  s' avviò  al 
monastero  ;  dove  arrivato,  si  fermò  di  nuovo  sulla  so- 
glia, aspettando  la  piccola  brigala.  Pregò  il  barocciaio 
che,  tra  un  par  d'  ore,  tornasse  da  lui,  a  prender  la  ri- 
sposta :  questo  lo  promise,  e  sì  licenziò  dalle  donne,  che 
lo  caricaron  di  ringraziamenti,  e  di  commissioni  per  il 
padre  Cristoforo.  Il  guardiano  fece  entrare  la  madre  e 
la  figlia  nel  primo  cortile  del  monastero,  le  introdusse 
neUe  camere  della  fattoressa  ;  e  andò  solo  a  chieder  la 
grazia.  Dopo  qualche  tempo,  ricomparve  giulivo,  a  dir 
loro  che  venissero  avanti  con  lui  ;  ed  era  ora,  perchè  la 
figlia  e  la  madre  non  sapevan  più  come  fare  a  distri- 
garsi dall'  interrogazioni  pressanli  della  fatloressa.  Attra- 
versando un  secondo  cortile,  diede  qualche  avvertimento 
alle  donne,  sul  modo  di  portarsi,  con  la  signora.  «  É 
ben  disposta  per  voi  altre,  »  disse,  «  e  vi  può  far  del 
bene  quanto  vuole.  Siale  umili  e  rispettose,  rispondete 
con  sincerità  alle  domande  che  le  piacerà  di  farvi,  e 
(piando  non  siete  interrogate,  lasciate  fare  a  me.  »  En- 
trarono in  una  stanza  lerrena,  dalla  quale  si  passava 
nel  parlatorio  :  prima  di  mettervi  il  piede,  il  guardiano, 
accennando  l'uscio,  disse  sottovoce  alle  donne:  «  è  qui,  » 


CAPITOLO   IX.  1^1 

come  per  rammentar  loro  lutti  quegli  avvertimenti.  Lu- 
cia, che  non  aveva  mai  visto  un  monastero,  quando  fu 
nel  parlaljorio,  guardò  in  giro  dove  fosse  la  signora  a 
cui  fare  il  suo  inchino,  e,  non  iscorgendo  persona,  stava 
come  incantala  ;  quando,  visto  il  padre  e  Agnese  andar 
verso  un  angolo,  guardò  da  quella  parte,  e  vide  una  fi- 
nestra d'  una  forma  singolare,  con  due  grosse  e  fìtte 
grate  di  ferro,  distanti  l'una  dall'altra  un  palmo;  e  die- 
tro quelle  una  monaca  ritta.  Il  suo  aspetto,  che  poteva 
dimostrar  venticinque  anni,  faceva  a  prima  vista  un'  im- 
pressione di  hellezza,  ma  d'  una  bellezza  sbattuta,  sfio- 
rita e,  direi  quasi,  scomposta.  Un  velo  nero,  sospeso  e 
stirato  orizzontalmente  sulla  testa,  cadeva  dalle  due  parti, 
discosto  alquanto  dal  viso:  sotto  il  velo,  una  bianchissi- 
ma benda  di  lino  cingeva,  fino  al  mezzo  una  fronte  di 
diversa,  ma  non  d' inferiore  bianchezza  ;  un'altra  benda 
a  pieghe  circondava  il  viso,  e  terminava  sotto  il  mento 
in  un  soggolo,  che  si  stendeva  alquanto  sul  petto,  a  co- 
prire lo  scollo  d'  un  nero  saio.  Ma  quella  fronte  si  rag- 
grinzava spesso,  come  per  una  contrazione  dolorosa  ;  e 
allora  due  sopraccigli  neri  si  ravvicinavano,  con  un  ra- 
pido movimento.  Due  occhi,  neri  neri  anch'essi,  si  fissava- 
no talora  in  viso  alle  persone,  con  un'  investigazione  super- 
ba; talora  si  chinavano  in  fretta,  come  per  cercare  un 
nascondiglio  ;  in  certi  momenti,  un  attento  osservatore 
avrebbe  argomentato  che  chiedessero  affetto,  corrispon- 
denza, pietà;  altre  volte  avrebbe  creduto  coglierci  la  ri- 
velazione islanlanea  d'  un  odio  inveterato  e  compresso, 
un  non  so  clie  di  minaccioso  e  di  feroce:  quando  resta- 
vano immobili  e  fìssi  senza  attenzione,  chi  ci  avrebbe 
immaginata  una  svogliatezza  orgogliosa,  chi  avrebbe  po- 
tuto sospettarci  il  travaglio  d'un  pensiero  nascosto,  d'una 
preoccupazione  familiare  all'  animo ,  e  più  forte  su 
quello  che  gli  oggelli  circoslanli.  Le  gole  pallidissime 
scendevano  con  un  contorno  delicalo  e  grazioso,  ma  al- 
terato e  reso  mancante  da  una  lenta  estenuazione.  Le 
labbra,  quantiin(iue  appena  tinte  d'un  roseo  sbiadilo, 

VOL.  I.  7* 


162  I  PROMESSI  SPOSI 

pure,  spiccavano  in  quel  pallore  :  i  loro  moli  erano,  ro- 
me quelli  degli  ocelli,  subitanei,  vivi,  pieni  d'espressione 
e  di  mistero.  La  grandezza  ben  formala  della  persona 
scompariva  in  un  certo  abbandono  del  portamento,  o 
compariva  sfigurata  in  certe  mosse  repentine,  irregolari 
e  troppo  risolute  per  una  donna,  non  che  per  una  mo- 
naca. Nel  vestire  stesso  e'  era  qua  e  là  qualcosa  di  stu- 
diato 0  di  negletto,  che  annunziava  una  monaca  singolare: 
la  vita  era  attillata  con  una  certa  cura  secolan.'sca,  e 
dalla  benda  usciva  sur  una  tempia  una  cioccheltina  di 
neri  capelli  ;  cosa  che  dimostrava  o  dimenticanza  o  di- 
sprezzo della  regola  che  prescriveva  di  tenerli  sempre 
corti,  da  quando  erano  stati  tagliali,  nella  cerimonia  so- 
lenne del  vestimento. 

Queste  cose  non  facevano  specie  alle  due  donne,  non 
esercitate  a  distinguer  monaca  da  monaca  :  e  il  padre 
guardiano,  che  non  vedeva  la  signora  per  la  prima 
volta,  era  gicà  avvezzo,  come  tant'  altri,  a  quel  non  so 
che  di  strano,  che  appariva  nella  sua  persona,  come 
nelle  sue  maniere. 

Era  essa  in  quel  momento,  come  abbiam  detto,  ritta 
vicino  alla  grata,  con  una  mano  appoggiata  languida- 
mente a  quella,  e  le  bianchissime  dita  intrecciate  ne' 
vóti  ;  e  guardava  fìsso  Lucia,  che  veniva  avanti  esitando. 
«  Reverenda  madre,  e  signora   illustrissima,  »  disse  il 
guardiano,  a  capo  basso,  e  con  la  mano  al  petto:  »  que- 
sta è  quella  povera  giovine,  per  la  quale  m' ha  fatto 
sperare  la  sua  valida  protezione:  e  questa  è  la  madre.  » 
Le  due  presentate  facevano  grand' inchini:  la  signora 
accennò  loro  con  la  mano,  che  bastava,  e  disse,  voltan- 
dosi al  padre:   «  è  una  fortuna  per  me  il  poter  fare  un 
piacere  a' nostri  buoni  amici  i  padri  cappuccini.  Ma,  » 
continuò,   «  mi  dica  un  po'  più  particolarmente  il  caso 
di  questa  giovine,  per  veder  meglio  cosa  si  possa  fare 
per  lei.  » 

Lucia  diventò  rossa,  e  abbassò  la  testa. 

a  Deve  sapere ,  reverenda  madre »  incominciava 


CAPITOLO  IX.  163 

Agnese;  ma  il  giiardiano  le  troncò,  con  un'occhiaia  le 
parole  in  bocca,  e  rispose:  «  questa  giovine,  signora  il- 
lustrissima, mi  vien  raccomandata,  come  le  ho  detto,  da 
un  mio  confratello.  Essa  ha  dovuto  partir  di  nascosto 
dal  suo  paese,  per  sottrarsi  a  de'  gravi  pericoli;  e  ha 
bisogno,  per  qualche  tempo,  d'un  asilo  nel  quale  possa 
vivere  sconosciuta,  e  dove  nessuno  ardisca  venire  a  di- 
sturbarla, quand' anche  ....  » 

«  Quali  pericoli?  »  interruppe  la  signora.  «  Di  gra- 
zia, padre  guardiano,  non  mi  dica  la  cosa  cos'i  in  enimma. 
Lei  sa  che  noi  altre  monache,  ci  piace  di  sentir  le  sto- 
rie per  minuto.  » 

«  Sono  pericoU,  D  rispose  U  guardiano,  «che  all' orec- 
chie purissime  della  reverenda  madre  devon  essere  ap- 
pena leggermente  accennati » 

«  Oh  certamente,  »  dissc^  in  fretta  la  signora,  arros- 
sendo alquanto.  Era  verecondia?  Chi  avesse  osservata 
una  rapida  espressione  di  dispetto  che  accompagnava 
quel  rossore,  avrebbe  potuto  dubitarne;  e  tanto  più  se 
l'avesse  paragonato  con  quello  che  di  tanto  in  tanto  si 
spandeva  sulle  gote  di  Lucia. 

«  Basterà  dire,  »  riprese  il  guardiano,  «  che  un  ca- 
valier  prepotente....  non  tutti  i  grandi  del  mondo  si 
servono  dei  doni  di  Dio  a  gloria  sua,  e  in  vantaggio 
del  prossimo,  come  vossignoria  illustrissima:  un  cavalier 
prepotente,  dopo  aver  pcrseguilata  (fualche  tempo  que- 
sta creatura  con  indegne  lusinghe,  vedendo  ch'erano  inu- 
tili, ebbe  cuore  di  pi^seguitarla  apertamente  con  la 
forza,  di  modo  che  la  poveretta  ò  stata  ridotta  a  fuggir 
da  casa  sua.  » 

a  Accostatevi,  quella  giovine,  »  disse  la  signora  a  Lucia, 
facendole  cenno  col  dito.  «  So  che  il  padre  guardiano 
è  la  bocca  della  verità  ;  ma  nessuno  può  esser  meglio 
informalo  di  voi,  in  quesl'  aliare.  Tocca  a  voi  a  dirci  se 
questo  cavaliere  era  un  persecutore  odioso.  »  In  quanto 
all'accostarsi.  Lucia  ubbidì  subilo:  ma  rispondere  era 
un'  altra   faccenda.   Una   domanda   su   (lucila   materia. 


164  I   PROMESSI  SPOSI 

quand'anche  le  fosse  slata  fatta  da  una  persona  sua 
pari,  l'avrebbe  imbrogliata  non  poco:  proferita  da  (piella 
signora,  e  con  una  cercaria  di  dnbi)io  maligno,  le  levò 
ogni  coraggio  a  rispondere,  e  Signora madre  reve- 
renda  »  balbettò,  e  non  dava  segno  d'aver  altro  a 

dire.  Qui  Agnese,  come  quella  che,  dopo  di  lei  era  cer- 
tamente la  meglio  informata,  si  credè  autorizzata  a  ve- 
nirle in  aiuto.  «Illustrissima  signora,  »  disse,  »  io  posso 
far  testimonianza  che  questa  mia  figlia  aveva  in  odio 
quel  cavaliere,  come  il  diavolo  l'acqua  santa:  voglio  dire, 
il  diavolo  era  lui;  ma  mi  perdonerà  se  parlo  male,  [»er- 
chè  noi  Siam  gente  alla  buona.  Il  fatto  sia  che  questa 
povera  ragazza  era  promessa  a  un  giovine  nostro  pari, 
timorato  di  Dio,  e  ben  avviato;  e  se  il  signor  curalo 
fosse  stato  un  po'  più  un  uomo  di  quelli  che  m' intendo 
io so  che  parlo  d' un  religioso,  ma  il  padre  Cristo- 
foro, amico  qui  del  padre  guardiano,  è  religioso  al  par 
di  lui,  e  quello  è  un  uomo  pieno  di  carità,  e,  se  fosse 

qui,  potrebbe  attestare » 

•  Siete  ben  pronta  a  parlare  senz'essere  interrogala,» 
interruppe  la  signora,  con  un  atto  altero  e  iracondo,  che 
la  fece  quasi  parer  brutta.  «  State  zitta  voi:  già  lo  so 
che  i  parenti  hanno  sempre  una  risposta  da  dare  in 
nome  de'  loro  figliuoli!  » 

Agnese  mortificata  diede  a  Lucia  una  occhiata  che 
voleva  dire:  vedi  quel  che  mi  tocca,  per  esser  tu  tanto 
impicciata.  Anche  il  guardiano  accennava  alla  giovine, 
dandole  d'  occhio  e  tentennando  il  capo,  che  quello  era 
il  momento  di  sgranchirsi ,  e  di  non  lasciare  in  secco 
la  povera  mamma. 

«  Reverenda  signora,  »  disse  Lucia,  «  quanto  le  ha 
detto  mia  madre  è  la  pura  verità.  Il  giovine  che  mi  di- 
scorreva, »  e  qui  diventò  rossa  rossa,  «  lo  prendevo  io 
di  mia  volontà.  Mi  scusi  se  parlo  da  sfacciala,  ma  è  per 
non  lasciar  pensar  male  di  mia  madre.  E  in  quanto  a 
quel  signore  (Dio  gli  perdoni  !)  vorrei  piuttosto  morire, 
che  cader  nelle  sue  mani.  E  se  lei  fa  questa  carità 


CAPITOLO   IX.  16^ 

di  metterci  al  sicuro,  giacché  siam  ridotte  a  far  questa 
faccia  di  chieder  ricovero ,  e  ad  incomodare  le  persone 
dabbene;  ma  sia  fatta  la  volontà  di  Dio;  sia  certa,  si- 
gnora, che  nessuno  potrà  pregare  per  lei  più  di  cuore 
che  noi  povere  donne.  » 

«  A  voi  credo,  s  disse  la  signora  con  voce  raddolcita. 
«  Ma  avrò  piacere  di  sentirvi  da  solo  a  solo.  Non  che 
abbia  bisogno  d'altri  schiarinienli,  nò  d'altri  molivi, 
per  servire  alle  premure  del  padre  guardiano,  »  aggiunse 
subilo,  rivolgendosi  a  lui,  con  una  compitezza  sludiata. 
«  Anzi,  »  continuò,  i  ci  ho  già  pensalo;  ed  ecco  ciò 
che  mi  pare  di  poler  far  di  meglio,  per  ora.  La  fatto- 
ressa  del  monastero  ha  maritata,  pochi  giorni  sono,  l' ul- 
tima sua  figliuola.  Queste  donne  polranno  occupar  la 
camera  lasciata  in  libertà  da  quella,  e  supplire  a  que' 
pochi  servizi  che  faceva  lei.  Veramente »  e  qui  ac- 
cennò al  guardiano  che  s'avvicinasse  alla  grata,  e  con- 
tinuò sottovoce:  «  veramente.,  altera  la  scarsezza  del- 
l'annate, non  si  pensava  di  sostituir  nessuno  a  quella 
giovine;  ma  parlerò  io  alla  madre  badessa,  e  una  mia 
parola  ....  e  per  una  premura  del  padre  guardiano  .... 
In  somma  do  la  cosa  per  fatta.  » 

Il  guardiano  cominciava  a  ringraziare,  ma  la  signora 
l'interruppe:  *  non  occorron  cerimonie:  anch'io,  in  un 
caso,  in  un  bisogno,  saprei  far  capitale  dell'assistenza 
de'  padri  cappuccini.  Alla  fine,  »  continuò,  con  un  sor- 
riso, nel  ([uale  traspariva  un  non  so  che  d'ironico  (^  d'a- 
maro,   «  alla  fine,  non  siam  noi  fratelli  e  sorelle'?» 

Così  dello,  chiamò  una  conversa,  (due  di  queste  erano, 
per  una  distinzione  singolare,  assegnate  al  suo  servizio 
privato)  e  le  ordinò  che  avvertisse  di  ciò  la  badessa,  e 
prendesse  poi  i  concerti  opportuni,  con  la  faltoressa  e 
con  Agnese.  Licenziò  questa,  accommiatò  il  guai'diano, 
ritenne  Lucia.  Il  guardiano  accom])agnò  Agnese  alla  [)orta, 
dandole  nuove  istruzioni,  e  se  n'andò  a  scriver  la  let- 
tera di  ragguaglio  all'  amico  Cristoforo.  —  Gran  cervel- 
lino che  ò  questa  signora!  —  pensava  tra  se,  per  la  strada: 


166  1   PROMESSI  SPOSI 

curiosa  davvero!  Ma  chi  la  sa  prendere  p3r  il  suo  verso, 
le  fa  far  ciò  che  vuole.  Il  mio  Cristoforo  non  s' aspcllerà 
C{>r(amenlc  eli' io  l'ahbia  servito  cosi  presto  e  bene.  Quel 
hrav'uomo!  non  c'è  rimedio:  bisogna  clie  si  prenda  sem- 
pre qualche  impegno;  ma  lo  fa  per  bene.  Buon  per  lui 
questa  volta,  che  ha  trovato  un  amico,  il  quale,  senza 
tanto  strepito,  senza  tanto  apparato,  senza  tante  faccende, 
ha  condotto  l'affare  a  buon  porto,  in  un  batter  d'oc- 
chio. Sarà  contento  quel  buon  Gristofoì-o,  e  s'accorgerà 
che  anche  noi  qui,  slam  buoni  a  qualche  cosa. 

La  signora,  che,  aUa  presenza  d'un  provetto  cappuc- 
cino, aveva  studiati  gli  atti  e  le  parole,  rimasta  poi  sola 
con  una  giovine  contadina  inesperta ,  non  pensava  più 
tanto  a  contenersi;  e  i  suoi  discorsi  divennero  a  poco 
a  poco  così  strani,  che,  in  vece  di  riferirli,  noi  crediam 
più  opportuno  di  raccontar  brevemente  la  storia  ante- 
cedente di  questa  infelice;  quel  tanto  cioè  che  basti  a 
render  ragione  dell'  insolito  e  del  misterioso  che  abbiam 
veduto  in  lei,  e  a  far  comprendere  i  motivi  della  sua  con- 
dotta in  quello  che  avvenne  dopo. 

Era  essa  l'ultima  figlia  del  principe'*',  gran  gen- 
tiluomo milanese,  che  poteva  contarsi  tra  i  più  doviziosi 
della  città.  Ma  l'alta  opinione  che  aveva  del  suo  titolo 
gli  faceva  parer  le  sue  sostanze  appena  suthcienti,  anzi 
scarse,  a  sostenerne  il  decoro;  e  tutto  il  suo  pensiero 
era  di  conservarle,  almeno  quali  erano,  unite  in  per- 
petuo ,  per  quanto  dipendeva  da  lui.  Quanti  figliuoli 
avesse,  la  storia  non  lo  dice  espressamente;  fa  solamente 
intendere  che  aveva  destinati  al  chiostro  tutti  i  cadetti 
dell'uno  e  deir altro  sesso,  per  lasciare  intatta  la  sostanza 
al  primogenito,  destinato  a  conservar  la  famiglia,  a  pro- 
crear cioè  de'  figliuoli,  per  tormentarsi  a  tormentarli 
nella  stessa  maniera.  La  nostra  infelice  era  ancor  nasco- 
sta nel  ventre  della  madre,  che  la  sua  condizione  era 
già  irrevocabilmente  stabilita.  Rimaneva  soltanto  da  de- 
cidersi se  sarebbe  un  monaco  o  una  monaca;  decisione 
per  la  quale  faceva  hisogno  non  il  suo  consenso,  ma  la 


CAPITOLO  IX.  167 

sua  presenza.  Quando  venne  alla  luce;  il  principe  suo 
padre,  voleiulo   darle  un  nome  che  risvegliasse  imme- 
diatamonle  l'idea  del  chiostro,  e  che  fosse  stato  portato 
da  una  santa  d'aUi  natali,  la  chiamò  Gertrude.  Bamhole 
vestite  da  monaca  furono  i  primi  balocchi  che  le  si  die- 
dero in  mano;  poi  santini  che  rappresentavan  monache; 
e  que'  regali  eran  sempre  accompagnati  con  gran  rac- 
comandazioni di  tenerli  ben  di  conto,  come  co:=;a  preziosa, 
e  con  rpiell' interrogare  atTermativo:  «bello  eh?»  Quando 
il  principe,  o  la  principessa  o  il  principino,  che  solo  de' 
maschi  veniva  allevato  in  casa,  volevano  lodar  l'aspetto 
prospero  della  fanciullina,  pareva  che  non  trovasser  modo 
d'esprimer  bene  la  loro  idea,   se  non  con  le  parole: 
«  che  madre  badessa!  "   Nessuno  però  le  disse  mai  di- 
rettamente: tu  devi  farti  monaca.  Era  un'idea  sottintesa 
e  toccata  incidentemente,  in. ogni  discorso  che  riguar- 
dasse i  suoi  destini  futuri.  Se  qualche  volta  la  Gertru- 
dina  trascorreva  a  qualche  atto  un  po'  arrogante  e  im- 
perioso, al  che  la  sua  indole  la  portava  molto  facilmente, 
«  tu  sei  una  ragazzina,  ».  le  si  diceva:   «  queste  maniere 
non  ti  convengono:  quando  sarai  madre  badessa,  allora 
comanderai  a  bacchetta,   farai  alto  e  basso.  »   Qualche 
altra  volta  il  principe,  riprendendola  di  cert' altre  ma- 
niere troppo  libere  e  famigliari  alle  quali  essa  trascor- 
reva con  uguale  facilità,  «  ehii  ehi!»  le  diceva;  «non 
è  questo  il  fare  d'una  par  tua:  se  vuoi  che  un  giorno 
ti  si  porti  il  rispetto  che  ti  sarà  dovuto,  impara  fin  d'ora 
a  star  sopra  di  te:  ricordati  che  tu  devi  essere,  in  ogni 
cosa,  la  prima  del  monastero:  perchè  il  sangue  si  porta 
per  tutto  dove  si  va.  » 

Tutte  le  parole  di  questo  genere  stampavano  nel  cer- 
vello della  fanciullina  l' idea  che  già  lei  doveva  esser 
monaca;  ma  quelle  che  venivan  dalla  bocca  del  padre, 
facevan  più  elTetto  di  Inde  rallrc  insieme.  Il  contegno 
del  principe  era  abitualmcnle  (jnello  d'un  padrone  au- 
stero; ma  quando  si  trattava  dello  stalo  futuro  de' suoi 
figli ,  dal  suo  volto  e  da  ogni  sua  parola   traspariva 


168  I   PROMESSI   SPOSI 

un'immobilità  di  risoluzione,  un'ombrosa  gelosia  di  co- 
mando, che  imprimeva  il  senlimenlo  d'una  Decessila 
fatale. 

A  sei  anni,  Gertrude  fu  collocala,  per  educazione  e 
ancor  più  per  istradamento  alla  vocazione  impostale,  nel 
monastero  dove  1'  abbiamo  veduta  :  e  la  scelta  del  luogo 
non  fu  senza  disegno.  Il  buon  conduttore  delle  due 
donne  ha  detto  che  il  padre  della  signora  era  il  primo 
in  Monza:  e,  accozzando,  questa  qualsisia  testimonianza 
con  alcune  altre  indicazioni  che  l'  anonimo  lascia  scap- 
pare sbadatamente  qua  e  là,  noi  potremmo  anche  asse- 
rire che  fosse  il  feudatario  di  quel  paese.  Comunque  sia, 
vi  godeva  d'  una  grandissima  autorità  ;  e  pensò  che  lì, 
meglio  che  altrove,  la  sua  figlia  sarebbe  trattata  con 
quelle  distinzioni  e  con  quelle  finezze  che  potesser  più 
allettarla  a  scegliere  quel  monastero  per  sua  perpetua 
dimora.  Nò  s'ingannava:  la  badessa  e  alcune  allre  mo- 
nache faccendiere,  che  avevano,  come  si  suol  dire,  il 
mestolo  in  mano,  esultarono  nel  vedersi  offerto  il  pegno 
d'  una  protezione  tanto  utile  in  ogni  occorrenza,  tanto 
gloriosa  in  ogni  momento  ;  accettaron  la  proposta,  con 
espressioni  di  riconoscenza,  non  esagerate  per  quanto 
fossero  forti  ;  e  corrisposero  pienamente  all'  intenzioni 
che  il  principe  aveva  lasciate  trasparire  sul  collocamento 
slabile  della  figliuola:  intenzioni  che  andavan  così  d'ac- 
cordo con  le  loro.  Gertrude,  appena  entrata  nel  mona- 
stero, fu  chiamata  per  antonomasia  la  signorina  ;  posto 
distinto  a  tavola,  nel  dormitorio;  la  sua  condotta  propo- 
sta all'altre  per  esemplare;  chicche  e  carezze  senza  fi- 
ne, e  condite  con  quella  famigliarità  un  po'  rispetlosa, 
che  tanto  adesca  i  fanciulli,  quando  la  trovano  in  coloro 
che  vedon  tratiare  gii  altri  fanciulli  con  un  contegno 
abituale  di  superiorità.  Non  che  tutte  le  monache  fossero 
congiurale  a  tirar  la  poverina  nel  laccio  :  ce  n'  eran 
molte  delle  semplici  e  lontane  da  ogni  intrigo,  alle  quali 
il  pensiero  di  sacrificare  una  figlia  a  mire  interessate 
avrebbe  fatto  ribrezzo  ;  ma  queste,  tutte  attente  alle  loro 


CAPITOLO  IX.  169 

occupazioni  particolari,  parte  non  s'  accorgevan  bene  di 
lutti  que'  maneggi,  parte  non  distinguevano  quanto  vi 
fosse  di  cattivo,  parte  s'  astenevano  dal  farvi  sopra  esa- 
me, parte  stavano  zitte,  per  non  fare  scandoli  inutili. 
Qualcheduna  anche  rammentandosi  d' essere  stata,  con 
simili  arti,  condotta  a  quello  di  cui  s'era  pentita  poi, 
sentiva  compassione  della  povera  innocentina,  e  si  sfo- 
gava col  farle  carezze  tenere  e  malinconiche:  ma  questa 
era  ben  lontana  dal  sospettare  che  ci  fosse  sotto  miste- 
ro ;  e  la  faccenda  camminava.  Sarebbe  forse  camminata 
così  fino  alla  fine,  se  Gertrude  fosse  stata  la  sola  ragazza 
in  quel  monastero.  Ma,  tra  le  sue  compagne  d'  educa- 
zione, ce  n'  erano  alcune  che  sapevano  d' esser  destinate 
al  matrimonio.  Gertrudina,  nudrita  nelle  idee  della  sua 
superiorità,  parlava  magnificamente  de'  suoi  destini  fu- 
turi di  badessa,  di  principessa  del  monastero,  voleva  a 
ogni  conto  esser  per  le  altre  un  soggetto  d' invidia  ;  e 
vedeva  con  maraviglia  e  con  dispetto,  che  alcune  di 
quelle  non  ne  sentivano  punto.  All'  immagini  maestose, 
ma  circoscritte  e  fredde,  che  può  somministrare  il  pri- 
mato in  un  monastero,  contrapponevan  esse  le  immagini 
varie  e  luccicanti,  di  nozze,  di  pranzi,  di  conversazioni, 
di  festini,  come  dicevano  allora,  di  villeggiature,  di  ve- 
stili, di  carrozze.  Queste  immagini  cagionarono  nel  cer- 
vello di  Gertrude  quel  movimento,  quel  nrulichìo  che 
produrrebl)e  un  gran  paniere  di  fiori  appena  colti,  messo 
davanti  a  un  alveare.  I  parenti  e  l' educatrici  avevan 
coltivata  e  accresciuta  in  lei  la  vanità  naturale,  per  farle 
piacere  il  chiostro  ;  ma  quando  questa  passione  fu  stuz- 
zicata da  idee  tanto  più  omogenee  ad  essa,  si  gettò  su 
quelle  con  un  ardore  ben  più  vivo  e  più  spontaneo. 
Per  non  restare  al  di  sotto  di  quelle  sue  compagne,  e 
per  condiscendere  nello  stesso  tempo  al  suo  nuovo  ge- 
nio, rispondeva  che,  alla  fin  de'  conti,  nessuno  le  poteva 
mettere  il  velo  in  capo  senza  il  suo  consenso,  che  anche 
lei  poteva  marilarsi,  abilare  un  palazzo,  godersi  il  mon- 
do, e  meglio  di  tutte  loro;  che  lo  poteva,  pur  che  l'avesse 

VOL.   I.  8 


170  I    PROMESSI   SPOSI 

volulo,  che  lo  vorrebbe,  che  lo  voleva;  e  lo  voleva  in 
fatti.  L' idea  della  necessità  del  suo  consenso,  idea  che, 
fino  a  quel  tempo,  era  stata  come  inosservata  e  rannic- 
chiata in  un  angolo  della  sua  mente,  si  sviluppò  allora, 
e  si  manifestò,  con  tutta  la  sua  importanza.  Essa  la 
chiamava  ogni  momento  in  suo  aiuto,  per  godersi  più 
tranquillamente  l'immagini  d'  un  avvenire  gradilo.  Dietro 
quest'  iilea  però  ne  compariva  sempre  infallibilmente 
un'  altra  :  che  quel  consenso  si  trattava  di  negarlo  al 
principe  padre,  il  quale  lo  teneva  già,  o  mostrava  di  te- 
nerlo per  dato  ;  e,  a  questa  idea,  l' animo  della  figlia 
era  ben  lontano  dalla  sicurezza  che  ostentavano  le  sue 
parole.  Si  paragonava  allora  con  le  compagne,  eh'  erano 
ben  altrimenti  sicure,  e  provava  per  esse  dolorosamente 
r  invidia  che,  da  principio,  aveva  creduto  di  far  loro 
provare.  Invidiandole,  le  odiava:  talvolta  l'odio  s'esalava 
in  dispetti,  in  isgarbatezze,  in  motti  pungenti  ;  talvolta 
l'uniformità  dell'  inclinazioni  e  delle  speranze  lo  sopiva, 
e  faceva  nascere  un'  intrinsichezza  apparente  e  passeg- 
giera.  Talvolta,  volendo  pure  godersi  intanto  qualche 
cosa  di  reale  e  di  presente,  si  compiaceva  delle  prefe- 
renze che  le  venivano  accordate,  e  faceva  sentire  all'  al- 
tre queUa  sua  superiorità  ;  talvolta,  non  potendo  più 
tollerar  la  solitudine  de'  suoi  timori  e  de'  suoi  desideri, 
andava,  tutta  buona,  in  cerca  di  quelle,  quasi  ad  implo- 
rar benevolenza,  consigli,  coraggio.  Tra  queste  deplora- 
bili guerricciole  con  sé  e  con  gli  altri,  aveva  varcata  la 
puerizia,  e  s' inoltrava  in  quel!'  età  cosi  critica,  nella 
quale  par  che  entri  nell'  animo  quasi  una  potenza  mi- 
steriosa, che  solleva,  adorna,  rinvigorisce  tutte  l'inclina- 
zioni^ tutte  r  idee,  e  qualche  volta  le  trasforma,  o  le 
rivolge  a  un  corso  impreveduto.  Ciò  che  Gertrude  aveva 
fino  allora  più  distintamente  vagheggiato  in  que' sogni 
dell'avvenire,  era  lo  splendore  esterno  e  la  pompa:  un 
non  so  che  di  molle  e  d'afi'etluoso,  che  da  prima  v'era 
diffuso  leggermente  e  come  in  nebbia,  cominciò  allora 
a  spiegarsi  e  a  primeggiare  nelle  sue  fanlasic.  S"  era 


CAPITOLO  IX.  17l 

fatto,  nella  parte  più  riposla  della  mente,  come  uno  splen- 
dido ritiro  :  ivi  si  rifugiava  dagli  oggetti  presenti,  ivi 
accoglieva  certi  personaggi  stranamente  composti  di  con- 
fuse memorie  della  puerizia,  di  quel  poco  che  poteva 
vedere  del  mondo  esteriore,  di  ciò  che  aveva  imparato 
dai  discorsi  delle  compagne  ;  si  tratteneva  con  essi,  par- 
lava loro,  e  si  rispondeva  in  loro  nome;  ivi  dava  ordini, 
e  riceveva  omaggi  d' ogni  genere.  Di  quando  in  quando, 
i  [ìonsicri  della  religione  venivano  a  disturbare  quelle 
feste  brillanti  e  faticose.  Ma  la  religione,  come  l'avevano 
insegnata  alla  nostra  poveretta,  e  come  essa  1'  aveva  ri- 
cevuta, non  bandiva  1'  orgoglio,  anzi  lo  santificava  e  lo 
proponeva  come  un  mezzo  per  ottenere  una  felicità  ter- 
rena. Privata  cosi  della  sua  essenza,  non  era  più  la  re- 
ligione, ma  una  larva  come  V  altre.  NegP  intervalli  in 
cui  questa  larva  prendeva  il* primo  posto,  e  grandeggiava 
nella  fantasia  di  Gertrude,  l'infelice,  sopraffatta  da  ter- 
rori confusi,  e  compresa  da  una  confusa  idea  di  doveri, 
s' immaginava  che  le  sua  ripugnanza  al  chiostro,  e  la 
resistenza  all'insinuazioni  de' suoi  maggiori,  nella  scelta 
dello  stalo,  fossero  una  colpa;  e  prometteva  in  cuor  suo 
d'  espiarla,  chiudendosi  volontariamente  nel  chiostro. 

Era  legge  che  una  giovane  non  potesse  venire  accet- 
lata  monaca,  prima  d'essere  stala  esaminala  da  un 
ecclesiastico,  chiamalo  vicario  delle  monache,  o  da  qual- 
che allro  deputalo  a  ciò,  affinchè  fosse  certo  che  ci 
andava  di  sua  libera  scella  :  e  questo  esame  non  poteva 
aver  luogo,  se  non  un  anno  dopo  eh'  ella  avesse  esposto 
a  quel  vicario  il  suo  desiderio  con  una  supplica  in 
iscritto.  Quelle  monache  che  avevan  preso  il  tristo  inca- 
rico di  far  che  Gertrude  s'obbligasse  per  sempre,  con  la 
minor  possibile  cognizione  di  ciò  che  faceva,  colsero  un 
de' momenti  che  abbiara  detto,  per  farle  trascrivere  e  sotto- 
scrivere una  lai  supplica.  E  a  fine  d'indin'la  i>iii  facilnienle 
a  ciò,  non  mancaron  di  dirle  e  di  riix'Ierlc.  che  linalinente 
era  una  mera  formalilà,  la  quale  (e  (|uesto  era  vero) 
non  poteva  avere  elTicacia,  se  non  da  altri  alti  posteriori, 


172  I   PROMESSI   SPOSI 

che  dipenderebbero  dalla  sua  volontà.  Con  lui  lo  ciò,  la 
supplica  non  era  forse  ancor  giunta  al  suo  destino,  che 
Gertrude  s'  era  già  pentita  d'  averla  sottoscritta.  Si  pen- 
tiva poi  d' essersi  pentita,  passando  cosi  i  giorni  e  i 
mesi  in  un'  incessante  vicenda  di  sentimenti  contrari. 
Tenne  lungo  tempo  nascosto  alle  compagne  quel  passo, 
ora  per  timore  d'  esporre  alle  contraddizioni  una  buona 
risoluzione,  ora  per  vergogna  di  palesare  uno  spropo- 
sito. Vinse  finalmente  il  desiderio  di  sfogar  l' animo,  e 
d'  accattar  consiglio  e  coraggio.  C  era  un'  altra  legge, 
che  una  giovane  non  fosse  ammessa  a  quell'esame  della 
vocazione,  se  non  dopo  aver  dimorato  almeno  un  mese 
fuori  del  monastero  dove  era  stata  in  educazione.  Era 
già  scorso  l'anno  da  che  la  supplica  era  stata  mandata; 
e  Gertrude  fu  avvertita  che  tra  poco  verrebbe  levata  dal 
monastero,  e  condotta  nella  casa  paterna,  per  rimanervi 
quel  mese,  e  far  tutti  i  passi  necessari  al  compimento 
dell'  opera  che  aveva  di  fatto  cominciala.  Il  principe  e 
il  resto  della  famiglia  tenevano  tutto  ciò  per  certo,  come 
se  fosse  già  avvenuto;  ma  la  giovine  aveva  tutt' altro  in 
testa  :  in  vece  di  far  gli  altri  passi,  pensava  alla  maniera 
di  tirare  indietro  il  primo.  In  tali  angustie,  si  risolvette 
d'  aprirsi  con  una  delle  sue  compagne,  la  più  franca,  e 
pronta  sempre  a  dar  consigli  risoluti.  Questa  suggerì  a 
Gertrude  d' informar  con  una  lettera  il  padre  della  sua 
nuova  risoluzione  ;  giacché  non  le  bastava  1'  animo  di 
spiai lellargli  sul  viso  un  bravo:  non  voglio.  E  perchè 
i  pareri  gratuiti,  in  c^uesto  mondo,  son  mollo  rari,  la 
consigliera  fece  pagar  questo  a  Gertrude,  con  tante  beffe 
sulla  sue  dappocaggine.  La  lettera  fu  concertata  tra  quat- 
tro 0  cinque  confidenti,  scritta  di  nascosto,  e  fatta  rica- 
pitare per  via  d'  artifizi  molto  studiali.  Gertrude  stava 
con  griind'  ansietà,  aspettando  una  risposta  che  non  ven- 
ne mai.  Se  non  che,  alcuni  giorni  dopo,  la  badessa,  la 
fece  venir  nella  sua  cella,  e,  con  un  conlegno  di  mi- 
stero, di  disgusto  e  di  compassione,  le  diede  un  cenno 
oscuro  d' una  gran  collera  del  principe,  e  d' un  fallo 


CAPITOLO  IX.  173 

eh'  ella  doveva  aver  commesso,  lasciandole  però  inten- 
dere che,  portandosi  bene,  poteva  sperare  che  tutto  sa- 
rebbe dimenticalo.  La  giovinetta  intese,  e  non  osò  do- 
mandar pili  in  là. 

Venne  finalmeiìle  il  giorno  tanto  temuto  e  bramalo. 
Quantunque  Gertrude  sapesse  che  andava  a  un  combat- 
timento, pure  r  uscir  di  monastero,  il  lasciar  quelle 
mura  nelle  quali  era  stata  ott'  anni  rinchiusa,  lo  scor- 
rere in  carrozza  per  l' aperta  campagna,  il  riveder  la 
città,  la  casa,  furon  sensazioni  piene  d'  una  gioia  tumul- 
tuosa. In  quanto  al  comljattimento,  la  poveretta,  con  la 
direzione  di  quelle  confidenti,  aveva  già  prese  le  sue 
misure,  e  fatto,  com'  ora  si  direbbe,  il  suo  piano.  —  0 
mi  vorranno  forzare,  —  pensava,  —  e  io  starò  dura:  sarò 
umile,  rispcllosa,  ma  non  acconsentirò:  non  si  tratta 
che  di  non  dire  un  altro  sì  ;  e  non  lo  dirò.  Ovvero  mi 
prenderanno  con  le  jjuone  ;  e  io  sarò  più  buona  di  lo- 
ro ;  piangerò,  pregherò,  li  moverò  a  compassione  :  final- 
mente non  pretendo  altro  che  di  non  esser  sacrificata, 
—  Ma,  come  accade  spesso  di  simili  previdenze,  non 
avvenne  né  una  cosa  nò  l' altra.  I  giorni  passavano, 
senza  che  il  padre  nò  altri  le  parlasse  della  supplica, 
nò  della  ritrattazione,  senza  che  le  venisse  fatta  propo- 
sta nessuna,  ne  con  carezze,  né  con  minacce.  I  parenti 
eran  seri,  tristi,  burberi  con  lei,  senza  mai  dirne  il  per- 
chè. Si  vedeva  solamente  die  la  riguardavano  come  una 
rea,  come  un'  indegna  :  un  anatema  misterioso  pareva 
che  pesasse  sopra  di  lei,  e  la  segregasse  dalla  famiglia, 
lasciandovela  soltanto  unita  quanto  bisognava  per  farle 
sentire  la  sua  suggezione.  Di  rado,  e  solo  a  certe  ore 
stabilite,  (ira  ammessa  alla  compagnia  de' parenti  e  del 
primogenito.  Tra  loro  tre  pareva  che  regnasse  una  gran 
confidenza,  la  (piale  rendeva  piii  sensibile  e  più  doloroso 
l'abbandono  in  cui  era  lasciata  Gertrude.  N(;ssuno  le 
rivolgeva  il  discorso;  e  quando  essa  arriscbiava  tiniida- 
mente  qnalcbe  i)arola,  d\c  non  fosse  per  cosa  iKH'cssaria, 
0  non  attaccava,  o  veniva  corrisposta  con  uno  sguardo 


ìli  l   PKOMESSI   SPOSI 

distratto,  o  sprezzante,  o  severo.  Che  se,  non  polendo 
più  soffrire  una  così  amara  e  iimilianle  disiinzionc.  itt 
sisteva,  e  tentava  di  famigliari  zzarsi  ;  se  implorava  nn 
po'  d'amore,  si  sentiva  sul lilo  toccare,  in  maniera  indi- 
retta ma  chiara,  quel  taslo  della  scelta  dello  stalo  ;  le 
si  faceva  copertamente  sentire  che  c'era  un  mezzo  di 
riacquistar  1'  affetto  della  famiglia.  Allora  Gertrude,  che 
non  l'avrebbe  voluto  a  quella  condizione,  era  costretta 
di  ritirarsi  indietro,  di  rifiutar  quasi  i  primi  segni  di 
benevolenza  che  aveva  tanto  desiderati,  di  rimettersi  da 
sé  al  suo  posto  di  scomunicata  ;  e  per  di  più.  vi  rima- 
neva con  una  certa  apparenza  del  torto. 

Tali  sensazioni  d'oggetti  presenti  facevano  un  contra- 
sto doloroso  con  quelle  ridenti  visioni  delle  quali  Ger- 
trude s'era  già  tanto  occupata,  e  s'occupava  tuttavia,  nel 
segreto  della  sua  mente.  Aveva  sperato  che,  nella  splen- 
dida e  frequentata  casa  paterna,  avrebbe  potuto  godere 
almeno  qualche  saggio  reale  delle  cose  immaginate;  ma 
si  trovò  del  tutto  ingannata.  La  clausura  era  stretta  e 
intera^  come  nel  monastero;  d'  andare  a  spasso  non  si 
parlava  neppure;  e  un  coretto  che,  dalla  casa,  guardava 
in  una  chiesa  contigua,  toglieva  anche  l'unica  necessità 
che  ci  sarabbe  stata  d'uscire.  La  compagnia  era  più  trista, 
più  scarsa,  meno  variata  che  nel  monastero.  A  ogni  an- 
nunzio d'una  visita,  Gertrude  doveva  salire  all'ultimo 
piano,  per  chiudersi  con  alcune  vecchie  donne  di  servi- 
zio :  e  lì  anche  desinava,  quando  c'era  invito.  I  servi- 
tori s'uniformavano,  nelle  maniere  e  ne' discorsi^  all'e- 
sempio e  all'intenzioni  de'  padroni:  e  Gertrude,  che, 
per  sua  inclinazione,  avrebbe  voluto  trattarli  con  una  fa- 
migliarità signonle,  e  che,  nello  stalo  in  cui  si  trovava, 
avrebbe  avuto  di  grazia  che  le  facessero  qualche  dimo- 
strazione d'affetto,  come  a  una  loro  pari,  e  scendeva  an- 
che a  mendicarne,  rimaneva  poi  umiliata',  e  sempre  più 
afflitta  di  vedersi  corrisposta  con  una  noncuranza  mani- 
festa, benché  accompagnata  da  un  leggiero  osseipiio  di 
formalità.  Dovette  però  accorgersi  che  un  paggio ,  ben 


CAPITOLO   IX.  175 

livorso  da  coloro,  le  porlava  un  rispetto,  e  sentiva  per 
lei  una  compassione  d'un  genere  particolare.  Il  contegno 
di  quel  ragazzotlo  era  ciò  che  Gertrude  aveva  fino  allora 
visto  di  più  somigliante  a  cpiell'ordine  di  cose  tanto  con- 
templato nella  sua  immaginativa,  al  contegno  di  quelle 
sue  creature  ideali.  A  poco  a  poco  si  scoprì  un  non  so 
che  (li  nuovo  nelle  maniere  della  giovinetta  :  una  tran- 
cpiiUità  e  un'  inquietudine  diversa  dalla  solila;,  un  fare 
di  chi  ha  trovato  qualche  cosa  che  gli  preme,  che  vor- 
rehbe  guardare  ogni  momento,  e  non  lasciar  vedere  agli 
altri.  Le  furon  tenuti  gli  occhi  addosso  più  che  mai:  che 
è  che  non  è,  una  mattina,  fu  sorpresa  da  una  di  quelle 
cameriere,  mentre  stava  piegando  alla  sfuggita  una  caria, 
sulla  quale  avrebbe  fatto  meglio  a  non  iscriver  nulla. 
Dopo  un  breve  tira  tira,  la  carta  rimase  nelle  mani  della 
cameriera,  e  da  queste  passò  in  quelle  del  principe. 

Il  terrore  di  Gertrude^  al  rumor  de'  passi  di  lui,  non 
si  può  descrivere  nò  immaginare  :  era  quel  padre ,  era 
irritalo ,  e  lei  si  sentiva  colpevole.  Ma  quando  lo  vide 
comparire,  con  quel  cipiglio,  con  quella  carta  in  mano, 
avrebbe  voluto  esser  cento  braccia  sotto  terra,  non  che 
in  un  chiostro.  Le  parole  non  furon  molle,  ma  terribUi  : 
il  gastigo  intimato  subito  non  fu  che  d'esser  rinchiusa 
in  quella  camera,  sotto  la  guardia  della  donna  che  aveva 
fatta  la  scoperta  ;  ma  questo  non  era  che  un  principio, 
che  un  ripiego  del  momento;  si  prometteva,  si  lasciava 
vedere  per  aria,  un  altro  gastigo  oscuro^  indeterminato, 
e  quindi  più  spaventoso. 

Il  paggio  fu  subilo  sfraltato,  com'era  naturale;  e  fu 
minacciato  anche  a  lui  qualcosa  di  terribile,  se,  in  qua- 
lunque tempo ,  avesse  osato  lìatar  nulla  dell'  avvenuto. 
Nel  fargli  questa  intimazione ,  il  principe  gli  appoggiò 
due  solenni  schiarii,  per  associare  a  queir  avventura  un 
ricordo ,  che  togliesse  al  ragazzaccio  ogni  lenlazion  di 
vantarsene.  Un  pretesto  qualunque,  per  coonestare  la  li- 
cenza data  a  un  paggio,  non  era  difficile  a  trovarsi:  in 
quanto  alla  figlia  si  disse  ch'era  incomodala. 


i76  1   PROMESSI   SPOSI 

Rimase  essa  adunque  col  batticuore,  con  la  vergogna, 
col  rimorso,  col  terrore  deir  avvenire,  e  con  la  sola  com- 
pagnia di  quella  donna  odiala  da  lei,  come  il  testimo- 
nio della  sua  colpa,  e  la  cagione  della  sua  disgra/.ia. 
Costei  odiava  poi  a  vicenda  Gertrude ,  per  la  qua/e  si 
trovava  ridotta,  senza  saper  per  quanto  tempo,  alla  vita 
noiosa  di  carceriera,  e  divenuta  per  sempre  custode  d'un 
segreto  pericoloso. 

Il  primo  confuso  tumulto  di  que'  sentimenti  s'acquietò 
a  poco  a  poco  ;  ma  tornando  essi  poi  a  uno  per  volta 
nell'animo,  vi  s'ingrandivano,  e  si  fermavano  a  tormen- 
tarlo più  distiniamenie  e  a  bell'agio.  Clic  poteva  mai  es- 
ser quella  punizione  minacciala  in  enimma?  Molte  e  va- 
rie e  strane  se  ne  affacciavano  alla  fantasia  ardente  e 
inesperta  di  Gertrude.  Quella  cbe  pareva  più  probabile, 
era  di  venir  ricondotta  al  monastero  di  Monza ,  di  ri- 
comparirvi, non  più  come  la  signorina,  ma  in  forma  di 
colpevole^  e  di  starvi  rincbiusa,  cbi  sa  fino  a  quando! 
obi  sa  con  quali  trattameidi!  Ciò  cbe  una  tale  immagi- 
nazione, tutta  piena  di  dolori ,  aveva  forse  di  più  dolo- 
roso per  lei,  era  l'apprensione  della  vergogna.  Le  frasi, 
le  parole,  le  virgole  di  quel  foglio  sciagurato^  passavano 
e  ripassavano  nella  sua  memoria  :  le  immaginava  osser- 
vate, pesate  da  un  lettore  tanto  impreveduto ,  tanto  di- 
verso da  quello  a  cui  eran  destinate  ;  si  figurava  cbe 
avesser  potuto  cader  sotto  gli  ocelli  ancbe  della  madre 
0  del  fratello,  o  di  cbi  sa  altri  :  e ,  al  paragon  di  ciò , 
tutto  il  rimanente  le  pareva  quasi  un  nulla.  L' immagine 
di  colui  cb' era  slato  la  prima  origine  di  tutto  lo  scan- 
dolo,  non  lasciava  di  venire  spesso  ancb'essa  ad  infestar 
la  povera  rincbiusa:  e  pensate  cbe  strana  comparsa  do- 
veva far  quel  fantasma,  tra  quegli  altri  così  diversi  da 
lui,  seri,  freddi,  minacciosi.  Ma,  appunlo  perdio  non  po- 
teva separarlo  da  essi,  nò  tornare  un  momento  a  quelle 
fuggitive  compiacenze,  senza  cbe  subito  non  le  s'  allac- 
ciassero i  dolori  presenti  che  n'  erano  la  conseguenza , 
cominciò  a  poco  a  poco  a  tornarci  più  di  rado,  a  rispin- 


CAPITOLO  IX.  177 

geme  la  rimembranza,  a  divezzarsene.  Ne  più  a  lungo, 
0  più  volentieri ,  si  fermava  in  quelle  liete  e  brillanti 
fantasie  d"una  volta  :  eran  Iroppo  opposte  alle  circostanze 
reali,  a  ogni  probabilità  dell'avvenire.  Il  solo  castello 
nel  quale  Gertrude  potesse  immaginare  un  rifugio  tran- 
quillo e  onorevole,  e  che  non  fosse  in  aria,  era  il  mo- 
nastero, quando  si  risolvesse  d'entrarci  per  sempre.  Una 
tal  risoluzione  (non  poteva  dubitarne)  avrebbe  accomo- 
dalo ogni  cosa ,  saldato  ogni  debito ,  e  camliiata  in  un 
attimo  la  sua  situazione.  Contro  questo  proposilo  insor- 
gevano, è  vero,  i  pensieri  di  tutta  la  sua  vita:  ma  i 
tempi  eran  mutati  ;  e,  nell'  abisso  in  cui  Gertrude  era 
caduta,  e  al  paragone  di  ciò  che  poteva  temere  in  certi 
momenti,  la  condizione  di  monaca  festeggiata,  ossequiala, 
ubbidita,  le  pareva  uno  zuccherino.  Due  sentimenti  di 
ben  diverso  genere  contribuivan  pure  a  intervalli  a  sce- 
mare quella  sua  antica  avversione  :  talvolta  il  rimorso 
del  fallo,  e  una  tenerezza  fantastica  di  divozione;  tal- 
volta r  orgoglio  amareggiato  e  irritalo  dalle  maniere 
della  carceriera,  la  quale  (spesso,  a  dire  il  vero,  provo- 
cata da  lei  )  si  vendicava ,  ora  facendole  paura  di  quel 
minacciato  gastigo,  ora  svergognandola  del  fallo.  Quando 
poi  voleva  moslrarsi  benigna,  prendeva  un  tono  di  pro- 
lezione ,  più  odioso  ancora  dell'  insulto.  In  tali  diverse 
occasioni,  il  desiderio  che  Gertrude  sentiva  d'uscir  dal- 
l'unghie di  colei,  e  di  comparirle  in  uno  stato  al  di  so- 
pra della  sua  collera  e  della  sua  pietà,  questo  desiderio 
abituale  diveniva  tanto  vivo  e  pungente,  da  far  parere 
amabile  ogni  cosa  che  potesse  condurre  ad  apjìagarlo. 

In  capo  a  quattro  o  cinque  lunghi  giorni  di  prigio- 
nia, una  mattina,  Gertrude  stuccala  e  invelenita  all'ec- 
cesso, per  un  di  que'  dispelli  della  sua  guardiana,  andò 
a  cacciarsi  in  un  angolo  della  camera,  e  li,  con  la  fac- 
cia nascosta  tra  le  mani,  stette  qualche  tempo  a  divoi'ar 
la  sua  rabbia.  Senti  allora  un  bisogno  pi'epotenle  di  ve- 
dere altri  visi,  di  sentire  altre  parole,  d'esser  trattata 
diversamente.  Pensò  al  padre,  alla  famiglia:  il  pensiero 


Ì78  1    PROMESSI   SPOSI,   CAPITOLO    IX. 

se  ne  arretrava  spaviìiilalo.  Ma  le  venne  in  mente  che 
dipendeva  da  lei  di  trovare  in  loro  degli  amici;  e  provò 
una  gioia  improvvisa.  Dietro  rpiesta ,  una  confusione  e 
un  pentimento  straordinario  del  suo  fallo,  e  un  ugual 
desiderio  d'  espiarlo.  Non  già  che  la  sua  volontà  si  fer- 
masse in  quel  proponimento,  ma  giammai  non  c'era  en- 
trata con  tanto  ardore.  S'alzò  di  lì,  andò  a  un  tavolino, 
riprese  quella  penna  fatale ,  e  scrisse  al  padre  una  let- 
tera piena  d'entusiasmo  e  d'abbattimento,  d'afdizionc  e 
di  speranza .  implorando  il  perdono ,  e  mostrandosi  in- 
determinatamente pronta  a  tutto  ciò  che  potesse  piacere 
a  chi  doveva  accordarlo. 


CAPITOLO  X. 


Vi  son  (lo'momenli  in  cui  l'animo,  parlicolarmenlc 
de'  giovani,  è  disposto  in  maniera  che  ogni  poco  d'istanza 
basta  a  ottenerne  ogni  cosa  che  a])bia  un'apparenza  di 
bene  e  di  sacrifizio  :  come  un  flore  appena  sbocciato , 
s'  abbandona  mollemente  sul  suo  fragile  stelo,  pronto  a 
concedere  le  sue  fragranze  alla  prim' aria  che  gli  aliti 
punto  d'  intorno.  Questi  momenti,  che  si  dovrebbero  da- 
gli altri  ammirare  con  timido  rispetto ,  son  quelli  ap- 
punto che  l'astuzia  interessala  spia  attentamente  e  coglie 
di  volo,  per  legare  una  volontà  che  non  si  guarda. 

Al  legger  quella  lettera,  il  principe  "*' vide  sultilo  lo 
spiraglio  apei'lo  alle  sue  anticlie  e  costanti  mire.  Mandò 
a  dire  a  Gertrude  che  venisse  da  lui  ;  e  aspettandola, 
si  dispose  a  batter  II  ferro,  mentr' era  caldo.  Gertrude 
comparve,  e,  senza  alzar  gli  occhi  in  viso  al  padre,  gli 
si  buttò  in  ginocchioni  davanti,  ed  ebbe  appena  (iato  di 
dire:  «  perdono!  »  Egli  le  fece  cenno  che  s'alzasse; 
ma,  con  una  voce  poco  alla  a  rincorare,  le  i-ispose  che 
il  perdono  non  hastava  desiderarlo  né  chiederlo;  ch'era 
cosa   troppo   agevole  e  troppo  naturale  a  chiunque  sia 


180  1   PROMESSI   SPOSI 

trovalo  in  colpa ,  e  tema  la  punizione  ;  che  in  somma 
bisognava  meritarlo.  Gertrude  domandò,  sommessamente 
e  tremando ,  che  cosa  dovesse  fare.  Il  principe  (  non  ci 
regge  il  cuore  di  dargli  in  questo  momento  il  titolo  di 
padre)  non  rispose  diretlamente,  ma  cominciò  a  parlare 
a  lungo  del  fallo  di  Gertrude  :  e  quelle  parole  frizzavano 
sull'animo  della  poveretta,  come  lo  scorrere  d'una  mano 
ruvida  sur  una  ferita.  Continuò  dicendo  ciie,  quand'an- 
che ....  caso  mai che  avesse  avuto  prima  qualche 

intenzione  di  collocarla  nel  secolo ,  lei  stessa  ci  aveva 
messo  ora  un  ostacolo  insuperabile  ;  giacché  a  un  ca- 
valier  d'onore,  com'era  lui,  non  sarebbe  mai  bastato 
l'animo  di  regalare  a  un  galantuomo  una  signorina  che 
aveva  dato  un  sai  saggio  di  se.  La  misera  ascoltatrice 
era  annichilata:  allora  il  principe,  raddolcendo  a  grado 
a  grado  la  voce  e  le  parole,  proseguì  dicendo  che  però 
a  ogni  fallo  c'era  rimedio  e  misericordia  ;  che  il  suo  era 
di  quelli  per  i  quali  il  rimedio  è  più  chiaramente  indi- 
cato :  eh'  essa  doveva  vedere,  in  questo  tristo  accidente, 
come  un  avviso  che  la  vita  del  secolo  era  troppo  piena 
di  pericoli  per  lei 

«  Ah  sì  I  »  esclamò  Gertrude,  scossa  dal  timore,  pre- 
parata dalla  vergogna ,  e  mossa  in  quel  punto  da  una 
tenerezza  istantanea. 

«  Ah  I  Io  capite  anche  voi ,  »  riprese  incontanente  il 
principe.  «  Ebbene,  non  si  parli  più  del  passato  :  tutto 
è  cancellato.  Avete  preso  il  solo  partito  onorevole,  con- 
veniente, che  vi  rimanesse;  ma  perchè  l'avete  preso  di 
buona  voglia,  e  con  buona  maniera,  tocca  a  me  a  far- 
velo riuscir  gradito  in  tutto  e  per  tutto  ;  tocca  a  me  a 
farne  tornare  lutto  il  vantaggio  e  tutto  il  merito  sopra 
di  voi.  Ne  prendo  io  la  cura.  »  Così  dicendo,  scosse  un 
campanello  che  slava  sul  tavolino,  e  al  servitore  che  en- 
trò, disse:  «  la  principessa  e  il  principino  subito.  »  E 
seguitò  poi  con  Gertrude  :  «  voglio  metterli  suliilo  a 
parte  della  mia  consolazione  ;  voglio  che  tutti  comincin 
subito  a  trattarvi  come  si  conviene.  Avete  sperimentato 


CAPITOLO  X.  181 

in  parte  il  padre  severo  ;  ma  da  qui  innanzi  proverete 
tutto  il  padre  amoroso.  » 

A  queste  parole,  Gertrude  rimaneva  come  sbalordita. 
Ora  ripensava  come  mai  quel  si  che  le  era  scappato , 
avesse  potuto  significar  tanto ,  ora  cercava  se  ci  fosse 
maniera  di  riprenderlo,  di  ristringerne  il  senso  ;  ma  la 
persuasione  del  principe  pareva  così  intera,  la  sua  gioia 
così  gelosa,  la  benignità  così  condizionata,  che  Gertrude 
non  osò  proferire  una  parola  che  potesse  turbarle  me- 
nomamente. 

Dopo  pochi  momenti,  vennero  i  due  chiamati,  e  ve- 
dendo lì  Gertrude,  la  guardarono  in  viso,  incerti  e  ma- 
ravigliati. Ma  il  principe,  con  un  contegno  lieto  e  amo- 
revole, che  ne  prescriveva  loro  un  somigliante,  «  ecco,  » 
disse,  «  la  pecora  smarrita:  e  sia  questa  l'ultima  parola 
che  richiami  triste  memorie.  Ecco  la  consolazione  della 
famiglia.  Gertrude  non  ha  più  bisogno  di  consigli;  ciò 
che  noi  desideravamo  per  suo  bene ,  l'  ha  voluto  lei  spon- 
taneamente. É  risoluta ,  m'  ha  fatto  intendere  che  è  ri- 
soluta  »   A  questo   passo,   alzò  essa  verso  il  padre 

uno  sguardo  tra  atterrito  e  supplichevole,  come  per  chie- 
dergli che  sospendesse ,  ma  egli  proseguì  francamente  : 
«  che  è  risoluta  di  prendere  il  velo.  » 

«  Brava!  bene!  »  esclamarono,  a  una  voce,  la  madre 
(!  il  figlio,  e  l'uno  dopo  l'altra  abbracciaron  Gertrude; 
la  quale  ricevette  queste  accoglienze  con  lacrime ,  che 
furono  interpretate  per  lacrime  di  consolazione.  Allora 
il  pi'incipe  si  dilTuse  a  spiegar  ciò  che  farebbe  per  ren- 
der lieta  e  splendida  la  sorte;  della  figlia.  Parlò  delle  di- 
stinzioni di  cui  godci'cbbo  nel  monastero  e  nel  paese; 
che,  là  sarebbe  come  una  principessa,  come  la  rai^pre- 
sentante  della  famiglia;  che,  appena  l'età  l'avrebbe  per- 
messo, sarebbe  innalzala  alla  prima  dignilà:  e.  inlanlo, 
non  sarebbe  sogticlla  che  di  nome.  La  pi'incipcssa  e  il 
principino  i'inn()\a\an() ,  ogni  momento,  le  congralida- 
zioni  e  gli  apphiisi.  (iciirndc  ci'a  (•(due  duniinnla  da  nn 
sogno. 


182  I    PROMESSI   SPOSI 

«  Convorrà  poi  fissare  il  giorno,  per  andare  a  Monza, 
a  far  la  richiesla  alla  batlossa,  »  disse  il  principe.  «  Come 
sarà  contenta  !   Vi  so  dire  che  lutto  il  monastero  saprà 

valutar  l'onore  che  Gertrude  gli  fa.  Anzi perche  non 

ci  andiamo  oggi  ?  Gertrude  prenderà  volentieri  un  po' 
d'  aria.  » 

«  Andiamo  pure,  »   disse  la  principessa. 

«  Vo  a  dar  gli  ordini,  »   disse  il  principino. 

«  Ma »   proferì  sommessamente  Gertrude. 

«  Piano,  piano,  »  riprese  il  principe:  «  lasciam  deci- 
dere a  lei  :  forse  oggi  non  si  sente  abbastanza  disposta, 
e  le  piacerebbe  piìi  aspettar  fino  a  domani.  Dite  :  volete 
che  andiamo  oggi  o  domani  ?  » 

«  Domani,  »  rispose,  con  voce  fiacca,  Gertrude  alla 
(juale  pareva  ancora  di  far  qualche  cosa,  prendendo  un 
po'  di  tempo. 

«  Domani,  »  disse  solennemente  il  principe:  «  lia  sta- 
bilito che  si  vada  domani.  Intanto  io  vo  dal  vicario  delle 
monache,  a  fissare  un  giorno  per  l' esame.  »  Detto  fatto, 
il  principe  usci,  e  andò  veramente  (che  non  fu  piccola 
degnazione)  dal  detto  vicario;  e  concertarono  che  verrebbe 
di  lì  a  due  giorni. 

In  tutto  il  resto  di  quella  giornata,  Gertrude  non  ebbe 
un  minuto  di  bene.  Avrebbe  desiderato  riposar  l'animo 
da  tante  commozioni,  lasciar,  per  dir  così,  chiarire  i 
suoi  pensieri,  render  conto  a  se  stessa  di  ciò  che  aveva 
fatto,  di  ciò  che  le  rimaneva  da  fare,  sapere  ciò  che  vo- 
lesse, rallentare  un  momento  quella  macchina  che,  ap- 
pena avviata,  andava  così  precipitosamente  ;  ma  non  ci  fu 
verso.  L'occupazioni  si  succedevano  senza  interruzione, 
s'incastravano  Tuna  con  l'altra.  Subito  dopo  partito  il 
principe,  fu  condotta  nel  galtinetto  della  principessa,  per 
essere,  sotto  la  sua  direzione,  pettinata  e  rivestita  dalla 
sua  propria  cameriera.  Non  era  ancor  terminato  di  dar 
l'ultima  mano,  che  furon  avvertite  ch'era  in  tavola. 
Gertrude  passò  in  mezzo  agi' inchini  della  servitù,  che 
accennava   di  congratularsi  i)er  la  guarigione,  e  trovò 


CAPITOLO  X.  183 

alcuni  parenti  più  prossimi,  ch'erano  stati  invitali  in 
liei  la,  per  farle  onore,  e  per  rallegrarsi  con  lei  de'  due 
felici  avvenimenti ,  la  ricuperata  salute ,  e  la  spiegala 
vocazione. 

La  sposina,  (così  si  chiamavan  le  giovani  monacande, 
e  Gertrude,  al  suo  apparire,  fu  da  tutti  salutata  con  quel 
nome),  la  sposina  ebbe  da  dire  e  da  fare  a  rispondere 
n  complimenti  die  le  fioccavan  da  tutte  le  parti.  Sen- 
tiva bene  che  ognuna  delle  sue  risposte  era  come  un'ac- 
cettazione e  una  conferma;  ma  come  rispondere  diver- 
samente? Poco  dopo  alzati  da  tavola,  venne  l'ora  della 
I rollata.  Gertrude  entrò  in  carrozza  con  la  madre,  e  con 
due  zii  ch'erano  stali  al  pranzo.  Dopo  un  solito  giro, 
si  riuscì  alla  strada  Marina,  che  allora  attraversava  lo 
spazio  occupato  ora  dal  giardin  pubblico,  ed  era  il  luogo 
dove  i  signori  venivano  in  carrozza  a  ricreai'si  delle  fa- 
I ielle  della  giornata.  Gli  zii  parlarono  anche  a  Gertrude, 
come  portava  la  convenienza  in  quel  giorno:  e  uno  di 
loro,  il  qual  pareva  che,  più  dell'altro,  conoscesse  ogni 
livrea,  e  aveva  ogni  momento  qualcosa  da  dire  del  si- 
gnor tale  e  della  signora  tal  altra,  si  voltò  a  lei  tuli' a 
un  tratto,  e  le  disse:  «  ah  furbelta!  voi  date  un  calcio 
a  tutte  queste  corbellerie;  siete  una  dirittona  voi;  pian- 
tate negl'impicci  noi  poveri  mondani,  vi  ritirate  a  fare 
una  vita  beala,  e  andate  in  paradiso  in  carrozza.  » 

Sul  tardi,  si  tornò  a  casa;  e  i  servitori,  scendendo 
in  fretta  con  lo  torce,  avvertirono  che  molle  ^isile  sla- 
\ano  aspettando.  La  voce  era  corsa;  e  i  parenti  e  gli 
amici  venivano  a  fare  il  loro  dovere.  S'entrò  nella  sala 
della  conversazione.  La  sposina  ne  fu  l' idolo,  il  trastullo, 
la  vittima.  Ognuno  la  voleva  per  sé:  chi  si  faceva  i)ro- 
nielter  dolci,  chi  prometteva  visite,  chi  parlava  della  ma- 
dre tale  sua  parente,  chi  della  madre  lai  altra  sua 
conoscente,  chi  lodava  il  cielo  di  31onza,  chi  iliscorrcva, 
con  gran  sapore,  della  gran  figura  ch'essa  avrebbe  falla 
là.  Altri,  che  non  avevan  polulo  ancora  avvicinarsi  a 
Gertrude  cosi  assediala,  stavano  spiando  l'occasione  di 


184  I   PROMESSI  SPOSI 

farsi  innanzi,  e  sentivano  un  certo  rimorso,  fin  che 
non  avessero  fallo  il  loro  dovere.  A  poco  a  poco,  la  com- 
pagnia s'andò  dileguando;  lutti  se  n'andarono  senza  ri- 
morso, e  Gertrude  rimase  sola  co'  genitori  e  il  fratello. 

«  Finalmente,  »  disse  il  principe,  «  ho  avuto  la  con- 
solazione di  veder  mia  figlia  trattata  da  i)ar  sua.  Biso- 
gna però  confessare  che  anche  lei  s'è  portala  henone, 
e  ha  fallo  vedere  che  non  sarà  impicciata  a  far  la  pri- 
ma figura,  e  a  sostenere  il  decoro  della  famiglia.  » 

Si  cenò  in  fretta,  per  ritirarsi  subito,  ed  esser  pronti 
preslo  la  mattina  seguente. 

Gerlrude  contrislala,  indispettita  e,  nello  stesso  tempo, 
un  po'  gonfiala  da  lutti  que'  complimenti,  si  rammentò 
in  quel  punto  ciò  che  aveva  patito  dalla  sua  carceriera; 
e,  vedendo  il  padre  così  disposto  a  compiacerla  in  tutto, 
fuor  che  in  una  cosa,  volle  aprofiltare  dell'  auge  in  cui 
si  trovava,  per  acquietare  almeno  una  delle  passioni  che 
la  tormentavano.  Mostrò  quindi  una  gran  ripugnanza 
a  trovarsi  con  colei,  lagnandosi  fortemente  delle  sue 
maniere. 

«  Come!  »  disse  il  principe:  «  v'ha  mancato  di  ri- 
spetto colei!  Domani,  domani,  le  laverò  il  capo  come  va. 
Lasciale  fare  a  me,  che  le  farò  conoscere  chi  è  lei,  e 
chi  siete  voi.  E  a  ogni  modo,  una  figlia  della  quale  io 
son  contento,  non  deve  vedersi  intorno  una  persona  che 
le  dispiaccia.  »  Così  dello,  fece  chiamare  un'  altra  donna, 
e  le  ordinò  di  servir  Gertrude;  la  quale  intanto,  masti- 
cando e  assaporando  la  soddisfazione  che  aveva  ricevuta, 
si  stupiva  di  trovarci  così  poco  sugo,  in  paragone  del 
desiderio  che  n'aveva  avuto.  Ciò  che,  anche  suo  mal- 
grado, s'impossessava  di  tutto  il  suo  animo,  era  il  sen- 
timento de' gran  progressi  che  aveva  fatti,  in  quella  gior- 
nata, sulla  strada  del  chiostro,  il  pensiero  che  a  ritirar- 
sene ora  ci  vorrebbe  molta  piìi  forza  e  risolutezza  di 
quella  elio  sarebbe  bastala  pochi  giorni  prima ,  e  che 
pure  non  s'era  sentita  d'avere. 

La  donna  che  andò  ad  accompagnarla  in  camera,  era 


CAPITOLO  X.  185 

una  vecchia  di  casa,  stata  già  governante  del  principino, 
elio  aveva  ricevuto  appena  uscito  dalle  fasce,  e  tirato  su 
fino  all'adolescenza,  e  nel  quale  aveva  riposte  tutte  le 
sue  compiacenze,  le  sue  speranze,  la  sua  gloria.  Era  essa 
contenta  della  decisione  fatta  in  quel  giorno,  come  d'una 
sua  propria  fortuna;  e  Gertrude,  per  ultimo  divertimento, 
dovette  succiarsi  le  congratulazioni,  le  lodi,  i  consigli  della 
vecchia,  e  sentir  parlare  di  certe  sue  zie  e  prozie,  le  quali 
s'eran  trovate  ben  contente  d'esser  monache,  perchè, 
essendo  di  quella  casa,  avevan  sempre  goduto  i  primi 
onori,  avevan  sempre  saputo  tenere  uno  zampino  di  fuori, 
e,  dal  loro  parlatorio,  avevano  ottenuto  cose  che  le  più 
gran  dame,  nelle  loro  sale,  non  c'eran  potute  arrivare. 
Le  parlò  delle  visite  che  avrebbe  ricevute:  un  giorno 
poi,  verrebbe  il  signor  principino  con  la  sua  sposa ,  la 
quale  doveva  esser  certamente  una  gran  signorona;  e 
allora,  non  solo  il  monastero,  ma  tutto  il  paese  sarebbe 
in  moto.  La  vecchia  aveva  parlalo  mentre  spogliava  Ger* 
trude,  quando  Gertrude  era  a  letto;  parlava  ancora,  che 
Gertrude  dormiva.  La  giovinezza  e  la  fatica  erano  state 
più  forti  de'  pensieri.  Il  sonno  fu  affannoso,  torbido,  pieno 
di  sogni  penosi,  ma  non  fu  rotto  che  dalla  voce  stril- 
lante della  vecchia,  che  venne  a  svegliarla,  perchè  si 
preparasse  per  la  gita  di  Monza. 

«  Andiamo,  andiamo,  signora  sposina:  è  giorno  fatto; 
e  prima  che  sia  vestita  e  pettinata,  ci  vorrà  un'  ora  al* 
meno.  La  signora  principessa  si  sta  vestendo;  e  l'hanno 
svegliata  qualtr'orc  prima  del  solito.  Il  signor  princi* 
pino  è  già  sceso  alle  scuderie,  poi  è  tornato  su,  ed  è 
all'ordine  per  partire  quando  si  sia.  Vispo  come  una 
lepre,  quel  diavoletto:  mal  è  stato  così  fin  da  bambino; 
e  io  posso  dirlo,  che  l'ho  portato  in  collo.  Maquand'è 
pronto,  non  bisogna  farlo  aspettare,  perchè,  sebbene  sia 
della  miglior  pasta  del  mondo,  allora  s'impazientisce  e 
strepita.  Poveretto!  bisogna  compatirlo:  è  il  suo  natu- 
rale; e  poi  questa  volta  avrebbe  anche  un  po' di  ragione^ 
perchè  s'incomoda  per  lei.  Guai  chi  lo  tocca  in  quo* 


186  1   PROMESSI   SPOSI 

momenti  I  non  lia  riguardo  per  nessuno,  fuorcliò  per  il 
signor  principe.  Ma,  un  giorno,  il  signor  principe,  sarà 
lui;  più  tardi  clic  sia  possibile,  però.  Lesta,  lesta,  si- 
gnorina! Perchè  mi  guarda  COSI  incantata?  A  quest'ora 
dovrebbe  esser  fuor  della  cuccia.  » 

All'immagine  del  principino  impaziente,  lutti  gli  al- 
tri pensieri  che  s'erano  affollati  alla  mente  risvegliata 
di  Gertrude,  si  levaron  subito,  come  uno  stormo  di  pas- 
sere all'apparir  del  nibbio.  Ubbidì,  si  vestì  in  fretta,  si 
lasciò  pettinare,  e  comparve  nella  sala,  dove  i  genitori 
e  il  fratello  eran  radunati.  Fu  fatta  sedere  sur  ujia  se- 
dia a  braccioli ,  e  le  fu  portata  una  chicchera  di  cioc- 
colata: il  che,  a  que'  tempi,  era  quel  che  già  presso  i 
Romani  il  dare  la  veste  virUe. 

Quando  vennero  a  avvertir  ch'era  attaccalo,  il  principe 
tirò  la  figlia  in  disparte,  e  le  disse:  «  orsù,  Gertrude, 
ieri  vi  siete  falla  onore  :  oggi  dovete  superar  voi  mede- 
sima. Si  tratta  di  fare  una  comparsa  solenne  nel  mona- 
stero e  nel   paese   dove  siete   destinata  a  far  la  prima 

figura.  V'aspettano ^  É  inutile  dire  che  il  principe 

aveva  spedito  un  avviso  alla  badessa,  il  giorno  avanti. 
«  V'aspettano,  e  tutti  gU  occhi  saranno  sopra  di  voi. 
Dignità  e  disinvoltura.  La  badessa  vi  domanderà  cosa 
volete:  è  una  formalità.  Potete  rispondere  che  chiedete 
d'essere  ammessa  a  vestir  l'abito  in  quel  monastero, 
dove  siete  stata  educata  così  amorevolmente,  dove  avete 
ricevute  tante  finezze:  che  è  la  pura  verità.  Dile  quelle 
poche  parole,  con  un  fare  sciolto:  che  non  s'avesse  a 
dire  che  v'hanno  imboccata,  e  che  non  sapete  parlare 
da  voi.  Quelle  buone  madri  non  sanno  nulla  dell'ac- 
caduto: e  un  segreto  che  deve  restar  sepolto  nella  fa- 
miglia; e  perciò  non  fate  una  faccia  contrita  e  dub- 
biosa, che  potesse  dar  qualche  sospetto.  Fate  vedere  di 
che  sangue  uscite:  manierosa,  modesta;  ma  ricordatevi 
che,  in  quel  luogo,  fuor  della  famiglia,  non  ci  sarà  nes- 
suno sopra  di  voi.  » 

Senza  aspettar  risposta,  il  principe  si  mosse;  Gertrude, 


CAPITOLO    X.  187 

la  principessa  e  il  principino  lo  seguirono;  scesero  tutti 
lo  scalo,  e  raoiilaroiio  in  carrozza.  Gl'impicci  e  le  noie 
del  mondo,  e  la  vita  beata  del  chiostro,  principalmente 
per  le  giovani  di  sangue  nobilissimo  furono  il  tema  della 
conversazione,  durante  il  tragitto.  Sul  finir  della  strada, 
il  principe  rinnovò  l' istruzioni  alla  figlia,  e  le  ripetè 
più  volte  la  formola  della  risposta.  All'  entrare  in  Monza, 
Gertrude  si  senti  stringere  il  cuore;  ma  la  sua  atten- 
zione fu  attirata  per  un  istante  da  non  so  quali  signori 
che,  fatta  fermar  la  carrozza,  recitarono  non  so  qual  com- 
plimento. Ripreso  il  cammino,  s'andò  quasi  di  passo  al 
monastero,  tra  gli  sguardi  de'  curiosi,  che  accorrevano 
da  tutte  le  parti  sulla  strada.  Al  fermarsi  della  carrozza, 
davanti  a  quelle  mura,  davanti  a  quella  porta,  il  cuore 
si  strinse  ancor  più  a  Gertrude.  Si  smontò  tra  due  ale 
di  popolo,  che  i  servitori  facevano  stare  indietro.  Tutti 
quegli  occhi  addosso  alla  poveretta  l'obbligavano  a  stu- 
diar continuamente  il  suo  contegno:  ma  più  di  tutti 
quelli  insieme,  la  tenevano  in  suggezione  i  due  del  pa- 
dre, a'  quali  essa,  quanlunque  ne  avesse  così  gran  paura, 
non  poteva  lasciar  di  rivolgere  i  suoi ,  ogni  momento. 
E  quegli  occhi  governavano  le  sue  mosse  e  il  suo  volto, 
come  per  mezzo  di  redini  invisibili.  Attraversato  il  primo 
cortile,  s'entrò  in  un  altro,  e  li  si  vide  la  porla  del  chio- 
stro interno ,  spalancata  e  tutta  occupata  da  monache. 
Nella  prima  fila,  la  l)adcssa  circondata  da  anziane;  die- 
tro, altre  monache  alla  rinfusa,  alcune  in  punta  di 
piedi;  in  ultimo  le  converse  ritte  sopra  panchetti.  Si 
vedevan  pure  qua  e  là  luccicare  a  mezz'aria  alcuni 
occhietti,  spuntar  qualche  visino  tra  le  tonache:  eran 
le  più  destre,  e  le  più  coraggiose  tra  l'educande,  che, 
ficcandosi  e  penetrando  tra  monaca  e  monaca,  eran  riu- 
scite a  farsi  un  po'  di  pertugio,  per  vedere  anch'esse 
qualche  cosa.  Da  quella  calca  uscivano  acclamazioni;  si 
vedevan  molte  braccia  dimenarsi,  in  segno  d'accoglienza 
e  di  gioia.  Giunsero  alla  porta;  Gertrude  si  trovò  a  viso 
a  viso  con  la  madre  badessa.  Dopo  i  primi  complimenti, 


188  I   PROMESSI  SPOSI 

que.'^la,  con  una  maniera  tra  il  giulivo  e  il  solenne,  le 
domandò  cosa  desiderasse  in  quel  luogo,  dove  non  c'era 
chi  le  potesse  negar  nulla. 

«  Son  qui ,  »   cominciò  Gertrude;  ma,  al  punto  di 

proferir  le  parole  che  dovevano  decider  quasi  irrevoca- 
bilmente del  suo  destino,  esitò  un  momento,  e  rimase 
con  gli  occhi  fìssi  sulla  folla  che  le  stava  davanti.  Vide, 
in  quel  momento,  una  di  quelle  sue  note  compagne,  che 
la  guardava  con  un'  aria  di  compassione  e  di  malizia 
insieme,  e  pareva  che  dicesse  :  ah  !  la  e'  è  cascata  la  brava. 
Quella  vista,  risvegliando  più  vivi  nell'animo  suo  tutti 
gli  antichi  sentimenti,  le  restituì  anche  un  po'  di  quel 
poco  antico  coraggio:  e  già  stava  cercando  una  risposta 
qualunque,  diversa  da  quella  che  le  era  stala  dettata; 
quando,  alzato  lo  sguardo  alla  faccia  del  padre,  quasi 
per  esprimentar  le  sue  forze,  scorse  su  quella  un"  inquie- 
tudine così  cupa,  un'impazienza  così  minaccevole,  che, 
risoluta  per  paura,  con  la  stessa  prontezza  che  avrebbe 
preso  la  fuga  dinanzi  un  oggetto  terribile,  proseguì  «  son 
qui  a  chiedere  d'esser  ammessa  a  vestir  l'abito  religioso, 
in  questo  monastero^  dove  sono  slata  allevata  così  amo- 
revolmente. »  La  badessa  rispose  subito,  che  le  dispia- 
ceva molto,  in  una  tale  occasione,  che  le  regole  non  le 
permettessero  di  dare  immediatamente  una  risposta ,  la 
quale  doveva  venire  dai  voti  comuni  delle  suore,  e  alla 
quale  doveva  precedere  la  licenza  de'  superiori.  Che  però 
Gertrude,  conoscendo  i  sentimenti  che  s'avevan  per  lei 
in  quel  luogo,  poteva  preveder  con  certezza  qual  sa- 
rebbe questa  risposta;  e  che  intanto  nessuna  regola  proi- 
biva alla  badessa  e  alle  suore  di  manifestare  la  conso- 
lazione che  sentivano  di  quella  richiesta.  S'alzò  allora 
un  frastono  confuso  di  congratulazioni  e  d'  acclamazioni. 
Vennero  subito  gran  guantiere  colme  di  dolci,  che  fu- 
ron  presentali,  prima  alla  sposina,  e  dopo  ai  parenti. 
Mentre  alcune  monache  facevano  a  rubarsela,  e  altre 
complimentavan  la  madre,  altre  il  principino,  la  badessa 
fece  pregare  il  principe  che  volesse  venire  alla  grata  del 


CAPITOLO  X.  189 

parlatorio,  dove  l'attendeva.  Era  accompagnata  da  due 
anziane  ;  e  quando  lo  vide  comparire,  «  signor  principe,  » 

disse:    «  per  ubbidire  alle  regole per  adempire  una 

formalità  indispensabile,  sebbene  in  questo  caso pure 

devo  dirle....  cbe,  ogni  volta  cbe  una  figlia  cbiede 
d'essere  ammessa  a  vestir  l'abito, ....  la  superiora,  quale 
io  sono  indegnamente, è  obbHgata  d'avvertire  i  ge- 
nitori ....  cbe  se ,  per  caso forzassero  la  volontà 

della  figlia ,  incorrerebbero  nella  scomunica.  Mi  scu- 
serà ....  » 

«  Benissimo,  benissimo,  reverenda  madre.  Lodo  la 
sua  esattezza:  è  troppo  giusto Ma  lei  non  può  du- 
bitare ....  » 

«  Olì!  pensi,  signor  principe, bo  parlato  per  ob- 
bligo preciso, del  resto » 

«  Certo,  certo,  madre  badessa.  » 

Barattate  queste  pocbe  parole,  i  due  interlocutori  s' in- 
cbinavano  vicendevolmente,  e  si  separarono,  come  se  a 
tutt'e  due  pesasse  di  rimaner  li  testa  testa;  e  andarono 
a  riunirsi  ciascuno  alla  sua  compagnia,  l'uno  fuori,  l'al- 
tra dentro  la  soglia  claustrale. 

«  Oli  via,  »  disse  il  principe:  »  Gertrude  potrà  presto 
godersi  a  suo  beli'  agio  la  compagnia  di  queste  madri. 
Per  ora  le  abbiamo  incomodate  abbastanza.  »  Così  detto, 
fece  un  inchino;  la  famiglia  si  mosse  con  lui;  si  rinno- 
varono i  complimenti,  e  si  partì. 

Gertrude,  nel  tornare,  non  aveva  troppa  voglia  di  di- 
scorrere. Spaventata  d(!l  passo  che  aveva  fatto,  vergo- 
gnosa della  sua  dappocaggine,  indispettita  contro  gli  altri 
e  contro  se  slessa,  faceva  tristamente  il  conto  dell' occa- 
sioni, che  le  rimanevano  ancora  di  dir  di  no;  e  promet- 
teva debolmente  e  confusamente  a  se  stessa  che,  in  que- 
sta, 0  in  (piella,  o  in  (jueir altra,  sarebbe  più  destra  e 
pili  forte.  Con  tutti  questi  pensieri,  non  le  era  però  ces- 
sato atfatlo  il  terrore  di  quel  cipiglio  del  padre;  talché, 
quando,  con  un'occhiaia  datagli  alla  sfuggila,  potò  chia- 
rirsi che  sul  volto  di  lui  non  c'era  più  alcun  vestigio 


190  1   PROMESSI  SPOSI 

di  collera,  quando  anzi  vide  che  si  mostrava  soddisfat- 
tissimo di  lei,  le  parve  una  bella  cosa,  e  fu,  per  un  istante, 
tutta  contenta. 

Appena  arrivati,  bisognò  rivestirsi  e  rilisciarsi;  poi  il 
dt!sinare,  poi  alcune  visite,  poi  la  trottata,  poi  la  con- 
versazione, poi  la  cena.  Sulla  fine  di  questa,  il  principe 
mise  in  campo  un  altro  affare,  la  scelta  della  madrina. 
Così  si  chiamava  una  dama,  la  quale,  pregata  da'  geni- 
tori, diventava  custode  e  scorta  della  giovane  monacan- 
da,  nel  tempo  tra  la  richiesta  e  l'entratura  nel  mona- 
stero; tempo  che  veniva  speso  in  visitar  le  chiese,  i 
palazzi  pubblici,  le  conversazioni,  le  ville,  i  santuari  : 
tutte  le  cose  in  somma  più  notabili  della  città  e  de' con- 
torni ;  affinchè  le  giovani,  prima  di  proferire  un  voto 
irrevocabile,  vedessero  bene  a  cosa  davano  un  calcio. 
«  Bisognerà  pensare  a  una  madrina,  »  disse  il  principe  : 
t  perchè  domani  verrà  il  vicario  delle  monache  per  la 
formalità  dell'  esame,  e  subito  dopo,  Gertrude  verrà  pro- 
posta in  capitolo,  per  esser  accettata  dalle  madri.  »  Nel 
dir  questo,  s'era  voltato  verso  la  principessa;  e  questa, 
credendo  che  fosse  un  invito  a  proporre,   cominciava  : 

«  ci  sarebbe »  Ma  il  principe  interruppe  :  «  No,  no, 

signora  principessa  :  la  madrina  deve  prima  di  lutto 
piacere  alla  sposina  ;  e  benché  l'  uso  universale  dia  la 
scelta  ai  parenti,  pure  Gertrude  ha  tanto  gmdizio,  tanta 
assennatezza,  che  merita  bene  che  si  faccia  un'  eccezione 
per  lei.  »  E  qui,  voltandosi  a  Gertrude,  in  atto  di  chi 
annunzia  una  grazia  singolare,  continuò  :  «  ognuna  delle 
dame  che  si  son  trovate  questa  sera  alla  conversazione, 
ha  quel  che  si  richiede  per  esser  madrina  d'una  figlia 
della  nostra  casa  ;  non  ce  n'  è  nessuna,  crederei,  che 
non  sia  per  tenersi  onorata  della  preferenza  :  scegliete 
voi.  » 

Gertrude  vedeva  bene  che  far  questa  scelta  era  dare 
un  nuovo  consenso;  ma  la  proposta  veniva  fatta  con 
tanto  apparato,  che  il  rifiuto,  per  quanto  fosse  umile, 
poteva  parer  disprezzo,  o  almeno  capriccio  e  leziosaggi- 


CAPITOLO  X.  191 

ne.  Fece  dunque  anche  quel  passo;  e  nominò  la  dama 
che,  in  quella  sera,  le  era  andata  più  a  genio  ;  quella 
cioè  che  le  aveva  fallo  più  carezze,  che  V  aveva  più  lo- 
data, che  r  aveva  trattata  con  quelle  maniere  famigliari, 
affettuose  e  premurose,  che,  ne'  primi  momenti  d'  una 
conoscenza ,  contraffanno  un'  antica  amicizia.  »  Ottima 
scelta,  »  disse  il  principe,  che  desiderava  e  aspettava 
appunto  quella.  Fosse  arte  o  caso,  era  avvenuto  come 
quando  il  giocator  di  bussolotti  facendovi  scorrere  da- 
vanti agli  occhi  le  carte  d'  un  mazzo,  vi  dice  che  ne 
pensiate  una,  e  lui  poi  ve  la  indovinerà  ;  ma  le  ha  fatte 
scorrere  in  maniera  che  ne  vediate  una  sola.  Quella  dama 
era  stata  tanto  intorno  a  Gertruiie  tutta  la  sera,  l'aveva 
tanto  occupata  di  se,  che  a  questa  sarebbe  bisognato  uno 
sforzo  di  fantasia  per  pensarne  un'altra.  Tante  premure 
poi  non  eran  senza  motivo:  la  dama  aveva,  da  molto 
tempo,  messo  gli  occhi  addosso  al  principino,  per  farlo 
suo  genero:  quindi  riguardava  le  cose  di  quella  casa 
come  sue  proprie;  ed  era  ben  naturale  che  s'interessasse 
per  quella  cara  Gertrude,  niente  meno  de' suoi  parenti 
più  prossimi. 

Il  giorno  dopo,  Gertrude  si  svegliò  col  pensiero  del- 
l'esaminatore che  doveva  venire  ;  e  mentre  stava  rumi- 
nando se  potesse  cogliere  quella  occasione  cosi  decisiva, 
per  tornare  indietro,  e 'in  qual  maniera,  il  principe  la 
fece  chiamare.  «  Orsù,  figliuola,  »  le  disse:  «  finora  vi 
siete  portata  egregiamente:  oggi  si  tratta  di  coronar 
l'opera.  Tutto  quel  che  s'è  fattp  finora,  s'è  fatto  di  vo- 
stro consenso.  Se  in  questo  tempo  vi  fosse  nato  qualche 
dubbio,  qualche  pentiinenluccio,  grilli  di  gioventù,  avre- 
ste dovuto  spiegarvi;  ma  al  punto  a  cui  sono  ora  le  cose, 
non  è  più  tempo  di  far  ragazzate.  Queir  uomo  dabbene 
che  deve  venire  slamai  lina,  vi  fiwà  cento  domande  sulla 
vostra  vocazione:  e  se  vi  fate. monaca  di  vostra  volontà, 
e  il  perchè  e  il  per  coinc.^ij  che  so  io?  Se  vai  titubate 
nel  rispondere,  vi  terrà  «^uJ la. corda  chi  sa  quanto.  Sa- 
rebbe un'uggia,  un  tonnnTto  per  voi:  ma  ne  potrebbe 


1^2  I   PROMESSI   SPOSI 

anche  venire  un  altro  guaio  più  serio.  Dopo  tulle  le  di- 
mostrazioni pubbliche  che  si  son  fatte,  ogni  più  piccola 
esitazione  che  si  vedesse  in  voi,  metterebbe  a  repentaglio 
il  mio  onore,  potrebbe  far  credere  ch'io  avessi  presa 
una  vostra  leggerezza   per  una  ferma  risoluzione,  che 

avessi  precipalato  la  cosa ,  che  avessi che  so  io  ? 

In  questo  caso,  mi  troverei  nella  necessità  di  scegliere 
tra  due  partiti  dolorosi:  o  lasciar  che  il  mondo  formi 
un  tristo  concetto  della  mia  condotta:  partilo  che  non 
può  stare  assolutamente  con  ciò  che  devo  a  me  stes- 
so.  0  svelare   il  vero   motivo   della  vostra  risoluzione 

e »   Ma  qui,   vedendo   che   Gertrude  era  diventata 

scarlatta ,  che  le  si  gonfiavan  gli  occhi ,  e  il  viso  si 
contraeva,  come  le  foglie  d'un  liore  nell'afa  che  pre- 
cede la  burrasca,  troncò  quel  discorso,  e,  con  aria  se- 
rena, riprese:  «  via,  via,  tutto  dipende  da  voi,  dal  vo- 
stro giudizio.  So  che  n'avete  molto,  e  non  siete  ragazza 
da  guastar  sulla  fine  una  cosa  fatta  bene;  ma  io  doveva 
preveder  tutti  i  casi.  Non  se  ne  parli  più;  e  restiam 
d'accordo  che  voi  risponderete  con  franchezza,  in  ma- 
niera di  non  far  nascer  dubbi  nella  lesta  di  queir  uomo 
dabbene.  Così  anche  voi  ne  sarete  fuori  più  presto.  » 
E  qui,  dopo  aver  suggerita  qualche  risposta  all'  interro- 
gazioni più  probabili,  entrò  nel  solito  discorso  delle  dol- 
cezze e  de' godimenti  ch'eran  preparali  a  Gertrude  nel 
monastero  ;  e  la  trattenne  in  quello,  fin  che  venne  un 
servitore  ad  annunziare  il  vicario.  Il  principe  rinnovò  in 
fretta  gli  avvertimenti  più  importanti,  e  lasciò  la  figlia 
sola  con  lui,  com'era  prescritto. 

L'uomo  dabbene  veniva  con  un  po'  d'opinione  già 
fatta  che  Gertrude  avesse  una  gran  vocazione  al  chiostro; 
perchè  così  gli  aveva  detto  il  principe,  quando  era  stato 
a  invitarlo.  É  vero  che  il  buon  prete ,  il  quale  sapeva 
che  la  diffidenza  era  una  delle  virtù  più  necessarie  nel 
suo  uffizio,  aveva  per  massima  d'andar  adagio  nel  cre- 
dere a  simili  proleste,  e  di  stare  in  guardia  contro  le 
preoccupazioni;  ma  ben  di  rado  avviene  che  le  parole 


CAPITOLO  X.  193 

affermative  e  sicure  d' una  persona  autorevole,  in  qualsi- 
voglia genere,  nun  tingano  del  loro  colore  la  mente  di 
chi  le  ascolta. 

Dopo  i  primi  complimenti,  «  signorina,  »  le  disse  «  io 
vengo  a  far  la  parte  del  diavolo;  vengo  a  mettere  in  dub- 
bio ciò  che,  nella  sua  supplica  lei  ha  dato  per  certo; 
vengo  a  metterle  davanti  agli  occhi  le  difTicoltà,  e  ad  ac- 
certarmi se  le  ha  ben  considerate.  Si  contenti  ch'io  le 
faccia  qualche  interrogazione.  » 

«  Dica  pure,  »   rispose  Gertrude. 

Il  buon  prete  cominciò  allora  a  interrogarla,  nella  for- 
ma prescritta  dalle  regole.  «  Sente  lei  in  cuor  suo  una 
libera,  spontanea  risoluzione  di  farsi  monaca?  Non  sono 
state  adoperate  minacce,  o  lusingiie?  Non  s'è  fatto  uso 
di  nessuna  autorità,  per  indurla  a  questo?  Parli  senza 
riguardi,  e  con  sincerità,  a  un  uomo  il  cui  dovere  è  di 
conoscere  la  sua  vera  volontà,  per  impedire  che  non  le 
venga  usata  violenza  in  nessun  modo.  » 

La  vera  risposta  a  una  tale  domanda  s'affacciò  subito 
alla  mente  di  Gertrude,  con  un'evidenza  terribile.  Per 
dare  ([uella  risposta,  bisognava  venire  a  una  spiegazione, 
diro  di  che  era  stala  minacciata,  raccontare  una  storia  — 
L'infelice  rifuggì  spaventata  da  questa  idea;  cercò  in 
fretta  un'altra  risposta;  ne  trovò  una  sola  che  potesse 
liberarla  presto  e  sicuramente  da  ({uel  supplizio,  la  più 
contraria  al  vero.  «  Mi  fo  monaca,  »  disse  nascondendo 
il  suo  turi  lamento,  «  mi  fo  monaca,  di  mio  genio,  libe- 
ramente. » 

«  Da  quanto  tempo  le  è  nato  codesto  pensiero?  »  do- 
mandò ancora  il  buon  prete. 

«  L'ho  sempre  avuto,  »  rispose  Gertrude,  diveiuila, 
dopo  qu(!l  primo  passo,  più  franca  a  mentire  contro  so 
slessa. 

»  Ma  quale  è  il  molivo  principale  clic  la  iniluce  a 
fai'si  monaca?  » 

Il  buon  prete  non  sa[»eva  cIk;  terribih^  tasto  toccasse; 
e  Gcrtiudc  si  fece  una  giaii  forza  per  non  lasciar  Ira- 

VOL.    i-  <) 


194  I   PROMESSI  SPOSI 

sparire  sul  viso  l'elTctto  clic  quelle  parole  le  proiìiicevano 
nell'animo.  «  Il  motivo,  »  disse,  «è  di  servire  a  Dio  e 
di  fu.i^gire  i  pencoli  del  mondo.  » 

«Non   sarebbe  mai  (pialche  disgusto?  qualche 

mi  scusi capriccio?  Alle  volte^  una  cagione  momen- 
tanea può  fare  un'impressione  che  par  che  deva  durar 
sempre;  e  quando  poi  la  cagione  cessa,  e  l'animo  si  muta, 
allora » 

«No,  no,»  rispose  precipitosamente  Gertrude:  «  la  ca- 
gione ò  quella  che  le  ho  detto.  » 

Il  vicario,  più  per  adempire  interamente  il  suo  obbligo, 
che  per  la  persuasione  che  ce  ne  fosse  bisogno_,  insistette 
con  le  domande;  ma  Gertrude  era  determinata  d'ingan- 
narlo. Olire  il  ribrezzo  che  le  cagionava  il  pensiero  di 
render  consapevole  della  sua  debolezza  quel  grave  e  dab- 
ben  prete,  che  pareva  così  lontano  dal  sospettar  tal  cosa 
di  lei;  la  poveretta  pensava  poi  anche  ch'egli  poteva  bene 
impedire  che  si  facesse  monaca;  ma  lì  finiva  la  sua  au- 
torità sopra  di  lei,  e  la  sua  protezione.  Partito  che  fosse, 
essa  rimarrebbe  sola  col  principe.  E  qualunque  cosa 
avesse  poi  a  patire  in  quella  casa,  il  buon  prete  non 
n'avrebbe  saputo  nulla,  o  sapendolo,  con  tutta  la  sua 
buona  intenzione,  non  avrebbe  potuto  far  altro  che  aver 
compassione  di  lei,  quella  compassione  tranquilla  e  mi- 
surala, che,  in  generale,  s'accorda,  come  per  cortesia, 
a  chi  abbia  dato  cagione  o  prelesto  al  male  che  gli  fanno. 
L'  esaminatore  fu  prima  stanco  d' interrogare ,  che  la 
sventurata  di  mentire:  e,  sentendo  quelle  risposte  sem- 
pre conformi,  e  non  avendo  alcun  motivo  di  dubitare 
della  loro  schiettezza,  mutò  finalmente  linguaggio;  si 
rallegrò  con  lei,  le  chiese,  in  certo  modo,  scusa  d'aver 
tardalo  tanto  a  far  questo  suo  dovere;  aggiunse  ciò  che 
credeva  più  allo  a  confermarla  nel  buon  proposilo:  e  si 
licenziò. 

Attraversando  le  sale  per  uscire,  s'abbattè  nel  prin- 
cipe, il  ijuale  pareva  che  passasse  di  là  a  caso;  e  con 
lui  pure  si  congratulò  delle  buone  di-^ posizioni  in  cui 


CAPITOLO   X  195 

aveva  trovata  la  sua  figlinola.  Il  principe  era  stato  Ano 
allora  in  una  sospensione  mollo  penosa:  a  (piella  noli- 
zia,  respirò,  e  dimenticando  la  sua  gravità  consueta,  andò 
quasi  di  corsa  da  Gerlrude,  la  ricolmò  di  lodi,  di  ca- 
rezze e  di  promesse,  con  un  giubilo  cordiale,  con  una 
tenerezza  in  gran  parie  sincera:  cosi  fatto  è  questo  guaz- 
zabuglio del  cuore  umano. 

Noi  non  seguiremo  Gerlrude  in  ([uel  giro  continualo 
di  spettacoli  e  di  divertimenti.  E  neppure  descriveremo,  in 
particolare  e  per  ordine,  i  sentimenli  deir  animo  suo  in 
tutto  quel  tempo:  sarebbe  una  storia  di  dolori  e  di  lliit- 
tuazioni,  troppo  monotona,  e  Iroppo  somigliante  alle  cose 
già  dette.  L'amenità  de'  luoghi,  la  varietà  degli  oggetti, 
quello  svago  che  pur  trovava  nello  scorrere  in  qua  e  in  là 
all'aria  aperta,  le  rendevan  più  odiosa  l'idea  del  luogo  dove 
alla  fine  si  smonterebbe  per  l'ullima  volta,  per  sempre.  Più 
pungenti  ancora  eran  l'impressioni  che  riceveva  nelle 
conversazioiu  e  nelle  fesle.  La  vista  delle  spose  allo  quali 
si  dava  questo  titolo  nel  senso  più  ovvio  e  più  usitalo, 
le  cagionava  un'invidia,  un  rodimento  intollerabile;  e 
talvolta  l'aspetto  di  (juakiio  allro  personaggio  le  faceva 
parere  che,  nel  sinitirsi  dare  quel  titolo,  dovesse  trovarsi 
il  colmo  d'ogni  felicità.  Talvolta  la  pompa  de'  palazzi, 
lo  splendore  degli  addobbi,  il  brulichìo  o  il  fracasso 
giulivo  delle  feste,  le  comunicavano  un'ebbrezza,  un  ar- 
dor  tale  di  viver  lieto,  che  prometteva  a  se  slessa  di 
disdirsi,  di  soffrir  tutto,  pini  tosto  che  tornare  all'ombra 
fredda  e  morta  del  cliiostro.  Ma  tiilte  qnclle  risoluzioni 
sfumavano  alla  considerazione  più  riposala  delle  diffi- 
coltà, al  solo  fissar  gii  occhi  in  viso  al  principe.  Tal- 
volta anche,  il  pensiero  di  dover  abbandonare  per  sem- 
pre que'  godimenti,  gliene;  rend(!va  amaro  e  penoso  (pici 
piccol  saggio;  come  l'infermo  assetato  guarda  con  l'abbia, 
e  (piasi  rispinge  con  (lisjtetlo  il  cucchiaio  (racipi.i  v\\r 
il  medico  gli  concede!  a  fatica.  Intanto  il  vicariti  drllc 
monache  ebbe  rilasciala  F attestazione  necessaria,  e  \c\u\r 
la  licenza  di  tenere  il  capitolo  per  l' accettazione  di  Ger^ 


196  I   PROMESSI  SPOSI 

(nule.  Il  capitolo  si  tenne  ;  concorsero ,  coni'  era  da 
aspellarsi,  i  due  terzi  de'  voti  segreti  ch'eran  richie- 
sti da'  regolamenti;  e  Gertrude  fu  accettata.  Lei  me- 
desima ,  stanca  di  quel  lungo  strazio ,  chiese  allora 
d'entrare  più  presto  che  fosse  possibile,  nel  monastero. 
Non  c'era  sicuramente  chi  volesse  frenare  una  tale 
impazienza.  Fu  dunque  fatta  la  sua  volontà;  e,  con- 
dotta pomposamente  al  monastero,  vestì  T abito.  Dopo 
dodici  mesi  di  noviziato ,  pieni  di  pentimenti ,  e  di 
ringraziamenti ,  si  trovò  al  momento  della  professione , 
al  momento  cioè  in  cui  conveniva ,  o  dire  un  no  più 
strano,  più  inaspettato,  più  scandaloso  che  mai,  o  ri- 
petere un  sì  tante  volte  detto;  lo  ripetè;  e  fu  monaca 
per  sempre. 

É  una  delle  facoltà  singolari  e  incomunicabili  della 
religione  cristiana,  il  poter  indirizzare  e  consolare  chiun- 
que, in  qualsivoglia  congiuntura,  a  qualsivoglia  termine, 
ricorra  ad  essa.  Se  al  passato  e'  è  rimedio,  essa  lo  pre- 
scrive ,  lo  somministra ,  dà  lume  e  vigore  per  metter- 
lo in  opera ,  a  qualunque  costo  ;  se  non  e'  è,  essa  dà 
il  modo  di  far  realmente  e  in  effetto ,  ciò  che  si  dice 
in  proverbio,  di  necessità  virtù.  Insegna  a  continuare 
con  sapienza  ciò  eh' è  stalo  intrapreso  per  leggerezza; 
piega  r  animo  ad  abbracciar  con  propensione  ciò  che 
è  stalo  imposto  dalla  prepotenza ,  e  dà  a  una  scelta 
che  fu  temeraria,  ma  che  è  irrevocabile,  tutta  la  san- 
tità, tutta  la  saviezza,  diciamolo  pur  francamente,  tutte 
le  gioie  della  vocazione.  É  una  strada  così  fatta  che,  da 
qualunque  laberinto,  da  qualunque  precipizio,  1'  uomo 
capiti  ad  essa,  e  vi  faccia  un  passo,  può  d'allora  in  poi 
camminare  con  sicurezza  e  di  buona  voglia,  e  arrivar 
lielamenlG  a  un  lieto  fine.  Con  questo  mezzo,  Gertrude 
avrebbe  potuto  essere  una  monaca  santa  e  contenta,  co- 
munque lo  fosse  divenula.  Ma  T infelice  si  dibatteva  in 
vece  sotto  il  giogo,  e  così  ne  sentiva  più  forte  il  peso 
e  le  scosse.  Un  rammarico  incessante  della  libertà  per- 
(luta,  l'abborrimento  dello  stato  presente,  un  vagar  fa- 


CAPITOLO  X.  197 

licose  dietro  a  do^^ldèri  che  non  sarebbero  mai  soddi- 
sfatti, tali  erano  le  principali  occupazioni  dell'  animo  suo. 
Rimasticava  queir  amaro  passalo,  ricomponeva  nella  me- 
moria tutte  le  circostanze  per  le  quali  si  trovava  lì;  e 
disfaceva  mille  volte  inutilmente  col  pensiero  ciò  che 
aveva  fatto  con  l'opera;  accusava  sé  di  dappocaggine, 
altri  di  tirannia  e  di  perfidia;  e  si  rodeva.  Idolatrava 
insieme  e  piangeva  la  sua  bellezza,  deplorava  una  gio- 
ventù destinata  a  struggersi  in  un  lento  martirio,  e  in- 
vidiava, in  certi  momenti,  qualunque  donna,  in  qua- 
lunque condizione ,  con  qualunque  coscienza,  potesse  li- 
beramente godersi  nel  mondo  qu<3'  doni. 

La  vista  di  quelle  monache  che  avevan  tenuto  di  mano 
a  tirarla  là  dentro,  le  era  odiosa.  Si  ricordava  l'arti  e 
i  raggiri  che  avevan  messi  in  opera ,  e  le  pagava  con 
tante  sgarbatezze,  con  tanti  dispetti ,  e  anche  con  aperti 
rinfacciamenti.  A  quelle  conveniva  le  più  volte  mandar 
giù  e  tacere:  perchè  il  principe  aveva  ben  voluto  tiran- 
neggiar la  figlia  quanto  era  necessario  per  ispingerla  al 
chiostro:  ma  ottenuto  l'intento,  non  avrebbe  cosi  facil- 
mente solTerto  che  altri  pretendesse  d'aver  ragione  con- 
tro il  suo  sangue:  e  ogni  po'  di  rumore  che  avesser 
fatto,  poteva  esser  cagione  di  far  loro  perdere  quella 
gran  protezione ,  o  cambiar  per  avventura  il  protettore 
in  nemico.  Pare  che  Gerti'ude  avrebbe  dovuto  sentire 
una  certa  propensione  per  l'altre  suore,  che  non  ave- 
vano avuto  parte  in  quegl' intrighi,  e  che,  senza  averla 
desiderata  per  compagna,  l'amavano  come  tale;  e  pie, 
occupate  e  ilari,  le  mostravano  col  loro  esempio  come 
anche  là  dentro  si  potesse  non  solo  vivere,  ma  star. i 
bene.  Ma  (juesle  pure  le  erano  odiose,  per  un  altro  verso. 
La  loro  aria  di  pietà  e  di  contentezza  le  riusciva  come 
un  rimprovero  della  sua  hiquietudinc,  e  della  sua  con- 
dotta bisbetica;  e  non  lasciava  sfuggire  occasione  di  de- 
riderle dietro  le  spalle,  come  pinzochere,  o  di  morderle 
comi!  ipucrile.  Forse  saivhbe  slata  meno  avversa  ad  esso 
.<e  avesse  saputo  o  induvinatu  che  le  poche  palle  nere, 


198  1   PROMESSI  SPOSI 

trovale  nel  bossolo  che  decise   della  sua   acceliazionc, 
c'erano  appunto  state  messe  da  quelle. 

Qualclic  consolazione  le  pareva  talvolta  di  trovar  nel 
comandare,  nel!' esser  corteggiata  in  monastero  nel  ri- 
cever visite  di  complimento  da  persone  di  fuori,  nello 
spuntar  qualche  impegno,  nello  spendere  la  sua  proie- 
zione, nel  sentirsi  chiamar  la  signora  :  ma  quali  conso- 
lazioni! Il  cuore,  trovandosene  così  poco  appagato,  avreb- 
be voluto  di  quando  in  quando  aggiungervi,  e  goder 
con  esse  le  consolazioni  della  religione;  ma  queste  non 
vengono  se  nona  chi  trascura  queir  altre:  come  il  nau- 
frago, se  vuole  afferrar  la  tavola  che  può  condurlo 
in  salvo  sulla  riva,  deve  pure  allargare  il  pugno,  e 
abbandonar  l' alghe ,  che  aveva  prese  ;  per  una  rabbia 
d' istinto. 

Poco  dopo  la  professione,  Gertrude  era  stata  falla 
maestra  dell'educande;  ora  pensate  come  dovevano  stare 
quelle  giovinette  sotto  una  tal  disciplina.  Le  sue  antiche 
confidenti  eran  tutte  uscite;  ma  lei  serbava  vive  tutte 
le  passioni  di  quel  tempo;  e,  in  un  modo  o  in  un  altro, 
r  allieve  dovevan  portarne  il  peso.  Quando  le  veniva  in 
mente  che  molle  di  loro  eran  destinate  a  vivere  in 
quel  mondo  dal  quale  era  esclusa  per  sempre,  provava 
contro  quelle  poverine  un  astio,  un  desiderio  quasi  di 
vendetta;  e  le  teneva  sotto,  le  bistrattava,  faceva  loro 
scontare  anticipatamente  i  piaceri  che  avrebber  goduti 
un  giorno.  Chi  avesse  sentito,  in  que' momenti,  conche 
sdegno  magistrale  le  gridava,  per  ogni  piccola  scappatella, 
l'avrebbe  creduta  una  donna  d'una  spiritualità  salvatica 
e  indiscreta.  In  altri  momenti,  lo  stesso  orrore  per  il 
chiostro,  per  la  regola,  per  l'ubbidienza,  scoppiava  in 
accessi  d'umore  tutto  opposto.  Allora,  non  solo  soppor- 
tava la  svagatezza  clamorosa  delle  sue  allieve,  ma  l'ec- 
citava; si  mischiava  ne'  loro  giochi,  e  li  rendeva  più 
sregolati;  entrava  a  parte  de' loro  discorsi,  e  li  spingeva 
più  in  là  dell'intenzioni  con  le  quali  esse  gli  avevano 
incominciali.  Se  qualcheduna  diceva  una  parola  sul  ci- 


CAPITOLO  X.  199 

calìe  della  madre  badessa,  la  maestra  lo  imitava  lunga- 
mente, e  ne  faceva  una  scena  da  commedia;  contraffa- 
ceva il  volto  d'una  monaca,  l'andatura  d'un' altra:  ri- 
deva allora  sgangheralamenle:  ma  eran  risa  che  non  la 
lasciavano  piij  allegra  di  prima.  Così  era  vissuta  alcuni 
anni  non  avendo  comodo,  nò  occasione  di  far  di  più; 
quando  la  sua  disgrazia  volle  die  un'  occasione  si  pre- 
sentasse. 

Tra  l'altre  distinzioni  e  privilegi  che  le  erano  stati 
concessi,  per  compensarla  di  non  poter  esser  badessa, 
c'era  anche  quello  di  stare  in  un  quartiere  a  parte.  Quel 
lato  del  monastero  era  contiguo  a  una  casa  abitata  da 
un  giovane,  scellerato  di  professione,  uno  de'  tanti,  che 
in  quo' tempi,  e  co'  loro  sgherri,  e  con  l'alleanze  d'al- 
tri scellerati,  potevano,  fino  a  un  certo  segno,  ridersi 
della  forza  pubblica  e  delle  leggi.  Il  nostro  mano- 
scritto lo  nomina  Egidio,  senza  parlar  del  casato.  Co- 
stui da  una  sua  fmestrina  che  dominava  un  corti- 
letto di  quel  quartiere  ,  avendo  veduta  Gertrude  qual- 
che volta  passare  o  girandolar  lì  per  ozio ,  allettato 
anzi  che  atterrilo  dai  pericoli  e  dall'empietà  dell'im- 
presa, un  giorno  osò  rivolgerle  il  discorso.  La  sventu- 
rata rispose. 

In  que'  primi  momenti,  provò  una  contentezza,  non 
schietta  al  certo,  ma  viva.  Nel  voto  uggioso  dell'animo 
suo  s'era  venuta  a  infondore  un'  occupazione  forte,  con- 
tinua e,  direi  quasi,  una  vita  prepotente;  ma  ([uella  con- 
lentezza era  simile  alla  bevanda  ristorativa  che  la  cru- 
deltà ingegnosa  degli  antichi  mesceva  al  condannato,  per 
dargli  forza  a  sostenere  i  tormenti.  Si  videro,  nello  stesso 
tempo,  di  gran  novità  in  tutta  la  sua  condotta:  divenne, 
lutt'a  un  tratto,  più  regolare,  più  tranipiilla,  smesse  gli 
scherni  e  il  brontolìo,  si  mostrò  anzi  carezzevole  e  ma- 
nierosa, dimodoché  le  suore  si  rallegravano  a  vicenda 
del  cambiamento  felice;  lontane  com'erano  dall' imma- 
ginarne il  vero  motivo,  e  dal  comprendere  che  (juclla 
nuova  virtù  non  era  altro  che  ipocrisia  aggiunta  allan- 


200  1  PROMESSI   SPOSI 

lidie  magagne.  Quell'apparenza  però,  quella  per  dir 
cos;ì,  imbiancatura  esleriore,  non  durò  gran  tempo,  al- 
meno con  quella  continuità  e  uguaglianza:  ben  presto 
(ornarono  in  campo  i  soliti  dispetti  e  i  soliti  capricci , 
tornarono  a  farsi  sentire;  l'imprecazioni  e  gii  sclierni  con- 
tro la  prigione  claustrale,  e  talvolta  espressi  in  m\  lin- 
guaggio insolito  in  quel  luogo,  e  anche  in  quella  l)Occa. 
Però,  ad  ognuna  di  queste  scappate  veniva  dieiro  un  pen- 
limenlo,  una  gran  cura  di  farle  dimenticare,  a  forza  di 
moine  e  di  buone  parole.  Le  suore  sopportavano  alla  me- 
glio tutti  questi  all'è  bassi,  e  gli  attribuivano  all'indole 
bisbetica  e  leggiera  della  signora. 

Per  qualche  tempo,  non  parve  che  nessuna  pensasse 
più  in  là;  ma  un  giorno  che  la  signora,  venuta  a  parole 
con  una  conversa,  per  non  so  che  pettegolezzo,  si  lasciò 
andare  a  maltrattarla  fuor  di  modo,  e  non  la  finiva  più, 
la  conversa,  dopo  aver  sofferto,  ed  essersi  morse  la  lab- 
bra un  pezzo,  scappatale  finalmente  la  pazienza,  buttò 
là  una  parola,  che  lei  sapeva  qualche  cosa,  e  che,  a  tempo 
e  luogo,  avrebbe  parlato.  Da  quel  momento  in  poi,  la 
signora  non  ebbe  più  pace.  Non  passò  però  molto  tempo 
che  la  conversa  fu  aspettata  in  vano,  una  mattina,  a' 
suoi  ufizi  consueti:  si  va  a  veder  nella  sua  cella,  e  non 
si  trova:  è  chiamata  ad  alta  voce;  non  risponde:  cerca  di 
qua,  cerca  di  là,  gira  e  rigira,  dalla  cima  al  fondo;  non  c'è 
in  nessun  luogo.  E  chi  sa  quali  congetture  si  sarel)ber 
fatte,  se,  appunto  nel  cercare,  non  si  fosse  scoperto  una 
buca  nel  muro  dell'orto;  la  qual  cosa  fece  pensare  a 
tutte,  che  fosse  sfrattata  di  là.  Si  fecero  gran  ricerche  in 
Monza  e  ne' contorni,  e  principalmente  a  Meda,  di  do- 
v'era quella  conversa:  si  scrisse  in  varie  parti:  non  se 
n'ebbe  mai  la  più  piccola  notizia.  Forse  se  ne  sarebbe 
potuto  saper  di  più,  se,  in  vece  di  cercar  lontano,  si 
fosse  scavato  vicino.  Dopo  molte  maraviglie,  perchè  nes- 
suno r  avrebbe  creduta  capace  di  ciò,  e  dopo  molti  di- 
scorsi, si  concluse  che  doveva  essere  andata  lontano  lontano. 
E  perchè  scappò  detto  a  una  suora:  «  s'è  rifugiata  in 


CAPITOLO  X.  201 

Olanda  di  sicuro,»  si  disse  subilo,  osi  ritenne  per  un 
pezzo  nel  monastero  e  fuori,  che  si  fosse  rifugiata  in 
Olanda.  Non  pare  però  clie  la  signora  fosse  di  questo 
parere.  Non  già  che  mostrasse  di  non  credere,  o  com- 
battesse r opinion  comune,  con  sue  ragioni  parlicolari: 
se  ne  aveva,  certo,  ragioni  non  furono  mai  così  ben 
dissimulate;  nò  e' era  cosa  da  cui  s'astenesse  più  volen- 
tieri che  da  rimestar  quella  storia,  cosa  di  cui  si  curas- 
se meno  che  di  toccare  il  fondo  di  quel  mistero.  Ma 
quanto  meno  ne  parlava,  tanto  pii!i  ci  pensava.  Quante 
volte  al  giorno  l'immagine  di  quella  donna  veniva  a  cac- 
ciarsi d'improvviso  nella  sua  mente,  e  si  piantava  li, 
e  non  voleva  moversi  I  Quante  volte  avrebbe  desiderato 
di  vedersela  dinanzi  viva  e  reale,  piuttosto  che  averla 
sempre  fissa  nel  pensiero,  piuttosto  che  dover  trovarsi, 
giorno  e  notte,  in  compagnia  di  quella  forma  vana,  ter- 
ribile, impassibile  !  Quante  volte  avrebbe  voluto  sentir 
davvero  la  voce  di  colei,  qualunque  cosa  avesse  potuto 
minacciare,  piuttosto  che  aver  sempre  nell'intimo  dell'o- 
recchio mentale  il  susurro  fantastico  di  quella  slessa 
voce,  e  sentirne  parole  l'ipetuie  con  una  pertinacia,  con 
un'insistenza  infaticabile,  che  nessuna  persona  vivente 
non  ebbe  mail 

Era  scorso  circa  un  anno  dopo  quel  fatto,  quando  Lu- 
cia fu  presentala  alla  signora,  ed  ebbe  con  hn  quel  col- 
lo(|uio  al  (piale  slam  rimasti  col  racconto.  La  signora 
molti[)licava  le  domande  intorno  alla  persecuzione  di 
don  Rodrigo,  e  entrava  in  certi  particolari,  con  una  in- 
trepidezza, che  riuscì  e  doveva  riuscire  più  che  nuova  a 
Lucia,  la  quale  non  aveva  mai  pensato  che  la  curosità 
delle  monache  potesse  esercitarsi  intorno  a  simili  argo- 
menti. I  giudizi  poi  che  quc.'lla  frammischiava  alTinier- 
rogazioni,  o  che  lasciava  trasparire,  non  eran  meno  strani. 
Pareva  quasi  che  ridesse  del  gran  ribrezzo  che  TiUcia 
aveva  sempre  avuto  di  quel  signore,  e  domandava  se  er;i 
un  mostro,  da  lar  tanta  paura:  jiareva  quasi  che  aMcbbe 
trovato  irragionevole  e  sciocca  la  ritrosia  della  giovine, 


202  1    PROMESSI   SPOSI 

>;o  non  avosso  aviilo  per  ragione  la  preferenza  data  a 
Renzo.  E  sn  fpieslo  pure  s'  avanzava  a  domande,  che  face- 
vano stupire  e  arrossire  T interrogata.  Avvedendosi  d'aver 
troppo  lasciata  correr  la  lingua  dietro  agli  svagamenti 
d(}l  cervello,  cercò  di  correggere  e  d' interpretare  in  me- 
glio quelle  sue  ciarle;  ma  non  potè  fare  che  a  Lucia 
non  ne  rimanesse  uno  stupore  dispiacevole,  e  come  un 
confuso  spavento.  E  appena  potè  trovarsi  sola  con  la  ma- 
dre, se  n'aprì  con  lei;  ma  Agnese,  come  più  esperta, 
sciolse,  con  poche  parole,  tutti  que'dubhi,  e  spiegò  tutto 
il  mistero.  «  Non  te  ne  far  maraviglia,  »  disse:  «  quando 
avrai  conosciuto  il  mondo  quanto  me,  vedrai  che  non  son 
cose  da  farsene  maraviglia.  I  signori,  chi  più,  chi  meno, 
chi  per  un  verso,  chi  per  un  altro,  han  tutti  un  po'  del 
matto.  Convien  lasciarli  dire,  principalmente  quando  s'ha 
bisogno  di  loro;  far  vista  d'ascoltarli  sul  serio,  come 
se  dicessero  delle  cose  giuste.  Hai  sentilo  come  m'ha 
dato  sulla  voce,  come  se  avessi  detto  qualche  gran  spro- 
posito? Io  non  me  ne  son  fatta  caso  punto.  Son  tutti 
così.  E  con  tutto  ciò,  sia  ringraziato  il  cielo,  che  pare 
che  questa  signora  t'abbia  preso  a  ben  volere,  e  voglia 
proteggerci  davvero.  Del  resto,  se  camperai,  figliuola  mia, 
e  se  t'accaderà  ancora  d'aver  che  fare  con  de'signori,  ne 
sentirai,  ne  sentirai,  ne  sentirai.  » 

Il  desiderio  d'  obbligare  il  padre  guardiano ,  la  com- 
piacenza di  proteggere,  il  pensiero  del  buon  concetto  che 
poteva  fruttare  la  protezione  impiegata  così  santamente, 
una  certa  inclinazione  per  Lucia,  e  anche  un  certo  sol- 
lievo nel  far  del  bene  a  una  creatura  innocente ,  nel  soc- 
correre e  consolare  oppressi,  avevan  realmente  disposta 
la  signora  a  prendersi  a  petto  la  sorte  delle  due  povere 
fuggitive.  A  sua  richiesta,  e  a  suo  riguardo,  furono  al- 
loggiale nel  quartiere  della  fai  loressa  attiguo  al  chiostro, 
e  trattate  come  se  fossero  addette  al  servizio  del  mona- 
stero. La  madre  e  la  figlia  si  rallegrarono  insieme  d'aver 
trovalo  così  presto  un  asilo  sicuro  e  onorato.  Avrebber 
anche  avuto  molto  piacere  di  rimanervi  ignorate  da  ogni 


Capitolo  x.  '^0^ 

persona  ;  ma  la  cosa  non  era  facile  in  un  monastero  • 
tanto  più  clu;  e'  era  un  uomo  troppo  premuroso  d' aver 
notizie  d'una  di  loro,  e  nell'animo  del  quale,  alla  pas- 
sione e  alla  picca  di  prima,  s'era  aii'giunta  anche  la 
slizza  d'  essere  stato  prevenuto  e  deluso.  E  noi,  lasciando 
le  donne  nel  loro  ricovero ,  torneremo  al  palazzotto  di 
costui,  nell'ora  in  cui  stava  attendendo  l'esito  della  sua 
scellerata  spedizione. 


CAPITOLO  XI. 


Come  un  branco  di  segugi ,  dopo  aver  inseguita  in- 
vano una  lepre,  tornano  mortificati  verso  il  padrone,  co' 
musi  bassi,  e  con  le  code  ciondoloni,  cosi,  in  quella  scom- 
pigliata notte,  tornavano  i  braA'i  al  palazzotto  di  don  Ro- 
drigo. Egli  camminava  innanzi  e  indietro,  al  Iniio,  per 
una  stanzaccia  disabitata  dell'ultimo  piano,  che  rispon- 
deva  sulla  spianata.  Ogni  tanto  si  fermava^  tendeva  l'orec- 
chio, guardava  dalle  fessure  dell'imposte  intarlate,  pieno 
d' impazienza  e  non  privo  d' inquietudine,  non  solo  per 
r  incertezza  della  riuscita,  ma  anche  per  le  conseguenze 
possibili  ;  perchè  era  la  più  grossa  e  la  più  arrischiala 
a  cui  il  brav'uomo  avesse  ancor  messo  mano.  S'andava 
però  rassicurando  col  pensiero  delle  precauzioni  prese 
per  distrugger  gV  indizi,  se  non  i  sospetti.  —  In  qnanlo 
ai  sospetti,  —  pensava  —  me  ne  rido.  Vorrei  un  po'  sa- 
pere chi  sarà  quel  voglioso  che  venga  quassù  a  veder  se 
e'  è  0  non  e'  è  una  ragazza.  Venga,  venga  quel  tanghero, 
che  sarà  ben  ricevuto.  Venga  il  frate,  venga.  La  vecchia? 
Vada  a  Bergamo  la  vecchia.  La  giustizia?  Poh  la  giu- 
stiziai Il  podestà  non  è  un  ragazzo,  ne  un  matto.  E  a 


I   PROMESSI   SPOSI,   CAPITOLO  XI.  205 

Milano?  Chi  si  cura  di  costoro  a  Milano?  Chi  gli  darehbe 
rella?  Chi  sa  che  ci  siano?  Son  come  gente  perduta  sulla 
terra  ;  non  hanno  né  anche  un  padrone  :  gente  di  nes- 
suno. Via,  via,  niente  paura.  Come  rimarrà  Attilio,  do- 
mattina !  Vedrà,  vedrà  s' io  fo  ciarle  o  fatti.  E  poi 

se  mai  nascesse  qualche  imbroglio che  so  io?  qual- 
che nemico  che  volesse  cogliere  quesl'  occasione ....  anche 
Attilio  saprà  consigliarmi:  e'  è  impegnato  l'onore  di  tutto 
il  parentado.  —  Ma  il  pensiero  sul  quale  si  fermava  di 
più ,  perchè  in  esso  trovava  insieme  un  acquietamento 
de'  dubbi ,  e  un  pascolo  alla  passion  principale,  era  il 
pensiero  delle  lusinghe,  delle  promesse  che  adoprerebbe 
per  abbonire  Lucia.  —  Avrà  tanta  paura  di  trovarsi  (pii 
sola,  in  mezzo  a  costoro,  a  queste  facce,  che ....  il  viso 
più  umano  qui  son  io ,  per  bacco che  dovrà  ricor- 
rere a  me,  toccherà  a  lei  a  pregare  ;  e  se  prega — 

Mentre  fa  questi  bei  conti,  sente  un  calpestìo,  va  alia 
finestra,  apre  un  poco ,  fa  capolino  ;  son  loro.  —  E  la 
bussola?  Diavolo!  dov'è  la  bussola?  Tre,  cinque,  otto: 
ci  son  tutti  ;  e'  è  anche  il  Griso  ;  la  bussola  non  e'  è  ; 
diavolo  !  diavolo  !  il  Griso  me  ne  renderà  conto.  — 

Entrati  clic  furono,  il  Griso  posò  in  un  angolo  d'una 
stanza  terrena  il  suo  bordone ,  posò  il  cappellaccio  e  il 
sanrocchino,  e,  conio  richiedeva  la  sua  carica,  che  in  (juel 
momento  nessuno  gf  invidiava,  salì  a  render  quel  conto 
a  don  Rodrigo.  Questo  l'aspettava  in  cima  alla  scala;  e 
vistolo  ai){)arire  con  (lucila  goffa  e  sguaiata  presenza  del 
birbone  deluso,  «  ebbene^  »  gli  disse,  o  gli  gridò  :  «  si- 
gnore spaccone,  signor  capitano,  signor  lasdfareamef  » 

«L'è  dura;  »  rispose  il  Griso,  restando  con  un  piede 
sul  primo  scalino,  «l'è  dura  di  ricever  de'  rimproveri, 
dopo  aver  lavorato  fedclnKuite,  e  cercato  di  fare  il  pro- 
l)i'io  dovere,  (;  aiTischiala  anche  la  pelle.  » 

«  Com'è  andata?  Sentiremo,  sentiivuio,  »  disse  don 
Rodrigo,  e  s'avviò  verso  la  sua  camera,  (ln\e  il  Griso  lo 
seguì,  e  fece  subito  la  relazione  di  ciò  che  a\e\a  disiio- 
.sto,  fallo,  veduto  e  non  veduto,  sentito,  temuto,  riparato; 


206  I    PROMESSI   SPOSI 

e  la  fece  {'Oli  quel  1' ordine  e  con  ([nella  confusione,  con 
((nella  dubbiezza  e  con  (juello  sbalonlinìento,  che  dove- 
vano per  forza  regnare  insieme  nelle  sue  idee. 

«  Tu  non  hai  torto,  e  ti  sei  portato  bene,  »  disse  don 
Rodrigo:  a  hai  fatto  quello  che  si  poteva;  ma, ...  ma, 
che  sotto  questo  tetto  ci  fosse  una  spia!  Se  c'è,  se  lo 
arrivo  a  scoprire,  e  lo  scopriremo  se  c'è,  le  l'accomodo 
io;  li  so  dir  io,  Griso,  che  lo  concio  per  il  di  delle  feste.  » 

«  Anche  a  me,  signore,  »  disse  il  Griso,  «  è  passalo 
per  la  mente  un  tal  sospetto:  e  se  fosse  vero,  se  si  ve- 
nisse a  scoprire  un  birbone  di  questa  sorte,  il  signor 
padrone  lo  deve  metter  nelle  mie  mani.  Uno  che  si  fosse 
preso  il  divertimento  di  farmi  passare  una  notte  come 
questa  !  toccherebbe  a  me  a  pagarlo.  Però  da  varie  cose 
m'  è  parso  di  poter  rilevare  che  ci  dev'essere  qualche  al- 
tro intrigo,  che  per  ora  non  si  può  capire.  Domani,  si- 
gnore, domani  se  ne  verrà  in  chiaro.  » 

«  Non  siete  slati  riconoscinli  almeno  ?  » 

Il  Griso  rispose  cbe  sperava  di  no  ;  e  la  conclusione 
del  discorso  fu  che  don  Rodrigo  gli  ordinò,  per  il  giorno 
dopo,  tre  cose  che  colui  avrebbe  sapute  ben  pensare  an- 
che da  sé.  Spedire  la  mattina  presto  due  uomini  a  fare 
al  console  quella  (ale  inumazione,  che  fu  poi  fatta,  come 
abbiam  veduto;  due  altri  al  casolare  a  far  la  ronda,  per 
tenerne  lontano  ogni  ozioso  che  vi  capitasse,  e  sottrarre 
a  ogni  sguardo  la  bussola  fino  alla  notte  prossima,  in 
chi  si  manderebbe  a  prenderla  ;  giacché  per  allora  non 
conveniva  fare  altri  movimenti  da  dar  sospetto  ;  antlar 
poi  lui ,  e  mandare  anche  altri  de'  più  disinvolti  e  di 
buona  testa,  a  mescolarsi  con  la  gente,  per  scovar  ({ual- 
cosa  intorno  all'  imbroglio  di  quella  notte.  Dati  tali  or- 
dini, don  Rodrigo  se  n'  andò  a  dormire,  e  ci  lasciò  an- 
dare anclic  il  Griso,  congedandolo  con  molte  lodi,  dalle 
(piali  traspariva  evidcnlcmente  l' inlenzione  di  risarcirlo 
iW'^y  iinpr(i|)('ri  [ncci[)ilati  coi  ([uali  lo  aveva  accollo. 

Va  a  dormire,  pov(TO  Griso,  che  tu  ne  devi  aver  bi- 
sogno. Povero  Griso!  In  faccende  tutto  il  giorno,  in  fac- 


CAPITOLO  XI.  207 

cendc  mezza  la  notte,  senza  conlare  il  pericolo  di  cader 
sotto  r  unghie  de'  villani ,  o  di  buscarli  una  taglia  per 
rapto  (U  donna  kunesta,  per  giunta  di  quelle  che  hai  già 
addosso;  e  poi  esser  ricevuto  in  quella  maniera!  Mal 
così  pagano  spesso  gii  uomini.  Tu  hai  però  potuto  ve- 
dere, in  questa  circostanza,  che  qualche  volta  la  giusti- 
zia, se  non  arriva  alla  prima,  arriva,  o  presto  o  tardi 
anche  in  questo  mondo.  Va  a  dormire  per  ora  :  che  un 
giorno  avrai  forse  a  somministrarcene  un'  altra  prova,  e 
più  notabile  di  questa. 

La  mattina  seguente  il  Griso  era  fuori  di  nuovo  in 
faccende,  quando  don  Rodrigo  s'alzò.  Questo  cercò  su- 
bito del  conte  Attilio,  il  quale,  vedendolo  spuntare,  fece 
un  viso  e  un  atto  canzonatorio,  e  gii  gridò  :  »  san  Mar- 
tino !  » 

«  Non  so  cosa  vi  dire ,  »  rispose  don  Rodrigo ,  arri- 
vandogli accanto  :  «  pagherò  la  scommessa  ;  ma  non  è 
questo  quel  che  più  mi  scotta.  Non  v'aveva  detto  nulla, 
perchè,  lo  confesso,  pensavo  di  farvi  rimanere  stamattina. 
Ma  ....  Iiasla,  ora  vi  racconterò  tutto.  » 

«  Ci  ha  messo  uno  zampino  quel  frate  in  ipiesf  af- 
fare, »  disse  il  cugino,  dopo  aver  sentito  tutto,  con  più 
serietà  che  non  si  sarebbe  aspettato  da  un  cervello  così 
Ijalzano.  <»  Quel  frate,  »  continuò,  «  con  quel  suo  fare 
di  gatta  morta,  e  con  quelle  sue  proposizioni  sciocche, 
io  r  ho  per  un  dirillone,  e  per  un  impiccione.  E  voi  non 
vi  siete  lidalo  di  me,  non  m'avete  mai  detto  chiaro  cosa 
sia  venuto  qui  a  impastocchiarvi  1'  altro  giorno.  »  Don 
l\odrigo  riferì  il  dialogo.  «  E  voi  avete  avuto  tanta  sof- 
Irrenza?  »  esclamò  il  conte  Attilio:  «  e  l'avete  lasciato 
andare  com'era  venuto?  » 

«  Che  volevat(^  ch'io  mi  tirassi  addosso  tulli  i  cap- 
pucciru  d'  Italia?  » 

«  Non  so,  »  disse  il  conlc  Allibo,  «  se.  in  (|ti(i  mo- 
mento, mi  sar(!Ì  ricordato  (iic  ci  l'ossero  al  niomlo  al  hi 
cap|»iiccini  (iie  tpui  temerario  birbanle:  ma  ^ia,  antiie 
nelle  regole  della  pruden/.a.  manca  la  maniera  di  pren- 


208  I    l'HOMESSI   SPOSI 

tlcrsi  soddisfazione  anche  d'un  cappuccino?  Bisogna  sa- 
per raddoppiare  a  tempo  le  gentilezze  a  lutto  il  corpo,  e 
allora  si  può  impunemente  dare  un  carico  di  bastonate 
a  un  membro.  Basta:  ha  scansato  la  punizione  che  gli 
stava  più  bene;  ma  lo  prendo  io  sotto  la  mia  prolezione, 
e  voglio  aver  la  consolazione  d' insegnargli  come  si  parla 
co'  pari  nostri.  » 

«  Non  mi  fate  peggio.  » 

«  Fidatevi  una  volta,  che  vi  servirò  da  parente  e  da 
amico.  » 

«  Cosa  pensate  di  fare?  » 

«  Non  lo  so  ancora  ;  ma  lo  servirò  io  di  sicuro  il  frate. 

Ci  penserò,  e il  signor  conte  zio  del  Consiglio  segreto 

è  lui  che  mi  deve  fare  il  servizio.  Caro  signor  conte  zio! 
Quanto  mi  diverto  ogni  volta  che  lo  posso  far  lavorare 
per  me,  un  politicone  di  quel  calibro  !  Doman  l'altro  sarò 
a  Milano,  e,  in  una  maniera  o  in  un'altra,  il  frate  sarà 
servito.  » 

Venne  intanto  la  colazione ,  la  quale  non  interruppe 
il  discorso  d'un  atfare  di  queir  importanza.  Il  conte  At- 
tilio ne  parlava  con  disinvoltura  -,  e  ,  sebbene  ci  pren- 
desse quella  parte  che  ricliiedeva  la  sua  amicizia  per  il 
cugino  e  l'onore  del  nome  comune,  secondo  le  idee  che 
aveva  d' amicizia  e  d'onore,  pure  ogni  tanto  non  poteva 
tenersi  di  non  rider  sotto  i  baffi,  di  quella  bella  riuscita. 
Ma  don  Rodrigo ,  eh'  era  in  causa  propria ,  e  che ,  cre- 
dendo di  far  quietamente  un  gran  colpo,  gli  era  andato 
fallilo  con  fracasso,  era  agitato  da  passioni  più  gravi  e 
distratto  da  pensieri  più  fastidiosi.  »  Di  belle  ciarle,  » 
diceva,  «  faranno  questi  mascalzoni,  in  tutto  il  contorno. 
Ma  che  m' imporla?  In  quanto  alla  giustizia,  me  ne  rido: 
prove  non  ce  n'  è  ;  ({uando  ce  ne  fosse ,  me  ne  ritierei 
ugualmente  :  a  buon  conto,  ho  fatto  stamattina  avverlire 
il  console  che  guardi  bene  di  non  far  deposizione  del- 
l'avvenuto. Non  ne  seguirijbbe  nulla  :  ma  le  ciarle,  quando 
vanno  in  lungo,  mi  seccano.  É  anche  Iropiio  ch'io  sia 
slato  burlato  cosi  barbaramente.  » 


CAPITOLO   XI.  20!J 

4  Avete  fatto  benissimo,  »  rispondeva  il  conte  Attilio. 

«  Codesto  vostro  podestà gran  caparbio,  gran  lesta 

vota,  gran  seccature  criin  podestà e  poi  un  galantuo- 
mo, UH  uomo  clic  sa  il  suo  dovere  ;  e  appunto  quando 
s'  ba  che  fare  con  persone  tali,  bisogna  aver  più  riguardo 
di  non  metterle  in  impicci.  Se  un  mescalzone  di  console 
fa  una  deposizione,  il  podestà,  per  quanto  sia  ben  inten- 
zionato ,  bisogna  pure  clic » 

»  Ma  voi,  »  interruppe,  con  un  po'  di  stizza,  don  Ro- 
drigo, «  voi  guastale  le  mie  faccende ,  con  quel  vostro 
contraddirgli  in  tutto,  e  dargli  sulla  voce,  e  canzonarlo 
anche,  all'  occorrenza.  Che  diavolo,  che  un  podestà  non 
possa  esser  bestia  e  ostinalo ,  quando  nel  rimanente  è 
un  galantuomo  !  d 

1  Sapete,  cugino,»  disse  guardandolo,  maravigliato, 
il  conte  Attilio ,  «  sapete ,  che  comincio  a  credere  che 
abbiate  un  po'  di  paura  ?  Mi  prendete  sul  serio  anche  il 
podestà » 

«  Via  via,  non  avete  detto  voi  slesso  che  bisogna  te- 
nerlo di  conto  ?  » 

t  L'  ho  detto  :  e  quando  si  tratta  d'un  alTare  serio,  vi 
farò  vedere  che  non  sono  un  ragazzo.  Sapete  cosa  mi 
basta  l'animo  di  far  per  voi?  Son  uomo  da  andare  in 
vpersona  a  far  visita  al  signor  podestà.  Ah!  sarà  contento 
dell'onore?  E  son  uomo  da  lasciarlo  parlari;  per  mez- 
z'  ora  del  conte  duca,  e  del  nostro  signor  castellano  spa- 
gnolo ,  e  da  dargli  ragione  in  tutto ,  anche  quando  ne 
dirà  di  quelle  così  massicce.  Butterò  poi  là  qualche  pa- 
rolina sul  conte  zio  del  Consiglio  segreto  :  e  sapete  che 
elfetlo  fanno  quelle  paroline  neH' orecchio  del  signor  pò 
desta.  Alla  fin  de'  conti,  ha  più  bisogno  lui  della  nostra 
proiezione ,  che  voi  della  sua  condiscendenza.  Farò  di 
buono,  e  ci  anderò,  e  ve  lo  lascerò  meglio  disposto  che  mai.» 

Dopo  queste  e  altre  simili  parole,  il  conte  Attilio  uscì, 
per  andare  a  caccia  ;  e  don  Rodrigo  stette  aspettando  con 
ansietà  il  ritorno  del  Griso.  Venne  costui  fuìalmcnte.  sul- 
r  ora  del  desinare,  a  far  la  sua  relazione. 


210  I   l'ROMESSI   SPOSI 

Lo  scompiglio  di  quella  notte  era  stato  tanto  clamo- 
roso, la  sparizione  di  tre  persone  da  un  paesello  era  un 
tal  a\v(Miiniento,  clic  le  ricerche,  e  per  premura  e  per 
curiosità,  dovevano  naluralmenle  essere  molt(;  e  calde  e 
insistenti;  e  dalFalIra  parte,  gì'  informati  di  (piolche  cosa 
eran  troppi,  per  andar  tutti  d'accordo  a  tacer  tutto.  Per- 
petua non  poteva  farsi  veder  sull'  uscio ,  che  non  fosse 
tempestata  da  quello  e  da  quell'altro,  perchè  dicesse  chi 
era  stato  a  far  quella  gran  paura  al  suo  padrone  :  e  Per- 
petua, ripensando  a  tutte  le  circostanze  del  fatto,  e  rac- 
capezzandosi finalmente  eh'  era  stala  infinocchiata  da 
Agnese,  sentiva  tanta  rabbia  di  quella  perfidia,  che  aveva 
proprio  bisogno  d'un  po'  di  sfogo.  Non  già  che  andasse 
lamentandosi  col  terzo  e  col  quarto  della  maniera  tenuta 
per  infinocchiar  lei  :  su  questo  non  fiatava  ;  ma  il  tiro 
fatto  al  suo  proprio  padrone  non  lo  poteva  passare  affatto 
sotto  silenzio  ;  e  sopra  tutto,  che  un  tiro  tale  fosse  stato 
concertato  e  tentato  da  quel  giovine  dabbene,  da  quella 
buona  vedova ,  da  quella  madonnina  infilzata.  Don  Ab- 
bondio poteva  ben  comandarle  risolutamente,  e  pregarla 
cordialmente  che  stesse  zitta;  lei  poteva  bene  ripetergli 
che  non  faceva  bisogno  di  suggerirle  una  cosa  tanto 
chiara  e  tanto  naturale  ;  certo  è  che  un  così  gran  se- 
greto stava  nel  cuore  della  povera  donna,  come,  in  una 
botte  vecchia  e  mal  cerchiata,  un  vino  mollo  giovine,  che 
grilla  e  gorgoglia  e  ribolle,  e,  se  non  manda  il  lappo  per 
aria,  gli  geme  all'intorno,  e  vien  fuori  in  ischiuma,  e 
trapela  tra  doga  e  doga,  e  gocciola  di  qua  e  di  là,  tanto 
che  uno  può  assaggiarlo,  e  dire  a  un  di  presso  che  vino 
è.  Gervaso,  a  cui  non  pareva  vero  d'essere  una  volta  più 
informato  degli  altri,  a  cui  non  pareva  piccola  gloria 
l'avere  avuta  una  gran  paura,  a  cui,  per  aver  tenuto  di 
mano  a  una  cosa  che  puzzava  di  criminale,  pareva  d'es- 
ser diventato  un  uomo  come  gli  altri,  crepava  di  voglia 
di  vantarsene.  E  (piaidunquc  Tonio,  che  p(>nsava  seria- 
menta  all'inquisizioni  e  ai  processi  possibili  e  al  conto 
da  rendere,  gli  comandasse,  co'  pugni  sul  viso,  di  non 


CAPITOLO  XT,  211 

dir  nulla  a  nessuno,  pure  non  ci  fu  verso  dì  soffoprargli 
in  bocca  ogni  parola.  Del  resto  Tonio,  anche  lui.  dopo 
essere  stato  quella  notte  fuor  di  casa  in  ora  insolita, 
tornandovi,  con  un  passo  e  con  un  sembiante  insolito,  e 
con  una  agitazion  d'animo  che  lo  disponeva  alla  since- 
rità, non  potè  dissimulare  il  fatto  a  sua  moglie;  la  quale 
non  era  muta.  Clii  parlò  meno,  fu  Menico;  perchè,  ap- 
pena ebbe  raccontata  ai  genitori  la  storia  e  il  motivo  della 
sua  spedizione,  parve  a  questi  una  cosa  così  terribile  che 
un  loro  figliuolo  avesse  avuto  parte  a  buttare  all'  aria 
un'  impresa  di  don  Rodrigo,  che  quasi  quasi  non  lascia- 
ron  finire  al  ragazzo  il  suo  racconto.  Gli  fecero  poi  su- 
bito i  più  forti  e  minacciosi  comandi  che  guardasse  bene 
di  non  far  neppure  un  cenno  di  nulla  :  e  la  mattina  se- 
guente, non  parendo  loro  d'essersi  abbastanza  assicurati, 
risolvettero  di  tenerlo  chiuso  in  casa ,  per  quel  giorno. 
e  per  qualche  altro  ancora.  Ma  che?  essi  medesimi  poi 
chiacchierando  con  la  gente  del  paese,  e  senza  voler  mo- 
strar di  saperne  più  di  loro ,  quando  si  veniva  a  quel 
punto  oscuro  della  fuga  de'  nostri  tre  poveretti ,  e  del 
come,  e  del  perchè,  e  del  dove,  aggiungevano,  come  cosa 
conosciuta,  che  s'  eran  rifugiati  a  Pescarenico.  Così  an- 
che questa  circostanza  eiUrò  ne'  discorsi  comuni. 

Con  tutti  questi  brani  di  notizie,  messi  poi  insieme  e 
uniti  come  s'usa,  e  con  la  frangia  che  ci  s'attacca  na- 
turalmente nel  cucire,  c'era  da  fare  una  storia  d'una  cer- 
tezza e  d'una  chiarezza  tale,  da  esserne  pago  ogni  in- 
telletto più  critico.  Ma  ([uella  invasion  de;'  bravi,  accidente 
troppo  grave  e  trojtpo  rumoroso  per  esser  lasciato  fuori, 
e  del  quale  nessuno  aveva  una  conoscenza  un  po'  posi- 
tiva, quell'accidente  era  ciò  che  imbrogliava  tutta  la 
storia.  Si  mormorava  il  nome  di  don  Rodrigo:  in  que- 
sto andavan  lutti  d'accordo;  nel  resto  tutto  era  oscurità 
e  congetture  diverse.  Si  parlava  molto  de'  due  bravacci 
ch'erano  siali  veduti  nella  strada,  sul  far  della  sera,  e 
dell'auro  che  stava  sull'uscio  dell'osteria;  madie  lume 
si  poteva  ricavane  da  questo  fatto  cosi  asciiitto?   Si  do- 


212  1    PROMESSI   SPOSI 

mandava  bene  all'oslc  chi  era  sialo  da  lui  la  sera  avanli; 
ma  l'oste,  a  dargli  retta,  non  si  rammentava  neppure  se 
avesse  vedulo  gente  quella  sera  ;  e  badava  a  dire  che 
1'  osteria  è  un  porlo  di  mare.  Sopra  tulio,  confondeva  le 
leste,  e  disordinava  le  congetture  quel  pehegrino  vedulo 
da  Stefano  e  da  Carlandrea,  quel  pellegrino  che  i  ma- 
landrini volevano  ammazzare,  e  che  se  n'era  andato  con 
loro,  0  che  essi  avevan  portato  via.  Cos'era  venuto  a 
fare?  Era  un'anima  del  purgatorio,  comparsa  per  aiutar 
le  donne;  era  un'anima  dannata  d'un  pellegrino  bir- 
bante e  impostore,  che  veniva  sempre  di  notte  a  unirsi 
con  chi  facesse  di  quelle  che  lui  aveva  fatte  vivendo;  era 
un  pellegrino  vivo  e  vero,  che  coloro  avevan  voluto  am- 
mazzare, per  timor  che  gridasse,  e  destasse  il  paese;  era 
(vedete  un  po'  cosa  si  va  a  pensare!  )  uno  di  quegli  stessi 
malandrini  travestito  da  pellegrino;  era  questo,  era  quello, 
era  tante  cose  che  tulla  la  sagacità  e  l'  esperienza  del 
Griso  non  sarebbe  bastata  a  scoprire  chi  fosse,  se  il  Griso 
avesse  dovuto  rilevar  questa  parte  della  storia  da'  discorsi 
altrui.  Ma,  come  il  leltore  sa,  ciò  che  la  rendeva  imbro- 
gliala agli  altri,  era  appunto  il  più  chiaro  per  lui:  ser- 
vendosene di  chiave  per  interpretare  le  altre  notizie  rac- 
colte da  lui  immediatamente,  o  col  mezzo  degli  esplo- 
ratori subordinati,  potè  di  lutto  comporne  per  don  Ro- 
drigo una  relazione  bastantemente  distinta.  Si  chiuse  su- 
bito con  lui ,  e  r  informò  del  colpo  tentato  dai  poveri 
sposi,  il  che  spiegava  naluralmenle  la  casa  trovata  vota 
e  il  sonare  a  martello,  senza  che  facesse  bisogno  di  sup- 
porre che  in  casa  ci  fosse  qualche  traditore,  come  dice- 
vano que'  due  galantuomini.  L' informò  della  fuga  ;  e 
anche  a  questa  era  facile  trovarci  le  sue  ragioni:  il  ti- 
more degli  sposi  colti  in  fallo,  o  qualche  avviso  dell'  in- 
vasione, dato  loro  quand'era  scoperta,  e  il  paese  lutto  a 
soqquadro.  Disse  finalmente  che  s' eran  ricoverati  a  Pe- 
scarenico ;  più  in  là  non  andava  la  sua  scienza.  Piacque 
a  don  Rodrigo  l'esser  certo  che  nessuno  l'aveva  tradito, 
e  il  vedere  che  non  rimanevano  tracce  del  suo  fatto;  ma 


CAPITOLO  xr.  213 

fu  quella  una  rapida  e  leggiera  compiacenza.  «  Fuggiti 
insieme!  »  gridò  :  «  insieme  !  E  quel  frate  birbante  !  Quel 
frate  !  »  la  parola  gli  usciva  arrantolala  dalla  gola ,  e 
smo/.zicala  tra'  ileiili,  che  mordevano  il  dito:  il  suo  aspetto 
era  brutto  come  le  sue  passioni  :  «  Quel  frate  me  la  pa- 
gherà. Griso!  non  son  chi  sono voglio  sapere,  voglio 

trovare questa  sera,  voglio  saper  dove  sono.  Non  ho 

pace.  A  Pescarenico,  subito,  a  sapere,  a  vedere,  a  tro- 
vare   Quattro  scudi  subilo ,  e  la  mia  prolezione  per 

sempre.  Questa  sera  lo  voglio  sapere.  E  quel  birbone....! 
quel  frale ....!» 

Il  Griso  di  nuovo  in  campo  ;  e,  la  sera  di  quel  giorno 
medesimo ,  potè  riportare  al  suo  degno  padrone  la  no- 
tizia desiderala:  ed  ecco  in  qual  maniera. 

Una  delle  pii^i  gran  consolazioni  di  questa  vila  è  l'ami- 
cizia; e  una  delle  consolazioni  dell'amicizia  è  quell'avere 
a  cui  confidare  un  segreto.  Ora ,  gli  amici  non  sono  a 
due  a  due,  come  gli  sposi  ;  ognuno,  generalmente  par- 
lando, ne  ha  più  d'uno:  il  che  forma  una  catena,  di  cui 
nessuno  polrebi)e  trovar  la  fine.  Quando  dunque  un  amico 
si  procura  (piella  consolazione  di  deporre  un  segreto  nel 
seno  d'un  altro,  dà  a  costui  la  voglia  di  procurarsi  la 
stessa  consolazione  anche  lui.  Lo  prega,  ò  vero,  di  non 
dir  milla  a  nessuno:  e  una  tal  condizione,  chi  la  pren- 
desse nel  senso  rigoroso  delle  parole,  troncherebbe  ini- 
medialainenle  il  corso  delle  consolazioni.  Ma  la  pratica 
generale  ha  voluto  che  obblighi  soltanto  a  non  confidare 
il  segreto,  se  non  a  chi  sia  un  amico  ugualmente  fidalo, 
e  imponendogli  la  slessa  condizione.  Cosi,  d'amico  fidalo 
in  amico  fidalo ,  il  segreto  gira  e  gira  per  ([uell'  im- 
mensa catena,  tanto  che  arriva  all'urecrhio  di  colui  o  di 
coloro  a  cui  il  primo  che  ha  parlalo  intendeva  appunto 
di  non  lasciarlo  arrivar  mai.  Avrebbe  però  ordinaria- 
menle  a  stare  un  gran  pezzo  in  cammino ,  se  ognuno 
non  avesse  che  due  amici:  ((uello  che  gli  dice,  e  (pu'llo 
a  (Ili  ridice  la  cosa  da  tacersi.  Ma  ci  son  degli  uomini 
privilegiali   che  li  contano  a  centinaia  ;  e  (juaiulo  il  so- 


I 


214  I   PROMESSI   SPOSI 

greto  è  venuto  a  imo  di  questi  uomini,  i  giri  divcngon 
sì  rapidi  e  si  moltiplici,  che  non  è  più  possibile  di  se- 
guirne la  traccia.  Il  nostro  autore  non  ha  potuto  accer- 
tarsi per  quante  bocche  fosse  passato  il  segreto  che  il 
Griso  aveva  ordine  di  scovare  :  il  fatto  sta  che  il  buon 
uomo  da  cui  erano  stale  scortate  le  donne  a  Monza,  tor- 
nando, verso  le  ventitré,  col  suo  baroccio,  a  Pescarenico, 
s'abbattè,  prima  d'arrivare  a  casa,  in  un  amico  fidato, 
al  quale  raccontò  in  gran  confidenza,  l'opera  buona  che 
aveva  fatta ,  e  il  rimanente  ;  e  il  fatto  sta  che  il  Griso 
potè ,  due  ore  dopo ,  correre  al  palazzotto ,  a  riferire  a 
don  Rodrigo  che  Lucia  e  sua  madre  s'  eran  ricoverate 
in  un  convento  di  Monza,  e  che  Renzo  aveva  seguitata 
la  sua  strada  fino  a  Milano. 

Don  Rodrigo  provò  una  scellerata  allegrezza  di  quella 
separazione^  e  senti  rinascere  un  po'  di  quella  scellerata 
speranza  d'arrivare  al  suo  in  lento.  Pensò  alla  maniera, 
gran  parte  della  notte  ;  e  s'  alzò  presto,  con  due  disegni, 
r  uno  stabilito,  l'altro  abbozzato.  Il  primo  era  di  spedire 
immantinente  il  Griso  a  Monza,  per  aver  più  chiare  no- 
tizie di  Lucia ,  e  sapere  se  ci  fosse  da  tentar  qualche 
cosa.  Fece  dunque  chiamar  subito  quel  suo  fedele,  gli 
mise  in  mano  i  quattro  scudi,  lo  lodò  di  nuovo  dell'abi- 
lità con  cui  gli  aveva  guadagnati ,  e  gli  diede  1'  ordine 
che  aveva  premeditato. 

«  Signore »   disse,  tentennando,  il  Griso. 

«  Che  ?  non  ho  io  parlato  chiaro  ?  » 

«  Se  potesse  mandar  qualchedun  altro » 

«  Come  ?  » 

«  Signore  illustrissimo ,  io  son  pronto  a  metterci  la 
pelle  per  il  mio  padrone  :  è  il  mio  dovere,  ma  so  anche 
che  lei  non  vuole  arrischiar  troppo  la  vita  de'  suoi 
sudditi.  K 

«  Ebbene?  » 

«  Vossignoria  illustrissima  sa  bene  quelle  poche  ta- 
glie eh'  io  ho  addosso  :  e Qui  son  sotto  la  sua  pro- 
lezione ;  siamo  una  brigata;  il  signor  podestà  è  amico 


CAPITOLO  XI.  215 

di  casa;  i  birri  mi  portan  rispetto;  e  anch'io è  cosa 

clic  fa  poco  onore,  ma  per  viver  quieto li  tratto  da 

amici.   In  Milano  la  livrea  di  vossignoria  è  conosciuta; 

ma  in   Monza ci  sono  conosciuto  io  in  vece.  E  sa 

vossignoria  che,  non  fo  per  dire,  chi  mi  potesse  conse- 
gnare alla  giustizia,  o  presentar  la  mia  testa,  farebbe  un 
liei  colpo?  Cento  scudi  l'uno  sull'altro,  e  la  facoltà  di 
liberar  due  banditi.  » 

«  Che  diavolo  !  »  disse  don  Rodrigo  :  «  tu  mi  riesci 
ora  un  can  da  pagliaio  che  ha  cuore  appena  d'  avven- 
tarsi alle  gambe  di  chi  passa  sulla  porta ,  guardandosi 
indietro  se  quei  di  casa  lo  spalleggiano,  e  non  si  sente 
d'  allontanarsi  !  » 

s  Credo,  signor  padrone,  d'aver  date  prove ....  » 

«  Dunque  !  » 

«  Dunque,  »  ripigliò  francamente  il  Griso,  messo  cosi 
al  punto ,  «  dunque  vossignoria  faccia  conto  eh'  io  non 
abbia  parlato:  cuor  di  leone,  gamba  di  lepre,  e  son  pronto 
a  partire.  » 

«  E  io  non  ho  detto  che  tu  vada  solo.  Piglia  con  te 

un  paio  de'  meglio lo  Sfregiato,  e  il  Tiradritto;  e  va 

di  buon  animo,  e  sii  il  Griso.  Che  diavolo!  Tre  figure 
come  le  vostre ,  e  che  vanno  per  i  fatti  loro ,  chi  vuoi 
che  non  sia  contento  di  lasciarle  passare  ?  Bisognerebbe 
che  a'  birri  di  Monza  fosse  ben  venuta  a  noia  la  vita, 
per  metterla  su  contro  cento  scudi  a  un  gioco  cosi  ri- 
schioso. E  poi,  e  poi,  non  credo  d'esser  cosi  sconosciuto 
da  (pielle  parli,  che  la  (pialilii  di  mio  servitore  non  ci 
si  conti  per  nulla.  » 

Svergognato  così  un  poco  il  Griso,  gli  diede  poi  più 
ampie  e  particolari  istruzioni.  Il  Griso  prese  i  due  com- 
pagni ,  e  parti  con  faccia  allegra  e  baldanzosa .  ma  be- 
stemmiando in  cuor  suo  Monza  e  le  taglie  e  le  donne 
e  i  caiiricci  de'  padroni  :  e  camminava  come  il  lupo,  che 
spinto  dalla  fame,  col  venln>.  raggrinzato,  e  con  le  co- 
stole che  gU  si  potrebber  contare,  scende  da'  suoi  monti, 
dove  non  c'è  che  neve,   s'avanza   sospettosamente  nel 


216  1   PROMESSI   SPOSI 

piano,  si  l'erma  ogni  lauto,  con  una  zampa  sospesa,  di- 
menando la  coda  spelacchiala, 

Leva  il  muso,  odoranrlo  il  votilo  infirlo, 

se  mai  gli  porti  odore  d'uomo  o  di  ferro,  rizza  gli  orec- 
chi acuti ,  e  gira  due  occhi  sanguigni ,  da  cui  traluce 
insieme  1'  ardore  della  preda ,  e  il  terrore  defila  caccia. 
Del  rimanente  quel  hel  verso ,  chi  volesse  saper  donde 
venga,  è  trailo  da  una  diavoleria  inedita  di  crociate  e 
di  lombardi,  che  presto  non  sarà  pii!i  inedita,  e  farà  un 
bel  rumore;  e  io  l' lio  preso,  perchè  mi  veniva  in  taglio; 
e  dico  dove^  per  non  farmi  bello  della  roba  altrui:  che 
qualcheduno  non  pensasse  che  sia  una  mia  astuzia  per 
far  sapere  che  l'autore  di  quella  diavoleria  ed  io  siamo 
come  fratelli ,  e  eh'  io  frugo  a  piacer  mio  ne'  suoi  ma- 
noscritti. 

L'altra  cosa  che  premeva  a  don  Rodrigo,  era  di  tro- 
var la  maniera  che  Renzo  non  potesse  più  tornar  con 
Lucia,  nò  metter  piede  in  paese  ;  e  a  questo  fine,  mac- 
chinava di  fare  sparger  voci  di  minacce  e  d' insidie,  che, 
venendogli  all'oreccltio,  per  mezzo  di  qualche  amico,  gli 
facessero  passar  la  voglia  di  tornar  da  quelle  parli.  Pen- 
sava però  che  la  più  sicura  sarebbe  se  si  potesse  farlo 
sfrattar  dallo  stato  :  e  per  riuscire  in  questo,  vedeva  che 
più  della  forza  gli  avrebbe  potuto  servir  la  giustizia.  Si 
poteva,  per  esempio,  dare  un  po'  di  colore  al  tentativo 
fatto  nella  casa  parrocchiale,  dipingerlo  come  un'aggres- 
sione, un  atto  sedizioso,  e,  per  mezzo  del  dottore,  fare 
intendere  al  podestà  ch'era  il  caso  di  spedir  contro  Renzo 
una  buona  cattura.  Ma  pensò  che  non  conveniva  a  lui 
di  rimestar  quella  brulla  faccenda  ;  e  senza  star  altro  a 
lamljiccarsi  il  cervello,  si  risolvette  d'aprirsi  col  dottor 
Azzecca-garl lugli,  quanto  era  necessario  per  fargli  com- 
prendere il  suo  desiderio.  —  Le  gride  son  tante  !  —  pen- 
sava: —  e  il  dottore  non  è  un'oca;  qualcosa  che  faccia 


CAPITOLO   XI.  217 

al  caso  mio  saprà  trovare,  qualche  garbuglio  da  azzec- 
care a  quel  villanaccio  :  allrimenli  gii  muto  nome.  —  Ma 
(come  vanno  alle  volte  le  cose  di  questo  mondo  !  )  in- 
tanto che  colui  pensava  al  dottore ,  come  all'  uomo  più 
abile  a  servirlo  in  questo,  un  altr'uomo,  l'uomo  cbe  nes- 
suno s'immaginerebbe,  Renzo  medesimo,  per  dirla,  la- 
vorava di  cuore  a  servirlo,  io  un  modo  più  certo  e  più 
spedito  di  tutti  quelli  cbe  il  dottore  avrebbe  mai  saputi 
trovare. 

Ho  visto  più  volte  un  caro  fanciullo,  vispo,  per  dire 
il  vero,  più  del  bisogno,  ma  cbe,  a  tutti  i  segnali,  mo- 
stra di  voler  riuscire  un  galantuomo;  T  bo  visto,  dico, 
più  volle  afTaccendato  sulla  sera  a  mandare  al  coperto 
un  suo  gregge  di  porcellini  d' India,  cbe  aveva  lasciati 
scorrer  liberi  il  giorno,  in  un  giardinetto.  Avrebbe  vo- 
luto fargli  andar  tutti  insieme  al  covile  ;  ma  era  fatica 
buttala:  uno  si  sbandava  a  destra,  e  mentre  il  piccolo 
pastore  correva  per  cacciarlo  nel  branco,  un  altro,  due, 
tre  ne  uscivano  a  sinistra ,  da  ogni  parte.  Dimodoché , 
dopo  essersi  un  po'  impazientito,  s'adattava  al  loro  genio, 
spingeva  prima  dentro  quelli  cb'eran  più  vicini  all'uscio, 
poi  andava  a  prender  gli  altri,  a  uno,  a  due,  a  tre,  come 
gli  riusciva.  Un  gioco  simile  ci  convien  fai'e  co'  nostri 
personaggi  :  ricoverata  Lucia,  slam  corsi  a  don  Rodrigo; 
e  ora  lo  dobbiamo  abbandonare,  per  andar  dietro  a  Renzo, 
che  avevam  perduto  di  vista. 

Dopo  la  se[)arazione  dolorosa  cbe  ahbiam  raccontata, 
camminava  Renzo  da  Monza  verso  Milano,  in  quello  stato 
d'animo  che  ogiunio  può  immaginarsi  lacilmenle.  Abban- 
donar la  casa,  tralasciare  il  mestiere,  e  (luel  ch'era  più 
di  tutto,  allontanarsi  da  Lucia,  trovarsi  sur  una  strada, 
senza  saper  dove  allibirebbe  a  posarsi  ;  e  tutto  per  causa 
di  (Ilici  Itirhone  !  Quando  si  tratteneva  col  pensiero  sul- 
l'una o  sull'altra  di  (piesle  cose,  s'ingollava  tutto  nella 
rabbia,  e  nel  desiderio  della  vendetta;  ma  gli  tornava 
poi  in  mente  quella  preghiera  che  aveva  recitata  anche 
lui  col  suo  buon  frate,  nella  chiesa  di  PescanMiico;  e  si 

VOL.   I.  1(1 


218  I   PROMESSI  SPOSI 

ravvedeva  :  gli  si  risvegliava  ancora  la  slizza  :  ma  ve- 
dendo un'immagine  sul  muro,  si  levava  il  eappello,  e 
si  fermava  un  momento  a  pregar  di  nuovo  :  tanto  die, 
in  quel  viaggio,  ebbe  ammazzato  in  cuor  suo  don  Ro- 
<lrigo,  e  risuscitatolo,  almeno  venti  volle.  La  strada  era 
allora  tutla  sepolta  tra  due  alte  rive,  fangosa,  sassosa, 
solcala  da  rotaie  profonde,  clie,  dopo  una  pioggia,  dive- 
nivan  rigagnoli  ;  e  in  certe  parli  più  basse ,  s'  allagava 
tutta ,  che  si  sarebbe  potuto  andarci  in  barca.  A  que' 
passi,  un  piccol  sentiero  erto,  a  scalini,  sulla  riva,  indi- 
cava che  altri  passeggieri  s'eran  fatta  una  strada  ne' campi. 
Renzo,  salito  per  un  di  que'  valichi  sul  terreno  più  elevato, 
vide  quella  gran  macchina  del  duomo  sola  sul  piano, 
come  se,  non  di  mezzo  a  una  città,  ma  sorgesse  in  un 
deserto;  e  si  fermò  su  due  piedi,  dimenticando  tutti  i 
suoi  guai,  a  contemplare  anche  da  lontano  queir  oliava 
maraviglia,  di  cui  aveva  tanto  sentilo  parlare  fin  da  bam- 
liino.  Ma  dopo  qualche  momento,  voltandosi  indietro,  vide 
all'orizzonte  quella  cresta  frastagliala  di  montagne,  vide 
distinto  e  alto  tra  quelle  il  suo  fìesecjone,  si  sentì  tutto 
riraestolare  il  sangue,  stette  lì  alquanto  a  guardar  tripla- 
mente da  quella  parte,  poi  tristamente  si  voltò,  e  seguitò 
la  sua  strada.  A  poco  a  poco  cominciò  poi  a  scoprir  cam- 
panili e  torri  e  cupole  e  tetti;  scese  allora  nella  strada, 
camminò  ancora  qualche  tempo,  e  quando  s'accorse  d'es- 
ser ben  vicino  alla  città ,  s'  accostò  a  un  viandante ,  e, 
inchinatolo,  con  tutto  quel  garbo  che  seppe,  gli  disse: 
«  di  grazia,  quel  signore.  » 

«  Che  volete,  bravo  giovine?  » 

«  Saprebbe  insegnarmi  la  strada  più  corta,  per  an- 
dare al  convento  de'  cappuccini  dove  sta  il  patire  Bona- 
ventura? » 

L'  uomo  a  cui  Renzo  s' indirizzava,  era  un  agiato  abi- 
tante del  contorno,  che,  andato  quella  manina  a  Milano, 
per  certi  suoi  affari,  se  ne  tornava,  senza  aver  fallo  nulla, 
in  gran  fretta,  che  non  vedeva  l'ora  di  trovarsi  a  casa, 
e  avrebbe  fatto  volentieri  di  meno  di  quella  fermata.  Con 


CAPITOLO   XI.  219 

lutto  ciò,  senza  dar  segno  d'impazienza,  rispose  molto 
gentilmente:  «  figliuol  caro,  de'  conventi  ce  n'è  più  d'uno: 
bisognerebbe  cbe  mi  sapeste  dir  più  chiaro  quale  è  quello 
che  voi  cercate.  »  Renzo  allora  si  levò  di  seno  la  lettera 
del  padre  Cristoforo,  e  la  fece  vedere  a  quel  signore,  il 
quale,  lettovi:  porta  orientale,  gliela  rendette,  dicendo: 
«  siete  fortunato,  bravo  giovine  :  il  convento  che  cercate 
ò  poco  lontano  di  qui.  Prendete  per  questa  viottola  a 
mancina  :  è  una  scorciatoia  :  in  pochi  minuti  arriverete 
a  una  cantonata  d'una  fabbrica  lunga  e  bassa:  è  il  laz- 
zaretto; costeggiate  il  fossato  che  lo  circonda,  e  riusci- 
rete a  porla  orientale.  Entrale,  e,  dopo  Ire  o  quattrocento 
passi,  vedrete  una  piazzetta  con  de'  begli  olmi  :  là  è  il 
convento:  non  potete  sbagliare.  Dio  v'  assista,  bravo  gio- 
vine. »  E,  accompagnando  l'ultime  parole  con  un  gesto 
grazioso  della  mano,  se  n'andò.  Renzo  rimase  stupefatto 
e  edificato  della  buona  maniera  de'  cittadini  verso  la  genie 
di  campagna  ;  e  non  sapeva  ch'era  un  giorno  fuor  del- 
l'ordinario, un  giorno  in  cui  le  cappe  s' inchinavano  ai 
farsetti.  Fece  la  strada  che  gli  era  slata  insegnata,  e  si 
trovò  a  porta  orientale.  Non  bisogna  però,  che  a  questo 
nome,  d  lettore  si  lasci  corren;  alla  fantasia  l' immagini 
che  ora  vi  sono  associale.  Quando  Renzo  entrò  per  quella 
porla,  la  strada  al  di  fuori  non  andava  diritta  che  per 
tutta  la  lunghezza  del  lazzaretto  ;  poi  scorreva  serpeg- 
giante e  stretta,  tra  due  siepi.  La  porta  consisteva  in  due 
pilaslri,  con  sopra  una  tettoia,  per  riftarare  i  ballenii.  o 
da  una  parie,  una  casiuTÌa  per  i  galiellini.  l  ha-^lioni 
scendevano  in  pendio  irregolare,  e  il  terreno  era  una 
superlicie  aspra  e  inuguale  di  rottami  e  di  cocci  buttali 
là  a  caso.  La  si  rada  che  s'apriva  dinanzi  a  chi  entrava 
per  quella  porta,  non  si  i)aragonerebbe  male  a  quella 
che  ora  si  presenta  a  chi  entri  da  porla  Tosa.  Un  l'os- 
salcllo  l(^  scorreva  nel  mezzo,  lino  a  poca  disianza  dalla 
porla,  e  la  divideva  cosi  in  due  slradelle  tortuose,  ri- 
coperte di  polvere  o  di  fango,  secondo  la  stagione.  Al 
punto  dov'era,  e  dov'è  lullora  ([nella  viuzza  chiamala  di 


220  I   PROMESSI   SPOSI 

BorglioUo,  il  fossatollo  si  perdeva  in  una  fop:nn.  Li  c'era 
lina  colonna,  con  sopra  ima  croce,  della  di  san  Dionigi: 
a  desira  e  a  sinislra.  erano  orli  cinti  di  siepe  e.  ad  in- 
tervalli, casucce,  abitale  per  lo  più  da  lavandai.  Renzo 
entra,  passa;  nessuno  de'  gabellini  gli  bada  :  cosa  che  gli 
parve  strana,  giacché ,  da  que'  pochi  del  suo  paese  che 
potevan  vantarsi  d'essere  stati  a  Milano,  aveva  sentilo 
raccontar  cose  grosse  de'  frugamenti  e  dell'  interroga- 
zioni a  cui  venivan  sottoposti  quelli  che  arrivavan  dalla 
campagna.  La  strada  era  deserta ,  dimodoché ,  se  non 
avesse  sentito  un  ronzio  lontano  che  indicava  un  gran 
movimento ,  gli  sarebbe  parso  d'  entrare  in  una  città 
disabitata.  Andando  avanti,  senza  saper  cosa  si  pensare, 
Aide  per  lerra  certe  strisce  bianche  e  soffici,  come  di 
neve  ;  ma  neve  non  poteva  essere  ;  che  non  viene  a  stri- 
sce, ne,  per  il  solito ,  in  quella  stagione.  Si  chinò  sur 
una  di  quelle,  guardò,  toccò,  e  trovò  eh'  era  farina.  — 
Grand'  abbondanza,  —  disse  tra  se,  —  ci  dev'  e.s.sere  in 
Milano,  se  straziano  in  questa  maniera  la  grazia  di  Dio. 
Ci  davan  poi  ad  intendere  che  la  carestia  è  per  tutto. 
Ecco  come  fanno,  per  tener  quieta  la  povera  gente  di 
campagna.  —  Ma,  dopo  pochi  altri  passi,  arrivato  a  fianco 
della  colonna,  vide,  appiè  di  quella,  qualcosa  di  più  strano; 
vide  sugli  scalini  del  piedestallo  certe  cose  sparse,  che 
certamente  non  eran  ciottoli,  e  se  fossero  stale  sul  banco 
d'un  fornaio,  non  si  sarebbe  esitato  un  momento  a  chia- 
marli pani.  Ma  Renzo  non  ardiva  creder  cosi  presto  a' 
suoi  occhi  ;  perchè,  diamine!  non  era  luogo  da  pani  quello. 
—  Vediamo  un  po'  che  alTare  è  questo,  —  disse  ancora 
Ira  se;  andò  verso  la  colonna,  si  chinò,  ne  raccolse  uno: 
era  veramente  un  pan  tondo  bianchissimo,  di  (incili  che 
Renzo  non  era  solito  mangiarne  che  nelle  solennità.  — 
È  pane  davvero!  —  disse  ad  alta  voce;  lanla  era  la  sua 
maraviglia  :  —  cosi  lo  seminano  in  questo  paese?  in  que- 
st'anno?  e  non  si  scomodano  neppure  per  raccoglierlo, 
quando  cade?  Che  sia  il  paese  di  cuccagna  (pieslo?  — 
Dopo  dieci  miglia  di  slraila,  all'aria  fresca  della  inaltina. 


CAPITOLO   XI.  221 

quel  pane,  insieme  con  la  maraviglia,  gli  risvegliò  l'ap- 
pelilo.  —  Lo  piglio?  —  deliberava  Ira  sé:  —  poh  I  l'han- 
no lascialo  qui  alla  discre/.ion  de' cani  :  lanl' è  che  ne 
goda  anche  ini  ci-isliaiio.  Alla  fine,  se  comparisci»  il  pa- 
drone, glielo  pagherò.  —  Cosi  pensando,  si  mise  in  una 
tasca  quello  clic  aveva  in  mano,  ne  prese  un  secondo,  e 
lo  mise  neir  altra;  un  terzo,  e  cominciò  a  mangiare;  e 
si  rincamminò,  più  incerto  che  mai,  e  desideroso  di  chia- 
rirsi che  storia  fosse  quella.  Appena  mosso,  vide  spuntar 
gente  che  veniva  dall'  interno  della  cillcà ,  e  guardò  at- 
tentamente quelli  che  apparivano  i  primi.  Erano  un  uomo, 
una  donna  e,  qualche  passo  indietro,  un  ragazzotlo;  tut- 
t'  e  tre  con  un  carico  addosso,  che  pareva  superiore  alle 
loro  forze,  e  tutfe  Ire  in  una  figura  strana.  I  vesliti  o 
gli  stracci  infarinati:  infarinati  i  visi,  e  di  più  stravolti 
e  accesi;  e  andavano,  non  solo  curvi,  per  il  peso,  ma 
sopra  doglia,  come  se  gli  fossero  state  peste  l'ossa.  L'uo- 
mo reggeva  a  stento  sulle  spalle  un  gran  sacco  di  fa- 
rina, il  quale,  bucato  qua  e  là,  ne  seminava  un  poco,  a 
ogni  intoppo,  a  ogni  mossa  disequilibrala.  Ma  più  scon- 
cia era  la  figura  della  donna  :  un  pancione  smisurato. 
che  pareva  tenuto  a  fatica  da  due  braccia  piegate:  come 
una  pentolaccia  a  due  manichi  ;  e  di  sotto  a  quel  pan- 
cione uscivan  due  gamlx^,  nude  fin  sopra  il  ginocchio, 
che  venivano  innanzi  liarcollando.  Renzo  guardò  più  at- 
tenlamente,  e  vide  che  quel  gran  corpo  era  la  sollana 
che  la  donna  teneva  per  il  lembo ,  con  dentro  farina 
quanta  ce  ne  poteva  staro,  e  un  po' di  più;  dimodochò, 
(piasi  a  ogni  passo,  ne  volava  via  una  ventala.  Il  ragaz- 
zotlo teneva  con  tuli' e  due  le  mani  sul  capo  una  paniera 
colma  di  pani;  ma  per  aver  le  ganilu'  più  cuile  de'  suoi 
genitori,  rimaneva  a  poco  a  poco  indieiro,  e,  allungando 
poi  il  passo  ogni  tanto,  per  raggiungerli,  la  paniera  per- 
deva l'equilibrio,  e  (fualche  pane  cadeva. 

«  Bnllane  via  ancor  un  allio,  buono  a  nienle  che  sei,» 
disse  la  madre,  digrignando  i  denli  wrso  il  ragazzo. 

«  Io  non  li  liutlo  via;  cascan  da  sé:  confilo  a  l'are"?  » 
risposi;  quello. 


222  1   PROMESSI   SPOST 

«  lii  !  buon  por  te,  die  lin  le  mani  impirciate,  <>  ri- 
prese la  donna,  dimenando  i  pugni,  come  se  desse  una 
buona  scossa  al  povero  ragazzo  ;  e,  con  quel  movimento, 
fece  volar  via  più  farina,  di  quel  cbc  ci  sarebbe  voluto  per 
farne  i  due  pani  lasciali  cadere  allora  dal  ragazzo.  «  Via, 
via,»  disse  l'uomo:  «  torneremo  indietro  a  raccoglierli, 
0  qualcbeduno  li  raccoglierà.  Si  stenta  da  tanto  tempo:  ora 
elle  viene  un  po'  d'abbondanza,  godiamola  in  santa  pace.  " 

Intanto  arrivava  altra  gente  dalla  porta;  e  uno  di  que- 
sti, accostatosi  alla  donna,  le  domandò  :  «  dove  si  va  a 
prendere  il  pane  ?  y 

«  Pili  avanti,  »  rispose  quella;  e  (juando  furon  lontani 
dieci  passi,  soggiunse  borbottando:  «  questi  contadini 
birboni  verranno  a  spazzar  tutti  i  forni  e  tutti  i  magaz- 
zini, e  non  resterà  piij  niente  per  noi.  » 

e  Un  po'  per  uno,  tormento  clie  sei,  »  diss.'  il  marito  : 
«  abbondanza,  abbondanza.  » 

Da  queste  e  da  altrettali  cose  die  vedeva  e  sentiva, 
Renzo  cominciò  a  raccapezzarsi  eh'  era  arrivato  in  una 
città  sollevata,  e  che  quello  era  un  giorno  di  conquista, 
vale  a  dire  che  ognuno  pigliava,  a  proporzione  della  vo- 
glia e  della  forza,  dando  busse  in  pagamento.  Per  quanto 
noi  desideriamo  di  far  fai'e  buona  figura  al  nostro  po- 
vere montanaro,  la  sincerità  storica  ci  obbliga  a  dire  cIk; 
il  suo  primo  sentimento  fu  di  piacere.  Aveva  cosi  poco 
da  lodarsi  dell'andamento  ordinario  delle  cose,  che  si 
trovava  inclinato  ad  approvare  ciò  die  lo  mutasse  in  qua- 
lunque maniera.  E  del  resto,  non  essendo  punto  un  uomo 
superiore  al  suo  secolo ,  viveva  anche  lui  in  quell'  opi- 
nione 0  in  quella  passione  comune,  che  la  scarsezza  del 
pane  fosse  cagionata  dagl'incettatori  e  da' fornai;  ed  era 
disposto  a  trovar  giusto  ogni  modo  di  strappar  loro  dalle 
mani  l'alimento  die  essi,  secondo  quell'opinione,  negava- 
no crudelmente  alla  fame  di  tutto  un  popolo.  Pure,  si  pro- 
pose di  star  fuor  del  tumulto,  e  si  rallegrò  d'esser  diretto 
a  un  cappuccino,  che  gli  troverebbe  ricovero,  e  gli  farebbe 
da  padre.  Così  pensando,  e  guardando  intanto  i  nuovi 


CAPITOLO  XI.  223 

conquista  tori  che  venivano  carichi  di  preda,  fece  quella 
po'  di  strada  che  gli  rimaneva  per  arrivare  al  convento. 

Dove  ora  sorge  quel  bel  palazzo ,  con  queir  allo  log- 
giato, c'era  allora,  e  c'era  ancora,  non  son  moli' anni, 
una  piazzetta,  e  in  fondo  a  quella  la  chiesa  e  il  convento 
de' cappuccini ,  con  quattro  grand' olmi  davanti.  Noi  ci 
rallegriamo,  non  senza  invidia,  con  quo'  nostri  lettori  che 
non  han  viste  le  cose  in  quello  stato  :  ciò  vuol  dire  che 
son  molto  giovani,  e  non  hanno  a\uto  tempo  di  far  molte 
corbellerie.  Renzo  andò  diritto  alla  porta ,  si  ripose  in 
seno  il  mezzo  pane  che  gli  rimaneva,  levò  fuori  e  teime 
preparala  la  lettera ,  e  tirò  il  campanello.  S'  aprì  uno 
sportellino  che  aveva  una  grata,  e  vi  comparve  la  faccia 
del  frate  portinaio  a  domandar  chi  era. 

«  Uno  di  campagna,  che  porta  al  padre  Bonaventura 
una  lettera  pressante  del  padre  Cristoforo.  » 

«  Date  qui,  »  disse  il  portinaio,  mettendo  una  mano 
alla  grata. 

&  No,  no,  !>  disse  Renzo  :  «  gliela  devo  consegnare  in 
proprie  mani.  » 

«  Non  è  in  convento.  » 

«  Mi  lasci  entrare,  che  l'  aspetterò.  » 

«  Fate  a  mio  modo ,  »  rispose  il  frale  :  «  anelale  a 
aspettare  in  chiesa ,  che  intanto  potrete  fare  un  po'  di 
bene.  In  convento,  per  adesso,  non  s'entra.  »  E  dello 
questo,  richiuse  lo  sportello.  Renzo  rimase  lì,  con  la  sua 
lettera  in  mano.  Fece  dieci  passi  verso  la  porla  della 
chiesa,  per  seguire  il  consiglio  del  portinaio:  ma  poi 
pensò  di  dar  prima  un'altra  occhiata  al  tumullo.  Attra- 
versò la  piazzetta ,  si  porlo  suU'  orlo  della  strada ,  e  si 
fermò,  con  le  braccia  incrociate  sul  petto,  a  guardare  a 
sinistra,  verso  l' interno  della  città,  dove  il  brulichio  era 
piti  l'ulto  e  più  rumoroso.  Il  vortice  attrasse  lo  spetta- 
tore. —  Andiamo  a  vedei'e,  —  disse  tra  sé;  tirò  fuori 
il  suo  mezzo  pane ,  e  sbocconcellando ,  si  mosse  verso 
quella  parte.  Intanto  che  s' incammina,  noi  racconteremo, 
più  brevemente  che  sia  possibile,  le  cagioni  e  il  princi- 
pio di  (lucilo  sconvolgiuicnlo. 


CAPITOLO  XII. 


Era  quello  il  sccond'anno  di  raccoKa  scarsa.  NelFau- 
tecendeiilc ,  le  provvisioni  rimasle  degli  anni  addietro 
avevan  supplito,  fino  a  un  certo  segno,  al  difetto;  e  la 
popolazione  era  giunta,  non  satolla  né  a  (Tania  la,  ma,  cerio, 
affatto  sprovveduta,  alla  messe  del  1628,  nel  quale  siamo 
con  la  nostra  storia.  Ora,  questa  messe  tanto  desiderata 
riuscì  ancor  più  misera  della  precedente,  in  parte  per 
maggior  contrarietà  delle  stagioni  (e  questo  non  solo 
nel  milanese,  ma  in  un  buon  tratto  di  paese  circonvi- 
cino); in  parte  per  colpa  degli  uomini.  Il  guasto  e  lo 
sperperìo  della  guerra,  di  quella  bella  guerra  di  cui  ab- 
biam  fatto  menzione  di  sopra,  era  tale,  die,  nella  parte 
dello  stato  più  vicina  ad  essa,  molti  poderi  pii!i  dell'or- 
dinario rimanevano  incolti  e  abbandonati  da'  contadini, 
i  quali,  in  vece  di  procacciar  col  lavoro  pane  per  sé  e 
per  gli  altri,  eran  costretti  d'andare  ad  accattarlo  per 
carità.  Ho  detto:  piìi  dell'ordinario;  percbe  le  insoppor- 
tabili gravezze,  imposte  con  una  cupidigia  e  con  un"  in- 
sensatezza del  pari  sterminate,  la  condotta  abituale,  an- 
che in  piena  pace,  delle  truppe  alloggiate  nei  paesi,  con- 
dona che  i  dolorosi  documenti  di  que'  tempi  uguagliano 


1   PROMESSI   SPOSI,   CAPITOLO   XII.  225 

a  qiiolla  d'un  nemico  invasore,  altre  cagioni  che  non  è 
qui  il  luogo  (li  mentovare ,  andavano  gicà  da  qualche 
tempo  operando  lentamente  quel  tristo  elTiMlo  in  tutto 
il  milanese:  le  circostanze  particolari  di  cui  ora  parlia- 
mo, erano  come  una  repentina  esacerha/.ione  d'uiì  mal 
cronico.  E  quella  qualunque  raccolta  non  era  ancor  fi- 
nita di  riporre,  che  le  provvisioni  per  l'esercito,  e  lo 
sciupinio  che  sempre  le  accompagna,  ci  fecero  dentro  un 
tal  voto,  che  la  penuria  si  fece  suhito  sentire,  e  con  la 
penuria  quel  suo  doloroso,  ma  salutevole  come  inevitahile 
effetto,  il  rincaro. 

Ma  quando  questo  arriva  a  un  certo  segno,  nasce  sem- 
pre (o  almeno  è  sempre  nata  finora;  e  se  ancora,  dopo 
tanti  scritti  di  valentuomini,  pensate  in  quel  tempo!), 
nasce  un'  opinione  ne'  molti,  che  non  ne  sia  cagione  la 
scarsezza.  Si  dimentica  d'averla  temuta,  predetta;  si 
suppone  tutl'a  un  tratto  che  ci  sia  grano  abbastanza,  e 
che  il  male  venga  dal  non  vendersene  abbastanza,  per  il 
consumo:  supposizioni  che  non  stanno  nò  in  cielo,  ne  in 
terra;  ma  che  lusingano  a  un  tempo  la  collera  e  la  spe- 
ranza. Gì'  incettatori  di  grano  ,  reali  o  immaginari ,  i 
possessori  di  terre ,  che  non  lo  vendevano  lutto  in  un 
giorno,  i  fornai  che  ne  compravano,  lutti  coloro  in  som- 
ma che  ne  avessero  o  poco  o  assai,  o  che  avessero  il 
nome  d'  averne,  a  questi  si  dava  la  colpa  della  penuria 
e  del  rincaro,  questi  erano  il  bersaglio  <lel  lamento  uni- 
versale, r  abbominio  della  moltitudine  male  e  ben  ve- 
stita. Si  diceva  di  sicuro  dov'erano  i  magazzini,  i  gra- 
nai, colmi,  traboccanti,  appuntellati;  s'indicava  il  numero 
de' sacchi,  spropositato;  si  parlava  con  certezza  dell'im- 
mensa (juantità  di  granaglie  che  veniva  spedita  segre- 
tamente in  altri  paesi;  ne'  ([uali  probaltilinenle  si  gri- 
dava, con  altrettanta  sicurezza  e  con  IVemilo  ugnale,  che 
le  granaglie  di  là  venivano  a  Milano.  S'imploravan  da" 
magistrati  que' provvedimenti ,  che  alla  molililndine 
paion  sempre  o  almeno  sono  sempn;  parsi  linofa.  cosi 
giusti,  cosi  semplici,  cosi  alti  a  far  saltar  fiioii  il  grano, 


220  1   PROMESSI   SPOSI 

nascoslo,  muralo,  sepolto,  corno  dicevano,  o  a  far  ritor- 
nar l'abbondanza.  I  magistrati  qiialclie  cosa  facevano: 
coiiu'  di  siabiliie  il  prezzo  massimo  d'alcune  derrate, 
d'intimar  pene  a  clii  ricusasse  di  vendere,  e  altri  editti 
di  (jnel  genere.  Siccome  perù  tutti  i  provvedimenti  di 
({ueslo  mondo,  per  quanto  siano  gagliardi,  non  hanno 
virtù  di  diminuire  il  bisogno  del  cibo,  né  di  far  venire 
derrate  fuor  di  stagione  ;  e  siccome  questi  in  ispecie  non 
avevan  certamente  quella  d'  attirarne  da  dove  ce  ne  po- 
tesse essere  di  sopprabbondanti:  così  il  male  durava  e 
cresceva.  La  moltitudine  attribuiva  un  tale  effetto  alla 
scarsezza  a  alla  debolezza  de'  rimedi,  e  ne  sollecitava  ad 
alte  grida  de'piìi  generosi  e  decisivi.  E  per  sua  sventura^ 
trovò  l'uomo  secondo  il  suo  cuore. 

Nell'assenza  del  governatore  don  Gonzalo  Fernandez 
de  Cordova,  che  comandava  l'assedio  di  Casale  del  3Ion- 
ferrato,  faceva  le  sue  veci  in  Milano  il  gran  cancelliere 
Antonio  Ferrer,  pure  spagnolo.  Costui  vide^  e  chi  non 
l'avrebbe  veduto?  che  l'essere  il  panca  un  prezzo  giu- 
sto, è  per  sé  una  cosa  molto  desiderabile;  e  pensò,  e 
qui  fu  lo  sbaglio,  che  un  suo  ordine  potesse  bastare  a 
produrla.  Fissò  la  mela  (cosi  chiamano  qui  la  tariffa  in 
materia  di  commestibili),  fissò  la  meta  del  pane  al  prezzo 
che  sarebbe  stato  il  giusto,  se  il  grano  si  fosse  comu- 
nemente venduto  trentalrè  lire  il  moggio:  e  si  vendeva 
fino  a  ottanta.  Fece  come  una  donna  stata  giovine,  che 
pensasse  di  ringiovinire,  alterando  la  sua  fede  di  bat- 
tesimo. 

Ordini  meno  insensati  e  meno  iniqui  eran,  più  d'una 
volta,  per  la  resistenza  delle  cose  stesse,  rimasti  inse- 
guili: ma  all'esecuzione  di  questo  vegliava  la  moltitu- 
dine, che,  vedendo  fliialmente  convertito  in  legge  il  suo 
desiderio,  non  avrebbe  solTerto  che  fosse  per  celia.  Ac- 
corse subito  ai  forni,  a  chieder  pane  al  prezzo  tassato; 
e  lo  chiese  con  quel  fare  di  risolutezza  e  di  minaccia, 
che  danno  la  passione ,  la  forza  e  la  legge  riunite  in- 
sieme. Se  i  fornai  strillassero,  non  lo  domandale.  In  tri- 


IIAPITOLO  XII.  2^7 

dero,  dimenare,  infornare  e  sfornare  senza  posa  ;  perche 
il  poi)Olo,  sentendo  in  confuso,  che  l'era  una  cosa  vio- 
lenta, assediava  i  forni  di  continuo,  per  goder  quella  cuc- 
cagna fin  che  durava  ;  affacchinarsi,  dico,  e  scalmanarsi 
pili  del  solito,  per  iscapitarci,  ognun  vede  che  hel  pia- 
cere dovesse  essere.  Ma,  da  una  parte  i  magistrali  che 
intimavan  pene,  dall'altra  il  popolo  che  voleva  esser  ser- 
vito, e,  punto  punto  che  qualche  fornaio  indugiasse,  pres- 
sava e  brontolava,  con  quel  suo  vocione ,  e  minacciava 
una  di  quelle  sue  giustizie,  che  sono  delle  peggio  che  si 
facciano  in  questo  mondo;  non  c'era  redenzione,  biso- 
gnava rimenare,  infornare,  sfornare  e  vendere.  Però,  a 
farli  continuare  in  quell'impresa,  non  bastava  che  fosse 
lor  comandato,  né  che  avessero  molta  paura;  bisognava 
potere:  e  un  po'  più  che  la  cosa  fosse  durata,  non  avreb- 
bero pii^i  potuto.  Facevan  vedere  ai  magistrali  l'iniquità 
e  l'insopportabilità  del  carico  imposto  loro,  protestavano 
di  voler  gettare  la  pala  nel  forno,  e  andarsene;  e  in- 
tanto tiravano  avanti  come  potevano,  sperando  che,  una 
volta  0  l'altra,  il  gran  cancelliere  avrebbe  inteso  la  ra- 
gione. Ma  Antonio  Fcrrer,  il  quale  era  quel  che  ora  si 
direbbe  un  uomo  di  carallere,  rispondeva  che  i  fornai 
s'erano  avvantaggiati  molto  e  poi  mollo  nel  passato,  che 
s'avvantaggerebbero  molto  e  poi  mollo  col  ritornar  del- 
l'abbondanza; che  anclie  si  vedrebbe,  si  penserebbe  forse 
a  dar  loro  qualche  risarcimento;  e  che  intanto  tirassero 
ancora  avanti.  0  fosse  veramente  persuaso  lui  di  queste 
ragioiù  che  allegava  agli  altri,  o  che,  ancbe  conoscendo 
dagli  effetti  l'impossibililà  di  mantener  quel  suo  editto, 
volesse  lasciare  agli  altri  l'odiosità  di  rivocarlo  ;  giacche, 
chi  può  ora  entrai'  nel  cervello  d'Antonio  Fcrrer?  il 
fallo  sia  che  rimase  fermo  su  ciò  che  aveva  stabililo. 
Finalmente  i  decurioni  (un  magistrato  municipale  com- 
posto di  nobili,  che  durò  (Ino  al  novanlasei  del  secolo 
.scorso)  informaron  per  lederà  il  governatore,  dello  slato 
in  cui  eran  le  cose:  trovasse  lui  qualche  ripiego,  che 
le  facesse  andan.'. 


228  1    PROMESSI   SPOSI 

Don  Gonzalo,  ingolfalo  fin  sopra  i  capelli  nelle  fac- 
cende! (Iella  iruerra,  fece  ciò  che  il  lellore  s'immatrina 
cerlamenle:  nominò  una  triunla,  alla  quale  conferi  l'au- 
torilà  di  stabilire  al  pane  un  prezzo  che  potesse  correre; 
una  cosa  da  poterci  campar  lanlo  una  parie  che  l'altra. 
I  deputati  si  radunarono,  o  come  si  diceva  spafrnolesca- 
mente  nel  gergo  segretariesco  d'allora,  si  giuntarono; 
e  dopo  mille  riverenze,  complimenti,  preamboli,  sospiri, 
sospensioni,  proposizioni  in  aria,  tergiversazioni,  strasci- 
nati tutti  verso  una  deliberazione  da  una  necessità  sen- 
tita da  lutti,  sapendo  bene  che  giocavano  una  gran  carta, 
ma  convinti  che  non  c'era  da  far  allio,  conclusero  di 
rincarare  il  pane.  I  fornai  respirarono;  ma  il  popolo  im- 
beslialì. 

La  sera  avanti  questo  giorno  in  cui  Renzo  arrivò  in 
Milano,  le  strade  e  le  piazze  brulicavano  d'  uomini,  che 
trasportati  da  una  rabbia  comune,  predominati  da  un 
pensiero  comune,  conoscenti  o  estranei,  si  riunivano  in 
crocchi,  senza  essersi  dati  l'intesa,  quasi  senza  avveder- 
sene, come  gocciole  sparse  sullo  stesso  pendio.  Ogni  di- 
scorso accresceva  la  persuasione  e  la  passione  degli  udi- 
tóri, come  di  colui  che  l'aveva  proferito.  Tra  tanti  ap- 
passionati, c'eran  pure  alcuni  di  sangue  freddo ,  i  quali 
stavano  osservando  con  molto  piacere,  che  l'acqua  s'an- 
dava intorbidando:  e  s'ingegnavano  d'intorbidarla  di 
pili,  con  que'  ragionamenti,  e  con  quelle  storie  che  i 
furbi  sanno  comporre  e  che  gli  animi  alterati  sanno  cre- 
dere: e  si  proponevano  di  non  lasciarla  posare ,  quel- 
l'acqua, ^enza  farci  un  po' di  pesca.  Migliaia  d'uomini 
andarono  a  letto  col  sentimento  indeterminato  che  qual- 
che cosa  bisognava  fare,  che  qualche  cosa  si  farebbe. 
Avanti  giorno,  le  strade  eran  di  nuovo  sparse  di  croc- 
chi; fanciulli,  donne,  uomini,  vecchi,  operai,  poveri,  si 
radunavano  a  sorte:  qui  era  un  bisbiglio  confuso  di  molte 
voci;  là  uno  predicava,  e  gli  altri  appla'ulivano;  questo 
faceva  al  più  vicino  la  stessa  domanda  ch'era  allora  stala 
fatta  a  lui;  quest'altro  ripeteva  l'esclamazione  che  s'era 


CAPITOLO  XII.  229 

sentita  risuonare  agli  orecclii;  per  tutto  lamenti,  minacce, 
maraviglie:  un  piccol  numero  di  vocaboli  era  il  mate- 
riale di  tanti  discorsi. 

Non  mancava  altro  che  un'occasione,  una  spinta,  un 
avviamento  qualunque,  per  ridurre  le  parole  a  fai  ti;  e 
non  lardò  mollo.  Uscivano,  sul  far  del  giorno,  dalle  bot- 
teglie  de'  fornai  i  garzoni  che.  eoa  una  gerla  carica  di 
pane,  andavano  a  portarne  alle  solite  case.  Il  primo  com- 
parire d'uno  di  que'  malcapitati  ragazzi  dov'era  un  croc- 
chio di  gente,  fu  come  il  cadere  d'un  salterello  acceso 
in  una  polveriera.  «  Ecco  se  c'è  il  pane!  »  gridarono 
cento  voci  insieme.  «  Si,  per  i  tiranni,  che  notano  nel- 
l'abbondanza, e  voglion  far  morire  noi  di  fame,  »  dice 
uno;  s'accosta  al  ragazzetto,  avventa  la  mano  all'orlo 
della  gerla,  dà  una  stratta,  e  dice:  «  lascia  vedere.  »  Il 
ragazzetto  diventa  rosso,  pallido,  trema,  vorrebbe  dire: 
lasciatemi  andare;  ma  la  parola  gli  muore  in  l)occa;  al- 
lenta le  braccia,  e  cerca  di  liberarle  in  frolla  dalle  ci- 
gno. «  Giù  quella  gerla,  »  si  grida  intanto.  Molte  mani 
l'afTerrano  a  un  tempo;  è  in  terra;  si  butta  per  aria  il 
canovaccio  che  la  copre;  una  tq)i(la  fragranza  si  dif- 
roiide  all'intorno.  «  Siam  cristiani  anche  noi:  dobbiamo 
mangiar  pane  anche  noi,  »  dice  il  primo;  prende  nn 
pan  tondo,  l'alza,  facendolo  veder  alla  folla,  T addenta: 
mani  alla  gerla,  pani  per  aria;  in  raen  che  non  si  dice, 
fu  sparecchialo.  Coloro  a  cui  non  era  toccato  nulla,  ir- 
ritati alla  vista  del  guadagno  altrui,  e  animati  dalla  fa- 
cilità dell' impresa,  si  mossero  a  branchi,  in  cerca  d'al- 
Ire  gerle:  (pianle  inconti'ale.  tante  svaligiale  K  non  c'era 
neppur  bisogno  di  dar  l'assalto  ai  portatori:  (luelli  che, 
per  loro  disgrazia,  si  trovavano  in  giro,  vista  la  mala  pa- 
rata, posavano  volontariamente  il  carico,  e  via  a  gamlie. 
Con  tutto  ciò,  coloro  che  rimain^vano  a  denti  secchi,  erano 
senza  paragone  i  più;  anche  i  conquistatori  n(»n  ei'an 
soddisfatti  di  iirede  così  piccole,  e,  mescolati  poi  con  gli 
uni  e  con  gli  altri,  c'eran  coloro  che  avevan  fallo  dise- 
gno sopra  un  disoi'diiK»  più  co'  lìoccbi.  «  Al  forno!  al 
forno  !  ^   si  grida- 


230  [   PROMESSI  SPOSI 

Nella  strada  chiamala  la  Corsia  de'  Servi,  c'era,  e 
c'è  tuttavia  un  forno,  che  conservalo  slesso  nome,  no- 
me che  in  toscano  viene  a  dire  il  forno  delle  grucce,  e  in 
milanese  ò  composto  di  parole  cosi  eteroclite,  così  bi- 
shetiche,  cosi  salvatichc,  che  l'alfal)eto  della  lingua  non 
ha  i  segni  per  indicarne  il  suono  (').  A  quella  parte 
s'avventò  la  gente.  Quelli  della  hottega  stavano  interro- 
gando il  garzone  torna  tu  scarico,  il  quale,  tutto  sbigot- 
tito e  abbaruffato,  riferiva  balbettando  la  sua  trista  av- 
ventura; quando  si  sente  un  calpestìo  e  un  urlìo  in- 
sieme; cresce  e  s'avvicina;  compariscono  i  forieri  della 
masnada. 

Serra,  serra;  presto,  presto:  uno  corre  a  chiedere 
aiuto  al  capitano  di  giustizia;  gli  altri  chiudono  in  fretta 
la  bottega,  e  appuntellano  i  l)atlenli.  La  gente  comin- 
cia a  affollarsi  di  fuori,  e  a  gridare:  «  pane!  pane! 
aprite!  aprile!  » 

Pochi  momenti  dopo,  arriva  il  capitano  di  giustizia, 
con  una  scorta  d'alal)ardieri.  «  Largo,  largo,  figliuoli: 
a  casa,  a  casa;  fate  luogo  al  capitano  di  giustizia,»  grida 
lui  e  gli  alabardieri.  La  gente,  che  non  era  ancor  troppo 
fìtta,  fa  un  po' di  luogo;  dimodoché  (pielli  poterono  arri- 
vare, e  postarsi,  insieme,  se  non  in  ordine,  davanti  alla 
porta  della  bottega. 

«  Ma  figliuoli,  »  predicava  di  li  il  capitano,  &  che  fate 
qui?  A  casa,  a  casa.  Dov'è  il  timor  di  Dio?  Che  dirà  il 
re  nostro  signore?  Non  vogliam  farvi  male;  ma  andate 
a  casa.  Da  bravi!  Che  diamine  volete  far  qui,  così  am- 
montati? Niente  di  bene,  ne  per  T anima,  ne  per  il  corpo. 
A  casa,  a  casa.  » 

Ma  quelli  che  vedevan  la  faccia  del  dicitore,  e  senli- 
van  le  sue  parole,  quand'  anche  avessero  voluto  ubbidire, 
dite  un  poco  in  che  maniera  avrebber  potuto,  spinti  com'e- 
rano, e  incalzali  da  quelli  di  dietro,  spinti  anch'essi  da 
altri,  come  llutti  da  flutti,  via  via  fino  airestremità  della 
folla,  che  andava  sempre  crescendo.  Al  capitano,  coiiiin- 

(*)  El  pieslin  di  scansc.  . 


CAPITOLO   XII.  231 

ciava  a  mancargli  il  respiro.  «  Fateli  dare  addietro  eh'  io 
possa  riprender  fiato,  »  diceva  agli  alabardieri:  «ma  non 
fate  male  a  nessuno.  Vediamo  d' entrare  in  bottega:  pic- 
chiate: fateli  stare  indietro.  ■» 

«  Indietro!  indietro!  »  gridano  gli  alabardieri,  but- 
tandosi tutti  insieme  addosso  ai  primi,  e  respingendoli 
con  l'aste  dell'alabarde.  Quelli  urlano,  si  tirano  indie- 
tro, come  possono  ;  danno  con  le  schiene  ne'  petti ,  co' 
gomiti  nelle  pance,  co'  calcagni  sulle  punte  de'  piedi 
a  quelli  che  son  dietro  a  loro:  si  fa  un  pigìo,  una  calca, 
che  (|uelli  che  si  trovano  in  mezzo ,  avrebbero  pagato 
(pialcosa  a  essere  altrove.  Intanto  un  po'  di  vóto  s'è  fatto 
davanti  alla  porta:  il  capitano  picchia,  ripicchia,  urla  die 
gli  aprano:  quelli  di  dentro  vedono  dalle  finestre,  scendon 
di  corsa,  aprono;  il  capitano  entra,  chiama  gli  alabardieri, 
che  si  ficcan  dentro  anch'essi  l'un  dopo  l'altro,  gli  ultimi 
rattenendo  la  folla  con  l'alabarde.  Quando  sono  entrali 
tutti,  si  mette  tanto  di  catenaccio,  si  riappuntella:  il  ca- 
pitano sale  di  corsa,  e  s'affaccia  a  una  finestra.  Uh,  che 
formicolaio! 

«  Figliuoli,»  grida:  molti  si  voltano  in  su:  «figliuoli, 
andate  a  casa.  Perdono  generale  a  chi  torna  subito  a 
casa.  » 

«  Pane!  Pane!  aprite!  aprili;!  »  eran  le  parole  iiiìi 
distinte  nell'urlìo  oi'i'eiido,  che  la  folla  man(la\a  in  ri- 
sposta. 

«  Giudizio.  fi.Lilinoli!  badale  bene!  siete  ancora  a  tempo. 
Via,  andate,  tornate  a  casa.  Pane,  ne  avrete;  ma  non  è 
questa  la  maniera.  Eh!....  eh!  che  fate  laggiù!  Kb! 
a  quella  porta!  Oibò  oihò!  Vedo,  vedo:  giudizio!  badale 
bene!  è  un  delitto  grosso.  Or  ora  vengo  io.  Eh!  eh! 
smcllele  con  (pie'  ferri;  giù  (pielle  mani.  Ver.uogiia!  Voi 
allri  milanesi,  cli(\  per  la  bontà,  sieie  nominali  in  tulio 

il  inondo!  Seiilile,  seiilile  :  siele  seni[)i'e  siali  buoni  li 

Ah  canaglia!  » 

Questa  rapida  mutazioni!  di  stile  lìi  i-.i^iionala  da  una 
pietra  che,    uscita  dalle  inani    diino  di    i|iie'    buoni  li- 


232  I   PROMESSI   SPOSI 

giiuoli ,  venne  a  baller  nella  fronle  del  capitano,  sulla 
proluberanza  sinistra  della  profondila  nielafisica.  «  Cana- 
glia! canaglia!  »  continuava  a  gridare,  cliindcndo  pre- 
sto presto  la  finestra,  e  ritirandosi.  Ma  quantunque^  avesse 
gridato  quanto  n'  aveva  in  canna,  le  sue  parole,  buone  e 
cattive,  s'eran  tutte  dileguate  e  disfatte  a  mezz'aria,  nella 
tempesta  delle  grida  che  venivan  di  giù.  Quello  poi  che 
diceva  di  vedere,  era  un  gran  lavorare  di  pietre,  di  t'erri 
(i  primi  che  coloro  avevano  potuto  proccacciarsi  per  la 
strada),  che  si  faceva  alla  porta,  per  sfondarla,  e  alle 
finestre,  per  svellere  l' inferriate  :  e  già  1'  opera  era  molto 
avanzata. 

Intanto,  padroni  e  garzoni  della  bottega,  ch'erano  alle 
finestre  de'  piani  di  sopra,  con  una  munizione  di  pietre 
(avraono  probabilmente  disselciato  un  cortile),  urlavano 
e  facevau  versacci  a  quelli  di  giù,  perchè  smettessero; 
facevan  vedere  le  pietre,  accennavano  di  volerle  buttare. 
Visto  eh'  ei'a  tempo  perso,  cominciarono  a  buttarle  dav- 
vero, Neppur  una  ne  cadeva  in  fallo;  giacche  la  calca  era 
(ale  che  un  granello  di  miglio,  come  si  suol  dire,  non 
sarebbe  andato  in  terra. 

«  Ah  birboni!  ah  furfantonil  É  questo  il  pane  che 
date  alla  povera  gente?  Ah!  Ahimè!  Ohi!  Ora,  ora!  » 
s'urlava  di  giù.  Più  d'  uno  fu  conciato  male;  due  ragazzi 
vi  rimasero  morti.  Il  furore  accrebbe  le  forze  della  mol- 
titudine: la  porla  fu  sfondata,  l'inferriate,  svelte;  e  il  tor- 
rente penetrò  per  lutti  i  varchi.  Quelli  ili  dentro,  ve- 
dendo la  mala  parata,  scapparono  in  sofììlla:  il  capitano, 
gli  alabardieri,  e  alcuni  della  casa  stettero  lì  rannicchiati 
ne' cantucci;  altri,  uscendo  per  gli  abbaini,  andavano  su 
pe'  tetti,  come  i  gatti. 

La  vista  della  preda  fece  dimenticare  ai  vincitori  i  di- 
segni di  vendette  sanguinose.  Si  slanciano  ai  cassoni;  il 
pane  è  messo  a  ruba.  Qualcheduno  in  vece  corre  al  banco, 
butta  giù  la  serratura,  agguanta  le  ciotole,  piglia  a  ma- 
nate, intasca,  ed  esce  carico  di  quattrini,  per  tornar  poi 
a  rubar  pane,  se  ne  rimarrà.  La  folla  si  sparge  ne'magaz- 


CAPITOLU   XII.  533 

Zini.  Mctlonmano  ai  sacchi, lislrascicano,  li  rovesciano:  chi 
se  ne  caccia  uno  tra  le  gambe,  gli  scioglie  la  bocca,  e  per 
i'idurlo  a  un  carico  da  potersi  portare,  butta  via  una 
parie  della  farina:  chi,  gridando:  «  aspetta,  aspetta,  » 
si  china  a  parare  il  greml)iule,  un  fazzoletto,  il  cappello, 
per  ricever  quella  grazia  di  Dio;  uno  corre  a  una  ma- 
dia, e  prende  un  pezzo  di  pasta,  che  s'allunga,  e  gli 
scappa  da  ogni  parte  ;  un  altro ,  che  ha  conquistato  un 
burattello,  lo  porta  per  aria:  chi  va,  chi  viene:  uomini, 
donne,  fanciulli^  spinte,  rispinte,  urli^  e  un  bianco  pol- 
verìo che  per  tutto  si  posa^  per  tutto  si  solleva,  e  tutto 
vela  e  annebbia.  Di  fuori ,  una  calca  composta  di  due 
processioni  opposte,  che  si  rompono  e  s'intralciano  a 
vicenda,  di  chi  esce  con  la  preda,  e  di  chi  vuol  entrare 
a  farne. 

Mentre  quel  forno  veniva  cosi  messo  sottosopra,  nes- 
sun altro  della  città  era  quieto  e  senza  pericolo.  Ma  a 
nessuno  la  gente  accorse  in  numero  tale  da  potere  in- 
traprender tutto  ;  in  alcuni ,  i  padroni  avevan  raccolto 
degli  ausiliari,  e  stavan  sulle  difese;  altrove,  trovandosi 
in  pochi,  venivano  in  certo  modo  a  patti:  distribuì van 
pane  a  quelli  che  s'  eran  cominciati  a  affollare  davanti 
alle  botteghe,  con  questo  che  se  n'andassero.  E  quelli 
se  n'andavano,  non  tanto  perchè  fosser  soddisfatti,  quanto 
perchè  gli  alal)ardieri  t;  la  sbirraglia^  stando  alla  larga 
da  quel  Iremendo  forno  delle  grucce ,  si  facevan  perù 
vedere  altrove,  in  forza  bastante  a  tenere  in  rispetto  i 
tristi  che  non  fossero  una  folla.  Cosi  il  trambusto  andava 
sempre  crescendo  a  quel  primo  disgraziato  forno;  per- 
chè tutti  coloro  che  gli  pizzicavan  le  mani  di  far  ([ual- 
che  beli'  impresa,  correvan  là,  dove  gli  amici  erano  i  più 
forti,  e  r  impunità  sicura. 

A  questo  punto  eran  le  cose^  (piando  Renzo,  avendo 
ormai  sgranocchiato  il  suo  pane ,  veniva  avanti  per  il 
borgo  di  porla  orientale,  e  s'avviava,  senza  saperlo,  prò- 
[)rio  al  luogo  cenirahi  d(!l  lunuUio.  Andava,  ora  lesto, 
ora  rilardalo  dalla  l'olla  ;  e  anelando .  guardava  e  slava 

vi.r.    i  IO* 


234  I   PROMESSI   SPOSI 

in  orecchi,  per  ricavar  da  quel  ronzio  confuso  di  discorsi 
quaiclie  notizia  più  positiva  dello  stalo  delle  cose.  Ed 
ecco  a  un  di  presso  le  parole  che  gli  riuscì  di  rilevare 
in  tutla  la  strada  che  fece. 

«  Ora  è  scoperta,  »  gridava  uno,  «  l'impostura  in- 
fanae  di  ([ue'  birboni,  che  dicevano  che  non  c'era  nò  pane, 
nò  farina,  né  grano.  Ora  si  vede  la  cosa  chiara  e  lam- 
pante ;  e  non  ce  la  potranno  piij  dare  ad  intendere.  Viva 
r  abbondanza  I  » 

«  Vi  dico  io  che  tutto  questo  non  serve  a  nulla,  »  di- 
ceva un  altro;  «  è  un  buco  nell'acqua;  anzi  sarà  peggio 
.se  non  si  fa  una  buona  giustizia.  Il  pane  verrà  a  buon 
mercato,  ma  ci  metteranno  il  veleno ,  per  far  morir  la 
povera  gente,  come  mosche.  Già  lo  dicono  che  slam 
troppi  ;  r  hanno  detto  nella  giunta  ;  e  lo  so  di  certo,  per 
averlo  sentito  dir  io,  con  quest'orecchi,  da  una  mia  co- 
mare, che  è  amica  d'un  parente  d'uno  sguattero  d'uno 
di  que'  signori.  » 

Parole  da  non  ripetersi  diceva,  con  la  schiuma  alla 
bocca,  un  altro,  che  teneva  con  una  mano  un  cencio  di 
fazzoletto  su'  capelli  arruffati  e  insanguinali.  E  qualche 
vicino,  come  per  consolarlo,  gli  faceva  eco. 

«  Largo,  largo,  signori,  in  cortesia  ;  lascio  passare  un 
povero  padre  di  famiglia,  che  porta  da  mangiare  a  cin- 
que figliuoli.  »  Cosi  diceva  uno  che  veniva  barcollando 
sotto  un  gran  sacco  di  farina;  e  ognuno  s'ingegnava  di 
ritirarsi,  per  fargli  largo. 

s  Io?  »  diceva  un  altro,  (juasi  sottovoce,  a  un  suo 
compagno  :  «  io  me  la  batto.  Son  uomo  di  mondo,  e  so 
come  vanno  queste  cose.  Questi  merlolli  che  fanno  ora 
tanto  fracasso,  domani  o  doman  l'altro,  se  ne  staranno 
in  casa,  tutti  pieni  di  paura.  Ho  già  visti  certi  visi,  certi 
galantuomini  che  giran,  facendo  l' indiano,  e  notano  chi 
e'  è  e  chi  non  c'è:  quando  poi  tutto  è  finito,  si  raccol- 
gono i  conti,  e  a  chi  tocca,  tocca.  » 

«  Quello  che  protegge  i  fornai ,  »  gridava  una  xoce 
sonora,  che  attirò  T  attenzione  di  Renzo,  «  è  il  vicario 
di  provvisione.  » 


CAPITOLO   XIT.  235 

«  Son  tulli  birboni,  »  diceva  un  vicinò. 
«  Si;  ma  il  capo  è  lui,  »  replicava  il  primo. 
Il  vicario  di  provvisione,  eletto  o.aii'anno  dal  .gover- 
natore tra  sei  nobili  proposti  dal  consiglio  de'  tlecurioni, 
era  il  presidente  di  questo,  e  del  tribunale  di  provvi- 
sione ;  il  quale,  composto  di  dodici,  anclie  questi  nojnli, 
aveva  con  altre  attribuzioni,  ([uella  principalmente  del- 
l' annona.  Chi  occupava  un  tal  posto  doveva  necessaria- 
mente, in  tempi  di  fame  e  d'ignoranza^  esser  detto  l'au- 
tore de'  mali  :  meno  die  non  avesse  fatto  ciò  cbe  fece 
Ferrer  ;  cosa  che  non  era  nelle  sue  facoltà ,  se  anche 
fosse  stata  nelle  sue  idee. 

«  Scellerati  I  »  esclamava  un  altro  :  «  si  può  far  di 
peggio  ?  sono  arrivati  a  dire  che  il  gran  cancelliere  è 
un  vecchio  rimbambito,  per  levargli  il  credito,  e  coman- 
dar loro  soli.  Bisognerebbe  fare  una  gran  stia ,  e  met- 
terli dentro,  a  viver  di  vecce  e  di  loglio,  come  volevano 
trattar  noi.  j 

«  Pane  eh?  »  diceva  uno  che  cercava  d'andar  in  fretta: 
«  sassate  di  libbra  :  pietre  di  questa  fatta,  che  venivan 
giù  come  la  grandine.  E  che  schiacciata  di  costole!  Non 
vedo  l'ora  d'essere  a  casa  mia.  » 

Tra  questi  discorsi,  dai  quali  non  saprei  dire  se  fosse 
pili  informato  o  sbalordito,  e  tra  gli  urloni,  arrivò  Renzo 
niialiiieiilc  davanti  a  quel  forno.  La  gente  era  già  mollo 
diradata,  (hmodoclu'  [ìolè  conlenqilare  il  brullo  e  recenle 
so(|(|nadro.  Le  miu'a  sral(-iiiate  e  annnaccate  da  sassi^  da 
mattoni,  le  finestre  sgangherale,  diroccala  la  porta. 

—  Questa  poi  non  ò  una  bella  cosa,  —  disse  Renzo 
tra  se:  —  se  concian  così  tulli  i  forni,  dove  vogliou 
fare  il  pane  ?  Ne;'  pozzi  ?  — 

Ogni  tanto,  usciva  dalla  ItoUega  qualcheduno  che  iior- 
tava  un  pezzo  di  cassone,  o  di  madia,  o  di  fiullone,  la 
stanga  d'una  gramola,  una  panca,  una  paniei-a,  un  libro 
di  conti,  qualche  cosa  in  soinina  di  (jnel  povero  foi'no  ; 
e  gridando:  «largo,  largo»  pass;i\;i  ira  la  gente.  Tulli 
cpiesti  s' incamminavano  (l:dla  slessa  [larte,  e  a  un  luogo 


236  1   PROMESSI    SPOSI 

coiivcMiiilo^  si  vedeva.  —  Cos'è  (iiiesl'allra  storia  ?  —  pensò 
di  nuovo  Renzo:  e  andò  dietro  a  uno  che,  fatto  un  fa- 
scio d'asse  spezzate  e  di  schegge,  se  lo  mise  in  ispalla, 
avviandosi,  come  gh  altri^  per  la  strada  che  costeggia  il 
fianco  settentrionale  del  duomo,  e  ha  preso  nome  dagli 
scalini  che  c'erano,  e  da  poco  in  qua  non  ci  son  più.  La 
voglia  d'  osservar  gli  avvenimenti  non  potè  fare  che  il 
montanaro,  quando  gli  si  scoprì  davanti  la  gran  mole, 
non  si  soffermasse  a  guardare  in  su,  con  la  bocca  aperta. 
Studiò  poi  il  passo,  per  raggiunger  colui  che  aveva  preso 
come  per  guida  ;  voltò  il  canto,  diede  un'occhiata  anche 
alla  facciata  del  duomo ,  rustica  allora  in  gran  parte  e 
ben  lontana  dal  compimento  ;  e  sempre  dietro  a  colui, 
che  andava  verso  il  mezzo  della  piazza.  La  gente  era  più 
fìtta  quanto  più  s'  andava  avanti,  ma  al  portatore  gli  si 
faceva  largo  :  egli  fendeva  l'  onda  del  popolo ,  e  Renzo, 
standogli  sempre  attaccalo,  arrivò  con  lui  al  centro  della 
folla.  Lì  c'era  uno  spazio  vóto,  e  in  mezzo,  un  mucchio 
di  brace ,  reliquie  degli  attrezzi  delti  di  sopra.  Air  in- 
torno era  un  batter  di  mani  e  di  piedi,  un  frastono  di 
mille  grida  di  trionfo  e  d' imprecazione. 

L'uomo  del  fascio  lo  buttò  su  quel  mucchio;  un  altro 
con  un  jnozzicone  di  pala  mezzo  abbruciacchiato ,  sbracia 
il  fuoco  :  il  fumo  cresce  e  s'  addensa  ;  la  fiamma  si  ri- 
desta ;  con  essa  le  grida  sorgon  più  forti.  «  Viva  V  ab- 
bondanza !  Muoiano  gli  affamatori  I  Muoia  la  carestia  ! 
Crepi  la  Provvisione  I  Crcpi  la  giunta  I  Viva  il  pane  !  » 

Veramente,  la  distruzion  de'  frulloni  e  delle  madie,  la 
devastazion  de'  forni,  e  lo  scompiglio  de"  fornai,  non  sono 
i  mezzi  più  spicci  per  far  vivere  il  pane;  ma  questa  è 
una  di  quelle  sottigliezze  metafisiche,  che  una  moltitu- 
dine non  ci  arriva.  Però,  senza  essere  un  gran  metalì- 
sico,  un  uomo  ci  arriva  talvolta  alla  prima,  finch'è  nuovo 
nella  questione  ;  e  solo  a  forza  di  parlarne,  e  di  sentirne 
parlare,  diventerà  inabile  anche  a  intenderle.  A  Renzo 
in  fatti  quel  pensiero  gli  era  venuto  da  principio,  e  gli 
tornava,  come  abbiam  visto,  ogni  momento.  Lo  tenne  per 


CAPITOLO  xii.  :237 

altro  in  sé;  perchè,  in  lanli  visi,  non  ce  n'era  uno  che 
sembrasse  dire:  fratello,  se  fallo,  correggimi,  che  Favrò 
caro. 

Già  era  di  nuovo  finita  la  fiamma  ;  non  si  vedeva  più 
venir  nessuno  con  altra  materia,  e  la  gente  cominciava 
a  annoiarsi;  quando  si  sparse  la  voce,  clic,  al  Cordusio 
(una  piazzetta  o  un  crocicchio  non  molto  distante  di  lì), 
s'  era  messo  l'assedio  a  un  forno.  Spesso,  in  simili  cir- 
costanze, rannunzio  d'una  cosa  la  fa  essere.  Insieme  con 
quella  voce,  si  ditTuse  nella  moltitudine  una  voglia  di 
correr  là:  «  io  vo  ;  tu,  vai?  vengo;  andiamo,  »  si  sen- 
tiva per  tutto  :  la  calca  si  rompe,  e  diventa  una  proces- 
sione. Renzo  rimaneva  indietro  ,  non  movendosi  quasi, 
se  non  quanto  era  strascinato  dal  torrente;  e  teneva  in- 
tanto consiglio  in  cuor  suo ,  se  dovesse  uscir  dal  bac- 
cano, e  ritornare  al  convento  in  cerca  del  padre  Bona- 
ventura, 0  andare  a  vedere  anche  quest'altra.  Prevalse 
di  nuovo  la  curiosità.  Però  risolvette  di  non  cacciarsi 
nel  fitto  della  mischia,  a  farsi  ammaccar  Tossa,  o  a  ri- 
sicar qualcosa  di  peggio  ;  ma  di  tenersi  in  qualclie  di- 
stanza, a  osservare.  E  trovandosi  già  un  poco  al  largo, 
si  levò  di  tasca  il  secondo  pane,  e  attaccandoci  un  morso, 
s'avviò  alla  coda  dell'esercito  tumultuoso. 

Questo,  dalla  piazza,  era  già  (Mitrato  nella  strada  corta 
e  stretta  di  Pesclieria  vecchia,  e  di  là,  per  quell'arco  a 
sbieco ,  nella  piazza  de'  Mercanti.  E  li  eran  ben  pocbi 
((uelli  che,  nel  passar  davanti  alla  nicchia  che  taglia  il 
mezzo  d(}lla  loggia  dell'  edifizio  chiamato  allora  il  col- 
legio de' dottori,  non  dessero  un'occbiatina  alla  grande 
statuii  cbe  vi  campeggiava,  a  quel  viso  serio,  burbei'o, 
accipigliato,  e  non  dico  abbastanza,  di  don  Filippo  li, 
che,  anche  dal  marmo,  imponeva  un  non  so  che  di  ri- 
spetto, e,  con  quel  braccio  leso,  parcna  che  fosse  li  pi'r 
dire:  ora  vengo  io,  marmaglia. 

Quella  statua  non  c'è  più,  per  un  caso  singolare,  (lirca 
ccntosettant'anni  dopo  quello  che  sliam  racconlaiulo,  un 
giorno  le  fu  caralùata  la  testa,  le  fu  levato  di  mano  lo 


238  T   PROMÉSSI   SPOSI,   CAPnul,0   XII. 

sccllro,  e  sostiluilo  a  queslo  un  pugnalo  ;  o  alla  stallia 
fu  messo  nome  Marco  Binilo.  Cosi  accomodala  slelle  forse 
un  par  d'anni;  ma,  una  manina,  (•crtuni  che  non  ave- 
van  simpalia  con  Marco  Bruto,  anzi  dovevano  av(!rc  con 
lui  una  ruggine  segreta,  gellarono  una  lune  intorno  alla 
stallia,  la  tiraron  giù,  le  fecero  cento  angherie;  e,  mu- 
tilala e  ridotta  a  un  torso  informe,  la  strascicarono,  con 
gli  occhi  in  fuori,  e  con  le  lingue  fuori,  per  le  strade, 
e,  quando  furono  stracchi  hene,  la  ruzzolarono  non  so 
dove.  Chi  Tavessc  detto  a  Andrea  Biflì,  quamlo  la  scolpiva  ! 
Dalla  piazza  de' Mercanti,  la  marmaglia  insaccò,  per 
quell' allr'arco,  nella  via  de'  Fustagnai,  e  di  lì  si  sparpa- 
gliò nel  Cordusio.  Ognuno ,  al  primo  sboccarvi ,    guar- 
dava  subito  verso  il  forno  eh'  era  stato  indicato.  Ma  in 
vece  della  moltitudine  d'amici  che  s'aspettavano  di  tro- 
var lì  già  al  lavoro,  videro  soltanto  alcuni  starsene,  co- 
me esitando,  a  qualche  distanza  della  bottega,  la  quale 
era  chiusa,  e  alle  finestre  gente  armata,  in  atto  di  star 
pronti  a  difendersi.  A  quella  vista,  chi  si  maravigliava, 
chi  sagrava,    chi    rideva;    chi  si  voltava,  per  informar 
quelli  che  arrivavan  via  via  ;  chi  si  fermava,  chi  voleva 
tornare  indietro,  chi  diceva  :   «  avanti,  avanti.  »  C'era  un 
incalzare  e  un  rattenere,  come  un  ristagno,  una  tituba- 
zione,  un  ronzìo  confuso  di  contrasti  e  di  consulte.  In 
questa,  scoppiò  di  mezzo  alla  folla  una  maledetta  voce: 
«  c'è  qui  vicino  la  casa  del  vicario  di  provvisione:  an- 
diamo a  far  giustizia,  e  a  dare  il  sacco.  »  Parve  il  ram- 
mentarsi comune  d'un  concerto  preso,  piuttosto  che  l'ac- 
cettazione d'una  proposta.   «  Dal  vicario  1  dal  vicario!» 
è  il  solo  grido  che  si  possa  sentire.  La  turba  si  move, 
tu  Ila  insieme,  verso  la  strada  dov'era  la  casa  nominata 
in  un  così  cattivo  punto. 


CAPITOLO  XIII. 


Lo  sventiiralo  vicario  slava,  in  ((iicl  inoiiKMito,  facendo 
un  chilo  agro  e  stentato  d'un  desinare  Ijiascicato  senza 
appetito,  e  senza  pan  fresco  ;  e  attendeva,  con  gran  so- 
spensione, come  avesse  a  finire  quella  burrasca,  lontano 
\)orò  dal  sospettare  che  dovesse  cader  così  spaventosa- 
mente addosso  a  lui.  Qualche  galantuomo  precorse  di 
galoppo  la  folla,  per  avverlirlo  di  quel  che  gli  sovrastava. 
I  servitori,  attirati  già  dal  rumore  sulla  porta,  guarda- 
vano sgomentati  lungo  la  strada  ;,  dalla  parto  donde  il 
rumore  veniva  avvicinandosi.  Mentre  ascollan  l'avviso, 
vedon  comparire  la  vanguardia:  in  fretta  e  in  furia,  si 
porla  r  avviso  al  padrone  :  mentre  qneslo  pensa  a  fug- 
gire, e  couK!  fnggire,  un  altro  viene  a  dii'gli  che  non  ò 
più  a  tempo.  I  servitori  ne  hanno  appena  tanto  che  ha- 
sti  per  chiuder  la  porta.  Metton  la  stanga,  metton  pun- 
telli, corrono  a  chiuder  le  hnestrc,  come  quando  si  \ri\r 
venire  avanti  un  tempo  nero,  e  s'aspetta  la  grandine,  da 
un  momento  all'altro.  L'urlio  crescente,  scendendo  dal- 
Talio  come  un  tuono,  rimbomha  nel  vólo  cortile  ;  ogiìi 
buco  della  casa  ne  rintrona:  o  di  mezzo  al  vasto  e  confuso 
strepilo,  si  scnlon  forti  e  filli  colpi  di  pietre  alla  porla. 


240  I   PROMESSI   SPOSI 

«  Il  vicario!  Il  tiranno!  L'afTamalorc  !  Lo  vogliamoì 
vivo  0  morlo  !  » 

Il  meschino  girava  di  slan/.a  in  stanza,  pallido,  senza 
fiato,  battendo  jialina  a  palina,  raccomandandosi  a  Dio,  e 
a'  suoi  servitori  che  tenessero  fermo,  che  trovassero  la 
maniera  di  farlo  scappare.  Ma  come,  e  di  dove?  Salì  in 
soflìlta  ;  da  un  pertugio,  guardò  ansiosamente  nella 
strada;  e  la  vide  piena  zeppa  di  furibondi;  sentì  le  voci 
che  chiedevan  la  sua  morte;  e  più  smarrito  che  mai  si 
ritirò  e  andò  a  cercare  il  più  sicuro  e  riposto  nascon- 
diglio. Lì  rannicchiato,  stava  attento,  attento,  se  mai  il 
funesto  rumore  s'affievolisse^  se  il  tumulto  s'acquietasse 
un  poco;  ma  sentendo  in  vece  il  muggito  alzarsi  più 
feroce  e  più  rumoroso,  e  raddoppiare  i  picchi,  preso  da 
un  nuovo  sopprassalto  al  cuore,  si  turava  gli  orecchi  in 
fretta.  Poi,  come  fuori  di  se,  stringendo  i  denti,  e  rag- 
grinzando il  viso,  stendeva  le  braccia,  e  puntava  i  pu- 
gni, come  se  volesse  tener  ferma  la  porta Del  resto, 

quel  che  facesse  precisamente  non  si  può  sapere,  giac- 
ché era  solo  ;  e  la  storia  è  costretta  a  indovinare.  For- 
tuna che  e'  è  avvezza. 

Renzo,  questa  volta,  si  trovava  nel  forte  del  tumulto, 
non  già  portatovi  dalla  piena ,  ma  caccialovisi  delibera- 
tamente. A  cpiella  prima  proposta  di  sangue,  aveva  sen- 
tito il  suo  rimescolarsi  tutto  :  in  quanto  al  saccheggio, 
non  avreblie  saputo  dire  se  fosse  bene  o  male  in  quel 
caso;  ma  l'idea  dell'omicidio  gli  cagionò  un  orrore  pretto 
e  immediato.  E,  quantunque,  per  quella  funesta  docilità 
degli  animi  appassionati  all'alTermarc  appassionato  di 
molti ,  fosse  persuasissimo  che  il  vicario  era  la  cagion 
principale  della  fame,  il  nemico  de'  poveri,  pure,  avendo, 
al  primo  moversi  della  turba,  sentita  a  caso  (pialche  pa- 
rola che  indicava  la  volontà  di  fare  ogid  sforzo  per  sal- 
varlo, s'era  subilo  proposto  d' aiutare  anche  lui  un'opera 
tale;  e,  con  quest'intenzione,  s'era  cacciato,  quasi  fino 
a  quella  porta,  che  veniva  travagliata  in  cento  modi.  Chi 
con  ciottoli  picchiava  su'  chiodi  della  serratura,  per  iscon- 


CAPITOLO  XIII.  241 

ficcarla  ;  altri  con  pali  e  scarpelli  e  martelli,  cercavano 
di  lavorar  più  in  regola  :  altri  poi,  con  pietre,  con  col- 
telli spuntati,  con  chiodi,  con  bastoni,  con  Fnngliie,  non 
avendo  altro,  scalcinavano  e  sgretolavano  il  muro,  e  s' in- 
gegnavano di  levare  i  mattoni,  e  fare  ima  breccia.  Quelli 
che  non  potevano  aiutare,  facevan  coraggio  con  gli  urli; 
ma  nello  slesso  tempo,  con  lo  star  lì  a  pigiare,  impic- 
ciavan  di  più  il  lavoro  già  impicciato  dalla  gara  disor- 
dinala de' lavoranti  :  giacché,  per  grazia  del  cielo,  accade 
talvolta  anche  nel  male  quella  cosa  troppo  frequente  nel 
bene,  che  i  fautori  più  ardenti  divengono  un  impedimento. 
I  magistrati  ch'ebbero  i  primi  l'avviso  di  quel  che 
accadeva,  spediron  subito  a  chieder  soccorso  al  coman- 
dante del  castello^  che  allora  si  diceva  di  porta  Giovia; 
il  quale  mandò  alcuni  soldati.  Ma,  tra  l'avviso,  e  l'or- 
dine, e  il  radunarsi,  e  il  mettersi  in  cammino,  e  il 
cammino,  essi  arrivaron  che  la  casa  era  già  cinta  di 
vasto  assedio;  e  fecero  allo  lontano  da  quella,  all'estre- 
mità della  folla.  L'ufiziale  che  li  comandava,  non  sapeva 
die  partito  prendere.  Lì  non  era  altro  che  una,  lascia- 
temi dire,  accozzaglia  di  gente  varia  d'età  e  di  sesso, 
che  stava  a  vedere.  All'  intimazioni  che  gli  venivan  fatte, 
di  sbandarsi,  e  di  dar  luogo,  rispondevano  con  un  cupo 
e  lungo  mormorio;  nessuno  si  moveva.  Far  fuoco  sopra 
quella  ciurma,  pareva  all' ufiziale  cosa  non  solo  crudele, 
ma  piena  di  pericolo;  cosa  che,  offendendo  i  meno  ter- 
ribili, avrebbe  irritato  i  molti  violenti:  e  del  resto,  non 
aveva  una  tale  istruzione.  Aprire  quella  prima  folla, 
rovesciarla  a  destra  e  a  sinistra,  e  andare  avanti  a  portar 
la  guerra  e  clii  la  faceva,  sarel)l)c  stata  la  meglio;  ma 
riuscirvi,  li  stava  il  punto.  Chi  sapeva  se  i  soldati  avreb- 
ber  potuto  avanzarsi  uniti  e  ordinati"?  Che  se,  invece 
di  romper  la  folla,  si  fossero  sparpagliati  loro  tra  quella, 
si  sarel)h(,'r  trovati  a  sua  discrezione,  dopo  averla  aiz- 
zata. L' irresolutezza  del  comandante  e  l' imnidbilità 
de' soldati  parve,  a  diritto  o  a  torto,  paura.  La  gente 
che  si  trovavau  vicino  a  loro,  si  contentavano  di  gnar- 

VOL.   I.  il 


242  I  PIJOMESSI  SPOSI 

dargli  in  viso,  con  un'aria,  come  si  dice,  di  me  n'im- 
pipo; quelli  ch'erano  un  po' più  lontani,  non  se  ne  sta- 
vano di  provocarli,  con  visacci  e  con  grida  di  scherno; 
più  in  là,  pochi  sapevano  o  si  curavano  che  ci  fossero; 
i  guastatori  seguitavano  a  smurare,  senz'altro  pensiero 
che  di  riuscir  presto  nell'impresa;  gli  spettatori  non 
cessavano  d'animarla  con  urli. 

Spiccava  tra  questi,  ed  era  lui  stesso  spettacolo,  un 
vecchio  mal  vissuto,  che,  spalancando  due  occhi  alTos- 
sati  e  infocati,  conlraendo  le  grinze  a  un  sogghigno  di 
compiacenza  diabolica,  con  le  mani  alzate  sopra  una 
canizie  vituperosa;,  agitava  in  aria  un  martello,  una  corda, 
quattro  gran  chiodi,  con  che  diceva  di  volere  attaccare 
il  vicario  a  un  battente  della  sua  porta,  ammazzato  che 
fosse. 

«  Oibò!  vergogna!»  scappò  fuori  Renzo,  inorridito 
a  quelle  parole,  alla  vista  di  tant' altri  visi  che  davan 
segno  d'approvarle,  e  incoraggilo  dal  vederne  degli  altri, 
sui  quali,  benché  muti,  traspariva  lo  stesso  orrore  del 
quale  era  compreso  lui.  «  Vergogna!  Vogliam  noi  rubare 
il  mestiere  al  boia?  assassinare  un  cristiano?  Come  vo- 
lete che  Dio  ci  dia  del  pane,  se  facciamo  di  queste  atro- 
cità? Ci  manderà  de' fulmini,  e  non  del  pane!  » 

«  Ah  cane!  ah  traditor  della  patria!  »  gridò  voltandosi 
a  Renzo,  con  un  viso  da  indemoniato,  un  di  coloro  che 
avevan  potuto  sentire  tra  il  frastono  quelle  sante  parole. 
«  Aspetta,  aspettai  É  un  servitore  del  vicario,  travestito 
da  contadino;  è  una  spia:  dalli,  dalli!  »  Cento  voci  si 
spargono  all'intorno.  «Cos'è?  dov'ù?  chi  è?  Un  servi- 
tore del  vicario.  Una  spia.  Il  vicario  travestito  da  con- 
tadino, che  scappa.  Dov'è?  dov'è?  dalli,  dalli!» 

Renzo  ammutolisce,  diventa  piccino  piccino,  vorrebbe 
sparire;  alcuni  snoi  vicini  lo  prendono  in  mezzo;  e  con 
alte  e  diverse  grida  cercano  di  confondciv  ipielle  \(k:ì 
nemiche  e  omicide.  Ma  ciò  che  più  di  tutto  lo  servì  fu 
un  •  largo,  largo,  »  che  si  senti  gridar  lì  vicino:  «  largo! 
è  qui  l'aiuto:  largo!  ohe!  » 


CAPITOLO  XIII.  243 

Cos'era?  Era  una  lunga  scala  a  mano,  che  alcuni 
porlavano  per  appoggiarla  alla  casa,  e  entrarci  da  una 
finestra.  Ma  per  buona  sorte,  quel  mezzo,  che  avrebbe 
resa  la  cosa  facile,  non  era  facile  esso  a  mettere  in  opera. 
I  portatori,  all'una  e  all'altra  cima,  e  di  qua  e  di  là 
della  macchina,  urlati,  scompigliati,  divisi  dalla  calca, 
andavano  a  onde:  uno,  con  la  testa  tra  due  scalini  e  gli 
staggi  sulle  spalle,  oppresso  come  sotto  un  giogo  scosso, 
mugghiava;  un  altro  veniva  staccato  dal  carico,  con  una 
spinta:  la  scala  abbandonata  picchiava  spalle,  braccia, 
costole;  pensate  cosa  dovevan  dire  coloro  de'  quali  erano. 
Altri  sollevano  con  le  mani  il  peso  morto,  vi  si  cac- 
cian  sotto,  se  lo  mettono  addosso,  gridando:  a  animo! 
andiamo I  »  La  macchina  fatale  s'avanza  balzelloni,  e  ser- 
peggiando. Arrivò  a  tempo  a  distrarre  e  a  disordinare 
i  nemici  di  Renzo,  il  quale  profittò  della  confusione  nata 
nella  confusione;  e,  quatto  quatto  sul  principio,  poi  gio- 
cando di  gomita  a  più  non  posso,  s'allontanò  da  quel 
luogo,  dove  non  c'era  buon'aria  per  lui,  con  l'inten- 
zione anche  d'  uscire,  più  presto  che  potesse,  dal  tumulto, 
e  d'andar  davvero  a  trovare  o  aspettare  ì\  padre  Bona- 
ventura. 

Tutta  un  tratto,  un  movimento  straordinario  comin- 
cialo a  una  estremità,  si  propaga  per  la  folla,  una  voce 
si  sparge,  viene  avanti  di  bocca  in  bocca:  «  Ferrer!  Fer- 
rer!  »  Una  maraviglia,  una  gioia,  una  rabbia,  un'incli- 
nazione, una  ripugnanza,  scoppiano  per  lutto  ilove  arriva 
quel  nome;  chi  lo  grida,  chi  vuol  solfogarlo;  chi  alTerma, 
chi  nega,  chi  benedice,  chi  bestemmia. 

È  qui  Ferrer!  —  Non  è  vero,  non  e  vero!  —  Sì,  si; 
viva  Ferrer!  qn(^llo  che  ha  messo  il  pane  a  buon  mer- 
cato. No,  no!  — É  (pii,  è  qui  in  carrozza.  —  Cosa  im- 
porla'? che  c'entra  lui?  non  vogliamo  nessuno!  —  Ferrer! 
viva  Ferrer!  l'amico  della  povera  gente!  viene  per  con- 
durre in  prigione  il  vicario.  —  No,  no;  vogliamo  fai' 
giustizia  noi:  indietro,  indicMro!  —  Sì,  sì:  Ferrer!  venga 
Ferrer!  in  prigione  il  vicario!  " 


244  I   PROMESSI  SPOSI 

E  tulli  alzandosi  in  punta  di  piedi,  si  voltano  a  p:uar- 
dare  da  (juella  parte  donde  s'annunziava  l'iunaspellato 
arrivo.  Alzandosi  tutti,  vedevano  nò  più  ne  meno  che 
se  fossero  stali  tutti  con  le  piante  in  terra;  ma  tant'  , 
tutti  s'alzavano. 

In  fatti,  all' estremità  della  folla,  dalla  parte  opposta 
a  fpiella  dove  slavano  i  soldati,  era  arrivalo  in  carrozza 
Antonio  Ferrer,  il  gran  cancelliere;  il  quale  rimorden- 
dogli probabilmente  la  coscienza  d' essere,  co' suoi  spro- 
positi e  con  la  sua  ostinazione,  stato  causa,  o  almeno 
occasione  di  quella  sommossa,  veniva  ora  a  cercar  d'acquie- 
tarla, e  d' impedirne  almeno  il  più  terribile  e  irrepara- 
bile effetto:  veniva  a  spender  bene  una  poiiolarilà  mal 
acquistata. 

Ne'  tumulti  popolari  c'è  sempre  un  certo  numero  d' no- 
mini che,  0  per  un  riscaldamento  di  passione,  o  per 
una  persuasione  fanatica,  o  per  un  disegno  scellerato, 
0  per  un  maledetto  gusto  del  soqquadro,  fanno  di  lutto 
per  ispinger  le  cose  al  peggio;  propongono  o  promovono 
i  più  spietati  consigli,  soffian  nel  fuoco  ogni  volta  che 
principia  a  illanguidire:  non  è  mai  troppo  per  costoro; 
non  vorrebbero  che  il  tumulto  avesse  nò  line  né  misura. 
Ma  per  contrappeso,  e'  è  sempre  anche  un  cerio  numero 
d'altri  uomini  che,  con  pari  ardore  e  con  insistenza 
pari,  s'adoprano  per  produr  l'elTetto  contrario;  taluni 
mossi  da  amicizia  o  da  parzialità  per  le  persone  minac- 
ciate; altri  senz'altro  impulso  che  d'un  pio  e  spontaneo 
orrore  del  sangue  e  de'  falli  atroci.  Il  cielo  li  benedica. 
In  ciascuna  di  queste  due  parli  opposte,  anche  (piando 
non  ci  siano  concerti  antecedenti,  l'uniformila  de' vo- 
leri crea  un  concerto  istantaneo  nell'operazioni.  Chi 
forma  poi  la  massa,  e  quasi  il  materiale  del  tumulto, 
è  un  miscuglio  accidentale  d'uomini,  che,  più  o  meno 
per  gradazioni  indermile,  teiìgono  dell'uno  e  deirallro 
estremo:  un  jìo' riscaldali,  un  pu"  furbi,  un  po' inclinali 
a  una  certa  giustizia,  come  l'inlendon  loro,  un  po' vo- 
gliosi di  vederne  qualcheduna  grossa,  pronti  alla  ferocia 


CAPITOLO  XIII.  245 

0  alla  misericordia,  a  deleslarc  e  ad  adorare,  secondo 
che  si  presenti  l'occasione  di  provar  con  pienezza  l'nno 
0  l'altro  sentimento;  avidi  ogni  momcnlo  di  sapere,  di 
credere  qualche  cosa  grossa,  hisognosi  di  gridare,  d'ap- 
plaudire a  qualchedniio.  o  d'urlargli  dietro.  Viva  e  muoia, 
son  le  parole  che  inandan  fuori  più  volentieri;  e  chi  è 
riuscilo  a  persuaderli  che  un  tale  non  meriti  d'essere 
squartato,  non  ha  hisogno  di  spender  più  parole  per 
convincerli  che  sia  degno  d'esser  portato  in  trionfo:  at- 
tori, spettatori,  strumenti,  ostacoli,  secondo  il  vento; 
pronti  anche  a  slare  zitti,  quando  non  sentan  più  grida 
da  ripetere,  a  finirla,  quando  manchino  gl'istigatori,  a 
shandarsi,  quando  molte  voci  concordi  e  non  contrad- 
dette ahhiano  detto:  andiamo;  e  a  toruarsene  a  casa, 
domandaudosi  l'uno  con  l'altro:  cos'è  stato?  Siccome 
però  questa  massa,  avendo  la  maggior  forza,  la  può 
dare  a  chi  vuole,  così  ognuna  delle  due  parti  attive  usa 
ogni  arte  per  tirarla  dalla  sua,  per  impadronirsene:  sono 
quasi  due  anime  nemiche,  che  comhatlono  per  entrare 
in  ijuel  corpaccio,  e  farlo  movere.  Fanno  a  chi  saprà 
sparger  le  voci  più  atte  a  eccitar  le  passioni,  a  dirigere 
i  movimenti  a  favore  dell'uno  o  dell'altro  intento;  a  chi 
saprà  più  a  proposito  trovare  le  nuove  che  riaccendano 
gli  sdegni,  0  gli  affievoliscano,  risveglino  le  speranze  o 
i  terrori:  a  chi  saprà  trovare  il  grido,  che  ripetuto  dai 
l)iù  e  più  forti^,  espi'ima,  attesti  e  crei  nello  stesso  lem|to 
il  volo  della  phiralilà,  per  l' una  o  per  l'altra  parte.  Tutta 
qu(ista  chiacchierata  s' è  fatta  per  venire  a  dire  che, 
nella  lotta  tra  le  due  parti  che  si  contendevano  il  voto 
della  gente  atfollata  alla  casa  del  vicario,  l'apparizione 
(rAiitoHii)  Fei'rer  diede,  quasi  in  un  momento,  un  gran 
vaniaggio  alla  parl(!  degli  uma:ti,  la  (piale  era  mani- 
leslainenle  al  di  sotto  e,  un  po' più  che  (pu^l  soccorso 
t'osse  lardalo,  non  avrebbe  avuto  più,  nò  forza,  nò  mo- 
tivo di  coml)atlei'e.  I/uomoera  gradilo  alla  mollitudine, 
pei'  (pu'lla  iarilVa  ili  sua  invenzione  cosi  la\(ii'e\ole  a"  com- 
pratori, e  per  (piel  suo  eroico  star  diuo  conti'o  ogni  ra- 


24()  1   PROMESSI   SPOSI 

gionam?'nlo  in  contrario.  Gii  animi  già  propensi  orano  ora 
ancor  [)iìi  innamorali  tl;illa  nducia  animosa  del  veccliio 
clic,  senza  guardie,  senza  apparato,  veniva  cosi  a  tro- 
vare, ad  alTrontare  una  moltitudine,  irritata  e  procel- 
losa. Faceva  poi  un  effetto  mirabile  il  sentire  che  veniva 
a  condurre  in  prigione  il  vicario:  cosi  il  furore  contro 
costui,  che  si  sarebbe  scatenato  peggio,  chi  l'avesse 
preso  con  le  brusche,  o  non  gli  avesse  voluto  conceder 
nulla,  ora,  con  quella  promessa  di  soddisfazione,  con 
quell'osso  in  bocca  s'acquietava  un  poco,  e  dava  luogo 
agli  allri  opposti  sentimenti,  che  sorgevano  in  una  gran 
parte  degli  animi. 

I  partigiani  della  pace,  ripreso  fiato,  secondavano 
Ferrer  in  cento  maniere:  quelli  che  si  trovavan  vicini 
a  lui,  eccitando  e  rieccitando  col  loro  il  pubblico  ap- 
plauso, e  cercando  insieme  di  far  ritirare  la  gente,  per 
aprire  il  passo  alla  carrozza;  gli  altri,  applaudendo,  ri- 
petendo e  facendo  passare  le  sue  parole,  o  quelle  clw 
a  lor  parevano  le  migliori  che  potesse  dire,  dando  sulla 
voce  ai  furiosi  ostinati,  e  rivolgendo  contro  di  loro  la 
nuova  passione  della  mobile  adunanza.  «  Chi  è  che  non 
vuole  che  si  dica:  viva  Ferrer?  Tu  non  vorresti  eh,  che 
il  pane  fosse  a  buon  mercato?  Son  birboni  che  non  vo- 
gliono una  giustizia  da  cristiani:  e  e' è  di  quelli  che 
schiamazzano  pii!i  degli  altri,  per  fare  scappare  il  vicario. 
In  prigione  il  vicario!  Viva  Ferrer I  Largo  a  Ferrer!  » 
E  crescendo  sempre  più  quelli  che  parlavan  così,  s'an- 
dava a  proporzione  abbassando  la  baldanza  della  parte 
contraria;  di  maniera  che  i  primi  dal  predicare  vennero 
anche  a  dar  sulle  mani  a  quelli  che  diroccavano  ancora, 
a  cacciarli  indietro,  a  levar  loro  dall'unghie  gli  ordigni. 
Questi  fremevano,  minacciavano  anche,  cercavan  di  ri- 
farsi; ma  la  causa  del  sangue  era  pertluta:  il  grido  che 
predominava  era:  prigione,  giustizia.  Ferrer!  Dopo  un 
po' di  dibattimento,  coloro  furon  respinti:  gli  altri  s'im- 
padroniron  della  porla,  e  per  tenerla  difesa  da  nuovi 
assalti,  e  per  prepararvi  l'adito  a  Ferrer;  e  alcuno  di 


CAPITOLO  xni.  247 

issi,  mandando  dentro  una  voce  a  quelli  di  casa  (fes- 
sure non  ne  mancava)  gli  avvisò  che  arrivava  soccorso, 
e  che  facessero  star  pronto  il  vicario,  «  per  andar  su- 
])ito...  .in  prigione:  ehm,  avete  inteso.» 

«  É  quel  Ferrer  che  aiuta  a  far  le  gride?  »  domandò 
a  un  nuovo  vicino  il  nostro  Renzo,  che  si  rammentò  del 
ridit  Ferrer  che  il  dottore  gli  aveva  gridato  all'orecchio, 
facendoglielo  vedere  in  fondo  di  quella  tale. 

«  Già:  il  gran  cancelliere  »  gli  fu  risposto.         %' 

«  É  un  galantuomo,  n' è  vero?» 

«  Eccome  se  è  un  galantuomo!  è  quello  che  aveva 
messo  il  pane  a  buon  mercato;  e  gli  altri  non  hanno 
voluto;  e  ora  viene  a  condurre  in  prigione  il  vicario 
che  non  ha  fatto  le  cose  giust(\  » 

Non  fa  bisogno  di  dire  che  Renzo  fu  sul)ito  per  Fer- 
rer. Volle  andargli  incontro  addirittura:  la  cosa  non  era 
facile;  ma  con  certe  sue  spinte  e  gomitate  da  alpigiano, 
riusci  a  farsi  far  largo,  e  a  arrivare  in  prima  fila,  pro- 
prio di  fianco  alla  carrozza. 

Era  ({uesta  già  un  po'  inoltrata  nella  folla;  e  in  quel 
momento  stava  ferma,  per  uno  di  quegl' incagli  inevita- 
bili e  frequenti,  in  un'andata  di  quella  sorte.  Il  vecchio 
Ferrer  presentava  ora  all'uno,  ora  all'altro  sportello,  un 
viso  tutto  umile,  lutto  ridente,  lutto  amoroso,  un  viso 
che  aveva  tenuto  sempre  in  serbo  per  quando  si  trovasse 
alla  presenza  di  don  Filippo  IV;  ma  fu  costretto  a  spen- 
derlo anche  in  quesl'  occasione.  Parlava  anche;  ma  il 
chiasso  e  il  ronzìo  di  tante  voci,  gli  evviva  stessi  che 
si  facevano  a  lui,  lasciavano  ben  poco  e  a  ben  pochi  sen- 
tir le  sue  parole.  S'aiutava  dunque  co' gesti,  ora  mel- 
t(!nd()  la  punta  delle  mani  sull(>  labbra,  a  prenib^re  un 
bacio  che  le  mani,  se[)aranil()si  subito,  distribuivano  a 
d(;slra  e  a  sinistra  in  ringraziamento  alla  pubblica  be- 
nevolenza; ora  stendendole  e  movendole  lentamcnlc  fuori 
d'uno  sportello,  per  chiedere  un  po' di  luogo;  ora  ab- 
iiassandole  gai'batainente,  per  chiedere  un  po'  di  silenzio. 
(Juando  n'aveva  ottenuto  un  poco,  i  più  vicini  sentivano 


248  I   PROMESSI  SPOSI 

0  ripcicvano  lo  sue  parole:  «pane,  abbondanza:  vengo 
a  far  giustizia:  un  po' di  luogo  di  grazia.»  Sopraffatln 
poi  e  come  soffogalo  dal  fracasso  di  tante  voci,  dalla 
vista  di  tanti  visi  futi,  di  lant' occhi  addosso  a  lui,  si 
tirava  indietro  un  momento,  gonfiava  le  gote,  mandava 
un  gran  soffio,  e  diceva  tra  m:  —  por  mi  rida,  que  de 
cjenle.  — 

»  Viva  Ferrer!  Non  abbia  paura.  Lei  è  un  galantuomo. 
Pane,  pane!  » 

«  Si;  pane;  pane.»  rispondeva  Ferrer:  «abbondanza; 
lo  prometto  io,»   e  metteva  la  mano  al  petto. 

«  Un  po'  di  luogo,»  aggiungeva  subito:  «vengo  per 
condurlo  in  prigione,  per  elargii  il  giusto  gastigo  che  si 
merita:  »  e  soggiungeva  sottovoce:  «  si  es  culpable.  »  Chi- 
nandosi poi  innanzi  verso  il  cocchiere,  gli  diceva  in  fretta: 
«  adelante,  Fedro,  si  piiedes.  » 

Il  cocchiere  sorrideva  anche  lui  alla  moltitudine,  con 
una  grazia  affettuosa,  come  se  fosse  slato  un  gran  per- 
sonaggio; e  con  un  gari)o  ineffabile,  dimenava  adagio 
adagio  la  frusta,  a  destra  e  a  sinistra,  per  cliiedere  agl'in- 
comodi vicini  che  si  ristringessero  e  si  ritirassero  un 
poco.  «  Di  grazia,  »  diceva  anche  lui,  «  signori  miei, 
un  po'  di  luogo,  un  pochino  ;  appena  appena  da  poter 
passare.  » 

Intanto  i  benevoli  più  attivi  s' adopravano  a  far  fare 
il  luogo  chiesto  così  gentilmente.  Alcuni  davanti  ai  ca- 
valli facevano  ritirar  le  persone,  con  buone  parole,  con 
un  mettere  le  mani  sui  petti,  con  certe  spinte  soavi: 
«in  là,  via,  un  po' di  luogo,  signori;»  alcuni  facevan 
lo  stesso  dalle  due  parli  della  carrozza,  perchè  potesse 
passare  senza  arrotar  piedi,  ne  ammaccar  mostacci  ;  che, 
oltre  il  male  delle  persone,  sarebbe  stato  porre  a  un  gran 
repentaglio  l'auge  d'Antonio  Ferrer. 

«  Henzo,  dopo  essere  stato  qualche  momento  a  va- 
gheggiare quella  decorosa  vecchiezza,  conUirliata  un  po' 
dall'angustia;  aggravala  dalla  fatica,  ina  animala  dalla 
sollecitudine,  abbellita,  per  dir  così,  dalla  speranza  di 


CAPITOLO    XIU.  i^49 

logliero  un  nomo  all'an.uosce  morlali,  Renzo,  dico,  mise 
da  parte  ojiiii  pensiero  d'andarsene;  osi  risolvette  d'a- 
iutare Ferrer,  e  di  non  ai^bandonarlo,  fin  che  non  fosse 
ottenuto  l' intento.  Detto  fatto,  si  mise  con  gli  altri  a  far 
far  largo;  e  non  era  certo  de' meno  attivi.  Il  largo  si 
fece;  «venite pure  avanti,»  diceva  più  d'uno  al  cocchiere, 
ritirandosi  e  andando  a  fargli  un  po'  di  strada  più  innanzi. 
o-Adelanle,  presto,  con  juicio,  y  gli  disse  anche  il  padrone; 
e  la  carrozza  si  mosse.  Ferrer,  in  mezzo  ai  saluti  che 
scialacquava  al  pubblico  in  massa,  ne  faceva  certi  parti- 
colari di  ringraziamento,  con  un  sorriso  d'intelligenza, 
a  quelli  che  vedeva  adoprarsi  per  lui:  e  di  questi  sor- 
risi ne  toccò  più  d' uno  a  Renzo,  il  quale  per  verità  se 
li  meritava,  e  serviva  in  quel  giorno  il  gran  cancelliere 
meglio  che  non  avrei )be  potuto  fare  il  più  bravo  de' 
suoi  segretari.  Al  giovane  montanaro  invaghito  di  quella 
buona  grazia,  pareva  quasi  d' aver  fatto  amicizia  con  An- 
tonio Ferrer. 

La  carrozza,  una  volta  incamminala,  seguitò  poi  più 
0  meno  adagio,  e  non  senza  qualche  altra  fermatina.  Il 
tragitto  non  era  forse  più  che  un  tiro  di  schioppo;  ma 
riguardo  al  tempo  impiegatovi,  avrel)be  potuto  pai'ere  un 
viaggetto,  anche  a  chi  non  avesse  avuto  la  saida  fretta  di 
Ferrer.  La  gente  si  moveva,  davanti  e  di  dietro,  a  destra  o 
a  sinistra  della  carrozza,  a  guisa  di  cavalloni  intorno  a 
una  nave  che  avanza  nel  forte  della  tempesta.  Più  acuto, 
più  scordato,  più  assordante  di  (piello  della  lenqiesla  era 
il  fraslono.  Ferrer,  guardando  ora  da  una  parte,  ora 
dall'altra,  atteggiandosi  e  gestendo  insieme,  corcava  d'in- 
tender qualche  cosa,  per  accomodar  le  risposte  al  biso- 
gno; voleva  far  alla  meglio  un  po' di  dialogo  con  (piella 
brigala  d'amici;  ma  la  cosa  era  dillicile,  la  più  dilììcile 
forse  che  gli  fosse  ancoi'a  ca|titala,  in  tanl'anni  di  gran- 
cancellieralo.  Ogni  tanto  [icrò  (pialche  parola,  anche  qnal- 
che  frase,  ripetuta  da  un  crocchio  nel  suo  passaggio,  gli  si 
faceva  seidire,  come  lo  scoppio  d' un  razzo  più  forte  si  fa 
sentire  neU'Immenso  scoppiettio  d'un  fuoco  artilìziale.  E 


250  1    PROMESSI    SPOSI 

lui,  ora  ino^Oirnandosi  <li  risponilcn;  in  modo  soddisfa- 
C(!ii(c  a  qucslc  grida,  ora  di(;oiido  a  buon  conio  \(t  pa- 
role clic  sapeva  dover  esser  più  accette,  o  che  qualche 
iiecessitii  istantanea  pareva  richiedere ,  parlò  anche  lui 
per  tutta  la  strada.  «Si,  signori;  pane,  abbondanza.  Lo 
condurrò  io  in  prigione:  sarà  gastigato . . . .  si  es  cui- 
pable.  Sì,  sì,  comanderò  io:  il  pane  a  buon  mercato.  Asi, 
es, . . .  cosi  è,  voglio  dire:  il  re  nostro  signore  non  vuole 
che  codesti  fedelissimi  vassalli  patiscan  la  fame.  0x1  or! 
(juardaos:  non  si  facciano  male,  signori.  Fedro,  adelanle 
con  juicio.  Abbondanza,  abbondanza.  Un  po' di  luogo, 
per  carità.  Pane,  pane.  In  prigione,  in  prigione.  Cosa?» 
domandava  poi  a  uno  che  s'era  buttalo  mezzo  dentro 
lo  sportello,  a  urlargli  qualche  suo  consiglio  o  preghiera 
0  applauso  che  fosse.  Ma  costui,  senza  poter  neppure  ri- 
cevere il  «cosa?», era  stalo  tirato  indietro  da  uno  che 
lo  vedeva  lì  lì  per  essere  schiacciato  da  una  rota.  Con 
queste  l)Otte  e  risposte,  tra  le  incessanti  acclamazioni , 
tra  qualche  fremito  anche  d'opposizione,  che  si  faceva 
sentire  qua  e  là,  ma  era  subito  soffocato,  e.^o  alla  fine 
Ferrer  arrivato  alla  casa,  per  opera  principalmente  di 
que'  buoni  ausiliari. 

Gli  altri  che,  come  abbiam  detto,  eran  già  lì  con  le 
medesime  buone  intenzioni,  avevano  intanto  lavorato  a 
fare  e  a  rifare  un  po'  di  piazza.  Prega,  esorla,  minaccia  ; 
pigia,  ripigia,  incalza  di  qua  e  di  là,  con  quel  raddop- 
piare di  voglia,  e  con  quel  rinnovamento  di  forze  che 
viene  dal  veder  vicino  il  fine  desiderato;  gli  era  final- 
mente riuscito  di  divider  la  calca  in  due,  e  poi  di  spin- 
gere indietro  le  due  calche;  tanto  che,  tra  la  porla  e  la 
carrozza,  che  vi  si  fermò  davanti,  v'era  un  piccolo  spa- 
zio vóto.  Renzo,  che,  facendo  un  po' da  battistrada,  un 
po'  da  scorta,  era  arrivalo  con  la  carrozza,  potè  collocarsi 
in  una  di  quelle  due  frontiere  di  benevoli,  che  facevano, 
nello  stesso  tempo,  ala  alla  carrozza  e  argine  alle  due 
onde  prementi  di  popolo.  E  aiutando  a  raiteaerne  una 
con  le  poderose  sue  spalle,  si  trovò  anche  in  un  bel  po- 
sto per  i)oter  vedere. 


Capitolo  xiii.  2?)1 

Ferrer  mise  un  orari  respiro,  qiian(]o  vide  quella  piaz- 
zetta libera,  e  la  porta  ancor  chiusa.  Chiusa  qui  vuol 
(lire  non  aporia:  del  resto  i  ghanghcri  eraii  qnasi  scon- 
ficcati fuor  de' pilastri:  i  battenti  scheggiati,  ammaccali, 
sforzati  e  scombaciati  nel  mezzo  lasciavano  veder  fuori 
da  un  largo  spiraglio  un  pezzo  di  catenaccio  storio,  al- 
lentato, e  quasi  divelto,  che,  se  vogliam  dir  cosi,  li  te- 
neva insieme.  Un  galantuomo  s'era  alTacciato  a  quel  fesso, 
a  gridar  che  aprissero;  un  altro  spalancò  in  fretta  lo 
sportello  della  carrozza:  il  vecchio  mise  fuori  la  testa, 
s'alzò,  e  afTerrando  con  la  destra  il  braccio  di  quel  ga- 
lantuomo, usci  e  scese  sul  predellino. 

La  folla,  da  una  parte  e  dall'altra,  stava  tutta  in  punta 
di  piedi  per  vedere:  mille  visi,  mille  barbe  in  aria:  la 
curiosità  e  l'attenzione  generale  creò  un  momento  di 
generale  silenzio.  Ferrer,  fermatosi  quel  momento  sul 
predellino,  diede  un'occhiata  in  giro,  salutò  con  un  in- 
chino la  moltitudine,  come  da  un  pulpito,  e  messa  la 
mana  sinistra  al  petto,  gridò:  «  pane  e  giustizia  ;  »  e  franco, 
diritto,  togato,  scese  in  terra,  tra  l'acclamazioni  che  an- 
davano alle  stelle. 

Intanto  quelli  didentro  avevano  aperto,  ossia  avevano 
finito  d'aprire,  tirando  via  il  catenaccio  insieme  con  gli 
anelli  già  mezzi  sconficcati ,  e  allargando  lo  spiraglio, 
appena  quanto  Inastava  per  fare  entrare  il  desidei'alissimo 
ospite.  «Presto,  presto,»  diceva  lui:  «  ai)rile  heiic,  ch'io 
possa  entrare:  e  voi,  da  bravi,  tenete  indietro  la  gente; 

non  mi  lasciate  venire  addosso per  l'amor  del  cielo  ! 

Serbate  un  po' di  largo  per  tra  poco Ehi!  ehi!  si- 
gnori, un  momento,  »  diceva  poi  ancora  a  ipiclli  di  den- 
tro: «adagio  con  (|uel  lialtcnlc  lasciatemi  passare:  eh! 
le  mie  costole;  vi  raccomando  le  mie  costole.  Chiudete 
ora:  no;  eh!  eh!  la  toga!  la  toga!»  Sarebbe  infatti  ri- 
masta presa  tra  i  hallenti,  se  Ferrer  non  n'avesse  ri- 
tirato con  molta  disinvoltura  lo  strascico,  che  disparve 
come  la  coda  d'una  scipe,  che  si  i-imhuca  inseguila. 

Riaccostali  i  hattenii,  birono  anche  riai»|uintellali  alla 


2o2  I    PROMESSI    SPOSI 

mt\ii"lio.  Di  fuori,  qiKslli  che  s'oran  cosiituili  .crnanlia  do] 
corpo  (li  FccRM",  lavoravano  di  spalle,  di  braccia  e  di  Licida, 
a  mantener  la  piazza  vota,  pregando  in  cuor  loro  il  Si- 
gnore che  lo  facesse  far  preslo. 

«  Presto,  presto,  »  diceva  anche  Ferrer  di  dentro,  sotto 
il  portico,  ai  servitori,  che  gli  si  eran  messi  d'intorno 
ansanti,  gridando:  a  sia  benedetto  I  ah  eccellenza  !  oh  ec- 
cellenza! uh  eccellenza!» 

a  Presto,  presto,»  ripeteva  Ferrer:  «dov'è  questo  be- 
nedett'uomo?  » 

Il  vicario  scendeva  le  scale,  mezzo  strascicato  e  mezzo 
portato  da  altri  suoi  servitori,  bianco  come  un  panno  la- 
vato. Quando  vide  il  suo  aiuto,  mise  un  gran  respiro, 
gli  tornò  il  polso,  gli  scorse  un  po'  di  vita  nelle  gambe, 
un  po' di  colore  sulle  gote;  e  corse,  come  potè,  verso 
Ferrer,  dicendo:  «sono  nelle  mani  di  Dio  e  di  vostra 
eccellenza.  Ma  come  uscir  di  qui?  Per  tutto  e" è  gente 
che  mi  vuol  morto.  » 

«  Venr/a  usied  con  rnUjo,  e  si  faccia  coraggio:  qui  fuori 
c'è  la  mia  carrozza;  presto^  presto.»  Lo  prese  per  la 
mano,  e  lo  condusse  verso  la  porta,  facendogli  coraggio 
InUavia;  ma  diceva  intanto  trasè:  — ^wi  està  elbusilis; 
Dios  nos  valga  !  — 

La  porta  s'apre;  Ferrer  esce  il  primo;  l'altro  dietro, 
rannicchiato,  attaccato,  incollalo  alla  toga  salvatrice,  come 
un  l)anil)ino  alla  sottana  della  mamma.  Quelli  che  ave- 
van  mantenuta  la  i)iazza  vota,  fanno  oi-a,  con  un  alzar 
di  mani,  di  cappelli,  come  una  rete,  una  nuvola,  per  sot- 
trarre alla  vista  pericolosa  della  moltitudine  il  vicario; 
il  quale  entra  il  primo  nella  carrozza,  e  vi  si  rimpiatta 
in  un  angolo. 

Ferrer  sale  dopo;  lo  sportello  vien  chiuso.  La  mol- 
titudine vide  in,  confuso,  riseppe,  indovinò  (piel  ch'era 
accaduto;  e  mandò  un  urlo  d'applausi  e  d'inqjreca/.ioni. 

La  parte  della  strada  che  rimaneva  da  farsi,  poteva 
parer  la  più  dithcile  e  la  più  pericolosa.  Ma  il  voto  pub- 
blico era  abbastanza  spiegato  per  lasciar  andare  in  pri- 


CAPITOLO   XllL  2o3 

gione  il  vicario;  e  nel  tempo  della  fermata,  molli  di  quelli 
che  avevano  agevolato  l'arrivo  di  Ferrer,  s'eran  tanto 
ingegnati  a  preparare  e  a  men tener  come  una  corsia  nel 
mezzo  della  folla,  che  la  carrozza  potè,  questa  seconda 
volta,  andare  un  po' più  lesta,  e  di  seguito.  Di  mano 
in  mano  che  s'avanzava,  le  due  folle  rattenutc  dalle 
parti,  si  ricadevano  addosso  e  si  rimischiavano,  dietro  a 
quella. 

Ferrer,  appena  seduto,  s'era  chinato  per  avvertire  il 
vicario,  che  stesse  hen  rincaiitncciato  nel  fondo,  e  non 
si  facesse  vedere,  per  l'amor  (M  cielo;  ma  ravvertimiMito 
era  superfluo.  Lui,  in  vece,  bisognava  che  si  facesse  ve- 
dere per  occupare  e  attirare  a  sé  tutta  l' attenzione  del 
pubblico.  E  per  tutta  questa  gita,  come  nella  prima, 
fece  al  mutabile  uditorio  un  discorso,  il  più  continuo 
nel  tempo,  e  il  più  sconnesso  nel  senso  che  fosse  mai; 
interrompendolo  però  ogni  tanto  con  qualche  parolina 
spagnola,  che  in  fretta  si  voltava  a  bisl)igliar  nell'orec- 
chio del  suo  acquattalo  compagno.  «Si,  signori;  pane  e 
giustizia:  in  castello,  in  prigione,  sotto  lamia  guardia. 
Grazie,  grazie,  grazie  tante.  No,  no  :  non  iscap{)erà  !  Poì- 
alìlaniarlos.  È  troppo  giusto;  s' esaminerà,  si  vedrei.  An- 
ch'io voglio  beni!  a  lor  signori.  Un  gasligo  severo.  Està 
lo  (Ugo  por  su  bien.  Una  meta  giusta,  una  meta  onesta, 
e  gastigo  agli  alfamatori.  Si  tirin  da  parte,  di  grazia. 
Si,  si;  io  sono  un  galantnomo,  amico  del  popolo.  Sarà 
gastigato;  ò  V(!ro,  è  un  birbante,  uno  scellerato.  Pt?^Y/o//f', 

usted.  La  passerà  male,  la  passerà  male si  es  cul- 

pable.  Sì,  sì,  li  faremo  rigar  diritto  i  fornai.  Viva  il  re, 
e  i  buoni  milanesi,  suoi  fedelissimi  vassalli  !  Sta  fresco, 
sta  fresco.  Animo:  estainos  i/a  quasi  [nera.  » 

Avevano  in  fatti  al  traversala  la  maggior  calca,  e  già 
eran  vicini  a  usch'  al  laruo,  del  tulio.  Lì  Ferrer,  men- 
tre cominciava  a  dare  un  poMi  ri|ioso  a' suoi  polmoni, 
vide  il  soccorso  di  l'isa,  (ine'  soldati  spagnoli,  che  però 
sulla  lini!  non  erano  stati  alTallo  iindili,  giai'i'iiè  sdsli'- 
inili  e  dir(!lti  da  (pialche  cilladiiio,  avevano  cooperalo  a 


f 


254  I   PROMESSI  SPOSI 

mandare  in  pace  un  po'  di  gente,  e  a  tenere  il  passo 
lil)ero  all'ullima  uscita.  All'arrivar  della  carrozza,  fecero 
ala,  e  presenlaron  l'arme  al  gran  cancellien;,  il  quale 
fece  anche  qui  un  saluto  a  destra  e  un  saluto  a  sini- 
stra; e  all'ulfiziale,  che  venne  più  vicino  a  fargli  il  suo, 
disse,  accompagnando  le  parole  con  un  cenno  della  de- 
stra: «■beso  a  visteci  las  manos  :  t>  parole  che  l'ufiziale  in- 
tese per  quel  che  volevano  dir  realmente^  cioè:  m'avete 
dato  un  bell'aiuto!  In  risposta,  fece  un  altro  saluto,  e 
si  ristrinse  nelle  spalle.  Era  veramente  il  caso  di  dire: 
cedant  arme  togce;  ma  Ferrer  non  aveva  in  quel  momento 
la  testa  a  citazioni:  e  del  resto  sarebbero  state  parole 
buttate  via,  perchè  l'ufiziale  non  intendeva  il  latino. 

A  Fedro,  nel  passar  tra  quelle  due  file  di  micheletti, 
tra  que'  moschetti  cosi  rispettosamente  alzati,  gli  tornò 
in  petto  il  cuore  antico.  Si  riebbe  affatto  dallo  sbalordi- 
mento, si  rammentò  chi  era,  e  chi  conduceva;  e  gri- 
dando: «  ohe!  ohe!  »  senz'aggiunta  d'altre  cerimonie,  alla 
gente  ormai  rada  aljbastanza  per  poter  esser  trattata  così, 
e  sferzando  i  cavalli,  fece  loro  prender  la  rincorsa  verso 
il  castello. 

«  Levantese,  levantese;  estamos  ya  fuera,  »  disse  Ferrer 
al  vicario;  il  quale,  rassicuralo  dal  cessar  delle  grida,  e 
dal  rapido  molo  della  carrozza,  e  da  quelle  parole,  si 
svolse,  si  sgruppò,  s'alzò;  e  riavutosi  alquanto,  comin- 
ciò a  render  grazie,  grazie  e  grazie  al  suo  liberatore. 
Questi,  dopo  essersi  condoluto  con  lui  del  pericolo  e  ral- 
legrato della  salvezza:  «ah»  esclamò  battendo  la  mano 
sulla  sua  zucca  monda,  «  qm  dirà  de  esto  su  crceìenciii, 
che  ha  già  tanto  la  luna  a  rovescio,  per  ([uel  maledetto 
Casale,  che  non  vuole  arrendersi?  Que  dirà  el  conde  du- 
que,  che  piglia  ombra  se  una  foglia  fa  più  rumore  del 
solito?  Quo  dirà  (d,  n-//  nueslro  spiwr .  che  pur  qualche 
cosa  Insognerà  che  venga  a  risapere  d'un  fracasso  così'? 
E  sarà  poi  finito?  Dio  lo  sabe. 

*  Ah  I  per  me,  non  voglio  più  impicciarmene,  »  diceva 
il  vicario:  «me  ne  chiamo  fuori;  rassegno  la  mia  carica 


CAPITOLO   XIII.  255 

nelle  mani  di  vostra  eccellenza,  vo  a  vivere  in  nna  grotla, 
?ur  una  montagna,  a  far  l'eremita,  lontano,  lontano  da 
questa  gente  bestiale.  » 

«  Usted  farà  quello  che  sarà  più  conveniente  por  el 
senicio  de  su  mnijesfad,^  rispose  graveìtiente  il  gran 
cancelliere. 

«  Sua  maestà  non  vorrà  la  mia  morte,  »  replicava  il 
vicario:  «  in  una  grotta,  in  una  grotta;  lontano  da  co- 
storo. > 

Che  avvenisse  poi  di  questo  suo  proponimento  non 
lo  dice  il  nostro  autore,  il  quale  dopo  avere  accompa- 
gnato il  pover'uomo  in  castello,  non  fa  più  menzione  de' 
fatti  suoi. 


CAPITOLO  XIV. 


La  folla  rimasta  indietro  cominciò  a  sbandarsi,  a  di- 
ramarsi a  destra  e  a  sinistra,  per  questa  e  per  quella 
strada.  Chi  andava  a  casa,  a  accudire  anche  alle  sue 
faccende;  chi  s'allontanava,  per  respirare  un  po'  al  largo, 
dopo  tante  ore  di  stretta;  chi,  in  cerca  d'amici,  per  ciar- 
lare de'  gran  fatti  della  giornata.  Lo  stesso  sgombero 
s'andava  facendo  dall'altro  sbocco  della  strada,  nella 
quale  la  gente  restò  abbastanza  rada  perche  quel  drap- 
pello di  spagnoli  potesse,  senza  trovar  resistenza,  avan- 
zarsi, e  postarsi  alla  casa  del  vicario.  Accosto  a  quella 
slava  ancor  condensato  il  fondaccio,  per  dir  così,  del 
tumulto;  un  branco  di  birboni,  che  malcontenti  d'una 
fine  così  fredda  e  così  imperfetta  d' un  cosi  grand' appa- 
rato, parte  brontolavano,  parte  bestemmiavano,  parie  te- 
nevan  consiglio,  per  veder  se  qualche  cosa  si  potesse 
ancora  intraprendere;  e,  come  per  provare,  andavano 
urtacchiando  e  pigiando  quella  povera  porta,  ch'era  stata 
di  nuovo  appunlellata  alla  meglio.  All'arrivar  del  drap- 
pello, tulli  coloro,  chi  dirillo  dirillo,  chi  baloccandosi,  e 
comi;  a  stento,  se  n'andarono  dalla  parte  opposta,  la- 
sciando il  campo  libero  a' soldati,  che  lo  presero,  e  vi 


1 


ì   PROMESSI   SPOSI,   CAPITOLO  XIV.  2o7 

si  postarono  a  guaidia  della  casa  e  della  strada.  Ma  tutte 
le  strade  del  contorno  erano  seminate  da  crocchi:  dove 
c'eran  due  o  tre  persone  ferme ,  se  ne  fermavano  tre, 
quadro,  venti  altre:  qui  qualclieduno  si  staccava;  là  tutto 
un  croccino  si  moveva  insieme:  era  come  quella  nuvo- 
laglia che  talvolta  rimane  sparsa,  e  gira  per  l'azzurro 
del  cielo,  dopo  una  burrasca;  e  fa  dire  a  chi  guarda  in 
su:  questo  tempo  non  è  rimesso  bene.  Pensate  poi  che 
babilonia  di  discorsi.  Chi  raccontava  con  enfasi  i  casi 
particolari  che  aveva  visti;  chi  raccontava  ciò  che  lui 
stesso  aveva  fatto;  chi  si  rallegrava  che  la  cosa  fosse 
finita  bene,  e  lodava  Ferrer,  e  pronosticava  guai  seri 
per  il  vicario:  chi,  sghignazzando,  diceva:  «non  abbiate 
paura  che  non  l'ammazzeranno;  il  lupo  non  mangia  la 
carne  del  lupo;»  chi  più  stizzosamente  mormorava  che 
non  s'eran  fatte  le  cose  a  dove  re  ^  ch'era  un  inganno, 
e  ch'era  slata  una  pazzia  il  far  tanto  chiasso,  per  la- 
sciarsi poi  canzonare  in  quella  maniera. 

Intanto  il  sole  era  andato  sotto,  le  cose  diventavan 
hitle  d'un  colore;  e  molti,  stanchi  della  giornata  e  an- 
noiati di  ciarlare  al  buio,  tornavano  verso  casa.  Il  no- 
siro  giovine,  dopo  avere  aiutato  il  passaggio  della  car- 
rozza, finche  c'era  stato  bisogno  d'aiuto,  e  esser  passato 
anche  lui  dietro  a  quella,  tra  le  file  de' soldati,  come  in 
Ii'ionfo,  si  rallegrò  quando  la  vide  correr  liberamente, 
e  hior  di  pericolo;  fece  un  po' di  strada  con  la  folla,  e 
n'uscì,  alla  prima  cantonata,  per  respirare  anche  lui  un 
po' liberamente.  Fatto  ch'ebbe  pochi  passi  al  largo,  in 
mezzo  all'agitazione  di  tanti  sentimenti,  di  tante  imma- 
gini, recenti  e  confuse,  sentì  un  gran  bisogno  di  man- 
giare e  di  riposarsi;  e  cominciò  a  gnardan;  in  su,  da 
una  parie  e  ilalT altra,  cercando  un'insegna  d'osteria, 
giacché,  per  andare  al  convento  de'cappuccini,  era  tropjto 
tardi.  Camminando  così  con  la  testa  per  aria,  si  trovò 
a  ridosso  a  un  crocchio  ;  e  fermatosi ,  sentì  che  vi  di- 
scorrevan  di  congellure,  di  disegni,  per  il  giorno  dopo. 
Sialo  un  momento  a  stMilire  ,  non  polr  teniMsi  di    non 

VOL.  I.  Il* 


1 


2S8  1  piROM!i:ssi  Sposi 

dire  anello  lui  la  sua;  paronclogli  che  potesse  senza  pre- 
sunzione proporre  qualche  cosa  chi  aveva  fatto  tanlo.  E 
persuaso,  per  tutto  ciò  che  aveva  visto  in  quei  giorno, 
che  ormai,  per  mandare  a  effetto  una  cosa,  hastasse  farla 
entrare  in  grazia  a  quelli  che  giravano  per  le  slrade, 
«signori  mici  I  »  gridò  in  tono  d'esordio:  «devo  dire 
anch'io  il  mio  dehol  parere  ?  Il  mio  dehol  parere  è  que- 
sto :  che  non  è  solamente  nel!'  affare  del  pane  che  si 
fanno  delle  hricconerie  :  e  giacché  oggi  s' è  visto  chiaro 
che,  a  farsi  sentire,  s'ottiene  quel  che  è  giusto;  bisogna 
andar  avanti  così,  fin  che  non  si  sia  messo  rimedio  a 
tutte  quelle  altre  scelleratezze,  e  che  il  mondo  vada  un 
po' più  da  cristiani.  Non  è  vero,  signori  miei,  che  c'è 
una  mano  di  tiranni,  che  fanno  proprio  al  rovescio  dei 
dieci  comandamenti,  e  vanno  a  cercar  la  gente  quieta, 
che  non  pensa  a  loro,  per  farle  ogni  male,  e  poi  lianno 
sempre  ragione  ?  anzi  quando  n'  hanno  fatta  una  più 
grossa  del  solito,  camminano  con  la  testa  più  alta,  che 
par  che  gli  s'abbia  a  rifare  il  resto?  Già  anche  in  Mi- 
lano ce  ne  dev'  essere  la  sua  parie.  » 

«Pur  troppo,»   disse  una  voce. 

8  Lo  dicevo  io,»  riprese  Renzo:  «già  le  storie  si 
raccontano  anche  da  noi.  E  poi  Ih  cosa  parla  da  sé. 
Mettiamo,  per  esempio,  che  qualcuno  di  costoro  che  vo- 
glio dir  io  stia  un  po'  in  campagna,  un  po'  in  Milano: 
se  è  un  diavolo  là,  non  vorrà  esser  un  angiolo  qui  ;  mi 
pare.  Dunque  mi  dicano  un  poco,  signori  miei,  se  hanno 
mai  visto  uno  di  questi  col  muso  all'inferriata.  E  quel 
che  è  peggio  (e  questo  lo  posso  dir  io  di  sicuro),  è  che 
le  gride  ci  sono,  stampate,  per  gastigarli  :  e  non  già 
gride  senza  costrutto  ;  fatte  benissimo,  che  noi  non  po- 
tremmo trovar  niente  di  meglio  ;  ci  son  nominate  le 
bricconerie  chiare,  proprio  come  succedono;  e  a  ciasche- 
duna, il  suo  buon  gastigo.  E  dice:  sia  chi  si  sia,  vili 
e  plebei ,  e  che  so  io.  Ora ,  andate  a  dire  ai  dottori , 
scribi  e  farisei,  che  vi  facciano  far  giustizia,  secondo  che 
canta  la  grida:  vi  danno  retta  come  il  papa  ai  furfanti: 


CAPITOLO  XIV.  259 

cose  (In  far  jrirarc  il  cervello  a  (iiialunque  galaninomo. 
Si  vede  (liiii(|ne  cliiarameiile  che  il  re,  e  quelli  che  co- 
mantlano,  vorrebbero  che  i  birboni  fossero  gasliftaii: 
ma  non  se  ne  fa  nulla ,  perchè  e'  è  una  lega.  DuiKiue 
bisogna  romperla  ;  bisogna  andar  domallina  da  Ferrer, 
che  quello  è  un  galantuomo,  un  signore  alla  mano;  e 
oggi  s'è  potuto  vedere  com'era  contento  di  trovarsi  con 
la  povera  gente,  e  come  cercava  di  sentir  le  ragioni  che 
gli  venivan  dette,  e  rispondeva  con  buona  grazia.  Biso- 
gna andar  da  Ferrer ,  e  dirgli  come  stanno  le  cose  ;  e 
io,  per  la  parte  mia,  gliene  posso  raccontar  delle  belle; 
che  ho  visto  io,  co'miei  occhi,  una  grida  con  tanto  d'arme 
in  cima,  ed  era  stata  fatta  (la  tre  di  quiMli  che  possono, 
che  d'ognuno  c'era  sotto  il  suo  nome  beli' e  stampat(\ 
e  uno  di  questi  nomi  era  Ferrer,  visto  da  ,me,  co'miei 
occhi  :  ora ,  questa  grida  diceva  proprio  le  cose  giuste 
per  me  :  e  un  dottore  al  quale  io  gli  dissi  che  dunque 
mi  facesse  render  giustizia,  com'era  l'intenzione  di  (jue' 
tre  signori.  Ira  i  quali  c'era  anche  Ferrer,  questo  signor 
dottore,  che  m'aveva  fatto  veder  la  grida  lui  medesimo, 
che  è  il  più  bello,  ah  !  ah  !  pareva  che  gli  dicessi  delle 
pazzie.  Son  sicuro  che,  quando  quel  caro  vecchione  sen- 
tirà queste  belle  cose  ;  che  lui  non  le  pu()  saper  tutte, 
specialmente  quelle  di  fuori:  non  vorrà  i)iù  che  il  mondo 
vada  così,  e  ci  metterà  un  buon  rimedio.  E  poi,  anche 
loro,  se  fanno  le  gride,  devono  aver  piacere  che  s'ub- 
bidisca: che  è  anche  un  disprezzo,  un  pitatfio  col  loro 
nome,  contarlo  per  nulla.  E  se  i  prepotenti  non  vogliono 
abbassar  la  testa,  e  fanno  il  pazzo,  slam  (pii  noi  per 
aiutarlo  come  s'è  fatto  oggi.  Non  dico  che  deva  andar 
lui  in  giro,  in  carrozza,  ad  acchiappar  tutti  i  birboni, 
prepotenti  e  tiranni:  sì;  ci  vorrebbe  l'arca  di  Noè.  Bi- 
sogna che  lui  comandi  a  chi  tocca,  e  non  solamente  in 
Milano,  ma  per  tulio,  che  faccian  le  cose  conforme  di- 
con  1(!  gride;  e  formare  un  buon  processo  addosso  a 
tutti  quelli  che  hanno  c()nim(\sso  di  (pielle  bricconerie; 
e  dove  dice  prigione,  prigione;  dove  dice  galera,  galera; 


260  1    PROMESSI    SPOSI 

e  (lire  ai  podestà  clic  faccian  davvero;  se  no,  mandarli 
a  spasso ,  e  mellerne  de'  meglio  ;  e  poi ,  come  dico ,  ci 
saremo  anche  noi  a  dare  nna  maiìo.  E  ordinare  a' dot- 
tori ctie  stiano  a  sentire  i  poveri  e  parlino  in  difesa  della 
ragione.  Dico  bene,  signori  miei'?» 

Renzo  aveva  parlato  tanto  di  cuore,  clic,  fin  dall'esor- 
dio, una  gran  parte  de' radunati,  sospeso  ogni  altro  di- 
scorso, s'eran  rivoltati  a  lui  e,  a  un  certo  punto  lutti 
eran  divenuti  suoi  uditori.  Un  grido  confuso  d'api)lausi, 
di  <■  bravo  :  sicuro  :  ha  ragione  :  è  vero  pur  trujjpo  ,  » 
fu  come  la  risposta  dell'  udienza.  Non  mancarono  però 
i  critici.  «E  sì,»  diceva  uno:  «dar  retta  a'montanari: 
son  tutti  avvocati  ;  »  e  se  ne  andava.  »  Ora ,  »  mormo- 
rava un  altro ,  «  ogni  scalzacane  vorrà  dir  la  sua  ;  e  a 
furia  di  metter  carne  a  fuoco  non  s'avrà  il  pane  a  buon 
mercato ,  che  è  quello  per  cui  ci  siani  mossi.  »  Renzo 
però  non  sentì  che  i  complimenti;  chi  gli  prendeva  una 
mano  chi  gli  prendeva  1'  altra  «  A  rivederci  a  domani. 
—  Dove?  —  Sulla  piazza  del  duomo.  —  Va  bene.  — 
Va  bene.  —  E  qualcosa  si  farà.  —  E  ipialcosa  si  farà.  » 

«  Chi  è  di  questi  bravi  signori  che  voglia  insegnarmi 
un'osteria,  per  mangiare  un  boccone,  e  dormire  da  po- 
vero iìgliuolo  ?  »   disse  Renzo. 

«  Son  qui  io  a  servirvi ,  quel  bravo  giovine ,  »  disse 
uno,  che  aveva  ascoltata  attentamente  la  predica,  e  non 
aveva  detto  ancor  nulla.  Conosco  appunto  un'osteria  che 
farà  al  caso  vostro;  e  vi  raccomanderò  al  padrone,  che 
è  mio  amico,  e  galantuomo.  » 

«Qui  vicino?»  domandò  Renzo.  «Poco  distante,» 
rispose  colui. 

La  radunata  si  sciolse;  e  Renzo,  dopo  molle  strette 
di  mani  sconosciute,  s'avviò  con  lo  sconosciuto,  ringra- 
ziandolo della  sua  cortesia. 

«  Di  che  cosa?  »  diceva  colui:  «  una  mano  lava  l'altra, 
e  tutt'e  due  lavano  il  viso.  Non  siamo  obbligati  a  far 
servizio  al  prossimo?  »  E  camminando,  faceva  a  Renzo, 
in   aria   di  discorso,  ora   una,  ora  un'  altra  domanda. 


CAPITOLO  XIV.  261 

t  Non  per  sapere  i  fatti  vostri;  ma  voi  mi  parete  molto 
stracco:  da  che  paese  venite?  » 

«  Venuto,  »  rispose  Renzo,  «  lino,  fino  da  Lecco.  » 

«  Fin  da  Lecco?  Di  Lecco  siele?  » 

«  Di  Lecco....  cioè  del  territorio.  » 

«  Povero  giovine!  per  qnanto  lio  potnto  intendere 
da'voslri  discorsi,  ve  n'iianno  fatte  delle  grosse.» 

i  Eh!  caro  il  mio  galantnomo!  ho  dovulo  parlane  con 
un  po' di  politica,  per  non  dire  in  pnbhiico  i  falli  miei; 
ma....  basta,  qualche  giorno  si  saprà;  e  allora....  Ma 
qui  vedo  un'insegna  d'osleria;  e,  in  fede  mia,  non  ho 
voglia  d'andar  pii^i  lontano.  » 

«  No,  no;  venite  dov'ho  detto  io,  che  c'è  poco,  » 
disse  la  guida:  «qui  non  islareste  bene.» 

«  Eh,  si;  »  rispose  il  giovine:  «  non  sono  un  signo- 
rino avvezzo  a  star  nel  cotone:  qualcosa  alla  buona  da 
mettere  in  castello,  e  un  saccone,  mi  basta:  quel  che 
mi  preme  è  di  trovar  presto  l'uno  e  l'altro.  Alla  prov- 
videnza! »  Ed  entrò  in  un  usciaccio,  sopra  il  quale  pen- 
deva l'insegna  della  luna  ]  iena.  «  Bene;  vi  condurrò  qui, 
giacche  vi  piace  così,  »  disse  lo  sconosciuto;  e  gli  andò 
dietro. 

«  Non  occorre  che  v'incomodiate  di  più,»  rispose 
Renzo.  i  Però  »  soggiunse,  i  se  venite  a  bere  un  bicchiere 
con  me,  mi  fate  piacere,  j 

«  Accetterò  le  vostre  grazie,»  rispose  colui:  e  andò, 
come  più  pratico  del  luogo,  innanzi  a  Renzo,  per  un 
cortiletto;  s'accostò  all'uscio  che  metteva  in  cucina,  alzò 
il  saliscendi,  aprì,  e  v'entrò  col  suo  compagno.  Due  lumi 
a  mano,  pendenti  da  due  perti('he  atlaccale  alla  trave 
del  jìalco,  vi  spandevano  una  mezza  luce.  Alulla  genie 
era  setluta,  non  però  in  ozio,  su  due  pani  he,  di  (pia  e 
di  là  d'una  lavola  slrella  e  lunga,  che  leneva  (juasi 
tutta  una  parte  della  stanza:  a  intervalli,  tovaglie  e  [ìialti; 
a  intervalli,  carte  voltale  e  rivoltale,  dadi  buttati  e  rac- 
colti; fiaschi  e  hicchicri  per  tutto.  Si  vedevano  anche 
conerò   berlitujhe  reali  e  parpaijliole ,  che,  se  avessero 


262  1   PÌ^OMESSI  SPOSI 

potuto  parlare,  avrebbero  detto  probabilmente:  —  noi 
ei-avamo  slanialliiia  nella  ciotola  d' un  l'ornaio,  o  nelle 
tasclic  di  qualche  speltalore  del  lumullo,  che  ttilT  in- 
tenlo  a  vedere  come  andassero  gli  alTari  pubblici,  si  di- 
menticava di  vigilar  le  sue  faccendole  private.  —  Il  chiasso 
era  grande.  Un  garzone  girava  innanzi  e  indietro,  in 
fretta  e  in  furia,  al  servizio  di  quella  (avola  insieme  e 
tavoliere:  1'  oste  era  a  sedere  sur  una  piccola  panca, 
solfo  la  cappa  del  cammino,  occupato,  in  apparenza,  in 
certe  figure  che  faceva  e  disfaceva  nella  cenere,  con  le 
molle;  ma  in  realtà  intento  a  tutto  ciò  che  accadeva 
intorno  a  lui.  S'alzò,  al  rumore  del  saliscendi;  e  andò 
incontro  ai  soprarrivali.  Visto  ch'ebbe  la  guida,  —  ma- 
ledetto! —  disse  tra  sé:  — che  tu  m'abbia  a  venir  sem- 
pre tra  piedi,  quando  meno  ti  vorrei!  —  Data  poi  un'oc- 
chiata in  fretta  a  Renzo,  disse  ancora  tra  sé:  —  non  ti 
conosco;  ma  venendo  con  un  tal  cacciatore,  o  cane  o 
lepre  sarai:  quando  avrai  detto  due  parole,  ti  conoscerò.  — 
Però,  di  queste  riflessioni  nulla  trasparve  sulla  faccia 
dell'oste,  la  quale  stava  immobile  come  un  ritratto:  una 
faccia  pienotta  e  lucente,  con  una  barltetla  folta,  rossic- 
cia, e  due  occhietti  chiari  e  fissi. 

«  Cosa  comandan  questi  signori?  »  disse  ad  alta  voce. 

a  Prima  di  tutto,  un  buon  fiasco  di  vino  sincero,  » 
disse  Renzo:  «  e  poi  un  boccone.  »  Cosi  dicendo,  si  buttò 
a  sedere  sur  una  panca,  verso  la  cima  della  tavola,  e 
mandò  un  tali!»  sonoro,  come  se  volesse  dire:  fa  bene 
un  po'  di  panca,  dopo  essere  stato,  tanto  tempo,  ritto  e 
in  faccende.  Ma  gli  venne  subito  in  mente  quella  panca  e 
quella  tavola,  a  cui  era  stato  seduto  l'ultima  volta,  con 
Lucia  e  con  Agnese:  e  mise  un  sospiro.  Scosse  poi  la 
testa,  come  per  iscacciar  quel  pensiero:  e  vide  venir 
l'oste  col  vino.  Il  compagno  s'era  messo  a  sedere  in 
faccia  a  Renzo.  Questo  gli  mescè  subito  da  bere,  dicen- 
do: «  per  bagnar  le  labbra.  »  E  riempito  l'altro  bicchiere, 
lo  tracannò  in  un  sorso. 

«  Cosa  mi  darete  da  mangiare?»  disse  poi  all'oste. 


CAPITOLO  XIV.  :26;ì 

«  Ho  dolio  stufato:  vi  piace?  »  disse  questo. 

«  Sì,  bravo;  dello  slufalo.  » 

«  Sarete  servito,»  disse  l'oste  a  Renzo;  e  al  garzone: 
«  servile  questo  forestiero.  »  E  s'avviò  verso  il  cammino. 
«Ma...  »  riprese  poi,  tornaiìdo  verso  Renzo:  «ma  pane 
non  ce  n'ho  in  questa  aiornala.  » 

«  Al  pane,  »  disse  Renzo,  ad  alta  voce  e  ridendo,  «  ci 
ha  pensato  la  provvidenza.  »  E  tirato  fuori  il  terzo  e 
ultimo  di  que'  pani  raccolti  sotto  la  croce  di  san  Dio- 
nigi, l'alzò  per  aria,  gridando:  «  ecco  il  pane  della  prov- 
videnza! » 

All'esclamazione,  molti  si  voltarono;  e  vedendo  quel 
trofeo  in  aria,  uno  gridò:  «  viva  il  pane  a  buon  mer- 
cato !  » 

«  A  huon  mercato?  »  disse  Renzo:  «  ijralis  ci  amore.  » 

«  Meglio,  meglio.  » 

«  Ma,»  soggiunse  subito  Renzo,  «  non  vorrei  che  lor 
signori  pensassero  a  male.  Non  è  ch'io  l'abbia,  come  si 
suol  dire,  sgrafiìgnato.  L'ho  trovato  in  terra;  e  se  po- 
tessi trovare  anche  il  padrone,  son  pronto  a  pagarglielo.  » 

«  Rravo!  bravo!  »  gridarono,  sghignazzando  più  forte, 
i  compagnoni;  a  nessuno  dei  (juali  passò  per  la  mente 
che  quelle  parole  fossero  dette  davvero. 

«  Credono  eh' io  canzoni;  me  l'è  proprio  cosi,»  disse 
Renzo  alla  sua  guida;  e,  girando  in  mano  quel  pane, 
soggiunse:  «vedete  come  l'hanno  accomodato;  pare  una 
schiacciata:  ma  ce  n'era  del  prossimo!  Se  ci  si  trovavan 
di  quelli  che  bau  l'ossa  un  po' tenere,  saranno  stali 
freschi.»  E  subito,  divorati  tre  o  tpiatlro  Itocconi  di 
quel  pane,  gli  mandò  dietro  un  secondo  bicchier  di  vino: 
e  soggiunse:  «  da  sé  non  vuol  andar  giù  questo  pane. 
Non  ho  avuto  mai  la  gola  tanto  secca.  S'è  fatto  un  gran 
gridare  !  » 

«  Preparate  un  buon  letto  a  (jucslo  bravo  giovine,  » 
disse  la  guida:  «  [lerchè  ha  iiilenzitjne  di  dormir  ipii.  » 

«  Volete  dormir  (juiN  duniandò  l'oste  a  Renzo,  av- 
vicinandosi alla  tavola. 


264  I   PROMESSI   SPOSI 

«  Sicuro,  »  mposc  Renzo:  «  un  letto  alla  buona;  basta 
clic  i  lon/.oli  sian  di  bucalo;  pcrcbè  son  povero  liirliiiolo, 
ma  avvezzo  alla  pulizia.  » 

«  Oh,  in  quanto  a  questo!  »  disse  l'oste:  andò  al 
banco,  ch'era  in  un  angolo  della  cucina;  e  ritornò,  con 
un  calamaio  e  un  pezzello  di  caria  bianca  in  una  mano, 
e  una  penna  nell'altra. 

«  Cosa  vuol  dir  questo?»  esclamò  Renzo,  ingoiando 
un  l)Occone  dello  stufato  che  il  garzone  gli  aveva  messo 
davanti,  e  sorridendo  poi  con  meraviglia,  soggiunse: 
«  è  il  lenzolo  di  bucato,  codesto?  » 

L'oste,  senza  rispondile,  posò  sulla  tavola  il  calamaio 
e  la  carta:  poi  appoggiò  sulla  tavola  medesima  il  braccio 
sinistro  e  il  gomito  destro;  e,  con  la  penna  in  aria,  e 
il  viso  alzato  verso  Renzo,  gli  disse:  «  fatemi  il  piacere 
di  dirmi  il  vostro  nome,  cognome  e  patria.  » 

«  Cosa?  »  disse  Renzo:  «  cosa  c'entrano  codeste  storie 
col  letto?  » 

«  Io  fu  il  mio  dovere,  »  disse  l'oste,  guardando  in 
viso  alla  guida:  «  noi  siamo  obbligali  a  render  conto  di 
tutte  le  persone  che  vengono  a  alloggiar  da  noi:  nome 
e  cognome,  e  di  che  nazione  sarà,  a  che  negozio  viene, 
se  ha  seco  armi....  quanto  tempo  ha  di  fermarsi  in  que- 
sta città....  Son  parole  della  grida.  » 

Prima  di  rispondere,  Renzo  votò  un  altro  bicchiere: 
era  il  terzo;  e  d'ora  in  poi  ho  paura  che  non  li  po- 
tremo pii!i  contare.  Poi  disse:  «ah  ah!  avete  la  grida! 
E  io  fo  conto  d'esser  dottor  di  legge;  e  allora  so  subito 
che  caso  si  fa  delle  gride.  » 

1  Dico  davvero,»  disse  l'oste,  sempre  guardando  il 
muto  compagno  di  Renzo;  e,  andato  di  nuovo  al  banco, 
ne  levò  dalla  cassetta  un  gran  foglio,  un  proprio  esem- 
plare della  grida;  e  venne  a  spiegarlo  davanti  agli  occhi 
di  Renzo. 

«  Ah!  ecco!»  esclamò  questo,  alzando  con  una  mano 
il  bicchiere  riempito  di  nuovo,  e  rivotandolo  subilo,  e 
stendendo  poi  l'altra  mano,  con  un  dito    leso,  verso  la 


CAPITOLO  XIV.  265 

grida:  «  ecco  quel  bel  foglio  di  messale.  Me  ne  rallegro 
moltissimo.  La  conosco  quell'arme;  so  cosa  vuol  dire 
quella  faccia  d'ariano,  con  la  corda  al  collo.  »  (In  cima 
alle  gride  si  metteva  allora  l'arme  del  governatore;  e 
in  quella  di  don  Gonzalo  Fernandez  de  Cordova,  spic- 
cava un  re  moro  incatenato  per  la  gola.)  "Vuol  dire, 
quella  faccia:  comanda  chi  può,  e  ubbidisce  chi  vuole. 
Quando  questa  faccia  avrà  fatto  andare  in  galera  il  si- 
gnor don basta,  lo  so  io;  come  dice  in  un  altro  foglio 

di  messale  compagno  a  questo;  quando  avrà  fatto  in 
maniera  che  Uii  giovine  onesto  possa  sposare  una  giovine 
onesta  che  è  contenta  di  sposarlo,  allora  le  dir(5  il  mio 
nome  a  questa  faccia;  le  darò  anche  un  bacio  per  di 
più.  Posso  aver  delle  buone  ragioni  per  non  dirlo,  il 
mio  nome.  Oh  bella!  E  se  un  furfantone,  che  avesse 
al  suo  comando  una  mano  d'altri   furfanti:  perchè  se 

fosse  solo »  equi  fini  la  frase  con  un  gesto:  «  se  un 

furfantone  volesse  saper  dov'  io  sono,  per  farmi  qualche 
brutto  tiro,  domando  io  se  questa  faccia  si  moverebbe 
per  aiutarmi.  Devo  dire  i  fatti  miei!  Anche  questa  è 
nuova.  Son  venuto  a  Milano  per  confessarmi,  supponiamo; 
ma  voglio  confessarmi  da  un  padi'e  cappuccino,  per  modo 
di  dire,  e  non  da  un  oste.  » 

L' oste  stava  zitto,  e  seguitava  a  guardar  la  guida,  la 
quale  non  faceva  dimostrazione  di  sorte  veruna.  Renzo, 
ci  dispiace  il  dirlo,  ti-acaiinò  un  altro  bicchiere,  e  pro- 
seguì: «  li  porterò  una  ragione,  il  mio  caro  oste,  che  ti 
capaciter'à:  Se  le  gride  che  parlan  bene,  in  favore  de' 
buoni  crisliaiu,  non  contano;  tanto  meno  devoii  cun- 
tare  quelle  che  parlan  male.  Dunciue  leva  tutti  (pie- 
st'  imbrogli,  e  porla  in  vece  un  altro  fiasco,  perchè  que- 
sto è  fesso.  »  Cosi  dicendo,  lo  p(;rcosse  leggermente 
con  le  nocca,  e  soggiunse:  i  senti,  senti,  oste,  come  croc- 
chia. » 

Anche  ([uesla  vglta,  Uenzo  aveva,  a  poco  a  poco,  at- 
tirala ratlonzione  di  quelli  che  gii  slavan  d'intorno:  e 
anche  questa  volta,  fu  apitlaudilo  dal  suo  utlilurio. 

voL.  r  12 


266  1   l'UUMESSl   SPOSI 

«  Cosa  devo  fare?»  disse  Toste,  guardando  tinello 
sconosciiilo,  che  non  era  tale  per  lui, 

«  Via,  via,»  gridaroii  molli  di  que compagnoni:  «  ha 
ragione  quel  giovine:  som  tutte  angherie,  trappole,  im- 
picci: legge  nuova  oggi,  legge  nuova.  » 

In  mezzo  a  queste  grida,  lo  sconosciulo,  dando  all'oste 
un'occhiata  di  rimprovero,  per  (inoli'  iiitorrogazione  troppo 
scoperta,  disse:  «lasciatelo  un  po' fare  a  suo  modo:  non 
fate  scene.  » 

a  Ho  fatto  il  mio  dovere,»  disse  l'oste,  forte;  e  poi 
tra  sé:  —  ora  ho  le  spalle  al  muro. —  E  prese  la  caria, 
la  penna,  il  calamaio,  la  grida,  e  il  fiasco  vóto,  per  con- 
segnarlo al  garzone. 

«  Porla  del  medesimo,  »  disse  Renzo:  «  che  lo  trovo 
galantuomo:  e  lo  metteremo  a  letto  come  l'altro,  senza 
domandargli  nome  e  cognome,  e  di  che  nazione  sarà, 
e  cosa  viene  a  fare,  e  se  ha  a  stare  un  pezzo  in  questa 
città.  » 

«  Del  medesimo,  »  disse  l'oste  al  garzone,  dandogli 
il  fiasco;  e  ritornò  a  sedere  sotto  la  cappa  del  cammino. 
—  Altro  che  lepre!  —  pensava,  istoriando  di  nuovo  la 
cenere:  — e  in  che  mani  sei  capitato!  Pezzo  d'asino!  se 
vuoi  affogare,  affoga;  ma  l'osle  della  luna  piena  non 
deve  andarne  di  mezzo,  per  le  lue  pazzie.  — 

Renzo  ringraziò  la  guida,  e  tutti  quegli  altri  che  ave- 
van  prese  le  sue  parti.  «  Bravi  amici!  »  disse:  «  ora  vedo 
proprio  che  i  gaìanUiomini,  si  danno  la  mano,  e  si  so- 
stengono. »  Poi,  spianando  la  destra  per  aria  sopra  la 
tavola,  e  mettendosi  di  nuovo  in  atlitudiiie  di  predica- 
tore, «  gran  cosa,»  esclamò,  «che  tutti  quelli  che  rego- 
lano il  mondo,  voglian  fare  entrar  per  tutto  carta,  penna 
e  calamaio!  Sempre  la  penna  per  aria!  Grande  smania 
che  hanno  que' signori  d'adoprar  la  penna!» 

«  Ehi,  (piel  galaiilnomo  di  campagna!  volete  sa|)('rne 
la  ragione?  »  disse  ridendo  uno  di  (|ue' giocatori  che 
vinceva, 

«t  Senliamo  un  poco,  »  rispose  Renzo. 


CAPITOLO  XIV.  267 

«  La  ragione  è  qiiesia,  »  disse  colui:  «  clic  que/  signor' 
son  loro  che  raangian  l'oche,  e  si  trovan  h  tante  penne^ 
tanle  penne,  che  qualcosa  hisogna  che  ne  facciano.  » 

Tulli  si  misero  a  ridere,  fuor  che  il  compagno  che 
perdeva. 

«  To',  »  disse  Renzo:  «  è  un  poeta  costui.  Ce  n'è  an- 
che qui  de' poeti:    già    ne    nasce    per   lutlo.  N'ho  una 

vena  anch'io,  e  qualche  volta  ne  dico  delle  curiose 

ma  quando  le  cose  vanno  hene.  » 

Per  capire  questa  haggianata  del  povero  Renzo,  hiso- 
gna sapere  che,  presso  il  vol,::o  di  Milano,  e  del  contado 
ancora  più,  poeta  non  significa  già,  come  per  tutti  i 
galantuomini,  un  sacro  ingegno,  un  ahitator  di  Pindo, 
un  allievo  delle  Muse;  vuol  dire  un  cervello  Itizzarro  e 
un  po' balzano,  che,  ne' discorsi  e  ne' fatti,  abbia  piò 
dell'arguto  e  del  singolare  che  del  ragionevole.  Tanto 
quel  guastamestieri  del  volgo  è  ardito  a  manomettere 
le  parole,  e  a  far  dir  loro  le  cose  piò  lontane  dal  loro 
legittimo  significato!  Perchè,  vi  domando  io,  cosa  ci  ha 
che  fare  poeta  con  cervello  balzano? 

«  Ma  la  ragione  ginsta  la  dirò  io,  »  soggiunse  Reirzo: 
«  è  perchè  la  penna  la  tengon  loro:  e  cosi,  le  parole  che 
dicon  loro,  volan  via,  e  sparis(;ono;  le  parole  che  dice 
un  povero  figlinolo,  stanno  attenti  hene,  e  presto  presto 
le  infìlzan  per  aria,  con  quella  penna,  e  te  le  inchiodano 
sulla  caria,  per  servirsene  a  tempo  e  Inogo.  Hanno  poi 
anche  un'altra  malizia,  che,  quando  vogliono  imbrogliare 
un  povero   figliuolo,  che   non   abbia   studialo,  ma   che 

abbia  un  po' di  —  so  io   (\uv\   che  voglio  dire »  e, 

per  fnrsi  iiit(Mulere,  andava  picchiando,  e  come  arielando 
la  Ironie  con  la  piinla  dell'indice;  «e  s'accorgono  che 
comincia  a  caj)ir  l'imbroglio,  lafi'ele,  hultan  deniro  nel 
discoi'so  qualche  parola  in  Ialino,  per  fargli  peidciv  il 
Ilio,  p(>r  confondergli  la  lesi;).  Basin  ;  se  ne  deve  snicllci' 
dell'usanze!  Oggi,  a  buon  conio,  s'è  fallo  liflio  in  vol- 
gai'c,  e  senza  caria,  penna  e  calamaio:  e  domani,  se 
la  genie  sapi'à  l'egolai'si,  se  ne  farà  anche  delle  meglio; 


268  I   PROMESSI   SPOSI 

senza  torcere  un  capello  a  nessuno,  però;  tutto  per  via 
di  giustizia,  s 

Intanto  alcuni  di  que' compagnoni  s' erano  rimessi  a 
giuocare,  altri  a  mangiare,  molti  a  gridare;  alcuni  se 
n'andavano;  altra  gente  arrivava;  l'oste  badava  agli  uni 
e  agli  altri;  tutte  cose  che  non  hanno  che  fare  con  la 
nostra  storia.  Anche  la  sconosciuta  guida  non  vedeva 
l'ora  d'andarsene;  non  aveva,  a  quel  che  paresse,  nessun 
affare  in  quel  luogo;  eppure  non  voleva  partire  prima 
d'aver  chiacchierato  un  altro  poco  con  Renzo  in  parti- 
colare. Si  voltò  a  lui,  riattaccò  il  discorso  del  pane;  e 
dopo  alcune  di  quelle  frasi  che,  da  qualche  tem[)0,  cor- 
revano per  tutte  le  bocche,  venne  a  metter  fuori  un  suo 
progetto.  «Eh!  se  comandassi  io,  i  disse,  «lo  troverei  il 
verso  di  fare  andar  le  cose  bene.  » 

et  Come  vorreste  fare?  »  domandò  Renzo,  guardandolo 
con  due  occhietti  brillanti  più  del  dovere,  e  storcendo 
un  po'  la  bocca  come  per  star  più  attento. 

«  Come  vorrei  fare?  »  disse  colui:  j  vorrei  che  ci 
fosse  pane  per  tutti;  tanto  per  i  poveri ,  come  per  i 
ricchi.  » 

«  Ah  !  così  va  bene,  »  disse  Renzo. 

«  Ecco  come  farei.  Una  mela  onesta,  che  tutti  ci  po- 
tessero campare.  E  poi,  distribuire  il  pane  in  ragione 
delle  bocche:  perchè  c'è  degl'ingordi  indiscreti,  che 
vorrebbero  tutto  per  loro,  e  fanno  a  ruffa  rafia,  pigliano 
a  buon  conto;  e  poi  manca  il  pane  alla  povera  gente. 
Dunque  dividere  il  pane.  E  come  si  fa"?  Ecco:  dare  un 
bel  biglietto  a  ogni  famiglia,  in  proporzion  delle  bocche, 
per  andare  a  prendere  il  pane  dal  fornaio.  A  me,  per 
esempio,  dovrebbero  rilasciare  un  biglietto  in  questa 
forma:  Ambrogio  Fusella,  di  professione  spadaio,  con 
moglie  e  quattro  figliuoli,  tutti  in  età  da  mangiar  pane 
(notate  bene):  gli  si  dia  pane  tanto,  e  paghi  soldi  tanti, 
Ma  far  le  cose  giuste,  sempre   in   ragion  delle  bocche. 

A  voi,  per  esempio,  dovrebbero  fare  un  Itiglietto  per 

il  vostro  nome?  » 


CAPITOLO  XIV.  269 

«  Lorenzo  Tramaglino,  »  disse  il  giovine  ;  il  quale, 
invaghito  del  progetto,  non  fece  attenzione  ch'era  tutto 
fondato  su  carta,  penna  e  calamaio;  e  che  per  metterlo 
in  opera,  la  prima  cosa  doveva  essere  di  raccogliere  i 
nomi  delle  persone. 

a  Benissimo,  »  disse  lo  sconosciuto:  «  ma  avete  moglie 
e  figliuoli?  » 

«  Dovrei  bene figliuoli   no troppo   presto 

ma  la  moglie se  il  mondo  andasse  come  dovrebbe 

andare  —  » 

«  Ah  siete  solo!  Dunque  abbiate  pazienza,  ma  una 
porzione  più  piccola.  » 

«  É  giusto;  ma  se  presto  come  spero — e  con  l'a- 
iuto di  Dio Basta;  quando  avessi  moglie  anch'io?» 

«  Allora  si  cambia  il  biglietto,  e  si  cresce  la  porzione. 
Come  v'ho  detto;  sempre  in  ragion  delle  bocche,  »  disse 
lo  sconosciuto,  alzandosi. 

«  Così  va  bene,  »  gridò  Renzo;  e  continuò,  gridando  e 
battendo  il  pugno  sulla  tavola:  «  e  perchè  non  la  fanno 
una  legge  così  ?  » 

«  Cosa  volete  che  vi  dica?  Intanto  vi  do  la  buona  notte, 
e  me  ne  vo;  perchè  penso  che  la  moglie  e  i  figliuoli 
m'aspetteranno  da  un  pezzo.» 

«  Un  altro  gocciolino,  uri  altro  gocciolino,  »  gridava 
Renzo,  riempiendo  in  fretta  il  bicchiere  di  colui;  e  su- 
bito alzatosi,  e  acchiappatolo  per  una  fakla  del  farsetto, 
tirava  forte,  per  farlo  seder  di  nuovo.  «  Un  altro  goc- 
ciolino: non  mi  fate  quest' affronto.  » 

Ma  l'amico,  con  una  stratta^  si  liberò,  e  lasciando 
Renzo  fare  un  gazzabuglio  d'istanze  e  di  rinqiroveri, 
disse  di  nuovo:  «  buona  notte,  »  e  se  n'andò.  Renzo  se- 
guitava ancora  a  predicargli,  che  ({uello  era  già  in  istrada; 
e  poi  ripiombò  sulla  panca.  Fissò  gli  occhi  su  quel  bic- 
chiere che  aveva  riempio;  e,  vedendo  passar  davanti 
alla  tavola  il  garzone,  gli  acciaino  di  fei-marsi,  come  se 
avesse  qualche  aliare  da  comunicargli;  poi  gli  accennò 
il  bicchiere^  e  con  una  pronuncia  lenta  e  solenne,  spie- 


270  I  PROMESSI  SPOSI 

cando  le  parole  in  un  certo  modo  particolare,  disse  «  ecco, 
l'avevo  preparato  per  quel  galantuomo:  vedete;  pieno 
raso,  proprio  da  amico;  ma  non  l'iia  voluto.  Alle  volle, 
la  gente  ha  dell'idee  curiose.  Io  non  ci  ho  colpa:  il  mio 
huon  cuore  l'ho  fallo  vedere.  Ora,  giacché  la  cosa  è  fatta, 
non  hisogna  lasciarlo  andare  a  male.  »  Cosi  detto,  lo  prese, 
e  lo  votò  in  un  sorso. 

<i  Ho  inteso,  »  disse  il  garzone,  andandosene. 

«  Ahi  avete  inteso,  anche  voi,  »  riprese  Renzo,  ^  dun- 
que è  vero.  Quando  le  ragioni  son  giuste...!  » 

Qui  è  necessario  tutto  l' amore,  che  portiamo  alla  ve- 
rità, per  farci  proseguire  fedelmente  un  racconto  di  così 
poco  onore  a  un  personaggio  tanto  principale,  si  potrebbe 
quasi  dire  al  primo  uomo  della  nostra  storia.  Per  questa 
stessa  ragione  d'imparzialità,  dobbiamo  però  anche  av- 
vertire eh' era  la  prima  volta,  che  a  Renzo  avvenisse  un 
caso  simile:  e  appunto  questo  suo  non  esser  uso  a  stra- 
vizi fu  cagione  in  gran  parte  che  il  primo  gli  riuscisse 
così  fatale.  Que'  pochi  bicchieri  che  aveva  buttati  giù  da 
principio,  l'uno  dietro  l'altro,  contro  il  suo  solito,  parte 
per  quell'arsione  che  si  sentiva,  parte  per  una  certa  al- 
terazione d'animo,  che  non  gli  lasciava  far  nulla  con  mi- 
sura, gli  diedero  subito  alla  testa;  a  un  bevitore  un  po' 
esercitato  non  avrebbero  fallo  altro  che  levargli  la  sete. 
Su  questo  il  nostro  anonimo  fa  una  osservazione,  che 
noi  ripeteremo:  e  conti  quel  che  può  contare.  Le  abi- 
tudini temperate  e  oneste,  dice,  recano  anche  questo 
vantaggio,  che,  quanto  più  sono  inveterate  e  radicate 
in  un  uomo,  tanto  più  facilmente,  appena  appena  se 
n'allontani,  se  ne  risente  subito;  dimodoché  se  ne  ri- 
corda poi  per  un  pezzo  ;  e  anche  uno  sproposito  gli  serve 
di  scola. 

Comunque  sia,  quando  que'  primi  fumi  furono  saliti 
alla  testa  di  Renzo,  vino  e  parole  continuarono  a  andare, 
l'uno  in  giù  e  l'altre  in  su,  senza  misura  nò  regola: 
e,  al  punto  a  cui  l'abbiam  lasciato,  stava  già  come  po- 
teva. Si  sentiva  una  gran  voglia  di  parlare:  ascoltatori. 


CAPITOLO  XIV.  271 

0  almeno  uomini  presemi  che  potesse  prender  por  tali, 
non  ne  mancava;  e,  per  qualclie  tempo,  anche  le  parole 
eran  venute  via  senza  farsi  pregare,  e  s'eran  lasciate 
collocare  in  un  certo  qual  ordine.  Ma  a  poco  a  poco, 
quella  faccenda  di  finir  le  frasi  cominciò  a  divenirgli 
fieramente  dilUcile.  Il  pensiero,  che  s'era  presentalo  vivo 
e  risoluto  alla  sua  mente,  s' annebbiava  e  svaniva  tult'a 
un  tratto;  e  la  parola,  dopo  essersi  fatta  aspettare  un 
pezzo,  non  era  quella  che  fosse  al  caso.  In  queste  an- 
gustie, per  uno  di  que' falsi  istiidi  che,  in  tante  cose, 
rovinan  gli  uomini,  ricorreva  a  quel  Ijcnedetlo  fiasco. 
Ma  di  che  aiuto  gli  potesse  essere  il  fiasco,  in  una  tale 
circostanza,  chi  ha  fior  di  senno  lo  dica. 

Noi  riferiremo  soltanto  alcuno  delle  moltissime  parole 
che  mandò  fuori,  in  quella  sciagurata  sera:  le  molle  più 
che  Iralasciamo  disdireijbero  troppo;  [icrchè,  non  solo 
non  hanno  senso,  ma  non  fanno  vista  d'averlo:  condi- 
zione necessaria  in  un  libro  stampato. 

«  Ah  oste,  oste  !  »  ricominciò,  accompagnandolo  con 
l'occhio  intorno  alla  tavola,  o  sotto  la  cappa  del  cam- 
mino; (alvolla  fìssaiulolo  dove  non  era,  e  parlando  sem- 
pre in  mezzo  al  chiasso  della  brigala:  «  oste  che  tu  sei! 
Non  posso  mandarla  giù  —  quel  tiro  del  nome,  cognome 
e  negozio.  A  un  figliuolo  par  mio....!  Non  li  sei  por- 
tato bene.   Che   soddisfazione,  che  sugo,  che  gusto 

di  mellm-e  in  carta  un  i)Overo  figliuolo"?  Parlo  bene, 
signori ^?  Gli  osti  dovrebbero  tenere  dalla  parte  de' buoni 
''olinoli Senti,  senli,  oste;  ti  voglio  fare  un  para- 
gone....  per  la  ragione ....  Ridono  eh?  Ho  un  po' di 
brio,  si —  ma  le  i-agioni  le  dico  giuste.  Dimmi  un  poco; 
chi  è  clic  II  manda  avanti  la  bottega 'f  1  poveri  figliuoli, 
ii'è  vero?  dico  tiene?  Guarda  un  po'  se  que'  signori  tlelie 
gride  vengono  mai  da  te  a  bere  un  biccbicritio?  » 

«  Tutta  gente  che  beve  acqua,  »  disse   un  \icino  dì 
Renzo. 

'  Vogliono    slare    in  se,  »  soggiunse  un  allro,  «  per 
polcr  (br  le  liugie  a  dovere.  » 


272  I   PROMESSI  SPOSI 

«  Ah  I  »  gridò  Renzo  :  «  ora  è  il  poeta  che  ha  parlato. 
Dunque  intendete  anche  voi  aUri  le  mie  ragioni.  Ri- 
spondi dunque,  oste:  e  Ferrer,  che  ò  il  meglio  di  tutti, 
è  mai  venuto  qui  a  fare  un  brindisi,  e  a  spendere  un 
becco  d'un  quattrino?  E  quel  cane  assassino  di  don....? 
Sto  zitto,  perchè,  sono  in  cervello  anche  troppo.  Ferrer 

e  il  padre  Crr so  io,  son  due  galantuomi  ;  ma  ce 

n'è  pochi  de' galantuomini.  I  vecchi  peggio  de' giovani, 
e  i  giovani peggio  ancora  de' vecchi.  Però,  son  con- 
tento-che non  si  sia  fatto  sangue:  oibò  ;  barbarie,  da 
lasciarle  fare  al  boia.  Pane  :  oh  questo  sì.  Ne  ho  rice- 
vuti degli  urloni  ;  ma ma  ne  ho  anche  dati.  Largo  ! 

abbondanza  I  viva  I Eppure  anche  Ferrer qual- 
che parolina  in  latino siés  baraòs  trapolorum 

Maledetto  vizio  !  Viva  !  giustizia  !  pane  !  ah,  ecco  le  pa- 
role giuste  ! ...  Là  ci  volevano  que'  galantuomini .... 
quando  scappò  fuori  quel  maledetto  ton  ton  ton ,  e  poi 
ancora  ton  ton  ton.  Non  si  sarebbe  fuggiti,  ve' ,  allora. 
Tenerlo  l'i  quel  signor  curato So  io  a  chi  penso  !  » 

A  questa  parola,  abbassò  la  testa ,  e  stette  qualche 
tempo,  come  assorto  in  un  pensiero  ;  poi  mise  un  gran 
sospiro,  e  alzò  il  viso,  con  due  occhi  inumiditi  e  lustri, 
con  un  certo  accoramento  cosi  svenevole,  così  sguaiato, 
che  guai  se  chi  n'era  l'oggetto  avesse  potuto  vederlo 
un  momento.  Ma  quegli  omacci  che  già  avevan  comin- 
ciato a  prendersi  spasso  dell'  eloquenza  appassionata  e 
imbrogliata  di  Renzo,  lauto  più  se  ne  presero  della  sua 
aria  compunta;  i  più  vicini  dicevano  agli  altri:  guardate; 
e  tutti  si  voltavano  a  lui  ;  tanto  che  divenne  lo  zimbello 
della  brigata.  Non  già  che  tulli  fossero  nel  loro  buon 
senno ,  o  nel  loro  qual  si  fosse  senno  ordinario  ;  ma  ;, 
per  dire  il  vero,  nessuno  n'era  tanto  uscito,  quanto  il 
povero  Renzo;  e  per  di  più  era  contadino.  Si  misero, 
or  l'uno  or  l'altro,  a  stuzzicarlo  con  domande  sciocche 
e  grossolane ,  con  cerimonie  canzonatorie.  Renzo ,  ora 
dava  segno  d'averselo  per  male,  ora  prendeva  la  cosa  in 
ischerzo,  ora,  senza  badare  a  tutte  quelle  voci,  parlava 


CAPITOLO   XIV.  273 

di  tult'aUro,  ora  rispondeva,  ora  interrogava  ;  sempre  a 
salti,  e  fuor  di  proposilo.  Per  buona  sorte,  in  quel  va- 
neggiamento ,  gli  era  però  rimasta  come  un'  attenzione 
istintiva  a  scansare  i  nomi  delle  persone;  dimodoché 
anche  quello  che  doveva  esser  più  altamente  fiito  nella 
sua  memoria,  non  fu  proferito  ;  che  troppo  ci  dispiace- 
rebbe se  quel  nome,  per  il  quale  anche  noi  sentiamo 
un  po'  d'  alletto  e  di  riverenza ,  fosse  stato  strascinato 
per  quelle  boccacce ,  fosse  divenuto  trastullo  di  quelle 
lingue  sciagurate. 


CAPITOLO  XV 


L'  oste  vedendo  che  il  sioco  andava  in  Inno-o .  s'  era 
accostato  a  Renzo  ;  e  pregando,  con  buona  grazia,  ([ue- 
gli  altri  che  lo  lasciassero  stare,  l'andava  scuotendo  per 
un  braccio ,  e  cercava  di  fargli  intendere  e  di  persua- 
derlo che  andasse  a  dormire.  Ma  Renzo  tornava  sempre 
da  capo,  o  col  nome  e  cognome,  o  con  le  gride ,  e  co' 
buoni  figliuoli.  Però  quelle  parole:  letto  e  dormire,  ri- 
pc^tute  al  suo  orecchio,  gli  cntraron  finalmente  in  lesta; 
gli  fecero  sentire  un  po'  più  distintamente  il  bisogno  di 
ciò  che  significavano,  e  produssero  un  momento  di  lu- 
cido intervallo.  Quel  po'  di  senno  che  gli  tornò,  gli  fece 
in  certo  modo  capire  che  il  pii^i  se  n'era  andato  :  a  un 
di  presso  come  l'ultimo  moccolo  rimasto  acceso  d'un' il- 
luminazione, fa  vedere  gli  altri  spenti.  Si  fece  coraggio; 
stese  la  mani,  e  le  appuntellò  sulla  tavola,  tentò,  una  e 
due  volle,  d'alzarsi;  sospirò,  barcollò;  alla  terza,  sorretto 
dall'oste,  si  rizzò.  Quello,  reggendolo  tuttavia,  lo  fece 
uscire  di  tra  la  tavola  e  la  panca;  e,  preso  con  una 
mano  un  lume,  con  l'altra,  parte  lo  condusse,  parte  lo 
tirò,  alla  meglio,  verso  l'uscio  di  scala.  Lì  Renzo,  al 
chiasso  de' saluti  che  coloro  gli  urlavan  dietro,  si  voltò 


I  PROMESSI   SPOSI,   CAPITOLO  XV.  275 

in  fretta;  e  se  il  suo  sostenitore  non  fosse  stato  ben  lesto 
a  tenerlo  per  un  braccio,  la  voltata  sarebbe  stata  un 
capitombolo;  si  voltò  dunque,  e,  con  l'altro  braccio  che 
gli  rimaneva  libero,  andava  trinciando  e  iscrivendo  nel- 
r  aria  certi  saluti,  a  guisa  d'un  nodo  di  Salomone. 

«  Andiamo  a  letto,  a  letto,  »  disse  Toste  strascican- 
dolo; gli  fece  imboccar  l'uscio;  e  con  più  fatica  ancora, 
lo  tirò  in  cima  di  quella  scaletta,  e  poi  nella  camera  che 
gli  aveva  destinala,  Renzo,  visto  il  letto  che  T  aspettava, 
si  rallegrò;  guardò  amorevolmente  l'oste,  con  due  oc- 
chietti che  ora  scintillavano  più  che  mai,  ora  s'  ecclissa- 
vano,  come  due  lucciole;  cercò  d'equilibrarsi  sulle  gain- 
be;  e  stese  la  mano  al  viso  dell'oste,  per  prendergli  il 
ganascino,  in  segno  d'amicizia  e  di  riconoscenza;  ma 
non  gli  riuscì.  «  Bravo  oste!  "  gli  riuscì  però  di  dire: 
«  ora  vedo  che  sei  un  galantuomo:  questa  è  un'opera 
buona,  dare  un  letto  a  un  buon  figliuolo;  ma  (juclla 
figura  che  m'  hai  fatta  sul  nome  e  cognome,  (luelia  non 
era  da  galantuomo.  Per  buona  sorte  che  anch'  io  son 
furbo  la  mia  parte  ....  » 

L'oste,  il  ([uale  non  pensava  che  colui  potesse  ancor 
tanto  connellcrc;  l'oste  che,  per  lunga  esperienza,  sapeva 
quanto  gli  uomini,  in  quello  stato,  sian  più  soggetti  dd 
solito  a  cambiar  di  parere,  volle  approfittare  di  quel  lu- 
cido intervallo,  per  fare  un  altro  tentativo.  «  Figliuol 
caro,  »  disse;,  con  una  voce  e  con  un  fare  tutto  gen- 
tile: «  non  r  ho  fatto  per  seccarvi,  nò  per  sapere  i  fatti 
vostri.  Go>a  volete?  è  legge  :  anclu.;  noi  bisogna  ubbi- 
dire; altrimenti  siamo  i  primi  a  portarne  la  pena.  È 
meglio  contentarli,  e ...  Di  che  si  tratta  finalmente? 
Gran  cosa  I  dir  due  parole.  Non  per  loro,  ma  per  fare 
un  piacere  a  me:  via;  ([iii  Ira  noi ,  a  ([uatlr' occhi,  fac- 
ciam  le  nostre  cose;  ditemi  il  vosti'u  nome,  e...  e  poi 
andate  a  letto  col  cuor  quieto.  » 

«  Ah  birbone!  »  esclamò  Renzo:  »  maiiolo!  tu  mi  torni 
ancora  in  campo  con  (pielT  infamità  di;l  nome,  cognome 
e  negozio  I  » 


276  1   PROMESSI   SPOSI 

«  Sta  zitto,  buffone;  va  a  letto,  >  diceva  l'oste. 

Ma  Renzo  continuava  più  forte:  «  lìo  inteso:  sei  della 
lega  anche  tu.  Aspetta,  aspetta,  che  t'  accomodo  io.  »  E 
voltando  la  testa  verso  la  scaletta,  coniiiiciava  a  urlare 
più  forte  ancora:   «  amici!  Toste  è  della....  » 

«  Ho  detto  per  celia,  »  gridò  questo  sul  viso  di  Renzo, 
spingendolo  verso  il  letto:  «  per  celia;  non  hai  inteso 
elle  ho  detto  per  celia?  » 

«  Ah  !  per  celia  :  ora  parli  bene.  Quando  hai  detto  per 
celia Son  proprio  celie.  »  E  cadde  bocconi  sul  letto. 

«  Animo;  spogliatevi  presto,»  disse  Toste,  e  al  con- 
siglio aggiunse  T aiuto,  che  ce  n'era  bisogno.  Quando 
Renzo  si  fu  levato  il  farsetto ,  (  e  ce  ne  volle  )  T  oste 
T  agguantò  subito,  e  corse  con  le  mani  alle  tasche,  per 
vedere  se  e'  era  il  morto.  Lo  trovò  :  e  pensando  che ,  il 
giorno  dopo,  il  suo  ospite  avrebbe  avuto  a  fare  i  conti 
con  tutT altri  che  con  lui,  e  che  quel  morto  sarebbe 
probabilmente  caduto  in  mani  di  dove  un  oste  non 
avrebbe  potuto  farlo  uscire  ;  volle  provarsi  se  almeno 
gli  riusciva  di  concluder  quesT  altro  altare. 

«  Voi  siete  un  buon  figliuolo ,  un  galantuomo  ;  n'  è 
vero  ?  »  disse. 

»  Buon  figliuolo,  galantuomo,  »  rispose  Renzo,  facendo 
tuttavia  litigar  le  dita  co'  bottoni  de'  panni  che  non  s'  era 
ancor  potuto  levare. 

«  Bene,  »  replicò  Toste:  «  .saldate  ora  dunque  quel 
poco  conticino,  perchè  domani  io  devo  uscire  per  certi 
miei  altari » 

«  QuesT  è  giusto ,  »  disse  Renzo.  »  Son  furbo ,  ma 
galantuomo Ma  i  danari?  Andare  a  cercare  i  da- 
nari ora  !  » 

«  Eccoli  qui,  »  disse  Toste:  e  mettendo  in  opera  tutta 
la  sua  pratica,  tutta  la  sua  pazienza,  tutta  la  sua  de- 
strezza, gli  riuscì  di  fare  il  conto  con  Renzo,  e  di 
pagarsi. 

t  Dammi  una  mano,  ch'io  possa  finir  di  spogliarmi, 
oste,»  disse  Renzo.  *  Lo  vedo  anch'io^  ve',  clie  iio  ad- 
dosso un  gran  sonno.  » 


CAPITOLO  XV.  277 

L'  oste  gli  diede  T  aiuto  richiesto  ;  gii  stese  per  di 
più  la  coperta  addosso,  e  gli  disse  sgarbatamente  i  buona 
notte ,  »  che  già  quello  russava.  Poi ,  per  quella  specie 
d'  attrattiva,  che  alle  volle  ci  tiene  a  considerare  un  og- 
getto di  stizza,  al  pari  che  un  oggetto  d'  amore ,  e  che 
forse  non  è  altro  che  il  desiderio  di  conoscere  ciò  che 
opera  fortemente  suU'  animo  nostro,  si  fermò  un  mo- 
mento a  contemplare  V  ospite  così  noioso  per  lui,  alzan- 
dogli il  lume  sul  viso ,  e  fac(^n(lovi ,  colla  mano  slesa , 
ribatter  sopra  la  luce:  in  quell'atto  a  un  dipresso  che 
vien  cUpinta  Psiche,  quando  sta  a  spiare  furtivamente 
le  forme  del  consorte  sconosciuto.  «  Pezzo  d'  asino  !  » 
disse  nella  sua  mente  al  povero  addormentato  :  «  sei  an- 
dato proprio  a  cercartela.  Domani  poi ,  mi  saprai  dire 
che  bel  gusto  ci  avrai.  Tangheri,  che  volete  girare  il 
mondo,  senza  saper  da  che  parte  si  levi  il  sole;  per 
imbrogliar  voi  e  il  prossimo.  » 

Cosi  detto.  0  pensato,  ritirò  il  lume,  si  mosse,  uscì 
dalla  camera,  e  chiuse  V  uscio  a  chiave.  Sul  pianerottolo 
della  scala  chiamò  T ostessa;  alla  quale  disse  che  lasciasse 
i  figliuoli  in  guardia  a  una  loro  servetta,  e  scendesse 
in  cucina  a  far  le  sue  veci.  «  Bisogna  eh'  io  vada  fuori, 
in  grazia  d'  un  forestiero  capitato  qui ,  non  so  come 
diavolo,  per  mia  disgrazia,  »  soggiunse;  e  le  raccontò  in 
compendio  il  noioso  accidente.  Poi  soggiunse  ancora: 
«  occhio  a  (ulto;  e  sopra  tulio  prudenza,  in  (piesta  ma- 
ledetta giornata.  Alìhiamo  laggiù  una  mano  di  sca|)e- 
strati  che,  tra  il  bere,  e  tra  che  di  natura  sono  sboccati, 
ne  dicon  di  tutti  i  colori.  Basta,  se  cjualche  temerario... .  » 

«  Oh  !  non  sono  una  bambina,  e  so  anch'io  quel  che 
va  fallo.  Finora,  mi  pare  che  non  si  possa  dire » 

«  Bene,  bene;  e  badar  che  paghino;  e  tutti  que' discorsi 
che  fanno,  sul  vicario  di  provvisione  e  il  governatore  e 
Ferrcr  e  i  decurioni  e  i  cavalieri  e  Spagna  e  Francia 
e  altre  simili  corbellerie,  far  vista  di  non  senlire:  per- 
chè, se  si  contraddice,  la  può  andar  male  subilo:  e  se 
si  dà  ragione,  la  può  andar  male  in  avvenire:  e  già  sai 


278  I    PROMESSI   SPOSI 

anclit!  Ili  elio  ([ualclie  volta  (incili  che  le  (licori  piò  grosso.... 
Basta;  quando  si  sentoii  certo  proposizioni,  girar  la  lesta, 
0  dire:  vengo;  come  se  qualclicduno  chiamasse  da  un' 
altra  parte.  Io  cercherò  di  tornare  piij  presto  che  posso.  » 

Ciò  detto,  scese  con  lei  in  cucina,  diodo  un'occhiaia 
in  giro,  per  veder  se  c'era  novità  di  rilievo:  staccò  da 
un  cavicchio  il  cappello  e  la  cappa,  prese  un  randello 
da  un  cantuccio,  ricapitolò,  con  un'  altra  occhiala  alla 
moglie,  l'istruzioni  che  le  aveva  date;  e  usci.  Ma,  già 
nel  far  quello  operazioni,  aveva  riproso,  dentro  di  so.  il 
filo  dell'apostrofe  cominciala  al  lotto  del  povero  Ronzo; 
e  la  proseguiva,  camminando  in  istrada. 

—  Testardo  d'un  montanaro!  —  Che,  per  quanto 
Renzo  avesse  voluto  tener  nascosto  l'esser  suo,  questa 
qualità  si  manifoslava  da  se,  nello  parole,  nella  pronunzia, 
iieiraspetto  e  negli  atti.  —  Una  giornata  corno  qm^sla, 
a  forza  di  politica,  a  forza  d'aver  giudizio,  io  n'usciva  nello; 
e  dovevi  venir  tu  sulla  fine,  a  guastarmi  l' uova  nel  pa- 
niere. Manca  osterie  in  Milano,  che  tu  dovessi  proprio 
capitare  alla  mia?  Fossi  almeno  capitato  solo:  che  avrei 
chiuso  un  occhio,  por  questa  sera;  e  domattina  t'avrei 
fatto  intondor  la  ragiono.  Ma  no  signoro;  in  compagnia 
ci  vieni;  e  in  compagnia  d' un  barg(;llo,  por  far  meglio  !  — 

A  ogni  passo,  l'oste  incontrava  o  passeggieri  scompa- 
gnati, 0  coppie,  0  brigato  di  genie,  che  gii^avano  susur-. 
rando.  A  questo  punto  della  sua  mula  allocuzione,  vide 
venire  una  pallugiia  di  soldati;  e  tirandosi  da  parto,  por 
lasciarli  passare,  li  guardò  con  la  coda  doli' occhio,  e  con- 
tinuò tra  so:  —  eccoli  i  gastigamatti.  E  lu,  pezzo  d'asino, 
per  aver  visto  un  po' di  gente  in  giro  a  far  baccano,  li 
sei  caccialo  in  testa  che  il  mondo  abbia  a  mutarsi,  E 
su  questo  boi  fondamonlo,  li  sei  rovinalo  te,  e  volevi 
anche  rovinar  me;  che  non  è  giusto.  Io  facevo  di  tulio 
por  salvarti;  è  tu,  bestia,  in  contraccambio,  c'è  mancato 
poco  che  non  m'hai  mosso  sottosopra  l'osteria.  Ora  toc- 
cherà a  le  a  levarti  d'impiccio:  per  me  ci  penso  io. 
Come  se  io  volessi  sapere  il  luo  nome  por  una  mia  cu- 


CAPITOLO  XV.  279 

riosilà!  Cosa  m'importa  a  me  che  tu  li  chiami  Taddeo 
0  Bartolomeo?  Ci  ho  un  hel  gusto  anch'io  a  prender 
h\  penna  in  mano!  ma  non  siete  voi  altri  soli  a  voler 
le  cose  a  modo  vostro.  Lo  so  anch'io  che  ci  son  dello 
gride  che  conlan  nulla:  hella  novità,  da  venircela  a  dire 
un  montanaro!  Ma  tu  non  sai  che  le  gride  contro  gli 
osti  contano.  E  pretendi  girare  il  mondo,  e  parlare;  e 
non  sai  che,  a  voler  fare  a  modo  suo,  e  impiparsi  delle 
gride,  la  prima  cosa  è  di  parlarne  con  gran  riguardo. 
E  per  un  povero  oste  che  fosse  del  tuo  parere,  e  non 
domandasse  il  nome  di  chi  capita  a  favorirlo,  sai  tu, 
hestia,  cosa  c'è  di  hello?  Sotto  pena  a  qual  si  voglia 
dei  (letti  osti,  tavernai  ed  altri,  come  sopra,  di  trecento 
scudi:  sì,  son  lì  che  covano  trecento  scudi  ;  e  per  ispen- 
derli  così  Ijene;  da  essere  applicati  per  i  due  terzi  alla 
regia  Camera,  e  V altro  all'  accusatore  o  delatore:  quel 
hel  cecino!  Ed  in  caso  di  inabilità,  cinque  anni  di  goderà, 
e  maggior  pena,  pecuniaria  o  corporale,  aW arbitrio  di 
di  sua  eccellenza.  Obhligatissimo  alle  sue  grazie.  — 

A  queste  parole,  l'oste  toccava  la  soglia  del  palazzo 
di  giustizia. 

Lì,  come  a  tutti  gli  altri  ufizi,  c'era  un  gran  da  fan»: 
per  tutto  s'attendeva  a  dar  gli  ordini  che  parevan  più 
atti  a  preoccupare  il  giorno  seguente,  a  levare  i  pretesti 
e  l'ardire  agli  animi  vogliosi  di  nuovi  tuniulli,  ad  assi- 
curare la  forza  nelle  mani  solile  ad  adoprarla.  S'accrehhe 
la  soldatesca  alla  casa  del  vicario;  gli  shocchi  della  strada 
furono  sbarrali  di  travi,  trincerali  di  carri.  S'ordinò  a 
tutti  i  fornai  che  facessero  pane  senza  intermissione;  si 
spedirono  stafTetle  a'  paesi  circonvicini .  con  ordini  di 
mandar  grano  alla  cillà;  a  ogni  forno  furono  depiilali 
nobili,  (^lie  vi  si  portassero  di  buon  mail  ino,  a  invigi- 
lai'c  sulla  dislriliuzione  e  a  lenen^  a  freno  grinquicli. 
con  raiilorilà  della  presenza,  e  con  le  linone  parole. 
Ma  |iei'  dar,  come  si  dice,  un  colp(»  al  ceicbio  e  uno 
alla  botte,  e  l'ender  |)iii  ellìcaci  i  consigli  con  imi  pndi 
spavenlo,  si  pensò  aiirbe  u  Innur  la  maniera  di  niellei  le 


280  I   PROMESSI   SPOSI 

mani  addosso  e  qualche  sedizioso:  e  ((ucsla  era  princi- 
palmente la  parie  del  capitano  di  giustizia;  il  quale, 
ognuno  può  pensare  che  sentimenti  avesse  per  le  solle- 
vazioni e  per  i  sollevati,  con  una  pezzetta  d'acqua  vul- 
neraria sur  uno  degli  organi  della  profondila  melafisica. 
I  suoi  bracchi  erano  in  campo  fino  dal  principio  del 
tumulto:  e  quel  sedicente  Ambrogio  Fusella  era,  come 
ha  detto  l' oste,  un  bargello  travestito,  mandato  in  giro 
appunto  per  cogliere  sul  fatto  qualcheduno  da  potersi 
riconoscere,  e  tenerlo  in  petto,  e  appostarlo,  e  acchiap- 
parlo poi,  a  notte  affatto  quieta,  o  il  giorno  dopo.  Sen- 
tite quattro  parole  di  quella  predica  di  Renzo,  colui  gli 
aveva  fatto  subito  assegnamento  sopra;  parendogli  quello 
un  reo  buon  uomo,  proprio  quel  che  ci  voleva.  Trovan- 
dolo poi  nuovo  affatto  del  paese,  aveva  tentato  il  colpo 
maestro  di  condurlo  caldo  caldo  alle  carceri,  come  alla 
locanda  più  sicura  della  città;  ma  gli  andò  fallito,  come 
avete  visto.  Potè  però  portare  a  casa  la  notizia  sicura 
del  nome,  cognome  e  patria,  oltre  cent' altre  belle  no- 
tizie congetturali;  dimodoché,  quando  l'oste  capitò  W, 
a  dir  ciò  che  sapeva  intorno  a  Renzo,  ne  sapevan  già 
più  di  lui.  Entrò  nella  solita  stanza,  e  fece  la  sua  de- 
posizione: come  era  giunto  ad  alloggiar  da  lui  un 
forestiero,  che  non  aveva  mai  voluto  manifestare  il  suo 
nome. 

«Avete  fatto  il  vostro  dovere  a  informar  la  giustizia;  » 
disse  un  notaio  criminale,  mettendo  giù  la  penna,  «ma 
già  lo  sapevamo  » 

—  Bel  segreto!  pensò  l'oste:  — ci  vuole  un  gran  fa- 
lento!—  «E  sappiamo  anche,»  continuò  il  notaio,  «quel 
riverito  nome.  » 

—  Diavolo!  il  nome  poi,  com' hanno  fatto!  —  pensò 
sic  questa  volta. 

«  Ma  voi,»  riprese  l'altro,  con  volto  serio,  «voi  non 
dite  tutto  sinceramente.  » 
«  Cosa  devo  dire  di  più?» 
«  Ah!  ah!  sappiamo  benissimo  che  colui  ha  portato 


CAPITOLO  XV.  181 

nella  vostra  osteria  una  quantità  di  pane  rubato  e  ru- 
bato con  violenza,  per  via  di  saccheggio  e  di  sedizione.  » 
«  Vien  uno  con  un  pano  in  tasca  ;  so  assai  dov'  è 
andato  a  prenderlo.  Perchè,  a  parlar  come  in  punto  di 
morte,  posso  dire  di  non  avergli  visto  che  un  pane  solo.  » 
«Già  sempre  scusare,  difendere:  chi  sente  voi  altri, 
son  tutti  gaiaiituomiai.  Come  potete  provare  che  quel  pane 
fosse  di  buon  acquisto?» 

«  Cosa  ho  da  provare  io?  io  non  e' entro:  io  fo  Y  oste.  » 
«  Non  potrete  però  negare  che  codesto  vostro  avven- 
tore non  abbia  avuta  la  temerità  di  proferir  parole  ingiu- 
riose contro  le  gride,  e  di  fare  atti  mali  e  indecenti  contro 
Tarme  di  sua  eccellenza.» 

«  Mi  faccia  grazia,  vossignoria:  come  può  mai  essere 
mio  avventore,  se  lo  vedo  per  la  prima  volta?  È  il  dia- 
volo, con  rispetto  parlando,  che  l'ha  mandalo  a  casa 
mia  :  e  se  lo  conoscessi,  vossignoria  vede  bene  che  non 
avrei  avuto  bisogno  di  domandargli  il  suo  nome.  » 

«  Però,  nella  vostra  osteria ,  alla  vostra  presenza ,  si 
son  dette  cose  di  fuoco:  parole  temerarie,  proposizioni 
sediziose,  mormorazioni,  strida,  clamori.  » 

e  Come  vuole  vossignoria  ch'io  badi  agli  spropositi 
che  posson  dire  tanti  urloni  che  parlan  tutti  insieme? 
Io  devo  attendere  a  miei  interessi,  che  sono  un  povcr'uo- 
mo.  E  poi  vossignoria  sa  bene  che  chi  è  di  lingua 
sciolta,  per  il  solilo  è  anche  lesto  di  mano,  tanto  più 
quando  sono  una  brigata;  e  ....  » 

«  Si,  sì;  lasciateli  fare  e  dire:  domani,  domani,  vedrete 
se  gli  sarà  passato  il  ruzzo.  Cosa  credete'?» 
»  Io  non  credo  nulla.  » 

«  Che  la  canaglia  sia  discutala  padrona  di  Milano?  » 
«  Oh  giusto  I  » 
«  Vedrete,  vedrete.  » 

«  Intendo  benissimo;  il  re  sarà  sempre  il  re;  ma  chi 
avrà  riscosso  avrà  riscosso:  e  naturalmente  un  povero  pa- 
dre di  famiglia  non  ha  voglia  di  riscutere.  Lor  signori 
bainn»  la  forza:  a  lor  signori  tocca.  » 

V..T..    I.  1%" 


28^  1  PROMESSI  SPOSI 

«  Avele  ancora  molta  gente  in  casa?  » 

«  Un  visibilio.  » 

«  E  quel  vostro  avventore  cosa  fa?  Continua  a  schia- 
mazzare, a  metter  su  la  gente,  a  preparar  tumulti  per 
domani?  » 

«  Quel  forasliero,  vuol  dire  vossignoria:  è  andato  a 
letto.  » 

«  Dunque  avete  molla  gente Basta;  badate  a  non 

lasciarlo  scappare.  » 

—  Che  devo  fare  il  birro  io?  —  pensò  Toste:  ma  non 
disse  nò  si  né  no. 

«  Tornate  pure  a  casa  ;  e  abbiate  giudizio,  »  riprese 
il  notaio. 

«  Io  ho  sempre  avuto  giudizio.  Vossignoria  può  dire 
se  ho  mai  dato  da  fare  alla  giustizia.  » 

«  E  non  crediate  che  la  giustizia  abbia  perduta  la  sua 
forza.  " 

«  Io?  per  carità!  io  non  credo  nulla;  abbado  a  far 
r  oste.  » 

«  La  solita  canzone:  non  avete  mai  altro  da  dire.  > 

«  Che  ho  da  dire  altro?  La  verità  è  una  sola.  " 

«  Basta;  per  ora  riteniamo  ciò  che  avete  deposto;  se 
vorrà  poi  il  caso,  informerete  più  minutamenic  la  giu- 
slizia,  intorno  a  ciò  che  vi  potrà  venir  domandato.  » 

«  Cosa  ho  da  informare?  io  non  so  nulla;  appena  ho 
la  tesla  da  attendere  ai  fatti  miei,  s 

«  Badate  a  non  lasciarlo  partire.  » 

«  Spero  che  V  illustrissimo  signor  capitano  saprà  che 
son  venuto  subito  a  fare  il  mio  dovere.  Bacio  le  mani 
a  vossignoria.  » 

Allo  spuntar  del  giorno,  Renzo  russava  da  circa  set- 
l' ore,  ed  era  ancora,  poveretto!  sul  più  bello,  quando 
due  forti  scosse  alle  braccia,  e  una  voce  che  dappiè  del 
letto  gridava:  «Lorenzo  Tramaglino!  »,  lo  fecero  risco- 
tere.  Si  risentì,  ritirò  le  braccia,  apri  gli  occhi  a  stento: 
e  vide  rillu  appiè  del  letto  un  uomo  vestilo  di  nero,  e 
due  armali,  uno  di  qua,  uno  di  là,  del  capezzale.  E,  tra 


CAPiTOi^o  XV.  283 

la  sorpresa,  e  il  non  esser  desto  bene,  e  la  spranghetla 
di  quel  vino  che  sapete,  rimase  un  momento  come  in- 
cantato; e  credendo  di  sognare,  e  non  piacendogli  quel 
sogno,  si  dimenava,  come  per  isvegtiarsi   alTatlo. 

«  Ali!  avete  sentito  una  volta,  Lorenzo  Tramaglino?  » 
disse  l'uomo  dalla  cappa  nera,  quel  notaio  medesimo 
della  sera  avanti.  »  Animo  dunque  ;  levatevi ,  e  venite 
con  noi.  » 

«  Lorenzo  Tramaglino!»  disse  Renzo  Tramaglino: 
«  cosa  vuol  dir  questo?  Cosa  volete  da  me?  Chi  v'ha 
detto  il  mio  nome?  » 

«  Meno  ciarle,  e  fate  presto,  »  disse  un  de'  birri  che 
gli  slavano  a  fianco,  prendendogli  di  nuovo  il  braccio. 

«  Ohe!  che  prepotenza  è  questa?»  gridò  Renzo,  riti- 
rando il  braccio.  «  Oste  !  o  l' oste  !  ^ 

«  Lo  portiam  via  in  camicia?  »  disse  ancora  quel 
birro,  voltandosi  al  notaio. 

«  Avete  inteso?  »  disse  questo  a  Renzo:  «  si  farà  cosi, 
se  non  vi  levale  subito  subito  per  venir  con  noi.  » 

€  E  perchè?  »  domandò  Renzo. 

«  Il  perchè  lo  sentirete  dal  signor  capitano  di  giu- 
stizia. » 

«  Io?  Io  sono  un  galantuomo:  non  ho  fatto  nulla;  e 
mi  maraviglio » 

«  Meglio  per  voi,  meglio  per  voi;  così,  in  due  pa- 
role sarete  spicciato,  e  potrete  andarvene  per  i  falli 
vostri.  » 

«  Mi  lascino  andare  ora,  »  disse  Renzo  :  «  io  non  ho  a 
che  far  nulla  con  la  giustizia.  » 

«  Orsù,  finiamola  I  »  disse  un  birro. 

«  Lo  poi'liamo  via  davvero?»  disse  l'altro. 

«  Lorenzo  Tramaglino!  »   disse  il  notaio. 
«  Come  sa  il  mio  nome,  vossignoria?» 
»  Fate  il  vostro  dovere,»  disse   il  notaio   a'  birri,  i 
quali  misero  subito  le  mani  addosso  a  Renzo,  per  tirarli» 
fuori  del  letto. 

«  Kli!  non  toccale  la  carne  d'  un  galantuomo,  clu^ . . . .! 
Mi  so  vestir  da  me.  » 


^84  I   PROMESSI   SPOSI 

«  Diiiiqiifi  vestitevi  sui)ito,  »  disse  il  notaio. 

«  Mi  vesto,  »  rispose  Renzo;  e  andava  di  fatti  racco- 
gliendo qua  e  là  i  panni  sparsi  sul  letto,  come  jiii  avanzi 
d'un  naufragio  sul  lido.  E  cominciando  a  metterseli, 
proseguiva  tuttavia  dicendo:  «ma  io  non  ci  voglio  an- 
dare dal  capitano  di  giustizia.  Non  ho  che  far  nulla  con 
lui.  Giacché  mi  si  fa  quest'affronto  ingiustamente,  voglio 
esser  conduilo  da  Ferrer.  Quello  lo  conosco,  so  cIk;  è 
un  galantuomo;  e  m'ha  dell' ohhligazioni.  » 

«  Sì,  sì,  figliuolo,  sarete  condotto  da  Ferrer,  »  risposi; 
il  notaio.  In  altre  circostanze,  avrebhe  riso,  proprio  di 
gusto,  d'una  richiesta  simile;  ma  non  era  momento  da 
ridere.  Già  nel  venire,  aveva  visto  per  le  strade  un  certo 
movimento,  da  non  potersi  ben  definire  se  fossero  rima- 
sugli d'  una  sollevazione  non  del  tutto  sedata,  o  principii 
d'una  nuova:  uno  sbucar  di  persone,  un  accozzarsi,  un 
andare  a  brigale,  un  far  crocchi.  E  ora,  senza  farne  sem- 
biante, 0  cercando  almeno  di  non  farlo,  stava  in  orec- 
chi, e  gli  pareva  che  il  ronzìo  andasse  crescendo.  Desi- 
derava dunque  di  spicciarsi;  ma  avrebbe  anche  voluto 
condur  via  Renzo  d' amore  e  d' accordo  ;  giacche ,  se  si 
fosse  venuti  a  guerra  aperta  con  lui,  non  poteva  esser 
certo,  quando  fossero  in  istrada,  di  trovarsi  tre  contr'uno. 
Perciò  dava  d'occhio  a' birri,  che  avessero  pazienza,  e 
non  inasprissero  il  giovine;  e  dalla  parte  sua,  cercava 
di  persuaderlo  con  buone  parole.  11  giovine  intanto,  men- 
tre si  vestiva  adagino  adagino,  richiamandosi,  come  po- 
teva, alla  memoria  gli  avvenimenti  del  giorno  avanti, 
indovinava  bene,  a  un  di  presso,  che  le  gride  e  il  nome 
e  il  cognome  dovevano  esser  la  causa  di  tutto;  ma  come 
diamine  colui  lo  sapeva  quel  nome?  E  che  diamine  era 
accaduto  in  quella  notte,  perchè  la  giustizia  avesse  preso 
lanf  animo,  da  venire  a  colpo  sicuro,  a  metter  le  mani 
addosso  a  uno  de  buoni  figliuoli  che,  il  giorno  avaidi, 
avevan  tanta  voce  in  capitolo?  e  che  non  dovevan  esser 
tutti  addormentati,  poiché  Renzo  s' accorgeva  anche  lui 
d'un  ronzio  crescente  nella  strada.   Guardando  poi  in 


CAPITOLO  XV.  ^85 

viso  il  notaio,  vi  scorgeva  in  pelle  inpellelatitubazioncche 
costui  si  sforzava  invano  di  tener  nascosta.  Onde,  così 
per  venire  in  cliiaro  delle  sue  congetture,  e  scoprir  paese, 
come  per  tirare  in  lungo,  e  anche  per  tentare  un  colpo, 
disse:  «vedo  bene  cos'è  l'origine  di  tutto  questo:  gilè 
per  amor  del  nome  e  del  cognome.  ler  sera  veramente 
ero  un  po'  allegro:  questi  osti  alle  volle  hanno  certi  vini 
traditori;  e  alle  volte,  come  dico,  si  sa,  quando  il  vino  è 
giù,  è  lui  che  parla.  Ma,  se  non  si  tratta  d'  altro,  ora  son 
pronto  a  darle  ogni  soddisfazione.  E  poi,  già  lei  lo  sa  il 
mio  nome.  Chi  diamine  gliel  ha  detto?  » 

a  Bra\o,  figliuolo,  bravo!  »  rispose  il  notaio,  tutto  ma- 
nieroso: «vedo  che  avete  giudizio:  e,  credete  a  me  che 
son  del  mestiere,  voi  siete  più  furbo  che  tant' altri.  É  la 
miglior  maniera  d'uscirne  presto  e  bene:  con  codeste 
buone  disposizioni,  in  due  parole  siete  spicciato,  e  la- 
sciato in  libertà.  Ma  io,  vedete  figliuolo,  ho  le  mani  le- 
gate, non  posso  rilasciarvi  qui,  come  vorrei.  Via  fate  pi'e- 
sto,  e  venite  pure  senza  timore;  che  quando  veilranno 
chi  siete  :  e  poi  io  dirò  ....  Lasciale  fare  a  me  ....  Basta  ; 
sbrigatevi,  figliuolo.  » 

«  Ah!  lei  non  può:  intendo,»  disse  Renzo;  e  conti- 
nuava a  vestirsi,  rispingendo  con  de'  cenni  i  cenni  che 
i  birri  facevano  di  mettergli  le  maiù  addosso,  per  farlo 
spicciare. 

«  Passeremo  dalla  [dazza  ilei  duomo,»  domandò  i)oi 
al  notaio. 

«  Di  dove  volete;  per  la  più  corta,  afììne  di  lasciarvi 
più  presto  in  libertà,  »  disse  (juello,  rodendosi  deidro  di 
se,  di  dover  lasciar  cadere  in  terra  quella  domanda  mi- 
steriosa di  Renzo,  che  poteva  divenire  un  tema  di  cento 
interrogazioin.  —  Quando  uno  nasce  disgraziato!  —  pen- 
sava. —  Ecco;  mi  viene  alle  mani  uno  che,  si  vede,  non 
vorrebbe  altro  che  cantare,  e,  un  po' di  respiro  die  s'a- 
vesse, così  cifra  formum.  accademicamenle,  in  \ia  di 
discorso  amichevole,  gli  si  fai'ebbe  confessar,  senza  corda, 
quel  che  uno  volesse;  un  yomo  da  condurlo  in  prigione 


286  I   PROMESSI   SPOSI 

sia  beli' e  esaminato,  senza,  che  se  ne  fosse  accorto:  e 
un  uomo  di  questa  sorte  mi  deve  per  l'appunto  capilare 
in  un  momento  così  angustiato.  Eh!  non  e' è  scampo,  — 
continuava  a  pensare,  tendendo  gii  orecchi,  e  piegando 
la  testa  all' indietro:  —  non  c'è  rimedio;  e'  risica  d'es- 
sere una  giornala  peggio  di  ieri.  —  Ciò  clie  lo  fece  pen- 
sar così ,  fu  un  rumore  straordinario  che  si  sentì  nella 
strada:  e  non  potò  tenersi  di  non  aprir  l'impannata,  per 
dare  un'occhiatina.  Vide  ch'era  un  crocchio  di  cittadini, 
i  quali,  all'intimazione  di  sbandarsi,  fatta  loro  da  una 
pattuglia,  avevan  da  principio  risposto  con  cattive  parole, 
e  finalmente  si  separavan  continuando  a  brontolare;  e 
quel  che  al  notaio  parve  un  segnale  mortale,  i  soldati 
erano  pieni  di  civiltà.  Chiuse  l'impannata,  e  stette  un 
momento  in  forse,  se  dovesse  condur  l' impresa  a  termine, 
0  lasciar  Renzo  in  guardia  de'  due  birri,  e  correr  dal  ca- 
pitano di  giustizia,  a  render  conto  di  ciò  che  accadeva.  — 
Ma,  —  pensò  -subilo,  —  mi  si  dirà  che  sono  un  buono  a 
nulla,  un  pusillanime,  e  che  dovevo  eseguir  gli  ordini. 
Siamo  in  ballo;  bisogna  ballare.  Malannaggia  la  furia! 
Maledetto  il  mestiere!  — 

Renzo  era  levato;  i  due  satelliti  gli  slavano  a' fian- 
chi. Il  notaio  accennò  a  costoro  che  non  lo  sforzas^er 
troppo,  e  disse  a  lui:  «da  bravo,  figliuolo;  a  noi,  spic- 
ciatevi. » 

Anche  Renzo  sentiva,  vedeva  e  pensava.  Era  ormai 
tutto  vestito,  salvo  il  farsetto,  che  teneva  con  una  mano, 
frugando  con  l'altra  nelle  tasche.  «Ohe!»  disse,  guar- 
dando il  notaio,  con  un  viso  molto  significante:  «qui 
c'era  de' soldi  e  una  lettera.  Signor  mio.» 

«  Vi  sarà  dato  ogni  cosa  puntualmente,  »  disse  il  no- 
taio, «dopo  adempite  quelle  poche  formalità.  Andiamo, 
andiamo.  » 

«  No,  no,  no,»  disse  Renzo,  tentennando  il  capo: 
«questa  non  mi  va:  voglio  la  roba  mia,  signor  mio. 
Renderò  conto  delle  mie  azioni;  ma  voglio  la  roba  mia.  » 

«.  Voglio  farvi  vedere  che  mi  fido  di  voi:  tenete,  e  fate 


CAPITOLO   XV.  ^87 

preslo,  »  disse  il  nolaio,  levandosi  di  seno,  e  consegnando, 
con  un  sospiro,  a  Renzo  le  cose  sequestrale.  Questo,  ripo- 
nendole al  loro  posto,  mormorava  tra  denti:  «  alla  largai 
bazzicate  tanto  co'  ladri,  che  avete  un  poco  imparato  il 
niesliere.  »  I  birri  non  polevan  più  slare  alle  mosse;  ma 
il  notalo  li  teneva  a  freno  con  gli  occhi,  e  diceva  intanto 
tra  se:  —  se  tu  arrivi  a  metter  piede  dentro  quella  so- 
glia, l'hai  da  pagar  con  usura,  l'hai  da  [)agare.  — 

Mentre  Renzo  si  metteva  il  farsetto,  e  prendeva  il  cap- 
pello, il  nolaio  fece  cenno  a  un  de'  birri,  che  s'avviasse 
per  la  scala;  gli  mandò  dietro  il  prigioniero,  poi  l'altro 
amico;  poi  si  mosse  anche  lui.  In  cucina  che  furono, 
mentre  Renzo  dice:  «e  quest'oste  benedetto  dove  s'è 
cacciato?  ^  il  notaio  fa  un  altro  cenno  a' birri;  i  quali 
afferrano,  l'uno  la  destra,  l'altro  la  sinistra  del  giovine, 
('  in  fretta  in  fretta  gli  legano  i  polsi  con  certi  ordigni, 
})er  quell'ipocrita  tìgnra  d'eufemismo,  chiamati  mani- 
chini. Consistevano  questi  (ci  dispiace  di  dover  discen- 
dere a  particolari  indegni  della  gravità  storica;  ma  la 
chiarezza  lo  richiede),  consistavano  in  una  cordicella 
lunga  un  po' più  che  il  giro  d'un'  polso  ordinario,  la 
quale  aveva  nelle  cime  due  pezzetti  di  legno,  come  due 
piccole  stanghette.  La  cordicella  circondava  il  polso  del 
paziente;  i  legnelti  passati  tra  il  medio  e  l'anulare  del 
prenditore,  gli  rimanevano  chiusi  in  pugno,  di  modo 
che,  girandoli,  ristringeva  la  legatura  a  volontà:  con  ciò 
aveva  mezzo,  non  solo  d'assicurare  la  presa,  ma  anche 
di  martirizzare  un  ricalcitrante:  e  a  questo  Hne,  la  cor- 
dicella era  sparsa  di  nodi. 

Renzo  si  divincola,  grida:  «die  tradimento  è  questo? 
A  un  galantuomo  ....!«  Ma  il  notaio,  che  per  ogni  tri- 
sto fatto  aveva  le  sue  buone  parole,  «  abbiale  pazienza,  » 
diceva:  «  fanno  il  loro  dovere.  Cosa  volete?  son  tulle 
formalità;  e  anche  noi  non  possiamo  trattar  la  gente  a 
seconda  del  nostro  cuore.  Se  non  si  facesse  quello  che 
ci  vien  comandato,  staremmo  freschi  noi  altri,  peggio 
di  voi.  Abbiate  pazienza.  » 


288  1   PìtOMÈSSl  SPOSI 

M(Mitrc  parlava,  i  due  a  cui  toccava  faro,  diedero  una 
girata  a' le^netli.  Renzo  s'aciiuielò,  come  un  cavallo  biz- 
zarro che  si  senl(!  il  labbro  slrello  Ira  le  morse,  e  escla- 
mò:  «  pazienza!  ' 

«  Bravo  figliuolo!  »  disse  il  notaio:  «  questa  è  la  vera 
maniera  d'uscirne  a  bene.  Cosa  volete?  è  una  seccatura; 
lo  vedo  anch'io;  ma,  portandovi  bene,  in  un  momento 
ne  siete  fuori.  E  giacche  vedo  che  siete  ben  disposto,  e 
io  mi  sento  inclinato  a  aiutarvi,  voglio  darvi  anche  un 
altro  parere,  per  vostro  bene.  Credete  a  me,  che  son 
pratico  di  queste  cose:  andate  via  diritto  diritto,  senza 
guardare  in  qua  e  in  là,  senza  farvi  scorgere  :  cosi  nes- 
suno bada  a  voi,  nessuno  s'avvede  di  quel  che  è  ;  e  voi 
conservate  il  vostro  onore.  Di  qui  a  un'  ora  voi  siete  in 
libertà:  e' è  tanto  da  fare,  che  avranno  fretta  anche  loro 

di  sbrigarvi  :  e  poi  parlerò  io Ve  n'andate  per  i 

fatti  vostri;  e  nessuno  saprà  che  siete  stato  nelle  mani 
della  giustizia.  E  voi  altri,  »  continuò  poi,  voltandosi 
a' birri,  con  un  viso  severo:  «guardale  bene  di  non 
fargli  male,  perche  lo  proteggo  io:  il  vostro  dovere  bi- 
sogna che  lo  facciate;  ma  ricordatevi  che  è  un  galan- 
tuomo, un  giovine  civile,  il  quale,  di  qui  a  poco,  sarà 
in  libertà;  e  che  gli  deve  premere  il  suo  onore.  Andate 
in  maniera  che  nessuno  s'avveda  di  nulla:  come  se  fo- 
ste tre  galantuomini  che  vanno  a  spasso.  "  E  con  tono 
imperativo  ,  e  con  sopracciglio  minaccioso ,  concluse  : 
«  m'avete  inteso.  »  Voltandosi  poi  a  Renzo ,  col  soprac- 
ciglio spianato,  e  col  viso  divenuto  a  un  tratto  ridente, 
che  pareva  volesse  dire:  oh  noi  si  che  siamo  amici!, 
gli  bisbigliò  di  nuovo:  «  giudizio;  fate  a  mio  modo; 
andate  raccolto  e  quieto;  fidatevi  di  chi  vi  vuol  bene: 
andiamo.  »   E  la  comitiva  s'avviò. 

Però  di  tante  belle  parole,  Renzo  non  ne  credette  una  : 
ne  che  il  notaio  volesse  più  bene  a  lui  che  a'  birri,  nò 
che  prendesse  tanto  a  cuore  la  sua  riputazione,  né  che 
avesse  inlenzion  d'aiutarlo;  capi  benissimo  che  il  galan- 
tuomo, temendo  che  si  presentasse  per  la  strada  qual- 


CAPITOLO  XV.  •  289 

che  buona  occasione  di  scappargli  dalle  mani,  metteva 
innanzi  quo'  l)ei  motivi,  per  istornar  lui  dallo  starci  at- 
tento e  da  approQUarne.  Dimodoché  tutte  quelle  esor- 
tazioni non  servirono  ad  altro  che  a  confermarlo  nel 
disegno  che  già  aveva  in  testa,  di  far  tutto  il  contrario. 
Nessuno  concluda  da  ciò  che  il  notaio  fosse  un  furbo 
inesperto  o  novizio;  perchè  s'ingannerebbe.  Era  un  furbo 
matricolato,  dice  il  nostro  storico,  il  quale  pare  che  fosse 
nel  numero  de'  suoi  amici  :  ma,  in  quel  momento  si  tro- 
vava con  l'animo  agitato.  A  sangue  freddo,  vi  so  dir  io 
come  si  sarebbe  fatto  beffe  di  chi  per  indurre  un  altro 
a  fare  una  cosa  per  sé  sospelta,  fosse  andato  suggeren- 
dogliela e  inculcandogliela  caldamente,  con  quella  mise- 
rabile finta  di  dargli  un  parere  disinteressato,  da  amico. 
Ma  è  una  tendenza  generale  degli  uomini,  quando  sono 
agitati  e  angustiati,  e  vedono  ciò  che  un  altro  potrebbe 
fare  per  levarli  l'impiccio  di  chiederglielo  con  istanza 
e  ripetutamente  e  con  ogni  sorte  di  pretesti;  ei  furbi, 
quando  sono  angustiali  e  agitali,  cadono  anche  loro  sotto 
questa  legge  comune.  Quindi  è  che,  in  simili  circostanze, 
fanno  per  lo  più  una  cosi  meschina  figura.  Que'  ritro- 
vati maestri,  quelle  belle  malizie,  con  le  quali  sono  av- 
vezzi a  vincere,  che  son  diventate  per  loro  quasi  una 
seconda  natiu'a,  e  che,  messe  in  opera  a  tempo,  e  con- 
dotte con  la  pacatezza  d'animo,  con  la  serenità  di  mente 
necessario,  fanno  il  colpo  così  bene  e  così  nascostamente, 
e  conosciute  anche,  dopo  la  riuscita,  riscotono  l'applauso 
universale;  i  poverini  quando  sono  alle  strette,  le  ado- 
prano  in  fretta,  all'impazzata-,  senza  garbo  nò  grazia.  Di 
maniera  che  a  uno  che  li  veda  ingegnarsi  e  arrabbat- 
tarsi a  quel  modo,  fanno  pietà  e  movon  le  risa,  e  l'uomo 
che  pretendono  allora  di  mettere  in  mezzo,  quantunque 
meno  accorto  di  loro,  scopre  benissimo  tulio  il  loro  gioco, 
e  da  (|uonli  jirtifìzi  ricava  hnne  per  sr,  contro  di  loi-(t. 
Perciò  non  si  può  mai  alibaslanza  raccomandare  a'  furbi 
di  professione  di  consei'var  sempre  il  loro  sangue  freddo. 
0  d'esser  sempre  i  più  forti,  che  è  la  più  sicura. 

voli.  1.  13 


290  .  1   PHUMESSI   SPOSI 

Renzo  adunque,  appena  furono  in  istrada,  cominciò  a 
girar  gli  occhi  in  qua  e  in  là ,  a  sporgersi  con  la  per- 
sona, a  destra  e  a  sinistra,  a  tender  gli  orecclii.  Non 
c'era  però  concorso  straordinario;  e  benché  sul  viso  di 
più  d'un  passaggiero  si  potesse  legger  facilmente  un 
certo  non  so  che  di  sedizioso,  pure  ognuno  andava  di- 
ritto per  la  sua  strada;  e  sedizione  propriamente  della, 
non  c'era. 

«i  Giudizio,  giudizio!  »  gli  susurrava  il  notaio  dietro 
le  spalle:  «  il  vostro  onore;  Tenore,  figliuolo.  »  Ma  quando 
Renzo,  badando  attentamente  a  tre  che  venivano  con  visi 
accesi,  senti  cbe  parlavan  d'un  forno,  di  farina  nascosta, 
di  giustizia,  cominciò  ancbe  a  far  loro  de'  cenni  col  viso, 
e  a  tossire  in  quel  modo  che  indica  tutf  altro  che  un 
raffreddore.  Quelli  guardarono  più  attentamente  la  co- 
mitiva, e  si  fermarono:  con  loro  si  fermarono  altri  che 
arrivavano;  altri,  che  gli  eran  passati  davanti,  voltatisi 
al  bisbiglio,  tornavano  indietro,  e  facevan  coda. 

«Badate  a  voi;  giudizio,  figliuolo;  peggio  per  voi  ve- 
dete; non  guastate  i  fatti  vo>tri;  Toiiure,  la  riputazione,  » 
continuava  a  susurrare  il  notaio.  Renzo  faceva  peggio. 
I  birri,  dopo  essersi  consultati  con  rocchio,  pensando  di 
far  bene  (ognuno  è  soggetto  a  .sbagUare),  gli  diedero 
una  stretta  di  manichini. 

«Ahi!  ahi!  ahi!»  grida  il  tormentato,  al  grido,  la 
gente  s'affolla  intorno;  n'accorre  da  ogni  parte  della 
strada:  la  comitiva  si  trova  incagliata.  «  È  un  malviven- 
te, »  bisbigliava  il  notaio  a  quelli  che  gli  erano  a  ridosso  : 
f  è  un  ladro  colio  sul  fatto.  Si  ritirino,  lascin  passar  la 
giustizia.  Ma  Renzo,  visto  il  bel  momento,  visti  i  birri 
diventar  bianchi,  o  almeno  pahidi,  —  se  non  m'aiuto 
ora,  pensò,  mio  danno.  —  E  subito  alzò  la  voce:  «  fi- 
gliuoli! mi  menano  in  prigione,  perchè  ieri  ho  gridato  : 
pane  e  giustizia.  Non  ho  fatto  nulla;  son  galantuomo: 
aiutatemi,  non  m'abbandonate,  figliuoli!» 

Un  mormorio  favorevole,  voci  più  chiare  di  protezione 
s'alzano  in  rispuilu;  i  birri  sul  principio  comandano,  poi 


CAPITOLO   XV.  !^1)1 

chiedono,  poi  pregano  i  più  vicini  rrandarsene,  e  <li  far 
largo;  la  folla  in  vece  incalza  e  pigia  sempre  più.  Quelli, 
visla  la  mala  parala,  lascian  andare  i  manichini,  e  non 
si  curan  più  d'altro  che  di  perdersi  nella  folla,  per  uscirne 
inosservati.  Il  notaio  desiderava  ardentemeide  di  far  lo 
stesso  ;  ma  c'era  de'  guai,  per  amor  della  cappa  nera.  Il 
pover'  uomo,  pallido  e  sbigottito,  cercava  di  faisi  piccino 
piccino,  s'andava  storcendo,  per  isgusciar  fuor  della  folla; 
ma  non  poteva  alzar  gli  occhi,  che  non  se  ne  vedesse 
venti  addosso.  Studiava  tutte  le  maniere  di  comparire 
un  estraneo  che,  passando  di  lì  a  caso,  si  fosse  trovalo 
stretto  nella  calca,  come  una  pagliucola  nel  ghiaccio  ;  e 
riscontrandosi  a  viso  a  viso  con  uno  che  lo  guardava 
fisso,  con  un  cipiglio  peggio  degli  altri,  lui,  composta 
la  bocca  al  sorriso,  con  un  suo  fare  sciocco,  gli  domandò 
«  cos'  è  stato  ?  » 

«  Uh  corvavaccio!  »  rispose  colui.  «  Corvaccio!  corvac- 
cio!  »  risonò  all'intorno.  Alle  grida  s'aggiunsero  gli  ur- 
loni; di  maniera  che,  in  poco  tempo,  parte  con  le  gambe 
proprie,  parte  con  le  gomita  altrui,  otienne  ciò  che  più 
gli  premeva  in  quel  momento,  d'esser  fuori  di  quel 
serra  serra. 


CAPITOLO  XVI. 


«Scappa,  scappa,  galantuomo:  li  c'è  un  roriveiito, 
ecco  là  una  chiesa:  di  qui,  di  là,  »  si  grida  a  Renzo  da 
ogni  parte.  In  quanto  allo  scappare,  pensate  se  aveva 
bisogno  di  consigli.  Fin  dal  primo  momento  che  gli  era 
balenato  in  mente  una  speranza  d'uscir  da  quell'unghie, 
aveva  cominciato  a  fare  i  suoi  conti,  e  stabilito,  se  que- 
sto gli  riusciva,  d'andare  senza  fermarsi,  fin  che  non 
fosse  fuori,  non  solo  della  città,  ma  del  ducato.  —  Per- 
chè, —  aveva  pensato,  —  il  mio  nome  l'hanno  su' loro 
libracci,  in  qualunque  maniera  l'hanno  avuto;  e  col  nome 
e  cognome,  mi  vengono  a  prendere  quando  vogliono.  — 
E  in  quanto  a  un  asilo,  non  vi  si  sarebbe  cacciato  che 
quando  avesse  avuto  i  birri  alle  spalle.  —  Perchè,  se  posso 
essere  uccel  di  bosco,  —  aveva  anche  pensato,  —  non  vo- 
glio diventare  uccel  di  gabbia.  —  Aveva  dunque  disegnato 
per  suo  rifugio  quel  paese  nel  territorio  di  Bergamo, 
dov'era  accasato  ([uel  suo  cugino  Bortolo,  se  ve  ne  ram- 
mentate, che  più  volte  l'aveva  invitato  a  tuidar  là.  Ma 
trovar  la  stratla,  h  stava  il  male.  Lasciato  in  una  parte 
sconosciuta  d'una  città  si  può  dire  sconosciuta,  Renzo 


l   PROMESSI   SPOSI.   CAPITOLO   XVI.  ^203 

non  <;apeva  neppure  da  che  porla  s'uscisse  per  andare 
a  Bergamo;  e  quando  T  avesse  saputo,  non  sapeva  poi 
andare  alla  porla.  Fu  li  li  per  farsi  insegnare  la  strada 
da  qualcheduno  de'  suoi  liberatori  ;  ma  siccome  nel  poco 
tempo  che  aveva  avuto  per  meditare  su'  casi  suoi ,  gli 
eran  passate  per  la  mente  certe  idee  su  quello  spadaio 
cosi  obbligante,  padre  di  quattro  figliuoli,  così,  a  buon 
conto,  non  volle  manifestare  i  suoi  disegni  a  una  gran 
brigata,  dove  ce  ne  poteva  essere  qualche  altro  di  quel 
conio;  e  risolvette  subito  d'allontanarsi  in  fretta  di  lì: 
che  la  strada  se  la  farebbe  poi  insegnare,  in  luogo  dove 
nessuno  sapesse  chi  era,  uè  il  perchè  la  domandasse. 
Disse  a' suoi  liberatori:  «grazie  tante,  figlinoli:  siate 
benedetti,  »  e,  uscendo  per  il  largo  che  gli  fu  fatto  im- 
mediatamente, prese  la  rincorsa,  e  via;  dentro  per  un 
vicolo,  giù  per  una  stradetta,  galoppò  un  pezzo,  senza 
saper  dove.  Quando  gli  parve  d'essersi  allontanato  ab- 
bastanza, rallentò  il  passo  per  non  dar  sospetto;  e  co- 
minciò a  guardare  in  (jua  e  in  là,  per  isccglier  la  per- 
sona a  cui  far  la  sua  domanda,  una  faccia  che  ispirasse 
confidenza.  Ma  anche  qui  c'era  dell'  imbroglio.  La  do- 
manda per  sé  era  sospetta:  il  tempo  stringeva;  i  birri, 
appena  liberati  da  quel  piccolo  intoppo ,  dovevan  senza 
dubbio  essersi  l'imessi  in  traccia  del  loro  fuggitivo;  la 
voce  di  quella  fuga  poteva  essere  arrivata  fin  là,  e  in 
tali  strette,  Renzo  dovette  fare  forse  dieci  giudizi  fisio- 
nomici, prima  di  trovar  la  figura  che  gli  paresse  a  pro- 
posito. Quel  grassotto,  che  stava  ritto  sulla  soglia  della 
sua  bottega,  a  gamlx!  larghe,  con  le  mani  di  dieti'o,  con 
la  pancia  in  fuori,  col  mento  in  aria,  dal  (piale  pemleva 
una  gran  pappagorgia,  e  che,  non  avendo  altro  clic 
fare ,  andava  allernalivamente  sollevando  sulla  punta 
de'  piedi  la  sua  massa  tremolante,  e  lasciandola  ricadere 
sui  calcagni,  aveva  un  viso  di  cicalone  cui'ioso,  che,  in- 
vece di  dar  delle  risposte,  avrebbe  fatto  delle  interroga- 
zioni. Quell'altro  che  veniva  innanzi,  con  gii  occbi  tissi. 
e  col  labbro  in  fuori,  non  che  insegnar  presto  e  bene 


^4  I    PROMESSI   SPOSI 

la  strada  a  un  altro,  appena  pareva  conoscer  la  sua.  Onci 
ragaz/.oUo,  che,  a  dire  il  vero,  mostrava  d'esser  molto 
sveglio,  mostrava  però  d' essere  anche  più  malizioso ,  e 
prohabilmenle  avrebbe  avuto  un  gusto  matto  a  far  an- 
dare un  povero  contadino  dalla  parte  opposta  a  (juella 
che  desiderava.  Taiit'è  vero  che  all'uomo  impicciato, 
quasi  ogni  cosa  è  un  nuovo  impiccio!  Visto  finalmente 
uno  che  veniva  in  fretta,  pensò  che  questo,  avendo  pro- 
babilmente qualche  atfare  pressante,  gli  risponderebbe 
subito  senz'altro  chiacchiere:  e  sentendolo  parlar  da  se, 
giudicò  che  dovesse  essere  un  uomo  sincero.  Gli  s'ac- 
costò, e  disse:  «  di  grazia,  quel  signore,  da  che  parte 
si  va  per  andare  a  Bergamo?  » 

«  Per  andare  a  Bergamo?  Da  porta  orientale.  » 
«  Grazie  tante;  e  per  andare  a  porta  orientale?  » 
«  Prendete  questa  strada  a  mancina  ;  vi  troverete  sulla 
piazza  del  duomo  ;  poi  ...  » 

«  Basta,  signore;  il  resto  lo  so,  Dio  glie  ne  renda 
merito.  »  E  deviato  s'  incamminò  dalla  parte  che  gli 
era  stata  indicata.  L'  altro  gli  guardò  dietro  un  mo- 
mento ,  e,  accozzando  nel  suo  pensiero  quella  maniera 
di  camminare  con  la  domanda,  disse  tra  se  :  —  o  n'  ha 
fatui  una,  o  qualcheduno  la  vuol  fare  a  lui.  — 

Renzo  arriva  sulla  piazza  del  duomo  ;  1"  attraversa , 
passa  accanto  a  un  mucchio  di  cenere  e  di  carboni  spenti, 
e  riconosce  gli  avanzi  del  falò  di  cui  era  stato  spettatore 
il  giorno  avanti  :  costeggia  gli  scalini  del  duomo ,  ri- 
vede il  forno  delle  gruccie,  mezzo  smantellato,  e  guar- 
dato da  soldati;  e  tira  diritto  per  la  strada  da  cui  era 
venuto  insieme  con  la  folla:  arriva  al  co;ivento  dei  cap- 
puccini ;  dà  un'  occhiata  a  quella  piazza  e  alla  porta  della 
chiesa,  e  dice  tra  se,  sospirando  :  —  m'  aveva  però  dato 
un  buon  parere  quel  frate  di  ieri  ;  che  stessi  in  chiesa 
a  aspettare,  e  a  fare  un  po'  di  Ijone.  — 

Qui,  essendosi  fermato  un  momento  a  guardare  at- 
tentamente alla  porta  per  cui  doveva  passare,  e  veden- 
dovi, cosi  da  lontano,  molta  gente  a  guardia,  e  avendo 


CAPITOLO   X.VI.  295 

la  fantasia  nn  po'  riscaldala  (l)isogna  compatirlo  ;  aveva 
i  suoi  motivi),  provò  una  certa  ripugnanza  ad  affrontare 
quel  passo.  Si  trovava  cosi  a  mano  un  luogo  d'  asilo  , 
e  dove,  con  quella  lettera,  sarebbe  ben  raccomandalo  ; 
fu  tentato  fortemente  d'  entrarvi.  Ma,  subito  ripreso  ani- 
mo, pensò:—  uccel  di  bosco,  fin  che  si  può.  Chi  mi 
conosce?  Di  ragione,  i  birri  non  si  saran  fatti  in  pezzi, 
per  andarmi  ad  aspettare  a  tutte  le  porle.  —  Si  voltò, 
per  vedere  se  mai  venissero  da  quella  parte  :  non  vide 
nò  quelli ,  né  altri  che  paressero  occuparsi  di  lui.  Va 
innanzi;  rallenta  quelle  gambe  benedette ,  che  volevan 
sempre  correre,  mentre  conveniva  soltanto  camminare  ; 
e  adagio  adagio,  fischiando  in  semitono,  arriva  alla  porla. 

C  era,  proprio  sul  passo,  un  mucchio  di  gabellini,  e 
per  rinforzo  ,  anche  de'  micheletti  spagnoli  ;  ma  stavan 
tutti  attenti  verso  il  di  fuori,  per  non  lasciare  entrar  di 
quelli  che,  alla  notizia  d'  una  sommossa  ,  v'  accorrono , 
come  i  corvi  al  campo  dove  e  stala  data  battaglia;  di 
maniera  che  Renzo,  con  un'aria  indilTer.'Ute  ,  con  gli 
occhi  l)assi,  e  con  un  andare  cosi  tra  il  viandanle  e  uno 
che  vada  a  spasso,  usci,  senza  che  nessuno  gli  dicesse; 
nulla  ;  ma  il  cuore  di  dentro  faceva  un  gran  battere. 
Vedendo  a  diritta  una  viottola,  entrò  in  quella,  per  evi- 
lare  la  strada  maeslra  ;  e  camminò  un  pezzo  prima  di 
voltarsi  ne[)pure  indietro. 

Cammina ,  cammina  ;  trova  cascine  ,  trova  villaggi  , 
tira  innanzi  senza  domandarne  il  nome  ;  è  (;erto  d'  al- 
lontanarsi da  Milano ,  spera  d'  andar  verso  Bergamo  ; 
questo  gli  basta  \M'v  ora.  Ogni  tanto,  si  voltava  indietro; 
ogni  tanto  ,  andava  aneliti  guardando  e  strofinando  or 
r  uno  or  r  altro  polso,  ancora  un  po'  indoleiizili,  e  sin- 
gnati in  giro  d' una  striscia  rosseggiante,  vestigio  della 
cordicella.  I  suoi  [)ensieri  erano,  come  ognuno  può  im- 
maginarsi, un  guazzabuglio  di  pentimenti,  d'inquietu- 
dini, di  rabbie,  di  lenerezzi;  ;  (ira  uno  studio  ralicosu  di 
raccapezzare  li;  cose  dette  e  fall(!  la  sera  avanli  ,  di 
scoprir  la  parte  segreta  della  sua  dolorosa  sloria.  e  so- 


296  I   PROMESSI   SPOSI 

pra  tutto  come  aveaii  pollilo  risapere  il  suo  nomo.  I  suoi 
sospetti  cadcvan  naturalmente  sullo  spadaio,  al  quale  si 
rammentava  bene  d'averlo  spiattellato.  E  ripensando 
alla  maniera  con  cui  gliel  aveva  cavalo  di  bocca .  e  a 
tutto  il  fare  di  colui,  e  a  tutte  queir  esibizioni  die  riu- 
scivan  sempre  a  voler  saper  qualcosa,  il  sospetto  dive- 
niva quasi  certezza.  Se  non  cbe  si  rammentava  poi  an- 
che, in  confuso,  d'  aver,  dopo  la  partenza  dello  spadaio, 
continuato  a  cicalare  ;  con  chi,  indovinala  grillo  ;  di  cosa, 
la  memoria,  per  quanto  venisse  esaminata,  non  lo  sa- 
peva dire  :  non  sapeva  dir  altro  che  d'  essersi  in  quel 
tempo  trovata  fuor  di  casa.  Il  poverino  si  smarriva  in 
quella  ricerca:  era  come  un  uomo  che  ha  sottoscritti 
molti  fogli  bianchi,  e  gli  ha  afTidati  a  uno  che  credeva 
il  fior  de'  galantuomini  ;  e  scoprendolo  poi  un  imbro- 
glione, vorrebbe  conoscere  lo  stato  de' suoi  affari:  che 
conoscere?  è  un  caos.  Un  altro  studio  penoso  era  quello 
di  far  suir  avvenire  un  disegno  che  gli  potesse  piacere  : 
quelli  che  non  erano  in  aria,  eran  tutti  malinconici. 

Ma  ben  presto,  lo  studio  più  penoso  fu  quello  di  tro- 
var la  strada.  Dopo  aver  camminalo  un  pezzo ,  si  può 
dire,  alla  ventura,  vide  clic  da  sé  non  ne  poteva  uscire. 
Provava  bensì  una  certa  ripugnanza  a  metter  fuori  quella 
parola  Bergamo,  come  se  avesse  un  non  so  che  di  so- 
spetto, di  sfacciato  ;  ma  non  si  poteva  far  di  meno.  Ri- 
solvette dunque  di  rivolgersi,  come  aveva  fatto  in  Mi- 
lano, al  primo  viandante  la  cui  flsonomia  gli  andasse  a 
genio  ;  e  cosi  fece. 

«  Siete  fuor  di  strada,»  gli  rispose ' questo  :  e,  pen- 
satoci un  poco,  parie  con  parole,  parte  co'  cenni,  gl'in- 
dico il  giro  che  doveva  fare,  per  rimettersi  sulla  strada 
maestra.  Renzo  lo  ringraziò,  fece  le  viste  di  far  come 
gli  era  slato  detto,  prese  in  fatti  da  quella  parte,  con 
intenzione  però  d' avvicinarsi  bene  a  quella  benedetta 
strada  maestra,  di  non  perderla  di  vista,  di  costeggiarla, 
più  che  fosse  possibile;  ma  senza  mettervi  piede.  Il  di- 
segno era  più  facile  da  concepirsi  che  da  eseguirsi.  La 


CAPITOLO  XVI.  297 

conclusione  fu  clie,  andando  cosi  da  destra  a  sinistra, 
e  come  si  dice,  a  zig  zag,  parte  seguendo  1'  altre  indi- 
cazioni elle  si  faceva  coraggio  a  pescar  qua  e  là,  parte 
correggendole  secondo  i  suoi  lumi,  e  adattandole  al  suo 
intento,  parte  lasciandosi  guidar  dalle  strade  in  cui  si 
trovava  incamminato,  il  nostro  fuggitivo  aveva  fatte  forse 
dodici  miglia,  che  non  era  distante  da  Milano  più  di 
sei;  e  in  quanto  a  Bergamo,  era  molto  se  non  se  n'era 
allontanato.  Cominciò  a  persuadersi  che,  anche  in  quella 
maniera,  non  se  n'  usciva  a  bene;  e  pensò  a  trovar  qual- 
che altro  ripiego.  Quello  che  gli  venne  in  mente,  fu  di 
scovar,  con  qualche  astuzia,  il  nome  di  qualche  paese 
vicino  al  confine,  e  al  quale  si  potesse  andare  per  istrado 
comunali:  e  domandando  di  quello,  si  farelihe  insegnar 
la  strada,  senza  seminar  qua  e  là  quella  domanda  di 
Bergamo,  che  gli  pareva  j)uzzar  tanto  di  fuga,  di  sfratto, 
di  criminale. 

Mentre  cerca  la  maniera  di  pescar  tutte  quelle  noti- 
zie, senza  dar  sospetto,  vede  pendere  una  frasca  da  una 
casuccia  solitaria,  fuori  d'  un  paesello.  Da  qualche  tempo, 
sentiva  anche  crescere  il  bisogno  di  ristorar  le  sue  for- 
ze ;  pensò  che  li  sarebbe  il  luogo  di  fare  i  due  servizi 
in  una  volta;  entrò.  Non  c'era  che  una  vecchia,  conia 
rocca  al  fianco,  e  col  fuso  in  mano.  Chiese  un  boccone; 
gli  fu  offerto  un  po' di  stracchino  e  del  vino  buono: 
accellò  lo  stracchino,  del  vino  la  ringraziò  (gli  era  ve- 
nuto in  odio,  per  quello  scherzo  che  gli  aveva  fatto  la 
sera  avanti)  ;  e  si  mise  a  sedere  pregando  la  donna  che 
facesse  presto.  Quesla,  in  un  momento,  ebbe  mt.\sso  in 
(avola  ;  e  subito  dopo  cominciò  a  tempestare  il  suo  ospite 
di  domand(! ,  e  sul  suo  essere,  e  sui  gran  fatti  di  Mi- 
lano :  che  la  voce  n'  era  arrivala  fin  là.  Renzo  ,  non 
solo  seppe  schermirsi  dalle  domande ,  con  molta  disin- 
voltura ;  ma  approfillandosi  della  difficollà  medesima, 
fece  servire  al  suo  inlenlo  la  curiosila  della  vecchia,  che 
gli  domandava  dove  fosse  incamminalo. 

«Devo  andare  in   molli   luoghi,  »   rispose:   «e,   se 


298  l   PUOMESSI   SPOSI 

trovo  un  ritaglio  di  tempo,  vorrei  anche  passare  un  rno- 
menlo  da  quel  paese,  piuttosto  grosso,  sulla  strada  di 
Bergamo,  vicino  al  contine,  però  nello  slato  di  Milano... 
Come  si  chiama?  »  —  Qualcheduno  ce  ne  sarà,  —  pen- 
sava intanto  tra  se. 

'<  Gorgonzola,  volete  dire,  »   rispose  la  vecchia. 

«  Gorgonzola  !  »  ripetè  Renzo,  quasi  per  mettersi  me- 
glio in  mente  la  parola.  «  È  molto  lontano  di  qui  ?  » 
riprese  poi. 

«  Non  lo  so  precisamente:  saranno  dieci,  saranno  do- 
dici miglia.  Se  ci  fosse  qualcheduno  de' miei  figliuoli  , 
ve  lo  saprebbe  dire.  » 

«  E  credete  che  ci  si  possa  andare  per  queste  belle 
viottole,  senza  prender  la  strada  maestra?  dove  e' è  una 
polvere,  una  polvere  !  Tanto  tempo  che  non  piove  !  » 

«  A  me  mi  par  di  si  :  potete  domandare  nel  primo 
paese  che  troverete  andando  a  diritta.  »  E  glielo  nominò. 

«Va  bene;  »  disse  Renzo;  s'alzò,  prese  un  pezzo  di 
pane  che  gli  era  avanzato  della  magra  colazione,  un 
pane  ben  diverso  da  (]uello  che  avea  trovato,  il  giorno 
avanti,  appiè  della  croce  di  san  Dionigi;  pagò  il  conto, 
uscì,  e  prese  a  diritta.  E,  per  non  ve  l'allungar  più 
del  bisogno,  col  nome  di  Gorgonzola  in  bocca,  di  paese 
in  paese,  ci  arrivò,  un'  ora  circa  prima  di  sera. 

Già  cammin  facendo,  aveva  disegnato  di  far  li  un'  al- 
tra fermatina,  per  fare  un  pasto  un  po' sostanzioso.  Il 
corpo  avrebbe  anche  gradito  un  po'  di  letto  ;  ma  prima 
che  contentarlo  in  questo,  Renzo  1'  avrebbe  lasciato  ca- 
der rifinito  sulla  strada.  Il  suo  proposilo  era  d' infor- 
marsi all' osteria  della  distanza  dell'Adda,  di  cavar  de- 
stramente notizia  di  ipialche  traversa  che  mettesse  là,  e 
di  rincamminarsi  da  quella  parte,  subito  dopo  essersi 
rinfrescato.  Nato  e  cresciuto  alla  seconda  sorgente,  per 
dir  cosi,  di  quel  fiume,  aveva  sentito  dir  più  volte,  che. 
a  un  certo  punto,  e  per  un  certo  tratto,  esso  faceva  con- 
fine tra  lo  slato  milanese  e  il  veneto  :  del  punto  e  del 
tratto  non  aveva  un'  idea  precisa  ;  ma ,  allora  come  al- 


CAPITOLO   XVI.  "^DU 

lora,  l'affar  più  nrp:ente  era  di  passarlo,  dovunque  si 
fosse.  Se  non  ,ali  riusciva  in  quel  giorno,  era  risoluto 
di  camminare  fin  che  Torà  e  la  lena  glielo  permelles- 
sero  :  e  d'  aspettar  poi  V  alba  in  un  campo ,  in  un  de- 
serto; dove  piacesse  a  Dio;  purché  non  fosse  un'osteria. 

Fatti  alcuni  passi  in  Gorgonzola  ,  vide  un'  insegna , 
entrò:  e  all'  oste,  che  gli  venne  incontro,  chiese  un  boc- 
cone, e  una  mezzetta  di  vino  :  le  miglia  di  più  ,  e  il 
tempo  gli  avevan  fatto  passare  queir  odio  cosi  estremo 
e  fanatico.  «  Vi  prego  di  far  presto,  »  soggiunse;  «  per- 
chè ho  bisogno  di  rimettermi  subito  in  istrada.»  E  questo 
lo  disse,  non  solo  percliè  era  vero,  ma  anche  per  paura 
che  r  oste,  immaginandosi  che  volesse  dormir  li ,  non 
gli  uscisse  fuori  a  domandar  del  nome  e  del  cognome, 
e  donde  veniva,  e  per  che  negozio ....  Alla  larga  ! 

L'  oste  rispose  a  Renzo  che  sarebbe  servito  :  e  questo 
si  mise  a  sedere  in  fondo  della  tavola,  vicino  all' uscio: 
il  posto  de'  vergognosi. 

G'  erano  in  quella  stanza  alcuni  sfaccendati  del  paese, 
i  quali,  dopo  aver  discusse  e  commentate  le  gran  no- 
tizie di  Milano  del  giorno  avanti,  si  struggevano  di  sa- 
pere un  poco  come  fosse  andata  anche  in  quel  giorno: 
tanto  più  che  (pielle  prime  eran  più  atte  a  stuzzicar  la 
curiosità,  che  a  soddisfarla  :  una  sollevazione,  nò  soggio- 
gata ne  vittoi'iosa,  sospesa  più  ch(>  tei'minata  dalla  notte  ; 
una  cosa  tronca,  la  (ine  d'  un  atto  piuttosto  che  d'  un 
dramma.  Un  di  coloro  si  staccò  dalla  brigala,  s'  accostò 
al  soprarrivalo,  e  gli  domandò  se  veniva  da  Milano. 

«Io?  »  disse  Henzo  sorpreso,  per  prender  tempo  a 
rispondere. 

«  Voi,  se  la  domanda  è  lecita.  » 

Renzo,  tentennando  il  capo,  slì'ingendu  le  laljbra,  e 
tacendone  uscire  un  suono  inarticolato,  disse  :  «  Milano, 
da  (juel  che  ho  sentito  dire. . .  non  dev'essere  un  luogo 
da  andarci  in  ([uesti  momenti,  meno  che  per  una  gran 
necessità.  » 

«  Gonlinua  dunque  anche  oggi  il  tVacasso?  »  domandò 
con  più  costanza,  il  curioso. 


;ìOO  1    PROMESSI   SPOSI 

"Bisognerebbe  esser  là  per  saperlo,»   disse  Renzo. 
«  3Ia  voi  non  venite  da  Milano  ?  » 

«  Vengo  da  Liscale,  "  rispose  lesto  il  giovine,  clie  in- 
tanto aveva  pensata  la  sua  risposta.  Ne  veniva  in  fatti, 
a  rigor  di  termini ,  perchè  e'  era  passato  ;  e  il  nome 
r  aveva  saputo,  a  un  certo  punto  di  strada,  da  un  vian- 
dante che  gli  aveva  indicalo  quel  paese  come  il  primo 
che  doveva  attraversare,  per  arrivare  a  Gorgonzola. 

«  Oh!  »  disse  l'amico;  come  se  volesse  dire:  faresti 
meglio  a  venir  da  Milano,  ma  pazienza.  »  E  aLiscate,  » 
soggiunse,   «non  si  sapeva  niente  da  Milano?» 

«  Potrebb' essere  benissimo  che  qualchednno  là  sa- 
pesse qualche  cosa,  »  rispose  il  montanaro  :  "  ma  io  non 
ho  sentito  dir  nulla.  » 

E  queste  parole  le  proferì  in  quella  maniera  partico- 
lare che  par  che  voglia  dire  :  ho  fuiito.  Il  curioso  ri- 
tornò al  suo  posto  ;  e,  un  momento  dopo,  Y  oste  venne 
a  mettere  in  tavola. 

«Quanto  c'è  da  qui  all'Adda?»  gli  disse  Renzo, 
mezzo  tra'  denti,  con  un  fare  da  addormentato,  che  gli 
abl»iam  visto  qualche  altra  volta. 

«  All'Adda  per  passare?  »  disse  l'oste. 

«  Cioè sì all'  Adda.  » 

«  Volete  passare  dal  ponte  di  Cassano,  o  sulla  chialta 
di  Canonica?  » 

«  Dove  si  sia  ....  Domando  così  per  curiosità.  » 

«  Eh,  volevo  dire,  perchè  quelli  sono  i  luoghi  dove 
pissano  i  galantuomini ,  la  gente  che  può  dar  conto 
di  sé.  » 

«  Va  bene:  e  quanto  c'è?  » 

«  Fate  conto  che,  tanto  a  un  luogo,  come  all'altro, 
poco  più,  poco  meno,  ci  sarà  sei  miglia.  » 

«  Sei  migliai  non  credevo  tanto,  »  disse  Renzo.  «  E 
già,  »  riprese  poi,  con  un'aria  d'indifferenza,  portala  fino 
all'arfettazione:  e  già,  chi  avesse  bisogno  di  prendere 
una  scorciatoia,  ci  saranno  altri  luoghi  da  poter  pas- 
sare? » 


CAPITOLO   XVI.  301 

«  Ce  n'è  sicuro,  »  rispose  l'oste,  ficcandogli  in  viso 
due  occhi  pieni  d'una  curiosila  maliziosa.  Bastò  questo 
per  far  morir  tra'  denti  al  giovane  l' altre  domande  che 
aveva  preparate,  si  tirò  davanti  il  piatto;  e  guardando  la 
mezzetta  che  l'oste  aveva  posala,  insieme  con  quella, 
sulla  tavola,  disse:  «  il  vino  è  sincero?  " 

«  Come  l'oro,  »  disse  l'oste:  «  domandatene  pure  a 
tutta  le  gente  del  paese  e  del  contorno ,  che  se  n'  in- 
tende: e  poi,  lo  sentirete.  »  E  così  dicendo,  tornò  verso 
la  brigata. 

—  Maledetti  gli  osti!  —  esclamò  Renzo  tra  sé:  — 
[liìi  ne  conosco,  peggio  li  trovo.  —  Non  ostante,  si  mise 
a  mangiare  con  grand' appetito,  stando,  nello  stesso  tempo, 
in  orecchi,  senza  che  paresse  suo  fatto,  per  veder  di  sco- 
prir paese,  di  rilevare  come  si  pensasse  colà  sul  gran- 
d'avvenimento  nel  quale  egli  aveva  avuta  non  piccola 
parte,  e  d'osservare  specialmente  se,  tra  que' parlatori, 
ci  fosse  qualche  galantuomo ,  a  cui  un  povero  figliuolo 
potesse  fidarsi  di  domandar  la  strada,  senza  timore  d' es- 
ser messo  alle  strette,  e  forzalo  a  ciarlare  de' fatti  suoi. 

«  Ma!  »  diceva  uno:  «  questa  volta  par  proprio  che  i 
milanesi  ahhian  voluto  far  davvero.  Basta  ;  domani  al 
più  tardi,  si  saprà  qualcosa.  » 

Mi  pento  di  non  esser  andato  a  Milano  stamattina.  » 
(liceva  un  altro. 

«  Se  vai  domani,  vengo  ancir  io,  »  dissi;  un  ler/.ft;pui 
un  altro,  poi  un  altro. 

«  Quel  che  vorrei  sapere,  »  riprese  il  primo,  «  è  se 
i|ue' signori  di  Milano  penseranno  anche  alla  povera  gente 
di  campagna,  o  se  faranno  far  la  legge  buona  solamente 
per  loro.  Sapete  come  sono  eh?  Cittadini  superbi,  tutto 
per  loro;  gli  altri,  come  se  non  ci  fossero.  " 

«  La  bocca  f  abbiamo  anche  noi,  sia  pi'r  maiigiaiv  , 
sia  per  dir  la  nostra  ragione,  disse  \\n  altro,  con  voce 
tanto  più  modesta,  quanto  più  la  proposizione  l'ia  avan- 
zata :  «  e  (juando  la  cosa  sia  incamminata ....  »  Ma  cre- 
dette meglio  di  non  finir  la  frase. 


302  1    l'HU.MESSl   SPOSI 

«  Del  grano  nascosto,  non  ce  n'è  solamente  in  iMi- 
lano,  »  cominciava  un  altro,  con  un'aria  cupa  (;  mali- 
ziosa; quando  sentono  avvicinarsi  un  cavallo.  Corron  tutti 
all'uscio;  e  riconosciuto  colui  che  arrivava,  gli  vanno 
incontro.  Era  un  mercante  di  Milano,  che,  andando  più 
volte  l'anno  a  Bergamo,  per  i  suoi  trafTichi,  era  solito 
passar  la  notte  in  quell'osteria;  e  siccome  ci  trovava 
quasi  sempre  la  slessa  compagnia,  li  conosceva  lutti.  Gli 
s'affollano  intorno;  uno  prende  la  briglia,  un  altro  la 
staffa.  «  Ben  arrivato,  ben  arrivato  !  » 
«  Ben  trovati.  » 
«  Avete  fatto  buon  viaggio  ?  » 
«  Benissimo;  e  voi  altri,  come  state?  » 
«  Bene.  bene.  Che  nuove  ci  portate  di  Milano  ?  » 
«  Ah  !  ecco  quelli  delle  novità,  »  disse  il  mercanle, 
smontando  e  lasciando  il  cavallo  in  mano  d'un  garzone. 
«  E  poi,  e  poi,  »  continuò,  entrando  con  la  compagnia, 
«  a  quest'  ora  le  salirete  forse  meglio  di  me.  » 

«  Non  sappiamo  nulla,  davvero,  »  disse  pii^i  d'uno, 
mettendosi  la  mano  al  petto. 

«  Possibile?  »  disse  il  mercanle.  «  Dunque  ne  senli- 

rete  delle    belle o  delle  brutte.  Ehi ,  oste ,  il  mio 

letto  solito  è  in  libertà?  Bene:  un  bicchier  di  vino,  e 
il  mio  solito  boccone,  subito,  perchè  voglio  andare  a 
letto  presto,  per  partir  presto  domattina,  e  arrivare  a 
Bergamo  per  l' ora  del  desinare.  E  voi  altri,  »  continuò, 
mettendosi  a  sedere,  dalla  parte  opposta  a  quella  dove 
stava  Renzo,  zitto  e  attento,  «  voi  altri  non  sapete  di 
tutte  quelle  diavolerie  di  ieri?  » 
«  Di  ieri  sì.  » 

«  Vedete  dunque,  »  riprese  il  mercante,  «  se  le  sa- 
pete le  novità.  Lo  dicevo  io,  che  stando  qui  sempre  di 

guardia,  per  frugar  quelli  che  passano « 

«  Ma  oggi,  com'è  andata  oggi?  » 

«  Ah  oggi.  Non  sapete  niente  d'oggi?  » 

«  Niente  affatto:  non  è  passato  nessuno.  » 

«  Dunque  lasciatemi  bagnar  le  labbra;  e  poi  vi  dirò 


tlAPlTOLU    XVI.  303 

le  cose  d'oggi.  Sentirete.  »  Empi  il  bicchiere,  lo  prese 
con  una  mano,  poi  con  le  due  prime  dita  dell'  altra  sol- 
levò i  lìafìì,  poi  si  lisciò  la  barba,  bevette,  e  riprese: 
«  oggi,  amici  cari,  ci  mancò  poco,  che  non  fosse  una 
giornata  brusca  come  ieri,  o  peggio.  E  non  mi  par  quasi 
vero  d'esser  qui  a  chiacchierar  con  voi  altri;  perchè 
avevo  già  messo  da  parte  ogni  pensiero  di  viaggio,  per 
restare  a  guardar  la  mia  povera  bottega.  » 

«  Che  diavolo  c'era?»  dissenno  degli  ascoltanti. 

«  Proprio  il  diavolo  :  sentirete.  »  E  trinciando  la  pie- 
tanza che  gii  era  stata  messa  davanti,  e  poi  mangiando, 
continuò  il  suo  racconto.  I  compagni,  ritti  di  qua  e  di 
là  della  tavola,  lo  stavano  a  sentire,  con  la  hocca  aperta; 
Renzo,  al  suo  posto,  senza  che  paresse  suo  fallo,  slava 
attento,  forse  piìi  di  tutti,  maslicando  adagio  adagio  gli 
ultimi  suoi  bocconi. 

«  Stamattina  dunque  que'  birboni  che  ieri  avevano  fatto 
([nel  chiasso  orrendo,  si  trovarono  a' posli  convenuti  (già 
c'era  un' inlelligenza:  tulle  cose  preparate);  si  riuni- 
rono, e  ricominciarono  quella  bella  storia  di  girare  di 
strada  in  strada,  gridando  per  tirar  altra  gente.  Sapete 
che  e  come  quando  si  spazza,  con  riverenza  parlando, 
la  casa;  il  mucchio  del  sudiciume  ingrossa  quanto  più 
va  avanli.  Quando  parve  loro  d'esser  genie  abbaslanza, 
s'avviarono  verso  la  casa  del  signor  vicario  di  provvi- 
sione; come  se  non  bastassero  le  tirannie  che  gli  hanno 
rall(>,  ieri:  a  un  signore  di  (luella  sorte!  oh  che  birboni! 
K  la  roba  che  dicevan  contro  di  lui!  Tutte  invenzioni: 
un  signor  dabbene,  puntuale;  e  io  lo  posso  dire,  che  son 
tulio  di  casa,  e  lo  servo  di  panno  per  le  livree  della 
servila.  S' iiicamminaron  dunque  verso  quella  casa:  bi- 
sognava veder  che   canaglia,  che   facce;  figuralevi  che 

son  passali  davanti  alla  mia  bottega:   facce  che i 

giudei  della  Via  Crucis  non  ci  son  per  nulla.  E  le  cose 
che  uscivan  da  quelle  bocche!  da  turarsene  gli  orecchi, 
se  non  fosse  stalo  che  non  toi'nava  conio  dì  farsi  scoi-- 
gen*.  Andavan  dunque  con  la  buona  inlenzione  di  dare 


204  1   PROMESSI  SPOSI 

il   sacco;  ma »  E  qui,  alzala  in  aria,  e  >^lesa   la 

mano  sinistra,  si  mise  la  punta  del  pollice  alia  pnnta 
del  naso. 

«  Ma?  »   dissero  forse  lutti  gli  a.scoltatori. 

«Ma,  »  continuò  il  mercante,  «  trovaron  la  strada 
chiusa  con  travi  e  con  carri,  e,  dietro  quella  barricala, 
una  bella  fila  di  michcletti ,  con  gli  archibusi  spianati 
per  riceverli  come  si  meritavano.  Quando  vid(>ro  questo 
beli'  apparato Cosa  avreste  fatto  voi  altri  ?  » 

«  Tornare  indietro.  » 

«  Sicuro;  e  cosi  fecero.  Ma  vedete  un  poco  se  non 
era  il  demonio  die  li  portava.  Son  li  sul  Cordusio,  vc- 
don  lì  quel  forno  che,  fin  da  ieri ,  avevan  voluto  sac- 
cheggiare ;  e  cosa  si  faceva  in  quella  bottega  ?  si  distri- 
buiva il  pane  agli  avventori;  c'era  de'cavaUeri,  e  fior 
di  cavalieri,  a  invigilare  che  tutto  andasse  bene;  e  co- 
storo (avevano  il  diavolo  addosso  vi  dico,  e  poi  c'era 
chi  gii  aizzava)  costoro,  dentro  come  disperati;  piglia  tu, 
che  piglio  anch'io:  in  un  batter  d'occhio,  cavalieri, 
fornai,  avventori,  pani,  banco,  panche,  madie,  casse,  sac- 
chi, frulloni,  crusca,  farina,  pasta,  tutto  sottosopra.  » 

«  E  i  micheletti  ?  » 

«  I  micheletti  avevan  la  casa  del  vicario  da  guardare: 
non  si  può  cantare,  e  portar  la  croce.  Fu  in  un  bat- 
ter d'occhio,  vi  dico:  piglia  piglia;  tutto  ciò  che  c'era 
buono  a  qualcosa,  fu  preso.  E  poi  torna  in  campo  quel 
liei  ritrovato  di  ieri,  di  portare  il  resto  sulla  piazza,  e 
di  farne  una  fiammata.  E  già  cominciavano,  i  mani- 
goldi, a  tirar  fuori  roba:  quando  uno  più  manigoldo 
degli  altri,  indovinate  un  po'  con  che  bella  proposta  venne 
fuori.  » 

«  Con  che  cosa?  » 

«  Di  fare  un  mucchio  di  tallo  nella  bottega,  e  di  dar 
fuoco  al  mucchio  e  alla  casa  insi{Miie.  DiMIo  fallo....» 

«  Ci  han  dalo  fuoco?  » 

«  Aspettate.  Un  galantuomo  del  vicinato  ebbe  un'  ispi- 
razione dal  cielo.  Corse  su  nelle  stanze,  cercò  d' un  Cro- 


CAPITOLO  XVI.  30rS 

cifisso.  lo  trovò,  r  attaccò  all' archetto  (runa  fuKstra, 
prese  da  capo  d'un  letto  due  candele  benedette,  le  accese, 
e  le  mise  sul  davanzale  ,  a  destra  e  a  sinistra  del  Cro- 
cifìsso. La  gente  guarda  in  su.  In  un  Milano,  bisogna 
dirla,  c'è  ancora  del  timor  di  Dio;  tutti  tornarono  in 
sé.  La  più  parte,  voglio  dire;  c'era  bensì  de' diavoli  che, 
per  rullare,  avrebbero  dato  fuoco  anche  al  paradiso;  mi 
visto  che  la  gente  non  era  del  loro  parere,  dovei  loro 
.smettere  e  star  cheti.  Indovinate  ora  chi  arrivò  all'im- 
provviso. Tutti  i  monsignori  del  duomo,  in  processione, 
a  croce  alzala,  in  abito  corale:  e  monsignor  Mazenta,  ar- 
ciprete, cominciò  a  predicare  da  una  parte,  e  monsignor 
Settata,  penitenziere,  da  un'  altra^  e  gli  altri  anche  loro; 
ma,  brava  gente!  ma  cosa  volete  fare?  ma  è  questo  l'e- 
.sempio  che  date  a' vostri  figliuoli?  ma  tornate  a  casa  ;  ma 
non  sapete  che  il  pane  è  a  buon  mercato,  pii^i  di  prima? 
ma  andate  a  vedere ,  che  e'  è  l'avviso  sulle  cantonate.  » 
«  Era  vero?  » 

«  Diavolo!  Volete  che  i  monsignori  del  duomo  venis- 
sero in  cappa  magna  a  dir  delle  fandonie?  » 
«  E  la  gente  cosa  fece?  » 

«  A  poco  a  poco  se  n'andarono;  corsero  alle  canto* 
nate;  e,  chi  sapeva  leggere,  la  c'era  proprio  la  meta.  In- 
dovinale un  poco:  un  pane  d'ott'once,  per  un  soldo.  » 
«  Che  bazza!   « 

«  La  vigna  è  bella;  pur  che  la  duri.  Sapete  quanta 
farina  hanno  mandata  a  male,  tra  ieri  e  stamattina?  Da 
mantenerne  il  ducato  per  due  mesi.  » 

«  E  per  fuori  di  Milano,  non  s'è  fatta  nessuna  legge 
buona?  » 

«  Quel  che  s'  è  fatto  per  Milano,  è  tutto  a  spese  della 
città.  Non  so  che  \i  dire:  per  voi  altri  sarà  quel  che  Dio 
vorrà.  A  buon  conto,  i  fracassi  son  finiti.  Non  v'  ho  detto 
tutto;  ora  viene  il  buono.  » 
«  Cosa  c'è  ancora?  » 

«  C  è  che  icr  .sera  o  stamattina  che  sia,  ne  sono  stati 
agguantati  molti;  e  subito  s'è  saputo  die  i  capi  saranno 
voL.  1.  :  V 


300  I   PROMESSI  SPOSI 

impiccali.  Appona  cominciò  a  spargersi  questa  voce,  ognu- 
no andava  a  casa  per  la  più  corta,  per  non  arrischiare 
d'esser  nel  numero.  Milano,  quand'io  ne  sono  uscito,  pa- 
reva un  convento  di  frati,  j 

«  or  impiccheranno  poi  davvero?  » 

«  Eccome!  e  presto,  "   rispose  il  mercante. 

«  E  la  gente  cosa  farà?  »  domandò  ancora  colui  che 
aveva  fatto  V  altra  domanda. 

«  La  gente?  anderà  a  vedere,  »   disse  il  mercante. 

8  Avevan  tanta  voglia  di  veder  morire  un  cristiano 
all'aria  aperta,  che  volevano,  birboni!  far  la  festa  al  si- 
gnor vicario  di  provvisione.  In  vece  sua,  avranno  quattro 
tristi,  serviti  con  tutte  le  formalità,  accompagnati  da'  cap- 
puccini; e  da'  confratelli  della  buona  morte;  e  gente  che 
se  r  è  meritato.  È  una  provvidenza,  vedete  ;  era  una  cosa 
necessaria.  Cominciavan  già  a  prender  il  vizio  d'  entrar 
nelle  botteghe,  e  di  servirsi,  senza  metter  mano  alla  borsa  ; 
se  li  lasciavan  fare,  dopo  il  pane  sarebbero  venuti  al 
vino,  e  così  di  mano  in  mano . . ,  Pensate  se  coloro  vo/ 
levano  smettere,  di  loro  spontanea  volontà,  una  usanza 
così  comoda.  E  vi  so  dir  io  che,  per  un  galantuomo  che 
ha  bottega  aperta,  era  un  pensier  poco  allegro.  » 

«  Davvero,  «  disse  uno  degli  ascoltatori.  »  Davvero ,  » 
ripeteron  gli  altri,  a  una  voce. 

«  E ,  D  continuò  il  mercante,  asciugandosi  la  barba 
col  tovagliolo,  «  l'era  ordita  da  un  pezzo:  c'era  una  lega, 
sapete?  » 

»  C'era  una  lega?  » 

«  C'era  una  lega.  Tutte  cabale  ordite  da' navarrini, 
da  quel  cardinale  là  di  Francia,  sapete  chi  voglio  dire, 
che  ha  un  certo  nome  mezzo  turco,  e  che  ogni  giorno 
ne  pensa  una ,  per  far  qualche  dispetto  alla  corona  di 
Spagna.  Ma  sopra  tutto,  tende  a  far  qualche  tiro  a  Mi- 
lano; perchè  vede  bene,  il  furbo,  che  qui  sta  la  forza 
del  re.  » 

«  Già.  » 

«  Ne  volete  una  prova?  Chi  ha  fatto  il  più  gran  chias- 


CAPITOLO   XVl,  307 

SO,  eran  forestieri  ;  andavano  in  giro  facce ,  che  in  Mi- 
lano non  s'eran  mai  vedute.  Anzi  mi  dimenticativo  di 
dirvene  una  che  nV  è  stata  data  per  certa.  La  giuslizia 
aveva  acchiappato  uno  in  un'osteria  . . . ,»  Renzo,  il  ijuale 
non  perdeva  un  elte  di  quel  discorso,  al  tocco  di  ({ue- 
sla  corda,  si  senti  venir  freddo,  e  diede  un  guizzo,  prima 
che  potesse  pensare  a  contenersi.  Nessuno  però  se  n'  av- 
vide ;  e  il  dicitore,  senza  interrompere  il  fdo  del  racconto, 
seguitò:'! uno  che  non  si  sa  hene  ancora  da  che  parte 
fosse  venuto,  da  chi  fosse  mandato,  ne  che  razza  d' uomo 
si  fosse  ;  ma  certo  era  uno  de  capi.  Già  ieri,  nel  forte 
del  baccano,  aveva  fatto  il  diavolo;  e  poi.  non  contento 
di  questo,  s'era  messo  a  predicare,  e  a  proporre,  così 
una  galanteria,  che  s'ammazzassero  tutti  i  signori.  Bir- 
bante! Chi  farebbe  viver  la  povera  gente,  (piando  i  si- 
gnori fossero  ammazzali?  La  giustizia,  che  l'aveva  ap- 
postato, gli  mise  l'unghie  addosso;  gli  trovarono  un 
fascio  di  lettere;  e  lo  menavano  in  gabbia;  ma  che?  i 
suoi  compagni,  che  facevan  la  ronda  intorno  all'oste- 
ria, vennero  in  gran  numero,  e  lo  liljerarono,  il  mani- 
goldo. -0 

«  E  cosa  n'  è  slato  ?  > 

«  Non  si  sa;  sarà  scappato,  o  sarà  nascosto  in  Milano: 
son  gente  che  non  ha  nò  casa  nò  tetto,  e  trovan  per 
tutto  da  alloggiare  e  da  rintanarsi:  però  finché  il  dia- 
volo può,  e  vuole  aiularli:  ci  dan  poi  dciilro  (piando 
meno  se  lo  pensano;  perclu"',  (juando  la  pera  è  matura, 
convien  che  caschi.  Per  ora  si  sa  di  sicuro  che  le  let- 
tere son  rimaste  in  mano  della  giustizia,  e  che  e' è  de- 
scritta lulia  la  cabala;  e  si  dice  che  n' anderà  dimezzo 
molta  gei»le.  Peggio  per  loro;  che  hanno  messo  a  soq- 
quadro ni(!zzo  Milano,  e  voUnano  anche  far  peggio.  Di- 
cono che  i  fornai  son  birboni.  Lo  so  anch'io;  ma  biso- 
gna impiccarli  per  via  di  giustizia.  Ci'  del  grano  na- 
scosto. Chi  non  lo  sa?  Ma  tocca  a  chi  comanda  a  tener 
buone  spie,  e  andarlo  a  disollerrare,  e  mandare  anche 
gì'  incettatori  a  dar  calci  all'aria  in  compagnia  de'  tu  iiai. 


;ÌO(S  1    1>I{0MESSI    SPOSI,    C.\1'1T()I,0   XVI. 

E  se  chi  comanda  iioii  l'ii  nulla,  locca  alla  cillà  a  ricorrere: 
e  se  non  danno  rella  alla  prima,  ricorrere  ancora:  che  a 
forza  (U  ricorrere  s'olliene;  e  non  metter  su  niT  usanza 
cosi  scellei'ata  d' entrar  nelle  holteghe  e  ne' fondachi,  a 
l)i'eiuler  la  l'oba  a  man  salva.  » 

A  Renzo  quel  poco  mangiare  era  andato  in  tanto  ve- 
leno. GU  pareva  mill'anni  d'esser  fuori  e  lontano  da 
quell'osteria,  da  quel  paese;  e  più  di  dieci  volte  aveva 
detto  a  se  stesso:  andiamo,  andiamo.  Ma  quella  paura 
di  dar  sospetto,  cresciuta  allora  oltremodo,  e  fatta  tiranna 
di  tutti  i  suoi  pensieri,  l'aveva  tenuto  sempre  incliio- 
dato  sulla  panca.  In  quella  perplessità,  pensò  che  il  ciar- 
lone doveva  poi  finire  di  parlar  di  lui  ;  e  concluse  tra 
sé,  di  moversi,  appena  sentisse  attaccare  qualclie  altro 
discorso. 

«  E  per  questo,  »  disse  uno  della  brigata,  «  io  che  so 
come  vanno  queste  faccende,  e  che  ne'  tumulti  i  galan- 
tuomini non  ci  stanno  bene,  non  mi  son  lascialo  vincere 
dalla  curiosità,  e  son  rimasto  a  casa  mia.  » 

«  E  io,  mi  son  mosso?»  disse  un  altro. 

«  Io?  »  soggiunse  un  terzo:  i  se  p(!r  caso  mi  fossi 
trovalo  in  Milano,  avrei  lasciato  imperfetto  qualuncjue 
affare,  e  sarei  tornato  subito  a  casa  mia.  Ho  moglie  e 
figliuoli;  e  poi,  dico  la  verità,  i  baccani  non  mi  piac- 
ciono. » 

A  questo  punto,  roste,  ch'era  stato  anche  lui  a  sen- 
tire, andò  verso  Tal  tra  cima  della  tavola,  per  veder  cosa 
faceva  quel  forestiero,  Renzo  colse  l'occasione,  chiamò 
l'oste  con  un  cenno,  gli  chiese  il  conto,  lo  saldò  senza 
tirare,  quantunque  l'acque  fossero  mollo  basse  ;  e,  senza 
far  altri  discorsi,  andò  diritto  all'  uscio,  passò  la  stiglia, 
e,  a  gnida  della  Provvidenza,  s'incamminò  dalla  parte 
opposta  a  i[iiclla  per  cui  era  venuto. 


CAPITOLO  XVII. 


Hn^la  sposso  una  voulia,  pnr  non  lasciar  ben  avere 
un  nomo;  pensale  poi  dne  alla  volta,  1' nna  in  guerra 
coir  altra.  Il  povero  Rcn/.o  n'aveva,  da  molle  ore,  due 
tali  in  corpo,  come  sapete:  la  voglia  di  correre,  e  quella 
di  star  nascosto:  e  le  sciagurate  parole  del  mercante  gli 
avevano  accn^sciula  oltremodo  l'una  e  l'altra  a  un  colpo. 
Dnnrpie  la  sua  avventura  aveva  fatto  chiasso;  dunque  lo 
volevano  a  ([ualunque  patto;  chi  sa  (pianti  birri  erano 
in  campo  p(!r  dargli  la  cacciai  quali  ordini  erano  stati 
.spediti  di  frugar  ne' paesi,  nell'osterie,  per  le  strade! 
Pensava  bensì  che  finalmente  i  birri  che  lo  conoscevano 
eran  due  soli,  e  che  il  nome  non  lo  portava  scritto  in 
fronte;  ma  gli  tornavano  in  mente  certe  storie  che  aveva 
sentile  raccontare,  di  fnggilivi  colti  e  scoperti  per  istrane 
combinazioni,  riconosciuti  all'andare,  all' aria  sospettosa, 
ad  altri  segnali  impensali  :  lutto  gli  faceva  ombra.  Quan- 
tunque, nel  momento  che  usciva  di  Gorgonzola,  scoccas- 
sero le  ventiqnallro,  e  1(^  tenebre  che  venivano  innanzi, 
diminuissero  sempre  |>iii  que' pericoli,  ciò  non  ostante 
prese  contro  voglia  la  sli'ada  maestra,  e-  si  propose  d'en- 
trar nella  prima  viottola   che  gli   paresse   condur  dalla 


;V10  i    PROMESSI   SPOSI 

[larlc  (love  ,uii  pivincva  di  riuscire.  Sul  principio,  incon- 
trava (luaiclic  viandanti';  ma,  pieno  la  fantasia  di  quelle 
l)rultc  apprensioni,  non  ebi)e  cuore  d'aldìoi'darne  nes- 
suno, per  informarsi  della  strada.  —  Ha  detto  sei  mi- 
glia, colui,  —  pensava:  —  se  andando  fuor  di  strada, 
dovessero  anche  diventar  otto  o  dieci,  le  gambe  che 
hanno  fatte  V  altre,  faranno  anche  queste.  Verso  Milano 
non  vo  di  certo-,  dunque  vo  verso  l'Adda.  Cammina, 
cammina,  0  presto  o  lardi  ci  arriverò.  L'Adda  ha  buona 
voce;  e,  quando  le  sarò  vicino,  non  ho  più  bisogno  di 
chi  me  l' insegni.  Se  qualche  barca  c'è  da  poter  passare, 
passo  subito;  altrimenti  mi  fermerò  sino  alla  mattina,  in 
un  campo,  sur  una  pianta,  come  le  passere:  meglio  sur 
una  pianta,  che  in  prigione.  — 

Ben  presto  vide  aprirsi  una  straducola  a  mancina  ;  e 
v'entrò.  A  quell'ora,  se  si  fosse  abbattuto  in  (pialche- 
duno,  non  avrebbe  più  fatte  tante  cerimonie  per  farsi 
insegnar  la  strada  ;  ma  non  sentiva  anima  vivente.  An- 
dava dunque  dove  la  strada  lo  conduceva;  e  pensava. 

—  Io  fare  il  diavolo!  Io  ammazzare  tutti  i  signori! 
Un  fascio  di  lettere,  io!  I  miei  compagni  che  mi  stavano 
a  far  la  guardia!  Pagherei  (jiialche  cosa  a  trovarmi  a  viso 
a  viso  con  quel  mercante,  di  là  dall' Adda  (ah  quando 
l'avrò  passala  quest'Adda  benedetta!),  e  fermarlo,  e 
domandargli  con  comodo  dov'abbia  pescate  tutte  quelle 
belle  notizie.  Sappiate  ora,  mio  caro  signore,  clic  la  cosa 
e  andata  cosi  e  cosi,  e  che  il  diavolo  eh'  io  ho  fatto,  è 
slato  d'aiutar  Ferrer,  come  se  fosse  stato  un  mio  fra- 
tello; sappiate  che  que' birboni  che  a  sentir  voi,  erano 
i  miei  amici,  perchè  in  un  certo  momento,  io  dissi  una 
parola  da  buon  cristiano ,  mi  vollero  fare  un  brutto 
scherzo;  sappiate  che,  intanto  che  voi  stavate  a  guardar 
la  vostra  bottega,  io  mi  faceva  schiacciar  le  costole,  per 
salvare  il  vostro  signor  vicario  di  provvisione,  che  non 
r  ho  mai  nò  visto  né  conosciuto.  Aspetta  che  mi  mova 
un'altra  volta,  per  aiutar  signori . . . .  É  vero  che  biso- 
gna farlo  per  l'anima:  son  prossimo  anche  loro.  E  quel 


CAPITOLU   XVII.  311 

gran  fascio  di  lettere,  dove  c'era  tutta  la  cabala,  e  che 
adesso  è  iti  mano  della  giustizia ,  come  voi  sapete  di 
certo;  scomnieliiamo  che  ve  lo  fo  comparir  qui,  senza 
l'aiuto  del  diavolo?  Avreste  curiosità   di  vederlo  ({ael 

fascio?  Eccolo  qui ....  Una  lettera  sola? Si  signore, 

una  lettera  sola;  e  questa  lettera,  se  lo  volete  sapere, 
r  ha  scritta  un  religioso  che  vi  può  insegnar  la  dottrina, 
quando  si  sia;  un  religioso  che,  senza  farvi  torto,  vai 
più  un  pelo  della  sua  barba  che  tutta  la  vostra;  e  è  scritta, 
quesla  lettera,  come  vedete,  a  un  altro  religioso,  un  uomo 

anche  lui Vedete  ora  quali  sono  i  furfanti  miei  amici. 

E  imparate  a  parlare  un'altra  volta;  principalmente 
quando  si  tratta  del  prossimo.  — 

Ma  dopo  qualche  tempo ,  (juesti  pensieri  ed  altri  si- 
mili cessarono  affatto:  le  circoslanze  presenti  occupavan 
tutte  le  facoltà  del  povero  pellegrino.  La  paura  d'essere 
inseguito  o  scoperto,  che  aveva  tanto  amareggialo  il  viag- 
gio in  pieno  giorno,  non  gli  dava  ormai  più  fastidio,  ma 
quante  cose  rendevan  questo  molto  più  noioso!  Le  te- 
nebre, la  solitudine,  la  stanchezza  cresciuta,  e  ormai  do- 
lorosa; tirava  una  brezzolina  sorda,  uguale,  sottile,  che 
doveva  far  poco  servizio  a  chi  si  trovava  ancora  indosso 
quegli  stessi  vestiti  che  s'era  messi  per  andare  a  nozze 
in  quattro  salti,  e  tornare  subito  trionfante  a  casa  sua  ; 
e,  ciò  che  rendeva  ogni  cosa  più  grave,  quell'andare 
alla  ventura,  e  per  dir  cosi,  al  tasto,  cercando  un  luogo 
di  riposo  e  di  sicurezza. 

Quando  s'abbatteva  a  passare  per  qualche  paese,  an- 
dava adagio  adagio,  guardando  però  se  vi  fosse  ancora 
qualche  uscio  aperto  ;  ma  non  vide  mai  altro  segno  di 
gente  desta,  che  (pialche  himicino  trasparenle  da  qual- 
che inqìaiinata.  Nella  slrada  fuor  delT  ahilalo,  si  sulìer' 
mava  ogni  tanto;  stava  in  orecchi,  per  veiler  se  sentiva 
quella  benedetta  voce  dell'Adda;  ma  invano.  Al  tic  voci 
non  sentiva,  che  un  mugolìo  di  cani,  che  veniva  da 
qualche  cascina  isolala,  vagaiulo  per  Paria,  lanicnlcvolc 
insieme  e  minaccioso.  Al  suo  avvicinarsi  a  qualchcduna 


:II2  1    IMìO.MESSl    SPOSI. 

dì  (indio,  il  mugolìo  si  cambiava  in  nn  alibiiiar  frolln- 
loso  e  rabbioso:  nel  pa>;?ar  davanli  alla  porla,  sentiva, 
vptbn'a  quasi,  il  bosijone,  col  muso  al  fcssolino  della 
])orla,  ra(l(lop]ìiar  ali  urli:  cosa  cbe  gli  faceva  andar  via 
la  Icniazionc  di  piccbiarc,  (3  di  cbioder  ricovero.  E  forse, 
anche  senza  i  cani,  uon  ci  si  sarebbe  risolto.  —  Chi  è 
là?  —  pensava:  —  cosa  volete  a  quesC  ora?  Come  siete 
venuto  rpii?  Fatevi  conoscere.  Non  c'è  osterie  da  allog- 
giare? Ecco,  andandomi  bene,  quel  clic  mi  diranno,  se 
picchio:  quand'  anche  non  ci  do^nia  qualclie  pauroso 
che,  a  buon  conto,  si  metta  a  grillare:  aiuto!  al  ladro! 
Bisogna  aver  subito  qualcosa  di  chiaro  da  rispondere: 
e  cosa  ho  da  rispondere  io?  Chi  sente  un  rumori^  la 
notte,  non  gli  viene  in  testa  altro  che  ladri,  malviventi, 
trappole;  non  si  pensa  mai  che  un  galantuomo  possa 
trovarsi  in  istrada  di  notte,  se  non  è  un  cavaliere  in 
carrozza.  —  Allora  serbava  quel  partito  all'  estrema  ne- 
cessità, e  tirava  innanzi,  colla  speranza  di  scoprire  al- 
meno l'Adda,  se  non  passarla,  in  quella  notte;  e  di  non 
dover  andarne  alla  cerca,  di  giorno  chiaro. 

Cammina,  cammina;  arrivò  dove  la  campagna  coltivata 
moriva  in  una  sodaglia  sparsa  di  felci  e  di  scope.  Gli 
parve,  se  non  indizio,  almeno  un  certo  qual  argomento 
di  fiume  vicino,  e  s'inoltrò  per  quella,  seguendo  un 
sentiero  che  l'attraversava.  Fatti  pochi  passi,  si  fermò 
ad  ascoltare  ;  ma  ancora  invano.  La  noia  del  viaggio  ve- 
niva accresciuta  dalla  selvatichezza  del  luogo,  da  (juel 
non  veder  più  né  un  gelso,  né  una  vite,  nò  altri  segni 
di  coltura  umana,  che  prima  pareva  quasi  che  gli  fa- 
cessero una  mezza  compagnia.  Ciò  non  ostante  andò 
avanti;  e  siccome  nella  sua  mente  cominciavano  a  susci- 
tarsi certe  immagini,  certe  apparizioni,  lasciatevi  in  serbo 
dalle  novelle  sentite  raccontar  da  bambino,  cosi,  per  di- 
scacciarle, 0  per  acquietarle,  recitava,  camminando,  del- 
l'orazioni per  i  morti. 

A  poco  a  poco,  si  trovò  tra  macchie  più  alte,  di  pruni, 
di  (piorciolij  di  marruche.  Seguitando  a  andare    avanti. 


CAPITOLO   XVII  ol3 

e  allungando  il  passo,  con  più  impazienza  che  voglia, 
cominciò  a  veder  tra  le  macchie  qualche  alhero  sparso, 
e  andando  ancora,  sempre  per  lo  stesso  sentiero,  s'ac- 
corse d' entrare  in  un  bosco.  Provava  un  certo  rii)rezzo 
a  inoltrarvisi;  ma  lo  vinse,  e  controvoglia  andò  avanti; 
ma  più  che  s' inoltrava,  più  il  ribrezzo  cresceva,  più  ogni 
cosa  gli  dava  fastidio.  Gli  alberi  che  vedeva  in  lonta- 
nanza, gli  rappresenlavan  figure  strane,  deformi,  mo- 
struose; l'annoiava  l'ombra  delle  cime  leggermente  agi- 
tate, che  tremolava  sul  sentiero  illuminato  qua  e  là  dalla 
luna  ;  lo  stesso  scrosciar  delle  foglie  secche  che  calpestava 
0  moveva  camminando,  aveva  per  il  suo  orecchio  un 
non  so  che  d' odioso.  Le  gambe  provavano  come  una 
smania,  un  impulso  di  corsa,  e  nello  stesso  tempo  pa- 
reva che  durassero  fatica  a  regger  la  persona.  Sentiva 
la  brezza  notturna  batter  più  rigida  e  maligna  sulla 
fronte  e  sulle  gote;  se  la  sentiva  scorrer  tra  i  panni  e 
le  carni,  e  raggrinzarle,  e  penetrar  più  acuLa  nelle  ossa 
rotte  dalla  stanchezza,  e  spegnervi  quel!' ultimo  rimasu- 
glio di  vigore.  A  un  certo  punto,  quell'uggia,  quell'or- 
rore indefinito  con  cui  l'animo  combatteva  da  qualche 
tempo,  parve  che  a  un  tratto  lo  soverchiasse.  Era  per 
perdersi  affatto  ;  ma  atterrito ,  più  che  d' ogni  altra 
cosa,  del  suo  terrore,  richiamò  al  cuore  gli  antichi  spi- 
riti, e  gli  comandò  che  reggesse.  Così  rinfrancalo  un 
momento,  si  fermò  su  due  piedi  a  deliberare;  e  risol- 
veva d'uscir  subito  di  li  per  la  strada  già  fatta,  d'  andar 
diritto  all'ultimo  i)aes(3  per  cui  era  passato,  di  ritornar 
fra  gli  nomini,  e  di  cei'care  un  ricovero,  anche  all' oste- 
ria. K  stando  così  fermo,  sospesoli  fruscio  de' [liet  li  nel 
fogliame,  tutto  tacendo  d' intorno  a  lui,  cominciò  a  sen- 
tire un  mormorio  (rac((ua  corrente.  StQ  in  orecchi;  nv 
certo;  (esclama:  «  è  l'Adda!  »  Fu  il  ritrovamento  d'un 
amico,  (Tun  fratello,  d'un  salvatore.  La  stanchezza  (piasi 
scomparve,  gli  tornò  il  polso,  sentì  il  sangue  scorrer  II- 
b(;ro  e  tepido  per  tulle  le  vene,  senli  rrescer  la  llilncia 
de' pensieri,  e  svanire  in    gran   parli-  quell"  incertezza   e 

VOL.  I.  Il 


14  I   PROMESSI  SPOSI 

gravila  delle  cose;  e  non  esitò  a  internarsi  sempre  più 
nel  bosco,  dietro  all'amico  rumore. 

Arrivò  in  pochi  momrnli  all' estremità  del  piano,  sul- 
Torlo  d'una  riva  profonda;  e  guardando  in  giù  tra  le 
macchie  che  tutta  la  rivestivano,  vide  l'acqua  luccicare  e 
correre.  Alzando  poi  lo  sguardo,  vide  il  vasto  piano  del- 
l'altra  riva,  sparso  di  paesi,  e  al  di  là  i  colli,  e  sur  uno 
di  quelli  una  gran  macchia  biancastra,  che  gli  parve  do- 
ver essere  una  città,  Bergamo  sicuramente.  Scese  un  po' 
sul  pendìo,  e,  separando  e  diramando,  con  le  mani  e  con 
le  braccia,  il  prunaio,  guardò  giù,  se  qualche  barchetta 
si  movesse  nel  fiume,  ascollò  se  sentisse  batter  de'  remi  ; 
ma  non  vide  né  sentì  nulla.  Se  fosse  stato  (jualcosa  di 
meno  dell'Adda,  Renzo  scendeva  subito,  per  tentarne  il 
guado;  ma  sapeva  bene  che  l'Adda  non  era  fiume  da 
trattarsi  così  in  confidenza. 

Perciò  si  mise  a   consultar  tra  sé,  mollo  a  sangue 
freddo,  sul  partito  da  prendere.  Arrampicarsi  sur  una 
pianta,  e  star  lì  a  aspettar  l'aurora,  per  forse  sei  ore 
che  poteva  ancora  indugiare,  con  quella  brezza,  con  quella 
brina,   vestito  così,  c'era  più  che  non   bisognasse  per 
intirizzir  davvero.  Passeggiare  innanzi  e  indietro  tutto 
((uel  tempo ,  oltre  che  sarebbe  stalo  poco  efficace  aiuto 
contro  il  rigore  del  sereno,  era  un  richieder  troppo  da 
(|uelle  povere  gambe,  che  già  avevano  fatto  più  del  loro 
dovere.  Gli  venne  in  mente  d'aver  veduto,  in  uno  de' 
campi  più  vicini  alla  sodaglia,   una  di  quelle  capanne 
coperte  di  paglia,  costruite  di  tronchi  e  di  rami,  into- 
nacali poi  con  la  mota,  dove  i  conladini   del  milanese 
usan,  l'estate,  depositar  la  raccolta,  e  ripararsi  la  noit(! 
a  guardarla:  nell'altre  stagioni,  rimangono  abbandonate. 
La  disegnò  subito  per  suo  albergo;  si  rimise  sul  sen- 
tiero, ripassò  il  bosco,  le  macchie,  la  sodaglia;  e  andò 
verso  la  capanna.  Un  usciaccio  intarlato  e  sconnesso,  era 
rabbattuto,  senza  chiave  ne  catenaccio;  Renzo  l' aprì,  en- 
trò; vide  sospeso  per  aria,  e  sostenuto  da  ritorte  di  rami, 
un  graticcio,  a  foggia  d"  liamac  :  ma  non  si  curò  di  sa- 


CAPITOLO  XVII.  315 

lirvi.  Vide  in  terra  un  po'  di  paglia:  e  pensò  che  anche 
lì,  una  dormii  ina  sarebbe  ben  saporita. 

Prima  però  di  sdraiarsi  su  quel  letto  che  la  Provvi- 
denza gli  aveva  preparato,  vi  s' inginocchiò,  a  ringraziarla 
di  quel  benefizio,  e  di  tutta  l'assistenza  che  aveva  avuta 
da  essa,  in  quella  terribile  giornata.  Disse  poi  le  sue 
solite  divozioni;  e  per  di  più,  chiese  perdono  a  Dome- 
neddio  di  non  averle  dette  la  sera  avanti,  anzi  per  dir  le 
sue  parole,  d'essere  andato  a  dormire  come  un  cane,  e 
peggio.  —  E  per  questo  —  soggiunse  poi  tra  se  ;  appog- 
giando le  mani  sulla  paglia,  e  d'inginocchioni  metten- 
dosi a  giacere:  —  per  questo,  m'è  toccata,  la  mattina, 
(luella  bella  svegliata.  —  Raccolse  poi  tutta  la  paglia  che 
rimaneva  all'  intorno,  e  se  l' accomodò  addosso,  facendo- 
sene, alla  meglio,  una  specie  di  coperta,  per  temperare  il 
freddo,  che  anche  là  dentro  si  faceva  sentir  molto  bene; 
e  vi  si  rannicchiò  sotto,  con  V  intenzion(?  di  dormire  un 
bel  sonno,  parendogli  d^uerio  comprato  anche  più  caro 
del  dovere. 

Ma  appena  ebbe  ciiiusl  gli  occhi,  cominciò  nella  sua 
memoria  o  nella  sua  fantasia  (il  luogo  preciso  non  ve 
lo  saprei  dire),  cominciò,  dico,  un  andare  e  venire  di 
gente,  cosi  alTollato,  cosi  incessante,  che  addio  sonno.  Il 
mercante,  il  notaio,  i  birri,  lo  spadaio,  l'oste,  Ferrer,i 
vicario,  la  brigata  dell' osteria,  tutta  quella  turba  delle 
strade,  poi  don  Abbondio,  poi  don  Rodrigo:  tutta  gente 
con  cui  Renzo  aveva  che  dire. 

Tre  sole  immagini  gli  si  presentavano  non  accompa- 
gnate da  alcuna  memoria  amara,  ncllf  d'ogni  sospetto, 
amabili  in  lutto;  e  due  prin('i[)almente,  molto  diflerenti 
al  certo,  ma  strettamente  legate  nel  cuore  del  giovine: 
una  treccia  nera  e  una  barba  bianca.  Ma  anche  la  con- 
solazione che  provava  nel  fermare  sopra  di  esse  il  pen- 
siero, era  lull'  altro  che  pretta  e  IraiKpiill.i.  Pensando 
al  buon  frale,  sentiva  più  vivamente  la  vergogna  delle 
proprie  scappale,  della  turpe  intemperanza,  del  bel  caso 
che  aveva  fatto  de'  pateriu  consigli  di  Ini  :  e  contemplando 


316  I    PROMESSI    SPOSI 

r  immagine  di  Lucia  !  non  ci  proveremo  a  dire  ciò  che 
sentisse:  il  lettore  conosce  le  circostanze;  se  lo  figuri. 
E  (juella  povera  Agnese,  come  r  avrebbe  potuta  dimenti- 
care? Quell'Agnese,  che  l'aveva  scello,  che  l'aveva  già 
considerato  come  una  cosa  sola  con  la  sua  unica  figlia, 
e  prima  di  ricever  da  lui  il  titolo  di  madre,  n'aveva  preso 
il  linguaggio  e  il  cuore,  e  dimostrata  co' fatti  la  pre- 
mura. Ma  era  un  dolore  di  più,  e  non  il  meno  pungente, 
quel  pensiero,  che  in  grazia  appunto  di  cosi  amorevoli 
intenzioni,  di  tanto  bene  che  voleva  a  lui,  la  povera  donna 
si  trovava  ora  snidata,  quasi  raminga,  incerta  dell'avve- 
nire^ e  raccoglieva  guai  e  travagli  da  quelle  cose  ap- 
punto da  cui  aveva  sperato  il  riposo  e  la  giocondità  degli 
ultimi  suoi  anni.  Che  notte,  povero  Renzo!  Quella  che 
doveva  esser  la  quinta  delle  sue  nozze!  Che  stanza!  che 
letto  matrimoniale!  e  dopo  qual  giornata!  e  per  arrivare 
a  qual  domani,  a  qual  serie  di  giorni!  —  Quel  che  Dio 
vuole,  —  rispondeva  ai  pensieri  che  gli  davan  più  noia: 
—  quel  che  Dio  vuole.  Lui  sa  quel  che  fa:  c'è  anche 
per  noi.  Vada  tutto  in  isconto  de'  miei  peccati.  Lucia  è 
tanto  buona I  non  vorrà  poi  farla  patire  un  pezzo,  un 
pezzo,  un  pezzo!  — 

Tra  questi  pensieri,  e  disperando  ormai  d'attaccar  son- 
no, e  facendosegli  il  freddo  sentir  sempre  più,  a  segno 
ch'era  costretto  ogni  tanto  a  tremare  e  a  battere  i  denti, 
sospirava  la  venuta  del  giorno,  e  misurava  con  impazienza 
il  lento  scorrer  dell'ore.  Dico  misurava,  perchè ^  ogni 
mezz'ora,  sentiva  in  quel  vasto  silenzio,  rimbombare  i 
tocchi  d'un  orologio:  m'immagino  che  dovesse  esser 
quello  di  Trczzo.  E  la  pfima  volta  che  gli  feri  gli  orec- 
chi quello  scocco,  cosi  inaspettato,  senza  che  potesse  avere 
alcuna  idea  del  luogo  donde  venisse,  gli  fece  un  senso 
misterioso  e  solenne ,  come  d' un  avvertimento  che  ve- 
nisse da  persona  non  vista,  con  una  voce  sconosciuta. 

Quando  finalmente  quel  martello  ebbe  battuto  undici 
tocchi,  ch'era  l'ora  disegnata  da  Renzo  per  levarsi,  s'alzò 
mezzo  intirizzito,  si  mise  inginocchioni,  disse,  e  con  più 


CAPITOLO    XVII.  317 

fervore  del  solito,  le  divozioni  della  mattina,  si  rizzò,  si 
stirò  in  lunpo  e  in  larpo,  scosse  la  vita  e  le  spalle,  come 
per  mettere  insieme  tutte  le  membra,  che  ognuno  pa- 
reva che  facesse  da  sé,  soffiò  in  una  mano,  poi  nell'altra, 
se  le  stropicciò,  aprì  l'uscio  della  capanna;  e,  per  la 
prima  cosa,  diede  un'  occhiala  in  qua  e  in  là,  per  veder 
se  c'era  nessuno.  E  non  vedendo  nessuno,  cercò  con 
l'occhio  il  sentiero  della  sera  avanti;  lo  riconobbe  su- 
bilo, e  prese  per  quello. 

Il  cielo  prometteva  una  bella  giornata:  la  luna,  in  un 
canto,  pallida  e  senza  raggio,  pure  spiccava  nel  campo 
immenso  d'un  bigio  ceruleo,  che,  gii^i  giù  verso  1'  oriente, 
s'andava  sfumando  leggermente  in  un  giallo  roseo.  Più 
giù,  all'orizzonte,  si  stendevano,  a  lunghe  falde  ineguali, 
poche  nuvole,  tra  l'azzurro  e  il  bruno,  le  più  basse  or- 
late al  di  sotto  d'una  striscia  quasi  di  fuoco,  che  di  mano 
in  mano  si  faceva  più  viva  e  tagliente:  da  mezzogiorno, 
altre  nuvole  ravvolte  insieme,  leggieri  e  soflìci,  per  dir 
così,  s'andavan  lumeggiando  di  mille  colori  senza  nome: 
quel  cielo  di  Lombardia,  così  bello  quand'è  bello,  cosi 
splendido,  così  in  pace.  Se  Renzo  si  fosse  trovato  lì  an- 
dando a  spasso,  certo  avrebbe  guardato  in  su.  e  ammi- 
ralo queir  albeggiare  così  diverso  da  quello  ch'era  solito 
vedere  ne'  suoi  monti  ;  ma  badava  alla  sua  strada,  e  cam- 
minava a  passi  lunghi,  per  riscaldarsi,  e  per  arrivar  pre- 
sto. Passa  i  campi,  passa  la  sodaglia,  passa  le  macchie, 
attraversa  il. bosco,  guardando  in  qua  e  in  là,  e  ridendo 
e  vergognandosi  nello  stesso  tempo,  del  ribrezzo  che  vi 
aveva  provalo  poche  ore  prima:  è  sul  ciglio  della  riva, 
guarda  giù;  e,  di  tra  i  rami,  vede  una  barchetta  di  pe- 
scatore, che  veniva  adagio,  conlr' acqua,  radendo  quella 
sponda.  Scende  subito  per  la  più  corta,  tra  i  pruni;  è 
sulla  riva;  dà  una  voce  leggiera  leggiera  al  pescalore: 
e,  con  rinlenzione  di  fai'  come  se  chiedessi»  un  servizio 
di  poca  importanza,  ma  .senza  avvedersene,  in  una  ma- 
niera mezzo  supplichevole,  gli  accenna  che  approdi.  Il 
pescatore  gira  uno  sguardo  lungo  la  riva,  guarda  attenta- 


318  1    PROMESSI   SPOSI 

mente  lungo  l'acqua  che  viene,  si  volta  a  guardare  indie- 
tro, lungo  l'acqua  che  va,  e  poi  dirizza  la  prora  verso 
Renzo,  e  approda.  Renzo  che  slava  sulTorlo  della  riva, 
quasi  con  un  piede  ned' acqua,  all'erra  la  punta  del  bat- 
tello, ci  salta  dentro,  e  dice:  «  mi  fareste  il  servizio,  col 
pagare,  di  tragittarmi  di  là?  »  Il  pescatore  1'  avena  in- 
dovinato, e  gicà  voltava  da  quella  parte.  Renzo,  vedendo 
.sul  fondo  della  barca  un  altro  remo,  si  china,  e  l' afferra. 

«  Adagio,  adagio  ;  »  disse  il  padrone  ;  ma  nel  veder 
poi  con  che  garbo  il  giovine  aveva  preso  lo  strumento, 
e  si  disponeva  a  maneggiarlo,  «  ah,  ah,  »  rispose  :  «  siete 
del  mestiere,  n 

«Un  pochino,»  rispose  Renzo,  e  ci  si  mise  con  un 
vigore  e  con  una  maestria  ,  più  che  da  dilettante.  E 
senza  mai  rallentare ,  dava  ogni  tanto  un'  occhiata  om- 
brosa alla  riva  da  cui  s' allontanavano,  e  poi  una  impa- 
ziente a  quella  dov'eran  rivolti,  e  si  coceva  di  non  po- 
terci andar  per  la  più  corta  ;  che  la  corrente  era,  in  quel 
luogo,  troppo  rapida ,  per  tagliarla  direttam(!nle  ;  e  la 
barca,  parte  rompendo,  parte  secondando  il  ilio  dell'ac- 
qua, doveva  fare  un  tragitto  diagonale.  Come  accade  in 
tutti  gli  affari  un  po'  imbrogliati,  che  le  difficoltà  alla 
prima  si  presentino  all'ingrosso,  e  neh' eseguire  poi, 
vengan  fuori  per  minuto,  Renzo,  ora  che  V  Adda  era  , 
si  può  dir,  passata,  gli  dava  fastidio  il  non  saper  di  certo 
se  li  essa  fosse  confine,  o  se ,  superato  quell'  ostacolo  , 
gliene  rimanesse  un  altro  da  superare.  Onde,  chiamato 
il  pescatore,  e  accennando  col  capo  quella  macchia  bian- 
castra che  aveva  veduta  le  notte  avanti,  e  che  allora  gli 
appariva  ben  più  distinta  ,  disse  :  .  «  è  Bergamo  quel 
paese  ?  » 

«  La  città  di  Bergamo,  »   rispose  il  pescatore. 

«  E  quella  riva  li,  è  bergamasca  ?  » 

«  Terra  di  san  Marco.  » 

«  Viva  san  Marco  I  »  esclamò  Renzo.  Il  pescatore  non 
disse  nulla. 

Toccano  finalmente  quella  riva  ;  Renzo  vi  si  slancia  ; 


CAPITOLO   XVll.  -^l'' 

ringrazia  Dio  tra  se,  e  poi  cuii  la  l)OCi'a  il  liarcaiuolo  ; 
mello  le  mani  in  tasca ,  lira  fuori  una  berlinga  ,  che, 
allese  le  circostanze,  non  fu  un  piccolo  sproprio,  e  la 
porge  al  galantuomo  ;  il  quale,  data  ancora  una  occhiata 
alla  riva  milanese,  e  al  fiume  eli  sopra  e  di  sotto,  slese 
la  mano,  prese  la  mancia,  la  ripose,  poi  strinse  le  lab- 
bra, e  per  di  più  ci  mise  il  dito  in  croce,  accompa- 
gnando quel  gesto  con  un'  occhiala  espressiva  ;  e  disse 
poi  :   «  buon  viaggio,  »   e  tornò  indietro. 

Perchè  la  così  pronta  e  discreta  cortesia  di  costui  verso 
uno  sconosciuto  non  faccia  troppo  maravigliare  il  let- 
tore, dobl)iamo  informarlo  che  queir  uomo,  pregalo  spesso 
d'un  simile  servizio  da  conlrabbandicri  e  da  banditi, 
era  avvezzo  a  farlo  ;  non  tanto  per  amore  del  poco  e 
incerto  guadagno  che  gliene  poteva  venire,  quanto  per 
non  farsi  de'  nemici  in  quelle  classi.  Lo  faceva ,  dico  , 
ogni  volta  che  potesse  esser  sicuro  che  non  lo  vedes- 
sero nò  gabellieri,  nò  birri ,  nò  esploratori.  Cosi ,  senza 
voler  più  bene  ai  primi  che  ai  secondi,  cercava  di  sod- 
disfarli tutti,  con  queir  imparzialità ,  che  è  la  dote  or- 
dinaria di  chi  è  obbligato  a  trattar  con  ceri'  uni,  e  sog- 
getto a  render  conto  a  ceri'  altri. 

Renzo  si  fermò  un  momento  sulla  riva  a  contemplar 
la  riva  opposta ,  quella  ii^rra  che  poco  prima  scollava 
tanto  sotto  i  suoi  piedi.  —  Ah  !  ne  son  proprio  fuori  ! 
—  fu  il  suo  primo  pensiero.  —  Sta  li,  maledetto  pae- 
se, —  fu  il  secondo,  l'addio  alla  patria.  Ma  il  terzo  corse 
a  chi  lasciava  in  ([uel  paese.  Allora  incrociò  le  braccii 
sul  petto,  mise  un  sospiro,  abbassò  gli  occhi  sull'acqua 
che  gli  scorreva  a' piedi,  e  pensò  —  ò  passata  sotto  il 
ponte  1  —  Così,  all'uso  del  suo  paese,  chiamava,  per 
antonomasia,  ([nello  di  Lecco.  —  Ab  mondo  birltone  ! 
Hasta  ;  (iu(!l  cIkì  Dio  vuol»;.  — 

Voltò  le  spall(^  a  que'  tristi  oggetti,  e  s'incamminò, 
prendendo  per  punto  di  mira  la  macchia  biancastra  sul 
pendio  del  monle,  finché  trovasse  (pialchinUino  da  farsi 
insegnar  la  strada  giusta.  K  bisognava   vedere  con  {lic 


3i20  1  PROMESSI   SPOSI. 

disinvoltura  s'accostava  a' viandanti,  e,  senza  tanti  ri- 
giri, nominava  il  paese  dove  abitava  quel  suo  cu.trino. 
Dal  primo  a  cui  si  rivolse,  seppe  che  gli  rimanevano 
ancor  nove  miglia  da  fare. 

Quel  viaggio  non  fu  lieto.  Senza  parlare  de'  guai  che 
Renzo  portava  con  sé,  il  suo  occhio  veniva  ogni  mo- 
mento rattristato  da  oggetti  dolorosi,  da' quaH  dovette 
accorgersi  che  troverebbe  nel  paese  in  cui  si  inoltrava, 
la  penuria  che  aveva  lasciata  nel  suo.  Per  tutta  la  strada, 
e  più  ancora  nelle  terre  e  ne' borghi,  incontrava  a  ogni 
passo  poveri,  che  non  eran  poveri  di  mestiere,  e  nio- 
stravan  la  miseria  più  nel  viso  che  nel  vestiario  :  con- 
tadini, montanari,  artigiani,  famiglie  intere  ;  e  un  mi- 
sto ronzio  di  preghiere,  di  lamenti  e  di  vagiti.  Quella 
vista,  oltre  la  compassione  e  la  malinconia,  lo  metteva 
anche  in  pensiero  de'  casi  suoi. 

—  Chi  sa,  —  andava  meditando,—  se  trovo  da  far 
bene?  se  c'è  lavoro,  come  negli  anni  passali?  Basta; 
Bortolo  mi  voleva  bene,  e  un  buon  figliuolo  ,  ha  fatto 
danari,  m'  ha  invitato  tante  volte  ;  non  m'  abbandonerà. 
E  poi,  la  Provvidenza  m'ha  aiutato  finora;  m'aiuterà 
anche  per  l'  avvenire.  — 

Intanto  l'appetito,  risvegliato  già  da  qualche  tempo, 
andava  crescendo  di  miglio  in  miglio  ;  e  quantunque 
Renzo,  quando  cominciò  a  dargli  retta,  sentisse  di  poter 
reggere,  senza  grand'  incomodo,  per  quelle  due  o  tre 
che  gli  potevan  rimanere  :  pensò,  da  un'  altra  parti»,  che 
non  sarebbe  una  bella  cosa  di  presentarsi  al  cugino, 
come  un  pitocco,  e  dirgli,  per  primo  complimento:  dammi 
da  mangiare.  Si  levò  di  tasca  tutte  le  sue  ricchezze,  le 
fece  scorrere  sur  una  mano,  tirò  la  somma.  Non  era 
conto  che  richiedesse  una  grande  aritmetica;  ma  però 
c'era  abbondantemente  da  fare  una  mangiatina.  Entrò 
in  un'osteria  a  ristorarsi  lo  stomaco;  e  in  fatti,  pagato 
che  ebbe,  gli  rimase  ancora  qualche  soldo. 

Neil' uscire,  vide,  accanto  alla  porta,  che  quasi  v'in- 
ciampava, sdraiate  in  terra,  più  che  sedule,  due  donne 


CAPITOLO   XVll.  321 

una  allempala,  un' altra  più  giovane,  con  un  bambino, 
che  dopo  aver  succliiala  invano  Tuna  e  l'altra  mam- 
mella, piangeva,  piangeva;  lutti  del  color  della  morte: 
e  ritto,  vicino  a  loro,  un  uomo,  nel  viso  del  quale  e 
nelle  membra,  si  potevano  ancor  vedere  i  segni  d' un'an- 
tica robustezza,  domata  e  quasi  spenta  dal  lungo  disa- 
gio. Tutt'  e  tre  stesero  la  mano  verso  colui  che  usciva 
con  passo  franco,  e  con  l'aspetto  rianimato:  nessuno 
parlò;  che  poteva  dir  di  più  una  preghiera? 

«  La  c'è  la  Provvidenza!  '>  disse  Renzo;  e,  cacciata 
subito  la  mano  in  tasca,  la  votò  di  que'pochi  soldi;  li 
mise  nella  mano  che  si  trovò  più  vicina,  e  riprese  la 
sua  strada. 

La  refezione  e  l'opera  buona  (giacché  slam  composti 
d'anima  e  di  corpo)  avevano  riconfortati  e  rallegrati  tutti 
i  suoi  pensieri.  Certo,  dall' essersi  così  spogliato  degli 
ultimi  danari,  gli  era  venuto  più  di  confidenza  per  l'av- 
venire, ch(!  non  glie/ie  avrebbe  dato  il  trovarne  dieci 
volte  tanth:  Perchè,  se  a  sostenere  in  quel  giorno  que' 
poverini  che  mancavano  sulla  strada ,  la  Provvidenza 
aveva  tenuti  in  serbo  proprio  gli  ultimi  quattrini  d'un 
estraneo,  fuggitivo,  incerto  anche  lui  del  come  vivrel)l)e; 
chi  poteva  crederi^  che  volesse  poi  lasciare  in  secco  co- 
lui del  quale  s'era  servita  a  ciò,  e  a  cui  aveva  dato  un 
sentimento  cosi  vivo  di  sé  stessa,  cosi  efficace,  così  ri- 
soluto? Questo  era,  a  un  di  presso,  il  pensiero  del  gio- 
vine; però  men  «hiaro  ancora  di  qu(^llo  ch'io  l'abbia 
sapulo  esprimere.  Nel  rimanente  d(;lla  strada,  ri|)ensando 
a' casi  suoi,  lutto  gli  si  spianava.  La  canstia  doveva  poi 
linirc;  tutti  gli  anni  si  miete:  intanto  aveva  il  cugino 
Bortolo  e  la  propria  abilità:  aveva,  per  di  più,  a  casa 
un  po' di  danaro,  che  si  farebbe  mandar  subito.  Con 
qu(!llo,  alla  peggio,  camperebbe,  giorno  per  giorno,  fin 
che  tornasse  l'al^bondanza.  —  Ecco  jmìì  tornala  tìnal 
mente  f  abbondanza,  —  proseguiva  Renzo  nella  sua  fan- 
tasia: —  rinasce  la  furia  de' lavori:  i  padroni  fanno  a 
gara  per  aver  degli  opiM-ai  milanesi,  che  son  (pit'lli  che 


322  1   PROMESSI   SPOSI 

sanno  ])e\w  il  mestiere;  gli  operai  milanesi  alzan  la  ere- 
sia ;  chi  vuol  gente  ahile,  bisogna  che  la  paghi  :  si  gua- 
dagna (la  vivere  per  i)iìi  d'uno,  e  da  metter  ([ualcosa 
da  parte;  e  si  la  scrivere  alle  donne  che  vengano.... 
E  poi,  perchè  aspellar  tanto?  Non  e  vero  che,  con  quel 
poco  che  abbiamo  in  serbo,  si  sarebbe  campati  là,  anche 
quest'inverno?  Così  camperemo  qui.  De' curati  ce  n'è 
per  lutto.  Vengono  quelle  due  care  donneisi  mette  su 
casa.  Che  piacere,  amlar  passeggiando  su  questa  stessa 
strada  tutti  insieme  I  andar  hno  all'  Adda  in  baroccio,  e 
far  merenda  sulla  riva,  proprio  sulla  riva,  e  far  vedere 
alle  donne  il  luogo  dove  mi  sono  imbarcato,  il  prunaio 
da  cui  sono  sceso,  quel  posto  dove  sono  stato  a  guar- 
dare se  c'era  un  battello.  — 

Arriva  al  paese  del  cugino:  nell'entrare,  anzi  prima 
di  mettervi  piede,  distingue  una  casa  alta  alta,  a  piii 
ordini  di  finestre  lunghe  lunghe;  riconosce  un  filatoio, 
entra,  domanda  ad  alta  voce,  tra  il  rumore  delfaciiua 
cadente  e  delle  rote,  se  stia  lì  un  certo  Bortolo  Casta- 
gneri. 

«  Il  signor  Bortolo!  Eccolo  là.  ^ 

—  Signore?  buon  segno,  —  pensa  Renzo;  vede  il 
cugino,  gli  corre  incontro.  Quello  si  volta,  riconosce  il 
giovine,  che  gli  dice:  »  son  qui.  »  Un  oh!  di  sorpresa. 
un  alzar  di  braccia,  un  gettarsele  al  collo  scambievol- 
mente. Dopo  quelle  prime  accoglienze ,  Bortolo  tira  il 
nostro  giovine  lontano  dallo  strepito  degli  ordigni,  e  da- 
gli occhi  de' curiosi,  in  un'altra  stanza  e  gli  dice:  «  ti 
vedo  volentieri;  ma  sei  un  l>enedetto  figliuolo.  T'avevo 
invitalo  tante  volte;  non  sei  mai  voluto  venire;  ora  arrivi 
in  un  momento  un  po' critico.  » 

«  Se  te  lo  devo  dire,  non  sono  venuto  via  di  mia  vo- 
lontà, »  disse  Renzo;  e,  con  la  più  gran  brevità,  non 
però  senza  molta  commozione,  gli  raccontò  la  dolorosa 
storia. 

»  È  un  altro  par  di  maniche  ,  »  disse  Bortolo.  «  Oh 
povero  Renzo  !  Ma  tu  hai  fatto  capitale  di  me  ;  e  io  non 


CAPITOLO    XVll.  3123 

t'abbandonerò.  Veramente,  ora  non  c'è  ricerca  d'operai; 
anzi  appena  appena  ognuno  tiene  i  suoi,  per  non  per- 
derli e  disviare  il  iiego/.io;  ma  il  padrone  mi  vuol  bene, 
e  Ila  della  rolia.  E,  a  dirtela,  in  gran  parte  la  deve  a 
me,  senza  vaidarmi:  lui  il  capitale,  e  io  quella  poca  abi- 
lità. Sono  il  primo  lavorante,  sai  ?  e  poi,  a  dirtela,  sono 
il  faclolum.  Povera  Lucia  Mondellal  Me  ne  ricordo,  come 
se  fosse  ieri:  una  buona  ragazza!  sempre  la  più  composta 
in  chiesa;  e  quando  si  passava  da  quella  sua  casuccia  .... 
Mi  par  di  vederla,  quella  casuccia,  appena  fuor  del  paese, 
con  un  bel  fico  che  passava  il  muro « 

»  No,  no;  non  ne  parliamo.  » 

«  Volevo  dire  che,  quando  si  passava  da  quella  ca- 
succia, sempre  si  sentiva  queir  aspo,  che  girava,  girava, 
girava.  E  quel  don  Rodrigo!  già,  anche  al  mio  tempo, 
era  per  quella  strada;  ma  ora  fa  il  diavolo  alìalto,  a 
quel  che  vedo  :  fin  che  Dio  gli  lascia  la  briglia  sul  collo. 
Dunque,  come  ti  dicevo;  anche  qui  si  patisce  un  po'  la 
fame A  proposito,  come  stai  d'appetito?  » 

<  Ho  mangialo  poco  fa,  per  viaggio.  » 

»  E  a  danari,  come  stiamo?  » 

Renzo  slese  una  mano,  l' avvicinò  alla  bocca,  e  vi  fece 
scorrer  sopra  un  piccol  solilo. 

«  Non  importa,  »  disse  Bortolo:  «  n'ho  io;  e  non  ci 
pensare,  che,  presto  presto,  cambiandosi  le  cose,  se  Dio 
vorrà,  me  li  renderai,  e  te  n'  avanzerà  anche  per  le.  « 

«  Ho  qualcosina  a  casa;  e  me  li  farò  mandare.  » 

«  Va  bene;  e  intanto  fa  conto  di  me.  Dio  m'ha  dato 
del  bene,  perchè  faccia  del  bene;  e  se  non  ne  l'o  a" pa- 
renti e  agli  amici,  a  chi  ne  farò"?  • 

«  L'ho  detto  io  della  Provvidenza!  »  esclamò  Renzo, 
stringendo  alTelluosamente  la  mano  al  buon  cugino. 

«  Dunque,  »  rispose  questo,  «  in  Mdano  hanno  fallo 
lutto  quel  chiasso.  Mi  [ìaioiio  un  po' malli  coloro.  Già, 
n'era  corsa  la  voce  anche  (pii;  ma  \oglio  che  tu  mi 
racconti  poi  la  cosa  i)iù  minutamente.  Eh  !  n'  abbiamo 
delle  cose  da  discorrere.  Qui  però,  vedi,  la  va  più  ipiic- 


3'24  I    PROMESSI   SPOSI 

tamenlc,  e  si  fanno  le  cose  con  un  po'  più  di  giudizio- 
La  cillà  ha  comprate  duemila  some  di  grano  da  un 
mcrcanle  che  sia  a  Venezia:  grano  che  vien  d'i  Tnirliia; 
ma,  quando  si  Umilia  dì  mangiare,  la  non  si  guarda  lanfo 
per  il  sottile.  Ora  senti  un  po' cosa  nasce:  nasce  che  i 
rettori  di  Verona  e  Brescia  chiudono  i  passi,  e  dicono  : 
di  qui  non  passa  grano.  Che  ti  fanno -i  hergamaschi? 
Spediscono  a  Venezia  Lorenzo  Torre,  un  dottore,  ma  di 
quelli!  É  partito  in  fretta,  s'è  presentalo  al  doge,  e  ha 
detto:  che  idea  è  venuta  a  que' signori  rettori?  Ma  un 
discorsoi  un  discorso,  dicono,  da  dare  alle  stampe. -Cosa 
vuol  dire  avere  un  uomo  che  sappia  parlare!  Suhito  un 
ordine  che  si  lasci  passare  il  grano;  e  i  rettori,  non  solo 
lasciarlo  passare,  ma  bisogna  che  lo  facciano  scortare; 
ed  è  in  viaggio.  E  s' è  pensato  anche  al  contado.  Gio- 
vanbatista  Biava,  nunzio  di  Bergamo  in  Venezia  (un 
uomo  anche  quello!)  ha  fatto  intendere  al  senato  che, 
anche  in  campagna,  si  pativa  la  fame;  e  il  senato  ha 
concesso  quattromila  stala  di  miglio.  Anche  questo  aiuta 
a  far  pane.  E  poi,  lo  vuoi  sapere?  se  non  ci  sarà  pane, 
mangeremo  del  companatico.  Il  Signore  m' ha  dato  del 
bene  come  ti  dico.  Ora  li  condurrò  dal  mio  padrone: 
gli  ho  parlato  di  te  tante  volte,  e  ti  farà  buona  acco- 
glienza. Un  buon  bergamascone  all'antica,  un  uomo  di 
cuor  largo.  Veramente  ora  non  l'asi)ettava;  ma  quando 

sentirà  la  storia E  poi  gli  operai  sa  tenerli  di  conto, 

perchè  la  carestia  passa,  e  il  negozio  dura.  Ma  prima  di 
tutto,  bisogna  che  t'avverta  d'una  cosa.  Sai  come  ci 
chiamano  in  questo  paese,  noi  altri  dello  stato  di  Mi- 
lano? » 

n  Come  ci  chiamano?  » 

«  Ci  chiaman  baggiani.  » 

«  Non  è  un  bel  nome.  » 

«  Tant'è:  chi  è  nato  nel  milanese,  e  vuol  vivere  nel 
bergamasco,  bisogna  prenderselo  in  santa  p;u'e.  Per  que- 
sta gente,  dar  del  baggiano  a  un  milanese,  è  come  dar 
dell'illustrissimo  a  un  cavaliere.  » 


CAPITOLO    XVII.  323 

«  Lo  diranno,  m'immagino,  a  chi  se  lo  vorrà  lasciar 
dire.  » 

«t  Figliuolo  mio,  se  la  non  sei  disposto  a  succiarti 
del  baggiano  a  tutto  pasto,  non  far  conto  di  poter  viver 
qui.  Bisognerebbe  esser  sempre  col  coltello  in  mano:  e 
quando,  supponiamo,  tu  n'avessi  ammazzali  due,  tre, 
([uattro,  verrebbe  poi  quello  che  ammazzerebbe  le:  e  al- 
lora, che  bel  gusto  di  comparire  al  triliunal  di  Dio,  con 
tre  0  quattro  omicidi  sull'anima!  » 

«  E  un  milanese  che  abbia  un  po' di . ...»  e  qui  pic- 
chiò la  fronte  col  dito,  come  aveva  fatto  nell'osteria  della 
luna  piena.  «  Voglio  dire,  uno  che  sappia  bene  il  suo 
mestiere?  » 

«  Tult'uno:  qui  è  un  baggiano  anche  lui.  Sai  come 
dice  il  mio  padrone,  quando  parla  di  me  co'  suoi  amici?  — 
Quel  baggiano  è  stata  la  man  di  Dio,  per  il  mio  negozio; 
se  non  avessi  quel  baggiano,  sarei  ben  impicciato.  — 
L'è  usanza  così.  » 

»  L'è  un'usanza  sciocca.  E  vedendo  quello  che  sap- 
piam  fare  (che  finalmente  chi  ha  porlala  ((ui  quest'  arte, 
e  chi  la  fa  andare,  siamo  noi),  possibile  che  non  si 
sian  corretti?  » 

«  Finora  no:  col  tempo  può  essere;  i  ragazzi  che  ven- 
gon  su;  ina  gli  uomini  falli,  non  c'è  rimedio:  hanno 
preso  quel  vizio:  non  lo  smellon  più.  Cos'è  poi  final- 
mente? Era  ben  un'altra  cosa  quelle  galanterie  che 
l'hanno  fatto,  e  il  di  piii  che  li  volevan  fare  i  nostri 
cari  compatriolli.  » 

«  Già,  è  vero:  se  non  c'è  altro  di  male..  ..  » 

«  Ora  che  sei  persuaso  di  (pieslo,  lutto  anderà  \h'\u\ 
Vieni  dal  padrone,  e  coraggio.  » 

Tutto  in  fatti  andò  bene,  e  tanto  a  seconda  delle  pro- 
messe di  Bortolo,  che  crediamo  inutile  di  farne  parli- 
colar  relazione.  E  fn  verainenle  provvidenza;  perchè  la 
roba  e  i  (|nallrini  clit;  Uen/o  aveva  lasciali  in  casa,  ve- 
dremo oi-  ora  qnanlo  l'osse  da  farci  assegnamento. 


CAPITOLO  XVIII. 


Quello  stesso  giorno,  13  di  novembre,  arriva  un  espresso 
al  signor  podestà  di  Lecco,  e  gli  presenta  un  dispaccio 
del  signor  capitano  di  giustizia,  contenente  un  ordine  di 
fare  ogni  possibile  e  più  opportuna  inquisizione,  per 
iscoprire  se  un  certo  giovine  nominato  Lorenzo  Trama- 
glino, filatore  di  seta,  scappato  dalle  forze  jmpjlicti  efire- 
fjii  domini  capilnnei,  sia  (ornato,  pnlnm  rei  ciani,  al  suo 
paese,  ignotnm  quale  per  l'appunto,  vernm  in  territorio 
Lenci:  qnod  si  compertum.  fuerit  sic  esse,  cercbi  il  detto 
signor  podestà,  quanta  maxima  dUirfentia  fieri  poterit. 
d'averlo  nelle  mani;  e.  legato  a  dovere,  videUzel  con 
l)Uone  manette,  attesa  X  esperimentata  insufficienza  de' 
manicbini  pel  nominato  soggetto,  lo  faccia  condurre  nelle 
carceri,  e  lo  ritenga  lì,  sotto  buona  custodia,  per  farne 
consegna  a  cbi  sarà  spedito  a  prenderlo;  e  tanto  nel 
caso  del  sì,  come  nel  caso  del  no,  accedatis  ad  domuni 
pra'ilicti  Lanrenlii  Tramaliini:  et.  facfa  dehitn  diìifientia, 
quldquid  ad  rem  repertum  fuerit  auferalis:  et  informa- 
tioues  de  ilUus  prava  qualitate,  tuta,  et  conijilicibus  su- 
matis:  e  di  tutto  il  dello  e  il  fatto,  il  trovato  e   il   non 


l    l'HO.MESSI    SPOSI,    CAPITOLO    XVIII.  327 

trovalo,  il  preso  e  il  lasciato,  diligenter  referalis.  Il  si- 
Gfnor  podestà,  dopo  essersi  umanamente  cerziorato  che 
il  so^rgetto  non  era  tornato  in  paese,  fa  chiamare  il  con- 
sole del  villaggio,  e  si  fa  condur  da  lui  alla  casa  indi- 
cata, con  gran  treno  di  notaio  e  di  hirri.  La  casa  è 
chiusa;  chi  ha  le  chiavi  non  c'è,  o  non  si  lascia  tro- 
vare. Si  sfonda  l'uscio;  si  fa  la  dehita  diligenza,  vale  a 
dire  che  si  fa  come  in  una  città  presa  d' assalto.  La  voce 
di  quella  spedizione  si  sparge  immediatamente  per  tutto 
il  contorno;  viene  agli  orecchi  del  padre  Cristoforo;  il 
quale,  attonito  non  meno  che  afllitto,  domanda  al  terzo 
e  al  quarto,  per  aver  qualche  lume  intorno  alla  cagione 
d'un  fatto  così  inaspettato;  ma  non  raccoglie  altro  che 
congetture  in  aria,  e  scrive  subilo  al  padre  Bonaventura, 
dal  (juale  spera  di  poter  ricevere  ([ualche  notizia  più 
precisa.  Intanto  i  parenti  e  gli  amici  di  Renzo  vengono 
citati  a  deporre  ciò  che  posson  sapere  della  sua  prava 
qualilà:  aver  nome  Tramaglino  è  una  disgrazia,  una 
vergogna,  un  delitto:  il  paese  è  sottosopra.  A  poco  a 
poco,  si  viene  a  sapere  che  Renzo  è  scappalo  dalla  giu- 
stizia, nel  Ijel  mezzo  di  Milano,  e  poi  scomparso;  corre 
voce  che  abbia  fatto  qualcosa  di  grosso;  ma  la  cosa  poi  non 
si  sa  dire,  o  si  racconta  in  cento  maniere.  Quanto  più 
ò  grossa,  tanto  meno  viene  credula  nel  paese,  dove  Renzo 
è  conosciuto  per  un  bravo  giovine  :  i  più  presumono,  e 
vanno  susurrandosi  agli  orecchi  l'uno  con  l'altro,  che  è 
una  macchina  mossa  da  quel  prepotente  di  don  Rodrigo, 
per  rovinare  il  suo  povero  rivale.  Tant'è  vero  che,  a 
giudicar  per  induzione,  e  senza  la  necessaria  cogni/.ion(^ 
de' fatti,  si  fa  alle  volte  gran  torto  anche  ai  birbanti. 

Ma  noi,  co'  fatti  alla  mano,  come  si  suoi  dire,  pos- 
siamo affermare  che,  se  colui  non  aveva  avuto  parte  nella 
sciagura  di  Renzo,  se  ne  compiacque  però,  come  se  fosse 
opei'a  sua,  (!  ne  trionfò  Cd'  suoi  fidali,  e  principalmente 
col  conte  Attilio.  Oi""^!*'-  secondo  i  suoi  primi  tlisegni, 
avrebbe  dovuto  a  (pielTora  trovarsi  già  in  .Milano;  ma, 
alle  prime  notizie  del  tumullo,  e  della  canagH.i  che  gi- 


328  I    PROMESSI   SPOSI 

rava  per  le  strade,  in  lutt'allra  alliliuline  die  di  ricever 
bastonate,  aveva  creduto  bene  di  trattenersi  in  campa- 
gna, fino  a  cose  quiete.  Tanto  più  cbe,  avendo  offeso 
molti ,  aveva  qualche  ragion  di  temere  che  alcuno  de' 
tanti,  cbe  solo  per  impotenza  slavano  cheti,  non  pren- 
desse animo  dalle  circostanze,  e  giudicasse  il  momento 
buono  da  far  le  vendette  di  tutti.  Questa  sospensione 
non  fu  di  lunga  durata:  l'ordine  venuto  da  Milano  del- 
l' esecuzione  da  farsi  contro  Renzo  era  già  un  indizio 
cbe  le  cose  avevan  ripreso  il  corso  ordinario;  e,  quasi 
nello  stesso  tempo,  se  n'ebbe  la  certezza  positiva.  Il  conte 
Attilio  parti  immediatamente,  animando  il  cugino  a  per- 
sister nell' impresa,  a  spuntar  l'impegno,  e  prometten- 
dogli che,  dal  canto  suo,  metterebbe  subilo  mano  a  sbri- 
garlo dal  frale;  al  qual  affare,  il  fortunato  accidente  del- 
l'abietlo  rivale  doveva  fare  un  gioco  mirabile.  Appena 
parlilo  Attilio,  arrivò  il  Griso  da  Monza  sano  e  salvo,  e 
riferi  al  suo  padrone  ciò  cbe  aveva  potuto  raccogliere: 
cbe  Lucia  era  ricoverata  nel  tal  monastero,  sotto  la  pro- 
tezione della  tal  signora;  e  slava  sempre  nascosta,  come 
se  fosse  una  monaca  anche  lei,  non  mettendo  mai  piede 
fuor  della  porta,  e  assistendo  alle  funzioni  di  chiesa  da 
una  finestrina  con  la  grata:  cosa  che  dispiaceva  a  molti, 
i  quali  avendo  sentilo  motivar  non  so  cbe  di  sue  avven- 
ture, e  dir  gran  cose  del  suo  viso,  avrebbero  voluto  un 
poco  vedere  come  fosse  fatto. 

Questa  relazione  mise  il  diavolo  addosso  a  don  Ro- 
drigo, 0,  per  dir  meglio,  rendè  più  cattivo  quello  che 
già  ci  stava  di  casa.  Tante  circostanze  favorevoli  al  suo 
disegno  infiammavano  sempre  più  la  sua  passione,  cioè 
(juel  misto  di  puntiglio,  di  rabbia  e  d'infame  capriccio, 
(li  cui  la  sua  passione  era  composta.  Renzo  assente,  sfral- 
tato,  bandito,  di  maniera  cbe  ogni  cosa  diventava  lecita 
contro  di  lui,  e  anche  la  sua  sposa  poteva  esser  consi- 
derala, in  certo  modo,  come  roba  di  rn bello  :  il  solo  uomo 
al  mondo  cbe  volesse  e  potesse  prender  le  sue  parli,  e 
fare  rumore  da  esser  sentito  anche  lontano  e  da  persone 


CAPITOLO  XVI 11.  320 

alle,  l'airabljialo  frate,  tra  poco  saichlx;  prolìahilmente 
anche  lui  fuor  del  caso  di  nuocere.  Ed  ecco  che  un  nuovo 
impedimento,  non  che  contrappesare  tulli  que'  vantaggi, 
li  rendeva,  si  può  dire,  inutili.  Un  monastero  di  Monza, 
quand"  anche  non  ci  fosse  stala  una  principessa,  era  un 
osso  troppo   duro   per  i  denti  di  don   Rodrigo;  e  pe  • 
quanto  egli  ronzasse  con  la  fantasia  intorno  a  quel  ri- 
covero, non  sapeva  immaginar  nò  via  nò  verso  d'espi- 
gnarlo,  ne  con  la  forza,  ne  per  insidie.  Fu  quasi  quasi 
per  ahbandonar  T impresa;  fu  per  risolversi  d'andare  a 
Milano,  allungando  anche  la  strada,  per  non  passar  nep- 
pure da  Monza;  e  a  Milano  gettarsi  in  mezzo  agli  amici 
e  ai  divertimenti,  i)er  discacciar,  con  pensieri  a ITatlo  al- 
legri, (pici  pensiero  divenuto  ormai  tulio  tormentoso.  Ma, 
ma,  ma,  gli  amici  :  piano  un  poco  con  questi  amici.  In 
vece  d'una  distrazione,  poteva  aspeilarsi  di  trovar  nella 
loro  compagnia,  nuovi  dispiaceri:  perchè  Attilio  certa- 
mente avrebbe   già   preso   la  tromba  e  messo  lutti  in 
aspettativa.  Da  ogni  parte  gli  verrebbero  domandate  no- 
tizie della  montanara:  bisognava  render  ragione.  S'era 
voluto,  s'era  tentato;  cosa  s'era  ollenuto?  S'era  preso 
un  impegno:  un  impegno  un  po'  ignoltile,  a  dire  il  vero: 
ma,  via,  uno  non  può  alle  volle  regolare  i  suoi  capricci  ; 
il  punto  è  di  soddisfarli;  e  come  s'usciva  da  quest  im- 
pegno?  Dandola  vinta  a  un   villano  e  a  un  frale!  Uh! 
E  ([uando  una  buona  sorte  inaspettata,  senza  fatica  del 
buon  a  nulla,  aveva  tolto  di  mezzo    l'uno,  e  un  abile 
amico  l'altro,  il  buon  a  nulla  non  aveva  sapulo  valersi 
della  congiuntura,    e   si  ritirava  vihmjnte  dall' impresa. 
Co  n'era  i»iii  del  bisogno,  per  non  alzar  mai  più  il  viso 
tra  i  galanluomini,  o  avere  ogni  momento  la  s[)ada  alle 
mani.  E  poi,  come  tornare,  o  come  rimanere  in  quella 
villa,  in  quel  paese,  dove,  lasciando  da  parie  i  riconti 
incessanti  e  pungenti   della   passione ,  si  porterebbe   lo 
sfregio  d'un  colpo  fallilo?  dove,  nello  stesso  lenqio,  sa- 
rebbe cresciuto  l'odio  pubblico,  e  scemata  la  ripulazion 
del  potere?  dov(>  su'   vi>^(»   d'ogni  mascalzone,  anche  in 

v.ii      I  !t'    . 


330  l   PROMESSI  SPOSI 

mezzo  agf  inchini,  si  potrebl)e  leggere  un  amaro:  Tliai 
ingoiata,  ci  ho  gusto?  La  strada  dciriniijuilà,  dice  qui 
il  manoscritto,  e  larga;  ma  ([U(s!o  non  vuol  dire  che 
sia  comoda:  ha  i  suoi  buoni  intoppi,  i  suoi  passi  sca- 
lirosi;  è  noiosa  la  sua  parte,  e  faticosa,  benché  vada 
all'  ingiù. 

A  don  Rodrigo,  il  quale  non  voleva  uscirne,  uè  dare 
addietro,  nò  fermarsi,  e  non  poteva  andare  avanti  da  sé, 
veniva  bensì  in  mente  un  mezzo  con  cui  potrebbe  :  ed 
era  di  chieder  l'aiuto  d'un  tale,  le  cui  mani  arrivavano 
spesso  dove  non  arrivava  la  vista  degli  altri:  un  uomo 
0  un  diavolo,  per  cui  la  dilTicollà  dclTimprese  era  spesso 
uno  stimolo  a  prenderle  sopra  di  sé.  3Ia  questo  partito 
aveva  anche  i  suoi  inconvenienti  e  i  suoi  rischi,  tanto 
più  gravi  quanto  meno  si  potevano  calcolar  prima  ;  giac- 
ché nessuno  avrebl-e  saputo  prevedere  fin  dove  ande- 
rebbe,  una  volta  che  si  fosse  imbarcato  con  quell'uomo, 
potente  ausiliario  certamente,  ma  non  meno  assoluto  e 
pericoloso  condottiero. 

Tali  pensieri  tennero  per  più  giorni  don  Rodrigo  fra 
un  sì  e  un  no,  l'uno  e  l'altro  più  che  noiosi,  venne  in- 
tanto una  lettera  del  cugino,  la  quale  diceva  che  la 
trama  era  ben  avviata.  Poco  dopo  il  baleno,  scoppiò  il 
(nono;  vale  a  dire  che,  una  bella  mattina,  si  senti  che 
il  palre  Cristoforo  era  partito  dal  convento  di  Pescare- 
nico. Questo  buon  successo  così  pronto,  la  lettera  d'At- 
tilio che  faceva  un  gran  coraggio^  e  minacciava  di  gran 
canzonature,  fecero  inclinar  sempre  più  don  Rodrigo  al 
partito  rischioso:  ciò  che  gli  diede  l'ultima  spinta,  fu 
la  notizia  inaspettata  cbe  Agnese  era  tornala  a  casa  sua  : 
un  impedimento  di  meno  vicino  a  Lucia.  Kendiam  conto 
di  questi  due  avvenimenti,  cominciando  dall'ultimo. 

Le  due  povere  donne  s'erano  appena  accomodate  nel 
loro  ricovero ,  che  si  sparse  per  Monza ,  e  per  conse- 
guenza anche  nel  monastero,  la  nuova  di  quel  gran  fra- 
casso di  Milano;  e  dietro  alla  nuova  grande,  una  serie 
infinita  di  particolari,  che  andavano  crescendo  e  varian- 


CAPITOLO   XVIII,  331 

dosi  ogni  raomenlo.  La  fatloressa,  che,  dalla  sua  casa, 
poteva  tenere  un  orecchio  alla  strada,  e  uno  al  mona- 
stero, raccoglieva  notizie  di  qui,  notizie  di  lì,  e  ne  fa- 
ceva parte  all'ospiti.  «Due,  sei,  otto,  quattro,  sette  ne 
hanno  messi  in  prigione;  grimpiccheranno,  parte  davanti 
al  forno  delle  grucce,  parie  in  cima  alla  strada  dove  c'è 
la  casa  del  vicario  di  provvisione —  Ehi,  ehi,  sentite 
questa:  n'è  scappato  uno,  che  è  di  Lecco,  o  di  quelle 
parti.  Il  nome  non  lo  so;  ma  verrà  qualcheduno  che 
me  lo  saprà  dire  ;  per  veder  se  lo  conoscete.  » 

Quest'annunzio,  con  la  circostanza  d'esser  Renzo  ap- 
punto arrivato  in  Milano  nel  giorno  fatale,  diede  qual- 
che inquietudine  alle  donne,  e  principalmente  a  Lucia: 
ma  pensate  cosa  fu  quando  la  fattoressa  venne  a  dir 
loro:  «  è  proprio  del  vostro  paese  quello  che  se  l'è  bat- 
tuta, per  non  essere  impiccato,  un  fdatore  di  seta,  che 
si  chiama  Tramaglino:  lo  conoscete?» 

A  Lucia,  ch'era  a  sedere,  orlando  non  so  che  cosa, 
cadde  il  lavoro  di  mano;  impallidì,  si  cambiò  tutta,  di 
maniera  che  la  fatloressa  se  ne  sarebbe  avvista  certa- 
racnte,  se  la  fosse  stala  più  vicina.  Ma  era  ritta  sulla 
soglia  con  Agnese;  la  quale  conturbata  anche  lei,  però 
non  tanto,  potè  star  forte;  e,  per  risponder  (pialcosa , 
disse  che,  in  un  piccolo  paese,  tutti  si  conoscono,  e  che 
lo  conosceva;  ma  che  non  sapeva  pensare  come  mai  gli 
fosse  potuta  seguire  una  cosa  simile;  perchè  era  un 
giovine  posalo.  Domandò  poi  se  era  scappato  di  certo , 
e  dove. 

«Scappato,  lo  dicon  tutti;  dove,  non  si  sa;  può  es- 
sere che  l'acchiappino  ancora,  può  essere  che  sia  in 
salvo;  ma  se  gli  torna  sotto  l'unghie,  il  vostro  giovine 
posato » 

Qui,  per  buona  sorte,  la  fattoressa  fu  chiamata,  e  se 
n'andò;  liguratevi  come  rimanessero  la  niadi'c  e  la  tl- 
glia.  Più  d'un  giorno,  dovettero  la  povera  donna  e  la 
desolata  fanciulla  stare  in  una  tale  incertezza ,  e  muli- 
nare sul  come,  sul  perchè,  sulle  conseguenze  di  quel 


33^  l   PROMESSI    SPOSI 

fallo  doloroso,  a  commentare,  ognuna  Ira  sé,  o  solto- 
voce  tra  loro,  (juando  potevano,  quelle  terribili  parole. 

Un  giovedì,  finalmente,  capilo  al  monastero  un  uomo 
a  cercar  d'Agnese.  Era  un  peseiaiolo  di  Pescarenico, 
che  andava  a  Milano,  secondo  l'ordinario,  a  spacciar  la 
sua  mercanzia  ;  e  il  buon  frate  Cristoforo  V  aveva  pre- 
galo che,  passando  per  Monza ,  facesse  una  scappata  al 
monastero,  salutasse  le  donne  da  parte  sua,  raccontasse 
loro  quel  che  si  sapeva  del  tristo  caso  di  Renzo  ,  rac- 
comandasse loro  d'aver  pazienza,  e  confidare  in  Dio;  e 
che  lui  povero  frate  non  si  dimenticherebbe  certamente 
di  loro ,  e  spierebbe  l' occasione  di  poterle  aiutare  :  e 
intanto  non  mancherebbe ,  ogni  settimana  ,  di  far  loro 
saper  le  sue  nuove,  per  quel  mezzo,  o  altrimenti.  In- 
torno a  Renzo ,  il  messo  non  seppe  dir  altro  di  nuovo 
e  di  certo,  se  non  la  visita  fattagli  in  casa,  e  le  ricer- 
che per  averlo  nelle  mani  ;  ma  insieme  eh'  erano  tulle 
andate  a  vólo,  e  si  sapeva  di  certo  che  s'  era  messo  in 
salvo  sul  bergamasco.  Una  tale  certezza,  e  non  fa  biso- 
gno di  dirlo ,  fu  un  gran  balsamo  per  Lucia  :  d'  allora 
in  poi  le  sue  lacrime  scorsero  più  facili  e  più  dolci  ; 
provò  maggior  conforto  negli  sfoghi  segreti  con  la  ma- 
dre; e  in  tutte  le  sue  preghiere,  c'era  mescolalo  un 
ringraziamento. 

Gertrude  la  faceva  venire  spesso  in  un  suo  parlatorio 
privato,  e  la  tratteneva  talvolta  lungamente,  compiacen- 
dosi dell'ingenuità  e  tlella  dolcezza  della  poverina,  e  nel 
sentirsi  ringraziare  e  benedire  ogni  momento.  Le  rac- 
contava anche,  in  confidenza,  una  parte  (la  parte  netta) 
della  sua  storia,  ili  ciò  che  aveva  patito,  per  andare  li 
a  patire;  e  quella  prima  maraviglia  sospettosa  di  Lucia 
s'andava  cambiando  in  compassione.  Trovava  in  quella 
storia  ragioni  più  che  sufficienti  a  spiegar  ciò  che  c'era 
d'un  po' strano  nelle  maniere  della  sua  benefattrice: 
tanto  più  con  l'aiuto  di  quella  dottrina  d'Agnese  su'cer- 
velli  de'  signori.  Per  quanto  però  si  sentisse  portala  a 
contraccambiare  la  confidenza  che  Gertrude  le  dimosli-ava, 


CAPITOLO   XVIII.  333 

non  le  passò  noppnr  por  la  testa  di  parlarle  delle  sne 
nuove  nKpiieliidini ,  della  sua  nuova  disgrazia,  di  dirle 
chi  fosse  quel  filatore  scappalo;  per  non  rischiare  di 
spargere  una  voce  così  piena  di  dolore  e  di  scandolo. 
Si  schermiva  anche,  quanlo  poteva,  dal  rispondere  alle 
domande  curiose  di  quella,  sulla  sloria  antecedenle  alla 
promessa  ;  ma  qui  non  eran  ragioni  di  prudenza.  Era 
perchè  alla  povera  innocente  quella  sloria  pareva  più 
spinosa,  più  difficile  da  raccontarsi,  di  lutle  quelle  che 
aveva  sentile,  e  che  credesse  di  poter  senlire  dalla  si- 
gnora. In  queste  c'era  tirannia,  insidie,  patimenti:  cose 
brutte  e  dolorose,  ma  che  pur  si  polevan  nominare: 
nella  sua  cera  mescolato  per  tulio  un  senlimenlo,  una 
parola,  che  non  le  pareva  possihile  di  proferire,  parlando 
di  se:  e  alla  quale  non  avrebbe  mai-  trovalo  da  sosti- 
tuire una  perifrasi  che  non  le  paresse  sfacciala  :  l'amore! 

Qualche  volta,  Gertrude  quasi  s'indispettiva  di  quello 
star  così  sulle  difese;  ma  vi  traspariva  tanta  amorevo- 
lezza, tanlo  rispello,  lauta  riconoscenza,  e  auclie  tanta 
fiducia!  Qualche  volta  forse,  quel  pudore  così  delicato, 
così  ombroso,  le  dispiaceva  ancor  più  per  un  altro  verso; 
ma  lutto  si  perdeva  nella  soavità  d'  un  pensiero  che  le 
toruava  ogni  momeuto,  guardando  Lucia:  —  a  questa 
fo  ilei  bene.  —  Kd  era  vero;  perchè  oltre  il  ricovero, 
que'  discorsi,  ((uellt!  carezze  famigliari  erano  di  non  poro 
conforto  a  Lucia.  Un  altro  ne  trovava  nel  lavorar  di  con- 
tinuo ;  e  pregava  sempre  che  le  dessero  qualcosa  da 
fare:  anche  nel  parlatorio,  portava  sempre  (lualche  la- 
voro da  tener  le  mani  in  esercizio:  ma,  come  i  [UMisieri 
dolorosi  si  caccian  per  tutto  !  cucendo,  cucendo,  ch'era 
un  mestiere  quasi  nuo\o  per  lei,  le  veniva  ogni  poco  in 
mente  il  suo  aspo;  e  dietro  all'aspo,  quanle  cose! 

Il  secondo  giovedì ,  tornò  cpiel  pesciaiolo  o  un  altro 
messo,  co"saluli  del  padre  Cristoforo,  e  con  la  conferma 
della  fuga  felice  di  Renzo.  Notizie  [liù  |iositive  intorno 
a'suoi  guai,  nessuna;  perchè,  come  abhiam  dello  al  let- 
tore, il  cappuccino  aveva  speralo  d'a\erle  dal  suo  con- 


33^1.  1   PROMESSI   SPOSI 

fralello  di  Milano,  a  cui  l'aveva  raccomandalo  ;  e  qncslo 
rispose  (li  non  aver  vcilulo  nò  la  persona,  nò  la  lellora; 
che  uno  di  campagna  era  bensì  venuto  al  convento ,  a 
cercar  di  lui;  ma  che  non  avendocelo  trovato,  era  an- 
dato via,  e  non  era  più  comparso. 

Il  terzo  giovedì,  non  si  vide  nessuno;  e,  per  le  po- 
vere donne ,  fu  non  solo  una  privazione  d' im  conforto 
desiderato  e  sperato,  ma,  come  accade  per  ogni  piccola 
cosa  a  chi  è  affliLto  e  impicciato,  una  cagione  d'inquie- 
tudine ,  di  cento  sospetti  molesti.  Già  prima  d'  allora , 
Agnese  aveva  pensato  a  fare  una  scappala  a  casa;  que- 
sta novità  di  non  vedere  l'ambasciatore  promesso,  la  lece 
risolvere.  Per  Lucia  era  una  faccenda  seria  il  rimanere 
distaccata  dalla  gonnella  della  madre  ;  ma  la  smania  di 
saper  qualche  cosa,  e  la  sicurezza  che  trovava  in  ciuel- 
r  asilo  così  guardato  e  sacro,  vinsero  le  sue  ripugnanze. 
E  fn  deciso  tra  loro  che  Agnese  anderebbe  il  giorno 
seguente  ad  aspettar  sulla  strada  il  pesciaiolo  che  doveva 
passar  li  lì,  tornando  da  Milano;  e  gli  chiederebbe  in 
cortesia  un  posto  sul  baroccio,  per  farsi  condurre  a'suoi 
monti.  ^0  trovò  infatti,  gli  domandò  se  il  padre  Cristo- 
foro non  gli  aveva  data  qualche  commissione  per  lei: 
il  pesciaiolo,  lutto  il  giorno  avanti  la  sua  partenza  era 
stato  a  pescare,  e  non  aveva  saputo  niente  del  padre. 
La  donna  non  ebbe  bisogno  di  pregare,  per  ottenere  il 
piacere  che  desiderava:  prese  congedo  dalla  signora  e 
dalla  figlia ,  non  senza  lacrime,  promettendo  di  mandar 
subito  le  sue  nuove,  e  di  tornar  presto;  e  partì. 

Nel  viaggio,  non  accadde  nulla  di  particolare.  Ripo- 
sarono parte  della  notte  in  un'osteria,  secondo  il  solito; 
ripartirono  innanzi  giorno;  e  arrivaron  di  buon'ora  a 
Pescarenico.  Agnese  smontò  sulla  piazzetta  del  convento, 
lasciò  andare  il  suo  conduttore  con  molti:  Dio  ve  ne 
renda  merito;  e  giacché  era  W,  volle,  prima  d'andare  a 
casa,  vedere  il  suo  buon  frate  benefattore.  Sonò  il  cam- 
panello; chi  venne  ad  aprire,  fu  fra  Caldino,  quel  delle 
noci. 


CAPITOLO  XVIII.  335 

«  Oli!  la  mia  donna,  che  venie  v'ha  portala?» 

«  Vengo  a  cercare  il  padre  Cristoforo.  » 

«  Il  padre  Cristoforo  ?  Non  e'  è,  d 

«Oh!  starà  mollo  a  tornare?" 

«Ma ?  »  disse  il  frate,  alzando  le  spalle,  e  riti- 
rando nel  cappuccio  la  lesta  rasa. 

«  Dov'  è  andato  ?  » 

«  A  Rimini.  »  ■  '    ■ 

i  A  ?  »  .        '     - 

«  A  Rimini.  » 

«  Dov'  è  questo  paese  ?  » 

«Eh  eh  eh!»  rispose  il  frate,  trinciando  vertical- 
mente l'aria  con  la  mano  distesa ,  per  sionitìcare  una 
gran  distanza. 

«  Oh  povera  me  I  Ma  perchè  è  andato  via  così  all'  im- 
provviso ?  » 

«  Perche  ha  voluto  così  il  padir.  provinciale.  » 

«  E  perchè  mandarlo  via?  che  faceva  tanto  l)ene  qui  ? 
Oh  Signore  !  » 

«Se  i  superiori  dovessero  render  conto  degli  ordini 
elle  danno,  dove  sarehhe  1' uhhidienza,  la  mia  donna  ?  ■> 

«  Sì;  ma  questa  è  la  mia  rovina.  » 

«  Sapete  cosa  sarà?  Sarà  che  a  Riinini  avi'anno  avuto 
hisogno  d'un  huon  predicatore;  (ce  n'abbiamo  per  tutto; 
ma  alle  volte  ci  vuol  quell'uomo  fatto  apposta)  il  padre 
provinciale  di  là  avrà  scritto  al  padre  provinciale  di  qui, 
se  aveva  un  soggetto  così  e  così;  e  il  padre  pi'Oviiici;ile 
avrà  detto:  (jui  ci  vuole  il  patire  Cristoforo.  Dev' cssim' 
proprio  così,  vedete.  ' 

«Oh  poveri  noi!  Ouand'è  pai'lito?» 

«  leiialtro.  » 

«Ecco!  s'io  davo  retta  alla  mia  ispii'a/ione  di  Nciiir 
via  (pialche  giorno  prima!  E  non  si  sa  (piando  possii 
tornare?  così  a  un  di  presso?» 

«Eh  la  mia  donna!  lo  sa  il  p;ubc  provinciah;;  se  lo 
sa  anche  lui.  Quando  un  nostro  padre  pivilicatore  ha 
preso  il  volo,  non  si  può  [ìrevedeic  su  che  ramo  polià 


336  1   PROMESSI   SPOSI 

andarsi  a  posare.  Li  cercali  di  qua,  li  cerca n  di  là;  e 
alil)iamo  conventi  in  tutte  le  quattro  parti  del  mondo. 
Supponete  che,  a  Rimini,  il  padre  Cristoforo  faccia  un 
pran  fi'acasso  col  suo  quaresimale;  perchè  non  prethca 
senqtre  a  hraccio,  come  faceva  qui,  per  i  pescatori  e  i 
contadini:  per  i  pulpiti  della  città,  ha  le  sue  belle  pre- 
diche scritte;  e  fior  di  roba.  Si  sparge  la  voce,  da  quelle 
parti,  di  questo  gran  predicatore;  e  lo  possono  cercare 
da da  che  so  io?  E  allora,  bisogna  mandarlo;  per- 
chè noi  viviamo  della  carità  di  lutto  il  mondo,  ed  è 
giusto  che  serviamo  tulio  il  mondo.» 

«  Oh  Signore  I  Signore  I  »  esclamò  di  nuovo  Agnese , 
quasi  piangendo:  «come  devo  fare,  senza  quell'uomo? 
Era  quello  che  ci  faceva  da  padre!  Per  noi  è  una  ro- 
vina. » 

«  Sentite,  huona  donna  ;  il  padre  Crisloforo  era  vera- 
mente un  uomo:  ma  ce  n'abbiamo  degli  altri,  sapete? 
pieni  di  carità  e  di  talento,  e  che  sanno  trattare  ugual- 
mente co' signori  e  co' poveri.  Volete  il  padre  Atanasio  ? 
volete  il  padre  Girolamo?  Volete  il  padre  Zaccaria.  È 
un  uomo  di  vaglia  .  vedete ,  il  padre  Zaccaria.  E  non 
istate  a  badare,  come  fanno  certi  ignoranti,  che  sia  così 
mingherlino,  con  una  vocina  fessa,  e  una  barbetta  mi- 
sera misera:  non  dico  per  predicare,  perchè  ognuno 
ha  i  suoi  doni;  ma  per  dar  pareri,  e  un  uomo,  sa- 
pete? » 

»  Oh  per  carità!  »  esclamò  Agnese,  con  quel  misto  di 
gratitudine  e  d'impazienza,  che  si  prova  a  un'esibizione 
in  cui  si  trovi  più  la  huona  volontà  altrui,  che  la  pro- 
pria convenienza  :  «  cosa  m' importa  a  me  che  uouìo  sia  o 
non  sia  un  altro,  quando  quel  pover'uomo  che  non  c'è 
più,  era  quello  che  sapeva  le  nostre  cose,  e  aveva  pre- 
parato tutto  per  aiutarci?» 

«  Allora,  bisogna  aver  pazienza.  » 

«  Questo  lo  so,»  rispose  Agnese:  «scusate  dell'inco- 
modo. » 

«  Di  che  cosa,  la  mia  donna?  mi  dispiace  per  voi.  E 


CAI'ITULO   XVlll.  337 

se  vi  risolvete  di  cercar  qualchedimo  de'  nostri  padri,  il 
convento  è  qui  che  non  si  move.  Ehi ,  mi  lascerò  poi 
veder  presto ,  per  la  cerca  dell'olio.  » 

«  State  bene,  »  disse  Agnese;  e  s' incamminò  verso  il 
suo  paesetto,  desolata,  confusa,  sconcertata,  come  il  po- 
vero cieco  che  avesse  perduto  il  suo  bastone. 

Un  po' meglio  informati  che  fra  Galdino,  noi  possiamo 
dire  come  andò  veramente  la  cosa.  Attilio,  appena  arri- 
vato a  Milano,  andò,  come  aveva  promesso  a  don  Rodrigo, 
a  far  visita  al  loro  comune  zio  del  Consiglio  segreto. 
(Era  una  consulta,  composta  allora  di  tredici  personaggi 
di  toga  e  di  spada,  da  cui  il  governatore  prendeva  pa- 
rere, e  che,  morendo  uno  di  questi,  o  venendo  mutato, 
assumeva  lemporariamente  il  governo}.  11  conte  zio,  to- 
gato ,  e  uno  degli  anziani  del  consiglio ,  vi  godeva  un 
cerio  credito;  ma  nel  farlo  valere,  e  nel  farlo  rendere 
con  gli  altri ,  non  e'  era  il  suo  compagno.  Un  parlare 
ambiguo ,  un  tacere  significativo,  un  restare  a  mezzo, 
uno  stringer  d'occhi  clie  esprimeva  :  non  posso  parlare  ; 
un  lusingare  senza  promettere,  un  minacciare  in  cerimo- 
nia ;  tutto  era  diretto  a  quel  fine  ;  e  tutto,  o  più  o  meno, 
tornava  in  prò.  A  segno  che  fino  a  un  :  io  non  posso 
niente  in  questo  aliare  :  detto  talvolta  per  la  pura  verità, 
ma  detto  in  modo  che  non  gli  era  creduto,  serviva  ad 
accrescere  il  concetto ,  e  ijuindi  la  realtà  del  suo  po- 
tere: come  quelle  scatole  che  si  vedono  ancora  in 
qualche  bottega  di  speziale,  con  su  certe  parole  arabe, 
e  dentro  non  c'è  nulla;  ma  servono  a  mantenere  il 
credito  alla  bottega.  Quello  del  conte  zio,  che ,  da  gran 
tempo,  era  sempre  andato  crescendo  a  lentissimi  gradi , 
ullimamonte  aveva  fatto  in  una  volta  un  passo,  come 
si  dice,  di  gigante,  pcu"  un'occasione  straordinaria,  un 
viaggio  a  Madrid,  con  una  missione  alla  corte;  dove, 
che  accoglienza  gli  fosse  fatta  ,  bisognava  sentirlo  rac- 
contar da  lui.  Per  non  dir  altro,  il  conte  duca  l'aveva 
trattalo  con  una  degnazione  particolare,  e  anunesso  alla 
sua   confidenza,  a  segno    ti' avergli   una    \olla   duman- 

VUL.  1.  15 


338  I  pnoMESSi  sposi 

dato,  in  presenza,  si  può  dire,  di  mezza  la  corte,  come 
gli  piacesse  Madrid,  e  d'avergli  un'altra  voHu  ([('ito  a 
qualtr' occhi,  nel  vano  d'una  finestra,  che  il  dnomo  di 
Milano  era  il  tempio  più  grande  che  fosse  negli  stali 
del  re. 

Fatti  i  suoi  complimenti  al  conte  zio,  e  presentatigli 
quelli  del  cugino,  Attilio,  con  un  suo  contegno  serio, 
che  sapeva  prendere  a  tempo ,  disse  :  «  credo  di  fare  il 
mio  dovere ,  senza  mancare  alla  confidenza  di  Rodrigo, 
avvertendo  il  signore  zio  d'  un  affare  che,  se  lei  non  ci 
mette  una  mano,  può  diventar  serio,  e  portar  delle  con- 
seguenze ...» 

«  Qualcheduna  delle  sue,  m'immagino.  » 

<t  Per  giustizia,  devo  dire  che  il  torto  non  ò  dalla 
])arte  di  mio  cugino.  Ma  è  riscaldato  ;  e,  come  dico,  non 
e'  è  che  il  signore  zio,  che  possa » 

«  Vediamo ,  vediamo.  » 

«  C  è  da  quelle  parti  un  frate  cappuccino  che  Tha  con 
Rodrigo;  e  la  cosa  è  arrivata  a  un  punto  che » 

«  Quanto  volte  v'ho  detto,  all'uno  e  all'altro,  che  i 
frati  bisogna  lasciarli  cuocere  nel  loro  brodo?  Basta  il  da 
fare  che  danno  a  chi  deve ...  a  chi  tocca ...»  E  qui 
soffiò.   «  Ma  voi  altri  che  potete  scansarli ...» 

«  Signore  zio,  in  questo,  è  mio  dovere  di  dirle  che 
Rodrigo  l'avrebbe  scansalo,  se  avesse  ix)tulo.  É  il  frate 
che  l'ha  con  lui,  che  ha  preso  a  provocarlo  in  tutte  le 
maniere » 

«  Che  diavolo  ha  codesto  frate  con  mio  nipote?  » 

«  Prima  di  tutto,  è  una  testa  inquieta,  conosciuto  per 
tale,  e  che  fa  professione  di  prendersela  coi  cavalieri. 
Costui  protegge,  dirige,  che  so  io?  una  contadinotta  di 
Ica;  e  ha  per  questa  creatura  una  carità,  una  carila .... 
non  dico  pelosa,  ma  una  carità  molto  gelosa,  sospettosa, 
permalosa.  » 

«  Intendo,»  disse  il  conle  zio:  e  sur  un  cerio  fondo 
di,  goffaggine,  dipintogli  in  viso  dalla  natura,  velalo  poi 
e  ricoperto,  a  pii^i  mani,  di  politica,  balenò  un  raggio  di 
malizia,  che  vi  faceva  un  bellissimo  \edere. 


CAPITOLO   XVlll.  339 

«  Ora  da  qualche  tempo,  »  continuò  Attilio:  «s'è  cac- 
ciato in  lesta  (luesto  frate,  che  Rodrigo  avesse  non  so  che 
disegni  sopra  questa  ....  » 

«  S'è  cacciato  in  lesta,  s'è  cacciato  in  lesta:  lo  cono- 
sco anch'io  il  signor  don  Rodrigo;  e  ci  vuol  altro  av- 
vocato che  vossignoria,  per  giustificarlo  in  queste  ma- 
terie. ■» 

«  Signore  zio,  che  Rodrigo  possa  aver  fatto  ([ualche 
scherzo  a  quella  creatura,  incontrandola  per  la  strada, 
non  sarei  lontano  dal  crederlo:  è  giovine,  e  finalmente 
Jion  è  cappuccino;  ma  queste  son  bazzecole  da  non  trat- 
tenerne il  signore  zio  :  il  serio  è  che  il  frate  s' è  messo 
a  parlar  di  Rodrigo  come  si  farebbe  d'un  mascalzone, 
cerca  d'aizzargli  ''ontro  tutto  il  paese....» 
«  E  gli  altri  frati  ?  » 

«  Non  se  ne  impicciano,  perchè  lo  conoscono  per  una 
tesla  calda,  e  hanno  tutto  il  rispetto  per  Rodrigo;  ma, 
dall'altra  parie,  questo  frate  ha  un  gran  credito  presso 
i  villani,  perchè  fa  poi  anche  il  santo,  e..  ..» 

«  M'immagino  che  non  sappia  che  Rodrigo  è  mio 
iiipole.» 

«  Se  lo  sa!  Anzi  questo  è  quel  che  gli  mette  più  il 
diavolo  addosso.  » 
«  Come?  come?» 

<t  Perchè,  e  lo  va  dicendo  lui,  ci  trova  più  gusto  a 
farla  vedere  a  Rodrigo,  appunto  perchè  questo  ha  un 
protettor  naturale,  di  tanta  autorità  come  vossignoria:  e 
che  lui  se  la  ride  de'  grandi  e  de' politici ,  e  che  il 
cordone  di  san  Francesco  lien  legate  anche  le  spade,  e 
che ....  » 

«  Oh  frate  temerario!  Come  si  chiama  costui?  » 
«  Fra  Cristoforo  da'**»  disse  Attilio;  e  il  conte  zio. 
preso  da  una  cassetta  del  suo  tavolino,  un  lihriccino  di 
memorie,  vi  sci'isse,  soflìando,  soffiando,  (piel  povero  nome. 
Intanto  Attilio  segnilava:  «è  sem|)r(!  sialo  di  (pielT  n- 
morc,  costui:  si  sa  la  sii,i  \ii,i.  Kim  un  plebeo  che,  Iro- 
vandosi  aver  (pialli'o   soldi.  \o|ev;i    compelei'e   coi  c;iv;i-. 


340  '     I   PROMESSI  SPOSI 

lieri  del  suo  paese;  e,  per  rabbia  di  jion  poterla  viiic(!r 
con  tutti,  ne  ammazzò  uno;  onde,  per  iscansar  la  forca, 
si  fece  frate.  » 

«  Ma  bravo!  ma  bene!  La  vedremo,  la  vedremo,» 
diceva  il  conte  zio,  seguitando  a  soffiare. 

«  Ora  poi,»  continuava  Allilio,  «èpiij  arrabbiato  che 
mai,  perche  gli  è  andato  a  monte  un  disegno  che  gli 
premeva  molto  molto:  e  da  questo  il  signore  zio  capirà 
che  uomo  sia.  Voleva  costui  maritare  quella  sua  creatura: 
fosse  per  levarla  dai  pericoli  del  mondo,  lei  m'intende, 
0  perchè  altro  si  fosse,  la  voleva  maritare  assolutamente; 

e  aveva  trovato  il l'uomo:  un'altra  sua  creatura,  un 

soggetto,  che,  forse  e  senza  forse,  anche  il  signore  zio 
lo  conoscercà  di  nome;  perdio  tengo  per  certo  che  il 
Consiglio  segreto  avrà  dovuto  occuparsi  di  quel  degno 
soggetto.  » 

«  Chi  è  costui?  »> 

«  Un  filatore  di  seta,  Lorenzo  Tramaglino,  quello 
che » 

«  Lorenzo  Tramaglino!»  esclamò  il  conte  zio.  «Ma 
bene!  ma  bravo,  padre!  Sicuro....  in  fatti....  aveva 
una  lettera  per  un Peccato  che Ma  non  im- 
porta ;  va  bene.  E  perchè  il  signor  don  Rodrigo  non 
mi  dice  nulla  di  tutto  questo?  perchè  lascia  andar  le  cose 
tant'  avanti  e  non  si  rivolge  a  chi  lo  può  e  vuole  diri- 
gere e  sostenere? 

«  Dirò  il  vero  anche  in  questo,  »  proseguiva  Attilio. 
«  Da  una  parte,  sapendo  quante  brighe,  quante  cose  ha 

per  la  testa  il  signore  zio »  (questo,   soffiando,   vi 

mise  la  mano,  come  per  significare  la  gran  fatica  ch'era 
a  farcele  star  tutte)  «s'è  fallo  scrupolo  di  darle  una 
briga  di  più.  E  poi,  dirò  tutto:  da  quello  che  ho  po- 
tuto capire,  è  così  irritato,  così  fuor  de' gangheri,  così 
stucco  delle  villanie  di  quel  frale,  che  ha  più  voglia  di 
farsi  giusii/.ia  da  sé,  in  qualche  maniera  sommaria,  che 
d'ottenerla  in  una  maniera  regolare,  dalla  prudcMiza  e 
dal  braccio  ilei  signore  zio.  Io  ho  cercato  ili  smorzare  ; 


CAPITOLO  xvm.  Vt\ 

ma  vedemlo  che  la  cosa  andava  per  le  brnlte,  ho  cre- 
duto che  fosse  mio  dovere  d'avvertir  di  lutto  il  signore 
zio,  che  alla  fine  è  il  capo  e  la  colonna  della  casa ...  » 

«  Avresti  fatto  meglio  a  parlare  un  poco  prima.  » 

«  É  vero;  ma  io  andavo  sperando  che  la  cosa  svani- 
rebbe da  sé,  0  che  il  frate  tornerebbe  finalmente  in  cer- 
vello, 0  che  se  n'  anderebbe  da  quel  convento,  come  ac- 
cadde di  questi  frati,  che  ora  sono  (jua,  ora  sono  là;  e 
allora  tutto  sarebbe  finito.  Ma....»  • 

«  Ora  toccherà  a  me  a  raccomodarla.  » 

«Cosi  ho  pensato  anch'io.  Ho  detto  tra  me:  il  si- 
gnore zio,  con  la  sua  awedulezza,  con  la  sua  autorità, 
saprà  lui  prevenire  uno  scandolo,  e  insieme  salvar  l'o- 
nore di  Rodrigo,  che  è  poi  anche  il  suo.  Questo  frate, 
dicevo  io,  l'ha  sempre  col  cordone  di  san  Francesco,  ma 
per  adoprarlo  a  proposito,  il  cordone  di  san  Francesco 
non  è  necessario  d' averlo  intorno  alla  pancia.  Il  signore 
zio  ha  cento  mezzi  eh'  io  non  conosco  :  so  che  il  padre 
provinciale  ha,  com'è  giusto,  una  gran  deferenza  per 
lui  ;  e  se  il  signore  zio  crede  che  in  questo  caso  il  mi- 
glior ripiego  sia  di  far  cambiar  aria  al  frate ,  lui  con 
due  parole ....  » 

«Lasci  il  pensiero  a  chi  tocca,  vossignoria,»  disse 
un  po'  ruvidamente  il  conte  zio. 

«  Ah  è  vero!»  esclamò  Attilio  con  una  lenlennatina 
di  testa,  e  con  un  sogghigno  di  compassione  per  so 
stesso.  «  Son  io  l'  uomo  da  dar  pareri  al  signore  zio  !  Ma 
è  la  passione  che  ho  della  riputazione  del  casato  che  mi 
fa  parlai'e.  K  ho  anche  jìaura  d'aver  fallo  un  allro  male,  » 
soggiunse  con  un'aria  pensierosa:  «  ho  paura  d'aver  fallo 
torto  a  Rodrigo  nel  concetto  del  signore  zio.  Non  mi  da- 
rei pace,  se  fossi  cagione  di  farle  pensare  ch(>  Rodrigo 
non  abbia  tutta  quella  feib'.  in  bn,  Inlla  (piclla  sonnnis- 
sione  che  deve  avere.  Creda,  signore  zio,  che  in  (pieslo 
caso  ò  proprio  ....  » 

«  Via,  via;  che  torto, che  torlo  tra  voi  altri  due-?  che 
.sarete  sempre  amici,  finché  l'uno  non  niella  Miudizio. 


34là  I    PROMESSI   SPOSI,    CAPITOLO  XVllI. 

Scapestrati,  scapestrati,  che  sempre  ne  fate  una  ;  e  a  me 
tocca  di  rattopparle:  che mi  fareste  dire  uno  spro- 
posito, mi  date  più  da  pensare  voi  altri  due,  clic,  »  e  qui 
immaginatevi  clie  soffio  mise;  <«  tutti  questi  benedetti  af- 
fari di  stato.  » 

Attilio  fece  ancora  qualciie  scusa,  qualche  promessa, 
qualche  complimento;  poi  si  licenziò,  e  se  n'andò,  ac- 
compagnato da  un  «e  abbiamo  giudizio,»  ch'eralafor- 
mola  di  commiato  del  conte  zio  per  i  suoi  nipoti. 


CAPITOLO  XIX. 


Chi,  vedendo  in  \m  campo  mal  coltivato,  un  erbaccia 
per  esempio  un  bii  lapazio,  volesse  proprio  sapere  se  sia 
venuto  da  un  seme  maturato  nel  campo  stesso,  o  porta- 
tovi dal  vtMUo,  0  lasciatovi  cader  da  un  uccello,  per  quanto 
ci  pensasse,  non  ne  verrelil)e  mai  a  una  conclusione.  Così 
anche  noi  non  sapremmo  dire  se  dal  fondo  naturale  del 
suo  cervello,  o  dall'insinuazione  d'Attilio,  venisse  al  conte 
zio  la  risoluzione  di  servirsi  del  padre  pi'ovinciale  per  tron- 
care nella  mi.^lior  maniera  ipicl  nodo  imbrogliato.  Certo 
è  che  Attilio  non  av(!va  detta  a  caso  ({nella  parola:  e  quan- 
tunque dovesse  aspettarsi  che,  a  un  suggerimento  cosi 
scoperto,  la  boria  ombrosa  del  conte  zio  avrebbe  rical- 
citrato, a  ogni  modo  volle  fargli  balenar  dinanzi  l'idea 
di  quel  ripiego,  e  metterlo  sulla  strada  dove  desiderava 
che  anelasse.  D'altra  parte,  il  ri|)iego  era  talmente  adat- 
tato all'umore  del  conte  zio,  talmente  indicati)  dalle  cir- 
costanze, che,  senza  suggerimenlo  di  chi  si  sia,  si  può 
scommettere  che  l'avrebbe  ti'ovato  da  sé.  Si  trattava  che, 
in  una  guerra  pur  troppo  aperta,  uno  del  suo  nome, 
un  suo  nipote,  non  rimanesse  al  di  sotto:  i)unto  essen- 


3Ì5-  1   PROMESSI   SPOSI 

zialissimo  alla  ripulazionc  del  polerc  dio  gli  slava  tanto 
a  cuore.  La  soddisfazione  che  il  nipote  poteva  prendersi 
da  sé,  sarebbe  stala  un  rimedio  peagior  del  male,  una 
sementa  dì  guai:  e  bisognava  impedirla,  in  (pialunque 
maniera,  e  senza  perder  tempo.  Comandargli  che  partisse 
in  quel  momento  dalla  sua  villa;  già  non  avrebbe  ubbi- 
dito; e  quand'anche  avesse,  era  un  cedere  il  campo,  una 
ritirata  della  casa  dinanzi  a  un  convento.  Ordini,  forza 
legale,  spauracchi  di  tal  genere,  non  valevano  contro  un 
avversario  di  quella  condizione:  il  clero  regolare  e  seco- 
lare era  affalto  immune  da  ogni  giurisdizione  laicale  ; 
non  solo  le  persone,  ma  i  luoghi  ancora  abitati  da  esso: 
come  deve  sapere  anche  chi  non  avesse  letta  altra  storia 
che  la  presente;  che  starebbe  fresco.  Tutto  fjuel  che  si 
poteva  contro  un  tale  avversario  era  cercar  d'alloniaiiarlo, 
e  il  mezzo  a  ciò  era  il  padre  provinciale,  in  arbitrio  del 
quale  era  l'andare  e  lo  stare  di  quello. 

Ora,  tra  il  padre  provinciale  e  il  conte  zio  passava  un'an- 
tica conoscenza:  s'eran  veduti  di  rado,  ma  sempre  con 
gran  dimostrazioni  d'amicizia,  e  con  esibizioni  sperticate 
di  servizi.  E  alle  volte,  è  meglio  aver  che  fare  con  uno 
che  sia  sopra  a  molti  individui,  che  con  un  solo  di  questi, 
il  quale  non  vede  che  la  sua  causa,  non  sente  che  la 
sua  passione,  non  cura  che  il  suo  punto;  mentre  l'altro 
vede  in  un  tratto  cento  relazioni,  cento  conseguenze;  cento 
interessi,  cento  cose  da  scansare,  cento  cose  da  salvare  ; 
nò  si  può  quindi  prendere  da  cento  parti. 

Tutto  ben  ponderalo,  il  conte  zio  invitò  un  giorno  a 
pranzo  il  padre  provinciale,  e  gli  fece  trovare  una  corona 
di  commensali  assortiti  con  un  inlendimento  sopraffino. 
Qualche  parente  de'  pii^i  tilolali,  di  quelli  il  cui  solo  ca- 
sato era  un  gran  titolo;  e  che,  col  solo  conlegno,  con 
una  certa  sicurezza  nativa,  con  una  sprezzatura  signorile^ 
parlando  di  cose  grandi  con  termini  famigliari,  riusci- 
vano, anche  senza  farlo  apposta,  a  imprimere  e  rinfrescare, 
ogni  momento,  l'idea  della  superiorità  e  della  potenza; 
e  alcuni  clienti  legali  alla  casa  per  una  dipendenza  ere- 


CAPITOLO   XIX.  3Vo 

ditaria,  e  al  personagpfio  per  una  servitù  di  lutla  la  vita; 

quali,  cominciando  dalla  mincsU-a  a  dir  di  sì,  con  la 
bocca,  con  gii  occhi,  con  gli  orecchi,  con  tulla  la  testa, 
con  tutto  il  corpo,  con  tutta  l'anima,  alle  fruite  v'avevan 
ridotto  un  uomo  a  non  ricordarsi  più  come  si  facesse  a 
dir  di  no. 

A  tavola,  il  conte  padrone  fece  cader  ben  presto  il  di- 
scorso sul  tema  di  Madrid.  A  Roma  si  va  per  più  strade; 
a  Madrid  egli  andava  per  tutte.  Parlò  della  corte,  del 
conte  duca,  de'  ministri,  della  famiglia  del  governatore, 
delle  cacce  del  toro,  che  lui  poteva  descriver  benissimo, 
perchè  le  aveva  godute  da  un  posto  distinto,  dell'Escu- 
riale  di  cui  poteva  render  conto  a  un  puntino,  perchè  un 
creato  del  conte  duca  l'aveva  conilotto  per  tutti  i  buchi. 
Per  qualche  tempo,  tutta  la  comiiagnia  stette,  come  un 
uditorio,  attenta  a  lui  solo,  poi  si  divise  in  colloqui  par- 
ticolari; e  lui  allora  continuò  a  raccontare  altre  di  quelle 
belle  cose,  come  in  confidenza,  al  padre  provinciale  che 
gli  era  accanto,  e  che  lo  lasciò  dire,  dire  e  dire.  Ma  a 
un  certo  punto,  diede  una  girata  al  discorso,  lo  staccò 
da  Madrid,  e  di  corte  m  corte,  di  dignità  in  dignità,  lo 
tirò  sul  cardinal  Barberini,  eh'  era  cappuccino,  e  fratello 
del  papa  allora  sedente.  Urbano  Vili:  niente  meno.  Il 
conte  zio  dovette  anche  lui  lasciar  parlare  un  poco,  e 
stare  a  sentire,  e  ricordarsi  che  finalmente,  in  questo 
mondo,  non  c'era  soltanto  i  personaggi  che  faceva n  per 
lui.  Poco  dopo  alzati  da  tavola,  pregò  il  provinciale  di 
passar  con  lui  in  un'altra  stanza. 

Due  potestà ,  due  canizie ,  due  esperienze  consumate 
si  trovavano  a  fronte.  Il  magnifico  signore  fece  sedere 
il  padre  molto  reverendo,  sedette  anche  lui,  e  cominciò: 
«  stante  l'amicizia  che  passa  tra  di  noi,  ho  creduto  di 
far  parola  a  vostra  paternità  d' un  affare  di  comune 
interesse,  da  concluder  tra  di  noi,  senz'andar  per  altre 
strade,  che  .potrebbero  ....  E  perciò,  alla  buona,  col 
cuore  in  mano,  h;  diròdi  che  si  ti-atta;  e  in  due  parole 
son  cerio  cIk;  aiiderenio  d'accordo.  Mi  dica  :  nel  loro  con- 


34(5  1    l'HOMKSSl   SPOSI 

vcnlo  di  Pescarenico  c'è  un  padre  Crisloloro  da  "  *  ?  » 

Il  provinciale  fece  cenno  di  si. 

<«  Mi  dica  un  poco  vostra  palcrnilà,  scliicllamonte,  da 
buon  amico....  ipieslo  soggelto....  questo  padre.... 
Di  persona  io  non  lo  conosco  ;  e  si  che  de'  padri  cap- 
puccini ne  conosco  parecchi:  uomini  d'oro,  zelanti,  pru- 
denti, umUi:  sono  stalo  amico  dell'ordine  fin  da  ragaz- 
zo  Ma  in  tutte  le  famiglie  un  po' numerose c'è 

sempre  qualche  individuo,  qualche  testa  ....  E  questo 

padre  Cristoforo,  so  da  certi  ragguagli  che  è  un  uomo 

un  po'  amico  de  contrasti che  non  ha  tutta  quella 

prudenza,  tutti  que'  riguardi Scommetterei  che  ha 

dovuto  dar  più  d' una  volta  da  pensare  a  vostra  pa- 
ternità. » 

—  Ho  inteso:  è  un  impegno,  —  pensava  intanto  il  pro- 
vinciale: —  Colpa  mia;  lo  sapevo  che  quel  benedetto  Cri- 

"stoforo  era  un  soggetto  da  farlo  girare  di  pulpito  in  pul- 
pito, e  non  lasciarlo  fermare  sei  mesi  in  un  luogo,  spe- 
cialmente in  conventi  di  campagna.  — 

«  Oh  !  disse  poi  :  "  mi  dispiace  davvero  di  sentire  che 
vostra  magnificenza  aljbia  in  un  tal  concetto  il  padre  Cri- 
stoforo; mentre,  per  quanto  ne  so  io,  è  un  religioso 

esemplare  in  convento,  e  tenuto  in  molta  stima  anche 
di  fuori.  » 

«  Intendo  benissimo;  vostra  paternità  deve ....  Però, 
però,  da  amico  sincero,  voglio  avvertirla  d'una  cosa  che 
le  sarà  utile  di  sapere;  e  se  anche  ne  fosse  già  infor- 
mata, posso,  senza  mancare  a'  miei  doveri,  metterle  sot- 
t' occhio  certe  conseguenze....  possibili:  non  dico  di  più. 
Questo  padre  Cristoforo,  sappiamo  che  proteggeva  un 

uomo  di  quelle  parli,  un  uomo vostra  paternità  n'avrà 

sentito  parlare;  quello  che,  con  tanto  scandolo,  scappò 
dalle  mani  della  giustizia,  dopo  aver  fatto,  in  quella  ter- 
ribile giornata  di  san  Martino,  cose  —  cose Lorenzo 

Tramaglino  !  » 

—  Ahi!  —pensò  il  provinciale  ;  e  disse:  «questa  cir- 
costanza mi  riesce  nuova;  ma  vostra  magnificenza  sa  bene 


CAPITOLO  XIX  -{47 

che  una  parte  del  noslro  ufizio  è  appunto  d'  andare  in 
cerca  de'  traviati  per  ridurli » 

«  Va  bene;  ma  la  protezione  de'  traviati  d'una  cerla 
specie  ....  !  Son  cose  spinose,  affari  delicati . . . .  "  E  qui, 
in  vece  di  gonllar  le  gole  e  di  soffiare,  strinse  le  lab- 
bra, e  tirò  dentro  tant'aria  quanta  ne  soleva  mandar  fuori, 
soffiando.  E  riprese  :   <i  ho  creduto  bene  di  darle  un  cenno 

su  questa  circostanza,  perchè  se  mai  sua  eccellenza 

Potrebhe  esser  fallo  qualche  passo  a  Roma....  non  so 
niente e  da  Roma  venirle ....  » 

«  Son  ben  tenuto  a  vostra  magnificenza  di  codeslo  av- 
viso; però  son  certo  che,  se  si  prenderanno  informazioni 
su  questo  proposito ,  si  troverà  che  il  padre  Cristoforo 
non  avrà  avuto  che  fare  con  l'uomo  che  lei  dice,  se  non 
a  fine  di  mettergli  il  cervello  a  partito.  Il  padre  Cristo- 
foro, lo  conosco.  " 

«  Già  lei  sa  meglio  di  me  che  soggetto  fosse  al  secolo, 
le  cosette  che  ha  fatte  in  gioventù.  » 

"  È  la  gloria  dell'abito  questa,  signor  conte,  che  un 
uomo,  il  quale  al  secolo  ha  poluto  far  dir  di  sé,  con  que- 
sto indosso,  diventi  un  altro.  E  da  che  il  padre  Crislo- 
foro  porta  qucst'  abito . . . .  " 

«  Vorrei  crederlo:  lo  dico  di  cuore:  vorrei  crederlo; 
ma  alle  volte,  come  dice  il  proverbio....  l'abilo  non  fa 
il  monaco.  » 

Il  proverbio  non  veniva  in  (aglio  esallamenic;  ma  il 
conte  l'aveva  soslilniio  in  bella  a  un  altro  che  gli  era 
venuto  sulla  punta  della  lingua:  il  lupo  cambia  il  pelo, 
ma  non  il  vizio. 

«  Ilo  de'  risronlri,  »  coiilinuava,  «  ho  tic"  roiilrasse- 
gni. ...» 

«  Se  lei  sa  posiliva^lenl(^  »  disse  il  provinciale;,  che 
(|ueslo  religioso  abbia  commesso  qualche  errore  (tulli  si 
[)uò  mancare),  avrò  per  un  vero  favore  l'esserne  infor- 
malo. Son  superiore:  iiidiìgnaineiilc:  ma  lo  sono  niipuiilo 
per  cori'cggere,  per  rimediare.  » 

«  Le  dirò:  insieme  con  ([uesla  circostanza  dispiacevole 


iV't.S  I    PROMESSI    SPOSI 

(Iella  proiezione  aperta  di  questo  padre  per  chi   le  ho 

dello,  c'è  un'altra  cosa  disgustosa,  e  che  polrehbe 

Ma,  tra  di  noi,  accomoderemo  tutto  in  una  volta.  C'è, 
dico,  clie  lo  stesso  padre  Cristoforo  ha  preso  a  cozzare 
con  mio  nipote,  don  Rodrigo  '  '  '.  » 

«  Ohi  questo  mi  dispiace,  mi  dispiace,  mi  dispiace 
davvero.  » 

«  Mio  nipote  è  giovine,  vivo ,  si  sente  quello  che  è , 
non  è  avvezzo  a  esser  provocato ....  » 

«  Sarà  mio  dovere  di  prender  buone  informazioni  d'un 
fatto  simile.  Come  ho  già  detto  a  vostra  magnificenza,  e 
parlo  con  un  signore  che  non  ha  meno  giustizia  che 
pratica  di  mondo,  tutti  siamo  di  carne,  soggetti  a  sba- 
gliare  tanto  da  una  parte,  quanto  dall'altra:  e  se  il 

padre  Cristoforo  avrà  mancato t 

«  Veda  vostra  paternità;  son  cose,  come  io  le  dicevo, 
da  finirsi  tra  di  noi,  da  seppellirsi  qui,  cose  che  a  ri- 
mestarle troppo.  ...  si  fa  peggio.  Lei  sa  cosa  segue: 
quest'urti,  queste  picche,  principiano  talvolta  da  una  ba- 
gattella, e  vanno  avanti,  vanno  avanti ....  A  voler  tro- 
varne il  fondo,  0  non  se  ne  viene  a  capo,  o  vengon  fuori 
ceni' altri  imbrogli.  Sopire,  troncare,  padre  molto  reve- 
rendo :  troncare,  sopire.  Mio  nipote  è  giovine  ;  il  reli- 
gioso, da  quel  che  sento,  ha  ancora  tutto  lo  spirito,  le.... 
inclinazioni  d'un  giovine  ;  e  tocca  a  noi ,  che  abbiamo 
i  nostri  anni  . . .  pur  troppo  eh  ,  padre  molto  reve- 
rendo? ....  » 

Chi  fosse  stato  lì  a  vedere ,  in  quel  punto ,  fu  come 
quando,  nel  mezzo  d'  un'opera  seria,  s' alza,  per  isbaglio, 
uno  scenario,  prima  del  tempo,  e  si  vede  un  cantante» 
che,  non  pensando,  in  quel  momento,  che  ci  sia  un  pub- 
blico al  mondo,  discorre  alla  buona  con  un  suo  compa- 
gno. Il  viso,  l'alto,  la  voce  del  conte  zio,  nel  dir  quel 
pur  troppo!,  tutto  fu  naturale:  li  non  e' era  politica  :  era 
proprio  vero  che  gli  dava  noia  d'  avere  i  suoi  anni.  Non 
già  che  piangesse  i  passatempi,  il  brio,  l" avvenenza  della 
gioventù:  frivolezze,  sciocchezze,  miserie!  La  cagion  del 


CAPITOLO  XIX.  349 

suo  dispiacere  era  lìen  più  soda  e  imporlanle  :  era  che 
sperava  mi  certo  posto  più  alto,  quando  fosse  vacato;  e 
temeva  di  non  arrivare  a  tempo.  Ottenuto  che  l'avesse, 
si  poteva  esser  certi  che  non  si  sarehbe  più  curato  degli 
anni,  non  avrebbe  desiderato  altro,  e  sarebbe  morto  con- 
tento, come  tutti  quelli  che  desideran  molto  una  cosa, 
as.'ieurano  di  voler  fare,  quando  siano  arrivali  a  otte- 
nerla. 

Ma  per  lasciarlo  parlar  lui,  «  tocca  a  noi,  »  continuò, 
«  a  aver  giudizio  per  i  giovani,  e  a  rassettar  le  loro 
malefatte.  Per  buona  sorte,  siamo  ancora  a  tempo;  la 
cosa  non  ha  fatto  chiasso;  è  ancora  il  caso  d'un  buon 
priucipiis  obsta.  Allontanare  il  fuoco  dalla  paglia.  Alle 
volte  un  soggetto  che,  in  un  luogo,  non  fa  bene,  o  che 
può  esser  causa  di  qualche  inconveniente  riesce  a  ma 
raviglia  in  un  altro.  Vostra  paternità  saprà  ben  trovare 
la  nicchia  conveniente  a  questo  religioso.  C  è  giusto  an- 
che l'altra  circostanza,  che  possa  esser  caduto  in  sospetto 
di  chi...,  potrebbe  desiderare  che  fosse  rimosso:  e, 
collocandolo  in  qualche  posto  un  po'  lontanetto,  facciamo 
un  viaggio  e  due  servizi;  tutto  s'accomoda  da  se,  o  per 
dir  meglio,  non  e'  è  nulla  di  guasto.  » 

Qiu'sla  conclusione,  il  padre  provinciale  se  l'aspettava 
fino  dal  principio  del  discorso.  ■ —  Eh  già!  —  pensava 
tra  sé:  — veilo  dove  vuoi  andar  a  parare:  delle  solite; 
quando  un  povero  frate  è  preso  a  noia  da  voi  altri,  o 
da  uno  di  voialtri,  o  vi  dà  ombra,  subito,  senza  cercar 
se  abbia  torto  o  ragione,  il  superiore  ^U'\^^  farlo  sgom- 
berare. — 

E  ([uando  il  conte  ebbe  Unito,  e  messo  un  lungo  sof- 
fio, che  ecjuivaleva  a  un  punto  fermo,  «  intendo  benis- 
simo, »  dis.sc  il  provinciale,  «  quel  che  il  signor  conte 
vuol  (lire;  ma  prima  di  fare  un  passo.,..» 

»  E  un  passo  e  non  è  un  passo,  padre  mollo  ii'\e- 
rendo:  è  una  cosa  naluiale,  una  cosa  oidinaria  ;  e  se 
non  si  prende  queslo  ripiego^  e  suliito,  [ìrevedo  un  nionle 
di  disordini,  un'iliade  di  guai.  Uno  sproposito mio 


350  I   PROMESSI  SPOSI 

nipolo  non  crederci ci  son  io,  per  questo Ma, 

al  pniilo  a  cui  la  cosa  ò  arrivala,  se  non  la  tronchiamo 
noi  senza  perder  tempo,  con  un  col{)0  netto,  non  è  pos- 
sibile che  si  fermi,  che  resti  segreta e  allora  non  è 

più  solamente   mio  nipote Si  stuzzica  un  vespaio, 

padre  molto  reverendo.  Lei  vede;  siamo  una  casa,  ab- 
biamo attinenze ....  » 

«  Cospicue.  » 

«  Lei  m' intende;  tutta  gente  che  ha  sangue  nelle  vene, 

e  che ,  a  questo  mondo è  qualche  cosa.  C  entra  il 

puntiglio;  diviene  un  affare  comune;  e  allora an- 
che chi  è  amico  della  pace Sarebbe  un  vero  crepa- 
cuore per  me,  di  dovere ....  di  trovarmi io  che  ho 

sempre  avuta  tanta  propensione  per  i  padri  cappuccini . . .' 
Loro  padri,  per  far  del  bene,  come  fanno  con  tanta  edi- 
ficazione del  pubblico,  hanno  bisogno  di  pace,  di  non 
aver  contese,  di  stare  in  buona  armonia  con  chi ....  E 
poi,  hanno  de'  parenti  al  secolo  ....  e  questi  alTaracci  di 
puntiglio ,  per  poco  che  vadano  in  lungo ,  s'  estendono, 

si  ramificano,  tiran  dentro mezzo  mondo.  Io  mi  trovo 

in  questa  benedetta  carica,  che  m'obbliga  a  sostenere 
un  certo  decoro Sua  eccellenza i  miei  signori  col- 
leghi   tutto  diviene  afTar  di  corpo tanto  più  con 

quell'altra  circostanza Lei  sa  come  vanno  queste  cose.  » 

«  Veramente,  »  disse  il  padre  provinciale,  «t  il  padre 
Cristoforo  è  predicatore;  e  avevo  già  qualche  pensiero... J 

Mi  si  richiede  appunto Ma  in  questo  momento,  in 

in  tali  circostanze,  potrebbe  parere  una  punizione  ;  e  una 
punizione  prima  d'aver  ben  messo  in  chiaro ....  » 

«  No  punizione,  no:  un  provvedimento  prudenziale, 
un  ripiego  di  comune  convenienza,  per  impedire  i  sini- 
stri che  potrebbero ....  mi  sono  spiegato.  » 

«  Tra  il  signor  conte  e  me,  la  cosa  rimane  in  questi 
termini  ;  iiilciido.  Ma,  stando  il  fatto  come  fu  riferito  a 
vostra  mai-I  ni  licenza,  è  impossibile,  mi  pare,  che  nel  paese 
non  sia  traspirato  qualcosa.  Per  tutto  e'  è  degli  aizzatori, 
de'  mettimale,  o  almeno  de'  curiosi  maligni  che.  se  pos- 


CAPITOLO  XIX.  351 

SDII  vedere  alle  prese  signori  e  religiosi ,  ci  lianno  un 

gusto  matto;  e  fiutano,  intei^pretano,  ciarlano Ognuno 

ha  il  suo  decoro  da  conservare  ;  e  io  poi ,  come  supe- 
riore (indegno),  ho  un  dovere  espresso....  L'onor  del- 
l'abito —  non  è  cosa  mia  —  è  un  deposilo  del  quale 

Il  suo  signor  nipote;  giachè  è  cosi  alterato,  come  dice 
vostra  magnificenza,  potrebbe  prender  la  cosa  come  una 
soddisfazione  data  a  lui,  e....  non  dico  vantarsene,  trion- 
farne, ma  . . .  .  » 

<t  Le  pare,  padre  molto  reverendo?  Mio  nipote  è  un 

cavaliere  che  nel  mondo  è  considerato secondo  il  suo 

grado  e  il  dovere  :  ma  davanti  a  me  è  un  ragazzo  ;  e 
non  farà  uè  piò  nò  meno  di  quello  che  gli  prescriverò 
io.  Le  dirò  di  più  :  mio  nipote  non  ne  saprà  nulla.  Che 
bisogno  abbiamo  noi  di  render  conto?  Son  cose  che  fac- 
ciamo Ira  di  noi ,  da  buoni  amici  ;  e  Ira  di  noi  hanno 
da  rimanere.  Non  si  dia  pensiero  di  ciò.  Devo  essere 
avvezzo  a  non  parlare.  »  E  soffiò.  «  In  quanto  ai  cica- 
loni, »  riprese,  «  che  vuol  che  dicano?  Un  religioso  che 
vada  a  predicare  in  un  altro  paese ,  ò  cosa  così  ordina- 
ria !  E  poi,  noi  che  vediamo noi  che  prevediamo 

noi  che  ci  tocca.. ..  non  dobbiamo  poi  curarci  delle  ciarle.» 

»  Però,  affine  di  prevenirle,  sarebbe  ikmic  che,  in  f|ue- 
st'occasione,  il  suo  signor  nipote  facesse  (pialche  dimo- 
strazione, desse  (pialche  segno  palese  d'amicizia,  di  ri- 
guardo ....  non  per  noi,  ma  per  l'abilo ....  » 

«  Sicuro,  sicuro;  quest'ò  giusto ....  Però  non  c'è  biso- 
gno: so  clic  i  cappuccini  son  sempre  accolti  come  si  deve 
da  mio  nipote.  Lo  fa  per  inclinazione:  è  un  genio  in 
famiglia:  e  poi  sa  di  far  cosa  grata  a  me.  Di'l  ivslo.  in 

questo  caso qualcosa  di  straordinario....  è  troppo 

giusto.  Lasci  fare  a  me  ,  padre  mollo  reverendo  ;  che 
comanderò  a  mio  nipote....  Cioè  bisognerà  insinuargli 
con  prudenza,  affincliè  non  s'avveda  di  (pn'l  che  è  pas- 
salo tra  (li  noi.  IV'rcbè  non  vorrei  alle  \olte  clic  nicl- 
l(!ssimo  nn  impiastr'o  dove  non  c/è  ferila.  K  pei'  {(nel  ch(> 
abbiamo  concluso,  (pianlo  pii'i  prcslo  sai'à.  meglio.  K  se 


352  I    PROMESSI   SPOSI 

si  (rovassc  qualche  niccliia  un  po'  lontana  ....  per  levar 
proprio  ogni  occa.sione  ....  » 

«  Mi  vien  chiesto  por  l'appunto  un  predicatore  da  Ri- 
uiiiii;  e  fors'anche,  senz'altro  motivo,  avrei  potuto  met- 
ter gli  occhi  ....  » 

a  Molto  a  proposito,  mollo  a  proposito.  E  quando...?  >• 

«  Giacché  la  cosa  si  deve  fare,  si  farà  presto.  » 

«  Presto,  presto,  padre  molto  reverendo  :  meglio  oggi 
che  domani.  E,»  continuava  poi,  alzandosi  da  sedere, 
«  se  posso  qualche  cosa,  tanto  io,  come  la  mia  famiglia, 
per  i  nostri  huoni  padri  cappuccini » 

«Conosciamo  per  prova  la  bontà  della  casa,»  disse 
il  padre  provinciale ,  alzatosi  anche  lui ,  e  avviandosi 
verso  l'uscio,  dietro  al  suo  vincitore. 

«Abbiamo  spento  una  favilla,»  disse  questo,  soffer- 
mandosi, «  una  favilla,  padre  mollo  reverendo,  che  po- 
teva destare  un  grand'  incendio.  Tra  buoni  amici,  con 
due  parole  s'accomodano  di  gran  cose.  » 

Arrivato  all'  uscio,  lo  spalancò,  e  volle  assolutamente 
che  il  padre  provinciale  andasse  avanti:  entrarono  nel- 
Tallra  stanza,  e  si  riunirono  al  resto  della  compagnia. 

Un  grande  studio ,  una  grand'  arte ,  di  gran  parole , 
metteva  quel  signore  nel  maneggio  d'  un  affare  ;  ma 
produceva  poi  anche  elTetti  corrispondenti.  Infatti,  col 
colloquio  che  abbiam  riferito,  riusci  a  far  andar  fra  Cri- 
stoforo a  piedi  da  Pescarenico  a  Rimini,  che  è  una  bella 
passeggiata. 

Una  sera,  arriva  a  Pescarenico  un  cappuccino  di  Mi- 
lano, con  un  plico  per  il  padre  guardiano.  C'è  dentro 
l'obbedienza  per  fra  Cristoforo,  di  portarsi  a  Rimini, 
dove  predicherà  la  quaresima.  La  lettera  al  guardiano 
porta  l'istruzione  d'insinuare  al  dello  frale  che  deponga 
ogni  pensiero  d'atfari  che  potesse  avere  avviali  nel  paese 
da  cui  deve  partire,  e  che  non  vi  mantenga  corrispon- 
denze :  il  frale  latore  dev'essere  il  compagno  di  viaggio. 
Il  guardiano  non  dice  nulla  la  sera;  la  mattina,  fa  chia- 
mar fra  Crislufoi'o,  gli  fa  vedere  l'obbcd lenza,  gli  dice  che 


ÒAfITÒLO  XIX.  35.1 

vada  a  prender  la  sporta,  il  bastone,  il  sudario  e  la 
cintura,  e  con  quel  padre  compagno  che  gii  presenta, 
si  metta  poi  subito  in  viaggio. 

Se  fu  un  colpo  per  il  nostro  frate,  lo  lascio  pensare 
a  voi.  Renzo,  Lucia,  Agnese,  gli  vennero  subito  in  mente; 
e  esclamò,  per  dir  così,  dentro  di  sé  :  —  Oh  Dio  !  cosa 
faranno  que' meschini,  quando  io  non  sarò  più  qui!  — 
3Ia  alzò  gli  occhi  al  cielo,  e  s'accusò  d'aver  mancato  di 
fiducia,  d'essersi  creduto  necessario  a  qualche  cosa.  Mise 
le  mani  in  croce  sul  petto ,  in  segno   d'  ubbidienza ,    e 
chinò  la  testa  davanti  al  padre  guardiano:  il   quale   lo 
tirò  poi  in  disparte,  e  gli  diede  quell'altro  avviso,  con 
parole  di  consiglio,  e  con  significazione  di  precetto.  Fra 
Cristoforo  andò  alla  sua  cella,  prese  la  sporta,  vi  ripose 
il  breviario,  il  suo  quaresimale,  e  il  pane  del  perdono, 
s'allacciò  la  tonaca  con  la  sua  cintura  di  pelle,  si  licen- 
ziò da'suoi  confratelli  che  si  trovavano  in  convento,  andò 
da  ultimo  a  prender  la  benedizione  del  guardiano,  e  col 
compagno,  prese  la  strada  che  gli  era  stata  prescritta. 
Abbiamo  detto  che  don  Rodrigo,  intestalo  più  che  mai 
di  venire  a  fine  della  sua  bella  impresa,  s'  era  risoluto 
di  cercare  il  soccorso  d'un  terribile  uomo.  Di  costui  non 
possiam  dare  nò  il  nome,  nò  il  cognome,  nò  un  titolo, 
e  nemmeno  una  congettura  sopra   nulla    di    tutto   ciò  ; 
cosa  tanto  più  strana,  che  del  personaggio  troviamo  me- 
moria in  più  d'un  libro  (libri  stampati ,  dico)  di   quel 
tempo.  Che  il  personaggio  sia  quel  medesimo,  l'identità 
de'fatti  non  lascia  luogo  a  dubitarne;  ma  per  tutto  un 
grande  studio  a  scansarne  il  nome,  ([nasi  avesse  dovuto 
bruciar  la  jìcnna,  la  mano  dello  scrittore.  Francesco  Ri- 
vola, nella  vita  del  cardinal  Federigo  Rorromeo,  dovendo 
parlar  di  quelTuomo,  lo  chiama  «  un  signore  altrettanto 
potente  per  ricchezze,  quanto   nobile  per   nascila,  »  e 
fermi  lì.  Gius(;ppe  Ripamonti,  che,  nel  ([uinto  libro  della 
quinta  decade  della  sua  Storia  Patria,  ne  fa  itiù  dislesa 
menzione,  lo  nomina  uno,  costui,  colui,  (piest'uomo,  quel 
personaggio.   «Riferirò,»   dice,  nel  suo  bel    laluio ,   da 

vor..  I.  15" 


3S4  1   PROMESSI   SPOSI 

cui  traduciamo  come  ci  riesce ,  «  il  caso  d"  un  tale  clic 
essendo  de'primi  tra  i  grandi  della  città,  aveva  stabilita 
la  sua  dimora  in  una  campagna,  situata  sul  confine;  e 
li,  assicurandosi  a  forza  di  delitti,  teneva  per  niente  i 
giudizi,  i  giudici,  ogni  magistratura,  la  sovranità;  me- 
nava una  vita  affatto  indipendente;  ricettatore  di  foru- 
sciti,  foruscito  un  tempo  anche  lui  ;  poi  tornato ,  come 

se  niente  fosse »   Da    questo   scrittore   prenderemo 

qualche  altro  passo,  che  ci  venga  in  taglio  per  confer- 
mare e  per  dUucidare  il  racconto  del  nostro  anonimo  ; 
col  quale  tiriamo  avanti. 

Fare  ciò  ch'era  vietalo  dalle  leggi,  o  impedito  da  una 
forza  qualunque;  esser  arbitro,  padrone  negli  affari  al- 
trui, senz'altro  interesse  che  il  gusto  di  comandare;  es- 
ser temuto  da  tutti,  aver  la  mano  da  coloro  eh'  eran  so- 
liti averla  dagli  altri  ;  tali  erano  state  in  ogni  tempo  le 
passioni  principali  di  costui.  Fino  dall'adolescenza,  allo 
spettacolo  e  al  rumore  di  tante  prepotenze,  di  tante  gare, 
alla  vista  di  tanti  tiranni,  provava  un  misto  sentimento 
di  sdegno  e  d' invidia  impaziente.  Giovine,  e  vivendo  in 
città,  non  tralasciava  occasione,  anzi  n'  andava  in  cerca, 
d'aver  che  dire  co'  più  famosi  di  quella  professione, 
d' attraversarli,  per  provarsi  con  loro,  e  farli  stare  a  do- 
vere, 0  tirarli  a  cercare  la  sua  amicizia.  Superiore  di 
ricchezze  e  di  seguito  alla  più  parte,  e  forse  a  tutti  d'ar- 
dire e  di  costanza,  ne  ridusse  molti  a  ritirarsi  da  ogni 
rivalità,  molti  ne  conciò  male,  molti  n'ebbe  amici;  non 
già  amici  del  pari,  ma,  come  soltanto  potevan  piacere  a 
lui,  amici  subordinati,  che  si  riconoscessero  suoi  infe- 
riori, che  gli  stessero  alla  sinistra.  Nel  fatto  però,  veniva 
anche  lui  a  essere  il  faccendiere,  lo  strumento  di  tutti 
coloro:  essi  non  mancavano  di  richiedere  ne' loro  im- 
pegni l'opera  d'un  tanto  ausUiario;  per  lui,  tirarsene 
indietro  sarebbe  stato  decadere  dalla  sua  riputazione,  man- 
care al  suo  assunto.  Di  maniera  che,  per  conto  suo,  e  per 
conto  d' altri,  tante  ne  fece  che,  non  bastando  ne  il  nome, 
ne  il  parentado,  né  gli  amici,  ne  la  sua  audacia  a  so- 


CAPITOLO  XIX.  355 

stoneiio  contro  i  bandi  pubblici,  e  contro  tante  animo- 
sità potenti,  dovette  dar  luogo,  e  uscir  dallo  stato.  Credo 
che  a  questa  circostanza  si  riferisca  un  tratto  notabile 
raccontato  dal  Ripamonti.  «  Una  volta  che  costui  ebbe  a 
sgomberare  il  paese,  la  segretezza  che  usò,  il  rispetto, 
la  timidezza,  furon  tali  :  attraversò  la  città  a  cavallo,  con 
un  seguito  di  cani,  a  suon  di  tromba;  e  passando  da- 
vanti al  palazzo  di  corte,  lasciò  alla  guardia  un'imba- 
sciata d' impertinenze  per  il  governatore.  » 

Neir  assenza,  non  ruppe  le  pratiche  ,  né  tralasciò  le 
corrispondenze  con  que'suoi  tali  amici,  i  quali  rimasero 
uniti  con  lui,  per  tradurre  letteralmente  dal  Ripamonti, 
«in  lega  occulta  di  consigli  atroci,  e  di  cose  funeste.» 
Pare  anzi  che  allora  contraesse  con  più  alte  persone, 
certe  nuove  terribili  pratiche,  delle  quali  lo  storico  sum- 
mentovato  parla  con  una  brevità  misteriosa.  »  Anche  al- 
cuni principi  esteri,»  dice,  «si  valsero  più  volte  del- 
l'opera sua,  per  qualche  importante  omicidio,  e  spesso 
gli  ebbero  a  mandar  da  lontano  rinforzi  di  gente  che 
servisse  sotto  i  suoi  ordini,  » 

Finalmente  (non  si  sa  dopo  quanto  tempo)  o  fosse  le- 
valo il  bando,  per  qualche  polente  intercessione,  o  l'au- 
dacia di  quell'uomo  gli  tenesse  luogo  d'immunità,  si 
risolvette  di  tornare  a  casa,  e  vi  tornò  difatli;  non  però 
in  Milano,  ma  in  un  castello  confinante  col  territorio 
bergamasco,  che  allora  era,  come  ognun  sa,  stato  ve- 
neto. «Quella  casa,»  cito  ancora  il  Ripamonti,  «era 
come  un'officina  di  mandali  sanguinosi:  servitori,  la  cui 
testa  era  messa  a  taglia,  e  che  avc^van  per  mestiere  di 
troncar  teste:  ne  cuoco,  nò  sguattero  dispensati  dal- 
l' omicidio:  le  mani  de' ragazzi  insanguinate.  »  Oltre  que- 
sta bella  famiglia  domestica,  n'aveva,  come  all'erma  lo 
stesso  storico,  un'altra  di  sogg(!tti  simili,  dispersi  e  pO' 
sii  come  a  quartieri!  in  vari  luoghi  de'  dm;  stati  sul 
lembo  de'(iuali  viveva,  e  i)ronti   sempre  a' suoi   ordini. 

Tutti  i  tiranni,  per  un  bel  tratto  di  paese  all'intorno, 
avevan  dovuto,  chi  in  un'occasione  e  chi  in  un'altra, 


tiriC)  1   PROMESSI    SPOSI 

scegliere  tra  l'amicizia  e  l'inimicizia  di  quel  tiranno 
straordinario.  Ma  ai  primi  che  avevano  voluto  provar  di 
resistergli,  la  gli  era  andata  cosi  male,  che  nessuno  si 
sentiva  più  di  mettersi  a  quella  prova.  E  neppur  col 
hadare  a' falli  suoi,  con  lo  stare  a  sé,  uno  non  poteva 
rimanere  indipendente  da  lui.  Capitava  un  suo  messo  a 
intimargli  che  abbandonasse  la  tale  impresa,  che  cessasse 
di  molestare  il  tal  debitore,  o  cose  simili:  bisognava  ri- 
spondere sì  0  no.  Quando  una  parte,  con  un  omaggio 
vassallesco,  era  andata  a  rimettere  in  lui  un  affare  qua- 
lunque, l'altra  parte  si  trovava  a  quella  dura  scella,  o 
di  stare  alla  sua  sentenza,  o  di  dichiararsi  suo  nemico; 
il  che  equivaleva  a  esser,  come  si  diceva  altre  volte ,  ti- 
sico in  terzo  grado.  Molti,  avendo  il  torto,  ricorrevano  a 
lui  per  aver  ragione  in  elTelto;  molti  anche  avendo  ra- 
gione, per  preoccupare  un  così  gran -patrocinio,?, e  chiu- 
derne l'adito  all'avversario:  gli  uni  e  gli  altri  diveni- 
vano più  specialmente  suoi  dipendenti.  Accadde  qualche 
volta  che  un  debole  oppresso,  vessato  da  un  prepolcnte, 
si  rivolse  a  lui;  e  lui  prendendo  le  parti  del  debole, 
forzò  il  prepotente  a  finirla ,  a  riparare  il  mal  fatto,  a 
chiedere  scusa;  o,  se  stava  duro,  gli  mosse  tal  guerra, 
da  costringerlo  a  sfrattar  dai  luoghi  che  aveva  tiran- 
neggiati, 0  gli  fece  anche  pagare  un  più  pronto  e  più 
terribile  fio.  E  in  quei  casi,  quel  nome  tanto  temuto  e 
abborrito  era  stalo  benedetto  un  momento:  perchè,  non 
dirò  quella  giustizia,  ma  quel  rimedio,  quel  compenso 
qualunque,  non  si  sarebbe  potuto,  in  que'  tempi,  aspet- 
tarlo da  nessun'altra  forza  né  privata,  né  pubblica.  Più 
spesso,  anzi  per  l' ordinario,  la  sua  era  stata  ed  era  mi- 
nistra di  voleri  iniqui,  di  soddisfazioni  atroci,  di  capricci 
superbi.  Ma  gli  usi  così  diversi  di  quella  forza  produ- 
cevan  sempre  l'effetto  medesimo,  d'imprimere  negli 
animi  una  grand' idea  di  quanto  egli  potesse  volere  e 
eseguire  in  onta  dell' equità  e  dell'iniquità,  quelle  due 
cose  che  metton  tanti  ostacoli  alla  volontà  degli  uomini, 
e  li  fanno  cosi  spesso  tornare  indietro.  La  fama  de"  ti- 


CAPITOLO  XIX.  3S^ 

ranni  ordinari  rimaneva  per  lo  più  ristrcKa  in  (|ue]  pic- 
colo tratto  eli  paese  dov'erano  i  più  ricchi  e  i  più  forti; 
ogni  distretto  aveva  i  suoi;  e  si  rassomigliavan  tanto, 
che  non  c'era  ragione  che  la  gente  s'occupasse  di  quelli 
che  non  aveva  a  ridosso.  Ma  la  fama  di  questo  nostro 
era  già  da  gran  tempo  diffusa  in  ogni  parte  del  mila- 
nese: per  tutto,  la  sua  vita  era  un  soggetto  di  racconti 
popolari  ;  e  il  suo  nome  significava  qualcosa  d' irresisti- 
bile, di  strano,  di  favoloso.  Il  sospetto  che  per  lutto  s'a- 
veva de'  suoi  collegati  e  de'  suoi  sicari,  contribuiva  an- 
ch'esso  a  tener  viva  per  tutto  la  memoria  di  lui.  Non 
eran  più  che  sospetti;  giacché  chi  avrebbe  confessala 
apertamente  una  tale  dipendenza?  ma  ogni  tiranno  po- 
teva essere  un  suo  collegato,  ogni  malandrino,  uno  de' 
suoi;  e  l'incertezza  slessa  rendeva  più  vasta  l' opinione, 
e  più  cupo  il  terrore  della  cosa.  E  ogni  volta  che  in 
qualche  parte  si  vedessero  comparire  figure  di  bravi  sco- 
nosciute e  più  brutte  dell'ordinario,  a  ogni  fallo  enorme 
di  cui  non  si  sapesse  alla  prima  indicare  o  indovinar 
r  autore,  si  proferiva,  si  mormorava  il  nome  di  colui  che 
noi,  grazie  a  quella  benedetta,  per  non  dir  altro,  circo- 
spezione de' nostri  autori,  saremo  costretti  a  chiamare 
r  innumirialo. 

Dal  caslellaccio  di  costui  al  palazzotto  di  don  Rodrigo, 
non  c'era  più  di  sette  miglia:  e  quest'ultimo,  appena 
divenuto  padrone  e  tiranno,  aveva  dovuto  vedere  che,  a 
così  poca  distanza  da  un  tal  personaggio,  non  era  pos- 
sibile far  (piel  mestiere  senza  venire  alle  prese,  o  andar 
d'accordo  con  lui.  Gii  s'era  perciò  offerto  e  gli  era  di- 
venuto amico,  al  modo  di  tulli  gli  altri,  s'intende;  gli 
aveva  reso  più  d'un  servizio  (il  manoscritto  non  dice  di 
più);  e  n'aveva  riportato  ogni  volta  piomesse  di  con- 
traccambio e  d'aiulo  ,  in  (pialunque  occasione.  Met- 
teva però  molla  cura  a  nascondere  una  lalc;  amicizia,  o 
almeno  a  non  lasciare  scorgere  quanto  stretta,  e  di  che 
natura  fosse.  Don  Rodrigo  voleva  bensì  fare  il  tiranno, 
ma  non  tiranno  salvalico:  la  professione  era  per  lui  un 


358  I  PROMESSI   SPOSI,   CAPITOLO   XIX. 

mezzo,  non  uno  scopo:  voleva  dimorar  liberamente  in 
città,  godere  i  comodi,  gli  spassi,  gli  onori  della  vita  ci- 
vile; e  perciò  bisognava  cbe  usasse  certi  riguardi,  tenesse 
di  conio  parenti,  coltivasse  l'amicizia  di  persone  alte, 
avesse  una  mano  sulle  bilance  della  giustizia,  per  farle 
a  un  bisogno  traboccare  dalla  sua  parte,  o  per  farle  spa- 
rire, 0  per  darle  anche,  in  qualche  occasione,  sulla  testa 
di  qualcheduno  che  in  quel  modo  si  potesse  servir  più 
facilmente  che  con  l' armi  della  violenza  privata.  Ora, 
r  intrinsichezza,  diciam  meglio,  una  lega  con  un  uomo 
di  quella  sorte^  con  un  aperto  nemico  della  forza  pub- 
blica, non  gli  avrebbe  certamente  fatto  buon  gioco  a  ciò, 
specialmente  presso  il  conte  zio.  Però  quel  tanto  d'una 
tale  amicizia  che  non  era  possibile  di  nascondere,  poteva 
passare  per  una  relazione  indispensabile  con  un  uomo  la 
cui  inimicizia  era  troppo  pericolosa  ;  e  così  ricevere  scusa 
dalla  necessità;  giacché  chi  ha  l'assunto  di  provvedere, 
e  non  n'ha  la  volontà,  o  non  ne  trova  il  verso,  alla 
lunga  acconsente  che  altri  provveda  da  se,  fino  a  un  certo 
segno,  a'  casi  suoi;  e  se  non  acconsente  espressamente, 
chiude  un  occhio. 

Una  mattina,  don  Rodrigo  uscì  a  cavallo,  in  treno  da 
caccia,  con  una  piccola  scorta  di  bravi  a  piedi;  il  Griso 
alla  statTa,  e  quattro  altri  in  coda;  e  s'avviò  al  castello 
dell'innominato. 


CAPITOLO  XX. 


Il  castello  dell'innominato  era  a  cavaliere  a  una  valle 
angusta  e  uggiosa,  sulla  cima  d'un  poggio  che  sporge 
in  fuori  da  un'aspra  giogaia  di  monti,  ed  è,  non  si  sa- 
prebbe dir  bene,  se  congiunto  ad  essa  o  separatone,  da 
un  mucchio  di  massi  e  di  dirupi,  e  da  un  andirivieni  di 
tane  e  di  precipizi,  che  si  prolungano  anche  dalle  due 
parti.  Quella  che  guarda  la  valle  è  la  sola  praticabile,  un 
pendìo  piuttosto  erto,  ma  uguale  e  continuato;  a  prati 
in  alto;  nelle  falde  a  campi,  sparsi  qua  e  là  di  casucce. 
Il  fondo  è  un  letto  di  ciottoloni ,  dove  scorre  un  riga- 
gnolo o  torrcntaccio,  secondo  la  stagione:  allora  serviva 
di  confine  ai  due  stati.  I  gioghi  opposti,  che  formano,  per 
dir  cosi,  l'altra  parete  della  valle,  hanno  anch'essi  un 
po' di  falda  coltivata  ;  il  resto  è  schegge  e  macigni,  erte 
ripide,  senza  strada  e  nude,  meno  qualche  cespuglio  nei 
fessi  e  sui  ciglioni. 

Dall'alto  del  castellaccio,  come  l'aquila  dal  suo  nitlo  iii- 
sangninalo,  il  selvaggio  signore  dominava  all'inlorno  tutto 
lo  si)aziu  dove  piede  (raoino  potesse  posarsi,  e  non  vedeva 
mai  nessuno  al  di    sui>ra  di  sé,  né  i»iii  in  ;dlo.  Dando 


360  I   PROMESSI   SPOSI 

un'occhiata  in  giro,  scorreva  tulio  quel  rcciiilo,  i  pendii, 
il  fondo,  le  strade  praticate  \h  dentro.  Quella  che,  a  go- 
miti e  a  giravolte,  saliva  al  terribile  domicilio,  si  spiegava 
davanti  a  chi  guardasse  di  lassù,  come  un  nastro  ser- 
peggiante; dalle  finestre,  dalle  feritoie,  poteva  il  signore 
contare  a  suo  heir  agio  i  passi  di  chi  veniva,  e  spianar- 
gli Tarme  contro,  cento  volte.  E  anche  d'una  grossa  coni- 
pagnia,  avrebbe  potuto,  con  quella  guarnigione  di  bravi 
che  teneva  lassù,  stenderne  sul  sentiero,  o  farne  ruzzo- 
lare al  fondo  parecchi,  prima  che  uno  arrivas.se  a  toccar 
la  cima.  Del  resto,  non  che  lassù,  ma  neppure  nella  valle, 
e  neppur  di  passaggio,  non  ardiva  metter  piede  nessuno 
che  non  fosse  ben  visto  dal  padrone  del  castello.  Il  bii'ro 
poi  che  vi  si  fos,se  lasciato  vedere,  sarebbe  stato  trattalo 
come  una  spia  nemica  che  venga  colta  in  un  accampa- 
mento. Si  raccontavano  le  storie  tragiche  degli  ultimi  che 
avevano  voluto  tentar  l'impresa;  ma  eran  già  storie  an- 
tiche; e  nessuno  de' giovani  si  rammentava  d'aver  ve- 
duto nella  valle  uno  di  quella  razza,  né  vivo,  nò  morto. 

Tale  è  la  descrizione  che  l'anonimo  fa  del  luogo:  del 
nome,  nulla  ;  anzi,  per  non  metterci  sulla  strada  di  sco- 
prirlo, non  dice  niente  del  viaggio  di  don  Rodrigo,  e  lo 
porta  addirittura  nel  mezzo  della  valle  appiè  del  poggio, 
all'imboccatura  dell'erto  e  tortuoso  sentiero.  Lì  c'era  una 
taverna,  che  si  sarebbe  anche  potuta  chiamare  un  corpo 
di  guardia.  Sur  una  vecchia  insegna  che  pendeva  sopra 
r  uscio ,  era  dipinto  da  tutt'  e  due  le  parti  un  sole  rag- 
giante; ma  la  voce  pubblica,  che  talvolta  ripete  i  nomi 
come  le  vengono  insegnati,  talvolta  li  rifcà  a  modo  suo, 
non  chiamava  quella  taverna  che  col  nome  della  Malanollc. 

Al  rumore  d'una  cavalcatura  che  s'avvicinava,  com- 
parve sulla  soglia  un  ragazzaccio  armato  come  un  Sara- 
cino ;  e  data  un'occhiata,  entrò  ad  informare  tre  sgherri, 
che  stavan  giocando,  con  certe  carte  sudicc  e  piegale  in 
forma  di  tegoli.  Colui  che  pareva  il  capo  s'alzò,  s'af- 
facciò all'uscio,  e  riconosciuto  un  amico  del  suo  pa- 
drone, lo  salutò  rispettosamente.  Don  Rodrigo,  resogli 


CAPITOLO   XX  3G1 

con  molto  garbo  il  saluto,  domandò  se  il  signore  si  tro- 
vasse al  castello  ;  e  rispostogli  da  quel  caporalaccio  che 
credeva  di  sì,  smontò  da  cavallo,  e  buttò  la  briglia  al 
Tiradritto,  uno  del  suo  seguilo.  Si  levò  lo  schioppo,  e 
lo  consegnò  al  Montanarolo ,  come  per  isgravarsi  d'  un 
peso  inutile,  e  salir  più  lesto;  ma,  in  realtà,  perchè  sapeva 
bene,  che  su  queir  erta  non  era  permesso  d'andar  con  lo 
schioppo.  Si  cavò  poi  di  tasca  alcune  berlinghe,  e  le 
diede  al  Tanabuso,  dicendogli:  voi  altri  state  ad  aspet- 
tarmi; e  intanto  starete  un  po' allegri  con  questa  brava 
gente.  *  Cavò  hnalmente  alcuni  scudi  d'oro  e  li  mise 
in  mano  al  caporalaccio  ;  assegnandone  metà  a  lui ,  e 
metà  da  dividersi  tra  i  suoi  uomini.  Finalmente ,  col 
Griso,  che  aveva  anche  lui  posato  lo  schioppo,  cominciò 
a  piedi  la  salita.  Intanto  i  tre  bravi  sopradetti,  e  lo  Squin- 
ternotto  ch'era  il  quarto  (oh!  vedete  che  bei  nomi,  da 
serbarceli  con  tanta  cura),  rimasero  coi  tre  dell'  innomi- 
nato, e  con  quel  ragazzo  allevato  alle  forcbe,  a  giocare, 
a  trincare,  e  raccontarsi  a  vicenda  le  loro  prodezze. 

Un  altro  bravaccio  dell'  innominato  ,  che  saliva ,  rag- 
giunse poco  dopo  don  Rodrigo:  lo  guardò^  lo  riconobbe, 
e  s'accompagnò  con  lui;  e  gli  risparmiò  così  la  noia  di 
dire  il  suo  nome,  e  di  rendere  altro  conto  di  sé  a  quan- 
l' altri  avrebbe  incontrati,  che  non  lo  conoscessero.  Arri- 
vato al  castello,  e  introdotto  (lasciando  però  il  Griso  alla 
poi'la)j  fu  fatto  passare  per  un  andirivieni  di  corridoi 
bui,  e  per  varie  sale  (appczzate  di  moschelti,  di  sciabole 
e  di  partigiane,  e  in  ognuna  delle  (piali  c'era  di  guardia 
ciualcbe  bravo;  e,  dopo  avere  alquanto  aspettalo,  fu  am- 
messo in  quella  dove  si  trovava  l'innominato. 

Questo  gli  andò  incontro,  rendendogli  il  saluto,  e  in 
sieine  unardandoali  le  mani  e  il  viso  ^  come  faceva  per 
abiliidinc,  <>  oi'mai  ipiasi  involontariamente,  a  chiun(|ue 
venisse  da  lui,  per  ({uanlo  fosse  d(i'  più  vecclii  e  provati 
amici.  Kra  grande,  bruno,  calvo;  bianchi  i  pochi  capelli 
che  gli  rimanevano;  rugosa  la  faccia:  a  prima  vista,  gii 
si  sarebbe  dato  itiù  tic' sessaiil' anni  cbe  aveva:  ni.i  il 
voL.  i.  le, 


362  I   PHOMESSI  SPOSI 

contegno,  le  mosse,  la  durezza  risentita  de' lineamenli,  il 
I  ampeggiar  sinistro,  ma  vivo  degli  occhi,  indicavano  una 
forza  di  corpo  e  d'animo,  che  sarebbe  stata  straordinaria 
in  un  giovane. 

Don  Rodrigo  disse  che  veniva  per  consiglio  e  per 
aiuto:  che,  trovandosi  in  un  impegno  difficile,  dal  quale 
il  suo  onore  non  gli  permetteva  di  ritirarsi,  s'era  ricor- 
dato delle  promesse  di  (luell'uomo  che  non  prometteva 
mai  troppo,  né  invano  ;  e  si  fece  ad  esporre  il  suo  scel- 
lerato imbroglio.  L' innominato  che  ne  sapeva  già  qual- 
cosa, ma  in  confuso,  stette  a  sentire  con  attenzioni*,  e 
come  curioso  di  simili  storie,  e  per  essere  in  questa  mi- 
schiato un  nome  a  lui  noto  e  odiosissimo,  quello  di  fra 
Cristoforo,  nemico  aperto  de  tiranni,  e  in  parole  e,  dove 
poteva,  in  opere.  Don  Rodrigo,  sapendo  con  chi  parlava, 
si  mise  poi  a  esagerare  le  difficoltà  dell'  impresa  ;  la  di- 
stanza del  luogo,  un  monastero,  la  signora  !..  . .  A  que- 
sto, r  innominato,  come  se  un  demonio  nascosto  nel  suo 
cuore  gliel  avesse  comandato,  interruppe  subitamente 
dicendo  che  prendeva  l' impresa  sopra  di  sé.  Prese  l' ap- 
punto del  nome  della  nostra  povera  Lucia,  e  licenziò 
don  Rodrigo,  dicendo:  «  tra  poco  avrete  da  me  l'avviso 
di  quel  che  dovrete  fare.  » 

Se  il  lettore  si  ricorda  di  quello  sciagurato  Egidio  che 
abitava  accanto  al  monastero  dove  la  povera  Lucia  stava 
ricoverata,  sappia  ora  che  costui  era  uno  de'  più  stretti 
ed  inlimi  colleghi  di  scelleratezze  che  avesse  l' innomi- 
nato :  perciò  questo  aveva  lasciata  correre  così  pronta- 
mente e  risolutamente  la  sua  parola.  Ma  appena  rimase 
solo,  si  trovò^  non  dirò  pentito,  ma  indispettito  d'averla 
data.  Già  da  qualche  tempo  cominciava  a  provare,  se 
non  un  rimorso,  una  cert'  uggia  delle  sue  scelleratezze. 
Quelle  tante  eh'  erano  ammontate,  se  non  sulla  sua  co- 
scienza, ahneno  nella  sua  memoria,  si  risvegliavano  ogni 
•volta  che  ne  commettesse  una  di  nuovo,  e  si  presenta- 
vano all'  animo  brutte  e  troppe  ;  era  come  il  crescere  e 
crescere  d'un  peso  già  incomodo.  Una  certa  ripugnanza 


CAPITOLO  XX.  363 

provata  ne'  primi  delitti,  e  vinta  poi,  e  scomparsa  quasi 
atTatto,  (ornava  ora  a  farsi  sentire.  Ma  in  qiie'  primi  tempi 
r  immagine  d'un  avvenire  lungo,  indeterminalo,  il  sen- 
timento d' una  vitalità  vigorosa,  riempivano  l' animo  d'una 
fiducia  spensierata;  ora  all'opposto,  i  pensieri  dell'avve- 
nire eran  quelli  che  rendevano  più  noioso  il  passato.  — 
Invecchiare!  morire!  e  poi?  —  E,  cosa  notahile!  l'im- 
magine della  morte,  che,  in  un  pericolo  vicino,  a  fronte 
d'un  nemico,  soleva  raddoppiar  gli  spiriti  di  quell'  uomo, 
e  infondergli  un'  ira  piena  di  coraggio,  quella  stessa  im- 
magine, apparendogli  nel  silenzio  della  notte,  nella  si- 
curezza del  suo  castello,  gli  metteva  addosso  una  coster- 
nazione repentina.  Non  era  la  morte  minacciata  da  un 
avversario  mortale  anche  lui;  non  si  poteva  rispingerla 
con  armi  migliori,  e  con  un  braccio  più  pronto;  veniva 
sola,  nasceva  di  d(Mitro;  era  forse  ancor  lontana,  ma  fa- 
ceva un  passo  ogni  mouKMito;  e,  intanto  che  la  mente 
combatteva  dolorosamente  per  allontanarne  il  pensiero , 
quella  s'  avvicinava.  Ne'  primi  tempi,  gli  esempi  cosi  fre- 
quenti, lo  spettacolo,  per  dir  così,  continuo  della  vio- 
lenza, della  vendetta,  dell'omicidio,  inspirandogli  un'emu- 
lazione feroce,  gli  avevano  anche  servilo  come  d'una  specie 
d'auloril<à  contro  la  coscienza:  ora,  gli  rinasceva  ogni 
tanto  nell'animo  l'idea  confusa,  ma  terribile,  d' un  giu- 
dizio individuaN^  d'una  ragione  indipendente  dall'esem- 
pio; ora,  l'essere  uscito  dalla  turba  volgare  de'  malvagi, 
Tessere  innanzi  a  tutti,  gli  dava  talvolta  il  sentimento 
d'  una  solitudine  Ircnienda.  Quel  Dio  di  cui  aveva  sen- 
tito parlare,  ma  che,  da  gran  tempo,  non  si  curava  di 
negare  nò  di  riconoscere,  occupato  sollanlo  a  vivere  cojne 
se  non  ci  fosse,  ora,  in  certi  momenti  d' abbattimento 
senza  motivo,  di  teirore  senza  pericolo,  gli  pareva  sen- 
tirlo gridar  dentro  di  so:  Io  sono  però.  Nel  primo  bollor 
delle  passioni,  la  legge  che  aveva,  se  non  altro,  sciilita 
annuiiziaiv  in  nome  dì  I.ni,  non  gli  (M'a  parsa  che  odiosa: 
ora,  quando  gli  tornava  (rinq)rovviso  alla  mente,  la  im^nlc, 
suo,  malgrado,  la  concepiva  come  una  cosa  che  ha  il  suo 


364  1   PROMESSI    SPOSI 

adempimento.  Ma,  non  che  aprirsi  con  nessuno  su  questa 
sua  nuova  inquietudine,  la  copriva  anzi  profondamente 
e  la  mascherava  con  F apparenze  d'una  più  cupa  ferocia; 
e  con  questo  mezzo,  cercava  anche  di  nasconderla  a  se 
stesso,  0  di  soffogarla.  Invidiando  (giacche  non  poteva 
annientarli  né  dimenticarli)  que'  tempi  in  cui  era  solito 
commettere  l'iniquità  senza  rimorso,  senz'  altro  pensiero 
che  della  riuscita,  faceva  ogni  sforzo  per  farli  tornare, 
per  ritenere,  o  per  riafferrare  quell'antica  volonlà,  pronta, 
superha,  imperlurbala,  per  convincer  se  stesso  ch'era  an- 
cor quello. 

Cosi  in  quest'occasione,  aveva  subito  impegnata  la  sua 
parola  a  don  Rodrigo,  per  chiudersi  Y  adito  a  ogni  esi- 
tazione. Ma  appena  partito  costui,  sentendo  scemare  quella 
fermezza  che  s'  era  comandata  per  promettere,  sentendo 
a  poco  a  poco  venirsi  innanzi  nella  mente  pensici  i  che 
lo  tentavano  di  mancare  a  quella  parola,  e  1'  avrebbero 
condotto  a  scomparire  in  faccia  a  un  amico,  a  un  com- 
plice secondario;  per  troncare  a  un  tratto  quel  contrasto 
penoso,  chiamò  il  Nibbio^  uno  de'  più  destri  e  arditi 
ministri  delle  sue  enormità,  e  quello  di  cui  era  solilo 
servirsi  per  la  corrispondenza  con  Egidio.  E,  con  aria 
risoluta,  gli  comandò  che  montasse  subito  a  cavallo,  an- 
dasse diritto  a  Monza ,  informasse  Egidio  dell'  impegno 
contratto,  e  richiedesse  il  suo  aiuto  per  adempirlo. 

Il  messo  ribaldo  tornò  più  presto  che  il  suo  padrone 
non  se  l'aspettasse,  con  la  risposta  d'Egidio;  che  l' impresa 
era  facile  e  sicura  ;  gli  si  mandasse  subito  una  carrozza, 
con  due  o  tre  bravi  ben  travisati  ;  e  lui  prendeva  la  cura 
di  tutto  il  resto,  e  guiderebbe  la  cosa.  A  quest'annunzio, 
l'innominato,  comunque  stesse  di  dentro,  diede  ordine  in 
fretta  al  Nibbio  slesso,  che  disponesse  tutto  secondo  aveva 
dello  Egidio,  e  andasse  con  due  altri  che  gli  nominò, 
alla  spedizione. 

Se  per  rendere  l'orribile  servizio  che  gli  era  stato  chie- 
.sto,  Egidio  avesse  dovuto  far  conio  de'  soli  suoi  mezzi 
prdinari,  non  avrebbe  certamente  data  così    subito  una 


CAPITOLO  XX.  365 

promessa  così  decisa.  Ma  ,  in  queir  asilo  .slesso  dove  pa- 
reva che  lutto  dovesse  essere  ostacolo,  l'atroce  giovine 
aveva  un  mezzo  nolo  a  lui  solo,  e  ciò  che  per  gii  altri 
sarehhe  stata  la  maggior  difficoltà,  era  strumento  por  lui. 
Noi  abhiamo  riferito  come  la  sciagurata  signora  desse 
una  volta  retta  alle  sue  parole;  e  il  lettore  può  avere 
inteso  che  quella  volta  non  fu  l'ultima,  non  fu  che  un 
primo  passo  in  una  strada  d'ahhominaziono  e  di  sangue. 
Quella  stessa  voce,  che  aveva  acquistato  forza  e.  direi 
f[uasi,  autorità  dal  delitto,  le  impose  ora  il  sagrifizio  del- 
l'innocente  che  aveva  in  custodia. 

La  proposta  riuscì  spaventosa  a  Gertrude.  Perder 
Lucia  per  un  caso  impreveduto,  senza  colpa,  le  sarehhe 
parsa  una  sventura,  una  punizione  amara:  e  le  veniva 
comandato  di  privarsene  con  una  scellerata  perfidia,  di 
camhiare  in  un  nuovo  rimorso  un  mezzo  d'espiazione. 
La  sventurata  tentò  tutte  le  strade  per  esimersi  dall'or- 
rihile  comando:  tutte,  fuorché  la  sola  ch'era  sicura,  e  che 
le  slava  pur  sempre  aperta  davanti.  Il  dehllo  è  un  pa- 
drone rigido  e  inflessiitile,  coiUro  cui  non  divien  forte 
se  non  chi  se  ne  rihclla  interamente.  A  questo  Gertrude 
non  voleva  risolversi;  e  uhbidi. 

Era  il  giorno  stabilito;  l'ora  convenuta  s'avvicinava; 
Gertrude  ritirala  con  Lucia  nel  suo  parlatorio  privalo, 
le  faceva  più  carezze  dell'  ordinario,  e  [.ucia  le  riceveva 
e  le  conlraccamhiava  con  tenerezza  crescente:  come  la 
pecora,  tremolando  senza  timore  sotto  la  mano  del  pa- 
store che  la  palpa  e  la  strascina  mollemenie,  si  volta  a 
leccar  quella  mano;  e  non  sa  che  fuori  della  sl.dla.  l'a- 
spetta il  macellaio,  a  cui  il  [laslore  riuMcndiila  un  nio- 
menlo  [irima. 

«  Ho  bisogno  d'un  gran  servizio;  e  voi  sola  potete 
farmelo.  Ho  tanla  gente  a'  miei  comandi;  ma  dì  cui  mi 
fidi,  nessuno.  Per  un  altare  di  grand' iin[)orlaii/a .  liic  \i 
dirò  poi,  ho  bisogno  di  parlar  subito  subito  con  (pici 
padre  guardiano  de'  cappuccini  che  v'ha  condona  (pii  da 
me,  la  mia    povera  Lucia;  ina  è  ancbc    necessario    che 


:i66  1   PROMESSI   SPOSI 

nessuno  sappia  che  Tlio  mandalo  a  chiamare  io.  Non 
ho  che  voi  per  far  segretamente  quest'  imhasciata.  » 

Lucia  fu  atterrita  d'  una  tale  richiesta;  e  con  ciuella  sua 
suggezione,  ma  senza  nascondere  una  gran  maravigha, 
addusse  suhiio,  per  disinipegnarsene,  le  ragioni  ch(;  la 
signora  doveva  intendere,  che  avi-ehbe  dovute  prevedere; 
senza  la  madre,  senza  nessuno,  per  una  strada  solitaria, 
in  un  paese  sconosciuto ....  Ma  Gertrude,  ammaestrata 
a  una  scola  infernale,  mostrò  tanta  maraviglia  anche  lei, 
e  tanto  dispiacere  di  trovare  una  tal  ritrosìa  nella  per- 
sona di  cui  credeva  poter  far  più  conto,  figurò  di  tro- 
var cosi  vane  quelle  scuse!  di  giorno  chiaro,  quattro 
passi,  una  strada  che  Lucia  aveva  fatta  pochi  giorni  pri- 
ma, e  che,  quand'anche  non  l'avesse  mai  veduta,  a  inse- 
gnargliela, non  la  poteva  sbagliare  ! . . .  .  Tanio  disse,  che 
la  poverina,  commossa  e  punta  a  un  tempo,  si  lasciò 
sfuggir  di  bocca  :   &  e  bene  ;  cosa  devo  fare  ?  » 

i  Andate  al  convento  de' cappuccini:  »  e  le  descrisse 
la  strada  di  nuovo:  «  fate  chiamare  il  padre  guardiano, 
ditegli,  da  solo  a  solo,  che  venga  da  me  suiiito  subilo; 
ma  che  non  dica  a  nessuno  che  son  io  che  lo  mando  a 
chiamare.  » 

0.  Ma  cosa  dirò  alla  fatloressa  che  non  m'  ha  mai  vista 
uscire,  e  mi  domanderà  dove  vo  ?  » 

«  Cercate  di  passare  senz'  esser  vista  ;  e  se  non  vi  rie- 
sce,  ditele  che  andate  alla  chiesa  tale,  dove  avete  pro- 
messo di  fare  orazione.  » 

Nuova  difficoltà  per  la  povera  giovine;  dire  una  bugia; 
ma  la  signora  si  mostrò  di  nuovo  così  afflitta  delle  ri- 
pulse, le  fece  parer  cosi  brutta  cosa  l' anteporre  un  vano 
scrupolo  alla  riconoscenza,  che  Lucia,  sbalordita  i)iìi  che 
convhita,  e  sopralulto  commossa  più  che  mai,  rispose: 
«  e  bene;  anderò.  Dio  m'aiuti!  »   E  si  mosse. 

Quando  Gertrude,  che  dalla  grata  la  seguiva  con  l'oc- 
chio fisso  e  torbido,  la  vide  metter  piede  sulla  soglia, 
come  sopraffatta  da  un  sentimento  irresistibile ,  apri  la 
bocca,  e  disse:   «  sentite,  Lucia  1  » 


OAIMTGLO   XX.  '    367 

Questa  si  voltò,  o  ionio  verso  la  grata.  Ma  già  un 
altro  pensiero,  un  pensiero  avvezzo  a  predominare^  aveva 
^inlo  di  nuovo  nella  mente  sciagurata  di  Gerlrude.  Fa- 
cendo le  viste  di  non  esser  contenta  dell'  istruzioni  già 
date,  spiegò  di  nuovo  a  Lucia  la  strada  che  doveva  te- 
nere ,  e  la  licenziò  dicendo  :  «  fate  ogni  cosa  come  v'  ho 
detto,  e  tornale  presto.  >  Lucia  partì. 

Passò  inosservata  la  porla  del  chiostro,  prese  la  slrada, 
con  gli  occhi  bassij  rasente  al  muro  ;  trovò,  con  V  indi- 
cazioni avute  e  con  le  proprie  rimembranze,  la  porta  del 
borgo,  n'uscì,  andò  tutta  raccolta  e  un  po'  tremante,  per 
la  strada  maestra,  arrivò  in  pochi  momenti  a  (juella  che 
conduceva  al  convento  ;  e  la  riconobbe.  Quella  strada 
era,  ed  è  lult'ora,  adondata,  a  guisa  d'un  letto  di  fiume, 
tra  due  alte  rive  orlale  di  macchie,  che  vi  forinan  sopra 
una  spece  di  volta.  Lucia,  entrandovi  e  vedendola  afì'atto 
solitaria,  senlì  crescere  la  paura,  e  allungava  il  passo; 
ma  poco  dopo  si  rincorò  alquanto,  nel  vedere  una  car- 
rozza da  viaggio  ferma,  e  accanto  a  quella,  davanti  allo 
sportello  aperto,  due  viaggiatori,  che  guardavano  in  qua 
e  in  là,  come  incerti  della  strada.  Andando  avanti,  senti 
uno  di  que'  due,  che  diceva  :  «  ecco  una  buona  giovine 
che  c'insegnerà  la  strada.  »  Infatti,  quando  tu  arrivala 
alla  carrozza,  quel  medesimo,  con  un  fare  iiiìi  gentile 
che  non  fosse  l'aspetto,  si  voltò,  e  disse:  «  (juella  gio- 
vine, ci  sapreste  insegnar  la  strada  di  Monza?  » 

«  Andando  di  lì,  vanno  a  rovescio,  »  rispondeva  la  po- 
verina :  »  Monza  è  di  qua  ...  »  e  si  voltava,  per  accennar 
col  dito;  (piando  l'allro  compagno  (era  il  Nibliio),  alTer- 
randola  (rinìi)rovviso  per  la  vila,  l'alzò  da  (erra.  Lucia  girò 
la  testa  indietro  atterrila,  e  cacciò  un  urlo;  il  malan- 
drino la  mise  per  forza  nella  carrozza  :  uno  che  slava  a 
sedere  davanti,  la  prese  e  la  cacciò;  per  (luanlo  lei  si  di- 
vincolasse e  slrid(>ss(\  a  sed(!re  dirimpetto  a  se:  un  altro, 
mellcndole  un  l'azzolctlo  alla  bocca,  le  chiuse  il  grido  in 
gola.  Intanto  il  Nibbio  entrò  presto  presto  anche  lui  nella 
carrozza:  lo  sportello  si  chiuse,  e  la  carrozza  parti  di  car- 


368  ì   PROMESSI   SPOSI 

riera.  L'  altro  che  le  aveva  fatta  quella  domaiula  tradi- 
lora,  rimarlo  nella  strada,  diede  uii'ocdiiata  in  qua  e  in 
là,  per  veder  se  fosse  accorso  quakiieduno  a,Q:li  urli  di 
Lucia:  non  c'era  nessuno;  saltò  sur  una  riva,  attaccan- 
dosi a  un  albero  della  nmcchia  ;  e  disparve.  Era  costui 
uno  sgherro  d'Egidio;  era  stato,  facendo  l'indiano,  sulla 
porta  del  suo  padrone,  per  veder  quando  Lucia  usciva 
dal  monastero;  l'  aveva  osservata  bene,  por  poterla  rico- 
noscere; ed  era  corso  per  una  scorciatoia,  ad  aspettarla 
al  posto  convenuto. 

Chi  potrà  ora  descrivere  il  terrore,  l'angoscia  di  co- 
stei, esprimere  ciò  che  passava  nel  suo  animo?  Spalan- 
cava gli  occhi  spaventali,  per  ansietà  di  conoscere  la  sua 
orribile  situazione,  e  li  richiudeva  subito,  per  il  ribrezzo 
e  per  il  terrore  di  qne'visacci:  si  storceva,  ma  era  te- 
nuta da  tutte  le  parti  :  raccoglieva  tutte  le  sue  forze,  e 
dava  delle  stratte,  per  buttarsi  verso  lo  sportello;  ma 
due  braccia  nerborute  la  tenevano  come  conficcata  nel 
fondo  della  carrozza;  quattro  altre  manacce  ve  l'appun- 
tellavano. Ogni  volta  che  aprisse  la  bocca  per  cacciare 
un  urlo;  il  fazzoletto  veniva  a  soffogarglielo  in  gola. 
Intanto  tre  bocche  d'inferno,  con  la  voce  più  umana 
che  sapessero  formare,  andava n  ripetendo  :  «  zitta,  zitta, 
non  abbiate  paura ,  non  vogliamo  farvi  male.  »  Dopo 
qualche  momento  d'  una  lotta  così  angosciosa,  parve  che 
s'  acquietasse  :  allentò  le  braccia ,  lasciò  cader  la  testa 
all'  indietro,  alzò  a  stento  le  palpebre,  tenendo  1'  occhio 
immobile;  e  quegli  orridi  visacci  che  le  stavan  davanti 
le  parvero  confondersi  e  ondeggiare  insieme  in  un  me- 
scuglio  mostruoso;  le  fuggì  il  colore  dal  viso;  un  sudor 
freddo  glielo  coprì;  s'abbandonò,  e  svenne. 

«  Su^  su,  coraggio,  »  diceva  il  Nibbio.  «  Coraggio, 
coraggio,  »  ripetevan  gli  altri  due  birboni  ;  ma  lo  smar- 
rimento d'ogni  senso  preservava  in  quel  momento  Lucia 
dal  sentire  i  conforti  di  quelle  orribili  voci. 

«  Diavolo  I  par  morta,  »  disse  uno  di  coloro:  «  se 
fosse  morta  davvero?  » 


CAPITOLO   XX.  •3(Ì9 

«  Oh  !  morta  !  '  disse  1'  altro  :  «  è  uno  di  quegli  sve- 
nimenti die  vengono  nlle  donne.  Io  so  che.  quando  ho 
voluto  mandare  all'  altro  mondo  qualcheduno,  uomo  o 
donna  che  fosse,  c'è  voluto  altro.  » 

«  Via!  »  disse  il  Nibhio  :  «  attenti  al  vostro  dovere, - 
e  non  andate  a  cercar  altro.  Tiraie  fuori  dalla  cassetta 
i  tromboni,  e  teneteli  pronti;  che  in  questo  bosco  dove 
s'entra  ora,  c'è  sempre  de' birboni  annidali.  Non  cosi 
in  mano ,  diavolo  !  riponeteli  dietro  le  spalle,  U  stesi  : 
non  vedete  che  costei  è  un  pulcin  bagnato  che  basisce 
per  nulla?  Se  vede  armi  è  capace  di  morir  davvero.  E 
quando  sarà  rinvenuta,  badate  bene  di  non  farle  paura  : 
non  la  toccate  se  non  vi  fo  segno  ;  a  tenerla  basto  io.  E 
zitti;  lasciate  parlare  a  me.  » 

Intanto  la  carrozza ,  andando  sempre  di  corsa,  s' era 
inoltrata  nel  bosco. 

Dojio  qualche  tempo  la  povera  Lucia  cominciò  a  ri- 
sentii'si  fonie  da  un  sonno  profondo  e  affannoso,  e  apri 
gli  occhi.  Penò  alquaiìto  a  distinguere  gli  spaventosi 
oggetti  che  la  circondavano,  a  raccogliere  i  suoi  pensieri  : 
alfine  comprese  di  nuovo  la  sua  terribile  situazione.  Il 
primo  uso  ch(;  fece  delle  poche  forze  ritornatele,  fu  di 
buttarsi  ancora  verso  lo  sportello,  per  slanciarsi  fuori; 
ma  fu  ritenuta  e  non  potò  che  vedere  un  momento  la 
solitudine  selvaggia  del  luogo  per  cui  passava.  Cacciò 
di  nuovo  un  urlo  ;  ma  il  Niblno ,  alzando  la  manaccia 
col  fazzoletto,  «  via,  »  le  disse,  più  dolcemente  che 
potè:  «  state  zitta,  che;  sarà  meglio  per  voi:  non  vo- 
gliamo farvi  male;  ma  se  non  istale  zitta,  vi  faremo 
star  noi.  » 

«  Lasciatemi  andare!  Chi  siete  voi?  Dove  mi  condu- 
cete? Perchè  m'avete  jiresa?  Lasciatemi  andare,  lascia- 
temi andare  !  » 

«  Vi  dico  che  non  abbiale  paura;  non  si('l(>  mia  bam- 
bina, e  dovete  capire  clu^  noi  non  vogliamo  far\i  nude. 
Non  vedete  che  avremmo  potuto  ammazzarvi  cento  volte, 
se  avessimo  cattive  intenzioni?  Dunque  stale   (piieta.  » 


370  1   PROMESSI   SPOSI 

«  No,  no,  lasciatemi  andare  ikt  la  mia  slradii:  io  non 
vi  conosco.  » 

«  Vi  conosciamo  noi.  » 

«  Oli  sanlissima  Vergine  !  come  mi  conoscete  ?  La- 
s(;ialemi  andare,  per  carità.  Chi  siete  voi  ?  Perchè  m'  a- 
vete  presa?  » 

«  Perchè  e'  è  slato  comandalo.  » 

«  Chi?  chi?  chi  ve  lo  può  aver  comandalo  ?  » 

«  Zitta!  »  disse  con  un  visaccio  severo  il  Nibbio: 
«  a  noi  non  si  fa  di  codeste  domande.  » 

Lucia  tentò  un'  altra  volta  di  buttarsi  d'  improvviso 
allo  sportello  ;  ma  vedendo  eh'  era  inutile,  ricorse  di 
nuovo  alle  preghiere;  e  con  la  testa  bassa,  con  le  gole 
irrigate  di  lagrime ,  con  la  voce  interrotta  dal  pianto , 
con  le  mani  giunte  dinanzi  alle  labbra,  «  oh  !  »  diceva  : 
«  per  r  amor  di  Dio,  e  della  Vergi na  santissima,  lascia- 
temi andare  !  Cosa  v'  ho  fatto  di  male  io  ?  Sono  una 
povera  creatura  che  non  v'  ha  fatto  niente.  Quello  che 
m'  avete  fatto  voi  ve  lo  perdono  di  cuore  ;  e  pregherò 
Dio  per  voi.  Se  avete  anche  voi  una  figlia,  una  moglie, 
una  madre,  pensate  quello  che  patirebbero,  se  fossero 
in  questo  stato.  Ricordatevi  che  dobbiamo  morir  tulli,  e 
che  un  giorno  desidererete  che  Dio  vi  usi  misericordia. 
Lasciatemi  andare,  lasciatemi  qui:  il  Signore  mi  farà 
trovar  la  mia  strada.  » 

«  Non  possiamo.  t> 

«  Non  potete?  Oh  Signore!  perchè  non  potete-?  Dove 
volete  condurmi?  Perchè...?» 

"  Non  possiamo  :  è  inutile  :  non  abbiate  paura ,  che 
non  vogliamo  farvi  male:  state  quieta,  e  nessuno  vi  toc- 
cherà. » 

Accorata,  atlannata,  atterrita  sempre  più  n^'l  vedere 
che  le  sue  parole  non  facevano  nessun  colpo.  Lucia  si 
rivolse  a  Colui  che  tiene  in  mano  il  cuore  degli  uomini, 
e  può  quando  voglia,  intenerire  i  pm  duri.  Si  strinse 
il  più  che  potè,  nel  canto  della  carrozza,  mise  le  bi-accia 
in  croce  sul  petto,  e  pregò  qualche  tempo  con  la  mente; 


CAPITOLO  XX.  371 

poi,  tirata  fuoi'i  la  corona ,  cominciò  a  dire  il  rosario 
con  più  fede  e  con  più  affetto  clic  non  avesse  ancor 
fatto  in  vita  sua.  Ogni  tanto,  sperando  d'avere  impetrata 
la  misericordia  die  implorava,  si  voltava  a  ripregar  co- 
loro; ma  sempre  inutilmente.  Poi  ricadeva  ancora  senza 
sentimenti,  poi  si  riaveva  di  nuovo,  per  rivivere  a  nuove 
angosce.  Ma  ormai  non  ci  regge  il  cuore  a  descriverle 
più  a  lungo:  una  pietà  troppo  dolorosa  ci  alTretla  al 
termine  di  (pud  viaggio,  che  durò  più  di  qualtr'ore;  e 
dopo  il  quale  avremo  altre  ore  angosciose  da  passaic. 
Trasportiamoci  al  castello  dove  l'infelice   era  aspellata. 

Era  aspettata  dall'innominato,  con  un'inquietudine, 
con  una  sospension  d'animo  insolita.  Cosa  strana  !  (juel- 
l'uomo,  che  aveva  disposto  a  sangue  freddo  di  tante, 
vite,  che  in  tanti  suoi  fatti  non  aveva  conlato  pei"  nulla 
i  ilolori  da  lui  cagionati,  se  non  qualche  volta  per  as- 
saporare in  essi  una  selvaggia  voluttà  di  vendetta,  ora, 
nel  metter  le  mani  addosso  a  questa  sconosciuta,  a  (pie- 
sta  povera  contadina,  sentiva  come  un  rihrez/.o,  direi 
quasi  un  terroi'e.  Da  un'alta  finestra  del  suo  caslellac- 
cio,  guardava  da  qualche  tempo  verso  uno  shocco  dcll.i 
valle;  ed  ecco  spuntar  la  carrozza,  e  venire  innanzi  len- 
tamente; perchè  quel  primo  andar  di  carriera  aveva 
consumata  la  foga,  e  domate  le  forze  de'  cavalli.  E  hen- 
chè ,  dal  punto  dove  stava  a  guardare,  la  non  paresse 
che  una  di  quelle  carrozzine  che  si  danno  per  balocco 
ai  fanciulli,  la  riconohhe  subito,  e  si  senti  il  cuore  batter 
più  forte. 

—  Ci  sai'à?  —  pensò  sid)ito  :  e  continuava  tra  sé: 
—  che  noia  nn  dà  costei  !  LiberiamoC(Mie.  — 

E  voleva  (Chiamare  uno  de' suoi  sgherri,  e  s|iedirlo  su- 
bito incontro  alla  carrozza,  a  ordinai'e  al  Nibbio  che 
voltasse,  e  conducessi"  colei  al  pala/./.o  di  doii  Uodrigo. 
Ma  un  ìio  inqu'rioso  che  l'isonò  nella  sua  mente,  fece 
svanii'e  (piel  disegno.  Toi'mentalo  jXM'ò  dal  bisogno  di 
dar  fjualche  ordine,  riuscendogli  intollerabile  lu  stare 
aspettando  oziosanientt!  quella  carrozza  che  veniva  avanti 


372  I   PROMESSI   SfOSl 

passo  passo,  come  un  tradimento,  che  so  io  ?  come  nn 
gasligo,  fece  chiamare  una  sua  vecchia  donna. 

Era  costei  naia  in  quello  slesso  castello,  da  un  aiitiiO 
custode  di  esso^  e  aveva  passala  li  tutta  la  sua  vita.  Ciò 
che  aveva  veduto  e  sentilo  fin  dalle  fasce,  le  aveva  im- 
presso nella  mente  un  concetto  magnifico  e  terrihilc  del 
potere  de' suoi  padroni;  e  la  massima  principale  che  aveva 
attinta  dalT  istruzioni  e  dagli  esempi,  era  che  Insognava 
uhliidirli  in  ogni  cosa,  perchè  potevano  far  del  gran  male 
e  d(^l  gran  bene.  L'idea  del  dovere,  deposta  come  un 
germe  nel  cuore  di  tutti  gli  uomini,  svolgendosi  nel  suo, 
insieme  co'  sentimenti  d'un  rispetto,  d'  un  terrore,  d'una 
cupidigia  servile,  s'era  associata  e  adattata  a  quelli.  Quando 
l'innominato,  divenuto  padrone,  cominciò  a  far  quell'uso 
spaventevole  della  sua  forza,  costei  ne  provò  da  princi- 
pio un  certo  ribrezzo  insieme,  e  un  sentimento  più  pro- 
fondo di  sommissione.  Col  tempo,  s' era  avvezzata  a  ciò 
che  aveva  tutto  il  giorno  davanti  agli  occhi  e  negli  orec- 
chi: la  volontà  polente  e  sfrenata  d'un  così  gran  signore, 
era  per  lei  come  una  specie  di  giustizia  fatale.  Ragazza 
già  fatta,  aveva  sposato  un  servitor  di  casa,  il  quale,  poco 
dopo,  essendo  andato  a  una  spedizione  rischiosa,  lasciò 
l'ossa  sur  una  strada,  e  lei  vedova  nel  castello.  La  ven- 
detta che  il  signore  ne  fece  subito,  le  diede  una  conso- 
lazione feroce,  e  le  accrehbe  l'orgoglio  di  trovarsi  sollo 
una  tal  protezione.  D'allora  in  poi,  non  mise  piede  fuor 
del  castello,  che  molto  di  rado,  e  a  poco  a  poco  non  le 
rimase  del  vivere  umano  quasi  altre  idee  salvo  quelle 
che  ne  riceveva  in  quel  luogo.  Non  era  addetta  ad  alcun 
servizio  perticolare,  ma,  in  quella  masnada  di  sgherri, 
ora  l'uno  ora  l'altro,  le  davan  da  fare  ogni  poco;  ch'era 
il  suo  rodimento.  Oi'a  aveva  cenci  da  rattoppare,  ora  da 
preparare  in  fretta  da  mangiare  a  chi  tornasse  da  una 
spedizione,  ora  feriti  da  medicare.  I  comandi  poi  di  co- 
loro, i  rimproveri,  i  ringraziamenti,  eran  conditi  di  heffe 
e  d'improperi:  vecchia,  era  il  suo  appellativo  usuale; 
gli  aggiunti,  che  qualcheduno  sempre  ci  se  n'attaccava. 


CAPITOLO   XX.  373 

variavano  secondo  le  circoslaiize  e  rumore  dell'amico. 
E  colei,  disturbata  nella  pigrizia,  e  provocata  nella  stizza, 
ch'erano  due  delle  sue  passioni  predominanti,  contrac- 
cambiava alle  volte  que' complimenti  con  parole,  in  cui 
Satana  avrebbe  riconosciuto  più  del  suo  ingegno,  che  in 
(pielle  de'  provocatori. 

€  Tu  vedi  laggiù  quella  carrozza!  »  le  disse  il  signore. 

«  La  vedo,  »  rispose  la  vecchia,  cacciando  avanti  il 
mento  appuntato,  e  aguzzando  gli  occhi  infossali  come 
se  cercasse  di  spingerli  su  gli  orli  dell'  occhiaie. 

«  Fa  allestir  subito  una  bussola,  entraci,  e  fatti  por- 
tare alla  Malanotte.  Subito  subilo;  che  tu  ci  arrivi  prima 
di  quella  carrozza:  già  la  viene  avanti   col  passo   della 

morte.  In  quella  carrozza  c'è ci  dev'essere una 

giovine.  Se  c'è,  di  al  Nibbio,  in  mio  nome,  che  la  uielta 
nella  bussola,  e  lui  venga  su  subito  da  me.  Tu  starai 
nella  bussola,  con  ([uclla  . . . .  giovine;  e  quando  sarete 
([uassù,  la  condurrai  nella  tua  camera.  Se  li  domanda 
dove  la  meni,  di  chi  è  il  castello,  guarda  di  non » 

«  Oh!  »   disse  la  vecchia. 

«  Ma,  »   continuò  l'innominato,   «  falle  coraggio.  »    • 

«  Cosa  le  devo  dire?  ». 

«  Cosa  le  devi  din;?  Falle  coraggio,  ti  dico.  Tu  sei 
venuta  a  codesta  età,  senza  sapere  come  si  fa  coraggio 
a  una  creatura,  quando  si  vuole!  Hai  tu  mai  sentito  af- 
fanno di  cuore?  Hai  tu  mai  avuto  paura?  Non  sai  le 
parole  che  fanno  piacen;  in  (pu;'  momenti?  Dille  di  (pielle 
parole:  trovale,  alla  malora.  Va.  » 

E  pallila  che  In,  si  fermò  abpianto  alla  iìneslra,  con 
gli  occhi  lìssi  a  ciucila  carrozza,  che  già  appariva  piii 
grande  di  mollo,  poi  gli  alzò  al  sole,  che  in  quel  mo- 
mento si  nascondeva  dietro  la  montagna;  poi  guardò  le 
nuvole  sparse  al  di  sopra,  che  di  brune  si  fecero,  (piasi 
a  un  tratto,  di  fuoco.  Si  ritirò,  chiuse  la  tìneslra.  e  si 
mise  a  camminan!  innanzi  e  indieiro  per  la  sl;iii/.;i.  ((Ui 
un  passo  di  viaggiatore   lìvlloldso. 


CAPITOLO  XXI. 


La  veccliici  ora  corsa  a  ubbidire  e  a  comaii{lan3,  con 
I' auloritcà  di  quel  nome  che,  da  cfiinnque  fosse  pronun- 
ziato in  quel  luogo,  li  faceva  spicciar  lutti;  perchè  a  nes- 
suno veniva  in  testa  che  ci  fosse  uno  tanto  ardito  da 
servirsene  falsamente.  Si  trovò  infatti  alla  Malanotte  un 
po'  prima  che  la  carrozza  ci  arrivasse:  e  vistala  venire, 
uscì  di  bussola,  fece  segno  al  cocchiere  che  fermasse,  s'av- 
vicinò allo  sportello  ;  e  al  Nibbio,  che  mise  il  capo  fuori, 
riferì  sottovoce  gli  ordini  del  padrone. 

Lucia,  al  fermarsi  della  carrozza,  si  scosse,  e  rinvenne 
da  una  specie  di  letargo.  Si  senti  da  capo  rimescolare  il 
sangue,  spalancò  la  bocca  e  gli  occhi,  e  guardò.  Il  Nib- 
bio s'era  tiralo  iìidieiro;  e  la  vecchia,  col  mento  sullo 
sportello,  guardando  Lucia,  diceva:  «  venite,  la  mia  gio- 
vine; venite,  poverina;  venite  con  me,  che  ho  ordine  di 
trattarvi  bene  e  di  farvi  coraggio.  » 

Al  suono  d'una  voce  di  donna,  la  povei'ina  provò  un 
conforto,  un  coraggio  momentaneo  ;  ma  ricadde  subito 
in  uno  spavento  più  cupo.  «Chi  siete?  »  disse  con  voce 
tremante,  fissando  lo  sguardo  attonito  in  viso  alla  vecchia. 


I   PROMESSI   SPOSI,  CAPITOLO  XXI.  375 

«  Venite,  venite,  poverina,  »  andava  questa  ripetendo- 
li Nibbio  e  gii  altri  due,  argomentando  dalle  parole  e 
dalla  voce  cosi  straordinariamente  raddolcita  di  colei , 
quali  fossero  T  intenzioni  del  signore,  cercavano  di  per- 
suadere con  le  buone  l'oppressa  a  ubbidire.  Ma  lei  se- 
guitava a  guardar  fuori  ;  e  benché  il  luogo  selvaggio  e 
sconosciuto,  e  la  sicurezza  de'  suoi  guardiani  non  le  la- 
sciassero concepire  speranza  di  soccorso,  apriva  non  ostante 
la  bocca  per  gridare;  ma  vedendo  il  Nibbio  far  gli  oc- 
cbiacci  del  fazzoletto,  ritenne  il  grido,  tremò,  si  storse, 
fu  presa  e  messa  nella  bussola.  Dopo  c'entrò  la  vecchia; 
il  Nibbio  disse  ai  due  altri  manigoldi  che  andassero  die- 
tro, e  prese  speditamente  la  salita,  per  accorrere  ai  co- 
mandi del  padrone. 

«  Chi  siete?  »  domandava  con  ansietà  Lucia  al  ceffo 
sconosciuto  e  deforme:  «  perchè  son  con  voi?  dove  sono? 
dove  mi  conducete?  » 

«  Da  chi  vuol  farvi  del  bene,  »  rispondeva  la  vecchia, 

«  da  un  gran Fortunati  quelli  a  cui  vuol  far  (l{>l  bene! 

Buon  per  voi ,  buon  per  voi.  Non  abbiale  paura ,  state 
allegra,  che  m'ha  comandato  di  farvi  coraggio.  Glielo  di- 
rete, eh"?  che  v'ho  fatto  coraggio?  » 

«  Chi  è?  perchè?  che  vuol  da  me?  Io  non  son  sua. 
Ditemi  dove  sono;  lasciatemi  andare  ;  dite  a  costoro  che 
mi  lascino  andare,  che  mi  portino  in  (pialche  chiesa.  Oh! 
voi  che  siete  una  donna,  in  nome  di  Maria  Vergine...!  j 

Quel  nome  santo  e  soave,  già  ripetuto  con  venerazione 
nei  primi  anni,  e  poi  non  più  invocato  per  tanto  tempo, 
nò  forse  sentito  protTerire,  faceva  nella  mente  della  scia- 
gurata che  lo  sentiva  in  (iuel  momento,  un'impressione 
confusa,  strana,  lenta,  come  la  rimembranza  della  Ince. 
in  un  vecchione  accecalo  da  bambino. 

Intanto  l' innominalo,  ritto  sulla  porla  del  (•asicllo,  guar- 
dava in  giù;  e  vedeva  la  bussola  venir  [)asso  passo,  conu' 
prima  la  («m'ozza,  e  avanti,  a  una  distanza  elio  cresceva 
ogni  momento,  salir  di  corsa  il  Nibbio.  Quando  (pnrsto 
fu  in  cima,  il  signore  gli  accennò  che  lo  seguisse;  e  andò 
con  lui  in  una  stanza  del  castello. 


;}7G  I    PROMESSI   SPOSI 

«  El)bcne?  »   disse,  fermandosi  li. 

«  Tulio  a  un  punlino,  »  rispose,  incliiiiandusi,  il  Nib- 
bio: «  l'avviso  a  lempo,  la  donna  a  tempo,  nessuno  sul 
luofio,  un  urlo  solo,  nessuno  comparso,  il  cocchiere  pronto, 
i  cavalli  bravi,  nessun  incontro:  ma  ...  .  » 

«  Ma  che?  » 

«  Ma dico  il  vero,  che  avrei  avuto  più  piacere  che 

r  ordine  fosse  stalo  di  darle  una  schioppellata  nella  schie- 
na, senza  sentirla  parlare,  senza  vederla  in  viso.  » 

«  Cosa?  cosa?  che  vuoi  tu  dire?  j 

«  Vogjiio  dire  che  tutto  quel  lempo,  tutto  quel  tempo.... 
M'  ha  fatto  troppa  compassione.  » 

«  Compassione!  Che  sai  tu  di  compassione?  Cos'è  la 
compassione  ?  » 

«  Non  r  ho  mai  capito  così  bene  come  questa  volia  : 
è  una  storia  la  compassione  un  poco  come  la  paura  :  se 
uno  la  lascia  prender  possesso,  non  è  più  uomo.  » 

«  Sentiamo  un  poco  come  ha  fatto  costei  per  moverli 
a  compassione.  » 

«  0  signore  illustrissimo  !  tanto  tempo !  piangere, 

pregare,  e  far  ceri' occhi,  e  diventar  bianca  bianca  come 
morta,  e  poi  singhiozzare,  e  pregar  di  nuovo,  e  certe 
parole » 

—  Non  la  voglio  in  casa  costei ,  —  pensava  intanto 
r  innominato.  ■ —  Sono  stato  una  bestia  a  impegnarmi; 

ma  ho  promesso,  ho  promesso.  Quando  sarà  lontana 

—  E  alzando  la  lesta,  in  alto  di  comando,  verso  il  Nib- 
bio, «  ora,  »  gli  disse,  metti  da  parte  la  compassione: 
monta  a  cavallo,  prendi  un  compagno,  due  se  vuoi  ;  e 
va  di  corsa  a  casa  di  quel  don  Rodrigo  che  tu  sai.  Digli 
che  mandi....  ma  subito  subito,  perchè  altrimenti » 

Ma  un  altro  no  interno  più  imperioso  del  primo  gli 
proibì  di  finire.  «  No,  »  disse  con  voce  risoluta,  quasi 
per  esprimere  a  sé  slesso  il  comando  di  quella  voce  se- 
greta, «  no:  va  a  riposarli;  e  domattina —  farai  quello 
che  li  dirò  !  » 

—  Un  qualche  demonio  ha  costei  dalla  sua,  —  pen- 


CAPITOLO   XXI.  377 

sava  poi,  rimasto  solo,  ri  Ilo  con  le  braccia  incrociate  sul 
petto,  e  con  lo  sguardo  immobile  sur  una  parte  del  pa- 
vimento, dove  il  raggio  della  luna,  entrando  da  una 
finestra  alta,  disegnava  un  quadrato  di  luce  pallida,  ta- 
gliata a  scaccili  dalle  grosse  inferriate,  e  intagliata  più 
minutamente  dai  piccoli  compartimenti  delle  vetriale.  — 

Un  qualcbe  demonio,  o un  qualcbe  angelo  die   la 

protegge....  Compassione  al  Nibbio! Domattina,  do- 
mattina di  buon'ora,  fuor  di  qui  costei;  al  suo  destino, 
e  non  se  ne  parli  pii^i,  e,  — ■  proseguiva  tra  se,  con  quel- 
r  animo  con  cui  si  comanda  a  un  ragazzo  indocile,  sa- 
pendo che  non  ul)bidirà,  e  non  ci  si  pensi  più.  Quell'a- 
nimale di  don  Rodrigo  non  mi  venga  a  romper  la  lesta 
con  ringraziamenti:  che —  non  voglio  più  sentir  parlar 

di  costei.  L'  ho  servito  perchè perchè  ho  promesso  : 

e  ho  promesso  perchè è  il  mio  destino.  Ma  voglio  che 

me  lo  paghi  bene  questo  servizio  ,  colui.  Vediamo  un 
poco — 

E  voleva  almanaccare  cosa  avrebbe  potuto  richiedergli 
di  scabroso,  per  compenso,  e  ([uasi  per  pena  :  ma  gli  si 
attraversaron  di  nuovo  alla  mente  quelle  parole:  com- 
passione al  Nibbio  !  —  Come  può  aver  fatto  costei  ?  — 
continunva,  strascinato  da  quel  pensiero.  —  Voglio  ve- 
derla ....  Eh  !  no Sì,  voglio  vederla. 

E  d'una  stanza  in  un'altra,  trovò  una  scaletta,  e  su  a 
tastone,  andò  alla  camera  della  vecchia,  e  picchiò  all'uscio 
con  un  calcio. 

.  Chi  è?  . 

«  Apri.  » 

A  (piella  voce,  la  vecchia  fece  tre  salti  ;  e  subito  si 
.senti  scorrere  il  paletto  negli  anelli,  e  l' uscio  si  spalancò, 
L'innominato,  dalla  soglia,  diede  un'occhiata  in  giro;  e, 
al  lume  d'una  lucerna  clic  ardeva  sur  un  tavolino,  vide 
Lucia  rannicchiala  in  terra  ,  nel  canto  il  più  lontano 
dall'  uscio. 

«  Chi  r  ha  detto  che  tu  la  bultiissi  l;i  come  un  sacco 

VOI..  I.  \6' 


378  l   PROMESSI   SPOSI 

(li  cenci,  sciagurata?  »  disse  alla  vecchia,  con  un  ciplirlio 
iracondo. 

«  S'  è  messa  dove  le  è  piaciuto,  »  rispose  umilmente 
colei:  «  io  ho  fatto  di  tutto  per  farle  coraggio:  lo  può 
dire  anche  lei  ;  ma  non  e'  è  stato  verso.  » 

«  Alzatevi,  »  disse  l'innominato  a  Lucia,  andandole 
vicino.  Ma  Lucia,  a  cui  il  picchiare,  T  aprire,  il  comparir 
di  queir  uomo ,  le  sue  parole,  avevan  messo  un  nuovo 
spavento  nell'  animo  spaventato,  stava  più  che  mai  rag- 
gomitolata nel  cantuccio,  col  viso  nascosto  tra  le  mani, 
0  non  movendosi,  se  non  che  tremava  tutta. 

1  Alzatevi,  che  non  voglio  farvi  del  male e  posso 

farvi  del  bene,  ■»    ripetè   il   signore «  Alzatevi  !  » 

tonò  poi  quella  voce,  sdegnata  d'aver  due  volte  coman- 
dato invano. 

Come  rinvigorita  dallo  spavento,  1"  infelicissima  si  rizzò 
subito  inginocchioni;  e  giungendo  le  mani,  come  avrebbe 
fatto  davanti  a  un'immagine,  alzò  gli  occhi  in  viso  al- 
l'innominato,  e  riabbassandoli  subito,  disse:  «  son  qui: 
m'ammazzi.  » 

e  V  ho  detto  che  non  voglio  farvi  del  male.  »  rispose, 
con  voce  mitigata,  l' innominato,  llssaiulo  quel  viso  tur- 
bato dall'accoramento  e  dal  terrore. 

«  Coraggio,  coraggio,  »  diceva  la  vecchia  :  se  ve  lo 
dice  lui,  che  non  vuol  farvi  del  male » 

«  E  perchè,  »  riprese  Lucia  con  una  voce,  in  cui,  col 
tremito  della  paura,  si  sentiva  una  certa  sicurezza  del- 
l'indegnazione  disperata,  «  perchè  mi  fa  patire  le  pene 
dell'inferno?  Cosa  le  ho  fatto  io?....  » 

«  V'hanno  forse  maltrattala?  Parlate.  » 

(i  Oh  maltrattala!  M'hanno  presa  a  tradimento,  per 
forza!  perchè?  perchè  m'hanno  presa?  perchè  son  qui? 
dove  sono?  Sono  una  povera  creatura:  cosa  le  ho  fatto? 
In  nome  di  Dio » 

«  Dio,  Dio,  »  hderruppe  l'innominato:  ^  sempre  Dio: 
coloro  che  non  possono  difendersi  da  sé,  che  non  hanno 
la  forza,  sempre  bau  questo  Dio  da  mettere  in  campo, 


CAPITOLO   XXI.  37iì 

come  se  gli  avessero  parlato.  Cosa  pretendete  con  code- 
sta vostra  parola?  di  farmi ....?»  e  lasciò  la  frase  a 
mezzo. 

«  Oli  Signore!  pretenderei  Cosa  posso  pretendere  io 
meschina,  se  non  che  lei  mi  usi  misericordia?  Dio  per- 
dona tante  cose,  per  un'  opera  di  miso'icordia  !  Mi  lasci 
andare;  per  carità  mi  lasci  andare!  Non  torna  conto  a 
uno  che  un  giorno  deve  morire  di  far  patir  tanto  una 
povera  creatura.  Oh  !  lei  che  può  comandare ,  dica  che 
mi  lascino  andare!  M'hanno  portata  qui  per  forza.  Mi 
mandi  con  questa  donna  a  "  '  ',  dov'  è  mia  madre.  Oh 
Vergine  santissima!  mia  madre!  mia  madre,  per  carità, 
mia  madre!  Forse  non  è  lontana  di  qui —  ho  veduto  i 
miei  monti!  Perchè  lei  mi  fa  patire?  Mi  faccia  condurre 
in  una  chiesa.  Pregherò  per  lei,  tutta  la  mia  vita.  Cosa 
le  costa  dire  una  parola?  Oh  ecco!  vedo  che  si  move  a 
compassione:  dica  una  parola,  la  dica.  Dio  perdona  tante 
cose,  per  un'opera  di  misericordia!  d 

—  Oh  perchè  non  è  figlia  d'uno  di  quei  cani  che 
m'hanno  bandito!  —  pensava  l'innominato:  —  d'uno 
di  quei  vili  che  mi  vorrebbero  morto  !  che  ora  godrei  di 
questo  suo  strillare:  e  invece — 

«  Non  iscacci  una  buona  ispirazione  !  »  proseguiva 
fervidamente  Lu('ia,  rianimala  dal  vedere  una  cert'aria 
d'  esitazione  nel  viso  e  nel  conlegno  del  suo  tiranno.  «  Se 
lei  non  mi  fa  questa   carità,  me  la  farà  il  Signore:  mi 

farà  morire  e  per  me  sarà  finita;  ma  lei! Forse  un 

giorno  anche  lei....  Ma  no,  no;  pregluM'ò  sempre  io  il 
Signore  che  la  preservi  da  ogni  male.  Cosa  le  cosla  dire 
una  parola?  S(5  provasse  lei  a  patir  (jnesle  pene....!  » 

«  Via,  fatevi  coraggio,  »  interruppe  l'innominato,  con 
una  dolcezza  che  fece  trasecolar  la  vercliia.  «V'ho  fallo 
nessun  male?  V'ho  minacciala?  » 

»  Oh  no!  »  Vedo  clu^  lei  ha  buon  cuore,  e  che  sente 
pietà  di  (piesta  povera  creatura.  Se  lei  V(»lesse.  potrebbe 
l'armi  paura  più  di  tulli  gli  altri,  poirebbe  fai'mi  morire; 
e  in  vece  mi  ha —  un  po' allargalo  il  cuore.  Dio  gliene 


380  I  PROMESSI   SPOSI 

renderà  merilo.  Compisca  l'opera  di   misericordia:   mi 
liberi,  mi  liberi.  » 

«  Domallina » 

«  Oli  mi  liberi  ora,  subilo » 

f  Domattina  ci  rivedremo,  vi  dico.  Via,  intanto  fatevi 
coraggio.  Riposate.  Dovete  aver  bisogno  di  mangiare. 
Ora  ve  ne  porteranno.  » 

«  No,  no,  io  moio  se  alcuno  entra  qui:  io  moio.  Mi 
conduca  lei  in  chiesa —  que' passi  Dio  glieli  conterà.  » 
«  Verrà  una  donna  a  portarvi  da  mangiare,  »  disse 
l'innominato;  e  dettolo,  rimase  stupito  anche  lui  che 
gli  fosse  venuto  in  mente  un  tal  ripiego,  e  che  gli  fosse 
nato  il  bisogno  di  cercarne  uno,  per  assicurare  una  don- 
nicciola. 

«  E  tu  »  riprese  poi  subito,  voltandosi  alla  vecchia, 
«  falle  coraggio  che  mangi;  mettila  a  dormire  in  questo 
letto:  e  se  ti  vuole  in  compagnia,  bene;  altrimenti,  tu 
puoi  ben  dormire  una  notte  in  terra.  Falle  coraggio,  li 
dico  ;  tienla  allegra.  E  che  non  abbia  a  lamentarsi  di  te!  » 
Così  detto,  si  mosse  rapidamente  verso  l'uscio.  Lucia 
s'alzò  e  corse  per  trattenerlo,  e  rinnovare  la  sua  pre- 
ghiera ;  ma  era  sparito. 

«  Oh  povera  me!  Chiudete,  chiudete  subito.  »  E  sen- 
tito ch'ebbe  accostare  i  battenti  e  scorrere  il  paletto, 
tornò  a  rannicchiarsi  nel  suo  cantuccio.  «  Oh  povera 
me!  »  esclamò  di  nuovo  singhiozzando:  «  chi  pregherà 
ora?  Dove  sono?  Ditemi  voi,  ditemi   per  carità,  chi  è 

quel  signore quello  che  m'ha  parlato?  » 

«  Chi  è,  eh  ?  chi  è?  Volete  eh'  io  ve  Io  dica.  Aspetta 
ch'io  le  lo  dica.  Perchè  vi  protegge,  avete  messo  su 
superbia;  e  volete  essere  soddisfalla  voi,  e  farne  andar 
di  mezzo  me.  Domandatene  a  lui.  S'io  vi  contentassi  an- 
che in  questo,  non  mi  toccherebbe  di  quelle  buone  pa- 
role che  avete  sentile  voi.  »  —  Io  son  vecchia,  son  vecchia, 
—  continuò  mormorando  tra  i  denti.  —  Maledette  le 
giovani;  che  fan  bel  vedere  a  piangere  e  a  ridere,  e  hanno 
sempre  ragione.  —  Ma  sentendo  Lucia  singhiozzare,  e 


CAPITOLO    XXI.  381 

tornandole  minaccioso  alla  mente  il  comando  del  padrone, 
si  chinò  verso  la  povera  rincantucciata,  e,  con  voce  rad- 
dolcita, riprese:  «  via,  non  v'ho  detto  niente  di  male: 
state  allegra.  Non  mi  domandate  di  quelle  cose  che  non 
vi  posso  dire  :  e  del  resto  state  di  huon  animo.  Oh  se 
sapeste  quanta  gente  sarebbe  contenta  di  sentirlo  parlare 
come  ha  parlato  a  voi!  State  allegra,  che  or  ora  verrà 
da  mangiare;  e  io  che  capisco....  nella  maniera  che 
v'  ha  parlato,  ci  sarà  della  roba  buona.  E  poi  anderete  a 

letto,  e mi  lascerete  un  cantuccino   anche  a   me, 

spero,  »   soggiunse,  con  una  voce,  suo  malgrado,  stizzosa. 

«  Non  voglio  mangiare,  non  voglio  dormire.  Lascialemi 
stare,  non  v'accostate;  non  parlile  di  qui!  » 

«  No,  no,  via,  »  disse  la  vecchia,  ritirandosi  e  mellen- 
dosi  a  sedere  sur  una  seggiolaccia,  donde  dava  alla  po- 
verina certe  occhiate  di  terrore  e  d' astio  insieme  ;  e  poi 
guardava  il  suo  covo,  rodendosi  d' esserne  forse  esclusa 
per  tutta  la  notte,  e  bronlolando  contro  il  freddo.  Ma  si 
rallegrava  col  pensiero  della  cena,  e  con  la  speranza  clu; 
ce  ne  sarebbe  anche  per  lei.  Lucia  non  s'avvedeva  del 
freddo,  non  sentiva  la  fame,  e  come  sbalordita,  non  aveva 
de'  suoi  dolori,  de'  suoi  terrori  slessi,  che  un  sentimento, 
confuso,  simile  all'immagini  sognale  da  un  lebbricilanle. 

Si  riscosse  quando  senti  picchiare;  e,  alzandola  fac- 
cia atterrila,  gridò:  «■  chi  è? chi  è7Non  v(Miga  nessuno?» 

«  Nulla,  nulla;  buone  nuove,  »  disse  la  vecchia:  «  ò 
Marta  che  porta  da  mangiare.  » 

«  Chiudelc,  chiudete,  »  gridava  Lucia. 

«  Ih!  subito,  subitu,  »  rispondeva  la  vecchia;  e  presa 
una  paniei'a  dalk;  mani  di  (piella  Marta,  la  mandò  via, 
richiuse,  e  venne  a  posar  la  paniera  sur  una  tavola  nel 
mezzo  della  camera.  Invitò  poi  piii  volte  Lucia  che  ve- 
nisse a  goder  di  (luella  buona  l'oha.  Adopiava  le  parole 
jiiii  efficaci,  secondo  lei,  a  mettere  appetito  alla  poverina, 
prorompeva  in  esclamazioni  sulla  sipiisitezza  de' cibi: 
«  di  (juc'  bocconi  che,  quando  le  persone  come  noi  pos- 
sono arrivare   a   assaggiarne,  se   ne  riconlan   per  un 


382  I   PROMESSI  SPOSI 

pezzo!  Del  vino  che  l)eve  il  padrone   co'.suoi  amici 

quando  capita  qualcheduno  di  quelli  —  !  e  vogliono  stare 
allegri!  Ehm!  »  Ma  vedendo  che  tutti  gl'incanti  riusci- 
vano inutili,  «  siete  voi  che  non  volete,  »  disse.  «  Non 
islale  poi  a  dirgli  domani  ch'io  non  v' fatto  coraggio. 
Mangerò  io;  e  ne  resterà  più  che  abhastanza  per  voi. 
per  quando  metterete  giudizio,  e  vorrete  uhbidire.  »  Cosi 
detto,  si  mise  a  mangiare  avidamente.  Saziata  che  fu, 
s'alzò,  andò  verso  il  cantuccio,  e,  chinandosi  sopra  Lu- 
cia, l'invitò  di  nuovo  a  mangiare,  per  andar  poi  a  letto. 

«  No,  no,  non  voglio  nulla,  »  rispose  questa,  con  voce 
fiacca  e  come  .sonnolenta.  Poi ,  con  più  risolutezza,  ri- 
prese :  «  è  serrato  1'  uscio  ?  è  serrato  hene  ?  »  E  dopo 
aver  guardato  in  giro  per  la  camera,  s'  alzò ,  e  con  le 
mani  avanti,  con  passo  sospettoso,  andava  verso  quella 
parte. 

«  La  vecchia  ci  corse  prima  di  lei,  stese  la  mano  al 
paletto,  lo  scosse  e  disse:  «  sentite?  vedete?  è  .serrato 
bene?  siete  contenta  ora?  » 

«  Oh  contenta  !  conlenta  io  qui!  »  disse  Lucia,  rimet- 
len  losi  di  nuovo  nel  suo  cantuccio.»  Ma  il  Signore  lo 
sa  che  ci  sono  !  » 

«  Venite  a  letto:  cosa  volete  far  li,  accucciata  come 
un  cane?  S'è  mai  visto  rifiutare  i  comodi,  quando  si 
possono  avere?  » 

«  No,  no  ;  lasciatemi  stare.  » 

«  Siete  voi  che  lo  volete.  Ecco,  io  vi  lascio  il  posto 
buono;  mi  metto  sulla  sponda;  starò  incomoda  per  voi. 
Se  volete  venire  a  letto,  sapete  come  avete  a  fare.  Ri- 
cordatevi che  v'ho  pregata  più  volte.  »  Così  dicendo,  si 
cacciò  sotto  vestita;  e  tutto  tacque. 

Lucia  stava  immobile  in  quel  cantuccio,  tutta  in  un 
gomitolo,  con  le  ginocchia  alzate,  con  le  mani  appog- 
giate sulle  ginocchia ,  e  col  viso  nascosto  nelle  mani. 
Non  era  il  suo,  nò  sonno  né  veglia^  ma  una  rapida  suc- 
cessione, una  torbida  vicenda  di  pensieri,  d'immagina- 
zioni, di  spaventi.  Ora,  più  presen'c  a  se  stessa,  e  ram- 


CAPITOLO  XXI.  383 

montandosi  più  distinlamciite  gli  orrori  vctluli  o  sofferti 
in  quella  liiornala,  s'  applicava  dolorosamente  alle  circo- 
stanze dell'  oscura  e  formidaliile  realtà  in  cui  si  trovava 
avviluppata;  ora  la  mente,  trasportala  in  una  regione  an- 
cor più  oscura,  si  dibatteva  contro  i  fantasmi  nati  dal- 
l'incertezza  e  dal  terrore.  Stette  un  pezzo  in  quest'an- 
goscia; alfine,  più  che  mai  stanca  e  abliattuta,  stese  le 
membra  intormentite,  si  sdraiò,  o  cadde  sdraiata,  e  ri- 
mase alquanto  in  uno  stato  più  somigliante  a  un  sonno 
vero.  Ma  lult'a  un  tratto  si  risentì,  come  a  una  cbia- 
raata  irderna  ,  e  provò  il  bisogno  di  risentirsi  intera- 
mente, di  riaver  tutto  il  suo  pensiero,  di  conoscere  dove 
fosse,  come,  percliè.  Tese  l'orecchio  a  un  snono;  era  il 
russare  lento,  arrantolato  della  vecchia;  spalancò  gli  occhi, 
e  vide  un  chiarore  fioco  apparire  e  sparire  a  vicenda:  era 
il  lucignolo  della  lucerna,  che,  vicino  a  spegnersi,  scoccava 
una  luce  tremola,  e  subito  la  ritirava,  per  dir  cosi,  in- 
dietro, come  è  il  venire  e  l'andare  dell'onda  sulla  riva: 
e  quella  luce,  fuggendo  dagli  oggetti,  prima  che  pren- 
dessero da  essa  rilievo  e  colore  distinto,  non  rappresen- 
tava allo  sguardo  che  una  successione  di  guazzabugli. 
Ma  ben  presto  le  recenti  impressioni,  ricomparendo  nella 
mente,  l' aiutarono  a  distinguere  ciò  che  appariva  con- 
fuso al  senso.  L'infelice  risvegliata  riconobbe  la  sua  pri- 
gione: tutte  le  memorie  dell' orribil  giornata  trascorsa, 
tutti  i  terrori  dell'avvenire,  l'assalirono  in  una  volta: 
quella  nuova  (luiele  stessa  dopo  tante  agitazioni,  quella 
specie  di  riposo,  quell'abbandono  in  cui  era  lasciala,  le 
facevano  un  nuovo  terrore;  e  fu  vinta  da  un  tale  af- 
fanno, che  desiderò  di  morire.  Ma  in  (jucl  momento, 
si  rammentò  che  poteva  almen  pregare,  e  insieme  con 
quel  pensiero,  le  spuntò  in  cuore  come  un  improvvisa 
speranza.  Prese  di  nuovo  la  sua  corona,  e  ricominciò  a 
dire  il  rosario;  e,  di  mano  in  mano  che  la  preghiera 
usciva  dal  suo  labbro  tremarne,  il  ciKire  seidiva  crescere 
una  fiducia  indeterminata.  Tutt'  a  un  trailo,  le  passò  per 
la  mente  un  altro  pensiero:  clic  la  sua  orazione  .sarebbe 


384  I   PROMESSI  SPOSI 

siala  più  accolta  e  più  certamente  esaudita  fjuando,  nella 
sua  desolazione,  facesse  anclic  qualche  offerta.  Si  ricordò 
di  quello  che  aveva  di  più  caro,  o  che  di  più  caro  aveva 
avuto;  giacché,  in  quel  momento,  l'animo  suo  non  po- 
teva sentire  altra  affezione  che  di  spavento,  né  conce- 
pire altro  desiderio  che  della  liberazione;  se  ne  ricordo, 
e  risolvette  subilo  di  farne  un  sacrifizio.  S' alzò,  e  si 
mise  in  ginocchio,  e  tenendo  giunte  al  petto  le  mani, 
dalle  quali  pendeva  la  corona,  alzò  il  viso  e  le  pupille 
al  cielo,  e  disse  :  «  o  Vergine  santissima  I  Voi,  a  cui  mi 
sono  raccomandata  tante  volle,  e  che  tante  volle  m'avete 
consolala!  Voi  che  avete  palilo. tanti  dolori,  e  siete  ora 
tanto  gloriosa,  e  avete  falli  tanti  miracoli  per  i  poveri 
tribolali  ;  aiutatemi  !  falerni  uscire  da  questo  pericolo  . 
fatemi  tornar  salva  con  mia  madre,  Madre  del  Signore: 
e  fo  volo  a  voi  di  rimaner  vergine;  rinunzio  per  sem- 
pre a  quel  mio  poveretto,  per  non  esser  mai  d' altri  clie 
vostra.  » 

Proferite  queste  parole,  abbassò  la  lesta,  e  si  mise  la 
corona  intorno  al  collo,  quasi  come  un  segno  di  consa- 
crazione, e  una  salvaguardia  a  un  tempo,  come  un'arma- 
tura della  nuova  milizia  acuì  s'era  ascritta.  Rimessasi 
a  sedere  in  terra,  sentì  entrar  nell'  animo  una  certa  tran- 
quillità, una  più  larga  fiducia.  Le  venne  in  mente  quel 
domaUina  ripetuto  dallo  sconosciuto  poiente,  e  le  parve 
di  sentire  in  quella  parola  una  promessa  di  salvazione. 
I  sensi,  affaticali  da  tanta  guerra  s'  assopirono  a  poco  a 
poco  in  queir  acquietamento  di  pensieri  :  e  finalmente, 
già  vicino  a  giorno,  col  nome  della  sua  protettrice  tronco 
tra  le  labbra.  Lucia  s'addormentò  d'un  sonno  perfetto 
e  continuo. 

Ma  c'era  qualchedun  altro  in  quello  stesso  castello, 
che  avrebbe  voluto  fare  altreltanto,  e  non  potè  mai.  Par- 
tito, 0  quasi  scappato  da  Lucia,  dato  l'ordine  per  la  cena 
di  lei,  fatta  una  consueta  visita  a  certi  posti' del  castello, 
sempre  con  quell'immagine  viva  nella  mente,  e  con 
quelle  parole  risonanti  all'orecchio,  il  signore  s'era  an- 


CAPITOLO  XX[.  -    385 

(lalo  a  Tacciare  in  camera,  s'era  cliiuso  dentro  in  fretta 
e  in  furia,  come  se  avesse  avuto  a  trincerarsi  contro  una 
squadra  di  nemici;  e  spogliatosi,  pure  in  furia,  era  an- 
dato a  letto.  Ma  queir  immagine ,  più  che  mai  presente, 
parve  che  in  quel  momento  gli  dicesse:  tu  non  dormi- 
rai. —  Che  sciocca  curiosità  da  donnicciola ,  —  pen- 
sava ,  —  m' ò  venuta  di  vederla  ?  Ha  ragione  quel  be- 
stione del  Nibbio;  uno  non  è  più  uomo;  è  vero,  non 
è  più  uomo!...  Io?...  io  non  son  più  uomo,  io?  Cos'è 
slato"?  che  diavolo  m'è  venuto  addosso?  che  e'  è  di  nuovo? 
Non  lo  sapevo  io  prima  d'  ora ,  che  le  donne  strillano? 
Strillano  anche  gli  uomini  alle  volte,  quando  non  si 
possono  rivoltare.  Che  diavolo  !  non  ho  mai  sentito  belar 
donne?  — 

E  qui,  senza  che  s'affaticasse  molto  a  rintracciare 
nella  memoria,  la  memoria  da  sé  gli  rappresentò  più 
d'un  caso  in  cui  uè  preghi  nò-  lamenti,  non  l'avevano 
punto  smosso  dal  compire  le  sue  risoluzioni.  Ma  la  ri- 
membranza di  tali  imprese ,  non  che  gli  ridonasse  la 
fermezza,  che  già  gli  mancava,  di  compir  questa;  non 
che  spegnesse  neh'  anima  quella  molesta  pietà  ;  vi  de- 
stava in  vece  una  specie  di  terrore,  una  non  so  qual 
rabbia  di  pentimento.  Di  maniera  che  gli  parve  un  sol- 
lievo il  tornare  a  quella  prima  immagine  di  Lucia,  contro 
la  quale  aveva  cercato  di  rinfrancare  il  suo  coraggio. 
—  È  viva  costei,  —  pensava,  è  (jui  ;  sono  a  tempo  ;  le 
posso  dire:  andate,  rallegratevi;  posso  veder  «luel  viso 
cambiarsi,  le  posso  anche  dire:  perdonatemi....  Per- 
donatemi? io  domandar  perdono?  a  una  donna?  io...! 
Ah,  eppure!  se  una  parola,  una  parola  tale  mi  potesse 
far  bene,  levarmi  d' -addosso  un  po' di  questa  diavoleria, 
la  direi  ;  eh  I  sento  che  la  direi.  A  che  cosa  son  ridotto  ! 
Non  son  più  uomo,  non  son  più  uomo!...  Via!  —  disse 
poi,  rivoltandosi  arrabbiatamente  nel  letto  diveiuilo  duro 
duro,  sotto  le -coperte  divenute  pesanti  pesanti:  —  \ia! 
sono  sciocchezze  che  mi  son  passate  per  la  testa  altre 
volte.  Passerà  anche  c|uesta.  — 


386  I   PROMESSI  SPOSI 

E  per  farla  passare,  andò  cercando  col  pensiero  qual- 
che cosa  importante,  qiialcheduna  di  quelle  che  solevano 
occuparlo  fortemente ,  onde  applicarvelo  lutto  ;  ma  non 
ne  trovò  nessuna.  Tutto  gli  appariva  cambiato:  ciò  che 
altre  volte  stimolava  più  fortemente  i  suoi  desideri,  ora 
non  aveva  più  nulla  di  desiderabile  :  la  passione,  come 
un  cavallo  divenuto  tutt'  a  un  tratto  restio  per  un'ombra, 
non  voleva  più  andare  avanti.  Pensando  all'  imprese  av- 
viate e  non  finite,  in  vece  d'animarsi  al  compimento, 
invece  d'irritarsi  degli  ostacoli  (che  l'ira  in  quel  mo- 
mento gli  sarebbe  parsa  soave  ) ,  sentiva  una  tristezza , 
quasi  uno  spavento  dei  passi  già  fatti.  Il  tempo  gli  s'af- 
facciò davanti  voto  d'  ogni  inlento,  d'  ogni  occupazione, 
d'  ogni  volere,  pieno  soltanto  di  memorie  intollerabili  ; 
tutte  r  ore  somiglianti  a  quella  che  gli  passava  cosi  lenta, 
cosi  pesante  sul  capo.  Si  schierava  nella  fantasia  tutti  i 
suoi  malandrini,  e  non  trovava  da  comandare  a  nessuno 
di  loro  una  cosa  che  gì'  importasse  :  anzi  l' idea  di  ri- 
vederli, di  trovarsi  tra  loro,  era  un  nuovo  peso,  un'  idea 
di  schifo  e  d' impiccio.  E  se  volle  trovare  un'  occupa- 
zione per  l'indomani,  un'opera  fattibile,  dovette  pen- 
sare che  all'  indomani  poteva  lasciare  in  libertà  quella 
poverina. 

—  La  libererò,  si;  appena  spunta  il  giorno,  correrò 
da  lei,  e  le  dirò:  andate,  andate.  La  farò  accompagna- 
re  E  la  promessa?  e  l'impegno?  e  don  Rodrigo?... 

Chi  è  don  Rodrigo?  — 

A  guisa  di  chi  è  colto  da  una  interrogazione  inaspet- 
tata e  imbarazzante  d'  un  superiore,  l' innominato  pensò 
suhito  a  rispondere  a  questa  che  s'  era  fatta  lui  stesso, 
0  piuttosto  quel  nuovo  lui,  che  cresciuto  terribilmente 
a  un  tratto,  sorgeva  come  a  giudicare  l'antico.  Andava 
dunque  cercando  le  ragioni  per  cui,  prima  quasi  d'esser 
pregato,  s'  era  potuto  risolvere  a  prender  l' impegno  di 
far  tanto  patire,  senz'odio,  senza  timore,  un'infelice  sco- 
nosciuta, per  servire  colui;  ma,  non  che  riuscisse  a  tro- 
var ragioni  che  in   quel  momento  gli  paressero  buone 


c.vpitOLO  XXI.  387 

n  scusare  il  fatto,  non  sapeva  quasi  spiegare  a  sé  stesso 
come  ci  si  fosse  indotto.  Quel  volere,  piuttosto  che  una 
deliberazione ,  era  stato  un  movimento  istantaneo  del- 
l'animo ubbidiente  a  sentimenti  anticbi,  abituali,  una  con- 
seguenza di  mille  fatti  antecedenti  ;  e  il  tormentato  esa- 
minator  di  se  stesso,  per  rendersi  ragione  d' un  sol  fatto, 
si  trovò  ingolfato  nell'esame  di  tutta  la  sua  vita.  Indie- 
tro, indietro,  d'  anno  in  anno,  d'  impegno  in  impegno, 
di  sangue  in  sangue,  di  scelleratezza  in  scelleratezza: 
ognuna  ricompariva  all'animo  consapevole  e  nuovo,  se- 
parata da'  sentimenti  che  Y  avevan  fatta  volere  e  com- 
mettere, ricompariva  con  una  mostruosità  che  que'  sen- 
timenti non  avevano  allora  lasciato  scorgere  in  essa.  Eran 
tutte  sue,  eran  lui:  l'orrore  di  questo  pensiero,  rinascente 
a  ognuna  di  quell'immagini,  attaccato  a  tutte,  crebbe  fino 
alla  disperazione.  S'alzò  in  furia  a  sedere,  gettò  in  furia 
le  mani  alla  parete  accanto  al  letto,  afferrò  una  pistola. 

la  staccò,  e al  momento  di  finire  una  vita  divenuta 

nsopportabile.  il  suo  pensiero,  sorpreso  da  un  terrore, 
da  un'inquietudine,  per  dir  così,  superstite,  si  slanciò 
nel  tempo  che  pure  continuerebbe  a  scorrere  dopo  la 
sua  fine.  S' immaginava  con  raccapriccio  il  suo  cadavere 
sformato,  immobile,  in  balia  del  più  vile  sopravvissuto; 
la  sorpresa,  la  confusione  nel  castello,  il  giorno  dopo: 
ogni  cosa  sottosopra;  lui,  senza  forza,  senza  voce,  but- 
tato chi  sa  dove.  Immaginava  i  discorsi  che  se  ne  sa- 
rebber  fatti  li,  d'intorno,  lontano,  la  gioia  de'  suoi  nemici. 
Anche  le  tenebre,  anche  il  silenzio,  gli  facevan  veder 
nella  morte;  cpialcosa  di  più  tristo,  di  spaventevole;  gli 
pareva  che  non  avrebbe  esitato,  se  fosse  stalo  di  giorno, 
all'aperto,  in  faccia  alla  gente:  buttarsi  in  un  fiume  e 
sparii'e,  E  assorto  in  queste  contemplazioni  tormentose, 
andava  alzando  e  riabbassando,  con  una  forza  convulsiva 
del  pollice,  il  cane  della  pistola;  (juando  gli  balenò  in 
mente  un  altro  pensiero.  —  Se  ipiell' altra  vita  di  cui 
m'hanno  parlato  quand'ero  ragazzo,  di  cui  pailano  sem- 
pre, come  se  fosse  cosa  sicura,  se  quella  vita  non  c'è, 


388  I   PROMESSI   SPOSI 

se  ò  un' invenzione  dc'preli;  elio  fo  io?  porcile  morire? 
cos'  importa  quello  che  ho  fatto?  co.V  importa?  ó  una  paz- 
zia la  mia E  se  e'  e  quesf  altra  vita !  — 

A  un  tal  (luhhio,  a  un  tal  rischio,  gli  venne  addosso 
una  disperazione  più  nera,  più  grave,  dalla  quale  non  si 
poteva  fuggire,  neppur  con  la  morte.  Lasciò  cader  l'ar- 
me, e  stava  con  le  mani  ne'  cappelli,  battendo  i  denti, 
tremando.  Tutt'  a  un  tratto,  gli  tornarono  in  mente  pa- 
role che  aveva  sentite  e  risentite,  poche  ore  prima:  — 
Dio  perdona  tante  cose,  per  un'  opera  di  misericordia  ! 
—  e  non  gli  tornavan  già  con  quell'  accento  d'  umile 
preghiera,  con  cui  erano  state  proferite;  ma  con  un  suono 
pieno  d'  autorità,  e  che  insieme  induceva  una  lontana 
speranza.  Fu  quello  un  momento  di  sollievo:  levò  le  mani 
dalle  tempiOj  e,  in  un'  attitudine  più  composta,  fissò  gli 
occhi  della  mente  in  colei  da  cui  aveva  sentite  quelle 
parole:  e  la  vedeva,  non  come  la  sua  prigioniera,  non 
come  una  supplichevole,  ma  in  alto  di  chi  dispensa  gra- 
zie e  consolazioni.  Aspettava  ansiosamente  il  giorno,  per 
correre  a  liherarla,  a  sentire  dalla  bocca  di  lei  altre  pa- 
role di  refrigerio  e  di  vita;  s'immaginava  di  condarla 
lui  stesso  alla  madre.  —  E  poi?  che  farò  domani,  il 
resto  della  giornata?  che  farò  doman  l' altro  ?  che  farò 
dopo  doman  l'altro?  Eia  notte?  la  notte ^  che  tornerà 
tra  dodici  ore!  Oh  la  notte!  no,  no,  la  notte!  —  E  ri- 
caduto nel  vóto  penoso  dell'  avvenire ,  cercava  indarno 
un  impiego  del  tempo,  una  maniera  di  passare  i  giorni, 
le  notti.  Ora  si  proponeva  d'abbandonare  il  castello,  e 
d'andarsene  in  paesi  lontani,  dove  nessun  lo  conoscesse, 
neppur  di  nome;  ma  sentiva  che  lui,  lui  sarebbe  sem- 
pre con  se;  ora  gli  rinasceva  una  fosca  speranza  di  ri- 
pigliar l'animo  antico,  le  antiche  voglie;  e  che  quello 
fosse  come  un  delirio  passeggiero;  ora  temeva  il  giorno, 
che  doveva  farlo  vedere  a'  suoi  cosi  miserabilmente  mu- 
tato; ora  lo  sospirava,  come  se  dovesse  portar  la  luce 
anche  ne'  suoi  pensieri.  Ed  ecco,  appunto  sull' albeggiare; 
p.)chi  momonli  dopo  che  Lucia  s'  era  addoiiiionlala,  ecco 


CAPITOLO   XX!.  389 

che,  slancio  così  immoto  a  sedere,  sentì  arrivarsi  all'o' 
recchio  come  un'onda  di  suono  non  bene  espresso,  ma 
che  pure  aveva  non  so  che  d'allegro.  Stette  attento,  e 
riconobbe  uno  scampanare  a  festa  lontano;  e  dopo  qual- 
che momento,  sentì  anche  l'eco  del  monte,  che  ogni 
tanto  ripeteva  languidamente  il  concento,  e  si  confon- 
deva con  esso.  Di  lì  a  poco ,  sente  un  altro  scampaìiio 
più  vicino,  anche  quello  a  festa;  poi  un  altro.  —  Che 
allegria  c'è?  —  Cos'hanno  di  bello  tutti  costoro?  —  Saltò 
fuori  da  quel  covile  di  pruni;  e  vestitosi  a  mezzo,  corse 
a  aprir  una  finestra,  e  guardò.  Le  montagne  eran  mezze 
velate  di  nebbia;  il  cielo,  piuttosto  che  nuvoloso,  era 
tutto  una  nuvola  cenerognola;  ma,  al  chiarore  che  pure 
andava  a  poco  a  poco  crescendo,  si  distingueva,  nella 
strada  in  fondo  alla  valle,  gente  che  passava,  altra  che 
usciva  dalle;  case,  e  s'avviava;  lutti  dalla  stessa  parte, 
verso  Io  sbocco,  a  destra  del  castello,  tutti  col  vestilo  delle 
feste,  e  con  un'alacrità  straordinaria. 

—  Che  diavolo  hanno  costoro?  che  c'è  d'allegro  in 
questo  mal(>detto  paese?  dove  va  tutta  quella  canaglia? 
—  E  data  una  voce  a  un  bravo  fidato  che  dormiva  in 
una  stanza  accanto,  gli  domandò  qual  fosse  la  cagione 
di  ipiel  movimento.  Quello,  che  ne  sapeva  quanto  Ini, 
rispose  che  andcrebite  subito  a  informarsene.  Il  signore 
rimase  appoggiato  alla  finestra,  tulio  intento  al  mobile 
spettacolo.  Erano  uomini,  donne,  fanciulli,  a  brigate,  a 
coppie,  soli;  uno,  raggiungendo  chi  gli  era  avanti,  s'ac- 
compagnava con  lui;  un  altro,  uscendo  di  casa,  s'univa 
col  pi'imo  che  rinloppasse;  e  andavano  insieme,  come 
amici  a  un  viaggio  convenuto.  Gli  atti  indicavano  ma- 
nifestamenh^  una  fretta  e  una  gioia  comune:  e  quel  rim- 
bombo non  accordato  ma  consentaneo  delle  varie  cam- 
pane, quali  pili,  quali  mcnn  virine,  jiareva,  per  dir  cosi, 
la  voce  di  tpie' gesti,  e  il  supplinìenhi  delle  parol(>  cIk; 
non  potevano  arrivar  lassù.  Ciiardava,  guardava;  e  gli 
cresceva  in  cuore  una  più  clu'  curiosila  di  sapei'  ("osa 
mai  potesse  comunicaiv  un  lras[)(M'lo  uguale  ;i  lauta  genb; 
diversa, 


CAPITOLO  XXII. 


Poco  dopo ,  il  bravo  venne  a  riferire  che ,  il  giorno 
avanti,  il  cardinal  Federigo  Borromeo,  arcivescovo  di  Mi- 
lano, era  arrivato  a  " ',  e  ci  starebbe  tutto  quel  giorno; 
e  che  la  nuova  sparsa  la  sera  di  quesl'  arrivo  ne'  paesi 
d' intorno  aveva  invogliati  tutti  d' andare  a  veder  quel- 
l' uomo  ;  e  si  scampanava  più  per  allegria,  che  per  avvertir 
la  genie.  Il  signore,  rimasto  solo,  continuò  a  guardar 
nella  valle,  ancor  più  pensieroso.  —  Per  un  uomo!  Tutti 
premurosi,  tutti  allegri,  per  vedere  un  uomo!  E  però 
ognuno  di  costoro  avrà  il  suo  diavolo  che  lo  tormenti. 
Ma  nessuno,  nessuno  n'avrà  uno  come  il  mio;  nessuno 
avrà  passata  una  notte  come  la  mia!  Cos'  ha  quell'uomo, 
per  render  tanta  gente  allegra?  Qualche  soldo  che  di- 
stribuirà così  alla  ventura Ma   costoro  non   vanno 

tutti  per  l'elemosina.  Ebbene,  qualche  segno  nell'aria, 

qualche  parola Oh  se  le  avesse  per  me  le  parole  che 

possono  consolare!  se  —  !  Perchè  non  vado  anch'io? 
Perchè  no? —  Anderò,  anderò;  e  gii  voglio  parlare;  a 
quattr'occhi  gli  voglio  parlare.  Cosa  gli  dirò?  Ebbene. 

quello  che,   quello  che Sentirò  cosa  sa  dir  lui,  ([ue- 

sl'  uomo  !  — ■ 


l   PROMESSI   SPOSI,   CAPITOLO  XXII,  391 

Fatta  così  in  confuso  questa  risoluzione,  finì  in  fretta 
di  vestirsi,  mettendosi  una  sua  casacca  d'un  taglio  che 
aveva  qualche  cosa  del  militare;  prese  la  terzetta  rima- 
sta sul  letto,  e  l'attaccò  alla  cintura  da  una  parte;  dal- 
l'altra, un'altra  che  staccò  da  un  chiodo  della  parete; 
mise  in  quella  stessa  cintura  il  suo  pugnale;  e  staccata 
pur  dalla  parete  una  carabina  famosa  quasi  al  par  di 
lui,  se  la  mise  ad  armacollo;  prese  il  cappello,  usci  di 
camera;  e  andò  prima  di  tutto  a  quella  dove  aveva  la- 
sciata Lucia,  posò  fuori  la  carabina  in  un  cantuccio  vicino 
all'uscio,  e  picchiò,  facendo  insieme  sentir  la  sua  voce. 
La  vecchia  scese  il  letto  in  un  salto,  e  corse  ad  aprire. 
Il  signore  entrò,  e  data  un'occhiata  per  la  camera,  vide 
Lucia  rannicchiata  nel  suo  cantuccio  e  quieta. 

«  Dorme?  »  domandò  sotto  voce  alla  vecchia:  là  dorme? 
eran  questi  i  miei  ordini,  sciagurata?  « 

«  Io  ho  fallo  di  tutto,  »  rispose  quella:  ina  non  ha  mai 
voluto  mangiare,  non  è  mai  voluta  venire  ....  » 

«  Lasciala  dormire  in  pace;  guarda  di  non  la  distur- 
bare; e  quando  si  sveglierà....  Marta  verrà  (pii  nella 
stanza  vicina;  e  tu  manderai  a  prendere  qualunque  cosa 
che  costei  possa  chiederti.  Quando  si  sveglierà — dille 
che  io  ... .  che  il  padrone  è  partito  per  poco  tempo , 
che  tornerà,  e  che farà  tutto  quello  che  lei  vorrà.» 

La  vecchia  rimase  tulla  sLupefalla  pensando  tra  se: 
—  che  sia  qualche  principessa  costei?  — 

Il  signore  uscì,  riprese  la  sua  cai'abina,  mandò  Marta 
a  fare  anticamera,  mandò  il  primo  bravo  che  incontrò  a 
far  la  guardia ,  perchè  nessun  altro  cIk;  (|iiella  donna 
mettesse  piede  nella  camera  ;  e  poi  usci  dal  casicllo ,  e 
prese  la  scesa  di  corsa. 

Il  manoscritto  non  dice  quanto  ci  fosse  dal  i  aslello  al 
paese  dov'era  il  cardinale;  ma  dai  fatti  che  siam  per 
raccontare,  risulla  che  non  doveva  essere  più  che  una 
lunga  i)asseggiala.  Dal  solo  accorrei'c  de'  valligiani ,  e 
anche  di  gente  [liii  loiilaii;;,  ;i  ([nel  paese,  ([ueslo  non  si 
poirebbe  argonieulare;  giacche    nelle    niemorie   di  ipiel 


392  I   l'HOMESSI  SPOSI 

tempo  Iroviamo  clic  da  venti  e  più  miglia  veniva  gente 
in  folla  por  vodor  Federigo. 

I  bravi  che  s'  abhallevano  sulla  salila,  si  fermavano  ri- 
speltosamentc  al  passar  del  signore,  aspellando  se  mai 
avesse  ordini  da  dar  loro  ,  o  se  volesse  prenderli  seco , 
per  qualche  spedizione  ;  e  non  sapendo  che  si  pensare 
della  sua  aria,  e  dell'  occhiate  che  dava  in  risposta  a' 
loro  inchini. 

Quando  fu  nella  strada  pubblica,  quello  che  faceva  ma- 
ravigliare i  passeggieri,  era  di  vederlo  senza  seguito. 
Del  resto,  ognuno  gli  faceva  luogo,  prendendola  larga, 
quanto  sareltbe  bastalo  aiìche  per  il  seguito,  e  levandosi 
rispetlosamenle  il  cappello.  Arrivato  al  paese,  trovò  una 
gran  folla  ;  ma  il  suo  nome  passò  subilo  di  bocca  in 
bocca;  e  la  folla  s'apriva.  S'accostò  a  uno,  e  gli  do- 
mandò dove  fosse  il  cardinale.  «  In  casa  del  curato,  » 
rispose  quello,  inchinandosi,  e  gì'  indicò  dov'  era.  Il  si- 
gnore andò  là,  entrò  in  un  cortiletto  dove  c'eran  molli 
preti,  che  tulli  lo  guardarono  con  un'  attenzione  mara- 
vigliata e  sospettosa.  Vide  dirimpetto  un  uscio  spalancalo, 
che  metteva  in  un  salottino,  dove  molti  altri  preti  eran 
congregati.  Si  levò  la  carabina,  e  l'appoggiò  in  un  canto 
del  cortile;  poi  entrò  nel  salottino:  e  anche  lì  occhiate, 
bisbigli ,  un  nome  ripetuto,  e  silenzio.  Lui,  vollalosi  a 
uno  di  quelli,  gli  domandò  dove  fosse  il  cardinale;  e 
che  voleva  parlargli. 

«  Io  son  forestiero ,  »  rispose  l' interrogato ,  e  dala 
un'occhiata  intorno,  chiamò  il  cappellano  crocifero,  che 
in  un  canto  del  salottino,  stava  appunto  dicendo  sotto 
voce  a  un  suo  compagno:  «  colui?  quel  famoso?  che  ha 
a  far  qui  colui?  alla  larga!  »  Però,  a  quella  rhianiata 
che  risonò  nel  silenzio  generale,  dovette  venire,  inchinò 
l'innominato,  stette  a  sentir  quel  che  voleva,  e  alzando 
con  una  curiosità  inquieta  gli  occhi  su  quel  viso ,  e 
riabbassandoli  subito,  rimase  li  un  poco,  poi  disse  o 
balbettò  :  «  non  saprei  se  monsignore  illustrissimo  .... 
in  questo  momento ....  si  trovi , . . .  sia ... .  possa . , . .  Basta, 


CAPITOLO  XXII.  393 

vado  a  vedere.  »  E  andò  a  malincorpo  a  far  l' imba- 
sciata nella  stanza  vicina,  dove  si  trovava  il  cardinale. 

A  questo  punto  della  nostra  storia,  noi  non  possiam 
far  a  meno  di  non  fermarci  qualche  poco,  come  il  vian- 
dante stracco  e  tristo  da  un  lunp^o  camminare  per  un 
terreno  arido  e  salvatico,  si  trattiene  e  perde  un  po' di 
tempo  all'ombra  d'un  bell'albero,  sull'erba,  vicino  a 
una  fonte  d'  acqua  viva.  Ci  siamo  alibattuti  in  un  per- 
sonapiiio,  il  nome  e  la  memoria  del  quale,  affacciandosi 
in  qualunque  tempo,  alla  mente,  la  ricreano  con  una 
placida  commozione  di  riverenza,  e  con  un  s(>nso  gio- 
condo di  simpatia:  ora,  quanto  più  dopo  tante  immagini 
di  dolore,  dopo  la  contemiìlazione  d' una  moltiplico  e 
fastidiosa  perversitcà!  Intorno  a  questo  personaggio  biso- 
gna assolutamente  che  noi  spendiamo  quattro  parole:  chi 
non  si  curasse  di  sentirle,  e  avesse  però  voglia  d'an- 
dare avanti  nella  storia,  salii  addirittnra  al  capitolo  se- 
guente. 

Federigo  Borromeo,  nato  nel  loOi  ,  fu  degli  uomini 
rari  in  (puilumiue  tempo,  che  abbiano  inqùegato  un  in- 
gegno egregio,  tnlli  i  mezzi  d'una  grand' 0[)ul('n7.a,  lutti 
i  vantaggi  d'una  condizione  privilegiala,  un  intento  con- 
tinuo, nella  ricerca  dell'esercizio  del  meglio.  La  sua  vita 
ò  come  un  ruscello  che,  scaturito  limpido  dalla  roccia 
senza  ristagnare  nò  intorbidarsi  mai,  in  un  lungo  corso 
per  diversi  terreni,  va  linìjiido  a  gettarsi  nel  fiume.  Tra 
gli  agi  e  le  ponq)e,  iiadò  fin  dalla  puerizia  a  quelle  [)a- 
rol(>  d'annegazione  e  d'  umiltà,  a  quelle  massijn(>  intorno 
alla  vanità  de'  piaceli,  all'ingiustizia  dell'orgoglio,  alla 
vera  dignità,  e  a'  veri  beni,  che,  sentite  o  non  sentite 
no'  cuori,  vengono  trasmesse  da  una  generazione  all'altra, 
nel  più  elementare  insegnamento  della  religione.  Badò, 
dico,  a  (pielle  parole,  a  (luelle  masiì^inic,  le  prese  sul  se- 
rio, le  gustò,  le  trovò  vere;  vide  che  non  polcv.-in  duiniiic 
esjer  vere  altre  parole  e  altre  massime  o|i|iosic,  clic 
pinv  si  trasmettono  di  genei'azionc  in  gciicia/ionc.  con 
la  stessa  sicurezza,  e  talora  diillc  stesse  labbra:  e  prn^ 

VOL.   1.  17" 


304  1    l'IiUMKSSI   SPOSI 

pose  di  prender  per  norma  deira/.ioni  e  de'  pensieri 
quelle  che  erano  i!  vero.  Persuaso  che  la  vita  non  è  u;\h 
destinata  ad  essere  un  peso  per  molti,  e  una  festa  per 
alcuni,  ma  per  tutti  un  impiego,  del  quale  ognuno  ren- 
derà conto,  cominciò  da  fanciullo  a  pensare  come  potesse 
render  la  sua  utile  e  santa. 

Nel  1580,  manifestò  la  risoluzione  di  dedicarsi  al  mi- 
nistero ecclesiastico,  e  ne  prese  T  ahilo  dalle  mani  di 
quel  suo  cugino  Carlo,  che  una  fama,  già  fin  d'allora 
antica  e  universale,  predicava  santo.  Entrò  poco  dopo  nel 
collegio  fondato  da  questo  in  Pavia,  e  che  porta  ancora 
il  nome  del  loro  casato;  e  li,  applicandosi  assiduamente 
alle  occupazioni  che  trovò  prescritle,  due  altre  ne  assunse 
di  sua  volontà;  e  furono  d'insegnar  la  dottrina  cristiana 
ai  più  rozzi  e  derelitti  del  popolo,  e  di  visitare,  servire, 
consolare  e  soccorrere  gl'infermi.  Si  valse  dell' autorilà 
che  tutto  gli  conciliava  in  quel  luogo,  per  attirare  i  suoi 
compagni  a  secondarlo  in  tali  opere;  e  in  ogni  cosa 
onesta  e  profittevole  esercitò  come  un  primato  d'esem- 
pio, un  primato  che  le  sue  doti  personali  sarebhero  forse 
bastate  a  procacciargli,  se  fosse  anche  stato  l' infimo  per 
condizione.  I  vantaggi  d'un  altro  genere,  che  la  sua  gli 
a\  rehhe  potuto  procurare,  non  solo  non  li  ricercò  ,  ma 
mise  ogni  studio  a  schivarli.  Volle  una  tavola  piuttosto 
povera  che  frugale,  usò  un  vestiario  piuttosto  povei'o 
ohe  semplice;  a  conformità  di  questo,  tutto  il  tenore 
della  vita  e  il  contegno.  Nò  credette  mai  di  doverlo  mu- 
tane, per  quanto  alcuni  congiunti  gridassero  e  si  lamen- 
tassero che  avvilisse  così  la  dignità  della  casa.  Un'altra 
guerra  ebbe  a  sostenere  con  gl'istitutori,  i  quali,  fur- 
tivamente e  come  per  sorpresa,  cercavano  di  mettergli 
davanti,  addosso,  intorno,  qualche  suppellettile  più  si- 
gnorile, qualcosa  che  lo  facesse  distinguere  dagli  altri, 
e  llgurare  come  il  principe  del  luogo:  o  credessero  di 
farsi  alla  lunga  ben  volere  con  ciò;  o  fossero  mossi  da 
quella  svisceratezza  servile  che  s'invanisce  e  si  ricrea 
dello  splendore  altrui;  o  fossero    di  quei   prudenti  che 


CAPITOLO  XXII.  395 

s' adoni hraiìo  delle  virtù  come  de'  vizi,  predicano  sem- 
pre che  la  perfezione  sta  nel  mezzo  ;  e  il  mezzo  lo  fissan 
giusto  in  quel  punto  dov'essi  sono  arrivati,  e  ci  stanno 
comodi.  Federigo,  non  che  lasciarsi  vincere  da  quei  ten- 
tativi, riprese  coloro  che  li  facevano;  e  ciò  tra  la  pu- 
bertà e  la  giovinezza. 

Che,  vivente  il  cardinal  Carlo,  maggiore  di  lui  di  ven- 
tisei anni,  davanti  a  quella  presenza  grave,  solenne, 
ch'esprimeva  così  al  vivo  la  santità,  e  ne  rammentava 
le  opere,  e  alla  quale,  se  ce  ne  fosse  stato  bisogno, 
avrebbe  aggiunto  autorità  ogni  momento  l'ossequio  ma- 
nifesto e  spontaneo  de'  circostanti,  quali  e  quanti  si  fos- 
sero, Federigo  fanciullo  e  giovinetto  cercasse  di  confor- 
marsi al  contegno  e  al  pensare  d'un  tal  superiore,  non 
è  cortamente  da  farsene  maraviglia;  ma  è  bensì  cosa 
molto  notabile  che,  dopo  la  morte  di  lui,  nessuno  si  sia 
potuto  accorgere  che  a  Federigo,  allor  di  veni' anni,  fosse 
mancata  una  guida  e  un  censore.  La  fama  crescente  del 
suo  ingegno,  della  sua  dottrina  e  della  sua  pietà,  la  pa- 
rentela e  gl'impegni  di  più  d'un  cardinale  pofenl(\  il 
credito  d(;lla  sua  famiglia,  il  nome  stesso,  a  cui  Carlo 
aveva  quasi  annessa  nelle  menti  un'  idea  di  santità  e  di 
preminenza,  tutto  ciò  che  deve,  e  lutto  ciò  che  può  con- 
durre gli  uomini  alle  dignità  ecclesiastiche,  concorreva 
a  proiìosticargliole.  Ma  egli,  persuaso  in  onore  di  ciò  che 
nessuno  il  (piale  professi  cristianesimo  può  negar  con 
la  bocca,  non  ci  esser  giusta  superiorità  d'uomo  sopi'a 
gli  uomini,  se  non  in  loro  servizio,  temeva  le  dignità, 
e  cercava  di  scansarle:  non  certamente  perchè  sfuggisse 
di  servire  altrui;  che  poche  vite  furono  spese  in  ((ueslo 
come  la  sua;  ma  pi^rchè  non  si  stimava  abbastanza  de- 
gno né  caiiace  di  cosi  allo  e  pcn'icoloso  siM'vizio.  Perciò, 
venendogli,  nel  151)5,  proposto  da  Clemente  VII)  l'arci- 
vescovado di  Milano,  apparve  fortiMuenle  turbalo,  e  ir- 
cusò  senza  esitare.  Cedelle  poi  al  comando  espresso 
del  papa. 

T.ili  dimoslra/.ioiii.  e  (Ili   nnn  lo  sa?  non  'fonone  dil- 


306  I    PROMESSI   SPOSI 

fìcili  nò  rare;  e  T  ipocrisia  non  lia  l)iso,cno  d'un  più 
grande  sforzo  (T  ingegno  por  farle,  che  la  Ituffoneria  per 
deriderle  a  huon  conto,  in  ogni  caso.  Ma  cessan  forse 
per  questo  d' esser  V  espressione  naturale  d' un  senti- 
mento virtuoso  e  sapiente  ?  La  vita  è  il  paragone  delle 
parole;  e  le  parole  ch'esprimono  quel  senlimenlo,  fos- 
sero anclie  passate  sulle  labbra  di  tulli  gì'  impostori  e 
di  tutti  i  beffardi  del  mondo,  saranno  sempre  iìclie, 
quando  siano  precedute  e  seguite  da  una  vita  di  disin- 
teresse e  di  sacrifi/Ao. 

In  Federigo  arcivescovo  apparve  uno  studio  singolare 
e  continuo  di  non  prender  per  se,  delle  ricchezze,  del 
tempo,  delle  cure,  di  tutto  sé  stesso  in  somma,  se  non 
(jtfSnto  fosse  strettamente  necessario.  Diceva,  come  tutti 
dicono,  che  le  rendite  ecclesiastiche  sono  patrimonio  de' 
poveri:  come  poi  intendesse  infatti  una  tal  massima,  si 
veda  da  questo.  Volle  che  si  stimasse  a  quanto  poteva 
ascendere  il  suo  mantenimento  e  quello  della  sua  ser- 
vitù; e  dettogli  che  seicento  scudi  (scudo  si  chiamava 
allora  quella  moneta  d'oro  che,  rimanendo  sempre  dello 
slesso  peso  e  titolo,  fu  poi  detta  zecchino),  diede  or- 
dine elle  tanti  se  ne  contasse  ogni  anno  dalla  sua  cassa 
particolare  a  quella  della  mensa;  non  credendo  che  a 
lui  ricchissimo  fosse  lecito  vivere  di  quel  patrimonio. 
Del  suo  poi  era  cosi  si^arso  e  sottile  misuratore  a  sé 
stesso,  che  badava  di  non  ismettere  un  vestito,  prima 
che  fosse  logoro  affatto:  unendo  però,  come  fu  nolato 
da  scrittori  contemporanei,  al  genio  della  semplicità  (lucilo 
d'una  squisita  pulizia:  due  abitudini  nolahili  infalli,  in 
ipiell'elà  sudicia  e  sfarzosa.  Similmente,  allinchè  nulla 
si  disperdesse  degli  avanzi  della  sua  mensa  frugale,  gli 
assegnò  a  un  ospizio  di  poveri  ;  e  uno  di  questi,  per 
suo  ordine,  entrava  ogni  giorno  nella  sala  del  pranzo  a 
raccoglier  ciò  che  fosse  rimasto.  Cure ,  che  potrebbero 
forse  indur  concetlo  d'una  virtù  gretta,  misera,  angu- 
stiosa,  d'una  mente  impaniata  nelle  minuzie,  e  incapace 
di  disegni  elevali;  se  non  fosse  in  piedi  questa  bibliu- 


CAPITOLO  XXII.  397 

teca  ambrosiano,  die  Federigo  ideò  con  sì  animosa  lau- 
tezza, ed  eresse,  con  tanto  dispendio,  da' fondamenti;  per 
fornir  la  quale  di  libri  e  di  manoscritti,  oltre  il  dono 
de' già  raccolti  con  grande  studio  e  spesa  da  lui,  spedi 
otto  uomini,  de' più  colti  ed  esperti  che  potè  avere,  a 
farne  incetta,  per  l'Italia,  per  la  Francia,  per  la  Spagna, 
per  la  Germania,  per  le  Fiandre,  nella  Grecia,  al  Libano, 
a  Gerusalemme.  Così  riuscì  a  radunarvi  circa  trenta- 
mila volumi  stampati,  e  quattordicimila  manoscritti.  Alla 
biblioteca  unì  un  collegio  di  dottori  (furon  nove,  e  pen- 
sionati da  lui  fin  che  visse,  dopo,  non  bastando  a  (piella 
spesa  l'entrate  ordinarie,  furon  ristretti  a  due);  e  il  loro 
ufìzio  era  di  coltivare  vari  sludi,  teologia,  storia,  lettere, 
antichità  ecclesiastiche,  lingue  orientali ,  con  1'  obbligo 
ad  ognuno  di  pubblicar  qualcbe  lavoro  sulla  materia  as- 
segnatagli; v'unì  un  collegio  daini  detto  trilingue,  per 
lo  studio  delle  lingue  greca,  latina  e  italiana  ;  un  col- 
legio d'alunni,  clic  venissero  istruiti  in  quelle  facoltà  e 
lingue,  per  insegnarle  un  giorno;  v'unì  una  stamperia 
di  lingue  orientali,  dell'ebraica,  cioò,  della  caldea,  del- 
l'arabica, della  persiana,  dell'armena;  una  galleria  di 
quadi'i,  una  di  statue,  e  una  scuola  delle  tre  principali 
arti  del  disegno.  Per  queste,  potè  trovar  professoi'i  già 
formati;  per  il  linianente,  ahbiam  visto  die  da  fare  gli 
avesse  dato  la  raccolta  de'lihri  e  de' manoscritti;  certo 
più  difficili  a  trovarsi  dovevano  essere  i  tipi  di  quelle 
lingue,  alloi-a  molto  men  coltivate  in  Europa  che  al  pr(>- 
sente;  più  ancora  de'liiii,  gli  uomini.  Basterà  il  diiv 
die,  di  nove  dottori,  otto  ne  prese  tra  i  giovani  alunni 
del  seminario;  e  da  questo  si  può  argomentare  che  giu- 
dizio facesse  degli  studi  consumali  e  delle  riputazioni 
fatte  di  quel  tempo:  giudizio  conforme  a  (piello  che  par 
elio  n'abbia  portato  la  posterità,  col  mettere  gli  uni  e 
le  altre  in  dinieiiticMiiza.  Nelle  regole  che  slahili  per 
l'uso  (>  pei'  il  governo  della  hiblioleca,  si  vede  un  in- 
lento d'utilità  ]ierpeliia,  inni  solamente  hello  in  -è,  ni;i 
in  molte  parti  saiiiente  e  giMitile  multo  al  di  là  dell'idee 


398  I  moMESsi  sposi 

e  deirabiliKÌini  comuni  di  quel  tempo.  Prescrisse  al  bi- 
bliotecario che  mantenesse  commercio  con  gli  uomini 
più  dotti  d'  Europa,  \)er  aver  da  loro  notizie  dello  stato 
delle  scienze,  e  avviso  de' libri  migliori  che  venissero 
fuori  in  ogni  genere,  e  farne  acquisto;  gli  prescrisse 
d'indicare  agli  studiosi  i  libri  che  non  conoscessero,  e 
potcsser  loro  esser  utili;  ordinò  che  a  tutti,  fossero  cit- 
tadini 0  forestieri,  si  desse  comodità  e  tempo  di  servir- 
sene, secondo  il  bisogno.  Una  tale  intenzione  deve  ora 
parere  ad  ognuno  troppo  naturale,  e  immedesimata  con  la 
fondazione  d' una  biblioteca  :  allora  non  era  così.  E  in 
una  storia  dell'ambrosiana,  scritta  (col  costruito  e  con 
r  eleganze  comuni  del  secolo)  da  un  Pit^rpaolo  Bosca, 
che  vi  fu  bibliotecario  dopo  la  morte  di  Federigo,  vien 
notato  espressamente,  come  cosa  singolare,  che  in  que- 
sta libreria,  eretta  da  un  privato  quasi  lutla  a  sue  spese, 
i  libri  fossero  esposti  alla  vista  del  pubblico,  dati  a  chiun- 
que li  chiedesse,  e  datogli  anche  da  sedere,  e  carta, 
penne  e  calamaio,  per  prender  gli  appunti  che  gli  po- 
tessero bisognare:  mentre  in  qualche  insigne  biblioteca 
pubblica  d'Italia,  i  libri  non  erano  neramen  visibili,  ma 
chiusi  in  armadi,  donde  non  si  levavano  se  non  per 
gentilezza  de' bibliotecari,  quando  si  sentivano  di  farli 
vedere  un  momento;  di  dare  ai  concorrenti  il  comodo 
di  studiare,  non  se  n'aveva  neppur  l'idea.  Dimodoché 
arricchir  tali  biblioteche  era  un  sotlrar  libri  all'  uso  co- 
mune: una  di  quelle  coltivazioni,  come  ce  n'era  e  ce 
n'è  tuttavia  molte,  che  isteriliscono  il  campo. 

Non  domandate  quali  siano  stati  gli  elTetti  di  questa 
fondazione  del  Borromeo  sulla  coltura  pubblica  ;  sarebbe 
facile  dimostrare  in  due  frasi,  al  modo  che  si  dimostra, 
che  furon  miracolosi,  o  che  non  furon  niente  ;  cercare 
e  spiegare,  fino  a  un  certo  segno,  quali  siano  stati  ve- 
ramente, sarebbe  cosa  di  molta  fatica,  di  poco  costrutto, 
e  fuor  di  tempo.  Ma  pensate  che  generoso,  che  giudi- 
zioso, che  benevolo,  che  perseverante  amatore  del  mi- 
glioramento umano,  dovess'  essere  colui  che  volle  una 


CAPITOLO   XXII.  399 

lai  cosa,  lo  volle  in  (inolia  maniera,  e  l'eseguì,  in  mezzo 
a  queir  ignorantaggine,  a  qucU'  inerzia,  a  queir  antipa- 
tia generale  per  ogni  applicazione  studiosa,  e  per  con- 
seguenza in  mezzo  ai  cos' importai  a  e' era  altro  da  pen- 
sare? e  che  beli'  inreììzione?  e  mancava  anche  questa,  e 
simili;  che  saranno  certissimamenle  stati  più  che  gli 
scudi  spesi  (la  lui  in  ciuelF impresa;  i  quali  furon  cen- 
tocinquemila,  la  più  parte  de'  suoi. 

Per  chiamare  un  tal  uomo  sommamente  henefìco  e  li- 
berale, pu()  parer  che  non  ci  sia  bisogno  di  sapere  se 
n'abbia  spesi  molt' altri  in  soccorso  immediato  de' biso- 
gnosi; e  ci  son  forse  ancora  di  quelli  che  pensano  che 
le  spese  di  quel  genere,  e  sto  per  dire  tutte  le  spese, 
siano  la  migliore  e  la  più  utile  elemosina.  Ma  Federigo 
teneva  l'elemosina  propriamente  detta  per  un  (lov<^re 
principalissimo;  e  qui,  come  nel  resto,  i  suoi  fatti  luron 
consentanei  all'opinione.  La  sua  vita  fu  un  continuo  pro- 
fondere ai  poveri;  e  a  proposito  di  ([uesta  stessa  care- 
stia di  cui  ha  già  parlalo  la  nostra  storia,  avn^mo  tra 
poco  occasione  di  riferire  alcuni  tratti,  dai  quali  si  \e- 
drà  che  sapienza  e  che  genlilezza  abbia  saputo  mettere 
anche  in  questa  libcralilà.  Di^.' molti  esem])!  singolari  che 
d'una  tale  sua  virlù  hanno  notali  i  suoi  biografi,  ne 
citeremo  qui  un  solo.  Avendo  risaputo  che  un  nobile 
usava  artifizi  e  angluTie  per  far  monaca  una  sua  figlia, 
la  quale  desiderava  piuttosto  di  maritarsi,  fece  venire  il 
padre;  e  cavatogli  di  bocca  che  il  vero  motivo  di  quella 
vessazione  era  il  non  avere  (piallromila  scudi  che,  se- 
condo lui,  sarebbero  stati  necessari  a  maritar  la  lìglia 
convenevolmente,  Federigo  la  dotò  di  ((uattromila  scudi. 
Forse  a  taluno  parrà  questa  ima  larghezza  eccessiva, 
non  ben  ponderala,  troppo  condisciMidenle  agli  slolli  ca- 
pricci d'un  superilo;  e  che  (piiiilidMiila  scudi  poIcNano 
esser  meglio  impiegali  in  cent' altre  maniere.  A  ipiesfo 
non  al)biam  nulla  da  rispondere,  se  non  che  sarebbe  da 
desiderarsi  che  si  vedessero  sp(!sso  eccessi  d'una  virlìi 
così  lib(>ra  dall'opinioni  dominanti  (ogni    tempo   ha  l(> 


400  I    l'HOMKSSl   SPOSI 

sue),  così  indipendente  dalla  (cndenza  generale,  corno, 
in  qncslo  caso,  fu  (inella  che  mosse  un  uomo  a  dar 
(|uallromila  scudi,  perchè  una  piovine  non  fosse  falla 
monaca. 

La  carità  inesausta  di  quest'uomo,  non  meno  che  nel 
dare,  spiccava  in  tutto  il  suo  contegno.  Di  facile  ahhordo 
con  tutti,  credeva  di  dovere  specialmente  a  quelli  che 
si  chiamano  di  bassa  condizione,  un  viso  gioviale,  una 
cortesia  affettuosa;  tanto  più,  quanto  ne  trovan  meno 
nel  mondo.  E  qui  pure  ebbe  a  combattere  co' galantuo- 
mini del  ne  quid  nimis,  i  quali  in  ogni  cosa,  avrebbero 
voluto  farlo  star  ne' limiti,  cioè  ne' loro  limiti.  Uno  di 
costoro,  una  volta  che,  nella  visita  d'  un  paese  alpestre 
e  salvatico,  Federigo  istruiva  certi  poveri  fanciulli,  e.  tra 
l'interrogare  e  l'insegnare,  gli  andava  amorevolmente 
accarezzando,  l'avvert'i  che  osasse  più  riguardo  nel  far 
tante  carezze  a  que'  ragazzi,  perchè  eran  troppo  sudici 
e  stomacosi:  come  se  supponesse,  il  buon  uomo,  che 
Federigo  non  avesse  senso  abbastanza  per  fare  una  tale 
scoperta,  o  non  abbastanza  perspicacia,  per  trovar  da  sé 
quel  ripiego  così  fino.  Tale  è ,  in  certe  condizioni  di 
tempi  e  di  cose,  la  sventura  degli  uomini  costituiti  in 
certe  dignità:  che  mentre  così  di  rado  si  trova  chi  gli 
avvisi  de' loro  mancamenti,  non  manca  poi  gente  corag- 
giosa a  riprenderli  del  loro  far  bene.  Ma  il  buon  ve- 
scovo, non  senza  un  certo  risentimento,  rispose:  «  sono 
mie  anime,  e  forse  non  vedranno  mai  più  la  mia  fac- 
cia; e  non  volete  che  gli  abbracci?  » 

Ben  raro  era  però  il  risentimento  in  lui ,  ammirato 
per  la  soavità  de' suoi  modi,  per  una  pacatezza  imper- 
turbabile, che  si  sarebbe  attribuita  a  una  felicilà  straor- 
dinaria di  temperamento;  ed  era  l't^lTetto  d'una  disci- 
plina costante  sopra  un'  indole  viva  e  risentita.  Se  qual- 
che volta  si  mostrò  severo,  anzi  brusco,  fu  co' pastori 
suoi  sul)ordinati  che  scoprisse  rei  d'avarizia  o  di  negli- 
genza o  d'altre  tacce  specialmente  opposte  allo  spirito 
del  loro  nobile  ministero.  Per  tutto  ciò  che  potesse  toc- 


CAPITOLO  XX  n.  401 

care  0  il  suo  interesse,  o  la  sua  gloria  leiiiporale,  non 
dava  mai  segno  di  gioia,  né  di  rammarico,  nò  d' ardore, 
nò  d' agnazione:  mirabile  se  ([ucsli  moli  non  si  desia- 
vano nell'animo  suo,  più  mirabile  se  vi  si  desiavano. 
Non  solo  da' molli  conclavi  ai  quali  assistelle,  riporlo  il 
concetlo  di  non  aver  mai  aspiralo  a  (jucl  poslo  così  de- 
siderabile all'  ambizione,  e  così  terribile  alla  piclà  ;  ma 
una  volla  che  un  collega,  il  quale  conlava  molto,  venne 
a  olTrirgli  il  suo  voto  e  cjuelli  della  sua  fazione  (bruita 
parola,  ma  era  quella  che  usavano),  Federigo  rifiutò  una 
tal  proposta  in  modo,  che  quello  depose  il  pensiero,  e 
si  rivolse  altrove.  Questa  slessa  modestia,  (luesf  avver- 
sione al  predominare  apparivano  ugualmente  nell'occa- 
sioni più  comuni  della  vita.  Attento  e  infaticabile  a  di- 
sporre e  a  governare,  dove  riteneva  che  fosse  suo  do- 
vere il  farlo ,  sfuggì  sempre  d' impicciarsi  negli  altari 
altrui;  anzi  si  scusava  a  tutto  potere  dall' ingerirvisi  ri- 
cercato: discrezione  e  rilegno  non  comune,  come  ognuno 
sa,  negli  uomini  zelatori   del  bene,  qual  era  Federigo. 

Se  volessimo  lasciarci  andare  al  piacere  di  raccogliere 
i  tratti  notabili  del  suo  carailere,  ne  risulterebbe  certa- 
mente un  complesso  singolare  di  meriti  in  apparenza 
opposti;,  e  certo  dilTIcili  a  trovarsi  insieme.  Perù  non 
ometteremo  di  notare  un'altra  singolarità  di  (piella  bella 
vita:  che,  piena  come  fu  d'attività,  di  governo,  di  fun- 
zioni, d'insegnamento,  d' udienze,  di  visite  diocesane,  di 
viaggi,  di  contrasti,  non  solo  lo  studio  c'ebbe  una  parte, 
ma  ce  n'cìbbe  tanta,  che  per  un  letterato  di  professione 
sarel)l)e  bastato.  E  infatti,  con  tanl' altri  e  diversi  titoli 
di  lode,  Federigo  ebbe  anche,  presso  i  suoi  contempo- 
ranei, quello  d'uom  dotto. 

Non  dobbiamo  pei'ò  dissimulare  che  tenne  con  ferma 
pei'suasione,  e  sostenne  in  pratica,  con  lunga  costanza, 
()l)iiiioni,  che  al  giorno  d' oggi  |)arrel)bero  a  ognuno 
l)iullosto  strane  che  mal  fondale;  dico  ancln;  a  coloro 
che  avrebbero  una  gran  voglia  di  trovarle  giusle.  (<hi 
lo  voltasse  dif(Mìd(MV  in  queslo,  ci  sai'cbbi'  quelbi    scusii 


402  1  PROMESSI  Sposi 

cosi  corrente  e  ricevuta,  eh'  erano  errori  del  suo  tempo, 
piuttosto  che  suoi:  scusa  che,  per  certe  cose,  e  qii.iiKlo 
risulti  dall'esame  particolare  de'fatti,  può  aver  qualche 
valore,  o  anche  molto;  ma  che  applicata  cosi  nuda  e 
alla  cieca,  come  si  fa  d'ordinario,  non  signilica  proprio 
nulla.  E  perciò,  non  volendo  risolvere  con  formolo  sem- 
plici questioni  complicate,  nò  allungar  troppo  un  episo- 
dio, tralasceremo  anche  d'esporle;  bastandoci  d'avere 
accennato  così  alla  sfuggita  che,  d'un  uomo  cosi  ammi- 
rabile in  complesso,  noi  non  pretendiamo  che  ogni  cosa 
lo  fosse  ugualmente;  perdio  non  paia  che  abbiam  voluto 
scrivere  un'orazion  funebre. 

Non  è  certamente  fare  un'  ingiuria  ai  nostri  lettori  il 
supporre  che  qualcheduno  di  loro  domandi  se  di  tanto 
ingegno  e  di  tanto  studio  quest'uomo  abbia  lascialo 
qualche  monumento.  Se  n'  ha  lasciati  I  Circa  cento  son 
l'opere  che  rimangon  di  lui,  tra  granii  e  piccole,  tra 
latine  e  italiane,  tra  stampate  e  manoscritte,  che  si  ser- 
bano nella  biblioteca  da  lui  fondata;  trattati  di  morale, 
orazioni,  dissertazioni  di  storia,  d' antichità  sacra  e  pro- 
fana, di  letteratura,  d'arti  e  d'altro. 

—  E  come  mai,  dirà  codesto  lettore,  tante  opere  sono 
dimenticate,  o  almeno  cosi  poco  conosciute,  così  poco  ri- 
cercate? Come  mai,  con  tanto  ingegno,  con  tanto  stu- 
dio, con  tanta  pratica  degli  uomini  e  delle  cose  ,  con 
tanto  meditare,  con  tanta  passione  per  il  buono  e  per 
il  bello,  con  tanto  candor  d'animo,  come  tant' altre  di 
quelle  qualità  che  fanno  il  grande  scrittore,  questo,  in 
cento  opere,  non  ne  ha  lasciata  neppur  una  di  quelle 
che  son  ripetute  insigni  anche  da  chi  non  le  approva 
in  tutto,  e  conosciute  di  titolo  anche  da  chi  non  le  legge? 
Come  mai,  tutte  insieme,  non  sono  bastate  a  procurare, 
almeno  col  numero ,  al  suo  nome  una  fama  letteraria 
presso  noi  posteri?  — 

La  domanda  è  ragionevole  senza  dubbio,  e  la  que- 
stione molto  interessante  ;  perchè  le  ragioni  di  questo 
fenomeno  si  troverebbero  con  1'  osservar  molli  fatti  gè- 


CAPITOLO   XXM.  403 

nerali  :  e  trovale,  condurrebbero  alla  spiegazione  di  più 
altri  fenomeni  simili.  Ma  sarebbero  molte  e  prolisse  :  e 
poi  se  non  v'andassero  a  genio?  se  vi  facessero  arric- 
ciare il  naso?  Sicché  sarà  meglio  che  riprendiamo  il  filo 
della  storia,  e  che,  in  vece  di  cicalar  più  a  lungo  in- 
torno a  quest'uomo,  andiamo  a  vederlo  in  azione,  con 
la  guida  del  nostro  autore. 


FI^'K   DEI.    IMUMO    VoLlIMIC. 


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UNIVERSITY  OF  TORONTO  LIBRARY 


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Manzoni ,  Alessandro 

^713 

I  promessi  sposi 

P3 

1856 

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