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Full text of "Istoria civile del regno di Napoli"

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tyél^'^S'. 


TAYLOR  INSTITUTIOX. 

BEQUEJTHJSJD 

TO    THE    UNIVERSITY 

BY 

ROBERT  FINCU,  M.  A. 

OF  BALLIOL  COLLECE. 


Die   izedby  Google. 


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BIBLIOTECA 

STORICA 

pi 
TUTTE  LE  NAZIONI 


MILANO 

PERNICOLO*  BETTONI 
.|t.OCCC.XSI 


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ISTORIA   CIVILE 


DII, 


REGNO  DI  NAPOLI 


O  I 


PIETRO  GIANNONE 


VOLUME  QUINTO 


MILANO 
PER  NICOLO    BETTONI 

II.DC«G.XXI 


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STORIA   CIVILE 


DEL 


REGNO  DI  NAPOLI 


LIBRO  DECIMOTTAVO 


JMoRTa  Federico,  prese  immantenente  il  goyerno 
di  questi  Regni  Manfredi  suo  figliuolo,  lasciato  dal 
padre  per  T assenza  di  Corrado,  ch'era  io  Alemagna, 
Balio  e  Governadore  de'  medesimi  con  assoluto  po- 
tere ed  autorità.  Manfredi  fu  un  Prittcipe,  in  cui 
c'univano  tutte  le  doti  e  virtù  paterne^  e  lo  Scrit- 
tor  Anonimo  delle  sue  gesta ,  dice  essere  stato  chia- 
mato Manfredi)  perch'egli  era  la  mano  e  la  mente  di 
Federico,  Egli  nudrito  nella  Camera  imperiale,  e  ca- 
reggiato, e  teauto  in  pregio  dal  padre  più  degli  altri 
figliuoli,  crebbe  colle  mi^desiroe  idee,  ed  avrebbe  cer- 
tamente emulato  la  gloria  e  la  grandezza  paterna ,  se 
la  sorte  T  avesse  fatto  nascere  suo  figliuol  primoge- 
nito ,  e  di  legittimo  matrimonio  ;  ma  preferendo  V  or- 
dine della  successione  Corrado  primo  Dato,  al  quale 
fa  conforme  il  paterno  testamento ,  Federico  non  potè 
far  altro ,  che  ammetterlo  alla  successione  in  mancanza 


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6  STORIA  CIVILE 

di  Corrado,  e  d'Errico  senza  figliuoli^  e  durante  l'as- 
senza del  primo^  lo  creò  Balio  ^in  Italia  e^  nel  Re- 
gno di  Sicilia. 

Nel  raccontar  le  vicende  di  questo  Principe,  e' suoi 
generosi  fatti ,  mi  valerò  dell'  Anonimo  Scritlor  con- 
temporaneo, la  di  cui  Cronaca  si  légge  ora  impressa 
ne' volumi  dell' Ughello  (a),  e  la  autorità  sua  è  ripu- 
tata grandissima,  non  pure  da  Agostino  Invegcs,  dal 
Tutini,  e  da  altri  più  moderni  Scrittori,  ma  anche 
da  Oderico  Rainaldo  ne' suoi  Ecclesiastici  Annali.  Nar- 
ra adunque  questo  Scrittore ,  che  gli  andamenti ,  e  le 
vii;tù  di  Manfredi  furono  cotanto  conformi  a  quelle 
del  padre,  che  ancorché  la  morte  de' Principi  soglia 
negli  Stati  sovente  esser  cagione  di  gravissimi  tpirba- 
menti ,  nulladimanco  per  la  prudenza  di  Manfredi  non 
fu  veduto  interrompimento  alcuno ,  come  se  un  mede- 
simo spirito  governasse:  non  si  vide  né  alla  Corte, 
né  tra  gli  Ufficiali  mutazione  ;  ed  avendo  fatto  gri- 
dare il  nome  del  Re  Corrado  nel  regno  di  Puglia, 
manda  Errico  suo  fratel  minore  a  governar  in  sua  vece 
la  Sicilia  e  la  Calabria  (i),  perchè  i  Siciliani  e'  Ca- 
labresi, veduta  la  regal  pers^^ma  dì  Errico,  si  conte- 
nessero nell'ubbidienza,  e  lo  i^iputassero  come  Tistessa 
persona  di  Federico. 

Ma  breve  tempo  durò  questa  tranquillità,  e  ben  si 
prevedevano  i  turbini  e  le  tempeste,  che  da  Inno- 
cenzio  IV  romano  Pontefice  erano  per  moversi.  Que* 
sti  persuaso ,  che  per  la  sentenza  della  deposizione  in- 


{a)  tJghel.  Ital,  Sacr.  tom.  9,  Anonym.  de  Reb.  Feder. 
Conrad,  et  Maiifr.  (b)  AnoDjra.  Misilque  Henricum  fratrem 
saum  minorem  ad  gubernandam  Siciliani,  et  Calabriam  vice 
sui. 


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BEL  REGNO  DI  NÀPOLI  LIB.XVIII.         7 

terposta  nel  Concilio  di  Lione,  fosse  Federico  con 
tutta  la  sua  posterità  decaduto  da'  Redmi  di  Sicilia 
e  di  Puglia ,  pretese  che  come  Feudi  della  Chiesa  ro- 
mana fossero  a  quella  ricaduti  per  la  contumacia  ;del 
medesimo  ;  onde  intesa  la  sua  mòrte ,  si  risolvè  partir 
da  Lione ,  e  ripassare  in  Italia  ;  ed  intanto  scrisse  9. 
tutte  le  città  principali,  ed  a' Baroni  dell'uno  e  l'al- 
tro '  Regno ,  eh'  alzassero  le  bandiere  della  Chiesa  ;  e 
giunto  a  Genova  sua  patrÌ9 ,  proccarò  morere  i  Gè* 
noyesi  a  danno  di  questi  Reami.  Manfredi  avuta  di 
ciò  novella  non  tardò  ^  cavalcando  per  tutto  il  Regno 
con  una  buona  banda  di  soldati  Saraceni^  dissipare 
queste  Papali  insidie,  e  facendo  gridare  il  nome  del 
Be  Corrado ,  racchetò  le  turbolenze,  e  confermò  gli 
animi  nelV  ubbidienza  del  proprio  Principe  j  ma  non 
fu  però ,  che  questi  moti  non  dassero  fomento  ad  una 
occulta  congiura,  che  poi  si  scoperse  nelU  province 
di  Puglia  e  di  Terra  di  Lavoro.  In  Puglia  si  ribel- 
larono Foggia ,  Andria  e  Barletta.  In  Terra  di  La- 
voro ,  Napoli  e  Capua.  Acoorse  tosto  Manfredi  in  Pu«. 
glia,  e  col  suo  estremo  valore  e  coraggio  ripresse  la 
fellonia  di  quelle  città ,  ed  usando  moderazione  e  cle- 
menza concedè  perdono  a  que' cittadini ,  riducendogli 
nell'ubbidienza  di   Corrado  (a). 

Avendo  in  cotal  guisa  renduta  la  pace  e  tranquil- 
lità a  quella  provincia,  toslo  passò  in  Terra  di  La- 
voro :  ridusse  sotto  le  sue  insegne  A  versa ,  che  posta 
in  mezzo  tra  Capua  e  Napoli,  dava  indizio  di  so- 
spetta fede!  cinse  di  stretto  assedio  Capua,  devastan- 
do insino  alle  mura  il  suo  territorio;  e  Nola  ch'era 
già  passata  nel  partito  delle  due  ribellanti  città,  non 

(a)  ÀDonym.  d«  Reb.  FriA 


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&  STORIA  CIVILE 

avendo  voluto  rendersi,  fa  espugnata,  e  pcesa.  Ma 
niun' altra  città  mostrò  in  tal  congiuntura  più  ostina- 
zione, quanto  Napoli.  Di^ienticatiBi  così  sul^ito  i  Na- 
poletani d'aver  Federico  rega  la  lor  città  celebre  per 
la  nuova  Accademia  ivi  stabilita,  e  per  li  magnifici 
edificj  die  v'eresée,  i  quali  furono  i  primi  fondamenti 
onde  poi  si  rendesse  capo  e  metropoli  sopra  tutte  le 
altre,  con  somma  ingratitudine,  morto  lui,  si  ribel- 
larono dal  suo  figliuolo,  e  resero  la  lor  città  al  Pon- 
téfice Innocenzio,  alzandole  bandiere  della  Chiesa:  il 
di  cui  esempio  seguì  Capua,  ed  i  Conti  di  casa  d'A- 
quino, che  a  quel  tempo  possedevano  quasi  lutto  quel- 
lo, eh' è  tra  il  Volturno    el  Garigliano. 

Manfredi,  scoverta  la  poca  fede  de' Napoletani,  avea 
mandati  prima  a  loro  più  mèsi^i,  esortandogli  a  non 
dover  macchiare  con  tanta  indignità  la  loro  fama;  ma 
essi  mostrando  di  non  poter  negare  d'ubbidire  al  Pon- 
tefice ,  il  quale  gli  minacciava  terribili  anatemi  ed  in- 
terdetti, apertaraeate  gli  fecero  intendere,  che  amava- 
no meglio  di  sottoporsi  al  dominio  della  Chiesa,  che 
Btar  interdetti  e  scomunicati ,  aderendo  al  partito  di 
Corrado,  cui  senza  F investitura  del  Papa,  non  po- 
tevan  riconoscere  per  loro  legittimo  Re.  Per  la  qual 
cosa  Manfredi ,  vedendo  indarno  essersi  da  lui  adope- 
rati questi  mezzi,  deliberò  di  ridurgli  per  forza;  ed 
avendo  assediata  la  città  dalla  parte  del  Monte  Vesu- 
vio ,  cominciò  a  devastare  tutto  il  territorio  di  quel 
contorno,  depredando  infino  alle  mura,  per  obbligare 
i  Napoletani  ad  uscire  dalla  città,  per  attaccargli  in 
campo  aperto 9  non  avendo  forze  bastanti  per  assalire 
la  città  cinta  di  ben  forti  e  ben  difese  mura.  Ma  i 
Napoletani  deludendo  Farle  colFartc,  non  vollero  in 
conto  alcuno  partirsi  dalla  città ^  niente  curandosi  del 


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DEL  REG^O  DI  NAPOLI  LIB.  XVIII.         9 

devastamento,  che  faceva  Manfredi  de'  loro  campi:  il 
quale  ciò  vedendo,  pensò  per  altra  parte  cingerla  di 
assedio,  e  collocato  il  suo  esercito  nella  Solfatara  vi- 
cino Agnano  (a)  quivi  cominciò  a  devastare,  e  de- 
predare tutto  quel  territorio,  per  allettare  i  Napole- 
tani ad  uscire  dalla  città ,  già  che  vedevano  Y  esercito 
nemico  tra  que' monti  e  qaelle  balze  in  luogo,  donde 
con  difficoltà  poteva  scampare,  se  fosse  stato  inse- 
.  guito.  Ma  i  Napoletani ,  fermi  nel  loro  proponimento, 
non  vollero  abbandonare  la  città,  ed  esporsi  a  batta- 
glia ;  ed  ancorché  Manfredi  gli  avesse  più  volte  sfidati 
alla  pugna ,  non  volleto  in  conto  alcuno  uscire;  onde 
avendogli  dopo  V  invito  aspettati  tre  giorni,  levò  l'as- 
sedio, ed  avendo  devastati  tutti  que* luoghi,  partissi 
da  quivi,  e  s'incamminò  in  aitile  parti  di  Terra  di 
Lavoro  per  mantenere  in  fede  que' Popoli,  acciocché 
non  seguitasser  P esempio  di  Napoli,  e  di  Gapua. 

(a)  Anonym. 


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jo  STORIA  CIVILE 

CAPITOLO    L 

CoRKÀDO  di  Alemagna  cala  in  Italia:,  giunge  per  TA". 
driatico  in  Puglia  ^  ed  abbatte  i  Conti  d' Aquino:  Ca^ 
pua  se  gli  rende y  e  Napoli  vien  presa  per  assalto 
e  saccheggiata. 

jyia  ecco ,  che  mentre  Manfredi  con  tanta  vigilan- 
za ed  accortezza  era  tutto  inteso  a  rompere  i  disegni 
del  Pontefice,  vennegli  avviso,  ch«  Corrado  Re  di 
Germania ,  pochi  mesi  dopo  la  morte  del  padre  ,  es- 
sendosi disbrigato  dalle  ^erre  d' Alemagna,  se  ne  ca- 
lava con  potente  esercito  di  Tedeschi  in  Italia  in  gue- 
st'anno  12 5i  (a);  ed  in  fatti  essendo  giunto  in  Lom* 
bardìa  trovò  Te  forze  de' Ghibellini  tanto  abbassate, 
che  fu  astretto  d'indugiare  alquanto ^  per  poter  poi 
entrare  con  più  sicurtà  nel  Regno;  onde  chiamati  a 
se  tutti  i  Capi  di  quel  partito ,  ordinò ,  che  tra  loro 
facessero  un  giusto  esercito ,  dei  quale  avesse  ad  es- 
ser Capo  Ezzelino  Tiranno  di  Padova,  e  che  avesse 
da  abbatter  tanto  la  parte  Guelfa,  che  Papa  Innocen- 
zio  non  potesse  valersene ,  e  contender  con  lui  della 
possessione  del  Regno.  Ed  avendo  in  cotal  modo  sta- 
bilite le  cose  di  Lombardia,  con  provido  consiglio  de- 
terminò di  passare  al  Regno  per  mare  ;  perocché  ve- 
dendo tutte  le  città  di  Romagna  e  il  Toscana  te- 
nersi dalla  parte  Guelfa  ,  non  confidava  di  passare 
senza  impedimento,  e  dubitava  che  il  suo  esercito  te- 
nuto a  bada,  non  venisse  a  disfarsi  per  mancamento 


(a)  Costanzo  lib.  i.  Ist.  di  Napoli. 


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DEL  REGNO  DI  NAPOLI  L.  XVIII.  GAP.  I.    1 1 

di  danari  è  di  yittoyaglie  (a).  Mandò  adunque  a^  Ve- 
neziani per  nari  e  galee  per  potere  passiare  in  Puglia, 
i  quali  per  lo  desiderio  di  vederlo  presto  partito  di 
là,  gli  mandarono  tutte  le  nati  eh' e' voile  nelle  mad- 
rine del  Friuli,  dove  imbarcato  comodamente  con  tutto 
l' esercito ,  giunse  in  pochi  di  con  vento  prospero  alle 
radici  del  monte  Gargano,  e  diede  in  terra  air  antica 
città  di  Siponto,  non  molto  discosto  dal  luogo,  dove 
è  oggi  la  città  di  Manfredonia  {b). 

Quivi  comparvero  Mnnfredi^  che  l'attendeva,  e  tutti 
i  Baroni  di  quella  provincia  ad  incontrarlo.  Ed  es* 
sdendosi  Corrado  da  lui  informato  dello  stato  delle  cose 
del  Regno ,  e  della  contumacia  di  Napoli ,  di  Capua, 
e  de' Conti  d'Aquino^  avendo  commendata  molto  T in- 
dustria, e  vigilanza  di  Manfredi,  deliberarono  insieme 
di  dover  prima  d'ogni  altra  impresa,  debellare  i  Conti 
d' Aquino ,  i  quali  posti  fra  Garigliano  e  Vulturno  pò* 
tevaiio  somministrare  al  Papa  pronto  s^juto;  ed  airin- 
contro  occupati  que'  luoghi ,  co^  quali  serravasi  ogni 
strada  di  poter  venire  soccorso  a  Gapua  ed  a  Napoli 
ai  sarebbe  facilitata  V  espugnazione  di  quelle  due  città 
cotanto  importanti.  Si  mosse  perciò  il  Re  Corrado  se- 
guitato dal  Prìncipe  Manfredi  con  tutto  il  suo  eser- 
cito per  la  via  di  Capitanata,  e  dei  Contado  di  Mo- 
lise contea  que' ribelli  (e). 

Il  Papa,  che  da  Genova  era  passato  a  Milano,  indi 
a  Ferrara  e  Bologna,  ed  etasi  finalmente  fermato  in 

{a)  Pansa  Vita  Innoc.  IV.  (b)  Anonym.  Dictum  Hegcm  cum 
magna  Theutonicorum  comitiva  per  mare  venienlem  apud 
Sjpontum  debita  reverentia  et  devotione  recepii  sub  anno 
Domini  laSa.  (e)  Anonym.  Cum  ipso  Rege  praecedente,  in 
Terram  Laboris  contra  rebeUeg  illarum  partlum  cum  totp  suo 
«xercìlu  profectus  est. 


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t.  STORIA  CIVILE 

Perugia,  schivando  d'andare  in  Roma,  percliè  ì  Ro» 
mani  erano  pieni  di  fazioni,  e  molti  aderivano  a  Cor- 
rado, fatto  consapevole  delP angustie,  nelle  quali  si 
trovavano  i  Conti  d'Aquino,  premendogli  molto  la  lor 
salute,  mandò  subita  ia  lor  soccorso  alcuni  soldati  da 
Perugia,  promettendo  ancora  di  mandar  loro  maggiori 
ajuti;  ma  fu  tanta  la  forza,  ed  il  valore  dell'esercito 
«eli  Corrado,  accresciuto  poi  da  Manfredi  con  gr*an  nu- 
mero di  Saraceni  venuti  da  Lucerà  e  da  Sicilia,  che 
que' ribelli  in  pochi  dì  furono  debellati;  e  le  princi^ 
pali  città  a  loro  soggette  saccheggiate  ed  arse,  tra  le 
quali  fu  Arpino  ,  Sessa,  Aquino,  S.  Germano,  ed 
altri  castelli  di  quel  contorno  (a). 

Da  poi  elle  Corrado  ebbe  espugnato  que' ribelli^  e 
ridotte  alla  sua  ubbidienza  quelle  città,  andò  sopra 
Capua,  ove  non  ritrotò  resistenza  alcuna,  per  la  pau- 
ra, e  per  T  esempio  fresco  delle  terre  arse  e  saccheg^ 
giate;  onde  tosto  a  lui  si  rese  (h).  Così  tutta  Tira  di 
Corrado  e  tutta  la  sua  forza  si  raggirò  cantre  la  città 
di  Napoli ,  la  quale  arditamente  determinò  di  contra- 
stare al  Re  sdegnato,  e  seguire  le  parti  della  Chiesa, 
per  la  speranza,  che  lor  porgeva  il  Papa  di  presti 
soccorsi ,  e  per  la  gran  paura  d'  essere  data  in  preda 
a' Tedeschi  e  a' Saraceni.  Accampato  dunque  Corra*- 
do  vicino  alla  città ,  la  cinse  di  stretto  assedio ,  per- 
chè non  potesse  andare  vettovaglia  agli  assediati  ;  e 
•vedendo,  che  alcuni  Ministri  del  Papa  mandavan  qual- 
che volta  navilj  con  cose  da  vivere,  ordinò  a  Man- 
fredi, che  facesse  vestire  le  galee,  ch'erano  in  Sicilia. 

(a)  Arioujm.  In  processa  autem  illius  in  Terra  Laboris , 
Bex  Civitates  Aquini,  Suessae,  S.  Germani,  pluraque  vicina 
Castra,  quae  per  Regis  adventum  rebellaverant ,  vicit  {h) 
AuQnjm.  Costanzo  I  Li. 


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DEL  REGNO  DI  NAPOLI  L.XVIII.  CAPI.  i3 

I  Napoletani,  fra  questo  tempo,  non  mancarono  di 
mandar  più  volte  Ambasciadori  al  Papa  per  soccorso, 
i  quali  ritornaron  tempre  carichi  di  benedizioni,  e  di 
promesse,  ma  vuoti  d'ogni  ajuto,  perchè  Ezzelino  avea 
sollevata  la  parte  Ghibellina  in  Lombardia;  ed  i  Guelfi, 
tra'qaali  il  Papa  avea  molti  parenti  e  seguaci^  non 
potevano  partirsi  dalla  difesa  delle  cose  loro;  ed  i 
Guelfi  di  Toscana  e  di  Romagna,  ancorché  fossero 
liberi,  avendo  estinta  in  tutto  la  parte  Ghibellina,  co-, 
me  suol  accadere  nelle^  felicità ,  erano  venuti  in  di- 
scordia fra  loro.  Né  dalfa  città  di  Genova  patria  del 
Pontefice,  della  quale  ei  confidava  molto,  poteva  spe- 
rarsi ajuto;  poiché  si  trovava  a  quel  tempo  aver  man- 
data la  sua  armata  centra  gF  Infedeli  ;  onde  veniva  a 
togliersi  ogni  comodità  di  poter  soccorrere  gli  asse- 
diati d'altro,  che  di  parole. 

In  fine  èssendo  giunte  alla  marina  di  Napoli  le  ga« 
lee  di  Sicilia ,  si  tolse  ogni  speranza  di  soccorso  ;  né 
questo  bastò  a  far  piegare  T  ostinazione  degli  asse- 
diati ,  perchè  si  tennero  tanto ,  che  ormai  non  pote- 
vano più  sostenere  ifi  mano  Farmi-,  in  tal  modo  era*- 
no  per  la  grandissima  fame  estenuati,  onde  i  vecchi 
della  città  cominciaron  a  persuadere,  che  si  mandasse 
per  trattare  di  rendersi  a  patti,  e  cosi  si  eseguì.  Ma 
Corrado,  il  qual  sapeva  T estrema  necessità  loro,  ri- 
gettò gli  Ambaàcladori  ;  ed  avendo  con  macchine  di- 
poste intorno  alla  città,  e  con  cav^  sotterranee  scosse 
le  mura  della  medesin)a:  in  quest'anno  12 53  la  co- 
strinse a  rendersi,  solo  col  patto  della  salute  delle  per- 
sone (fl). 

{a)  Anonym.  Machinis  quoque  circuincìrca  disposìtis ,  et 
e-ivis  etiam  suh(erraneis  ad  murorum  ohverstQDein ,  et  fossjs^ 


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,4  STORIA  CIVILE 

La  città  fu  messa  a  sacco,  né  si  tralasciò  atto  al- 
cuno  di  crudeltà,  e  di  rigore  dair  irato  Re;  scaccion- 
ne  l'Arcivescovo,  ed  entrato  dentro  volle,  che  per 
mano  de'proprj  cittadini  fossero  buttate  a  terra  dai 
fondamenti  le  forti  mura 'di  quella  città,  per  le  quali, 
dice  Livio,  che  si  sgomentò  Annibale  cartaginese.  E 
dopo  esser  quivi  dimorato  due  mesi,  che  consumò  in 
punire  severamente  P  infedeltà  de' Napoletani ,  fece  ri- 
torno in  Puglia,  seco  menando  Manfredi,  al  quale 
ToUe,  che  si  dasse  il  secondo  grado  dopo  lui. 

I.  Primo  invito   d*  Inkocekzio  fatto  al  fratello  del  Bo 
d'Inghilterra  alla  conquista  del  Regno. 

Innocenzio  avendo  scorto  che  Corrado  avea  de* 
l^resse  le  città  sue  amiche,  e  sotto  la  sua  ubbidienza 
era  tornato  il  Regno  di  Puglia^  riputando  che  tutti 
i  suoi  sforzi  sarebbero  vani  per  opporsi  agli  eserciti 
formidabili  di  Corrado,  pensò  (  giacché  svanito  era  il 
disegno  di  poterlo  per  se  conquistare^  siccome  erano 
riuscite  sempre  infelici  le  spedizioni  fatte  da'  romani 
Pontefici  sopra  di  quello  )  d'invitare  alla  conquista 
del  Reame  Ricciardo^  o  come  altri  lo  chiamarono,  Ciar* 
lotto  fratello  d'Errico^  III  Re  d'Inghilterra  e  Conte 
di  Conturbia,  prode  e  yaloroso  Capitano.  Inviò  per 
tanto  in  Inghilterra  Alberto  Notajo  appo^toUco  per 
trattare  sopra  le  condizioni  dell'investitura  offertagli 
da  Innocenzio.  Ma  narra  Matteo  Paris  in  quest'  aiv* 
no  I'j53  che  più  cose  fecero  svanire  questi  trattati. 
Primieramente   perchè   Ricciardo   temè    della   potenza 


ad  deditlonem  coegit;  magnaque  Victoria  ex  iUarum    Civita- 
tttm  deditione  Rex  illustratus  est. 


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DEL  REGNO  DI  NAPOLI  L.XVIIL  C AP.L    1 5 

di  Corrado,  né  si  credette  d'uguali  forze  per  poterlo 
da  quivi  discacciare.  II.  La  parentela,  che  vi  era  tra 
loro,  essendo  Corrado,  com'egli  dice^  nato  da  Elisa- 
betta inglese,  sorella  del  Re  Errico  e  moglie  di  Fede- 
rico II,  nel  che  va  di  gran  lunga  errato;  perchè  Cor- 
rado fu  figliuolo  di  Jole,  non  già  d'Elisabetta;  onde 
rietesso  Paris  altrove,  cioè  nel  laSS  rapporta  un'al- 
tra cagione,  perchè  fu  rifiutata  l'investitura,  dicendo 
che  Ricciardo  non  volle  accettarla  se  non  sotto  que- 
ste due  condizioni.  I.  Che  per  la  sua  conquista  ^li 
fosse  data  la  metà  delle  Decime  solite  raccogliersi  per 
li  Crocesignati  nella  guerra  Santa.  IL  Che  il  Papa 
gli  consignasse  alcuni  castelli  del  Reame  da  lui  for- 
tificati per  la  ritirata  de'  suoi  soldati.  Al  che  non  vo- 
lendo il  Pontefice  Innocenzio  acconsentire,  svani  que- 
sta prima  investitura,  e  si  trattò  poi  dell'altra  in  per- 
sona d  Edmondo  suo  nipote,^.  come  diremo  più  innan2Ì. 
Ciò  che  convinca  l'errore  del  Collenucio  e  di  Paolo 
Pausa  nella  vita  di  Innocenzio  lY  che  volle  seguirlo^ 
ove  disse,  che  il  Papa  investi  Ciarlotto  fratello  del 
Re  d'Inghilterra,  il  qu al  accettò,  e  che  perciò  nelle 
lettere  si  sdrivea  Re  di  Sicilia. 

(  Lunig  nel  suo  Codice  Diplomatico  (a) ,  rapporta 
un  Breve  d' Innocenzio  drizzato  a  Lodovico  IX  Re  di 
Francia,  che  porta  la  data  di  Perugia  dell'anno  .13 Sa 
resogli  da  Alberto  Notajo,  offerendogli  il  Regno  per 
Carlo  suo  fratello.  Ma  questo  Breve  o  è  apocrifo,  o 
fu  posteriore;  poiché  in  quest'anno  Alberto  fu  man- 
dato in  Inghilterra  a  quel  Re»  e  non  in  Francia  al 
Re  Lodovico). 

d^)  Tom.  2  pag.  914* 


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i6  STORIA  CIVILE 

CAPITOLO   n 


r 


CoRBADO  insospettito  di  MANfRcm  lo  spoglia  d' ogni 
autorità  e  de  suoi  Stati;  avvelena  il  suo  minor  jra^- 
tello  Errico/  ed  egli  poco  da  poi  se  ne  muore  da 
consimil  morte;  onde  Manfredi  assume  di  nuovo  il 
Saliato  del  Regno» 

Intanto  Corrado  per  le  crudeltà  nsate  alle  città 
debellate  ed  a  Napoli^  e  per  lo  genio  sao  aspro  e 
severo,  era  entrato  in  grandissimo  odio  e  malevolenza 
presso  ogni  grado  ed  ordine  di  persone;  ed  affatto 
ignudo  di  quelle  virtù  civili  e  militari,  che  ornavano 
r animo  di  Federico  suo  padre,  riusciva  a'  suoi  sudditi 
molto  pesante  e  duro  il  suo  imperio.  AlFincontro  Man- 
fredi uomo  d'ingegno  «  di  valore,  con  destrézza  mi- 
rabile andava  mitigando  Fazioni  crudeli  del  Re,  per 
acquistarsi  benevolenza  da' Popoli  e  da*  Baroni;  tal- 
ché in  breve  nacque  opinione  per  tutto  il  Regno,  che 
tutto  quel  male,  che  lasciava  di  fare  il  Re,  e  F  eser- 
cito de'  Tedeschi,  fosse  per  intercessione,  e  benignità 
di  Manfredi. 

Occultava  ancora  questo  Principe  con  mirabile  dis- 
simulazione il  dispiacere,  che  Corrado  insospettito  di 
lui  gli  avea  dato  per  molti  torti  fattigli;  poiché  scor- 
gendolo d'elevati  pensieri  e  d'animo  regio,  ed  atto 
più  a  donKtiare,  che  a  governare  come  Balio  il  Re- 
gno, venne  in  sospetto  non  la  sua  potenza  e  F  amore 
che  s'avea  acquistato  de' Popoli,  lo  facessero  aspirare 
al  Regno.  Deliberò  per  tanto  trovar  modi  d'abbassar- 
lo, ciò  che  non  volendo   far   apertamente  un   di  gli 


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DEL  REGNO  DI  NAPOLI  L.XVm.  GAP.  II.    17 

disse,  ch'avea  in  pensiero  di  rivocare  tutte  le  dona- 
zioni, che  1  Iniperador  suo  padre  avea  fatte  nel  suo 
testamento,  come  quelle,  ch'erano-  dannosissime  allo 
Stato,  e  portavan  detrimento  grandissimo  alla  sua  Go« 
Tona;  e  perchè  gli  altri  Baroni  con  animo  pacato  il 
sopportassero  voleva  incominciar  da  lui ,  acciocché 
daìl  suo  esempio  s'inducessero  gli  altri.  Con  non  dis- 
simil  arte  simulò  Manfredi  di  crederlo,  e  mostrandosi 
con  prontezza  di  secondarlo,  volle  esser  il  primo  spon- 
taneamente a  rinunciar  in  sue  mani  il  Contado  di 
Monte  S.  Angelo^  e  la  città  di  Brindisi,  che  per  ra« 
gion  del  Principato  di  Taranto  pos&edeva  (a). 

Tolsegli  ancora  di  tempo  in  tempo^  secondo  se  gli 
presentavano  le  congiunture,  li  Contadi  di  Gravina, 
di  Tricarico  e  di  Montescaglioso ,  che  possedeva  per 
concessione  di  FedeHco  suo  padre;  e  sol  gli  rimase 
il  Principato  di  Taranto  assai  diminuto;  ed  affinchè 
nemmeno  da  quel  Principato  rimastogli  potasse  ri- 
ceverne profitto,  e  gli  riuscisse  inutile,  impose  agli 
uomini  di  quello  una  pesante,  e  gravissima  general 
colletta^  la  quale  faceva  egli  esigere,  ed  applicare  al 
suo  regio  Erario^  Rimosse  dal  Principato  suddetto  il 
Giustiziere,  che  soleva  recarsi  dà  Manfredi,  e  vi  pose 
il  suo,  siccome  a  tutte  l'altre  province  del  Regno 
praticavasi.  Tolsegli  ancora  il  mero  imperio  e  pote- 
stà che  Federico  gli  avea  conceduto  sopra  quel  Prin- 
cipato, e  ordinò  che  il  Priniìipe  sopra  di  quello  non 
avesse  altra  giurisdizione,  che  nelle  cause  civili  sola- 
mente (6);  poiché  in  questi  tempi  non  soleva  a'  Ba- 
roni concedersi  il  mero  imperio  sopra  i  Feudi,  ma 
solamente   ad  alcuni   Grandi  e  della  Gasa  regale ,  o 

{a)  Anonym,  {b)  inonym. 


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i8  STORIA  CIVILE 

suol  congiunti  per  ispeziai  favore  e  grazia  del  Re 
rare  volte  si  concedeva:  ciò  che  poi  a'  tempi  d'Al- 
fonso I  d'Aragona  cominciossi  a  dare  a  quasi  tutti 
i  Raroni;  onde  nacque,  che  ora  non  vi  è  Rarone,  an« 
Gorchè  picciolo,  che  non  F  abbia. 

Né  ferroossi  qui  T  astio  di  Corrado  contro  quel  Prin- 
cipe ;  ma  volendolo  ridurre  all'  estrema  bassezza  per 
liberarsi  da  ogni  sospetto,  sotto  mendicate  qccasioni 
e  pretesti,  comandò  che  dal  Regno  uscissero  tutti  i 
suoi  congiunti  ed  affini,  eh' e'  teneva  del  lato  materno. 
Ne  mandò  via  Gualdano  Lancia^  che  avea  così  bene 
e  con  tanta  fedeltà  e  prudenza  servito  Tlmperador 
Federico,  onde  n'era  stato  da  quello  creato  suo  Vi- 
cario in  Toscana,  ove  per  molti  anni  avea  con  molta 
fede  esercitato  quel  supremo  comando.  Il  medesimo 
fece  con  Federico  Lancia  suo  fratello,  con  Ronifacìo 
di  Anglono  zio  materno  di  Manfredi^  con  tutti  gli 
altri  suoi  consanguinei  ed  affini,  e  con  esso  loro  le 
mogli,  madri,  sorelle,  figliuoli  e  figliuole  grandi  e 
piccoli,  che  si  fossero.  I  quali  tbtti  usciti  dal  Regno, 
essendosi  ricovrati  in  Romania  presso  Costanza  Im- 
peradrice  di  Costantinopoli  sorella  di  Manfredi,  mandò 
Corrado  Rertoldo  Marchese  di  Honebruch  in  Roma- 
nia far  intendere  all' Imperadore,  che  gli  avrebbe  fatto 
un  dispiacer  grandissimo,  se  ritenesse  presso  di  se 
quegli  esuli;  onde  fu  duopo  a  quell' Imperadore  che 
gli  facesse  partire  anche  da'  suoi  Stati  (a). 

Tutte  queste  offese  so.fferiva  il  Principe  Manfredi 
con  una  prudenza  e  dissimulazion  d'animo  maravi-^ 
gliosa  ;  poiché  non  perciò  tralasciava  con  ilarità  di 
ajutarlo,  e  di  seguirlo  in  tutte  l'imprese,  come  fece 

{a)  AnonyiD. 


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DEL  REGNO  DI  NAPOLI  L.XTIIL  GAP.  IL   19 

in  Terra  di  Lavoro,  quando  debellò  i  Conti  d'Acqui- 
no, in  Gapua  ed  in  Napoli,  ed  ora  in  Puglia,  simu- 
lando il  suo  acerbo  dispetto;  e  nelFistesso  tempo  con 
astuzia  grandissima  cattiyandosi  i  Baroni  ed  i  Po- 
poli, era  nell'amore  e  benevolenza  di  quelli. 

Accadde  a  questo  tempp,  che  mentre  era  Corrado 
in  Melfi,  Errico  suo  fratello,  che  non  avea  più  che 
dodici  anni,  venne  in  Sicilia  a  visitarlo;  ed  ^corchè 
Y  Anonimo  non  faccia  autor  Corrado  di  tanta  scelle- 
ratezza, non  mancano  però  gravi  Autori,  che  rappor- 
tano, che  per  mezzo  di  Gio.  Moro  Capitano  sara- 
ceno, ch'Errico  avea  seco  portato  da  Sicilia,  lo  fa- 
cesse crudelmente  avvelenare.  Goloro  che  narrano  avere 
Corrado  fatto  morire  Errico  per  torgli  il  Regno  di 
Sicilia,  dicendo  che  Federico  non  poteva,  né  dovea 
separarlo  dal  Regno  di  Puglia ,  errano  all'  ingrosso  ; 
poiché  Federico  non  il  Regno  di  Sicilia ,  ma  quello 
di  Gerusalemme,  ovvero  Alcarense  ad  elezion  di  Cor- 
rado gli  avea  lasciato  nel  suo  testamento:  e  Manfredi 
manda  Errico  in  Sicilia  per  contenere  i  Siciliani  nel- 
r  ubbidienza  di  Corrado,  come  si  é  di  sopra  narrato. 
Altri  credono  che  V  avesse  fatto  morire ,  per  avere  la 
maggior  parte  del  tesoro  dell'  Imperador  Federico,  che 
era  ia  suo  potere.  Che  ne  sia,  narra  Matteo  Paris  (a), 
che  Corrado  diede  non  leggieri  sospetti  d'esser  egli 
stato  autore  della  morte  di  quell'innocente  fanciullo; 
poiché  da  allora  in  poi  non  mostrò  Corrado  il  suo 
volto  così  sereno  e  giocondo  come  prima.  E  negli 
Atti  d  Inghilterra,  ultim;imente  fatti  imprimere  dalla 
Regina  Anna,  si  legge  una  lettera  di  Corrado  scritta 

(a)  Paris  histon  Angl.  Unde  Rex   Gorradus   post  mortem 
sui  fratris,   numquam,  ut  antea,  vultum  osteudit  serenum. 


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io  STORIA  CIVILE 

nell*  anno  i  a  S4  al  Re  d' Inghilterra  zio  d' Errico,  nella 
quale,  per  togliere  questo  romore  che  s'era  sparso 
d*  averlo  fatto  avvelenare,  diedegli  T  avviso  della  mori» 
dì  suo  nipote,  con  sentimenti  molto  appassionati,  fin- 
gendo molta  afflizione  e  dolore,  per  la  morte  di  quel 
Principe;  ma  Papa  Innocctnzio,  fomentando  T  inimici- 
zia nata  perciò  tra  Corrado  ed  Errico,  offerì  il  Re- 
gno di  «Sicilia  ad  Edmondo  figliuolo  d'Efrico,  ch'era 
ancoj  fanciullo.  * 

(Presso  Lunig  (a),  si  leggono  alcune  lettere  d'Al- 
berto Legato  d'Innocenzio  in  Inghilterra,  per  le  quali 
dassi  r  Investitura  del  Regno  ad  Edmondo,  e  la  con- 
ferma del  Papa  nel  12  54  coir  avviso,  che  dà  ad  Al- 
berto di  tal  conferma.  Ma  questo  trattato  per  la  morte 
d' Innocenzio  rimase  interrotto  ). 

E  notasi  in  questi  Atti,  che  Innocenzio  non  trala- 
sciò cos' alcuna,  per  impegnar  il  padre  a  mettersene 
in  possesso,  fino  a  dar  ordine  al  Clero  d  Inghilterra 
di  prestar  denari  a  questo  Principe,  e  d'impegnar 
perciò  i  beni  delle  loro  Chiese.  Ma  da  poi  tutto  que- 
sto denaro  fu  dissipato,  ed  impiegato  ad  altri  usi  dal 
medcbimo  Papa;  onde  questo  secondo  trattato  anche 
rimase  in  tutto  svanito. 

Avendo  intanto  Corrado  in  cotal  guisa  ridotte  le 
città  del  Regno  fluttuami  sotto  la  sua  obbidienza ,  si 
disponeva  di  passare  «Itrove  verso  le  parti  dell'  Im- 
perio ;  ma  ecco ,  che  mentre  nella  Primavera  di  quc- 
at'anno  ia54  s'accingeva  a  tal  viaggio,  ne'  campi  vi- 
cino Lavello  fu  assalito  da  mortai  febbre,  che  in  pochi 
giorni  nel  piii  bel  fiore  della  sua^età,  non  avendo  più 

(a)  Lunig  God.  Ital.  Diploin.  Tom.  3  pag.  91 5,  91^. 


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i)EL  REGNO  DI  NAPOLI  L.XVIIL  CAPII,  it 

che  26  anni,  a'  31  maggio  lo  tolse  a'  mortali  (a}\ 
avendo  durato  il  suo  regno  poco  più  che  tre  anni: 
onde  di  questo  Principe  né  leggi,  né  altro  attinente 
alla  politia  di  queste  province,  abbiamo. 

Pufc  gli  Scrittori  dalla  parte  Guelfa ,  Infesti  non 
meno  a  Federico,  che  alla  sua  progenie,  narrano,  che 
Manfredi  per  mezzo  d'un  medico  lo  facesse  avvele- 
nare, con  isperanza  ,  morto  Errico  e  lui,  non  essen- 
dovi della  linea  di  Federico  altri,  che  Gorradino,  che 
era  nato  Tanno  avanti,  figliuolo  d'esso  Corrado,  po- 
tesse agevolmente  occupare  Tuno  e  T  altro  Regno;  e 
che  Contado,  non  sapendo,  che  moriva  di  veleno,  fat- 
togli dare  da  Manfredi,  lasciasse  nel  suo  testamento 
erede  Corradino  e  Balio  Fistesso  IViwfredi. 

Ma  se  dobbiamo  prestar  fede  al]fp||il|;imo  Scrittor 
contemporaneo  ,  né  avremo  Manfrecu  l^er  Autore  di 
tale  scelleratezza,  né  per    Balio  lascillqf  da  Corrado. 

Narra  questo  Scrittore,  che  mentrcworrado  era  in- 
fermo, Bertoldo  Marchese  di  Honebruch,  allora  po- 
tentissimo per  lo  favore  de' Tedeschi,  vedendo  Tin* 
clinazion  di  Corrado,  ch'era  di  lasciar  Manfredi  per 
Balio  del  Regno,  con  sottil  arte  dimandò  a  Manfredi 
se  volesse  assumere  quel  peso,  per  iscorgere  T animo 
suo.  Manfredi  conoscendo  l'arte  del  Marchese,  gli  ri- 
spose, ch'egli  non  avrebbe  accettato  il  Baliato,  ma 
che  ben  se  lo  meritava  la  prudenza  del  Marchese,  al 
quale  in  ciò  per  ogni  rispetto  dovea  cedere:  ciò  oh» 
fece  can   somma  astuzia,  così  per  non  esporsi  all' odio 

[a)  Anonyna.  In  Campis  prope  Lavellum  ìnfirraìtate  cor- 
reptus,  cum'esset  circa  annos  aetatis  26  in  triumphoruin 
suorum  primordiis  acerbae  mortis  fato  succubuìt. 


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32  STORIA  CIVILE 

de'  Tedeschi,  come  anche  perchè  conoscendo,  che  Ber- 
toldo, come  insufficiente,  tosto  avrebbe  con  sua  ver- 
gogna avuto  a  soccombere  al  grave  peso,  i  Magnati  del 
Regno  avrebbero  chiamato  lui  per  Balio,  come  segui. 
Bertoldo,  ricevuta  questa  risposta,  avendo  al  mori- 
bondo Corrado  riferito  che  Manfredi  non  avrebbe  ac- 
cettato il  Ballato,  fece  che  il  Re  nominasse  lui  per 
Balio  del  Regno. 

Fece  Corrado  prima  di  morire  il  suo  testamento, 
nel  quale  avendo,  lasciato  erede  il  piccolo  Corrado  suo 
figliuolo,  e  Balio  il  Marchese  di  Honebruch,  fra  Fai' 
tre  cose,  prevedendo  gli  sconvolgimenti,  che  avrebbe 
potuto  cagionargli  Innocenzio  lY,  raccomandò  al  Ba- 
lio, che  proccurasse  usar  ogni  studio  d'ottener  per 
Corradino  la  grazia  e  la  pace  della  Sede  AppostoU- 
ca,  per  non  vedere  implicato  quel  fanciullo  in  nuove 
guerre  col  Pontefice. 

Il  Marchese  avendo  assunto  il  Ballato,  e  postosi  in . 
mano  tutto  il  tesoro  della  Camera  regia,  volle  ubbi- 
dire al  testamento  del  Re,  e  mandò  Legati  al  Ponte- 
fice Innocenzio,  chiedendogli  in  nome  di  Corradino 
la  pace  e  la  sua  buona  grazia,  siccome  Corrado  avea- 
gli  raccomandato  nel  auo  testamento.  Innocenzio  che, 
morto  Corrado,  credeva  aver  per  le  mani  la  più  op- 
portuna congiuntura  d'impossessarsi  del  Regno,  re- 
putò quésta  Legazione  più  tosto  un'argomento  della 
d^olezza  della  parte  Règia,  che  atto  di  devozione; 
onde  rendutosi  più  animoso  che  mai ,  rispose  ^'  Le- 
gati, che  in  tutte  le  maniere  egli  voleva  prender  la 
possessione  del  Regno  devoluto  già  alla  Chiesa  ro- 
mana :  che  venuto  alla  pubertà  Corradino ,  qi^ando 
fosse  maggiore,  allora  si  sarebbero  esaminate  le  sue 
pretensioni,   e  che  forse,   se  la  Sede  Appostolica   ne 


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^DEL  REGNO  DI  NAPOLI  L.XVIII.  CAPH.  aS 

l'avesse  reputato  degno,  gli  avrebbe  coaceduta  la  sua 
grazia  (a). 

Questa  risposta  fece  avvertito  il  Marchese  ed  i  Ba« 
Toni  del  Regno,  che  V  animo  del  Papa  era  già  tutto 
rivolto  ad  occupare  il  Regno,  e  ben  tosto  se  ne  vi- 
dero gli  effetti;  poiché  cominciava  già  a  ragunare  un 
conveniente  esercito  per  invaderlo;  ed  oltre  di  ciò  si 
erano  scoverti  alcuni  trattati,  che  teneva  con  molti 
Baroni  affezionati  d^Ua  Chiesa',  perchè  Tajutassero 
alla  conquista;  i  quali  mal  soddisfatti  del  governo  del 
Marchese^  e  dell'insolenza  de'  Tedeschi,  amavano  me- 
glio sottoporsi  al  dominio  della  Chiesa,  che  vivere  op- 
pressi sotto  la  loro  servitii.  Il  Marchese  volle  riparare 
air  imminente  invasione;  ma  scoverto,  che  molti  Bà» 
roni ,  da'  quali  egli  sperava  ajuto ,  s' erano  dati  dalla 
parte  del  Pontefice,  e  che  1* esercito  Papale  era  già 
per  invadere  i  confini  del  Regno,  atterrito  dall' im- 
presa, avvilissi  in  maniera,  che  pentitosi  d'aver  as- 
sunto il  Baliato,  quello,  non  senza  suo  rossore,  rifiu- 
tò, e  vergognosamente  depose  (i). 

I  Conti  e'  Baróni  e  gli  altri  Magnati  del  Regno, 
che  erano  rimasi  fermi  nella  fede  del  Re,  vedendo  il 
Marchese  aver  abbandonato  il  governo,  tosto  ricor- 
sero al  Principe  Manfredi^  pregandolo   e    scongiurane 

(a)  Anonym.  Summus  Ponlifex  illamLegalorum  niissionem, 
et  Apostolìcae  gratiae  postulationem,  xnagis  debilitati  partis 
Hegiae,  quam  devotioni  ascribens,  respondit,  praecise  se  ha- 
bere  velie  Regni  possessionem ,  atque  dorai niuni;  promittctis 
Regi  pupillo^  cum  ad  pubertatem  veniret,  de  Jare,  si  quod 
baberet  in  Regno ,  gratiam  esse  faciendam.  {b)  Anonym.  Ba- 
liatus  officium  se  assumpsisse  poenituit,  et  ex  lune  onus  qui- 
àem  incaute  susceptum,  non  sine  pudore  deponendum  exi- 
Btimavit. 


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ù/^  STORIA  CIVILE 

dolo^  che  per  non  veder  minato  il  Regno,  ed  espa- 
sto a  perdersi,  riprendesse  egli  il  Ballato,  a  cui  di 
ragion  s'  apparteneva.  Manfredi  ripugnava ,  dicendo 
che  ora  che  le  cose  erano  in  istato  pur  troppo  ca- 
lamitoso, non  voleva  perdere  il  suo  onore;  ma  i  Ba- 
roni incessantemente  rampognandolo,  e  protestandosi 
che  sarebbe  il  Regno  perduto ,  finalmente  T  indussero 
a  pigliarne  il  governo.  Movea  ancora  un'altra  ragione 
fortissima,  perch'  essendosi  sparsa  la  voce  che  Corra- 
dino  fosse  morto,  il  Papa  era  entrato  in  maggior  spe- 
ranza d'  occupare  il  Regno.  All'  incontro  Manfredi , 
che  reputava,  secondo  il  testamento  delF  Imperador  Fe- 
derico suo  padre,  dover  egli  succedere  ne'  suol  Stati, 
determinò  di  prenderne  il  governo,  affinchè  se  il  pu- 
pillo vivea,  gli  avrebbe  per  lui  amministrati,,  e  per 
lui  ripressi  gli  sforzi  dell' emolo  Innocenzio,  se  all'in- 
contro fosse  vero  il  rumore  della  morte,  con  facilità 
se  ne  sarebbe  potuto  incoronare  (a). 

Avendo  adunque  Manfredi  assunto  il  Ballato  del 
Regno,  si  fece  giurare  fedeltà  dallistesso  Marchesci 
dalli  Conti^  Baroni,  e  da  tutti  i  fedeli  del  Regno,  in 
GOtal  maniera,  che  se  vivea  il  picciolo  Re,  giurassero 
a  lui  come  general  suo  Balio;  se  fosse  morto,  aves- 
sero da  ora  a  riputarlo  per  loro  Re  e  signore  del 
Regno  (t). 

(a)  Anonym.  Quamobrem  Princeps  ad  hujusmodi  quidem 
aemulorum  iutentìonem  rcpellendam ,  Regni  gubernaculum  , 
tam  ad  ntilitatein  pupilli  nepotis  sui,  si  viveret ,  quam  ad 
suam,  si  forte  de  facto  aliud  conti  gisse  t ,  assumere  de  jure 
debebat.  (b)  Anonym.  Sin  autein  ipse  Puer  vel  jam  defecis* 
set,  vel  post,  liberis  non  susceptis,  deficeret,  ipsum  Princi- 
pem  Manfredum  ex  tunc  in  Regeui  et  Regni  doininum  ha- 
berent. 


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DEL  REGNO  DI  NAPOLI  L.XYIII.CAP.IIL  aS 
CAPITOLO  in. 

Spedizione  cTIiìhocbhzio  IV  sopra  il  Regno, 

i^omposte  in  cotal  maniera  queste  bisogne,  il  Mar- 
chese  andossene  in  Puglia,  promettendo  a  Manfredi 
di  colà  mandargli  ogni  soccorso  di  denaro,  e  di  gente; 
ed  intanto  Manfredi  cominciò  a  preparare,  e  disporre 
l'esercito  per  poter  fronteggiare  a  quello  del  Ponte- 
fice, che  a  grandi  giornate  se  ne  calava  nel  Regno. 
Presidiò  a  questo  fine  San  Germano  con  buon  nii- 
mero  di'  Tedeschi,  e  fortificò  Gapua  con  tutte  le  vicine 
terre,  che  cominciavano  a  fluttuare,  per  contenerle 
nella  sua  ubbidienza. 

Ma  d^  altra  parte  Innocenzio  avea  fatti  progressi 
grandi  per  facilitar  l'impresa,  avea  mandati  suoi  messi 
in  Sicilia  a  Pietro  Ruffo  di  Calabria,  che  dal  Mar- 
chese di  Honebruch  era  stato  lasciato  Balio  della  Si* 
cilia  e  delia  Calabria,  perchè  disponesse  que*  popoli 
ad  alzar  le  bandiere  della  Chiesa  (a);  ed  in  fatti  Pietra 
da  Messina  spedì  al  Papa  Folco  suo  nipote,  ed  altri 
Ambasciadori  sopra  due  galee  ^  significargli,  che  tanto 
la  Sicilia,-  quanto  la  Calabria  s'  andavan  disponendo 
ad  abbandonar  Manfredi,  e  darsi  dalla  parte  sua. 

S'aggiungeva  ancora,  che  Riccardo  A\  Monte  Negro 
per  r  odio  ed  inimicizia,  che  teneva  col  Marchese 
l^ertoldo,  s'era  dato  già  nel  partito  del  Pontefice,  col 
quale  erasi  confederato,  e  promise  voler  dar  libero 
passo  all'esercito  papale  per  le  sue  terre,  che  teneva 

(a)   Ànonym. 


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36  STORIA  CIVILE 

ne'  confini  del  Regno.  Molti  altri  Baroni  ancora  aveano 
nascostamente  mandato  dal  Papa  a  giurargli  fedeltà, 
ed  a  ricevere  da  lui  la  rinnovazione  dell'investiture 
de' loro  Feudi  che  possedevano  (a);  ed  altri  ottennero 
con  facilità  dal  Pontefice  nuove  investiture,  siccome 
Borrello  di  Anglono,  che  fu  da  Innocenzio  in  questi 
tempi  prima  d' entrar  nel  Regno  investito  del  Contado 
di  Lesina,  ancorché  s'appartenesse  a  Manfredi,  come 
pertinenza  del  Contado  di'  Monte  S.  Angelo.  Anzi  In- 
nocenzio avea  conceduta  l'investitura  del  Contado  di 
Lecce  a  Marco  Ziano  figliuolo  di  Pietro  Duca  di  Ve- 
nezia, a  cui  dichiarò  appartenere  come  discendente 
del  Conte  Tanpredi  suo  avo,  non  ostante  le  ragioni, 
che  vi  teneva  il  Conte  Tigrisio  de  Mudignana,  ovvero 
i  di  lui  figliuoli,  per  ragione  d'Alberia  sua  moglie, 
che  dovea  nella  successione  a  tutti  preferirsi;  e  non 
per  altra  cagione,  se  non  perchè  il  Conte  tigrisio  e* 
suoi  figliuoli  aderirono  air  Imperadore  Federico  con- 
tro  la  Chiesa,  ed  ancora  non  tralasciavano  d'offen- 
derla, onde  Innocenzio  gli  reputava  affatto  indegni 
della  sua  grazia;  e  la  carta  di  questa  in  vesti  tura,  spe- 
dita da  lui  in  Perugia  l'anno  i2  5a  vien  rapportata  dal- 
l' Ughello  (&),  che  dice  averla  riscontrata  nel  registrò 
vaticano.  Siccome  nell' istesso  anno  isSa  a' 21  gen- 
najo  dimorando  per  anche  in  Perugia,  investì  O.  Fran- 
gipane del  Principato  di  Taranto ,  ancorché  fosse  di 
Manfredi,  con  tutta  la  terra  d'Otranto:  sotto  pretesto, 
ch'era  stato  prima  dato  dall' Imp^radrice  Costanza  I 
normanna  ad  O.  suo  zio,  come  appare  per  privilegio 

{a)  Anonym.  {b)  Ughel.  Ilal.  Sacr*  tojn.  9  p.   109  riscon- 
trata in  Reg.  Vat.  an,  9.  Pontif.  n.   121  et  122. 


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DEL  REGNO  DI  NAPOLI  L. XVIII.  CAP.III    27 

datò  in  Perugia,  rapportato  da  Rainaldo  (a);  ed  in  co- 
iai maniera  Innocenzio  gratificandogli  .s*  area  resi  suoi 
ligi,  e  dependenti  i  migliori  Baroni  dei  Regno,  e  ri- 
dotti molti  personaggi  di  conto  al  suo  partito. 

Di  vantaggio  erasi  penetrata  una  congiara,  che  si 
•rdiva  a  Gapua  contro  Manfredi,  con  deliberazione, 
subito  che  T esercito  papale  si  fosse  accostato  al  Re- 
gno, con  impeto  grande  dar  sopra  quel  Principe  per 
imprigionarlo,  o  ucciderlo.  Erasi  ancora  scoyerta  la 
poca  fede  del  Marchese  Bertoldo,  il  quale  violando 
tutte  le  promesse  fatte  a  Manfredi  di  mandargli  dalla 
Puglia  denaro  e  gente,  non  solo  non  adempieva  alle 
promesse,  ma  discorrendo  per  Puglia  badava  solo  al 
suo  utile,  gravando  que' sudditi  d'eccessive  taglie,  ed 
i  suoi  Tedeschi,  per  la  loro  rapacità  gli  aveano  aH%- 
nati  dalla  fede  che  doveano  al  Re,  e  desideravano  il 
dominio  dei  Papa;  ed  ancorché  Manfredi  avesse  man- 
dato Gualvano  Lancia  suo  zio,  a  narrargli  le  angustie, 
nelle  quali  si  trovava  per  mpverlo  a  dargli  ajuto , 
fu  però  inutile  la  missione,  niente  curando  de' suoi 
pericoli. 

Vedutosi  perciò  il  Principe  Manfredi  in  così  gravi 
angustie,  nelle  quali  era,  pliw  per  gli  occulti,  che  per 
li  palesi  nemici^  reputando  inutile  ogni  suo  sforzo  di 
voler  colla  forza  contrastare  al  Pontefice^  bisognò  ce- 
dere  al  tempo,  e  ricorrere  per  vincer  l'inimico  alle 
simulazioni  ed  agl'inganni.  Erasi  il  Pontefice  Inno- 
cenzio ,  per  accalorare  l' impresa ,  disposto  di  venir 
egli  di  persona  a  conquistare  il  Regno  v  e  fermato  in 
Anagni  era  tutto  inteso  al  grande  apparecchio,  e  per- 


(a)  Raynal.  t.  x5.  Anoal.  Ecclesiast.  an.   i^Bi  a  n.  5  ad.  7 
eolla  data  la.  Kal.  F^b.  an.  Pont.  IX. 


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!^8  STORIA  CIVILE 

che  non  si  tralasciasse  strada  per  agevolarne  V  imptùa^, 
ayea  mandati  più  Messi  a  tentare   ristesse  Manfredi, 
affinchè  lasciasse,  il  governo  del  Regno,  e  quello  po- 
nesse in  mano  della  Chiesa.  Manfredi  con  somma  ac- 
cortezza andava  differendo  la  risposta;   ma  ora  vedu- 
tosi in  queste  angustie,  deliberò  fargli  tornare  al  Pon- 
tefice con  risposte  tutte  umili  e  riverenti,  dicendogli, 
che  rapportassero  al  Papa,  ch'egli  fidando  al  suo  gran 
zelo  e  pietà,  che  aveva  verso  il  Re  pupillo  suo  nipote, 
e  reputando  esser  proprio   della  Sede   Appoatolica  di 
proteggerlo,  e  riceverlo  nel  suo  seno  con  paternal  a- 
more  e  grazia,  non  ripugnava  abbandonar  il  governo 
del  Regno,  e  ponerlo  in  mano  della  Chiesa  madre  pie- 
tosa di  tutti,  e  più  de' pupilli;  e  che  sperava  che  con 
ci6  si  fossero  adempiuti  i  voti  di  Corrado   padre  del 
fanciullo  Re,   che   nel   suo   testamento   avea   ardente- 
mente desiderato,   che  la    Santa    Sede   ricevesse  sotto 
la  sua  protezione  e   grazia  T innocente  fanciullo:  che 
egli  non    solo   non   contrasterebbe,  ma   darebbe   ogni 
a)uto  alla  sua  entrata,  e  possessione  del  Regnoj  senza 
però,  che  dovesse   recarsi  con    tal  atto   alcun  pregiu- 
dicio  alle  ragioni  sue,  e  del  Re  pupillo  (a). 

Il  Pontefice  ricevuta  questa  risposta  con  indicibile 
allegrezza,  si  lodò  tanto  di  Manfredi,  che  quando  pri- 
ma tenne  quel  •  Principe  per  iscomunicato ,  e  niente 
cattolico,  ora  lo  ricevè  in  sua  grazia  ed  in  quella 
della  Sede  Appostolica,  dimenticando  ogni  offesa;  ed 
avendogli  fatto  animo,  che  fidasse  in  lui  che  con  porsi 
il  Regno  in  mano  della  Chiesa,  non  si  sarebber  punto 
pregiudicate  le  ragioni  del  Re  pupillo,  e  sue;  e  che 
quando  sarebbe   quegli   venuto   alla  età  maggiore,  la 

(a)  AnoDym. 


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DEL  REGNO  DIìNAPOLI  L.XVIII.  GAP. III.  ag 
Sede  Appostolica  gli  avrebbe*  renduta  sua  ragione,  si 
dispose  ad  entrare  nel  Regno  col  suo  esercito.  Inviò 
intanto  Manfredi,  per  maggiormente  assicurarlo  della 
sua  fedeltà,  Gualvano  Lancia  suo  zio  ad  Anagnt  ad 
umiliarsi  col  Pontefice;  e,,  se  deve  riputarsi  vera  quella 
Bolla  rapportata  dal  Tutini,  si  vede  che  Innocen^io 
per  mostrargli  all'incontro  ugual  corrispondenza,  a' 3 7 
settembre  di  quest*anno  13  54  in  Anagni  gli  confermò 
rinvestitura,  colla  quale  per  mezzo  dell' istesso  Guai- 
vano  investì,  e  confermò  a  Manfredi  il  Principato  di 
Taranto  (del  quale  prima  avea  investito  O.  Frangipane), 
il  Contado  di  Gravina,  e  di  Tricarico,  con  Tenore 
del  Monte  S.  Angelo ,  con  tutte  le  supreme  regalie 
ed  onori  e  preminenze,  colle  quali  T  Imperador  Fede- 
rico suo  padre  glieFavea  conceduto,  e  che  Corrado 
gli  avea  tolte.  E  per  mostrargli  maggior  benevolenza, 
possedendosi  allora  il  Contado  di*  Montescaglioso  dal 
Marchese  Bertoldo,  in  iscambio  di  quello  gli  diede  il 
Contado  d' Andria , .  investendone  in  pubblico  Conci- 
storo in  suo  nome  il  sopraddetto'  Gualvano  Lancia, 
dandogli  in  segno  dell'  Investitura  un  anello,  come  si 
legge  nella  Bolla  dell' investitura,  rapportata  dal  Tutini 
nel  libro  del'  Contestabili  del  Kegno  (a). 

Il  Principe  Manfredi,  ancorché  dal  tenore  di  questa 
investitura,  e  da  altri  fatti  comprendesse,  che  Y  animo 
d' Innocenzio  era  non  di  governare  come  Balio  il  Re- 
gno insino  all'età  maggiore  di  Corradino,  ma  suppo- 
nendolo devoluto  alla  Sede  Appostolica,  dominarlo  con 
assoluto,  ed  indipendente  imperio^  nulladimanco  con 
mirabile  astuzia  dissimulava  il  tutto;  e   per  maggior* 

{a)  Reg.  In.  IV.  in  Vat.  cpist.  ao5.  Tulin.  de*  Contest,  dei 
Regno  pag.  58.  Pansa  in  yiu  Ino.  lY. 


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3o  STORIA  CIVILE 

mente  farlo  cadere  nelle  sue  reti,  vie  più  mostra  vasi 
di  lui  tutto  umile  ed  ubbidiente  ;  anzi  per  segno  di 
maggior  venerazione,  essendosi  Innocenzio  già  incam- 
minato, volle  andare  ad  incontrarlo,  insino  a  Ceppe- 
rano,  e  quivi  incontratolo^  volle  inginocchione  ado- 
rai^lo,  e  prendendo  da  poi  il  freno  del  suo  cavallo,, 
lo  servì  in  cotal  maniera  per  un  pezzo  di  strada  in- 
sino che  passasse  il  ponte  di  Garigliano  (a). 

Innocenzio  gradi  tanto  queste  umili  dimostrazioni, 
die  ancorché  vecchio,  e  per  esperienza  prudentissimo, 
si  lasciò  ingannare,  in  guisa,  x)he  oltre  aver  conferito 
con  lui  quasi  tutti  i  suoi  più  riposti  pensieri,  creden- 
do, che  conserverebbe  la  più  sopraffina  divozione  alla 
Sede  Appostolica,  volle  cumularlo  di  maggiori  onori; 
poiché  oltre  avergli  dato  il  primo  luogo  fra  tutti  i 
Baroni,  lo  creò  Vicario  del  Regno,  dal  Faro  insino 
al  fiume  Scie,  e  per  tutto  il  Contado  di  Molise,  e  terra 
Beneventana,  eccettuatone  il  Giustizierato  d'Abruzzo, 
costituendogli  ottomila  onde  d'oro  Tanno  di  mercede; 
e  la  carta  di  questa  concessione  la  rapporta  ancora 
il  Tutlni  (&);  ed  essendosi  già  sparsa  fama  per  tutto 
il  Regno,  che  il  Papa  con  accordo  e  permissione  di 
Manfredi  era  entrato  nel  Regno  per  amministrarlo^  i 
popoli,  che  stavano  infastiditi  de'  trattamenti ,  che  ri- 
cevevan  da'  Tedeschi ,  erano  già  tutti  disposti  per  ri- 
ceverlo, riputando  in  cotal  guisa  poter  uscire  dalla 
loro  servitù,  ed  esser  fuori  di  periglio  d'esser  più  in- 
terdetti dagli  Ufficiali  sacri  {e),   E  questo  fu  cagione. 


(a)  Anonym.  Et  Papa  Regnum  intrante ,  Princeps  stratorìs 
€Ì  officium  exhibens  frenum  tenuit,  quo  usque  ad  ponteih 
Garigliani  traosiret.  {b)  Tulia.  loc.  cit.  p.  60.  (e)  CosUnzo 
lib.   I  histor.  di  Napoli. 


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DEL  REGNO  DI  NAPOLI  L.  XVIII.  GAP.  IH.  3i 

che  Manfredi  con  grandissime  astuzie  consigliò  il  Papa» 
che  compartisse  il  suo  esercito  per  le  più  ricche  province 
del  Regno:  dal  quale  consìglio  ne  avvenne,  che  i  Ca- 
pitani tedeschi,  parte  per  timore  dell' esercito  del  Papa» 
parte  per  la  mala  volontà,  che  conosceano  ne' popoli, 
i  quali  ricusavano  di  pagare  a' Tedeschi  cos' alcuna, 
si  partirono  dal  Regno,  e  tornarono  in  Germania  de- 
lusi da  Manfredi,  con  lasciarne  agio  in  Puglia,  ed  in 
terra  d'-Otranto  alcuni,  i  quali  appena  potendo  vivere, 
non  avendo  paghe,  andavano  semple  piìi  mancando 
di  numero.  Così  Manfredi  toltisi  dattorno  i  Tedeschi» 
i  quali  gli  davano  maggior  sospetto, ^che  i  nemici  pa-^ 
lesi,  e  tratto  tratto  acquistando  forza  in  quelle  pro- 
vince, ove  era  egli  stato  creato  Vicario  dal  Papa,  cer- 
cava ora  opportunità,  come  potesse  discacciarne  i  coy 
stui  soldati,  che  compartiti  in  più  luoghi,  infra  di  loro 
divisi,  credeva  con  più  facilità  debellare. 

Intanto  il  Pontefice  entrato  nel  Regno,  prima  fer- 
mosi^i  a  Teano  per  picciola  indisposizione,  e  poi  giunse 
in  Gapua,  ove  fu  ricevuto  con  molta  pompa  e  cele- 
brità (a);  e  quivi  férmiatosi,  era  tutto  inteso  ad  unire 
sotto  il  dominio  della  Sede  Appostolica  tutte  le  altre 
province  del  Regno  di  Puglia  e  di  Sicilia,  come  avea 
fatto  dell'Abruzzo,  di  Terra  di  Lavoro,  parte  della 
Puglia,  e  d'alcune  altre.  Avea  egli  fatto  Legato  della 
Sede  Appostolica  sopra  il  Regno  il  Cardinal  di  S.  Eu- 
stachio, suo  nipote,  al  quale  avea  data  tutta  la  sua 
autorità  e  potere  per  amministrarlo.  Questi  essendo 
giovane,  e  congiunto  ad  Innocenzio  {b)y  cominciò  eoa 
alterigia  a  governarlo,  non  come  Goveriìadore,  ma  co- 

(a)  ÀDODym.  (b)  Ànonym.  Viro  quidam  juvene,  et  ip.«»Ui 
Fapae  consanguineo* 


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35  STORIA  CIVJLE 

me  assoluto  padrone,  ed  obbligava  ì  Conti,  i  Baroni, 
€  tutti  gli  altri  a  dargli  il  giuramento  di  fedeltà,  nullo 
jure  Begisj  et  Principis  salvo  (  come  dice  T Anonimo  ) 
ma  assolutamente  a  lui,  come  Legato  della  Sede  Ap- 
postolica,  a  cui  era  il  Regno  devoluto.  Per  questa 
cagione  pretendeva  ancora,  che  il  Principe  Manfredi, 
aiccome  avean  fatto  gli  altri  Baroni,  dovesse  prestar 
9k  lui  consimil  giar^mento  di  fedeltà. 

Allora  fu,  che  Manfredi  opportunamente  cominciò 
pian  piano  a  togliersi  il  velo  della  simulazione,  ed  a 
resistere  apertamente  al  Legato  con  dirgli,  che  le  con- 
venzioni avute  col  Pontefice  erano  state,  che  si  la- 
sciasse iif  mano  della  Chiesa  il  governo  del  Regno, 
salve  però  le  sue  ragioni  e  quelle  del  nipote^  ed  in- 
sinoattanto,  che  il  pupillo  non  sarà  fatto  pubere,  non 
dovesse  mutarsi  cos'  alcuna  dello  "stato,  nel  quale  era 
il  Regno:  per  la  qual  cosa  non  volle  dar  il  ricercato 
giuramento,  non  ostante  le  moleste  dimande  del  Legato. 
Non  fu  però,  come  dice  l'Anonimo,  che  per  tali  con- 
tese Manfredi  non  venisse  a  perdere  molto  della  sua 
stima  presso  gli  altri  Baroni  del  Regno;  poiché  questi 
vedendo,  che.il  Legato  niente  riguardando  alla  sua  re- 
gale stirpe,  voleva  trattarlo  di  pari,. e  nell'istessa  guisa 
che  gli  altri,  cominciarono  a  perdere  quella  riverenza 
ed  ossequio,  che  prima  gli  portavano. 

"Per  questa  cagione  avvenne,  che  avendo  Borrello  di 
Anglono  ottenuto  dal  Pontefice  Innocenzio,  prima  che 
entrasse  nel  Regno,  rinvestitura  dei  Contado  di  Lesina, 
perchè  abbandonasse  le  parti  Regie,  e  seguitasse  quelle 
della  Chiesa,  siccome  avea  fatto  con  molli  altri  Ba- 
roni, per  tirargli  al  suo  partito,  pretendeva  ♦'gli  in 
vigor  di  tal  investitura,  che  quel  Contado  a  lui  ap- 
partenesse; ma  Manfredi  pretendendo  giustamente,  che 


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DEL  REGNO  DI  NAPOLI  L.  XVIII.  CAt.III.  S5 

essendo  quello  tra  le  pertinenze  del  suo  dominio,  nod 
dovesse  in  quello  esserne  turbato,  ^It  fece  prima  a- 
michevolmente  intenderla,  che  se  ne  astenesse;  anzi  di 
certa  altra  terra,  che  teneva,  appartenente  al  Contado 
di  Monte  S.  Angelo,  gli  fece  sentire,  che  la  godesse 
pure,  ma  che^  almeno  ne  ricevesse  da  lui  rinvestitura, 
con  la  ricognizione,  e  con  dargli  il  solito  giuramento 
della  assicurazione,  altrimenti,  che  la  lasciasse  (a).  Bor- 
rello  insuperbito  per  lo  favore  del  Papa,  dìsprezzando 
r  ambasciata  di  Manfredi,  con  molta  arroganza  gli  ri- 
apose,  eh'  egli'  non  era  né  per  lasciar  il  Contado,  né 
per  riconoscer  lui  per  quella  ;^rra,  né  per  dargli  giu- 
ramento alcuno.  Manfredi  ancorché  acerbamente*  rice- 
vesse tal  risposta,  non  volendo  contendere  col  disu- 
guale, dissimulò  r  ingiuria;  ed  avendo  inteso,  che  Bor- 
rello  avca  mandata  molta  gente  ad  invadere  il  Contado 
di  Lesina,  con  aver  già  occupate  due  terre  di  quel 
Contado,  non  volle  usar  la  forza,  ma  ebbe  ricorso  al 
Pontefice  Innocenzio,  eh'  era  allora  a  Teano,  al  quale 
espose  il  torto  fattogli  dal  Borrello,  che  sotto  pretesto 
d'  aver  avuta  da  lai  la  concessione  di  quel  Contado, 
voleva  appropriarselo,  quando,  come  appartenente  a 
quello  del  Monte  S.  Angelo,  era  di  suo  dominio:  pre- 
gava perciò  il  Papa,  che  vi  riparasse,  perché  non  sor- 
tissero incoDvenienti  maggiori. 

Il  Pontefice,  secondo  le  solite  ambiguità  di  quella 
Gorte^  gli  rispose  a  guisa  d'oracolo  in  tal  maniera: 
Se  praefato  Burrello  nihil  de  Jurihus  Piìncipis  con» 
cessìsse  {b),  Manfredi  ben  intese  da  questa  risposta,  che 
r  animo  del  Pontefice  era  per  favorire  Borrello,  con 
tutto  ciò  premendo  sempre,  che  gli  fosse  renduta  sua 

{a)  Anonym.  {b)  Anonym. 


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34  STORIA  CIVILli 

ragione,  gli   fu  risposto  ohe,  giunto  a  Gapua  avrebbe 

fatto  esaminare  per  termini  dì  giustizia  quest'affare. 

Intanto  s' ebbe  notizia,  che  il  Marchese  Bertoldo  dia 
Puglia  erasi  incamminato  per  Gapua  per  inchinarsi 
al  Pontefice,  onde  Manfredi,  per  non  incontrarsi  col 
medesimo,  prese  commiato  dal  Papa  per  tornarsene; 
e  mentr*  era  in  cammino  ,  ecco  che  da  lungi  videsi 
Borrello,  che  con  molta  gente  armata  era  in  aguato 
per  assalire  ad  un  luogo  angusto  il  Principe.  Dicchè 
aTvedutisi  que' dèlia  comitiva  di  Manfredi,  gli  diedero 
aopra,  e  postolo  in  fuga,  rimase  in  quel  rumore  uc- 
ciso Borrello  dalle  genti  del  Principe,  niente  sapendo 
Manfredi  intanto  della  sua  molte. 

Essendo  arrivato  il  Papà  a  Gapua ,  tosto  i  suoi  e- 
muli  variando  il  fatto,  facevano  reo  di  questo  delitto 
Manfredi;  ed  ancorché  per  mezzo  del  Marchese  Ber- 
toldo proccurasdfe  pui*garsi  col  Papa,  con  dire,  che 
attorto  ciò  se  gV  imputava,  nuUadimanco,  avendo  sco- 
verto  che  il  Marchese  in  vece  di  difenderlo  "proccu- 
rava  la  sua  prigionia,  mandò  nella  Gorte  del  Papa, 
eh'  era  aUora  in  Gapua,  Gualvano  Lancia  suo  zio  per 
difendersi;  ed  egli  intanto  nelFAcerra  in  casa  di  quel 
Conte  suo  fognato  ricovrossi. 

Il  Papa  pretendeva  che  Manfredi  si  presentasse 
avanti  di  lui  per  conoscere  delta  di  lui  inquisizione; 
Manfrefli  non  ripugnava  venire ,  purché  se  gli  fosse 
promessa  sicurtà  della  sua  persona;  ma  Gualvano  Lan- 
cia, avendo  penetrato,  che  il  Papa  voleva  imprigio- 
narlo, né  voleva  dargli  sicurtà,  ma  che  si  fosse  presenta- 
to avanti  il  suo  Legato;  avvisò  a  Manfredi,  che  tosto 
partisse  dall' Acerra,  non  stando  ivi  sicuro,  e  che  proo- 
curassc  andarsene  in  Puglia,  ove  coir  intelligenza  dei 
Sjiraceni,  ch'ivi  erano  suoi  partigiani,  proccurasse  ^n^ 


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DEL  REGNO  DI  NAPOLI  L^XVIIL  GAP. III.  35 

trar  in  Lucerà,  e  qulri  afforsarsi  (a).  Manfredi  avolo 
quest'avviso  partì  di  notte,  e  seco  pertossi  due  fidati 
giovani  Nobili  napoletani,  che  con  se  avea,  i  quali 
furono  Marino  Gapece,  e  Corrado  suo  fratello.  Questi 
furono  i  suoi  fidi  compagni,  che  non  Tabbandonaroa 
mai  in  tutto  quel  pericoloso  e  disagevol  viaggio. 

Passati  molti  pericoli  e  disagi,  finalmente  Manfredi 
giunse  in  Lucerà,  ove  coirajuto  de'suoi  Saraceni,  che 
erano  dentro,  infrante  le  porte,  entrò  ivi  pien  di  glo- 
ria, e  da  tutta  la  città  fu  acclamato,  e  gridato  per 
lor  Principe  e  Signore,  acquali  esponendo  le  cagioni 
per  le  quali  erasi  allontanato  dalle  parti  del  Pontefi- 
ce, che  non  come  Governadore,  ma  come  Signore  vo- 
leva usurpare  il  Regno  àt  Re  pupillo  suo  nipote,  di- 
chiaro,  la  volontà  sua  non  essere  altra,  che  jura  Re- 
gis  nepotis  suiy  et  sua^  et  lihertatem^  honumque  sta^ 
tum  Regni j  et  Civitatis  ipsius  viriliter  manutenere,  at- 
que  defendere  ^  come  scrive  rAnópimo.  Per  la  qual 
cosa  tutti  gli  prestarono  giuramento,  di  fedeltà,  e  d'o- 
maggio, prò  parte  RégiSy  et  sugì 

Il  Marchese  Bertoldo,  Odone  suo  fratello  ed  il  Le- 
gato del  Pontefice,  udita  la  sorpresa  di  Lucerà,  tosto 
uniti  insieme  s'afforzarono  colle  loro  truppe  in  Troja 
per  resistergli;  ma  Manfredi^  essendosi  indi  a  poco 
impadronito  di  Foggia,  avanzava  alla  giornata  di  for- 
ze ,  e  reso  formidabile  il  suo  esercito,  dopo  varie  vi- 
cende ,  ruppe  finalmente  il  Legato  e  T  esercito  Pa- 
pale, prese  Troja,  disperse  le  genti  d'Odone  e  del 
Marchese  Bertoldo;  e  sopra  di  esse  ottenne  rimarchevol 
vittoria*  Allora  fu,  che  Manfredi  scrìsse  a' Baroni  del 
Regno  suoi  partigiani  quella  lettera,  che  si  legge  pres- 

(a)  Anonym. 


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36  STORIA  CIVILE 

8o  il  SommoAte  (a),  avutala  da  Pier  Vincenti  di  Brin- 
disi, nella  quale  iniiiutameote  descrivegi  questa  vit- 
toria, che  bisogna  averla  per  vera,  siccome  per  tale 
Tebbe  Raiaaldo  ne' suoi  Annali;  giacché  è  conforme 
a  quel,  che  di  tal  vittoria  diffusamente  ne  scrisae  TA- 
nonimo. 

I.  Invocenzio  ahhandona  il  He  d' Inghilterra,  ed  in^ 
vita  il  fratello  del  Re  di  Francia  alla  conquista  del 
Regno:  se  ne  muore  in  Napoli,  e  svaniscono  i  suoi 
disegni^ 

Innocenzio  sin  dal  mese  di  gingno  dell'anno  i:353 
erasi  colla  sua  Corte  portato  in  Napoli,  dove  sentendo 
i  progressi  di  Manfredi  fatti  in  Puglia,  temè  non  final- 
mente dovesse  discacciarlo  da  tutte  T  altre,  province 
del  Regno,  ch'erano  nell'ubbidienza  della  Chiesa-,  e  ve- 
dendo essere  inutile  ricorrere  in  Inghilterra.,  avendo 
avuta  contezza  in  quel  tempo  che  fu  in  Francia  del 
valore  e  prudenza  di  Carlo  d' Angiò  Conte  della  Pro- 
venia,  fratello  del  S.  Re  Lodovico  di  Francia,  spedì 
a  quello  Maestro  Alberto  da  Parma  suo  Cappellano 
e  Segretario,  per  trattare  la  sua  venuta  in  Regno,  of- 
ferendogliene  V  investitura.  Ma  per  trovarsi  il  Re  Luigi 
in  Oriente  implicato  nella  guerra  Sagra,  non  potendo 
dargli  ajuto,  non  potè  niente  conchiudersi:  rimase  non 
perciò  Alberto  in  Francia ,  e  trattò  quest'  affare  sotto 
i  Pontefici  successori  d  Innocenzio  per  quattordici  anni 
a  fin  di  ridurre  il  trattato  ad  effetto,  siccome  sotto  il 
Pontificato  d'  Urbano  IV  fu  ridotto  (i). 


(a)  Summ.  tom.  2  p.  i32.  (b)  Tulino  de' Contesi,    p.  61. 
Raynal.  Ànnal.  Eccl.  tom.  i3  ann,  i255. 


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DEL  REGNO  DI  NAPOLI  L.XVIIL  CAP.III.  3; 

Yi  è  anche  chi  strisse  che,  infermatosi  Innocenzìo 
in  Napoli,  fvendo  intesa  la  novella  dsHn  vittoria  ottenu- 
ta da  Manfredi,  se  ne  morisse  di  cordoglio  a'7  o,  come 
altri  rapportano,  a^i3  dicembre  di  quest^anno  12 54  {a)» 
Giace  sepolto  questo  Pontefice  nel  Duomo  di  Napoli^ 
ove  ancor  o^gi  s'addita  il  suo  tumulo.  Pontefice^  che  potè 
darsi  questo  vanto,  d' èssere  ttato  il  primo,  che  unisse 
alle  pretensioni,  che  ban  tenuto  sempre  i  Pontefici  ro- 
mani sopra  questo  Reame,  Y  attuai  possesso  di  quello. 
Tutte  le  spedizioni  degli  altri  Pontefici  por  conquistarlo 
furono,  o  infelicemente  terminate  o  appenia  mosse  dis- 
sipate e  spente;  d'Innocenzio  IV  può  solamente  dirsi 
che  per  più  mesi  ne  avesse  avuto  il  corporal  posses- 
so, e  che  per  altri  tanti  lo  tramandasse  al  suo  succes- 
sore Alessandro  IV.  Perciò  si  leggono  di  lui  tante  in- 
vestiture conc^ute  a  molti  nostri  Baroni^  delle  quali 
si  è  fatta  memoria.  Pontèfiòe  ancor  egli  intendentissi- 
mo  di  ragion  civile,  e  che  ornò  la  nostra  giurispru.- 
denza  di  molti  trattati  e  volumi. 

Fioriva  in  Italia  in  questi  anni  T  Accademia  di-  Bo- 
logna sopra  tutte  le  altre  ;  dove  Innocenzió  essendo 
giovane  apprese  la  disciplina  legale,  ,e  nelle  leggi  cif- 
rili ebbe  per  Maestri  Azone,  Accursio  e  Jacopo  Bai- 
duino;  siccome  nel  jus  canonico  Lorenzo  Spagnuolo, 
Giovanni  Teutonico,  Jacopo  d*Albasio  ed  Ugucoione, 
principali  Dottori  di  quella  età;  OifiAe  ne  divenne  un  dei 
più  perfetti  legisti  del  suo  tempo  (h),  E  volendo  emulare 
Innocenzió  III  pur  famoso  Giureconsulto  de' suoi  tem- 
pi, in  mezzo  alle  cure  di  quel  turbolento  ed  inquieto 
Pontificato,  non  tralasciò  questi  ^tudj,  perchè   stando 

{a)  Chiocc.  de  Archiep.  Ncap.ann.  i!26a.  (/.»)  Pansà  in  Vita 
Innoc. 


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38  ^  STORIA  CIVILE 

in  Lione,  Bcrisse  eopra  i  cinque  Kbri  de' Decretali  gli 
Jpparati^  di  che  >flnto  i  Canonisti  si  servono:  fondan- 
do il  principio  sopra  T autorità  d'Ezechiel  profeta;  della 
qnal  Opera  scrivendo  S.  Antonino  dice,  eh*  ella  è  di 
maggìot  autorità,  che  la  lezione  di  ciascun  libro  degli 
altri  Dottori,  onde  ne  venne  chiamato  padre  e  mo- 
narca delle  divine  ed  umane  leggi. 

Scrisse  le  Costituzioni ,  che  fece  nel  Concilio  di 
Lione, sparto  delle  quali,  s* hanno  nel  Sesto  libro  dei 
Decretali.  Compose  un  libro^  che  Ostiense  nella  sua 
Somma  chiamaci/ fenfzcTie.  Ed  un  altra  intitolato  Jpo* 
logetieo^  contro  a  Pietro  delle  Vigne,  intorno  alla  giu- 
risdizione deir  Imperio  ed  autorità  del  Papa  ;  e  4»- 
pose  anco  i  Commentarj  del  vecchio  e  del  nuovo  Te- 
stamento. 

Ebbe  in  molto  pregio  gli  uomini  virtuosi,  e  lette- 
rati, fra' quali  Alessandro  d^Ales  di  nazione  inglese, 
eh'  essendo  già  vecchio  prese  V  abito  de'  Frati  Minori  ; 
dal  quale  fece  comporre  la  Somma  della  Teologia,  ed 
altre  grandi  opere,  onde  ebbe  il  cognome  di  Dottore 
Irrefragabile,  Spinse  Bernardo  da  Parma,  ed  il  Com^ 
postellanoy  ch'erano  suoi  Cappellani,  perchè  scrives- 
sero sopra  il  Decretale^  e  componessero  altre  opere. 

Amava  molto  le  religioni,  e  fra  le  altre  quella  di 
S,  Benedetto^  e  le  due  di  S>  DomenicOy  e  di  S.  Fran- 
cesco ^  le  quali  a  guisa  di  novelle  piante  allora  fiori- 
vano. Riformò  la  Regola  a'  Frati  Carmelitani^  dandone 
la  cura  al  Cardinal  Ugo.  Ordinò ,  che  tutti  i  Romiti 
viventi  senza  Regola,  e  particolarmente  quelli  ch'era- 
no per  la  Toscana,  ed  anche  molti  Religiosi  di  S.  Ago- 
stino, uniti  sotto  un  Generale,  si  chiamassero  Eremi- 
tani. Rinovò  in  Francia,  ed  anche  in  Italia  la  Reli- 
gione de'  Cruci/eri^  ch'era  quasi  spenta;  tal  che  in  Ita- 


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DEL  REGNO  DI  NAPOLI  t.XVIIL  CAP,nL  39 

lia  8Ì  rifecero  alcuni  Monasteri  di  nuovo,  fd  in  Na- 
poli particolarmente  ebbero  poi  quello  di  S.  Maria  del- 
le Vergini  fuori  della  Porta  di  S.Gennaro, dato  loro  dal- 
la famiglia  Carmignana^  e  da'Yespoli.  Concesse  a'Ca'- 
valieri  de' SS.  Maurizio  e  Lazaro  autorità  d'eleggere 
il  Gran  Maestro  nella  religion  loro;  e  concesse  n' Cano- 
nici deir Arcivescovado  di  Napoli  Tuso  della  Mitra*bian- 
ca,  quando  l'Arcivescovo  celebra-,  ed  al  Clero  le  fram 
chigie,  che  inaino  ad  oggi  gode  per  tutto  il  Regno. 

CAPITOLO   IV. 

Spediziofie  S  Alessandro  IV  sopra  il  rcgnoy  e  nuovi 
inviti  fatti  da  lui  al  Conte  di  Prof^enza^  ed  al  Re 
d\  Inghilterra. 

Il  Legato  appostolico  intimorito  per  la  vittoria  ot- 
tenuta da  Manfredi,  abbandonando  la  Puglia,  fece  ri- 
torno coir  esercito  papale  in  Terra  di  Lavoro,  incam<' 
minandosi  verso  Napoli,  e  per  istrada  incontrossi  col 
Marchese  Bertoldo,  e  continuarono  uniti  il  cammino 
insino  a  Napoli,  ove  giunti  trovarono,  che  pochi  giorni 
prima  InnOcenzio.  era  già  morto  (a).  Quando  i  Cardi- 
nali, e  tutti  que  della  Corte  videro  il  Legato,  ed  il 
Marchese  Bertoldo  ^  ed  intesero  la  ruìna  de' loro  eser- 
citi, furono  presi  di  tanto  timore^  che  volcvan  tostp 
partire  da  Napoli,  e  ritirarsi  in  Campagna  di  Roma; 
ma  confortati  dal    Marchese ,   che   non   partissero ,   si 

(tf )•  Anonym.  Ambo  simul  Neapollm  pervenientes ,  invcnq- 
rimt ,  quod  ipsìs  diebus ,  videlicet  Idibus  Dec«Qibris,  Papa 
defunctus  erat. 


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4o  STORIA  CIVILE 

stettero;  ed  air  elezione  del  nuovo  Pontefice  furono 
tutti  rivolti.  Non  mancano  Scrittori  (a),  che  dicono  es- 
servi stato  gran  contrasto  fra'  Cardinali  per  questa  ele- 
zione, e  che  perciò  la  Sede  fosse  vacata  un  anno.  Ma 
r  Anonimo,  il  Collenuccio,  Pausa  ed  altri  (&),  rap- 
portano, che  i  Cardinali  temendo  non  il  differire  Tele* 
zione  fosse  cagione  di  maggior  lor  danno,  tosto  in  Na- 
poli uniti,  di  concorde  volere  eressero  Rainaldo  d' A- 
nagni  della  famiglia  Conti  nipote  di  Gregorio  IX  che 
fu  chiamato  Alessandro  IVy  il  quale  nel  Duomo  di 
Napoli  fu  consecrato,  ed  incoronato,  ed  in  questa  città 
siccome  pruova  il  Chioccarelli  (e),  vi  si  trattenne  per 
un'  anno. 

Intanto  il  Principe  Manfredi,  reso  più  animoso  per 
la  morte  d' Innocenzio,  ridusse  sotto  la  sua  ubbidienza 
quasi  tutte  le  altre  città  della  Puglia,  che  aveano  al- 
zate le  bandiere  della  Chie9a.  Si  sottopose  a  lui  Barletta, 
da  poi  Venosa  e  finalmente  Acerenza,  dove  Giovanni 
Moro  fu  da'  Saraceni  crudelmente  fatto  morire.  Prende 
Rapolia;  indi  si  resero  Trani,  Bari,  ed  in  breve  tutta 
la  Puglia,  toltone  alcune  città  di  Terra  d'  Otranto, 
che  ancora  si  mantenevano  sotto  l'ubbidienza  della 
Chiesa. 

Il  Pontefice  Alessandro  IV  atterrito  nel  principio 
del  suo  Pontificato  di  questi  progressi  del  Principe, 
spinse  Tommaso  Conte  dell' Acerra  cognato  del  Prin- 
cipe,  (e  Riccardo  Filangerio,  che  andassero  a  trovar 
Manfredi;  i  quali  vennero  in  Puglia,  spinti  anche,  co* 

(a)  Gio.  Villani,  Costanzo,  lib.  i.  (6)  Anonjm.  Pansa,  in 
Vita  Innoc.  {e)  Chiocc.  de  Archiep.  Neap.  an.  1262  ex  Glos. 
in  I.  si  roaritus  i5,  J  legfis  Juliae^  D.  de  Àdiiheriis,  ivi:  Qui- 
dam eral  a'bsens  causa  Reipublicae^  nt  pula  in  Civita  te  Nea« 
polilana,  ubi  nuac  est  Papa  Alexander ''IV. 


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DEL  REGNO  DI  NAPOLI  L. XVIII.  CÀP.IV.  4i 

me  si  diceva,  da  alcuni  Cardinali,  per  insinnargli^  che 
non  mancasse  mandare  i  suoi  Ambasci  adori  a  rallegrarsi 
col  nuovo  Pontefice  della  sua  esaltazione  a  quella  Catte- 
4ra,  portando  ammirazione,  che  ciò,  che  tutti  gli  altri 
Princìpi  del  Mondo  facevano,  non  volesse  far  egli:  X^^; 
Manfredi  dubitando,  siccome  altra  volta  era  accaduto, 
che  questa  sua  Legazione  al  nuovo  Pontefice  noa 
fosse  interpretata  per  sua  debolezza,  e  pusillanimità^ 
loro  rispose,  ch'egli  non  avrebbe  mandati  altri  Amba* 
sciadori  al  nuovo  Pontefice,  se  non  per  trattar  la  pat^ 
con  tali  condizioni  :  Vt  Begnum  in  dominio^  et  posAts» 
sione  Regis  Conradi  11  nepoiis  sui,  sub  baliatu  Prin^ 
eipis  remaneret,  Compositio  autem  super  eo  tantum 
esset  j  ut  census  prò  ipso  Regno  Rojnanac  Ecclesia^ 
augeretur, 

(  Innesto  trattato  fu  conchiuso  da  Alessandro ,  il 
quale  nelFanno  12 55^  dimorando  ancora  in  Napoli, 
quivi  spedi  la  Bolla  dell'  investitura  ad  Edmondo^  che 
vien  rapportata  da  Lnnig  (&)). 

Quando  il  Pontefice  intese  nel  ritomo  del  Conte  é 
di  Riccardo,  che  Manfredi  non  era  niente  disposto  a 
'mandargli  i  Legati,  né  a  lasciare  il  Regno  nelle  mani 
della  Chiesa,  cominciò,  seguitando  le  pedate  del  suo 
predecessore,  a  mostrarsegli  più  inimico  degli  altri» 
Fece  in  prima  ripigliar  il  trattato  da  Maestro  Alberto 
da  Parma  con  Carlo  Conte  di  Provenza^  dal  quale 
avuti  riscontri,  che  Carlo  non  si  trovava  disposto  per 
r impresa  del  Regno,  si  voltò  ad  Errico  Rfs  J^^lnhgil* 
terruy  rinovàndo  il  trattato,  che  il  suo  predecessore 
Innoceozio  avea  cominciato*  col  medesimo,  offerendo^» 
gli  di  nuovo  rinvestitura  del  Regno  per  Edmondo  suo 

{a)  Anonym.  {b)  Luni^  Gttd.  Ital.  Dipi  Tom.  2  pag.  91^. 


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42  STORIA  CIVILE 

figliuolo,  purché  venisse  tosto  a  discacciarne  Manfre^ 
di;  e  notasi  negli  Atti  di  fjuel  Regno ,  che  Papa  Ales- 
sandro si  riscaldò  tanto  per  quest'impresa,  che  cota- 
mutò  il  votos  che  avean  fatto  il  Re  d'Inghilterra,  i 
Re  di  Norvegia,  ed  altri,  d'andare  in  Terra  Santa^ 
nell'andare  a,  conquistar  laSicilia,  e  il  Regno  di  Pu« 
glia  in  favor  della  Chiesa. 

Mandò  ancora  un  Vescovo  in  Puglia  a  citar  Man- 
fredi da  sua,  parte  :  Ut  in  festo  Purificationis  Beatae 
Mariae  proxime  futuro  ad  Curiam  Bomanam  accede» 
ret^  responsurus-  de  interfectione  Burrelli  de  Jnglono, 
et  de  infuria^  quam  Apostolicae  Sediintulerat,  expel- 
Tendo  Legatum^  et  exercitum  Ecclesiae  de  Àpulia  (a). 
A  questa  citazione  rispose  Manfredi  per  sua  lettera 
diretta  al  Pontefice,  purgandosi  di  ciò,  che  se  gì' im- 
putava della  morte  di  lìorrello,  e  phe  per  quello,  che 
toccava  d'aver  discacciato  il  Legato,  e  l'esercito  della 
Chiesa  da  Puglia,  non  avea  fatta  niuna  ingiuria  alla 
Chiesa  romana,  difendendo  con  ciò  la  giustizia  del 
suo  nipote,  e  sua. 

Durando  Manfredi  in  tal  proponimento  di  non  man- 
dar suoi  Ambasciadori  al  Papa,  venne  da  lui  Maestro 
Giordano  da  Terracina  Notajo  della  Sede  Appostolica 
già  benevolo  di  Manfredi,  il  quale  mostrando  dispia- 
cere di  queste  contese,  consigliò  il  Principe,  che  in 
tutte  le  maniere  mandasse  al  Papa  i  suoi  Legati,  per- 
chè da  questa  missione  non  altro,  che  som.iiio  onore 
e  comodo  n'avrebbe  ritratto:  finalmente  Manfredi  mosso 
dal  consiglio  di  costui,  destinò  due  Legati  al  Fontefi- 
ce^  dandogli  potere  per  trattar  la  pace,  i  quali  furono 
Gervasio  di  Martina,  e  Goffredo  di  Cosenza  suoi  Se* 
cretarj  (J). 

(a)  Anooym.  {p)  AnoDjm. 

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DiEL  REGNO  DI  NAPOLI  L.XVIII.  CAP.IV.  4» 
Giunti  costoro  io  Napoli,,  ove  risedeva  allora  la 
Corte  del  Papa ,  cominciarono  a  trattar  con  alcuni 
Cardinali  deputati  per  questo  effetto  la  pace;  ed  in- 
contrandosi delle  difficoltà  e  de'  dubbj ,  i  quali  non 
potevano  superarsi,  se  non  si  trattasse  a  dirittura  col 
Principe,  i  Legati  persuadevano  il  Papa,  die  mandas- 
se un  Cardinale  in  Puglia  a  trattar  con  Manfredi, 
perchè  in  cotal  maniera  era  molto  facile,  che  la  con- 
cordia seguisse.  Ma  i  Cardinali  gonfi  per  la  loro  di- 
gnità ,  e  grandezza ,  la  quale  di  fresco  era  stata  da. 
Innoccnzio  colante  innalzata,  dicevano  id  non  conpe- 
nire  Sedis  honoH ,  ut  Cardinales  hoc  modo  mittun» 
tur  (a).  Per  la  qual  cosa  lungamente  essendosi  contra'» 
stato  su  questo  punto,  non  poterono  gli  Ambasciadori 
del  Principe  io  conto  veruno  indurre  quelli  della  Corte 
a  mandar  un  Cardinale  a  Manfredi. 

Il  Principe  intanto,  vedendo  che  si  portava  in  lun- 
go  il  trattato,  non  volle  perder  tempo  di  reintegrare 
al  suo  Contado  d' Andfia,  ciò  che  con  ragione  speziale 
se  gli  apparteneva;  e  perciò  restituì  a  quello  la  Guardia 
Loiiibarda^  ch'era  delle  pertinenze  di  quel  Contado^  e 
che  ancora  era  rimasa  in  potere  delle  gentil  Papali. 
Si  mostrarono  ì  Cardinali,  avuta  tal  notizia,  offesi  per 
tal  novità,  e  ch'ara  volei^li  deludere  e  rompere  con 
ciò  ogni  trattato.  I  Legati  del  Principe  rispondevano, 
che  ciò  non  era  violar  i  trattati,  perchè  Manfredi,  ciò 
che  avca  fatto,  avealo  fatto  come  Conte  di  Andrìa, 
non  già  come  Balio;  non  avendo  fatto  altro,  che  rein- 
tegrare al  suo  Stato  quella  Terra,  la  quale,  come  narra 
r Anonimo,  erat  de  speciali  jure  ipsius  Principisi  e 
che  ciò  non  dovea  dispiacere  al  Pontefice. 

(a)  Anonym. 


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44  STOMA  CIVILE 

Ma  anoorchè  i  Cardinali  sotto  questo  pretesto  mo* 
strassero  le  loro  doglianze,  non  era  però  per  altro  la  loro 
di^piacenza,  se  non  perchè  yedendo  approssimarsi  tanto 
Manfredi  col  suo  esercito,  temevano  che  finalmente 
non  s' incamminasse  verso  Napoli  ;  ed  in  fatti  .erano 
entrati  perciò  in  t^nta  costernazione,  che  il  Pontefice 
con  tutta  la  sua  Corte  pensavano  imbarcarsi^  ed  uscire 
da  quella  città;  per  la  qual  cosa  avvertirono  gli  Am- 
basciadori  del  Principe,  a  dovergli  fare  intendere,  che 
se  veramente  egli  voleva  la  pace  colla  Chiesa,  partisse 
col  suo  esercito  dalla  Guardia  Lombarda,  e  ritornasse 
in  Puglia. 

Gli  Ambasciadori,  accortisi  del  lor  timore,  gli  pro- 
misero di  voler  scrivere  a  Manfredi,  che  ritornasse  in 
Puglia,  come  fecero;  ma  nell'istesso  tempo  in  secreto 
gli  significarono,  che  se  egli  s'incamminava  vèrso  Na- 
poli, per  la  paura  entrata  nelle  genti  del  Papa,  con 
facilità  r  avrebbe  disfatte,  e  si  sarebbe  impadronito  di 
^Terra  di  Lavoro.  Manfredi  avuta  tal  noticela,  era  di- 
aposto,  ancorché  Jimpedtto  dalle  tante  nevi  cadute  di 
passare  in  Terra  di  Lavoro:  ma  lo  ritenne  Tavviso  im- 
portuno in  queir  istante  sopraggiuntegli  d'una  solle- 
vazione scoverta  in  Terra  d' Otranto ,  di  coloro  di 
Brindisi,  i  quali  essendosi  sollevati ,  aveano  sorpresa 
Nardo,  e  fatta  molta  «trago  di  que'  Cittadini  e  di  sol* 
dati,  ch^ erano  comandati  da  Manfredi  Lancia,  che  il 
Principe  suo  consanguineo  avea  creato  Capitano  ia 
Terra  d'Otranto;  laonde  convenne  a  Manfredi  .rivocar 
il  suo  proponimento,  e  volle  incamminarsi  verso  Brin- 
disi, come  fece,  lasciando  la  Guardia,  e  venne  con  ciò 
a  soddisfare  alla  volontà  del  Pontefice. 

I  Cardinali,  veduto  lui  allontanato,   ed  implicato  a 
questa  nuova  impresa  in  Terra  d'Otranto,  si  raffrcd- 


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DEL  REGNO  DI  NAPOLI  L.XVIII.  GAP.  IT.  45 

darono  per  la  pace,  oè  per  ciò  i*  Legati  di  Manfredi 
poterono  concbiuder  niente;  anzi  il  Papa  creò  allora 
un'altro  Legato  della  Sede  Appoatolica  per  lo  Regno, 
che  fa  Ottaviano  di  Santa  Maria  in  Yia  Lata,  Dia* 
cono  Cardinale,  il  quale  appena  fu  fatto,  che  aubito 
cominciò  ad  unire  gente  ^  per  formar  un  competente 
esercito  da  opporsi  a  Manfredi:  di  che  ay vedutisi  i 
suoi  Legati,  tosto  partirono  da  Napoli,  e  andarono  a 
ritrovar  il  Prìncipe,  il  quale  già  era  per  incammi- 
narsi verso  Brindisi,  e  gli  esposero  ciò  che  il  Papa 
per  mezzo  del  nuovo  Legato  intendeva  di  fare,  e  di 
essersi  rotto  ogni  trattato. 

^  Manfredi,  perciò  non  intimorito ,  volle  proseguire 
Tintìpresa;  e  cinse  d*  assedio  Brindisi  capo  della  ribel- 
lione, alla  qua!  città  eransi  unite  molte  altre  di  Terra 
d'Otranto  come  Oria,  Otranto,  Lecce  e  Mesagna;  e 
devastando  il  terreno  d' intorno,  abbattè  e  demolì  Me- 
sagoa ,  fece  f itornar  Lecce  sotto  la  sua  ubbidienza , 
ed  air  assedio  d'  Oria  tutto  si  rivolse^ 

Or  mentre  questo  Principe  era  tutto  inteso  a.  se- 
dare queste  rivolte,  altre  nuove  revoluzioni  lo  chia- 
marono in  altre  più  rimote  parti,  in  Sicilia  ed  in  Ca- 
labria. 

Era  a  questi^  tempi  il  governo  di  queste  Regioni 
commesso  ad  un  solo  Moderatore,  il  qual  era,  conie 
si  disse,  Pietro  Ruffo  di  Calabria  Conte  di  Catanzaro.^ 
Questi  essendo  di  fortuna  assai  povera,  fu  a'  tempi 
detrimperador  Federico  ammesso  nella  sua  Corte  (a); 
indi  tratto  tratto  cri'scendo  nella  grazia  di  Federico,  fa 
fatto  suo  intimo  Consigliero,  e  finalmente  Maresciallo 

(a)  Anonyin.  Curiam  ìpsius  Imperatoris  Federici  pauper 
io^ressus. 


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46  STORIA  CIVILE 

del  Regno  di  Sicilia.  ^  Morto  Federico,  fo  da  Man» 
fredi  dato  per  Balio  ad  Errico,  perchè  gorernnsse  la 
Calabria  e  la  Sicilia  in  suo  nome.  Fu  da  poi  da  Cor^ 
rado  fatto  Conte  di  Catanxaro,  e  confermato  nel  go* 
verno  di  quelle  province;  ma  morto  Corrado,  mal  sof- 
ferendo  il  Ballato  di.  Manfredi,  diede  di  se  gravi  so* 
spetti  d'emersi  confederato  col  Pontefice  Inoocenzio  lY 
a' danni  del  Re  Gorradino^  e  mostrò  sempre  avvera 
sione  con  Manfredi,  ed  ora  più  che  mai,  che  lo  ve- 
deva potente  in  Puglia,  gli  avea  sconvolta  la  Sicilia 
non  meno  che  la  Calabria  per  mezzo  di  Giordano 
Ruffo  suo  nipote.  Questi  eflrsendosi  con  molta  gente 
afforzato  in  Cosenza,  teneva  sotto  la  sua  divozione 
tutta  la  provincia  di  Val  di  Crati,  e  Terra  Jordana, 
in  guisa  che  il  nome  del  Principe  Manfredi,  non  solo 
non  era  temuto,  ma  avuto  in  niun  conto;  anzi  crasi 
scoverto  un  trattato^  che  passava  con  molta  seeretezza 
tra  lui  ed  il  Pontefice  Alessandro,  di  darsi  la  Cala* 
bria  in  mano  della  Chiesa,  e  già  andavano,  e  rjtoc« 
navano  messi  per  compire  il  trattato  (a). 

Manfredi  avvisato  di  queste  insidie  da  alcuni  Co^ 
sentini,  e  da  Gervasio  di  Martina,  tosto  mandò  sue 
truppe  in  Calabria,  e  ne  fece  Capitano  Corrado  Xruich, 
al  quale  insieme  col  suddetto  Gervasio  impose,  che 
guardasse  quella  provincia.  Furono  da  questi  valorosi 
guerrieri  dopo  varj  successi,  descritti  diffusamente  dal- 
FAnonimo,  finalmente' poste  quelle  province  sotto  rul>- 
bidienza  del  Re  Corrado;  ed  avendo  rescrcito  di  Man- 
fredi soggiogata  quasi  tutta  la  Calabria,  fu  anòhe  espu- 
gnata Messina;   e  Reggio  tosto  si  pose  sotto   Tubbi- 

{a)  Aoofiym.  Quia  tractari  dicebatur ,  quod  Calabria  •  in 
manibus  Ecclesiae.  daretur. 


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DEL  REGNO  DI  NAPOLI  L.XVIIL  CAP.IV.  ^^ 
didnza  del  Principe,  il  quale  intanto  mentre  per  suoi 
Ministri  guerreggiava  in  Calabria  e  in  Sicilia,  non 
tralasciò  Tassedio  d'Oria ,  e  di  ridurre  le  città  di  Terra 
d'  Otranto  ribellanti  alla  sua  divozione. 

Ma  mentre  Manfredi  era  intento  all'assedio  d'Oria, 
e  teneva  le  sue  forze  divise  in  varie  parti  di  Calabria 
e  di  Sicilia,  Ottaviano  Legato  della  Sede  Apposto- 
lica  avea  già  raganato  un  grand' esercito  per  invadere 
la  Puglia;  ed  era  il  numero  delle  truppe,  che  lo  com- 
ponevano, ai  grande,  che  obbligarono  Manfredi  ab- 
bandonare quell'assedio,  e  portarsi  in  Melfi,  per  re- 
sistere a  q!;el  torrènte,  che  veniva  ad  inondarlo.  Unì 
per  tanto  il  Principe,  come  potè  meglio,  i  suoi  Te- 
deschi e  Saraceni:  ed  ancorché  il  suo  esercito  di  nu- 
mero cedesse  a  quello  del  Legato;  nuUadimeno  per  lo 
valore  de'  suoi  soldati,  con  intrepidezza  mirabile  se  gli 
fece  incontro,  invitandolo  a  battaglia.  Ma  l' esercito  pa- 
pale, alla  cui  testa  era  il  Legato,  non  volle  itiai  ac- 
cettar l'invito,  e  sol  fronteggiava  quello  del  Principe, 
non  venendosi  per  pili   tempo  a  niun   fatto  d'arme. 

Intanto  sotto  la  condotta  dell'Arciprete  di  Padova, 
che  il  Legato  avèa  fatto  suo  Vicario,  erasi  ragunato 
un'altro  esercii^  per  T  impresa  di  Calabria;  poiché 
Pietro  Ruffo  scacciato  da  Messina,  e  fuggitivo  da  Ca- 
labria era  ricorso  al  Pontefice  Alessandro,  animandolo 
all'impresa  di  Calabria.  S'aggiunsero  ancora  gli  acuti 
stimoli  di  Bartoloxnmeo  Plgnatelli,  creato  allora  dal 
Papa  Arcivescovi  di  Cosenza,  il  quale  per  T  odio  im- 
placabile, che  tehevai  con  Manfredi,  fu  dal  Pontefice 
Alessandro  riputato  istromento  abilissimo  per  poterlo 
impiegare  insieme  con  Pietro  Ruffo  a  quella  impresa. 
Accopplossi  ancora  a  costoro  Bertoldo  Marchese  di 
Honebruch,  al  quale   Alc^sandjro,  per   maggiormente 


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48  8TQRU  CIVILE 

adescarlo.»  avea  conceduta  Y  inyestitura  del  Contado  $ 

Cataozaro^  tolto  da  Manfredi'  a  Pietro.  Ruffo  (a). 

Or  mentre  questi  erano  per  incamminarsi  in  Cala- 
bria, fu  dal  Legato  richiamato  indietro  T Arciprete, 
per  dover  colle  sue  truppe  accrescere  T  esercito,  che 
fronteggiava  .  con  quello  di  Manfredi  ;  e  s' avviarono 
TArcivescovo  di  Cosenza,  e  Pietro  Ruffo  in  Cosenza, 
ove  giunti,  avendo  prima  sparse  molte  finte  novelle, 
per  atterrire  ,que  Popoli,  finalmente  gli  richiesero , 
che  si  rendessero  al  Papa.  Ma  stando  alla  difesa  di 
que'  confini  Gervasio  di  Martina,  fece  loro  valida  re- 
sistenza; e  poiché,  per  la  mancanza  delle  genti  dell'Ar- 
ciprete, Tesercito  dall' Arci  vescoyo  era  molto  estenuato, 
questo  Prelato  per  accrescere  il  numero ,  tenendone 
facoltà  dal  Papa,  cominciò  a  crocesignare  quanti  Ca- 
labresi potè  avere  per  que'  contorni,  togliendogli  dalla 
zappa,  dall'aratro  e  dal  remo,  i  quali  correvano  in 
folla  a  farsi  crocesignare;  poiché  T Arcivescovo  avea 
pubblicata  la  Crociata  contro  Manfredi,  con  remis- 
sione di  tutti  i  loro  peccati,  e  indulgenze  così  ple- 
narie, come  se  pigliassero  la  Croce  contro  Infedeli 
per  discacciargli  da  Terra  Santa,  e  dal  Sepolcro  di 
Cristo  (i).  Si  crocesignarono  perciò  ^a  duemila  Ca- 
labresi^ che  uniti  colle  genti  dell' Arcivescovo,  ancor- 
ché mal  in  arnese  d'armi  e  cavalli,  nulladxmanco  come 
»e  andassero  a  prender  il  martirio  per  la  Fede,  mo- 
strarono intrepidezza  tale  che  stimolavano  TArcive- 
scovo  a  dover  in .  tutti  i  modi  uscire  e  combattere  Y  e- 
sercito  contrario.  Ma  Gervasio  di  Martina  disprezzando 
Je  loro  forze,  dopo  varie  vicende  descritte  minutamente 
dall'  Anonimo ,  alla  perfine  gli  pose  in  fuga,  gli  dis- 

(«)  Anonym.  {b)  Anonym» 


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DEL  REGNO  DI  NAPOLI  L.  XVIII.  CIP. IV.  49 
slpò  tutti,  e  costrinse  l'ArciyescoTO  e  Pietro  Ruffo  a 
scappar  via,  il  quale  rìcovratosi  in  Lipari,  tornò  poi 
in  Terra  di  Lavoro,  nella  Corte  del  Papa.  Questi  av- 
venimenti stabilirono  le  Calabrie  saldamente  nella  fede 
del  Principe  Manfredi,  e  tutte  pacate  sotto  la  sua  ub- 
bidienza tornarono. 

Intanto  questo  Principe  campeggiava  col  suo  eser- 
cito in  Puglia  presso  Guardia  Lombarda  a  fronte  del- 
l'esercito  del  Legato,  il  quale  non  volendo  venir  mai 
a  battaglia,  sta  vasi  a  vista  di  quello  di  Manfredi  os- 
servando Tuno  gli  andamenti,  ed  i  moti  deli' altro. 

Ma  mentre  questi  eserciti  erano  in  cota^  stato,  ecco 
che  giunse  in  Puglia  a  Manfredi  un  Maresciallo  del 
Duca  di  Baviera  zio  del  fanciullo  Re  Corrado  man- 
dato* dalla  Regina  Elisabetta  madre  del  Re,  e  dal  Duca 
ìstesso^  per  trattare  con  Manfredi,  e  colla  Corte  ro- 
mana di  questi  interessi,  ch'erano  proprii  di  quel  Prin- 
cipe (a). 

Subito  che  il  Legato  ed  il  Marchese  Bertc4do  sep^ 
pero  r  arrivo  del  Maresciallo,  e  la  cagione  per  la  quale 
era  stato  inviato,  mandarono  al  Principe  Manfredi  a 
cercargli  una  tregua  é  sospension  d^arme,  affine  di 
potersi  trattar  la  pac^  tra  il  Papa  Alessandro  ed  il  Re 
Corrado  per  mezzo. del  Maresciallo;  Manfredi  glie  la 
accordò;  ed  essendosi  per  molti  Nobili  e  Baroni  del- 
l'una parte,  e  r*akra  giurata  la  tregua  per  insinor  che 
durasse  il  trattato,  e  per  cinque  dì  da  poi,  nel  caso 
niente  si  conchiudesae:  il  Legato,  niente  rispondendo 
circa  la  dilazione  di  cinque  giorni,  diede  di  se  so- 
spetto, non  valesse  ingannarlo^  siccome  l'evento  dimo- 
strò; poiché  essendosi  Manfredi   (fermata  che^  fu  la 

(<i)  Ànonym. 

4- 


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5o  STORIA  CIVILE 

tregua)  allontanato  col  suo  esercito  da  cpiel  luogo,  e 
scorrendo  per  le  marine  di  Bari,  il  Legato,  contro  i 
patti  della  tregua,  entrò  col  suo- esercito  in  Capita* 
nata,  e  sorprese  Foggia;  pose  in  oosternazione  tutte  le 
altre  città  di  questa  provincia;  e  la  città  di  S.  Àn* 
gelo  posta  nel  sopracciglio  del  Monte  Gargano,  all'ar- 
rivo delFesercilo  papale  in  Foggia,  si  ribellò  contro  i 
il  Principe.  Manfredi,  ch'era  a  Trani,  pien  dì  stu- 
pore per  la  violata  fede  del  Legato  (a),  non  credè,  in 
prima  la  sorpresa  di  Foggia  ;  ma  accertato  da  poi  di 
sì  grave  attentato,,  tutto  pien  d'ira  velocemente  passò 
col  suo  esercito  a  Barletta,  ed  avendola  mantenuta  iu 
fede,  ritornò  in  Lucerà;  indi  passò  al  Gargano,  ove 
presa  per  assalto  quella  città  ribellante,  la  ridusse  alla 
sua  ubbidienza;  e  riirtorato  il  suo  esercito,  si  appressa 
a  Foggia,  ove  assedia  l'esercito  papale,  eh* erasi  riti- 
rato in  quella  città.  Intanto  il  Marchese  Bertoldo  era 
accorso  colle  sue  truppe  in  ajuto  del  Legato:  Man- 
fredi lo  prevenne,  e  datagli  una  fiera  rotta,  io  pone 
in  fuga,  e  prende  tutto  il  suo  bagaglio. 

Il  Legato  si  chiude  in  Foggia  col  suo  esercito;  e 
Manfredi  cinge  la  città  di  stretto  assedio,  e  vi  ca- 
giona una  penuria  grandissima  di  viveri,  tanto  che 
si  dava  un  cavallo  per  una. gallina,  e  sopr-a  questi 
mali  vi  s' aggiunse  altro  peggiore  d'una  infermità  cosi 
grave,  che  ne  perivano  molti  del  suo  esercito,  e  ri- 
stesse Legato  cadde  anch' egli  infermo  (h). 

Vedutosi  perciò  in  quest'  angustie,  conoscendo,  che 

(a)  Anonym.  Minime  credibile  reputavit,  et  mìratus  est  si 
verum  esset,  quod  Legatus  Sedìs  Apostolicae^  vir  quidem 
Ecclesiasticus ,  et  qui  magis  aliis  fidem  servare  tenebator,  fir- 
mata inter  se ,  et  Principem  ireguaruin  pacta ,  fregisset.  {b) 
Anonym. 


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DEL  REGNO  DI  NAPOLI  L.XVIIL  CÀP.IV.  5i 
non  poteva  piii  resistere  alla  fortuna  e  valore  del  Pria* 
cipe,  per  non  veder  perire  tatte  le  sue  genti  angu- 
stiate con  quel  stretto  assedio,  mandò  suoi  Messi  a 
Manfredi  pregandolo  della  pace.  Non  fu  il  Principe 
renitente  ad  abbraceiarla;  onde  dopo  var)  trattati  in- 
fra di  loro  avuti ,  f u  la  pace  conchiusa  con  queste 
condizioni  (a). 

Che  il  Principe  tenesse  il  Regno  per  se  é  per  parte 
del  Re  Corrado  suo  nipote,  eccetto  Terra  di  Lavoro: 
che  questa  provincia  dovesse  tenersi  dalla  Chiesa:  che 
se  Papa  Alessandro  non  volesse  forse  accettar  questa 
concordia  e  transazione,  fosse  lecito  al  Principe  ricu- 
perare tutta  qaella  Terra,  ch'appartiene  al  suo  dominio. 
Fermata  che  fu  dal  Principe  e  dal  Legato  questa 
pace,  fu  da  costui  Manfredi  instantemente  pregato, 
che  volesse  ad  imitazione  del  nostro  buon  Redentore 
perdonare  a  que' gentiluomini  del  Regno,  che  nel  tempo 
deirimperador  Federico  suo  padre  erano  slati  esiliati 
dal  Regno,  e  che  allora  èrano  col  Legato.  Manfredi, 
anporchè  questo  non  fosse  compreso  ne*  capitoli  della 
pace,  nuUadimanco  usando  della  sua  clemenza  con- 
cedè a  tutti  il  perdono,  e  non  solamente  lor  diede  la 
sua  grazia,  ma  restituì  loro  tutte  le  Terre,  ohe  in 
pena  della  fellonia  loro  erano  state  giustamente  tolte, 
con  che  però  nelF  avvenire  colla  loro  fedeltà  ed  onore 
cancellassero  le  passate  offese. 

Né  volle,  che  da  questa  grazia  fosse  eccettuato  il 
^Marchese  Bertoldo,  co'  suoi  fratelli,  ma  con  ampio 
perdono  gli  ammise  nuovamente  nella  sua  familiarità, 


(a)  Ànonyin.  Ut  prlnceps  prò  parte  sua,  et  Regìs  Gonradi 
nepotis  sui  Reguum  teneret ,  excepta  Terra  Laboris ,  quara 
Prìoceps  Ecclesiae  concessìt  tenendam. 


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53  STORTA  CIVILE 

permettendo,  che  potessero  ritenere  i  loro  Stati,  dei 
quali  per  le  loro  colpe  avrebbono  meritato  esserne 
perpetuamente  privi. 

Gonchiusa  in  cotal  maniera  questa  pace,  V  esercito 
papale  col  Legato  partì  da  Foggia,  ed  andò  in  Terra 
di  Lavoro;  e  Manfredi  avendo  perciò  tolto  1  assedio 
da  quella  città,  and^  a  divertirsi  alla  caccia  in  quelle 
vicine  pianure;  ma  neiristesso  tempo  del  riposo,  non 
trascurò  mandare  suoi  Ambasciadori  al  Papa  a  chie* 
dergli  r  accettazione  di  quanto  erasi  col  Legato  con- 
cordato (a);  altrimente  rifiutando  T  accordo,  in  esecii* 
2Ìon  di  quello  avrebbe  proccurato  ridurre  sotto  la  sua 
ubbidienza  Terra  di  Lavoro. 

Ma  ecco  come  tosto  svanirono  .  questi  concordati  ; 
poiché  giunti  gli  Ambasciadori  del  Principe  in  Na- 
poli, trovarono  nella  Corte  del  Papa  il  Conte  Guaser- 
buch,  il  quale  scoprì  loro  una  congiura,  che  colFin- 
telligenza  di  quella  Corte,  il  Marchese  Bertoldo,  e 
Suoi  fratelli  con  alcuni  Nobili  del  Regno  tramavano 
contro  la  persona  di  Manfredi,  al  quale  bisognava  to- 
sto avvisarla,  perchè  se  ne  guardasse.  S'avvidero  an- 
cora, che  il  Papa  Alessandro  a  tutto  altro  era  inchinato, 
che  a  confermar  ¥  accordo  avuto  col  suo  Legato;  onde 
tosto  dell'uno  e  dell'altro  ne  avvertirono  Manfredi. 

Il  Principe  sorpreso  da  tal  notizia,  ricercati  altri 
ìndizj  di  tal  congiura,  s' avvide,  che  era  vero  ciò  che 
gli  avean^o  avvisato  i  suoi  Ambasciadori;  onde  fece 
tosto  imprigionare  il  Marchese  e'  suoi  fratelli.  Ed  es- 
sendo ritornati  dalla  Corte  del  Papa  gli  Ambasciadori 
senza  conohiuder  niente,  stante  la  ripugnanza  d'Ales* 
Sandro  ad  accettare  la  preceduta  concordia:  per  ripa- 

{a)  Anonym. 


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DEL  REGNO  DI  NAPOLI  L.  XVIII.  GAP.  IV  53 
rare  a'  mali  g^ravisslmi,  che  se  gli  minacciavano,  in- 
timò una  general  Corte  a  tutti  i  Conti  e  Baroni. dd 
Regno  da  tenersi  in  Barletta  in  febbrajo  nel,  di  della 
Purificazione  del  seguente  anno  ia56.  Ed  intanto  perm- 
eile dal  suo  canto  niente  da  far  rimanesee ,  per  to- 
gliere ogni  scusa,  tornò  a  mandare  nuovi  Ambascia- 
dori  al  Pontefice  a  ricercarlo  di  nuovo,  se  volesse 
confermar  la  concordia,  ma  Alessandro  espressamente 
negando  di  fermarla,  ne  rimandò  i  Legati. 

Allora  fu,  che  Manfredi  nel  stabilito  tempo  convocò 
in  Barletta  il  general  Parlamento,  nel  quale  in  pre- 
senza di  tutti  i  Conti  e  Baroni  del  Regno  furono  varj, 
9  gravi  affari  risoluti. 

Fu  privato  per  sentenaa  de*  medesiitii  Pietro  di  Ca- 
labria, tanto  deir  onore  del  Contado  di  Catanzaro, 
^antò  dell'Ufficio  della  Maresciallerla  regia  del  Re- 
gno di  Sicilia,  per  la  sua  fellonìa. 

Fu  creato  Conte  del  Principato  di  Salerno  Gual- 
rano  Lancia  zio  del  Principe,  al  quale  fu  anche  con- 
ceduto r  Ufficio  di  GranlVliiresciallo  del  Regno  di  Si- 
cilia, di  cui  era  stato  Pietro  spogliato. 

Neil'  istesso  Parlamento,  il  fratello  di  Gualrano  zio 
parimente  di  Manfredi  fu  fatto  Conte  di  Squillaci;  ed 
ad  Errico  da  Spern^ria  fu  conceduto  il  Contado  di 
Marsico  (a). 

Fu  parimente  iif  questa  general  Corte  agitata  e  di- 
scussa la  causa  del  Marchese  Bertoldo  e  de'  suoi  fra- 
telli, i  quali  convinti  della  congiura  macchinata  con- 
tro il  Principe,  con  concorde  voto  de^^Conti  e  de'3a* 
roni  del  Regno,  furono  con  lor  sentenza  condennati 
a  morte.   Ma  Manfredi  volendo  usar  Joro  clemc^nza , 

(a)  Aaopjm. 


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54  STORIA  CIVILE 

commatò  la  pena  ia  carcere  perpetua ,   ove  misera* 

niente  finirono  la  loro  vita. 

Disbrigato  che  fu  il  Principe  Manfredi  da  questa 
Corte,  ove  diede  molti  provedimenti  politici  per  la 
quiete  del  Regno,  fu  poi  tutto  rivolto  air  impresa  di 
Terra  dì  Lavoro,  ed  a  spegnere  affatto  dalla  Cala- 
bria, e  più  dalla  Sicilia  la  fazione  del  Papa,  il  quale 
in  queir  ìsola  ancor  vi  teneva  Frate  Rufino  dell'Or- 
dine de'  Minori  per  Legato  della  Sede  Appostolica^ 
il  q»ale  poneva  in  isconvolgimenti  continui  queir  ìsola 
avendosi  resi  molti  Siciliani  benevoli,  i  quali  scossa 
la  fede  regia,  tibbidivano  a  lui,  come  a  Signore  del- 
l'isola in  nome  della  Chiesa  romana.  A  riparar  qué- 
sti mali  creò  Manfredi  per  suo  general  Vicario  di  Ca- 
labria e  di  Sicilia  Federico  Lanzia  suo  zio,  il  quale 
con  mirabile  destrezza  e  gran  valore  ripóse  le  città 
di  Calabria  fluttuanti  intéramente  in  pace  e  quiete,  e 
sotto  l'ubbidienza  del  Re^  e  dando  animo  all'esercito 
regio,^  eh* era  in  Palermo,  fece  sì,  che  il  Legato  Rcf- 
fino,  e'  suoi  seguaci  fossero  fatti  tutti  prigioni,  e  fosse 
restituita  Palermo ,  e  tutti  que'  luòghi  all'  ubbidienza 
del  Re;  e  passato  poi  in  Messina  ridusse  parimente 
quella  città  alla  fede  regia. 

'  Intanto  il  Principe  Manfredi  avendo  intimata  la 
guerra  al  Papa,  che  allontanatosi  dal  Regno,  avea 
prima  in  Anagni,  e  poi  in  Viterbo  trasferita  la  sua 
Corte,  s'accinse  all'impresa  di  Terra  di  Larofo,  per 
restituirla  sotto  il  suo  dominio.  Spiegò  li  auoi  sten- 
dardi, e  con  potente  esercito  enttò  ne'  confini  di  Terra 
di  Lavoro,  e  verso  Napoli  incamminossi.  Fu  veramente 
cosa  maravigliosa,  come  notò  il  Costanzo  {a},  che  ta 
città  di  Napoli,  la  quale  pochi  anni  prima  avea  tanto 

io)  Costanzo  I.  i. 


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DEL  REGNO  DI  NAPOLI  L  XVIII»  GAP. IV-  55 

ostinatamente  chiuse  le  porte  e  negata  V  ubbidienza  a 
Gorrado^ora,  mandasse  fuori  messi  a  Manfredi,  mentre 
era  ancor  lontano,  a  spontaneamente  oif^rirsegU  (a)^  Né 
ai  crede  ohe  ne  fosse  stata  altra  i^osa  cagione,  ohe  le  pò* 
che  forze  e  rigore  del  Papa,  e  la  fresca  memoria,  che 
sotto  la  speranza  di  Papa  Innocenzio  I V  erano  stati  sac- 
oheggiati,  e  mii>eramefite  disfatti.  Né  vi  è  dubbio,  che 
ri  cooperarono  molto  le  promesse  di  Mahfredi,^  il  quale 
mandò,  a  iàte  a  molti  gentiluomini  suoi  conoscenti, 
quanto  gli  uemini  valorosi  poteano  sperare  maggior 
esaltazione  da  lui,  che  dal  governo  de'  Preti)  il  ohersi 
potca  vedere  per  esempio  di  molti  di  Puglia^  e  di  Cala* 
bria  e  d' altre  prevìiice,  eh'  egli  eon  somma  liberalità  e 
munificenza  avea  esaltati  con  ordine  di  cavalleria,  e  con 
altre  dignità  e  preminenze.  In  fatti  i  Napoletani  rice- 
verono con  gran  festa  e  giubilo  Manfredi  nella  lor 
pitta;  il  quale,  perchè  T effetto  fosse  conforme  alle 
promesse,  entrato  che  vi  fu,  fece  tutto  il  contrario  di 
quel,  che  avea  fatto  Corrado,  rinovando  a  sue  spese 
gli  edificj  pubblici,  assecurando  tutti  coloro,  che  a 
tempo  di  Corrado  ed  a  tempo  suo  s'erano  mostrati 
inimici  della  Casa  di  Svevia«  ed  onorando  molti  No- 
bili, con.  pigliargli,  secondo  Tetà  e  la  virtù,  o  per 
Consiglieri,  o  per  Corfegiani 'appresso  la  stia  persona  {by. 
L'esempio  di  Napoli  mosse  anche  i  Capuani  di  ren- 
dergli parimeniela  loro  città,  ed  il  situile  fecero  tutte 
l'altre  città  convicine.  Solo  Aversa  per  la  fa/ione,  che 
v'aveanp  le  genti  del  Papa,  feee •  alquanto  resistenza; 
ma  finalmente  bisognò,  che  cedesse  alla  forza  di  Man* 

(a)  Ànon.  (b)  Anonym.  Et  ideo  praedìctae  dùae  Cìvitates 
Neapolìs,  et  Capua  sponte  sua  se  ad  mandatum  Principis 
converterunt. 


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56  STORIA  CmiiE 

fredi,  ^eà  iu  breve  tutta  la  proyiticb  di  Terra  di  La-ì 
roro  di  sottopofte  alla  8«a  ubbidienza.  Ridotta  questa 
provincia,  passò  in  Capitanata,  ed  indi  in  Brindisi  per 
reprimere  la  sedizione,  che  T Arcivescovo  di  quella 
città  aveagli  fomentata:  la  ridusse  in  sua  fede,  ed  im*. 
prigionò  r  Arcivescovo.  Ariano  e  T  Aquila,  che  fii- 
rono  l'ultime  e  le  più  ostinate  a  mantenersi  in  ribel- 
lione, furono  da  lui  arse  e  distrutte. 

Cesi  avendo  questo  Principe  restituito  con  tanto  va- 
lore al  suo  dominio  tutto  il  Regno  di  Puglia,  si  di- 
spose di  passare  in  Sicilia  per  maggiormente  stabilirla 
nella  fede  regia,  e  purgare  queir  isola  d'ogni  vestigio, 
che  mai  vi  rimanesse  della  fazion  contraria.  Navigò  lo 
stretto,  ed  in  Messina  giunto,  fecevi  dimora  per  pochi 
giorni,  ed  indi  passò  a  Palermo  regia  Sede  degli  an- 
tichi Re  di  Sicilia. 

Intanto  il  Pontefice  Alessandro,  non  potendo  per 
se  solo  rintuzzare  le  forze  di  Manfredi,  rinovò  in  que- 
st'anno  12^17  le  pratiche  in  Inghilterra,  por  ridurre 
quel  Re  ad  accettar  rinyestitura  del  Regno  c^erta^ 
gli  per  Edmondo  suo  figliuolo;  e  narra  Matteo  Paris, 
che  Errico  vi  condescese;  ma  perchè  le  forze  non  erano 
pari  all'impresa,  il  Re  desiderava,  che  gV Inglesi  gli 
dessero  validi  ajuti:  per  la  qual  cosa  fece  egli  unire 
un  Parlamento,  e  fecevi  in  quello  comparire  Edmondo 
vestito  alla  Pugliese,  per  maggiormente  spingergli  a 
soccorrerlo,  acciocché  il  Regno  offertogli,  per  cagion 
loro  non  sLpcrdesae  (a);  ma  gì' Inglesi  niente  conchiu- 
Bero,  e  come  diremo,  nell'anno  i2i5g  il  trattato  rimase 
affatto  estinto;  e  Manfredi  per  vano  rumore,  essere 
Corranno  morto^  fattosi  incoronare  a  Palermo,  si  sta- 

(a)  Inyeges  Annal.  di  Paler.  tom.  3. 


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DEL  RÉGNO  DI  NAPOtI  L.XVIIL  «AP.IV.  67 

bili  nel  Trono  di  SiciKa  :  ciò  che  bisogna  rapportare 
nel  seguente  libro  di  quest'istoria. 

(Si  leggono  prèsso  Lunig  (a)  due  Brevi  d'Alessan- 
dro IV  uno  scritto  ad  Errico  Re  d'Inghilterra  padre 
d'Edmondo,  ed  un  altro  al  YescoYo  di  Erfotd,  per- 
chè in  vigor  dell'investitura  si  sollecitassero  per  que- 
sta spedizione^  e  mandassero  gente  e  '1  denaro  pro- 
messo per  discacciar  Manfredi  del  Regno). 

(a)  Limig.  God.  Ital.  Diplom.  p.  927  a  9^8. 


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STORIA   CIVILE 


DEL. 


REGNO  DI  NAPOLI 


LIBRO  DECIMONONO 


M, 


Lentrk  Manfredi  era  in  Palermo,  giqnse  quivi 
novella,  che  il  He  Corradino  fosse  morto  in  Alemagna; 
ma  in  questo  passo  d^  istoria  gli  Scrittori ,  secondo  le 
fazioni  contrarie,  non  convengono.  I  Guelfi,  come  Gio- 
vanni Villani  Fiorentino,  e  gli  altri  Italiani  di  quel 
partito  narrano,  che  Manfredi  per  eseguire  il  suo  scel- 
lerato pensiero,  che  lungo  tempo  sotto  contrario  manto 
nascondeva  d'usurpar  il  Regno  al  Re  suo  nipote,  a- 
vendo  tentato  invano  di  farlo  avvelenare,  avesse  ordi- 
nato alcuni  falsi  messi,  che  gli  portassero  nuova  di 
Germania,  prima  dell*  infermità,  e  poi  della  morte  di 
Corradino,  e  che  questo  rumore  sparso  in  Palermo, 
ed  in  tutte  le  città  del  Regno,  fosse  stato  tutto  per 
sua  astuzia  ed  inganno;  e  che  perciò,  per  maggior- 
mente farlo  credere ,  con  dissimulazione  grandissima 
di  dolore  inviò  a'  Baroni  e  Sindici  delle  terre  dell'  uno 
e  r  altro  Regno  cotal  avviso,  pubblicando  per  vera  la 
morte  di  Corradino,  e  che  avendo  in  Palermo  fatto 
celebrare  con  pompa  reale,  e  con  dimostrazione  di 


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DEL  REGNO  DI  NAPOLI  LIB.XIX.        5» 

grandissimo  lutto  i  funerali  per  la  finta  morte  di  quel 
Principe,  aT«s8e  egli  in  presenza  di  tutti  i  Conti,  Ba* 
toni  e  Prelati  ivi  concorsi,  fatta  una  gravissima  or^7 
zinne,  colla  quale  connumerando  i  benefio]  de-  Principi 
Normanni,  e  degli  Imperadori  Svevi  suoi  progenitori 
verso  Tuno  e  T altro  Regno,  e  Toperc  fatte  da  lui  ^ 
tempo  di  Corradino,  e  neir  infanzia  di  Gorradino  suq 
figlinolo,  pregò  tatti,  cbe  poiché  la  fortuna  in  sì  pec^ 
spazio,  mostrandosi  nemica  al  sangue  loro,  avea  man- 
dato sotterra  sì  grande  Imperadore,  com'  era  stato  Fej- 
derico  suo  padre,  con  tanta  numerosa  progenie,  non 
volessero  fraudar  lui  di  quella  successione,  cbe  la  yo* 
lontà  di  Dio,  e  quella  di  suo  padre  dichiarata  nel  di 
lui  testamento,  Tavea  destinata,  avendolo  lasciato  viva 
per  sua  misericordia,  dopo  la  morte  di  tanti  altri  Re> 
gali.  Ed  aggiungendo  poi  la  poca  speranza,  o  il  poco 
timore,  che  s'avea  da  teiiere  de^  Pontefici  romani,.pe|: 
essere  il  di  lor  governo  breve  e.  mutabile,  nel  quale 
la  morte  d^  uno  guasta  quanto  è  fatto  in  molli  ani|i 
di  vita,  e  lascia  al  suoibessore  necessità  di  cominciane 
ogni  cosa  da  capo:  vogliono,  cbe  queste  cose  dette 
da  lui  con  somma  grazia  e  con  mirabil  art^,  fosserd 
state  di  tanta  efficacia  e  vigore,  che  fu  immantenente 
da  tutti  salutato  per  loro  Re  e  Signore. 

Dall'altra  parte  l'Anonimo,  ancorché  iScrittor  con- 
temporaneo, ma  tutto  Ghibellina,  e  coloro  che  lo  se- 
guirono, narrano,  che  niente  Manfredi  usasse  di  timil 
inganni  ed  astuzie;  ma  che  sparsosi  nel. Regno  cotal 
rumore  della  morte  di  Corradino,  quasi  tutti  i  Conti, 
e  gli  altri  Magnati  del  Regno,  i  Prelati  ancora  dell^ 
Chiese  s' avviarono  immantenente  in  Sicilia  a  trovar 
Manfredi,  siccome  fecero  tutte  le  altre  città  dell'  uno 
t  l'altro  Regno,  con  mandar  i  loro  Sindici,  #   messi 


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6o  STORIA  CIVILE 

iti  Palettno:  dove  insieme  uniti  ^  di  concorda  colere 
tutti  lo  richiesero,  che  avendo  egli  stnora  con  tanta 
prudenza  governato  il  Regno  per  parte  sua,  e  di  Gort 
radino  suo  nipote,  essendo  questi  mancato,  dovesse^ 
agli  come  vero  erede  di  quello,  prenderne  il  governò, 
e  coronarsi  Re  di  Sicilia:  che  alle  grida  e  aMesiderii 
di  tutti,  essendo  concorso  i  Conti ,  i  Baróni  e  tutti  i 
Prelati  del  Regno  Y  avessero  gridato  Re,  e  colle  solite 
cerimonie  1*  incoronassero  nel  Duomo  di  Palermo  a'  1 1 
del  mese  di  agosto  di  quest^anno  .laSS  (a); 

Che  che  ne  sia,  se  Manfredi  colle  sue  arti  s*  avesse 
ciò  proccurato,  come  è  più  verisimile  a  chiunque  ri- 
guarda r ambizione'  ch'ebbe  di  dominare,  o  fosse  caso 
o  volontà  de' sudditi,  fu   egli   con   solenne  cerimonia, 
secondo  il  costume  de' maggiori  concorrendovi  tutti  i 
Conti,  Baroni,  e  gli  altri  Magnati  del  Regno,  con  molti 
Pillati,  gridato  e  coronato  Re,  assistendo  a  questa  sua 
incoronazione  infiniti  Vescovi   e  Prelati;  e  Rinaldo 
Vescovo  d'Agrigento,    che  celebrò  la   messa,  l'unse 
del  sacro  olio,  assistendovi  l'Arciveacovo  di  Sorrento, 
e  l'Abate  Cassinense ,  e  poscia  dagli   Arcivescovi  di 
Salerno,  di  Taranto  e  di  Monreale  gli  fu   posta,  nel 
Trono  assiso,  la  corona  Reale.  Alcuni  sognarono,  che 
Manfredi  si  fosse  fatto  anche  incoronare  Re  di  Puglia 
in  Bari  colla  corona  di  ferro,  siccome  dissero  di  Er- 
rico e  di  Gostanza;  ma  ancorché  il  Beatillo  nella  vita 
di  S.  Niccolò  di   Bari,   con  autorità  d'alquanti  mo« 
derni  Scrittori  s'ingegni  provarlo,  è  ciò  tutta  favola ^ 
non  essendovi  ninno  Scrittore  antico  o  contemporaneo» 
che  lo  rapporti. 
Tosto  che  il  Re  Manfredi  fu  assunto  al  aolio  del 

{a)  Anonym.  Ptrri.  Ra  inaldo. 


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DEL  REGNO  DI  NAPOLI  LIB.  XIX.  6i 
Regno,  per  obbligarsi  naggiormeiite  i  popoli,  ed  a- 
cquistarsi  nome  di  benefico,  e  di  liberale,  nella  festa 
della  sua  coronazione,  a  tatti  i  Sindici  delle  città  e 
terre,  che  ivi  si  trovarono,  fece  splendidissimi  doni, 
diede  uffici  e  molti  promosse  a  gradi  ed  onori  di  ca- 
Tallerìa.  Indi  di  Palermo  ritornò  tosto  in  Paglia  con 
alcuni  Saraceni^  per  tener  in  freno  i  Tedeschi;  ma 
/scorgendo  esser  tutte  le  province  pacate,  e  liete  del 
nuovo  suo  dominio^  e  che  erano  in  placidissima  pace, 
celebrò  un  general  Parlamento  a  Barletta ,  ove  onorò 
molti  deir  ordine  di  caralleria,  e  molt  altri  investì  di 
rari  Contadi,  dando  loro  per  lo  stendardo  l'investi* 
tura.  Dopo  questo  intimò  un'altra  general  Corte  in 
Foggia,  ove  ayendo  convocati  i  Baroni,  e^ gentiluomini, 
ornò  molti  altri  del  cingolo  della  milizia,  e  profusa- 
mente concedè  ad  altri  onori,  uffic)  e  preminenze;  e 
con  magnifici  giuochi,  feste  ed  illuminazioni  tenne  i 
popoli  tutti  allegri  e  festanti,  e  pieni  di  gioja. 

II  Pontefice  Alessandro  di  mal  animo  vedendo  i 
progressi  di  Manfredi,  ed  il  poco  conto  che  s'avea 
di  lui,  pensando  che  per  reprimere  le  costui  forze  non 
erano  sufficienti  quelle  della  Chiesa,  avea  già  sin  dal 
passat^anno  mbj  ripreso  il  trattato  con  Errico  Re  di 
Inghilterra,  invitando  Edmondo  suo  figliuolo  alla  con- 
qoista  del  Regno:  ed  in  effetto,  come  si  disse,  avea 
mandati  suoi  Legati  in  Inghilterra  a  portargli  rinve- 
stitura, per  la  quale  investiva  del  Regno  il  Re  Errico 
in  nome  d'Edmondo  suo  figliuolo,  che  allora  era  di 
minor  età.  E  già  Errico  in  nome  di  suo  figliuolo  diede 
il  giuramento  di  fedeltà  al  Legato;  e  si  erano  stabiliti 
i  patti  ed  il  censo,  che  4ovea  pagaì*8Ì  alla  Sede  Ap- 
postolica,  ed  avea  promesso  di  presto  venire  con  po- 
tente, armata  in  Regno  per  discacciarne  Manfredi.  Ma 


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«3  STORIA  CIVILE 

o  che  questo  Friricipe,  meglio  pensando,  non  volesse 
intrigarsi  in  questa  nuova  guerra,  o  che  il  censo  sta- 
bilito ne*  patti  dell*  investitura  fosse  veramente  grave 
ed  esorbitante,  differiva  V  espediziooe,  e  sollecitato  da 
Alessandro,  rispondeva,  che  bisognava  moderar  il  censo, 
ch'era  esorbitante,  prima  d'ogni  altra  cosa  (a).  Il  Papa 
impaziente  designò  tosto  di  mandare  in  Inghilterra 
Arlotto  Sottodiacono  della  Sede  Appostolica,  ed  il  suo 
Cappellano  per  trattar  di  questa  moderazione*,  ma  non 
fu  ciò  di  mestieri,  perchè  nell' isteftso  tempo  dal  Re 
Errico  furono  spediti  suoi  Ambascia  dori  al  Papa  TAr* 
civescovo  di  Tarantasia,  i  Vescovi  di  Bottun,  e  Rof- 
fense,  e  Maestro  Nicolò  di  Francia  suo  Cappellano 
Regio  per  trattare  di  quesV istesso  affare;  ma  essen- 
do^ costoro  affaticati  in  vano,  per  li  nuovi  torbidi 
insorti  in  Inghilterra,  finalmente  nel  seguente  anno  1^59 
s.vanì  ogni  trattato;  né  da  poi  si  pensò  più  in  Inghil- 
terra, ma  in  Francia  furono  rivolti  i  pensieri  d'Ales- 
sandro non  meno,  che  del  suo  successore  Urbano. 

Mentre  per  queste  cagioni  si  differiva  tal  espedi- 
zione, Manfredi  intanto  avea  già  discactiate  le  genti 
del  Papa  da  Puglia,  da  Terra  di  Lavoro  e  da  Sicilia: 
avea  presi  e  puniti  i  ribelli,  ed  erasi  già ,  come  si  è 
detto,  fatto  incoronare  Ra  in  Palermo.  Per  la  qual 
cosa  Papa  Alessandro  adirato  più  che  mai,  non  vo- 
lendo trascurare  via  di  vendicarsi,  e  vedendo  che  le 
atmi  temporali  niente  giovavano^  fu  tutto  rivolto  alle 
spirituali,  onde  alle  scomuniche,  ed  interdetti  fece 
ricorso. 

Prefigge  in  prima  eerto  termine  al  Re  Manfredi^ 
perchè  comparisse    avanti  di  lui  e  dassegli   soddisfa- 

{a)  Tutìn.  de'CoQtest.  p.  6u 


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DEL  REGNO  DI  NAPOLI  LIB.  XIX.  63 
zione,  ed  ammenda  di  tutto  ciò,  che  contro  la  Sede 
Appostolica  area  attentato,  altramente  T avrebbe  de« 
posto,  scomunicato  e  priyato  di  tutti  gli  onori;  ma 
non  comparendo  Manfredi,  poco  curante  di  queste  mi* 
naccie,  egli  lo  scomunica,  lo  dichiara  ribelle»  inimico 
della  romana  Chiesa,  e  sacrilego  occupatore  e  predone 
delle  sue  ragioni^  e  che  avea  stretta  confederazione 
co' Saraceni,  de' quali  s'era  fatto  Capo.  Lo  priva  del 
Principato  di  Taranto  e  di  tutti  i  feudi ,  ragioni,  onori 
e  preminenze.  Lo  dichiara  reo  di  esecrandi  delitti,  di 
aver  preso,  ed  in  oscuro  carcere  posto  Fra  Ruffino 
suo  Cappellano,  e  suo  Legato  in  Sicilia  e  Calabria; 
d'aver  stese  la  sacrileghe  mani  sopra  i  beni  delle  Chiese 
del  Regno  di  Sicilia;  d'aver  preso,  e  con  dure  catene 
tenuto  in  istrette  prigioni  T  Arcivescovo  di  Brindisi, 
con  ispogliarlo  di  tutte  le  sue  robe  ;  e  d' avere  con 
esecrando  ed  orribile  attentato  aspirato  al  soglio  re- 
gale di  Sicilia,  con  aver  occupato  quel  Regno  devo^ 
luto  alla  Sede  Appostolica,  e  sacrilegamente  fattosene 
incoronare  Re,  senza  sua  permissione  e  consenso.  Di* 
chiarava  perciò  col  voto,  e  consiglio  de' suoi  Cardinali 
Manfredi  scomunicato,  nulla  ed  irrita  la  sua  incoro- 
na/ione, e  tutti  gli  atti  di  unzione,  ed  ogni  altro  at- 
tinente a  quella. 

Interdisse  tutte  le  città,  luoghi  e  castelli,  che  rice- 
vessero Manfredi,  e  lo  avessero  per  Re.  Proibì  a  tutti 
gli  Arcivescovi,  Vescovi,  Abati  e  qualunque  altra  per- 
sona ecclesiastica  di  celebrare  i  divini  uffici  presente 
Manfredi,  e  che  non  ricevessero  da  lui  beneficii  eccle- 
siastici, e  nìuna  amministrazione  di  Chiesa  o  mona- 
steri; e  che  coloro,  che  si  trovassero  avergli  rìoevuti, 
fra  due  mesi  dovessero  onninamente  resignarglì. 

Oltre  ciò,  asserendo  egli,  che  mentr'  era  in  Napoli 


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64  STORIA  CIVILE 

rigorosamente  ayea  ordinato  a  tatti  i  Prelati»  ed  a  qoal* 
sivoglta  persona  ecclesiàstica ,  che  non  s'accostassero 
a  Manfredi,  né  gli  mandassero  amhasciadori,  né  rice- 
Tessero  messi  da  lui  inviati,  né  gli  prestassero  ajuto, 
o  consiglio;  che  ciò  non  ostante,  contro  questo- suo 
divieto^  quasi  tutti  gli  Arcivescovi^  Vescovi,  Abati  ed 
.  «Uri  Prelati  del  Regno  di  Sicilia  s' erano  portati  a  Pa- 
lermo, 4^  erano  intervenuti  alla  di  lui  incoroAazIene: 
perciò  avea  fatti  citar  generalmente  tutti  coloro,  che 
v'erano  intervenuti,  e  nominatamente  alcuni,  che  do« 
vesserò  comparire  personalmente  fra  certo  termine. a- 
vanti  di  lui;  ma  perchè  ninno  era  comparso^  niente 
curando  della  intimazione  fattagli;  perciò  scomunicava 
Binaldo  Vescovo  d' Agrigento ,  e  lo  deponeva  dalla 
yescovil  dignità,  per  aver  colle  sacrileghe  sue  mani 
unto  in  Re  quel  Principe,  ed  avea  nel  giorno  delF  in- 
coronazione solennemente  celebrata  la  messa.  Scomu- 
nicava ancora  T Arcivéscovo  di  Sorrento,'  e  lo  depo- 
neva della  sua  Chiesa  come  anche  Y  Abate  Cassi- 
nènse, privand<»Io  del  governo  di  quel  monasterio  per 
aver  assistito  a  detta  unzione  e  coronazione;  coman- 
dando a' Capitoli  delle  Chiese  d'Agrigento  e  di  Sor- 
rento, al  Convento  del  monasterio  di  Cassino,  ed  a  tutti 
i  vassalli  delle  Chiese  e  monasterio  suddetti  che  non  li 
ubbidissero  né  li  riconoscessero  per  tali  ;  né  più  gli 
contribuissero.  V  entrate  e  loro  ragioni.  Agli  Arcive- 
scovi di  Salerno,  di  Taranto  e  di  Monreale,  ch'erano 
parimente  intervenuti  alla  coronazione,  li  quali  all'inde- 
gno capo  di  Manfredi  avean  posta  la  real  corona , 
Taveano  posto  nel  regal  Trono  di  Palermo^  citò  eoa 
termine  perentorio  e  prefisso,  che  dovessero  personal- 
mente presentarsi  avanti  di  lui  nella  prossima  festività 
dell'  ottava  de'  SS.  Pietro  e  Paolo.  La  carta  di  queste 


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DEL  REGNO  DI  NAPOLI  LIB.  XIX,  65 
terrìbili  censiH'e  che  Alessandro  scagliò  contro  Man- 
iredi  e  suoi  partigiani,  ore  con  formole  orrende  si  lan- 
ciano tanti  fulmini  ed  interdetti ,  vien  rapportata  dal 
Tutine  e  si  legge  nel  suo  trattato  de'  Contestabili  del 
Regno  <a). 

Ma  dt  questi  fulmini  non  si  facea  alcun  conto^  erano 
riputati  Tani  e  senza  ragioneyol  cagione  scagliati;  onde 
-non  si  mossero  punto  né  Manfredi  né  le  città  del  Re- 
gno né  i  Prelati ,  né  que'  Popoli  ad  obbedirgli  ;  anzi 
Man£tcdi  godendo  il  frutto  delle  tante  sue  vigilie  e  su* 
dori,  sovente  diyertivasi  in  giuochi  e  nelle  caecie  rigo- 
rosamente comandando  che  si  proseguissero  per  tutte 
le  Chiese  del  Regno,  come  prima  i  divini  uffici,  nel 
che  non  incontrò  veruna  repugnanza  ne' Prelati^  ed  in 
tutte  r  altre  persene  ecclesiastiche.  £  resosi  da  per  tutto 
potente  e  glorióso,  già  stendeva  le  sue  forze  fuori  dei 
confini  del  Regno,  e  nell*  altre  parti  d'Italia  avea  reso 
celebre  e  famoso  il  suo  nome,  tanto  c^he.per  lui  la  fa- 
zione Ghibellsna  cominciò  a  sollevarsi  sopra  la  Guelfa; 
ed  in  Lombardia  ed  in  Fiorenza  avea  fatti  mirabili 
progressi; 

E  perché  vedeva,  che  T  opulenza  delP  uno  e  T  altro 
Regno,  ancorché  fosse  grande,  non  avrebbe  bastato  a 
mantenere  grandi  •eserciti  come  bisognava,  che  e' tenesse 
per  r inimicizia  de' Pontefici  romani,  prese  partito  di 
mandare  parte  dell'  esercito  in  Toscana  e  parte  in  Lom- 
bardia in  sussidio  de'  Ghibellini  ;  onde  venia  insieme 
ad  evitar  la  spesa,. ed  a  divertire  il  pensiero  del  Pap,a 
dal  molestarlo^  al  quale  era  più  necessario  attenderti 
alla  conservazione  de' Guelfi,  del  patrimonio  di  S.  Pie- 


(a)  Tutin.  cUì' Contest.  pag.  63  et  64- 

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06  STORIA  CIVILE 

tro^  di  Romagna  e  della  Marca  (a).  Ed  egli  rimase  nel 
Regno,  dove  trattanto  viveya  quei  tempo  con  moita 
felicità  e  splendideeza  :  dimorando  nelle  cittì  marittime 
di  Puglia  e  più  d\  ogni  altra  io  Barletta. 

Or  mentr'egll  dimorava  in  questa  città  giunsero  quiti 
gli  Ambasciadori  della  Regina  Elisabetta^  secondo  TA- 
nonimo,  ovvero  di  Margherita  (  secondo  per  una  carta 
che  rapporta,  crede  il  Summonte  )  madre  del  Re  Cor' 
radino  e  del  Duca  di  Baviera,  i  quali  esposero  a  Man- 
fredi la  loro  ambasciata  dicendogli,  che  Gorradino  era 
vivo,  e  che  si  dpveano  punire  quelli  che  falsamente  avea- 
no  pubblicatala  sua  morte;  onde  in  nome  della  Regina 
e  del  Duca  lo  pregavano  che  volesse  lasciare  il  Regno, 
che  legittimamente  era  di  Gorradino.  Manfredi  ricevè 
gli  Ambasciadori  con  grand*  onore  e  stima;  e  come 
molto  accorto  e  prudente  avendo  prevista  l'ambasciata, 
prontamente  loro  rispose:  ch'era  già  notorio  e  palese 
a  tutti,  che  il  Regno  era  perduto  per  Gorradino,  e  che 
egli  con  tanti  sudori  e  vigilie  per  viva  forza  avealo 
ricuperato  dalle  mani  di  due  Pontefici:  ch'essendo 
Gorradino  di  poca  età  tornerebbe  facilmente  a  perderlo; 
ed  i  Pontefici  romani  fieri  inimici  della  casa  Sveva 
con  facilità  glielo  ritoglierebbero;  olire  che  le  genti  del 
Regno  non  avrebbero  comportato,  dovendosi  egli  valere 
de'  Tedeschi,  dei  quali  aveano  orrore,  che  dominasse 
più  in  quello  la  nazion  tedesca:  che  non  bisognava  ora 
che  i  popoli  erano  assuefatti  al  suo  dominio,  ed  alle 
sue  maniere  placide  ed  all'  Italiana,  con  dar  loro  nuo^o 
Principe,  mettersi  in  pericolo  di  nuo^e  rivoluzioni;  e 
perchè  si  scorgesse,  che  non  per  ambizion  di  regnare^ 
ma  per  maggior  utile  del  piccolo  Re,  egli  non  lasciava 

{a)  Costanzo  lib.  i  faist.  di  Nap. 


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DEL  REGNO  DI  NAPOLI  LIB.  XIX.  67 
ii  Regno,  prometterà  di  conservarlo  per  lai  e  gover- 
narlo per  lui,  e  mentr'egii  vivea,  e  da  poi  lasciarlo  a 
Corradino:  che  perciò  avrebbe  la  Reina  fatto  assai  pru- 
dentemente di  mandarlo  a  lui  ad  allevare ,  acciocché 
apprendesse  i  i^ostumi  italiani  percb*  egli  T  avrebbe  te- 
nuto, non  come  nipote,  ma  come  proprio  suo  figliuo- 
lo (a).  Gli  Ambasciadori  ricevuta  tal  risposta,  chiesta 
licenza,  si  partirono  riccamente  presentati;  e  mandò  al 
Duca  di  Baviera  dieci  corsieri  bellissimi,  ed  al  picciolo 
Corradino  molte  gioie. 

Rimandati  con  queste  risposte  i  Legati  del  Duca  e 
della  Regina,  riputando  questa  infelice  Principessa 
esser  molto  dura  e  difficil  impresa  poter  colle  sue 
forze  ritoglier  ora  dalle  mani  di  Manfredi  il  Regno, 
le  fu  forza  dissimular  il  tutto,  riaerbando  a  tempo  mi- 
gliore di  poter  vedere  il  piccolo  Re  suo  figliuolo  re- 
stituito al  Trono  di  Sicilia. 

loUnto  Manfredi  stabilito  ora  più  che  mai  nel  Re- 
gno, avendo  abbassate  le  forze  del  Pontefice,  e  dei 
Guelfi  in  Italia,  s'era  reso  formidabile  a  tutta  Italia, 
avea  esteso  oltre  quella  la  sua  fama  e  grido  per  tutte  le 
altre  Nazioni  d' Europa  per  lo  "suo  coraggio ,  munifi- 
cenza e  splendidezza,  e  per  tutte  le  altre  virtù ^  che 
adornavano  la'  sua  persona ,  veramente  regie.  Si  vide 
perciò  favorito  e  stimato  da  quasi  tutti  i  Principi  di 
Europa,  co^  quali  egli  trattava  con  estraordinaria  ma- 
gnificenza e  splendore;  ed  accadde  in  questi  tempi, 
ch'essendo  venuto  a  Bari  Baldovino  Imperador  di  Co- 
stantinopoli, trovandosi  egli  in  Barletta,  andò  subito 
cortesemente  a  riceverlo,  e  Io  trattenne  in  splendidis- 
sime feste  e  diversi  giuochi  d'armi:  e  non  perdonando 

\ii)  Costanzo  lib.  3. 


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6«  STORU  CIVILE 

A  Spese,  fece  far  superbi  apparati  e  giostre  contioue, 
ove  furono  invitati  i  Signori  più  rìgaardevoli  cosi  deU 
Vuno,  come  delF  altro  reame* 

Ver  la  celebrità  della  fama,  che  aveasi  don  sì  gè* 
nerosi  modi  acquistata,  fu  mosso  il  Re  Giacomo  d'A* 
ragona  a  volersi  imparentar  con  lui,  sposando  il  suo 
primogenito  Pietro  d'Aragona  alla  sua  figliuola  Co- 
stanza^ ch'egli  avea  generata  di  Beatrice  figliuola  di 
Amadeo  Conte  di  Savoja  sua  prima  moglie,  presa  in 
tempo,  che  ancor  vivea  Tlmperadore  suo  padre  (a); 
ed  il  Marchese  di  Monferrs^to  si  sposò  un  altra  sua 
figlipolar 

Dispiacquero  al  Pontefice  Alessandro  queste  paren*- 
.tele,  e  per  impedire  quella  col  Re  d*  Aragona  ingiunse 
a  Raimondo  di  Pennaforte  Frate  Domenicano,  e  ce- 
lebre  per  la  sua  Compilazione  delle  Decretali j  che 
s'adoperasse  con  ardore,  ed  efficacia  appresso  quel 
Re,  di  cui  egli  era  Confessore,  per  frastornarla;  ma 
4utti  gl'impegni  del  Papa,  e  le  insinuazioni  di  Fra 
Raimondo  a  nulla  valsero  ;  laonde  vedutosi  Alessan- 
dro fuor  di  speranza,  non  ebbe  ardire  per  quel  tem* 
pò,  che  sopravvisse,  di  mai  più  molestarlo;  per  la  qual 
cosa  Manfredi  insino  alla  morte  d'Alessandro,  regnò 
con  molta  quiete  e  felicità ,  riordinando  le  cose  del 
Regno;  e  nato  per  opre  magnifiche,  volle  anco  presso 
di  noi  lasciar  di  se  perenne  ed  inimortal  memoria, 
^on  fondare  alla  falda  del  Gargano  ne'  lidi  del  mare 
una  magnifica    città,   che   estinse  affatto   l'antica   Si- 


(a)  Anonyra.  Et  filiam  suam  Constaptiam,  quam  ex  prima 
consorte  sua  Beatrice,  fllia  quondam  A.  Sabaudlae  Comitis» 
Imperatore  vivente,  susc^perat,  Don  Pelro  primogenito  dicti 
llegis  Aragonum  naatrimonip  copulavi!. 


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DEL  REGNO  DI  NAPOLI  LIB.  XIX         69 

ponto,  é  che  dal  suo  insino  ad  ora  ritiene  il  nome  di 
Manfredonia  ^  ancorché  Carlo  d'Angiò  occupato  il  Re- 
gno,  ed  i  romani  Pontefici  per  Timplacabil  odio  al 
nome  di  Manfredi,  avessero  fatto  ogni  studio,  perchè 
non  Manfredonia^  ma  Nuovo,  Siponto  s'appellasse* 

Il  Pontefice  Alessandro  non  potendo  sostener  di 
vantaggio  i  continui  dispiaceri,  che  per  le  prosperità 
di  Manfredi,  e  de'  Ghibellini  riceveva  neir  animo,  vinto 
finalmente  da  grave  cordoglio ,  jnentr  era  colla  sua 
Corte  a  Viterbo ,  gravemente  infermossi ,  ed  indi  a 
poco  uscì  di  vita  in  quest'anno  1260  secondo  T Ano- 
nimo,  perchè  il  Sigonio,  Inveges  ed  altri  comune- 
mente riportano  la  sua  morte  nell'anno  seguente  idGi* 

I  Cardinali  neir  elezione  del  successore  furono  ia 
grandissimi  contrasti;  e  finalniente  non  potendo  infra 
di  loro  convenire,  dopo  tre  mesi  elessero  persona  fuori 
del  lor  Collegio.  Questi  fu  Giacomo  Patriarca  di  Ge- 
rusalemme, che  si  trovava  allora  in  Viterbo  per.  pra^ 
movere  col  Papa  alcuni  interessi  della  sua  Chiesa^ 
Egli  era  di  naaione  franzese,  uomo  di  grande  spirito- 
zelantissimo  di  promovere  le  pretensioni  della  romana 
Corte,  ed  in  conseguenza  fiero  inimico  di  ManjEìredi^ 
•  de^  suoi  Ghibellini.  Urbano  IV  nomossi;  nome  assai 
luttuoso,  e  memorando  all' infelice  Casa  di  Sve^via. 


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70  STORIA  CIVILE 

CAPITOLO  L 

Spedizione  J^Urbaho  IV   contro   Manfredi;   ed  inviti 
fatti  in  Francia  per  la  conquista  del  Regno. 


Il  Re  Manfredi  intesa  reiezione  d'Urbano  oltre- 
BQKido  turbossene,  e  cominciò  a  temere  non  volesse  rì- 
eorrere  alle  forze  di  Francia  per  turbar  qaella  pace, 
ch'ora  godeva  il  Regno.  Né  faron  vani  i  suoi  sospetti, 
poiehè  il  nuovo  Pontefice,  appena*  assunto  al  Pon* 
teficato,  adoperò  nuovi  mezzi  perchè  il  Re  Giaco- 
mo d'Aragona  disfacesse  il  matrimonio  già  conchiuso 
da  Pietro  suo  figliuolo  con  Costanza  figliuola  di  Man- 
fredi {a)  ;  e  per  mostrare  maggior  coraggio  del  suo 
predecessore,  volle  sul  bel  principio  ritrattar  la  causa 
di  Manfredi;  onde  nel  di  della  Cena  del  Signore  in 
presenza  d'innumerabil  concorso  di  popolo  solennemente 
gli  spedì  una  terribile  citazione  (&),  e  per  renderla  più 
strepitosa,  la  fece  affiggere  nelle  porte  delle  Chiese, 
per  la  quale  citava  Manfredi  di  dover  comparire  avanti 
di  lui  per  purgarsi  e  difendersi  sopra  molti  altri  gravi 
ed  enormi  delitti,  e  ricever  da  lui  que'  castighi  e  quella 
pene^  che  la  giustizia  gli  avrebbe  persuaso  d'imporgli. 

I  delitti  ch'erano  espressi  in  quella  citazione  rap- 
portata dal  Tutini  (e),  e  sopra  de'  quali  voleva  pren- 
der ammenda ,  erano ,  che  Manfredi  per  mano  de'  Sa- 
raceni avea  fatto  abbattere  e  minare  sin  da'  fondamenti 
la  città  d'Ariano;  che  avea  fatto  vergognosamente  uc- 

(a)  Inveges  Ann.  di  Palermo >  tom.  3.  {b)  Anonjm.  (e)  Tu* 
fin.  deXoatest.  del  Regno  fol.  67. 


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DIBL  REGNO  DI  NAPOLI  L.XIX.  GAP.  I.     71 

ddere  Tommaso  d*Oria  e  Tommaso  Salice;  area  data 
crudel  morte,  e  con  tradimento  a  Pietro  Ruffo  di  Ca* 
labria  Conte  di  Gatanxaro,  e  fatta  crudel  strage  di  molti 
fedeli  della  romana  Chiesa. 

Che  in  disprezzo  dell' autorità  Appostolica,  e  delle 
i;ensure  ecclesiastiche,  ed  in  deslruzione  di  quelle,  fa« 
cera  celebrare  avanti  di  lui  ne'  luoghi  interdetti  i  di« 
vini  Ufficj,  ciò  che  non  era  senza  sospetto  d'eretica 
pravità:  e  che  citato  perciò  dal  suo  predecessore  Ales- 
sandro, né  comparendo,  era  stato  da  colui  scomunicato. 

Che  egli  in  obbrobrio  della  fede  cattolica,  preferiva 
9l  Cristiani  i  Saraceni,  valendosi  de'  loro  riti,  e  con- 
versando con  essi  assai  famigliarmente  ;  che  avea  ri- 
dotto il  Regno  di  Sicilia  ad  uno  stato  ignominioso  ed 
in  dura  servitù ,  per  T  acerbe  taglie  ed  imposizioni , 
eolle  quali  gravava  gli  abitatori',  che  s'era  anche  im- 
brattato del  sangue  de*  suoi  congiunti;  ed  avea  fatto  pro- 
ditoriamente trucidare  Corrado  Busario  Nunzio  e  vas- 
Hallo'  di  Corradino;  oltre  di  molti  esecrandi  eccessi,  per 
li  quali  era  dannato  di  notoria  infamia. 

Manfredi,  ancorché  non  personalmente  citato,  ma  in 
Quella  maniera,  per  editto,  udita  la  citazione,  non  volle 
mancare  di  mandar  tosto  suoi  nunzj  al  Papa  per  di- 
fendersi di  quanto  se  gì' imputava;  ma  ne  furono  tosto 
rimandati  indietro  senza  conchiuder  niente;  ed  appros- 
simandosi il  tempo  prefisso  alla  citazione  di  dover 
comparire,  tornò  Manfredi  a  mandare  altri  suoi  Messi; 
vi  spedi  il  Giudice  Aitardo  da  Venosa^  e  Giovanni  da 
Brindisi  Notai  suoi  famigliari,  i  quali  con  premurosa 
istanze  dimandarono,  ch'essendo  stato  Manfredi  citato 
per  cause  ardue  e  gravi,  non  poteva  commettere  a 
niuno  de*  suoi  Ni^nzj  la  sua  difesa,  ma  che  sa- 
rebbe egli  personalmente  venuto  i|  presentarsi   avanti 


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72  STORIA  CIVILE 

il  Papa  ed  il  Collegio  de'  Cardinali ,  porche  pera 
se  gli  spedissero  dal  Pontefice  lettere  di  assicura' 
mento,  affinchè  doyendo  passare  per  luoghi  della 
Chiesa  non  ricevesse  molestia  ed  ostilità.  Il  Papa  gli 
concedè  sì  bene  licenza  di  poter  venire,  ma  ristrinse 
il  numero  di  eoloro,  che  doveano  per  sua  ^  custodia 
accompagnarlo,  e  che  ent-rasse  senz'armata;  onde  Man- 
fredi  temendo  di  qualche  insidia  incammitiossi  alla 
volta  del  Pontefice,  ma  per  sua  sicurezza  portò  seco 
competente  numero  di  soldati  e  molti  Cavalieri  per 
sua  compagnia.  Urbano  ciò  reputando  una  gran  te- 
merità di  Manfredi,  sordo  ed  implacabile  a  quel,  che 
per  sua  discolpa  allegavano  i  suoi  Ambasciadojri,  rotto 
ogni  indugio,  rinovò  le  censure  contro  Manfredi,  e 
con  celebrità  grande  non  altrimente  di  quel  che  fece 
il  suo  predecessore  di  nuovo  Io  scomunica,  -lo  dichiara 
tiranno,  eretico  ed  inimico  della  Chiesa  (a). 

Allora  Manfredi  toltasi  ogni  lusinga  di  poter  en- 
trare in  gra/.ia  d' Urbano ,  vedendolo  .risoluto  ai  suoi 
danni,  e  che  non  vi  era  alti'o  rimedio,  che  reprimere 
la  sua  alterigia  colla  forza  ^  libando  subito  ad  assol- 
dare nuove  compagnie  di  S.araceni,  spedendole  a'  con- 
fini del  Regno,  perchè  infestassero  lo  Stato  della  Chiesa 
in  Campagna  di  Roma  ;  ed  altre  truppe  mandò  nella 
Marca  d'Ancona,  ritirandosi  egli  in  Puglia  a  provve- 
dere a'  bisogni  d'una  buona  guerra,  che  già  prevedea 
doversi  fare  con  Urbano. 

Queste  mosse  accrebbero  in  guisa  Io  sdegno  e  Tira 
neir animo  del  Papa,  che  non   contento  d'aver  umi- 


(ù)  Atiouyni.  Excusaloram  l'taque  praedictorum  allegatio- 
nibus  non  discussis,  ipse  Suniraus  Poutif^x  eum  vidcuIo  exeonH' 
municatìonis  adstriaxit 


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DEL  REGNO  DI  NAPOLI  L.XIX.  CAP.L     7$ 

liati  i  Svevi  in  Oermaiìia,  cercò  anche  abbattergli  in 
Italia;  ed  aprendo  scorto,  che  i  rioorai  fatti  da'  suoi 
Predecessori  in  Inghilterra  erano  riusciti  tutti  yani, 
yoli^  tentare  se  in  Francia  potessero  avere  miglior 
successo.  Spedì  pertanto  ìtì  M.  Alberto  Notajo  Ap- 
postolico,  a  trattare  col  Re  Lodovico  perchè  acoet 
tasse  rinvestitura  per  alcuno  de*  tre  minori  suoi  fi-, 
gliuoli ,  che  erano  Giovanni  Conte  di  Nevers,  Pietro 
Conte  d' Aleazon,  e  Roberto  Conte  di  Chiaramoute.  Ma 
il  Santo  Re  non  accettò  Tofferta,  temendo  (come  rap- 
porta Rainaldo  (a)  per  una  lettera  di  questo  Ponte- 
fice scritta  al  soprannominato  Alberto  )  di  non  scan- 
dalizzar il  Mondo,  assaltando  un  Regno,  che  a  Cor- 
radino  Svevo  era  dovuto  per  eredità,  e  «d  Edmondo 
d'Inghilterra  donato  per  investitura  d'Alessandro  IV* 

Escluso  per  tanto  Urbano  dal  Re  Lodovico  si  ri- 
volse a  pubblicar  la  Crociata  in  Francia:  laonde  mandò. 
ivi  un  Legato  Appostolico  ad  assoldare  buon  numero 
di  gente,  ed  a  predicare  l'indulgenza  plenaria  e  re- 
missione de'  peccati  a  chi  pigliava  Tarme  centra  Man- 
fredi, dichiarandolo  per  tiranno,  eretico,  ed  inimico 
della  Chiesa. 

Il  Legato  giunto  in  Francia  pubblicò   la   Crociata, 
ed  assoldò  gran  numero  di  soldati  sotto  Roberto  Oonte 
di  Fiandra   genero  di  Carlo    Conte  di  Provenza  e  di 
Angiò,  il  quale  venuto  in  Italia  con  buon  numero  di 
Cavalieri  fraozesi,  in  tal  modo  rilevò  le  cose  de'  Guelfi, 
e  sbigottì  i  Ghibellini,  che  il  Re  Manfredi  rivooò  gran. 
parte  delle  genti,  che  teneva  sparse  in  Italia  in  favore  • 
de'  Ghibellini;  per  la  qual  cosa   i  Guelfi   di  Tosc0na. 
e  di  Romagna  andarono  ad  incontrar  Roberto,  ed  in- 

(a)  Rainald.  ad  aAn.   1262  num.  si. 


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74  STORU  CIVILE 

8Ìeme  con  lui  debellarono  il  Marchese  Uberto  Palla- 
vicino. Il  Re  Manfredi  per  accorrere  a*  mali  più  gra- 
tti, si  risolvè  di  passare  >egli  in  Campagna  di  Roma, 
e  ponersi  in  luogo  opportuno,  ove  potesse  esser  pre- 
sto a  vietare  a'  nemici  l'entrata  nel  Regno,  o  venis- 
sero per  la  via  d'Abruzzo,  o  di  Terra  di  Lavoro; 
e  subito  andossene  ad  accampare  con  tutto  T  esercito 
tra  Fresinone  ed  Anagni  (a). 

Era  allora  il  Papa  in  Viterbo  y  e  volle  che  Roberto 
.Conte  di  Fiandra  con  tutto  l'esercito  passasse  di  là, 
dove  benignamente  l'accolse,  lodandolo  ed  accarezzando 
lui  e  gli  altri  Capi  delP esercito;  e  benedisse  le  ban- 
diere e  le  genti,  con  esortarlo,  che  seguisse  il  viag- 
gio felicemente,  mandandolo  carico  dì  lodi  e  di  pro- 
messe: delie  quali  gonfiato  Roberto^  si  mosse  con  tanto 
impeto  centra  il  Re  Manfredi,  che  sehza  fermarsi  in 
Roma  un  momento,  andò  ad  accamparsi  vicino  a  lui« 

Ma  il  Re  conoscendo,  che  non  era  per  lui  di  fron- 
teggiare nella  campagna,  ma  più  di  munir  le  terre', 
e  guardar  i.  passi,  per  temporeggiare  quella  Nazione, 
che  di  natura  è  impaziente  delle  fatiche,  quando  vaiino 
a  lungo,  si  ritirò  di  qua  dal  Garigliano,  da  quella 
parte,  che  divide  Io  Stato  de;lla  Chiesa  dal  Regno  di 
Napoli;  e  già*  Roberto  cercava  di  passar  ancora  quel 
fiume.  Ma  perchè  la  mano  del  Signore  avea  riser* 
bato  ad  altri  il  ministerio  della. mina  di  Manfredi, 
ecco  che  i  Romani  si  ribellarono,  e  tolsero  in  tutto 
l'ubbidienza  al  Papa,  e  crearono  un  nuovo  Magistrato 
detto  de'  Banderesi;  per  la  qual  cosa  Urbano  fu  stretto 
a  chiamare  T  esercito  franzese,  per  mantenere  almeno 

{a)  Costanzo  lib.   ^, 


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DEL  REGNO  DI  NAPOLI  L.XIX.CAP.t      75 

con  la  persona  sua  il  resto  dello  Stato  ecclesiastico; 
che  non  seguisse  T  esempio  di  Roma. 

Non  lasciò  (Manfredi  di  pigliare  sì  opportuna  oc- 
casione, e  di  travagliarlo;  poiché  partito  che  fu. dal- 
l' altra  riva  del  fiume  V  esercito  nimico,  passò  solo  coi 
Saraceni,  ricusando  i  suoi  Baroni  regnicoli  d'andare 
i^oa  lui  ad  offesa  delle  terre  della  Chiesa,  col  prete- 
sto che  r  obbligo  loro  era  solo  di  militare  per  la  di- 
fensione  del  Regno  (a)  ;  come  se  non  fosse  difender  il 
Regno,  con  tal  dÌTcrsione  abbattere  le  forze  del  ne* 
mico.  Ma  Manfredi  cedendo  al  tempo,  dissimulò  T  ab- 
bandona mento,  e  con  placidezza  diede  a  tutti  licenza, 
perchè  partissero  ed  andassero  quietamante  alle  lor 
case:  gli  richiese  solamente  a  titolo  d' imprestito,  che 
lo  sovvenissero  di  que*  danari  che  arcano  portato  seco 
per  le  spese:  ciò  che  fu  trattato  dal  Conte  di  Caserta, 
e  così  fu  fatto. 

L' intrepido  Re  solamente  co*  suoi  Saraceni  andò 
verso  Roma ,  e  porgendo  aiuto  agli  altri  ribelli  del 
Papa,  perturbò  tanto  lo  Stato  ecclesiastico,  che  quelli 
Franzesi  ch'erano  venuti  al  soldo,  non  potendo  aver 
le  paghe,  se  ne  ritornarono  di  là  dal|'A]pi,  e  gli  altri 
«he  rimasero,  appena  bastarono  a  difenderlo. 

L  Invita  d' Vv^xao  fatto  a  Carlo   d'Angi^ 
per  la  conquista  del  Regno.  * 

Questo  accidente  accaduto  al  Papa  co'  Romani, 
el  veder  co' suoi  ribeUi  unito  Manfredi,  accrebbe  di 
tanto  sdegno  ed  ira  T  animo  d'  Urbano ,  che  lo  fece 
pensare  a  più  potenti  ed  efficaci  modi  di  minarlo  ^ 

(a)  y.  Jacob,  ds  Ajello  tract  àe  Adoha,  aum.  iS. 


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76  STORIA  CIVILE 

e  perchè  vedeva  con  isperienza,  che  le  tbrste  del  Pan-' 
efìcato  non  erano  bastanti  ad  assoldare  esercito  tanto 
possente,  che  potesse  condurre  a  fine  si  grande  im- 
presa, chiamò  il  Collegio  de' Cardinali  (a),  e  con  una 
gravissima  ed  accurata  orazione  commemorando  le  in- 
giurie e  gr  incomodi^  che  per  Jo  spazio  di  cincpianta 
anni  la  Chiesa  romana  avea  ricevuti  da  Federico,  da 
Corrado  e  da  Manfredi  senza  ninno  rispetto ,  né  di 
religione  né  d'umanità,  propose,  ch'era  molto  neces- 
sario non  solo  alla  reputazione  della  Sede  A|>postolica, 
ma  ancora  alla  salute  delle  persone  loro,  di  estirpare 
quella  empia  e  nefanda  progenie;  e  seguendo  la  sen- 
tenza della  privazione  di  Federico  data  nel  Concilio 
di  Lione  da  Papa  Innocenzio  IV  concedere  l'uno  e 
l'altro  Regno,  giustamente  devoluto  alla  Chiesa,  ai 
alcun  Principe  valoroso  e  potente,  che  a  sue  spese 
togliesse  r  impresa  di  liberare  non  solo  la  Chiesa,  ma 
tanti  Popoli  oppressi  ed  aggravati  da  quel  perfido  e 
crudel  tiranno,  dal  quale  parevagli  ad  ora  ad  ora  di 
vedersi  legare  con  tutto  il  sacro  Collegio,  e  mandarsi 
a  vogare  i  remi  nelle  galee.  Queste  e  simili  parola 
dette  dal  Papa  con  gran  veemenza  commossero  l' ani- 
mo di  tutto  il  Collegio,  e  con  gran  plauso  fu  da  tutti* 
lodato  il  parer  di  Sua  Santità,  e  la  cura  che  mostrava 
avere  della  Sede  Appostolica  e  della  salute  comune. 
Si  venne  perciò  alla  discussione  intorno  ali*  elezione 
del  Principe:  e  poiché  dal  Re  Errico  d'Inghilterra 
non  era  da  sperarsi  cos' alcuna  per  esser  lontano,  per 
essersi  veduto  fio  ora  inutilmente  averlo  aspettato  tanto, 
bisognava  metter  Y  occhio  ad  altro  Principe.  Dal  He 
di  Francia  esserne  già  stato  escluso.  Ne  era  da  sperar 

ip)  Costanzo  lib.  i. 


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DEL  REGNO  DI  NAPOLI  L.XIX.  C AP.  I.     77 

«occorso  da  Alemagna,  implicata  allora  tra  fiere  guerre 
per  l'elezione  di  due  Re  de' Romani,  cioè  d'Alfonso  X 
Re  di  Spagna  e  di  Rainulfo  fratello  del  Re  il  Inghil- 
terra. Gli  altri  Principi  di  Spagna  essere  parte  a  Man- 
fredi congiunti  di  sangue,  e  parte  lontani  ed  impo- 
tenti; x)nde  non  restava,  che  dalla  Francia,  come  non 
molto  lontana  e  sempre  propensa  a  soccorrere  la  Chiesa 
romana^  di  ricercar  ajuto. 

Era  allora  Carlo  Conte  di  Provenza  assai  famoso  in 
arte  militare  ed  illustre  per  le  gran  cose  fatte  da  lui 
oontra  gì'  Infedeli  in  Asia  sotto  le  bandiere  di  Re  Luigi 
di  Francia  suo  fratelfo  (a),  colui  che  per  Tinnocenza 
di  sua  vita  adoriamo  ora  per  Santo;  e  perchè  era  an- 
cora ben  ricco  e  possedeva  per  Y  eredità  della  moglie 
tutta  Provenza,  Linguadoca  e  gran  parte  del  Piemonte; 
parve  al  Papa  ed  a  tutto  il  Collegio  subito  che  fu  no- 
minato che  fosse  più  di  tutti  gli  altri  attissimo  a  que- 
Ma  impresa;  onde  senz'altro  indugio  elessero  Barto- 
lomméo  Pignatello  già  Arcivescovo  d' Amalfi ,  ed  ora 
di  Cosenza  e  poi  di  Messina  (b)^  per  andare  con  titolo 
di  Legato  Appostollco  a  trovarlo  in  Provenza  e  riferir- 
gli ia  buona  volontà  del  Papa  e  del  Collegio  di  farlo 
Re  di  due  Regni,  ed  a  trattare  la  venuta  sua  e  solle- 
eitarla  quanto  prima  si  potesse. 

Fu  anche  in  quest'anno  i263  da  Urbano  inviato  in 
Inghilterra  altro  Legato  al  Re  Errico  e  ad  Edmondo  suo 
figliuolo^  affinchè  non  volendo  accettar  i  patti  contenuti 
nell'investitura  concessa,  né  essendo  in  istato  di  adem- 
pir le  condizioni,  ooUe  quali  era  stato  il  Regno  con- 
jceduto,  rinunziassrro  in  mano  del  detto  Legato  le  ra- 

(a)   Costanzo  lib.   i.  {b)  Anopym. 


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78  STORIA  CIVILE 

gioni  che  mal  potessero  ayere  in  questi  Hesmi  per  rin^ 

Tei»tJtura  fattagli  da  Papa  Alessandro  lY. 

(  Lanig  (a)  rapporta  il  brey«$  d' Urbano  lY  drizzato 
in  quest'anno  i a 63  al  Re  d'Inghilterra,  riprendendola 
della  sua  negligenza,  e  che  perciò  Iriituncii  aUMnve- 
stitura  del  Regno,  minacciandolo  di  Tolerne  invesitir 
altri.  E  ripigliando  il  trattato  con  Lodovico  IX  Re  di 
Francia,  ofTerendo  rinvestitura  a  Carlo  suo  fratello, 
gli  scrisse  per  ciò  due  Brevi,  che  pur  si  leggono  presso 
Lunig  (b)  ). 

E  que'  Principi  prontamenter^  nauseati  da  tanti  patti 
e  condizioni ' dal  Papa  ricercate,  rinunziarono  Tinve* 
stitura  (e),  né  vollero  di  ciò  più  sentir  parola;  ond*è 
che  gF  Inglesi  dicono  che  i  Papi  dopo  aver  tirate  dal* 
r  Inghilterra  grandissime  somme  di  denaro  per  questo 
negozio,  la  fecero  restar  delusa  d' ogni  speranza.,  incol- 
pando il  Re  Errico,  il  quale  essi  dicono,  avrebbe  do- 
vuto alla  prima  rifiutar  questa  corona,  o  almeno  ri- 
nunziarla  tosto,  da  poi-  che  vide  le  tante  condizioni  e 
difficoltà;  e  pensare  che  donare  un  Regno,  sopra  del 
quale  non  vi  si  abbia  in  sostanza  alcun  diritto,  a  con- 
dizione che  s^  abbia  da  andare  a  conquistare  a  proprie 
spese  e  rischio,  è  lo  stesso,  che  fare  un  pret»ente  eguat 
mente  ingiusto  e  nocevole,  e  che  fa  tanto  male  a  co- 
lui che  Faccetta,  quanto  disonore  a  chi  lo  dona. 

Intanto  TArcivescovo  di  Cosenza  giunto  in  Provenza, 
espose  con  molto  vigore  ed  efficacia  T  ambasciata;  e 
come  era  uomo  del  Regno  di  Napoli  e  fiero  inimico 
di  Manfredi,  cui  avendo  egli  in  tanti  modi  offeso,  e 


(a)  Limìg  Cod.  Ita].  Diplom.  tom.  2  p.  090.  {b)  Ibi'd. 
pag.  955  e  956.  {e)  Tulin.  d«*Gont€9t  pag.  69.  Chioccar. 
M.  S.  gìuris.  tom.  i. 


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DEL  REGNO  DI  NAPOLI.  L.XIX.  CAPI.  79 
dubitando  non  ne  prendesse  Tendetta.^  premeva  molto 
di  ridurre  ad  e£fetto  quesi'  impresa  ;  esagerò  a  quel 
Principe  coti  molto  spirito  e  vivacità  la  bellezza  e  T  opu- 
lenza dciruno  e  Tauro  reame,  e  T agevolezza  d'acqui- 
stargli, per  r  odio  che  portavano  universalmente  i  pò-  ** 
poli  alla  casa  di  Svevia. 

Carlo,  ancorché  Principe  ambizioso,  intesa  T  amba- 
sciata, restò  alquanto  sospesa,  pensando  all'arduità 
deir impresa  ed  all'avversione,  che  v'ebbe  sempre  il 
He  Luigi  suo  fratello,  onde  fu  per  rifiutar  T  offerta; 
nuUadimanco  stimolato  da  Beatrice  sua  moglie,  la  quale 
non  poteva  soffrire,  che  tre  sue  sorelle  fossero  Tuna 
Regina  di  Francia,  l'altra  d'Inghilterra  e  T altra  di 
Germania,  ed  ella,  che  avea  avuto  maggior  dote  di 
ciascuna  di  loro,  essendo  rimasta  erede  di  Provenza 
e  di  Lioguadoca,  non  avesse  altro  titolo  che  di  Con- 
tessa, vedendo  suo  marito  cosi  sospeso,  gli  offerse  tutto 
il  tesoro,  tutte  le  cose  sue  preziose,  fino  a  quelle,  che 
servivano  per  lo  culto, della  sua  persona,  purché  non 
lasciasse  una  impresa  così  onorata.  Mosso  adunque 
non  meno  dal  desiderio  di  soddisfare  alla  moglie,  che 
dalliT  cupidità  sua  cU  regnare,  rispose  all' Arci  vescovo, 
ch'egli  ringraziava  il  Papa  di  così  amorevol  offerta, 
e  che  accordate  che  si  fossero  le  condizioni  dell'  in- 
vestitura non  sarebbe  rimasto  altro ,  che  di  parlarne 
al  Re  di  Francia  suo  fratello  ,  il  quale  sperava,  che 
non  sólo  gli  avrebbe  dato  consiglio  d'accettare  l'im- 
presa, ma  favore  ed  ajuto  di  poter  ,  più  presto  e  con 
più  agevolezza  condurla  a  fine. 

Ed  essendosi  cominciato  a  trattar  delie  condizioni^ 
che  il  Papa  voleva  imporre  su  i  due  reami  di  Sicilia 
e  di  Puglia ,  si  vide ,  che  Urbano  voleva  investirne 
Carlo,  ma  con  quelle  condizioni,  colle  quali  erasi  sta- 


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«o  STORIA  CIVILE 

hilita  la  pace  tra  Manfredi  ed  il  Cardinal  Ottaviano 
allora  Legato  Appostolico,  cioè  che  Napoli^  e  tutta  la 
j>ronncia  di  Terra  di  Lavoro  ^  colle  sue  città  e  terre 
e  risole  adjacenti^  come  Capri  e  Procida\  Benevento 
col  suo  territorio^  e  Val  di  Guado  restassero  alla  Chiesa 
romana;  e  tutte  T  altre  province,  coir  isola  di  Sicilia 
si  sarebbero  a  lui  per  investitura  concedute. 

Mostrate  al  Conte  «[ueste  condizioni,  non  volle  in 
conto  alcuno  accettarle,  e  dal  suo  canto  alF  incontro 
si  fecero  alle  medesime  queste  modificazioni:  Ch'egli 
non'  avrebbe  inclinato  ad  accettar  V impresa^  se  non  se 
gli  fosse  conceduto  interamente  il  Begno  di  Sicilia, 
con  tutta  la  terra  di  qua  dal  Faro  insino  alli  confini 
dello  Stato  della  Chiesa;  siccome  lo  possederono  i  Re 
normanni  e  svevi;  di  manierachè,  eccettuatane  la  città 
di  Benevento  .^^  con  tutti  i  suoi  distretti  e  pertinenze, 
niente  dell' altre  terre  sarebbe  rimasto  alla  Sede  Ap- 
postolica  se  non  il  censo^  eh'  egli  avrebbe  pagato  ogni 
anno  di  diecemiìa  once  d' oro  (a). 

lì  perchè  premeva  ad  Urbano  di  non  differir  di 
vantaggio  quest'affare;  poiché  in  altra  maniera  non  si 
sarebbe  potuto  scacciar  Manfredi  dal  Regno;  fu  con- 
tento di  moderare  secondo  il  volere  di  Carlo  le  con- 
dizioni suddette  ;  onde  cenchiuso  il  trattato  in  cotal 
modo,  scrisse  anche  al  Re  Lodovico^  che  desse  ajuto 
a  Carlo  suo  fratello,  significandogli  per  altra  lettera, 
che  i  denari  che  fosse  per  somministrargli,  si  sareb- 
bon  presi  per  titolo  di  prestanza,  con  animo  di  resti- 
tuirgli. Il  Re  Luigi  non  potè  resistete  a  tanti  impulsi, 
e  di  mala  voglia  fu  alla  {Terfine  costretto  a  dar  il  con- 

(a)  Le  carte  di  queste  condizioni  e  modificazioDi  vengono 
rapportate  dal  Tutini  de' Gontestab.  del  Regno,  ibi.  70,  71. 


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DEL  REGNO  DI  NAPOLI  L.  XIX.  GAP.  I.  8t 
«enso  che  suo  fratello  accettasse  V  invilo.  Questa  me- 
moranda deliberazione,  eccome  fu  cagione  della^  fatai 
ruina  della  casa  di  Svevia,  così  ancora  non  può  ne- 
garsi, ciò  che  da'  sa?!  politici  fu  ponderato,  che  por- 
tasse insieme  là  cagione  non  pur  di  tanti  travagli  • 
desolazioni  della  casa  stessa  d'Angiò,  ma-  anche  tanto 
spese  e  tante  inutili  spedizioni  alla  Corona  di  Fran- 
cia; la  quale  per  Io  corso,  di  più  secoli  si  vide  im- 
pegnata perciò  a  sostener  molte  dispendiose  guerre^ 
le  quali  riuscitele  sempre  con  infelice  successo^  le  han 
portato  dispendii  ed  incomodi  grayissimi;  essendo  cosa, 
€  per  gli  antichi  e  nuovi  esempi  pur  troppo  nota ^ che. 
cominciandosi  da  Gregorio  M.  tutti  i  Papi  suoi  suc- 
cessori, ancorché  invitassero  molti  Principi  alla  con- 
quista, ebbero  poi  quegli  stessi  invitati  per  sospetti, 
quando  gli  vedevano  prosperati,  e  a  maggior  fortuna 
arrivati;  onde  ne  invitavano  altri  per  discacciar  i  primi, 
per  la  tjual  oagione  il  nostro  Reame  fu  miseramente 
afflitto,  e  re90  teatro  d'aspre  e  di  crudeli  guerre. 

Ma  mentre  il  Legato  Appostolico  era  di  ritorno  Io 
Italia,  portando  la  novella  della  venuta  di  Carlo,  ecco 
che  Urbano  dimorando  ia  Perugia,  se  ne  muore  ia 
quest'anno  1264  ciò  che  impedì  per  allora  il  passeg- 
gio di  Carlo  in  Italia.  ^ 


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82  STORIA  CIVILE 

,  CAPITOLO    IL 

Spedizione  di  Clemente  IY  e  conquiste  di  Carlo  d'An- 
CIÒ,  da  lui  investito  del  Regno  di  Puglia  e  di 
Sicilia. 

JtVe  Manfredi  intesa  la  morte  di  Papa  Urbano  ne 
prese  grandissimo  piacere,  sperando  esser  in  tutto  fuor 
di  pericolo,  non  meno  per  le  discordie  che  a  quei 
tempi  solcano  sorgere  tra'  Cardinali  per  V  elezione,  onde 
nasceva  lunga  vacazione  della  Sede  Appostolica,  che 
per  la  speranza  avea  che  fosse  eletto  alcun  Italiano, 
il  quale  non  avesse  interesse  co'  Franzesi,  e  che  avesse 
abborrìmento  d*introdur  gente  oltramontana  in  Italia^ 
ma  restò  di  gran  lunga  ingannato,  perocché  i  Cardi- 
nali, che  si  trovavano  averlo  offeso  e  dubitavano,  che 
egli  ne  avesse  presa  vendetta,  studiaronsi  di  creare  un 
Papa  d' animo  e  di  valore  simile  al  morto  :  e  di  co- 
mune consenso  a  febbrajo  del  nuova  anno*  ia65  crea- 
rono Papa  il  Cardinal  di  Narbona.  Costui  non  solo 
era  di  nazione  franzese,  ma  vassaUo  di  Carlo  (a):  ebbe 
già  moglie  e  figliuoli;  e  fu  uno  de' primi  Giureconsulti 
della  Francia:  fu  poi,  morta  sua  moglie,  fatto  Vescovo 
di  Pois,  indi  di  Narbona,  ed  appresso  Cardinale,  ed 
ora  si  trovava  Legato  in  Inghilterra.  Tosto  che  seppe 
r  elezione,  partissi  di  Francia,  ed  in  abito  sconosciuto 
di  mendicante,  secondo  il  Platina,  o  di  mercatante, 
come  vuol  Collenuccio,  venne  a  Perugia,  ove  da'  Car- 
dinali con  somma  riverenza  ricevuto,  fu  adorato  Pon- 

{a)  Costanzo  libt  i. 


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DEL  REGNO  DI  NAPOLI  L.XIX.  GAP. IL   8Ì 

tefice  e  chiamato  Clemente  lY^indi  con  molto  onore 
a  Viterbo  '1  condussero. 

La  prima  cosa,  che  estratto  nel  principio  del  suo 
Ponteficato,  spinto  da  naturai  affezione  che  la  Nazion 
franzese  suol  portare  a' suoi  Principi,  fu  la  conclusione 
di  seguitare  quanto  per  Papa  Urbano  suo  predeces- 
sore era  stato  cominciato  a  trattare  con  Carlo  d'An* 
giò,  per  mezzo  deirArciyescoyo  di  Cosenza. 

(  Clemente  lY  successore  d' Urbano ,  rivocò  prima 
rinvestitura  data  ad  Edmondo;  e  la  Bolla  di  questa 
rìvocazione  è  rapportata  da  Lunig  (a);  e  da  poiane!- 
ristesso  anno  ia65  investi  del  Regno  Carlo  d'Angiò^ 
e  la  Bolla  di  questa  investitura  con  tutti  i  suoi  patti 
e  gravami,  si  legge  pure  presso  Lunig  (b) ,  siccome 
anche  il  giuramento  dato  da  Carlo  nel  iai6  a  Yi- 
terbo,  pag.  979). 

E  perchè  trovò  il  Collegio  tutto  nel  medesimo 
proposito,  mandò  subito  con  gran  celerità  V  Arcive- 
scovo a  sollecitare  la  venuta  di  Carlo.  Confermò  an- 
cora il  Cardinal  Simone  di  S.  Cecilia  Legato  in  Fran- 
cia, dal  suo  predecessore  eletto;  e  gli  scrisse  che  aS' 
solvesse  tutti  i  Crocesignati  Franzesi  per  Terra  Santa^ 
commutando  loro  il  yotd  nella  conquista  di  Sicilia^ 
come  si  raccoglie  da  un'epistola  di'  Clemente  stessa 
riferita  da  Agostino  Inveges  (e).  Scrisse  ancora  al  S.  Re 
Lodovico,  che  desse  aiuto  a  Carlo  suo  fratello;  ed 
essendosi  rendùte  certo,  che  così  il  Conte  di  Provenza, 
come  il  Re  suo  fratello  erano  disposti  per  T  impresa, 
commise  al  Cardinal  di  Tours,  che  accordasse  i  patti, 
«o' quali  egli  voleva,  che  si  fosse  data  rinvestitura;  ed 

(a)  Cod.  Ital.  Diplom.  Tom.  a  pag.  94^.  (b)  Ibid.  pag.  g6|r 
(e)  Inveges  Annal.  di  Falerni,  tom.  S. 


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84  STORIA  CIVILE 

ancorché  non  potesse  alterar  Diente  di  ciò  cV  erasi 
convenuto  con  Urbano  ^opra  le  modificazioni  già  fatte, 
nuliadiisanco,  ora  che  vide  Carlo  impegnata,  voUe  di 
gravi  e  pesanti  condizioni  obbligarlo  neiristesso  tempo 
che  gli  dava  l'investitura. 

Aveva  Urbano,  come  si  è  d^tto,  tentato  in  questa 
nuova  investitura  che  s'  offeriva  al  Conte  di  Provenza, 
ricavarne  per  l^r  Sede  Apgostolìca  gran  profitto,  proc- 
cnrando  allora  con  ogni  industria-»  che  la  provincia 
di  Terra  di  Lavoro  con  Napoli  e  risole  adiacenti, 
non  altrimente  che  Benevento,  fosse  eccettuata  £  si  ag- 
giudicasse alla  Chiesa;  ma  Carlo  non  volle  sentir  pa- 
rola; poiché  finalmente  non  se  gli  concedeva  un  Regno, 
la  cui  possessione  fosse  vacante,  m.i  dovea  egli  colle 
sue  forze  discacciarne  il  possessore  Manfredi,  ed  il 
Papa  non  vi  metteva  altro  che  benedizioni  ed  indul* 
genze  ed  un^'poco  di  carta  per  rinvestitura;  poiché 
le  sue  forze  erano  così  deboli,  che  non  poteva  nem- 
meno mantenersi  in  Roma.  Clemente  per  tanto,  non 
*  potendo  appropriar  a  se  quella  provincia,  proccurò  al- 
"toeno  gravare  rinvestitura  di  tanti  patti  e  condizioni, 
che  veramente  rese  il  nuovo  Re  ligio,  spogliandolo  di 
molte  prerogative,  delle  quali  prima  eran  adorni  i  pre- 
decessori Re  normanni  e  svevi^ 

I  Capitoli  stipolati  e  giurati  da  Carte,  nel  modo  che 
il  Papa  gli  avea  cercati,  seconde  che  vengono  rap- 
portati dal  Summonte,  da  Rainaldo  (a)  e  da  Inveges, 
sono  i  seguenti. 

I.  Fu  da  Clemente  investito  Carlo  Conte  di  Pro- 
venza del  Regno  di  Sicilia  ultra  e  citra^  cioè  di  quel- 
la isola  e  di  tutta  laN terra,  ch'é  di  qua  dal  Faro  insino 

(a)  Rainald.  ann.  i265. 


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Uel  regno  di  napoli  l.xix.  gap.  il  85 

£*  confini  dello  Stato  della  romana  Chiesa,  eccetto  U 
città  di  Benevento  con  tutto  il  suo  territorio  e  per- 
tinenze ;  e  ne  fu  investito  prò  se  y  descendentibus  ma^ 
9cuUs^  et  /oeminis:  sed  mascuUs  extandbvSy  fotminae 
non  succedant;  et  inter  masculoSy  primogenitus  tegnet, 
Quibus  omnibus  deficientìbuSj  i^el  in  aìiquo  contrafa- 
cientibus  j  Begnum  ipsum  revertatur  ad  Ecclesiam  Eo» 
manam  (a). 

II.  Che  non  possa  in  conto  alcuno  dividere  il  Re- 
gno. 

III.  Che  debba  prestar  il  giuramento  di  fedeltà  6 
di  ligio  omaggio  alla  Chièsa  romana. 

lY.  Atterriti  i  romani  Pontefici  di  ciò  die  aveano 
passato  co'  Svevi  ,  che  f crono  insieme  Imperadori  e 
Re  di  Sicilia  ,  in  più  capitoli  volle  convenir  Clemente, 
.che  Carlo  non  aspirasse  affatto,  o  proccurasse  fardi 
eleggere  o  ungere  in  Re  ed  Imperador  romano,  av- 
vero Re  de'  Teutonici,  o  pure  Signore  di  hornh^xà^^, 
o  ài  Toscana,  o  della  maggior  parte  di  c{uelle  Pro- 
vince, e  ìse  vi  fosse  eletto,  e  fra  quattro  mesi  non  ri» 
nunziasse,  s'intenda  decaduto  dal  Regno*. 

y.  Che  non  aspiri  ad  occupar  Tlmperii)'  romano, 
il  Regno  de' Teutonici,  ovvero  la  Toscana  e  la  Lem* 
bardia. 

yi.  Che  se  accaderà,  stante  le  contese  eh'  allora 
ardevano  per  l'  elezione  dell'  tmiperactore  d' Occidente, 
che  fosse  eletto  Carla,  debba  lille  mani  del  romàno 
Pontefice  emancipar  il  ano  figliuolo  ,  che  dovrebbe 
succedergli ,  ed  al  medesimo  rinunciar  il  Regno,  niente 
presso  di  se  ritenendosene. 

(a)  y.  Rainaldo  ad  arni.  1365  il  quale  adduce  convenzioni 
più  dilTuse  intorno  al  regolamento  della  9ucce»sÌQD«  del  Regno. 


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«6  STORIA  CIVILE 

VII.  Gbe  il  Re  maggiore  d'anni  i8  possa  per  se* 
amministrare  il  Regno,  ma  essendo  minore  di  quest'età  , 
non  possa  amministrarlo;  ma  debbasi  porre  sotto  la 
custodia  e  Baliato  della  romana  Chiesa,  insino  che 
U  Re  sarà  fatto  maggiore. 

Vili.  Che  se  accadesse  una  sua  figliuola  femmina 
Gasarsi  coir  Imperadore,  vivente  il  padre,  e  quegli  de- 
funto, rimanesse^  ella  erede,  non  possa  succedere  al 
Regno;  e  se  deferita  a  lei  la  successione  del  Regno ^ 
ai  casasse  colF  Imperadore,  cada  dalle  ragioni  di  suc- 
cedere. 

IX.  Che  il  Regno  di  Sicilia  non  si  possa  mai  unire^ 
all'  Imperio. 

X.  Che  sia  tenuto  pagare  per  lo  censo  ottomila 
once  d'  oro  V  anno  nella  festa  de'  SS.  Pietro  e  Paolo 
in  tre  termini,  e  mancando  decada  dal  Regno;  e  di 
più  un  palafreno  bianco,  bello,  e  buono;  e  più ,  se- 
condo un  istromento  che  si  legge  nel  regale  Archi- 
vio (a),  che  fecero  li  Tesorieri  del  Re  Carlo  I  nel- 
r  anno  1274  con  alcuni  Mercatanti  di  pagare  alla  Se- 
de Appostolica  ottomila  once  d'oro  per  questo  censo, 
ai  vede,  che  seimila  si  pagavano  per  lo  Regno  di  Pu* 
glia,  e  duemila  per  V  isola  di  Sicilia.  Del  che  furono 
i  Pontefici  sì  rigidi  esattori,  che  nelF  anno  1:276  strin- 
aero  in  maniera  il  Re  Catlo,  che  trovandosi  in  Ro- 
ma e  senza  danari,  fu  forzato  scrivere  in  Napoli  ai 
suoi  Tesorieri ,  che  impegnassero  a'  Mercatanti  la  sua 
Coruna  grande  d'oro,  e  tante  delle  sue  gioje  ed  oro, 
che  abbiano  in  presto  ottomila  qnce  d'  oro,  e  che  gliele 

•    {a)  Rcg.  1273.  fol.  167.  Vicn  anche  rapportato  dalTutini 
itegU  Ammirag.  del  Reg.  p.  89. 


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DEL  REGNO  DI  NAPOLI  L.XIX.  GAP.  II.  87 
nandiQO  subito  ia  Roma  per  doverle  pagare  alla  Se- 
de Appofttolica  per  lo  censo  di  queir  anno  (a). 

XI.  Che  debba  pagare  alla  Chiesa  romana  5ooa 
marche  sterline  ogni  sei  mesi. 

XII.  Che  in  sussidio  delle  terre  della  Chiesa,  a 
richiesta  del  Pontefice,  sia  tenuto  mandare  3oo  Ca- 
valieri ben  armati;  in  guisa  che  ciascuno  abbia  da 
mantenere  a  sue  spese  almeno  tre  cavalli  per  tre  mesi 
in  ciaschedun  anno;  ovvero  ai  possano  commutare  in 
soccorso  di  Navi. 

XIII.  Che  debba  stare  a  quello  diffinirà  il  Pontefice 
sopra  la  determinazione  de' confini  da  farsi  di  Bene- 
yento. 

Xiy.  Che  dia  sicurtà  a' Beneventani  per  tutto  il 
Regno  ;  ed  osservi  i  loro  privilegi  ;  e  che  permetta  di 
poter  disponere  liberamente  decloro  proprj  benL 

XV.  Che  non  possa  nelle  terre  della  Chiesa  romana 
acquistar  cos'  alcuna  per  qualunque  titolo ,  né  ottenere, 
in  quelle  Rettorìa  o  altra  Podestaria. 

XVI.  Che  s'abbiano  a  restituire  alle  Chiese  del 
Regno  tutti  i  beni ,  che  alle  medesime  furono  tòlti. 

'XVII.  Che  tutte  le  Chiese  e' loro  Prelati  e  Rettoji 
godano  della  libertà' ecclesiastica,  e  particolarmente, 
nelle  elezioni,  ristabilendo  Clemente  ciocché  Alessan- 
dro IV  avea  aggiunto  neir  investitura  data  ad  Edmondo 
figliuolo  del  Re  d'  Inghilterra  v  cioè  che  il  Re  e  suoi 
successori  non  s'intromettano  nelle  elezioni^  postulazio- 
ni e  provisioni  de*  Prelati,  in  guisa  che,  nee  antei 
electionem ,  sive  in  electione ,  pel  post  Regius  assensiis , 
vel  consilium  aliquatenùs  refuirafKr(i);  soggiungendo - 

(a)  Chioccar,  tom.  1^  MS.  giurìsd.  (^)  Ghiocc.  MS.  Giorisil* 
in  Indice  y  t.  19. 


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88  STORIA  CIVILE 

81  però  che  eia  non  abbia  a  pregiudicare  di  Re  e  suoi 
eredi  j  in  quanto  s' appartiene  in  jure  patronatus ,  si 
quodRóges  Siciliae^  seu  ejusdem  Regni,  et  Tèrrae  Do- 
mini, hactenus  in  aliqua  ^  Pel  aliquihus  Ecclesiarum 
iptarum  consueverunt  hahere :  in  tantum  tameng  in 
quantum  Ecclesiarum  patronis  canonica  in^iituta  conce- 
dunt  ;  siccome  perciò  non  forono  esclusi  i  Re ,  sempre 
che  la  persona  eletta  fosse  loro  sospetta  d'infedeltà, 
d' impedire  il  possess^^  e  concedere  il  placito  Regio 
alle  Bolle  di  provisione,  come  altrove  diremo. 

XVIII.  Che  le  cause  ecclesiastiche  saranno  trattate 
innanzi  agli  Ordinar);  e  per  appellazione  alla  Sede 
Appostolica. 

XIX.  Che  abbia  a  riyocare  tutti  gli  Statuti  emana* 
ti  contra  la  libertà  ecclesiastica. 

XX:  Che  i  Cherici  né  per  le  caiise  civili  né  per 
le  criminali  si  possano  convenire  avanti  il  Giudice 
secolare,  se  non  si  trattasse  civilmente  di  cause  attinenti 
a' Feudi. 

XXI.  Che  niuno  imponga  taglie  alle  Chiese. 
,XXU.  Che  nelle  Chiese  vacanti  non  possa  pretend^e , 
ed'  avere  né  regalie  >  né  frutti. 

XXIII.  Che  gli  esiliati  della  Sicilia*  si  riducano  nel 
Regno,  secondo  che  comanderà  la  Chiesa  romana. 

XXIV*.  Che  non  faccia  lega  o  confederazione  con 
ulcuno  controlla  Chiesa. 

XXV.  Che  debba  tener  pronti  mille  Cavalieri  oltra- 
montani, apparecchiati  per  Terra  Santa  o  altro  affare 
della  fede. 

Queste  sono  quelle  convenzioni,  delle  quali  spesso 
Marino  di  Caramdnico ,  Andrea  d  Isernia  e  gli  altri 
nostri  Scrittori  fanno  memoria  ^  quando  trattano  de'pe- 


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DEL  REGNO  DI  NAPOLI  LXIX.  GAP.  IL    89 

'  ìBi ,  che  nell'  inyeBtitura  data  a  Carlo  furono   da  Papa 
Clemeate  agg^iUntL 

Accordate  in  cotal  maniera  queste  Gapitolaziosi ,  e 
vie  più  eollecitafido  Clemente  la  venuta  del  Conte, 
intraprende  questi  il  passaggio ,  ed  avendo  fatta  accom- 
pagnare la  Contessa  Beatrice  sua  moglie  da  molti  Ca- 
pitani e  Cavalieri  francesi  e  provenzali ,  costoro  fecero^ 
il  viaggio  per  terra  ;  ed  egli  da  Provenza ,  essendosi 
posto  intrepidamente  con  pochi  legni  a  solcar  il  mare  ^ 
dopo  aver  miracolosamente  scampate  T  insidie,  che 
Manfredi  gli  avea  tese  con  80  galee ,  finalmente  giunge 
con  somma  felicità  nel  mese  di  maggio  di  quest'  anno 
1365  a  Roma,  ove  fu  da' Romani  con  molti  applausi  9 
e  segni  d' allegrezza  ricevuto  e  careggiato  ;  e  narra 
V  Anonimo  (a)^  che  fu  tanta  la  leggerezza  e  vanità  dei 
Romani,  che  ritenendo  essi,  per  la  dignità  Senatoria, 
un  picciol  vestigio  dell'  antica  loro  libertà ,  vollero  anch^ 
di  quella  spogliarsi,  ed  esclusi  i  loro  Nobili,  crearono 
Carlo  lor  Signore  e  Senatori!  perpetuo  di  Roma. 

Questa  sì  felice ,  e  presta  venuta  di  Carlo ,  gli  diede 
tanta  ripqtazione  e  fama  di  Principe  .valoroso  e  ma* 
gnanimo ,  che  pareva,  per  tutta  Italia ,  la  persona  sua 
valesse  per  un  grandissimo  esercito  ;  onde  vennero  tosto 
da  lui  tutti  que'  della  fazione  Guelfa  a  visitarlo  e  ad 
offerirsi  di  servirlo.  Ed  intanto  F  esercito  di  Carlo  ^  che 
per  terra  erasi  avviato,  dopo  varj  avvenimenti^  eri^ 
finalmente  giunto  in  Italia  ,  e  la  Contessa  Beatrice  a  Ro- 

*  (a)  Anonym.  Romani  Gìves  de  more  mobiles,  quos  ex  hoc 

in  illud  exilis  de  facili  vcrsat  occasio,.illius  modicae  lihertatis 
reliquias,  quas  ipsis  praescripta  yeterum  traDsfudìt  autborttas, 
temere  distrahentes^  exclusis  prò  magna  parte  nobilibus,  Ga- 
rolum  Provìociae  Gomitem  elegerunt  in  Dominum,  et  Seoar 
torem  Urbis  perpeluam,  et  evocavecuut. 


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90  STORIA  CIVILE 

ina  ;  onde  Carlo  desideroso  d' entrar  presto  nel  Regno  ; 
per  timore ,  che  troppo  in  Roma  trattenendosi ,  non 
Yenisser  a  mancargli  i  denari  per  supplire  alle  paghe 
de' soldati,  sollecitò  fortemente  T  espedizione  »  unendo 
tutta  la  sna  milizia  per  combattere  T  esercita  di 
Manfredi. 

I.  Coronazione  di  Carlo  in  Roma, 

Ma  prima  d'uscire  di  Roma,  Tolle  che  Clemente  col- 
le celebrità  solite  V  incoronasse  Re,  ed  insieme  gF  in- 
viasse r  investi tura^  secondo  ciò  eh'  eradi  stabilito.  Il 
Pontefice ,  eh'  era  a  Perugia  ,  gli  spedì  sua  Bolla ,  per 
la  quale  commÌ3e  a  cinque  Cardinali,  che  in  S.  Giovanni 
Laterano  avanti  all'  altare  pubblicassero  la  Bolla  dell'in- 
vestitura, e  ricevessero  dal  Conte  il  giuramento  di  fe- 
deltà^ del  ligio  omaggio  e  dell'osservanza  di  que'  Ca- 
pitoli di  sopra  notati^  e  còlle  debite  forme  l'incoronas- 
sero Re  dell'una  e  1'  altra  Sicilia.  Li  Cardinali  de- 
stinati a. questa  celebrità  furono  Rodolfo  Vescovo  di 
Albano,  Archerio  Prete  del  titolo  di  $.  Prassede ,  Ric- 
cardo di  S.  Angelo,  Goffredo  di  S.  Giorgio  al  Velo 
d'oro,  e  Matteo  di  S.  Maria  in  portico ,  Diaconi  Cardia 
nali,  li  quali  nel  giorno  dell  Epifania  a' 6  Gennajo  di 
quest'anno  1266  colle  solite  cerimonie  incoronarono 
Carlo  Re  d' ambedue  le  Sicilie  insieme  con  Beatrice  sua 
moglie,  essendo  presenti  molti  Prelati  e  Signori  con 
infinito  popolo. 

(  Di  qu,esta  Beatrice  si  legge  il  Testamento,  che  fece 
a  Lagopensile  nell'anno  1266  rapportato  da  Lunig  {a)). 

Si  lesse  la  Bolla  dell'investitura  fatta  da  Clemente 

m)     Cod.  lui.  Diplom.  Tom.  a  pag.  970. 


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DEL  REGNO  DI  NAPOLI  L.XIX.  GAP.  IL    91 

per  U  quale  con  que' patti  di  sopra  riferiti  T  investiva 
del  Regno  di  Sicilia,  et  de  iota  Terra ,  ^uae  est  citra 
Pharumy  Usque  ad  confinia  terrarum  ipsìus  Romanae 
Ecclesiae^  excepta  Civitate  Beneventana  cum  tato  ter- 
ritorio ^  et  omnibus  districtibus ,  et  pertinentiis. 

Alllncontro  i  Cardinali  riccTerono  il  ligio  omaggici 
dal  Re  ed  il  giuramento  di  fedeltà,  la  di  cui  formola 
insieme  coir  istroroento  deir  incoronazione  vien  rap- 
portata dal  Tatìni  (a)  ed  è  del  seguente  tenore:  Noè 
Carolus  Dei  gratia  Sex  Siciliae^  Dueatus  Apuliae  ^  et 
Principatus  Capuae,  ec.  Vobis  Dominis  Rodulpho  Al* 
hanensi  Episcopo^  Archerio,  ec.  Diaconis  Cardinalibus 
^uibus  per  literas  suas  Dominus  Papa  commisit  reee» 
ptionem  Ugii  homagii  ,  quod  prò  Regno  Siciliae^  ae 
aliis  Terris  Nobis  a  prtdicta  Ecclesia  Romana  con- 
eessis  tenemur^  eidem  Dom.  Clementi  Papae  IV  et  eju$ 
successoribus  canonice  intrantibusy  et  predictae  EccU' 
siae  Romanae  faeere  f  ac  in  manibus  vestris^  nee,  e^. 
nomine,  ipsius  Domini  Clementis  Papae ,  et  hujusmodi 
ejus  successorum ,  ac  predictae  Romanae  Ecclesiae ,  et 
per  nos  eidem  Dom,  Papae  ^  ejus  successoribus  ac  Ro- 
manae Ecclesiae  ligium  homagium  facimus  prò  fiegfio 
Siciliae^  ac  tota  Terra,  quae  est  oitra  Pharum^  usque 
ad  confinia  Terrarum  y  excepta  Civitate  Reneventana  > 
cum  toto  territorio ,  et  omnibus  districtibus ,  et  perti* 
nefktiis  suis ,  nobis  ,  et  haeredibus  nosfris  a  predicta 
Ecclesia  Romana  concessisi  ec. 

Donò  ancora  questo  Principe  in  ricom pensa,  e  me- 
moria di  quest'  atto  al  >  Capitolò  di  S.  Pietro  e  suoi 
Canonici  in  perpetuo  le  rendite  e  proventi  della  Ba* 
gliva  della  città  d'Aitona,  e  T altre  rendite,  che  la  Ca* 

{fi)  Tutin.  de'Conte8taJ>ilt,  p.  8k       ^ 


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9X2  STORIA  CIVILE 

mera  regìa  esigeira  sopra  dì  quella  sita  negli  Abruzzi, 
cpjme  per  una  carta  delP  Archivio  regio  rapporta  il 
Tutino  (à),  e  di  più  ogni  anno  in  perpetao  5o  once 
d'oro  sopra  la  Dogana  di  Napoli  (h). 

Il  Sommario  della  Bolla  di  quest'investitura  co' Ca- 
pitoli di  bopra  esposti  yien  rapportata  dal  Summontc, 
e  parte  della  medesima  vien  anche  rapportata  da  Bal- 
do (e)  ne' suoi  Comentarj  al  nostro  Codice.  E  questa 
è  la  prima  scrittura ,  nella  quale  questi  due  Regni 
yengon  la  prima  volta  chiamati  di  Sicilia  citta  et  ul- 
tra P&zriiin  ^  leggendosi  quivi  :  Clcmens  /F"  infeuiavit 
Regnum  Siciliae  citra ,  et  ultra  Pharum,  E  da  qui  in 
progresso  di  tempo  ebbe  origine  l'altro  moderno  tito- 
lo: Rex  utriusque  Siciliae,  Non  già  che  Carlo  l'usasse 
mai  ne' suoi  diplomi  e  privileg);  poiché  ritenne  sem- 
pre gli  antichi  titoli,  de' quali  s'erano  valsi  i  Re  Nor- 
manni e  Svevi,  siccome  si  è  osservato  nella  riferita 
scrittura  del  ligio  omaggio,  ed  in  molte  altre  fatte  nei 
seguenti  tempi  osservarsi  il  medesimo  fa  vedere  Ago- 
stino Inveges  ne'  suoi  Annali  di  Palermo. 

Il  Biondo  ,  Platina,  ed  alcuni  altri  affermano,  ohe 
ora  C^rlo  ricevesse  anche  il  titolo  e  la  corona  di  Re 
di.  Gerusalemme;  ma  sono  di  gran  lunga  errati,  poi- 
ché questo  titolo  ancora  non  era  stato  tolto  a  Cor- 
radino,  che  per  Jole  madre  di  Corrado  suo  padre  il 
riteneva,  e  '1  Papa  non  glie  lo  contrastò  mai.  Per- 
venne poscia  a  Carlo  dopo  la  morte  di  Corradino 
neir  anno  1376  per  cessione  eli  Maria  d'Antiochia-; 
onde   avvenne,   che   ne' suoi   privilegj  si  Jeggono   per 


{a)  Tutini  de' Contestabili ,  fol.  79  ex  Rcg.  Caroli  II  1297. 
A.  fol.  i52.  (b)  Tom.  i.  M.  S.  Giurisd.  apud  Chioccar,  (e) 
Buld.  in  1.  cum  anliquioribus,  C.  de  Jur.  deliber. 


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DEL  REGNO  DI  NAPOLI  L. XIX.  gap: II.    93 

qaesta  cagione  in  maggior  numero  gli  anni  di  Sicilia, 
che  quelli  di  Gerusalemme  (a)^ 

Terminate  le  feste  della  coronazione,  il  Re  Carlo 
«enzia  perder  teÌ9po  si  pose  in  cammino  con  le  sue 
i;enti . contro  Manfredi,  e  per  la  Campagna  di  Roma 
8  avviò  verso  S.  Germano.  Il  Papa  non  cessava  dì 
«ollecitarlo,  e  per  agevolar  T'impresa  mandò  in  Si- 
cilia il  Cardinal  Rodolfo  Yescovo- d'Albano,  acciò  ero- 
cesignasse  i  Siciliani ,  e  sollevasse  que'  popoli  contro 
Manfredi.  Altra  Crociata  avea  già  pubblicata  in  Iti- 
lia  ,  dove  per  la  fortuna  e  felicità  di  Carlo  la  parta 
Guelfa  era  notabilmente  cresciuta  di  seguito,  ed  al- 
1  iucontfo  i  Ghibellini  tutti  depressi. 

CAPITOLO   IIL 

Be  Mahprepi  riceve  con  intrepidezza  e  valore  il  ne- 
mico: ferocemente  si  viene  a  hattagliay  nella  quale j 
tradito  da'  suoi^  rimane  in/elicemento  ucciso. . 

U  air  altra  parte  il  Re  Manfredi  non  tralàsciara 
con  intrepidezza  e  valore  accorrere  in  tutte  le  parti 
per  prepararsi  ad  una  valida  difesa.  Dolevasi  dell'  av- 
versa sua  fortuna,  e  fremeva  insieme  e  stupiva  in  veg- 
gendo  il  suo  nemico  non  solo  aver  con  tanta  felicità 
tu  poche  navi  valicato  il  mare  e  sfuggito  rincontro 
delle  sue  galee ,  ma  con  giubilo  e  feste  essere  stato 
ricevuto  in  Roma  e,  istrutto  il  suo  esercito,  essere 
già  ne'<ìonfini  del  Regno.    Stupiva   ne' medesimi  suoi 

(a)  luveges  to.  3.  Annal.  di  Pakrm. 


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^4  STORIA  CIVILE 

sudditi  redere  tanta  incostanxa  e  volubilità  (a),  seno- 
brandogU,  che  tutti  chiamaascro  Carlo,  e  già  per  ogni 
angolo  non  s'udifa  altro,  che  il  suo  nome  e  quello 
jde'  Franzesi.  Non  traiasctaTa  intanto  il  mal  aYTcntu- 
roso  Principe  inanimirgli  ed  incoraggiargli  alla  dife- 
aa;  ed  a  tal  fine  •convocò  in  Napoli  una  general  As- 
lemblea  di  tutti  i  Conti  e  Baroni,  richiedendogli  del 
loro  ajuto  (b):  scorreva  egli  ora  a  Gapua,  ora  a  Gep» 
perano ,  ora  a  Benevento ,  e  commise  la  custodia  dei 
passi  a  due,  de*  quali  dovca  promettersi  ogni  accor* 
tazza  e  fedeltà:  al  Conte  di  Caserta  suo  cognato,  ed 
al  CoQte  Giordano  Lancia  suo  parente.  Presidiò  Sati 
Germano,  ed  ivi  pose  gran  parte  de*  suoi  Cav^ieri  te- 
deschi e  pugliesi,  e  tutti  i  Saraceni  di  Lucerà;  ed  in- 
tanto va  in  Penevento  per  tenere  in  fede  quella  città 
e  per  accorrere  da  quivi  a*  bisogni  del  suo  esercito  ; 
ed  indi  passa  a  Gapua. 

Ma  tutte  queste  cauzioni  niente  giovarono  a  que- 
st*  infelice  Principe;  poiché  essendo  Carlo  giunto  al» 
r  altra  riva  del  Garigliano,  presso  a  Gepperano,  il  Con- 
te Caserta  eh*  era  alla  guardia  di  quel  passo,  con  al- 
cune scuse  si  ritirò  indietro ,  e  lasciò  che  passasse 
il  fiume  senz' alcuno  ostacolo:  il  Conte  Giordano  stu* 
pisce  del  tradimento,  e  torna  indietro  per  la  via  di, 
Gapua  a  trovar  Manfiredi.  Cosi,  come  deplora  TAno- 
nimo,  ad  malum  destinatus  Manfredus^  qui  apud  Ce- 
peranuin  gentis  suae  resistentiam  ordinare  dehebatj  pas- 
3US  Regni  vacuoSj  et  sine  custodiae  munitione  reliquit^ 
ut  liber  ad  Begnum  aditus  patedt  inimicis.  -Ecco  co- 
ne  Carlo  col  suo  vittorioso  esercito  entra  nel  Reame, 

(a)  Anonym.  Qui  semper  de  instabilitate ,  ^t  voto  contra- 
rrlo illoruin  de  Regno  merito  dubitabat.  {b}  Anonym. 


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DEL  REGNO  DI  NAPcJlI  L.XIX.  GAP.  III.  96 
e  come  tutti  i  luoghi  aderti  se  gli  rendono,  tosto  pren- 
dendo Aquino  e  la  Rocca  d'Arci. 

Il  Re  Manfredi  avendo  inteso,  cbe  Re  Carlo  avea 
passato  il  fiume  senz*  alcun  contrasto,  inorridisce  al 
tradimento,  ed  avendo  subito^  unite  le  sue  genti  col- 
r  esercito,  cbe  teneva  il  Conte  Giordano,  cominciò  a 
temere  non  gli  altri  Baroni  facessero  il  medesimo;  ed 
avendo  già  per  sospetta  la  fede  de'  Regnicoli ,  tentò 
di  volersi  render  Carlo  amico  e  di  trattar  con  lui  di 
pace;  mandò  per  tanto  i  suoi  Ambasciadori  al  mede- 
simo a  cercargli  pace  o  almeno  tregua.  Ma  il  Re  Carlo, 
.che  vedeva  la  fortuna  volar  dal  suo  canto,  non  volle 
perdere  sì  buone  occasioni,  onde  agli  Ambasciadori, 
nel  suo  linguaggio  franzese,  diede  questa  altiera,  e  ri- 
gida risposta:  Dite  al  Soldan  di  Lucerna ,  che  io  con 
lui  non  voglio y  né  pacCj  né  tregua ,  e  che  presto y-  o  io 
manderò  lui  ali  Inferno y  od  egli  manderà  me  in  Pa* 
radiso  (a).  Avea  Carlo,  per  inanimire  i  suoi  soldati, 
lor  persuaso,  che  egli  militava  per  la  fede  cattolica 
contro  Manfredi  scomunicato,  eretico,  e  Saraceno: 
eh'  essi  erano  soldati  di  Cristo,  e  che  in  qualunque 
evento,  si  sarebbero  esposti  ad  una  certa  vittoria,  o 
d'  esser  coronati  colla  corona  del  martirio  morendo; 
o  debellando  V  inimico  con  corona  trionfale  d^  alloro, 
e  renduti  gloriosi  ed  immortali  per  tutti  i*secoli  (&). 

Ricevuta  Manfredi  questa  risposta,  fu  tutto  rivolto 
all*^  armi,  ed  avendo  riposta  tutta  la  sua  speranza  nel 
gagliardo  presidio  ,  che  avea  lasciato  in  S.  Germano, 
credea,  che  Re  Carlo  non  avesse  da  procedere  più  ol- 
tre, per  non  lasciarsi  dietro  le  spalle  una  banda  cosi 
grossa  di  soldati  nemici,  e  che  per  lo   sito  forte  di 

{a)  Costanzo  Ub.  i.  {b)  AsonjnK 


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96  STORll  CIVILE 

S.  Germano,  si  sarebbe  trattenuto  tanto,  che  o  Fesef'' 
cito  franzese  fosse  dissoluto,  per  trovarsi  nel  mese  di 
gennajo  in  que' luoghi  palustri  e  guazzosi;  o  che  a  lui 
arrivassero  gagliardi  soccorsi  di  Barberia ,  dove  avea 
mandato  ad  assoldare  gran  numero  di  Saraceni;  o  di 
Ghibellini  di  Toscana  e  di  Lombardia.  Ma  ecco  ì 
giudi cii  umani  come  tosto  vengono  dissipati  dagli  alti 
giudioii  divini;  poiché  coatra  la  natura  delle  stagioni 
i  giorni  erano  tepidi  e  sereni,  come  sogliono  essere  i 
più  belli  giorni  di  primavera;  e  quelli,  ch'erano  ri- 
masi al  presidio  di  S.  Germano,  non  mostrarono  quel 
valore  nel  difenderlo  ,  eh*  egli  s*  avea  promesso  ;  per* 
che  in  brevi  dì ,  per  la  virtù  de'  Cavalieri  franzesì  , 
dato  r  assalto  alla  terra,  con  tutto  che  i  Saraceni  va- 
lorosamente  si  difendessero,  fu  nondimeno  quella  presa 
t  gran  parte  del.  presidio  uccisa. 

Come  Manfredi  intese  la  perdita  di  S.  Germano, 
ritornando  di  14  la  gente  sconfitta,  sbigotti:  e  mandata 
molta  gente  a  presidiar  Gapua^  egli  consigliato  dal 
Conte  Gualvano  Lancia,  e  dagli  altri  suoi  fidati  Ba* 
Toni,  si  ritirò  nella  città  di  Benevento,  per  aver  l'e- 
lezione, o  di  dar  battaglia  alF  inimico  quando  volea, 
ovvero  di  ritirarsi  in  Puglia  se  bisognasse.  Il  Re  Carlo 
intendendo  la  ritirata  di  Manfredi  in  Benevento,  si 
pose  a  seguitarlo,  e  giunse  a  punto  il  sesto  dì  di  feb- 
braio alla  campagna  di  Benevento,  e  s'accampò  due 
miglia  lontano  dalla  città,  e  manco  d^un.  miglio  dal 
campo  de*  nemici.  Allora  Manfredi  col  consiglio  del 
principali  del  suo  campo  deliberò  dar  la  battaglia, 
giudicando,  che  la  stanchezza  de'  soldati  di  Carlo  po- 
tesse promettergli  certa  vittoria.  Dall'altra  parte  Re 
Carlo  spinto  dall'  ardire  suo  proprio,  e  da  quello,  che 
^U  dava  la  fortuna,  la  qual  pareva,  che  a  tutte  Tim- 


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DEL  REGNO  DI  NÀPOLI  L.XIX.  GAP.  III.  ^j 

prese  sue  io  favorisse,  posto  in  ordine  i  saoi,  ancor- 
ché stanchi,  uscì  ad  attaccare  il  fatto  d'arme,  onde 
ai  cominciò  quella  memoranda,  e  fiera  battaglia,  1% 
quale  non  è  del  nostro  istituto  descriverla  a  minuto^ 
potendosi  con  tutte  le  sue  circostante  leggere  nell'A- 
nonimo, nel  Summonte,  Inveges,  Tutini;  e  press» 
molti  altri  Istorici,  che  la  rapportano. 

L'infelice  Manfredi  mentre  la  pugna  tutta  arde,  ed 
egli  la  mira  da  un  rilevato  colle,  vede  due  schiere  del 
suo  esercito^  ch'erano  mal  menate  da' nemici,  e  vo- 
lendo movere  la  terza,  ch'era  sotto  la  sua  guida,  tutta 
di  Pugliesi,  grida  a' Capitani  suoi,  che  tosto  ivi  ac- 
corressero alla  difesa,  s'avvede  che  molti  de'  nostri 
Regnicoli  corrotti  da  Carlo,  seguivano  il  suo  partito  ^ 
e  con  infame  tradimento  non  ubbidivano»  ma  s'aste- 
nevano di  combattere,  quando  il  bisogno  più  lo  ri- 
chiedeva {*).  AUora  Manfredi  con  animo  grande  ed 
invitto,  deliberando  di  voler  più  tosto  morire,  che  so- 
pravvivere a  tanti  valorosi  suoi  Campioni,,  che  vedea 
in  «[uella  strage  morire;  cala  egli  al  campo,  ed  ore 
la  pugna  più  arde  si  mischia  nella  più  folta  schiera 
de'  suoi  nemici,  e  tra  loro  combattendo,  da  colpi  di 
sconosciuto  braccio  ,  perchè  ninno  potesse  darsi  il 
vanto  di  sua  morte,  restò  infelicemente  in  terra  estinto^ 
e  sconosciuto  tra  innumerabile  folla  di  cadaveri  estinti, 
tre  di  ,  prima  che  fosse  ravvisato,  miseramente  giacque. 

(*)  Anonym.  Mandat  caeteris  Capitanis  et  Praepositis  sui 
cxercitus,  quod  illico  descendant  ad  pugnam:  s«d  cutn  non- 
nulli  de  Regno,  qui  quosdam  falsos  Comites,  cum  quibua 
Rex  Carolus  sub  colorato  patrimonialis  successionis  titulo  spo-> 
Ha  Regni  diviserat,  sequebantur,  nollent  bellumingredi^  sed 
proditorie  abstitìssent ,  Masiredus  cUm  suis  miiitibus  «iori  pa- 
lins  eligens,  etQ. 

7 


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98  STORIA  CIVILE 

Cosi  infamen)ente  da'saoi  tradito  morì  Manfredi  (a). 
Il  cui  tradimento  non  potè  Dante  (  aicoome  V  Anoni- 
pio)  non  imputarlo  «nostri  Regnicoli,  chiamati  allora 
comunemente  Pugliesi,  quando  nel  suo  Poema  (b)  com- 
memorando questa  rotta,  cqU' altra  data  a  Gorradino, 
disse: 

E  r  altra,  il  cui  ossame  ancor  s^  accoglie 
A  Ceperan  là  dove  Ju  bugiardo 
Ciascun  Pugliese  \  e  là  da  Tagliacozze^ 
Ove  senz^  arme  vinse  il  vecchio  Alardo, 
Ecco  r  infelice  fine  di  questo  invitto  e  valororo  Eroe, 
Principe  (  se  ne  togli  la  soverchia  ambizion  di  regnare 
e  non  avesse  avuto   V  odio  di   più  romani   Pontefici , 
che  lo  dipinsero  al  Mondo  per  crudele,  barbaro  e  senza 
religione  )  da  paragonarsi   a'  più  famosi   Capitani   dei 
secoli  vetusti.  Ei  magnanimo,  forte,  liberale  ed  amanto 
della    giustizia,  tenne  i  suoi  Reami    in  istato  florido 
ed  abbondante.  Violò  solamente  le  leggi  per  cagìon  di 
regnare,  in  tutte  le  altre  cose  serbò  pietà  e  giustizia. 
Egli  dotto  in  filosofia^  e  nelle  matematiche  fu  esper- 
tissimo ,  non  pur  amante  de'  Letterati,  ma  egli  ancora 
Utteratissimo,  e  narrasi  aver  composto  un  trattato  della 
caccia^  a  questi  tempi  da'  Principi    esercitata  «  ed    in 
sommo  pregio,  e  diletto  avuta.  Biondo   era,  e   bello 
di  persona    e  di   gentile    aspetto  ,    affabilissimo    con 
tutti,  sempre  allegro  e  ridante,  e  di  mirabile  ed  ameno 
ingegno;  tanto  che  non  son  mancati  (e)  chi  con  ragione 
rabbia  per  la   sua    liberalità,   avvenenza  e  cortesia , 
paragonato   a  Tito  figliuolo  di  Vespasiano,   reputato 
la  delizia  del  genere  umano.   Della  sua  magnificenza 

(a)  Anonym.  Proh  dolor.'  a  suis  sic  proditus,  etc.  (^)  Dante 
nelDnfer.  canto  28,  (r)  Riccobaldo  presso  il  Sumiuonte. 


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DEL  REGNO  DI  NAPOLI  L.XIX.  GAP.  III.  99 

sono  a  noi  rmiasti  ben  ehiari  vestigi»  il  Porto  di  Sa* 
Icrno,  e  la  famosa  città  di  Manfredonia  in  Puglia , 
che  dal  suo  ritiene  ancor  ora  il  nome.  E  se  i  conti* 
Bui  travagli  sofferti  per  difendere  il  Regno  dalle  inva- 
sioni di  quattro  romani  Pontefici,  gli  avessero  dato 
campo  di  poter  più  attendere  alle  cose  della  paoe,  di 
più  magnifiche  sue  opere^  e  di  altri  più  nobili  istituti 
avrebbe  egli  fornito  questo  Reame. 

Intanto  T  esercito  di  Carlo  avendo  interamente  di* 
afatto  quello  dell  infelice  Manfredi ,  inultrossi  nei  Re- 
gno, ed  in  passando ,  non  vi  fu  crudeltà  e  strage^  cbe 
i  Franzesi  non  usassero  ;  Benevento  andò  a  sacco  ed 
a  ruba,  né  fu  perdonato  a  sesso,  né  ad  età.  Que*  Ba- 
roni, che  nella  pugna  non  restarono  estinti,  parte  fug- 
gendo scamparono  la  morte ,  e  parte  inseguiti  da  quéi 
di  Carlo  furono  fatti  prigionieri:  alcuni  ne  furono  man- 
dati prigioni  in  Provenza,  ove  gli  fece  morire  d'aspra 
e  erudel  morte:  alcuni  altri  Baroni  tedcsobi  e  pugliesi 
ritenne  prigióni  in  diversi  luoghi  del  Regno;  ed  a 
preghiere  di  Bartolommeo  Pignatelli  Arcivescovo  di. 
Cosenza,  e  poi  di  Messina,  diede  libertà  a'  Conti  Guai- 
vano  ,  e  Federico  fratelli,  ed  a  Corrado,  ed  a  Marino 
Capece  di  Napoli  cari  fratelli  (a). 

Erano  intanto  scorsi  tre  giorni ,  e  di  Manfredi  non 
s' avea  novella  alcuna ,  tanto  che  si  credea  avesse  colla 
fuga  scampata  la  morte  ;  ma  fatto  far  da  Carlo  esat- 
tissima diligenza  nel  campo  tra'  corpi  morti  fu  final- 
mente a' 38  di  febbraio  giorno  di  domenica^  ravvisato 
il  suo  cadavere  (J);  e  condotto  avanti  il  Re,  lo  fece 

(a)  Anonym.  Quibus  ad  preces  B.   de    Pignalellis   Ardile-, 
plscopi  Messanensis  vitae  veiiiana  post  eventum  pràefatae  de- 
liberatlonis  indulserat.  (b)  Epist.  Caroli  ad  Clem.  IV.  che  si 
legge  presso  Tulini  de'  Coutest.  del  Rcg.  ipag.  96. 


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roé  STORIA.  CIVILE 

Carlo  osservare  da  Riccardo  Conte  di  Caserta,  e  dal 
Conte  Giordano  Lancia  ,  e  da  altri  Baroni  prigionieri 
de' quali  alcuni  timidamente  rispondendo,  quando  fa 
esposto  agli  occhi  di  Giordano,  questi  tosto  che  !• 
riconobbe  ,  dandosi  colle  mani  al  volto,  e  gridando  al- 
tamente, e  piangendo  se  gli  gittò  addosso  baciandolo^ 
e  dicendo:  Oimè^  Signor  mio^  cV  è  ijuel  che  io  veg* 
gioì  Signor  buono y  Signor  savio  j  chi ^ ti  ha  così  cru-> 
delmente  toUo  di  vita!  Vaso  di  filosofia^  ornamento 
della  milizia^  gloria  de^  Rcgi^  perchè  mi  è  negato  un 
coltello  y  cK  io  mi  potessi  uccidere  per  accompagnarti 
alla  morte ,  come  ti  sono  nelle  miserie  (a);  e  così  pian- 
gendo non  se  gli  potea  distaccare  d'addosso,  commen- 
dando que'  Signori  franzesi  molto  cotanta  sua  fedeltà 
ed  amore  verso  il  morto  Principe.  E  richiesto  Carlos 
da' Franzesi  stessi  impietositi  del  caso  estremo,  che  lo 
facesse  onorar  almeno  degli  ultimi  ufiicj  ^  con  fargli 
dar  sepoltura  in  luogo  sacro,  si  oppose  il  Legato  Ap- 
postolico ,  dicendo  che  ciò  non  conveniva,  essendo 
morto  in  contumacia  di  Santa  Chiesa;  onde  Carlo  loro 
rispose,  ch'egli  lo  farebbe  molto  volontieri,  se  noa 
fosse  morto  scomunicato.  Ferlaqualcosa  fu  il  suo  ca- 
davere seppellito  in  una  fossa  presso  il  Ponte  di  Bene-* 
vento,  ove  ogni  soldato  (  affinchè  almeno  in  cotal  guisa 
fosse  noto  a'  posteri  il  luogo  del  suo  sepolcro,  e  Tossa 
non  fossero  sparse,  ma  ivi  custodite)  vi  buttò  una  pie- 
tra ,  ergendovisi  perciò  in  quel  luogo  un  picciol  monto 
di  sassi. 

Ma  r  Arcivescovo  di  Cosenza  fiero  inimico  di  Man- 
fredi, cui  non  bastò  la  morte  per  estinguere  il  suo 
implacabil  odio,  ad  alta  voce  gridando  cominciò  a  di* 

(a)  InvegeS  Annal.  di  Pater.  U  3. 


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DEL  REGNaDI  NAPOLI  L.XIX.  CAP.IÌL  toi 
re,  che  se  lene  non  fosse  stato  Manfredi  sepolto  in 
luogo  sacro,  era  però  stato  il  suo  cadavero  posto  presso 
m  Benevento,  in  terreno  ch'era  della  romana  Chiesa; 
che  dovea  quel  cane  morto  levarsi  da  quel  luogo,  p 
portarsi  fuori  del  Regno,  e  le  ossa  buttarsi  al  vento; 
del  di  cui  zelo  cotanto  si  compiacque  Papa  Clemente, 
che  furono  V  ossa  dissotterrate  ed  a  lume  spento  fu- 
rono trasportate  in  riva  del  fiume  Verde^  oggi  appel- 
lato Marino  (a),  ed  esposte  alla  pioggia,  ed  al  vento, 
tanto  che  gli  abitatori  di  que' luoghi  non  poteron  mai 
di  quelle  trovar  segno,  o  memoria  alcuna  (6).  Dante 
come  Ghibellino,  avendo  compatimento  d'  un  così  mi- 
serabil  caso,  finge  Manfredi  penitente,  e  lo  ripone 
perciò  non  già  neir  Inferno,  ma  nel  Purgatorio,  e  cosi 
gli  fa  dire:  (e). 

5071  Manfredi 
Nipote  di  Costanza  Imperatrice: 
Ond*  io  ti  priego^  che  quando  tu  riediy 
Vadi  a  mia  hella  figlia^' genitrice 
JDelV  onor  di  Cicilia  e  d  Aragona^ 
E  dichi  a  lei  il  ver^  s*  altro  si  dice. 
Poscia  cV  i    ehli  rotta  la   persona 
Di  due  punte  mortali j  i    mi  rendei y 
Piangendo^  a  quei  che  volentier  perdona, 

{a)  Boccaccio  :  Yirldìs  fluvìus  a  Picaenatìbus  dividens  Aprii* 
tìnos,  et  io  Truentum  cadens,  mìrabtlis,  eo  quod  ejus  in 
ripam,  quae  ad  Pìcaenates  versa  est^  jussu  Clementis  Ponti- 
ficis  Summi ,  ossa  Manfredi  Regis  Siciliae ,  quae  secus  Caio- 
rem  Benaventi  fluvium  sepulta  erant,  absque  ullo  funebri 
ofQcio  dejecta  fuerunt  a  Consentine  Praesule ,  eo  quod  Fide- 
lium  communì one  privatus  occubuerit.  (h)  Alessand.  Andrea 
nella  Guerra  di  Paolo  lY  ragion,  a.  (e)  Dante  Canto  3  del 
Purgatorio. 


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102  STORIA  CIVILE 

Orrìhil  furon  lì  peccati  miei: 

Ma  la  bontà  infinita  ha  sì  gran  braccia 
Che  prende  ciò^  che  si  rivolve  a  lei. 

Se  7  Postar  di  Cosenza ,  cK  alla  caccia 
Di  me  fu  messo  per  Clemente  allora  , 
Avesse  in  Dio  ben  letta  questa  faccia^ 

V  ossa  del  corpo  mio  sariéno  ancora 
In  co  del  Ponte  presso  a  Benevento 
Sotto  la  guardia  de  la  grave  mora: 

Or  le  bagna  la  pioggia  j  e  move  7   vento 
Di  fuor  dal  Regno  quasi  lungo  7  Verde: 
Ove  le  trasmutò  a  lume  spento. 

Per  lor  maladizion  sì  non  si  perde^ 
Che  non.  possa  tornar  T etemo  amore, 
Mentre  che  la  speranza  ha  fior  del  verde. 

CAPITOLO   IV. 

Re  Carlo  entrato  nel  Regno  comincia  a  reggerlo  con 
crudeltà  e  rigori;  onde  il  suo  governo  è  abborrito^ 
e  gli  animi  si  rivoltano^  ed  invitano  alla  conquista 
Corradino. 


sparsasi  intanto  la  fama  della  rotta  delF  esercito  di 
Manfredi,  e  la  sua  morte,  non  fu?vi  città  così  del- 
l' uno,  come  dell'  altro  Reame,  che  non  alzasse  le  ban- 
diere de'Franzesi. 

(Le  Lettere  del  Re  Carlo  scritte  a  Clemente,  per 
le  rquali  gli  dà  avviso  di  questa  vittoria,  sono  rappor- 
tate, oltre  il  Summonte,  da  Lunig  (a)). 


{a)  Cod.  Ita!.  Diploin.  tom,  a  paj^.  970. 


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BEL    REGNODINAPOLIL.XlX.CAP.lv.  to3 
Tutti  gridayano  il  nome  di  Carlo,  e  promettendosi 
nel  nuovo  dominio   franchigia  e  dovizia  grande,   cre« 
devano   doVer  vivere  sotto  i  Franzesi  non   solo  liberi 
da  straordinarie  tasse,  ma  d'essere  ancora  liberati  dai 
pagamenti  ordinari.  Non  era  città,   ove  Carlo   condu* 
cevasi,  che  non  fosse  ricevuto  con  segni  d' estrema  al- 
legrezza, e  giubilo.  Tosto  da  Benevento  parte,  e  viene 
in  Napoli,  e  non  ancor  c[|iivi  giunto,  che  i  Napoletani 
mandarono   a  presentargli  le  chiavi  della   loro   città. 
Entrò  in  quella   con  la  Regina  Beatrice   stia  moglie  ^ 
con  gran  pompa  e  fasto,  accompagnato  da  tutti  i  No- 
bili della  città,  che'l  gridarono  loro  Re,  e  dall*  Arci- 
vescovo di  Cosenza  assistito  ^  si  portò  nel  Duomo  di 
8.  Restituta  a  render  grazie  al  Signore  di  così  segna- 
lata vittoria.  Creò  da  poi  Principe  di    Salerno   Carlo 
suo  figliuol  primogenito  il  quale  uscito  da  Napoli  ca* 
valcò  per  tutto  1  Reame  per  affezionarsi  i  nuovi  vas- 
salli: e  con  non  interrotto  corso  di  felicità  tutte  le  cose 
succedono  ai  loro  desiderii.  Le  reliquie  del  rotto  eser« 
cito  erano  ritirate   in  Lucerà,   dove  anche  erasi  sal- 
vata la  Reina   Elena  moglie  di   Manfredi   con  Man* 
firedino  suo  picciolo  figliuolo,  ed  una  figliuola  (a).  Re 
Carlo  tosto   mandò   ivi  Filippo   di   Monforte   con    la  ' 
maggior  parte  dell' esercito   ad  assediarla,   ma   difen- 
dendosi i  Saraceni,   ch'erano   dentro,  valorosamente^ 
bisognò  abbandonar  l'impresa,  lasciaodola  però   stret- 
tamente assediata,  la  qual  città  insieme  colla. Regina 
el  figliuolo  non  si  rese,  se  non  dopo  la  rotta  data  a 
Gorradino,  come  diremo. 

I  Siciliani  ancora,  intesa  la  morte  di  Manfredi,  su- 
bito alzarono  le  bandiere  Franzesi,  ed  i  primi  furono 

{a)  Costanzo  lib.  i,  V.  Inveges  AnnaL  dì  Paler.  tom«  3. 


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fo4  STORIA  CIVILF 

i  Messioesi.  Mandò  perciò  Re  Carla  Filippo  di  Mon- 
forte  in  queirÌ8ola,  e  non  passò  guarì,  che  tutta  la 
ridusse  sotto  l'ubbidienza  di  Carlo  (a). 

Ecco  come  in  un  tratto  si  rese  Carlo  Signore  di 
Ambedue  questi  Reami,  con  allegria  e  giubilo  de'  Po- 
poli, che  si  credeano  liberati  dal  giogo,  come  diceva- 
no, del  Re  Manfredi  e  de'  Saraceni,  e  di  vivere  sotto 
il  Regno  di  Carlo  franchi  d'ogni  pagamento,  in  una 
perpetua  ricchezza,  ed  in  una  tranquilla  e  quieta 
pace. 

Ma  restarono  tosto  delusi,  poiché  i  Franzesi  scor- 
rendo per  tutti  i  luoghi,  portavano  co' loro  transiti 
danni  e  ruine  insopportabili  agli  abitatori  (i).  Ed  il  Re 
chiamando  i  Baroni  dell'uno  e  U altro, Regno,  che  ve- 
nissero a  servirlo ,  impose  ancora  un  pagamento  straor- 
dinario alle  terre  del  Regno  contro  la  ioro.espettazio^ 
ne  e  lusinga,  falsamente  stimando,  che  non  solo  non 
a'  avessero  da.  veder  più  soldati,  né  pagar  pesi  estraor- 
dinarj,  ma  d'essere  ancora  liberati  dagli  ordinar).  Ma 
il  novello  Re  all'incontro  badando  unicamente  ad  ar- 
ricchire per  questi  mezzi  il  suo  Erario,  chiamò  a  que- 
sto fine  tutti  i  Tesorieri  e  Camerari  del  Regno,  e 
volle  da  quelli  essere  minutamente  informato  de' pro- 
venti del  Regno,  degli  Uffiicj,  delle  giurisdizioni,  e  di 
tutte  altre  sue  ragioni  del  Regno;  e  po^iché  era  stato 
informato,  che  un  di  Barletta  nomato  Giezolino  della 
Marra  era  di  queste  cose  instruttissimo,  e  che  per  tal 
cagione  da  Manfredi  era  stato  adoperato  in  simili  af- 
fari, valendosi  della  di  lui  opera  per  le  nuove  impo^ 
sizioni  d'  angarìe ,  t^Ue  e  contribuzioni;   fecola  a  se 

(a)  Anonyin.  Mittit  in  Siciliam  Dominum  Philìppum  de 
llonforte.  {b)  Anonym. 


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DEL  REGNO  DI  NAPOLI  L.XIX.CAP.IV.  loff 
yenire»  il  quale  per  applaudir  all'avidità  sua  ed  acqui* 
atarsi  perciò  merito  presso  il  novello  Principe,  por- 
togli non  solo  tutti  i  Registri,  ove  erano  notati  i  pro- 
venti degli  Ufficj,  delle  giurisdizioni  i,  e  delle  altre  ra- 
gioni regie;  ma  lanche  i  registri,  o v'erano  rubrìcate 
tutte  le  estraordinarle  imposiaioni  d'angarìe,  paranga- 
rìe,  collette,  taglie^,  donativi,  e. .contribuzioni,  colle  quali 
sovente  erano  stati  oppressi  i  miseri  Regnicoli  (a).  Fu- 
ron  tali  le  insinuazioni,  ed  i  consigli  di  Giezolino, 
che  Carlo  per  porgli  più  speditamente  in  opera  levò 
tutti  gli  Ufficiali,  che  prima  erano  nelle  province,  e 
creò  nuovi  Giustizieri,  Ammirati  (&),  Protonotari,  Por- 
tolani^ Doganieri,  Fondachieri,  Secreti i,  Mastri  Giu- 
rati, Mastri  Scolari,  Raglivi,  Giudici  e  Notari  per 
tutto  il  Regno,  a'  quali  prepose  altri  Ufficiali  maggiori 
che  sopra  di  loro  invigilassero.  Questi  esercitando  lo 
loro  commissioni  con  inudita  acerbità  e  rigore,  gra- 
varono di  peso  insopportabile  i  Popoli,  scorticandogli 
e  cavando  loro  il  sangue  e  le  midolle  (e). 

Ecco  ora  mutati  i  giubili  in  continui  lamenti,  gè-* 
mono  sotto  il  grave  giogo  i  Regnicoli,  e  tosto  mutano 
volere,   e  desiderano  già,   e    sospirano   Manfredi.  In 
ogni  angolo    si  sentono   lagrìmevoli  querele:    0   Rea:^ 
Manfrede  (  con   amaro  pianto  dicevano  )   tt   met  non 

{a)  Di  questi  Registri  fassi  anche  memoria  in  una  carta 
rapportata  dal  Summonte.  (b)  Anonym.  Legem  ponit  Regni- 
colis  ,  novosque  Secretarios ,  Justitiarios ,  Àdroìratos ,  Proto- 
notarìos,  Fortulanos,  Dohanerios,  et  Fundìgario^ ,  Magistroa 
Scholariorum ,  et  Magistros  Juratos,  Bajulos,  Judices,  et  No- 
tarìos ubiqae  per  rcgnum^  et  super  hos  majores  Praeposìtos 
statuit  (e)  Anonym.  Subjectos  gravant  indebite,  ac  eis  iin- 
portabilia  onera  imponente»  exigenda  plu$  debito,  cruorem 
al^cìunt,  ac  meduUas. 


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io6  STORIA  CIVILE 

cognovimuSj  tjuem  nunc  et  ter  etiam  deploramus.  Te 
lupum  credehamus  rapacem  inter  opes  pascuae  huùis 
Regni j  secuti  spem  praesentis  domimi ^  quod  de  mobi- 
litatis,  et  inconstantiae  more  sub  magnorum  profusione 
gauJiorum  anxie  morabamur,  agnum  mansuetum  te 
jam  fuisse  cognoscimuSy  duìcia  tuae  potestatis  mandata 
tentimuSy  dum  alterius^  et  majora  gustamus.  Conque* 
rebamur  frequentius  nostram  partem^  partem  in  do- 
mimi tuae  Majestatis  adduci^  nunc  autem  omnia  bona^ 
quod  prius  est^  et  personas  aliejiigenarum  convertere 
debemus  in  praedam  (a). 

I.  Invito  di  GoRRÀDiHO  in  ltalia\  e  mal  successo 
della  sua.  spedizione. 

Da' lamenti  si  venne  alle  mormorazioni,  e  finalmente 
alla  risoluzione  di  chiamar  Corradino  da  Alemagna 
per  discacciare  i  Franzesi.  Molti  Baroni  eosi  di  que- 
sto Reame^  come  di  quello  di  Sicilia,  s' accingono  al- 
l'impresa,  e  istigano  ancora,  oltre  i  fugativi  ed  i  ra- 
minghi, tutti  i  Ghibellini  di  Lombardia,  e  di  Toscana 
a  far  il  medesimo,  acquali,  per  maggiormente  stimolar- 
«gli,  espongono  T  insopportabile  dominio  de' Franzesi  (i). 
Qne'che  sopra  gli  altri  si  distinsero  in  questa  niossa» 
furono  i  Conti  Gualyano,  e  Federico  Lancia  fratelli^ 
e  Corrado,  e  Marino  Capeci:  costoro  si  portarono  in 
Alemagna  a  sollecitar  Corradino  (e)  unico  rampollo  di 
tutta  la  posterità  di  Federico.  Mandarono  ancora,  per> 
quest' istesso  fine,  molte  città  imperiali  i  loro  Amba- 

(a)  Anonym.  (b)  Ànoo  jm.  Uniyersts  in  Lombardia  cft  Tu^ 
scia  Gibellinorum  capitibus  intimare  procurant  de  aspero,  eC 
angusto,  ac  importabili  dominio  Gallorum.  (e)  Aaonym* 


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DEL  REGNO  DI  NAPOLI  L.XIX.  CAP.IV.  107 
sciadori,  i  Pisani,  \  Sanesi,  ei  altri  Ghibellini,  e  con 
le  promesse  ed  esibizioni,  portarono  ancora  molto  de- 
naro per  agevolar  la  venuta. 

Era  Corradino  giovanetto  di  qaindiòi  anni:  perciò 
sua  madre  Elisabetta  di  Baviera  troppo  amandolo  te» 
mea  esporlo  a  tanti  pericoli  per  una  impresa  reputata 
malagevole;  ma  Corradino  spinto  da  generoso  cuore 
ruppe  ogni  indugio,  ed  abbracciò  T  invito,  stimolato 
ancora  dal  Duca  d'Austria  ancor  egli  giovanetto,  che 
s'offerse  venir  ancora  in  sua  compagnia  a  riporlo  nei 
paterni  Regni;  e  Corrado  Capece  tosto  da  Alemagna 
ne  diede  avviso  in  Sicilia. 

S'accinse  intanto  Corradino  al  viaggio,  e  nel  prin* 
cipio  deirin?erno  di  quest'anno  1267  partì  da  Ale- 
magna  conducendo  seco  il  Duca  d'Austria,  ed  un 
esercito  di  diecimila  uomini  a  cavallo,  «  ptr  la  via 
di  Trento  nel  mese  di  febbraio  giunse  a  Verona;  ove 
convocò  tutti  i  Principi  della  parte  Ghibellina,  che 
l'aveano  sollecitato  a  venire;  e  presa  risoluzione,  che 
dovessero  passare  per  la  via  di  Toscana,  si  onosse  da 
Verona,  ed  inviando  la  maggior  parte  dell' esèrcito  per 
la  via  di  Lunigiana,  egli  col  resto  tolse  lar  via  di  Ge- 
nova, ed  in  pochi  di  giunse  a  Savona,  dove  ritrovò 
l'armata  de' Pisani^  nella  quale  s'imbarcò  ed  andò  a 
Pisa.  I  Pisani  T  accolsero  con  molto  onore  ed  amore» 
volezza,  lo  prò  videro  di  denari,  e  gli  mostrarono  l'ar*- 
mata,  che  volevan  mandare  a  sollevare  le  terre  marit<> 
time  d'ambedue  i  Reami. 

Giunto  per  tanto  Corradino  a  Pisa  insieme  con 
molti  Principi  d*  Alemagna,  e  ^on  Corrado  Capece 
di  Napoli,  costui  cercò  a' Pisani  che  gli  dassero  navi 
per  poter  tragittare  i  n  Tunisi  a  sollecitare  il  soccorso 
de' Saraceni.  Erano  in  Tunisi  agli  stipendj  di  quel  Re, 


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io8  STORIA  CIVILE 

Federico,  ed  Errico  dì  Gastiglia  {a)\  i  quali  lividamente 
invidiando  la   grandezza'  e]  prosperità  del  Re  di  Gas- 
tiglia. lor  fratello,  si  tirarono  sopra  T indignazione  del 
medesimo,  onde  cacciati  di  Spagna  militavano  in  Tu- 
nisi  sotto  gli  stipendj  di  quel  Re.  E  per  la  continua 
conversazione,  che  tenevano  co' Saraceni,  eransi  quasi 
dimenticati  della  religione  cristiana,  e  ne' costumi  poco 
differivano  da'  Saraceni  medesimi  (h),  Federieo  era   in 
Tunisi  quando  vi  giunse  Corrado ,  dal  quale  informa- 
to delle  cose  di  Corradino,  l'indusse    a   prendere    la 
difesa ,  e  proccurare  presso  quel  Re  valido  soccorso. 
Ma  Errico  per  la  sua  naturai  superbia  ed  ambizione, 
entrato  in  sospettò  del  Re  di   Tunisi,  era  passato   a 
trovar  Carlo  in  Italia,  e   poi  con  finzioni  ed  astuzie 
si  mise  a  tentare  nella  Corte  di  Roma  i  suoi  avanza- 
menti ;  per  la  qualità  de'  suoi  nataU  fu  ricevuto  onore- 
volmente da  que'  Ministri,  e  pose  in  trattato  la  j)re- 
tensione ,  che  promevea  del  Regno  di  Sardegna.  Giunto 
a  Roma,  colle  sue  arti  e  macchinazioni,  seppe  far  tan- 
to, che  ancorché  non  vi   concorresse  buona  parte  di 
que' Nobili  romani,  e   de' Cardinali ,   si   fece   eleggere 
Senatore  di  quella  città  (e).  Fu  prima  amico  di  Carlo , 
che  gli  era  cugino ,  da  cui  sperava  col  favor  suo  qual- 
che Stato  in  Italia  ;  ma  vedendolo  troppo  ingordo  di 
Signorie,  e  che  voleva  ogni  cosa  per  se,  cominciò  ad 
odiarlo  e  ad  invidiar  la  sua  grandezza  e  cercar  oppor- 
tunità di  minarlo.  Altamente  ancora  si  dolea  di  lui , 
che  avendolo  soccorso  di  molti  denari  quando  era  in 


(a)  Anon jm.  (b)  Auonym.  Hi  sane  fratres  Hìspanì  prò  Sa- 
racenorum  conversatìoiie  diutina  a  elibus  Agarenorum  imbuti, 
et  fere  Christianae  religionis  obliti,  a  Saraceuìs  ipsis  vita  pa- 
rum  et  moribus  difFerebaiit.  (e)  Aounym. 


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DEL  REGNO  DI  NAPOLI  L.XIX.  CAP.IV,  109 
Lassa  fortuna  e  quando  calò  in  Italia  contro  Manfredi , 
da  poi  salito  in  tanta  grandezza  e  con  tante  dovizie , 
che  con  facilità  potea  restituirglieli ,  non  volea  in  conto 
alcuno  renderglieli.  Avendo  adunque  avuta  novella 
dell'invito  fatto  a  Corradlno  in  Italia,  credette  aver 
nelle  mani  opportuna  occasione  di  vendicarsi  di  Carlo , 
ed  insieme  collegandosi  con  Corradino ,  si  pose  in  is- 
.  peranza  d*  ottener  da  lui  quello  che  non  avea  potuto 
ottener  da  Carlo  ;  mandò  perciò  più  lettere  e  messi  a 
Corradino,  affinchè  si  sollecitasse  a  venire,  perchè 
egli  avrebbegli  facilitata  l'impresa,  desiderando  il  suo 
arrivo  più  che  tutti  i  Regnicoli,  Roma  e  tutta  T Ita- 
lia, e  sperava  con  certezza  discacciarne  i  Franzeai. 

Intanto  Corradino  sollecitato  per  queste  lettere  d'Er- 
rico, era,  come  si  è  detto,  calato  in  Pisa^  e  per  mag- 
giormente istigare  i  Popoli  d'Italia,  e  del  Reame  di 
Puglia  e  di  Sicilia,  fece  spargere  da  per  tutto  più 
esemplari  di  un  suo  Manifesto  (a) ,  ove  querelandosi 
acerbamente  di  quattro  romani  Pontefici ,  e  di  due 
Re^  Manfredi  e  Carlo,  invita  i  suoi  devoti  a  dar  ma* 
no  air  espulsione  de'^Franzesi  da'  suoi  R^ami  di  Pu' 
glia  e  di  Sicilia. 

Non  si  può  credere  che  grandi  movimenti  fece  in 
Sicilia,  Puglia  e  Calabria  questa  Scrittura:  tutti  gri- 
davano il  nome  di  Corradino;  ed  a  questi  stimoli  si 
aggiunse  un  fatto  d'  arme  accaduto  al  Ponte  a  Tallo 
vicino  Arezzo;  [poiché  proccurando  Guglielmo  Sten- 
dardo e  Guglielmo  di  Risolve,  Capitanigli  moka  sti- 
ma del  Re  Carlo,  impedire  il  passaggio  all'  esercito 
di  Corradino,  furono  rotti,  ed  appena  Guglielmo  Sten** 

{a)  Questo  Manifesto  si  legge  presso  Inveges  Anna!,  di  Palef. 
tom.  3  e  Lunig  Cod.  Ital.  Piplona.  Tom.  a  pag.  958. 


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no  STORIA  CIVILE 

dardo  si  sdhò  con  900  kace,  ed  il  Biselve  restò  pri- 
gione con  alcuni  pochi  Gayalieri  fraosesi ,  eh'  erano 
rimasti  vivi.  > 

La  novelU  dì  questa  rotta  sparsa  dalla  £ama  per 
tutto  il  Regiio  di  Puglia  e' di  Sicilia ,  ed  ingrandita 
assai  pia  dql  vero,  trovando  gli  animi  già  disposti, 
sollevò  quasi  tutte  le  province;  ed  i  Saraceni,  ch'e- 
rano soliti  sotto  rimperador  Federico,  e  He  Manfredi 
d'  esser  stipendiati ,  rispettati  ed  esaltati  con  dignità 
civili  e  QÙl^tari,  e  non  poteano  soffrire  di  stare  in 
tanto  bassa  fortuna  sotto  l' imperio  del  Re  Carlo,  preso 
yigore,  fecero  sollevar  Lucerà,  la  quale  inalberò  tosto 
le  bandie^  di  Corradino.  Seguirono  il  di  lui  esem- 
pio quasi^  tutte  T  altre  città  di  Puglia,  di  Terra  d'O- 
tranto, di  Capitanata  e  di  Basilicata,  edera  veramente 
cosa  da  stupire,  vedere  tanta  volubilità,  e  leggerezza 
in  que' medesimi  Popoli,  i  quali  poc'  anzi  ardentemente 
desideravano  la  venuta  di  Carlo  co'  suoi  Franzesi,  ed 
ora  averne  cotanto  abborrimento,  invocando  incessan- 
temente il  nome  di  Corradino;  dal  che,  e  da' molti  al- 
tri esempi  passati,  e  da  quelli  che  si  leggeranno,  ne 
nacque,  cosi  presso  gli  antichi  Storici,  che  moderni, 
quell'  opinione  de' nostri  Regnicoli,  d'  essere  i  più  vo- 
lubili ed  incostanti,  e  che  sovente,  tosto  infastiditi  di 
un, dominio,  desiderarne  un  nuovo.  Taccia,  la  quale 
nemmeno  Scipione  Ammirato  (a)  ne'  suoi  ELitratti,  osò 
di  negarla  a'  nostri  Regnicoli;  e  della  quale  mal  seppe 
difendergli  Tommaso  Costa  in  quella  sua  infelice  Apo- 
logia del  Regno  di  Napoli, 

Re  Carlo  stupiva  pure  di  tanta  volubilità,  non  men 
de'  Regnicoli,  che  della  sua  fortuna;  e  posto   in  gran 

{a)  Ammirato  ne'  Ritratti ,  in  quello,  del  Re  Carlo  I. 


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DEL  REGNO  DI  NAPOLI  L.XIX.  GAP. IT,  in 
pensiero,  era  tutto  inteso  di  accrescere  il  suo  eserci- 
to, per  andare  ad  opporsi  a  Gorradino,  il  quale  a  grandi 
{ioraate  se  ne  calava  a  Roma,  ore  da  Errico  di  Ga» 
stiglia  e  da'  Romani  era  aspettato,  per  entrare  per  la 
via  d'Abruzzi  nel  Regno. 

Intanto  Papa  Glemente  ch'era  a  Viterbo,  avendo 
inteso  i  progressi  di  Gorradino  in  Italia  ed  i  moti  del 
Regno,  per  opporsi  dal  suo  canto  in  ciò  che  poteva. 
Boa  avea  mancato,  tosto  che  Gorradino  giunse  in  Ye^- 
rona  ed  in  Pavia,  di  scrivere  calde  e  premurose  let- 
tere a  varie  città  d'  Italia  inculcando  loro,  che  non 
aderissero  a  Gorradino  ;  ma  scorgendo ,  che  queste  let- 
tere prodttcevan  poco  frutto ,  volle  vedere  se'  per  un 
altro  verso  potesse  spaventarlo. 

(  Oltre  di  queste  lettere  scrisse  pure  ne' precedenti 
mesi  una  terribile  lettera  alF  Arcivescovo  dì  Magonza 
perchè  dichiarasse  pubblicamente  scomunicato  Gorra* 
dino ,  co'  suoi,  che  affettava  invadere  il  Regno  di  Si- 
cilia, che  si  legge  presso  Lunig  (a)  ). 

Gli  spedì  per  tanto  in  aprile  di  quest' istesso  anno 
1267  una  terribile  citazione,  colla  qjiale  se  gli  pre» 
scriveva  certo  tempo  a  dover  comparire  avanti  di  lui, 
se  avesse  pretensione  alcuna  sopra  i  Reami  di  Puglia 
e  di  Sicilia,  e  che  non  cercasse  di  farsi  egli  stesso 
giustizia  colle  armi,  ma  proponesse  sue  ragioni  avanti 
la  Sede  Appostolica,  che  glie  la  avrebbe  renduta;  al- 
trimente  non  comparendo,  avrebbe  contro  di  lui  pro- 
ferita la  sentenza,  Gorradino  non  comparve  già,  ma 
proseguì  armato  il  suo  cammino;  ed  egli  nella  Gatte- 
dral  Ghiesa  di  Viterbo  a'  a  8  aprile  alla  presenza  di 
tutto  il  Popolo  pronunziò  la  sentenza.  Da  poi  invitò 

(a)  Cod.  Ital.  Dìplom.  tom.  2  pag.  971. 


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Ila  STORIA  CIVILE 

Carlo  a  venir  a  Viterbo,  dove  a' abboccarono  insieme^ 
e  la  fece  Goyernadore  di  Toscana;  e  poiché  V  Impe- 
rio d'  Occidente  vacava,  lo  creò  egli  Paciere,  ovvero 
Vicario  Generale  dell*  Imperio.  Air  incontro  a'ag  giu- 
gno nella  festa  degli  Appostoli  Pietro  e  Paolo,  cos 
grande  apparato  e  celebrità  scottiunicò  pubblicamente 
Corradino,  e  lo  dichiarò  nemico  e  rebelle  della  ro- 
mana Chiesa,  «  decaduto  da  tutte  le  sue  pretensio- 
ni (a).  Scrisse  ancora  a  Fr.  Guglielmo  di  Turingia 
Domenicano,  cbe  scomonicasse  tutti  coloro  che  non 
volessero  prestar  ubbidienza  a  Carlo;  ed  air  incontro 
ricolmasse  di  benedizioni  ed  indulgenze  «juelli,  che 
per  lui  prendessero  Tarme  contro  Corradiofo.  £  dop» 
tutto  questo,  essendosi  reso  certo,  che  erasi  confede^ 
rato  con  D.  Errico  di  Castiglia,  lo  scomunica  di  nuo- 
vo la  seconda  volta.  Ma  Corradino  poco  curando  di 
questi  fulmini,  non  s'  atterrisce,  e  fermo  nel  proponi- 
mento bada  unicamente  ad  unir  gente,  e  denaro  per 
r  impresa  {b). 

Dall'altra  parte  Corrado  Capece,  e  D.  Federico 
fratello  di  Errico ,  ch'erano  ancora  a  Tunisi ,  seguendo 
le  buone  disposizioni  di  quest'impresa,  partirono  da  Tu- 
nisi con'  200  Spagnuoli,  ed  altrettanti  Tedeschi ,  e  /\oò 
Turchi,  che  teneva  a'  suoi  stipend)  quel  Re,  e  sì 
portarono  in  Sicilia.  Corrado  giunto  a  Schiacca ,  pub- 
blicandosi Vicario  di  Corradino,  sparge  jettere  per 
tutta  queir  Isola ,  sollevando  que'  Popoli  a  ricevere  il 
loro  Re  Corradino,  che  con  numeroso  esercito  veniya. 
Le  lettere  erano  dettate  in  questo  tenore:  Ecce  Rea: 
noster  cito  venie t  in  celebri  ^  ete.  e  sono  rapportate 
da  Agostino  Inyeges.  Le  quali  furono  cotanto  effica- 

(a)  luveges  AtmaL  Paler.  tona.  3.  {b)  Aoonym* 


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DEL  REGNO  DI  NAPOLI  L.XIX,  CAP.IV.  ii3 

GÌ,  che  in  brìeve,  avvalorate  dal  coraggio  di  Gapeoe, 
quasi  latta  la  Sicilia  alzò  le  bandiere  di  Gorradino, 
tanto,  che  Fulcone  Vicario  in  quell'Isola  per  Re  Garlo 
restò  sorpreso,  e  volendo  colle  armi  frenar  la  solle- 
vazione ,  furono  le  sue  truppe  rotte ,  ed  egli  obbligato 
colle  sue  genti  a  mettersi  in  fuga.  E  qui  terminando 
V  Anonimo  la  sua  Gronaca,  si  ricorrerà  ora  al  Villani^ 
ed  agli  Scrittori  non  meno  diligenti  che  fedeli  rap- 
portatori de'  successi  di  questi  tempi. 

Papa  Clemente  avendo  nel  nuovo  anno  lagS  intesa 
la  rotta  di  Fulcone  in  Sicilia ,  baódì  la  Crociata ,  e 
scomunicò  tutti  òoloro,  che  assalivano  '  la  Sicilia  di  qua 
e  di  là  dal  Faro.  A  Gjorradino  mandò  nuovamente  suoi 
Legati,  perchè  tosto  uscisse  d' Italia.  Questi  non  ubbi- 
dendo ,  lo  priva  del  Regno  di  Gerusalemme  j  lo  dichia- 
ra inabile  all' Imperio  e  ad  ogni  altro  Regno.  Sco- 
munica di  nuovo  tutti  i  Popoli,  le  città  e  tutte  le 
terre,  che'l  favorissero.  Fulminò  anche  scomunica  con- 
tro D.  Errico,  e  lo  priva  della  dignità  Senatoria | 
conferendola  al  Re  Garlo  per  dieci  anni. 

Ma  Gorradino ,  niente  di  ciò  curandosi,  prosiègue 
il  suo  viaggio,  e  giunto  a  Roma,  fu  ricevuto  in  Cam- 
pidoglio dal  Senatore  Errico  e  da' Romani  con  gran 
poinpa  ed  allegrezze  a  guisa  d'imperadore;  ed  ivi 
ragùnata  molta  gente  e  denaro^  unito  con  D.  Errico 
e  colle  sue  truppe,  inteso  ancora  i  moti  delle  città 
e  Raroni  del  Regno,  si  parti  da  Roma  a'  io  d'Agosto 
.con  D.  Errico  e  i  suoi  Baroni,  e  con  molli  Roma- 
ni, né  volle  far  la  via  di  Campagna, .  sapendo  che  il 
passo  di  Gepperano  era  ben  guardato,  ma  prese  la 
:via  delle  montagne  tra  Abruzzo  e  Campagna,  condu- 
cendo il  suo  esercito  per  luoghi  non  guardati  e  fre- 
schi, abbondanti  di<  carni  e  di  strame,  e  d'acque  frer 

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ii4  STORIA  CIVILE 

sche,  che  fu  a'  Tedeschi  impazienti  dei  catdo  di  gran- 
dissimo risloro,  e  finalmente  nel  piano  di  Ta^^liacozzo 
collocò  il  suo  esercito. 

11  Re  Carlo  dalT  altra  parte,  avendo  ordinato  a  Rug« 
giero  Sanseverino,  ohe  con  buon  numero  di  aliri  Ba- 
roni suoi  partigiani  tenessero  a  freno  i  sollevati;  egli 
con  tutte  le  sue  forze  cavalcò  da  Capua  per  andare 
ad  opporsi  a  Corradino;  ma  accadde,  che  in  quelli  dì 
capitò  in  Napoli  Alardo  di  S,  Valtri^  Barone  nobilis- 
simo Franzese,  che  veniva  d'Asia,  dove  con.  somma 
sua  gloria  avea  per  venti  anni  continui  militato  con- 
tro Infedeli,  ed  ora  già  fatto  vecchio  ritornava  in  Fran- 
cia per  morire  nella  sua  patria.  Costui  non  ritrovan- 
do il  Re  in  Napoli,  andò  a  ritrovarlo  a  Capua,  dove 
èra  coir  esercito;  Re  Carlo,  quando  il  vide,  si  ralle- 
grò molto,  e  subito  disegnò  di  valersi  della  virtù  di 
tal  uomo  e  del  suo  consiglio,  e  lo  pregò  che  volesse 
fermarsi  ad  ajutarlo  in  si  gran  bisogno;  e  bench'  egli 
si  scusasse,  che  per  la  vecchiezza  avea  lasciato  Y  e- 
scrcizio  delle  armi,  e  s'  era  ritirato  ad  una  vita  cri- 
stiana, e  che  non  conveniva,  x;he  avendo  spesa  la  gid- 
ventii  in  combattere  con  Infedeli,  alla  vecchiezza  a- 
vesse  da  macchiarsi  del  sangue  de'  Cristiani;  nulladi- 
manco  avendogli  Carlo  dato  a  sentire,  che  militando 
eontro  Corradino,  pure  militava  contro  gì  Infedeli,  es- 
sendo ribelle  del  Papa,  scomunicato,  e  fuori  della 
Chiesa,  oltre  che  il  Re  di  Francia  Y  avrebbe  somma- 
mente gradito^  tanto  fece,  fin  che  lo  strinse  a  restaro; 
e  sentendo  che  Corradino  era  alloggiato  nel  piano  di 
Tagliacozzo,  volle  che  Y  esercito  di  Carlo  da  lui  gui- 
dato s'accampasse  forse  due  miglia  lontano  da  quello: 
da  poi  con  pochi  cavj^li  salito  in  un  poggio ,  e  con- 
siderato bene  il  campo  de' nemici,  s^  avvide  Fesercito 


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DEL  REGNO  DI  NAPOLI  L.XIX.  GAP. IV.  ii5 

suo  esser  di  numero  molto  inferiore  di  quello  di  Gor- 
radino,  e  perciò  dover  sperarsi  più  ùella  prudenza  ed 
astuzie  militari,  che  nella  forza;  ed  avendo  appiattato 
il  terzo  squadrone  dietro  ad  una  valle,  fece  presentare 
la  battaglia  al  nemico^  il  quale  avidamente  la  ricevè, 
sdegnato  dall'  ardire  dei  Franzesi,  che  con  tanto    di- 
svantaggio di  numero  venivano  a  far  giornata.  Si  at- 
taccò il  fatto  d*  arme ,  ed  ancor  che   i   Francesi   con 
due   soli  squadroni   valorosamente  sostenessero  V  im- 
peto de'  nemici,  a  luogo  andare  bisognò   che    cedes* 
aero,   facendosi  una   strage  crudele  de'  Franzesi.   Re 
Garlo  clic  con  Alardo  sopra  il  Poggio  vedea  la  mina 
de^suoi,  ardeva  di  desiderio  d'andare  a  soccorrergli, 
ma  fu   ritenuto   da  Alardo,  e  pregato  che  aspettasse 
il  fine  della  vittoria,  la  quale   avea   da   nascere  dalla 
rotta  de'  suoi,  siccome  avvenne;  poiché  cominciando  i 
Franzesi  a   gettar   Tarme,  a  rendersi   prigioni,   e  gli 
altri  a  fuggire,  le  genti  di  Gorradino,  credendosi  aver 
avuta  intera  vittoria,  si  dispersero,  parte  si  misero  ad 
inseguire  i  fuggitivi,  altri  attendevano  a  spogliare  i 
Franzesi  mòrti  ed   a  seguitare  i  cavalli  degli   uccìsi, 
ed  altri  ti   menare  i  prigioni*  Allora  Alardo  volto  al 
Re  Carlo,  disse:  Andiamo^  Sire^  che  la  vittoria  è  no^ 
tra\  e  discendendo  al   piano    con  lo  terso  squadrone, 
che  era  rimaso  nella  YaÙe,  diedero  con  grand'  impe-* 
to   sopra   r esercito   nemico  in  varie  parti  diviso,  ed 
agevolmente  lo  posero  in  rotta,  e  spinti  innanzi,  tro- 
varono, che  Gorradino  e  '1  Duca  d'Austria,  e  la  mag- 
gior parte   de'  Signori  eh'  «rano  con   lui,   certi  della 
vittoria,  ^'aveano  .levati  g^i  «Imi,  e  ^stavano   oppressi 
dalla  stanchezza  e  dal  caldo;  e  non  avendo  né  tempo, 
né  vigore  da  riarmarsi,  si  diedero  a  fuggire,  e  nella 
fuga  ne  fu  gran  parte  ucciaa. 


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ii6  STORIA  CIVILE 

Corradino  ed  il  Daca  d'Austria ,  col  Coste -Guai- 
yano  ed  il  Conte  Girardo-  da  Pisa  pigliaron  la  TÌa 
della  manna  di  Roma,  con  intensione  d'imbarcarsi 
lày.  ed  andare  a  Pisa;  e  camminando'  di  giorno  e  di 
notte,  vestiti  in  abito  di  contadini,  arrivarono  in  Asta- 
ra, terra  in.  quel  tempo  de'  Frangipani  nobili  Romani: 
dove  con  acerbo  lor  destino  a  caso  scoverti,  furono 
da  uno  di  que^  Signori  fatti  prigioni^  e  di  là  a  poco 
condotti  e  consignati  a  Re  Carlo,  che  ^i  mandò  pri- 
gioni in  Napoli,  e  gradi  questo  dono,  come  prezio- 
sissimo, donando  a  quel  Signore  la  Pelosa  ed  alcun» 
altre  castella  in  Valle  Reneventana,  e  volle,  che  si 
fermasse  in  Napoli:  da. cui  discesero  i  Frangipani  che 
goderono  gU  onori  lungamente  del  Seggio  di  Porta- 
nova  di  Napoli.' 

,  D*  Errico  di  Castiglia,  mentre  fuggiva,  fu  incon- 
trato dalle  genti  di  Carlo,  i  quali  ruppero  le  sue  trup- 
pe, e  ne  fecero  molti  prigioni;  ed  egli  si  salvò  fug- 
gendo por  beneficio  deUa  notte.  Alcuni  narrano,  che 
si  rioovFÒ  in  Monte  Cassino,  ove  da  quell'Abate,  che 
credette  farsi  un  gran  merito  col  Papa,  fu  fatto  pri- 
gione, e  fattosi  assicurare  di  risparmiargli  la  vita,  Io 
mandò  in  dono  a  Papa  Clemente,  il' quale  tosto  T  in- 
viò al  Re  Carlo ,  che  insieme  con  gli  altri  lo  fece 
condurre  prigioniero  in  Napoli.' Altri  dicono,  che  fug- 
gì verso  Rieti,  e  che  pure  un  Abate  d*  un  altro  mo- 
nastero, dove  capitò,  fattolo  prigione,  lo  mandò  al 
Papa. 

Soli  scamparono  dalFira  del  Re,  Corrado  Capece,  e 
Federico  frateUo  d' Errico;'!  quali  trovandoin  in  Sici- 
lia ebbero  modo  d^  imbarcarti  sopra  alcune  galèe  dei 
Pisani,  ed  a  Pisa  ne  andarono. 

In  memoria  di.  questa  rimarchevole  vittoria^  per  cui» 


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DEL  REGNO  DI  NAPOLI  L,XIX.  CAP.IV.  117 

se  diam  fede  al  Fazxe^io,  fu  sparso  il  sangue  di  do- 
dicimila Tedeschi,  £ece  Re  Carlo  edificare  una .  Badìa 
per  H  Monaci  dt  S.  Benedetto  (a),  nel  luogo-: ore. se- 
guì la  battaglia  col' titolo  di  S.  Mìaria  della  Vittoria, 
dotandola  di  molte  possessioni.  Ma  per  le  guerre  se* 
guanti  fu  disfatta  e  disabitata:  ed  oggi  il  Papa  conr 
ferisce  il  titolo  di  quella  Commenda,  la  quale  è  delle 
buone  del  Regno  per  li  frutti  delle  pbssesaioDi,  che 
ancora  ritiene  {by       >      ■ 

Non  si  possono  espriniere  le  crudeli  stragi,  che  fe- 
ce Carlo  de'  ribelli;  e  de*  presi  in  battaglia  dopo,  que- 
sta vittoria.  Alcuni.  £eee  impiccar  per  la-  gola,  altri 
furono  fatti  morire  col  ferro,  e  moltistfimi  condennati 
a  perpetuo  carcere.  Le  città  delle  nostre  province',  che 
alla  venuta  di  Corradino  ribellaronsi,  furono  da'  Fraa- 
zesi  manomesse ,  portando  da  per  tutto  desolazioni, 
ruiae  ed  incendi.  Aversa  fu  disfatta ,  Potenza ,  Oor- 
neto,  e  quasi  tutti  i  castelli  di  Puglia  é<di  fBasilicata 
furono  crudelmente  distrutti. 

Né  minori  fui^ono.  le  stragi  nelF  Isola  di  Sicilia. 
A  Corrado  d^  Antiochia,  ed  a  molti  Signori  del  partito 
di  Corradino  furono  prima  cavati  gli  occhi,  e  poi  fatti 
barbaramente  impiooarei  .Hidu^e,,i,  Sioiliaoi  in  una 
quasi  8ch}avitudkie>  igrayandògli  di  nuovi  tributi;  ed  i 
Franzesl  insolenti,  non.  perdonavano  né  r  all' onore,  ne 
alle  robbe  degli  abitatori,  onde  jiacqucf  il  pr,incipio  del 
famoso  Vespro  Siciliano;  poiché. i  Siciliani  peir  uscire 
da  tanta:  servitù  diedero  pqi  .mano  ' alla  :co];anto  celebre 
congiura  di  Giovanni,  di  Frooiday  della  quajb  parle- 
remo più  innanzi.  , 

(a)  De  Bottis  in  addit.  ad  Capit.  de  assecurandis  bominl- 
bus  illorum,  qui  tuibationis  tempore  G^rradini  .a  fide  regia 
defecerunt.  {b)  Goj»tanzo  lih.  i. 


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,,8  STORIA  CIVILE 

Debellò  ancora  i  Saraceni ,  che  s' erana  fortificati  in 
Lucerà,  ed  avendo  ridotta  quella  città  sotto  la  sua 
ubbidienza ,  fece  ivi  prigioneri  Manfredino  ,  e  sua  madrt 
Elena  degli  Angioli  seconda  moglie  di  Manfredi,  «he 
condotti  in  carcere  nel  caste!  dell' Uovo  di  IfapoU, 
furono  per  opera  del  Re  Carlo  fatti  iyi  morire. 

Scipione  Ammirato  ne' suoi  Ritratti  (a)  rapporta,  che 
ì  figlinoli  di  Manfredi  fossero  stati  tre ,  e  '  che  i  |or 
nomi  fossero  Errico,  Federico  ed  Ansellino,  acquali 
infino  a  tempi  del  Re  Carlo  II,  essendo  tenuti  incarce- 
rati nel  castello  di  Santa  Maria  al  Monte,  si  davano 
tre  tari  d'oro  per  ciascun  giorno.  Ma  altri,  fra' quali 
è  Inveges  (b)  ^  rifiutano  ciò,  clie  scrive  quest'Autore  ; 
poiché  i  due  figliuoli  di  Manfredi,  ch'ebbe  della  primA 
sua  moglie  Beatrice  di  Sa voj a,  premorirono  al  padre, 
e  sol  Manfredino  figliuolo  della  seconda  fa.  &tto 
prigione  con  la  madre,  che  furono  da  Carla  I  fatti 
morire  in  prigione. 

§.  IL  Infeticd  morte  del  Se  Cobbadiko, 
in  cui  s^  estinse  il  legn aggio  de'  Sve9Ì. 

Avendo  con  tali  mezzi  di  crudeltà  Carlo  recati  questi 
Regni  sotto  la  sua  ubbidienza ,  ed  usando  rigore  estre- 
mo ,  avendo  ridotti  i  suoi  sudditi  in  istato  di  non  po- 
terlo pili  offendere,  gli  rimaneva  solo  di  deliberare 
ciò,  che  dovesse  farsi  di  Corredino ,  del  Duca  d'Au- 
stria ,  e  degli  altri  Signori  prigionieri.  Ne  volle  prima 
il  Re  sentirne  il  parere  del  Papa,  con  cui  soleva 
consultare  delle  cose  più  ardue  e  gravi  del  Regno. 


{a)  Ammir.  nel  ritratto  di  Cario  !•  {b)  Inveges  AimaL    di 
Pai.  tòm.  3. 


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DEL  REGNO  DI  NAPOLI  L.XIX.  GAP.  IV.  119 

Scrìvono  Errico  Gualdelfier ,  il  Villani,  Fazzelio  ^ 
Gollenuccio f  ed  altri,,  che  Gienwote  alla  dosaauda 
rispondesse  queste  brevi  parole;  Wiia  Corradini/mon 
Caroli:  Mors  Corradini y  vita  Carolis  Ijo  nicgano  il 
Gostanzo  ^  il  Summonte  e  Rinaldo  ;  ed  il  Summontc 
s^ appoggia  ad  una  ragion  fahisaima,  dicendo,  che.  ciq 
non  ppteva  avvenire,  trovandosi  già  dieci  meai  prima 
morto  Clemente,  quando  Gorradino  fu  fatto  decapita- 
re :  nientedimeno  ciò  non  ripugna  al  testimonio  di 
quegli  Scrittori,  i  quali  dicono,  che  Garlo  richiedesse 
il  Pontefice  del  suo  parere,  che  gli  fu  dato;  ma  che 
poco  da  poi  prevenuto  dalla  morte  non  potè  vedere 
l'esecuzione  del  suo  crudel  consiglio.  Il  Gostanzo  aven- 
do quel  Papa  per  uomo  di  santissima  vita ,  e  perchè 
lo  scrive  il  Collenuccio  suo  antagonista,  non  potè  per- 
suadersi a  crederlo.  Ma  in  ciò  dee  pur  darsi  tutta  la 
fede  al  Villani,  il  quale  con  tutto  che  Guelfo,  e  ca« 
pital  nemico  de'  Svevi,  difendendo  il  Papa,  non  ardisoe 
di  negarlo. 

Papa  Clemente  non  potè  vedere  T  esecuzione  di  sì 
fiero  consiglio,  poiché  a' 39  di  novembre  di  quest'an- 
no 1368  o  pure  com*  altri  scrissero  a' 3o  dicembre 
trapassò  ;  e  per  le  continue  fazioni  contrarie  de*  Car- 
dinali, che  per  la  potenza  di  Garlo  non  potevano 
deliberarsi  ad  eleggere  un  successore  di  loro  arbitrio 
e  volontà,  vacò  la  sede  quasi  tre  anni,  cioè  infino  al- 
l'anno   la^i   siccome  scrive  il  Gordonio. 

Re  Garlo^  morto  il  Pontefice,  nel  nuovo  anno'  1269 
essendo  per  la  sua  naturai  fierezza  e  crudeltà  stimolato 
a  prender  di  quell  infelice  Principe  le  più  crudeli  ri- 
soluzioni: per  dar  altra  apparenza  e  più  speziosa  a 
questo  fatto ,  volle  che  si  prendesse  su  ciò  pubblica 
deliberazione;  e  fatti  convocare  in  Napoli  tutti  i  mag- 


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120  STORIA  CIVILE; 

glori  Baroni  di  quella,  e  quelli  Signori  francesi  che  era* 
no  con  lui  ragunò'un  consiglio  affinchè  deliberasse  ciò 
che  dovesse  farsi  di  Corradino.  I  principali  Baroni  fran« 
ztsì  erano  in  discordia;  poiché  il  Conte  di  Fiandra  gè* 
nero  del  Re  e  molti  altri  Signori  più  grandi  e  di  magna- 
nimo cuore,  e  che  non  tenevano  intenzione  di  fermarsi 
nel  Regno,  furono  di  parere,  che  Corradino  e'I  Duca 
d'Austria  si  tenessero  per  qu^lch'anno  carcerati,  finché 
fòsse  tanto  ben  radicato  e  fermato  T imperio  di  Carlo, 
che  non  potesse  temer  di  loro.  Ma  quelli,  che  arcano 
avuto  rimunerazióne  dal  Re,  e  desideravano  assicurarsi 
negli  Stati  loro  (il  che  non  parca,  che  potesse  essere, 
vivendo  Corradino)  erano  di  parere,  che  dp vesso  morire. 
Altri,  a  cui  era  nota  T  inclinazione  del  Re,  per  andar 
a  seconda  del  suo  desiderio  s'unirono  co'  secondi.  A 
questa  opinione  a- accostò  il  Re  (a),  o  fosse  per  sua  na- 
tura crudele,  o  per  la  grandissima  ambizione  e  gran 
desiderio  di  Signoria,  che  lo  faceva  pensare  agli  Stati 
di  Grecia,  acquali   non  poteva   por   mano   senz'esser 
beh  sicuro  di  non  aver   fastidio   ne' Regni  suoi^  mas- 
sime per  le  rivoluzioni,  ch'avea  veduto  pei  la  venuta 
di  Corradino;  onde  dubitava,  che  i  medesimi  Sarace- 
ni, eh'  erano  rimasti  nel   Regno ,   ajutati   da'  Saraceni 
di  Barberia,  essendo  egli  lontano^  non  si  movessero  a 
liberarlo;  fa  cónchiuso  in  fine,  che  se  gli  dasse  morte. 
A   quésto  fine,   fu  imposto,   che  gli   si  fabbricas- 
se il  processo   sopra   queste    accuse:   di  perturbatore 
delia  pubblica  quiete,   e  dei   precetti  de'  sommi  Pon- 
tefici: di  tradimento  contro  la  Corona:  d'  aver  ardito   ' 
d'  invadere  ed  usurpare   il  Regno  con  falso  titolo   di 
Re,  e  d'aver  tentato  anche    la  morte  del  Re  Carlo. 

{a)  Costanzo  llb.  i. 


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DEL  REGNO  DI  NAPOLI  L.XIX.  CkV.IY.  isf 

Fu  il  processo  fabbricato  e  compito  innanzi  a  Ro- 
berto da  Bari,  ch'era  Protonotario  del  Re  Carlo;  il 
quale  proferì  la  sentenza  di  morte,  e  qaella  lesse  ia 
pubblico,  appoggiandola  sopra  le  riferite  accuse. 

(  Di  questo  Roberto  e  della  poca  sua  letteratura, 
ne  fa  anche  menzione  Errico  d'  Isctnia  in  quella  let- 
tera scritta  a  Fr.  Bonaventura ,  che  si  legge  nel  Go^ 
dice  MS.  della  Biblioteca  Cesarea  di  Vienna,  ilT.  ijo 
pag.  83  dove  fra  T  altre  cose  gli  dice:  Novintus  etiam^ 
si  ad  moderna  tempora  stilum  retrahimus^  quoA  Papa 
Clemens  Robertum  de  Baro  non  magnae  Literaturae 
hominem^  imo  tantum  ex  usu  aliquid  cognoscentem^ 
apud  Regem  promovit  Carolum*  ) 

Fu  da  questa  sentènza  di  morte  sol  eccettuato  D. 
Errico  di  Gàstiglia,  che  fu  condennato  a  perpetuo  car- 
cere in  Provenza,  per  osservarsi  la  fede  data  alF Abate, 
che  lo  consignò'  al  Papa  sotto  parola^  che  di  lui  non 
si  spargesse  sangue. 

Fu  sl\26  ottobre  di  quest'anno  1269  in  mezzo  del 
Mercato  di  Napoli  con  apparati  lugubri  e  funesti,  es- 
sendosi apprestato  il  talamo  e  V  altre  pompe  di  morte, 
mandata  in  esecuzione  sì  barbara  e  scellerata  sentenza;, 
e  narrasi  che  V  infelice  Gorradino  quando  V  intesè'leg- 
gere  dal  Protonotario,  voltatosi  a  lui,  gli  avesse  detto 
queste  parole:  Serve  nequam^  tu  reum  fecisti  filium 
Begis  et  nescis  quod  par  ift  parem  non  hàbet  impe^ 
rium:  poi  rivolto  al  Popolo  purgossi  de'  delitti,  che 
falsamente  se  gV imputavano,  dicendo,  ch'egli  non 
ebbe  mai  talento  d'offendere  S.  Chiesa,  ma  solo  di 
acquistare  il  Regno  a  lui  dovuto  per  chiare  e  mani- 
feste ragioni,  e  del  quale  a  torto  n'era  stato  spoglia- 
to. Ch'egli  sperava,  che  di  sì  inaudite  e  barbare  vio- 
lepz^ ,  UQ  dovessero  prender  vendetta  i  Duchi  di  Ba•^ 


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133  STORIA  CIVILE 

viera  della  stirpe  di  «uà  mad^e,  e  ehe  i  Tedeschi, 
ancora  non  lasceranno  invendicata  la  barbata  sua  mor- 
te. E  dette  queste  parole.,'  trattosi  un  guanto,  come 
vuole  il  CoUenuceio,  e  come  altri  un  anello,  lo  buttò 
verso  il  Popolo,  quasi  in  segno  d' investitura.  E  vi  è 
chi  scrive,  che  per  tal  atto  avesse  voluto  lasciar  suo 
erede  D.  Federico  di  Gastiglia  figliuola  di  sua  zia, 
che,  come  sé  detto,  erasi  da  Sicilia  fuggendo,  rico- 
vrato  a  Pisa.  Ma  il  Maurollco  ed  altri  comunemente 
affermano,  che  Gorradino  con  questo  segno,  morendo 
senza  figliuoli,  istituì  erede  D.  Pietro  d'Aragona  ma- 
rito di  Gostanza  sua  sorella  cugina.  E  narra  Pio  li  (a) 
che  questo  guanto  o  anello  fu  raccolto  da  Errico  Da- 
pifero, da  cui  fu  portato  in  lapagna  al  Ré  Pietro. 
Ond'è  che  i  Re  aragonesi  e  gli  austraci  prendono  la 
lor  ragione  per  la  successione  de'  Regni  di  Sicilia  e 
di  Puglia,  non  già  dagli  Angioini,  ma  da  questo  Gor- 
radino ,  il  quale  tramandogli  a'  Re  di  Sicilia  discen- 
denti da  Pietro  e  da  Gostanza  figliuola  di  Manfredi, 
siccome,  dopo  Aventino,  scrissero  Besoldo  (&),  il  Sura- 
monte  ed  altri.  E  gli  Scrittori  siciliani  (e),  che  riguar- 
dando il  testamento  dell*  Imperador  Federico,  dove 
Manfredi  è  trattato  come  suo  figliuol  legittimo,  invi- 
tandolo alla  successione  de*  suoi  Regni  nel  caso  che 
Corrado  ed  Errico  mancassero  senza  iìgliuoli,  ripu- 
tano per  vero,  ciò  che  Matteo  Paris  narra,  come  una 
voce  fatta  insorgere  da  Manfredi  stesso  ,  cioè  ,  che 
sua  madre  essendo  vicina  a  morte,  fattosi  chiamar  Tlm- 
peradore,  avesselo  per  le  calde  preghiere  e  sue  pie- 
tose lagrime ,  indotto   per  quelle   poche   ore  di  vita  , 

(a)  Pius  IL  in  Europa,  {b)  Besoldo  de  Regno  Sici).  et  Neap. 
e.  3  ann.  1269  ^<^^-  ^^*  (^)  V.  Tufin.  de*  Contest.  .p9g.  53. 


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DEL  REGNO  DI  NAPOLI  L.XIX.  CA.P.IV.  i23 

che  le  rimaneTano  a  riconoscerla  per  vera  moglie, 
eoa  isposarU  ;  \ed  in  consegueosa  y  che  per  cotal  atto 
Manfredi  si  venne  a  iegittimare  (a)  :  tengono  per  cosa 
oerta,  che  la  successione  di  questi  Reami  per  la  morte 
di  Corradino  si  fosse  diferita  a  Costanza  figlinola  di 
Manfredi  e  moglie  del  Re  Pieìro^  ed  a' suoi  discen- 
denti; e  che  a  ragione  gli  Arragonesi  ne  cacciarono  i 
Franzeaiy  e  con  giustizia  se  ne  rendesser  poi  Signori.. 

Ma  perchè  più  dura  e  acerba  fosse  T  angoscia  del-^ 
rinfelice  Corradino,  non  fu  il  primo  ad  essergli  moBzo 
il  capo,  ma  ToUero  rìserbarlo  al  fiero  spettacolo  della 
decapitazione  di  Federico  Duca  d'Austria;  poiché  il 
primo  ad  esaer  decapitato  fu  quest'  infelice ,  il  cui  capo 
mozzo  dal  carnefice  prese  in  mano  il  dolente  Corra- 
dino ,  e  dopo  averlo  bagnato  d*  amare  lagrime ,  ba- 
ciollo  e  se  Io  strinse  ài  petto,  piangendo  la  sua  sven- 
turata sorte,  ed  incolpando  se  stesso  ch*Qra  stato  ca- 
gione di  sì  crudel  morte^  togliendolo  alla  sna  infelice 
madre.  Poi  rincrescendogli  di  sopravvivere  a  tanti  acerbi 
spettacoli,,  postosi  ingtnoecUone  chiedendo  perdono  a . 
Dio  de* suoi  falli,  diede  segno  al  carnefice  di  dover 
eseguire  il  suo  ufficio,  il  quale  in  un  .tratto  gli  recise 
il  regal  capo.  E  dopo  lui,  furon  decapitati  il  Conte 
Girardo  da  Pisa^  ed  Humasio  Gavalier  tedesco,  e  no- 
ve altri  Baroni  regnicoli  furono  fatti  morire  su  le 
forche. 

(  Questo  Federico  ultimo  dell*  antica  stirpe  Austriaca 
era  della  casa  di  Baden,  e  s'intitolava  Duca  d'Austria, 
com' erede  di  Federico  II  il  Bellicoso.  E' nacque  da 
Gertrude  figliuola  d- Errico  III  eh* era  fratello  del  Bel- 
licoso ,  la  quale  si  maritò  con  Ermando  di  Baden ,  co- 

(a)  y.  Inveges  AnnaL  di  Falena,  tota.  3. 


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ia4  STORIA  CIVILE 

me  narra  Gerardo  a  Soo  (a):  Cum  Fridericus.Auitriae 
Bueum  ex  Bahenhergensi  gente  ultimus  Anno  post  mille 
ducentos  sexto  et  quadragesimo  ex.  vulnere  in  pugna 
cum  Hungaris  commissa.ac€\eptOf  obiissety  Hermamis 
Badensis ,  qui  Gertrudim,  illius  ex  fratte  Benrico  Me- 
dlicense  heptem  in  matrimonio  hahehat,  Austviae  gu- 
hematiohem  adierat.  Ejus  filius  Friderious  annos  tu* 
telae  vix  egressuSy  JSeapoli  cum  Cunr odino  Apidiae  et 
Siciliae  RegCy  uti  paulo  post  dicetur^  capite  plexus 
erat.   Vedasi  •  Struvio  (&)  )• 

Questo  infelice  fine,  cooipianto  da  quanti  videro  si 
funesto  ed  orrido  spettacolo,  ebbe  il  giovanetto  Cor- 
radino  in  età  di  17  anni.  In  lui  s' estinse  la  chiara 
e  nobilissima  casa  di  Sirena  ^  cke  per  linea  non  men 
mascolina  che  femminina  discendea  da'Glodòvei  e  dai 
Carolingi  di  Francia,  e  da' Duchi  di  Baviera.  Fami- 
glia, che  sopra  tutte  le  altte  d'Europa  contava  più 
Imperadori,  Re,  Principi  e  Duchi,  e  che  sopra  tutte 
le  famiglie  di  Germania  teneva,  il  vanto  di  nobiltà*. 
In  questo  sangue  incrudeli  Re  Carlo,  portandogli  00- 
tal  barbaro  fatto  eterna  infamia  presso  tutte  ie-Nazioni 
d'Europa;  né  vi  è  Scrittore,  ancor  che  franzese,  che 
non  detesti  ed  abbomini  atto  sì  crudele,  da  noa  pa- 
ragonarsi a  quante  empietà  e  scelieraggini  si  leggono 
de' più  fieri  Tiranni,  ch'ebbe  la  terra.  Quindi  in  Ale* 
magna  surse  l'illustre  Casa  d'Austria;  poich' estinta  la. 
stirpe  de*  Principi  di  Svevia^  e  Riccardo,  fratello  del 
Re  d'Inghilterra,  che  aspirava  all'Imperio,  essendo 
morto,  ed  Alfonso  Re  di  Castiglia  suo  competitore 
non  avendo  più  partigiani  in  Alemagna,  gli   Elettori 

(a)  Hìstor.  Austr.  Lib.  i  pag.  i5.  (b)  Syntagm.  Hist.  Gem. 
disserta  aa  $   io  pag.  714* 


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DEL  REGNO  DI  NAPOLI  L.XIX.  GAP. IV.  laS 

Fanoo  1373  si  ragunarono  in  Francfort,  ed  elessero 
per  haperadóre  Rodolfi  €ontc  di  Auspurg^  il  quale 
fu  coronato  iistesso  anno  in  Aquisgrano,  e  ricono- 
seiato  da' Principi  d'Alemagna;  ed  avendo  umiliato  Ot- 
tegaro  He  di  Boemia,  fece  che  restituisse  T Austria, 
la  qual  diede  ad  Alberto  suo  primogenito,  i  di  cui  di« 
scendenti  presero  il  nome  di  Austriaci. 

Ecco  finalmente  come  dopo  69  anni  terminò  in  Si- 
cilia, ed  in  Puglia  il  Regno  de' Svevi  e  con  qual  cru- 
del  principio  cominciasse  quello  de'  Franzesi^  che 
portò  in  queste  nostre  province  grandi  mutazioni,  così 
nello  stato  civile  e  temporale,  come  nello  ecclesiastico 
e  spirituale.  Ciò,  che  dopo  aver  narrata  la  politìa  ec-' 
elesiastiea  di  questi  tempi  ^  sarà  il  soggetto  de' seguenti 
libri  di  quest' iBtoria. 

CAPITOLO   V. 

•  Politìa  ecclesiastica  dal  Aecimoterzo  secolo 
insino  al  Regno  degli  Angioini. 

Jua  potenza  de' romani  Pontefici  si  stese  in  questo 
secolo  tanto,  che  non  fu  veduta  in  altri  tempi  mag- 
giore: volevan  esser  creduti  Monarchi  non  meno  nello 
spirituale  che  nel  temporale,  e  s'arrogavano  perciò  la 
facoltà  di  poter  deporre  i  Principi  da' loro  Stati  e  Si- 
gnorie: chiamargli  in  Roma  a  purgarsi  de' delitti,  dei 
quali  erano  stati  accusati:  assignar  loro  certo  termine 
a  comparire,  sentenziargli,  e  nel  caso  non  uhbidisisiero, 
di  dichiaragli  decaduti  da'  loro  Reami:  assolvere  i  loro 
vassalli  da' giuramenti  dati,  ed  invitar  altri  alla  con- 
quista delle  Signorie,   ond' erano  stati  deposti.   Ripu- 


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136  STORIA  CIVILE 

tandosi  Signori  del  Mondo,  non  areano  difficoltà  diin- 
vestire i  loro  devoti,  di  province^  e  di  Regni  in  tutta 
la  terra,  ed  in  tutto  il  mare  d'isole  e  golfi,  e  d'altre 
province  sconosciute  e  lontaae.  Bonifacio  Vili  avendo 
Ruggiero  di  Loria  famoso  Ammiraglio  di  mare  con- 
quistata Gerba  ed  alcune  altre  ibole  dell'  Affrica,  tosto 
nel  primo  anno  del  suo  Fonteficato  1395  essendo  in 
Anagni  gliene  spedì  Bolla  d'investitura,  per  la  quale 
gli  concedè  in  Feudo  le  isole  suddette  con  obbligarlo 
a  [prestar  il  giuramento  di  fedeltà  ed  omaggio  ,  e  di 
pagarli  cinquanta  once  d'oro  Tanno  al  peso  del  Re- 
gno di  Sicilia,  per  censo,  in  ricognizione  del  dominio 
diretto,  ch'egli  vi  pretendeva,  siccome  lo  pretendeva 
in  tutte  le  altre  province  del  Mondo;  e  la  carta  di  que- 
st' investitura  è  rapportata  dal  Tatini  (a).  E  da  questo 
principio  nacque,  che  Alessandro  VI  nell'  anno  là^^ 
Sì  facesse  lecito  di  concedere  ia  terra  ferma  e  l'isole 
insino  a' suoi  tempi  sconosciute,  e  tirar  una  linea  da 
un  Polo  air  altro,  aasignandole  e  donandole  a  Ferdi- 
nando ed  Isabella  Re  di  Casti  glia  {b).  Quindi  surse 
la  nuova  dottrina  professata  da'  Dottori  Guelfi  e  dai 
Canonisti  che  il  Papa  fosse  Signore  di  tutto  il  Moddo 
contrastando  a'  Dottori,  Ghibellini,  che  ne  facevano  Si* 
gnore  V  Imperadoré. 

La  Cattedra  di  S.  Pietro  volevano  che  si  riputasse 
la  Reggia  universale  del  Cristianesimo  ,  ed  a  questo 
fine  ingrandirono  i  Cardinali  e  depressero  i  Yescovi, 
per  rendere  più  maestosa  la  loro  Sede.  I  Cardinali, 
come  si  è  veduto,  sdegnavano  di  andar  di   persona  a 

(a)  Tntìrri  degli  Ammir.  del  Regno ,  pag.  90  data  m  Ana- 
gni a*  II  Agosto  1395.  (b)  Bolla  di  AleS5.  VI  presso  Frane. 
Lopez  Istor.  dell*  Indie,  cap*  tg 


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DEL  REGNO  DI  NAPOLI  L.  XIX.  GAP.  V.  la; 

trattare  con  Manfredi,  dicendo,  che  ciò  non  era  di 
loro  stima  ed  onore;  ed  Innocensio  IV  ad  onta  di 
Federico ,  che  s' ingegnava  abbassargli  insieme  con 
tutto  r  Ordine  ecclesiastico,  volle  dargli  il  cappel  ros» 
so,  la  valigia  e  la  mazza  d'argento  quando  cavalca- 
vano, volendo  che  alla  regia  dignità  fo3se  la  loro  ag» 
guagliata;  ed  essendosi  da  poi  proccurato  d'innalzar 
assai  più  la  loro  dignità  a  gradi  ed  onori  Eminenti^ 
vennero  dagli  adulatori  della  Corte  romana  anche  chia- 
mati Grandi  Senatori^  che  venerati  con  regali  onoranze 
eleggono  il  Supremo  Principe^  che  così  chiamano  il 
Papa,  ed  assistono  al  suo  gran  soglio. 

Divenuto  il  Papa  Monarca,  i  Gardtnaii  grandi  Se- 
natori, e  la  Sede  Appostolica  Reggia  e  Gorte  uni- 
versale del  Gristianesimo,  Gregorio  IX.  per  maggior- 
mente stabilire  la  Monarchia  applicò  T  animo  ad  una 
compilazione  e  pubblicazione  di  Decretali^  le  quali 
terminarono  di  mettere  interamente  in  rovina  il  diritto 
antico  de'  Ganoni,  e  stabilirono  la  possanza  assoluta  e  ' 
senza  termine  de'  romani  Pontefici;  poiché  conside* 
rando,  che  tiiiccome  Tlmperador  Teodosio  formò  la  po- 
litia  dell'  Imperio  ,  con  far  raccorre  le  costituzioni 
ed  editti,  così  suoi,  come  degli  altri  Imperadori  pre- 
decessori in  un  libro  ,  che  fu  poi  chiamato  il  Codice 
Teodosiano;  e  T  Imperador  Giustiniano,  oltre  la  com* 
pilazion  delle  Pandette^  che  contenevano  le  leggi  an- 
tiche accomodate  al  suo  tempo  ^  ridusse  ancora  in  un 
corpo  le  sue  costituzioni  e  quelle  de'  predecessori  Im- 
peradori nel  suo  Codice,,  così  bisognava  formar  una 
nuova  politia  per  la  Ghiesa  accomodata  a' suoi  tempi 
(giacché,  mutate  le  cose,  la  compilazione  del  Decreto 
non  era  a  proposito  )  e  di  ridurre  perciò  in  un  corpo 
tutte  r epistole  decretali  de'  suoi  predecessori,  con  se- 


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1^8  STORIA  CIVILE 

pararle  da*  canoni,  e  dall' altre  epìstole,  de'  Pontefici, 
le  quali  non  poteyano  servire,  come  queste,  ch'egli 
trascelse,  per  stabilire  la  Monarchia  romana,  e  mas- 
simamente per  la  materia  beneficiale  e  per  Io .  Foro 
episcopale,  e  per  maggiormente  stendere  la  conoscenza 
nelle  cause  e  la  loro  giurisdizione;  ond'  egli,  ad  imi- 
tazione di  que' due  grandi  Imperadori,  ordinò  la  com- 
pilazione d'  un  nuoYo  Codice;  ed  aboliti  tutti  gli  altri 
rescritti,  volle,  che  questo  suo  libro,  che  chiamò  De- 
cretale^  avesse  tutta  la  forza  e  vigor  di  legge;  nel 
quale  vi  è  molto  più  intorno  a  quello  che  concerne 
r  edificazione  de'  processi ,  che  F  edificazione  dell'  a* 
nime. 

I.  Della  compilazione  delle  decretati;^ e  toro  uso 
ed  autorità. 

Epistole   decretali    erano  ne' primi  tempi  chiamate 
quelle  lettere,  che  i  Vescovi  delle  Sedi  maggiori  scri- 
vevano a'  Padri  della    Chiesa,  che  gli  richiedevano  di 
qualche  parere  intorno  alla  dottrina,  e  disciplina  della 
Chiesa  (a).  Ma  da  pòi  il  Pontefice  rooaano,  come  Capo . 
della  Chiesa  essendosi  innalzato  sopra  tutti  i  Vescovi  e 
Patriarchi,  e  facendo  perciò  valere  la  sua  autorità  più  di 
tutti  gli  altri,  s' appropriò  egli  solo  di  mandar  sue  epi- 
atole ai  Padri  ed  a'  Vescovi ,  che  ricorrevano  a  lui  per 
consultarsi  di  qualche  affare  delle  loro  Chiese;  e  perve- 
nute queste  epistole  a  qualche   numero,   sin   ne*  tempi 
di  Papa  Gelasio  nel  Sinodo  di  70  Vescovi  tenuto  in 
Homa  nell'anno  4^4  furono  quelle  confermate,  acqui- 

(«)  Jo.  Costa  Comment,  in  decretai.  Grcg,  ,IX  pag.  i. 


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DEL  REGNO  DI  NAPOLI  L.XIX.  GAP.  V.  lag 
sUindo  vigore  non  meno  che  i  Ganooi,  che  ne'Con- 
ciij  erano  sjtabiliti .  (a). 

Ma  a'  tempi  di.  Carlo  M.  che  favori  cotanto  i  Pon- 
tefici romani,  acquistando  vie  più  forza  le  lóro  de- 
cretali, si  cominciò  a  separarle  da'  Ganoor,  e  riputan- 
dosi non  esser  mestieri  per  aver  vigore,  di  esser  con- 
firmate da' Concili!,  o  da' Sinodi,  si  credette,  òhe  esse 
sole  bastassero  per  regolare  la  dottrina  e  la  disciplina 
della  Chiesa,  onde  maggiormente  i  Pontefici  stabili- 
rono la  loro  autorità,  e  vie  più  crebbe  il  lor  nume- 
ro, tanto  che  bisognò  pensare  ad  unirle  insieme,  e 
fariie  raccolta,  con  introdursi  perciò  un  nuovo  dritto 
Pontificio,  lasciando  da  parte  stare  i  Canoni  de' Con- 
cilii  (by    ' 

La  prima  compilazione*  dì  queste  lettere  decretali 
^separate  da'  Canoni  la  fece  Bernardo  Circa  Proposito 
di  Pavidi,  e  poi  Vescovo  di  Faenza,  il  quale  sotto  certi 
titoli  dispose  le  decretali  de'  Pontefici^  cominciando 
da  Alessandro  111,  insino  a  Papa  Celestino  III  il  qual 
pervenne  al  Ponteficatoneiranno  iigi.  Non  ebbe  egli 
altro  scopo,  se  non  perchè  quella  servisse^  come  un 
supplemento  al  decreto  di  Graziano;  opde  questa  Rac- 
colta fa  chiamata  libro  delle  Stravaganti  ^  perchè  le 
Costituzioni  ivi  racchiuse,  vagavan  fuori  del  Decreto  (e). 
Antonio  Angustino  la  diede  alla  luce,  dandole  il  pri- 
mo luogo  fra  le  altre  Raccolte  delle  antiche  decretali. 

(a)  Sjnod«  Roman,  sub  Gelasio  ann.  494*  Item  decretales 
-epistolaej  quas  beatissimi  Papae  diversìs  temporìbu$  ab  Urbe 
Romina  prò  diversorum  Patrum  consultatìone  dederunt.^  ve- 
nerabifiter  suscipìendae  sunt.  Can.  Sancta  Romana  3  dist.  i5. 
(b)  V.  Baluz.  in  piaefat.  ad  Ant.  Augustiui  Dialogos,  J  2, 
(e)  V.  Maslricht.  hìst.  Jur.  can.  num.  238.  Fr.  Floreiit  de 
Methodo  et  Aut.  CoUect.  Gral.  J  4- 

9 


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i3o  STORIA  giVILE 

Iq  questo  decimoterzo  secolo  ne  surse  un^ altra,  di  cui 
si  nominano  tre  Autori,  Gilheno^  Alarlo  e  Giovanni 
Gallense.  Questi  iniitando  Bernardo^  raccolsero  le  de- 
cretali di  quelli  Pontefici,  che  vissero  dopo  Bernardo-, 
not^  sopra,  i  due  primi  si  distinse  Giovanni^  che  ne  fece 
pi^  ampia  Raccolta  (a).  La  terza  la  dobbiamo  a  Ber- 
nardo Compostellano  il  quale  da' Registri  d'Innocen- 
zip  11]^  Pontefice  il  più  dotto,  e  1  maggior  facitore  di 
decretali,  le  raccolse,  fu  chiamata  Romana  (b). 

Tutte  queste  Collezioni  essendosi  fatte  per  privata 
autorità,  allegate  nel  Foro  o  altrove,  non  avevano  vi- 
gor alcuno;  onde  era  di  mestieri  da'jscrigni  della  Chiesa 
di  Roma  cavar  gli  esemplari  perchè  facessero  autorità. 
Per  la  qua!  cosa  i  Romani  pregarono  Innocenzio  III 
perchè  di  sua  autorità  comandasse  una  .onoya  Coni- 
pilazione:  Innocenzio  loro  compiacque  e  diede  la  cura 
a  Pietre  Beneventano  suo  Notajo,  che  la  facesse:  questi 
neir undecime  anno  del  suoPonteficoto  intomo  il  12 io 
la  fece,  e  fu  la  prima  raccolta  del  jus  Pontificio^  che 
si  facesse  con  pubblica  autorità  (e).  Passati  cinque 
anni,  coli' occasione  del  Concilio  tenuto  in  Laterano 
eotto  il  medesimo  Pontefice,  se  ne  fece  un'altra  nel 
131 5,  nella  quale  furono  aggiunte  tiitte  le  decretali  e 
rescrìtti,  che  per  lo  spazio  di-  que'  cinqwe  anni  eransi 
emanaii*^  Da  poi  neirannq  1237  Tancredi  Diàcono  idi 
Bologna  ne  fece  un'  altra^  nella  quale  unì  le  Costitu- 
zioni dVOnorio  III  successord' Innocenzio;  ma  quan- 
tunque fosse  stata  terminata  in  qu  eli'  annó^  nel  quale 
morì  Onorio  IX  suo  successore,  che  meditava  oscurar 
la  fama  de' suoi  predecessori  con  una  più  ampia  0  nuova 

{a)  MastrichJt.  loc.  cit.  (b)  Guido.  Paucirol.  lib.  3  e.  8. 
Mastric.  1oc.  eit.  num.  349-  (e)  Mastric.  oum.  549. 


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DEL  REGNO  DI  NAPOLI  L.XIX.  GAP.  V.  t?! 
eompilacioDe.^  la  fece  supprimere,  né  inti  ride  U  luce 
del  Mondo,  se  non  Degli  ultimi  tempi,,  quando  Inno» 
oenzio  Gironio  nell'annp  1645  la  fece  imprimere  in 
Tolosa  colle  sue  dottissime  cluose  (a). 

Gregorio  IX  adunque  per  maggiormente  stabilire,  là 
Monarchia  romana,  ordinò,  che  si  compilasse  un  nuovo 
.  Codice,  nel  quale  ad  imitazione  dell'  Im'peradore  Giu- 
stiniano, volle,  che,  risecàte  le   altre   Costituzioni    dei 
Pontefici  suoi  predecessori ,  le   quali  non  erano  più 
confacenti  a' suoi  tj&mpi,  s'inserissero  in  quello  le  sue 
e  r altre  de' suoi   predecessori,  che   egli  stimò  più  a 
proposito;  ed  oltre  a  ciò,  perchè  non  s^  avesse   occa- 
sione di  ricorrere  ql  jus  civile^  statui  da  se  molte  cose 
ancorché  non   richiesto   (i),  affinchè. con   questo  suo 
Codice  si  regolassero  i  Tribunali  ne^giudicii,  e  le  Scuole 
neir  insegnar  a' giovani  la  giurisprudenza.  Commise  la 
compilazione  di  quest'opera  a  Raimondo  di  Pennaforte 
dei  Contado  di  Barcellona  ^  Frate  Domenicano,  gran 
Canonista,  ed  «Inquisitore  in  Catalogna,  e  molto  earo 
a  Giacomo  Re  d'Aragona,  che  Io  traseelse  per  sua 
ConfessQre  (e).   Gregorio   tratto  dalla  'fama  della   sua 
dottrina  e  bontà  de' costumi,  lo  fece  Venire  in  Roma, 
e  lo  creò  suo  Cappellano  e  Penitenziere,  dignità  che 
a  que'  tempi  non  si  conferiva  se  pon  che    ad  uomini 
rlguardevolie  letteratissimi.  Costui  eseguendo   la  aua 
commessione  la  ridusse  a  compimento.   Divise  l' opera, 
in  cinque  libri,  e   seguitò  Tistesso  metodo  appnnto, 
che   tenne   Triboniano   nella  compilazione   del  Codice 
di  Giustiniano  (d). 

(a)  Mastrìc.  num.  35 1.  (b)  Cujac.  ad  e»  olt«  X  de  stnt. 
et  re  jud.  (e)  And.  Schottus  Bibl.  Hispau.  tom.  3  p.  i86. 
(d)  Fr.  Floreu.  dlssert.  de  Metho.  et  Auct.  Collect..  Grat.  in 
fine. 


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,32  STOMA  CIVILE 

Papa  Gregorio,  redeado  tcrmioata  T  opera  a  seeonda 
del  suo  genio^  tpsto  promulgò  ona  Goatituztone,  che 
la  propose  ali*  istesso  Godi6e,  per  la  quale,  abolendo 
tutte  le  altre^  comandò  a  tutti,,  che  solamente  di  questa 
compilazione  si  ser?Ì8sero'oo8Ì.ne'  giudidi^  come  nelle 
scuole:  proibendo  ancora  con  moho  ngoré,  che  per 
Tay venire  ninno  abbia  ardimento  di  farne  altra,  senza 
«pesial  autorità  della  Sede  Appostolicà  (a).  Comandò, 
ancora,  che  per  tutto  il.  Mondo  si'  divolgas^e,  ed  In 
tutte  r  Accademie  ed*  Università  d* Europa  si  leges- 
se  (&),  infiammando  allo  studio  di  quella  non  meno  i 
Professori,  che  gli  scolari. 

Non  vi  fu  parte  d'Europa,  che  perla  potenza  e  cre- 
dito di  Gregorio  non  la  ricevesse  con  ardore;  e  si  mos- 
sero i  Professori  da  tutte  le  parti ,  non  meno  ad  in- 
segnarla nelle  scuole,  qbe  a  farvi  copiose  chiose.*  I 
primi,  furono  Buffino^  Silvestro  e  Riccardo]  inglese: 
Rodo9Ìco  cognominato  di  poeopasso ,  e  Pietro  Corbólo , 
ornerò  Boliati}  s^AgnvtiAo  :  Bertrando ,  Damàso  ed  Ala- 
no inglese  :  Pietro  Preposito  di  Pavia ,  Pietro  Gal- 
lense  di  Volterra,  Bernardo  CompostellanOy  Vincenzo 
Castiglione  di  Milano»  Giovanni  Teutonico  e  Tancre- 
di^ Seguitarono  appresso  le  costoro  pedate  Guglielmo 
Naso  e  Giacomo  di  Albengà  YtncoYO  Ai  Faenza,  Fin- 
cenìèo  Goffredo ^  Filippo ^  Innocenzio  Ostiense^  Pie* 
tra  Sampio y  Egidio  bolognese,  Bonaguida  d'Arezzjo, 
Francesco  da  Vercelli,  Boatino  di  Mantua,  e  V Arci- 
*     '      \      ^ 

{a)  Greg.  IX.  Volentes  igìtur ,  ut  hac  tantam  GompllatioDe 
universi  11 tautur  in  judiciis,  et  in  scholis,  distrìctius  prohi- 
berotw^  ne  quis  praesunaat  aKam  facere,  absque  auctoritate 
Sedis  Apostolicae  speciali,  (b)  Math.  Paris  hist.  Augi.  ann.  ia35 
p.  353.  Solemniter^  et  authentice  per  tòtius  Mundi  latìtndi* 
uem  legì  praecepit,  et  divulgari. 


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DEL  REGNO  DI  NAPOLI  L.XIX.  CAP.V.  iì3 

diacono.  Ma  surse,  poi  sopra  gU'  altri  Bernardo  Bot^ 
fon^  da  Parola',  il  quale  r^ccoglictìdo  tutte  le  costoro 
Chiose^  .ne  fece  egli,  intorno  Fanno.  iii4b,  una.  pia 
ampia,  traòfiprenjo  a  sé  la  gloria  di  tutti  (a).       .  . 

AneUe  i  Monaci  per  secondare  il  genio  de' PonteAci 
v'impiegarono  ]  loro  talenti,  e  sopra  queste  i}eerefaii 
composero  un'opera  intitolata  Su/fragium  Monackotum-y 
ma  come'  mancante  delle  cose  sustan&lali,  e  ripiena  di 
molti  errori  é.  di  cose  vane  e  superflue,  riuscr  mcko 
inetta  ed  inutile*  Frate  Giacomo  Gaoonico  di  S.  Gio- 
vanni in  Monte  pure  .intorno  a  <^6  volle  affaticarsi: 
ma.  così  egli,  cometutti  coloro,  che  vi  s'erano  affatt- 
cati  riuscirono. inetti,  e  siccome  per  quelli,  che  s'erano 
impiegati  sopra  il  DccreiOy  ne  nacque  il  proverbio  Afa- 
gnus  DecretistOy  Magnus  Asinista^  ecLsi  ancora,  secondo 
che  ci  testifica  .Giacomo  Gujacio  (&),  non  vi  .furono  . 
Dottori  più  inetti  di  coloro,  i  quali  a  questi  tempi  si 
posero  a  scrivere  sopra  questo  nuova  Diritto  Pontificio. 

Dopo  questa  compilazione  di  Gregorio  non  trala- 
sciarono gli  altri  Pontefici  suoi  successori  (  per  ingran- 
dire, vie  più  la  Monarchia,  romana  )  di  stabilire  altne 
loro  Costituzioni,  sici^hè  nel  fine  di  questo  istesao  se- 
colo decimotcrza  .non  fosse  stimata  necessaria  da  Bor 
nifacio  YIII  una  nuova  altra  compilazione.  Se  n'erano 
stabilite  «Icune  da  Gregorio  istesso,  molte  da  Inno- 
eenzio  IV,  da  Alessandro  IY>  da  Urbano  IV,  da  Cle- 
mente lY,  da  due  Gregorio  IX  e  X,  da  Niccolò  JII  e 
dair  istesso  Bonifacio.  Yi  erano  anòora  moke  Costi- 
tuzioni fatte  nel  Concilio  .di* Lione  nell'anno  iM&  sotto 


(a)  Gùid.  Pancirpl.  do  Clar,  Icg.  Inlcrp.  Kb.  3  e.  8.  Ma- 
slric.  Bum.  356 ,  357/  {b)  Cujac.  ad  cap.  X  ezlr,  de  «cut. 
et  re  judic.  , 


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i34  STORIA  CIVILE 

Innocensió  lY .  Ve  h'  erano  ancora  delle  9|;abiiite  nel^ 
r  altro  Concilio  di  Lione,  tenuto  nel  1374  sotto  Gre- 
gorio X.  Per  tanto  Bonifacio*  Vili,  il  quale^sopra  tutti 
gli  altri  suoi  predecessori  ebbe  idee  mólto  grandi,  e 
vaste  del  Ponteficato  romàno,  riputabdo  per  quella  sua 
Teramente  stravagante  Costitnsione  unam  Sanctam^  che 
in  balia  del  Papa  sia  maneggi<ar  ugualmente  i  due  col- 
telli, e  la  sovranità  temporale  essere  dipendente  dalla 
spirituale:  volley  che  di  tutte  queste  CoAÌKiEÌoni  se  ne 
formasse  una  nuova  raccolta,  e  fosse  come  di  Giunta 
a  quella  fatta  da  Gregorio  IX,  e  ne  diede  Tincum- 
benza  a  tre  Cardinali,  a  Guglielmo  Manda  goto  Arci- 
vescovo d'Ambrun.  al  Vescovo  Berengario  Predetto 
ed  a  Riccardo  Malumbro  da  Siena'  gran  Dottore  di 
qu'e' tempi,  e  Vio^ancelliere  della  chiesa  di, Roma  (a). 
Costoro  diedero  compimento  all'opera,  è  la  divisero 
pure  in  cinque  libri^  e  quasi  in  altrettanti  titoli,,  come 
fo  divisa  da  Raimondo  di  Pennaforte  la  stia.  Bonifa- 
cio, compita  che  fu,  la  fece  pubblicare  intorno  Tan- 
no 1999  e  volle,  che  s*  aggiungesse  al  volume  delle 
decretali  di  Gregorio,  e  si  chiamasse  perciò  il  Sesto 
libro;  e  con  sua  particòlar  Bolla  ordinò ,  che  da  tutti 
s'osservasse,  che  in  tutte  T  Università  del  Mondo  si 
leggesse,  e  ne*  Tribunali  avesse  la  sua  forza  e  vigore, 
non  altriménti  di  qud,  che  Gregorio  fece  per  la  sua; 
ma  in  Francia  questa  compilasione  di  Bonifacio  non 
ebbe  grafi  successo,  non  solo  per  contener  molte  or- 
dinaaioni  riguardanti  F  ingrandimento  della  sua  poteà- 
2à,  e  dd  maggior  guadagno  della  sua  Corte,  ma  an- 
cora perchè  molte  cose  in  quella  avea  stabilite  in  odio 

(a)  Bulla  Bonifac.  ad  lib.  decret.  elPithaelFratresianotis 
ad  libri  titulum, 


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DEL  REGNO  DI  NAPOLI  L.XIX.  CAP.V.  i35 
del  Regno  di  Francia  per  le  controversie,  ch'allora 
ardevano  fra  •  hii'  e  il  Re  Filippo  il  Bello  (a).  Non  cosi 
gli'  avvenne  negli  Altri  Régni  (b)  dove  fn  con  onor  ri- 
cevuta i,  né  le  mancarono  Canonisti, .  che  vi  facessero 
le  loro*  Chiose,  e  fra  gli  altri  il  famoso.  Giovanni  d'An* 
àrea  insigne  Dottore  del  diritto  canonico  di  quel 
tempi  (e). 

Seguirono,  da  poi  nel  segudnte  secolo  decimoquarto 
r altre  Collezioni  chiamate  le  Clementine  \  ed  anche 
X  Estravaganti y  affinchè  siccome  le  compilazioni  sinora 
fatte  corrispondevano^  cioè  quella  del  Decreto  alle 
Pandette^  e  le  Decretali  al  Codice^  così  V Estravaganti 
corrispondessero  alle  lìoìfelle^  e  perchè  niente  mancasse, 
negli  ultimi  secoli,  si  venne  anche  a  far  Compilare  i 
libri 'delle  Istituzione  di  che  ne' loro  luoghi  e  Tempi 
secondo  r  opportunità,  che  ci  sarà  data,  ragioneremo. 

Queste  Decretati-  presso  di  nei  durante  il  Regno 
de'  Svevi,  in  quelle  cose ,  che  s'  opponevano  alle  no- 
stre Costituzioni y  non  ebbero  gran  successo;  e  così 
Federico  II  come  gli  akrì  Re  svevi  suoi  successori 
feceto  valere  le  Ipro .  destituzioni ,  e  qucile  dei  Re 
normanni  suoi  predecessori,  contrastando  con  vigore 
èlle  sorprese,  che  intendevano  fare  i  romani  Pontefici 
sopra  i  loro  diritti  e  supreine  regalie,  facevano  valere 
le  leggi  da  essi  stabilite  sopra  i  matrimoni,  sopra  gli 
acquisti  de* stabili  alle  Chiese,  mantenevano  le  loro 
regalie  nelle  Sedi  vacanti ,  nell'elezioni  de'  Prelati,  e 
sopra  tutto  ciò^  che  uè' precedenti  libri  si  è  potuto 
osservare. 

(a)  Duar.  ìa  praefat.  1.  de  Sacr.  Eccl.  Minìstr.  (b)-  Artur. 
Dock  de  Atti.  Jur.  civ.  1.  i  e.  7  n,  i3,  i4i  i5,  16,  18.  {e) 
Pancirol.  de  Clar.  leg.  laterpr.  1.  3  c«  19. 


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i3e  STORIA  CIVILE 

Ma  caduto  (Questo  Regno  soXta  la  dominazione  degli 
Angioini  uomini  ligi  de'Pontefici' romani)  e  da* quali 
riconoacerano  il  Regno,  prendendo  vigore  la  fazron 
Gnelfa,  ed  abbaesata  affatto  la  Ghibellina)  tantosto  si 
vide  tutto  mutato,  ed  introdotte  nuove  inassime,  e  le 
Decretali  non  pur  ricevute  ed  insegnale  nelle  scuole,, 
ma  anche  ne' Tribunali  :  non*  già  per  legge  d'alcun 
Principe,  ma  per  T  uso  e  consuetudine,'  'ohi^  di  quelle 
s'  avea  in  ciò,  che  liotiera  espresso  nel  diritto  civile, 
e  massimamente  •  per  V  edificazione  de'  processi .  nelle 
cause  forensi,  per  la  forma  e  per  T  ordine  di  proce- 
dere ne'giudicii,  contenuto  nel  secondp-libro  (a)*,  sic- 
come aneora  per  le  cause  ecclesiastiche,  e  dove  ac- 
cadeva disputarsi  di. cosa,  che  poteva  . portar  peccato 
e  pericolo  della  salate  delF  anima  (b).  £4  i  nostri  Pri(i« 
cipi  della  casa  d-Angiò,  ancorché  conoscessero  essersi 
quel  volume'  fatto  compilare,  per.  gare^ggiare  colle  leggi 
degli  Imperadori,  ed  ingrandire  la  potenza,  de' Fonte* 
fiipi)  e  che  si  metteva  mano  non  pure  alle  cpse  eccl^» 
siastiche  ma  anche  alle  profane,  coii  assumerai  auto* 
rifa  di  giudicare  sopra  tutte  le  cause  ne' dominii.deì 
Principi  cristiani,  così  fra  gli  Ecclesiastici  come  fra'lair 
ci;  nnlladimanco  parte  per  trascuraggiiie  ed  ignoramea, 
non  sapendo  essi  farne  migliori,  parte  .perchè  molto 
loro  premea  aver  la  grazia  e  buona  corrispondenza 
de' Pontefici,  non  si  curarono  di  farle  valere  ne' loro 
dominii,  e  che  non  pure;  nelle. pubbliche  scqole  ..s'.in- 
aegnassero^  ma  anche  pe'l^ro  Tribunali  s'alitassero* 

I  nostri  P^ofessorì  perciò  vi  s'applicarono  non  meno 
di  quello,  che  faceano  gli  altri  nelle  altre  città  d'Ita- 


(a)  Decretai.  1.  a.  Arlur.   Duck  1.  i  e.  2  n.  ig(h)  V.  Ar- 
tur.  J.  e.  n.  lOj  II,  12,  i3,  i4.  - 


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DEL  REGNO  DI  NAPOLI  L.XIX.  GAP.  V.  iSy 
lia  ;  onde  imbevuti  delle  loro  massime ,  ciò  che  non 
era  a  qoeUe  conforme,  era  n|)at9to  straniero  ed  in- 
giusto. AlcQÙe  Costituzioni  di  Federico  e  degli  altri 
He  normiinm  suoi  predecessori,  parvero  perciò  empie; 
e-  tra  V  altre  quelle ,  che  disponevano  de'  matrimoni, 
degli  acquisti,  deUa  cura  delle  robe  delle  Chiese  Va- 
canti e  cose  simili;  si  credette  che  ciò  non  potesse 
appartenere  alla  potestà  del  Principe,  e  fosse  ^iia  met- 
ter la  falce  nelF  alU'ui  tiesse.  Andrea  d' Isemia  disse 
chiaramente-,  ohe  tutto-  ciò  erasi  prima  stabilito,  perchè 
allora  non  era  uscito  fuori  il  libro  delle  Deeretalìi  ne» 
erat  compilatt^m  (  e'  dice  )  vplumen  Decretalium  (a). 

A  tutto  ciò  providero  ancora  i  comani  Pontefici 
nell'inve&titure,  che  diedero  a' nòstri  Re,  e  Glemeh- 
te  Vf  in  quella  che  diede  al  Re  Carlo  I  d'Augiò, 
volle  cèe  s' annullassero  tutte  le  Costituzioni  e  tutti  gli 
Statuti,  che  riputava  essere  contra  la  libertà'  ecclesia- 
stica (6),  togliendogli  .molte  regalie]  e  preminenze,  che 
i  Re  normanni  e  svevi  si  aveano  mantenute  ;  onde 
presso  di  noi  nel  Regno  degli  «  Angioini,  non  solo  i 
Pontefici  romani  noa  ebbero  •  alcuno  ostacolo  a^'loro 
disegni  di  stabilire  \A  Monarchia;  ma  trattando  qneslo 
Reame  «iome  lòr  Feudo,  ed  i  Principi  come  veri  Feu- 
datari è  loro  ligi  j  vi  fecero  progressi  maràvigliosi , 
come  si  vedrà  chiaro  ne' seguenti  libri  di  quest'Istoria, 

(a)'  Àndr.  de  Isem.  in  Constit.  1  3  tit  3i  de  aSmia.  Ter. 
Eccl.  {b)  Cap.  19.  Invest.  Clcm.  IV.     ; 


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i3«  STORIA  CIVILE 

'  IL  Elezione  de"  Vescovi^  e  previsione 
intorno  abeneficj, 

NoA  bastàra  per  fondar  una  Monarchia  provvederla 
di  dole. leggi,  ed  ornar  la  Corte  di  grandi  Senatori^ 
e  di  altri  l^iniatri  per  renderla,  più  maestosa;  ma  bi- 
spgnara  .am^ord  provvederla  di. denaro,  per  mantenerla 
ton  pompa  e  £asto.  conveniènte  ad  una  Reggia  uni- 
vérsab  del  Cristianesimo,  senza  il  quale  sarebbe  to- 
sto sparita.  Le  sole  rendite  .dello  Stato  ddla  Ghi^a 
di  Rom^:  non  i>astavano:  si  proccUrò  pertanto  tirare 
da  tutte  le  province,  ogni  cosa  a  Roma.  Risognava, 
che  ùocome  gli  altri  Principi  per  gratificete  ì  toro 
fedeli)  e  per  premiare  coloro  che/ per  essi  liiilitaraho, 
coocedevàn  Feudi,  Digoit'à  ed  Ufficj:  così  era  uòpo 
averne  de'  consimili  per  potergli  dispensare  a  coloro  che 
militi(vano  per  la  Corte,  e  trovar  me^zi  per  istaliUrgli, 
affinchè  niente  mancasse,  ed  in  tutto  il  Sacerdozio  corri- 
spondesse air  Imperiò.  S' istituirono  perciò  molte  idignità 
ed;ufficj,  i  quali  non  appartengono  punto  alla  Gerar- 
chia della  Ohiesa  per  ciò  che  concerne.il  ino  potere 
spirituale;  ma  indrizzati  solamente  pei-'  la  temporalitii 
e  giurisdizione,  e-  per  le  cose  del  governo  politico:  ed 
in  ciò  la  Corte  dL  Roma  ha  superate  tutte  T  altre  Córti 
de'  Principi'  Per  li  Feudi^  sì  sono  istituiti  i  Benefinj, 
e  siccome  per  la  materia  Feudale  surse  una  nuova 
giurisprudenza,  che  ha  occupati  tanti  volumi,  cosi  per 
la  materia  Beneficiale  ne  surise  un'altra,  che  ha  occu- 
pati assai  più  volumi  presso  i  Canonisti^  che  non  la 
Feudale  presso  i  Legisti, 

La  maniera,  che  si  praticò  per  fargli  sorgere,  fu 
non  meno  ingegnosa   che  travagliosa:    bisognò  bingo 


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DEL  REGNO  DI  NAPOLI  L. XIX.  GAP. V,  i39 

tempo  per  istahilii^li ,  e  snebberò  da  sostenere  grandi 
contese  co^  Principi/  0  co' Popoli,  t  Capitoli  delle  pró- 
vitfce  per  tirargli  :  latti  a  Roma. 

L'  elezioni  de' Vescovi,  ancorché  in  apparenza  si  la- 
scidsaero  al  Clero,. si, è  già  veduto,  che  i  Pontefici  si 
servivano  di  var)  mezsi  per  tirarle,  iutte  in  Roma.  Si 
proccarò  ancora  togliere  neir  elesioni  T  assenso  a' no- 
stri Principi:  Federigo  lI,.Cbrrado>e  Manfredi  soslen-- 
nerp  oon  vigore  i  loro  diritti,  né  .permisero  sopra  ciò 
novità  alenila;  xnà  Clemente  lY,  investendo  Carlo  I 
d'Aogiò^  fra.i  Capitoli,  già  rapportati,  che  gli  fece 
giurare,  volici  espressamente,  che  si  rìnnnciasse  0  cfuc* 
st*  assenso^  e  nel  capitolo  18  gli  prescrisse,  che  così 
egli,  come  i  suoi  successori,  non  s*  intromettessero  nel- 
r  elezioni,  postulazioni  e  |irovÌ8Ìoni  de' Prelati,  in  ma- 
niera, che  né  prima^  né  dopo  V  elezione  si  ricencasse 
regio  assenso  V  ma  .solamente  lor  rimanesse  salvo  il  di- 
ritto, che:  per  ragione  di  patronato  avessero  in  alcune 
Chiese,  per  quanto  i  canoni  concedono  a"  padroni  di 
quelle  (a). 

Rimase  solamente  a*  nostri  Re  la  facoltà  di  poter 
impibdire.  all'eletto,  che  se  gli  dasse.la  possessione 
senza  \l  lor  pZacito.r4>gio^  e  «questa  pure  tentarono  di 
contrastarla;  ma  non  meno. gli  Aragonesi,  ohe  gli  An* 
gioini  stessi  loro  ligi,  se  la  manlenaeì*o,  leggendosi,  che 
Carlo  II  essendo  stato  eletto  Manfredi  Gifonio  Cano- 
nico di  Mslito.  pei:  Vescovo  di  questa  istessa  città, 
perchè  era  al  Re  sospetto,  gF  impedì  il  f>oss0s,so  di 
quella  Chiesa,  non  concèdendogli  il  regio  exequatur^ 
come  si  legge  nella  carta  del  Re  data  in  Napoli  nel- 
r  anno  1299  rapportata  dall' Ughello  nella   sua  Italia 

(a)  Chiocc.  M.  S»  |[iùris4*  ia  indice  tom.  19. 


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i4o  STORIA  CIVILE 

Sacra  (a).  E  tutti  gli  altri  Ke. Angioini;  come  Carlo  III 
Ladislao,  iik^ino  alla  Regina  Giovanna  II  qaaado  gli 
eletti  non  eran  loro  sospetti ,  davano  alle  Bolle  papali 
di  loro  pro.visiona  V eJoequatur-^  di  che  preèso.U  Ghioc- 
^arelli  (&)  se  ne  leggono  pia  esempj. 

Tolse  ancora  Clemente  a'  nostri  Re  la  Regalia^  .la 
quale  (non  meno  die.  i  Re  di  Francia) -tenevano  hello 
Sedi  vacanti  del  nostro  Regno,*  donr  porvi  i  Regj  Ba* 
gli  vi,  o  altre  persone  dd  essi  destinate  per  Tammini* 
•traziotie  deir entrate,  per  conservarle  al' aacceasòre, 
secondo  il  prescritto  de*  canoni;  e  l'edèrìco  U,  com'è 
chiaro  dalle  nostre  Costituzioni  .del  Regno  j(c),  ve  la 
mantenne.  Siccome  altresì  fece  Corrado  suo  succes- 
sore, il  quale,  Scendo  che  narra  Matteo  Paris,  es* 
aendo  stato  dal  Pontefice,  fra  •  F  altre  cose,  imputato, 
che  avesse  occupato  i  beni  delle  Chiese  vacanti;  rispose 
airaccusa,  ch'egli  non  faceva  usurpazione  alcuna,  ma 
valevasi  dì  quella  istessa  ragione,'che'i  suoi  Predeces^ 
sori  s'  erano  rabi  nelle  Sedi  vacanti,  coù  dar  la  cura 
de' beni  di  quelle  a' suoi  proccuratori  idonei,  e  fargli 
da  quelli  amministrare;  e  che  egli  era  contento  di  va- 
lersi di^  quell'  istessa  ragione,  che  i  Re  di  Francia,  e 
d' Inghilterra  valevansi. nelle  Chiese  vacanti  de' Regni 
loro  ((/). 

Ma   Clemente  IV   ne'  siiddetti   Capitoli   investendo 

(a)  tJghdi.  toni.'i'  in  Epìsc.  Ittìlitens.  nam.  f6.  (b)  Chìoc. 
tom.  4  <1&  Reg»io  .exequa tur.  (e)  Tit.  de  Admìnistr.  rerum 
Eccl.  post  mortem  Praelator.  (4)  Mattb.  Paris.  Ilist.  Ang.  in 
Hearico  III  fol.  597. edit.  Paris,  et  ex  libro  addita iqentorum 
cuso  post  dict.  HisU  fol.  .ia5  et  126.  Quod  si  videtur  abso- 
nuin  Aposlolicae  Sedi.,  coDtentus  est  Dominus  Rex  ilio  jure 
in  praedictis  vacanlibus,  quo  atilur  Rex  Franciae,  et  Angliae 
in  £cclesiis  vacanlibus  Regni  sui. 


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DEL  REGNO  DI  NAPOLI  L.XIX.  GAP.  V.  i4i 
Carlo  I  ciò  non  piacendogli,  yoUe  nel  capitolo  32  ob- 
bligare quel.  Re,  e  buoi  successori  a  rinunziare  a  qua- 
lunque./^e^a/ia,  stabilendo,*  cbe  nelle  Sedi  vacanti  non 
potesse  pretendere,  ne  avere,  né  regalie,  ne  frutti;  ri- 
manendo  intanto^  finché  non  fossero  proviste,  la  cu- 
stodia delle  Chiese  presso  le  persone  ecclesiastiche,  le 
quali  secondo  il  prescritto  de*  Canoni  dovranno  ammi-» 
nistrarè  le  rendite  di  quelle,  e  conservarle  a*  futuri  sue- 
cessori  (a).  Questo  fu  un  gran  passo,  che  avanzarono 
i  Pontefici  romani,  togliendo  a'  nos^  Principi  le  re- 
galie nelle  Chiese  vacanti;  poiché,  se  bene  in  questi 
priocipii  si  mostrasse  di  far  rimanere  la  cura  delle  me- 
desime alle  persone  ecclcsiatìitiche,  e  di  regolare  Tam^ 
ministrazione  delle  loro  entrate  secondo  i  Canoni;  nul- 
Jadimanco  in  processo  di  tempo^  vi  destinarono  essi  i 
CoUeltori  e  Nunzi},  i  quali  mettendo  mano  sopra  i 
beni  di  quelle,  non;  più  a*  futuri  successori,  ma  a 
Roma  si  serbava.no  i  frutti;  onde  fu  stabilito  presso 
di  noi  un  nuovo  fondo,  e  cominciò  a  sentirsi  il  nomo 
di  Nunzio  Jppóstoìico^  il  che  non  ebbe  perfezione  so 
non  nel  seguente  secolo  decimoquarto  nel  Regno  di 
Roberto  per  le  cagioni,  che  saranno  da  noi  rappor- 
tate ne' libri  seguenti  di  quest'Istoria,  quando  ritor- 
nerà occasione  di  favellare  dell'  introduzione  del  CàU 
lettore  Jppostolico  nel  Regna  e  de'  suoi  tnaravigliosi 
progressi  in  fornir  Roma  di  danari  per  gli  spogli 
delle  nòstre  Chiese,  e  per  altri  emolumenti,  che  ivi 
si  tirarono. 

Si  fecero  ancora  a  questi  tempi  altre   sorprese  pet 

(a)  Rajnald.  Ann.  Eccl.  ad  ann.  12 55  n.  3  et  «nn.  i265. 
Custodia  £cclesiarum  earuudem  libere  remanente  penes  per^ 
souas  Ecclesiasiicas ,  juxta   Canonicas  Sanctiones. 


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i42  STORIA  CIVILE 

tirar  ogni  cosa  ih  Roma;  poiché  quando  prima»  se- 
condo i  concordati  dai  Ré  Guglielmo  I  colla '£kde  Ap- 
postolica,  non  erano  accordate  le  appellazioni  del  Re- 
gno di  Sicilia  (é|);  ora  Clemente  nel  18  articolo  del- 
l' ili  vestitura  data  a  Carlo,  espressamente  convenne,  che 
le  esose  ecclesiastiche  dovessero  trattarsi  innanzi  agli 
'Ordinari!,  -e  per  appellazione  dalla  Sede  Appostoliea; 
ed  essendosi  proccurato  in  questi  tempi,  come  vedremo 
più  innanzi,  stendere  la  conoscenza,  ed  il  Foro  épi-« 
scopale  in  immenso,  e  tanto  che  non  vi  era  litigio, 
dov'  essi  non  pretendessero  metter  mano,  furono  tirate 
tutte  le  ezu9t  in  Roma:  ciò  che  apportò  a  quella  Corte 
grandi  emolumenti  e  danari.  • 

Ma  quello,  che  portò  maggior  utile  e  guadagno  alla 
Corte  di  Roma,  siccome  non  minor  povertà  al  Regnoj^ 
fu  la  provisione  de'beneficii,  ^d.  i.v^rìi  mezzi  e  modi 
inventati  e  stabiliti  da  poi  per  le  loro  Decretali^  ed 
Estravaganti  e  molto  più  p^r  le  Regole  della  Caneel^ 
leria^  per  le  quali  quasi  tutto  il  denaro  delle  nòstre 
«chiese  e  monasteri!  va  a  colare  in  Roma^ 
.  Il  nome  di  Beneficia  fu  ne' primi  secoli  della  Chiesa 
inaudito,  neper  tutto  il  tempo,  che  durò  la  quadriparti- 
ta divisione  de' beni  di  quella,  s'intese  mai;  ma  quella 
poi  posta  in  disuso  ed  annullata,  si  videro  varie  muta- 
zioni. Siccome  la  parte  assignata  a'  poveri  si  diede  a*' 
Vescovi  col  peso  d' alimentargli,  cosi  la  porzione  as- 
segnata a'  Cherici  cessò,  ed  in  sua  vece,  furono  asse- 
gnati ^li  ecclesiastici  ufficii  certi,  con  destinar  loro  de* 
terminate  rendite,  delle  quali  si  servissero  i  Ministri 

(a)  Bulla  Adriani  apud  Capecelatr.  liistor.  Neap.  lib.  a. 
Habebit  Romana  Ecclesia ,  quae  babet  in  aliis  partibus  Regiù 
nostri,  excepta  appellatione. 


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DEL  REGNO  DI  NAPOLI  L.XIX.  CJLP.V.  i/|3 
delle  Chiese,  come  di  rpba  propria;  è  questo  dritto  di 
raccogliere  le  mentoyate  rendito  congiunto  cot  ministe- 
rio  spirituale,  fu  generalmente  appellato  Beneficio y  e 
credesi  che  tal  nomej  ed  assegnato  di  rendite  a.  cias- 
eun  ministero  cominciasse  nel  nono  secolo' circa  T  an* 
no  8i3i  come  si  raccoglie  dal  if<t;un/mo,  celebrato  in 
queir  anno,  dove  la  prima  Tolta  si  .  fa  meosione  del 
Beneficio  ecclesiastico  (a).  In  cotal  gui^a ,  siccome  colo- 
ro, che  militavano  per  V  Imperio,  erano  premiati  cpn 
Feudi^  che  .pure  si  dissero  Beneficj^  così  i  Ministri 
militanti  per  la  Chiesa  era  di  dovere,  che  sr  j)remias< 
sere  con  tal  sorte  ài  Beneficj ^  cioh  con  queste  rendite, 
e  dignità  ecclesiastiche,  le  quali  erano  chiamate  Bene- 
fici ;  affinchè  con  tal  premio  ciascuno  si  rendesse  più. 
animoso  e  forte ,  e  adempisse  al  proprio  dovere  ed 
ufficio. 

Ma  questi  behefic)  non  essendo,  che  un  dritto  annes« 
so  e  dipendente  dal  ministerio  di  godere  le  rendite 
ecclesiastiche  in  vigore  d'una  canonica  istituzione, 
bisognava,  che  chi  il  conferiva,  avesse  ragione  e  potestà 
di  conferlrlo^e  che  la  persona,,  a  chi  si  conferiva,  fos- 
se parimente  ecclesiastica ,  per  cagion  del  ministerio, 
a  cui  con  titolo  perpetuo  era  unito.  Nelle  diocesi  la 
facoltà  di  conferire  era  de' Vescovi,  i  quali  o  liberamente 
gli  conferivano,  ovvero  di  necessità;  ed  era  quando 
il  beneficio  non  poteva  conferirsi  se.  non  a  colui,  ohe 
il  Padrone  presentava  in  vigor  del /)afron£Uo,  che  v'avea: 
diritto,  che  crasi  acquistato,  o  per  aver  fondata  la 
Ghieaà,  o  arricchitala  di  beni,  sopra  i  quali  avea  isti* 
tuito  il  beneficio. 

I  Pontefici  romani  trovaron  mezzi  non  solo  di  tirjir 

(a)   Gap.  I  de  Cccles.  Dedi&c. 


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i44  STOMA  CIVILE 

ia  Roma  le  eollazioni,  e  privarne  i  Vescovi,  ed  i  padro- 
ni  delle  presentazioni,    ma  d' inventare  'nuove*  regole, 
perchè  ogni  cosa  servisae  a  congregar  tesori.  Prescrissero 
certi  termini^  così  agli  Cini,  <3om'e  agli  altri,  di  valersi 
di  loro  ragione,  li  quali  classi,  la  collazione  si  devolve 
a  Roma.  Parimente  se  nominavano  persone  indegne  ed 
incapaci,  ed  'acquali   ostassero   canonici   impedimenti, 
acquali  essi  soli  si  riserbaròno  la  potestà  di  poter  dis- 
peosare,  togliendola  ad  ogni  altro.  Se  fra  gli  presentati, 
o  eletti  accadeva  litigio,  la  causa  era  tirata  in  Roma, 
e  spesso  il  beneficio  si  conferiva  né  all'  uno,  né  all'al- 
tro, ma  ad  un  terzo.    S'introdusse,   ehe   il   Papa  po- 
tesse* concórrere,  e  prevenire  ciascun  collatore  de'  Be- 
nefic).  8'  invitò  la  Bhervazione^  eh' è  un  decreto,  per 
cui  il  Papa  innanzi  che  un  Beneficio  vachi,  si  dichia- 
ra, che  quando  vacherà,  nessuno   lo   possa,  conferire- 
Che  li  vacanti  in  Curia,   la  provisione   sia  del  Papa; 
siccome  tiitli  li  vacanti   per  privazione,    ovvero   per 
traslazione  ad  un  altro  Beneficio^  ed  ancora  tutti  quelli, 
che  fossero  rinunziati  in  Curia,  e  tutti  li  Benefic]  dei 
Cardinali,  Ufficiali  della  Córte,  Legati,  Nunz},  ed  altri 
Rettori  e  Tesorieri   nelle  terre  dello  Stato  romano,  e 
parimente  li  beneficj  di  quelli,  che  vanno  alla   Corte 
per  negozj,  se   nell'andare,   o  nel   tornare    morissero 
circa  4o  miglia'  vicini  alla  Corte,  ed  ancora  tutti  quelli, 
che  vacassero,  a  cagione  che  li   possessori   loro  aves- 
sero avuto  un  altro  beneficio. 

Furono  ancora  introdotte  le  Rassegnazioni,  conian- 
dandosi  sotto  spezioso  pretesto  di  levare  la  pluralità, 
de  Beneficj,  che  chi  ne  avea  più  gli  rassegnasse;  e  per 
r  avvenire,  chi  avendo  un  beneficio  curato  ne  ricevejsse 
xtn  altro,  dovesse  parimente  rassegnar  il  primo,  e  li 
rassegnati  fossero  riservati  alla  disposizione  del  Papa* 


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DEL  REGNO  PI  NAPOLI  LXIX.  CAP.V.  t45 

S'  introduaseto  ia  questo  «ecolo  le  Commende  dei 
beneficia  le  qaali  secondo  la  loro  istitusione  antica,  non 
darayan,  che  per  poco  tempo:  perchè  vacando  un  he* 
neiìcio,  che  dall'  Ordinarlo  per  qualche  rispetto  noa 
si  potesse  immediatamente  provvedere,  la  cura  di  quello 
era  raccomandala  dal  Superiore  a  qualche  soggetto 
degno,  sin  tanto  che  la  provisione  si  faoes^e,  il  quale 
però  non  aveva  facoltà  di  valersi  dell'  entrate,  ma  di 
governarle,  e  rìserbarle  al  futuro  successore;  ma  poi, 
ancorché  i  Pontefici  proibissero  a'  Vescovi  il  Commertr 
dare  più  che  sei  mesi,  essi  passarono  a  dare  le  Com- 
mende a  vita.  £  le  Commende  delle  nostre  Badie  ren- 
dute  ricchissime,  che  stabilirono  nel  nostro  Reame, 
han  tirato  in  Roma  più  tesori,  che  quelle  di  tutte  le 
altre  parti  d' Italia. 

Papa  Giovanni  XXII  che  si  distinse  sopra  tutti  gli 
altri  per  Y  esquisita  diligenza ,  che  avea  in  cavar  da- 
nari d'ogni  cosa,  onde  in  30  anni  di  Pontificato  r^- 
gunò  incredibili  tesori,  e  con  tutta  la  profusione  usata 
in  vita,  pure  lasciò  alla  morte  sua  2 5  milioni:  intro- 
dusse da  poi  V Annate^  ordinando,  che  per  tre  anni 
^ogniuno,  che  otteneva  beneficio  di  maggior  rendita^ 
che  a 4  ducati,  dovesse  nell* espediicione  delle  Bolle  pa- 
gare Ventrata  d'un  anno:  il  qual  pagamento  però  finiti 
li  tre  anni  fu  continuato  cosi  da  lui,  come  da'  suoi 
successori. 

Furono  anche  introdotte  le  Pensioni  sopra  i  bene-* 
ficj,  .le  quali  sono  riuscite  più  utili  che  i  beneficj  6ìe6su 
S'introdussero   anche   le    Coadiutorìe,  i    Regressi^  le 
Grazie  esp^ttativcy  gli  Spogli  e  tanti  altri  modi  per  tirar 
denaro  in  Roma  (a).  Ma  sopra   tutto   li   tanti   divieti^ 

{a)  V.  Il  Trattato  delle  materie   Beneficiarie  attribuito  ti 
P.    Paolo  Sarpi  Servila,  io 


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i46  STORIA  CIVILE 

per  poterrl  appoggiar  poi  le  tante  dispense^  così  per 
la  pluralità  de*  benefic)  in  una  persona,  come,  per  li 
gradi  di  matrimonj^  per  le  irregolarità,  per  rilleglt«- 
timilà  di  natali,  e  per  tante  altre  infinite  ed  innume- 
rabili  cagioni;  onde  non  concedendosi  quelle  senza  de- 
nari, yennesi  per  tante,  e  sì  diverse  scaturigini  ad 
essere  ben  provveduta  di  tesori  la  Reggia  universale  del 
Cristianesimo,*  con  impoverirsi  air  incontro  le  nostre 
Chiese,  e  togliersi  ai  nostri  Vescovi  la  provisione  di 
quasi  tutti  i  benefic j  del  Regno,  li  quali  erapo  in  Roma 
provveduti  nella  maggior  parte  a'  forastiéri,  esclusi  i 
nazionali,  c^ontro  il  prescritto  de' Canoni. 

Quando  nella  general  Dieta  tenuta  in  Vormazia,  alle 
querele  de' Principi  e  de' Vescovi  si  trattò  di  togliere 
questi  abusi,  narra  il  Cardinal  Pallavicino  (a),    che  i 
Legato  del  Papa  Alessandro    altamente    si  protestava, 
che  ciò  sarebbe  uno  sconvolgere  tutto  il  Mondo:  e  fa- 
cendo la  Chiesa  un  Corpo  politico^  diceva  che  il  vo- 
lerlo ridurre  air  antica  disciplina,  era  1  istesso,  che  far 
tornare  un.  giovane  al  vitto,  che  usò    hambino;  e  che 
aiccome  le  complessioni  si  mutano  ne'  corpi  umani,  cosi 
|)arimente  avviene  ne'  Corpi  politici.  K  quando  nel  Con- 
cilio di  Trento  s'ebbe  a  trattare  di  quest'  istesàa  ma- 
teria^ per  darvi  almeno  riforma,  fu  la   cosa   più   sen- 
sibile e  spiacente,  che  mai  potesse  proporsi.  Sì  oppo- 
sero con  vigore  i  Prelati  del  Papa,  e  difendevano  gli 
'  abusi  per  quest'  istesso,  che  sarebbe  dissolvere   questo 
Corpo  politico^  e  questa   gran   Monarchia^  e   T  iateaso 
Cardinal  Pallavicino  (h)   alla   svelata  dice,   ch'essendo 
il  Papa  il  Supremo  Principe j  che  ha  tanti  gran    <Se« 

(a)  Pallav.  Istor.  del  Concilio  di  Trento ,  1.  i    «.  a5»    (6) 
Pallav.  1.  i  e.  8  et  i(>. 


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DEL  REGNO  DI  NAPOLI  L.XIX.  GAP.  V.  iHj 

natoti  venerati  con  regali  onoranze,  in  una  Reggia 
universale  del  Grisstianesimo,  non  deve  sembrar  cosa 
strana,  se  per  conservar  lo  splendore  d'una  Reggia  ec« 
flesìastica  abbia  tirato  a  se  tutte  le  grazie,  le  dispense^ 
le  collazioni,  e  tanti  altri  emolumenti  per  le  resignd- 
zioni,  regressi,  annate,  pensioni,  spogli  e  tanti  altri 
modi  introdotti  per  tirar  danaro  in  Roma;  poiché  (e' di* 
ee)  siccome  qualunque  Principe  riscuote  senza  biasimo 
i  diritti  per  le  grazie  e  per  le  dispensazioni,  ch'egli 
concede  secondo  le  tasse  del  suo  Governo,  cosi  noa 
debba  biasimarsi  il  Papa  Principe  Supremo  e  Monarca^ 
per  ciò  che  concede  e  dispensa  nel  Cristianesimo*,  • 
siccome  i  Principi  qualora  talun  de'  suoi  Fedeli  s'  è 
segnalato  in  qualche  azióne  militare  o  politica,  gli  con« 
cede  Feudi  o  altra  mercede;  così  il  Papa  Principe  Su^ 
premo  dispensa  quanti  beneficj  egli  vuole  a  chi  s'è  se«> 
gnalato  in  qualche  azione  o  d'aver  maneggiato  bene  un 
affare,  compita  bene  una  Legazione  o  Nunziatura  o 
fatti  altri  importanti  servizi  alla  Santa  Sede;  ed  af- 
finchè non  fossero  distratti  dai  loro  impieghi,  e  si  to- 
gliesse r  incompatibilità  d'  aver  molti  di  questi  bene- 
ficj, e  non  adempire  a' ministeri,  a  cui  sono  annessi, 
s'introdusse,  che  in  vece  dell'ufficio,  bastasse  la  sem- 
plice recitazione  del  breviario  e  dell'ore  canoniche. 

Per  mantener  questa  Reggia^  dice  ancor  questo  Car- 
dinale (fl),  che  bisognava  aprire  più  fonti  per  cavar  de- 
nari ed  onori,  onde  i  Ministri  si  mantengano  con 
decoro  e  pompa  conveniente  a' Re;  e  che  perciò  noa 
debbiasi  molto  badare  all'  unione  di  più  beneficj  in 
una  persona,  senza  obbligargli  alla  residenza.  Questi 
sono  i  mezzi  in  verità  (  e' dice  )  per  conservar  eoa  splen- 

{a)  Pallav.  Iib«  8  eap.  i2h 


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i48  STORIA  CIVILE 

dorè  r Ordine  clericale,  ed  una  Beggia  ecclesiastica; 
un  de' più  efficaci  ò  la  copia  di  que'beneficj,  i  quali 
non  obbligaBo  a  residenza:  dovea  provvedersi  con  ciò 
ad  una  Corte  e  ad  una  Beggia  universale.  Ed  altro* 
ve  (a)  valendosi  del  medesimo  paragone  del  Principe, 
apertamente  dice,  che  siccome  T erario  del  Principe 
bisogna  star  sempre  pieno  per  ben  governarsi^lo  Stato, 
cosi,  tener  l'erario  vuoto  il  Papa,  Principe  supremo^  è 
ristesso,  che  allentar  la  disciplina.  Quindi  conehiude, 
che  il  riformar  la  Datarìa^  proibire  a* Giudici  eecle* 
aiastici  impor  pene  pecuniarie,  ed  il  levar  le  spes^ 
nelle  dispensazioni^  era  un  allentar  la  disciplina*^  poi-" 
che  la  pecunia  (  sono  sue  parole  )  è  ogni  cosa  virtuaU 
mente\  così  la  pena  pecuniaria  è  dall'umana  impera 
fezione  la  più  prezzata  di  quante  ne  dà  il  Foro  pu* 
ramente  ecclesiastico:  il  quale  non  potendo  ^  come  il 
secolare j  porre  alla  tUssoluzione  il  freno  di  ferro y  con ' 
vien  che  gliel  ponga  d'argento. 

Ili  Della  conoscenza  nelle  Cause. 

Tirata  tutte  le  eause  d'  appellazioni  in  Roma ,  si 
proccurò  ampliare  la  giurisdizione  del  Foro  episco* 
pale,  e  stendere  la  conoscenza  de'  Giudici  ecclesiastici 
sópra  più  persone,  ed  ia  più  cause,  sicché  ppco  ri- 
manesse a^  Magistrati  secolari  d  impacciar^efire.  Fede- 
rico li  in  alcuni  enormi  e  gravi  delitti  de'ChericI, 
perchè  non  rimanessero  impuniti,  prendeva  egli  so- 
vente a  fargli  castigare:  ma  Clemente  nelle  condizioni 
delf  investitura  data  a^Garlo,  volle  nel  ao  articolo  che 
si  stabilisse,  che  in  tutte  le  cause  cosi  civili,  come  cnu 

(a)  Pallav.  lib.  a  cap.  6. 


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DEL  REGNO  DI  NAPOLI  L.XIX.  CAP.V.  149 

minali  non  si  potessero  convenire  avanti  il  Giudice  se- 
colare, se  non  si  trattasse  civilmente  di  cause  feudali.  E 
le  sorprese,  che  a  questi  tempi  si  fecero,  non  pure  presso 
di  noi,  durante  il  Regino  degli  Angioini,  ma  anche  nel 
Regno  stesso  di  Francia,  furono  maravigliose.  I  nostri 
.ile  della  Casa  di  Angiò  riconoscendo  da'  romani  Pon- 
tefici il  Regno;  e  Vjedendo  che  in  Francia  anche  quei 
Re  lo  soiferivano,  non  aveano  cuore  di  resistere  e  di 
opporsi.  Sottratto  1  Ordine  ecclesiastico  totalmente  dalla 
giurisdizione  secolare^  ed  arricchito  di  molti  privilegi 
ed  immunità,  si  pensò  stendere  in  prima  Teaenzione  a 
più  persone  che  non  erano  di  queir  Ordine. 

I.  Essi  mettevano  al  numero  de' Gherici  tutti  quelli 
che  avevano  avuta  tonsura,  ancorché  fossero  casati,  ed 
attendessero  ad  altre  occupazioni,  che  ecclesiastiche;  % 
narra  Carlo  Loyseau  (a),  che  in  Francia  la  cosa  s' era 
ridotta  in  tale  estremità,  che  quasi  tutti  gli  uomini 
erano  di  loro  giurisdizione,  perchè  ciascuno  prendeva 
tonsura  per  esenzionarsi  dalla  giustizia  del  Re  o  del 
suo  Signore,  più  tosto  che  per  servire  alla  Chiesa.  la 
Francia  però  quest'abuso  fu  nelranno  1274  corretta 
a  riguardo  dell'  esenzioni  delle  tasse  o  gabelle  dal  Re 
Filippo  V Ardito^  il  quale  volle  che  i  Cherici  casati 
fossero  sottoposti  all«  tasse,  come  li  puri  laici,  e  Tim^ 
munita^  loro  rimanesse  solo  a  riguardo  del  Foro,  la 
quale  pure  fu  poi  lor  tolta  dall'  Ordinanza  di  Rossi^' 
glione,  la  quale  questa  immunità  la  conservò  soia- 
mente  al  Cherici  coautuiti  negli  Ordini  Sacri,  e  poi 
il  Parlamento  la  conservò  anche  a'  Beneficiati.  Ma  nel 
nostro  Regno  T  abuso  non  fu  tolto  all'  intutto,  e  ri^ 
anase  sol  corretto  a  riguardo   dell'  esenzioni  delle  col- 

(a)  Loyseau  det  Sign.  et  Jastlc.  ficd.  cap.  i5« 


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i5o  STORIA.  CIVILE 

lette  o  g[abelle,  riiDanendo  loro  T  immanità  a  riguardo 
dei  Foro,  perchè  facevano  i  Re  della  Casa  d'  Angiò 
valere  nel  Regno  la  Costituzione  di  Bonifacio  YIII,  per 
la  quale  era  stato  conceduto  Sk  Cherici  conjugati  privi- 
legio d'  immunità;  onde  il  Re  Roberto  nel  1822  or- 
dinò a'  suoi  TJfticiali  del  Regno  che  osservassero  detto 
privilegio,  e  che  non  procedessero,  cosi  nelle  loro  cause 
civili,  come  criminali,  purché  però  abbiano  contratta 
matrimonio  con  una,  e  vergine,  portino  la  tonsura,  e 
le  vesti  chericali,  e  non  si  meschino  in  mercatanzìe  e 
negoziazioni;  ed  ancora  se  non  abbiano  assunto  la  ton«> 
sura,  ed  abito  del  Chericato  dopo  commesso  il  delitto 
per  evitar  la  pena  (a).  La  qual  Ordinanza  fu  rinnovata 
poi  dalla  Regina  Giovanna  I  neir  anno  i347  (£);  e 
confermata  dal  Re  Ferdinando  I  d'Aragona  per  sua 
Prammatica  (e)  stabilita  neir  anno  1469. 

Parimente  nel  nostro  Regno  a'  Frati  terziarj  di 
8.  Francesco  che  sono  mantellati  e  cordonati^  ed  abi- 
tano in  luoghi  claustrali;  siccome  alle  Bizoche^  che  vi- 
vono con  voto  verginale  o  celibe  viduale,  pure  loro  si 
diede  Y  esenzione  dal  Foro  secolare.  E  nel  Regno  degli 
Angioini  la  cosa  si  ridusse  a  tal  estremità»  che  fino  le 
Concubine  do  Gherici  godevano  esenzione;  e  quel  che 
fa  pivi  maraviglia,  ne  furon  persuasi  gli  sfessi  nostri 
Principi,  leggendosi,  che  i  Cherici  della  città  e  dio- 
cesi di  Marsico  si  querelavan  col  Re  Roberto,  perchè 
il  Giustiziero  della  provincia  di  Principato  cifra  pro- 
cedeva contro  le  loro  concubine;  imperocché  avendo 
il  Re  Carlo  II  padre  di  Roberto  per  suoi  Capitolari 
ordinato,  che  le  concubine  scomunicate,  le  quali  fès- 

{a)  Chioc.  M.  S.  giaris.   tom.  io.   (b)  Chioc.   loc  cit    {e) 
Pragm.  i  de  Clerici s^  seu  Diaconis  salvaticis. 


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DEL  REGNO  DI  NAPOLI  L.XIX.  GAP.  V.   i5i 

s«to  r  anno  persistevano  pure  nella  sc^nnunica,  foisisero 
multate  in  certa  quantità  di  denari,  il  Qiustiziero,  an* 
ohe  dalle  concubine  de'  Gherici  voleva  esiger  la  multa*^ 
onde  il  Re  Roberto  neir  anno  1817  ordinò  ai  mede- 
simo, che  non  procedesse  contro  di  loro  in  virtù  del 
detto  Capitolo  di  suo  padre,  né  tampoco  le  molestasse 
nelle  persone,  nò  nelli  beni,  ma  che  lasciasse  il  ca- 
stigo di  quelle  alli  Prelati  delle  Ghiese  (a). 

S'introdussero  ancora  nel  Regno  i  Diaconi  selvaggi 
che  pure  pretendevano  esenzione;  e  bisognò  per  cor- 
reggere  in  parte  quest'altro  abuso,  che  il  suddetto  Re 
Ferdinando  I^  nel  1479^  pubblicasse  prammatica  {b)  colla 
quale  fu  stabilito,  che  qualora  non  sono  ascritti  al  ser- 
vizio d'alcuna  Ghiesa,  ma  si  mescolano  nc'negozi  se- 
colari, e  di  Diaconi  e  di  Gherici  non  abbiano  che  il 
puro  nome,  s'abbiano  da  riputare  come  veri  laici,  in 
modo  che  siano  soggetti  al  Foro  secolare,  ed  avanti 
giudici  secolari,  così  nelle  cause  civili,  come  criminali^ 
debbiano  essere  convenuti,  e  debbano  soffrire  tutti  i 
pagamenti  fiscali,  gabelle,  collette,  e  tutti  gli  altri  pesi» 
che  sostengono  i  laici.  Fu  da  poi  praticato,  che  non 
godessero  il  privilegio  del  can.  si  quis  suadente^  né  il 
privilegio  del  Foro  nelle  cause  civili^  ma  solo  nelle 
criminali,  e  nelle  civili  in  quanto  al  costringimento  del 
corpo,  rendendogli  immuni  da'  pesi  personali,  tion  però 
di  gabelle,  collette,  ed  altri  pagamenti  fiscali  e  pesi 
reali,.  Intorno  a  che  dal  nostro  Gollaterale  per  varie 
consulte,  e  dal  Tribunale  della  regia  Camera  per  piolti 
auoi  Arresti  fu  meglio  regolato   tutto   quest'  affare,  e 

{a)  Chioc.  Ice.  cit*  {b)  Fragm.  4  de  GUricii  seu  Diaconis  talr 
Taticis. 


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^ 


i55  STORIA  CIVILE 

rimediato  in  parte  agli  abusi;  di  cbe  è  da   Tederai  il 

Chiocearelli  {a). 

Ancora  fra  noi  fa  uno  de*  ponti  controvertiti  se  i 
laici  famigliari  de'  Vescovi  dovessero  convenirsi  cosi 
nelle  cause  civili,  come  criminali  avanti  il  Vescovo,  o 
pure  avanti  Giudici  secolari  (b);  pretendendo  gli  Ec- 
clesiastiei  tirargli  al  loro  Foro  episcopale. 

Parimente  stendevano  la  esenzione  conceduta  alle 
loro  persone,  anche  sopra  i  mobili  de'Cherici,  in  con-' 
seguenza  di  quella  massima  mal  intesa,  mohilia  se- 
ijuuntur  personàm^  di  maniera  che  tutti  li  ùiobili  delle 
genti  di  Chiesa  casate  o  non  casate,  non  potevano  es- 
sere eseguiti,  né  ad  altri  aggiudicati  dal  Giudice  laico. 

II.  Essi  sostennero,  che  ogni  causa  dove  o<S3orresse 
mala  fede,  e  per  conseguenza  peccato^  fosse  della  loro 
giurisdizione^  come  quella  nella  quale  occorre  di  do- 
versi trattare  del  ^oggetto  dell'anima,  di  cui  essi  sono 
ì  Moderatori;  e  così  essi  intendevano  il  passo  del  Van- 
gelo, si  peceaverit  frater  tuus^  die  Ecclesiae^  partico* 
larmente  quando  le  Parti  se  ne  querelavano  v  la  qual 
querela  perciò  essi  chiamavano  denuncia  Evangelica^ 
siccome  è  ampiamente  trattato  pelle  Decretali  (r),  dove 
il  Papa  vuol  prendere  a  giudicare  delle  differenze  tra 
i  Re  di  Francia  e  d'Inghilterra  toccante  la  devolu- 
zione pretesa  dal  Re  di  Francia  de'  Feudi  e  Signorie, 
che  il  Re  d' Inghilterra  teneva  di  quella  Corona ,  s^ 
cagion  della  costui  fellonia;  per  la  qual  cosa  essi  si 
pretendevano  Giudici  competenti  quasi  in  ogni  azione' 
eziandio  personale,  anche  tra  laici,  dicendo,  che  rare 
volte   ella  era  esente  dalla   mala  fede ,    e  per  conse- 

(a)  Chioc.  M.  S.  giurìsd.  tom.  io  de  Immuoit.  Clefic.  (^) 
Chioc.  M.  S.  giurisd.  tom.  3.  (e)  Gap.  novit  de  Judtc. 


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DEL  REGNO  DI  NAPOLI  L.XIX. e AP.V.    iS3 

gueoza  Aal  peccato^  o  dell* una,  o  dell* altra  parte:  e 
quando  ei  trattala  ddr esecuzione  de'  contratti,  esai 
non  facevano  diFBcoltà  di  tirar  alla  loro  conoscenza 
la  lite,  a  cagion  del  giuramento,  che  per  lo  stil^  co- 
mune* de'  Notai  vi  è  inserito  (a) ,  confondendo  n^ala- 
mente  la  censura  deVcostuoii  colla  giurisdizione^  e  la 
correzion  penitenziale  colla  giustizia  contenziosa^  senza 
aver  riguardo  al  fatto  di  Natan  con  Davide  rappor* 
tato  anche  da  Graziano  nel  suo  Decreto  (*). 

HI.  Per  somigliante  ragione  essi  sostenevano,  che 
la  conoscenza  de'  testamenti  loro  appartenesse,  come 
materia  di  coscienza,  dicendo ,  ch'erano  li  naturali 
esecutori  di  quelli;  anzi  ch'essendo  il  corpo  del  de- 
funto testatore  lasciato  alla  Chiesa  per  la  sepoltura^ 
la  Chiesa  ancora  erasi  fatta  padrona  de'  suoi  mobili 
per  quietare  la  coscienza,  ed  eseguire  il  suo  testa* 
mento.  E  Carlo  Lojseau  (&)  ci  testifica,  che  in  Inghil- 
terra erasi  introdotto  perciò  costume,  che  quando  ta- 
luno moriva  senzi  testamento,  il  Vescovo  o  persona 
*dd  lui  destinata  s'impadroniva  de'  mobili  di  quello.  E 
che  in  Francia  anticamente  gli  Ecclesiastici  non  vo- 
levano seppellire  i  morti,  se  non  si  metteva  tra  le  loro 
mani  il  testamento ,  o  in  mancanza  del  testamento^ 
non  s'otteneva  licenza  «peziale  del  Vescovo;  tantoché 
nell'anno  1^07  bisognò  che  il  Parlamento  rimediasse 
a  tanto  abuso,  con  far  decreto  contro  il  Vescovo  di 

(a)  Cap.  3  de  For.  compet.  (*)  Can.  4^  §  item  com  Da- 
vid caus.  2  qu.  7.  N»tfaan  cum  David  red«)rguit,  suum  est 
executus  ofììciuiia ,  in  quo  erat  Rege  superior:  non  usurpavi! 
Regis  ofBcium ,  in  quo  erat  Rege  inferior.  Monuit  eum ,  ut 
per  poenitenliam  peccata  sua  expìaret;  non  autem  tulit  ìa 
eum  sententiam  qua  tauquam  «dulter,  el  homicida  morti 
adjiceretur,  (h)  Lojseau  Le. 


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i54  STORIA  CIVILE 

Amictns,  e  li  Curati  d'Abbeyille,  che  coloro,  che  mo« 
rivano  intestati,  fossero  senza  contraddizione,  e  senza 
comandamento  particolare  del  YescoTo  seppelliti.  Ed 
erasi  parimente  in  Francia  introdotto  costume,  che 
gli  afflitti  eredi  per  salvare  Tenore  del  defunto,  morto 
senza  testare,  dimandavano  permissione  al  Vescovo  di 
poter  per  lui  testare  ad  pias  causasi  e  vi  erano  degli 
Ecclesiastici,  li  quali  costringevano  gli  eredi  dell'  inte- 
stato di  convenire  a  prender  Arbitri,  per  determinare 
la  somma,  che  il  defunto  avesse  dovuto  legare  alla 
Chiesa. 

Da  queste  intraprese  degli  Ecclesiastici  nacque  nel 
nostro  Regno  la  pretensione  di  alcuni  Vescovi,  d'ar- 
rogarsi la  facoltà  di  far  essi  i  testamenti  ad  pias  cau- 
sas  per  li  laici,  che  muojono  ab  intestato,  siccome 
per  antica  usanza  lo.  pretesero  i  Vescovi  di  Nocera 
de'  Pagani,  d' Alife ,  d' Oppido ,  di  S.  Marco  ed  altri 
Prelati  nelle  loro  diocesi,  i  quali  morente  applicavano 
i  beni  dei  defunto  a  se  stessi.  Ed  in  alcune  parti  del 
Regno  i  Prelati  pretesero  indistintamente  d'applicarsi 
a  lor  beneficio  la  quarta  parte  de'  mobìli  del  defunto 
nK>rto  senza  testare.  E  si  penò  molto  presso  di  noi  per 
estirpar  questi  abusi,  e  non  se  negli  ultimi  tempi,  alle 
reiterate  consulte  della  regia  Camera,  e  voti  del  Col- 
laterale, vi  si  diede  rimedio,  con  ispedirsi  più  lettere 
ortatoriali  a'  Vescovi,  affinchè  non  presumessero  d'ar- 
rogarsi tal  potestà,  e  sovente  contro  gl'inobbedienti  si 
è  proceduto  al  sequestro  delle  loro  entrate,  ed  a  car- 
cerazioni de'  congiunti;  non  perdonandosi  nemmeno  al 
Vescovo  di  Nocera,  con  tutto  che  per  se  allegasse 
V immemoriale ,  come  un  abuso  condannabile ,  e  più 
tosto  corrutela,  che  lodevole  usanza  (a). 

{a)  Y.  Chioccar.  M«  S.  gturisd.  tom.  13. 


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DEL  REGNO  DI  NAPOLI  LXIX.  CAP.V.  i55 

Da  ciò  è  nato  ancora,  che  siavi  presso  di  noi  rì- 
toiaso  costume,  siccome  anche  dura  in  Francia  che  li 
Curati,  o  i  Yicari  siano  capaci  come  i  Notai  di  ri- 
cevere li  testamenti,  e  quando  dispongano  .ad  pias 
causasy  ancorché  fatti  senza  solennità,  dar  loro  vigore 
ed  ossenranza. 

ly.  Per  cagion  della  connessitày  se  tra  più  com* 
pratori,  coeredi,  o  condebitori,  uno  ne  fosse  Cherico, 
essi  dicevano,  che  il  privilegiato,  come  più  degno, 
deve  tirare  avanti  il  suo  Giudice  tutte  le  altre  parti. 
Parimente  li  Canonisti  dicevano,  che  il  laico  poteva 
prorogare  la  giurisdizione  ecclesiastica,  e  non  il  Che- 
rico la  secolare:  e  dicevano  ancora,  che  apparteneva 
al  Giudice  ecclesiastico  supplire  il  difetto,,  o  negli- 
genza del  Giudice  laico^  e  non  al  contrario;  e  quando 
de  gli  dimandava  la  ragione,  essi  dicevano,  che  ciò 
era,  perchè  anticamente  gli  Ecclesiastici  erano  giudici 
de'  laici  così  ben  che  de'  Cherici ,  e  che  non  v'  era 
perciò  ineonveniente,  che  le  cose  tornassero  nella  loro 
prima  natura,  come  dice  il  Cardinal  Ostiense  (a).  E 
pure  da'  precedenti  libri  di  quest'Istoria  si  è  chiara- 
mente  veduto,  che  la  giustizia  ecclesiastica  in  ciò  che 
ella  è  contenziosa,  è  stata  conceduta  dalli  Principi, 
e  dismembrata«  dalla  giustizia  temporale  ed  ordinaria, 
e  fu  chiamata  perciò  privilegio  Cìiericale;  e  li  Cano- 
nisti la  chiamano  pure  privilegium  Fori^  per  denotare 
eh' è  contro  il  diritto  comune. 

T.  Essi  sostenevano,  che  tutte  le  cause  diìficili,  spe- 
cialmente in  punto  di  ragione,  loro  appartenessero,  e 
principalmente  quando  vi  era  diversità  d'  opinioni  tra' 
Giureconsulti  o  Giudici:  allegavano  perciò  quel  passo 


(a)  Qsticnfi.  19  Summa  tit.  d«  for9  compii. 


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i5«  STORIA  CIVILE 

del  Deuteronomio  (a):' Si  difficile^  et  amhiguum  apvd 
te  judicium  esse  prospexeris^  et  judicium  intra  Portaa 
videris  variarla  venies  ad  Sacerdote^  Levitici  gèneris^ 
'  tt  ad  Judiceniy  qui  fuerit 'ilio  tempore^  qui  judtkahunt 
tihi  ventatemi  et  facies  quaecumque  dixerint  qui  prae^ 
sunt  in  loeo^  quem  elegerit  Dominus,  Quando  è  a  tutti 
palese  la  gran  differenza  tra  le  leggi  romane,  e  la  poli- 
tia  del  vecchio  e  nuovo  Testamento.  E  da  questo  prin- 
cipio avvenne ,  che  si  veggano  in  più  luoghi  delle 
Decretali  cause  difficili  decise  da*  Pontefici,  che  non 
erano  in  conto  alcnno  della  giustizia  ecclesiastica,  co- 
me fra  r  altre  la  famosa  decretale  Raynutius  {b). 

TI.  Dicevano,  che  apparteneva  ad  essi  il  supplire  al 
difetto,  negligènza,  o  suspizione  del  Giudice  laico  (g)\ 
e  sotto  questo  pretesto,  se  un  gran  processo'  durava 
lungo  tempo  nel  Tribunale  secolare.  Io  tiravano  a  loro. 
Quindi  s'arrogavano  la  facoltà  di  conoscere  delle  su- 
tpizioni  de'  Giudici  laici,  e  quest'abuso  non  jpure  in  , 
Francia,  come  testifica  Lojrseau  (J),  ma  anche  ne'  Re« 
gni  di  Spagna  erasi  introdotto  (e),  e  presso  di  noi  nel 
Regno  degli  Angioini  avea  preso  anche  piede;  e  fa 
tanta  la  soggezione  a*  Pontefici  romani,  ovvero  la  atn*^ 
pidezza  de' nostri  Principi  Angioini  y  che  non  senza 
gran  maraviglia ,  tra  i  Riti  della  nostra  Gran  Corte 
della  Yicaria  (/),  si  legge  una  prammatica  della  Re* 
gina  Giovanna  li  colla  quale  ordina ,  che  (  toltane  la 
città  di  Napoli,   dove   vuole  che  le  auspizioni  si  co- 

{a)  YieD  allegato  nel  cap.  per- venerahilem,  Exlr.  qui  filii 
sint  legit.  {b)  Cap.  Raynutius.  Extr.  de  lestameutis  (e)  Gap. 
licet,  Extr.  de  foro  compet.  (d)  Loyseau  I.  e.  {e)  For  Judic. 
lìb.  2  tit.  I  1,  22  et  ibi  Yillad.  n.  8.  Rov.  Pragmat,  a  et  3 
de  su3pic.  ofiic.  (/)  Rit.  a65« 


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DEL  REGNO  DI  NAPOLI  JL.XIX.  CAP.T.  iS; 

aoscaoo  dal  G.  Protonotario  )  io  tutte  le  altre  città 
e  luoghi  del  Regno,  le  suspizioni  s'abbinino  ad  al- 
legare a  vaia  ti  il  Vescovo  diocesano,  e  suo  Vicario.  E 
con  tutto  che  nel  regno  degli  Aragonesi  non  si  fcase" 
fatta  osservare,  nulladimanco  non,  mancavano  ji  Ye- 
scovi,  quando  lor  veniva  iatto,  di  prenderne  la  cono- 
scenza, i 

Ma  succeduti  gli  Spagnuoli^  usarono  costoro  rimed} 
più  forti  per  togliere  quest'abuso,  perchè  avendo 
nel  ibSi  r  Arcivescovo  d'Acerenza  tentato  d'intror 
mettersi  a  conoscere  della  suspizione  allegata  innanzi 
a  lui  dal  Capitano  di  Pietrapertosa  contro  i  suoi  Sin- 
dicatorì^  D.  Pietro  di  Toledo,  ad  istanza  di  quella 
Università,  con  voto  del.  regio  Gollateral  Consiglio, 
scrisse  una  grave  lettera  ortatoriale  all'Arcivescovo,  in- 
sinuandogli ,  che  tlovesse  astenerci  di  conoscere  di 
quella  sospìzione,  spettando  tal  conoscenza  alla  giu- 
risdizione del  Re,  non  èssendo  stata  la  pretesa  pram- 
matica osservata,  e  che  facendone  il  contrario  avrebbe 
proceduto  contro  di  lui,  come  di  chi  cerca  usurparsi 
la  giurisdizione  regia  (a):  la  qual  lettera,  narra  Pro* 
spero  Caravita  (6),  averla  egli  fatta  imprimere  fra  le 
altre  prammatiche  di  questo  Regno,  che  oggi  giorno 
si  legge  in  quel  volume.  E  nel  governo  di  D.  Para* 
fan  di  Riviera,  essendo  stato  questo  Viceré  avvisato 
che  i  Vescovi  e  i  loro  Vicarj  nelle  province  di  Prin- 
cipato citra  e  di  Basilicata,  s'abusavano  d'intromet- 
tersi a  conoscere  delle  cause  di  sospizione  degli  Uf* 
ficiali,  dirizzò  nel  iS66  un  premuroso  ordine  al  Go'- 
vernadore  di  quelle  province,  comandandogli,  che  io 
suo  nome  facesse  emanar  bando    sotto   gravi  pene  ìa 

{a)  Pragm.  2  de  saspic»  offìc>  (b)  Caravita  Rit«  265  nu.  2« 


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i58  STORIA  CIVILE 

tutte  le  città,  terre  e  luoghi  di  quelle  proTince,  clie 
nelle  cause  di  sospizioni  le  parti  litiganti  non  deb- 
biano più  aver  ricorso  a*  diocesani,  ma  che  lo  dores- 
sero  ayere  nella  regia  AudiensRa,  dove  loro  sarà  mini* 
iitrato  complimento  di  giustizia  :  il  quale  ordine  fa 
pure  fatto  imprimere  tra  le  nostre  prammatiche  (a)  af- 
finchè tra  noi  si  togliesse  affatto  quest'abuso. 

VII.  Sotto  colore,  che  negli  antichi  Canoni  trova- 
vano,  che  il  Vescovo  era  protettore  delle  persone  mi- 
serabili, come  delle  vedove,  pupilli,  stranieri  e  po- 
veri, volevano  conoscere  di  tutte  le  loro  cause  (h); 
ancorché  vi  sia  gran  differenza  tra  proteggere  i  mise- 
rabili, e  proccurar  per  essi  la  giustizia,  che  d*  esser 
Giudice  delle  loro  cause. 

Vin.  Inventarono  un  altro  genere  di  giudiclo,  chia- 
mato di  Foro  misto f  volendo,  che  contro  il  secolare 
possa  procedere  così  il  Vescovo,  éome  il  Magistrato ^ 
dando  luogo  alla  prevenzione,  come  sono  i  delitti  di 
Ugamia,  d' osura^  di  sagrilegio,  d' adulterio ,  d'ince- 
sto ,  di  concubinato,  di  bestemmia ,  di  sortilegio  e  di 
spergiuro,  siccome  ancora  le  cause  di  decime  e  di 
legati  pii.  Nel  che  essi  v'  aveano  questo  vantaggio  , 
perchè  colla  esquisita  lor  sollecitudine,  sempre  pre- 
venendo^)  non  lasciavano  mai  luogo. al  Magistrato  se- 
colare, e  se  r appropriavan  tutti,  come  reputati  an- 
che da  essi,  delitti  ecclesiastici.  £  nel  nostro  Keam# 
noB  si  finìron  d'estirpare  affatto  questi  abusi,  se  noa 
nel  Regno  degli  Spagnuoli^  i  quali  non  ammisero  pre- 
venzione alcuna ,  e  la  cognizione  de'  suddetti  delitti 
contro  i  làici  fu  attribuita  interamente   a'  Giudici  re- 

(a)  PMigm.  3  de  suspic.  oflic.  {b)  Gap.  ex  parte    de    for« 
eonipet»  Gap.  naper  de  donat.  inter  vir.  et  uxor. 


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DEL  REGNO  DI  NAPOLI  L.XIX.  CAP.V.  iSg 

gi  (a);  non  dovendosi  riputar  in  modo  alcuno  eccle- 
siastici perchè  veramente  li  delitti  ecclesiastici,  o  sono 
quelli  che  concernono  la  politia  ecclesiastica,  come 
dice  Giustiniano  nella  JVov.  83  ovvero  li  minori  de- 
litti, di  cui  la  Giustizia  ordinaria  ne  trascura  la  ri- 
cerca, e  di  cui  perciò  la  primitiva  Chiesa  ne  intra- 
prendeva la  censura  o  correzione,  per  conservare  una 
partiqolar  purità  di  costumi  .tra'  Cristiani  ;  ma  questa 
correzione  ei  faceva  sommariamente,  ^  senza  giudizio 
contenzioso  ;  come  si  è  narrato  nel  pri^o  e  secondo 
libro  di  questa  Istoria. 

IX.  Si  appropriarono  tutte  le  cause  matrimoniali, 
dicendo,  òhe  essendo  stato  il  contratto  di  matrimonio 
dà  Cristo  S.  N.  elevato  a  Sacramento,  la  cognizione 
di  tutte  le  cause  a  quello  appartenenti  deve  essere 
de'  Giudici  ecclesiastici.  Ma  s'è  veduto  ne'  precedenti 
secoli,  che  i  Principi  cattolici  presi&ro  essi  la  cura  dei 
matrimonj,  essendo  cosa  chiarissima,  che  le  l^ggi  de* 
matrimoni ,  i  divieti  e  le  dispense  de'  gradi ,  tutte  fu- 
rono stabilite  dagl'Imperadori;  e  fin  tanto  che  le  leggi 
romane  ebbero  vigore,  i  giudicj  a  quelli  appartenenti 
erano  innanzi  a  Magistrati  secolari  agitati:  il  che  la 
sola  lettura,  de*  Godici  di  Teodosio  e  di  Giustiniano 
e  delle  Novelle  lo  dimostra  evidentemente.  E  nelle 
formole  di  Cassiodoro  (&),  come  altrove  fu  da  noi 
rapportato  ,  restano  memorie  de'  termini  usati  da'  Re 
ostrogoti  nelle  dispense  de'  gradi  proibiti  ^  che  allora 
erano  reputate  appartenere  al  governo  civile,  e  non 
cosa  di  religione;  ed  a  chi  ha  cognizione  dell'istoria, 
è  cosa  notissima,  che  gli  Ecclesiastici  sono  entrati  a 
giudicar  cause  di  tal  natura,  parte  per  qommessione 

(a)  y.  Chiocc.  M.  S.  gìurisd.  t.  5,  (b)  Cassiod.  lib.  7  cap.  46. 


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i6o  STORIA  CIVILE 

e  parte  per  negligenza  de'  Principi  e  de'  Magistnttf* 
Ma  di  ciò  ora,  per  la  determinazione  del  Concilio  di 
Trento  (a),  non  lece  più  dubitarne. 

Finalmente  i  Dottori  romani  {b)  arrivarono  insino 
#d  Insegnare,  che  i  delinquenti  ne- territorj  d^  altri 
Principi,  non  si  debbano  rimettere ^  ma  mandarsi  a 
dirittura  in  Roma  per  esser  puniti^  perchè  il  Papa 
essendo  ii  Signore  della  città  di  Roma,  eh' è  la  co- 
mune Patria  di  tatti,  avendo'  Tlmperador  Antonino 
per  sua  legge  (e)  statuito,  che  tutti  coloro,  che  na*- 
scotto  tteir  Orbe  romano  ,  s*  intendano  fatti  cittadini  ro« 
mani,  meritamente  come  soci  sudditi  può  prendergli 
a  giudicare  e  punirgli  (d). 

y^  Né  finirono  qui  le  loro  intraprese,  perchè  vi  sono 
altri  innumerabili  casi,  pe'  quali  eran  costretti  i  laici 
piatire  avanti  Giudici  ecclesiastici,  de'  quali  non  com- 
porta il  mio  istituto  farne  qui  un  più  lungo  catalo- 
go. Essi  furon  nientedimeno  compresi  da  Ostiense  (*) 
in  sette  versi,  che  chi  gH  considera,  non  può  non 
rimaner  sorpreso  in  veggendo  a  quale  sterminata  am* 
piezza  avessero  gli  Ecclesiastici  a   questi  tempi  stesa 


{a)  Conc.  Trid.  sess.  ^^  can.  12.  {b)  Oldrad.  cons.  12^. 
Pctr.  Barbos.  ad  llb.  2  $  legatìs>  D.  de  Judic.  FarÌDac.  in 
prax.  crini,  q.  7  num.  17.  {e)  L.  Romae  35.  D.  ad  munidpal. 
L.  in  Orbe  17.  D.  de  stat.  hom,  {d)  Y.  Àrtur.  DuiqjL  de  auth» 
|ar.  ctv.  Rom.  lib.  a  e.  3  num.  5.  (*)  OstienS. 

Hacreticus,  Sifoon,  foenus,  perjurus,  ftduker> 
Pax,  privìlegìum ,  violentus,  sacrilegusque , 
Si  vacat  Iinperiuin ,  si  uegligit,  ambigit,  aut  sit 
Suspectus  Judex>  sit  subdita  Terra,  vel  usiis 
Ru&ticus,  et  servus,  peregrinus,  Feada,  viator. 
Si  quia  poeniteat,  miser,  omnis  causaque  mista> 
,  Si  denunciat  Ecclcsiae  quis>  judicat  ipsa. 


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r)EL  REGNO  DI  NAPOLI  L. XIX.  e AP.V.    i6i 

h  loro  ct)009oeii2a;  donde  conosoerà  ancora,  che  noa 
TI  è  fÌD^ .  air  usarpazìone ,  da  poi  che  una  volta  li  lU 
miti  della  ragione  sono  superati  ed  oltrepassati. 

Tutte  queste  intraprese  della  Gidstizia  ecclesiasti- 
ca ,  oon  meno  presso  di'  noi ,  durante  il  Regno  degli 
uingioini^  elle  in  Francia  durarono  lungamente,  ma  da 
poi  i  Franzesi  valendosi  di  rimedi  forti  ed  efficaci, 
ruppero  le  catene;  e  per  T Ordinanza  del  iS^g  fu- 
rono molto  ben  riseòate,  la  quale  rimise  la  loro  giu- 
stizia al  giusto  punto  ideila  ragione,  lasciando  sola- 
mente alla  Chiesa  Iti  conoscenza  '  de' Sacramenti  tra 
tnite  le  persone,  e  delle  sole  cause  personali  degli  Ec- 
clesiastici (a);  che  fu  in  effetto  ritornare  alF  antica  di- 
stinzione delle  due  potenze,  lasciandosi  le  persone  e 
le  cose,  spirituali  alla  Giustizia  ecclesiastica,  é  le  tem- 
porali alla  temporale.  Nel  nostro  Reame  gli  Spa- 
gnuoK  cominciarono  a  risecar  gli  abusi,  ma  non  ri- 
duasero  la  loro  Giustizia  al^gitìsto  punto,  come  si  fece 
in  Francia;  perchè  gli  Spagnuoliy  come  saviamente  fa 
osservato  da  Pietro  di  Marca  Arcivescovo  di  Parigi, 
e  da  noi  si  farà  vedere,  quando  ci  toccherà  ragionare 
dA  ler  governo j  vollero  medicar  la  ferita  giurisdizióne 
regia  con  impiastri  ed  unguenti,  non  già  col  fuoco 
e  col  ferro,  come  si  era  fatto'  in  Francia.         .  . 

IV   Trihùnale  delV  Inquisizione. 

.  Per  meglio  stabilir .  la'  Monarchia  ^  fu  in  que6|p  se- 
colo introdotto  in  Roma  il  Tribunale  dell'Inquisizio- 
ne. Innocenzio  III,  come  si  è  veduto  nel  decimoquinto 
libro  di  quest'Istoria,  non  avea  agi' Inquisitori  eretto 

(a)  Loys.  loc.  cit. 


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,6a  STORIA  CIVILE 

Tribunale  alcuno;  ed  il  nostro  Imperador  Federico  II 
né  meno  presso  di  noi  Y  eresse ,  ma  a'  Magistrati  or- 
dinari commise  la  coodani^zione  degli  Eretici ,  i  quali 
insieme  co' Prelati  delle  Chiese  da  lui  destinati,  ai 
quali  s'  apparteneva  la  conoscenza  del  diritto ,  dove- 
vano invigilare  per  estirpargli.  Ma  morto  Tlmperador 
Federico,  essendo  le  cose  di  Germania  in  confusione^ 
e  r  Italia  in  un  Interregpo,  che  durò  a3  anni,  lono- 
cenzio  IT  rim^inendo  qoa^i  arbitro  in  Lombardia,  ed 
in  alcune  altre  parti  d'Italia,  e  vedendo  ili  gran  pro- 
gresso ,  che  gli  Eretici  aveano  fatto  nelle  turbazioni 
passate,  applicò  T  animo  all' estirpazione  di  qtielli;- e 
considerate  T  opere,  che  per  T  addietro  aveano  fatte  in 
questo  servigio  i  Frati  di  S.  Francesco,  ebbe  per*  unico 
rimedio  '  il  valersi  di  loro ,  adoperandogli  ^  non  come 
prima,  solo  a  predicare,  o  coogregare  iCrocesigruHi^ 
ma  con  dare  ad  essi  autorità  stabile,  ed  erger  loro 
un  fermo  Tribunale,  il  quale  d'altra  cosa  non  avesse 
cura. 

Ma  a  ciò  due  cose  s'  opponevano:  V  una,  come  si 
potesse  senza  confusione  smembrar  le  cause  d'eresia 
dal  Foro  episcopale,  che  le  avea  sempre  .giudicate,  » 
costituir  un  Ufficio  proprio  per  esse  soie:  i!  altra  come 
si  potesse  escludere  il  Magistrato  secolare,  al  giudicio 
del  qualo  era  commesso  il  punir  gli  Eretici,  per  l'an- 
tiche leggi  imperiali ,  e  per  T  ultime  dell' Imperador 
Federico  II  ed  ancora  per  li  propri  statuti,  che  cia- 
acunii  città  era  stata  costretta  ordinare,  pei:  non  lasciar 
jprecipitare  il  governo  in  que'gran  tumulti.  Al  primo 
inconveniente  trovò  il  Pontefice  temperamento,  con  er- 
ger un  Tribunale  composto  dell'  Inquisitore  e  del  Ye* 
scovo,  nel  quale  però  l'Inquisitore  fosse  non  solo  il 
principale,  ma  il  tutto,  ed  il  Vescovo  vi  avesse  poco 


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DEL  REGNO  DI  NAPOLI  L.XIX.  GAP.  V.  i63 
più  »  che  il  nome.  Per  dar  aache  qualche  apparenza 
d'autorità  al  Magistrato. secolare,  gli  concesse  d'asse- 
gnar li  Ministri  alF  Inquisizione,  ma  ad  elezione  de« 
gP  Inquisitori  medesimi:  di  mandare  coir  Inquisitore, 
quando  andasse  per  lo  Contado,  uno  de'  suoi  Assessori, 
ma  ad  elezione  dell'  Inquisitore  stesso:  di  applicare  un 
terzo  delle  confiscazioni  al  Comune;  ed  altre  cose  tali, 
che  in  apparenza  facevano  il  Magistrato  compagno  del- 
r  Inquisitore,  ma  in  sostanza  servo.  Rimaneva  di  pro- 
veder il  danaro  per  le  spese ,  che  si  sarebbero  fatte 
nel  custodire  le  prigioni,  ed  alimentar  gì' imprigionati; 
laonde  si  ordinò^  che  le  Comunità  le  pagassero,  e  cosi 
fu  risoluto,  essendo  il  Papa  in  Brescia  Tanno   13 5 1. 

Furono  per  tanto  deputati  li  Frati  di  S.  Domenico 
Inquisitori  in  Lombardia,  Romagna  e  Marca  Trivisa- 
nsi^  li  quali  adempiendo  al  lor  ufficio  con  molto  ri- 
gore, cagionarono  in  Lombardia  qualche  tumulto:  per- 
ciocché avendo  nel  seguente  anno  Innocenzio  deputato 
Inquisitore  di  Milano  Fr.  Pietro  da  Verona  deirOr** 
dine  de' Predicatori,  (*)  costui  per  estirpar  da  quella 
città  alcuni  infettati  d'eresia,  che  si  facevano  chiamar 
Credenti^  non  trascurava  diligenza  per  punirgli,  onde 
alcuni  incarcerava  (  sono  parole  del  Pausa  (a)  )  oJ 
altri .  dava  bando ,  e  gli  ostinati ,  in  halia  della  Corte 
secolare  faceva  con  V  ultimo  supplicio  del  fuoco  puni- 
re; ed  avea  già  fatto  molte  esecuzioni^  ed  ordinato  di 
farne  delV  altre  dopo  Pasqua  di  Resurrezione;  di  che 
intimoriti  alcuni  principali  Milanesi,  dubitando  della 
lor  vita  per  li  processi,  che  avean  presentito  aver  loro 
fatti  fabbricare  T  Inquisitore,  si  congiurarono  insieme, 


(*)  Vedi  Apologia  Toro.  V.  parte  seconda  cap.  3.  {a)  Pausa 
ndla  Vita  d' Innocenzio  IV. 


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if4  STORIA  CIVILE 

e  risolvettero  di  prevenir  Y  Inquisitore  con    farlo  mc^ 
rire;  onde  accordati  gli  assassini,  questi  postisi  in  agua- 
to in  una  solitudine  fra    Milano  e  Como,  dove  all'In*  * 
quisitore  occorreva  passare,'  quando  lo  videro,  gli  cor* 
sero  subito  colle  spade  nude  addosso,  e  V  uccisero.  Di 
che  fattosene  in  Milano  gran,  rumore^  e  pre^o   de' de* 
linquenti  severo  castigo,  Innocenzio,  per  questo  mar- 
tirio sofferto,  volle  canonizzarlo  per  Santo,  siccome  <a 
prima  domenica  di  quaresima  del  seguente  anno  13  53 
con   molta    solennità  fu    celebrata   la    canonizzazione, 
ed  ascritto  nel  Catalogo    de' Santi   Pietro    Martire    da 
Verona,  Si  segnalarono  anche  in  co  tal  guisar  molti  al- 
tri Frati  di  quest'Ordine,  e  di  quello  ancora  de' Fra^i 
Minori^  i  quali  mandati  dal  Papa  nelle   parti   di  To- 
losa, molti  ne  furono  per  simili  esecuzioni  ammazzati. 
Ma  non  perciò  riputò  Innocenzio  di  rallentar  il  ri- 
gore, anzi  sette  mesi  da  poi  che  in  Brescia  avea  date 
le  leggi   per   questo   Tribunale ,   dirizzò   una    Bolla  a 
tutti  i  Rettori,  Consigli  e  Comunità  di  quelle  tre  pro- 
vince, prescrivendo  loro  XXXI  Capitoli,  che  dovessero 
osservare  per  lo  prospero  successo  del  nuovo  Tribuna- 
le, comandando,  che  li   Capitoli  fossero  registrati   fra 
gli  Statuti  del  Comune,  ed  osservati   inviolabilmente. 
Diede  poi  autorità  agl'Inquisitori  di  scomunicargli, -ed 
interdirgli,  se  non  gli  osservassero.  Non   si  distese  il 
Pontefice  per  allora  ad  introdurre  T  Inquisizione  negli 
altri  luoghi  d'Italia,  né  fuori  di  quella,  dicendo,  che 
le  tre  province  soprannomate  erano  piìi  sotto  gli  oc- 
chi suoi  e  più  amate  da  lui.  Ma  la  principal  cagióne 
era  ,  perchè  in  queste  egli   avea  grande   autorità,*  es- 
sendo senza  Principi,  e  facendo  ogni  città  governo  da 
ae  sola,  nel  quale  il  Pontefice  avea  anche  la  parte  sua^ 
poiché  aveva  loro  aderito  nell'  ultime  guerre.  Ma  con- 


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DEL  REGNO  DI  NAPOLI  L.XIX.  CAP.T.  16É; 
tuttociò  non  fu  facilmente  ricevuto  T  editto;  onde  Ales- 
sandro. IV  suo  successore^  sètte  anni  da  poi,  nel  1369 
fu  costretto  a  moderarlo  e  rinovarlo.  Comandò  tut- 
tala agl'Inquisitori,  che  con  le  censure  costringessero 
li  Reggenti  della  città  air  osservanza. 

Per  la  stessa,  cagione  Clemente  lY,  sei  unni  da  poi, 
cioè  nel  i265  lo  rinovò  i^el  medesimo  modo,  né  però 
fu  eseguito  per  tutto,  finché  quattro  altri  Pontefici 
auoi  >  successori  non  fossero  costretti  ad  usar  ogni  loro 
aforzo  pef  superar  le  difficoltà,  che  s'attraversavano 
nel  far  ricevere  il  Tribunale  in  qualche  luogo.  Nascer 
vano  le  difficoltà  da  due  capi:  Tuno  per  la  poco  di* 
screta  severità -de' Frati  Inquisitori,  e  per  T  estorsioni 
ed  altri  gravami:  F  altro,  perchè  le  Comunità  ricusa- 
vano di  somministrar  le  spese;  per  la  qual  cosa  ri- 
solsero di  deporre  la  pretensione,  che  le  spese  fossero 
fatte  dal  Pubblico;  e  per  dar  temperamento  el  rigore 
eccessivo  degli  Inquisitori,  diedero  qualche  partfe  di 
più  al  Vescovo,  il  che  fu  cagione,  che  con  minor  dif- 
ficoltà s' introducesse  V  Inquisizione  in  quelle  tre  prò** 
vince  di  Lombardia,  Marca  Trivisana  e  Romagna  e 
poi  in  Toscana  ancora,  e  passasse  in  Aragona  ed  in 
qualche  città  d'  Alemagna  e  di  Fraticia.  Ma  da  Fran* 
eia  e, da  Alemagna  presto  fu  levata,  essendo  alcuni 
degr  Inquisitori  stati  scacciati  da  que'  luoghi  per  li 
molti  rigori  ed  estorsioni,  e  per  mancamento  ancora 
de*  negozi.  Per  la  qual  cagione  si  ridussero  anche  a 
poco  numero  in  Aragona;  poiché  negli  altri  Regnidi 
Spagna  non  erano  penetrati. 

Nel  nostro  Reame  di  Puglia^  mentre  durp  il  Regno 
àe  Svevi^  non  fu  variato  il  modo  stabilito  dall' Impe- 
rador  Federico  di  procedere  contro  gli  Eretici»  Né» 
morto  Federico,  per  la  nimistà  e  continue  gueri^e  tra 


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i66  STORIA  CIVILE 

Corrado  e  Manfredi  'suoi  successori  con  Innocenzio 
e  con  gli  altri  seguenti  Pontefici,  fu  introdotta  novità 
alcuna.  Nelle  Corti  Generali  da  Federico  istituita  se 
ne  prèndeva  cura,  dove  i  Prelati  doveano  denunciar- 
gli, affinchè  il  Magistrato  vi  procedesse,  di  cui  era  il 
conoscer  del  fatto  e  la  condanna,  siccome  de' Prelati 
la  conoscenza  del  diritto.  Erano  non  da  Roma,  ma 
da' nostri  Prìncipi  destinati  i  Prelati  per  quest'Uffi- 
cio, i  quali  insieme  co' Giudici  regj,  quando  bisogna- 
va, scorrevano  le  province,  e  gF imputati  d'eresia,  se 
convinti  persistevano  ostinatamente  nell'errore,  erano 
fatti  morire;  se  davano  speranza  dì  ravvedimento,  era- 
no mandati  nel  Monastero  di  Monte  Cassino,  o  a  quello 
della  Cava,  dove  bì  tenevano  prigionieri,  insino  che 
dopo  aver  abjurato,  non  soddisfacessero  la  pena  a  loro 
imposta,  siccome  si  è  narrato  ne' precedenti  libri  di 
questa  Istoria. 

Ma  caduto  il  Regno  in  mano  degli  Angioini  ligii 
de' romani  Pontefici,  ancorché  non  si  fosse  introdotto 
presso  di  noi  Tribunal  fermo  d' Inquisizione  dipendente 
da  quello  di  Roma;  nulladimanco  di  volta  in  volta  i 
Pontefici  solevano  destinar  particolari  Commessari  In* 
quisitori  per  lo  più  Frati  Domenicani,  i  quali  scor- 
rendo per  le  nostre  province ,  col  favore  e  braccio 
del  Magistrato  secolare,  facevano  delle  esecuzioni.  E 
quantunque  queste  commessióni  non  potessero  eseguir- 
le senza  il  placito  regio;  nulladimanco  i  nostri  Prin* 
cipi  Angioini  per  la  soggezione,  che  portavano  a' ro- 
mani Pontefici,  non  solo  non  gF  impedivano,  ma  loro 
facevan  dai*e  da' Giudici  regj  ogni  ajuto  e  favore;  anzi 
sovente  comandavano,  che  dal  regio  Erario  loro  fos- 
sero somministrate  anche  le  spese*  Così  Carlo  I  d'An- 
giò    nell'anno   1369  ordinò  a' suoi  Ministri,   che  pa- 


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DEL  REGNO  DI  NAPOLI  L.XIX.  CAP.V.  167 

gasserò  a  Fr.  Giacomo  di  Civita  di  Chicti  Domenicano 
Inquisitore  dell*  eretica  pravità  nella  ptorincia  dì  Terra 
di  .Bari  e  di  Capitanata  costitnito  dalla  S.  romana 
Chiesa,  un.augustale  d'oro  il  dì  per  sue  spese  e  di 
un  suo  compagno,  d'un  Notajo  e  tre  altre  persone  e 
loro  cavalli  (a);  e  nel  medesimo  anno  ordinò  al  Go- 
yernadore  della  provincia  di  Terra  di  Lavoro,  che  a 
richiesta  di  Fr.  Trojano  Inquisitote  coslituitò  dalla  Sede 
Appostolica  gli  prestasse  ogni  ajuto ,  eonsiglio  e  fa- 
vore, quando,  e  dove  vorrà,  e  che  eseguisse  subito  le 
sue  sentenze^  che  darà  contro  gli  Eretici,  loro  beni  e 
fautori  (6).  Parimente  scrisse  a'regj  Secreti  di  Puglia, 
che  somministrassero  3o  oncie  d*oro  sk  Fr,  Simone  di 
Benevento  dell'Ordine  de' Frati  Predicatori  Inquisitore 
dell' eretica  pravità,  costituito  dalla  Chiesa  romana  nel 
Grastizierato  di  Basilicata  e.  di  Terra  d'Otranto  (0), 
Il  medesimo  Re  nel  13  71  ordinò  a' suoi  Ministri,  che 
pagassero  a  Fr,  Matteo  di  Castellamare  Inquisitore 
nelle  province  di  Calabria,  un  auguslale  il  dì  per  le 
sue  spese  e  d'un  altro  Frate  suo  compagno,  un  No- 
taio e  tre  altre  persone  {d):  e  nell'anno  12^8  mandò 
più  lettere  a'  Giustizieri  '  d'  Abruzzo  e  Capitani  del- 
l'Aquila  ed*  a  tutti  i  suoi  Ufficiali,  che  a  F.  Barto- 
tomnieo  dell'Aquila  dell'Ordine  de' Predicatori  Inqui- 
sitor  deputato  dalla  Sede  Appostolica  nel  Regno  di 
Sicilia,  somministrassero  ogni  ajuto  e  favore,  con  tor- 

{a)  La  carta  (  oltre  il  Chioc.  )  è  rapportata  dal  Toppi  nel 
fine  della  sua  Biblioteca  Napol.  cavata  dalF  Archivio  della 
Zecca  in  Regist.  R.  Caroli  I.  sign.  ann.  1269.  ^'^'  ^'  ^^^'  '^9 
a  ter.  (b)  Chioc.  M.  S.  tom.  8,  (e)  Toppi  I.  o.  ex  Registr 
Caroli  I.  {d)  Chioc.  M.  S.  tom.  8. 


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i68  STORIA  CIVILE 

tneatare  i  rei,  seco&do  loro  dirà  detto  Inquisitore  ed 

eseguire  quanto  da  colui  verrebbe  imposto  (a). 

Carlo  li  suo  figliuolo  nell'anno  i3o  5  ordino  a  tutù 
i  Baroni  e  suoi  Ufficiali,  che  dassero  ogni  ajuto  a 
Frate  Angelo  di  frani  Inquisitore  destinato  dalla  Sede 
Appostolica,  guardando  e  riduoendo  nelle  carceri  le 
persone  macchiate  d'eresie,  secondo  vorrà  detto  In- 
quisitore: che  non  molestino  i  suoi  uomini  per  portar 
armi:  eseguano  le  sentenze  ch'agli  d^rà  contro  le  per- 
sone degli  Eretici  e  loro  beni;  e  che  agl'Inquisitori  di 
tali  delitti,  e  per  gli  Ufficiali  reg)  d^ ordine  del  detto 
Inquisitore  parcerati,  si  tormentino  a  richiesta  di  detto 
Frate  Angelo,,  acciò  possa  cavare  la  verità  da  essi  e 
dagli  altri  (£);  e  neir  anno  iSoy  incaricò  a  Frate  Bo- 
herto  di  S.  F^alentino  Inquisitore  del  Regno  di  Sici- 
lia, che  con  tutto  rigore  procedesse  contro  TArcipretc 
di  BuclanicOj,  che  corretto  prima  dal  suo  predecessore 
Benedetto,  era  ricaduto  ne)  primi  errori,  sostenendo 
falsa  dottrina  sopra  alcujfii  articoli  della  fede  Catto- 
lica (e). 

L' istesso  Re  negli  anni  129$  e  1807  scrisse,  a  Fi- 
lippo suo  .figliuolo  Principe  d' Acaja  e  di  Taranto,  che 
Papa  Clemente  Y  avea  scritto  un  Breve  a  Roberto- 
Duca  di  Calabria  suo  figliuolo  e  Vicario  generale  dei 
Regno  avvisandogli,  che  il  Re  di  Francia  avea  usata 
grandissima  diligenza  in  carcerare ^  per  le  loro  eresie 
in  un  tempo  stesso  tutti  li  Cavalieri  Templari  che  e- 
rano  in  Francia,  e  sequestrati  i  levo  beni;  e   per  ciò 

(a)  \jù  carte  sono  rapportate  dal  Toppi  1.  cit  ex  Reg. 
Car.  I.  sign.  ano.  1278  lit.  C.  fol.  181  a  ter.  (b)  Chioc.  1.  e, 
(e)  La  carta  è  rapportata  dal  Toppi  loc.  cit.  ex  Reg,  Car.  H 
sign.  ann.    i3o7  lit.  B.  fol.  217  a  ter. 


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DEL  REGNO  DI  NAPOLI  L. XIX.  GAP. V*  iGg 

lo  richiederà,  cHe  con  con8Ì|>;Iio  secreto  de'i$uoi  SaTii^ 
facease  carcerare  càntamente^è  segretamente  in  un  tempo 
tutti  i  Gavalieri' Templari,  ch'erano  ne'doininii,  e  quelli 
carcerati,  tenergli  in- buona  custodia  ad  ogni  ordine 
della  Camera  appostolica,  siccome  facesse  sequestrare 
tutti  i  loro  beni,  e  li  tenesse  in  nome  della  medesima: 
onde  Re  Carlo  ordina  al  tletto  suo  figliuolo,,  cl^e  ese^ 
gua  detto -Rre ve  nei  Principato  d'Acaja,  siccome  il 
fDuca  di  Calabria  avrebbe  fatto  net  Regno. 

Il  Re  Roberto  suo  successore  nell'anno  .i334  pari«* 
incute  ordinò  a^suoi  Ufficiali,  che  dessero. ogni  aiuto 
agli  Inquifiitòri  destinati  da  Rqma;  ed  il  medesimo  stile 
fu  tenuto  dalla  Regina  Giovanna  I  nel  1 343,  dal  Re 
Lodovico  n^l  i352  e  dal  Re  Carlo  III  nel  i38i,  il 
.quale  donò  a  Tommaso  Matincola  suo  famigliare  i 
beni  confiscati  del  Vescovo  di  Trivento  eretico,  come 
aderente  all'  Antipapa^  e  dichiarata  ribelle  di  Santa 
Chiesa  e  dfA  detto  Re  {a). 

Non  a'  soli  Frati  Predicatori  etH.  commesso  quest'uf- 
ficio, vi  ebbero  anche  patte  i  Frati  Minori^  i  quali^di' 
ehiarati  dal  Papa  M^uùiVott' scorrevano  pure  le  nostre 
province.  Era  in.  questo  secolo  il  numero  degli  Ere* 
tic!  cresciuto  in  immenso  di  varie  Sette  e  di  vari  isti- 
tuti. Alcuni,-  lasciate  le  loro  religioni,  affettando  di  vi* 
vere  da  Solitari  senza  Règola  e  senza  Superiori,  e 
di  menar  una  più  austera  vita,  si  ritiravano  nelle  jso- 
litudini,  e  scorrevano  in  varie  parti,  contaminando  dei 
loro  errori  molta  gente.  Si  facevano  chiamare  Frati- 
celli^ Bizocchiy  Begardiy  ovvero  Beghini;  e  presso  di 
noi  erano  moltiplicati  asfeai  ne'  Monti  d'Abruzzo  e 'nella 
vicina  Marca  d'Ancona.  Erano  usciti  dall'Ordine  dei 

{a)  Chioc.  1.  e. 


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170  STORIA  CITIIiE 

Frati  miiiori,  ed  nvevano  quasi  tutti  gli  stessi  priucipii 
e  la  stessa  condotta ;. ed  i  loro  Gonfalonieri  furono  due 
Frati  minori,  Pietro  di  lUaoerata  e  Pietro  di  Foro- 
Sempronio^  i  quali  prima  ottennero  da  PiTpa  Celestino  Y 
amatore  della  ritiratezza,  la  permissione  di  vivere  da 
Romiti  e  di  seguire  litteralmente  la  Regola  di  8.  Fran- 
cesco; ina  da  poi  Onorio  lYv  Nicccdcr  lY  e -Bonifa- 
cio YIII  condennarono'il  loro  istituto;  e  i  loro  suo- 
cessori  Clemente  Y~  e  Giovanni  XXII  gli  suppressero 
affatto,  (a).  Era  commessa  per  là  più  la  cura  d*  estir- 
pargli a'Frati  Minori;  onde  si  legge,  che  Bonifacio  YIII 
commise  a  Fr.  Marco  di  Chieti  dtlY Ordine  de' Minori 
Inquisitore  nella  provincia  di  S.  Francesco,  che  si 
portasse  ne*  Monti  d'i^&ruszo  e  nella  Marca  d'Ancona^ 
ed  implorando,  se  sarà-  di  bisogno,  ^il  braccio  secolare, 
proceda  contro  di  loro  e  loro  fautori,  con  infòarcerar- 
gli,  scovrirgli,  e  manifestargli  dai  nascondigli,  o^e  so- 
levan  appiattarsi,  mandargli  in  Roma  prigioni  e  con 
molto  rigore  farne  inquisizione  (&).  Eglino  ai  ritirarono 
perciò  in  Sicilia,  cominciando  a  declamare  contro  i 
P)*6lati  e  contro  la  Chiesa  romana  trattandola  dà  Ba- 
bilonia. 

In  cotal  modo  fu,  durante  il  Regno  degli  Angioni^ 
praticata  V  Inquisizione  presso  di  noi;  ma  quanto  poi 
questo  Reame  si  fosse  distinto  sopra  ogni  altro,  per 
aver  tolto  da  se  ogni  vestigio  d'  Inquisizione,  sarà 
darrato  al  suo  luogo  ne' seguenti  libri  di  quest'Istoria. 

{a)  Y.  WadiDgo  tom.  a.  Ann.  Min.  ann.  1291.  (b)  La  Bolla 
di  Bonifacio  YIII  è  rapportata  dal  Toppi  loc.  cit.  ex.  Reg. 
Yatic  num.  179. 


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DEL  REGNO  PI  NAPOtI  L.XIX.  CAP.V,  171 
y.  Monati  e  heni  temporaìL     . 

'  Ta  di*  mestieri  da  ota  innanzi  conginngere  i  Monaci 
co' beni  temporali,  perchè  siccoine  altrove  fu  notato, 
che  chi  dice  Religione^  dice  Ricchtizze;  cosi  ora  esiien* 
dosi  per  gli  acquisti  de*  beni  temporali  rendati  pia 
«sperti  i  Monaci,  che  tutti  gli  altri  Ecclesiastici,  tan^ 
tochè  non  yi  è  proporzióne  fra  gli  acquisti,  che.  in  que-' 
sti  tempi  si  fbcero  dalle  Chiese,  e  quelli  fatti  da^mo* 
nasteri,  bisogna  ora  dire,  H/uove  Religioni y  nuove  Rie^ 
chezze;  e  tanto  più  la  c'osa  fu  portentosa,  che  non 
ostante,  the  fossero  fondate  sopra  la  mendicità,  ónde 
furon  chiamate  Mendicanti^  contuttociò  ^li  acquisti  e 
le  ricchezze  furon  immense.    ' 

Le  Religioni,  che  surserò.  in  questo  secolo,  riusci'- 
rono  come  tante  Legioni,  per  conservare/ e  mantenere 
la  Monarchia  romana;  ed  i  Pontefici  noQ  furon  mai 
dagli  altri  cotanto  ben  serviti,  quanto  da  costoro,  ì 
quaK  militayano  con  ogni  fervore  per  sostenere  la  loro 
autoritè,  e  per  agevolare  le  loro  intraprese;  onde  eoa 
ragione  di  tanti  privilegi  e  prerogative  gli  cumularono. 
Coloro,  che  sopra  tutti  in  questo  secolo  si  distinsero, 
furono  *i  Frati  Predicatori  ed  i  Frati  Minori.  De  primi, 
come  si  è  veduto,  fu  autore  Domenico  Gusmano,  il 
quale  avendo  gran  tempo  predicato  contro  gli  Alhigesi^ 
prese  nel!'  anno  i ai 5  la  resoluzione  con  nove  suoi 
compagni  di  fondar  un  Ordine  di  Frati  Predicatori ^ 
con  istituto  d'impiegar  le  loro  prediche  per  estirpar 
r  eresie  a  quel  tempo  moltiplicate  in  Italia  ed  in  Fran- 
cia. Portòssi  Domenico  a  Papa  Innocenzio  III  per  ot- 
tener Ja  conferma  del  suo  Ojrdine;  ma  il  Papa  differì 
r  accordarla;  e  lui  mortO|  ciò  che  non  fece  Innocen- 


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,172  STORIA  CIVILE 

zio,  ottennero  da  Onorio  III  suo  successore,  il  quale 
neir  anno  1316  lo  confei'mò  ed  acconsentì,  che  quei 
Religiosi  lasciassero  V  abito  di  Canonici  Regolari  da 
essi  sino  a  quel  tempo  portato,  e  prendessero  un  abito 
particolare,  e  osservassero  nuove  costituzionii  Si  pro- 
pagarono in  Francia,  ed  in  Parigi  sin  dall'anno  laiy 
ebbero  un  Monastero  nella  Gasa  di  S.  Jacopo  i,  onde 
furono  denominati  JacophiL  Appena  eran  sorti,  che 
vennero  nel  nostro  Reame  affondarvi  de^  Conventi,  ed 
ebbero  gradito  ricevimento;  poiché  avendo,  i  Pata- 
reni  ed  altri  Eretici,  cominciato  a  contaminar  Napoli 
e  r  altre  province,  Gregorio  IX  gli  speda  a  Napoli, 
scrivendo  néir  anno  i33i  .a  Pietro  di  .Sorrento  Arci- 
vescovo di  questa  Città,  che  benignamente 'gli  ricevesse 
e  che  gV  iéapiegasse  quivi  a  predicare,  ed  insinuasse 
a' Popoli  a  se  commessi  di  ricevere'  dalle  loro  bocche 
il  seme  della  parola  di  Dio,  per  emersi  costoro  ci>* 
tanto  segnalati  in  estirpar  T  eresie,  e  con  voto  di  vo- 
lontai^ia  .povertà  essersi  in  tutto  applicati  ad  evange- 
lizzare la  sua  parola  (a).  Incaricò  anche,  che  gli  prov- 
vedesse in  Napoli  di  una  comoda  abitazione,  affinchè 
quivi  agiatamente  permanendo,  potessero  attendere  eoa 
maggior  forfore  alla  carica  loro  imposta.  Scrisse  con- 
simile epistola  al  popolo  Napoletano^  incaricandogli, 
che  benignamente  e  devotamente  gli  ricevessero,  affin- 
che  potessero  felicemente  pervenire  al  lor  fine^  e  rac- 
cogliere il  frutto  delle  lorjo  fatiche,  cioè  la  salute  delle 

(a)  Epìst.  Greg.  apud  Chioccar,  de  Archiep.  Neap.  fol,  r55. 
Dìleclos  lilios  Fratres  Or.dims  Pra edica torum  velut  novos  vi- 
nitores  suae  vineae  suscìtavit,  qui  non  sua,  sed  quae  sunt 
Jesu  quaer^ntes,  tam  cootra  profligaudas  haereses,  quam  pe- 
stes  alias  mortiferas  extirpaudas  se  dedicarunt  evangelizationt 
verbi  Dei  in  abjectione  voluntariae  paupertatis. 


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DEL  REGNO  DI  NAPOLI  L.XIX-  CAP.Y.  173 
anime  (à)\  ed  insinaò  ^nche    al   Cardinal   Castiglione 
suo  Legato  »ppostolico  nel  Regno  di   Sicilia,  che  in- 
caricasse air  Arcivescovo  il  loro   ricevimento;    per  la 
qual   cosa  ricevute  costui  le  lettere  del  Papa,  e  Fin- 
Situazioni  del  Legato,  gli  ricévè  con  onore  e  gli  diede 
per  abitazione  là  Chiesa  di  S.  Arcangelo  ad  Morfisam 
con  un  gran  Monastero   ivi   congiunto,   ch'era   allora 
abitato  da'  Monaci  Benedettini^  i  quali  tenendo  in  Na-; 
pòli  altri  grandi  Monasteri,   cedettero 'quello   a'  Frati 
Predicatori y  resignandolo   in    mano    dell'  Arcivescovo 
con  tutte  le  case  ed  orti  adiacénlL  L'Arcivescovo  in- 
sieme col  Capitolo  ne  inviasti  Fra  Tommaso,  sotto  la 
cui  guida  erano  que' Frati  qui  venuti^  e  ne  gli  spedi 
Bolla,  che  si  legge*  presso  Chioccarello  (b)  sotto  la  data 
de'  3i   novembre  laSi.  Ampliarono    poi   que'  Frati  il 
lor    Conrento  (che_ mutato  l'antico   nome  Io  chiama- 
ron  poi  dai  nome  del  loro    Institutore   S,  Domenico) 
con  altri  orti  contigui,  per  concessione  avutane  da  Gio* 
vanni  Francacelo,  a  cui  Fistesso  Arcivescovo  nell'anno 
1^46  prestò  l'assenso..  Nell'anno   1269  in  tempo  del- 
l' Arcivescovo  Aiglerio  per  nuovi  altri  acquisti  l'ingran- 
direno  assai  più  (e),  e  vie  maggiori  ingrandimenti  ri- 
cevè da  poi  nel   Regno  degli  Angioini  sotto  Carlo  II 
d\Angiò,  cotanto  appassionafo  di  questa  Religione,  di 
che  è  da  vedersi  Eugenio  n^lla  sua  Napoli  Sacra. 

Non  furono  soddisfatti  i  |le  di  questa  Gasa  d'aver 
in  Napoli  un  solo  Conventi^  di  Padri  Predicatori,  ma 
ristesso  Carlo  II  nell'anno  1274  ^^  eostrusse  un 
altro  in  onor  di  S.  Pietro  Martire  da  Verona,  ohe  co- 
me si  disse  nelFanao  1^53  era  stato  da  Iquocenzio  IV 
ascritto  nel  catalogo  de'  Santi.  Lo  dotò  di  ricchi  pò- 

(a)  Epist.  Gregor*  apud  Chioccar.  Ice.  cit.  {b)  Chioc.  lo(% 
cit.   (e)  Chioe.  d«  .Archiep.  Neap.  ann*  1269. 


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174  STORIA  CIVILE 

derì,  di  molte  case  e  di  altre  rendUe.  L'esempio  del 
Principe  mosse  altri  Nobili  aapoletam  ad  arricchirlo^ 
come  fecero  Errico  Macedonio,  Bernardo  Caracciolo» 
Giacomo  Capano,  ed  altri  rammentati  dall' Elogenio. 

Parimente  nella  città  d'  Aversa  edificò  una  -Gliiesa, 
e  Convento  a'  Frati  di  quest'  Ordine  sotto-  il  titolo  di 
S.  Luigia  che  fu  suo  zio,  al  quale  concedè  ampissimi 
privilegi,  e  dotò  di  molte  rendite  (a). 

Anche  alle  ^iiore  Domenicane^  che  vivevano  nel 
medesimo  istituto,  fu  data  in  questa  città  comoda  abi- 
tazione. Ad  istanza  di  Maria^  moglie  di*  Carlo  II,  Papa 
Bonifacio  YIII  ordinò  all'  Arcivescovo  di  Capua,  che 
alle  Monache  Domenicane  si  dasse  per  loro  abitaa^ioiie 
il  Monastero  di  S.*  Pietro  3  Castello  situato  dentro  il 
castello  deir  Uovo ,  con  tutte  le  case  e  possessioni  ; 
e  che  i  Monaci  Benedettini^  che  tenevano'  quel  luogo 
ai  fossero  trasferiti  ne' monasteri  di  S.  Severino,  dì 
S.  Maria^  a  Cappella  e  di  S.  Sebastiaoo.  Ma  essendo 
stato  da  poi  il  monastero  di  S.  Pietro  saccheggiato 
da'  Catalani,  e  con  gran  vergogna  cacciate  le  Mona*» 
che,  il  Pontefice  Mdrtino  Y  scrisse  all'  Abate  di  S.  Se- 
verino, che  desse  loro  ricetto  nel  Monastero  di  S.  Se- 
hastianoy  che  allora  era  atato  dato  in  Commenda  al 
Vescovo  di  Melito^  e  non  v'  abitava  die  un  sol  Mo« 
naco  Benedettino,  con  ceder  loro  tiitte  le  sue  posses- 
aioni  ed  entrate,  siccome  fu  eseguito;  ond'è  che  per 
4etta  unione  ritenga  questo  monastero  ancora  oggi  il 
nome  ài  S.  Pie^troe  S,  Sebastiano  (b). 

Non  meno  in  Napoli,  che  in  tutto  il  Regno  molti- 
plicaronsi  i  Frati  Predicatori  in  questo  secolo  per  lo 

(a)  Summont.  bist.  toin.  3  lib.  3  cap.  3.  {h)  Y.  Engeii. 
Kap.  Sac.  di  S.  Sebastiano. 


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) 

DEL  REGNO  DI  NAPOLI  L.XIX.  CAP.V.  17? 
favore ,  che  tenevano  non  meno  de  Re  angioini ,  che 
de' romani  Pontefici.  Innocenzio  lY  dirizzò  nel  m^S 
nn  diploma  agli  Arcivescovi  di  Napoli,  di  Salerno  e 
di  Bari,  col  quale  loro  si  dava  facoltà,  che  in  nome 
della  Sede  Appostolica,  strettamente  ordinassero  a  tutti 
gli  Arcivescovi,  Abati,  Priori  ed  a  tutti  i  Prelati 
delle  Chiese  de^  Regni  di  Sicilia,  che  non  inferissero 
a'  Frati  Predicatori  gravame  alcuno,  e  proibissero  ai 
loro  sudditi  di  dar  loro  molestia  ;  e  che  proccurassero 
di  fare  ai  medesimi  mantenere  tutte  1'  esenzioni  ed 
immunità  concedutegli  dalla  Sede  Appostolica  (a).  Creb- 
bero perciò  col  favóre  de' Pontefici  e  de' nostri  Prin- 
cipi della  casa  d'  Angiò  in  maggior  numero  di  quello, 
che  avean  fatto  nel' Regno  di  Federico  e  degli  altri 
Svevi  suol  successori;  e  molto  splendore  recò  loro  Tom- 
maso d' Aquino i  soprannomato  il  Dottor  Angelico^  uscito 
dalla  famiglia  de' Conti  d'Aquino,  il  quale  mal  gr4do 
di  Bua  madre  entrò'  nell'  Ordine  de'  Frati  Predicatori 
neir  anno  124^,  ed  avendo  in  Parigi  presa  la  laurea 
dottorale  di  teologia  Tanno  i a Sy,  ritornò  in  Italia  Tan- 
no ia63  e  dopo  avervi  insegnata  la  Scolastica  nella 
maggior  parte  delle  Università,  si  fermò  in  fine  in 
Napoli  a  legget  teologia,  ricusando  T  Arcivescovado  di 
questa  città,  offertogli  da  Clemente  lY. 

Non  disugual  successo  ebbero  in  questo.  Regno  i 
Frati  Minori,  Essi  riconoscono  per  loro  istitutore  San 
Francesco  d' Assisi^  e  s arsero  ne' medesimi  tempi,  che 
i  Valdesi  \  ma  ebbero  disuguale  fortuna.  Pietro  Valdo 
Mercatante  ricco  di  liione  prese  anch'  ^li  risoluzione 
di  menar  una  vita    tutta   appostolica-,  ed  avendo  di* 

(a)  Il  diploma  si  legge  nelF  Archivio  di  S.  DomeDÌco,  se» 
condo  che  rapporta  Ghiocc.  de  Archiep.  Néap.  fol.  iSg. 


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176  STORIA  CIVILE 

stribuite  tutte  le  sue  facoltà  a'  pareri ,  fece  professione 
d' una  povertà  volontaria.  Molti  seguirono  il  di  lui  esem- 
pio, onde  verso  Tanno  11 60  si  formò  una  setta  d'uo* 
Tnini,  che  si  denominavano  i  Poveri  di  Lione ,  a  ca<« 
gion  della  povertà  da  essi  professata.  Si  dissero  an- 
Cora  Lìanistiy  dal  nome  della  città  di  Lione;  ed  anche 
Insahhatati^  a  cagione  di  certa  sorta  di  scarpe,  ovvero 
sandali  da  essi  portati,  tagliati  per  far  apparire  i  loro  , 
piedi  ignudi  ad  imitazion  degli  Appostoli.  Ma  avean 
da  poi  preteso,  senza  missione  del  Yescovo  e  della 
Sede  Appostolica,  di  poter  eziandio  predicare  la  lor 
riforma,  ed  insegnare  la  loì*  dottrina  per  se  soli,  an« 
cerche  laici.  Ebbero  per  ciò'  opposizione  dai  Cleto  di 
Lione;  onde  cominciarono  per  queste  contese  a  biasi* 
mar  la  vita  rilasciata  degli  Ecclesiastici ,  e  declamare 
contro  gli  abusi,  che  vedevano  introdotti  .nella  Chiesa. 
Fu  loro  imposto  silenzio;  ma  persistendo,  Lucio  IH 
gli  scomunicò,  e  '  gli  condennò  insieme  con  .gli'  altri 
Eretici.  Le  scomuniche  maggiormente  Y  irritarono  e  gli 
coniermarono  nella  loro  ostinazione,  tanto  che  scosserà 
il  giogo  deir  ubbidienza  e  ^adderò  in  molti  errori. 
La  loro  setta-  si  sparse  in  pia  luoghi  onde  obbligarono 
Pietro  Re  d'Aragona  nell'anno  1 197  di  esiliargli  dai 
suoi  Stati,  e  Berengario  Arcivescovo  di  Narbona  di 
condeniiargli.  Essi  non  potendo  resistere  -a  tanto  im- 
peto, risolvettero  di  ricorrere  a  Róma,  e  dimandare 
dalla  Sede  Appostoìica  la  conferma  del  loro  istituto. 
DalF  altra  parte  Francesco  pur  egli  mercatante  d'As- 
sisi, lasciato  Pietro  Bernardone  suo  padre  a*  mercatan- 
tare,  abbandonò  ogni  cura  mondana,  ed  applicatosi  ad 
una  vita  tutta  appostolica  fece  anch' egli  professiono 
d'  una  povertà  volontaria,  e  coir  esemplarità  de^  syoi 
innocenti  costumi ,  avendo  tirati  molti  compagni  a  vi* 


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DEL  REGNO  DI  NAPOLI  L.XIX.  CAP.V.  177 
vere  in  mendicità,  e  ad  impiegarsi  ad  opere  di  carità,' 
accresceva  il  numero  più  con  gli  esempii  d'una  vita 
innocente  ed  austera ,  che  colle  prediche  e  sermoni: 
non  molto  impacciandosi  perciò,  né  declamando  coib- 
tro  i  corrotti  coatumi  degli  Ecclesiastici,  né  entran- 
dogli in  pensiero  senza  missione  d'andar  predicando 
ed  insegnando  la  sua  riforma;  ma  fu  tutto  ubbidiente 
alla  Sede  Appostolica;  onde  avendo  distesa  neir  anno 
1208  una  nuova  Regola  per  li  suoi  Frati,  la  volle  pre- 
sentare al  Papa  per  riceverne  Y  approvazione  e  la  con- 
ferma. Papa  Innocenzio  III  siccome  rigettò  l'Istituto 
de'  Valdesi^  avendolo  conosciuto  pieno  di  superstizioni 
e  d'errori,  Q  posi  nell'anno  laio  approvò  la  Regola 
dì  Francesco  e  1'  Ordine  de*  Frati  Minori^  i  quali  an- 
corché non  lasciassero  di  andare  a  piedi  ignudi,  e 
di  far  voto  d'una  povertà,  non  aveano  quelle  tante 
superstizioni  àe  Valdesi.  Si  stabilirono  perciò  in  più 
luoghi  d'  Italia,  ed  in  Francia,  sin  da  questo  tempo 
ebbero  ancora  nell'anno  12 16  ricetto  in  Parigi.  Ono- 
rio III  nell'anno  1228  confermò  il  loro  Istituto,  e  di 
molte  prerogative  e  privilegii  decorò  questo  nascente 
Ordine* 

Nel  nostro  Reame ,  ancorché  sotto  Federico  II  e 
gli  altri  Re  Svevi  suoi  successori  (  per  essersene  valsi 
i  romani  Pontefici ,  nelle  contese  òhe  ebbero  con  que* 
Principi,  per  messi  e  portatori  di  lettere  )  avessero  so- 
vente patiti  disagi,  prigionie  e  morti;  nuUadimanco 
non  lasciarono  i  nostri  Regnicoli  di  ricevergli  in  que- 
sti medesimi  tempi  che  sursero;  e  narrasi,  che  San 
Francesco  istesso,  loro  Istitutore,  avesse  in  molti  luo- 
ghi del  Regno  fondati  egli  di  sue  proprie  mani  alcuni 

(*)  Vedi   Apologia  tom.  5  par.  a  pag.  3. 

12 


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178  STORIA  CIVILE 

piccoli  Conventi,  come  in  Bari,  in  Montella,  in  Terra 
d' Agropoli  ed  altrove  (a).  Napoli  ancora  vanta  d'aver 
avuto  un  Convento  fondato  dall'  iatesso  Istitutore  Fran- 
cesco nel  luogo  ov'è  ora  il  Castel  Nuovo,  che  lasciò 
sotto  la  cura  d'Agostino  d'Assisi  suo  discepolo,  il  qual 
da  poi  da  Carlo  I  d'Angiò.  fu  trasferito  in  S.  Maria 
la  Nuova  (h).  In  breve  siccome  non  vi  è  quasi  città, 
che  non  vanti  aver  avuto  S.  Pietro  per  fondatore  della 
tua  Chiesa,  così  non  vi  è  luogo,  dove  si  vegga  qual- 
che Convento  antico  di  quest'  Ordine ,  che  non  vanti  • 
esserne  slato  egli  il  fondatore.  Che  che  ne  sia,  non 
può  mettersi  in  dubbio ,  che  nella  città  di  Napoli,  fin 
dal  suo  nascimento 9  ebbe  quest'Ordine  ricevimento; 
poiché  Giovanni  Vescovo  d'Aversa,  possedendo  in  Na- 
poli  la  Chiesa  di  S.  Lorenzo  con  alcune  case  e  giar- 
dini, appartenenti  alla  Cattedral*  Chiesa  d'Aversa,  col 
consenso  del  suo  Capitolo  neiranno  i234  la  concedè 
a  Fr.  Niccolò  di  Terracina  Frate  Minore  di  S.  Fran- 
cesco provinciale  della  provincia  di  Napoli,  in  nome 
di  sua  Religione,  con  condizione  di  dovervi  quivi  di- 
morare i  Frati  del  suo  Ordine,  la  qual  concessióne 
fu  da  poi  nell'anno  i33o  confermata  da  Papa  Gre- 
gorio IX  (e). 

Ma  nei  Regno  degli  Angioini  fu  quest'Ordine  non 
meno  dai  romani  Pontefici,  che  da'  Prìncipi  di  questa 
casa  molto  più  favorito  e  careggiato.  Carlo  I  allargò 
1  antica  Chiesa  di  San  Lorenzo  col  palagio  ivi  con- 
giunto, dove  solevansi  unire   la  Nobiltà  ed  il  Popolo 

(a)  V.  Guadjgno  negli  Annali  cl«' Minori,  ann.  1322.  Beatil. 
Ist.  di  Bari  lib.  2.  Capec.  hist.  Neap.  L  3.  (b)  V.  Engenio 
Napoli  sacra,  di  Santa  Maria  delia  Nova*  {e)  Engen.  Nap. 
aacra ,  di  San  Lorenzo. 


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DEL  REGNO  DI  NAPOLI  L.  XIX.  GAP.  V.   179 

e  vi  fabbricò  una  magnifica  Chiesa ,  la  quale  fu  ri- 
dotta a  perfezione  da  Carlo  II  suo  figliuolo,  il  quale 
neiranno  i3oa  fra  T altre  rendite,  che  le  assegnò,  le 
diede  la  terza  parte  della  gabella  del  ferro.  L*esempio 
del  Principe  trasse  gli  altri  ad  arricchirla:  il  nostro 
famoso  Giureconsulto  Bartolommeo  di  Capua  G.  Pro- 
tonotario  del  Regno  a  sue  spese  fecevi  fare  tutta  la 
facciata  della  porta  maggiore,  ed  Aurelio  Pignone  del 
Seggio  di  Montagna  la  piccola  porta  (a).  L' istesso 
Re  Carlo  I  volendo  in  Napoli  fabbricar  Castel  Nuoto 
nel  luogo  òy'era  quel  convento  de'  Frati  Minori  poco 
anzi  rammentato,  trasferì  da  quivi  i  Frati,  e  loro  co- 
strusse  neiranno  i*a68  una  nuova  Chiesa  e  Convento 
nella  piazza  chiamata  Alvina  dov'era  T  antico  palagio 
e  Fortezza  della  città,  la  quale  anticamente  fu  detta 
S,  Maria  de  Palatio^  e  poi  prese  il  nome  di  S.  Maria 
la  Nuova  y  il  qual  oggi  ancor  ritiene  {b). 

•Il  Re  Roberto  gli  favori  non  meno  che  il  padre  e 
Favo,  e  non  pur  careggiò  i  Fraiiy  che  le  Suore  di 
quest'  Ordine.  Siccome  le  Suore  Benedettine  ebbero 
per  Fondatrice  Scolastica  sorella  di  S.  Benedetto,  così 
le  Suore  Francescane  ebbero  per  Institutrice  Chiara 
d'Assisi  discepola  di  S.  Francesco.  Costei  ricevendo 
con  ardore  gV insegnamenti  del  suo  maestro,  si  rese 
Monaca  e  si  chiuse  in  Assisi  nel  Monastero  di  San 
Damiano ,  dove  stese  una  Regola  del  suo  Ordine,  per- 
chè dovesse  servire  per  le  donne.  Mentr'era  grave- 
mente inferma,  convenendo  al  Pontefice  Innocenzio  IV 
d'uscir  da  Perugia,  e  portarsi  in  Assisi,  fu  visitata 
dal  Pupa ,  il  quale  le  confermò  la  Règola  del  suo  Or- 


.  (a)  Engen.  Joc.  cit.  (b)  Engen,    NapL    sacra  ,   di    S.  Maria 
della  Nova. 


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t8o  STORIA  CIVILE 

dine;  e  poco  da  poi  trapassata ,  per  la  fama  de*  suoi 
incorrotti  costumi,  fu  dal  successor  d' Innocenzio  Ales^ 
Sandro  IV  ascritta  al  numero  de' Beati  (a).  Furono 
pereiò  edificati  in  memoria  di  lei  molti  Monasteri  di 
donne  del  suo  Ordine  in  ItaUa  \  ma  in  Napoli  il  Re 
Roberto  a'  conforti  della  Regina  Sancia  sua  moglie 
nel  i3io  ne  costrusse  uno,  che  più  magnifico  edam- 
pio  non  si  vide  eilora  in  tutta  Italia,  dove  la  Regina 
v'  introdusse  le  Monache  delia  Regola  di  S.  Chiara , 
da  cui  prese  il  nome^  che  ancor  oggi  ritiene.  Fu  d*im« 
mense  rendite  e  possessioni  dotato ,  e  tì  edificò  a 
canto  un  Convento  de"^  Frati  del  medesimo  Ordine, 
perchè  le  servissero  ne*  sacri  uffizi.  La  Chiesa  fu 
costrutta  con  tal  magnificenza,  che  fu  reputata  non 
inferiore  a  tutti  gli  altri  superbi  e  ricchi  temp)  d'I- 
talia^ e  di  vantaggio  la  dichiarò  Roberto  sua  Cap* 
pella  Begia  (b).  Presso  di  questa  Chiesa  lo  stesso 
Re  nel  »33o  collocò  in  una  casa  alcune  Monache  di- 
spensiere delle  limosihe  regie;  ma  venuta  in  Napoli 
nelFanno  iSaS  dalla  città  d'Assisi  una  Monaca  del 
Terzo  Ordine  di  S.  Francesco,  infiammò  di  maniera 
le  dispensiere,  che  di  comun  volere  fabbricarono  di 
quella  casa^  una  Chiesa  con  monastero^  che  si  vide  su- 
bito pieno  di  nobili  donne  napoletane  tirate  dallo  spi- 
rito ad  ivi*  rinserrarsi ,  e  fra  V  altr^  fuvvi  Maddalena 
dk  Costanzo,  la  quale  benché  avesse  preso  T abito  nel 
Monastero  di  8.  Chiara,  il  Re  Roberto  aveala  quivi 
mandata  a  presiedere  alla  distribuzione  delle  limosina 
regie.  Dura  ancora  nella  sua  floridezza  questo  mona- 
stero, ed  è  nominato   dal   nome   del   lor  Santo  Fran- 


{a)  Pausa  in  Yita  Inn.  IV.   (^)  V.  Engen»  Nap.  sacra,    di 
S.  Cliiara. 


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DEL  REGNO  DI  NAPOLI  L.XIX.  CAP.V.  i8i 

Cesco  (a).  Un  altro  monasteri,  fu  eretto  e  dotato  dalla 
Hegina  Saneia  in- Napoli  nel  i324  P^i*  '^  donne  di 
mondo  convertite,  le  quali  vissero  sotto  la  Regola 
di  S.  Francesco ,  e  presero .  di  lor  cura  i  Frati  Mi- 
nori; la  lor  Chiesa  perciò  prese  il  nome  della  Madda- 
lena ,  che  ancor  oggi  il  riiiene;  ma  non  già  il  mede- 
simo istituto  ;  perchè  ora  ^i  ricevono  donne  nobili  e 
vergini,  e  portano  T abito  di  S.  Agostino,  e  militano 
isotto  la  Regola  di  quel  Santo,  se  ben  ritengano  an- 
cora la  corda  di  S.  Francesco  (h). . 

Non  meno  in  Napoli,  che  in  tutte  le  province  del 
Regno  si  videro  multipUcati  i  monasteri  de'  Frati  Mi- 
nori e  delle  Suore  Francescane^  u  cpl  correr  degli 
anni  il  di  lor  numero  arrivò  a  tale,  che  non  vi  è 
città  o  castello  ancorché  picciolo ,  che  non  abbia  i 
•snoi.. 

Surse  in  questo  secolo  un  altro  .Ordine  di  Mendi- 
canti^ detto  de'  Romiti  di  S.  Agostino.  Innocen2io  lY 
fu  il  primo  che  formò  il  disegno  di  unire  diversi  Or- 
dini di  Romiti  in  un  solo;  ma  questo  disegno  fn  poi 
eseguito  dal  suo  successore  Alessandro  IV,  il  qoala 
trattigli  da*  lor  Romitaggi  per  iatabilirgli  nelle  città,  e 
per  impiegargli  nelle  funzioni  dell' ecclesiastica  Gerar*- 
chia,  ne  fece  una  soia  Congregazione  sotto  un  sol  Ge- 
nerale, e  lor  diede  il  nome  de'  Romiti  di  S.  Agostino. 

Non  al  pari  de'  due  precedepti  Ordini  si  multipli- 
careno  presso  di  noi  gli  Agostiniani.  Napoli  in  tempo 
degli  Angioini  ne  noverava  alcuni ,  come  quello  di 
S,  Agostino^  che  secondo  l'opinion  più  fondata,  si 
crede  aver  avuti  i  suoi  principii  non  prima  di  Carlo  I 

(a)  Engen.  Nap.  sacra^  di  S.  France«co.  (ò)  Engeu.  Nap, 
sacra,  dplla  Maddalena, 


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182  STORIA  CIVILE 

d'Angiò  ampliato  poi,  e  con  maggiori  rendite  arric- 
chito da  Carlo  II  suo  figliuolo  e  dagli  altri  Principi 
di  quella  Casa  (a)  :  V  altro  di  S.  Giovanni  a  Carbo- 
nara fvL  fondato  da  Frate  Giovanni  d'Alessandria  e 
Dionigi  del  Borgo  per  munificenza  di  Gualtieri  Ga-^ 
leota,  it  quale  negli  anni*  iSSg  e  i343  donò  a'  me- 
deéimi  per  la  costruzione  di  quella  Chiesa  e, Mona- 
stero tutte  le  sue  case  e  giardini ,  che  e*  possedeva 
in  quel  luogo;  cotanto  poi  ingrandito  e  ristorato  daL 
Re  Ladislao  {b).  Ye  ne  furono  altri,  ma  nelle  provìnce 
del  Regno  se  he  stabilirono  moltissimi. 

Parimente  Y  Ordine  de'  Carmelitani  non  fece  a  que- 
sti tempi  fra  noi  grandi  progressi.  Era*  stato  istituito 
intorno  Tanno  1131  da  alcuni  Romiti  del  Monte  Car- 
melo, adunati  dal  Patriarca  d'Antiochia  per  mettergli 
in  comunità.  Da  poi  ricevette  neir  anno  1209  una  Re« 
gola  da  Alberto  Patriarca  di  Gerusalemme,  che  fu  ap- 
provata in  questo  secolo  da  Onorio  III.  Cotesti  Re- 
ligiosi passarono  in  Occidente  Tanno  id38^  e  si  sta- 
bilirono in  Congregazione  e  vi  si  diffusero;  essendo 
atata  poi  la  lor  Regola  spiegata  e  mitigata  da  Inno- 
cenzio  IV  Tanno  is45.  Diffusi  per  Italia  pervennero 
in  Napoli;  ove  presso  ih  porta  del  Mercato  vi  fabbri- 
carono una  piccola  Chiesa  con  Convento.  Venuta  po-> 
scia  la  dolente  Regina  Margherita  madre  del  Re  Cor- 
radino  a  Napoli  con  molta  quantità  di  gioje.  e  di 
moneta  per  ricuperar  dalle  mani  del  Re  Carlo  il  suo 
unico  figliuolo,  trovatolo  morto  e  seppellito  nella  piccola 
Cappella  della  Croce,  lo  fece  quindi  torre;  e  fattogli 
celebrare  convenienti  esequie,  diede  per  T  anima  dì  co- 

{a)  V.  Eogen.  Nap.    sacra ,  di  S.  Agostino,  {b)  Engen.  Nap. 
sac.  di  S.  Gio.  a  Carhoocira. 


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DEL  REGNO  DI  NAPOLI  L.XIX.  CAP.V.  i83 

lai  a  questa  Chiesa  tutto  il  tesoro,  che  ayea  seco  por* 
tato.  Re  Carlo  per  mostrar  di  concorrere  alla  pietà 
della  Regina,  nell'anno  1360  loro  concedè  per  am^ 
pliazion  della  Chiesa  un  luogo  del  suo  demanio,  che 
era  quivi  vicino,  chiamato  Morricino^  e  crebbe  di  poi 
in  quella  grandezza,  che  ora  si  vede.  Altri  ne  furoa 
da  poi  fondati  in  Napoli  e  nel  Regno  ma  non  tanti, 
finché  potessero  uguagliare  il  numero  de'  Predicatori 
e  de'  Frati  Minori, 

Oltre  di  queste  quattro  Religioni  di  Mendicanti ^  y 
«ursero  in  questo  secolo  molte  altre  Congregazioni  re* 
ligipse,  che  tratto  tratto  furono  anche  introdotte  nei 
nostro  Regno.  L'Ordine  dtWa,  Trinità  della  Redenzion 
degli  Schiavi y  fondato  nell'anno  11 98  da  Giovanni  di 
Mata  di  Provenza ,  Dottore  di  Parigi ,  e  da  Felice 
Anacoreta  di  Yalois'  ed  approvato  due  anni  da  poi  da 
Innocenzio  IIL  L'ordine  de'  Silvestrini^ì  quali  segui* 
tavano  la  Regola  di  S.  Benedetto,  fondato  Tanno  ia3i 
in  Monte  Pano  da  Silvestro  Guzolino^  che  di  Cano- 
nico si  fece  Romito,  e  trasse  nella  sua  Comunità  non 
poche  persone.  L'ordine  di  S,  Maria  della  Mercede ^ 
fondato  da  S,  Pietro  Nolasco  in  Barcellona  Tanno  132ÌÌ 
sorto  T autorità  di  Jacopo  I  Re  d'Aragona,  per  con* 
siglio.  di  Raimondo  di  Pennaforte^  ed  approvato  da 
Gregorio  IX  Tanno  laSS.  L'Ordine  de  Serviti^  il  quale 
cominciò  in  Firenze  Tanno  i234  approvato  da  Ales- 
sandro. IV  e  da  Benedetto  XL  L'Ordine  de'  Cruci- 
feri^  ch'ora  quasi  spento,  fu  restituito  da  Innocen- 
zio IV  tal  che  in  Italia  si  rifecero  alcuni  Monasterj 
di  nuovo;  ed  in  Napoli  da  poi  nel  i334  dalla  fami-  , 
glia  Carmignana  e  Vespola  fu  conceduta  a  Fr.  Ma- 
rino di  S.  Severino  in  nome  d'essi  Crucifcri  la  Chiesa 
di  S.  Maria  delle  Vergini  collo  Spedale  che  ivi  eravi| 


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i84  STORIA  CITILE 

fuor  delia  porta  di  S.  Gennaro,  perchè  quivi  dimo- 
rassero, e  servissero  gì' infermi  di  quello  Spedale  {a). 
Ebbe  ancora,  in  questo  secolo  orìgine  l'Ordine  de'  Ce- 
ìestiniy  istituito  nel  nostro  Regno  da  Pietro  di  Mar- 
rone d'Isernia,  che  menando  una  vita  tutta  austera 
e  solitaria  alle  falde  della  MajeUa,  die  .fuori  la  sua 
Regola,  e  fu  tanto  caro  al  Re  Carlo  I  d'Angiò,  ch^ 
prese  sotto  la  sua  protezioire  tutti  i  suoi  Monasteri  ; 
e  la  stta  santità  rilusse  tanto ,  che  dall'  Eremo  ascese 
«1  Pontificato  sotto  il  nome  di  Celestino  F.  Pose  il 
suo  Ordine  sotto  la  Regola  di  S.  Benedetto,  e  F  ap- 
provò fatto  Papa  con  una  sua  Bolla  Tanno  1394^  che 
fu  poi  nel  1397  confermato  da  Bonifacio  YIII  e  da 
Benedetto  XI' nelF  anno  i3o4-  Non  pur  in  Abruzzo^ 
ma  anche  in  Napoli  ebbero  ì  Celestini  ricetto  nciri- 
stesso  tempo  del  loro  nascimento!  Fu  loro  data  una 
Chiesa  vicino  la  porta  chiamata  anticamente  di  Donu 
Orso,  edificata-,  e  di  ricchi  poderi  dotata  da  Gio- 
vanni Pipino  da  Barletta  M.  Razionale  della  G.  Corte 
e  Conte  di  Minervino,  e  da  Carlo  II  tenuto  in  som- 
mo  pregio,  per  aver  col  suo  valore  discacciati  i  Sa- 
raceni di  Lucerà  di  Puglia;  e  di  lui  in  questa  Chiesa 
se  ne  addita  ancora  il  sepolcro.  Fu  chiamata  pereiò 
di  S.  Pietro  a  Ma/ella;  la  quale  minata  dal  tempo, 
fu  neir  anno  1 5o8  rifatta  ed  ampliata  da  Colanello  Im- 
perato M.  Portolano  di  Barletta  (b). 

Molti  altri  Ordini  sursero  in.  questo  secolo,,  il  nu- 
mero de'  quali  era  divenuto  sì  grande,  che  Gregorio  X 
fu  costretto  nel  Concilio  general  di  Lione  tenuto  Tan- 
no 1274  sospendere  lo  stabilirne  de' nuovi,   e  vietare 

(fl)  Engén.  Nap.  sac,  di  S.  M.  delle  Vergini,  (b)  Engen. 
2>^ap.   sac. ,  di  S.  Pietro  a  Majella. 


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DEL  REGNO  DI  NAPOLI  L.XIX.  CAP.V.  183 

tutti  quelli,  chVrano  stati  stabiliti  dopo  il  quarto  Con- 
cilio geniale  Lateratiense,  senz'essere  stati  approvati 
dalla  Sede  Àppostoliea.  E  d'un  medesimo  Ordine,  ed 
in  una  stessa  città  se  ne  andavan  costruendo  tanti 
Conventi,  che  fu  uopo  a  più  Pontefici  per  varie  loro 
Bolle  (a)  stabilire  una  convenevol  dìstanea  di  passi, 
perchè  Tuno  non  togliesse  il  concorso  allaltro^  di  cui 
eran  tanto  gelosi. 

Ma  di  tanti  Ordini  i  più  distinti  furono  i  Mendi- 
canti^ e  fra  questi  i  più  favoriti  da'  romeni  Pontefici, 
furono  i  Frati  Predicatori^  fa  ì  Frati  Minori.  Essi 
s' erano  sopra  gli  altri  segnalati  per  le  spedizioni  con- 
tro gli  Eretici  di  questi  tempii  ed  aveano  fatti  altri 
importanti  servigi  alla  Chiesa  di  Roma;  perciò  furono 
sopra  gli  altri  innalzati  ed  arricchiti  di  molti  privilegi 
e  prerogative.  Innocenzip  JII  ed  Onorio  III  concedè 
loro  esenzione  dagli  Ordinarli,  e  vollero  che  fossero 
sottoposti  immediatamente  alla  Sede  Appostolica.  Cosi 
essi  come  gli  altri  Religiosi  Mendicanti^  appoggiati 
sopra  i  privilegi  lor  conceduti  da'  Pontefici  pretesero 
aver  diritto  di  confessare  e  di  dar  T  assoluzione  a'  Fe- 
deli senza  dimandarne  la  permissione,  non  solo  a'  Cu- 
rati, ma  né  pure  a  Vescovi  :  di.  che  nacquero  tanti 
ostinati  litigi  col  Clero  aecolar^,  che  per  comporgli 
s' affaticarono  più  Papi. 

Ma  se  mai  meritarono  questi  novelli  Religiosi  il  fa- 
vore de'  Pontefici  romani ,  per  niun'  altra  cagione  era 
loro  certamente  più  ben  dovuto,  quanto  che  per  essi 
fu  stabilita  la  nuova  teologia  Scolastica^  la  quale  avendo 
fatto  andare  in  disuso  la  Dogmatica  j  e  posto  in  di- 
menticanza  lo    studio  dell'antichità  e   dell'  istoria   ce- 

[a)  Si  leggono  nel  Bullàrio  Boinano.  ^^ 


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i86  STORIA  CIVILE 

clesiastica,  tenne  occapati  gF  ingegni  a  quistioni  astratte 
ed  inutili,  e  a  dispute  piene  dt  tanta  oscurità,  di  tanti 
contrasti  e  di  tanti  raggiri,  che  non  tì  furono  se  non 
coloro,  ch^ erano  versati  in  queir  arte,  che  potessero 
comprenderne  qualche  cosa* 

Questa  sorta  di  stud})  allontanandogli  dàiranticbilà 
e  dall'istoria,  piacquero  a  Roma,  e  tanto  più,  quanto 
che  la  potestà  de'  Pontefici  romani  era  innalzata  in 
infinito,  non  prescrivendo  loro  né  termine,  né  confi- 
ne :  e  ciò  anche  bisognava  farlo  per  proprio  interesse-, 
perchè  avendo  essi  ottenute  da  Roma  ampissime  esen* 
zioni  e  grandi  privilegi,  perchè  loro  valessero  e  po- 
tessero contro  i  Vescovi  e  Curati  sostenergli^  bisognava 
ingrandire  la  potestà  del  concedente.  Quindi  i  .Deere- 
tisti  da  una  parte,  e  gli  Scolastici  dall'altra  cospira- 
rono insieme  a  stabilir  meglio  la  Monarchia  romana  » 
e  far  riputare  il  Papa  supremo  Prìncipe  non  meno 
dello  spirituale,  che  del  temporale. 

Ma  parrà  cosa  stupenda  come  queste  Religioni  fon- 
date nella  mendicità,  onde  presero  il  nome  di  Mendi- 
canti^ e  che  nacquero  per  lo  rilasciamento  della  di- 
sciplina ed  osservanza  regolare,  cagionato  dalle  tante 
ricchezze,  avessero  potuto  in  progresso  di  tempo  far 
tanti  acquisti,  sicché  per  quest' istesso  bisognasse  pen- 
sare ad  altra  Riformay  la  quale  nemmeno  ha  bastato? 
Ma  a  chi  considererà  la  condizione  degli  uomini  sem- 
pre appassionali  alle  novità  ed  a'  modi  tenuti  da  Ro- 
ma, a  cui  ha  importato  sempre  stendere  i  di  loro 
acquisti,  perchè  finalmente  a  lei  veniva  a  ricadere  la  ' 
maggior  parte,  non  parrà  cosa  strana  o  maravigliosa. 
I  Monaci  vecchi  avendo  già  perduto  il  credito  di  san- 
tità, ed  il  fervore  della  milìzia  sacra  essendosi  intepi- 
dito; li  Frati  Mendicanti,  per  quest'  istesso  che   pro- 


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DEL  REGNO  DI  NAPOLI  L.XIX.  CARY.    187 

fessavano  povertà,  essendosi  accreditati >  invogliavano 
maggiormente  i  Fedeli  ad  arriechirgli;  imperocché  essi 
s'erano  spogliati  affatto  della  facoltà  d'acquistar  sta- 
hil'ìy  e  fatto  voto  di  vivere  di  sole  oblazioni  ed  elemo- 
sine, ed  ancorché  trovassero  molte  persone  loro  divote^ 
ch'erano  prontissime  di  dar  loro  stabilì  e  poderi,  con«- 
tuttociò  per  lo  loro  istituto  don  potendo  ricevergli» 
rifiutavano  T  offerte.  A  ciò  fii  subito  da  Roma  tro- 
vata una  buona  via;  perché  fu  conceduto  dalla  Sede 
Appostolica  privilegio  a'  Frati  Mendicanti  di  poter 
acquistare  stabili,  con  tutto  che  per  voto  ed  islitu- 
jcione  loro  era  proibito.  Per  cotal  ritrovamento,  su- 
bito i  Monasteri  de'  Mendicanti  d'Italia  e  di  Spagna 
e  d'  altri  Regni  fecero  in  breve  tempo  grandi  acquisti 
di  stabili.  In  Francia  solo  i  Franzesi  s'opposero  a  tal 
novità,  dicendo,  che  siccome,  erano  entrati  nel  loro 
Regno  con  quell'istituto  di  povertà,  cosi  conveniva, 
che  con  quella  perseverassero. 

Ma  nel  nostro  Regno,  particolarmente  a  tempo  degli 
Angioini  ligi  de' romani  Pontefici^  i  loro  acquisti  fu- 
rono notabili,  massimamente  ne' tempi  dello  scisma, 
quando  tutto  il  rimanente  dell'Ordine  Chettcale  era  in 
poco  credito,  ed  all'incontro  tutto  il  credito  era  dei 
Monaci.  Assaggiate  eh'  essi  ebbero  le  comodità  ed 
agi,  che  lor  recavan  le  ricchezze,  non  trovaron  poi 
né  modo  né  misura,  sACCome  é  difficile  trovarlo  quando 
si  oltrepassano  i  confini  dei  giusto  per  estraricchire. 
Per  vie  più  accrescerle  e  tirar  la  divozione  de'  Popoli 
inventarono  molte  particolari  divozioni,  l  Domenicani 
istituirono  quella  del  Rosario.  I  Francescani  l'altra 
del  Cordone,  Gli  Agostiniani  quella  della  Coreggia,  e 
gii  Carmelitani  l'altra  degli  Ahitìnis  e  poi  al  di  loro 
esempio  non  mancarono  l'altra   Religioni    d'inventar 


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i88  STORIA  CIVILE 

anch'esse  le  proprie  insegne,  chi  Scapularii^  e  chi 
altre  particolari  divozioni;  e  per  lo  profitto  che  se  ne 
traeva,  diedero  in  eccessi,  ciascuno  innalzando  T effi- 
cacia ed  il  valore  della  propria  insegna,  con  depres- 
sione deir  altre.  I  Domenicani  esageravano  il  valor 
del  Rosario,  I  Francescani  a*  loro  Cordonati  quello 
del  Cordone,  Gli  Agostiniani  a'  suoi  Careggiati  il  pro- 
prio della  Coreggia  ;  ed  i  Carmelitani  il  loro  degli  Abi- 
tini; e  con  questo  trassero  non  men  gli  uomini,  che 
le  donne  a  rosariarsiy  a  cordonarsi^  a  careggiarsi^  e 
ad  abiti niarsi^  e  ad  ergere  proprie  Cappelle,  Congre- 
gazioni ,  favorite  sempre  da'  romani  Pontefici  con  in- 
dulgenze plenarie,  e  remissione  di  tutti  i  peccati  ed 
altre  prerogative. 

(  Non  dee  alcun  credere ,  che  questi  vocaboli  di 
Careggiati  y  Rosariati^  Cordonatiy  ec.  siansi  posti  per 
derisione;  poiché  così  si  nominano  nelle  Bolle  stesse 
Papali^  da'  Canonisti  e  da'  Curiali  stessi  di  Roma.  Il 
Cardinal  de  Luca^  ch'essendo  Avvocato  in  Roma, 
ebbe  sovente  a  difender  liti  istituite  in  quella  Curia 
o  dagli  uni  o  dagli  altri  in  più  suoi  discorsi,  non  si  vale 
di  altri  termini.  Leggasi  il  Tamburino  (a),  ove  rapporta 
più  Bolle  di  sommi  Pontefici,  che  così  gli  chiamano,  con 
darne  di  più  la  derivazione,  scrivendo,  che  le  donne 
si  chiamano  Corrigiatae  ec.  quatenus  Carrigiam  S.  Au- 
gustini  cingunt,  E  lo  stesso  ripete  nella  disp.  7  qu.  io 
D.  4*  Il  Cardin.  de  Luca  (b)  fa  un  Catalogo  di  questi 
nomi,  li  quali  non  altronde  derivano,  che  da  simi- 
gliami cagioni:  Quae  appellari  solent  (  ci  dice  )  6^071- 
versae^   Tertiariae^  Bigninae^  Corpìgariae  ^  MantellataCy 

(a)  Tambur.  de  Jure  Abbatissnram    disp.  7  q-  3  num.  4» 
{b)  L)e  Luca  de  Begularibus  part.  i  disc.  So  n.  4* 


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DEL  REGNO  DI  NAPOLI  L.XIX.CAP.V.  189 

Pinzoncheriae ^  Caiionissae^  Jesuitissae  ce,  ciobhè  so-*, 
vente  questo  medesimo  Scrittore  rapporta  in  altri  suoi 
discorsi ,  particolarmente  de  Jurisdictionej  part.  i  disc. 
45  n.   3  ed  altrove). 

E  fu  tanta  sopra  ciò  la  loro  emulazione,  che  cia- 
scuno guardava  Faltro  perchè  non  si  valesse  della  sua 
insegna  per  tirar  a  se  la  gente  ^  ovvero  sMngegnasse 
d' introdurne  un'altra  simile  a  quella:  e  sovente  ven- 
nero a  contrasti^  e  ad  istituirne  liti  in  Roma,  insino 
se  un  Francescano  tentava  alF  Immagine  di  nostra  Si- 
gnora farvi  dal  dipintore  aggiungerci  un  Rosario  de- 
notante nuova  istituzione,  sicché  per  quella  si  sce- 
masse il  concorso  a'  Domenicani,  e  s' accrescesse  agli 
emoli  Francescani.  Fr a f  Ambrogio  Salvio  da  Bagnuclo 
deir  Ordine  de' Predicatori  famoso  Oratore  e  poi  Ve- 
scovo di  Nardo,  cotanto  per  le  sue  prediche  grato 
airimperador  Carlo  V  ed  al  Pontefice  Pio  V,  ed  a 
CUI  ì  Napoletani  eressero  una  statua  di  marmo  nella 
Chiesa  dello  Spirito  Santo,  che  fu  ^io  del  Dottor 
Alessandro  Salvio^  celebre  ancor  egli  per  lettere  e  per 
lo  famoso  trattato,  che  compilò  del  Giuoco  degli  Scac- 
chi; perchè  il  rosariaré  fosse  solo  de*  Domenicani ,  e 
non  potessero  altri  arrogarsi  tal  facoltà,  ebhe  nell'an- 
no 1569  ricofso  al  PoQtefice  Pio  Y  da  cui  ottenne 
Bolla  (a),  per  la  quale  fu  interdetto  e  vietato  ^  tutti 
gli  altri  d'  ergere  Cappelle  e  Confraterie  del  Rosario  ; 
e  che  tal  facoltà  fosse  solamente  del  Generale  dell'  Or- 
dine di  S.  Domenico,  o  suoi  Deputati,  concedendola 
ancora  per  ispezial  favore  al  medesimo  Frat'  Am- 
brogio. 

Per  r  occasione  di  queste  particolari  divozioni  per 

(a)  Bulla  Pii  Y-  86  in  Bullario»  tom.  3. 


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19^  STORIA  CIVILE 

maggiormente  ìnfiiimitiar  i  devoti ,  e' ìnventaYano  molti 
finti  miracoli,  ed  oltre  di  predicargli  a  voce^  se  ne 
compilaTano  libri  ,  tantoché,  siccome  avvertì  Bacon  di 
Verulamio  (a)  per  questa  parte  resero  1  istoria  eccle- 
siastica così  impura,  che  vi  bisogna  ora  molta  oriti-' 
ca,  e  gran  travaglio  per  separare  i  finti  miracoli  dalli 
veri.  Gotali.  furono  i  principj  di  questi  nuovi  acquieti 
in  questo  dcGÌmuterzo  secolo,  i  quali  riccveitero  molto 
maggiore  ai^umento  per  tutto  il  tempo,  che  fra  noi 
regnarono  gli  Angioini^  gli  avvenimenti  de*  quali  bir- 
sognerà  riportare  ne'  seguenti  libri  di  quest*  Istoria- 

(a)  Baco  de  Aiig.  Scicu. 


TIMI    ])(L    LIBRO    I)ECIM01f0V(W 


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I 


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STORIA   CIVILE 


DEL 


REGNO  DI   NAPOLI 


LIBRO  VENTESIMO 


I 


Franzcsi  al  tempo  della  decUnazioòe  dell'  Impe- 
rio romano  abitarono  quel  paese  volto  al  Settentrione 
che  tra  la  Baviera  e  la  Sassonia,  si  distende  lungo  le 
rive  del  Reno,  e  che  sino  al  presente  Franconia  dal 
nome  di  questa  Nazione  yien  nominato.  Indebolito  llm^ 
perio,  e  cessato  lo  spavento  della  potenza  romana,  in- 
vitati dall'esempio  degli  altri  Popoli  vicini,  delibera- 
rono colla  forza  dell' armi  procacciarsi  più  cotpodo 
vivere,  e  più  larga  e  fertile  abitiizione  ;  ed  avendo  eletto 
in  loro  Re  Faramondo^  uno  de' figliuoli  di  Marcomi- 
roj  sotto  la  di  lui  condotta,  passato  il  Reno,  si  vol- 
sero alla  conquista  delle  Gallio  intorno  1'  anno  /ng 
lasciando  il  dominio  della  Franconia  al  vecchio  Prin- 
cipe Marcomiro.  Clodione  figliuolo  di  Faramondo  di- 
stese le  conquiste ,  e  cominciò  a  signoreggiar  quella 
parte  delle  Gallie,  che  più  propinqua  alle  rive  del 
Reno,  Belgica  vien  nomata.  Successe  a  costui  Mero- 
veo^  non  si  sa  di  certo,  se  fratello,  o  se  figliuolo  di 
lui,  ma  prossimo   al   sicuro  e    òongiunto  di  sangue^ 


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192  STORIA  CIVILE 

il  quale  con  valorosi  progressi ,  dilatandosi  nelle  parti 
della  Gullla  Celtica  propagò  T  imperio  de'  suoi  Fran- 
zesi  sino  alla  città  di  Parigi ,  e  giudicando  aver  acqui- 
stato tanto,  che  bastasse  a  mantenere  i  suoi  Popoli, 
ed  a  formare  un  giusto,  e  moderato  governo  fermò  il 
corso  delle  sue  conquiste,  e  rivoltato  T  animo  a'. pen- 
sieri di  pace^  abbracciò  ambedue  le  Nazioni  sotto  al 
medesimo  nome,  e  con  leggi  moderate  e  con  pacifica 
governo,  fondò  e  stabilì  nel  possesso  delle  Gallie  il 
Regno  de'  Franzesi. 

Continuò  con  ordinata  successione  la ,  discendenza 
Reale  in  questa  prima  stirpe  de'  Merovingi^  insino  al- 
l' ultimo  Re  Chilperico,  Pipino  la  trasferì  poi  nella  fa« 
miglia  de'  Carolini;  ma  èssendo  questa  seconda  stirpe 
mancata^  Ugo  Càpeto  diede  principio  alla  terza,  detta 
perciò  de  Capeti:  di  cui  nacquero  i  Filippi  ed  i  Luigi 
per  cui  la  Francia  fu  gran  tempo  governata;  ed  es- 
seìidost  continuata  per,  molti  secoli  la  saccessione  in 
questa  stirpe,  pervenne  a  questi  tempi  alla  possessione 
del  Regno  il  Re  Lodovico  iZ  di  questa,  nome,  quegli 
il  quale  per  l'innocenza  della  vita  a  per  T integrità 
de' costumi,  meritò  .dopo  la  morte  d'essere  ascritto 
tra'  Santi.  Fratello  di  questo  Re  fu  Carlo  Conte  di 
Provenza  e  d'Angiò^  il  quale  per  le  cagioni  nel  pre- 
cedente libro  esposte,  essendo  stato  invitato  alla  con*- 
quista  del  Regno,  ccmi  prosperi  avvenimenti  ridusse 
r  impresa  a  compiuto  fine,  e  stabilì  in  Puglia  ed  in 
Sicilia  il  Regno  degli  Angioini. 

Nel  narrare  i  snccessi  ed  i  cambiamenti  del  goyer- 
no  civile  accaduti  nel  Regno  loro,  serbarò,  contro  il 
costume  degli  altri  Scrittori,  maggior  brevità  di  quel 
che  sinora  abbiam  fatto.  La  dovizia  istessa  e  copia 
grande  delle  loro  memorie  lasciateci,  e '1  veder  la  mag« 


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DEL  REGNO  DI  NAPOLI  LIB.XX.  ìgS 
gior  parte  d' esse  notate  in  molti  Tolumi  di  nostri  Au* 
tori,  e  d'  essersene  tessute  piii  istorie^  mi  fa  sperare, 
che  rese  ormai  note  e  divulgate,  di  non  mi  si  dovere 
imputare  a  difetto  l'averle  in  parte  taciute.  De*  fatti 
degli  Jn gioirti,  e  degli  altri  seguenti  He,  molto  da'no- 
Stri  si  trova  scritto:  de' predecessori  nostri  Principi 
molto  pòco,  e  tutto  intrigato.  Ciò  nacque  da  più  ca- 
gióni: principalmente  per  Don  avere  i  Principi  nor- 
manni e  gli  svevi  fermata  la  loro  Sede  regia  in  Napoli, 
o  in  altra  città  di  queste  nostre  province ,  e  d' esserci 
perciò  mancati  delie  loro  memorie  pubblici  Archivii. 
Le  tante  guerre  poi,  e  revoluzioni  accadute;  gì  incendi, 
^' sacchéggiameoti  di  quelle  città,  che  avrebbero  po- 
tuto conservargli,  come  di  Gapua,  Benevento,  Salerno 
e  Melfi;  e  finalmente  la  barbarie  e  T ignoranza  de' Scrit- 
tori mal  disposti  a  tesserne  istoria ,  ne  cancellarono 
quasi  ogni  memoria.  Molto  perciò  dobbiamo  a'mona- 
sterj  delia  Regola  di  S.  Benedetto^  e  sopra  tutto  à 
quello  di  Monte  Gassino,  in  cui  serbansi  le  memorie 
più  vetuste  anche  de'  Goti,  essendo  il  più  antico  Ar- 
chivio che  abbiamo  nel  Regno;  ed  a' due  altri  della 
Trinità  della  Cava,  e  di  Monte  Vergine,  dove  sta  rac- 
colto quanto  mai  de*  Normanni  è  a  noi  rimase.  Molto 
ancora  dobbiamo  a*  loro  Monaci;  poiché  qualche  an- 
tica Cronaca,  e  qualche  mal  composta  Istoria  ad  essi 
la  dobbiamo.  De^  Re  della  illustre  Gasa  di  Svevia , 
per  aver  avuti  costoro  nemici  i  Pontefici  romani,  gli 
Scrittori  italiani,  che  per  lo  più  furono  Guelfi,  ne 
scrissero  con  molto  strapazzo,  con  gran  pregiudizio 
della  verità;  e  se  qualche  straniero,  o  qualche  Gro- 
oaca  novellamente  trovata,  non  vi  rimediava,  si  sa« 
rebbe  nella  medesima  ignoranza  e  pregiudicj. 

Non  così  avvenne  ne'  tempi  di  questi  Re  della  Casa 

i3 


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194  STORIA  CIVILE 

d'Angiò;  polche  avendo  Carlo  principiato  adornar  Na^ 
poli  con  magnifici  tempj  ed  edifici,  e  dopo  la  separa^* 
zione  del  Aeame  di  Sicilia,  avendola  rcnduta  regia  se- 
de, e  capo  e  metropoli  del  Regno:  quindi  avvenne  , 
elle  tennesi  maggior  conto  de'  regali  diplomi,  e  delle 
altre  lor  memorie,  e  si  diede  miglior  forma  in  Napoli 
a' regi  Archivii.  Carlo  fu  il  primo,  che  ordinò  in  Na- 
poli V  Archivio  della  Zeceà\  che  prima  era  in  potere 
de' Maestri  Razionali,  ed  in  miglior  forma  lo  ridusse^ 
end' ebbe  lunga  durata,  e  ancor  dura,  ed  è  il  più  an- 
tico, che  oggi  abbiamo  in  qoesta  città.  Si  conservano 
in  quello  436  registri,  cominciando  dal  Re  Carlo  I 
dall'anno  1267  che  fu  il  secondo  anno  del  suo  Regno, 
insino  alla  Regina  Giovanna  II  ove  molte  scritture^ 
anche  nella  lor  lingua  franzése,'soBo  dettate.  Di  Car- 
lo I  si  trovano  cinquantacinque  r(^i&tri,  e  più  di  Car- 
lo II  suo  figliuolo,  eh'  el>be  più  anni  di  Regno ,  in« 
fiino  al  numero  di  i53.  Di  Roberto,  117.  Di  Carlo 
suo  figliuolo,  Vicario  che  fu  del  Rìrgno,  62.  Della  Re- 
gina Giovanna  I,  32.  Di  Carlo  III  della  seconda  razza 
d'  Angiò  non  più  che  tre.  Di  Ladislao^  diece,  e  della 
Regina  Giovanna  II  sua  sorella  ^  quattro  (a).  Per  que- 
sto oggi  giorno  vediamo,  che  le  scritture,  che  si  con- 
•ervano  in  quello  Archivio  non  hanno  maggior  anti- 
chità ,  se  non  di  quella  de'  tempi  di  Carlo  I  d'  An- 
giò. Solamente  quasi  per  miracolo  vi  è  rimaso  un  re- 
gistro dell'  Im{>erador  Federico  lì  d'  un  solo  anno, 
cioè  del  1239.  Ed  è  da  credersi,  che  a  ciò  vi  coope- 
rasse Carlo  per  estinguere  affatto  la.  memoria  de' Re 
avevi,  a' quali  egli  era  succeduto,  non  già  per  ragion 
ereditaria,  ma  per  ragion  di  guerra,   e   di    papali   in* 

(a)  Toppi  df  Orig.  Tribun.  tom,   i  in  pnnc. 


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DEL  RÉGNO  DI  NAPOLI  LIB.  XX,        igS 

vìiì^  (a).  Quindi  avvenne,  che  i  nostri  Scrittori  furono 
più  copiosi  ed  abbondanti  in  registrar  la  memoria  dec^U 
Angioi|^j,  che  degli  altri  He  predecessori. 
'  S'  aggiunse  ancora,  che  costoro  regnarono  in  tempi, 
ne*  quali  la  barbarie  non  era  cotanta,  e  cominciavano 
pian  piano  in  Italia,  e  pre^sso  di  noi  a  risorgere  le 
buone  lettere,  e  ad  aversi  buon  gusto  deli' istoria.  A- 
veva  Fiorenza  Giovanni^  e  Matteo  Villani^  che  coeta* 
nei  de'  due  Carli .  e  di  Roberto ,  non  mancarono  di 
mandar  alla  memoria  de' posteri  le  loro  gesta. 

Successero  poi  uomini  più  illustri,  come  il  Petrarca^ 
e  Giovan  Boccaccio^  i  quali  nelle  loro  opere  de'  Re 
aogioini  ci  lasciaron  nou  poche  memorie  ,  come  dà 
coloro  ben  careggiati,  e  tenuti  in  sommo  pregio:  e 
tra'  nostri  nou  mancarono  ancora  chi  i  fatti  di  questi 
Re  notasse  5  come  Matteo  di  Giovenazzo^  che  scrisse 
dalla  morte  di  Federico  II  sin  a' tempi  di  Carlo  ti 
ne' quali  visse:  1'  Autore  de' giornali  chiamati  del  Duca 
di  Montclione^  ne'  quali  furono  annotate  dì  per  dì  le 
cose  fatte  dal  tempo  della  Regina  Giovanna  I  fin  alla 
mòrte  di  Re  Alfonso  I  e  Pietro  degli  Umili  di  Gaeta , 
che  scrisse  a  pieno  delle  cose  del  Re  Ladislao,  il  qual 
visse  a  quel  tempo,  e  fu  Ufficiale  della  Tesoreria  di 
quel  Re.  Dalle  memorie  de' quali  e  da  altri  gravi  Au- 
tori, confortato  da  quei  due  grandi  uomini  Giacomo 
Sannazaro  e  Francesco  Poderico,  compilò  poi  Angelo 
di  Costanzo  quella  sua  grave  e  giudiziosa  Istoria  del 
Re^no  di  Napoli,  che  siccóme  oscurò  tutto  ciò,  che 
insin  allora  erasi  scritto,  così  ancora  per  la  sua  gra- 
v^ità,  prudenza  civile  ed  eleganza ,  si  lasciò  indietro 
tutte  le  altre   che    furono   compilate   dopo    lui    dalla 

{a)  Audrcys  dìsp.  fcud.  png.   iSg. 


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196  Sl^ORlA.  CIVILE 

turba  d'infiniti  altri  Scrittori.  Per  questa  cagione  TI- 
atoria  di  questo  insigne  Scrittore  sarà  da  noi  più  di 
qualunque  altra  seguitata,  né  ci  terremo  a  ^rgogna 
se  alle  volte  colle  sue.  medesime  parole,  come  che 
Assai  gravi  e  proprie,  saranno  narrati  i  loro  avve- 
nimenti. 

Carlo  adunque,  dopo  essersi  eoti  que*  mezzi  di  so- 
pra narrati  stabilito  ne' due  Reami  di  Puglia  e  di  Si- 
4)ilia^  dopo  aversi  reso  benevoli  molti  Baroni^  del  suo 
partito  con  profuse  donazioni,  e  dopo,  per  maggiore 
4Bua  sicurezza  fatti  fermare'  nel  Regoo  molti  Signori 
franzesi,  a  cui  diede  molti  feudi,  onde  nuove  famiglie 
in  esso  ci  vennero,  erasi  reso  formidabile  per  tutta 
Italia  e  riputato  uno  de'  maggiori  Re  d'  Europa  ;  e 
{^tendendo  le  sue  forze  oltre  i  confini  di  questi  Reami, 
aveasi  ancora  reso  tributario  il  Regno  di  Tunisi,  e 
come  uomo  ambiziosissimo  ed  avido  di  Signoria,  aspi- 
rava air  Imperio  di  Costantinopoli,  e  tutto  il  suo  sta- 
dio era  di  cacciar  da  quella  Sede  Paleologo,  che  al* 
lora  imperava  in  Oriente.  £  forse  gli  sarebbe  riuscito, 
se  iti  Gregorio  successore  di  Clemente  avesse  trovato 
quelle  medesime  inclinazioni  ed  affetti ,  che  in  <206tui 
furono. 

Era  stata  la  Sede  Appostolica,  per  le  discordie  dei 
Clardinali,  vacantb  poco  men  di  tre  anni  dopo  la  morte 
di  Clemente;  pè  vi  bisognò  meno,  che  la  presenza' 
del  Re  Filippo  di  Francia,  e  d' Errico ,  e  d' Odoardo 
l'uno  nipote  e  l'altro  figlio  del  Re  d'Inghilterra,  per 
lidnrre  i  Cardinali  a  rifar  il  successore;  poiché  questi 
Principi,  che  ritornavano  d'Affrica,  passati  per  Sicilia 
^  Napoli,  ritornando  a' loro  Stati,  andarono  a  Viterbo 
per  sollecitare  i  Cardinali  per  l'elezione,  i  quali  final- 
mente mossi  dalla  presenza  di  que'  Signori,  non  con-i 


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DEL  REGNO  DI  NAPOLI  LIB.  XX.  197 
Tenendo  in  nìun  di  loro,  finalmente  nel  dì  i  di  set- 
tembre di  quest'anno  la^i  elessero  persona  fuor  del 
Collegio,  che  fu  Teobaldo  di  Piacenza  della  famiglia 
de' Visconti  Arcidiacono  di  Liegi,  che  a  quel  tempo 
si  troyaya  in  Asia  Legato  appostolico  neir  esercito 
cristiano  contro  Infedeli;  ohe  fattosi  nel  seguente  anno 
coronare  a  Yiterbo,  fu  chiamato  Gregorio  iC,  il  quale 
ammaestrato  da' precedenti  disordini,  fu  il  primo  che 
fece  la  legge  di  chiudere  dopo  la  morte  del  Papa  i 
Cardinali  in  Conclave^  e  di  tenervigli  finché  avessero 
eletto  il  successore. 

Fatta  l'elezione  del  nuovo  Pontefice,  Re  Filippo 
se  n'  andò  in  Francia,  e  Re  Carlo  ritornò  in  Napoli: 
questi  considerando,  che  Filippo  suo  figliuolo  secon- 
dogenito era  morto,  un  altro  chiamato  Roberto  terzo- 
genito era  pur  morto  sin  nel  laSS  e  che  Carlo  suo 
primogenito  (  iàvestito  da  lui  del  Principato  di  Salerno 
colla  corona  o  cerchio  d'oro,  del  Contado  di  Lesina 
con  lo  stendardo ,  e  dell'  Onore  di  Monte  S.  Angelo 
coir  anello  (a)  )  non  avea  ancor  figliuoli  maschi ,  egli 
nel  nuovo  anno  1273  tolse  la  seconda  moglie,  figliuola 
(secondo  il  Costanzo)  di  Balduino  di  Fiandra,  i^l- 
timo  Imperador  di  Costantinopoli,  per  via  delia  quale 
sperava  acquistar  parte  dell' Imperio  di  Oriente:  an- 
corché il  Sigonio  dica ,  che  fu  figliuola  non  già  di 
Balduino,  ma  deV  Duca  di  Borgogna.  Furono  perciò 
in  Napoli  fatte  gran  feste  e  giostre,  ed  armati  da  lui 
molti  gentiluomini  con  cingolo  militare  e  fatti  Cava- 
lieri. Fu  anche  quest'anno  assai  lieto  al  Re,  perchè 
nella  fine  del  medesimo  al  Principe  di  Salerno  suc- 
cessore del  Regno,  che   noù   avea   altro  che  figliuola 

*  {a)  Inveges  tom.  3.  Annal.  di  Paler. 


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icj8  STORIA  CIVILE 

femmine,  nacque  un  figliuòlo  chiamato  Carlo  Martello ^ 
che  fu  poi  Re  d'Ungheria,  del  che  si  fece  festa  non 
80I0  in  Napoli,  ma  in  tutte  V  altre  città  del  Regnor 

Ma  poi  che  Carlo  ebbe  novella,  che  tornava  da 
Soria  il  nuovo  eletto  Pontefice,  e  veniva  a  dismontare 
in  Puglia,  cavalcò,  ed  andò  subito  in  Manfredonia  ad 
aspettarlo  e  lo  ricevè  con  molta  stima  ed  onore,  e 
ToUe  accompagnarlo  per  Capitanata  e  per  Abbruzzo 
fin  a  Campagna  di  Roma  ^  lusingandosi,  con  queste 
carezze  tirar  Gregorio  a  dar  mano  airimprc.sa,  eh' ci 
meditava  di  Costantinopoli  ;  ma  il  novello  Pontefice, 
che  stato  lungamente  in  Soria,  teneva  grande  affezione 
a  quella  guerra,  coronato  che  fu,  nel  primo  Concistoro 
fece  nota  a  tutto  il  Collegio  Tinfcnzion  sua,  che  era 
d'impiegare  tutte  le  forze  del  Ponteficato  ali  impresa 
di  Sorl^  contra  Infedeli;  la  qual  cosa,  subito  che  fu 
seritta  al  Re  Carlo ,  s*  accorse  quanto  avea  perduto 
con  la  morte  dell'  altro  Papa  suo  predecessore. 

Era  a  quel  tempo  venuto  di  Grecia  Filippo  figliuolo 
deir  ultimo  Balduino,  genero  e  cognato  di  Re  Carlo, 
per  sollecitarlo  che  venisse  all'impresa  di  Coi^tanlino- 
poli,  e'I  Re  gli  consigliò  phe  andasse  al  Papa;  e  mandò 
con  lui  per  Ambascìador  suo  il  Vescovo  d'Avignone, 
ì  quali  trattando  insieme  col  Papa,  che  volesse  con- 
tribuir^i  al  soccorso,  come  si  conveniva,  per  far  unire 
la  Chiesa  greca  colla  latina,  lo  ritrovarono  molto  alie- 
no da  tal  pensiero;  perchè  il  PaleologOy  che  avea  oc- 
cupato l'Imperio,  in  quel  medesimo  tempo  avea  man- 
dati Ambasciadori  al  Papa,  offerendogli  di  ridurre  la 
Chiesa  greca  all'ubbidienza  della  romana;  onde  Gre- 
gorio, che  stimava  più  il  bene  universale  de'  Cristiani 
che  il  particolare  dell' Imperador  Balduino,  e  che  vo- 
leva più  tosto   l'amicizia  di  culai,  che  possedeva  l'Im- 


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DEL  RÉGNO  DI  NAPOLI  LIB. XX.       t ^g 

jwrio  e  poteva  sovvenire  all'esercito  cristiano  nel  riac- 
quisto ili  Terra  Santa,  che  divertirai  dair  aiuto  dei 
Cristiani  per  rimettere  nello  Stato  Baldtiino;  si  mosse 
da  Orvieto,  escludeùdolo  da  questa  speranza^  e  sene 
andò  in  Francia  a  celebrare  il  Concilio  i|i  Lione,  per 
invitare  il  Re  di  Francia  e  d'  Inghilterra,  e  gli  altri 
Principi  oltramontani  alta  medesima  impresa.  Il  Paleo- 
Zo^o,  eh' a vea  inteso,  che  Balxluino  era  andato  in  per« 
sona  al  Papa,  per  gelosia  eh* ebbe,  che  non  fosse  di 
più  efficacia  la  presenza  di  lui,  che  V  intelligenza  de- 
gli Ambascìadori  suoi,  si  mosse  da  Costantinopoli  e 
condusse  seco  il,  Patriarca  e  gli  altri  Prelati  del  suo 
dominio  a  dare  ubbidienza  al  Papa,  dal  quale  fu  ac- 
colto con  grandissimo  onore,  ed  ottenne  <juanto  volle > 
e  se  ne  tornò  subito  in  Grecia,  confermato  Impera^ 
dorè  dalla  bedè  Appostolica  (a).  Si  adoperò  ancora 
Gregorio,  che  Ridolfo  Conte  d^  Àusl>urg  fosse  eletto 
Imperador  d'Occidente,  essendo  vacato  \  Imperlo  molti 
anni,  affine  d'unire  questi  Principi  al  riacquisto  di 
Terra   Siinta. 

Tutte  queste  cose  molto  dispiacquero  al  Re  Carlo; 
e  avendo  Gregorio  nel  1274  aperto-  già  il  Concilio  in 
Lione,  «d  invitato  Fra  Bonaventura,  soprannomato  il 
Dottor  Serafico^  che  era  stalo  creato  Cardinale,  è  Fra 
Tommaso  d' Aquino ,  il  Dottor  Angelico ,  perchè  do- 
vendosi trattare  dell  unione  della  Chiesa  greca  e  latinai 
potessero  questi  due  insigni  Teologi  confutar  gli  er- 
rori de' Greci;  Carlo  temendo  che  Tommaso,  il  qual 
partiva  di  Napoli,  dove  in  quest'università  leggeva  teo-, 
logia,  ed  al  quale  erano  note  le  sue  crudcllàj  nel  Con- 
cilio non  maggiormente  esacei-basse  T  animo  dei  Pon- 

(a)  Costanzo  lib.  a*  ^ 


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260  STORIA  CIVILE 

tefice,  passando  egli  per  Fòssaaova,  luogo  non  molto 
lontanò  da  Terracinà,  lo  fece  avvelenare ,  onde  iti  nel 
monastero  de' Monaci  Cisterciensi  trapassò  nel  dì  7 
marzo  dello  stesso  anno,  in  età  di  5o  anni.  Oiò  che' 
Dante  (a)  noverò  tra  le  altre  fiereaze  e  crudeltà  di 
questo  Principe,  dicendo:  ' 

Cario  venne  in  Italia^  e  per  ammenda 
Vittima  fh  di  Corradino\  e  poi 
Ripinse  al  del  Tommaso  per  ammenda. 
Scorgendo  per  tanto  Re  Carlo  V  animo'  del  Ponte*^ 
fìce  non  esser  niente   disposto  a  secondare  i  suoi  de- 
sider),  differì  i  suoi  disegni;  e  mentre  Gregorio  visse, 
non  si  travagliò  molto  per  le   cose  d'Italia,  né  fuori 
di  quella;  ma  fermato  in  Napoli,  attese  a  magnificarla, 
ed  a  dar  nuovo   sistema    alle   còse   di  quésto  Regno , 
cominciando  da  lui  queste  nostre  province   a  ricono- 
scer Napoli  per*  loro  capo  e  metropoli. 

CAPITOLO    L 

Cagioni  onde  Napoli  divenisse  capo 
del  Regno  ^  e  Sede  regia. 

JL  primi  fondamenti  della  magnificenza  e  grandezza 
di  questa  città,  onde  con  prosperi  avvenimenti  surse 
poi  a  quello  sthto  in  cui  oggi  si  vede,  furono  gettati 
da  Federico  II  Imperàdore.  Primieramente  lo  studio 
generale,  clie  questo  Principe  vi  fondò  ^  tirò  a  quella 
gli  scolari  non  pur  di  questo  Reame,  ma  anche  di 
Sicilia  e  d*  altre  più  remote  parti.  Il  non   essersi  da 

(a)  Dante  Purgalor.  cant.  20. 


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DEL  REGNO  DI  NAPOLI  L.XIX.  CAP.L  sol 
|>oi  Federico  fermato  in  Palermo ,  come  gli  altri  R^ 
normanni  suoi  predecessori ,  ma  avere  scorso  più 
ciltà  di  queste  nostre  province,  ed  essersi  spesso  fer- 
mato in  Napoli  colla  sua  Gran  Corte  e  con  gli  altri 
Ufficiali  del  Regno,  servì  anche  per  écala  a  tanta  al^ 
tezza;  e  Taver  ancora  in  magnifica  forma  ridotto  il 
Castello  capuano ,  e  quel  deli'  Uovo  vi  conferì  molto* 
L*  altra  cagione  di  tanta  elevatezza  furono  Innocen^ 
zio  IV  el  suo  successore  Alessandro^  i  quali  in  Na« 
poli  lungamente  colla  loro  Corte  dimorarono;  ma  co^ 
loro ,  che  vi  diedero  Y  ultima  mano  furono  i  novelli 
Re  angioini,  Carlo  I  e  II,  e  più  la  separazione  della 
Sicilia  per  quel  fumoso  vespero  siciliano  :  donde  sur-* 
aero  due  Reggio  e  due  Re,  cioè  T antico  di  Sicilia, 
e'I  nuovo  di  Napoli.  Palermo  antica  Reggia  restò  per 
gli  Aragonesi  in  Sicilia.  Napoli  nuova  Reggia  reste» 
per  li  Franzesi  in  Puglia  e  Calabria. 

•§.  I  EiUficj.        . 

Cominciò  prima  Carlo  ad  ampliarla  con  magnifici 
e  superbi  edificj:  non  ben  soddisfatto  del  Castel  ca- 
puano fatto  alla  tedesca ,  appena  sconfitto  Matifredi, 
ed  entrato  con  trionfi  e  plausi  in  questa  città  ,  che 
fece  edificar  il  Castel  Nuovo ^  dove  è  oggi,  al  m<5^dello 
franzese,  per  farlo  abile  a  ricever  soccorso  per  mare^ 
ed  a  difendere  il  porto,  riputato  allora  una  delle  opere 
più  notabili  d'  Italia,  ingrandito  poi  e  reso  più  forte/ 
ed  Inespugnabile  dagli  altri  Re  suoi  successonTTNar- 
rasi  ancora,  che  neir  antico  Molo  di  questa  città  per 
maggior  sicurtà  de'vascelli  é  per  maggior  difesa  di 
questo  castello  vi  avesse  fatta  edificare  quella  Torre] 
the  ancora  oggi  ritiene  il  nome  di  S.  Vincenzo ,  per 


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903  STORIA  CIVILE 

Chiesetta,  cHe  In  questo,  luogo  T*era  dedicata  a  qaèt 
Santo.  -       ■  :>     ^ 

.  là  adornò  anche  dì  magnifiche  chiese  e  monasterj, 
ed  una  chiesa  de' Frati  di  S.  Francesco,  che  eia  in 
quel  luogo  ove  edificò  il  Castel  Nuoto  ,  la  trasferì^ 
come  si  disse,  dove  è  oggi  Santa  Maria  della  Nuova 
in  forma  più  magnifica,  e  vi  fece  un  comodo  mona- 
stero capace  di  molti  Frati  Minori,  il  di  cui  numero 
ne*  seguenti  anni  fu  notabilmenle  accresciuto.  L' an- 
tico palazzo  delia  napoletana  Repubblica,  ove  sollevano 
convenire  per  pubblici  affari  il  Popolo  e  la  Nobiltà, 
per  tenergli  divisi,  proccurò  che  si  disfacesse,  e  fecevi 
edificare  quella  magnifica  chieda  che  ritiene  ancora  il 
nome  di  S.  Lorenzo^  (  che  poi  Carlo  11  suo  figliuolo 
ridusse  in  più  ampia  forma  )  a  *  cui  unì  un  ben  grande 
convento  di  S.  Francesco. 

L'antico  Duomo  di  Napoli,  che  prima  era  la  chiesa 
di  S.  Restituta,  lo  cominciò  in  altra  più  grande  e  ma- 
gnifica forma  a  ristorare,  ciò  che  non  potendo  perfe- 
zionare, Carlo  II  poi  lo  fece  riedificare  nella  forma 
che  oggi  si  vede,  benché  nelKanno  i/{^&  per  un  gran 
tremuoto  cadde,  e  fu  in  quella  guisa  ohe  stava  prima 
ristorato  dal  Re  Ferrante  I  d'Aragona  e  da  molti  al: 
tri  signori  del  Regno,  che  tolsero  ognuno  da  per  se 
una  parte  a  ristor{^re,  de' quali  si  vedono  oggi  Tinse* 
gne  sopra  i  pilastri. 

L'esempio  del  Principe  mosse  anche  i  suoi  fami- 
gliari e  domestici  a  far  il  medesimo ,  i  quali  d' altre 
Chiese  T adornarono-,  ma  sopra  tutti  si  distinsero  tre 
Franzesi  che  si  crede  fossero  stati  tre  cuochi  del  Re 
Carlo,  i  quali  ottenuto  dal  medesimo  nellanno  1270 
per  donazione  quel  luogo,  v'edificarono  un  ben  grande 
Ospidale   e  una  chiesa  dedicata  a  Ire   Santi   Vescovi 


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DFL  REGNO  DI  NAPOLI  L.  XX.  GAP.  I.  2o3 

Eliclo,  Martino  e  Dionigi:  che  in  decoreo  di  tempo 
fii  è  resa  una  delle  opere  più  notabili  della  pietà  cri- 
stiana. 

Fece  ancora  delle  pietre  quadrate,  oh' erano  per  le 
raine  della  via  Appia,  lastricare  in  bella  forma  le  stra- 
de della  città,  e  rifare  le  mura  della  medesima  in  mi- 
glior modo  di  prima.  E  per  renderla  più  abbondante 
di  viveri  e  di  traffichi,  fece  quel  gran  mercato,  che 
oggi  si  vede,  in  luogo  più  ampio  e  capace ^  poiché 
allora  era  fuori  della  cillà  (a);  onde  Napoli  ebbe  due 
mercati,  questo  nuovo  fatto  da  Garlo,  ove  fu  de- 
capitato l'infelice  Corradino,  ed  il  mercato  vecchio 
che  era  prima  vicino  alla  chiesa  di  S.  Lorenzo. 

5-  ^I  BistoramerUo  degli  Siudj. 

Imitando  questo  Principe  le  vestigia  di  Federico  II 
per  render  più  rinomata  ed  illustre  questa  città,  am- 
pliò lo  Studio  generale  da  Federico  fondato,  e  T  arric- 
chì di  molte  altre  prerogative  e  privilegi.  Re  Roberto 
suo  nipote  tra' suoi  Capitoli  ^  che  aggiunse  a  quelli 
fatti  dair  avo  e  dal  padre,  rapporta  un  ampio  privi- 
legio a  quest'Accademia  conceduto  da  Garlo  nel  primo 
anno  del  suo  Regino  1266  che  fu  istrornentato  da  Ro- 
berto da  Bari  suo  Protonotario  in  Nocera ,  nel  quale 
mostra  essergli  stato  sommameote  a  cuore  la  gran- 
dezza e  decoro  di  ques^ta  Accademia  (b).  Perciocché 
per  maggiormente  privilegiare  i  Dottori  e  gli  scolari 
di   quello,  costituisce    loro  un    proprio  e   particolare 


{a)  De  Bottis  in  cap.  i.  Regni:  Hic  Neap.  fecit  feruta  ma  « 
gmim.  {ò)  Iti  Capit.  Regni,  sotto  il  titolo,  Privilegaiià  Col- 
leg.  I^eup,  Siud. 


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2o4  STORIA  CIVILE 

Gìustiziero^  avanti  di  cui  ordina,  che  tutte  le  lord' 
cause  civili  o  criminali,  attori  o  rei  che  fossero,  deb- 
bano agitarsi;  né  ohe  possano  esser  tirati  a  piatire 
altrove  avanti  altro  Giudice  o  Tribunale,  se  non  se 
volessero  a  loro  arbitrio  per  via  di  compromesso  an« 
dare  avanti  T Arcivescovo  della  città,  ovvero  ad  ua 
Dottore  dell'istessa  Accademia,  affinchè  determinassero 
le  loro  cause.  Stabilì  per  ciò  al  Giustiziere ,  se  sarà 
napoletano,  ao  once  d'  oro  Fanno  per  sua  provisione, 
e  se  sarà  forastiero  3o.  Ed  il  Summonté  da' libri  del- 
TArchivio  déiranno  1269  rapporta,  che  fu  da  Carlo 
costituito  in  queir  anno  per  Giiisliziero  Landolfo  Ca- 
racciolo con  30  odce  d' oro  Y  anno  per  suo  salario. 
Statuì  a  questo  Giustiziere  per  la  retta  amministra- 
zione della  giustizia  tre  assessori:  uno  oltramontano 
da  eleggersi  dagli  scolari  oltramontani,  che  venivano 
quivi  a  studiare;  r  altro  Italiano,  che  dovessi  eleggere 
per  gli  scolari  d'Italia;  ed  il  terzo  Begnicolo,  la  di 
cui  elezione  apparteneva  ai  scolari  del  Regno;  U^ 
quali  dovevano  da  tre  in  tre  mesi  successivamente 
mutarsi . 

Diede  anche  facoltà  a  questo  Giustiziere  (  acciocché 
gli  studenti  non  fossero  defraudati  del  prezzo  de' com- 
mestibili )  che  coi  consiglj  degli  Assessori  e  dei  Dot- 
tori e  maestri  degli  scolari  mettesse  egli  l'assisa  alle 
cose  venali,  moderata  però  e  giusta,  affinchè  non  riu- 
scisse grave  ed  iniqua  a' venditori  e  compratori.  Che 
potessero  anche  costituire,  col  consenso  degli  scolari, 
uomini  probi,  i  quali  dovessero  assignare  a*  scolari  gli 
ospizi  e  stabilire  la  giusta  mercede  per  li  medesimi 
e  per  le  case,  che  serviranno  per  T  abitazione  de' me- 
desimi. Perchè  non  fossero  distratti  da' loro  studj,  proi- 
bì a  tutti  gli  Ufficiali  della  sua  Corte  di  non;  gravare 


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DEL  REGNO  DI  NAPOLI  L.XX.  CAPI.  ao5 
i  medesimi  cTangarìe^  esaxioiii,  servigi  persodftli,  an- 
che se  la  sua  Corte  medesima  o  la  città  ne  avesser 
bisogno.  Né  che  i  Bagliyi  ed  altri  Ufficiali  esigessero 
per  le  Merci  e  robe,  che  saranno  a*  scolari  mandate 
per  loro  sostentamento  o  necessità,  dritto  alcuno  di 
pedatico,  fondaco  o  dogana,  esimendogli  affatto  dalla 
loro  giurisdizione  e  potestà. 

Finalmente  invita  tutte  le  Nazioni  a  mandar  i  loro 
giovapi  a  studiare  in  Napoli,  a' quali  sarà  libero  e  si- 
curo r  accesso,  el  recesso  a  loro  arbitrio  e  volontà, 
e  saranno  benignamente  accolti,  e  liberalmente  protetti 
e  fayoriti  dal  presidio  e  regal  munificenza.  Della  Corte 
di  questo  Giiistiziero  degli  Scolari  istituita  da  Carlo  I 
fassi  anche  memoria  nel  Regal  Archivio;  e  ne'  Regi- 
stri di  Carlo  II  si  leggono  altri  Giustizieri,  come  Ma- 
rino del  Duca  Giustiziero  degli  Scolari,  e  da  poi  Pie- 
tro Piscicello,  detto  OrtanlCy  e  dopo  costui  Gualtiero 
Caputo  di  Napoli  Milite;  e  finalmente  Matteo  Dentice 
Milite.  Ed  il  Summonte  rapporta,  che  dalle  carte  di 
<{ue\ registri  si  Tede,  che  T  assisa  de' pesci  e  delle  al- 
tre cose  commestibili  conceduta  da  Carlo  I,  e  poi  con- 
fermata da  Carlo  II  suo  figliuolo  allo  Studio  di  Na- 
poli, si  faceva  nella  Chiesa  di  S.  Andrea  a  Nido,  in- 
sieme col  Giustiziero,  Dottori  e  Studenti,  conforme  al 
solito  (a);  di  che  ora  n'  è  pur  a  noi'  rimase  vestigio; 
poiché  sebbene  T  Ufficio  del  Giustiziero  degli  Scolari 
si  vegga  a'  tempi  nostri  molto  ristrettamente  passato 
nel  Cappellan  Maggiore^  il  quale  <^ome  Prefetto  degli 
studj  tiene  giurisdizione,  ma  molto  ristretta  e  differente 
da  quella,  che  teneva  il  Giustiziero^  stendendosi  sol»- 
inente  sopra  gli  Scolari  delinquenti  nello  Studio:  e  la  po- 

(a)  y.  S^nlmont.  tom.  a  lib.  3  cap.  3. 


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2o6  STORIA  CIVILE 

testa  di  metter  F  assise  fosse  rimasa  al  Giustiziero,  ed 
a*  suoi  Catapani ,  con  giurisdizione  molto  differente 
dair  antica,  e  ^stretta  solo  sopra  i  venditori  delle  cose 
commeslibili  (a)  nuUadimanco  dura  ancor  ora,  che  gli 
emolumenti  della  Catapania  per  tre  mesi  dell'anno  si 
appartengano  al  Lettor  primario  di  Legge  civile  di  que- 
sta Università,  il  quale  senza  nuora  provvisione,  gode 
di  quegli  emolumenti,  come  attaccati  e  dep^ndenti  dalla 
cattedra  primaria  del  jus  civile. 

Perchè  ancora  questo  Studio  fosse  più  florido  e  nu- 
inerosp,  invitò  i  più  insigni  Dottori  forastieri  de' suoi 
tempi. con  grossi  stipendi,  perchè  venissero  ad  istruire 
la  gioventù  di  buone  lettere  e  discipline.  Fioriva  a 
questi  tempi  lo  Studio  di  Bologna,  e  fra  gli  altri^  Pro- 
fessori era  rinomato  per  la  legge  civile  Giacomo  Bel- 
mo.  Fu  costui  invitato  da  Carlo  a  venir  in  Napoli  ad 
insegnare  )us  civile,  con  stabilirgli  di  salario  cinquanta 
once  d'  oro  Tanno.  Invitò  ancora  nel^anno  1369  P^ 
la  legge  canonica  Maestro  Gir  àrdo  de  Cumis^  con  sa- 
lario di  20  once  d'  oro.  Per  la  teologia  Maestro  Tam- 
maso  d' Aquino  Frate  Domenicano,  colui  che  adoriamo 
ora  per  Santo,  con  salario  di  un'oncia  d'oro  il  mese^ 
E  per  leggere  medicina  Maestro  Filippo  de  Castrocoeli^ 
con  salario  d'ónce  dodici  d'oro  Tanno  (i^).  Le  di  cui 
vestigia,  come  diremo,  furono  da  poi  calcate  da  Car- 
lo II  e  da  Roberto  suoi  successori. 

Questo  ristabilimento  dell'Accademia  napoletana  (la 
quale  dopo  la  morte  di  Federico  per  le  continue  guerre, 
che  durarono  per  più  di  venti  anni,  era  alquanto  de- 
caduta  da    quello   splendore,   nel    quale    Federico  la- 

(a)  Suinm.  tom.  2  lib.  5'  eap.  2.  Nigris  in  CommenC.  ad  cap. 
Beg»  cap.  269  DUiB.  17.  [b)  Sunim*  tom.  3  lib.  5  e.  2. 


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^yGpogle 


DEL  REGNO  DI  NAPOLI  L.XX.  CAP.I.  207 

$cloila)  fu  pure  una  delle  cagioni  fortissime  perchè 
Napoli  si  rendesse  più  numerosa  di  gente  concorsavi 
da  paesi  vicini  e  lontani,  e  perchè  s'inalzasse  sopra 
tutte  r  altre  città  del  Regno. 

L'aver  ancora  Carlo  deliberato  di  non  trasferire  la  sua 
sede  regia  in  Palermo,  siccome  i  predecessori  Re  nor- 
manni e  svevi  fecero,  fu  poi  la  prlncipal  cagione  del- 
l' ingrandimento    di   Napoli.    Riputò    questo   Principe 
Palermo,  come  città  lontana,  esser  men  adatta  per  poter 
accorrere  a  bisogni  del  Pontefice  e  de' Guelfi  in  Ita- 
lia, e  per  non  allontanarsi  tanto  dagli  altri  suoi  Stati 
di  Provenza  e  di  Francia,  colla  quale  tenne  continuo 
è  stretto  commercio;  di  che  a  torto  si  lagnavano  i  Si- 
ciliani, non  altrimenti  che  a  torto  si   dolevano  i   Ro- 
mani d'Onorio,  il  quale  per  reprimere   V  inondazioni 
de'  Barbari,  (jhe  per  quella  parte  venivano  ad  infestar 
}*  Italia;  traslutò  la  sua  sede  da    Roma,  e  la    coHocò 
prima  in  Milano  e  poi  a  Ravenna.    Fcrmossi  per  ciò 
Carlo  in  Napoli;  e  se  bene  non    sempre   quivi   dimo- 
rasse, avendo  sovente  dovuto  ricorrere  per  li    bisogni 
del  Reame,  e  per  renderlo  più    quieto  e   pacato  sotto 
la  sua  ubbidienza,   ora  in  una  città,   ora  in  un'altra, 
siccoine    si   vede  dalle  date  .de'suoi  Diplomi^  ed  ancho 
de^suoi  Capitoli^  li  quali  si   leggono    istromentati   ora 
in  Nocera,   ora   in   Trani,   Foggia,   Aversa,   Venosa, 
Brindisi   ed  altrove;- non  è   però,  che  in   Napoli   coi 
Principe  di  Salerno  suo  figliuolo   primogenito   e  suc- 
cessore del  Regno,  non  facesse  la  sua  maggior  dimora 
con  gli  Ufficiali  della  Corona  e  della   sua   Corte,  ed 
attendesse  ad  ingrandirla   e  ad  adornarla  di  tanti  seggi 
che  non  fece  a  niun'  altra  città  del  Regno. 

Questa  sua  dimora  in  Napoli,  e  Taver  insieme  ador- 
Tiata  la  sua  regal  persona  di  molte  altre  illustri  pr^o* 


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^>8  *    STORIA  CIVILE 

gattve,  come  d'  aver»i  resQ  tributario  il  Regno  di  To- 
sisi, e  fregiato  del  titolo  di  Re  di  Gerusalemme,  quanto 
pia  estolsero  la  sua  regal  persona,  altrettanto  ingrana 
dirono  Napoli  sua  Sede  regia. 

CAPITOLO  IL 

Girlo  si  rende  trihutario  il  Regno  di  Tunisi;  e  per  la 
cessione  di  Ma  hi  a  figliuola    del   Principe    d'Antio* 
-   chiù  diviene  Re  di  Gerusalemme, 


JLiuigi  Re  di  Francia,,  fratello  di  Carlo,  essendo 
passato  nella  fine  dell'  anno  1270  in  Affrica  contra  Infe- 
deli, e  tanendo  assediatoTunisi,  oppredso  il  suo  esercito 
da  peste,  stava  in  pericolo  d'esser  rotto  da' Mori  e  d'esser 
fatto  prigioniero  co'  suoi  figliuoli,  eh'  erano  con  lui  ift), 
Carlo,  avuta  tal  nuova,  fu  costretto  dal  debito  del  sangue 
e  dair  (J^blìgo,  che  avea  a  quel  buon  Re^  che  T  avea  aiu* 
tato  ad  acquistare  due  Regni,  di  ponersi  sopra  T  armata, 
ehe  avea  apparecchiata  per  passare  in  Grecia,  ed  andar 
subito  a  Tunisi  \f>)\  dove  trovò  Tesercito  franzese  co- 
tanto estenuato,  che  parve  miracolo  di  Dio,  che  i  Mori 
non  r  avessero  assaltato  e  dissipalo;  e  trovò  il  Re  che 
air  estremo  di  sua  vita,  stava  nel  punto  di  render  l' a^- 
nima  a  Dio,  come  la  rese*  guanto  fosse  il  suo  ar- 
rivo earo  a'  figliuoli  del  Re  ed  a  tutto  P esercito,  non 
è  da  dimandare,  perchè  a  quel  tempo  medesimo  venne 
ott  numero  infinito  d  Arabia  con  disegno  non  tanto  di 
soccorrere  il  Re  di  Tunisi,  quanto  di  saccheggiare  le 
ricchezze  del  Re  di  Francia,  e  del  Re  di  Navarra  e  di 

{a)  Villani  lib.  7  cap.  37.  (^)  Costanzo  lib.  i. 


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DEL  REGNO  DI  NAPOLI  L.XX.  CÀP.IL  aoc) 
tanti  altri  Principi,  eh'  erano  seco  venuti  a  quella  im- 
presa, ma  poiché  videro  Tesercito  Cristiano  accresciuti^ 
d'un  tal  soccorso,  se  ne  tornarono  a' loro  paesi;  ed 
il  Re  di  Tunisi,  eh^  aspettava  d'  ora  in  ora^  che  gli 
Arabi  in  quel  modo  lo  liberassero  dall'assedio,  uscito 
da  tal  speranza,  mandò  Ambasciadori  al  Re  Carlo  per 
la  pace:  Carlo  temendo,  che  la  peste  non  a*  incrude- 
lisse ancora  co*  suoi,  come  avea  consumato  V  esercito 
di  Re  Luigi;  e  vedendo  ancora  Filippo  suo  nipote, 
nuovo  Re  di  Francia,  desidei'oso  d'  andare  a  coronarsi, 
?ntrò  con  gli  Ambasciadori  del  R|S  di  Tunisi  nella  pra- 
tica della  pace,  la  quale  fra  brevi  dì  si  conchiuse  eoa 
questi  patti:  che  si  pagasse  al  nuovo  Re  di  Francia 
una  gran  quantità  d' oro  per  la  spesa ,  ck*  avea  fatta 
nel  passaggio  :  che  si  liberassero  tutti  i  prigioni  Cri» 
stiani^  cV  erano  nel  Regno  di  Tunisi:  che  potessero  i 
Cristiani  liberamente  praticare  con  mercatanzie  in  Af* 
frica:  che  si  potessero  ivi  edificare  Chiese  e  Mona-^ 
sterj  e  predicarsi  il  sacro  Evangelio  di  Cristo  sen- 
za  impedimento:  e  che  7  Re  di  Tunisi  e  suoi  sucees" 
sori  restassero  tributari  al_  Re  Carlo  ed  a'  discendenti 
di  lui^  di  ventimila  doble  d^oro.  Tributo  che  da'  Re 
di  Tunisi  altrevolte  s'era  pagato  a' Re  di  Sicilia, 
come  al  Re  Ruggiero  e  Guglielmo  normanni.  Tutini 
da*  regj  archivi  trascrive  una  carta,  ove  st9  notato 
quanto  importasse  V  anno  questo  tributo,  il  di  cui  te- 
nore è  tale:  Tributum  Tunesi  debitum  Regi  Siciliae^ 
knno  quolibet  est  Bisantinorum  triginta  quatuor  millia^ 
tercentum  triginta  tribus,  quorum  Bisantinorum  nuodli-' 
bet  yalet  tarenos  auri  duoSy  et  dimidium\  et  sic  re- 
ductis  ipsis  Bisantiis  ad  tarenum  aureum\  sunt  tare- 
num^  triginta  tria  millia^  triginta  tribus^  quibus  tarenià 
reductis  in  uncias  auri^sun$  unciaà  duo  milUa^octua* 

»4 


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i^ia  STORIA  CIVILE 

ginta  iriginta  tribiis.  Collecta  Igitur  Bisantinorumidie* 
forum  summa  per  trihus  annis^  prò  quihus  trihutum 
ipsum  dehetur  dieta  Begi,  ascendit  ad  Bisanùnorum 
centum  millia.  Summa  dictorum  tarenorum^  prò  eisdem 
trihus  annisy  unciarum  ceto  millia  trecenta  trihus  u- 
num  (a). 

I.  Gaulo  per  la  cessione  di  Maria  figliuola  del  Principe 
d' Antiochia  diviene  Be  di  Gerusalemme. 

Venuto  Fanno  1275  Papa  Gregorio  senza  aver  fatto 
nulla  dì  quanto  avea  designato,  venne  a  morte,  ed  in 
suo  luogo  fu  eletto  Pietro  di  Tarantasia  Borgognone 
Frate  Predicatore ^  che  fu  chiamato  Innocenzio  V.  Carla» 
udita  relezione  d'un  Papa  franzeee  riassunse  con  molta 
alterigia  la  dignità  sua  Senatoria,  ed  avendo  in  suo 
luogo  sustituito  Giacomo  Canlelmo,^  che  altre  volte  ivi 
era  stato  suo  Yiearlo,  governava  Roma  a  sua  voglia, 
ottenendo  per  se  e  per  gli  amici  qi:^ello  che  volea;  ma 
fosio  le  sue  speranze  si  dispersero,  poiché  avendo  In< 
nocenzio  appena  pochi  mesi  retto  il  Pontificato,  finì 
ì  giorni  suoi.  Ed  i  Cardinali  ingelositi  della  potenza 
di  Carlo,  tosto  elessero  un  Papa  Italiano,  che  fu  Ot- 
tobono  del  Fiesco  genovese  nipote  d' Innocenzio  IV, 
che  Adriano  V  nomossi.  Costui,  in  quél  poco  tempo 
che  visse  da  poi,  mostrò  gran  volontà  d' abbassare  la 
potenza  di  Carlo,  che  teneva  oppressa  Italia  e  Roma, 
ed  avea  perciò  chiamato  Tlmperador  Rodolfo.  Ma  Tesser 
tosto  Adriano  mancato,  e  rifatto  Pietro  Cardinal  Spa- 
gnuolo  per  suo  successore,  che  Giovanni  XXll^  secondp 
il  Platina,  e  secondo  altri  XXI  fu  nomato,  la  potenza 
di  Carlo  non  mancò  punto; poiché  Giovanni  ancor  che 

(a)  Tutiai  degli  Ammir.  del  Regn,  pagp.  64« 


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DEL  REGNO  DI  NAPOLI  L.XX.  GAP. IL  su 

di  santi  costumi,  er^  affatto  inabile  al  goyemò  di  tanta 
macchina;  e  Garlo,  pome  Senator  di  Roma  governava 
ed  amministrava  ogni  cosa  appartenente  al  Papato.  Per 
la  qual  cosa  durante  il  suo  Pontificato,  e  sei  mesi  dopo 
la  morte  di  Giovanni  che  vacò  la  Sede,  Appostolica, 
insino  air>  elezione  di  Papa  Niccolò  111  era  riputato 
maggiore,  ed  il  più  temuto  Re  di  que*  tempi:  poiché 
oltre  i  due  Regni,  e  le  Signorie  di  Provenza  e  d'An« 
giò  che  possedeva  in  Francia,  avea  tributario  il  Regno 
di  Tunisi;  e  Tutini  aggiunge,  che  8*era  impadronito 
anche  dell* isola  di  Gorfù  (a);  e  come  tributari  avea 
ancora  i  Fiorentini,  ed  a  divozione  tutte  le  città  Guelfe 
d' Italia.  Disponeva  ancora  del  giovane  Re  di  Francia 
suo  nipote;  ma  quello,  che  più  lo  rendea  formidabile, 
era  la  quantità  di  gente  di  guerra  ch'egli  nudriva  in 
varie,  e  diverse  parti  sotto  la  disciplina  d'  espertissimi 
Capitani.  Era  ancor  potente  per  forze  marittime,  le 
quali  erano  poco  meno  di  quelle  di  terra,  tenendo  nei 
nostri  porti  varie  armate  di  mare,  numerose  di  va- 
acelli,  sotto  il  comando  d'Errico  di  Mari  genovese 
suo  Grand*AmmiragUo;  ed  al  di  lui  imperio  ubbidiva 
r  uno  e  r  altro  mare  superiore  ed  inferiore;  onde  a 
questi  tempi  non  potevano  certamente  i  Yinegiani  van- 
tarsi del  dominio  del  Mare  Adriatico,  poiché  Carlo 
era  più  potente  in  mare  eh'  essi  noq  erano;  alle  di  cui 
forze  marittime  fidandosi,  avea  egli  intrapreso  di  scac- 
ciar r  Imperador  Paleologo  dalla  Sede  di  Costantino- 
poli^  e  fare  altre  imprese  in  Oriente. 

Per  questo  Maria  figliuola. del  Principe  d'Antiochia, 
cui  Ugo  suo  zio  Re  di  Cipri  le  contrastava  il  titolo 
e  le  ragioni  del  Regno  di  Gerusalemme,  venne  in  Roma 

{a)  Tutini  degli  Ammir.  pag.  64- 


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àia  STORIA  CIVILE 

é  ricorse  al  Papa  ed  al  Re  Carlo,  perchè  volessero 
aiutarla;  ma  poiché  vide  il  Papa  poco  disposto,  fu  iti* 
dotta  finalmente  da  Carlo  a  ceder  a  lui  queste  sue 
ragioni:  onde  innanzi  al  Collegio  de<  Cardinali  asse- 
gnò e  rinunziò  al  medesimo  tutte  le  ragioni,  che  avea 
nel  Regno  di  Gerusalemme^  ed  il  Principato  d'Antio- 
chia {a)i  con  tulle  le  solennità,  che  si  richiedevano  a 
cosa  di  tanta  importanza  (b):  onde  Papa  Giovanni  che 
favoriva  il  Re,  avendo  per  vere  le  ragioni  di  Maria, 
in  quest'  anno  1277  coronò  Carlo  Re  di  Gerusalemme, 
e  da  questo  tempo  cominciarono  gli  anni  del  suo  Re* 
gno  di  Gerusalemme. 

Carlo  avuta  tal  cessione  mandò  subito  Ruggiero  San- 
Severino  a  pigliare  il  possesso  di  tutte  le  terre  che 
Maria  possedeva,  e  ad  apparecchiare  di  ricovrar  Tal- 
tré;  ed  in  un  medesimo  tempo  ordinò  un  apparato 
grandissimo  di  guerra  di  infinite  galee  ed  altri  legni, 
con  numerose  genti,  per  l'impresa  non  meno  di  Co^ 
stantì nopoli  ohe  di  Gerusalemme. 

Le  ragioni  di  Maria  sopra  il  Reame  di  Gerusalemme 
venivano  a  lei  per  la  sua  madre  Melisina  quarto  ge- 
nita, che  fu  di  Isabella  sorella  di  Balduino  lY  Re  di 
Gerusalemme.  Lasciò  Isabella,  dal  suo  primo  marito 
Corrado  di  Monferrato,  come  nel  XVI  libro  fu  nar- 
rato, quattro  femmine:  la  primogenita  Maria  fu  madre 
dir  Jole  seconda  moglie  dell'  Impérador  Federico,  al 
quale  il  titolo  e  le  ragioni  di  Gerusalemme  furono  date 
in  dote:  perciò  Federico,  Corrado  suo  figliuolo  e  Cor- 
radino  si  valsero  del  titolo  di  Re  di  Gerusalemme.  Pejr 
la  morte  di  Corradiop  ultimo  del  sangue  Svevo  senza 

{a)  Chìoccarell,  tom.  i.  M.  S.  giurisd.  (b)  Raiuald.  Anna!, 
ad  atm.   1377. 


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DEL  REGNO  DI  NAPOLI  L.XX.  GAP  JL  iii3 
successori,  essendo  éstìate  <]ueste  tagioai  in  quella  li- 
nea, pretendeva  Maria  come  figliuola  di  Melisina  che 
8*  appartenessero  a  lei. 

La  secondogeàita  d'Isabella  fu  Alisia.  Costei  si  caso 
con  Ugo  Re  di  Cipro.  Pretese  questi  per  le  ragioni  di 
sua  moglie,  estinta  la  linea  diella  primogenita  nella  per- 
sona di  Corradiuo,  di  poter  egli  intitolarsi  Re  di  Ge- 
rusalemme, siccome  fece;  ma  per  parte  di  Maria  d'An- 
tiochia)  si  diceva  che  anche  queste  ragioni  d*  Alisia 
fossero  estinte,  poiché  il  Re  Almerico  di  Cipro,  altro 
marito  della  Regina  Isabella,  al  qual  successe  il  Re 
TJgo  suo  figliuolo >  procreato  con  la  sua  prima  moglie 
e  marito  dell'  Alisia,  le  avea  cedute  a  Giovanni  di 
Brenna  marito  di  Maria  primogenita  ,  siccome  scrìve 
il  P.  Lusignano  nella  Cronaca  de' Re  di  Cipri. 

La  terzogenita  d'Isabella  fu  Sibilla,  Costei  maritata 
iKon  Livone  Re  d'  Armenia  morì  senz*  eredi;  onde  re- 
stavano solamente  le  ragioni  di  Melisina  quartogenita 
madre  di  Maria^  che  fece  la  cessione  a  Carlo. 

Ma  questa  cessione  avea  delle  gravi  difficoltà;  poi- 
ché veramente  non  potea  dirsi,  che  le  ragioni  della 
secondogenita  Alisia  fossero  estinte  per  la  cessione  fatta 
da  Almerico  a  Giovanni  di  Rrenn a;  poiché. quella  ces- 
sione non  potea  pregiudicare  a* suoi  successori,  i  quali 
vengono  a  succedere  in  quelle  per  altra  cagione,  cioè 
per  le  ragioni  d'Alisia,  alla  quale,  come  figliuola  di 
Isabella,  non  già  d'Almerico  s'appartenevano,  né  que. 
sti  cede  altro,  che  quelle  ragioni,  che  allora  le  ap«> 
partenevano,  come  marito  d'Isabella,  non  già  le  future, 
che  per  altra  cagione  poteano  spettare  ad  Alisia  e  suoi 
descendenti;  per  la  qual  cosa  saviamente  avvertì  il 
P.  Lusignano,  che  questa  cessione  di  Maria  fatta  a 
Carlo  fu  di  quelle  ragioni,  ch'ella  non  avea  ,  ma  cbf^ 


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2i4  STORIA  CitlLE  ^ 

spettavano  ad  Alisia  sua  zia  moglie   del  Rè   Ugo.  Ed 
in  effetto,  quando  Federico  II  Imperadore  fa  scomu- 
nicato e  tornò  in  Paglia,  lasciando  la  Scria,  la  vedova 
Regina  di  Cipri  andò  in  Scria,  ricorrendo  agli  Ospi- 
talieri e  Templari,  perchè  la  mettessero  nel    possésso 
del  Regno  di  Gerusalemme,  stante   che  Federico  era 
tornato  in  Puglia,  ed  era  stato  scomunicato:  di  che  gli 
Ospitalieri  e  Templari  non  vollero   far  nulla,   rispon- 
dendoli, che  volevano  aspettar  un  anno   a  vedere^   se 
anderebbe  in  Soria  Corrado  figliuolo  di  Federico  e  di 
Tiolante  sua  moglie,  figliuola    della    sorella  maggiore 
da  parte  di  madre  di  questa  Regina  di  Cipri:  il  qual 
Corrado  èra  più  propinquo  alla  Corona  e  successione 
del  Regno,  siccome  narra   il   Bossio  (a).    Quindi   av- 
venne, che  Carlo  avvertito    da   poi  della,  poca   sussi- 
stenza di  queste  ragioni   di   Maria;   si   convenne   con 
Errico  II  di  tal  nome  Re  di  Cipri,  che,  come  scrive 
P.'  Lusignanoy  gliele  constrastava.  E  sebbene  Errico  ri- 
novasse  da  poi  la  contenzione  col  Re  Carlo  II  d'An- 
giò  per  le  ragioni  dell*  ava;  nuUadiroanco  così  il  sud- 
detto Carlo,  come  tutti  gli  altri  Re  Angioini   suoi  suc« 
cessori,  continuarono  ad  intitolarsi  sempre    Re  di  Ge- 
ì-usalemmey  come  si  vede  da' loro   diplomi  e  privilegi. 
Ed  il  Re  Roberto   colla    Regina   Sancia  sua   moglie, 
essendo  ne' loro  tempi  dal  Soldano  angustiati  più  che 
mai  i  Cristiani,  che  ministravano  al   Santo  SepolcrO| 
convenne  col  Soldano,  che  non  si  dasse  impedimento 
alcuAo  a'  Cristiani,  che  ivi  erano,  con  promettergli  per- 
ciò grosso  tributo,  somministrando  ancora  a  quelli  tutto 
il  bisognevole^  perchè   non    mancassero   d'  assistere   a 
quel  santo  luogo  (h).   Parimente  la  Regina   Sancia  a 


{a)  Bossio  Istor.  di  Malta,  1.   16  p.  56i.    (b)    Y.  Raìnaldl 
Annal.  ann.  i342. 


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DEL  REGNÒ  DI  NAPOLI  L.XX.  GAP.  IL  iii5 
Bu«  spese  fece  edificare  nel  Monte  Sion  uri  convento 
e* Frati  Minori  di  IS.  Francesco,  e  n'ottenne  anche 
Bolla  da  Papa  Clemente  VI  rapportata  dal  Wadingoi 
il  quaì  Autore  narra  ancora ,  che  la  Regina  Giovanna  I 
ottenne-  anche  dal  Soldano  petmidsione  di  poter  co- 
struire un  altro  convento  a^Ffati  suddetti  di  S.  Fran- 
cesco nella  Valle  di  Giosafat  BOtnministrando  ella  le 
spese,  e  quanto  bisognava  pet  mantenimento  di  detti 
Frati  (a).  Donde  alcuni  fondano  il  patronato,  che  ten- 
gono i  Re  di  Napoli  nel  S.  Sepolcro,  ed  in  detti  luo- 
ghi serviti  da'  Frati  Minori  di  S.  Francesco,  soccorsi 
e  fondati  con  tante  spese  da'  loro  predecessori,  avva- 
lorato anche  dalla  Bolla  di  Papa  Clemente. 

Ma  altri  ponderando,  che  il  fonte,  onde  deriva  il 
titolo  di  Re  di  Gerusalemme  a' Re  di  Napoli,  sia  al- 
quanto torbido^  Volendosi  tirare  da  questa  cessione  di 
Maria,  per  ischermifsi  ancora  più  validamente  dallb 
pretensioni  de' Re  d'Inghilterra,  de' Marchesi  di  Mon- 
ferrato (  donde  tirano  le  loro  ragioni  i  presenti  Duchi 
di  Savoja  )  e  della  Signoria  di  Vitiegia,  i  quali  per 
la  successione  de'  Re  di  Cipro  tutti  pretendono  que- 
sto titolo;  scrissero,  che  a'  Re  austriaci  giustamente 
s'  appartenga  per  le  ragioni  di  Maria  primogenita  di 
Isabella  sorella  di  Balduino  IV  Re  di  Gerusalemme, 
le  quali  non  s'  estinsero  nella  persona  di  Gorradino  ', 
poiché  gli  Scrittori  oltramontani  ed  Italiani  tutti  con- 
cordano, che  quando  fu  moz2o  il  capo  a  quel!'  infelice 
Principe,  investì  egli  col  guanto,  e  coli'  anello  di  tutti 
i  suoi   Regni   e   ragioni   il  Re  Pietro   d'Aragona,  at 

(a)  V,  J'r.  Luca  Wadlngo  Annal.  Min.  tom.  3  fol.  4^^- 
V.  Lucerna  Hierosolymitana.  Y.  D.  Maurizio  d'Alsedo  nella 
GerQsal.  Schiava ,  pag.  77-  '  ■    .  - 


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ai6  STORIA  CIVILK 

quale.  s*app«rteneya  la  successióne  di  tutti  i  Regni  e 
Stati  di  GorradinO)  com' erede  della  famiglia  di  S?evia 
a  cagione  di  Gostanza  figliuola  del  He  Manfredi;  ed 
al  Re  Pietro  essendo  per  legUtima  successione  succe- 
duto il  Re  Federico  d^ Aragona,  ed  a  costui,  i  Re  au- 
striaci di  Spagna  suoi  successori,  meritamente  questi 
se  ne  sono  intitolati  Re  con  maggior  giustizia  e  ra- 
gione, che  tutti  gli  altri  Competitori. 

GAPITOLO   III. 

Nuova  Nobiltà  Jranzese  introdotta  da  Carlo  I 
in  Napoli^  e  nuovi    Ordini  di  Cavalieri, 

iNel  Regno  à^^  Normanni^  siccome  si  vide  ne' pre- 
cedenti libri  di  quest'Istoria,  molti  Signori  franzeai 
capitarono  in  queste  nostre  parti  adorni  di  militari  po- 
Bti,  de'  quali,  come  Capitani  in  guerra  espertissimi,  si 
valsero  que'  Principi,  che  dalla  Normannia,  paese  della 
Francia,  ci  vennero:  furono  in  premio  delle  loro  lun- 
ghe e  gloriose  fatiche  lor  conceduti  molti  Feudi  ^  ed 
aggranditi  co'  maggiori  Ufficj  della  Corona:  essi  per 
ciò  introdussero  appo  noi  un  nuovo  modo  di  suc- 
cedere ne'  Feudi,  detto  jus  Francorum  ;  e  molte  altre 
usanze  e  riti  vi  portarono.  Ma  questi  Baroni  non  in 
Napoli  si  fermarono:  moki  in  Sicilia,  e  p.irticolarmente 
jin  Palermo,  allora  Sede  regia,  fecero  permanenza.  Altri 
ne' loro  Stati,  de'  quali  erano  investiti,  altri  seguendo 
la  persona  de' loro  Princìpi,  decorati  di  varii  Ufficj 
ivi  residevano,  dove  era  la  persona  regale,  ovvero  dove 
ricercava  il  lor  posto,  facevano  residenza.  Ma  que'  Ca- 
pitani,^ e  que'  guerrieri  franzesi  e  provenzali,   che   se- 


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DEL  REGNO  DI  NAPOLI  L.XX.  CAP.III.    ^17 

guirono  Re  Carlo  neir  impresa  di  questi  Regni,  resi- 
dendo,  dopo  avergli  conquistati,  per  lo  più  egli  in  Na- 
poli,  in  questa  città  si  fermarono,  ove  dalla  munifi- 
cenza del  Re  riceverono  i  premj  delle  loro  sofferte  fa- 
tiche; poiché  Carlo,  dopo  essere  entrato  in  Napoli, 
con  magnifico  apparato,  e  con  allegrezza  ricevuto, 
avendo  passati  molti  dì  in  festa  con  la  Regina  Bea- 
trice sua  moglie,  e  con  gli  altri  Signori  franzesi,  volle 
premiar  tutti  coloro,  che  Taveano  servito;  e  fatto  scrn- 
tinio  de'  Baroni,  che  aveano  seguitato  la  parte  di  Man* 
fredi,  confiscati  i  loro  beni,  cominciò  a  compartirgli  a 
costoro,  principiando  da  Guido  Monforte,  eh* era  stato 
Capitan  generale  di  tutto  il  suo  esercito,  e  da  Guglie!* 
mo  Belmonte,  che  oltre  averla  fatto  Grand' Ammira-» 
glio,  rinvestì  del  Contado  di  Caserta,  e  donò  molt« 
città  e  castelli  a  moltissimi  altri.  Furono  premiati  Gu- 
glielmo Stendardo,  Gugliemo  di  Clinetto,  Ridolfo  di 
Colant, .  Martino  di  Dordano,  Bonifacio  di  Galiberto, 
Simene  di  Belvedere,  Pietro  di  Ugoth,  Giovanni  Galar- 
do de  Pies,  Giordano  dell'Isola,  Pietro  di  Belmonte,  Ro- 
berto Infante,  Beltrano  del  Balzo,  Giacomo  Cantelmo, 
Guglielmo  di  Tornay,  Rinaldo  d'Aquino,  ed  altri  mol- 
tissimi rapportati  dal  Costanzo,  e  dal  Summonte  (a), 
e  più  diffusamente  da  Pier  Vincenti  nel  Teatro  dei 
Protonotari'  del  Regno,  dove  favella  di  Roberto  di 
Bari,  per  le  cui. mani,  come  Protonotario  del  Regnò 
passavano  allora  queste  donazioni.  Ed  oltre  aver  pre- 
miato anche  i  Romani  e  gli  altri  Italiani,  che  lo  se- 
{[uirono,  ebbe  particolar  cura  di  que'  Cavalieri  f ran-» 
2e^i,  che  di  Provenza  e  di  Francia  condusse  seco  , 
Acquali   donò   città,    terre,   castelli,   dignità   ed  uffìcii 

{a)  Co^aazo  lib.  x.  Summonte  to.  2  pag.  2^0, 


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ai 8  STORIA  CIVILE 

eminenti  nel  Regno;  tra* quali  furono  più  chiari  quelli 
di  casa  Gianvilla,  d'Artois,  d'Appia,  Stendardi,  Gàn^- 
tclmi,  Merloti  della  Magna;  qua' di  casa  di  Bursoa, 
di  Marsiaco,  di  Ponsico  detti  Acclocciamuri^  di  Ghia'- 
ramonte,  di  Cabani,  ed  altri.  Potè  Napoli  pertanto^ 
oltre  r  antica,  pei*  la  nuova  e  numerosa  Nobiltà  fran- 
2ese  quivi  stabilita  con  tanti  Feudi,  preminenze  ed 
nf&cii,  rendersi  sopra  ogni  altra  città  del  Regno  più 
illustre  e  chiara  ;  ond'  è,  che  poi  meritamente  acqui- 
stonne  il  titolo  di  nobile^  ovvero  di  gentile. 

$.  I*   Cavalieri  armati  da  Carlo  in  Napoli- 

'  Ma  quello  che  sopra  ogni  tìltro  rese  illustre  questa 
città,  fu  averla  questo  Principe  arricchita  d'infinito 
numero  di  Cavalieri,  con  avere  ornati  d' Ordine  di  ca- 
valleria moltissimi  cittadini,  oltre  molti  altri  del  Re- 
gno, nel  quale  per  ciò  introdusse  in  tanta  frequenza 
l'esercizio  militare,  che  quelli,  che  sotto  la  disciplina 
sua  e  de' suoi  Capitani  erano  esercitati  nelle  guerre^ 
non  cedeano  punto  a'  veterani,  eh'  egli  avea  condotti 
di  Provenza  e  di  Francia4 

L'ordine  de'  Cavalieri  fu  presso  i  Romani  in  tanta 
stima  e  riputazione  ch'era  uno  de' tre  Ordini^  dei 
quali  si  componeva  quella  Repubblica:  Martia  Roma 
triple X  ^  EquitatUy  Plebe^  Senatu^  dice  Ausonio.  Cioè 
di  Senato,  Cavalieri,  e  minor  Popolo*  Il  Senato  per 
lo  consiglio:  li  Cavalieri  per  la  forza:  il  minor  Popolo, 
per  somministrare  e  fornire,  ovvero  ridurre  a  perfe* 
zione  le  cariche  della  Repubblica. 

Prima  Y  Ordine  de'  Cavalieri  era  come  un  Semina*- 
rio  di  Senatori:  poiché,  come  dice  Livio,  da  quest'Or- 
dine si  pigliavano,  e  si   facevano   i   Senatori;   ma   da 


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DEL  REGNO  DI  NAPOLI  L.XX.  CAP.lIL  1219 
}k>i  che  i  grandi  Ufficii  furono  comunicati  al  minor 
Popolo,  li  Senatori  erano  scelli  da  que'  eh*  erano  stati 
Magistrati.  Prima  i  Romani  davano  il  cingolo  militare 
a  coloro  ch'erano  abbondanti  di  beni  di  fortuna-,  on- 
de nacque,  che  chi  aren  molti  sestertii  poteva  aspirare 
ad  entrar  in  qucst'  Ordine,  siccome  a  quello  di  Sena- 
tori ancora.  In  tempo  poi  degli  Imperadori  era  dato 
con  soiénoità  alle  persone  di  merito,  e  più  frequen- 
temente a  quelle,  che  non  aveano  ufficio  o  carica  pub- 
blica, ma  dimoravano  per  lo  più,  come  semplici  gen- 
tiluomini nella  Corte  dell'  Imperadore;  e  perchè  erano 
di  più  aorte,  perciò  V  Imperadore  in  una  sua  Costi- 
tuzione, che  ancor  leggiamo  nel  Codice  di  Giustinia- 
no (a),  volle  stabilire  le  loro  precedenze,  e  dopo  quelli 
che  tengono  esercizio  per  qualche  ufficio  o  carica, 
mette  in  secondo  luogo  que' Cavalieri,  acquali  essendo 
•In  Corte  avea  egli  dato  il  cingolo  militare:  nel  terzo 
luogo,  quelli  a'  quali  non  essendo  in  Corte,  ma  as* 
senti,  avea  F Imperadore  mandato  il  cingolo:  nel  quar- 
to, quelli  a*  quali  questo  cingolo  non  era  stato  dato 
in  tutto,  ma  acquali  essendo  in  Corte,  T Imperadore 
avea  semplicemente  concedute  le  lettere  di  dignità:  é 
nel  quinto  ed  ultimo  luogo,  quelli  a  quali  area  sem- 
plicemente mandate  queste  lettere  in  loro  assenza.  Pre- 
cedevano perciò  secondo  quest'ordine;  da  che  ne  se- 
guiva, che  questo  cingolo  dato  a  coloro  che  non  aveano 
ufficio  0  carica  pubblica,  attribuiva  loro  il  dritto  di 
portar  continuamente  la  spada,  e  conseguentemente  di 
godere  de' privilegi  delle  genti  d'arme;  e  ch'era  più 
onore  averlo  dalle  mani  dell'  Imperadore,    che  man* 

(a)  L.  2.  C.  Ut.   dignit.  ord.  serv* 


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25to  STORIA  CIVILE 

dato  in  iissensa:  e  più  avere  il  cingolo ,  die  le  lettere 
di  dignità. 

Ruinato  T  Imperio  romano,  e  delle  eue  ruine  surtì 
in  Europa  nuovi  Reami  e  domini!,  i  Re  di  Francia, 
per  quanto  si  sa,  furono  i*  primi,  che  vollero  rino- 
vare  sì  bello  istituto  (a);  i  quali  al  medesimo  modo, 
coloro,  che  conoscevano  di  grande  merito,  o  almeno 
ch'essi  volevano  elevare  a  dignità,  allora  che  non 
aveano  ufficio  o  carica  pubblica  da  conferir  loro,  gli 
facevano  Cavalieri^  cioè  a  dire,  gli  dichiaravano  gente 
d'arme  onorarie  per  godere  de'  privilegi  militari,  an- 
corché non  fossero  arrotati  tra  le  genti  di  guerra.  Ed 
in  fatti  la  maggior  parte  degli  antichi  Scrittori  fran* 
zesi  chiamano  in  Latino  il  Cavaliere  Miliiem  e  non 
Equitem.  Ond'  è,  che  quando  vplevano  armarlo  Cava- 
liere di  cavallo^  spezialmente  essi  lo  dichiaravano  per 
gente  d'arme  di  cavallo,  perchè  in  Francia  costoro 
sono  molto  più  stimati ,  che  quelli  a  piedi.  Ed  in  se- 
gno di  ciò,  che  gli  facevano  gente  d' arme,  essi  davan 
loro  il  cingolo  militare  ne' di  più  segnalati  e  rimar- 
chevoli, e  sotto  cerimonie  le  più  illustri  e  magnifiche 
che  bi  potessero.  Ciò  che  fu  da  poi  imitato  da' nostri 
Re  Normanni j  da  Ruggiero  I  e  dagli  altri  seguenti  Re, 
anche  Svevi^  ma  sopra  tutti  da  Carlo  d'Angiò  e  dagli 
altri  Re  Franz  e  si  suoi  successori. 

I  giorni  destinati  per  tal  cerimonia  erano  per  lo  più 
quelli  della  loro  incoronazione:  ne' primi  ingressi  che 
facevano  nelle  città:  ne' dì  d'alcune  festività  granchi, 
ed  in  particolare  della  Vergine  Maria;  ovvero  in  oc- 
casione di  qualche  pubblica  allegrezza  {by.  Era  ancora 

{a)  Loyscau  des  Sign.  ijb)  Tulini  dell' Orig.  de' Seggi,  cap> 
li  p.'  143. 


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DEL  REGNO  DI  NAPOLI  L.XX.  GAP. III.  ^ai 

antica  usanza  di  fargli  Gavalieri,  o  avanti  una  batta- 
glia, o  quando  doveano  dar  qualche  assalto  ad  una 
Piazza,  affin  d' incoraggìre  i  bravi  gentiluomini  a  por- 
tarsi valorosamente;  ovvero  dopo  la  battaglia  ^  o  presa 
della  Piazza,  per  ricompensar  quelli,  che  s'erano  por- 
tati con  valore,  .ed  ardire  (a).  Si  facevano  ancora  in 
tempo  de' maritaggi  de' Re,  o  loro  figliuoli,  o  per  la 
natività  del  Prìncipe,  per  onorare  i  Tornei,  che  vi  si 
facevano. 

I  nostri  Re  prima  d'ogni  altra  cosa,  per  mezzo  di 
un  general  editto  solevano  pubblicar  per  tutto  il  Re- 
gno il  giorno  destinato,  nel  quale  doveasi  far  tal  ce« 
rimonia,  affinchè,  chi  voleva  prendere  il  cingolo,  s'ac- 
cingesse a  portar  i  requisiti,  che  secondo  le  nostre 
Costituzioni  erano  ricercati;  poiché  il  nostro  Ruggiero  I 
Re  di  Sicilia  avea  fatta  una  costituzione  {b)y  colla  quale 
ordinava,  che  senza  licenza  del  Re,  e  senza  che  di- 
scendessero da  Cavalieri,  niuno  potesse  aspirare  al 
cingolo  militare:  ciò  che  fu  confermato  da  Federico 
II  nella  Costituzione  (e)  che  siegue,  la  quale  non  a 
Ruggiero,  come  eoa  errore  leggesi  nelle  vulgate,  ma 
a  Federico  deve  attribuirsi^  così  perchè  in  quella,  in- 
tendendo di  Ruggiero,  lo  dice  Avi  nostri\  come  anche 
perchè  della  medesima  fece  menzione  nella  sua  Cro- 
naca Riccardo  da  S.  Germano,  che  dice  essersi  pub* 
blicata  da  Federico  in  un  Parlamento  generale,  che 
tenne  in  S,  Germano  nel  mese  di  Febbraio  dell'anni 
no  1332. 

I  Re  angioini  vi  aggiunsero  altri  requisiti,  ricercando 
non  solo;  Quod  nullus  possit  accipere  militare   cingu-' 

{a)  Loyseau  des  Ord.  {b)    Consti tut.  Reg.  1.  3  tit.  de  no*' 
va  militia.  (e)  Gonstit.  Constitutione  praesenti. 


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a22  STORIA  CIVILE 

/i/m,  nisiex  parte  patrìs  saltem  sii  miles^  come  8Ì 
legge  nel  Regi&tro  di  Carlo  II  dell'anno  1294  r^p*- 
portato  dal  Tutini  (a):,  ma  che  esso,  ed  i  suoi  mag- 
giori avessero  contribuite  le  collette,  e  sovvenzioni  coi 
Nobili  e  Cavalieri.  Ma  da  una  postilla  di  Bartolommeo 
di  Capua  nella  riferita  Costituzione  di  Ruggiero,  par, 
che  a'  tempi  del  Re  Roberto,  ne' quali  egli  scrisae, 
non  si  ricercasse  più  la  pruova  della  discendenza  da 
Cavaliere,  e  che  solo  in  Francia  era  ciò  richiesto,  ca- 
rne sona  le  sue  parole;  Non  potest  quis  militare  qui 
non  est  de  genere  militum  ex  parte  patrìs.  Hoc  in 
Regno  Siciliae  non  servatur ,  sed  bene  audivi  servari 
in  Regna  Franciae.  Ed  in  effetto  leggiamo  essersi  dato 
il  cingolo  a  molti  del  minor  Popolo,  che  non  potevano 
mostrare  essere  stati  i  loro  maggiori  Cavalieri,  e  molti 
del  Popolo,  così  di  Napoli  come  del  Regno,  armò^ 
Carlo  II  SQO  figliuolo,  e  Roberto,  che  possono  vedersi 
presso  Tutini  (i),  eh' e*  chiama  per  ciò  Cavalieri  di 
grazia,  perchè  ebbero  tal  onoranza  senza  le  suddette 
condizioni. 

Ricercavasi  ancora^  che  il  candidata  fosse  di  età 
adulta.  I  Romani  secondo  riferisce  Dione  (e),  arma- 
vano Cavalieri  da' diciotto  anni  in  su,  e  T  Abate  Te- 
lesimo  (^7)  ne'futti  dei  Re  Ruggiero,  descrivendoci  l'av- 
venenza, e  l'età  de' figliuoli  di  quel  Re,,  dice,  che 
ambedue  erano  capaci  di  prendere  il  cìngolo,  essendo 
già  $idulti:  Bahehat  autem  Rex  Rogerius  et  alips  duos 
Uh  eros  adolescentiores ,  forma  speciosissimos^  morumquc 
honestatc  praeclarissimos\  nec  non  *ad  suscipiendum 
xnilitiae  cingulum  jam  utrosque  adultos. 

{a)  Tutin.  loc.  cit.  pag.  i43  ex  Registr.  Caroli  II  1S194. 
M.  fol.  544-  (&)  Tutin.  lec.  cit.  pag.  aSy.  (e)  Dion.  Cassp 
lib.  52,  {d)  Abb.  Teles.  lib.  3  fol.  i34. 


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DEL  REGNO  DI  NAPOLI  L.XX.  CA.P.  III.  aaS 
A  questo  fine  coloro,  che  volevano  armarsi  Gava- 
Jleri,  (limandayano ,  che  si  prendesse  informazione  dei 
loro  requisiti,  ed  il  Re  commetteva,  o  al  Capitano  di 
.Napoli,  se  eran  Napoletani,  ovvero  a' Giustizieri  delle 
province,  se  Regnicoli,  che  ne  formassero  il  processo: 
e  presa  l'informazione,  costando  de' requisiti,  erano  nel 
giorno  destinato  ammessi  ad  armarsi:  e  costoro  prima 
di  ricevere  il  cingolo  erano  chiamati  in  linguaggio 
francese  Valletti^  che  nel  nostro  suona  Paggi,  Com- 
parivano essi  nel  giorno  della  celebrità  tutti  adorni  di 
vaghi  e  ricchi  abiti  e  nella  maggior  chiesa  della  città, 
ove  dovea  farsi  la  cerimqiiia,  s'alzava  un  gran  palco 
ben  adorno y  dove  s'ergeva  un  altare,  ne' cui  lati  si 
ponevamo  la  sedia  del  Re  el  faldistorio  del  Vescovo, 
e  quivi  vicino  un'altra  sedia  inargentata  coverta  di 
drappo  di  seta.  Sopra  l'altare,  come  narra  Giovanni 
Sarisbecienae  (a),  si  ponevano  le  spade,  che  doveàno 
cingersi  affianchi  de' nuovi  Cavalieri. 

Venuto  il  Re  e  la  Regina  con  tutta  la  lor  Corte, 
Cavalieri,  ed  altri  Nobili  in  chiesa,  s' introducevano 
coloro,  che  doveano  armarsi,  e  si  facevan  sedere  nella 
fiedia  d'argento.  Da  poi,  da  alcuni  Cavalieri  vecchi 
erano  esaminati  se  fossero  sani,  e  ben  disposti  di  cor- 
po a  poter  adoperarsi  nelle  battaglie,  e  ricevuto  il  loro 
esame,  erano  poscia  condotti  in  presenza  del  Vescovo, 
il  quale  sedendo  nel  suo  faldistorio  vestito  da  Dia* 
cono,  teneva  il  libro  de' Vangeli  aperto,  ed  avanti  di 
esso  inginocchioni,  chiamandogli  per  nome  diceva  lo- 
ro (b):  Già  che  volete  ricevere  il  cingolo  militare^,  e 
farvi   Cavalieri^   avete    da  giurare   sopra    questi   Santi 

{a)   Jo.    Sarisbérietis.    ìa   Policratico.    (h)   Tutin.  loc^  oit. 
jpag.  147, 


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m4  storia  civilb 

y angeli j  che  in  verun  conto  non  verrete  mai  cantra  7 fp 
MaeHà  del  vostro.  Re  qui  presente^  e  de* suoi  success 
sori^  e  volendo  voi  partirvi  dalla  fedeltà  del  vostro  Re 
/  che  Iddio  non  permetta  )  il  quale  vi  dovrà  crear  Ca- 
valieri^ dovrete  prima  restituirgli  il  cingolo^  del  qual^ 
òr  ora  sarete  ornati^  e  da  poi  potrete  far  guerra  con^ 
tra  di  esso^  e  ninno  vi  potrà  riprendere  di  fettoniai 
altramente  sarete  riputati  infamai,  e  degni  di  morte. 
Avrete  ancora  da  esser  fedeli  della  Chiesa  cattolica^ 
riverenti  ti  Sacerdoti,  difensori  della  Patria  ^  dell  Onov 
delle  donzelle^  vedove,  orfani^  ed  altre  miserabili  per* 
sane  (a). 

Rispondeyan  quelli,  che  confidati  nella  divina  gra- 
fia sarebbero  stati  fedeli  e  leali  al  loro  Re,  e  arreb- 
baro  osservato  quanto  promettevano,  e  toccando  con 
le  mani  il  libro  de' Santi  Evangeli,  co6Ì  giuravano. 
Poscia  da  due  Cavalieri  veterani  venivan  condotti  alla 
presenza  del  Re,  ed  ivi  inginocchiati,  il  Re  prendeva 
la  sua  spada,  e  con  quella  toccando  leggiermente  a 
ciascuno  il  capo  diceva:  Iddio  ti  faccia  buon  Cavaliere, 
Altri ,  come  il  Mennio  ((),  dicono,  che  il  Re  percuo- 
teva colla  sua  spada  gli  omeri,  non  il  capo.  Allora, 
senza  che  i  valletti  si  movessero  davanti  il  Re,  com- 
parivano sette  donzelle  della  Regina  vestite  a  bianco, 
le  quali  portando  i  cingoli  nelle  loro  mani,  offertigli 
prima  al  Re,  gli  cingevano  ne^ombi  de' Cavalieri.  Si 
prendevano  poi  da  su  l'altare  le  spade,  come  narra 
Pietro  di  Blois  (e),  e  dalle   medesime   donzelle   erano 


{a)  Petr.  Blesens.  epist.  94.  {b)  Frane.  Meauio  ^  Orig.  Mi-* 
lit.  fol.  i4<  Stricto  gladio  leviter.  humeri's  percussis,  etc. 
(e)  Petr,  Blesens.  epist.  94*  Hodie  Tjrones  enses  suos  reci* 
][>iuat  d«  Altari  etc. 


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DEL  REGNO  DI  NAPOLI  L.XX.  CAP.IIL  aaS 

attaccate  a' Iati  de'  nuovi  Cavalieri.  Venivano  appresso 
alcuni  Cavalieri,  e  lor  calzavano  gli  sproni,  e  poscia 
ponevano  loro  '  una  sopravvesta  di  panno  di  lana  verde 
foderata  di  pelle  di  vajo.  La  Regina  poi  dalla  sua  se- 
dia lor  porgea  la  mano,  ed  alzatisi ,  s'  andavano  a  se- 
dere nella  lor  sedia.  Yenivan  allora  tutti  i  Cavallerie 
Nobili  quivi  presenti  a  rallegrarsi  con  loro  della  di- 
gnità ricevuta,  e  datasi  una  colazione  di  cose  inzuc- 
cherate, si  finiva  la  festa. 

D'allora  in  poi  non  più  valletti,  ma  Messeri^  o  Mi- 
liti erano  appellati ,  e  come  gente  di  guerra  gode- 
vano de'militari  privilegi^  e  di  quelli  ancora,  che  hanno 
ì  semplici  Gentiluomini,  cioè  d' essere  esenti  dalle  tasse: 
di  portar  la  spada  sino  al  gabinetto  del  Re  :  goder  il 
privilegio  delU  caccia  :  essere  esenti  dalle  pene  degli 
ignobili  ;  e  non  esser  tenuti  battersi  in  duello  con  gli 
ignobili.  Ne'  loro  tumuli  perciò  si  scolpivano  vestiti 
d^arme,  col  cingolo,  con  la  spada  e  con  gli  sproni  ai 
piedi,  sotto  i  quali  erano  due  capi  per  simbolo  della 
fedeltà,  ciò  ch'era  l'impresa  de*  Cavalieri;  e  di  ciò  in- 
finiti marmi  si  veggono  in  varie  chiese  di  Napoli;  né 
era  permesso  ad  altri,  che  non  fosse  Cavaliere,  farsi 
scolpire  in  cotal  modo  nelle  sepolture;  poiché  i  Dot- 
tori ne'  loro  tumuli  si  scolpivano  con  la  toga  lunga , 
e  col  cappuccio  su'l  capo,  come  si  vede  nella  chiesa 
di  S.  Domenico  Maggiore  di  Napoli  nel  sepolcro  di 
Niccolò  Spinelli  da  Giovenazzo,  detto  di  Napoli  ed 
in  altre  chiese  ancora;  e  que' del  minor  popolo,  come 
i  mercatanti  e  gli  artefici,  si  facevano  scolpire  con  una 
vesta  a  mezza  gamba,  con  maniche  larghe,  e  con  uno 
involto  di  tela  su  '1  capo,  siccome  si  veggono  i  loro 
tumuli  in  varie  chiese  di   questa  città  {a).  Per  questo 

(a)   V.   Tulio.   Oriij.  de'  Seggi  cap.  i4  ^.   i49- 

i5 


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aafi  STORIA  CIVILE 

era  necessario,  che  si  ritornasse  il  cingolo,  quando  si 
voleva  far  guerra  al  Principe,  da  cui  erano  stati  ar- 
mati Cavalieri,  perchè  altrimenti  sarebbero  stati  repu- 
tati felloni  ed  infami,  siccome  de'  Principi  di  Bisìgnano 
e  di  Melfi,  del  Duca  d'Atri  e  del  Conte  di  Madda- 
loni  rapportano  V  Eugenio  ed  il  Tutini  (a),  i  quali  es- 
sendo stati  onorati  da  Luigi  XII  Re  di  Francia  della 
collana  di  S.  Michele,  quando  occupò  il  Regno,  es- 
sendo quello  poi  ricaduto  a  Ferdinando  il  Cattolico, 
restituirono  la  collana  a  Luigi. 

Queste  cerimonie  per  essersi  rese  le  più  segnalate 
e  rimarchevoli ,  si  facevano  con  tale  magnificenza  e 
dispendio,  che  si  vede  così  in  più  Costumanze  di  Fran- 
cia, come  nelle  nostre  leggi  del  Regno,  che  i  Baroni 
aveano  dritto  d'imporre  dazi  sui  loro  vassalli,  e  di- 
mandar sovvenzioni  da  essi  per  le  spese,  che  si  avean 
da  fare  in  tal  funzione,  quando  essi  o  i  loro  figliuoli 
primogeniti  dovean  armarsi  Cavalieri^  non  altrimente 
che  quando  maritavano  le  loro  figliuole  primogenite  (h). 
Noi  ne  abbiamo  una  Costituzione  di  Guglielmo  sotto 
il  titolo  de  adjutoriis  exigendis  (e),  che  parla  de'  fi- 
gliuoli ,  prò  faciendo  filio  Milite,  Federico  II  l'ampliò 
poi  al  fratello,  come  si  legge  nella  Costituzione  Co- 
mitibus  sotto  il  titolo  de  adjutoriis  prò  militia  fratris. 
E  tra  r  epistole  di  Pietro  delle  Vigne  {d)  ne  leggiamo 
una  di  quell' Imperadore  dirizzata  ad  un  Giustiziere, 
affinchè  faccia  esigere  il  solito  adjuiorio  da'  vassalli 
d' un  certo  Barone,  il  cui  figliuolo  dovea  prender  l'o- 

(a)  Engen.  Nap.  dell'  Ordiae  di  S.  Michele.  Tutin.  loc.  cit* 
pag.  x58.  (b)  Andr.  de  Isernia  Gonstit.  quamplurium  de  adju- 
toriis exigend.  lib.  3,  (e)  Gonstit.  Reg.  lib.  3.  (d)  Lib.  5  e- 
pist.  5  fol.  56o. 


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DEL  REGNO  DI  NAPOLI  L.XX.  CAP.IIL  337 

noranza  di  Cavaliere  :  Idem  Justitiarius  a  VaxallU 
praefati  Baronis  juxta  Constitutionem  Regni  nostri  suh" 
ventionem  fieri  faciat  congruentem. 

Cosi  ancora  nel  Regno  di  Cario  di  Angiò  e  del  suo 
figlinolo  leggiamo  ne'  regali  Archivi  molti  di  questi 
ordini;  e  nel  Registro  dell'anno  1268  (^),  se  ne  vede 
uno  spedito  a  favore  di  Filippo  Brancaccio  :  Scriptum 
est  Justitiario  Terrae  Laboris,  ec,  Quod  Philippo  Bran» 
caccio^  qui  nuper  se  fecit  militari  cinguìo  decorari ^ 
suhventìonem  per  hoc  congruam  a  Vaxallis  suisfaeiat 
exhiheri,  £  nel  Registro  dell'anno  1394  (&)  un  altro 
a  beneficio  di  Lionardo  6*  Framondo  :  Quod  Vaxalli 
Leonardi  de  S,  Framundo^  praestent  eidem  congruam 
suhventionem  juxta  Regni  consuetudinem ,  prò  militari 
cingulo  accipiendo,  Simil  ordine  ottenne  Adinolfo  d'A- 
quino [per  Cristoforo  suo  fratello,  quando  da  Carlo 
primogenito  del  Re,  mentr' era  in  Francia,  fu  cinto 
Cavaliere:  Adenulphus  de  Aquino  petit  suiventionem  a 
vaxallis  prò  Christophoro  ejus  fratre  militari  cingulo 
decorato  a  Carolo  primogenito  in  partihus  Franciae  (e). 
£  poiché  per  la  celebrità  e  magnificenza ,  che  si  usa- 
vano nella  creazione  de'  Cavalieri^  s'introdusse,  che 
non  solamente  i  semplici  Gentiluomini,  ma  anche  ì 
Principi,  i  fratelli  e  «ino  i  figliuoli  del  Re  volevano 
avere  quella  dignità  di  Cavaliere^  perciò  nella  crea- 
.zione  de'  figliuoli,  o  fratelli  del  Re,  poteva  questi  di- 
mandar la  sovvenzione  da'  suoi  vassalli  per  tutto  il 
Regno  ;  ed  Andrea  d' Isernia  rapporta,  che  tra'  Capi- 
toli di  Papa  Onorio  venga  anche  ciò  dichiarato,  che 
possa  il  Re  imponere  una  taglia  nel  Regno,  quando, 

{a)  Reg.  Caroli  J   ia6S.  O.    fol.    60.  (b)    Reg.  ann,   i^^^ 
M.  fpj.  247.  if)  Reg.  ,ann^  1278  et  79  lit.  H.  fol.  73. 


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-Ì2&  STORIA  CIVILE 

o  Yolesfie  egli  armarsi  Cavaliere  ,  o  suo  figliuolo ,  9 
fratello ,  pur  che  però  non  eccedesse  la  somma  di  do- 
dici mila  once  (a). 

Tante  belle  e  sì  magnifiche  cerimonie,  che  si  fa- 
cevano nella  creazione  de'  Cavalieri,  furono  cagione, 
che  non  solamente  i  semplici  Gentiluomini,  e  que'  che 
non  aveanò  ufficio  o  carica  pubblica,  ma  ancora  i  Si- 
gnori, i  Principi  e  fino  i  figliuoli  de'  Re  vollero  ar- 
marsi Cavalieri,  riputando,  che  questo  fosse  non  so- 
lamente  un  onore,  ma  ancora  un  buon  presagio,  e  pa- 
rimente un  impegnamento  al  valore  ed  alla  generosità 
il  ricevere  la  spada  dalle  mani  del  loro  Principe.  Ci^ 
che  frequentemente,  ed  in  Francia,  e  presso  noi  da', 
nostri  Re  costumavasi. 

Negli  Annali  di  Francia  vediamo,  che  il  Re  Carlo  M. 
cinse  la  spada  a  Luigi  il  Buono  suo  figliuolo,  essendo 
in  procinto  d'andare  alla  guerra.  E  Luigi  medesimo 
fece  il  simile  a  Carlo  il  Calvo  suo  figliuolo.  Il  Santo 
Re  Luigi  armò  Cavaliere  il  suo  figliuolo  primogenito 
Filippo  III^  e  Filippo  tre  altri  suoi  figliuoli.  E  Tlsto- 
ria  nota,  che  in  queste  funzioni,  il  Re  avea  la  sua 
coróna  in  capo,  la  Corte  era  piena,  ed  in  quel  giorno 
era  tavola  aperta  per  tutti. 

I  nostri  Re  normanni  ed  angioini,  che  punto  non 
si  discostarono  dall'usanze  de*  Re  di  Francia,  sole- 
vano praticar  il  medesimo.  Cosi  leggiamo  di  Adelasia 
Contessa  di  Calabria  e  di  Sicilia^  la  quale  prima  che 
Ruggiero  suo  figliuolo  fosse  Conte ,   e   poi  primo  Re 

(a)  Andr.  de  Isernia  in  Constit.  Quamplurium  de'adjuior. 
exig,  lib.  3.  Uiide  si  prò  faciendo  fratre  milite  velit  Rex  sab- 
vcntionem  ,  impouet  eam  secundum  quautiutem  ab  Honorio 
dac^laratam,  et  eicpressam  ,  videlicet,  duodeciin  miliia  un^iax 
rum  ÌQ  tote  Regno  Siciliae. 


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DEL  REGNO  DI  NAPOLI  L.XX.CAP.IIL   319 

di  Sicilia,  volle  che. a' armasse  Cavaliere;  onde  &,  che 
prima  questo  Principe  ne'  diplomi  si  nominasse  Cava- 
liere, e  poi  Conte,  come  si  osserva  in  più  carte  rap* 
portate  da  Pirro  (a),  in  una  delle  quali  si  legge  così: 
Ego  Adelais  Comitissa^  et  Rogerius  filius  meus  Dei 
gratin  jam  Miles^  jam  Comes  Siclliae  et  Calahriat^  eie* 
Ruggiero  istesso,  narra  TAbate  Telesino  (£)  che  fatto 
Re,  duos  liheros  suos  ad  militiam  promovit,^  Rogerium 
Ducem  ^  ^t  Tancrednm  Bagensem  Principem^  ad  quO" 
rum  videlicet  laudem  et  honorem  quadraginta  Equi- 
tes  cum  eisdem  ip^is  militari  cingalo  decoravit;  e  Violo 
Pansa  nella  vita  d' Innocen^io  IV  (e)  rapporta  ancora^ 
che  rimpetador  Federico  II  essendo  nell'anno  laJ^i 
passato  a  Cremona,  creò  Cavaliere  Federico  suo  fi- 
gliuolo Principe  d'Antiochia,  che  quivi  era^  e.  citt- 
segli  di  sua  mano  la  spada  al  lato* 

Ciò  che  fu  da  poi  imitato  da  Re  angioini,  ed  in- 
fra gli  altri  da  Carlo  II  il  quale,  innanzi  di  dar  altr^ 
titoli  a*  suoi  figliuoli,  gli  volle  prima  crear  Cavalieri: 
così  nell'anno  1389  dopo  un  general  parlamento  volle, 
prima  di  crearlo  Re  d'Ungheria,  ornar  Cavaliere,  in- 
sieme con  molti  altri,  Carlo  Martello  suo  primogenito* 
11  simile  fece  a  Filippo  Principe  di  Taranto  suo  quar" 
togenito,  il  quale  fu  da  lui  ornato  del  cingolo  tniii- 
tare  prima  d' esser  creato  Principe  di  Taranto.  A  Ro- 
berto suo  terssogenito,  c^e  poi  gli  successe  nel  Regno 
fece  il  medésimo;  poiché  trovandosi  egli  neiranno  1296 
in  Foggia  scrisse  a  Filippo  suo  figliuolo,  che  pubbli- 
casse per  mezzo  de'  soliti  editti,  come  a'  2  Febbrajo 
giorno  della  Purificazione,  voleva  cinger  Cavaliere  Ro- 

{a)  Roc.  Pirro  Nottt.  Sicil.  Eccl,  net.  i  fol.  io5.  {b)  Ahh. 
Toles.  lik.  4  foL   i38.  (e)  Pansa  f«l.  $2. 


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5r3o  STORIA  CIVILE 

berto;  e  tutti  que'  gentilaomini^  che  desideravano  ar- 
marsi, comparissero  in  Foggia,  ove  insieme  con  Ro^ 
berto  avrebbero  ricevuto  il  cingolo  militare. 

Il  mentovato  Re  Roberto  volle  anch'  egli  nella  citt» 
di  Napoli  cinger  Cavaliere  nel  di  della  Purificazione 
Carlo  Duea  di  Calabria  suo  unigenito,  e  di  ciò  nel- 
r  anno  1 3 1 6  ne  diede  parte  a  tutto  il  Regno,  scriven- 
done a*  Giustizieri  delle  province,  come  dal  diploma, 
ehe  rapporta  il  Tutini  (a)  insieme  con  gli  altri  esempi 
sopra  riferiti. 

Da  questo  costume,  che  tenevano  i  Re  d'armare 
Cavalieri  i  loro  figliuoli,  che  dovevano  succedere  nei 
loro  Reami,  nacque  il  dubbio,  se  essendosi  ciò  trala- 
sciato di  farsi,  coloro  che  succedevano  al  Regno  es* 
sendo  Re,  fossero  Cavalieri,  ancorché  non  avessero  ri- 
cevuto r Ordine.  E  da  quello  ch'essi  praticavano  si 
scorge,  che  pare  non  s'avessero  per  tali,  già  che  es- 
sendo Re  volevaa  esser  cinti  Cavalieri.  Cosi  osservia- 
mo nel  libro  dell'  epistole  di  Pietro  delle  Vigne  (i) 
dove  Si  legge  una  lettera,  che  scrisse  il  Re  Corrado 
figliuolo  di  Federico  II  agli  abitanti  di  Palermo,  nella 
quale  loro  scrivea  aver  voluto  cingersi  Cavaliere:  Li- 
cei, die' egli,  eo?  generodtate  sanguinis  qua  nos  na- 
tura dotante  et  ex  dignitatis  officio  qua  duorum  Re- 
gnorum  nos  in  solio  gratia  divina  praefecity  nohis  mi- 
litaris  honoris  auspicia  non  deessent;  quia  tamen  mi- 
litiae  cingulum^  quod  reverenda  sancivit  antiquitas, 
nondum  serenità^  nostra  susceperaty  prima  die  prae- 
sentis  Mensis  Augusti,  cum  solemnitate  tyrocinii  latus^ 
nostrum  eligimus  decorandum^  etc. 

{a)  Tntìn.  loc.  cit.  pag.  i5o^  i5i^  iSa  et  i53.  (b)  Lijb- 5. 
epist  ao  fol.  4 IO. 


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DEL  REGNO  DI  NAPOLI  L.XX.  CAP.IIL  a3i 
Parimente  leggiamo  in  Sigeberto,  che  Malcolmo  Re 
di  Scozia  volle  esser  fatto  Gayaliere  dal  Re  di  Fran- 
cia Errico  I.  E  narra  Ottone  Frisingense,  Guglielmo 
Rufo  Re  d'Inghilterra  essersi  fatto  cingere  Cavaliere 
da  Lanfranco  Arcivescovo;  poiché  in  que'  tempi  an- 
cor durava  il  costume^  che  non  pure  i  Principi,  ma 
anche  i  Vescovi  e  Prelati  armavano  Cavalieri:  ciò 
che  fu  poi  lor  proibito  nel  Sinodo  Wesimonasterien* 
se  celebrato  nel  i  toa  (a).  Così  ancora  Errico  li  si 
fece  armare  dal  Maresciallo  Bisensi  (b)  :  ed  Odoar- 
do  IV  Re  d'Inghilterra  ricevè  T onoranza  di  Cava- 
liere dal  Conte  di  Devonia.  Errico  VII  ricevè  il  cin- 
golo dal  Conte  d'Evadolia:  ed  Odoardo  VI  dal  Duca 
di  Somersette.  Giovanni  Villani  (e)  ancor  rapporta, 
che  Luigi  di  Taranto  secondo  sposo  della  Regina  Gio- 
vanna I^  ricevè  il  cingolo  militare  dalle  mani  d'un  Ca- 
pitano tedesco;  e  negli  annali  di  Francia  si  legge,  che 
dopo  la  giornata  di  Marignano  il  He  Francesco  I  fu 
fatto  Cavaliere  da  Capitan  Bajart,  che  gli  cinse  la 
spada  (d)\  e  Luigi  XI  si  fece  ancora  armar  Cavaliere 
dal  Duca  Filippo  di  Borgogna  (e). 

Ma  quantunque  T  istorie  abbondino  di  questi  e  di 
molti  altri  esempi,  dove  si  vede,  che  non  avendo  praso 
il  cingolo  nella  loro  adolescenza,  fatti  Re,  se  n'hai; 
voluto  ornare;  non  è  però,  come  saviamente  ngtò  Ijoy- 
seau  (/*),  che  ne  avessero  avuto  bisogno ,  e  non  fos- 
sero senza  quello  Cavalieri:  essi  lo  facevano  per  mag- 
giormente onorare  T  Ordine  de'  Cavalieri ,  e  per  met- 

(a)  Tulio,  loc.  cit*  pag.  i^g.  {b)  Frane.  Mennio  fol.  8. 
(e)  Gìo.  Villani  hist.  lib.  i  cap.  io.  (d)  Camil.  Portio  nella 
Cong.  de'  Baroni ,  foj.  76.  (e)  Loyseau  àes  Ord.  (/)  I^pygeaO 
loc.  cit. 


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232  STORIA  CIVILE 

térlo  in  maggior  lustro  e  splendore.  I  Re  come  Oceano 
d' ogni  dignità  e  d'  ogni  onore^  e  come  Sole  onde  de- 
riva ogni  splendore,  contengono  in  se  medesimi  tutte  le 
dignità  «e  tutte  le  più  alte  prerogatire  e  preminenze. 

Quest'  Ordine  reso  sì  illustre  da'  Francesi  e  da'  no- 
stri Re  angioini  in  maggior  numero  ristabilito  in  Na- 
poli, ed  in  queste  nostre  province,  per  li  molti  Cava- 
lieri ,  che  creavano  ,  pose  in  tanta  riputazione  V  eser- 
cizio militare,  che  non  vi  era  gentiluomo,  che  non 
proccurasse  quest'onoranza  e  s'esercitasse  perciò  nella 
milizia;  onde  venne  il  Regno  a  fornirsi  di  bravi  e  va- 
lorosi Capitani. 

Non  è,  che  Carlo  I  d'Angiò  fosse  stato  il  primo 
ad  introdnrgli  in  Napoli  e  nel  Regno;  cominciarono 
sin  da'  tempi  di  Ruggiero  I  Re  di  Sicilia;  ma  egli  fu 
che  esaltò  quivi  tal  Ordine,  e  specialmente  a. Napoli, 
in  maggior  elevatezza,  e  lo  rese  più  numeroso  e  floridor 

Ruggiero  I  Re  di  Sicilia  fu  il  primo  ad  introdurlo  a 
Napoli,  e  fu  allora,  quando  entrato  pien  di  trionfo,  e 
vittorioso  in  questa  città,  si  narra,  che  nel  primo  in- 
gresso che  vi  fece  nelFanno  ii4o  armò  i5o  Cavalie- 
ri (ti).  E  quando  diede  il  cingolo  al  Duca  Ruggiero , 
ed  a  Tancredi  Principe  di  Bari  suoi  figliuoli,  ne  creò 
quaranta  altri  (6).  Il  di  cui  esempio  imitò  poi  Tancre* 
di^  il  quale  essendo  stato  nell'anno  1189  coronato  in 
Palermo  Re  di  questi  Regni  insieme  con  Ruggiero 
suo  figliuolo^  in  questa  solennità  cinse  molti  Cavalieri^ 
deir  uno  e  T  altro  Reame. 

11  Re  Manfredi,  narra.  Matteo  Spinello   da    Giove- 

(a)  Fazzel.  Poster,  decad.  lib.  7  V.  Camlll.  Pellegr,  hìst» 
Long,  in  Castigat.  ad  Faicon,  Beaev*  in  fine,  (b)  Ab.  Teles^. 
Kb.  4.  foL  i38. 


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DEL  REGNO  DI  NAPOLI  L.  XX.  GAP.  Ili    aSS 

liazzo  (a),  coronato  che  fu  Re  in  Palermo,  essendo- 
sene passato  in  Calabria,  creò  per  quelle  città  molti 
Cavalieri,  e  poscia  venendo  in  Napoli,  nelP  ingresso 
eolenne,  che  vi  fece,  armò  trentatrè  Cavalieri,  tra' 
quali  vi  furono  Anselmo  e  Riccardo  Caraccioli  Rossi. 
E  portatosi  poi  neiranno  12 53  in  Civita  di  Cheti, 
nelle  feste  dì  Natale  cinse  molti  Cavalieri  di  varie 
città  di  Abbruzzo. 

Ma  niuno  altro  de'  nostri  Principi  usò  tanta  ma- 
gnificenza e  profusione  in  armar  Cavalieri  in  Napoli 
e  nel  Regno,  quanto  Carlo  I  d'Angiò.  Non  vi  occor- 
reva pubblica  solennità,  che  Carlo  con  sontuose  feste 
non  volesse  crearne.  Neil'  anno  1272  nel  dì  di  Pen- 
tecoste ne  x^inse  in  Napoli  moltissimi  tutti  nobili  Na- 
poletani, fra' quali  Bartolommeo  dell'Isola,  Landolfo 
Protonobilissimo,  Marino  Tortello,  Liguoro  Olopesce, 
Filippo  Falconare,  Bartolommeo  d'Angelo,  Marino  del 
Doce,  Marino  Pignatello ,  Tommaso  Pignatello  ,  Gual- 
tieri Falconare,  Lorenzo  Caputo ,  Bartolommeo  Gae- 
tano, Gualtieri  Caputo,  tutti  nobili  Napoletani.  De'  No- 
bili poi  del  Regno,  armati  da  Carlo  Cavalieri,  ne  sono 
pieni  i  Registri,  siccome  in  quello  dell'anno  1269  ove 
ne  sono  notati  infiniti,  e  fra  gli  altri  Pietro  di  Rug- 
giero da  Salerno,  Bernardo  di  Malamorte,  Raimonda 
di  Brachia:,  e  Pietro  di  Penna  d' Abbruzzo:  creò  an- 
cora Cavaliere  il  Giudice  Sparano  da  Bari ,  che  poi 
innalzò  ad  esser  G.  Protonotario  del  Regno,  ed  altri 
infiniti  sotto  questo  Re  se  ne  trovano.  Né  la  munifi- 
cenza di  questo  Re  si  restrinse  a'  soli  Nobili,  ma  am- 
tolse  anche  a  quest'onoranza  que'  del  Popolo  di  Na- 
poli e  del  Regno^  che  s**  erano  distinti ,  0  per  il  loro 

(a)  Annali  M.  $.  di  M.  Spij». 


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234  STORIA  CIVILE 

Talore  o  per  altra  prerogativa;  cosi  nel  suddetto  Re- 
gistro deir-anno  ia6o  se  ne  leggono  moltissimi  (a), 
tanto  che  adornò  questo  Principe  Napoli  ed  il  Regno 
di  tanti  Cavalieri,  che  la  disciplina  militare  e  F  eser- 
cizio dell'arme  si  rese  di  gran  lunga  mano  superiore 
a  quello  delle  lettere  ;  e  siccome  a'  tempi  nostri  il  pre- 
sidio delle  Case,  ed  il  loro  istituto  è  di  applicar  i 
figliuoli  alle  lettere  ed  alle  discipline,  e  sopra  tutto 
alla  legale;  così  allora  per  quest'Ordine  di  Cavalleria 
cotanto  da  Carlo  pregiato,  non  vi  era  famiglia,  che 
non  istruisse  i  figliuoli  all'esercizio  della  guerra  e 
delle  armi. 

Ad  esempio  di  Carlo,  fecero  lo  stesso  tutti  gli  altri  Re 
angioini  suoi  successori ,  come  Carlo  II  suo  figliuolo, 
che  nell'anno  1390  coiroceasione  dell'  incoronazione  di 
Carlo  Martello  in  Re  d'Ungheria,  armò  in  Napoli  più 
di  3oo  Cavalieri  (6),  e  negli  anni  1291,  1293,  1296 
e  iSoo  altri  moltissimi  (e).  Così  Roberto  suo  nipote, 
dopo  la  sua  coronazione  diede  il  cingolo  a  molti  Na- 
poletani e  del  Regno  ancora,  siccome  nell'anno  i3o9 
ad  alcuni  d'Aversa,  nelFanno  i3io  a  molti  di  Saler- 
no, di  Capua  ed'Isernia;  e  circa  il  i3ia  trovandosi 
egli  nell'Aquila  fece  molti  Cavalieri  di  quella  città.  E 
così  fecero  gli  altri  Re  della  seconda  stirpe  d'Angiò, 
come  Carlo  IH,  Luigi  III,  Ladislao  ed  altri,  avendo 
tutti  calcate  le  vestigie  di  Carlo  il  Vecchio.  Quindi 
si  fece  poi,  che  fosse  tanto  cresciuto  nel  Regno  il  nu- 
mero de'  Cavalieri,  che  per  cagione  della  moltitudine, 
e  del  poco  merito  d'alcuni,  che  n'erano  ammessi,  co- 
minciava già  l'Ordine  della  Cavalleria  a  cadere  in  di- 
sprezzo, e  di  non  esser  molto  stimato. 

(a)  V.  Tulio.  Ice.  cit.  p.  157.  (b)  Costanzo  lib.  3.  (e)  Tu- 
tini  pag.  i56. 


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DEL  REGNO  DI  NAPOLI  L.XX.  CAP.IIL   q35 

Né  ciò  avvenne  presso  noi  solamente,  ma  anche  in 
Francia,  e  ne^^li  Reami  degli  altri  Principi,  pure  a 
cagion  della  moltitudine  ch'essi  ne  facevano;  poich'era 
la  facilità  di  fare  Cavalieri  giunta  a  tanto,  che  i  Re 
tanti  ne  facevano,  quanti  in  qualche  pubblica  festività 
se  ne  presentavano  avanti.  E  negli  Annali  di  Fran- 
cia si  legge,  ehe  il  Re  Carlo  Y  all'assedio  di  Rurges 
in  un  giorno  solo  ne  fece  cinquecento  (a).  E  di  Carlo  Y 
Imperadore  pur  si  legge,  che  quando  fu  incoronato 
Imperadorc  in  Rologna  da  Clemente  YII  fece  Cava- 
lieri  tutti  quelli,  che  trovò  ragunati  avanti  la  Chiesa 
di  S.  Giovanni,  toccandogli,  senz*  altra  solennità,  leg- 
giermente con  la  sua  spada  au  gli  omeri. 

IL  Partieolari  Ordirti  ài  Cavalleria. 

Da.  questa  facilità  e  dal  disprezzo,  che  poi  ne  av- 
venne, nacque  T  origine  de' particolari  Ordini  di  Ca- 
valleria; poiché  da  tanta  moltitudine  se  ne  sottrassero 
i  più  principali,  e  segnalati  Cavalieri,  e  si  ridussero 
ad  una  piccola  banda,  o  truppa;  per  la  qual  cosa  si 
inventarono  certi  nuovi  Ordini  o  Milizie  di  Cavalieri, 
ne' quali  si  ritennero  solamente  quelli  di  più  merito, 
o  per  valore  o  per  legnaggio,  non  ricevendosi  coloro 
che  non  avevano  altra  prerogativa  o  titolo  ,  che  di 
semplici  Cavalieri. 

E  per  rendere  questi  nuovi  Ordini  più  augusti,  e 
venerabili,  s^  astrìnsero  a  certe  cerimonie  di  religione, 
riducendogli  in  forma  di  Confrateria;  ed  .ancora,  affin 
di  rendergli  rimarchevoli  e  distinti  sopra  li  semplici 
Cavalieri,  loro  si  fa  portare  vn  ooU;are  d' oro,  9  altr;^ 

{a)  Y*  Loys€eaa  ^es  Or,d. 


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s36  STORIA  CIVILE 

insegna,  che  il  Re  dà  loro,  e  pone  in  conferendogli 
r  Ordine  nel  luogo  della  collana  degli  antichi  Cava- 
lieri. Ed  erano  questi  Ordini  diversi  e  distinti  da 
que'di  S«  Giovanni  di  Gerusalemme,  de'  Teutonici 9 
de' Templari,  de' Cavalieri  di  Portaspada,  di  Gesù  Cri- 
sto ,  de'  Commendatori  di  S.  Antonio,  di  S.  I.azaro, 
ed  altri  rapportati  da  Polidoro  Virgilio:  perchè  questi 
erano  dell'  Ordine  ecclesiastico,  compreso  sotto  i  Re- 
golari; e  per  ciò  erano  chiamati  Fratelli  Cavalieri^  ì 
quali  anche  s'astringevano  a  certi  voti,  come  di  ca- 
stità ed  ubbidienza,  ed  a  certe  regole  mescolate  di 
vita  monastica  e  secolaresca. 

In  Francia  il  primo  Ordine,  eh* è  stato  di  durata 
(poiché  quello  della  Gennetta  istituito  da  Carlo  Mar- 
tello, non  accade  annoverarlo,  perchè  non  durò  gua- 
ri )  fu  quello  de' Cavalieri  della  Vergine  Maria  isti- 
tuito nell'anno  i35i  dal  Re  Giovanni-  e  poicliè  essi 
portavano  una  Stella  nel  loro  cappuccio,  e  poi  nel 
mantello  dopo  essersi  abolito  luso  de'cappueci,  si  chia- 
marono perciò  Cavalieri  della  Stella.  Di  questa  com- 
pagnia furono  presso  di  noi  molti  Cavalieri  napoleta- 
ni, e  siccome  rapporta  F  Eugenio  {a)  fuvvi  Giacomo 
Bozzuto,  ed  alcuni  della  famiglia  Zurla  ed  Aprana, 
siccome  si  vede  ne'  loro  sepolcri. 

Il  secondo^  fu  Y  Ordine  di  S,  Michele^  istituito  in 
onore  dell'Angelo  tutelare  della  Francia  dal  Re  Lui- 
gi XI  il  quale  per  annientare  il  primo  Ordine,  ed 
innalzare  il  suo,  diede  l'insegna  della  Stella  a' Cava- 
lieri della  sentinella  di  Parigi,  ed  a'  suoi  Arcieri.  I 
nostri  Cavalieri  pure  ne  furon  decorati  da'  Re  di  Fran- 
cia j   siccome   Troiano   Caracciolo    Principe  di   Melfi; 

(a)  Engen.  Nap.  sacr.  nel  discorso  di  questi  OrdioL 


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'    DEL  REGNO  DI  NAPOLI  L.XX.  CAP.IIL  ^ij 

Berardìno  Sanseverioo  Prìncipe  di  Bieignano,  Andrea 
Matteo  Acquaviva  Duca  d'Atrì,  e  Gio.  Antonio  Ga* 
rafa  Duca  di  Maddaloni ,  li  quali  da  poi  (  come  si  è 
di  sopra  rapportato  )  ricaduto  il  Regno  al  Re  Catto* 
lieo,  resero  la  collana  al  Re  di  Francia. 

Finalmente  Errico  III  grande  inventore  ed  ama« 
tore  di  nuore  cerimonie,  oltre  aver  istituito  1'  Ordine 
militare  della  Vergine  del  Monte  Carmelo j  al  quale 
Paolo  V  concedè  molte  prerogative  (a),  istituì  T  Ordi- 
ne e  Milizia  di  San  Spirito-  in  memoria,  che  nel  di 
della  Pentecoste  era  nato  e  stato  fatto  Re.  E  questi 
Cavalieri  oltre  T  insegne  del  loro  Ordine,  che  portano 
sopra  i  loro  mantelli,  ne  portano  un  altro  ad  una 
fascia  di  color  turchino.  , 

Ad  esempio  de' Re  di  Francia  hanno  per  Fistesaa 
cagione  altri  Principi  istituiti  nuovi  Ordini  di  Caval- 
leria^ ed  i  nostri  Re  Angioini  ne  furono  i  più  pronti 
imitatori.  Odoardo  III  Re  d'Inghilterra,  essendo  ca- 
duta ad  una  Dama,  la  quale  egli  amava,  una  becca 
della  gamba,  che  gì'  Inglesi  in  lor  lingua  chiama- 
no Carter^  egli  alzolla,  ed  alla  Dama  cortesemente 
la  rendè:  di  che  si  levò  remore  tra  la  Corte,  che  il 
Re  con  quella  avesse  amorosa  pratica;  onde  il  Re 
in  sua  scusa,  e  per  onorar  queir  accidente,  iijtituì  TOr- 
dine,  detto  tra  noi  volgarmente  della  Giarrettiera'^  ag- 
giungendo alla  becca  quelle  parole  franzeoi:  Honni 
soitj  qui  mal  y  pense,  che  in  nostra  lingua  vuol  dire, 
mal  abbia ^  chi  mal  pensa  (b)*  1  Re  di  C astiglia  ne 
istituirono  un  consimile  detto  della  Banda ,  ovvero 
Fascia.  1  Duchi  di  Borgogna  Y  altro  del  Toson  d  oro, 

(a)  Bulla  Pauli  V.  edita  ann.  i6o8  tom.  3  BuUar.  {b)  P«- 
Itdor,  Virg,  Ammirato  ne' paralelli ,  p.  201. 


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238  STORIA  CIVILE 

I  Duchi  di  Savoja  quello  deìV  Annunziata,  I  Duchi 
di  Toscana  T  altro  di  S.  Stefano,  I  Duchi  di  Orleans 
quello  delV  Istrice 'y  e  sotto  gli  ultimi  Re  di  Spagna,  e 
di  Portogallo  quelli  d'Alcantara^  di  S.  Giacomo,  di 
Calatrava^  di  S,  Benedetto  de  Avis^  ed  altri. 

Ma  i  nostri  Re  della  casa  d' Angiò  istituirono  ad 
imitazione  di  quelli  di  Frància  più  Ordini.  Luigi  di 
Taranto  Re  di  Napoli,  secondo  marito  della  Regina 
Giovanna  I  neiranno  iSSs  nel  giorno  della  Pente- 
coste ordinò  una  festa  in  memoria  della  sua  corona- 
zione, nella  quale  istituì  l'Ordine,  e  la  Compagnia 
del  Nodo  di  sessanta  Signori  e  Cavalieri  i  più  valo- 
rosi di  quella  età,  sotto  certa  forma  di  giuramento  e 
perpetua  fede;  ed  insieme  col  Re  vestivano  ognun  di 
loro  la  giornea  usata  a  que' tempi  della  divisa  dei  Re, 
con  un  laccio  di  seta  d' oro  e  d' argento,  il  quale  si 
annodava  dal  Re  al  petto,  come  il  Costanzo  (a),  ov- 
vero al  braccio,  come  vuol  F  Eugenio  (6),  di  quel  Ca- 
valiere, ch'entrava  in  questa  Compagnia.  Di  questo 
Ordine  furono  il  Principe  di  Taranto,  fratello  mag- 
giore del  Re  Luigi,  benché  scriva  Matteo  Villani,  che 
quando  il  Re  gli  mandò  la  giornea  riccamente  ador- 
nata di  perle  e  di  gioje,  col  Nodo  d'oro  e  d'argen- 
to, egli  ch'era  di  maggior  età,  e  che  s'intitolava  Im- 
peradore,  sdegnato  di  ciò,  disse  ridendo  a  quelli,  che 
la  presentarono,  eh'  egli  avea  il  vincolo  dell'  amor  fra- 
terno col  Re,  e  però  non  bisognava  più  stretto  nodo. 

II  mandò  anche  Re  Luigi  a  Bernabò  Visconte  Signor 
di  Milano,  il  quale  T  accettò  molto  volentieri.  Il  diede 
a  Luigi  Sanséverino,    a    Guglielmo   del   Balzo  Conte 


(a).  Costanzo  bist.  lib.  6.   (b)  ^ngen.  loc.    cit,  dell'Ordine 

del  Nodo. 


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DEL  REGNO  DI  NAPOLI  L.XX.  GAIMH.  ^Sg 

di  Noja,  a  Francesco  Loffredo,  a  Roberto  Seripan- 
do,  a  Matteo  Boceapianola ,  a  Gurrello  di  Tocco, 
a  Giacomo  Caracciolo,  a  GioTanni  dì  Burgenza,  a 
Giovannello  Bozzuto,  a  Cristofano  di  Costanzo  ,  a 
Roberto  di  Diano,  ed  altri.  E  fu  loro  istituto,  che 
quando  un  Cavaliere  faoeya  qualche  pruoya  notabi- 
le, per  segno  del  valor  suo,  portava  il  nodo  sciol- 
to: ed  alla  seconda  pruova  tornava  a  rilegarlo,  sicco- 
me avvenne  a  Giovannello  Bozzjato,  il  qual  portan- 
dosi valorosamente  In  una  battaglia^  meritò  sciogliersi 
il  nodo^  ed  in  Gerusalemme  poi  tornò  a  rilegarlo;  on- 
d'  è,  che  nel  suo  tumulo  nel  Duomo  di  Napoli  si  veg- 
gono due  nodi  daziati  del  suo  cimiero:  e  nel  sepolcro 
del  Costanzo  nella  Tribuna  di  S.  Pietro  Martire,  si 
vede  un  nodo  legato,  e  l'altro  sciolto.  Quest'Ordine 
di  Cavalleria,  crede  il  Costanzo,  che  fosse  stato  il 
primo  istituito  in  Italia:  seguirono  da  poi  gli  altri  isti- 
tuiti da'  seguenti  nostri  Re. 

Carlo  III  ad  emulazione  di  Luigi,  istituì  da  poi 
selPanno  i38i  un  nuovo  Ordine,  il  quale  V  intitolò 
la  compagnia  della  Nave  ^  alludendo  alla  Nave  degli 
Argonauti,  affinehè  i  Cavalieri  che  da  lui  erano  pro- 
mossi a  queir  Ordine,  ^  avessero  da  sforzare  d'  esser 
emuli  degli  Argonauti  (a).  Volle  lo  stesso  Re  esser  Ca- 
po di  questa  compagnia,  eleggendo  per  protettore 
S.  Niccolò  Vescovo  di  Mira,  al  qual  dedicò  la  chiesa 
appresso  il  Molo,  ed  ordinò^  che  da' Cavalieri  di  que- 
st'Ordine ciascun  anno  si  celebrasse  la  sua  festa.  Por- 
tavano costoro  nelle  sopravvesti,  e  negli  altri  militari 
ornamenti  dipinta  una  Nave  in  mezzo  l'onde  alla  di- 
visa de' colori  del  Re^  con   alcuni  interlacci  d'argen- 

(a)  Costanzo  lib.  8. 


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»4«  STORIA  CIVILE 

to  (a),  e  di  questa  compagnia  furono  i  più  pregiati  e 
valorosi  Cavalieri  di  quo'  tempii  e  fra  gli  altri  Gian- 
notto Protoiudice  di  Salerno  creato  da  Carlo  Conte 
deirAcerra,  e  G.  Contestabile  del  Regno  (J),  Gurrello 
Caracciolo  detto  Carafa  Marescalco  dei  Regno  (  i  se- 
polcri dei  quali  con  Tlnsegne  si  veggono  nella  chiesa 
di  S.  Domenico  di  Napoli),  Errico  Sanseverino  Conte 
di  Melito,  Ramondello  Orsino  Conte  di  Lecce,  An- 
gelo Pignatello ,  Gianluigi  Gianvilla  di  Luxemburgo 
Conte  di  Conversano,  Tommaso  Boceapianola,  Gio-« 
vanni  Caracciolo  ed  altri. 

Dopo  la  morte  del  Re  Carlo  III  la  Regina  Marghe- 
rita sua  moglie  col  Re  Ladislao  suo  figliuolo  nel  i388 
fuggirono  a  Gaeta,  rimanendo  Napoli  ^  divozione  del 
He  Luigi  d'Angiò;  e  travagliando  allo  spesso  li  va- 
scelli della  Regina  le  Marine  di  Napoli,  alcuni  Nobili 
del  Seggio  di  Portauova  con  altri  Napoletani  arma- 
rono i  loro  navili  per  contrastare  le  galee  della  Re- 
gina; ed  acciocché  con  maggior  ardire  ed  amore  fra 
di  lor  andassero,  istituirono  la  compagnia  dclV Argata, 
e  per  insegna  portavano  nel  braccio  sinistro  un*Argata 
ricamata  d'oro  in  campo  azzurro,  simile  a  quelle  ar- 
gate  di  canna,  delle  quali  si  sogliono  servir  le  donno 
ne'  loro  femminili  esercizi  (e).  Di  quest'  Ordine  furono 
molti  Cavalieri  di  diversi  Seggi  e  famiglie,  come  di 
Costanzo,  Caracciolo  del  Lione,  di  Dura  ed  altri  (d). 

Fu  istituita  da  poi  in  Napoli  la  compagnia  della 
Leonza^  e  Y  insegna  era  una  Leonessa  d'argento  legata 
con  un  laccio  nelle  branche  e  ne' piedi;  c^li  Cavalieri 
di  quest-  Ordine  furono  quasi  tutti  del  Seggio  di  Por- 

(flf)  Engen.  loc.  cit.  della  Nave,  {b)  1\xi\n,  de'  Ccmtestab. 
p.  II 5.  (e)  Costanzo  lib.  9.  (d)  Engeo.  1.  e.  deli'Argata. 


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DEL  REGNO  DI  NAPOLI  L.XX.  GAP.  III.  ^4r 

tanova,  cioè  della  famiglia  Anna^  Fellapane,  Gattola, 
S assona ,  Ligorla  e  Bonlfacia  ^  e  ve  ne  furono  degli 
altri  Seggi  ancora  (a). 

Da  poi,  'Giovanni  Duca  d'Angìò  figliuolo  di  Renato 
Ile  di  Napoli,  essendo  giunto  nel  Régno  coli* armata 
di  suo  padre  ad  assaltarlo ,  per  cattivarsi  gli  animi 
de' Cavalieri  napoletani,  e  fra  gli  altri  dì  Roberto 
Sanseverino,  cercò  all'  uso  di  Francia  istituire  una 
nuova  compagnia  che  chiamò  della  Luna^  a  cagioo 
che  per  impresa  di  questa  sua  milizia  portava  l&  Luna 
cornuta,  e  ciascun  de'  suoi  compagni  la  portava  d' ar- 
gento legata  nel  braccio.  Furon  molti  di  quest'  Ordine, 
e  fra  gli  altri  Roberto  figliuolo,  di  Giovanni  Conte  di 
Sanseverino  (by 

Finalmente  Ferdinando  I  Re  di  Napoli,  essendo 
scampato  dall' insidie  :  e  tradimenti  di  Marino  Marzano 
Duca  di  Sessa  e  marito. d'una  sua  sorella,  ed  aven- 
dolo fatto  incarcerare ,  era  consigliato  da  alcuni  di 
farlo  morire;  ma  il  Re  non  volle  acconsentirvi,  repu- 
tando atto  crudele  imbrattarsi  le  mani  nel  sangue  di 
un  suo  cognato,  ancorché  traditore.  Volendo  poscia 
dichiarar  questo  suo  generoso  pensiero  di  clemenza,  ' 
figurò  per  impresa  un^  ArmeUinOy  il  qual  pregia  tanto, 
il  candor  della  sua  politezza,  che  per  non  macchiarla 
si  contenta  più  tosto  morire,  Si  portava  perciò  dal 
Re  una  collana  ornata  d'oro  e  di  gemme  colFArmel- 
lino  pendente,  e  col  motto:  Malo  mori,  quam  foe da- 
vi (e).  Fu  di  questa  Compagnia,  fra  gli  altri,  EreoU 
da  Este  Duca  di  Ferrara,  al  qual  il  re   Ferdinando 

(a)  Engen.  loc.  cit.  della  Leonza.  (b)  Eiigeo.  Ice.  cit.  del- 
l' Ordine  della  Luna,  (e)  Eogeo.  loc;^  cit.  dell' Armeilioo. 
'  fé 


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a42  STORIA  CIVILE 

mandò  la  collana  per  Gio.   Antonio   Garafa   Gavalier 

Napoletano  (a). 

Fu  veramente  nel  Regno  degli  Angioini  per  questi 
Ordini  di  Cavalleria  la  miliKia  tenuta  in  sommo  pre- 
gio; onde  la  Nobiltà  di  Napoli  seguendo  questi  gene- 
rosi costumi,  stese  Tale  della  sua  fama  per  ogni  parte 
della  Terra  abitata;  poiché  molti  Cavalieri  napoletani 
impazienti  dell* ozio ,  e  spinti  da  studio  di  gloria,  si 
congregavano  in  diverse  Compagnie,  e  sotto  diverse 
insegne;  ed  a  guisa  di  Cavalieri  erranti,  mentre  il 
Regno  era  in  pace,  andavano  mostrando  il  lor  valore 
per  diverse  parti  del  Mondo,  dove  seotivano,  che  fosse 
guerra;  ed  avevano  tra  loro  alcuni  obblighi  di  fratel- 
lanza con  molta  .fede  e  cortesia  osservati  ;  ed  il  Co* 
stanze  (b)  rapporta,  non  esservi  memoria,  in  tanta 
emulazione  d' onore,  che  l'invidia  o  malignità  avesse 
tra  loro  suscitata  mai  briga  o  discordia  alcuna. 

Ma  in  decorso  di  tempo  avendo  perduto  Napbli  ed 
il  Regno  il  pregio  d*  esser  Sede  regia,  per  la  lonta- 
nanza de'  nostri  Re ,  non  solo  V  Ordine  de'  Cavalieri 
rimane  oggi  affatto  estinto;  ma  anche  sono  estinti  tutti 
questi  altri  nuovi  Ordini  di  Cavalleria,  e  solo  il  nome 
di  Milite  è  rimase  agli  Ufficiali  perpetui  di  toga  del 
Re,  come  a'  Reggenti  della  Cancelleria,  al  Presidente 
del  Consiglio,  al  Luogotenente  della  Camera  ed  a  tutti, 
ì  Consiglieri  e  Presidenti  di  Camera,  i  quali  dal  Re 
nella  loro  creazione  sono  decorati  di  questo  titolo,  co- 
me quelli,  che  militano  ancor  essi  (e).  E  siccome  i 
primi  eran  cinti  di  spada,  così  questi  sono  ornati  di 
toga  ;  alla  qual  milizia   sono  ammessi  non  pur  i  no* 

(a)  Pigna  llb.  8  hist.  Esteiis.  (b)  Costanzo  Kb.  9,  {e)  Ann. 
Lucanus  in  Panegyr.  Pison.  Togatae  militiac  exercere  munera. 


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DEL  REGNO  DI  NAPOLI  L.XX.  CAP.IIL  343 

bili,  ma  anche  que  del  Popolo  di  Napoli  e  delV  altre 
città  del  Regno,  pur  che  siano  Dottori;  ond'è^  che 
siccome  Ufi'  tempi  di  Carlo  e  degli  altri  Re  angioini 
suoi  successori  tutti  erano  intesi  all' arte  della  guerra, 
così  oggi  tutti  alla  milizia  togata  drizzano  i  loro  desi- 
•deril;  ed  11  di  lor  numero  non  par  pareggia,  ma  è 
di  lunga  mano  maggiore  di  quello  de'  Cavalieri,  ohe 
fiorivano  a'  tempi  de'  Re  dell' illustre  Casa  d'Angiò. 

CAPITOLO    IV. 

Seggi  di  Napoli  riordinati  ed  illustrati  da  Carlo. 

Jllapoli  città  greca  (siccome  fu  detto  nel  primo  li- 
bro di  qu èst* Istoria)  ebbe  sin  da'  suoi  prliicìpli  i  suoi 
Portici,  ovvero  Teatri,  detti  ancora  Tocchi,  li  quali  ora 
Piazze,  ovvero  Seggi  s'appellano.codì  come  Tebbero  tutte 
le  altre  città  greche  di  queste  nostre  province,  poiché 
non  fìi  ciò  pregio  solamente  di  questa  città,  siccome 
altri  crede.  Essi  non  erano,  che  luoghi  particolari  delle 
città,  per  lo  più  vicini  alle  porte  di  quelle  (a),  ove 
alcune  famiglie  nobili  di  quel  rione,  o  quartiere  s'u- 
nivano a  menar  tempo  allegro  in  conversando*  fra  di 
loro,  e  con  tal  opportunità  confabulare  ancora  e  confe- 
rire de' pubblici  affari,  e  d'  altro  bisogno  della  città, 
ed  anche  de' loro  privati  interessi;  e  pT5ìchè  perlopiù 
in  quelli  non  solevano  convenire  se  non  eli  sfaccen- 
dati, l  quali  vivendo  nobilmente  non  6tfl|vano  attac- 
cati ad  alcun  mestiere  o  arte  per  vivere,  perocché 
veniva  ad  esaì  somministrato  olò   che  lor<»  blso^navfit 

(a)  Camil.  Pellegr.  Discorso  del  nome  Porta.  ^ 


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244  STORIA  CIVILE 

o  da*  lor  ampi  e   ricchi  poderi,   o  dalla  miliisia^   or* 
vero  da  qualche  altra  carica  della  Repubbìica:  perciò    . 
s'introdusse  per   questi  Seggi  come   uaa   divisione    9 
distinzione  tra'  cittadini,  per  li  quali   i  Nobili  si  yen- 
nero  a  separare  da*  Popolani,  i  quali  impiegati,  o  nello 
studio  delle  lettere  e  discipline,  o  nelle  mercatanzie,  o*^ 
nelle  arti  meccaniche,  o  ne*  lavori  di  mano,  o  nelFa- 
gricoltura^  ovvero  in  altre  opere  di  braccia^   non  po- 
tevano aver  quest'ozio  di  convenir  nelle  Piazze  a  trat- 
tar co*  Nobili  de*  pubblici  affari^  od*  altri  bisogni  della 
città. 

]  Greci  non  aveano  città  la  quale  non  avesse  questo 
ragunanze,  ovvero  sodalitadi^  o  Confraterie^  eh*  essi 
chiamavan  Fratrie^  nelle  quali  i  cittadini  per  lo  piii 
convenivano  per  trattar  i  negozi.  E  Sigonio  rapporta, 
che  gli  Ateniesi  ne*  Portici  d^Ua  loro  città  trattavano 
i  loro  affari.  Né  altrimente  si  praticava  a  Guma,  città 
parimente  greca^  la  quale  teneva  questi  Teatri,  ovvero 
Fratrie.  Onde  Pio  II  ne'  suoi  Commentari  (a)  portò 
opinione,  ch'essendo  stati  i  Gumani  i  primi  fondatori 
di  Napoli,  avessero  essi  ad  imitazione  della  loro  città 
istituiti  questi  Teatri  in  Napoli ,  ove  i  Nobili  passeg- 
giando^ e  quivi  diportandosi,  solcano  trattare  de'pub^ 
blici  affari  :  Cumanos  quoque  Theatra ,  deajnhìdatio- 
nes ,  eonventusque  frequenter  posuisse, 

E  non  può  dubitarsi,  siccome  altrove  fu  rapportato 
che  in  Napoli  non  fossero  antichissimi,  per  la  testi- 
monianza di  Strabene,  il  quale  noverando  i  riti,  e*  co- 
stumi greci ,  che  ancor'  a'  suoi  tempi  riteneva  questa 
città,  fra  gli  altri,  scrisse  che  siccome  Talti'e  città 
greche,  così  Napoli  avea  questi  Portici ,  che  ancor*  a* 

(a)  Pio  II.  in  Com.  in  Europa. 


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DEL  REGNO  DI  NAPOLI  L.  XX.  GAP. V.  a^S 

siUoi  tempi  i  Napoletani  chiamarìano  con  greco  voca^ 
cabolo  Fratrie.  E  Varrone  (a)  pur  ne  fefce  memoria, 
quando  disse:  Phratriay  est  Graecum  vocahulum  par- 
tis  hòminum , .  ut  Nespoli  etinm  nunc.  Ove  Turnebo 
notò,  -ch'essendo  Napoli  città  greca,  a  somiglianza  d'A-» 
tene  avea  queste  ragunanze  particolari,  e  separazioni^ 
dette  Fratrie  (&). 

Quanti  di  questi  Seggi  avesse  prima  avuti  Napoli  ^ 
Gammìllo  Tutìni  (e)  dall' antiche  sue  regioni  e  con-» 
trade,  e  da  molti  altri  monumenti,  con  molta  diligenza"^ 
ed  accuratezza  andò  ricercando;  e  veramente  essendo, 
costume  de'  Greci  dividere  le  loro  città  in  quattro 
parti,  siccome  d'  Atene  testifica  Guglieilmo  Pestello  {d)^ 
non  è  fuor  di  proposito  il  credere,  che  anche  Na- 
poli in  quattro  principali  parti  fosse  ripartita:  ciò  che 
par,  che  si  confermi  d^l  nome  istesso  di  Quartiere^ 
che  ancor  oggi  si  ritiene.  Ciascuna  di  queste  quattro 
regioni,  ovvero  Quartieri,  racchiudeva  dentro  di  se 
molte  altre  regioni ,  ovvero  Piazze  minori  ,  che  sono 
come  tanti  membri,  che  formano  il  corpo  della  città. 
Queste  quattro  principali  regioni  non  può  difficoltarsi, 
che  secondo  r  antico  sito  di  questa  città  fq;9scro  stati 
i  Quartieri  di  Ca;7iia7ta,  di  Forcella^  di  Montagna  e 
di  Nido. 

Il  Quartiere  eli  Capuana^  cosi  detto,  perchè  da  que- 
sta contrada  prendeasi  il  cammino  verso  Gapua,  oltre 
la  maggior  sua  Piazza,  abbracciava  molte  altre  minori 
strade  o  vicoli,  i  quali  (  siccome  tutti  quelli  dell'  al*« 


{a)  Var.  lib.  4  de  lingua  lat.  (b)  Turneb.  Qaod  eum  Nea- 
polis  Oppidum  Graecum  esset,  ut  Àthenae ,  suas  PhratrìaS. 
habebat  (e)  Cam.  Tutin.  delV origine,  e  fondaz*  de' Seggi ^ 
cap.  4  et  6.  (d)  Gul  Ppstel.  de.Maglstf,  Athen»  cap-  a« 


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a46  STORIA  CIVILE 

tre  tre  reglooi)  per  la  maggior  parte  prendeTana  il 
nome,  o  dalle  famiglie,  che  yi  abitavano,  o  da'  Tempj, 
o  da  altri  pubblici  edificj,  che  ti  erano.  Così  in  que- 
sto quartiere  leggiamo  i  vicoK  del  Sole,  e  raggio  di 
Sole,  per  Io  famoao  Temj^io  d'  Apollo,  che  quivi  era 
costrutto.  Quelli  di  Dragonarto,  Gorneliano,  Corte 
Torre,  di  S.  Lorenzo  ad  Fontes^  delle  Zite,  Corte 
Pappaeavallo,  Ferrare,  Santi  Appostoli,  da*  Filimarini, 
de' Barriti,  Gorgif e,  Rua  de*  Faaanelti,  Caracciolo, 
Boccapianola,  de'  Zurli,  de'  Carboni,  M anoccio  e  Kua 
de'  Pisciceli!. 

Perciò,  oltire  il  maggior  Seggio  di  Capuana j  erano 
in  questo  quartiere  cinque  ahri  Se^gi  minori,  che  pre* 
sero  il  nome  o  dalle  famiglie,  ebe  solevano  ivi  abi- 
tare, o  da  Tempi,  <'VTere  dal  nome  comune  di  quel 
luogo  dove  erano  fabbricati.  Così  in  questo  Quartiere 
leggiamo  1  Seggi  di  S.  Stefano^  di  Santi  Appostoli^  di 
S.  Martinoi  end' è,  che  poi  essendosi  questo  unito  al 
maggior  Seggio  di  Capnana,  per  conservarne  la  me- 
moria, si  vede  dipinto  questo  Santo  a  cavallo  nel  muro 
del  Seggio,  il  Seggio  de  Melazzi  e  l'^ttro  de'  Monoccù 

Il  Quartiere  di  Forcella  cbiamossì  dagli  antichi  Scrit- 
tori Regione  Erculense  ^  come  chiamoUo  S.  Gregorio 
nelle  sue  epistole  (a),  perchè  quivi  fu  fondato  il  Tem- 
pio d'Ercole;  e  talora  Regione  Termense^  per  le  anti- 
che Terme,  ch'erano  nel  suo  seno  (b).  Come  da  poi 
si  chiamasse  di  Forcella^  non  è  di  tutti  conforme  il 
sentimento.  Alcuni  vogliono;  che  fuor.i  d'una  porta, 
ch'era  vicina  a  questa  contrada,  fossero  piantate  le  for- 
che per  castigo  de'  malfattori.  Altri  perchè  quivi  fosse 
la  scuola  di  Pitagora,  che  per  impresa  faceva   una 

{a)  S.  Greg.  epist.  5g  fol.  ii6.  {b)  Jaaus  Gruter.  foL  4^o. 


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DEL  REGNO  DI  NAPOLI  L.  XX.  GAP.  IV.  ^4; 

lettera  biforcata^  detta  Ypsilon.  Ma  altri  con  maggior 
senno  dissero,  che  quella  forca ,  che.  sinora  si  vede 
acolpita  in  uù  antico  marmo  sopra  la  porta  della  chiesa 
di  S.  Maria  a  Piazza^  dove  anticamente  era  il  Seg- 
gio, fosse  particolar  insegna  del  Seggio,  che  diede  no- 
me al  quartiere. 

Abbracciava  questa  regione  molte  altre  regioni  mi- 
nori, ovvero  vicoli,  come  V  Hrcolense,  Gupidine,  Lam- 
padio.  Placido,  Granci,  Pizsofalcone,  Regionario,  Ver* 
de,  di  S.  Epulo^  Pubblico  Bacano,  Fistola,  Gorario, 
Termense,  Capo  d'  Agno,  Gorte  Bagno  nuovo.  Corte 
Greca,  Senoarino,  degli  Agini,  degli  Orimini,  di  San 
Giorgio  Cattolico  maggiore.  Cimbri,  Pistaso. 

Erano  perciò  in  questo  secondo  Quartiere,  oltre  al 
maggiore  di  Forcella,  eh'  era  posto  avanti  TAtrio  della 
chiesa,  detta  oggi  perciò  i^.  Maria  a  Piazza^  due  al- 
tri Seggi:  quello  de'  Cimbrì\  e  Y  altro  di  Pistaso. 

11  terzo  Quartiere,  ovvero  Contrada  fu  chiamato  di 
Montagna^  ovvero  di  Somma  Piazza,  perch'era  nella 
più  alta  parte  della  città.  Fu  detta  ancora  la  regione 
del  Teatro  e  del  Foro  4  per  aver  nel  suo  recinto  il 
Teatro  ed  il  Foro;  ed  anche  regione  Palatina  dalFan- 
tico, Palazzo  che  ivi  èra,  ove  si  trattavano  i  pubblici 
affari. 

Le  minori  Piazze  o  vicoli  di  questa  Contrada  era- 
no: il  vicolo  della  Luce,  Beiraere,  Circolo,  Piazza 
Augustale ,  Piazza  Segno  ,  Sopramuro ,  Marmorata  , 
de' Giudei,  Casurio,, Formelle,  Dodici  Pozzi,  Carmi- 
guano,  Ferrare,  Friggido,  Burgaro,  de'  Tori,  de'  Maj , 
"Verlecilli,  Gasatine,  de'  Marogani,  de'  Masconi. 

Erano  perciò  in  questa  Regione,  oltre  il  maggior 
Seggio  di  Montagna,  detto  anche  di  S.  Angelo  per 
essere   allato  della  Farocchial   Chiesa  di   S.   Angelo, 


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348  STORIA  CIVILE 

otto  altri  Seggi  minori.  11  I  Seggio  di  Talamo,  II  dei 

MamolL  III  di  Capo  di  Piazzai.  I V  de*  Ferrari,  V  de' 

Saliti.  VI  de'  Canuti.  VII  de  Oalandi.  Vili  de'- Cor- 

mignani. 

La  quarta  Regione  è  quella,  clie  oggi  diciamo  di 
JNidoy  e  che  gli  antichi  nominavano  Festoriana  e  Calpu- 
rniana.  Fu  appellata  ancora  Alessandrina^  o  per  la  fre- 
quenz9  de*  Mercatanti  d'Alessandria,  cheyenuti  a  Na- 
poli a  mrercatantare  dimoravano  in  quella  regione, 
come  vuole  il  Giordano,  o  per  una  Chiesa,  che  v'era 
dedicata  a  S.  Attanagio  Patriarca  d'Alessandria^  come 
stima  il  Tutini.  Perciò  si  vede  essere  stata  quivi  col- 
locata la  statua  del  fiume  iVi7o,  che  diede  poi  il  nome 
al  Quartiere ,  e  che  oggi  ancora  il  ritiene ,  ancorché  , 
corrotta  dal  tempo  la  voce,  di  ISido  s'appelli. 

Mei  suo  distretto  ha  più  strade,  a  vicoli  minori, 
che  sono  di  S.  Biase,  Scorfuso^  f*ontanola,  Capo  di 
Monterone,  Daniele,  Cortegloria,  Pretorio,  Casanova, 
Camillo,  Montorio^  Scalese,  Missò,  degli  Acerri,  de- 
gli Offieri ,  de'  Vulcani ,  Salvonato ,  Australe ,  Arco 
Bredato,  Ficarolo,  della  Giosa,  Celano,  Quattropozzi, 
a  due  Amanti,  del  Sole  e  della  Luna,  Settimo  Cielo, 
Capo  di  Trio,  Dotì  Orso  ed  Ursitato,  e  Corte  Pa- 
gana. 

Questa  Contrada,  oltre  al  Seggio  maggiore  di  iV^cJa, 
area  qi^attro  altri  Seggi  lìiinorì.  Quello  à'Arco\  l'al- 
tro di  S.  Gennarello  ad  Diaconiam\V altro  di  Casanova 
vicino  11  Monastero  di  Monte  Vergine,  non  già,  come 
vuole  il  Costanzo  (a),  che  questo  Seggio  fosse  il  me- 
desimo di  quello  di  Portauova,  e  che  mutasse  il  nome 

^  (a)  Cost.  hist.  lib.  3. 


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DEL  REGNO  01  NAPOLI  L.  XX.  GAP.  IV.  249 

di  Gasa  ia  Pòrta;  e  Fahro  ài  Fontanola  nel  vicolo 
«ggi  detto  di  Mezzo  Gannòne. 

Queste  quattro  regioni  con  ì*  altre  minori  Piazze, 
che  le  componevano,  ebbero,  siccome  si  è  veduto,  al> 
trottanti  principali  Seggi,  e  gli  altri  minori  erano  di- 
ciannove, che  uniti  con  que'  quattro  arrivavano  al  nu« 
mero  di  ventitre.  Tutti  erano  rinchiusi  dentro  le  mura 
dell'antica  Napoli;  ma  essendo  stata  questa  città  d# 
varj  Imperadori  greci,  sotto  la  di  cui  dominazione  durò 
lungo  tempo \,  ampliato  ed  allargato  il  suo  recinto , 
tennero  perciò  a  rinserrarsi  i  Borghi  e  gli  altri  luo* 
ghi,  eh' eran  fuori  di  quella;  onde  s'accrebbero  due 
altre  regioni,  che  furono  quelle  di  Porto^  e  F  altra  di 
Portauova^  ed  in  conseguenza  due  altri  Seggi  maggiori, 
oltre  i  minori,  a' primi  s'aggiunsero. 

La  regione  di  Porto ,  che  anticamente  era  borgisi 
fuori  della  città ,  chiamossi  così,  perchè  stava  vicino 
al  mare  dov* era  l'antico  porto  della  città.  Abbracciava 
più  minori  contrade,  chiamate:  Morocino  piccolo.  Se-, 
verino,  Monterone,  Bagoo  di  Platone,  Aquario,  Fusa- 
rio,  Scoteliuccio,  delle  Galcare,  della  Lopa,  Media , 
ovvero  Melia,  Kua  de*  Caputi,  Serico,  Volpola,  Grif- 
fo, Appennino  di  S.  Barbara,  Albina,  P^tracciolo»  Ger- 
vico.  ^ 

Oltre  il  sdo  Seggio  maggiore  di  Porto,  teneva  due 
altre  Seggi  minori ,  quello  d' Aquario  così  detto  per 
Tabbondanza  delP acque,  eh'  era  in  quella  contrada;  e 
r  altro  de'  Griffi^  che  prese  tal  nome  dalla  famiglia 
Griffa  di  quella  Piazza. 

Il  Quartiere  di  Portauova  era  prima  detto  di  Porta 
a  mare,  per  una  Porta  antica  della  città,  ch'era  dalla 
parte  del  Mare;  ma  ampliata  la  città,  nelle  nuove  mu- 
raglie si  fece  un;^  nuova.  Porta,  onde  ^rese  poi  questo 


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4 
ùSo  STORIA  CIVILE 

nome.  Racchiude  queste  miaori  contrade:  Patrociano^ 
Appennino  de'  Moccia,  de'  Gostanzi,  de' Grassi,  S.  Sal- 
vatore,  Acciapaccia,  Giorgito,  Alburio ,  Bari>acanc^ 
Sinocia,  Porta  de'  Monaci,  Ferula,  delle  Palme. 

Oltre  il  suo  maggior  Seggio,  ve  n'  erano  due  altri 
minori:  quello  degli  Acciapacci^  e  Y  altro  de'  Costami: 

Erano  adunque  a'  tempi  del  Re  Carlo  I  d'  Angiò 
39  Seggi  in  questa  città,  sei  maggiori  e  ventitré  mi- 
nori, come  si  è  detto. 

Tutti  questi  Seggi,  ed  in  cotal  maniera  disposti, 
trovo  Carlo,  quando  si  rese  padrone  di  Napoli  e  del 
Regno;  onde  non  è  punto  vero  ciò,  che  alcuni  Scrit- 
tori sognarono,  che  Carlo  I  d' Angiò  istituisse  i  Seggi 
in  Napoli,  come  ben  a  lungo  ^  e  coir  autorità  di  pub- 
blici ed  antichi  monumenti  dimostrò  il  Tutini  (a).  Non 
è  punto  ancora  vero,  che  questo  Re  di  29  ch'erano, 
gli  avesse  ridotti  ne' soli  cinque,  che  sono  al  presente;  • 
poiché  dalle  scritture  rapportate  dal  medesimo^  si  vede 
chiaro,  che  anche  a' tempi  del  Re  Carlo  II  suo  fi- 
gliuolo, e  di  Roberto  suo  nipote  non  s'  erano  ancora 
uniti.  Siccome  non  deve  riputarsi  Carlo  autor  della 
divisione  tra  la  Nobiltà  ed  il  Popolo,  quasi  che  egli 
fosse  stato  il  primo  a  separare  in  questa  città  i  No- 
bili da'  Popolari;  essendo  chiarissimo,  che  in  tutti  i 
tempi,  COSI  de' Romani,  come  de'  Goti,  de'  Greci,  dei 
Longobardi,  Normanni  e  Svevi,  furon  sempre  in  Na- 
poli divisi  i  Nobili  dal  Popolo,  come  da  molti  marmi 
rapportati  dal  Gratero  ((),  dall'  epistole  di  Casdiodo- 
ro  fc),  da  quelle  di  S.  Gregorio  M.  (rfj,  d'Innocenzio 

(a)  TulJn.  dell'  Orig.  de'  Seggi ,  cap.  7.  (b)  Grut.  inscript. 
Òrb.  fol.  366  et  3;  j.  (e)  Gassiod.  van  lib.  6  epist.  24.  (d)  S.  Gre- 
gor.  lib.  2  epist.  6  et  lib.  S  epist.  4o« 


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DEL  REGNO  DI  N/LPOLI  L.  XX.  GAP,  IV.  a5i 
III  e  d'altri  romani  Poatefici  (a)  si  è  potuto  notare 
ne'  precedenti  Iii>n  di  quest' Istoria* 

Né  Carlo  ne'  Seggi  medesimi  separò  i  Popolari  dai 
Nobili,  quasi  che  quelli  promiscuamente,  e  di  Nobili 
e  di  Popolari  si  componessero;  poiché,  siccome  ben 
pruova  il  Tntini  (J),  que' Seggi  di  soli  Nobili  si  com- 
ponevano, e.  de' primi  della  città,  ancorché  non  si  pra- 
ticasse quel  rigore,  che  s'usa  oggi,  di  non  ammettere 
in  essi  i  Popolani;  come  spesso  si  faceva  allora,  quan- 
do o  vivessero  nobilmente,  o  imparentati  con  Nobili^ 
ó  d'  altra  prerogativa  cospicni  ne  fossero  stati  stimati 
meritevoli. 

Carlo  solamente  gli  rese  più  cospicui  e  chiari,  dando 
loro  marche  più  notabili  di  distinzione  dal  Popolo,  e 
rendendogli  più  eminenti  ed  illustri  sopra  gli  altri 
Seggi  delle  altre  città  del  Regno;  onde  la  Nobiltà  di 
Napoli  si  rese  similmente  più  chiara  ed  illustre  sopra 
la  Nobiltà  di  tutte  T altre  città  del  Regno,  E  ciò  av- 
venne per  più  cagioni. 

Primieramente  per  aver  Carlo  ornato  quasi  tutti 
que' Nobili  col  cingolo  militare,  facendogli  Cavalieri; 
II  essendosi  per  la  di  lui  residenza  renduta  questa 
città  capo  e  metropoli  del  Regno,  concorrevano  in 
essa  tutti  i  Baroni  del  Regno,  ed  i  maggiori  Signori 
e  Feudatari  a  dimorarvi,  i  quali  per  venire  ammessi 
allora  con  facilità,  anzi  pregati,  a  que'  Seggi,  gli  re- 
sero più  numerosi,  e  cospicui;  III  dalla  residenza  d<$ 
maggiori  Uffìciali  della  Corona  e  della  Milizia,  i  quali 
illustrarono  anch'  essi  quelle  Ragunanze;  perchè  non 
volendo  essere  del  Popolo  s'arrolavaoo  co' Nobili;  IV 
i  tanti  Nobili  franzesi   e   provenzali,   che    portò    seco 

{a)  V.  Tulìn.  loc.  cit.  cap.  8.  {b)    Tutia.  loc   cit.  cap.  j 


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352  STORIA  CIVILE 

Carlo  di  Francia  e  di  Provenza,  i  quali  pef  essere 
stati  premiati  da  lui  coi)  feudi  e  càriche  jpubbliche, 
fermati  perciò  in  Napoli  ed  arrolati  co'  Nobili,  resero 
più  cospicue  le  loro  Piazze,  introducèndosi  in  qiielle 
molte  famiglie  franzesi:  al  che  Carlo  vi  cooperava  per 
altro  fine,  cioè  per  aver  i^ontezza  di  quanto  in  quelle 
si  trattava. 

E  per  ulti  Dio,  vivendosi  in  Napoli  a*  tempi  di  Carlo 
per  collette,  concedè  questo  Principe  molte  preroga- 
tive a' Nobili  intorno  a  tali  pagamenti^  perchè  volle, 
che  contribuissero  co' Popolari,  ma  che  separatamente 
dal  Popolo  i  Nobili  le  pagassero;  onde  i  Nobili  esi- 
gevano per  la  Nobiltà,  ed  i  popolani  per  lo  Popolo. 
E  per  allettare  maggiormente  la  Nobiltà  napoletana^ 
del  primo  anno  del  suo, Regno  conferxQÒ  il  privilegio 
Concesso  loro  dal  Re  Manfredi,  di  dividersi  tra  essi 
la  sessagesima  parte  del  jus  delle  mercatanzie,  ch'en- 
travano in  Napoli,  tanto  per  terra^  quanto  per  ma- 
re (a):  ciocché  fu  una  più  distinta  marca  di  divisione 
tra' Nobili,  e  que'del  Popolo. 

Ma  tutte  queste  belle  prerogative  non  poterono  far 
tanto  estollere  la  nobiltà. di  questi  Seggi  sopra  tutti 
gli  altri  Seggi  del  Regno,  e  rendergli  in  quella  ma- 
niera pregevoli,  nella  quale  si  vedono  oggi,  quanto  i 
rigorosi  regolamenti  seguiti  da  poi  intorno  all'  anuuet- 
tere  nuove  famiglie,  e  l'essersi  poi  tntti  ^esti  ridotti 
a  soli  cinque. 

Prima  ne.'  tempi  stessi  di  Carlo  e  degli  altri  Re 
angioini  suoi  successori,  non  vi  era  tanto  rigore  nelle 
aggregazioni:  i  Popolari  e'  Forastierì  vi  erano  indif- 
ferentemente ammessi.  Questo  costume   da  tempi  an- 

(a)  Tutin.  cap.  lO  p,  ii3. 


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•    DEL  REGNO  DI  NIpOLI  L.  XX.  CAP.  IV.  353 

tichissimi  traeva  la  sua  origine;  poiché    Napoli  come 
città  grec^,  .seguendo  T esempio  de'Tebani,  che  come 
dice  Aristotele  (a),  a  lungo  andare   ammettevano    alla 
loro  Nobiltà  que'  del  Popolò,  eh'  erano  ascesi  a  grandi 
ricchezze  e  quegli  alicora,  che  per  lun^o  tempo    eran 
nobilmente  vivutì,  ed  avviano  lasciato  il  mercatantare, 
ed  altri  simili  mestieri;  riceveva  le  famiglie   cosi   na- 
zionali, còme  forastiere,  che  per    lungo   tempo   avean 
serbato  il  decoro  della  Nobiltà,  e  che  per  lungo  tempo 
eran  yivute   con   arme  e  cavalli.    Così   ne*  tempi,   nel 
quali  siamo  di  Carlo  I,  Fusco  Favilla  vivendo  nobil- 
mente con  armi  e  cavalli^  fece  istanza  al  Re  di  farlo 
contribuire  co' Nobili,  e'I  Re  acconsente,  dicendo:  J?o 
ijuod  vivit  cum  armis,  et  equis^  contribuat  cum  militi- 
"bus  (b).  Il  simile  leggiamo   di   Marino   di   Madie,    di 
Ademaro   di   Nocera,    e  di   Nicolò    Canuto    cittadino 
napoletana  (e).  E    Carlo  II  suo  figliuolo  a  M.    Donò 
da  Fiorenza  commorante  in  Napoli   l'ammise  a  qual- 
sivoglia Seggio,  e  di  poter  contribuire  cum   militibus 
illius  Plateae  ,    in  qua    habitaverit^   usque    ad  regium 
beneplacitum  j  fx  gratta  speciali  (d),  E  móltissimi  al- 
tri esempi  se  ne  leggono  ne^ regali  registri,  ammetten- 
do i  Re  le  famiglie  ne' Seggi  in  tal  guisa;  poiché  que- 
sta era  la  nota,  che  distingueva  i  Nobili  da'  Popolani; 
€Ìoé  che  costoro  contribuivano  le  collette  col  Popolo^ 
€  jcoloro  colla  Nobiltà. 

Ma,  tolte  via  le  collette,  cessa  questo  modo  d'ag«s 
pregar  se' Seggi;  ed  a  Nobili  s' appartenne  T  aggregare, 

{a)  AristoteL  lib.  6.  Politic.  cap.  7.  {b)  Tutin.  cap.  12 
pag.  im.  Regista  ann.  1269  Ht.  S.  fol.  14.  (e)  Reg.  1269 
lit.  C.  fol.  6  a  ter.  Reg.  1269.  S.  fol.  58  1269.  D.  fol.  i^i 
{d)  Reg.  ano,  1294  M.  fol.  179. 


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a54  STORIA  CIVII/E 

i  quali  niente  di  rigor  usando,  ammettevano  indifìG^* 
rentemente  tutti^  quelli,  che  per  luogo  tempo  erano 
nobilmente  vivuti  in  Napoli,  sì  cittadini,,  come  fora- 
«tieri,  che  aveano  contratta  parentela  co'  Nobili,  ed 
abitavano  nel  Quartiere  di  ciascun  Seggio:  così  la  fa* 
miglia  Sassone  vivendo  nobilmente  io  Napoli  nel  quar* 
fiere  di  Portauova,  ed  imparentando  co' Nobili  di  Piazza 
fu  aggregata  al  Seggio  di  Portanova.  E  nel  libro  dei 
Parlamenti  leggesi  T aggregazione  fatta  neiranno  i48o 
di  Giulio  Scorciato,  ch'era  uomo  nuovo  in  Napoli^ 
allora  venuto  dalla  Castelluccia^  e  perch'era  Dottore 
e  Consigliere  del  Re  Ferrante,  ed  avea  la  casa  nello 
tenimento  della  Montagna ^  lo  chiamarono  alla  Con^ 
gregazione  dello  detto  Seggio.  E  questo  era  il  consueto 
alile  d' aggregare  allora,  leggendosi  nel  processo  d'  £t- 
torre  d'Anagni  con  la  Piazza  di  Nido,  che  così  anti- 
camente èrano  chiamati  nelle  Piazze  quellif  che  ahi- 
lavano  nello  quartiere  ^  gente  ben  nate,  ricche,  dotte, 
che  viveano  nobilmente  y  a  dare  il  loro  parere  nella 
Congregazione  delli  Seggi  (a). 

Quindi  avvenne,  che  nelle  cause  di  reintegrazioni, 
r  aver  avute  le  case  ne'  quartieri  a'  Seggi  viciai,  era 
riputato  atto  possessivo  di  Nobiltà  in  quel  Seggio,  e 
così  furono  reintegrate  molte  famiglie,  come  ^^la  Pan^ 
dona,  e  la  Mariconda  a  Capuana;  la  Majorana  a  Mon- 
tagna, la  Mastrogiudice  a  Nido,  e  moltissime  altre. 

Da  poi  si  vennero  pian  piano  a  restringersi  le  ag- 
gregazioni; poiché  i  Nobili  delle  Piazze  infra  di  loro 
fecero  alcuni  stabilimenti,  con  ricercare  altri  requisiti^ 
senza  i  quali  non  erano  ammessi.  Così  i  Nobili  della 
Piazza  di  Capuana  nelFanno  i5oo  per  pubblico  iatrp- 

(«)  Tutin.  cap.  12.  pag,  ii4« 


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DEL  REGNO  DI  NAPOLI  L.  XX.  CAP.  IT.  a55 

mento  conchiusero,  che  chiunque  volesse  essere  am- 
messo nella  lor  Piazza ,  dovea  esser  Nobile  di  quadro 
quarti  di  nome  e  d*arme,  senza  alcuno  ripezzo:  che 
fosse  legittimamente  nato,  e  figliuolo  di  legittima  per. 
sona:  che  per  lungo  tempo  avesse  praticato  con  No- 
bili, e  con  essi  contratta  ancora  parentela:  che  non 
fosse  macchiato  di  alcun  vìzio,  che  offender  potesse 
la  Nobiltà.  La  Piazza  di  JSido  fece  ancor  essa  molti 
altri  Capitoli  cosi  in  detto  anno'iSoo  come  negli  an- 
ni i5o7  e  i52i4-  Quella  di  Montagna  nell'anno  1420 
pur  fece  i  suoi,  che  poi  nell'anno  iSoo  accrebbe  d'al- 
tri, i  quali  tutti  possono  vedersi  in  Tutini.  Siccome 
apche  fecero  i  Nobili  di  Porto  e  Portanova^  ì  Capi- 
toli de'  quali  non  si  sanno,  per  essersi  gli  antichi  li- 
bri di  questi  due  Seggi  perduti. 

Ridotto  per  questi  nuovi  Capitoli  V  esser  nobile  di 
Seggio  in  più  alta  stima,  cosi  ^er  lo  rijgore,  che  pra« 
ticavasi  nelF  aggregazioni,  come  anche  per  passare  i 
negozi  più  importanti  per  le  mani  de' Nobili,  e  perchè 
i  Signori  Viceré  nel  trattare  gli  affari  regi  avean  so- 
vente bisogno  di  essi,  onde  quando  prima  non  molto 
si  curavano  queste  aggregazioni,  si  fec*e  da  poi  così  de* 
siderabile  esser  di  Piazza,  che  non  vi  era  famiglia, 
né  Signore  o  Ministro  regio,  che  non  moyesse  ogni 
impegno  per  aggregarvisi  ;  sicché  infastidite  le  Piazze 
per  le  tante  dimande ,  si  tolsero  per  sé  medesime  T  au- 
torità di  aggregare,  risegnandola  in  mano  del  Re;  di 
modo  che  ordinò  Filippo  II,  che  senza  sua  saputa  e 
licenza  non  si  potesse  trattare  aggregazione  o  reinte- 
grazione alcuna  nelle  Piazze  di  Napoli;  e  volendosi  di 
ciò  trattare,  s' ottenesse  prima  licenza  di  Sua  Maestà, 
e  poi  congregati  tutti  i  Nobili  di  quel  Seggio,  e  pro- 
postasi la  dimanda,  non  essendovi  discrepanza,  fosse 


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356  STORIA  CIVILE 

ammesso  colai,  che  diiti andava  F  aggregazione,  altri- 
menti^ discrepando  uno  d'essi  Nobili,  il  trattato  fosse 
nullo:  ciò  che  riusciva  molto  difficile,  ed  era  esporsi 
«d  un  cimento  molto  pericoloso.  Per  la  qual  cosa 
molti  impresero  più  tosto  per  via  di  giustizia  preten- 
der reintegrazione,  portando,  che  alcuni  decloro  mag- 
giori ayessero  goduto  in  quelle  Piazze,  che  esporsi  al 
cimento  difficile  dell'aggregazione.  Sicché  al  presente 
il  Re  tien  deputati  cincpie,  Consiglieri,  ed  un  Fiscale 
nel  S.  G.  a  sentenziare  sopra  le  loro  istanze,  ottenuta 
prima  licenza  dal  Re  di  potersi  trattare  la  reintegra* 
ziòne.  Al  cui  esempio  le  città  minori  delle  province, 
alcune  delle  quali  hanno  Seggi  chiusi,  ottennero  pari- 
mente dal  Re,  che  senza  sua  licenssa  non  potessero 
trattarsi  reintegrazioni,  ovvero  aggregazioni. 

L'altra  cagione,  onde  questi  Seggi  si  fossero  resi 
cotanto  pregevoli,  si  fu  di  29  ch'erano  in  prima,  es- 
sersi ultimamente  ridotti  a  soli  cinque,  di  Capuana^ 
Nido,  Montagna,  Porto  e  Portauova.  Qimndo  si  fosse 
fatta  tal  restrizione,  non  è  di  tutti  conforme  il  senti- 
mento ,  poiché  non  vi  sono  scritture  che  ei  possano 
accertare  del  tempo  preciso;  ma  poiché  quest'  nniono 
non  si  fece  tutta  in  un  tratto,  egli  é  verisimile,  che 
negli  ultimi  anni  del  Regno  di  Roherto  quella  si  per* 
fezionasìse.  Ed  il  modo  6ome  tutti  que'  Seggi  minori 
s'unissero  a  questi  cinque,  fu  cosi  naturale  e  proprio, 
che  sarebbe  maraviglia  se  s'osservasse  il  contrario; 
poiché  qu^si  tutti  questi  Seggi  si  componevano  di  sei 
o  otto  famiglie,  quante  forse  n'erano  in  quelle  minori 
contrade,  ed  essendo  dipendenti  dal  Seggio  maggiore, 
in  decorso  di  tempo  sovente  accadeva,  che  spenta  la 
maggior  parte  d'esse,  e  poche  famiglie  rimaste,  queste 
«e  ne  passavano  al  suo  principale  Seggio,  6  restavano 


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DEL  REGNO  DI  NAPOLI  L.XX.  CAP.  IV.  «57 

estinti  i  miaori;  onde  si  vede,  che  poi  i  Nobili  del 
prìncipal  Seggio  vendevano  il  luogo,  ove  era  il  Tea- 
tro o  portico  (a):  così  vedesl  il  Seggio  àt'  Melaziy  ap- 
partenente al  Seggio  di  Capuana,  ne*  tempi  di  Roberto, 
intorno  Tanno  i33S  essere  stato  venduto  dalla  Piazza 
di  Capuana,  per  essere  spente  le  famiglie,  che  quello 
componevano.  Così  ancora  nell'anno  i33i  per  coman- 
damento della  Regina  moglie  di  Roberto  fu  abbattuto 
il  Seggio  delli  Griffi.  Ed  il  Seggio  di  Somma  Piazza^ 
altrimente  detto  il  Seggio  de  Bocchi^  essendo  mancate 
le  famiglie,  che  lo  componevano,  e  rimasto  per  ricet- 
tacolo de' malfattori,  la  Reina  Giovanna  II  lo  dono 
ad  Antonello  Centonze  da  Tiano.  Parimente  i  Nobili 
di  Montagna  venderono  il  Seggio  de  Cimbri  ^  come  cosa 
lor  propria,  a  D.  Fabio  Rosso.  Ed  in  questa  maniera 
tratto  tratto  si  ridussero  tutti  alloro  Seggi  maggiori. 

Ma  come,  ed  in  qual  tempo  si  facesse  l  unione  d' un 
Seggio  maggiore  ad  un  altro  parimente  maggiore,  co- 
me fu  quello  di  Forcella  a  quello  di  Montagna^  è 
d' uopo  che  si  narri.  Alcuni  portarono  opinione,  ch^es- 
Bendo  mancate  ne' tempi  di  Carlo  I  nella  Piazza  di 
Forcella  molte  famiglie,  si  fosse  fatta  da  poi  nel  Re- 
gno di  Carlo  II  suo  figliuola  questa  unione.  Ma  sic- 
come notò  prima  il  Summonte  (6),  e  da  poi  il  Tuti- 
ni  (e),  ciò  è  falso;  poiché  ira' Collettori  dell' anno  i3oe 
nel  Regno  di  Carlo  II  destinati  all' esazione  delle  col- 
lette, si  legge  Niccolò  Saduccio  Colleltor  di  Forcella, 
e  ne' Capitoli  del  Re  Roberto,  si  vede  convenire  Gia- 
como Chianula  per  la  Piazza  di  Forcella,  insieme  con 
gli  altri  deputati  nobili  dell  altre  Piazze  (d). 

(a)  Tiitin.  deir  Orig.  de' Seggi ,  cap.  3.  (b)  Summonte  t.  a 
pag.  309.  {e)  Tulin.  1.  cit.  (d)  Gap.  de  Raptoribus. 

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2  58  STORU  CIVILE 

Non  è  da  rifiutarsi  perciò  l'opinione  del  Tutini^ 
che  credette  quest'unione  essersi  fatta  negli  ultimi  anni 
del  Regno  di  Roberto,  con  T  occasione  della  discòrdia 
nata  fra' Nobili  delle  due  Piazze i^  Capuana,  e  Nido, 
co'  Nobili  dell'  altre  Piazze ,  intorno  alla  quale  Roberto 
avendo  ordinati  alcuni  stabilimenti,  rapportati  dal  Sum- 
monte  (a)  e  dal  medesimo  Tutini,  e  facendo  in  quelli 
solamente  menzione  di  sei  Eletti,  comprendendo  in  essi 
quello  del  Popolo,  si  ricava  ,  che  in  questi  tempi  la 
Piazza  di  Forcella  era  già  unita  a  quella  di  Monta- 
gna. Ciò  che  maggiormente  si  conferma  da  una  carta 
della  Regina  Giovanna  I,  rapportata  dalFiatesso  Tuti- 
ni, nella  quale,  avendo  ne' primi  anni  del  suo  Regno 
ordinato,  che  si  facesse  inquisizione  di  tutti  i  Feuda- 
tari del  Regno,  si  notano  i  Feudatari  de'  Seggi  di  Na- 
poli Piazza  per  Piazza,  e  non  si  fa  in  essa  altra  men- 
zione, se  non  de'  soli  cinque.  ^ 

Nella  quale  unione  è  da  notarsi,  che  per  essere  il 
Seggio  di  Forcella  Seggio  maggiore,  che  s'uni  ad  un 
altro  maggiore,  perciò  la  Piazza  di  Montagna  fa  due 
Eletti,  uno  per  se,  e  l'altro  rappresentando  quel  di 
Forcella.  Ciò  che  non  avvenne  nell'  unione  degli  altri 
Seggi  minori  uniti  alle  principali  loro  Piazze,  pcTchè 
essendo  questi  dipendenti  da  quelli,  bastava  un  Eletto 
per  tutti.  Solo  per  conservar  la  loro  memoria  è  ri- 
masta r  elezione  degli  Ufficiali,  che  ciascuno  di  questi 
cinque  Seggi  crea  con  nome  di  sei,  e  cinque  Capitani 
de'  Nobili,  i  quali  uniti  tutti  insieme,  fanno  il  numero 
de' 2()  rappresentanti  ciascuno  d'essi  uno  di  quegli  an« 
tichi  Seggi  (6).   Questi  hanno  prerogativa  di  far    con- 

{a)  Summonle  tom.  2  pag.  4oi.  {b)  V.  Tutin.  cap.  i3 
pag.   i3i. 


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DEL  REGNO  DI  NAPOLI  L.  XX.  GAP.  IV.  aSg 

Tocar  i  Nobili  pet  trattar  i  pubblici  affari,  propongono 
i  punti,  che  devono  risolversi,  ricevono  i  voti  ed  han- 
no grand'  autorità  neir  assemblee^  e  sono  da'  Nobili 
creati  ogni  armo,  ed  oggi  tengon  titolo  di  Deputati. 

Bidotti  adunque  ed  incorporati  tutti  questi  Seggi 
arsoli  cinque,  e  disfatti  tatti  gli  altri,  conììnciarono  in 
varii  e  diversi  tempi  ad  ampliare  con  magnifici  edifìci 
i  loro  teatri,  e  ridursi  i  portici  in  quella  magnificen- 
za, che  oggi  si  vede;  ed  essendo  poi  di  tempo  in  tem- 
po con  nuovi  edifici  ampliata  la  città ,  e  venuta  a 
quella  portentosa  grandezza,  che  oggi  s'ammira,  creb- 
bero a  proporzione  i  loro  quartieri  e  si  resero  più  spa- 
ziosi. Sono  tutti  cinque  uguali,  e  non  hanno  maggio- 
ranza infra  di  loro,  ancorché  que'di  Capuana  e  Ni- 
do, per  Io  splendore  decloro  Nobili,  per  cagion  degli 
ampii  Stati  e  ricchezze  che  possedono,  vantino  sopra 
gli  altri  maggiore  preminenza. 

Hanno  moke  prerogative,  non  solo  di  creare  gli 
Eletti,  i  quali  con  quello  del  Popolo  governano  la 
città,  convenendo  insieme  nel  loro  Tribunale  a  trattare 
i  negozi  del  Pubblico,  ma  esercitano  ancora  molte 
giurisdizioni,  e  fra  T altre  di  dichiarar  i  Popolani  no- 
bili del  Popolo  napoletano,  e  conceder  lettere  di  cit- 
tadinanza. Hanno  parimente  i  Nobili  di  queste  Piazze 
autorità  di  creare  il  S ìndico,'  che  ne' Parlamenti  gene* 
rali  ed  in  altre  pubbliche  funzioni,  appresso  il  Viceré 
rappresenta  non  meno  la  città,  che  tutto  il  Regno.  Co- 
municano insieme  i  Nobili  di  Capuana  e  Nido,  quando 
s^  uniscono  per  trattare  i  negozi  dei  pubblico,  potendo 
r  uno  andare  al  Seggio  dell'  altro,  con  dar  i  voti;  ma 
non  perciò  possono  ricevere  uffici,  se  non  ognuno  nel 
suo  proprio  Seggio.  Hanno  ancora  una  legge  fra  loro 
circa  il  contrarre  i  matrimoni,  detta  la  nuova  maniera 


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a6o  STORIA  CIVILE 

di  Capuana  e  Nido.  Ed  i  Nobili  di  Montagna  aveane 
anch'  essi  anticamente  naoYo  modo  ^irca  il  dar  delle 
doti  alle  Gentildonne  della  loro  Piazza.  Ed  in  Napoli 
ancora  neir  età  vetusta  v'  era  un  altro  modo  di  con- 
tratto dotale  air  usanza  delle  Contesse  e  Baronesse  del 
Regno. 

Non  riconoscendosi  nella  città  di  Napoli  se  non  che 
<lue  Ordini,  di  Nobiltà  e  di  Popolo,  poiché  lo  Stato 
ecclesiastico,  che  in  Francia  fa  ordine  a  parte,  presso 
dì  noi  non  è  riputato  Ordine  separato;  ma  (  siccome 
l'Ordine  de^  Magistrati)  è  rimasto  mescolato  tra  la  No* 
biltà  e  Popolo,  perciò  nel  governo  della  medesima, 
non  si  ammettono  se  non  Nobili  e  del  Popolo.  Quindi 
è,  che  appartenendosi  il  governo  della  medesima  non 
meno  a' Nobili  che  al  Popolo,  siccome  fu  sempre,  come 
ben  pruova  il  Tutini  (a),  perciò  oltre  le  cinque  so- 
prannomate  Piazze,  evvene  un'  altra  del  Popolo,  la 
quale  non  altrimenti  che  quelle  de'  Nobili,  elegge  il 
suo  Eletto,  crea  i  suoi  Ufficiali,  tiene  la  sue  regioni 
minori,  che  chiamano  O Itine,  ed  è  partecipe  insieme 
co'  Nobili  del  governo  delle  città,  e  di  tutti  gli  altri 
onori  e  preminenze  (b)* 

Ma  air  incontro,  dimorando  in  questa  città  molte 
nobili  ed  illustri  famiglie,  le  quali  non  comunicano 
né  con  la  Nobiltà,  né  col  Popolo:  perciò  queste  si  ri- 
putano come  fuori  del  Corpo  della  cittadinanza,  traendo 
esse  la  maggior  parte  1  origine  da  altre  città  di  den- 
tro e  fuòri  del  Regno.  Né  tal  Nobiltà  ha  sede  o  luogo; 
perché  abrimente  dovrebbe  ancor  ella   aver  parte  nei 

(a)  Tutin.  cap.  9.  {h)  V.  Tulin.  dell*  Orig.  de'  Seggi ,  cap. 
16  et  seqcf. 


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DEL  REGNO  DI  NAPOLI  L.XX,  GAP.  IV,  sGt 

paesi,  e  negli  onori  insieme  con  gli  altri  Nobili  de'  ciò-' 
que  Seggi* 

Per  questa  cagione  a'  tempi  di  D>  Pietro  di  To- 
ledo, allora  Yicerè,  cadde  in  pensiero  a  molte  fami'> 
glie,  che  non  erano  agg^regate  a' Seggi,  né  comunica* 
vano  col  Popolo,  di  supplicar  Carlo  Y,  che  traendo 
esse  orìgine  da  famiglie  illustri,  nobilitate  con  feudi , 
per  lunghi  anni  signore  di  va^ìsalli,  ed  imparentate 
con  Nobili  di  Piazze,  che  dovessero  ammettersi  a'  Seggi ^ 
ovvero  di  conceder  loro  licenza,  che  potessero  ediQcare 
un  nuovo  Seggio,  e  goder  degli  onori  e  pesi,  che  go- 
dono i  Nobili  della  loro  citth.  Ma  trovandosi  allora 
implicato  rimperadore  alla  guerra  di  Siena,  non  potè 
darvi  alcun  provvedimento;  ed  intanto  perchè  molte 
di  quelle  famiglie  furono  poi  ammesse  a' Seggi,  non  vi 
si  fece  altro.  Ma  da  poi  correndo  l'agno  iSSS  si  ri- 
nomò la  dimanda  da  quelle  Gase,  che  non  furono  ag- 
gregate, e  da  molte  famiglie  spagnuole,  le  quali  ne 
supplicarono  il  Ke  Filippo  II  ma  rimesso  dal  Rè  Tuf- 
fare a  giustizia,  s'impose  a  quello  perpetuo  silenzio* 
Ultimamente  nell'anno  1687  molte  illustri  famiglie, 
come  gli  Aquini,  Eboli,  Filangieri,  Gambacorti,  Ajerbi 
d'Aragona,  Goncobletti,  Orsini,  Marchesi,  Franchi, 
Leìva,  Mendozza  ed  altre^  posero  di  nuovo  in  tratto 
di^  ergere  un  nuovo  Seggio,  e  ne  ricorsero  al  Re  Fi- 
lippo IT;  ma  dopo  un  lungo  aspettare,  secondo  la 
aolita  tardità  e  lunghezza  di  quella  Corte,  stancati 
finalmente  i  pretendenti,  non  ne  fecero  più  parola, 
tanto  che  proccuraron  da  poi  d*  essere  aggregati  negli 
antichi  Seggi,  dove  sonp  stati  ammessi. 


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a6«  StORIA  CIVILE 

I.  Parlamenti  generali  cominciati  a  convocarn 

I  in  Napoli* 

« 

Da'  precedenti  libri  di  quest'Istoria  si  è  potuto  no- 
tare che  i  Re  di  Sicilia ,  quando  o  per  occasione  di 
stabilir  nuove  leggi,  ovvero  per  altri  bisogni  della 
Stato  convocavano  le  Corti  generali,]  non  in  Napoli,  ma 
in  varie  città  del  Regno  Y  intimavano.  Così  ora  in 
Melfi,  ora  in  Ariano,  ora  in  Bari,  in  S.  Germano, 
Capua,  Barletta  ed  altrove  tennero  Parlamenti.  Ma  da 
poi  che  Carlo  d'  Angiò,  residendo  per  Io  più  in  Na- 
poli, invitò  ad  abitare  in  quella  quasi  tutti  i  Baroni, 
i  Signori  ed  i  maggióri  Ufficiali  del  Regno,  fu  questa 
città  riputata  la  più  acconcia  e  comoda,  per  potersi 
quivi  convocare  le  generali  Assemblee,  dove  trovan- 
dosi la  maggior  parte  de'Baroni,  e  venendo  i  Sindici 
delle  altre  città  e  terre  del  Regno,  e'  univano  i  due 
Ordini  della  Nobiltà  e  del  Popolo  a  deliberare  delle 
cose  importanti  e  rimarchevoli  dello  Stato;  poiché 
presso  di  Noi,,  siccome  in  tutti  gli  altri  Stati  della 
Cristianità,  toltone  il  Regno  di  Francia,  lo  Stato  ec- 
clesiastico non  fa  Ordine  a  parte,  ma  non  altrimente 
che  facevano  ì  Romani  decloro  Preti,  li  quali  li  la- 
sciavano mescolati  fra  i  tre  Stati,  gli  lasciamo  nelF Or- 
dine della  Nobiltà  e  del  Popolo;  ond'  è,  che  tra  noi 
ne  Parlamenti  il  Clero  non  ha  l^ogo  a  parte,  e  se  ta- 
lora vi  sono  invitati  i  Prelati,  v'  intervengono  come 
Baroni,  siccome  Y  Abate  di  Monte  Gassino  che  vanta 
essere  il  primo  Barone  del  Regno,  Y  Ascivescovo  di 
Reggio  e  tanti  altri.  Quindi  per  essersi  Napoli  ren* 
duta  capo  e  metropoli  del  Regno,  quasi  tutti  i  Par- 
lamenti che  si  tennero  da  poi,  in  questa  città  si  con-^ 


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DEL  REGNO  DI  NAPOLI  L.  XX.  GAP.  IV.   ^63 

VOCarono,  tarufuam  in  solemniori^.ét  habiliofiloco  come 
Oàrlo  II  stesso  lo  qualifica  (a).  Ciò  che  poi  imitarono 
Giovanna  I,  Carlo  III,  Luigi  II,  Alfonso  I  e  gli  altri 
Re  suoi  successori  (fc) ,  tantoché  avendo  il  Re  Al- 
fonso intimato  un  Parlamento  in  Benevento,  i  Napo- 
letani se  ne  offesero,  e  feron  sì,  che  il  Re  lo  convo*^ 
casse  in  Napoli. 

CAPITOLO   V. 

Divisione  Jet  Regno  di  Sicilia  da  quello  di  Puglia^ 
per  lo  famoso   Vespro  Siciliano, 

IVI  a  fra  le  cagioni  sinora  annoverate,  onde  Napoli 
sopra  tutte  le  altre  città  .estolse  il  suo  capo,  la  prin* 
cipale  fu  la  divisione  di  questi  due  Reami.  Divisi  que- 
sti Regni,  si  videro  due  Reggie,  l'antica  di  Sicilia  e 
la  nuova  di  Napoli.  Palermo  rimase  per  gli  Aragonesi 
in  Sicilia:  Napoli  per  li  Franzesi  in  Puglia  e  Cala- 
bria. Ed  è  cosa  da  notare,  che  non  meno  la  prospera 
fortuna  fin  qui  tenuta  da  Carlo,  che  V  avversa,  la 
quale,  assunto  che  fu  al  Ponteficato  Niccolò  III  co- 
minciò a  travagliar  questo  Principe,  cospirarono  alla 
esaltazione  di  questa  Città. 

Morto  Papa  Giovanni,  e  non  avendo  potuto  Re 
Ciarlo  per  sei  mesi  di  maneggi,  quanto  appunto  vacò 
quella  sede^  ottenere,,  che  si  fòsse  rifatto  uh  Papa 
Franzese,  si  risolvè  il  Collegio  de'  Cardinali  nel  mese 
di  novembre  dell'anno  1277  eleggere  per  successore 
Giovanni  Cardinal  Gaetano  di  Gasa  Ursina  che  Nic 


(a)  Summ.  tom*  2  p.  208.  {b)  Y.  Costo  HftirAnaot.  a  Col- 
leu  u  e.    ^^^ 


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a64  STORIA.  CIVILE 

colò  lil  volle  nomarsi.  Costui,  che  tanto  nella  rita  pri- 
vate, come  nel  Cardinalato  fu  tenuto  per  uomo  di  buoni 
costumi  e  di  vita  cristiana,  assunto  al  Papato  mostrò 
un  desiderio  sfrenato   d'  ingrandire   i   suoi;   onde   nel 
conferire  le  Prelature  ed  i  gradi,   e   beni   tanto    tem- 
porali del  suo    Stato,   quanto  ecclesiastici,   ogni   cosa 
donava,  e  conferiva  a' suoi  parenti  o  ad  altri,    ad  ar-. 
bitrio  loro  (a);   e  da  questa  passione  raossp  mandò  a 
richiedere  Re  Carlo,  che  volesse  dare  una  delle  figliuole 
del  Principe  di  Salerno,  ad   uno   de' suoi   nepotì.  Ma 
quel  Re,  ch'era  usato  d'aver  Pontefici  vassalli  ed  in- 
feriori, se  ne  sdegnò,  e  rispose  che  non  conveniva  al 
sangue  Reale  di  pareggiarsi  con  Signoria,  che  finisce 
con  la  vita,  come  quella  del  Papa.  Di  questa  risposta 
s'  adirò  il  Pontefice,  in  guisa  che   rotto  ogni  indugia 
se  gli  dichiarò  nemico,  e  rivocò    fra   pochi   giorni   il 
privilegio  concesso,  e  confermato  dagli  altri  Pontefici 
in  persona  del  Re  Carlo,  del  Vicariato  dell'  Imperio, 
dicendo,  che  poiché  in  Germania  era  stato  eletto  Ro* 
dolfo  Imperadore,  toccava  a  lui  d'eleggersi  il  Vicario, 
e  che  '1  Papa  non  avea  potestà  alcuna  d'  eleggerlo,  se 
non  in  tempo  che  Y  Imperio  vacava.  Poi  venne  a  Roma, 
e  conoscendosi  col  favore  de'  suoi  poter  più  di  quello, 
che  aveano  potuto  gli  altri  Pontefici,   gli  tolse  1'  Uf- 
ficio di  Senatore,  e  fece  una  legge,  che   né   Re,   né 
figliuoli  di  Re  potessero  esercitare  quell'Ufficio. 

Carlo  disprezzò  V  ire  del  Pontefice  e'  suoi  disgusti, 
li  quali,  come  védrassi,  furono  una  delle  quattro  ca- 
gioni della  perdita  di  Sicilia;  ma  tutto  inteso  alla 
guerra  contro  Michele  Paleologo  Imperador  di  Costan- 
tinopoli ne  avea  già  ordinato  un  apparato  grandissimo 

(a)  Costanzo  histor.  lib.  2. 


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DEL  REGNO  DI  NAPOLI' L. XX.  CIP. V.  365 
nel  Regno,  nell*  isola  di  Sicilia  ed  in  Provenza;  ed 
erasi  .già  accinto  nll  impresa  con  un  gran  numero  di 
galee,  e  numero  infinito  di  legni  da  passar  caTalli,  e 
da  condur  cose  necessarie  ad  un  grandissimo  esercito; 
'  fece  intendere  a  tutti  i  Conti  e  Feudatari  a  lui  sog- 
getti, che  si  ponessero  in  ordine  per  seguirlo:  acri- 
vendo  in  oltre  a  tutti  i  .Capitani,  che  facessero  élc'* 
zione  de*  più  ralenti  soldati  e  cavalli,  per  venire  al 
primo  ordine  suo  a  Brindisi  (a). 

La  fama  di  sì  grande  apparato  sbigottì  molto  il't^a- 
teologo,  el  mise  In  gran  timore,  sapendo  quanta  fosse 
la  potenza  di  Re  Carlo;  pure  quanto  potea,  si  prepa- 
rava a  sostener  l'impeto  di  tanta  guerra;  ma  trovò  dui- 
l'ingegno  e  dal  valore  d'un  solo  uomo  quello  aiuto,  che 
avrebbe  potuto  promettersi  da  qualunque  grande  esercito. 

Quest'uomo  fu  Giovanni  di  Precida  cittadino  no- 
bile salernitano,  Signore  di  Precida  e  di  molte  terre; 
fti  molto  affezionato  alla  Casa  di  Svevia,  e  da  Fede- 
rico II  tenuto  in  sommo  pregiò  per  le  molte  virtù, 
alle  quali  accoppiò  anche  una  somma  perizia  di  me* 
dicina,  ciò  che  non  faceva  in  que'tempi  vergogna;  poi- 
ché, come  si  è  potuto  vedere  ne'  precedenti  libri  di 
quest'  Istoria,  in  Salerno  questa  scienza  era  profes- 
sata da*  Nobili  più  illustri  di  quella  città,  ne  abborri» 
vano  di  professarla  eziandio  i  Prelati  della  Chiesa,  sic- 
come r  Arcivescovo  di  Salerno  Romualdo  Guarna,  e 
r  Arcivescovo  di  Napoli  Berardino  Caracciolo,  il*quale 
non  disdegnò  nella  iscrizione  del  suo  sepolcro^  rap- 
portata dal  Summonte  (b)^  che  fra  gli  altri  encomi  vi 
si  ponesse:  Utriusque  juris  Doctoris^  ac  Medicinae  scien- 

(a)  Costanzo  lìb.  a.  (b)  Suram.  t.  a  pag.  a 82.  La  rapporta 
anche  il  Chioccar,  de  Archiep.  ^eap.  ann.  ia6a» 


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266  STORIA  CIVILE 

tiae  periti.  Ed  il  Tutini  (a)  rapporta  d'aver,  egli  od« 
servato  nel  regio  Archivio  una  x^arta,  óve  Gaaltieri 
Caracciolo  dimanda  licenza  al  Re  Carlo  II  d'  andare 
neir  isola  di  Sicilia  a  ritrovar  Giovanni  di  Procìda,  già 
vecchio.,  per  farsi  curare  d' una  sua  infermità.  Non 
meno  di  Federico  Tebbe  caro  Re  Manfredi,  di  cui 
volle  troppo  ostinatamente  seguire  le  parti;  onde  per 
la  venuta  di  Carlo,  essendogli  stati  confiscati  i  suoi 
beni,  non  fidandosi  di  star  sicuro  in  Italia,  per  l'in- 
finito numero  degli  aderenti  di  Re  Carlo,,  se  n'  andò 
in  Aragona  a  trovare  la  Regina  Costanza  unico  germe 
di  casa  Svevia,  e  moglie  di  Re  Pietro,  al  quale  per 
ségno  deir  investitura  di  questi  Reami  eragli  stato  por- 
tato il  guanto,  chci,  come  si  dis^e^  buttò  Corradino 
Bella  piazza' del  Mercato,  quando  Re  Carlo,  gli  fece 
mozzar  il  capo.  Fu  benignissimamente  accolto  tanto 
da  lei,  quanto  dal  Re  suo  marito,  dal  quale  essendo 
nel  trattare  conosciuto  per  uomo  di  gran  valore  e  di 
molta  prudenza,  fu  fatto  Rarone  nel  Regno  di  Va- 
lenza, e  Signor  di  Luxen,  di  Renizzano  e  di  Palma. 
Giovanna  veduta  la  liberalità  di  quel  Principe,  drizzò 
tutto  il  pensier  suo  a  far  ogni  opera  di  riporre  il  Re 
e  la  Regina  ne'  Regni  di  Puglia  e  di  Sicilia^  e  tutto 
qoel  frutto  che  cavava  dalla  sua  Raronia,  cominciò 
a  spendere  in  tener  uomini  suoi  fedeli  per  ispie  ncl- 
r  uno  e  ncU^  altro  Regno^  dove*  avea  gran  sequela  dai 
amici,  e  cominciò  a  scrivere  a  quelli,  in  cui  più  con«> 
fidava. 

Ma  tosto  s'avvide^  che  tentar  ciò  nel  Regno  di  Pu- 
glia era  cosa  affatto  impassibile  e  disperata;  poiché 
per  la  presenza  di  Re  Carlo,  che  avea  collocata  la  sua 

(a)  Tutini  degli  Ammiragli  >  pag.  66  « 


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DEL  REGNO  DI  NAPOLI  L.  XX.  GAP,  V.    ^67 

sede  in  Napoli,  e  scorreva  per  F  altre  città  dì  «[ut^ale 
nostre  province^  e  per  li  benefic)  che  avea  fatti  a' suoi 
fedeli,  e  per  lo  rigore  usato  contro  i  ribelli,  era  in 
tutto  spenta  la  memoria  del  partito  dì  Manfredi.  Ri- 
voltò perciò  lutti  i  suoi  pensieri  nell'  isola,  di  Sicilia, 
ove  trovò  le  cose  più  disposte;  poickè  essendo  il  Rè 
lontano ,  avea  commesso  il  governo  di  quella  a'  suoi 
Ministri  francesi,  i  quali  trattando  i  Siciliani  aspris- 
simamente, erano  in  odio  grandissimo  presso  tutti  gli 
isolani.  Venne  perciò  sotto  abito  sconosciuto  Giovanni 
ia  Sicilia,  e  cominciando  a  trattare  della  cospirazione 
con  alcuni  piìi  potenti  e  peggio  trattati  da'Fraozesi, 
vennero  a  concfaiudere  fra  di  loro  di  prender  Tarmi 
tutti  iti  un  tempo  contro  i  Franzesi^  e  gridare  per  loro 
Re  Pietro  d'Aragona.  Ma  parendo  loro  poche  le  forze 
deir isola  e  non  molte  quelle  di  Pietro,  e  che  perciò 
bisoguava  a  queste  due  giungere  altra  forza  .maggiore: 
Giovanni  ricordandosi  de' disgusti,  che  Carlo  passava 
col  Papa,  e  chel  Paleologo  tementlo  molto  degli  ap* 
parati  di  Carlo,  avrebl^e  fatto  ogni  sforzo  per  dislorlo 
dall'impresa  di  CostaQtinopoli  ;  andò  subito  a  Roma 
sotto  abito  di  religioso  a  tentare  T animo  del  Papa, 
il  quale  trovò  dispostissimo  d'entrare  per  la  parte  sua 
a  favorir  V  impresa.  Se  ne  andò  poi  col  medesimo  abito 
a  Costantinopoli,  ed  avendo  con  efficacissime  ragioni 
dimostrato  al  Paleologo,  che  non  era  più  certa  né 
più  sicura  strada  al  suo  scampo,  che  prestar  favore 
di  denari  al  Re  Pietro,  affinchè  l'impresa  di  Sicilia 
riuscisse,  poiché  in  tal  caso  Carlo,  avendo  la  guerra 
in  casa  sua,  lascerebbe  in  tutto  il  pensiero  di  farla 
in  casa  d'altri;  di  che  persuaso  T  Imperadore,  -  si  ofr 
ferae  molto  volentieri  di  far  la  spesa,  purqhc  Re  Pie- 
tro animosamente  pigliasse  V  impresa^  e  mandò  insieme 


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a68  STORIA   CIVILE 

coQ  Giovanni  un  suo  molto  fidato  segretario  con  una 
buona  somma  di  denaro,  che  avesse  da  portarla  al  Re 
d'Aragona,  ordinandogli  ancora  di  abboccarsi  col  Papa, 
per  dargli  certezza  dell'animo  suo,  e  della  prontezza, 
che  avea  mostrata  in  mandar  subito  aiuti.  Giunsero 
il  Segretario  e  Giovanni  a  Malta,  isoletta  poco  lontana 
da  Sicilia  e  si  fermarono  ivi  alcuni  dì,  finché  i  princi- 
pali de*  congiurati,  avvisati  da  Giovanni,  fossero  ve- 
nuti a  salutare  il  Segretario  dell'  Imperadore  ,  ed  a 
dargli  certezza  del  buono  effetto,  che.  ne  seguirebbci 
quando  Tlmperadore  stasse  fermo  nel  proposito  fin' a 
guerra  finita.  Poi  si  partirono  i  congiurati,  e  ritorna- 
rono in  Sicilia  a  dar  buon'animo  agli  altri  consape- 
voli del  fatto.  Intanto  Giovanni  col  Segretario  passa- 
rono a  Roma,  dove  avuta  audienza  dal  Papa,  gli  propo- 
sero tutto  il  fatto:  costui  che  temea  la  potenza  di 
Carlo,  e  voleva  vendicarsi  dell' ingiuria  fattagli,  imi- 
tando i  suoi  predecessori^  siccome  costoro  con  l' aiuto 
de'Franzesi  discacciarono  da  queir  isola  gli  Svevi,  così 
egli  colle  forze  degli  Aragonesi,  pensò  discacciarne 
gli  Angioini;  onde  non  solo  entrò  nella  Lega  ma  aven- 
do inteso,  che  Y  Imperadore  mandava  denari,-  promise 
di  contribuire  anch'  egli  per  la  sua  parte ,  e  scrisse 
al  Re  Pietro.,  confortandolo  con  ogni  celerità  a  po- 
nersi  in  punto  per  poter  subito  soccorrere  i  Siciliani 
da  poi  che  avessero  eseguito  la  congiura,  ed  occupato 
quel  Regno,  del  quale  egli  F avrebbe  data  subito  rin- 
vestitura, ed  aiutato  a  mantenerlo.  Per  queste  cagioni  il 
Re  d'Aragona  nella  lettera  scrìtta  a  Carlo  dopo  es- 
sersi impadronito  dell'  isola,  gli  diceva  che  quella  era 
stata  aggiudicata  a  lui  per  l'autorità  della  Santa  chiesa 
e  di  Messer  lo  Papa  e  de' venerabili  Cardinali.  Con 
queste    lettere    e    promesse   pertossi   nell'anno    laSo. 


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DEL  REGNO  DI  NAPOLI  L.XX.  CAP.V.   269 

Giovanni  in  Aragona,  ed  avendo  comunicato  al  Re  il 
disegno  che  s'era  fatto  per  dargli  in  mano  la  Sicilia^ 
Pietro  temè  in  prima  di  entrar  in  una  guerra,  della 
quale  dubitava  di  non  poter  uscire  con  onore:  ma  il' 
Procida  tolse  tutte  le  difficoltà:  I  con  assicurarlo  per 
parte  dell'  Iroperador  di  Costantinopoli ,  il  quale  per 
mezzo  del  suo  Segretario  gli  avea  mandato  il  denaro, 
ed  offertosi  che  non  avrebbe  mancato  per  F  avvenire 
di  contribuire  a  tutti  i  bisogni  delb  guerra:  II  con 
dargli  le  lettere  del  Papa  che  rassicurava  del  mede- 
simo, e  che  r  avrebbe  investito  di  quell  isola:  III  cho 
i  Siciliani  per  Tedio  implacabile^  che  aveano  co' Fran* 
zesi,  con  contentezza  universale  avrebbero  agevolata 
r  impresa;  e  per  ultimo  gli  fece  concepire^  che  non 
era  necessario  eh* egli  s'impegnasse,  se  non  quando  la 
congiura  di  Sicilia  fosse  riuscita.  Per  queste  efficaci 
ragioni  fu  disposto  quel  Re  d' accettada;  tanto  più, 
quanto  la  Regina  Gostanza  sua  moglie  il  sollecitava 
non  meno  a  far  vendetta  di  Re  Manfredi  buo  padre 
e  del  fratello  Corradino,  che  a  ricoverare  i  Regni,  che 
appartenevano  a  lei,  essendo  morti  tutti  i  maschi  della 
linea  sveva:  convocati  perciò  i  più  intimi  suol  consi- 
glieri, trattò  del  modo,  che  s^avea  da  tenere,  e  fu  con- 
venuto tra  di  loro,  che  il  Re  allestirebbe  una  -flotta 
considerabile ,  sotto  pretesto  di  far  la  guerra  in  Af- 
frica a'  Saraceni ,  e  qtìe  si  terrebbe  su  le  coste  del- 
l'Affrica  ,  pronto  a  far  vela  in  Sicilia ,  se  la  cospira- 
zione fosse  riuscita:  che  se  venisse  a  fallire,  poteva, 
8enza  mostrar  d'  averci  alcuna  parte,  continuare  a  far 
la  guerra  a'  Saraceni.  E  vi  è  chi  scrisse  (a) ,  che  Re 
Carlo   vedendo  posta   in   ordine   questa    flotta    molto 

{a)  Costanzo  lib.  2« 


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a7o  .    STORIA  CIVILE 

Inaggiore  di  quello,  che  potea  sperarsi  .dalla  forze  ii 
Re  Pietro,  gli  avesse  mandato  a  dìaiaadare  a  che  fine 
factea  tal  apparato  ;  ed  essendogli  stato  risposto  per 
Tinipresa  d  Affrica  contro  Saraceni,  Re  Carlo,  o  per 
partecipare  del  merito  guerreggiando  contro  Infedeli, 
de*  quali  egli  fu  sempre  acerbissimo,  persecutore,  o  per 
graliikare  quel  Re  suo  stretto  parente,  gli  vivesse  man- 
(tati  ventimila  ducati  per  soccorso  di  queir  impresa.. 
Ma  ecco,  che  mentre  queste  cose  si  dispongono, 
e'I  Prooida  ritorna  in  Italia,  muore  Papa  Niccolò;  ed 
in  suo  luogo  per  gl'intrighi  di  Carlo,  o  più  tosto 
per  la  violcnz^a  fatta  a'  Cardinali,  fu  rifatto  a  febbraio 
del  1281  un  Papa  franxese,  creatura  ed  amicissimo 
del  Re  Carlo,  che  Martino  /r  .comunemente  si  noma, 
chiamandolo  altri  Martino  11,  poiché  i  due  predeces- 
sori, non  Martini,  ma  Marini  gli  appellano.  Dubitando 
perciò  Giovanni,  che  non  si  raffreddasse  Y  animo  del- 
l' Impcradore,  tosto  ritornò  in  ' 'Costantinopoli  per  ri- 
scaldarlo; e  passando  in  àbito  sconosciuto  insieme  col 
Segretario  pefr  Sicilia,  venne  a  parlamento  con  alcuni 
de  primi  della  congiura,  e  diede  loro  animo,  narrando 
quanto  erasi  fatto,  e  che  .non  dovessero  sgomentarsi 
per  la  morte  di  Papa  Niccolò:  e  fece  opera  che  quelli 
mostrassero  al  Segretario  la  prontezza  de' Siciliani,  e 
r.  animo  deliberato  di  morire  più  tosto  che  vivere  in 
quella  servitù,  affinchè  ne  potes.se  far  fede  alF  Impe- 
radere  e  tanto  più  animarlo^  poi  seguirono  il  viaggio 
e  giunsero  felicemente  a  Costantinopoli.  £  fu  notata 
da' Scrittori  per  cosa  maravigliosa,  che  questa  congiura 
tra  tante  divorse  nazioni,  ed  in  diversi  luoghi  del  Mondo 
durò  più  di  due  .anni,  e  per  ingegno  e  per  destrezza 
del  Procida  fu  guidata  in   modo ,   che  ancor  che  Re 


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DEL  REGNO  DI  NAPOLI  L. XX.  GAP, V.  271 

Carlo  avesse  per  tutto  aderenti,  non  n'ebbe  però  mai 
indizio  alcuno.  * 

Dall'altra  parte  Re  Pietro,  ancorché  per  la  morte 
di  Papa  Niccolò  restasse  un  poco  sbigottito,  avenclo 
perduto  un  personaggio  principale  ed  importante  alla 
Lega;  non  però  volle  lasciar  l'impresa,  anzi  mandò 
Ambasciadore  al  nuovo  Pontefice  a  rallegrarsi  dell'as- 
sunzione al  trono  e  a  cercargli  grazia,  ohe  volesse. ca- 
nonizzare Fr.  Raimondo  di  Pegnaforte  ;  ma  invero 
molto  più  per  tentare  T  animo  del  Papa,  mostrando 
destramente  volere,  non  per  via  di  guerra  ma  per  via 
di  lite  innanzi  al  Collegio  proponere  e  proseguire  te 
ragioni,  che  la  Regina  Costanza  avea  ne' Reami  di 
Puglia  e  di  Sicilia.  Ma  il  Papa  avendo  ringraziato 
r  Imbasciadore  della  visita  e  trattenuto  di  risponder* 
gli  sopra  la  Canonizzazione,  come  intese  1' ultima  ri- 
chiesta, disse  airimbasciadore:  Dite  a  Be  Pietro^  che 
farebbe  assai  meglio  pagare  alla  Ghièsa  romana  tante' 
annate,  che  dfve  per  lo  censo  ^  che  Re  Pietro  suo  Jvo 
promise  di  pagare^  ed  altresì  i  suoi  successori^  come 
veri  vassalli  e  Feudatari  di  quella  ;  e  che  non  speri  ^ 
finche  non  avrà  pagato  ,quel  debito^-  di  riportar  grazia 
alcuna  dalla   Sede  Appostolica  {fi). 

Mentre  queste  cose  si  trattavano,  Giovanni  di  Pro-« 
cida  tornato  di  Costantinopoli  in  Sicilia,  sotto  diversi 
abiti  sconosciuto,  andò  per  le  principali  terre  di  Si- 
cilia, sollecitando  i  congiurati,  e  tenendo  sempre  per 
messi  avvisato  Re  Pietro  segretissimamente  di  quanto 
si  faceva;  ed  avendo  inteso,  che  la  sua  armata  era 
già  in  ordine  per  far  vela,  egli  eseguì  con  tant'  ordino 
e  tanta  diligenza    quella    ribellione,  che   nel 'mese  di 

(a)  Costanzo  lib.  ^. 


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a;»  STORIA  CIVILE 

marzo,  il  secondo  giorno  di  Pasqua  dell'anno  laSa 
al  suon  della  campana,  che  chiafbava  i  Cristiani  al- 
r  Hffieio  di  y espero,  in  tutte  le  terre  di  Sieilia,  ove 
erano  i  Franzesi,  il  Popolo  pigliò  Tarme,  e  li  uccise 
tutti  con  tanto  sfrenato  desiderio  di  yendelta,  che  uc- 
cisero ancora  le  donne  della  medesima  isola,  eh'  erana' 
casate  con  Franzesi  e  quelle  ch'erano  gravide,  ed  i 
piccioli  figliuoli  ch'erano  nati  da. loro;  a  fu  gridato 
il  nome  di  Re  Pietro  d'Aragona  e  della  Regina  Co- 
stanza: e  questo  è  quello  che  fu  chiamato  e  si  chiama 
il  Vespro  Siciliano.  Non  corse  in  questa  crudele  ucci- 
aione,  dove  perirono  da  ottomila  persone,  spazio  di 
più  di  due  ore;  e  se  alcuni  pochi  in  quel  tempo  eb< 
bero  comodità  di  nascondersi  o  di  fuggire ,  non  per 
questo  furon  salvi;  perocché  essendo  cercati  e  perse- 
guitati con  mirabile  ostinazione,  alV  ultimo  furon  pure 
uccisi. 

Questa  crudele  strage,  e  così  repentina  mutazione 
e  rivoluzione  fu  per  lettera  dall' Arci  vescovo  di  Mon- 
reale scritta  al  Papa,  a  tempo ,  che  Carlo  si  trovava 
con  lui  in  Montcfiascone.  Il  Re  restò  sorpreso  e  molto 
abbattuto,  vedendo  In  tanto  breve  spazio  aver  perduto 
un  Regno ,  e  buona  parte  de'  suoi  soldati  veterani  ; 
pure,  raccommandate  le  sue  cose  al  Papa,  trovandosi 
già  r  armata  in  ordine,  ch'era  destinala  contro  l'Im^ 
perador  greco,  ritornò  subito  nel  Regno,  e  con  quella 
incontinente  fece  vela  verso  la  Sicilia ,  e  cinse  Mes- 
sina di  stretto  assedio. 

Dall'  altra  parte  Papa  Martino^  desideroso  che  X  I- 
sola  si  ricovrasse,  mandò  in  Sicilia  per  Legato  appo- 
stolico  il  Cardinal  Vescovo  di  Sabina,  con  lettere  ai 
Prelati  ed  alle  terre  dell'isola,  conforta rulole  a  riroet- 


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DEL  REGNO  DI  NAPOLI  L.XX.  GAP.  V.  273 
tersi  celi'  ubbidienza  di  Garlo,  con  ingiungere  al  me- 
desimo, che  quando  queste  lettere  non  valessero,  ado- 
perasse non  solo  scomuniclfe  ed  interdetti,  ma  ogni 
altra  forza,  per  favorire  le:  cose  del  Re. 

Giunse  il  Cardinale  in  Palermo,  nel  medesimo  tempo 
ohe  Carlo  giunse  a  Messina;  ma  siccome  gli  uffici 
del  Legato  niente  poterono  contro  T  ostinazione  dei 
Siciliani,  così  T  assedio,  che  Carlo  avea  posto  a  Mes- 
sina fu  con  tanto  vigore  proseguito,  che  finalmente 
strinse  gli.  abitanti  a  volersi  arrendere  a  lui  colla  sola 
condizione  di  salve  le  vite:  ma  egli  era  così  traspor- 
tato dalla  rabbia,  che  negò  anche  questa  condizione» 
Mandarono  Ambasciadori  al  Papa,  perchè  intercedesse 
per  loro  presso  V  adirato  Principe  ;  ma  non  fu  data 
loro  udienza,  onde  posti  nell^ ultima  disperazione,  si 
risolvettero  di  difendersi  fino  all'  ultimo  spirito. 

Giovanni  di  Pfocida,  che  si  trovava  a  Palermo,  im- 
paziente della  dimora  del  Re  Pietro,  il  quale  era  pas- 
sato già  coir  armata  in  Affrica  ali*  assedio  d' una  città, 
che  gì*  Istorici  siciliani  chiamano  Andacalle  ^  vedendo 
lo  stretto  bisogno  de' Messinesi,  imbarcatosi  sopra  una 
Galeotta  con  tre  altri,  che  andavano  con  lui  con  ti- 
tolo di  Sindici  di  tutta  Y  isola ,  andò  a  trovare  Re 
Pietro,  ed  informatolo  del  presto  bisogno  del  suo  soc- 
corso, r  indusse  a  lasciar  tosto  le  coste  dell' Afirica, 
e  colla  sua  armata  ad  incamminarsi  verso  Palermo. 

Allora  fu,  che  Re  Pietro  non  potendo  più  nascon- 
der i  suoi  disegni  per  F  impresa  di  Sicilia,  volle  giu- 
stificarsi co^ Prìncipi  d'Europa  suoi  parenti;  onde  pri- 
ma che  lasciasse  le  coste  d* Affrica,  scrisse  in  cjuesto 
anno  i2j33  una  lettera  ad  Odoardo  Re  d'Inghilterra, 
che  si  legge  negli  atti   di  quel   Regno,  ultimamente 


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74  STORIA  CIVILE 

fatti  dare  alla  luce  dalla  Regina  Anna  (*),  nella  quale 
gli  dice,  che  essendo  egli  occupato  nella  guerra  contro 
i  Saraceni,  i  Siciliani  gli  arcano  inviati  deputati  a 
pregarlo  di  venirsi  a  mettere  in  possesso  della  Sicilia, 
ciò  eh'  era  risoluto  di  fare,  perchè  quel  Regno  appar- 
teneva a  Gostanza  sua  moglie.  Fece  dunque  egli  vela 
per  Sicilia,  e  a' dieci  d'agosto  giunse  a  Trapani,  ove 
concorsero  ad  incontrarlo  tutti  i  Baroni  e  Cavalieri 
de'  luoghi  convicini;  indi  portossi  a  Palermo,  dove  fu 
con  grandissima  festa  e  regal  pompa  incoronato  Re 
dal  Vescovo  di  Ccfalù,  poiòhè  T Arcivescovo  di  Paler- 
mo, a  cui  ciò  toccava,  era  presso  Papa  Martino. 

I  Messinesi,  per  V  arrivo  del  Re  Pietro,  ripresero 
rigore,  ed  attesero  costantemente  alla  difesa  della  Pa- 
tria; e  non  solo  quelli  eh'  erano  abili  a  portare  ed 
esercitar  1'  armi,  ma  le  donne  ed  i  vecchi  non  lascia- 
vano di  risarcire  di  notte  tutto  ciò  che  il  giorno  per 
gì'  istromenti  bellici  era  abbattuto. 

Intanto  Re  Pietro,  cosi  consigliato  dal  Precida,  or* 
dinò  che  il  famoso  Ruggiero  di  Loria  Capitano  della 
sua  armata,  andasse  ad  assaltare  V  armata  franzese  per 
debellarla,  e  ponere  guardia  nel  Faro,  affinchè  non 
potesse  passare  vettovaglia  alcuna  di  Calabria  al  campo 
franzese;  ed  egli  per  animar  i  Popoli,  e  tener  in  ispe- 
ranza  i  Messinesi,    si   partì   da   Palermo,  e   venne  a 

(*)  Foedera ,  GonventioDes ,  Litterae ,  etc.  tom.  i  pag.  208. 
(  Oltre  i  Biglietti  rapportati  negli  Atti  d' Inghilterra ,  ai  leg- 
gono presso  Giovanni  G ristiano  Lunig  nel  sud  Codice  Diplo* 
matìco  d'Italia,  toni,  a  pag.  974  et  977  due  vicendevoli  Let- 
tere Latine  con  tu  mei  Jose,  e  difBdatorie,  una  scrìtta  dal  Re 
Carlo,  e  V  altra  dal  Re  Pietro  in  risposta  al  medesimo;  sic- 
come nella  pag.  918  se  ne  legge  un*  altra  scritta  da' Palermi- 
tani a'  Messinesi  contra  il  Re  Calalo  ;  e'  suoi  Francesi  ). 


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DEL  REGNO  DI  NAPOLI  L.XX.  CAP.V.  273 

Kandaz2o,-  terra  più  TÌcina  a  Messina.  Di  là  mandò 
tre  Cavalieri  Catalani  per  Ambasciadori  al  Re  Carlo, 
con  una  lettera,  nella  quale  V  informa  essere  giunto 
nell'  isola  di  Sicilia,  che  gli  era  stata  aggiudicata  per 
autorità  della  Chiesa,  del  Papa  e  de'  Cardinali,  e  gli 
comanda,  veduta  questa  lettera,  di  partir  tosto  dall'  i- 
sola,  altrimente  ne  l'avrebbe  costretto  per  forza.  Letta 
da  Carlo  questa  lettera  in  pubblico  avanti  tutto  il  Con- 
siglio de'  suoi  Baroni,  nacque  tra  tutti  un  orgoglio  in- 
credibile, ed  al  Re  tanto  maggiore,  quanto  era  mag- 
giore, e  più  superbo  di  tutti;  né  poteva  sopportare, 
che  Re  Pietro  d' Aragona,  eh'  era  in  riputazione  d'uno 
de*  più  poveri  Re,  che  fossero  in  tutta  Cristianità, 
avesse  osato  di  scrivere  a  lui  con  tanta  superbia,  che 
si  riputava  il  maggiore  Re  del  Mondo.  Fu  consultato 
della  risposta.  Il  Conte  Guido  di  Monforte  fu  di  pa- 
rere, che  non  s' avesse  a  rispondere,  ma  subito  andare 
a  trovarlo,  e  dargli  la  penitenza  della  sua  superbia: 
ma  il  Conte  di  Brettagna,  eh'  era  allora  col  Re,  con- 
sigliò, che  se  gli  rispondesse  molto  più  superbamente, 
siccome  fu  eseguito  con  un  altro  biglietto  del  mede- 
simo tenore,  trattandolo  da  malvagio  e  da  traditore 
di  Dio  e  della  Santa  Chiesa  romana.  Questi  due  bi- 
glietti, oltre  esser  rapportati  da  Giovanni  Villani  e  dal 
Costanzo,  si  leggono  ancora  cosi  in  Italiano,  come  fu- 
rono scritti,  negli  Atti  suddelili  d'  Inghilterra  ultima- 
mente stampati  (a), 

Esacei1)ati  in  cotal  maniera,  gli  animi  d'ambedue  i 
Re,  che  non  si  risparmiavano  anche  con  parole  piene 
di  gravi  ingiurie  d^ infamar  l' un  T  altro:  Re  Pietro  in- 
tanto avea  soccorsa  Messina,  e  Ruggiero  di  Loira  era 

^a)  Foedera,  Convent.  etc.  to.  a  p.  aaS. 


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276  STORIA  CIVILE 

passato  colla  6ua  armata  al  Faro  per  combatter  la 
franzese  e  per  impedirgli  le  vettovaglie^  Errico  Mari 
«Ammiraglio  di  Carlo  venne  dal  Re  a  protestare^  che 
egli  non.  si  confidava  di  resistere,  né  poteva  fronteg- 
giare con  Tarmata  catalana,  che  andava  molto  ben 
fornita  d'  uomini  atti  a  battaglia  navale.  Carlo^  che  in 
tutti  gli  altri  accidenti  s'era  mostrato  animoso  ed  in» 
trepido,  restò  sbigottito,  e  chiamati  a  consiglio  i  suoi, 
dopo  molte  discussioni,  fu  conchiuso,  che  per  non 
esporsi  r  armata  d' esser  affamata  dalla  flotta  del  Re 
d'Aragona,  sì  dovesse  levar  T  assedio,  e  ritirarsi  in 
Calabria ,  e  differire  T  impresa.  Carlo,  benché  V  ira  e 
la  superbia  lo  stimolasse  a  non  partire  con  tanta  ver- 
gogna, lasciò  l'assedio,  e  subito  pieno  di  scorno  e 
/d'orgoglio,  passò  in  Calabria  con  animo  di  rinovare  la 
guerra  a  primavera  con  tutte  le  forze  sue;  ma  appena 
fur  messe  le  sue  genti  in  terra  a  Reggio,  che  Ruggiero 
di  Loria  sopraggiunse  con  la  sua  armata,  e  quasi  nel 
suo  volto  pigliò  trenta  galee  delle  sue,  ed  arse  più  di 
settanta  altri  navili  di  carico;  del  che  restò  tanto  at- 
tonito, e  quasi  attratto  da  grandissima  doglia,  che  fu 
udito  pregar  Dio  in  franzese,  che  poiché  V  avea  fatto 
salir  in  tant'  alto  stato,  ed  or  gli  piaceva  farlo  discen- 
dere, il  facesse  scendere  a  più  brevi  passi.  Dopo  di* 
stribuite  le  sue  genti  per  quelle  terre  di  Calabria  più 
vicine  a  Sicilia  venne  a  Napoli,  e  pochi  giorni  da  poi 
se  n'  andò  a  Roma,  a  portar  querele  al  Papa  contro  il 
suo  nemico,  lasciando  nel  Regno  per  suo  Vicario  il 
Principe  di  Salerno,  a  cui  diede  savi  Consiglieri,  che 
r  assistessero  per  ben  governarlo. 

Ma  trattanto  che  Carlo  perdeva  il  tempo  a  quere- 
larsi col  Papa,  Re  Pietro  a'  io  ottobre  entrò  in  Mes- 
sina, e  ricevuto  con  allegrezza  universale,  ia  ricono* 


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DEL  REGNO  DI  NAPOLI  L.XX.  CAP.V.    277 

sciuto  ed  acclamato  per  Re. da  tulta  risola.  E  fer* 
matosl  quivi  diede  assetto  a  tutte  le  cose,  riordinando 
quel  Regno,  ora  che  tutto  qdieto  e  pacato  era  sotto 
la  sua  ubbidienza.  Ed  avendo  voluto  il  Cardinal  di 
Parma,  Legato  Appostolico,  disturbarlo  con  interdetti  e 
censure,  egli  imitando  gli  esempi  degli  altri  Re  di  Si- 
cilia suoi  predecessori,  curandosi  poco  dell' interdetto^ 
costrinse  i  Sacerdoti  per  tutta  T  isola  £r  celebrare,  e 
que'  Pretati  aderenti  al  Pontefice,  che  negarono  di  voler 
far  celebrare  nelle  loro  Chiese,  si  lasciarono  partire^ 
ed  andare  a  Roma  (a).  Ed  avendo  poco  da  poi  fatta 
venire  a  Palermo  la  Regina  Gostanza  sua  Consorte 
e  due  suoi  figliuoli,  Don  Giacomo  e  Don  Federico,  ed 
una  sua  figliuola  chiamata  D.  Violante,  ordinò  a'Si- 
ciliani  che  dovessero  ubbidir  a  Costanza,  alla  quale 
egli  dichiarossi  avere  riacquistato  il  perduto  Regno. 
Indi  dovendo  partir  per  Aragona,  e  dopo  passar  in 
Francia  per.  Y  appuntato  duello  in  Bordeos  col  Re 
Carlo,  volle,  che  tutti  i  Siciliani  giurassero  per  legit- 
timo successore  ed  erede^  e  futuro  Re  Don  Giacomo 
suo  figliuolo:  il  che  fu  fatto  con  grandissima  festa  e 
buona  volontà  di  tutti. 

Ecco  come  rimasero  questi  due  Reami  infra  di  lor 
divisi,  e  come  due  Reggio  sursero.  Palermo  restò  per- 
gli  Aragonesi  in  Sicilia:  Napoli  per  li  Francesi  in  Pu- 
glia  e  Calabria. 

(a)  Costanzo  lib.  3. 


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278  STORIA  CIVILE 

CAPITOLO  VL 

Vffiziaìi  della  Corona  divisi.  Il  Tìihunale  della  Gran 
Corte  stabilito  in  Napoli y  e  della  Corte  del  Vi- 
cario, 


Quindi  nacque  ancora,  che  quando  a  tempi  dc'Nor- 
tnanni  e  de'  Svevi,  essendo  una  la  sede  regia^  gli  Uf- 
ficiali della  Corona  erano  i  medesimi  non  meno  in 
Sicilia  che  in  Puglia;  da  questo  tempo  in  poi  ciascuno 
Regno  ha  avuti  i  suoi  propri,  né  quelli  dell'  uno  si 
impacciavano  deir  altro.  Re  Pietro  creò  i  suoi  per  lo 
Regno  di  Sicilia,  e  Carlo  ritenne  gli  antichi,  che  re- 
strinsero la  loro  giurisdizione  nel  Regno  solo  di  Pu- 
glia. Così  avendo  il  Re  d' Aragona  creato  Gran  Giù* 
atiziere  di  queir  isola  Alaitno  di  Lentino,  che  fu  uno 
de*  principali  capi  della  congiura,  vennero  a  farsi  due 
Gran  Cortiy  una  in  Sicilia,  della  quale  era  capo  Alaimo; 
r altra  in  Napoli,  nella  quale  era  Gran  Giustiziere 
Luigi  de'  Monti:  ond'è  che  Sicilia  ritenga  ancora  que- 
sto Tribunale  della  Gran  Corte^  senz*  altra  giunta  di 
Vicaria^  poiché  in  quell'  isola  non  vi  fu  la  Corte  del 
Vicario,  come  fu  in  Napoli,  essendo  questa  stata  isti- 
tuita da  Carlo  I,  quando  lasciò  il  Principe  di  Salerno 
per  Vicario  del  Regno,  come  diremo.  Così  nell'istesso 
tempo,  che  Re  Pietro  creò  Giovanni  di  Procìda  Gran 
Cancelliere  di  Sicilia,  noi  avevamo  l'altro  in  Napoli. 
Ruggiero  di  Loria  fu  Grand'  Ammiraglio  del  Re  Pie- 
tro, ed  Errico  di  Mari  del  Re  Carlo;  e  così  di  mano 
in  mano  degli  altri  Ufficiali. 

Perciò  Napoli  ritiene  oggi  li  suoi  Ufficiali  separati 


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DEL  REGNO  DI  NAPOLI  L.XX.CAP.VL  279 
da  quelli  di  Sicilia,  Biocome  eziandio  gli  ritenne,  an- 
corché quella  si  fosse  riunita  poi  sotto  il  Regno  d^Al- 
fonso  I.  Ciò  che  per  questa  divisione  ne  avanzò  il 
Regno  di  Sicilia  fu,  che  gli  Aragonesi  per  aver  sem- 
pre avversi  i  Pontefici  romani,  i  quali  volevano  che 
il  Regno  si  restituisse  agli  Angioini,  non  cercarono 
più  ad  essi  investitura;  onde  a  lungo  andare  quella 
del  Regno  di  Sicilia  si  tolse,  e  rimase  solo  per  la 
Regno  di  Napoli. 

Ma  non  perchè  Napoli  fosse  per  tanti  gradi  salita 
ad  esser  capo  e  metropoli  del  Regno  di  Puglia,  è  punto 
vero  quel  che  il  Munstero  (a),  Freccia  (6),  e '1  Sum- 
monte  (e)  scrissero,  che  sin  da  questi  tempi  fosse  questo 
Regno  perciò  chiamato  ìlRegnodi  Napoli^  e  che  Carlo  I 
d' Angiò,  Be  di  Napoli  volle  denominarsi;  poiché  tanto 
Carlo  I  quanto  Carlo  II  suo  figliuolo,  e  Roberto  suo 
Nipóte,  e  tutti  gli  altri  suoi  successori,  non  ostante  la 
Rolla  di  Clemente  lY,  che  chiamò  questi  Regni  di 
Sicilia  cifra j  et  ultra  Pharum^  non  vollero  ne' loro  di* 
plomi  mutar  punto  gli  antichi  titoli,  e  sempre  vollero 
intitolarsi  Rex  Siciliacy  Dueaius  Àpuliae,  et  Priacipa* 
tus  Capuae,  Anzi  per  quest'  istesso  che  la  Sicilia  era 
occupata  dagli  Aragonesi,  affinché  non  potesse  dirsi  di 
aver  avuto  animo  d*  abbandonarla,  perciò  s'  intitola-* 
vano  anch'  essi,  non  meno  che  gli  Aragonesi,  Re  di 
Sicilia.  E  Tessersi  poi  questo  Regno  detto  di  Napoli 
non  più  di  Puglia,  non  accadde  in  questi  tempi,  ma 
molto  tempo  da  poi;  e  ciò  avvenne,  quando  di  nuoVd 
fu  diviso  dalla  Sicilia  sotto  il  Regno  di  Ferdinando  I 

(a)   Munster.  in  sua  Geogr.  fol.  276.   (b)  Freccia  de  Sub* 
feud.    lib.  3  cap.  iilt.  post.    nuin<    ^j.  (e)  Sununonte  tom.  9 

p.   3JI. 


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28o  STORIA  CIVILE 

d'Aragona,  figliuolo  d'  Alfonso  e  de^suoi  successori , 
poiché  questi  Aragonési  non  arendo  altro  Reame  che 
quello  di  Napoli,  ne  potendo  aver  pretensione  per  quello 
di  Sicilia,  si  dissero,  o  semplicemente  Re  di  Napoli, 
ovvero  di  Sicilia  citra  Pharum.  E  nel  Regno  degli  An- 
gioini, gli  Scrittori  di  questi  tempi  non  chiamarono 
con  altro  nome  questo  Regno^  che  con  quello  di  Pu- 
glia, siccome,  oltre  di  molti  altri,  può  scorgersi  in 
Giovanni  Roccaccio,  il  quale  scrivendo  ne*  tempi  del 
Re  Roberto  e  di  Giovanna  I,  non  chiamò  mai  questo 
Regno  di  Napoli,  ma  sempre  di  Puglia. 

I.  Del  Trikunaìe  della  Gran  Corte  stabilito 
in  Napoli. 

L'  essersi  questo  Tribunale  stabilito  in  Napoli,  non 
solo  si  dee  alla  residenza  di  Carlo  I  d*  Angiò  in  que- 
sta città,  non  molto  più  a  questa  divisione  del  Regno  di 
Sicilia,  la  quale  obbligò  così  lui,  come  gli  altri  Re  suoi 
successori  a  mantenerlo  quivi.  Non  è,  che  questo  Tri- 
bunale riconoscesse  la  sua  istituzione  da  Cario  o  da 
Federico  11^  siccome  si  diedero  a  credere  alcuni,  ma 
come  si  è  veduto  neir  undecime  libro  di  quest*  Istoria, 
quando  si  favellò  del  Gran  Giustiziere,  fu  introdotto 
da' Normanni.  Federico  per  mezzo  di  molte  sue  Co- 
stituzioni lo  iùnalzò,  e  stese  molto  la  giurisdizione, 
costituendolo  supremo  sopra  tutti  gli  altri:  siccome, 
Imitando  i  suoi  vestigi,  fecero  poi  gli  altri  Re  della 
Casa  d' Angiò.  Prima,  oltre  del  Gran  Giustiziere 
suo  Capo,  compooevasi  di  quattro  Giudici;  ma  Fede- 
rico v'  aggiunse  poi  V  avvocato,  ed  il  Procurator  fisca- 
le, il  M.  Razionale,  molti  Notai  ed  altri  Ufficiali  mi- 
nori. Si  agitavano  in  questo,  non  solo  le  cause  civili 


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DEL  REGNO  DI  NAPOLI  L.  XX.  GAP.  VI.  981 

e  criminali,  ma  anche  le  Feudali,  delle  Baronie,  dei 
Contadi  e  de' Feudi  Quaternati,  le •  liquidazioni  d'i- 
stromenti;  e  tutte  le  cause  degli  altri  tribunali  infe- 
riori, e  de'  Giustieieri  delle  province,  si  porlaTano  n 
quello  per  via  d'appellazlon^,  anche  quelle  delegate  dal 
Ke.  Erano  sottoposti  alla  sua  giurisdizione  tutti  i  Coati, 
tutti  i  Baroni  e  tutte*  le  persone  del  Regno.  Foleva 
anche  conoscere  de'  delitti  di  Maestà  lesa,  e  di  tutte 
le  cause  più  gravi  e  rilevanti  dello  Stato. 

I  Re  angioini  gli  diedero  anche  per  mezzo  de  loro 
Capitoli  più  regolata  e  stabil  forma:  e  fra  gli  altri 
Carlo  II  nel  i3o6,  mentr' era  Gran  Giustiziere  £r- 
mengano  di  Sabraao  Conte  d'  Ariano,  mandò  al  me* 
desimo  molti  altri  Capitoli,  co'  quali  gli  diede  norma 
più  particolare,  come  dovesse  reggere  il  suo  Ufficio, 
.  mostrandogli  quanto  quello  fosse  sublime,  ed  in  quante 
cause  potesse  stendere  la  sua  giurisdizione  (a). 

Reggendosi  questo  Tribunale  dal  Gran  Giustiziere, 
perciò  veniva  anche  chiamato  M.  Curia  Magistri  JuS'» 
stitiarii^  il  quale  prima  avea  la  facoltà  di  destinar  egli 
il  suo  Luogotenente,  ovvero  Reggente,  ehe  in  sua  vece 
lo  reggesse:  la  qual  prerogativa  «fu  da  poi  tolta  al 
Gran  Giustiziere,  ed  attribuita  a  Viceré,  aiecome.ora 
costumasi. 

Napoli  adunque  resasi  più  cospicua  sopra  l'altre 
del  Regno,  anche  per  cagion  di  questo  Tribunale,  il 
quale  tirando  a  se  per  via  d'  appellazione  tutte  le  cause 
del  Regno,  e  dove  tratta vansi  le  più  rilevanti  de' Ba- 
roni e  de'  Conti,  doveva  per  necessità  renderla  più  fre- 
quentata e  grande.  Ma  con  tutto  che  per  la  residenza 

[a)  Questi  Capitoli  si  leggono  ìq   Rcgìstr.    ann.  i3o6.    lit. 
I  A.  foL  95;  e  sono  rapportati  dal  Tutini  d.e'M.  Giusti»,  pag.  io. 


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38a  STORIA  CIVILE 

de'  Re  angioini  fessesi  un  tribunale  così  augosto  sta- 
bilito in  Napoli,  non  »  estinse  perciò  l'altro  più  ang- 
lico che  TI  era  del  Capitano.  Il  Capitano  di  Napoli 
avea  la  sna  Corte  composta  da'  suoi  particolari  Giu- 
dici, la  quale  anioiinÌ8tra?a  giustizia  a*  cittadini  napo- 
letani ed  a' suoi  Borghesi  (a).  SI  stenderà  ancor  la  sua 
giurisdizione  nella  città  di  Pozzuoli;  ond'è,  che  nel 
Registri  (b)  di  questi  Re  franzesi,  si  leggano  alcuni 
che  furono  Capitani  di  Napoli  e  di  Pozzuoli,  come 
Jjmericus  de  Deluco  Miles  Capitaneus  Neapolis^  et 
Puteolis.  E  ne*  tempi  del  Re  Roberto  ancor  si  legge 
Roberto  di  Cornai  Capitano  di  Napoli  e  di  Pozzuoli. 
Era  creato  a  dirittura  dal  Re,  e  perciò  non  poteva  il 
Reggente  della  Grart  Corte  impedire,  che  non  eserci- 
tasse la  sua  giurisdizione  in  questi  luoghi.  Così  leg* 
giamo  a'  tempi  di  Cajlo  II,  che  Francesco  d'  Ortona 
Capitano  ottenne  dal  Re,  che  il  Règgente  della  Gran 
Corte  non  Y  impedisse  a  poter  esercitare  la  sua  giu- 
risdizione, anche  nella  città  di   Pozzuoli. 

Di  questa  Corte  del  Capitano  di  Napoli  sin  da^tem- 
pi  di  Carlo  I  d'Angiò,  ne' quali  come  si  è  altrove  rap- 
portato, vi  fu  Giudice  il  famoso  Marino  di  Carama- 
nicoy  abbiamo  ne'  registri  di  questi  Re  franzesi  spessa 
memoria.  Nel  registro  del  Re  Carlo  II  dell'anno  1398 
si  legge  una  sua  carta  dirizzata  Capitaneo^  et  univer^ 
sis  hominihus  Cintatis  Neap,  ec  (e),  E  ne' registri  dello 
stesso  Re  dell'anno  i3x>2  e  i3o3  si  legge  essersi  scelta 
la  Casa  de'  Fellapani  nella  Piazza  di  Portauova,  che 
era  allora  quasi  in  mezzo  della  città,  per  reggersi  que* 

(a)  Tutin.  de'M.  Giustiz.   pag.  2,    {b)  Registr.    ann.   i3o2 
eap.  4  lit-  A.  fol.  5.  (e)  Registr.  ann.  1298  et  99  lit.  G.  fol.  207 
apportato  anche  dal  Summonte,  to.  2  pag.  329. 


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DEL  REGNO  DI  NAPOLI  L.XX.  GAP. VI  28J 

£ta  Corte;  dalla  quale  fu  denominata  la  Chiesa  di  San 
Giovanni  a  Corte,  come  narra  il  Summonte  (a):  an- 
corché il  Tutinl  (b)  creda,  che  questa  Chiesa  ritenga 
tal  nome  dal  Tribunale  della  G.  Corte,  che  dice  es- 
sersi in  que'tempi  in  quella  contrada  eretto.  Nel  tem- 
po di  Carlo  III  pure  della  medesima  si  ha  memoria, 
leggendoci  una  carta  rapportata  dal  Tulini  (e)  di  que- 
sto Re,  dove  drizza  un  suo  ordine;  Magistro  Justitia-- 
rio  Regni  Siciliae^  et  Judicibus  M.  Curiae  Consiliariis 
nec  non  Capitaneo  Civitatis  Neap,  ec.  Fassene  anche 
menzione  negli  ultimi  anni  del  Regno  degli  Angioini^ 
poiché  la  Regina  Giovanna  II  ne'  suoi  Riti  della  G. 
Corte  della  Vicaria  ne  favella  (rf).  Né  sentendosi  da 
poi  più  di  quella  parlare,  crede  il  Tutini  (e),  che  que- 
sta Corte  rimanesse  estinta  ne*  tempi  de*  Re  aragonesi 
end'  è,  che  ora  il  Tribunal  della  Gran  Corte  abbia  la 
conoscenza  delle  sue  cause,  la  quale  erasi  negli  ulti- 
mi tempi  degli  Angioini  molto  estenuata,  perché  non 
gli  era  rimasa,  se  non  la  conoscenza  delle  cause  crimi- 
nali, né  poteva  procedere  nella  liquidazione  degli  stro- 
menti,  come  si  vede  da'  Riti  (/)  della  Regina  Giovan- 
na II,  donde  si  convince  Terrore  di  Prospero  Cara» 
vita  (g),  il  quale  credette,  che  siccome  nella  Gran 
Corte  presideva  il  gran  Giustiziere,  così  nella  Corte 
della  Vicaria,  prima  che  questi  due  Tribunali  s'unis- 
sero, presideva  questo  Capitano;  poiché  la  Corte  del 
Capitano  di  Napoli  era  tutta  altra  dalla  Corte  della 
Vicaria,  della  quale  saremo  ora  a  trattare. 

(a)  Sumni.  loc.  cit,  (b)  Tutin.  de'M.  Giustiz.  pag.  7.  (e) 
Tutin.  Orig.  de' Seggi,  pag.  218.  {d)  Rit.  55et3o2.  (e)  Tu- 
tin. de'M,  Giustiz.  pag.  3.  (/)  Rit.  55  ^l  3p2.  (g)  Carnv. 
Rit.  55  et  3oa. 


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a84  STORIA  CIVILE 

§.  II.  Della  Corte  del  Vicario, 

La  Corte  del  Vicario,  detta  comunemente  Vicaria^ 
bisogna  distinguerla  e  separarla  non  meno  dalla  Corte 
del  Capitano  di  Napoli,  che  dalla  Gran  Corte,  così  se 
si  riguarda  F origine,  come  le  persone,  che  le  compo- 
nerano,  e  le  loro  preminenze.  Il  Tribunale  della  Gran 
Corte  è  più  antico,  come  quello,  che  riconosce  la  sua 
istituzione  da'  Normanni.  La  Corte  del  Vicario  ricevè 
i  suoi  principii  da  Carlo  I  d'Angiò,  ma  la  sua  forma 
e  perfezione  l'ebbe  da  Carlo  II  suo  figliuolo.  Errano 
perciò  il  Frezza  ed  il  Mazzella^  che  credettero  que- 
sto Tribunale  essere  stato  istituito  dal  Re  Roberto  fi- 
gliuolo di  Carlo  II.    « 

L'  origine  di  questo  nuovo  Tribunale  deve  attribuirsi 
alle  moleste  cure,  ed  a'dqntinui  travagli,  ne'  quali  fu 
Carlo  I  intrigato,  da  poi  che  vide  la  sua  fortuna  mu- 
tar aspetto,  e  da  prospera,  che  T  era  sempre  stata, 
farsi  poi  avversa;  quando  voltandogli  la  faccia,  gli  fé* 
vedere  ribellanti  i  Popoli,  e  perdere  in  un  tratto  la  Si- 
cilia, ed'  intrigarsi  perciò  con  nuove  guerre  col  Re' 
Pietro  d'Aragona  suo  fiero  nemico  e  competitore,  che 
glie  la  involò.  Percosso  da  così  gran  colpo  Carlo,  che 
non  fece  per  ricuperarla?  mosse  tutte  le  sue  forze 
con  grandi  apparati  di  guerra  contro  i  Siciliani,  ma 
sempre  invano:  strinse  d' assedio  Messina;  ma  costretto 
ad  abbandonarla,  va  in  Roma,  ove  altamente  si  que- 
rela col  Papa  del  Re  Pietro,  chiamandolo  traditore, 
e  mancator  di  fede.  Rimprovera  colà  TAmbasciadore 
deir Aragonese,  e  lo  chiama  a  particolar  tenzone.  Ac« 
cettata  la  disfida  da  Pietro,  si  stabilisce   il  luogo  da 


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DEL  REGNO  DI  NAPOLI  L.XX-  CAP.VL  ^85 

battersi,  e  si  destina  la  città  di   Bordeos   in  Francia,, 
ch'era  allora  tenuta  dal  Re  d'  Inghilterra. 

Dovendo  Carlo  adunque  imprendere  sì  lungo  viag- 
gio, coli  incertezza  se  mai  sopravvivesse  a  si  perico- 
losa e  grande  azione,  perchè  il  Regno  di  Puglia,  che 
era  rimase  sotto  la  isua  ubbidienza,  e  seguendo  forse 
r  esempio  biella  vicina  Sicilia  ^  per  la  sua  assenza,  noa 
pericolasse,  pensò  <1' eleggere  il  Principe  di  Salerno  suo 
primogenito,  e  successore  per  Vicario  del  Regno,  con 
assoluto  ed  independente  imperio,  dandogli  ti^itta  U 
sua  autorità  regia  per  governarlo  in  sua  assenza.  Gli 
assegnò  ancora  i  più  gravi  Ministri,  ed  i  più  alti  Si-* 
gnori,  perchè  assistessero  al  suo  lato  per  Consiglieri 
nelle  deliberazioni  più  importanti  della  Corona.  Ed  il 
Principe,  come  savio,  seppe  così  bene  valersi  di  tanta 
autorità,  che  riordinò  il  Regno  in  miglior  forma j  sta- 
bilendo, mentr^era  Yicarjo,  più  Capitoli,  de*q[uali  a 
Buo  luogo  farem  parola,  pieni  di  somma  prudenza,  e 
benignità  verso  i  Popoli  di  queste  nostre  province. 

Per  questa  nuova  dignità  di  F icario j  e  per  gli  Uf- 
ficiali destinati  al  lato  del- Principe  per  suo  consiglio, 
snrse  questa  nuova  Corte,  detta  perciò  Curia  Vicarii  (a): 
maggiore  e  più  maestosa  dell'altra,  che  vi  era  della 
Gran  Corte;  poiché  la  Gran  Corte  era  rappresentata 
dal  M.  Giustiziere  uno  degli  Ufficiali  della  Corona,  che 
n'era  Capo;  ma  questa  rappresentava  la  persona  del 
Primogenito  del  Re,  come  Vicario  Generale  del  Re- 
gno, di  cui  egli  era  Capo;  ciocché  certamente  era  di 
maggiore  dignità  e  preminenza.  Quindi  la  preminenza, 
che  oggi  ritiene  il  Tribunale  della  Gran  Corte  della 
Vicaria  di  dar  la  tortura  a' rei  dal  processo  informa- 

(a)  SununoDte  te.  2  pag.  911  et  pag.  338. 


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a86  STORIA  CIVILE 

1ÌV0,  la  ritiene  perchè  a  quello  sta  uoita  .la  Corte  del 
yicario,  poiché  altrimenti  la  sola  grao  Corte  non  po- 
trebbe ciarla  (a). 

Ma  la  Corte  del  Vicario,  in  tempo  di  Carlo  I,  fu 
solamente  adombrata,  e  ne' suoi  primi  delineamenti; 
siccome  furono  quasi  tutte  le  cose  idi  Carlo,  che  dal 
suo  successore  furono  poi  ridotte  a  perfezione. 

Carlo  II  suo  figliuolo  le  diede  forma  più  nobile,  e 
maggiore  stabilimento,  per  una  occasione,  che  biso- 
gna  qui  rapportare.  Avendo  questo  Principe  promesso 
nelle  Capitolazioni  della  pace  fatta  per  la  sua  scar- 
cerazione, di  presentarsi  di  nuovo  prigione,  nel  caso 
che  Carlo  di  Valois  non  volesse  rinunziare  rinvesti- 
tura del  Regno  d'Aragona;  vedendo  differita  tal  ri- 
nunzia, deliberò  passare  in  Francia  a  stringere  quel 
Re,  e  suo  fratello  a  farla ,  con  fermo  proponimento  di 
ritornare  in  carcere,  quando  non  avesse  potuto  ciò 
ottenere.  Devendo  dunque  intraprender  questo  viaggio 
creò  neiranno  1294  Sicario  Generale  del  Regno  Carlo 
Martello  suo  primogenito,  come  si  legge  nel  libro  del- 
l'Archivio  dell'anno  129/1  (^)-  ^^  avendo  differita  la 
partenza  per  Francia,  portatosi  a  Roma  per  T  elezione 
del  nuovo  Pontefice,  da  questa  città  nel  mese  d'a- 
prile dell'anno  seguente  1295  mandò  a  Carlo  Mar- 
tello una  più  esatta  istruzione  del  reggimento  di  que- 
sta Corte,  destinandogli  i  Consiglieri  e  tutti  gli  altri 
Ufficiali,  de' quali  dovea  comporsi;  donde  si  raccoglie 
ancora  la  preminenza  di  questo  Tribunale;  poiché  an- 
che alcuni  Ufficiali  supremi  della  Corona  furono  de- 

(a)  V.  Grammat.  decis.  34.  nu.  9.    Carav.  Rit.  i.  nu.  35 
Hierony.  Cala  de  pi  aeemia,  M.  C.  V.  cap.   i  n.  7,  8.  {ò)  Ar- 
chiv.  ikixn.  1294  fui.  10.  Suinm.  to.  2  pagin.  33o. 


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DEL  REGNO  DI  NAPOLI  L.XX.  CAP.VL  s8y 

Btinati  per  Consiglieri  Collaterali  del  Vicario.  Ed  in 
prima  fu  trascielto  Filippo  Minatolo  Arcivescovo  di 
Napoli,  quello  stesso,  di  oui  il  Boccaccio  (a)  lagiona 
in  una  delle  sue  Novelle,  Giovanni  MonCorte  Conto 
di  Squillaci  Camerario,  Raimondo  del  Balzo  figliuolo 
del  Conte  d' Avellino ,  Gotifredo  di  Miliagro  Senescal- 
lo,  Guglieljoio  Stendardo  Marescallo,  Rainaldo  de  Avel- 
lis  Ammiraglio,  e  Guido  di  Alemagna^  €  Guglielma 
de  Pontiaco  Militi.  Tommaso  Stellato  di  Salerno  Pro- 
fessore di  Legge  civile,  e  Maestro  Raslonal^  della  Gran 
Corte^  Andrea  Acconcia^òco  di  Ravello  Professore  di 
legge  civile,  «  Viceprotonotario  del  Regno;  e  Fr. 
Matteo  di  Roggiero  di  Salenlo,  o  M^  Alberico  Che- 
rico,  e  familiare  del  Re.  Prescrissegli  ancora  il  modo 
da  spedire  gli  affari  appartenenti  a'  loro  Uffici,  distri- 
buendo a  ciascuno  ciò  oblerà  della  sua  incumbenza, 
come  si  legge  nel  suo  diploma  istromentato  in  Roma 
per  mano  di  Bartolommeo  di  Capua,  e  rapportato  non 
men  dal  Ghioocarelli  {b\  che  dal  Tutini  (c)^  nelle  loro 
opere. 

Questo  medesimo  istituto  mantennero  gli  altri  Re 
angioini  suoi  successori;  e  Carlo  II  istesso,  partito 
che  fu  Carlo  Martello  per  Ungheria  a  prender  la  pos- 
sessione di  quel  Regào,  elesse  per  Vicario  Generale 
del  Regno  Roberto  altro  suo  figliuolo  (d),  Roberto  in* 
nalzato  al  soglio,  fece  suo  Vicario  Carlo  Duca  di  Ca- 
labria suo  unigenito,  del  quale  come  Vicario  abbia- 
mo più  Capitoli,  ed   una.  Costituzione  fra'  Riti  della 


(a)  Boccacc.  Giorn.  2  n.  5.  {b)  Ghiocc.  de  Archìep.  Neap. 
ann.  ia89.  (e)  Tutin.  de'M.  Giustizieri,  pag.  4*  (^)  Freccia 
de  subfeud.  lib.  i  cap.  io  de  Offic.  Logot  n.  ^o*  Summi 
to.  a.  fol.  539.  Tutin.  de*M.  Giustiz.  fol.  2. 


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I 


a88  STORIA  CIVILE      ^ 

Gran  Corte  (a).  E  negli  ultimi  tempi  det  Regno  loro, 
leggiamo  ancora,  la  Regina  Isabella  essere  stata  creata 
Vicaria  del  Regno  dal  Re  Renato  suo  marito,  la  quale 
nell'anno  r436  àirìuzb  una  sua  lettera  a  Raimondo 
Orsino  Gente  di  Samo  Giustiziere  del  Regno,  ed  al 
Reggente  della  Gran  Corte  delia  Vicarìa,  che  si  legge 
tra'  Riti  della  medesima  (&). 

Fu  ancora  lor  costume,  che  i  Vicari  in  caso  d*  as- 
senza,  o  altro  impedimento,  solevano  eleggere  loro 
Luogotenenti,  chiamati  Reggenti^  affinchè  attendessero 
all'  amministrazione  e  governo  di  questa  Corte,  della 
quale  erano  Capì,  e  perchè  maggiormente  si  veda  quan- 
to nel  Regno  degli  Angioini  ai  fosse  innalzato  questo 
Tribunale,  i  figliuoli  stessi  de*  Regi  non  isdegnavano 
d'essere  eletti  Reggenti  del  medesimo.  Cosi  leggiamo 
che  tra'  figliuoli  di  Carlo  II  fu  eletto  Reggente  della 
Vicaria  Raimondo  Rerlingerio  suo  quintogenito  (e). 
E  nell'anno  1294  il  suddetto  Re  fece  Reggente  Pie- 
tro Sodino  d'Angi{>;  e  •oelFanno  i3o6  Niccolò  Gian- 
villa.  Il  Re  Roberto  creò  ancor  egli  vari  Reggenti , 
come  nell'anno  iS^G  Francesco  Stampa  di  Potenza; 
0  nell'anno  i338  Giovanni  Spinello  da  Giovenazzo. 
La  Regina  Giovanna  I  creò  ancor  ella  nell' anno  1369 
Gomesio  de  Albernotiis,  detto  per  ciò  Regens  Curiam 
Vicarine^  et  Capitaneus  Generalis  Regni  Siciliae  (d).  . 

Oscurò  pertanto  questo  nuovo  Tribunale  del  Vica« 
rio  non  poco  l'altro  della  Gran  Corte.  La  Corte  del 
Vicario  per  li  personaggi  che  la  componevano  innal- 
zossi  sopra  tutte  1'  altre,  ed   era,   come  è  a  noi   oggi 


(a)  Rit.  de  suppleodis  defectib»  Detestantes,  etc»  (b)  Rit. 
seq.  Isabella  y  etc.  {e)  Tutin.  loc.  cit.  fol.  3.  Summ.  loc.  cit. 
(d)  Tutia,  loc.  cit. 


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DEL  REGNO  DI  NAPOLI  L.  XX  CAP.YL  289 

il  Consiglio  collaterale  del  Principe.  Così  osserviamo 
che  nel  Regno  àf?  Normanni^  e  degli  Svevi  la  Gran' 
Corte  era  il  Tribunal  supremo.  Nel  Regno  degli  An- 
gioini  tenne  il  campo  la  Corte  del  Vicario.  Nel  Regno 
degli  Aragonesi^  il  nuovo  Tribunale  del  Sacro  Consi- 
glio di  S.  Chiara  oscurò  tutti  due.  E  nel  Regno  degli 
Austriaci  si  rese  eminente  sopra  tutti  gli  altri  il  Con- 
siglio Collaterale^  come  si  vedrà  nel  corso  di  questa 
istoria.  , 

Questi  Tribunali  della  Gran  Corte,  e  della  Vicaria 
furono  lungo  tempo  divisi,  leggendosi  ne'  medesimi 
tempi  i  M.  Giustizieri^  che  reggevano  la  Gran  Corte 
ed  i  Vicari^  ovvero  loro  Reggenti,  che  amministrava- 
no quella  della  Vicaria.  Nel  tempo  istesio  di  Carlo  II 
abbiamo  Ermeogano  di  Sabrano  Giustiziere  della  Gran 
Corte,  e  Niccolò  di  Gianvilla  Reggente  della  Vicaria 
ed  in  tutte  la  scritture  di  questi  tempi  de*  Re  An- 
gioini osserviamo  d'  altra  maniera  espressi  i  Reggenti 
di  Vicaria,  e  d'altra  i  M.  Giustizieri  della  Gran  Corte. 
Così  di  coloro  preposti  alla  Corte  del  Vicario,  leg- 
'^  giamo;  Regens  Curiam  Ficariae,  Degli  altri:  In  quo 
hospitio  itf.  Curiae  Magistri  Justitiarii  Segni;  regehatur 
et  regitur.  In  breve  la  Gran  Corte  era  chiamata:  Cu- 
ria Magistri  Justitiarii,  Quella  del  Vicario:  Curia  ri- 
cariiy  seu  Kicariaem 

Quando  questi  Tribunali  si  fossero  uniti  e  ridotti 
in  uno,  e  chiamato  perciò  la  Gran  Corte  della  Ficaria^ 
non  è  di  tutti  conforme  il  'Sentimento.  Camillo  Tuti- 
ni  (a)  credette,  che  questa  unione  si  fosse  fatta  da 
Carlo  I,  ma  va  di  gran  lunga  errato;  poiché  tanto  è 
lontano  che  fosse  stato  egli   autore   di   quest'unione, 

(a)  Tutiu.  loc«  pit. 

«9 


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ugo  STORIA  CIVILE 

che  appena  possiamo  riconoscerlo  per  istitutore  delia 
Corte  del  Vicario ,  avendocene  sol   egli   dati  i  primi 
principii  e  delineamenti.   Carlo  li  suo  figliuolo  ancora 
non  è  da  dirsi,  che  gli  unisse,  perchè  égli   diede  for- 
ma e  perfezione  alla  Corte  del  Vicario,  e  la  rese  emi> 
nente  anche  sopra  la  Gran  Córte,  per  i  personaggi  dei 
quali  Tolie  che  si  componesse;  e  nelle   scritture  degli 
altri  Re  angioini  suoi  successori,  sovente  quando  fassi 
memoria  di    questi    Tribunali,  leggiamo   V  uno  essere 
chiamato  Curia  M.  Justitiarii,  e  l'altro  Curia  falcar ii. 
Per  questa  ragione  alcuni  credettero,  che  questa  unione 
non  si  losse  fatta  nel  Regno  degli  Angioini  ;   e  Pro- 
spero Caravita  (a)  credette,  che  attempi  'della   Regina 
Giovanna   II    questi   Tribunali    fossero  ancora  divisi. 
Altri  dissero,  che  tal  unione  seguisse  negli  ultimi  tem- 
pi d'Alfonso  I  d^Aragona,  il  quale  avendo  istituito  il 
nuovo  Tribunale  del  S.  G.  uni  insieme  questi  Tribù- 
pali,  che  chiamò  della  Gran  Corte  della  Vicaria,  come 
tenne  il  Toppi  (&),  Ma  più  verisimile  sarà  il  dire,  che 
questa  unione  non  si  facesse  in  un  subito.  L'origine 
d  essersi  tratto  tratto  questi  due  Tribunali  uniti,  e  la 
cagione  di  ciò,  bisognerà  riportarla  fin  a  tempi  di  Gar^ 
lo  lì  verso  l'anno   i3o6.  Maggiori  occasioni  di  tal  u- 
iiione  si  diedero  dopo  il  vicariato  del    Duca  di  Cala- 
bria figliuolo  di  Roberto,  ma  assai  più  nel  Regno  di 
Giovanna  II  onde  negli  ultimi   tempi  d'Alfonso  I  Re 
d* Aragona  fu  T unione  perfezionata,  e   di  due  Tribu- 
nali se  ne  formò  un  solo. 

Chi  yì  diede  la  prima   mano  fu  ristesse  Carlo  II 
poiché  avendo  egli,  come  si  disse,  nell'anno  i3o6  for- 


{a)  Carav.  Rit,  i  n.  35.  {b)  Toppi  tom.  i  de  Orig.  Tri- 

tunaU 


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DEL  REGNO  DI  NAPOLI  L.XX.  CAP.VL  291 

mati  alquanti  capitoli  (a)  intorno  aU' amministrazione 
deir  ufficio  di  G.  Giustiziere,  che  drizzò  ad  Ermen- 
^ano  de  Sobrano  M.  Giustiziere  dèi  Regno  di  Sicilia, 
fra  r altre  cose,  che  in  quelli  costituì,  fu  di  dar  la 
cognizione  al  M.  Giustiziere  di  tutte  le  cause  ^  delle 
violenze^  ingiurie,  delitti  e  di  tutto  ciò  che  s'appar- 
teneva alla  Corte  del  Vicario,  e  che  a  lui  potesse  ri- 
corrersi y  siccome  Bobertus  primogenitus  noster  Dux 
Calahriae^  nosterque  Vicarius  Generalis  pos&et  adiri. 
Essendosi  adunque  fra  di  lor  confuse  le  cognizioni  e 
le  preminenze;  fu  cosà  molto  facile  in  decorso'di  tem^ 
pò  farsi  questa  unione,  e  congiungersi  insieme  queste 
due  Corti.  Ma  dopo  il  vicariato  del  Duca  di  Calabria 
figliuolo  di  Roberto,  la  divisione  fu  riputata  piìi  inu- 
tile; poiché  non  leggendosi  dopo  lui  essersi  creati  al- 
tri Vicari,  se  non  che,  negli  ultimi  periodi  del  Regno 
loro,  si  legge  costituita  Vicaria  del  Regno  la  Regina 
Isabella  dal  suo  marito  Renato^  avvenne,  che  tal  se- 
parazione fosse  riputata  inutile,  potendosi  gli  affari  di 
'questi  due  Tribunali  spedire  con  più  facilità  ridotti 
in  uno.  Poi  la  Regina  Giovanna  II  volendo  per  mezzo 
de]  suoi  riti,  riformare  queste  due  Corti,  riputò  meglio 
congiungerle  insieme;  onde  avvenne,  che  il  gran  Giu- 
stiziere ch'era  capo  della  Gran  Corte  a*  tempi  de' Nor- 
manni, unendosi  ora  questi  Tribunali,  ne  venne  anche 
egli  ad  esser  capo  di  questo  altresì.  Quindi  è,  che 
tutte  le  provvisioni  ed  ordini,  che  dal  Tribunale  della 
Gran  Corte  della  Vicaria  si  spediscono,  tanto  per  Na- 
poli^ quanto  per  tutto  il  Regno,  sotto  il  titolo  di  gran 
Giustiziere  vengono  pubblicate  (&). 

(a)  Sono  rapportati  dal  Tutiui   de'M.  Giusi,   fol.  io.    {b) 
Xutini  de'M.  Giust.  pag.  2. 


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aga  STORIA  CIVILE 

Da  CIÒ  .nacque  ancora  ,*  che  dandogi  al  solo  graà 
Giustiziere  la  aopranteodenza  di  queste  due  Corti  (a), 
siccome  poteva  egli  crear  il  Luogotenente,  e  Reggente 
per  regger  la  sua  Gran  Corte ,  cosi  ancora  deputava 
egli  quello  stesso  per  Reggente  della  Corte  della  Yi- 
caria:  unendo  queste  due  dignità  ed  uffici  in  una  sola 
persona  che  vi  destinava,  de' quali  Reggenti ,  insino  ai 
aaoi  tempi,  Niccolò  Toppi  tessè  lungp  catalogo. 

E  quindi  avvenne  ancora ,  che  volendo  la  Regina 
Giovanna  li  riformare  e  ristabilire  ì  riti  ed  osservanze 
di  quelle,  trovando  ne*  suoi  tempi,  che  scambievolmente 
comunicavanéi  infra  d'esse  tutta  la  loro  autorità  e 
cognizione ,  con  una  sola  determinazione  providde  al 
ristabilimento  e  buono  governo  ed  amministrazione 
delle  medesime. 

Ed  è  da  notare,  che  quantunque  i  riti,  che  questa 
Regina  ordinò,  fossero  stabiliti  per  lo  miglior  gover- 
no ed  amministrazione  di  questo  Tribunale,  compo- 
nendosi di  due  Corti  ^  perciò  viene  da  lei  nominato 
ora  con  singoiar  nome  di  sua  Corte  o  Gran  Coite  di 
Vicaria,  ed  ora  di  Corti  in  plurale.  Cosi  nel  proemio 
disse:  In  nostris  Magnae  et  Vieariae  Curiis.  E  nel 
primo  rito:  In  praedictis  nostris  Magnae ^  et  Ficariae 
Curiis^  et  qualibet  ipsarum.  Ed  altrove  Juàices  ipsa^ 
rum  Curiarum,  (b)  Ed  è  notabile  ancora,  che  questa 
Regina  ne' privilegi  che  spedì  a' Napoletani  nell*  an- 
no 1430  che  son  registrati  ira' riti  suddetti  (e),  volendo 
che  di  quelli  potessero  valersi  in  tutte  le  Corti  di 
Napoli,  disse*  Tarn  scilicet  Magna  Curia  Domini  Ma* 
gìstri  Justitiarii  Regni  Siciliae^  seu  eju$  Locumtenen- 

(«)  Rit.  54,  65,  64.  (b)  RU.  i4,  34,  5g,  46,  So.   <r)  Si 
leggono  sotto  il  tiu  Cosfiraiatio,  de.  kiL  449. 


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DEL  REGNO  DI  NAPOLI  LXX.  GAP.  VI.  tigS 
tis;  oc  Regentis  Curiain  Ficafiae;  ^uam  Capì t ancor um^ 
tei  aliorum  hahentium  merum^  et  mixtum  Imperium  eie. 
Tolendo  denotare  componersi  questo  Tribunale  di  due 
Corti,  di  quella  del  M.  Giustiziere  e  dell'altra  delU 
Vicaria.  E  la  Regina  Isabella  creata  Vicaria  dal  Re 
Renato  sup  marito,  dri;f;zando,  come  si  disse,  nell'an- 
no. i436  una  sua  lettera,  che. pur  leggiamo  tra  quei 
riti  (a)  agli  Ufficiali  di  questo  Tribunale,  pur  disse: 
ttaymondo  de  Vrsinis  etc  Magistro  Jusiiticrio  Regni 
Siciliae^  et  ejus  Locumtènenti:  Nec  non  Regenti  Ma" 
gnam  Curiam  nostrae  Vicariae, 

Donde  si  convince  Y  errore  d*  alcuni,  e  fra  gli  altri 
del  Reggente  Petra  (&),  i  quali  leggendo  nefriti  delia 
Gran  Corte  della  Vicaria  fatti  compilare  daU|i  Regina 
Giovanna  II  chiamarsi  questo  Tribunale  ora  io  dual 
numero,  ed  ora  in  singulare,  si  diedero  a  credere ^ 
che  nel  tempo,  che  questa  Regina  ordinò  la  Compi* 
lazione,  erano  queste  Corti  separate;  quando  poi  fu 
quella  ridotta  a  fine,  erano  già  unite;  onde  perciò  nei 
primi  riti  si  nominano  in  dual  numero,  e  negli  ultimi 
in  singulare.  Ciò  che  sarebbe  far  gran  .torto  alla  di- 
ligenza, ed  accortezza  di  que'  Giureconsulti,  de'  quali 
ai  valse  la  Regina  per  quella  compilazione,  i  quali  rac» 
colti  ed  ordinati  che  T ebbero,  gli  diedero  fuori  tutti 
insieme  in  un  volume  ;  e  sarebbe  stata  grande  loro 
trascuraggine,  se  nel  principio  areaser  separate  queste 
Corti;  e  nel  fine  T  avesser  congiunte.  Oltre  che  non 
meno  la  Regina  Giovanna  II  nel  privilegio  conceduto 
a' Napoletani^  spedito  negli  ultimi  anni  del  suo  Regno^ 
•  posto  nei  fine  di   qoe'riti,  che  la  Regina  Isabella^ 

(a)  Sotto  il  tit.  àfi  supplendis  defectibus,  etc.  fol.  44^ 
(&>  Nir»  Riti  I  num.  a3; 


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«94  STORIA  CIVILE 

che  yisse  dopo  Giovaana^  separò  queste  due  Corti  n^l 
tempo,  che  il  Reggente  Petra  le  vuole  unite,  driz- 
zando quella  sua  carta  non  tneno  al  gran  Giustiziere 
e  suo.  Luogotenente,  che  al  Reggente  della  Vicaria. 
Erano  adunque  queste  Corti  separate  in  se  mede8Ìn)e, 
ma  congiunte  insieme  a  questi  tempi,  facendo  un  solò 
Tribunale,  di  due  Corti  composto. 

Nel  Regno  poi  d'Alfonso  1  si  tolse  affatto  così  nelle 
scritture  I,  come  nel  parlare  ogni  vestigio  di  divisione, 
e  r unione  si  rese  perfetta,  onde  da  poi  non  si  no- 
minò più  in  numero  di  più  ,  ma  fu  riputato  un  solo 
Tribunale;  e  poiché,  era  coiUposto  di  due  Corti,  fu 
chiamato  percìti  con  un  sol  nome.  Tribunale  delta 
Gran  Corte  della  Viearia* 

CAPITOLO    VIL 

Cablo  Principe  di  Salerno  governa  il  Regno  come 
Vicario ,  mentre  il  padre  è  in  Roma ,  e  va  poi  a 
"battersi  in  Rordeos  con  Pietbo  Re  d'Aragona. 


'  Il  Re  d'Aragona,  ancorché  fosse  certo,  che  le  sue 
preghiere  al  Pontefice  Martino  niente  doveano  giovar- 
gli, essendo  il  Papa  alle  preghiere  di  Carlo  già  risa- 
luto di  dare  a  costui  ogni  aiuto  per  la  ricuperazione 
deir  isola;  nnlladimanco  perché  Carlo  non  fosse  solo 
a  querelarsi  col  Papa,  e  potesse,  con  frapporre  qualche 
trattato  di  pace  divertire  la  guerra,  mandò  a  Roma 
suoi  Ambasciadori  ad  iscusarsi  con  Martino  e  col  col- 
legio de' Cardinali,  ponendo  loro  in  considerazione, 
che  volendo  ricovrare  quel  Regno  dovuto  alla  moglie 
ed  a'  suoi  figliuoli,  non  avea  potuto  con  aperta  forze 


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DEL  REGNO  DI  NAPOLI  L.XX.  CÀP.VtL  29S 

levarlo  di  mano  a  Carlo,  ch'era  il  più  potente  Re  del 
Cristiani;  e  però  avendo  veduto,  che  quelli  dell' iso]/ii 
disperati  per  gli  atrocissimi  portamenti  de'  Franzesi,' 
erano  stati  sforzati  di  fare  quella  uccisione ,  fivea  vo- 
luto pigliare  quella  occasione,  e  cercare  di  salvar  in- 
sieme la  vita  a' Siciliani  e  racquistare  alla  moglie  il 
perduto  Regno:  e  che  conveniva  alla  Santità  del  Papa 
ed  al  decoro  di  quel  sacro  Cojlegio  di  spogliarsi  d'ogni 
passione  e  giudicare  quel  che  ne  fosse  di  giustizia:  che 
«e  si  fosse  sentenziato  per  lui,  avrebbe  egli  così  ben 
pagato  il  censo  alla  Chiesa  romana,  e  sarebbe  stato 
così  buon  feudatario  di  quella,  com'era  stato  Re  Carlo, 
e  quando,  udite  prima  le  sue  ragioni,  fosse  sentenziato 
contra  di  lui,  egli  avrebbe  lasciata  la  possessione  del- 
l'isola  in  man  della  Chiesa. 

Ma  furono  ben  tosto  conosciuti,  e  dal  Papa  e  da 
Carlo  questi  arlifìcii  di  Pietro,  onde  ne  furono  riman- 
dati gli  Ambasciadori,  non  riportando  altro  da  Roma^ 
se  non  che  il  Papa  avea  conosciuto,  che  queste  erano 
parole  per  divertire  la  guerra,  e  che  era  risolutissimo 
di  dar  ogni  aiuto  e  favor  possibile  al  Re  Carlo,  il 
quale  senza  dubbio  alla  nuova  campagna  verrebbe 
sopra  risola  con  grandissimo  apparato  per  mare  e 
per  terra. 

Allora  fu,  che  Re  Pietro  lasciate  ordinate  alcutid 
cose  in  Sicilia,  come  fu  consigliato  da  Ruggiero  di 
Loria  e  da  Giovanni  di  Precida,  passò  in  Aragona 
per  provvedere  di  mandare  in  Sicilia  nuovi  soccorsi* 
Gli  Aragonesi^  che  prima  av^ano  avuta  a  male  quella 
impresa,  come  pigliata  senza  volontà  e  consenso  del 
Popoli,  e  con  ciò  d'esser  altresì  rotte  e  violate  l'or* 
dinanze  e  privilegi  di  quel  Regno-,  nuUadimanco  ve* 
dendola  succèduta  prospera,  e  guadagnato  un  Kegno^ 


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age  STORIA  CIVILE 

nel  quale,  da  poi,  molti  del  Regno  di  Aragona  e  di 
Valenza  ebbero  Stati  e  Signorie,  cominciarono  a  pen- 
sare d'aiutare  il  Re  quanto  potevano,  e  nel  Consiglio 
gli  persuasero,  che  cercasse  in  ogni  modo  di  placar  il 
Papa;  onde  T indussero  a  mandare  di  nuovo  Gismondo 
di  Luna  per  Ambasciadore,  il  quale  avesse  d' assistere 
a  Roma,  e  pregar  uno  per  uno  i  Cardinali^  che  ve- 
dessero d'addolcir  F animo  del  Papa.  Ma  ecco,  cbe 
ciocché  Re  Pietro  con  tanto  studio  non  avea  potuto 
per  innanzi  ottenere,  fortunatamente  gli  avvenne;  poi- 
ché mentre  il  suo  Ambasciadore  va  per  Roma,  é  in- 
contrato da  Carlo,  il  quale  subito  che'l  vide,  come 
era  Impaziente  e  soggetto  all' ira,  gli  disse:  che  il  Re 
Pietro  avea  proceduto  villanamente  e  da  traditore,  con 
avergli,  essendogli  cugino ,  occupato  il  Regno  suo,  nel 
qual  Manfredi  non  era  stato  mai  Re  legittimo^  ma  oc- 
cupatore  e  Tiranno;  e  ch'egli  sarebbe  per  sostenerlo 
in  battaglia  a  corpo  a  corpo,  o  con  alcuna  compagnia 
di  soldati.  Gismondo,  eh*  era  persona  accorta,  rispose, 
ch'egli  era  venuto  per  trattar  altro,  e  non  per  dispu- 
tare se'l  Re  avea  fatto  bene  o  male«  ancora  che  fosse 
certo,  che  avea  fatto  ottimamente,  ma  ch'egli  avreb- 
begli  scritto,  e  che  sarebbe  venuta  da  lui  risposta, 
quale  si  conveniva  al  grado,  al  sangue,  ed  al  voler 
di  tal  Re;  né  indugiò  molto  a  scriver  al  suo  Re  quel 
eh'  era  passato:  Re  Pietro  gli  rescrisse  subito,  che  ac- 
cettasse per  lui  il  duellò  e  che  offerisse  al  Papa,  che 
per  evitare  tanto  spargimento  di  sangue  di  Cristiani, 
e' si  contentava  non  solo  combattere  quella  querela, 
ma  con  esso  ancora  il  dominio  di  tutta  l'isola. 

Alcuni  scrissero,  che  Carlo  per  la  fiducia,  eh' avea 
nelW  persona  sua  ed  in  molti  altri  Cavalieri  del  suo 
esercito,  si  fosse  rallegrato  di  questa  offerta  di  Pietro, 


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DEL  REGNO  DI  NAPOLI  L.XX.  GAP.  VII.  297 

e  che  con  assenso  del  Papa  si  cominciò  a  trattare 
dei  modo,  che  aveano  da  tenere  per  'combattere ,  nel 
che  i  dne  Re  convennero  di  scioglier  ciascuno  dódici 
Cayalicri  per  regolare  ir  tempo,  il  luogo  e  le  condi* 
zioni  del  combattimento.  Questi  essendosi  ragunati  for- 
marono alcuni  articoli,  che  furono  ratificati  da' due 
Re.  Fu  in  quelli  determinato,  che  si  sarebbero  battuti 
a  Bordeos  città  della  Guascogna,  ch'era  allora  sotto  il 
dominio  del  Re  d'  Inghilterra:  la  giornata  fa  stabilita, 
per  lo  di  primo  giugno  lùSi  nel  quale  s'avessero  da 
presentare  in  quella  città  ciascuno  accompagnato  da 
cento  Cavalieri. 

Negli  atti  d' Inghilterra  ultimamente  fatti  imprimere 
dalla  Regina  Anna  (a),  si  leggono  questi  articoli,  e  co- 
me quelli  che  non  eran  pubblici,  né  se  non  per  questa 
edizione  si  sono  esposti  alla  luce  del  Mondo,  sono 
stati  cagione  d'alcuni  abbagli  a' migliori  Istorici,  con 
gran  pregiudizio  della  riputazione  del  Re  d'Aragona; 
poiché  credettero,  che  nella  formazione  de' medesimi 
v'avesse  avuto  anche  parte  il  Re  d'Inghilterra,  il  quale 
come  ugualmente  parente  d' ambedue  questi  Re,  avesse 
loro  assicurato  il  campo,  é  che  perciò  non  poteva 
scusarsi  Re  Pietro  d'aver  avuto  timore  di  comparire 
in  pubblico,  come  fece  m  secreto;  imperocché  da  que- 
sti articoli  e  da  alcune  lettere  dello  stesso  Re  d*  In- 
ghilterra si  convince,  che  tanto  fu  lontano,  che  v*  avesse 
avuta  egli  parte  ed  aveése  egli  assicurato  il  campo, 
che  più  tosto  egli  fece  ogni  sforzo  per  disturbare  il 
combattimento.  Gli  articoli  furono  accordati  solamente 
da' Cavalieri  eletti  da  ambedue  i  Re,  ed  alcuni  anche 
scrissero,  che  nemmeno  il  Papa  vi  assentisse. 

(«)  Foedera^  conv^niioms  etc,  tom,  i  p.  936. 


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398  STORIA  CIVILE 

(  Nel  Codice  Diplomatico  di  Lunig  {a) ,  si  legge  il 
Diploma  del  Re  Pietro^  nel  quale  s'inseriscono  le 
Capitolazioni  accordate  intorno  al  duello  col  Re  Carlo 
nella  città  dxBordeos  in  Guascogna,  firmato  da'&uoi 
Cavalieri.  Siccome  alla  pagina  lOiS  si  legge  un  con- 
simile Diploma  spedito  dal  Re  Carlo  ^  dove  promette 
di  comparire  nel  luogo  stabilito  del  duello,  firmato 
parimente  da' suoi  Cavalieri.  E  che  il  Papa  facesse 
ogni  sforzo  per  impedirlo,  è  manifesto  da  due  Brevi  ' 
di  Martino  IV  che  rapporta  il  cit.  Lunig  ^  uno  alla 
pqg.  io4  dove  inibisce  al  Re  Carlo  il  ducilo  concer- 
tato col  Re  Pietro-^  T altro  alla  pag.  1022  drizzato  ad 
Odoardo  1  Re  d'Inghilterra,  nel  quale  esorta  quel  Re 
ad  usar  ogni  studio  per  impedire,  che  siegua  ne' suoi 
Stati  ). 

Gli  articoli,  come  si  legge  in  quegli  atti,  furono  i 
>&eguenti: 

I  Che  il  combattimento  ^1  farà  a  Bordeos,  nel  luogo, 
che  il  Re  d' Inghilterra  giudicherà  più  convenevole, 
il  qual  luogo  sarà  circondato  di  barriera.  II  Che  gli 
due  Re  si  presenteranno  avanti  il  Re  d'Inghilterra 
per  far  questo  combattimento  il  dì  primo  giugno  i283. 
Ili  Che  se  il  Re  d' Inghilterra  non  potrà  trovarsi  in 
persona  a  Bordeos,  li  due  Re  saranno  tenuti  di  pre- 
4Bentarsi  avanti  colui,  che  il  medesimo  Re  avrà  depu- 
tato per  ricever  la  loro  presentazione  in  suo  luogo. 
IV  Che  se  il  Re  d' Inghilterra  non  si  trovasse  in  per- 
sona nel  medesimo  luogo,  né  inviasse  alcuno  in  sua 
vece,  i  due  Re  siano  tenuti  di  presentarsi  avanti  co- 
lui, che  comanda  a  Bordeos  per  lui.  Y  Egli  è  stato 
ancora  convenuto,  che  il  detto   combattimento  non  si 

(a)  Tom.  IL  pag.  986. 


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DEL  REGNO  DI  NAPaLI  LXX.  GAP.  VII.  399 
farà  avanti  a  chi  che  8Ìa  delle  genti  del  Re  d' Inghil- 
terra, a  meno  che  il  detto  Re  non  vi  si-  trovasse  at- 
tualmente presente  in  persona:  salvo  a' due  Re  di  coa- 
venire  tra  di  loro,  per  un  consenso  reòiproco,  di  fare 
il  detto  combattimento  di  questa  maniera^  cioè  a  4ire 
in  assenza  d'Odoardo.  YI  Che  se  il  Re  d^Inghilterra 
non  si  trovasse  di  persona  nel  luogo  e  nel  tempo  ac- 
cennato, gli  due  Re  siano  tenuti  di  aspettarlo  trenta 
giorni.  VII  Affinchè  si  possa  in  tutte  le  maniere 
proccurar  la  presenza  del  Re  d'Inghilterra,  li  due 
Re  promettono  •  giurano  di  fare  il  lor  possibile  di 
buona  fede  e  senza  frode^  per  ottenere  dal  detto  Re, 
che  si  trovi  al  luogo  notato,  ed  al  .giorno  detto,  e  dì 
fare  in  maniera  che  le  loro  lettere  gli  sian  rese.  Dopo 
alcuni  altri  articoli,  che  riguardano  la  tregua  e  le  si- 
curezze, che  li  due  Re  si  danno  reciprocamente,  egli 
è  convenuto.  Vili  Che  quegli  de'  due  Re  che  man- 
cherà di  trovarsi  nel  luogo  e  giorno  suddetto,  sia  ri- 
putato vinto,  e  spergiuro,  falso,  infedele,  traditore, 
che  non  possa  giammai  attribuirsi  ne  il  nome  di  Re, 
né  gli  onori  dovuti  a  questo  grado;  ch'egli  resti  per 
sempre  privato  e  spogliato  del  nome  di  Re  e  del- 
l'onor  regale,  ^  sia  incapace  di  ogni  impiego  e  di- 
gnità, come  vinto,  spergiuro,  falso,  infedele,  traditore 
ed  infame  eternamente. 

Accordati  questi  ArticoU,ambedue  i  Re  s'affrettarono 
di  dar  provvedimenti  a'  loro  Reami,  perchè,  dovendo 
intraprendere  sì  luogo  viaggio,  ed  esporsi  ad  una  sì 
pericolosa  azione,  la  lóro  assenza  o  mancanza  ad  essi 
non  nocesse.  Re  Pietro  raccomandò  a'  Siciliani  l'ub- 
bidienza, che  doveano  prestare  alla  Regina  Costanza^ 
diede  allora  il  titolo  di  Viceré  .di  quell'isola  a  Gu- 
glielmo  Galzerano:  creò   Giovanni  di   Procida  Gran 


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3oo  STORU  CIVILE 

Cancelliere:  diede  T  Ufficio  di  Gran  Gìostixiere  ad 
Alaimo  di  Lentino,  ed  a  molti  altri  benignamente  fece 
grazie,  e  concedè  molti  privilegi;  e  volle  che  tntti 
giurassero  per  legittimo  successore  ed  erede,  e  fa* 
turo  He  D,  Giacomo^  il  jche  fu  fatto  con  magnifica 
pompa  e  buona  volontà  di  tutti. 

Dair  altra  parte  il  Re  Carlo  lasciò  nel  Regno  per 
ftuo  Vicario  il  Principe  di  Salerno,  e- gli  diede  buoni 
Consiglieri,  che  assistendolo  T  avessero  da  governare; 
stabilendo,  come  fu  detto,  un  nuovo  Consiglio,  che 
fu  chiamato  la  Corte  del  Vicario;  ed  affrettandosi  pììn 
del  suo  Competitore ,  tolta  che  ebbe  la  benedizione 
dal  Papa,  marciò  con  le  sue  genti,  e  si  presentò  nel 
giorno  destinato  con  li  cento  suoi  Cavalieri  al  campo 
avanti  Bordeos;  e  cavalcando  per  lo  campo  aspettò  fina 
al  tramontar  del  Sole,  facendo  spesso  dal  suo  Araldo 
chiamare  il  Re  Pietro  ;  ma  questi  non  comparendo  » 
alcuni  rapportano,  che  Carlo  si  portasse  avanti  il  Si- 
niscalco del  Re  d' Inghilterra,  che  comandava  la  città 
di  Bordeos,  e  1  richiedesse,  eh* avesse  da  far  fede  di 
quello,  eh* era  passato:  e  che  avendo  novella,  che  il 
Re  d*  Aragona  era  ancora  lontano,  si  ritirasse  lo  stesso 
giorno. 

Re  Pietro  dall'altro  canto,  dappoiché  s*ebbe  eletti 
i  suoi  cento  Cavalieri,  lor  comandò,  che  s'avviasser 
eabito  verso  Guascogna,  ed  egli  mandò  avanti  Gili- 
berto Gruiglias  per  intendere  se  4  Re  d'Inghilterra 
era  arrivato  a  Bordeos,  o  se  ci  era  suo  Luogotenente, 
che  avesse  assicurato  il  campo;  ed  egli  con  poco  in» 
tervallo  gli  andò  appresso  con  tre  altri  Cavalieri  va- 
lorosi: ma  scorgendo,  che  niuno  era  che  assicurava  il 
campo,  narrasi,  che  si  fosse  travestito  e  nascosto  den- 
tro la  città  di  Bordeoa  sotto  nome  d'un  de'  Signori 


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DEL  REGNO  DI  NAPOLI  L.XX.  GAP.  VIL  3oi 
della  sua  Corte,  e  che  da  poi,  che  Re  Carlo  fa  par- 
tito,  la  stessa  sera  andasse  a  presentarsi  al  Siniscial<;o 
di  Guienna,  facesse  atto  della  sua  presentasione,  e  gli 
lasciasse  le  sae  arme  in  testimonianza:  e  che  dopo 
ciò  avesse  ripigliato  frettolosamente  il  cammino  Terso 
i  suoi  Stati  temendo  Tiasidie  e  gli  agnati  che  Re 
Carlo  susttrravasi  avergli  preparati. 

Questa  condotta  ha  dato  luogo  «gli  Istorici  franzesi 
di  accusarlo  ^i  poltroneria,  e  di  non  aver  avuto  ani- 
mo di  misurarsi  col  suo  nemico.  Ma  Terror  nacque 
dall'avere  tutti  gli  Istorici,  così  francesi  ed  italiani, 
come  spagnuoli,  creduto  costantemente,  che  Odoardo 
avesse  assicurato  il  campo  a'  daé  Re ,  ififgannati  per 
essersi  presentato  Re  Carlo  a  Bordeos  co'  suoi  cento 
Cavalieri;  impiercìocchè  non  hanno  potuto  compren- 
dere, come  questo  Principe  fosse  venuto  colla  sua 
truppa  pronto  a  combattere,  e  si  fosse  trattenuto  a 
Bordeos  dal  levar  del  Sole  fino  alla  sera  del  giorno 
appuntato,  se  egli  non  avesse  creduto  d'essersi  assi* 
curato  il  campo  e  di  combattere. 

Ma  negli  atti  d'Inghilterra  ultimamente  dati  alle 
stampe,  si  legge  al  foglio  aSg  una  lettera  di  Odoardo 
a  Carlo,  per  la  quale  gli  fa  sapere,  che  quando  egli 
potesse  guadagnar  i  due  Regni  di  Aragona  e  di  Si- 
cilia, non  verrebbe  ad  assicurar  il  campo  a' due  Re; 
né  permetter  che  questo  duello  si  facesse  in  alcun  luogo 
del  suo  dominio,  né  in  alcun  ajtro  dove  fosse  in  suo 
potere  l'impedirlo.  In  un'altra  lettera,  ch'egli  scrisse 
al  Principe  di  Salerno  [pag.  24o  )  gli  dice,  che'  ei^a 
ben  lungi  dal  vero  di  aver  accordato  a  suo  padVe  ciò 
che  gli  avea  dimandato  intorno  a  questo  combattimento, 
apzi  egli  l'avea  rifiutato  tutt' oltre  (tout  oufre)  questo 


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3o3  STORU  CIVILE 

è  il  termine  di  cui  «gli  si  serve;  perchè  queste  lettere 

SODO  in  franzese. 

Egli  dunque  non  vi  è  luogo  di  credere,  che  Odoardo 
abbia  autorizzato  questo  combattimento,  né  per  la  sua 
presenza,  né  con  inviarvi  alcuno,  che  avesi?e  rappre- 
sentata la  sua  persona,  né  in  dando  salvocondotto  a'  due 
Re,  né  in  fine  con  far  loro  preparare  il  luogo;  e  nien- 
tedimeno gli  Istorici  lo  suppongono  come  certo,  quanda 
dicono  che  Carlo  venne  a  Bordèos,  eh' entrò  nel  cam- 
po, e  che  vi  si  trattenne  dal  levare<fino  al  tramontar 
del  Sole,  senza  veder  comparire  il  suo  nemico. 

Quel  che  abbiamo  di  certo  è,  che  Carlo  venne  ef- 
fettivamente a  Bordeos  il  giorno  appuntato:  ch'egli  vi 
•i  trattenne  fino  verso  la  sera,  e  che  avendo  novella, 
che  il  Re  d'Aragona  era  ancora  lontano,  si  ritirò  lo 
stesso  giorno.  Ma  appena  fu  egli  partito,  che  Pietro, 
il  qual  era  nella  città  travestito  sotto  nome  d'un  de!  Si- 
gnori della  sua  Corte,  andò  a  presentarsi  al  Siniscalco 
di  Guienna,  fece  atto  della  sua  presentazione  ^  e  gli 
lasciò  le  sue  armi  in  testiajionianzà:  fatto  questo  si  ri- 
tirò in  diligenza  verso  i  suoi  Stati.'  Se  si  considera  il 
tenor  degli  articoli  aggiustati  tra' due  Re,  questa  con- 
dotta non  potrà  accusarsi  di  poltroneria;  poiché  la  pre- 
sentazione di  questi  Principi  avanti  il  Siniscalco  di 
Guienna  ^non  era,  che  per  soddisfare  al  quarto  arti- 
colo, e  non  per  battersi;  perchè  perjo  quinto,  non 
dovea  esservi  punto  di  combattimento,  se  il  Re  d' In- 
ghilterra non  vi  era  presente,  e  che  per  le  lettere  di 
Odoardo  qui  sopra  rapportate,  non  vi  era  cosa  più 
lontana  dall' intenzione  di  questo  Principe,  che  l'as- 
sistere a  questo  combattimento.  Che  voglia  accusarsi 
il  Re  d'Aragona  di  aver  avuta  paura,  non  è  da  du- 
bitare; ma  la  paura  ch'egli   avea  non  era  di  battersi 


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DEL  REGNO  DI  NAPOLI  L.XX.  CAP.VIL  3o3 

contro  il  suo  nemico;  poiché  per  le  loro  conTenzioni 
non  era  a  ciò  obbligato,  se  non  in  presenza  del  Re 
cV  Inghilterra ,  dopo  avergli  assicurato  il  campo.  Che 
dunque  ha  egli  temuto?  GU Istorici  franzesi,  che  per 
altro  sono  stati  ben  attenti  di  trovare  una  occasione 
d'  avvilir  questo  Principe  nemico  della  Gasa,  di  Fran- 
cia, non  si  sono  curati  di  spiegare  il  soggetto  del  suo 
timore;  ma  gli  Sìciiiani  ed  i  Napoletani^' hanno  fatto 
in  dicendo,  ch'egli  era  informato  non  solamente,  che 
Carlo  avea  .portati  '^i  suoi .  cento  Cavalieri  con  lui  in 
Sordeos,  ma  eh'  egli  aveva,  altri  dicono  3oóo  altri  5ooo 
cavalli  una  giornata  distanti  da  quella  città;  ed  alcuni 
anche  aggiungono,  che  il  Re  di  Francia  suo  nipote 
era  alla  loro  testa.  Ciò  che  Mezeray  non  ha  potuto 
interamente  dissimulare,  quando  egli  dice,  che  Pietro 
si  ritirò,  fingendo  di  aver  paura  di  qualche  sorpresa 
dalia  parte  del  Re  di  Francia;  perchè  se  il  Re  di 
Francia  non  avesse  avute  truppe  vicino  Bordeos,  come 
Pietro,  trovandosi  ne'  Stati  del  Re  d'Inghilterra,  avrebbe 
potuto  fingere  d'aver  paura  di  qualche  sorpresa  del  È.e 
di  Francia? 

Si  devono  adunque  esaminar  due  cose  per  giustifi- 
cazione del  Re  d'Aragona:  la  prima,  se  egli  ha  ese- 
guite le  convenzioni  ;  e  di  ciò  noi^  si  può  dubitare 
dopo  aver  letti  gli  articoli  di  sopra  rapportati:  la  se- 
conda, ae  ha  avuto  soggetto  di  diffidarsi  di  Carlo- e 
del  Re  di  Francia*  Quanto  al  primo  di  questi  Prin- 
cipi, gli  Istorici  di  Nappli  e  di  Sicilia  dicono,  ch'egli 
si  era  vantato  pubblicamente  di  fare  assassinare  il  Re 
d'  Aragona ,  •  ciò  che  bastava  per  dare  un  giusto  sog- 
getto di  timore  a  quest'ultimo,  che  si  trovava  in  un 
paese  lontano  da'  suoi  Stati,  vicino  a  quelli  del  Re  di 
Francia^   e  senza   salvocondotto   del  Re  d'Inghilterra 


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3o4  STORIA  CITILE 

né  alcun'  altra  sicurezza,  che  la  parola  d'un,  nemic<^^ 
aopra  la  baona  fede  del  quale  egli  non  poteva  appoggiar- 
si, perchè  si  era  vantato  di  farlo  assassinare.  Quanto  al 
Re  di  Francia,  gl'Italiani  assicurano  che  avea  un  corpo 
di  5ooo  o  di  3ooo  cavalli  a  una  giornata  di  là.  Afe- 
teray  e  gli  altri  Istorici  franzesi,  che  non  hanno  po- 
tuto^ ignorare  ciò  che  gì  Italiani  han  detto,  non  Io  ne* 
gano,  e  si  contentano  di  non  parlarne;  di  maniera  che 
egli  è  altrettanto  dubbio,  che  la  cosa  sia  vera,  quanto 
è  dubbio  che  sia  falsa.  In  somnia  quando  anche  Re 
Pietro  fosse  stato  preso  da  un  timor  mal  fondato  di 
qualche  sorpresa  del  Re  di  Francia,  non  meritava  per-* 
ciò  quelle  accuse  e  quegli  scherni,  che  han  fatto  i 
Fcanzesi  sU  la  sua  condotta. 

Dall'altra  parte  alcuni  Istorici  spagnuoli  furono  so- 
verchio millantatori,  e  fra  gli  altri  Garibaj^  il  quale 
senza  dubUo  non  sapeva  le  convenzioni  passate  tra'  due 
Re;  e  pure  fu  così  ardito,  che  scrisse,  che  il  Re  di 
Aragona  si  presentò  a  Rordeos,  è  che  se  ne  ritornò 
perchè  Carlo  non  vi  si  trovò  :  Despues  que  el  Rej 
De  Fedro  s,e  apoderò  del  Rejrno  de  Sicilia^  viviò  cinco 
annos^  y  dando  orden  en  las  eosas  del  nuevo  Rejno^ 
tornò  à  Espanna  ^  y  tuvo  rieptos  y  desàfios  con  el  Rey 
Carlos^  y  disfrazado  passò  por  la  Provincia  de  Gui- 
puseoa^  para  la  Ciudad  de  Rurdeos^  que  por  ser  en 
esio  tiempo  de  Ingleses  era  el  lugar  de  la  haialla,  a 
la  qual  por  no  acudir  el  Rey  Carlos,  tornò  el  Rey 
D.  Fedro  en  Aragon,  y  Catalunna, 

Non  è  da  tralasciare  quel,  che  tra  queste  diversità 
d'opinioni  credette  il  Costanzo  nostro  gravissimo  Scrit- 
tore (a),  aiutato  ancora  da  un'  annotazione  antica  scritta 

(a)  Gost.  lib.  3. 


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DEL  REGNO  DI  NAPOLI  L.XX.  CAP.VIL  3o5 

tt  mano,  che  dice  aver  trovato  :  cioè  che  Re  Pietro, 
il  qual  confidò  sempre  più  nella  forza,  non  ebbe  mai 
Tolontà  d'esporre  un  Regno  a  quei  cimento,  e  che 
dopo  la  giornata^  ragionando  di  questo  fatto  si  fosse 
dichiarato,  dicendo,  eh* egli  intrigò  con  tante  condì- 
sioni  e  patti  quel  combattimento,  per  far  perdere  al 
Re  Carlo  una  stagione,  ed  egli  aver  tempo .  dì  più  for- 
tificarsi, e  far  pigliar  fiato  a'  Regni  suoi;  anzi  si  fa* 
eoa  beffe  di  Carlo ,  che  avesse  creduto ,  eh'  egli  vo- 
leva avventurare  il  Regno  di  Sicilia,  che  già  èra  suo, 
senza  volere,  che  Carlo  avesse  da  promettere  di  per- 
dere air  incontro  il  Regno  di  Puglia,  quando  succe- 
desse^ che  restasse  ninto. 

In  fatti  risoluto  a  questo  modo  il  combattimento. 
Papa  Martino  ben  s' avvide  d' essere  stato  il  Re  Carlo 
beffato,  e  che  Re  Pietro  avea  evitata  la  guerra;  onde 
pieno  di  stizza  lo  scomunicò  con  tutti  i  suoi  Mini- 
stri ed  aderenti.  Scomunicò  ancora;  e  di  nuovo  inter- 
disse i  Siciliani,  dichiarandogli  ribelli  di  S.  Chiesa 
con  tutti  quelli,  che  gli  favorivano  in  secreto,  o  in 
palese:  lo  privò  e  depòse  del  Regno_  d*  Aragona  e  di 
Valenza,  scomunicando  ancora  chi  Tubbidisse,  o  chia- 
masse Re;  e  concedè  questi  Regni  a  Carlo  di  Valois, 
figliuolo  secondogenito  di  Filippo  III  Re  di  Fran- 
cia (*);  mandando  il  Cardinal  di  S.  Cecilia  Legato 
Appostolico  in  Francia ,  Con  Y  investitura .  di  questi 
due  Regni,'  ed  a  trattare  col  Re,  eh'  avesse  da  movere 
un  potente  esercito  in  Aragona,  per  discacciar  Pietro 


(^)  La  Bolla  di  Martino  IV  di  questa  scomunica  e  depo- 
sizione, si  legge  negli  Atti  d' Inghilterra  ^  pag.  aS).  Leggesi 
parimente  questa  Bolla  di  scomunica,  ed  interdetto  di  Mar- 
tino lY  presso  Lunig  pag.  999  che  porta  la  data  del  ia82« 


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3a6  STORIA  CIVILE 

dalla  possessione  di  >  que' Regni.  Fu  ricevuto  il  Le- 
gato in  Francia  con  grand'  onore ,  e  tosto  ai  pose  a 
predicar  la  Crociata^  ed  a  conceder  indulgenze  a  cla^ 
acuno,  che  prendesse  Y  armi  contro  Re  Pietro,  e  non 
tardò  il  Re  di  Francia  poner  in  punto  un  grandis- 
simo esercito,  col  quale  andò  a  quell'impresa.  £  Carlo 
dall'altra  parte  tornata  da  Guascogna  in  Provenza,  glo- 
rioso per  aver  cavalcato  il  campo,  ma  deriso  d'aver 
perduto  il  tempo,  si  mosse  da  Marsiglia  con  60  galee 
e  molte  navi,  e  navigò  di  Provenza  verso  Napoli,  eoa 
intenzione  d'unirsi  con  l'altre  galee  ch'erano  nel  Rcr 
gno,  e  passar  in  Sicilia  innanzi  l'Autunno. 

Re  Pietro  all'incontro  tornato  in  Aragona  mandava 
tatto  giorno  validi  soccorsi  in.  Sicilia  di  navi  e  genti 
a  Ruggiero  di  Loria  suo  Ammiraglio;  e  poco  curando 
delle  maledizioni  e  deposizioni  del  Papa,  per  ischerzo 
si  faceva  chiamare:  Pietro  d Aragona y  padre  di-  due 
jRe,  e  Signore  del  mare^ 

CAPITOLO  VIIL 

Prigionia  del  Principe  di  Salerno  ^  e  morte 
del  Re  Carlo  suo  padre. 


AJ-cntre  queste  cose  si  trattavano  in  Frauda^  Rug- 
giero di  Loria  avendo  inteso,  che  Guglielmo  Carnuto 
provenzale,  era  passato  con  ventidue  galee  .per  soc- 
correre e  munire  il  castello  di  Malta,  che  si  tenea  per 
Carlo,  uscì  dal  Porto  di  Messina  con  didiotto  galee, 
ed  andò  per  trovarlo,  e  giunse  a  tempo,  ch^avea  messo 
nel  castello  genti  fresche  e  vettovaglie,  e  stava  con 
le  galee  nel  porto  di  Malta.  Mandò  Ruggiero  una  fire- 


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DEL  REGNO  DINAPOU  L.XX.  GAP,  Vili.  Soy 
gala  con  un  trombetta,  ch^  richiedesse  il  Capitano 
franzese  a  rendersi,  o  veramente  apparecchiarsi  alia 
battaglia  :  il  Provenzale,  che  da  sé  era  orgoglioso,  ed 
avea  avuta  certezza,  che  Tarmata  nemica  era  inferiore 
di  numero  di  galee,  uscì  dal  Porto,  ed  attaccò  la  bat- 
taglia; ma  alla  fine  dopo  molto  spargimento  di  san- 
gue restò  egli  rotto  e  morto,  e  delle  sue  galee  se  ne 
salvarono  sol  dodici  fuggendo  verso  Napoli:  le  dicco 
altre  furon  pres^ ,  e  condotte  da  Ruggiero  a  Messina 
con  grand' allegrezza  di  tutta  l'isola.  I  Maltesi  si  re- 
sero, e  Ruggiero  lasciò  alla  guardia  di  quell'isola 
Manfredi  Lancia  suo  Capitano  (a). 

Ma  non  contento  Ruggiero  di  questa  vittoria,  avendo 
già  conceputo  nell'animo  Taltre  grad  cose  che  poi  fece^ 
poste  in  ordine  quanta  galee  erano  per  tutta  Tisola,  eoa 
grandissima  celerità  andò  verso  Napoli,  acciocché  offe- 
rendosi qualche  altra  occasione  avesse  potuto  far  alcuna 
altra  notabile  impresa;  il  che  gli  successjD  felicemente,^ 
perchè  avendo  trascorse  le  marine  di  Calabria  con  qua- 
rantacinque galee,  se  ne  venne  a  Castellamare  di  Sta- 
bìa,  donde  rinfrescata  T  armata  passò  verso  Napoli  nel 
medesimo  mese  di  giugno  dello  stesso  anno  13  83  e  con 
qnèll'  ordine,  che  si  suol  andare  per  combattere,  appres» 
sato  alle  mura  di  Napoli  cominciò  a  far  tirare  saette  ed 
altri  istromenti  bellici,  che  s*  usavano  a  quel  tempo  den- 
tro la  città:  onde  tutto  il  Popolo  si  pose  in  arme,  cre- 
dendosi che  Ruggiero  volesse  dar  T  assalto  alla  città; 
ma  perchè  V  intenzion  di  Ruggiero  non  era  di  far  al- 
tro effetto,  che  d'allettare  e  tirare  le  galee,  cVeran 
nel  Porto  di  Napoli  alla  battaglia^  dappoiché  ebbero 
i  Siciliani  con  parole ,  ingiuriose  provocati  i  Napoio- 

{a)  V.  Maurolico. 


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ao8  StORIA  CIVILE 

tani,  che  stanano  su  le  mura^  e  qaellì  ch'erano  al 
porto  8u  le  galee,  si  mosse  egli  colle  sue  costeggiando 
la  riviera  di  Resina,  e  della  Torre  del  Greco»  e  Taltra 
riviera  verso  Occidente  di  Clniaja  e  di  Posilipo,  bru- 
giando  e  guastando  ^aelle  ville  e  que' luoghi  ameni,. che 
vi  erano. 

11  Principe  di  Salerno  lasciato  dal  padre,  Vicario 
del  Regna,  non  potendo  soffrire  tanta  indegnità  di 
vedere,  che  su  gli  occhi  sMi  i  nemici  avessero  tanto 
ardire,  fece  poncre  in  ordine  subito  le  galee,  delle 
quali  era  allor  Capitano  Generale  Giacomo  di  Bru- 
sone  franzese ,  e  vi  s^imbarcò  con  animo  d'andar  a 
combattere.  Gerardo  Cardinal  di  Parma  Legato  Ap- 
postolìco,  che  si  trovava  in  Napoli,  esclamava,  che 
non  uscisse  il  Principe,  né  s'arrischiasse  T  armata  a 
combattere;  ma  egli  non  potendo  soffrire  il  fasto  di 
Ruggiero,  volle  in  tutti  i  modi  imbarcarsi.  Non  solo 
i  Francesi  veterani  e  gli  altri  stipendiari  del  Re  s'im- 
barcarono con  iui,  ma  non  restò  nella  città  uomo  no- 
bile, o  cittadino  onorato  atto  a  maneggiar  l'arme^  che 
non  andasse  con  lui  con  grandissimo  animo:  e  poiché 
V  armata  fa  allontanata  poche  miglia  dal  porto  di  Na- 
poli, Ruggiero  di  Loria,  tosto  che  la  vide,  fece  vela 
con  le  sue  galee  mostrando  di  voler  fuggire,  ma  con 
intenzione  di  tirarsi  dietro  l'armata  nemiea  tanto  in 
alto ,  che  non  avesse  potuto  poi  evitare  di  non  venir 
à  battaglia.  11  Prineipe.  allegro,  credendosi,  che  fosse 
vera  fuga,  e  tutti  i  soldati  delle  sue  galee,  e  massime 
quelli,  eh'  aveano  poca  esperiensa  ncH'armi,  con  gran- 
dissima grida  si  diedero  a  seguire,  sperando  vittoria 
certa  ;  ma  poiché  furon  allontanate  per  molte  miglia 
da  terra  ferma,  Ruggiero  fece  fermare  le  sue  galee, 
e  dopo  averle  una  per  una  visitate,  aniiùando  i  suoi 


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DEL  REGNO  DI  NAPOLI  L.  XX.  GAP.  Vili.  Sog 

fece  girar  le  pròde  verso   i  nemici,   che   già  s^stvìoI- 
navano^  e  con  grandissimo  impeto  andò  ad  incontrar* 
gli.   Fu   con  grandissima  forza  dell*  una  parte  e  del- 
l' altra  attaccata  la  zufìa  ;  ma  poiché   la  battaglia  fu 
durata  un  gran  pezzo,   tanto  stretta,  che  appena  si 
potea  conoscere  una  galea  dall*  altra ^  al  fine  avendo  i 
Cavalieri  delle   galee  del  Principe  adoperate  tutte  lo 
forze,  vinti  dal  caldo  e  dalla  stanchezza,   cominciaro* 
no  a  cedere;   ma  la  galea  capitana  dove    trovavasi  il 
Principe  fu  T  ultima,  perchè  ancora  che  fosse  in  luo- 
go, nel  quate  non  poteva  agevolmente  disbrigarsi,  ed 
uscire  dalk  battaglia,  come  fecero  motte  altre,  che  si 
salvarono  ritirandosi  verso   Napoli,  fece  grandissima 
resistenza,  perchè  in  essa  si  trovava  il  fiore  de'  com- 
battenti ,  deliberati  più  tosto  morire^  che  voler  cedere, 
e  v^ere  prigione  il  Principe  loro.   Ma  Ruggiero  per 
uscire  d^ impaccio  fece  buttare  dentro  mare  molti  Ca- 
lafati ed  altri  Marinari  con   vergare,   ed  altri   istro- 
menti,   i  quali  subito  perforarono  in  molti  luoghi  la 
galea  del  Principe,   in  modo  che  si  venne  ad  eifipire 
tanto  d'acqua  che  per  non   andar  a  fondo,   11  Prin- 
cipe  e  gli  altri,  che  se  n'accorsero,  si  resero  a  Rug- 
giero, che  gli  confortava  a  rendersi;  e  lloggiero  porse 
la  mano  al  Principe  sollecitandolo,   che  passasse  pre- 
sto alla  galea  sua.  Restarono  insieme  col  Principe  pri- 
gioni il  Briisone  Generale  dell'armata,  Guglielmo  Sten- 
dardo e   molti   altri   Signori   italiani  e  franzesi ,  che 
andavano  sopra  dieci  galee  che  parimente  si  resero  (a). 
Questa  rotta  sbigottì  grandemente  i  Napoletani,  poi'- 
chè  videro  Ruggiero  quasi  trionfante  tornar  avanti  le 
mura  delia  città,  ed  invitare  il  Popolo  napoletano  a 


{a)  Maurolicoi 


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3 IO  STORIA  CIVILE 

far  novità.  E  già  la  plebe  avea  cominciato  a  lumuV> 
tuarc,  ed  a  gridare,  muoia  Re  Carlo,  e  viva  Ruggiero 
di  Loria.  E  narra  il  Costanzo,  che  se  i  Nobili,  i  vec- 
chi ed  i  più  riputati  Cittadini,  che  pigliarono  a  guar- 
dare le  porte  della  città  ed  a  frenare  queir  impeto, 
non  riparavano,  asurebbe  occorso  qualche  gran  disor- 
dine. Ripressa  adunque  la  plebe ,  e  quietata  la  città, 
Ruggiero  si  ritirò  all'  isola  di  Capri:  ed  ottenne  dal 
Principe,  che  Beatrice  ultima  figliuola  del  Re  Man- 
fredi, la  quale  era  ^tata  prigione  quindici  anni  nel 
castèllo  deir  Uovo  con  la  madre  e  confratelli,  i  quali 
allora  si  trovaron  morti,  fosse  liberata,  e  se  ne  ritornò 
in  Sicilia;  e  con  grandissimo  fasto,  e  grand' allegrezza 
di  tutti  i  Siciliani,  presentò  alla  Regina  Costanza  la 
sorella  libera,  ed  il  Principe .  prigione,  il  quale  con 
tutti  gli  altri  priocipali  prigioni  fu  posto  nel  Castello 
di  Mattagrifone  in  Messina. 

I  Siciliani  volevano  servirsi  del  Principe,  come  rap- 
presaglia per  Corradino,  e  convocati  i  Sindici  delle 
terre  di  tutta  V  isola  giudicarono^  che  se  gli  dovesse 
mozzar  il  capo,  siccome  Carlo  avea  fatto  di  Corradi- 
nò,  e  mandarono  alla  Regina  Costanza,  che  ne  pren- 
desse in  cotal  guisa  vendetta.  Ma  questa  grande,  e 
magnanima  Reina  detestando  tal  crudeltà,  fece  loro 
intendere,  che  in  cosa  di  tanta  importanza,  quanto 
era  la  morte  del  Principe,  non  era  di  farne  determi- 
nazione alcuna,  senza  la  volontà  del  Re  Pietro  suo 
marito,  che  si  trovava  in  Aragona;  onde  per  levarlo 
dal  loro  cospetto,  e  conservarlo  vivo,  Io  mandò  pri- 
gione in  Aragona  a  Re  Pietro,  ove  stette  più  anni 
custodito  in  stretta  prigione.  Questa  illustre  aziona, 
aiccome  fu  celebrata  per  tutti  i  secoli  per  magnanima 
e  generosa ,  cosi  rese  più  detestabile  V  infamia  del  Re 


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DEL  REGNO  DI  NAPOLI  L.XX.  CAP.VIIL  3ii 

Cario,  perchè  la  pietà  e  la  clemenza  troyò  più  luogo 
in  ini  petto  debole  ed  infermo,  d'una  donna,  che  nel* 
r  animo  yirile  di  quel  Re,  infamato  perciò  per  tutti 
i  secoli.,  e  da  tutti  i  Scrittori. 

Intanto  quasi  due  di  dopo  la  battaglia ,  il  Re  Carlo 
ehe  yeniya  da  Marsiglia,  giunse  a  Gaeta,  doye  con 
infinito  suo  dolore  ebbe  noyella  della  rotta,  e  prigio- 
nia di  suo  figlinolo,  e  del  tumulto  accaduto  a  Napoli. 
Ne  scrisse  immantinente  al  Papa,  chiedendogli  a  tanta 
ayyersità  conforto  e  soccorso  di  danari  (a);  e  adirato 
contro  i  Napoletani  si  portò  subito  a  questa  città,  ed 
ayuto  in  mano  i  Capi  del  tumulto  al  numero  di  i5o' 
dappiù  incolpati,  gli  fece  impiccare  ,  condonando  il 
rèsto  a' Nobili  e  Cittadini  principali,  che  ayeyano  guar« 
data  la  città.  Ed  essendo  il  principio  di  luglio,  yo* 
lendo  passar  in  Messina  per  l'impresa  di  Sicilia,  spe- 
dì yS  galee,  che  passassero  il  Faro,  e  girassero  a 
Brindisi  ad  unirsi  con  V  altre  galee,  eh'  erano  armate 
nel  mare  Adriatico.  Ed  egli  per  terra  andò  in  Cala- 
bria ad  assediar  Reggio,  eh*  era  in  potere  degli  Ara- 
gonesi; ma  riuscitagli  anche  yana  questMmpresa ,  ri- 
tordò  in  Puglia,  tutto  occupandosi  a  fornire  di  nu- 
merose Nayi  la  sua  armata  per  T  impresa*  di   Sicilia. 

Ma  Re  t^ietro  intanto  era  da  Aragona  passato  in 
Messina  per  difesa  di  quell'isola,  e  conoscendo,  ehe 
il  Papa  era  implacabilmente  adirato  con  lui,  ma  che 
per  la  rotta  e  prigionia  del  Principe^  dissimulando 
Fodio^  ayea  mandato  due  Cardinali  in  Sicilia  a  trat- 
tare la  libertà  del  Principe,  e  la  pace,  yoUe  deluderlo 
con   la  medesima   arte:   poiché  dopo   aver   riceyuti  i 

{a)  Questa  lettera  di  Carlo  I.  scritta  al  Papa  si  legge  pressf 
Tutin.  de|;li  Ammir.  p.  8i. 


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3ia  8T0RU  CIVILE 

Cardinali  con  onor  graadisumo,  diede  loro  tasta  spe^ 
ranza  di  pace  onorata  per  Re  *  Carlo,  che  quelli  man- 
darono a  dirgli,  che  non  6Ì  moTesse,  e  con  questa 
speranza,  da  poi  che  Carlo  ebbe  perdala  un'altra  sta- 
gione, con  molta  destrezza  e  prudenza  uscì  dal  trat- 
tato di  pace,  onde  i  Cardinali  ingannati  e  delusi,  do-% 
pò  avere  di  nuovo  maledetto,  e  risoomanicato  Re 
Pietro  ed  i  Siciliani,  ^i  partirono  e  tornarono  al 
Papa. 

Carlo  vedendosi  beffatto,  si  risolse  a  mezzo  decero* 
bre  di  porre  in  ordine  Tarmata  per  ricuperare  la  li-^ 
berta  del  figliuolo  ed  il  perduto  Regno;  ma  mentre 
egli  da  Napoli  parte  per  andare  a  Brìndisi  a  poner 
in  puoto  Tarmata,  ecco  che  nel  cammino  infermossi 
a  Foggia;  dove,  essendo  giunta  Torà  sua  fatale,  op«* 
pressa  da  malinconìa  per  le  tante  avversità  accadu- 
tegli, trapassò  nel  mese  di  gennaio  del  nuovo  anno 
i:»85.  Teodorico  de  Niem  (a),  che  fiorì  nel  Regno  di 
Carlo  III  di  Durazzo  e  del  Re  Ladislao,  narrando 
la  morte  di  questo  Principe,  scrisse,  che  fu  tanta  T  op- 
pressione e  malinconia  del  suo  animo,  che  una  notte 
vinto  da  disperazione  da  se  stesso  con  un  laccio  si 
strangolò.  Il  suo  corpo  fu  condotto  a  Napoli,  e  sep* 
peiiito  nella  maggior  chiesa  con  pompa  reale,  dove 
ancor  oggi  a'  addila  il  suo  tumulo.  ' 

(a)  Teod.  de  Nìeni ,  de  prìvil.  et  jur.  Imp*  pag.  a87.  Adea 
mente  oppressus,  et  pustllanimis  tandem  factus  est,  ut  dici- 
tur  quod  mortem  sibi  conscivit,  noctìs  sub  sileatio  se  ipsum 
laqueo'  straDgulansi» 


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DEL  REGNO  DI  NAPOLI  L.XX.  GAP. IX.  3i3 

G  A  P  I  T  O  L  0  IX. 

Delle  nuove  leggi  introdotte  da  Carlo  I  e  dagli  altri 
Re  angioini  suoi  successori^  che  chiamiamo  Capitoli 
del  Regno. 

jLméik  m  «oi  questo  Principe,  oltre  delle  tante  ml^ 
tre  sue  memorie,  onde  illustrò  questo  Regno,  e  molto 
più  (a  città  di  Napoli,  nooTe  leggi,  che  all'uso  di 
Francia  non  Gostituzioni,  ma  Gapitolarì,  ovvero  Ca^» 
pitoli  del  Regno  furon  chiamati.  Per  la  famosa  Ac* 
cademia  istituita  da  Federico  II  in  Napoli,  e  poi  da 
Garlo  I  arricchita  di  maggiori  privilegi,  le  Pandette 
e  gli  altri  libri  di  Giustiniano  avevaa  invogliati  i  no- 
stri Professori  a  studiargli  in  gaisa,  che  non  pure  i 
Dottori,  che  in  que'  tempi  si  chiamavano  Maestri , 
quivi  r  insegnavano,  ma  anche  gli  Avvocati  nel  Foro 
pubblicamente  gli  allegavano  per  le  decisioni  delle 
cause.  E  quando  quelle  leggi  non  s*  opponevano  alle 
longobarde,  o  alle  Costituzioni  de'^Re  normai^ni  e  di 
Federico  promulgate  da  poi,  ovvero  alle  approvate 
consuetudini  del  Regno,  aveano  acquistata  tanta  forza 
ed  autorità  presso  i  Giudici,  che  secondo  i  lor  det* 
tami  decidevano  le  cause:  non  già  che  vi  fosse  stata 
legge  scritta,  che  lo  comandasse,  ma  tratto  tratto  co« 
minciarono  coli'  uso  ad  acquistar  forza  e  vigor  di 
legge,  prima  per  la  forza  della  ragione,  da  poi  per 
connivenza  de*  nostri  Principi ,  i  quali  giacché  voleva- 
no, che  pubblicamente  si  leggessero  nelle  loro  Acca- 
demie, e  che  i  Giureconsulti  gì' illustrassero  con  com- 
mentarii,  doveano  in  conseguenza  ancor  commendare 
che  a' osservassero -nel  Foro:  e  finalodeute  per  1q  Go- 


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3i4  STORIA  CIVILE 

etttuzionì  di  Federico  II  il  quale  dell*  autorità  delle 
medesime  spesso  valevasi,  anzi  espressamente  in  più 
sue  Costituzioni  (a)^  comandò  la  di  loro  osservanza^ 
purcliè  alle  Longobarde,  alle  Costituzioni  del  Regno 
e  Consuetudini  non  s'opponessero.  Ed  in  progresso 
di  tempo  la  loro  forz^  ed  autorità  s'estese  tanto,  che 
finalmente  vinse,  e  mandò  in  disusanza  le  leggi  Lon- 
gobarde. Ecco  ciò,  che  sopra  questo  soggetto  ne  scrisse 
Marino  di  Caramanico^  che  fiorì  a  questi  tempi  (b): 
Licei  vero  Regnum  desierit  subesse  Imperio^  tamen 
jura  Romana  in  Regno  per  annos  plurimosy  convenien- 
tia  Regum^  qui  fuerunt  prò  tempore^  servata  diutius 
coHsensu  tacito  remanserunt^  ac  imo  expressim  servan^ 
tar^  et  corroborantur  in  Compilatione  Constitutionum 
istarum^  ubi  neqite  Consiitutioncs  hae^seu  approbaifie 
Regni  Consuetudines  non  obsistunt. 

Non  è  però,  che  in  questi  tempi  T  autorità  delle 
leggi  Romane  fosse  stata  tanta,  che  avesse  dal  Foro 
discacciate  affatto  le  leggi  Longobarde:  duravano  ancor 
esse  nel  Regno  di  Carlo  I  siccome  durarono  ne' Re- 
gni de'  suoi  successori  Ang^ini^  ancorché  pian  piano 
andassero  in  disusanza.  In  fatti  Marino  stesso  di  Ca- 
ram^nico,  che  fu  uno  de'  maggiori  Giureconsulti  di 
questi  teìnpi,  e  che,  come  si  disse,  sotto  questo  Prin- 
cipe fu  nell'anno  1^69  Giudice  appresso  il  Capitano 
di'  Napoli  (e),  ci  attesta,  che  queste  leggi  a'  suoi  dì 
ancor  s'osservavano:  Ad  quod  concordant  Longobarda^ 

.  {a)  Constit.  puritatem,  de  Sacramento  à  Bajulis,  et  Ca- 
merar.  praestando.  Constitut.  cuin  rìrca,  de  Off.  Yicar.  Const. 
Ut  unìversìs ,  de  servando  honor.  Comit.  et  Baron.  (b)  Mario, 
de  Caramanic.  in  prooem.  Constit.  Regni,  (e)  Registr.  ann.  1269 
in  Re^io  Archiv.  AfUict.  in  prooern.  Const.  in  principio.  Pah* 
Jordan,  in  addit.  ad  prooem*  Glossatorìs. 


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DEB  REGNO  DI  NAPOLI  L.XX.  CAP.IX.  3i5 

Jeges  quae  in  Regno  simili  ter  ohtinent,  Biase  di  Mor» 
€one^  che  fiorì  attempi  del  Re  Roberto^  tra  ìe  sue 
opere  legali,  che  lasciò,  una  fu  delle  differenze  tra  le 
leggi  romane  e  longobarde  (a),  compilata  ad  imita- 
zione di  Andrea  da  Barletta  ^  per  togliere  anche  a*  suoi 
tempi  occasione  agF  incauti  Avvocati  di  rimaner  con- 
fusi, se  soverchio  invaghiti  delle  Romane,  abbando* 
nando  le  Longobarde,  non  cagionasser  danno  a'  loro 
Clienteli,  e  ad'  essi  scorno  e  rossore ,  se  nel  Foro  ri- 
manessero per  r  ignoranza  di  quelle  perditori.  Abbia« 
mo  ancora  una  carta  (h)  rapportata  dal  Tutini  (c)^ 
tratta  dall' Archivio  regale  della  Zecca, ,  formata  in 
S.  Germano  Dell'entrar,  che  fece  Carlo  ael  Regno, 
ove  a  tener  delle  leggi  longobarde,  che  si  allegaao 
in  quella  scrittura,  il  Monastero  dii  Monte  Cassino  e 
suo  Abate^  cede  al  Re  la  pretensione,  eh'  e^li  avèa  di 
riconoscere  anche  nelle  cause  criminali  i  suoi  vassalli. 
E  non  pure  in  Terra\di  Lavoro,  e  nelle  vicine  pro- 
vince d'Apruzzo  e  del  Contado  di  Molise,  queste  leggi 
erano  osservate,  ma  eziandio  in  quelle  di  Puglia,  ve- 
dendosi "che  la  compilazione  delle  Consuetudini  di  Bari, 
che  dalle  leggi  Longobarde  derivano,  fu  ne' tempi  di 
Carlo  I  fatta  da  que'due  Giureconsulti,  cioè  dal  Giu- 
dice Andrea  di  Bari  e  dal  Giudice  Sparro,  cotanto  in 
pregio  tenuto  da  Carlo,  che  da  Giustiziere  di  quella 
provincia  lo  innalzò  ad  esser  gran'  Protonotario  del 
Regno.  Così  accora  nel  Principato,  in  Salerno  e  nel- 
r altre  province  osserviamo  il  medesimo;  e  se  aell^ 
province  di  Calabria  di  esse  non  rimase  alcun  testigio» 

(a)  Ciarlante  del  Sannio  lib.  4  cap.  26.  {b)  Neil' Archivi^ 
della  Zecca,  cassa  H.  mazzo  47-  (^)  Titti».  4^' Contesti^^ili 
p.  85. 


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3i6  STORIA  CIVILE 

(u  perchè  lungamente  essendo  state  possedute  da'Gre^ 
CI ,  e  poco  da'  Longobardi,  non  poterono  in  quelle  met«> 
tere  sì  profonde  radici,  sicché  ayesser  potuto  avere 
lunga  durata. 

Nel  RegìEio  adunque  di  Carlo  niente  fu  mutato  in* 
tomo  air  autorità  delle  leggi  roiùane  e  longobarde  e 
non  pur  queste,  ma  le  Costituzioni  di  Federico  volle 
inviolabilmente,  che  si  osservassero,  quelle,  che  dal- 
l'Imperadore  furono  promulgate  in  tetopo,  che  non 
era  stato  ancora  dal  Concilio  di  Lione  privato  del- 
l'Imperiò  e  del  Regno  di  Sicilia.  Rivocò  bensì  nel*- 
Tanno  1371  ed  annullò  tutte  le  donazioni;  locazioni 
concessioni,  atti  e  privilegi  conceduti  da  Federico 
dppo  la  sua  deposizione,  da  Corrado ,  da  Manfredi 
e  loro  Ufficiali,  che  non  si  trovassero  da  lui  confer- 
mati ,*riputandogli  Principi  intrusi,  e  tiranni,  come 
quelli,  che, erano  stati  privati  del  Regno  dalla  Sede 
Appostolica,  la  qvLsde  n'  avea  Jui  investito  (a).  -Non 
altrimente  di  ciò,  che  fece  Giustiniano  Imperadore,  il 
quale  non  tutti  gli  atti  de'  Re  goti  annullò,  non  quelli 
di  Teodorico,  di  Atalarico  e  di  Teodato,  ma  sì  bene 
quegli  di  Teia,  di  TotiU  e  di  Yitige,  i  quali  aven* 
dogli  contrastato ,  e  fatta  guerra,  con  opporsi  con  vi- 
gore alla  conquista,  che  intendeva  fare  d'  Italia,  fu^ 
ron  da  lui  riputati  tiranni,  intrusi  ed  usurpatori. 

Carlo  adunque  dopo  avere  sconfitto  e  morto  Man- 
fredi, essendosi  reso  padrone  de' Regni  di  Puglia  e  di 
Sicilia,  volle  con  nuove  leggi  riordinare  lo  stato  di 
questi  Reami,  per  togliere  i  disordini,  che  per  le  pre- 
cedute guerre  e  revoluzioni  erano  accaduti.  Le  sue 
leggi,  che  Capitoli y  ovvero  Capitularii   si  dissero  ad 

(a)  Tom.  I.  M.  S.  della  re^al.  jurisd.  pressq  Chioccar. 


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DEL  REGNO  DI  NAPOLI  L.XX.  GAP. IX.  3ij 

imitazione  del  Regno  di  Francia,  erano  drizzate  coai 
per  Tuno,  come  per  P altro  Reame;  onde  Capitula 
Regni  Siciliae  s'appellarono,  non  meno  che  le  Costi- 
tuzioni di  Federico;  avendone  ancora  per  Sicilia  pro- 
priamente detta,  ordinati  alciini  particolari  rapportati 
da  Inveges  (a).  Ma  i  Siciliani  dopo  il  famoso  Vespro 
Siciliano,  sottrattisi  dal  giogo  de'Franzesi,  non  co- 
nobbero altri  Capitoli^  che  quelli  che  riceverono  da 
poi  da' Re  Aragonesi^  onde  restaron  gli  altri  fatti  da 
Carlo  e  dagli  altri  Re  Angioini  suoi  successori,  per 
lo  solo  Regno  di  Puglia,  detto  di  Sicilia,  di  qua  del 
Faro;  e  Carlo  Principe  di  Salerno  suo  figliuolo,  espres- 
samente si  dichiara,  che  i  Capitoli  da  lui  stabiliti  in 
tempo  del  suo  Yicariato,  erano  stati  promulgati  per 
lo  Regno  di  Sicilia  di  qui  del  Faro,  non  già  per 
queir  isola. 

Il  disordine  e  la  confusione ,  colla  quale  questi 
Capitole  furono  insieme  uniti  e  mandati  poi  alle  stam* 
pe,  merita  il  travaglio,  che  siamo  per  soffrire  di  di- 
stinguergli secondo  i  tempi  e  le  occasioni,'  nelle  quali 
furono  promulgati.  Ciocché  era  anche  necessario /arsi 
per  conoscere,  onde  nascesse  tanta  varietà,  che  s'os- 
serva nelle  massime,  ch'ebbero  i  nostri  Principi  Nar^ 
manni  e  Svevi  nelle  loro  Costituzioni  da  quelle,  che 
mostrarono  avere  questi  Principi  Angioini  ne'  loro  Ca^^ 
pitoli.  Poiché  riconoscendo  Carlo  questo  Reame  dalla 
Sede  Appostolica^  come  vero  Feudo,  ed  essendosi  di- 
cihiarato  suo  uom  ligio,  ricevè  nella  investitura  quelle 
dure  e  gravi  condizioni,  che  sopra  si  notarono.  I  Fon** 
tefici  romani  perciò  erano  tutti  accorti,  che  nel  pro- 
mulgarsi delle  nuove  leggi,  non  solo  niente  ai  dero- 

{a)  Inveges  Ann.  di  Palerm.  tom«  i^ 


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Si8  STORIA  CIVILE 

gasse  alla  loì^o  preteda  immunità  e  libertà,  ma  che 
tutto  si  facesse  a  seconda  delle  loro  massime  e  det- 
tami; anzi  quando  lor  veniVa  ben  fatto,  s'intrìgaTano 
ancor  essi  a  stabilirle,  come  vedremo:  perciò  si  yidero 
nuove  leggi  contrarie  alle  Costituzioni,  di  Federico  e 
quindi  nacque,  che  gli  Scrittori,  che  fiorironp  a- tempi 
di  questi  Re,  imbevuti  di  quelle  massime  empissero 
ì  loro  Commentari  di  dottrine  pregiudizialissime  alle 
regalie  e  premi oertzc  del  Re^  ed  offendessero  in  tante 
guise  le  ragioni  dell*  Imperio  de'  nostri  Principi.  Non 
dee  recar  maraviglia  il  vedere,  che  essendo  Franzesi 
questi  Re,  doveano  tanto  più  esser  lontani  a  soffrire 
tanti  oltraggi;  poiché  la  Francia,  siccome  fu  nel  pre- 
ced«^nte  libro  veduto,'  a  questi  tempi  era  non  men  gra- 
va t9,  che  r  Italia,  o  la  giustizia  ecclesiastica  in  quel 
Regno  avea  fatti  progressi  mfì*abili ,  e  non  prima  del- 
l' ordinanza  dell*  anno  i438  furono  le  sue  intraprese 
risecate^  e  ridotte  al  giusto  punto  della  ragioae. 

§.  I.  Capitoli  del  Re  Carlo  I. 

Tutti  gli  Scrittori  convengono,  che  ir  Regno  di 
Carlo  non  durasse  piti  che  diciannove  anni  e  pochi 
giorni,  ma  alcuni  nostri  Professori  .(a)  cominciarono  a 
noverargli  dalFanno  126 5  con  manifesto  errore,  es- 
sendo presso  i  più  appurati  Autori  costantissimo,  che 
questo  Principe  a*  6  gennaio,  giorno  dell*  Kpifania,  del- 
l'anno 1266  fu  incoronato  Re  da  Papa  Clemente  in 
Roma,  e  che  a*36  febbraio  del  medesimo  anno  fu  da 
lui  Manfredi  morto,  ed  occupò  il  Regno.  Altri  erra* 
reno  nell'anno  della  morte  di  questo  Principe;  poiché 

{a)  De  Bottis  Addit.  ad  cap.  i.  Regn.  in  priuot 


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DEL  REGNO  DI  T*APOLI  L.XX.  CAP.IX.  319 

scrissero  che  morisse  a^  7  gennaio  dell'  anno  1 284» 
Ciò  eh' è  falso^  essendo  egli  trapassato  in  Foggia  in 
gennaio  deiranno  seguente  laSS-  Quindi  derivano  i 
tanti  errori^  che  s'osservano  nelle  vulgate  edizioni  di 
questi  Capitoli^  per  non  essersi  saputo  ben  fissare  gli 
anni  del  Regno  di  questo  Principe^  come  anderemo 
notando  in  alcuni. 

Moltissimi  altri  errori  s'  osservano  ancora  nel  no- 
tarsi gli  anni  del  suo  Regno  di  Gerusalemme.  Alcuni 
credettero,  che  Carlo  neir  isteiso  tempo,  che  in  Roma 
fu  incoronato  Re  di  Sicilia,  fosse  stato  anche  intito- 
lato Re  di  Gerusalemme.  Altri,  che  conobbero  que-^ 
st'  errore,  ancorché  confessino,  che  molto  tempo  da. 
poi-.per  la  cessione  di  Maria,  Carlo  acquistasse  qu^l* 
titolo^  nulladimanco  non  sono  costanti  in  fissare  Tan-^ 
no,  che  fu  veramente  Tanno  1277  come  si  disse. 

Coloro  che  unirono  insieme  questi  Capitoli  nella 
maniera,  che  oggi  si  leggono,  non  serbarono  ordine 
alcuno  né  di  tempo,  né  di  materia,*  ma  alla  rinfusa 
r  affastellarono.  Antonio  de  Dìigris  (a),  che  gli  com-* 
mento,  conobbe  il  disordine,  ma  non  seppe  emen- 
darlo, e  volle  dietro  quelli  seguire  il  suo  commento^ 
come  gli  trovò.  Dovendosi  adunque  attendere  T  ordino 
de'tempi,  il  primo  deve  riputarsi  quello,  che  fu  da 
Carlo- promulgato  per  la  riforma  dello  Studio  gene^ 
rale  di  Napoli.  Fu  quello  stabilito  per  mano  del  fa» 
moso  Roberto  di  Bari  Protonotario  del  Regno  di  Si* 
oilia  nel  11166  primo  anno  del  suo  Regno  in  Nocera 
de' Pagani,  detta  però  de' Cristiani,  dove  Carlo  colla 
sua  moglie  Beatrice  erasi  portato^  la  quale  in  questa 
città  mori,  e   fu  sepolta.   Fu  inserito  da  Roberto  suo 

(a)  De  Nigris  in  Comment.  in  iiacr 


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320  STORIA  CIVILE 

nipote  ne'  saoi  Capitoli,  sotto  il  titolo,  PriviUgium 
Collegii  Neapolitani  Studii,  dove  si  legge  con  questa 
data  Dat.  in  Castro  Nuceriae  Christianorum  per  ma- 
nus  Domini  Roberti  de  Baro^  Regni  Protonotarii  an» 
no  1^66.  Di  questo  Capitolo  lunglameote  fu  già  da  noi 
discorso,  parlando  dell  Accademia  di  Napoli  ristorata 
da  Carlo. 

Mei  secondo  e  terzo  aai)6  non  se  ne  kggono;  nta 
seguono  da  poi  alcuni  altri  Capitoli  stabiliti  nel  quarto 
anno  del  suo  Regno,  cioc^  nel  1269  sotto  i  titoli:  De 
Furtis.  De  assecurandis  hominlbus  illorum^  <iui  turba'* 
tionis  tempore  Corradini  a  fide  regia  defecerunt.  De 
foena^  et  vindicta  proditorum^  ete.  Tatti  questi  furo- 
no stabiliti  in  Trani,  e  ^ell'  istesso  anno  alcuni  rino- 
T&ti  ié  Foggia  dopo  la  rotta  data  a  Corradino,  per  li 
quaii  si  dà  sicurtà  a  coloro  che  avendo  aderito  alla 
fazion  di  quel  Principe,  cercando  perdono,  ritornas- 
sero air  ubbidienza  del  Re,  eccettuando  i  Tedeschi, 
Spagnuoli,  Catalani  e  Pisani,  i  quali  yoUe,^che  tosto 
uscissero  dal  Regno.  .6i  danno  ancora  altri- provvedi- 
menti per  riparare  a  disordini  accadati  in  quel  tur- 
batissimo  tempo,  e  s'impongono  gravi  pene  a  coloro, 
che  non  manifestassero  i  ribelli.  ' 

Nel  sesto  anno,  cioè  nel  1271  mentre  il  Re  dimo- 
fava  in  eversa^  ne  fu  promulgato  un  altro  contro  chi 
ardiva  eontraer  matrimonio  co'  figliuoli  de  ribelli  senza 
Keenza  della  sua  Corte:  si  legge  sotto  il  titolo,  Quod 
nìillus  contrahat  matrimonium^  eie,  e  porta  la  data  in 
Jyersa  A.  D.  1371,  dove  con  errore  si  legge  Regni  no* 
siri  anno  7  dovendo  dire,  anno  sexto. 

Nel  settimo  anno,  cioè  nel  1372  ne  furono  ema- 
nati moltissimi:  alcuni  in  Napoli ,  altri  in  Aversa^  ed 
altri  in  Penosa.  Que' stabiliti  in  Napoli   nel  mese  di 


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DEL  REGNO  DI  NAPOLI  L.XX.  GAP. IX.  Sai 

marzo  di  quest'  anno,  ed  in  Aversa  pure  nel  medesi- 
mo anno,  si  leggono  sotto  i  titoli:  Da  Violentiis.  De 
poena  Violentorum^  etc.  Per  li  medesimi  si  procede 
coq  molto  rigore  contro  i  pertnrbatori  della  pubblica 
e  privata  quiete^  e  si  reprime  Y  audacia  di  coloro,  cbe 
assuefatti  nelle  passate  rivoluzioni  a  vivere  di  rapina 
€  di  violenza,  perturbavano  Io  Stato,  allor  ebe  era  in 
pace,  Quello  dato  in  Aversa  sotto  il  titolo  dt  poena 
Violentorum^  porta  nella  vulgata  questa  data:  Datum 
Aversae  A,  Z>.  1363  anno  oc/a(^o:  ove  si  scorgono  due 
errori,  uno  cbe  in  vece  di  dirsi  A.  D.  1273  si  ri- 
porta in  dietro  dieci  anni,  quando  in  quel  tempo  al 
Ile  Carlo  non  era  ancor  caduta  in  pensiero  V  impresa 
del  Regno:  X  altro  errore  è,  che  dovea  notarsi  il  set- 
timo, non  r  ottavo,  anno  del  suo  Regno  di  Sicilia. 
L'  altrcr  capitolo  dato  in  Napoli  porta  la  data  giusta , 
dicendosi:^.  D.  1373  Regni  nostri  anno  septimo.  Un 
altro  eapitolo  leggiamo  di  Carlo  dato  in  quest'  istesso 
anno  a  Venosa  nel  mese  di  giugno  sotto  il  titolo.  De 
occupantibus  res  demanii.  In  quello  si  conservano  le 
ragioni  fiscali,  delle  quali  Re  Carlo  fu  molto  geloso, 
ed  attento.  Porta  la  data  esatt4,  leggendosi:  Datura 
Fenusiis  A.  D,  137.3  Regni  nostri  anno  septimo* 
.  Neir  ottavo  anno  del  suo  Regno,  ùìoè  nel  1.^73  leg- 
giamo un  altro  suo  capitolo  sotto  il  titolo,  jDe  testi* 
monio  puhlicorum  disrobatorufn^  etc.  Si  dà  la  norma 
intorno  alla  pruova  di  questo  delitto,  e  si  stabilisce, 
che  la  testimonianza  di  tre  malfattori  faccia  cóntro 
essi  tanta  fede,-  quanto  quella  di  due  uomini  probi. 
Porta  la,  data:  Datum  Cav.  A,  1273  etc.  Regni  nostri 
anno  9.  L'Addizionatore  Bottis^  che  numera  gli  anni 
di  Carlo  dal  i365  don  è  maraviglia,  che  passasse  que- 
•t'  anno  per  lo  nono,  del  Regno  di  Carlo ^  ma  doireo'>' 


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3aa  STORIA  CIVILE 

dosi  cominciare  dal  ia66   deve,  emendarsi  il  suo  er* 

rore^  e  dirsi:  Regni  nostri  anno  octavo. 

Nel  nono  ^nno,  cioè  nel  1^74  deve  riporsi  il  pri- 
mo capitolo,  che  incontriamo  in  questo  Yolume  sta- 
bilito in  Napoli  nel  mese  di  febbrajo  '  di  quest*  anno 
1974  che  si  legge  sotto  il  primo  titolo,  Statutum  edi^ 
tum  super  Portubus,  De  Bottis  stando  nel  medesimo 
errore  alla  data  aggiunge:  Regnorum  nostrorum  anno 
decimo,^  dovendo  dire  anno  nono.  Si  danno  m  esso 
molte  provvidenze  intorno  alF  estrazione  del  sale  e 
delle  vettovaglie  da'  porti  del  Regno,  ed  alcune  istru- 
zioni a'  Portolani  colle  quali  devono  regolarsi.  L'  al- 
tro capitolo,  che  segue  concernente  il  medesimo  sog- 
getto,  ^etto  la  'rubrica,  Aliud  statutum  super  extra* 
ctione  victualium^  stabilito  in  Brìndisi^  è  molto  pro- 
babile, che  da  Carlo  in  quella  città  si  fosse  emanato 
in  questo  medesimo  anno. 

Ne*  tre  seguenti  anni  niente  si  legge  di  questo  Prìn- 
cipe; ma  nel  decimoterzo  anno  del  Regno  di  Sicilia ^ 
e  secondo  del  Regno  di  Gerusalemme,  cioè  nel  1278 
molti  capitoli  furono  da  lui  fatti  in  Napoli^  che  si  leg- 
gono sotto  il  titolo,  Quod  Officiales  jurar.e  debent^  con 
gli  altri  tre  seguenti,  che  portano  questa  data:  Dat. 
Neap.  A.  1378  die  q6  januarii.  Gli  altri  che  seguo* 
no  insino  al  titolo,  De  poena  rei  ablatae^  furono  pa-. 
rimente  ih  quest*  anno  fatti  in  Napoli^  leggendosi :\Daf. 
Neap,  2  Decembris.  In  essi  si  danno  .tari  provvedi- 
menti iatorno  a'  Giustizieri,  ed  altri  Ufficiali,  a'  quali, 
fra  r  altre  cose,  vien  rigorósamente  proibito  di  darsi 
ogni  qualunque  dono,  non  ostante  qualsivoglia  con- 
suetudine. Sotto  quest'  anno  deve  collocarsi  quell'  al- 
tro capitolo  di  questo  Re,  che  si  legge  in  fine  de' Ca- 
pitoli del  re  Carlo  II  sotto  ìsl  ruhnca  ^  Ad  vbviandum 


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DELHEGNO  DI  NAPOLI  L .XX.  GAP.  IX.  3a3 
fraudìhus..  Fu  quello  stabilito  da  Carlo  nell'  entrar  di 
passaggio  nella  Terra  di  S.  Bramo  Vicino  Gapua,  o 
porta:  questa  data:  Anno  D.  1378  mense  aprilis  sepL 
tjusdem  6.  indictionis.  Regnorum  Hostrorum  Hierusa^ 
lem  anno  2  Siciliae  vero  decimotertio. 

Nel  decimoquintOy  cioè  nel  laSo,  si  leggono  due  ca- 
pitoli fatti  a  Lago  Pensile^  il  primo  eh'  è  sotto  la  ru- 
brica, De  non  mittendò  ignem  in  restuchiis  camporum^ 
fu  fatto  9L  aj  luglio  di  quell'anno;  il  secondo  a* 9  di 
agosto,  e  porta  nelle  vulgate  questa  scorrettissima 
data:  Data  apud  Lacum  Pensilem.  Anno  D,  1933  die 
9  augusti  7  Indictionis:  Regnorum  nostrorum^  HierU" 
salem  anno  3  Siciliae  vero  i5  deve  leggersi.  A,  D. 
1380  et  Hierusalem  anno  quarto. 

Nel  decimosesto,  cioè  nel  13 81,  si  legge  un  altro 
Gapitolo  pubblicato  contro  i  monetari  sotto  il  titolo. 
De  poena  infiigenda  fahariis  monetarum.  Fu  quello 
stabilito  in  Brindisi^  e  porta  questa  data: Daf.  Brun* 
dusii  A.  D.  1281  mense  januarii^  ec.  Regnorum  no- 
strorum^  Hierusalem  an.  4  Siciliae  vero  17  che  dere 
emendarsi  e  leggersi,  Hierusalem  an,  5  Sióiliae  vero 
an.  16. 

(Fu  stabilito  in  i?rinJm;* perchè  questa  Città  sia 
da'  tempi  deir  Imperadore  Federigo  li  avea  la  Regia 
Zecca,  doye  anche  Federico  fece  coniar  nuoye  mo- 
nete, siccome  rapporta  '  Riccardo  di  S,  Germano:  Ari- 
no 1338  mense  Januario  denarii  novi  Brundusii  per 
Vrsonem  Castaldum  in  S.  Germano  dati  sunt  ). 

Nel  decimo  settimo  anno  del  Regno  di  Carlo ,  cioè 
nel  1383,  furono  da  questo  Principe  moltissimi  Capi- 
toli stabiliti  in  Napoli^  che  furono  gli  ùltimi.  Comin* 
ciano  da  quella  rubrica;  Constitutiones  aliae  factae  per 
praedictum  D.    Carolum   Regem   Siciliae    super    hono 


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324  STORIA  CIVILE 

4tatu:  ove  si  legge  un  lungo  proemiò,  che   a  quelle 
prepone,  nel   quale  esagera   il  pensiero,   e  cura   che 
vuol  tenere  de' suoi  Ufficiali,  e  di  distribuire  con  or- 
dine a  ciascuno  le  sue  funzioni,  e  prefiggere  i  lìmiti, 
perchè  senza  nota  d'  avarizia,  ed  ambizione  adempia- 
no le  loro  parti.  Questi  Capitoli  sotto  varie  rubriche 
collocati,  arrivano  al  numero  di  cinquantotto.  I  Prin- 
cipi non  si  ricordano  di  governar  con  giustizia  i  loro 
$udditi^  se  non  quando  ne  sono  ammoniti  per  qualche 
disgrazia  loro  sopraggiunta,  per  ia   quale   si   veggono 
costituiti  in  istato  d'aver  bisogno  di  quelli.  La   rivo- 
luzione di  Sicilia  spinse  Carlo  a  dar    a*  suoi    sudditi 
queste  nuove  leggi,  nelle  quali  si  danno  molti  lodevoli 
e  saggi   provvedimenti  per   la   retta    amministrazione 
della  giustizia ,  per  evitare  le  frodi,  ed  inique  esazio- 
fìì    degli   Ufficiali ,    e    per   lo  buono   stato   della   Re- 
pubblica;  ordinò   perciò    che   fossero    pubblicati    per 
tutti  i  Giustizierati  ,  e  pef  ciascuna  città,  terra  e  ca- 
st-elio  de'  medesimi.   Furono   con  somma  maturità,    e 
prudenza  stabiliti  in  Napoli^  e  portano  questa  esattis- 
sima data;  Actum  Ncapoli  A,  D.   1282  mense  Jun.  io 
ejusdem  indiot,  Begnorum  nostrorum ,  HierUsalem  anno 
6^  Siciliae  vero   l'j. 

Questi  furono  gli  ultimi  Capitoli  del  Re  Carlo ,  il 
quale  in  quest'anno  con  suo  cordoglio  vedutosi  rivol- 
tata la  Sicilia,  ed  a  più  avversi  casi  esposto,  distrattò 
perciò  in  cose  di  maggior  importanza,  a  tutto  altro 
furono  poi  rivolti  i  suoi  pensieri,  che  a  far  leggi.  Fu 
per  gravi,  ed  importanti  affari  tutto  occupato  in  Ro- 
ma, e  poi  in  Francia,  ed  in  Bordeos  per  quelle  ca- 
gioni, che  si  sono  dette;  e  lasciando  il  governo  di  que- 
sto Regno  ai  Principe  di  Salerno  suo  figliuolo,  lo  creò 
9110  Vicario   con  pieno  ed  assoluto  potere,  ed  autorità. 


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DEL  REGNO  DI  NAPOLI  L.XX.  GAP.  IX.  SaS 

Questo  Prìncipe  nel  tempo  del  suo  Yicarìato  molti  proT«- 
yedimenti  diede  per  io  buon  governo,  onde  area  più 
che  mai  bisogno  questo  Reame,  e  più  Capitoli  furono 
perciò  da  lui  stabiliti. 

$.11.  Capitoli  del  Principe  di  Salerno  promulgati  in 
tempo  del  suo  Vicariato^  mentre  Re  Carlo  suo  pa* 
dre  era  assente. 

Dappoiché  per  lo  famoso  Vespro  Siciliano  si  sot^ 
trasse  la  Sicilia  dall'  ubbidienza  del  Re  Carlo,  il  Prìn-» 
oipe  di  Salerno  tardi  s*  ayride,  che  una  delle  princi- 
pali cagioni  di  esso  fu  V  aspro  goyerno^  che  i  Franzesf 
facevano  di  queir  Isola;  ed  air  incontro  avendo  sa- 
puto, che  Re  Pietro  avea  sollevati  i  Siciliani  dalFan- 
garie  e  pagamenti  introdotti  a  tempo  del  Re  suo  pa- 
dre, e  che  di  buoni  e  salutari  statuti  avea  fornito  quel 
Regno:  volle  ancor  egli  (  per  rendersi  benevoli  i  Po- 
poli del  Regno  rimasogli,  e  togliere  dall'  opinion  di 
costoro  il  sinistrò  concetto^  che  aveano  avuto  di  suo 
padre  )  di  nuovi  Capitoli  pieni  di  liberalità  ed  indul- 
genza provvederlo;  avverando  ancor  egli  quella  mas- 
sima, che  allora  i  Principi  si  ravvedono,  e  procuran 
il  buon  governo  de' Popoli,  quando  le  avversità  gì' in- 
ducono ad  aver  bisogno  di  loro,  e  dubitano  della  loro 
fedeltà;  e  considerando  ancora  l'obbligo  ed  il  bisogno 
che  si  teneva  allora  del  Pontefice  Mattino,  il  quale 
favorendo  le  parti  di  Carlo,  era  tutto  impegnato  alla 
ricuperazione  del  perduto  Regno,  volle  per  questi  nuovi 
Capitoli  soddisfare  così  agli  uni  come  all'altro^  con 
dar  provvedimenti  molto  favorevoli  per  la  Chiesa  e 
persone  ecclesiastiche,  per  li  Raroni  e  per  li  Popoli» 
Perciò  avendo  in  quest'anno  i3  83  convocato  un  Par- 


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3a6  STORIA  CIVILE 

laménto  di  Prelati,  Conti,  Baroni  e  4k  molti  Regnicoli 
nel  Piano  di  S.  Martino,  terra  posta  in  Calabria  ci- 
fra (a),  non  g;ià  in  Apruzzo,  come  oredette.il  Reggente 
Moles  (i),  ove  dopo  la  partita  del  padre  tròvavasi  col 
8U0  esercito:  col  consiglio  de*  medesimi  stabilì  a  que- 
sto fine  quarantasei  Capitoli  che  portano  questo  titolo: 
Constitutiones  lUustris  D.  Caroli  11^  Principis  Saler- 
nitani. Ti  premette  un  ben  lungo  proemio,  nel  quale 
va  esagerando  il  pensiero  e  la  cura,  che  tanto  egli^ 
quanto  sua  padre  han  tenuto  sempre  di  ben  governar 
i  suoi  popoli,  e  rilevargli  dalle  oppressioni  de'  suoi 
Ministri;  ma  che  distratti  in  cose  più  ardue  e  gravi 
non  avean  potuto  mandar  in  e£Getto  questo  loro  pro- 
ponimento; ma  che  era  già  venuto  il  giorno  di  lor  sa- 
lute, nel  quale  egli  come  esecutore  della  volontà  pa* 
terna  era  per  dare  ad  essi  buon  guiderdone  della  loro 
fede;  del  che  non  sarebbero  stati  partecipi  i  Siciliani 
ribelli,  i  quali  per  la  loro  iniquità,  essendo  mancati 
dalla  ubbidienza  e  fedeltà,  se  n'erano  resi  incapaci  ed 
indegni. 

Sieguono  da  poi  venti  Capitoli  riguardanti  i  privi* 
legii  e  le  immunità  delle  Chiese,  e  delle  persone  ec- 
clesiastiche collocati  sotto  questa  rubrici»:  De  privile- 
giis^  et  immunitatibus  Ecclesiarum^  et  Ecclesiasticarum 
personarum.  Primierùmente  con  termini  forti  e  precisi 
s'incarica  il  pagamento  delle  decime^  che  si  devono  alle 
Chiese  ed  alle  persone  ecclesiastiche.  II.  Che  secondo 
la  convenzione  avuta  tra  la  Sede  Appostolica,  ed  il  Be 
suo  padre  (  intèndendo  de'  patti   accordati,  quando  II 

(a)  AfIflJct.  in  CoDStit.  Honorem ,  col.  i  in  3  lib.  Summoia. 
to.  2  pag.  3o6.  De  Nigris  in  Comment.  ad  d.  Capit.  nu«  6. 
{b)  Moles.  decis*  i.  Reg.  Cam. 


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DEL  REGNO  DI  NAPOLI  L.XX.CAP.IX.    327 

Papa  Clemente  gli  diede  V  investi  tara)  i  Gherìci  non 
siano  tratti  avanti  i  Magistrati  secolari,  se  non  se  per 
li  beni  feudali.  III.  Che  le  Chiese  di  tutto  il  Regno 
godano  de'  privilegi  conceduti  ad  esse  dalle  leggi  co* 
mani,'  cioè  che  i  rei,  che  a  quelle  ricorrono  per  asilo, 
non  possano  a  forza  estraersi,  se  non  ne'  casi  permessi 
dalla  legge.  lY.  Che  le  case  de'  Prelati,  Religiosi  e 
delle  altre  persone  ecclesiastiche,  senza  la  loro  volontà 
non  possano  dagli  Ufficiali  occuparsi  per  cagione  di 
ospidalità;  uè  in  quelle  esercitarsi  giudiz)  criminali^ 
anche  nel  caso,  che  di  loro  buon  volere  si  dassero. 
y.  Che  gli  Ufficiali,  Conti,  Baroni  e  qualsivoglia  al- 
tra persona  laica  non  s'intromettano  nelle  elezioni  dei 
Prelati,  nelle  collazioni  de'  Beneficj  ecclesiastici,  ed  in 
tutto  ciò  appartenente  alle  cose  spirituali,  se  non  per 
privilegio  o  per  ragione  di  jus  patronato  ad  essi  s' ap- 
partenga. VL  Che  i  Cherici  che  vivono  chericalmente, 
non  siano  astretti  comunicare  con  gli  altri  nelle  coU 
lette  o  in  altra  qualsisia  esazione,  non  solo  per  li  beni 
ecclesiastici,  ma  nemmeno  per  li  patrimoniali,  per  le 
porzioni  ad  essi  legittimamente  spettanti.  VII.  Che  cia- 
scuno liberamente  possa  dare,  donare  o  legare  alle 
Chiese  le  possessioni  o  altre  robe  che  gli  piacerà,. pur- 
ché non  siano  in  qualche  cosa  tenute  alla  sua  regal 
Corte;  e  se  saranno  talmente  obbligate,  sicché  non 
possa  impeditsi  la  distrazione,  s' intendano  passare  alle 
Chiese  con  gVistessi  pesi.  YIIL  Che  i  vassalli  delle 
Chiese  che  sono. alle  mede3Ìme  obbligati  alla  presta- 
zione de'  servizi  personali,  non  possano,  senza  licenza 
de'  loro  Prelati,  dalla  sua  Corte,  da'  Conti,  Baroni  o 
qualsivoglia  altro,  costringersi  ad  accettar  uffici  o  altri 
pesi  personali.  IX.  Che  tutte  le  ragioni  e  privilegi 
conceduti  alle  Chiese,   ed  alle  persone  ecclesiastiche 


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?aa  STORIA  CIVILE 

da' Cattolici  qd  antichi  Re  di  Slciliai  nella  cui  pùS'^ 
se$»ioiiQ  «Qi^o,  9Ì  debbano  conservare  illesi  ed  intatti: 
di  quelli,  de'  quali  non  sono  in  possesso,  si  farà  nelle 
Corti  competenti  senza  difficoltà  pronta  e  spedita  giù* 
stizia.  X.  Che  debbano  i  Prelati  denunziare  alla  sua 
Corte  tutti  coloro,  i  quali  passato  V  anno  pertinace* 
mente  ed  in  contumacia,  persevereranno  nelle  scomu- 
niche, affinchè  per  la  sua  Corte  si  possa  loro  imporro 
le  debite  pene.  XI.  Che  gli  Ufficiali  e  Commisairi 
della  sua  Corte  non  presumano  contro  la  giustizia  per 
turbare  le  possessioni  e  le  robe  che  si  poasedonò  dalie 
Chiese,  e  molto  meno  toglier  loro  i  beni  suddetti. 
XII.  Che  gli  Ufficiali  o  altre  persone  laiche,  in  niuna 
maniera  s'  intromettano  nella  cognizione  de^  delitti  ec- 
clesiastici; né  impediscano  i  Prelati  o  i  loro  Ufficiali, 
affinchè  quelli  liberamente  conoscano  e  puniscano, 
com'  è  di  ragione.  XIII.  Che  i  PrelatjV  e  V  altre  per* 
sone  eoclesiaaiiche  possano  far  trasportar  per  mare  da 
una  terra. air  altra  dentro  il  Regno,  grano,  legumi  ed 
altre  vettovaglie»  che  pervengano  dalle  k)ro  massarie, 
senza  pagar  dogana  e  dritto  d'  esitura.  Per  le  robe 
comprate  siano  obbligate  pagar  solo  il  dritto  delia  do* 
gana,  non  già  quello  delFesitura;  purché  però  8  estrag- 
gano  da'  porti  leciti  e  statuiti,  e  con  picciolo  barche 
di  cento  some  a  basso,  e  si  vadano  a  scaricare  simil* 
mente  in  porti  leciti  e  stabiliti  colle  debite  cautele  di 
responsali  e  piegiarie..  XIY.  Che  i  Giustizieri  o. altri 
Ufficiali  non  traggano  ne'  gìudicii  avanti  di  loro  i  vaa* 
salii  delle  Chiese,  se  non  se  nelle  cause  criminali,  di 
asportazioni  d'  armi,  di  violato  difese  ed  altri  delitti, 
la  cognizione  de'  quali  s'  appartiene  alla  Corte  regia 
e  suoi  Ufficiali.  XY.  Che  i  Prelati  delle  Chiese  e  le 
persone  ecclesiastiche,  ovvero  i  loro  Ufficiali  possane 


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DEL  REGNO  DI  NAPOLI  L.  XX.  GAP.  IX.  829 

per  modi  legittimi  oostringere  i  loro    debitori   al  pa« 
gamento  decloro  debiti.   XYI.  Che  se  i  vassalli  delle 
Chiese,  che  sono  obbligati  a  personali  servizi,  faggio 
l'anno  dai  luoghi  ove  sono  tenuti  permanere,  possano 
i  Prelati   e  Je  persone   ecclesiastiehe,   costringergli  a 
Eargii   tornare  •  a' luoghi  onde  partirono,  e  forzargli  a 
permanere  in  quelli.  XYII.  Ghe  a' Giudei  che  fossero 
vassalli  delia  Chiesa,  non  si  commettano  uffici,  he  si 
inferisca  grarame  o  oppressione'  alcuna.  XYIII.    Che 
delle  ingiurie,  offese  e  male&cii  fatti  in  persona  di  Re- 
ligiosi, Gherici  ed  altre  persone  ecclesiastiche,  quando 
non  vi  siano  accusatori,   si   proceda    dalla  sua   Corte 
tx  inquisitioriQ  ed  ^x  officio^  affinchè  gV  ingiuriatone 
e  malfattori  siano  colle  debite  pene  castigati.  XIX.  A« 
bolendo,  cassando,  ed  irritando  la  Costituzione  di  Fe<* 
dorico    honorem   nostri    diademati^ ,   ordina ,    che    do- 
vendo i  matrirtion)   esser   liberi,   sia   lecito   a  Baroni, 
Conti  ed  altri,  che  posseggon  Feudi,  ed  in  generale  a 
tutte  le  persone,  di  contraere  liberamente  essi  e  loro 
figliuoli  matrimonj,  e  casaro  le  loro  figlie,  zie,  sorelle 
e  nepoti,  senz'assenso  della  sua   Corte,   purché   però 
non  si  diano  i  Feudi  in  dote,  ed  i  màtrimon)  non  si 
trattino  con  persone  al  Re  infedeli  e  sospette.  XX.  Che 
i  Prelati  delle  Chiese,  che  per  ragion  di  quelle   ten- 
gono Feudi,  siccome  i  Conti  e    tutti  gli   altri  Baroni 
possano  ne' casi  stabiliti  nelle  Costituzioni   del  Regno 
esigere  da'  loro   vassalli  i  debiti   e  moderati  ad/utorj^ 
•enza  impetrarne  altre  lettere  particolari,  bastando  que* 
ato  editto,  che  a  tal  fine  vìen  promulgato. 

Soddisfatto  eh'  ebbe  il  Principe  Carlo  in  cotal  guisa 
il  Papa  e  le  persone  ecclesiastiche  del  Regno,  passa 
ora  con  altri  Capitoli  a  rendersi  benevoli  i  Baroni  di 
quello;  concede  perciò  a'medesiipi  molti  privilegi  ch^ 


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33o  STORU  CIVILE 

gi  leggono  dotto  questa  rabrica:  De  privilegiis^  et  im^ 
munitatihus  Cgmitum^  Bàronum^  et  aliorum  Feuàa  te» 
nentium.  Ordina  in  prima  che  oltrepàdsati  tre  mesi, 
non  siano  obbligati  servire  più  alla  sua  Corte  a  pro- 
prie spese;  ma  se  oltre  di  questo  tempo  la  Corte  vorrà 
ritenergli  al  suo  servigio,  debba  somministrar  loro  i 
gaggi  e  soliti  stipendi.  IL  Toglie  anche  a  lor  ritardo 
r  assenso  rieercato  da,  Federico  nella  allegata  Costi- 
tuzione honorem^  perchè  possano  liberamente  contraero 
i  matrimoni.  III.  Che  senza  cercar  lettere  particolari, 
possano  esigere  da' loro  vassalli  i  debiti  e  moderati 
adjutorj,  lY.  Che  le  loro  liti,  così  criminali  come. ci- 
vili, che  s' agiteranno  nella  regal  Corte,  siano  essi  at- 
tori o  rei,  accusatori  o .  accasati,  debbano  giudicarsi, 
assolversi  e  condennarsi  per  li  Pari  della  Curia^  e  le 
loro  cause  saranno  più  pronte  e  speditamente  termi- 
nate, y.  Si  comanda  premurosamente  a*  Giustizieri  ed 
agli  altri  Ufficiali  di  Corte,  che  Boil  commettan.  a'  Ba- 
roni ninna  esecuzione,-  che  dovesse  mai  farsi  attinente 
a*  servizi  della  medesima,  che. non  convenga  allo  Stato 
ed  alla  loro  nobile  condizione. 

Rimaneva  unicamente,  che  si  fosse,  oltre  a*  Prelati 
ed  a'*  Baroni,  dato  compenso  a  tutti  i  Cittadini,  bor^ 
ghesi  ed  agli  altri  uon^ini  del  Regno  universalmente,  af- 
finchè tutti  si 'rilevassero  dalle  passate  gravezze,  e  tutti 
aperimentassero  la  clemenza  e  benignità  dei  Principe; 
perciò  egli  che  intendeva  cattivarsi  la  benevolenza  di 
tutti,  concedè  a' medesimi  molti  privilegi,  e  per  mezzo 
di  molti  utili  provvedimenti  riordinò  lo  stato  delle  cose, 
togliendo  molte  gravezze  e  molti  altri  pemiziosi  abusi. 
Questi  altri  Capitoli  vengono  perciò  arrolati  sotto  quella 
rubrica:  De  privilegiis^  et  immunitatihus  Civium^  hur* 
gensium^  et  aliorum  hominum^  a  Faro  citra. 


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DEL  REGNO  DI  NAPOLI  L.XX.  CAP.IX.  33i 

Il  primo  e  principal  beneficio  era  da  tutti  reputato 
di  rilevar  i  popoli  dalle  tante  imposizioni,  ond' erano 
gravati.  Perciò  egli  con  particolar  editto,  da  doverci 
inviolabilmente  osservare,  statuì  e  comandò  che  nelle 
collette,  taglie,  pesi,  imposizioni  generali  o  speziali, 
ovvero  sovvenzioni  di  qualsivoglia  nome,  s'osservi  lo 
stato,  Tuso  ed  il  modo,  il  quale  nel  tempo  del  Re 
Guglielmo  II  era  osservato,  secondo  che  nelle  conven- 
zioni avute  tra  la  Sede  Appostolica  ed  il  Re  suo  pa- 
dre, nel  tempo  della  collazione  ad  esso  fatta  del  Re- 
gno, più  pienamente  sì  contiene;  il  quale  stato^  modo 
tà  uso,  perchè  non  può  costare,  essendo  che  ninno  o 
pochi  sopravvivono,  li  quali  possono  di  ciò  rendere 
testimonianza:  ordinò  il  Principe  che  s'osservasse  quel- 
lo, che  dal  Pontefice  Martino  sarà  dichiarato,  determi- 
nato e  disposto;  e  perchè  presto  s'ottenesse  tal  determi- 
nazione, promette  di  mandar  tosto  al  Papa  suoi  Am- 
basciadori,  dimodoché  per  tutto  il  mese  di  maggio  ve- 
gnente al  più  tardi  siano  là;  tra  il  qual  termine  gli 
uomini  di  qualsivoglia  provincia  mandino  pure  due 
Ambasciadori  de'  migliori,  più  riochi  e  fedeli  di  tutta 
la  provincia  ad  assistere,  ed  impetrare  la  suddetta;  la 
quale  seguita,  egli  promette  per  parte  del  Re  suo  pa- 
dre e  sua,  e  de'suoi  eredi,  di  inviolabilmente  osser- 
Tare.  Di  vantaggio  da  ora  rimette  totalmente  tutti  i 
residui  di  qualsivoglia  colletta,  a'  quali  fossero  tenute 
alcune  province  e  terre,  né  di  molestarle  nemmeno 
avanti  la  suddetta  determinazione.  Promette  in  fine  di 
non  dimandar  cos'  alcuna;  eccetto,  ne' casi  compresi 
nelle  Costituzioni^  e  che  non  saranno  astretti,  nem- 
meno a  titolo  di  prestanza^  non  volendo,  a  prestazione 
alcuna. 

Questa  determinazione  però  non  seguì   nel  tempu 


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332  STORIA  CIVILE 

del  Pontefice  Martino,' ma  si  bene  ne'  tenìpi  di  Papa 
Onorio  suo  successore,  come  diremo;  la  quale  nem- 
meno ebbe  effetto;  poiché  ne*  tempi  di  Napodano  a 
questi  prossimi,  non  osservayasi  niente 'di  ciò,  anzi 
questo  Scrittore  esclama,  che  in  ciaschedun  mese  sei 
collette  si  esigevano,  scorticando  gli  Ufficiali  regi  i 
poveri  Regnicoli  usque  ad  saceulum  et  peram,  et  te-* 
gularum  evulsionem   {a)i 

Secondo,  ordinò,  che  si  coniasse  nuova  moneta  di 
tuon  t^onio,  non  gravando  perciò  i  popoli  di  nuova 
colletta,  ma  che  si  sarebbe  data  a'  Mercadanti  e  cam« 
biatori,  che  vorranno  spontaneamente  riceverla;  e  che 
qucUa  non  s'altererebbe,  ma  il  suo  valore  sarebbe  stato 
perpetuo  ed  immutabile.  III.  Minorò  la  pena  stabilita 
per  li  clandestini  omicidi.  lY.  Yolie,  che  il  capitolo 
statuito  per  li  baroni  intorno  la  libertà  de*  matrimonj, 
s'osservasse  per  tutti  indistintamente,  Y.  Che  non  più 
s' ammettessero  le  calunniose  accuse  dagli  Ufficiali  della 
sua  Corte.  YL  Che  tenendo  alcuno  occupata  qualche 
possessione  appartenente  alla  Corte,  non  sia  di  fatto 
di  qiiella  privato,  se  non  prima  sarà  in  giudicio  stato 
convinto  con  modi  legittimi  e  dalla,  legge  richiesti. 
Yll.  Che  non  siano  i  ^Popoli  gravati  dagli  Ufficiali 
per  li  servizi  della  Corte,  che  non  sonò  convenienti 
allo  stato  e  grado  delle  persone.  YIII.  Che  niente  si 
paghi  per  le  soscrizioni  delle  sentenze,  così  quelle 
profferite  dalla  G.  Corte,  come  da'  Tribunali  di  tutti 
gli  altri  Giustizieri  e  Giudici.  IX.  Che  V  Università 
non  sieno  tenute  alF  emenda  de'  furti  fatti  da  persone 
particolari.  X.  Che  l'Università  non  siano  costrette  a 
proprie  spese  portar  il  denaro  alla  Corte,  ma  a  spese 

(#i)  Napodan.  in  Gomment.  ad  d.  Capit. 


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DEL  REGNO  DI  NAPOLI  L.XX.  GAP. IX.  333 
della    medesima.    XI.  Che  non  siano  gravate   per  lo 
yitto  degli   Ufficiali,  quando    si  porteranno  ivi   a  reg- 
ger Corte.  XII.   SI  dà  noìrma  ^  e  préscriyesi   tassa  di 
quanto  debba  pagarsi  per  li  diritti  delle   lettere  regie 
e  degli  altri  atti  e  spedizioni.  Xill.  Che  gli  Ufficiali 
della  Regia   Corte   non   comprino   cavalli    o   muli  in 
quella  provincia  ove  'sono,  ma  se  ne  provvedano  fuori 
della  provincia.   XIY.  Che  le  figliuole  de'  ribelli,  che 
non  han  seguitato,   né  seguitano  la  patema  malizia, 
si  possano  maritare   de'  beni  non   feudali  senza   V  aa- 
senso    della  Corte.   XY.    Che  niente  si  paghi   per  lo 
suggello  del  Giusliziero  o  d'altro  Ufficiale.  XVI^Che 
i  Carcerieri   niente   più   esigano   da'  carcerati  se  non 
quanto  fu  tassato  dal  Re  Carlo  suo  padre.  XYII.  Che 
r  Ufficio  dei  Maestro  Giurato  colla  Bagliva   non  s'e- 
aponga  venale.  XYÌII.  Che  non  siano  molestate  nelle 
loro  doti  le   mogli    dì  coloro,    che  per   le    loro    coK 
pe  furono  banditi  dal   R^gno.    XIX.  Che  non  si   co* 
fitrìnga   alcuno    a  riparare   i  vascelli   della   Corte  per 
certo  prezzo.  XX.  Che  dall'Università  delle  terre  de- 
putate  alla  reparazione  de' castelli,   s'esiga  solamente 
tanto  denaro,  quanto  sarà  necessario,  né  s'obblighino  a 
nuovi  edificii.  XXI.  Che  affinché  i  fedeli  del  Regno 
non  siano  gravati    da'  Forastieri ,    si  facciano    inquisì- 
eioni  per  trovar  i  termini  antichi    delle  foreste ^   e  si 
pongano   i  confini   alle  medesime   ed   i   custodi.    Per 
Ailtìmo,  che  i  Giustizieri   delle  Regioni  non   facciano 
presedere  nelle  Fiere ^  i  loro  famigliari,   ma  i  Maestri 
Giurati  de'  luoghi,  ove. si  fanno,  debbano    custodirle. 

Stabiliti  in  cotal  modo  questi  Capitoli,  comandò 
11  Principe  Carlo,  che  insieme  colle  Costituzioni  no- 
velle da  suo  padre  promulgate  in  Napoli  1'  anno  pre- 
cedente 1282' ^' osservassero   inviolabiloìente,  siccome 


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?34  STORIA  CIVILE 

divenuto  Re  volle  ancora  confermargli  ;  e  perchè  con 
effetto  da  óra  ciò  si  mandasse  in  esecuzione,  ne 
mandò  a'  Prelati,  Baroni  ed  alle  Università  de'  Inoghi 
più  esemplari ,  perchè  per  tntto  si  pubblicassero.  Ecco 
com'egli  dice  nel  fine  :  Ut  autem  ea  quae  communi 
utilitate  sancita  sunt^  communiier  seian'tur  ah  horni^ 
nibus  et  generaliter  ohserventur^  de  eisdem  Constitu^ 
tionibus  singulis  Praelatis^  Baronibus,  oc  locorum  Uni* 
yersitatibus-  sub  sigillo  pendenti  Vicariae  copiam  \fieri 
folumus  et  mandamus.  Data  in  Campis  in  planitie 
S.  Martini  A.  D.  12 83  die  penult.  mariii  undecimae 
indictionis. 

Il  Pontefice  Onorio  lY  nell'anno  laSS  trascegliendo 
da  questi  Capitoli  solamente  quelli,  che  facevano  a 
favor  delle  Chiese  e  delle  persone  ecclesiastiche ,  e 
della  loro  immunità,  con  aver  mutate  alcune  cose, 
con  particolar  sua  ^oZ/a,  mentre  Carlo  IL  era  prigione 
in  Ispagna ,  volle  pure  confermargli  comandando,  che 
quelli  inviolabilmente  s'osservassero.  L^original  Bolla 
si  conserra  nell'  Archivio  della  Trinità  della  Cava  (a); 
ed  il  Re  Ferdinanda)  volle  nell'anno  1469  farla  inse* 
rire  nella  Prammatica  a  de  Clericis,  seu  Diaconis  iel- 
raticis ,  che  si  legge  impressa  nel  primo  tomo  delle 
postre  Prammatiche.  Comunemente  vengono  chiamati 
anche  questi.  Capitoli  di  Papa  Onorio,  con  manifesto 
errore;  poiché  questi  non  sono  i  Capitoli  di  Onorio, 
•che  fece  nel  medesimo  anno  nel  tempo  della  prigio- 
nia di  Carlo,  mentr.'era  Legato  ner  Regno  il  Càrdi- 
naie  dì  Parma:  ma  tutto  altri,  siccome  diremo  quando 
de*  Capitoli  di  questo  Pontefice  nel  seguente  libro  ci 
toccherà  ragionare. 

(a)  Eeg.  Mores.  decis.  i. 


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DEL  REGNO  DI  NAPOLI  L.XX.  GAP.  IX.  335 
§  III.   Capitoli  del  Re  Carlo  IL 

Queste  forono  T  ultime  leggi  del  Principe  di  Salcr- 
no,  che  stabilì  come  Vicario  del  Regno,  poiché' la  sua 
prigionia  gF  interruppe  il  corso  del  governo;  e  morto 
suo  padre,  trovandosi  egli  ancor  prigione  in  Aragona, 
ne'  seguenti  anni  non  si  fece  altro,  per  mezzo  del  Re 
d' Inghilterra ,  che  trattarsi  della  sua  libertà  ;  finaU 
mente  con  quelle  condizioni,  che  si  diranno  nel  se- 
guente libro,  fu  sprigionato  e  tornato  ixk  Italia,  fuvvi 
onorevolmente  accolto  da  Niccolò  lY  che  ad  Onorio 
successe,  e  nel  giorno  di  Pentecoste  a*  29  maggio  del- 
Tanno  1289,  coronato  Re  di  Sicilia  e  di  Puglia.  Par- 
tissi da  poi  dalla* Corte  del  Papa,  ed  a  Napoli  fece 
ritorno,  ove  con  molta  festa  e  magnifiche  pompe  ri* 
cevuto,  a'  passati  disordini  tosto  pensò  dar'  riparo* 

L'ordine  de' tempi  non  comporterebbe,  che  si  do- 
vesse favellar  qui  de'  Capitoli  dji  questo  Re ,  siccome 
degli  altri  angioini  suoi  successori;  ma  per  non  tor- 
nar di  nuovo  a  trattare  de'  Capitoli  del  Regno  ^  che 
formano  oggi  una  delle  principali  piarti  delle  nostre  pa- 
trie leggi,  perciò  gli  ridurrò  qui  tutti  insieme;  e  perchè 
s'abbia  ancora  un'intera  e  compita  istoria  di  quelli 
siccome  degli  Autori,  ohe  con*  vari  e  note  e  commenti 
gV  illustrarono. 

Carlo  adunque,  avendo  ne'  suoi  cinque  anni  di  pri- 
gionia sofferto  il  Regno  varie  mutazioni  e  disordini, 
quando  fu  a  quello  restituito,  pensò  immantinente  con 
nuove  leggi  a  ripararlo..  Nel  proemio  ^  che  a  quelle 
prepone  tutto  ciò  rapporta  e  narra,  che  precedente 
consiglio,  p  discussione  avuta  co'  Prelati,  Conti,  Ba- 
roni e  Sapienti  del  Regno  in  Napoli,  avea  quelle  sta- 


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335  STORIA  CIVILE 

bilite..  Cominciano  dal  titolo:  De  inquisuionibus^  e  per 
molti  altri  titoli  seguenti,  non  ad  altro  fu  inteso,  che 
a  regolare  i  giudizj  criminali ,  e  come  debbano  isti- 
tuirsi: le  pruove,  che  vi  si  ricercano.:  di  che  vaglia 
•iano  i  tormenti  e  le  confessioni  de'  rei:  si  stabiliscono 
le  pene  contro  coloro,  che  portano  armi  proibite:  con- 
tro i  forgiudicati  ed  i  di  loro  figliuoli;  e  contro  gli 
omicidi.  In  breve,  tutto  ciò  che  concerne  a' delitti  | 
ed  il  modo  di  provargli  e  di  punirgli. 

Disbrigato  delle  cose  criminali,  passa  alle  civili. 
Proibisce  di  potersi  pignorare  i  buoi  aratori  (a).  Fa 
una  lodévoi  legge  intorno  air  invenzion  de'  tesori,  con* 
trarla  a  quella  del  Re  Guglielmo,  volendo,  che  gl'ina* 
ventori  non  siano  inquietati,  trovandogli  nel  fondo 
proprio:  se  nel  comune,  o  del  Fisco,  se  gli  dia  la 
metà:  se  nell* alieno,  niente  al  Fisco,  ma  la  metà  al- 
V inventore,  e  l'altra  al  padrone  del  fondo:  dichia- 
rando per  tesori  non  intendere  le  nìiniere  dell' oro  e 
deir argento  e  degli  altri  metalli,  siccome  delle  sali- 
ne {h).  Inculca  il  pagamento  delle  decime  (e).  Stabili- 
sce pene,  pecuniarie  a  coloro,  che  passato  Y  anno  per* 
sisteranno  nella  scolnunica  {ft).  Prescrive  il  modo  a^  Feu- 
datari morti,  o  con  testamento,  ovvero  ab  intestato^ 
òì  statuire  il  Ralio  (e).  Provvede  alle  doti  delle  donne,  e 
sopra  alcuni  abusi  dà  utili  provvedimenti  (/).  Conferma 
ancora  con  nuove  leggi  tutti  i  Capitoli,  ch'egli  fece 
mentre  fu  Vicario  nel  piano  di  S.  Martino,  dicendo: 
Capitala  eadem  constitutione  praesenti  in  perpetuum 
valitura^  de  nostra  mera  seientiay  cori/irmanius   et  de* 

{a)  Gap.  de  bobus  arator.  {b)  Gap.  de  thesaurìs.  {e)  Gap. 
de  solv.  deeim.  (d)  Cap.  de  morantìb.  in  excom.  {e)  Gap.  de 
statuendo  Balio.  (/)  Cap.  de  dotib.  mtdier.  et  spqu. 


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DEL  REGNO  DI  NAPOLI  L.XX.  CAP.IX.  33; 

fectum  omnenij  si  q.uis  eis  tunc  in/uity  qui  Begni  pò- 
testate  Vicaria^  non  Dominica  fung^bamury  Regis  di* 
gnitatis  authoritate  supplemus  (a).  E  perchè  i  suoi  Po- 
poli apprendessero  quanto  gli  fosse  a  cuore  la  giustizia 
e  la  riordinazione  delle  province  in  miglior  e  più  utile 
stato»  ordina  (i),  che  il  Maestro  Giujstiziero  ed  i  Giu- 
dici della  G.  Corte  debbiano  sci  settimane  deiranno 
scorrere  le  province  da  Igi  destinate ,  cioè  in  tutto 
VApruzzo  in  Terra  di  Lavoro  ^  e  Principato^  in  Ca- 
pitariata  e  Basilicata^  in  Terra  di  Bari  e  Terra  d'O- 
tranto. Vuole»  che  dimorando  nelle  province  inqui- 
rano,  correggapo  gli  eccessi  de*  Giustizieri  di  quelle  e 
de'  loro  Ufficiali  ;  e  parendo  loro  di  doversi  anuno- 
vere,  ne  diano  a  lui  distinta  notizia  per  darvi  prov- 
videnza. 

Per  mostrarsi  grato  a*  Conti  e  Baroni  del  Regno, 
proroga  i  gradi  della  successione  ne'  loro  Feudi  (e). 
£  per  evitare  le  dissensioni  e  lo  querele,  che  gli  erano 
fatte  per  conto  de' confini  de'  tenimenti,  de'  Baroni, 
delle  Chiese'  e  de'  privati,  ordinò,  che  da'  Registri 
del. suo  Archivio,  ove  si  tratta  delle  confinazioni,  se 
ne  forgiassero  due  libri,  uno  ne  rimanesse  nella  sua 
camera,  e  l'altro  iu  un  gruppo  di  ferro  s'appendesse 
nella  più  famosa  Chiesa  della  città  (d).  Levò  molti 
abusi  intorno  all'esazione  delle  collètte;  ed  in  fine  fu 
tutto  inteso,*  perchè  i  suoi  sudditi  non  fossero  grà- 
Tati  indebitamente  d'ingiuste  esazioni. 

Tutti  questi  Capitoli  furono  stabiliti  in  Napoli  nel 

(a)  C on firma tio  capìtulorumedilqrum  in  planiu  S.  Martini. 
(p)  Gap.  Quod  Magister  Justitianus  cevX\&  temporibus,  etc. 
(e)  Gap.  de  prorogai,  success,  duratura,  (d)  Gap.  de  tollen- 
da  dissentioue  Inter  fideles  noslros.  Summont*  tom*  a  pag.  36o 

3a 


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3Ì8  STORIA  CIVILE 

prlnìo  anno,  ch'egli  yì  tornò  libero:  e  perciò  portano 

questa  data  :  Dato  Neap.  A,  D,   1289. 

Oltre  di  questi,  se  ne  leggono  molti  altri,  sparsi 
tra  quelli  del  Re  Roberto  suo  successore,  fatti  negli 
anni  seguenti,  come  quello,  che  si  legge  nella  rubri- 
ca, Quod  in  poenis  pecuniariis,  etc.  L'altro  sotto  il 
titolo ,  Quod  sii  licitum  accusatori ,  etc,  L' altro  sotto 
il  titolo ,  Exceptione  excommunicationis  ,  etc,  ed  al- 
cuni altri.  Ed  in  fine  quello,  che  fu  da  lui  pubblicato  nel 
penultimo  anno  del  suo  Regno,  che  si  legge  tra'  Ca- 
pitoli di  Roberto,  sotto  la  rubrica,  Literae  Domini  flc- 
gis^  che  porta  questa  data:  Dat,  Neap.  per  D,  Sarto- 
lomeum  de  Capuà  A.  D.  i3oy  die  la  decemhris  11 
indict,  Regnorum  nostrorum  anno   2  3. 

Si  valse  questo  Principe  in  formargli  non  già  d'An- 
drea d'isernìa,  come  credette  Gioyanni  Atìtonìo  Ni- 
gris  (a),  ma  della  peiina  del  celebre  Giureconsulto 
Bartolommeo  di  Capua,  Protonotario  del  Regno,  in- 
nalzato da  lui,  e  più  dal  suo  successore  Roberto  a* 
primi  gradi  ed  onori  del  Regno. 

§  IV  Capitoli  del  He  Roberto. 

Questo  Principe,  che  per  la  sua  saviezza  fu  ripu- 
tato un  altro  Salomone^  ci*  lasciò  ancopa  molte  utili 
e  savie  leggi:  di  lui  come  Vicario  di  suo  padre  non  ne 
abbiamo,  ma  solo  quando  fu  incoronato  Re.  Il  suo 
figliuolo  Carlo  Duca  di  Calabria  costituito  da  lui  Vi- 
cario del  Regno,  emulando  la  sua  sapienza  e  giustizia, 
ne  fece  anche  alcune  in  vita  del  padre.    Fabio   Mon« 

(q)  J^igris  Cpmment.  ad  cap.  i58  n.  6. 


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DEL  REGNO  DI  NAPOLI  L.XX.  GAP.  IX.  SSg 

telione  da  Gcrace  (a)  scrisse^  il  Be  Roberto  in  tutto 
il  tempo  di  sua  vita  non  aver  fatti  più  che  cinquanta 
di  questi  G api toli;  e  questo  numero  veramente  si  vede 
nell'edizione  vulgata;  mar  molti  altri  se  ne  leggevano 
neir  originai  mtinnscritto,  che,  come  rapporta  <Je  Bot- 
tis  (i),  si  conservava  a  suoi  tempi  da  Baratuccio  Av- 
vocato fiscale;  ed  alcuni  altri  ne  rapporta  ancora  Gof- 
fredo di  Gaeta  (e)  nella  sua  Lettura  a'  Riti,  della  re- 
gia Camera  della  Summaria. 

Cominciò  Roberto  a  regnare  nclPanno  1809,  e  le 
prime  sue  leggi  furono  eziandio  dettate  da  Bartolom- 
meo  di  Gapua  Protonotario  del  Regno,  nel  qual  po- 
sto non  solo  fu  confermato  da  Roberto,  ma  ingran- 
dito d'altri  onori,  come  colui,  che  Tavea  cosi  ben 
servito  in  Avignone  nella  famosa  contesa  che  Roberto 
ebbe  col  nipote  per  la  successione  del  Regno.        • 

Fu  Bartolommeo  creato  Logoteta  e  Protonotario 
del  Regno  neiranno  isSS,  che  fu  il  primo  anno  del 
Regno  di  Garlo  II,  e  visse  con  questa  gran  dignità 
insino  al  i328,  anno  della  sua  morte.  Ricavasi  esser 
quella  accaduta*  io  quest'anno  dall' iscrizione  del  suo* 
tumulo ,  che  prima  si  leggeva  nella  maggior  chiesa 
di  questa  città  nella  sua  cappella,  òv'è  sepolto;  e  se 
bene  sin  da'  tempi,  ne'  qu;:li  scrisse  il  Summante  {d)^ 
questa  lapide  fosse  stata  altrove  trasferita,  si  legge 
però  riscrizione,  oltre  nel  Summonte,  in  Gesare  d'Eu- 
genio (e),  e  nel  Toppi  (/),   in  Pietro   Stefano  (g^),  il 

(«)  Fab.  Montel.  in  Commeut.  super  quatuor  llleris  arbitr. 
par.  2.  {h)  Bottis  in  addit.  ad  tit.  1  de  oblationib.  (e)  Goss. 
de  Gaeta  rub.  5  de  jur.  Oofaanae,  Vit*  8  num.  207.  (d)  Sum- 
monte to.  2  lib.  3.  {e)  Engen.  Nap.  Sftc.  del  Duomo  di  Nap. 
(/)  Toppi  Bibl.  Nap.  in  Barth.  de  Capua.  {g)  Stefan.  De- 
scriz.  de*  luoghi  Sacri  di  Nap. 


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34a  STOttlA  CIVILE 

quale  scrisse  in  tempo ,  quando  non  era .  stata  ancora 
di  là  tolta,  dove  fra  T altre  cose  si  leggono  queste  pa- 
role ;   '  .  , 

Annis  sub  mille  trecenti  BIS  ET  OCTO^ 
Qucm  capiat  Deus^  ohiit  bene  Bartholomaeus. 
Ma  non  è  da  tralasciare  che  Pietro  Stefano  istesso 
portando  in  volgare  questa  iscrizione,  traduce  queste 
parole:  Annis  sub  mille  trecentis  bis  et  odo,  in  cotal 
maniera:  NelV  anno  mille  trecento  sedici;  donde  si  diede 
occasione  al  Summonte,  a  Pier  Vincenti  (a)  ed  al 
Toppi,  di  scrivere  anch'essi  che  Bartolommeo  di  Ca- 
pua  morisse  nel  i3i6.  Ciò  che  ripugnerebbe  a  tanti 
nostri  Capitoli^  che  abbiamo  del  Re  Roberto,  istro- 
mentati  per  mancy  del  Gran  Protonotario  Barlolom* 
meo  dopo'  V  anno  suddetto,  leggendosene  del  i3i8, 
1824  e  i32  6.  Qiiiodi  altri  (i)  interpetrarono  in  altra 
guisa  quelle  parole  bis  tt  octo^  non  già  di  sedici  per- 
chè avi'ebbesi  dovuto  dire  bis  octo^  non  già  bis  et 
octo;  ma  di  ventotto\  poiché  secondo  la  goffaggine  di 
que' tempi,  al  mille  aggiungendo  i  trecento,  ed  a  que- 
sti, due  e  poi  altri  otto^  fanno  appunto^  questo  numero 
di   i328. 

I  primi  Capitoli  del -Re  Roberto  sono  quelli  che 
istromentati  per  Bartolommeo  di  Capua  cominciano 
dal  terzo  anno  del  suo  Regno.  Questi  sono  il  Cap. 
Robertus  etc.  Ad  quietem  publicam^  sotto  il  titolo,  Ut 
Comites^  et  BaroneSy  etc,  stabilito  nel  terzo  anno  del 
Regno  di  Roberto,  dove    nella   vulgata  edizione   evvi 

(a)  Vincenti  Teatro  de*  Proton.  del  Regno,  da  chi  copiò 
Toppi  in  Bibl.  (b)  Andreys  disp.  Feud.  cap.  i  $  5  11  um.  28 
pag.  54.  Ut  quem  obiisse  constat  ann.  i328  ex  ejus  sepuicro 
iu  nostra  Aede  Archiepiscopali.  Fulvio  Carac.  Allegaz.  per  la 
Città  di  I^ap. 


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DEL  REGNO  DI  NA.POLI  L.  XX.  GAP.  IX.  34i 
errore;  poiché  in  vece  di  leggerai  4-0,   1 3 1 1 ,  si  leg- 
ge  iSdG  che  sarebbe  non  U  terzo,  ma  il  diciottesimo 
anno   del  Regno    di   Roberto.  Il    Cap.   Bohertus^  etc. 
Privilegia^  sotto  il    titolo,    De    ohlationihus ^  privilegio 
Clericorum^  etc.  Il  Cap,  Rohertus  eie,  Pro  hono  statu^ 
sotto    il  titolo,    De    exceptione  excommunicationis.  Il 
Cap.  Importuna  peteniis,  sotto  il  titolo,  De  non  crean- 
dis  Judicihus  in  perpetuum,  11  Cap.  Rohertus^  etc,  iVe 
per  exemptioniSy  sotto  il  titolo^  Quod   testes  excommu» 
nicati  dehent  ahsolvi   ad   cautelante   ohe  oggi  noi  di- 
ciamo, eum  reincidentia.  Il    Cap,  eodem  studio ^    sotto 
il  titolo,  Quod  in  causis  criminal ibu s ,  etc.  Il  Cap.  Ro- 
hertusy  etc.   Quia  nulla  legis^  sotto  il  tììolo^' Quod  Jus- 
titiarius  possit    cognoscere    de   civilihus   causis    Eccle- 
siae^  etc.  Il  Cap.  Rohertus ^  etc,   Nolumus^   sotto  il  ti- 
tolo, Quod  Barones^  vel   Feuda  ienentes^  etc.  Il  Cap. 
Rohertus^  etc,    Licet   centra^   sotto   il  titolo,    Quod  re- 
ceptatores  pari  poena  puniri  deherit^   qua   et  malefac- 
iores.    Il  Cap,  Statuimus^  sotto  il  titolo,    Quòd    liceat 
specialibus  personisy  etc.  Il  Cap,  Rohertus^  efc.  Frequenter 
ex  abundanti^  sotto  il  titolo,  Confirmatio  eonstitutiqnum 
per    genitorem    Regis  Roberti  editarum.   Il  Cap.  Juris 
censura^  sotto  il  titolo,  Capitulum  de  arbitrio  concesso 
OfficialihuSy  che  siccome  a-  proposito  notò   De  Bottis^ 
fu  dato"  per    Bartolommet)  di    Gapua  nell'anno  i3i3. 
11  Cap.  Rohertus  e  etc.  Si  cum  Sceleratis^  sotto  la  ru- 
brica Litera  arhitralis^  che  porta  la  data  del   i3j3,  e 
r  anno  quinto'  del  Regno  di  Roberto.  Il  celebre  Cap, 
Ad  regale  fastigium.^    sotto  il  titofo,  ()i/odf  Jùstitiarius 
possit  cognoscere  de  gravaminibus  illatis  per  Praelatos, 
vel  (jdias  Ecelesiasticas  personas,  istromentato  per  B^r- 
tolommeo  di  Gapua  neir  anno   i3i4    nel    sesto  anno 
del  Regno  di  Roberto,  come  accuratamente  '  e  ^cnz'er- 


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342  STORIA  CIVILE 

rore  notò  iyi  Be  Bottis.  Il  Cap,  RobertuSy  etc.  Inter  belli 
discrimina,  sotto  la  rubrica,  Capitulum  contro  exceptio- 
nem  hosiicam,  etc,  che  nell' edizione  vulgata  porta  una 
data  scorrettijSsiQia,  cioè  dell'  anùo  i4i6  quando  non 
par  Bartolommeo,  ma  Roberto,  anzi  la  sua  nipote 
Giovanna  ed  il  suo  successore  erano  mòrti)  onde  deve 
emendarsi  e  leggersi  i3i6.  Il  Cap.  Robertus,  etc.  Pri- 
d$m,  per  diversaSy  che  siegue  sotto  la  medesima  ru* 
brica.  li  Cap.  Robertus^  etc.  Ad  consultationem  Ma» 
gistri  Justitiarii,  sotto  il  titolo,  Quod  accusatore  de^ 
sistente.  Curia  ex  officio  procedere  potèst.  Il  Cap.  Ro^ 
lertus,  etc.  Exercere  vqlentes,  sotto  il  titolo,  De  com- 
ponendo.  Il  Cap.  Provisa  Juris  sanctio,  sotto  il  titolo, 
Quod  latroneSy  disrobatores  stratarum,  et  piratae  omni 
tempore  torqueri  possint.  Il  Cap.  Robertus,  etc.  Quo- 
rundam  expositio^  che  si  legge  tra'  Capitoli  del  Re 
Carlo  II  sotto  la  rubrica,  Litera  super  Justitia  retar^ 
da^a.  Il  Cap.  Robertus,  etc.  Ordinata  justitia^  sotto  il 
titolo.  Quod  Bajuli  Judices  exerceant  officia^  etc.  che 
fu  fatto  mentr  era  vivo  Bartolommeo  di  Capua,  giac- 
ché sopra  questo  capitolo  si  leggono  le  su^  note.  11 
Cap.  RobertuSy  etc.  Salubrem  statum^  ovvero  Frequen- 
ter  ex  abundanti,  sotto  la  rubrica,  Hoc  capitulum  est 
ad  eonjirmationem  Capitulorum  factorum  per  Regem 
Carolum:  ed  il  Cap.  Robertus,  etc.  Àlienationis  actus^ 
sotto  la  rubrica.  Non  est  capitulum,  sed  litera  decla- 
rans  juris  ambiguitatem,  età.,  istromentato  pure  p^r 
Bartolommeo  di  Capua,  A.  D.  i326,  die  5  Decemb, 
IO  indici.  Regnor,  nostr.  A.   i8. 

Questi  sono  i  Capitoli  stabiliti  dal  Re  Roberto  per 
tutto  Tanno  1 326,  decimo  ottavo  del  suo  Regno,  per 
mano  di  Bartolommeo  di  Capua  suo  Gran  Frotono- 
tario.  Se  ne  leggono  ancora  alcuni  altri  del  medesimo 


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DEL  REGNO  DI  NAPOLI  L.  XX.  GAP.  IX.    343 

Prìncipe;  ina  poiché  rìguardano  gì  interessi  dei  suo 
regal  patrimonio  furono  perciò  istromentatt  non  dai 
Protonotarii,  ma  per  li  Maestri  Razionali,  a'  quali  s' ap- 
parteneva la  cura  delle  cose  fìsqaU*^.  poiché,  siccome 
notò  assai  a  proposito  Pier  Vincenti  nel  Teatro  dei 
Protonota  rii  del  Regno  (a)^  tale  era  lo  stile  sempre  pra- 
ticato eziandio  da  poi  sotto  il  Regno  degli  Aragonesi. 
Questi  sono  il  Cap,  Roberius^  etc,  Novis  mòrhis^  sotto 
il  titolo,  De  coìnpilatione ^  et  compositione  r^tionum 
Officialium,  istromentato  in  Napoli  nel  i3 17,  nono 
anno  del  Regno  di  Roberto  per  li  Maestri  Razionali^ 
come  si  legge  nella  data:  Data  Neap.  Per  Magistro^ 
Bationales  Magnae  Curiae  nostrae^  A,  Di  tii^y  die  ^o 
Septemhris^  i  indict.  Regnorum  nostroìnm  anno  nono. 
Il  Cap.  RobertuSy  etc.  Fiscalium  functionum^  sotto  il 
titolo,  De  appretto  y  et  modo  faciendis  in  terris^  et  lo» 
ds  Regni;  che  parimente  portano  questa  data:  Datum 
Neap.  Per  eosdem  Magistros  Rationales  Magnae  Cu» 
riae^  etc.  A^  D.  lììì^  die  7  Augusti ^  i  indict.  Regno- 
rum  nostrorum  anno  vigesimo  quinto.  Ed  il  celebro 
Cap.>  Apud  Fogiam^  sotto  il  titolo,  Quid  fiet  mortuo 
Barone. 

Tutti  lì  Capitoli,  che  poi  leggiamo  stabiliti  da  Ro- 
berto, si -vedono  istromentati  per  Giovanni  Grillo  da 
Salerno  Yiceprotonotario  del  Regno,  nelle  date  de'quali 
occorrono  nelF  edizione  vulgata  alcuni  errori.  Morto 
Bartolommeo  di  Capua  neiranno  i3a8,  ancorché  il  Re 
Roberto  in  vita  del  medesimo  avesse  innalzato  al  sommo 
onore  di  Protonotario  Giacomo  di  Capua  suo  figliuolo 
non  provvisione  di  108  once  d'oro  Tanno,  tanto. che  con 
esempio  nuovo  furono  veduti  in  un  istesso  tempo  due 

(rt)  P.  Vinc.  in  principio. 


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344  STORIA  CIVILE 

Gran  Protonotarii;  nuUadimanco  essendo  Giacomo  pre- 
morto al  padre,  estinto  da  poi  Bartolommeo,  carco  di 
gloria  e  d'anni,  questo  supremo  tJfBcio  per  molto  tfcmpo 
rimnse  vacante,  sin  che  nell'anno  i343  non  fu  provvi- 
sta nella  persona  di  Ruggiero  Sanseverìtio  (a).  Intanto 
veniva  esercitato  da"^  Yiceprotonotarii,  onde  dopcr  la 
inerte  di  Bartolommeo,  furono  un  dopo  V  altro  eletti 
Nicolò  Frezza,  Andrea  Cornino  e  Giovanni  Grillo  da 
Salerno;  di  guest'  ultimo  si  veggono  tutti  i  seguenti 
Capitoli  del  Re  Roberto  istromentati.  I  due  primi  si 
leggono  sotto  il  titolo,  De  non  procedendo  ex  officio^ 
nisL  in  certis  casihuf^  et  ad  ttmpu8\  e  portano  questa 
data:  Data  JSeap.  per  Joan.  Grillum  de  Salerno  Jurìs 
civilis  professeremo  Ficesgérentem  Protonotarii  Regni 
SicUiae  A.  D.  lìaS  (come  dee  leggersi)  die  io  Feb.  la 
Indie.  Regn,  nostrorùm  anno  30.  L' altro  si  legge  sotto 
il  titolo.  De  indebitatoribus  victualium^  et  usurisj  che 
porta  la  medesima  data,  come  quello,  che  fu  stabilito 
neir  iòtesso  anno  a'  ai  del  mese  di  luglio^  Il  quarto 
è  il  Cap,  Ut,  inter  subiectos^  sotto  il  titolo,  De  prohi^ 
bita  portatione  armorum\  istrdmentato  per  mano  del 
Viceprotonotario  Grillo  nell'  anno  seguente,  che  fu  il  \ 
ventesimo  primo  del  Regno'  di  Roberto;  e  deve  emen- 
darsi la  data,  che  porta  la  vulgata  edizione,  ed  invece 
di  A.  Z>.   i3oo  deve  leggersi,  iSag. 

Sieguono  da  poi  tre  editti  pubblicati  da  Roberto 
neiranno  seguente  i33o.  I  due  primi  nel  mese  di 
maggio,  ed  il  terzo  in  giugno.  Il  primo  è  sotto  la  ru- 
brica: De.  no/»  componendo  super  receptatione  banni- 
torurn  cum  UnÌ9ersitaie^  personisque  singularibus.  Il 
secondo  ha   questo   titolo:'   Tenor    secundi   edicti^  de 

{a)  P.  Vincenti  de'Proton*  in  B.  de  Gapua,  foL  7S. 


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DEL  REGNO  fi!  NAPOLI  L.  XX.  GAP.  IX.  345 

damnis  emendandis  per  Univtrsitatem.  Ed  il  terzo  sotto 
la  rubrica:  Tener  tertii  edictiy  de  familia  Officiàliujn 
qualiter  esse  deheat.  Portano  questi  editti  le  date  giu« 
sto  nell'anno  i33o  Tentesimosecondo  anno  del  Regno 
di  Roberto.  Nel  medesimo  anno  furono  stabiliti  due 
altri  Capitoli,  che  si  leggo'no,  il  primo  sotto  il  titolo, 
J)e  non  componendo  su^er  crimine  capitali^  il  secondo 
sotto  r  altro,  Quod  possit  Regis  Curia  in  Terris  non 
jurisdictionis, 

Neir  anno  seguente  i33i  lu  da  Roberto  per  mano 
del  Viceprolonotario  Grillo  stabilito  quel  famoso  ca- 
pitolo, col  quale  si  proibiva  T  estrazione  de*  carlini 
d*  argento  fuori  del  Regno,  ebe  si  legge  sotto  la  ra- 
brica:  De  prohihita  extractione  carolenorum  argenti  de 
Begno\  e  deve  emendarsi  la  data,  ed  in  vece  d'^.  B, 
i3o3  deve  leggersi  i33i  che  fu  il  ventesimoterzo  anno 
del  R<*gno  di  Roberto. 

Nel  seguente  anno  tSSa,  fu  pubblicato  per  mano 
del  medesimo  da  Roberto  quel!'  altro  famoso  editto, 
col  quale  per  dar  rimedio  a' frequenti  e  scandalosi  di- 
sordini^ che  in  Napoli  avvehivaiio  per  alcuni  ribaldi, 
i  quali  sotto  pretesto  di  matrimonio  rapivano  dalle  loro 
case  le  vergini,  avendo  convocate  le  Piazze  della  .città, 
proibì  sotto  severissime  pene  delitti  sì  enormi,  del  quale 
'non  si  dimenticò  il  Summonte  nella  sua  istoria,  come 
quello,  che  contiene  ì  cognomi  di  molti  Nobili  de'  Seggi 
di  Capuana,  Nido,  Portauova,  del  Mercato,  di  Porto, 
di  Somma  Piazza,  di  Salito,  di  Arco,  e  di  S.  Arcan- 
gelo. Si  legge  sotto  la  rubrica:  Statutum  cantra  Nea- 
politanos  maleficos  rdpientes  virgines  sub  colore  mairi' 
nìonii\  e  deve  emendarsi  la  data,  ed  in  vece  di  Ì?$- 
gnorum  nostrorum  A.   \^  leggersi,  A,  24. 

Nel  i334  furono  stabiliti  due  altri  Capitoli;  il  pri- 


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346  STORIA  CIVILE 

mo  in  agosto,  eh'  è  sotto  il  titolo,  De  non  componendo 
in  ^elictis  corporalitóT  puniendis;  ed  il  secondo  in  ot- 
tobre, fatto  per  dichiarasione  del  medesimo,  oh'  è  sotto 
U  rubrica:  De  declaratione  conUituHonis  prohibentis 
contpositionem  in  criminalihus.  Ambedue  nella  vulgata 
edizione  portano  giuste  date,  come,  quelle  che  esatta- 
mente notano  l'anno  ventesimosesto  del  Regno  di  Ro- 
berto. 

Nell'anno  seguente  i335  furono  dal  Re  Roberto 
per  Giacomo  Grillo  suo  Yiceprotoootario  emanati. cin- 
que famosi  e  celebri  editti.  Il  primo  in  gennaio  ^di 
quest'anno,  che  si  legge  sotto  il  titolo,  De  revocationc 
occupatontm  demanii  regii  ad  ipsum  demanium^  deve 
correggersi  la  data,  e  leggersi  :  Data  Neap.  per  Jo, 
Grillum  A.  D,  i335  die  i^ /anuar.  3  indici.  Regno^ 
rum  nostrorum  anno  27  non  26  come  si  legge  nella 
vulgata.  Il  secondo  sotto  il  medesimo  mese  ed  anno, 
eh' è  sotto  il  titolo:  De  pecunia  Fiscali  non  tenenda 
per  Officiales  post  amotionem  ab  officio:  dove  pari- 
mente deve  la  data  correggersi  e  leggersi:  Regnorum 
nostrorum  A.  37.  Il  terzo  si  legge  sotto  la  rubrica^: 
De  nonr recipiendis  vassallis  demanii  in.Terris  Baronum* 
Il  quarto  sotto  il  titolo:  Quod  Clerici  conjugati  solvant 
cqllecias  regias\  ed  il  quinto  sotto  il  titolo,  Quod  non 
extrahantur ^  lignamina  extra  Regnnm. 

Siegttono  da  poi  que'  famosi  Capitoli  ^  donde  alla 
violenia  degli  Ecclesiastici  si  dà  riparo.  Questi  Capi- 
toli«  che  volgarmente  chiamiamo  Rimedii^  ovvero  Con- 
servatorialiy  sono  quattro.  Il  primo  fu  stabilito  da  Ro- 
berto in  tempo  che  vivea  il  famoso  Giureconsulto 
Bartolommeo  di  Capua ,  e  da  lui  come  Protonotario 
del  Regno  istromentato:  comincia  Ad  regale  fastigium^ 
e  fui  da  noi  di  sopra  notato.   Sieguono  ora  i  tre  altri 


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DEL  REGNO  DI  NAPOLI  L.XX.  CAP.IX.  Hj 
pubblicati  appresso.  Il  secondo  comincia:  Charitatis 
affecius,  drizzato  da  Roberto  a' Giustizieri  d'Apruzzo 
ultra  fiumen  Piscatiae^  e  si  legge  sotto  Li  rubrica  Con^ 
servatorium  prò  laico  cantra  clericum,  11  terzo  comin- 
cia: Finis  praecepti  charitQS,  drizzato  a*  Giustizieri  di 
Tal  di  Grate  e  Terra  Giordana,  e  si  legge  sotto  la 
rubrìca:  Conservatorium  prò  clerico  cantra  clericum. 
Ed  il  quarto,  che  fu  indrizzato  ai  Reggente  della  Vi- 
caria ed  a' suoi  Giudici,  comincia:  Omnis  praedaiio^ 
.  e  si  legge  sotto  il  titolo  ,  De  spoliatis  prò  laico  con- 
tra  clericum.  Di  questi  Capitoli  ci  tornerà  a  noi  oc- 
casione di  diffusamente  ragionare  neVseguenti  libri  ^ 
quando  del  Regno  e  della  giustizia  e  sapienza  di  Ro- 
berto dovremo  favellare;  siccome  delle  Quattro  lettere 
arbitrarie,  che  parimente  riconoscono  per  Autore  que- 
sto Principe^  e  ohe  fra  questi  Capitoli  i'abbiam  sem- 
plicemente, accennate. 

Finalmente  abbiamo  di  Roberto  queir  altro  «.suo  fa- 
moso capitolo,  col  quale  si  prende  cura  e  pensiero 
delU  riforma  delF Accademia  napoletana;  comincia-: 
Grande  fuit^  e  si  legge  sotto  il  titolo:  De  reformatione 
jStudii  Neapolitaniy  et  interdicendo  particulares  Scholas 
in  utroque  jure  uhilibet  infra  Begnum.  Quell'altro  ca- 
pitolo che  comincia,  Ponàus  aequum^  e  ch^  comune- 
mente viene  attribuito  alla  Regina  Giovanna  .sua  ifi- 
pote,  leggendosi  sotto  questa  rubrica,  Litera  Reginae 
JoannaCy  credette  De  Bottis^  che  sia  pure  del  Re  Ro- 
berto, e  testifica  egli  aver  nel  registro  trovato  conce* 
pitt>  il  principio  del  medesimo  in  cotal  guisa:  Boher- 
iuSy  etc,  Justitiariis  Principatus  ultra  Serras  Montorii 
praesentibus  et  futurisy  etc. 

Né  dobbiam  tralasciare  un  altro  editto  di  Roberto, 
col  quale  fu  proibito  a'  Cherici  il  portar  armi ,  li 


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348  STORIA  CIVILE 

quali,  dopo  essere  stati  tre  volte  ammoniti,  se  non  si 
emenderanno,  ordinò  che  fossero  Moro  tolle.  Non  Tab- 
biamo  tra  questi  Capitoli,  ma  sibbene  tra  le  nostre 
prammatiche  (a).  E  se  ora  vediamo  il  contrario  prati- 
carsi, è"  parte  abnso,  parte  perchè  ih  processo  di  tempo 
fu  accordata  a'  Vescovi  la  famiglia  armata,  di  che  al- 
trove ci  tornerà  occasione  di  ragionare. 

Questi  sono  i  cinquanta  Capitoli  del  Re  Roberto^ 
che  abbiamo  impressi  nel  corpo  delle  leggi  del  Regno, 
e  che  hanno  presso  di  noi  ne*  Tribunali  dèlia  città  e 
del  Regno  tutta  V  autorità  e  tutto  il  vigore  ;  e  tutto 
ciò  che  per  le  posteriori  leggi  non  si  trova  corretto, 

0  mandato  in  disuso,  dobbiamo  inviolabilmente  os> 
servare.  ' 

1  Sieguono  ora  i  Capitoli  del  Duca  di  Calabria  suo 
figliuolo,  che  fece  mentre  da  suo  padre  gli  fu  dato 
il  governo  del  Regno,  creandolo  suo  Generale  Vicario, 

§.  V.  Capitoli  di  Carlo  Duca  di  Calabria 
Vicario  del  Regno. 

Re  Roberto,  convenendogli  di  portarsi  ora  in  Pro- 
venza, ora  in  Fiorenza  o  Genova,  e  sovente  ali*  im- 
presa di  Sicilia,  vedendo  in  Carlo  suo  figliuolo  ri- 
splendere molte  virtù ,  e  sopra  tutto  la  religione ,  la 
giustizia  e  la  prudenza,  quasi  dairadolescenza  gli  pose 
il  governo  di  tutto  il  Regnò  in  mano,  creandolo  suo 
Generai  Vicario  ;  ed  egli  adempì  così,  bene ,  e  con 
tanta  lode  e  prudenza  le  sue  parti,  che  il  Re  suo  pa- 
dre ne  vivea  sommamente  soddisfatto.  Egli  pose  in 
maggiore  splendore  e  floridezza  il  Tribunale  della  Vi- 

{a)  Pragm.  6  de  Cler.  séu  Diac.  selvaticis. 


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DEL  REGNO  DI  NAPOLI  L.XX.  GAP.  IX.  349 
caria,  creandovi  per  M.  Giustiziere  Filippo  Sanguineto 
eoa  provvisione  di  i5o  once  d'oro  Tanno,  assegnando 
ancora  go  once  T  anno  per  istipendio  di  dieci  uomini 
a  cavallo  e  sedici  a  piedi  per  guardia  e  per  maggior 
decoro  di  questo  Tribunale  (a).  Ebbe  in  costume  ogni 
anno  cavalcare  per  lo  Regno  per  riconoscere  le  gra- 
vezze che  facevano  i  Raroni  ed  i  Ministri  del  Re  a* 
popoli.  E.  per  mezzo  di  (Varii  editti,  che  abbiamo  in* 
seriti  tra'  Capitoli  del  Re  Roberto  suo  padre,  diede 
savio  provvedimento  a  molte  cose  riguip^danti  il  buon 
governo  del  Regno  e  retta  amministrazione  della  giu- 
stìzia, della  quale  fu  egli  amantissimo* 

Il  primo  de' suoi  Capitoli  si  legge  contro  i  Raroni 
ed  altri  recettatori  di  sbanditi  e  d'altri  uomini  faci- 
norosi, che  turbavano  la  pace  del  Regno^  imponendo 
loro  pena  di  morte  e  della  perdita  de'  loro  beni  :  fa 
questo  drizzato  al  Giustiziere  di  Terra  d'Otranto,  ed 
istromentuto  p^  Rartolommeo  di  Capua,  di  cui,  sopra 
il  medesimo,  abbiamo  ancora  alcune  note^  e  porta  la 
data,  apud  Hospitale  Montis  Virginis^  S^intuario  allora 
reso  assai  celebre  in  Terra  di  Lavoro  per  la  magni- 
ficenza e  pietà  de' Re  angioini,  doye  sovente  facevan 
dimora. 

Il  secondo,  pure  istromentato  per  Rartolommeo  di 
Capua,  è  il  celebre  Cap*  Ex  praesumptuome^  che  leg« 
giamo  sotto  la  rubrica:  Quod  Feudatatio  decedente 
ahsque  legitima  prole^  possessio  Feudi  usque  ad  anni 
circulum  in  modum  sequestri  stet  penes  Fiscum.  L'Au- 
tore di  questo  Capitolo  fu  Carlo  II  suo  ayo;  ma  poi- 
ché insino  ad  ora  non  era  stato  pubblicato,  Carlo  suo 

(a)  Tutiiii  de'  G.  Giust 


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àSo  STORIA  CIVILE 

nipote  per  mezzo   dì  questo   suo   editto  ordinò,  che 

qaello  si  dirulgasse,  e  che  tenacemente   si  osservasse. 

Sieguono  tre  altre  sue  Costituzioni  dettate  anche 
per  Bartolommeo  di  Gapua  riguardanti  il  tempo  ed 
il  modo  di  darsi  il  Sindacato  degli  Ufficiali,  che  si 
leggono  sotto  la  rubrica:  Quod  tempus  syndicationis 
non  Idbatur^  donec  acta  sint  compilata  et  assignata. 

Ne  sieguono  appresso  quattro  altre,  la  prima  co- 
mincia: Legem  veterem  Digestorufn\  la  seconda:  Volun* 
tas  liberà\  la  terza^:  In  forma  sigilli;  e  la  quarta:  Ac- 
cusatorum  temeritas\  tutte  istromentàte  per  Bartolommeo 
di  Capua;  e  portano  questa  data:  Dat.  Neap.  per  Bar* 
de  Capua.  etc.  A,  D.  i324  die  6  fehr,  7  indict.  Re- 
gnorum  Domini  patria  nostri  anno   i5. 

Abbiamo  un  altro  Capitolo  di  questo  Duca  tra 
quelli  della  Regìoa  Giovanna,  stabilito  per  lo  Vescovo 
di  Chieti  in  una  lite  che  tenea  con  Roberto  Morello, 
che  comincia:  Carolus  illustris ,  etc.  Ne  personarum 
easuy  etc.  Fu  parimente  dettato  da  Bartolommeo  di 
Capua  nel  mese  di  settembre  dell*  anno   i^3a2. 

Tra*  riti  della  6.  Corte  della  Vicaria  si  legge  ezian- 
dio un  altro  Capitolo  di  Carlo,  che  comincia:  Defe- 
stantes,  sotto  la  rubrica,  De  supplendis  de/ectihus  cau». 
sarumy  drizzato  a  Giovanni  de  Aja,  Reggente  della  G. 
Corte,  e  porta  questa  data:  Dat.  Neap.  A.  D.  1820 
die  28  Decemhris  3  indici,  Regnorum  dicti  Domini 
patris  nostri^  anho^  11. 

Pure  fra*  Capitoli  del*  medesimo  se  ne  legge  uno 
istromentato  per  li  Maestri  Razionali  :  si  tratta  in  quello 
di  cose  fiscali  attinenti  al  regal  J3atrimonio,  come  di 
falsa  moneta,  fìi  fatto  contro  coloro  che  falsificavano 
i  gigliati  ed  i  carlini^  e  per  questa  ragione  nella  dat$i 


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DEL  REGNO  DI  NAPOLI  L.XX.  CAIMX.  35i 

non  si  legge  il  nome  del  Protonotario  o  Ticeprotono* 
tario,  ma  solo:  Data  per  Magistros  Rationales.  Co- 
mincia: Carolus  illusiti s^  e  te.  Jam  saepe  y  ed  è  sotto 
il  tìtolo:  De  demolientihus  et  falsantibus  Liliatos^  Caro- 
lenos  et  incidentihus. 

(Questi  G/^//afi,  de' quali  il  Boccaccio  ^  come  mo- 
neta d' argento  del  Regno  a'  suoi  tempi  usitatissima , 
fa  memoria,  furono  così  chiamati  da'  gigli  ivi  impressi, 
siccome  vedesi  nel  libro  delle  Monete  del  Regno  di 
Napoli  del  Vergava  Tavola  io,  n.  7 ,  e  Tavola  1 1  , 
71.  5,  e  ragguagliava  il  lor  valore  a  quello  del  carlino). 

Questi  sono  i  Capitoli,  che  ci  lasciò  questo  savio 
e  giusto  Principe,  il  quale  essendo'  nell'anno  i328 
premorto  airinfelice  padre;  né  tenendo  Roberto  altro 
maschio,  a  chi  insieme  col  titolo  di  Duca  di  Calabria 
avesse  potuto  conferire  la  carica  di  Vicario  del  Regno, 
riprese  egli  il  governo  del  medesimo;  e  come  abbiam 
Tédulo,  molti  altri  Capitoli  per  mano  del  Vieepròto- 
notario  G.  Grillo  stabilì,  insino  che  nel  i343  essendo 
morto  senza  maschi,  lasciò  il  Regno  a  Giovanna  /. 
aua  nipote  figliuola  di  Carlo:  orìgine,  che  fu  dimoiti 
disordini  e  confusioni  nel  Regno,  tanto  che  così-  ella, 
come  i  suoi  successori,  regnando  in  continue  agita- 
zioni e  sempre  in  mezzo  alle  armi,  non  poterono  pen- 
sare alle  leggi.  Per  questa  cagione  della  Regina  Gio- 
Vanna  non  abbiamo  se^  non  che  pochi  suoi  Capitoli , 
rifatti  per  gli  Ufficiali,  e  buono  stato  del  Regno^  non 
che  intendesse  per  quegli  stabilir  cose  nuove,  come 
ella  stessa  lo  dice:  Condita  sunf^  Capitula  infrascripta 
modica,  et  quasi  nulla  slatuentia  nova.  Sed  solum  re- 
memorantia^  et  reformantid  jura  antiqua  et  Capitala^ 
quae  per  abusum  malorum  Ofjicialium  minime  fuerunt 


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352  STORIA  CIVILE 

observata  modernis  temporibus  (a).  E  degli  altri  R^ 
angioini  suoi  succeé&orl,  toltone  quel  celebre  Capitolo 
di  Ladislao^  dove  proibisce  a^Notari  vassalli  stipulare 
istrojnenti  de'  loro  Baroni  ;  ed  iin  altro  della  Regina 
Isabella  come  Vicarìa  del  Regno,  lasciata  dal  Re  Re- 
nato suo  marito^  cbe  si  legge  tra-  Riti .  della  G.  Corte 
della  Vicaria,  non  abbiamo  l^ggé  o  costituzione  alcuna» 

Ecco  di  quali  leggi  si  compone  il  volume,  che  ora 
noi  chiamiamo  de'  Capitoli  del  Regno-,  ecco  i  loro  au- 
tori: Carlo  /,  Carlo  II,  Roberto,  Carlo  suo  figliuolo, 
e  Giovanna,  uno  di  Ladislao y  ed  un  altro  d' Isabella- 

Sin  da  che  furono  pubblicati,  ebbero  chi  con  note, 
e  chi  finalmente  con  pieni  commentarli  gF illustrasse. 
Il  primo  fu  Bartolommeo  da  Capua,  che  vi  fece  al- 
cune picciole  noti?»  Giovanni  Grillo  da  Salerno^  anche 
famoso  Giureconsulto  di  que' tempi,  che  dopo  la  morte 
di  Bartolommeo  fu  Viceprotonotario  del  Regno.  Il 
celebre  Andrea  d'Isernià  pur  vi  fece  alcune  note.  Nel 
Regno  di  Giovanna  I.  Sebastiano  Napodano  e  Nicolò 
da  Napoli^  Sergio  Donnorso^  che  fu  M.  Razionale  della 
G.  Corte  e  Viceprotonotario  (6),  e  Luca  di  Penna ^ 
anche  vi  notarono  alcune  cose.  Seguirono  da  poi  a 
-far  il  medesimo  Nicolò  Super anzioy  Pietro  Piccolo  da 
Monforte,  Gio.  Crispano  Vescovo  di  Chieti^  Fabio 
Giordano,  Gio.  Angelo  Pisanello^  Marc  Antonio  Polve* 
rino^  ed  il  Regio  Consigliere  Giacopo  Anello  De  Bottis. 
Finalmente,  per  tralasciarne  alcuni  .che  vi  fecero  pic- 
ciolissime  note  di  niun  momento,  Gio.  Antonio  De  Ni- 
gris  di  Campagna  4  città  posta  nel  Principato  citra, 
non  ignobile  Giureconsulto,  negli  ultimi  tempi  di  Car- 

{a)  Gapit.  Reg.  Joannae  prò  statu  Regni ,  «te.  (b)  Pier*  Vinc. 
de  Prot.  i35i  pag.  90. 


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DEL  REGNO  DI  NAPOLI  L.XX.  CAP.IX.  353 
lo  y,  e  propriamente  nell'anno  i546  alle  note  di  Bar* 
tòlommeo  di  Gapua,  di  Sebastiano  e  Nicolò  di  Na- 
poliy  e  di  Luca  di  Penna,  aggiunse  i  suoi  più^ififusi 
commentarii. 


FINE    DEL    LIBRO    TEIITESINO. 


23 


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STORIA   CIVILE 


DEL 


REGNO  DI  NAPOLI 


LIBRO  VENTESIMOPRIMO 


JLia  morte  del  Re  Carlo  I  accaduta  in  Foggia  nel 
cominciar  del  nuovo  anno  i385  siccome  fu  opportuna 
al  Re  Pietro  d'Aragona,  non  solo  per  averlo  stabilito  nel 
Regno  di  Sicilia,  ma  anche  per  avergli  tolto  il  pericolo 
di  perdere  i  suoi  patemi  Regni,  invasi  da  Filippo  Re  di 
Francia,  così  fu  acerba  e  lagrimevole  al  Regno  di  Pu- 
glia, ed  al  Principe  Carlo  suo  figliuolo;  poiché  rimase  il 
Regfao  non  solo  esposto  airinvasione  di  Ruggiero  di  Lo- 
ira,  il  quale  avendo  preso  Cotrone  e  Catanzaro,  ed  al- 
cuni altri  luoghi  di  quella  provincia,  minacciava  le  altre 
vicine  regicrni;  ma  anche  perchè  si  vide  senza  Ree  senza 
governo,  per  la  cattività  del  Principe  di  Salernp,  che 
dovea  succedere  al  Regno,  il  quale  era  ritenuto  pri- 
gione in  Spagna.  Essendovi  per  tanto  sòl  rimasa  Y  in- 
felice Principessa  Maria  sua  moglie,  con  Carlo  Mar'» 
fello  primogenito  del  Principe,  che  allora  non  avea 
più  che  tredici  anni:  il  Pontefice  Martino  per  profit- 
tare deir  occasione,  vi  rimandò  subito  Gerardo  Car- 
dinal di  Parma  Legato   appostolico,  perchè  insiemo 


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DEL  REGNO  DI  NAPOLI  LIB.XXL      355 

«olla  Principessa  lo  governasse.  Ma  Filippo  Re  di 
Francia  dolorosissimo  della  morte  del  Re  suo  zio,  du- 
Uìando  che  la  compagnia  del  Legato  con  una,  donna , 
ed  un  fanciullo,  non  recasse  pregiudizio  alle  supreme 
regalie  del  Principe,  vi  spedì  tosto  Roberto  Conte  di 
Artois  suo  figliuolo  ^a),  perchè  avesse  cura  della  Gasa 
regale,  e  prendesse  egli  il  governo  del  Regno.  G<>ntut''* 
tociò  per  lo  bisogno,  che  s'avea  allora  del  Pontefice,  e 
per  r  accuratezza  del  Legato,  non  ne  fu  questi  esclùso; 
anzi  seppe  far  valer. tanto  la  sua  autorità,  che  fatto 
convocare  in  quest'  istesso  anno  un  Parlamento  in  Melfi 
di  molti  Prelati  e  Baroni,  stabili  alcuni  Capitoli  (h) 
per  lo  buon  governo  del  medesimo,  per  dovergli  con- 
ferire col  Pontefice  Martino,  affinchè  confermati  da 
eostui,  si  fossero  poi  pubblicati,  e  fatti  osservare  nel 
Regno  come  sue  leggi,  come  diremo. 

Intanto  Re  Pietro,  vedendosi  per  la  morte  di  Car- 
lo ,  sicuro  del  Regno  di  Sicilia  andò  subito  colle  forze 
siciliane  ad  opporsi  in  Aragona  al  vittorioso  Re  di 
Francia,  il  quale  avea  già  preso  Perpignano,  Girona 
e  molte  altre  terre  di  quel  Regno,  per  acquistarlo  a 
Carlo  di  Yalois  suo  figliuolo  secondogenito,  che  n*a- 
vea  avuto  il  titolo  e  T  investitura  dalla  Chiesa  roma- 
na; e  benché  si  trovasse  con  forze  assai  dispari,  per 
lo  grandissimo  ardir  suo  naturale,  accresciuto  dal  fa- 
vor ilella  fortuna  sino  a  quel  dì,  volle  attaccar  la  bat- 
taglia; ma  rotto  il  suo  esercito,  ed  egli  rimasto  feri- 
to, a  gran  pena  ritirandosi,  si  salvò*  a  Yillafranca, 
dove  di  la  a  pochi  giorni,  a*  6  ottobre  di  quest'an- 
no u85,  trapassò.  Re  certo   degnissimo  di^Iode  e  di 

(a)  Gollen.  lib.  5.  Costanzo  lib.  3  in  princ.  {b)  Moles  de- 
cis.  6  $    I.  Jo.  Frane.  Marcian.  disp.  3. 


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356  STORIA  CIFILK 

memoria  eterna;  poiché  cofi  pfochissime  forze,  coir  arte 
e  eoa  riadustria,  «olo  difese  da  due  Re  potentissimi, 
e  da  un  Papa  acerbiaaimo  nemico,  due  Regni  tanto- 
distanti  l'uno  dair altro,  trovandosi  senile  pronto  colla 
persona  ove  il  bisogno  richiedeva  che  fosse.  Di  lui 
rimasero  quattro  figliuoli  maschi.  Alfonso^  Giacomo^ 
Federico  e  Pietro^  e  due  femmine.  Isabella  e  Violante. 
Ad  Alfonso  lasciò  il  Regno  d'Aragona,  ed  a  Giacomo 
quel  di  Sicilia ^  con  condizione,  ohe  se  Alfonso  mo- 
riva senza  figliuoli,  Giacomo  gli  succedesse  in  quel 
Regno  e  nella  Sicilia. 

Certamente  ii  Regno  d'Aragona,  per  la  morte  di 
Re  Pietro,  sarebbe  venuto  in  mano  de'  Franzesi  se 
non  r  avesse  salvato  da  una  parte  una  gravissima  pe« 
stilenzia^  che  venne  all'  esercito  del  Re  di  Francia  ;  e 
dall'altra^  la  gran  virtù  di  Ruggiero  di  Loria,  il  quale, 
fin  dentro  il  Porto  di  Roses,  andò  a  brupìare  Far- 
inata franzese,  dopo  l' incendio  della  quale  fu  costretta 
Re  Filippo  di  ritirarsi  a  Perpignaaq,  per  aver  perduta 
la  comodità  delle  vettovaglie,  che  gli  somministrava 
Tarmata;  ed  infermato  in  Perpignano,  passò  di  que» 
sta  vita  quest'anno  a'  a 3  di  settembre,  e  gli  succede 
Filippo  il  Bello  suo  figliuolo. 

Fu  quest*  anno  anche  lugubre,  per  la  morte  di  Papa 
Martino,  il  quale  a'  9t8  di  aftarzo  isSS  (a)  morì  in 
Perugia,  e  tosto  in  suo  luoga  fu  rifatto  Onorìo  IV 
romano,  della  nobilissima  famiglia  Savelli. 

Papa  Onorio'  calcando  l' orme  del  snio  predecessore, 
ancorché  italiano,  fii  tutto  inteso  a  favorire  la  Gasa 
d' Angiò,  e  neiristesso  tempo,  {yer  mézzo,  del  Legato 
Girardo  fece  provvedere  a'  bisogni  del  vedovo  Regno; 

(a)  Giacon.  dice  a' 27  di  Mano. 


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DEL  REGNÒ  DI  NAPOLI  LIB.XXI.       35? 

e  perchè  il  Conte  d'Artois»  il  quale  avendo  ifttesa  la 
aiorte  del  Re  Pietro,  e  che  pet  testamento  avea  la* 
sciati  divisi  i  Regni,  era  entrato  in  isperanza  di  rico* 
vrar  la  Sicilia  di  mano  dei  Re  Giacomo,  «nde  avea 
tutti  i  suoi  pensieri  a  qneiVimpresa'  rivolti;  yoUe  an*- 
cor  Onorio  profittando  deir  occasione  intrigarsi  nel 
governo  civile  del  Regno,  ed  a  provvederlo  di  nuove  ^ 
leggi  conformi  alli  desiderj  de' Baroni,  ed  universalmen«> 
te  di  tutti  i  Regnicoli;  ma  più  d' ogni  altfo  a  ristabilire 
i  privilegi  ed  immunità  -  delle  persone  ecclesiastiche 
di  quello.  A  qii^sto  fine  con  una  sua  particolar  B0IÌ4 
«pedita  a*  17  settembre  di  quest'anno  t28S  confermò 
que*  Capitoli,  che  Carlo  Principe  di  Salerno  mentr'era 
Ticario  del  Regno  statuì  nel  Piano  di  S.  Martino; 
ma  que'  soli  che  riguardavano  T  immunità  e  privilegi 
degli  Ecclesiastici,  la  qual  Bolla,  esemplata  dal  suo 
originale,  che  si  conserva  nelV  Archivio  della  Trinità 
della  Cava^  si  trova  anche  inserita  da  Ferdinando  I 
d' Aragona  nelle  nostre  prammatiche,  ed  è  tutto  altra, 
come  si  disse,  di  quella,  della  quale  saremo  ora  a 
ragionare. 

CAPITOLO    I. 

De  Capitoli  di  Papa  Onohio  IY^   e  tjual  uso 
ed  autorità,  ebbero  nel  Begno^ 


ijhiunque  considererà  lo  stato  lagrimevole,  nel  quale 
per  le  avversità  del  Re  Carlo  I,  e  per  In  prigionia  ddi 
Principe  suo  figliuolo,  erasi  ridotto  questo  Reame,  npo 
6Ì  maravìglierà  com^  il  Pontefice  Onorio  abbia  potuto 
innsJjsar  tanto  la  sua  autorità  sopra  il  medesimo,  sio- 


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358  STORIA  CIVILE 

che  a  sao  arbllrìo  si  veg^a  impoir  leggi  non  pttre  sa 
nostri  Baroni  e  ad  altri  Regnicoli,  ma  a'  Regi  stessi, 
trattandogli  come  suoi  sniditi  e  yen  Tasealli.  Il  biso- 
gno che  s'ayea  in  questi  iempi  cotanto  a  loro  avver- 
si, de*  Pontefici  romani,  fece,  che  il  Principe  Carlo 
mentr^era  Vicario  del  Regno  si  ponesse  sotto  la  prote- 
zione del  Pontefice  Martino,  ailora  vivente,  al  quale 
diede  ampio  potere  di  regolare  il  governo  di  quello , 
e  di  rimettere  a  lui  lo  stabilimento,  ed  il  modo  in- 
torno airesdzion  delle  collette,  e  di  ridurle  eonformè 
a'  tempi  del  buon  Re  Guglielmo,  e  di  dar  sesta  alle 
gravezze  de'  suoi  sudditi.  Il  Cardinal  di  Parma  fece 
dal  canto  suo  quanto  potè ,  ma  non  finì  di  perfezio- 
nare l'opera  con  Martino  ^  comq  fece  poi  col  Ponte- 
fice Onorio^  il  quale  pose  mano  non  solo  a  stabilir  H 
modo  di'  quest'esazione,  ma  diede  molti  regolamenti 
intorno  ad  altre  più  gravi  e  rilevanti  cose,  alla  sue* 
cession  feudale,  e  sopra  altri  punti  non  appartenenti^ 
che  al  suprema  imperio  del  Principe. 
•  L' origine  però  di  tali  intraprese  deve  riportarsi  pia 
indietro,  cioè  a  quelle  gravi  e  pesanti  condizioni  apr 
poste  neirinvestitura,  che  Papa  Clemente  IV  fece  del 
Regno  a  Carlo  L  Questo  Principe  mentre  durò  la 
sua  prospera  fortuna^  non  si  ciìrò  molto  d'osservarle, 
ed  intorno  alle  esazioni  delle  collette  e  delle  altre  sov- 
venzioni continuò,  ficcome  le  ritrovò  in  tempo  del  Re 
Manfredi;  anzi  per  essere  un  Principe  assai  diligente 
in  conservare  le  sue  ragioni  fiscali,  mostrò  maggior 
acerbità,  che  gli  altri  siioi  predecessori.  Ma  soprav- 
venute da  poi  le  disgrazie  di  Sicilia,  allora  il  Prin- 
GÌpe  di  Salerno  suo  figliuolo  per  acquistar  benevo- 
lenza da'  sùdditi  ;  in  que'  Capitoli  stabiliti  nel  Piano 
di  S.  Martino,  ordinò  che  tal  esazione  dovesse  ridursi 


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DEL  REGNO  DI  NAPOLI  L.XXI.CAP.L  SSg 
conforme  a'  tempi  del  buon  Guglielmo;  ma  poiehò 
non  vi  era  chi  di  tol  nso  e  modo  potesse  rt^nder  te* 
dtimoniaiiza,  fu  rimesso,  come  si  disse,  al  Pontefice 
Martino  allora  vivente,  che  dovesse  stabilirlo  con  sen* 
tire  i  Sindici  delle  città  e  delle  terre ,  che  V  infor^ 
massero  dello  stato*  delle  lorb  Gomunitàà 

Il  Pontefice  Mattino  per  la  morte  accaduta  del  Re 
Carlo,  e  per  la  prigionia  del  Principe  di  Salerno,  ri- 
mandò subito  il  Cardinal  di  Parila  suo  Legato  in  Na« 
poli.  Questi  appena  giunto,  pensò  prima  d'ogni. altra 
Cosa  vantaggiare  l'ordine  ecclesiàstico;  onde  fece  con- 
vocare in  Melfi  i  Prelati  del  Regno,  e  nei  dì  38  marzo 
dell'anno  19 85  nel  quarto  anno  del  Ponteficato  di 
Martino  •  stabilì  alcuni  Capitoli  riguardanti  il  favore 
della  giurisdizione  ed  immunità  ecclesiastica^  che  pro- 
curò ampliare  quanto  più  potesse  (a)»  E  questi  Capi* 
toli  né  da  Onorio,  ne  da  Martino  furono  confermati , 
perchè  fatti  dal  Cardinal  Gerarcfo  nei  tempo  istesso^ 
che  morì  Martino  ;  pnd' è ,  che  allegandosi  alle  volte 
da  Matteo  d'Afflitto  (&)  si  nominano  Capitoli  di  6e* 
rardo^  come  si  fede  nella  costituzione  praesente  ^  ovo 
n'allega  uno  ex  Capitulis  Gerardi^  che  comincia:  Ca<* 
pientes' Ectìlesianim  et  locorum^  etc.  (e).  Questi  Ca- 
pitali di  Gerardo  è  da  credere,  che  uell' età  d' AfjFlitto 
si  leggessero  M.  S.  poiché  non   vi  è  notizia,   che   si 

(a)  Keg.  Moles  decis»  i  $  i  iiunì,  i  q*  (b)  Regi  Moles*  loc« 
«it.  nuro.  i3  et  i4-  Haec  ergo  Capitala  non  ab  Honorio,  sed 
a  Martino  ejus  praedecessore  fuerunt  facta ,  et  de  eis  menìinit 
Afìflict.  in  constit.  Regimi  incip.  praesente ,  in  ejus  rubrica , 
et  in  contìnuàtione  ipsius ,  cium  allegai  uuUm  ex  dictis  Capi-* 
tùUs  Gerardi,  quod  incipit  «Cupiens,  etc.  (e?)  Afìflict.  ad  Co- 
stit.  Reg.  tit.  de  administr*  rer.  £ccles.  post  mortexQ  Prael* 
in  rubr. 


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36o  STORIA  CIVILE 

fossero  mai  impressi,  e  che  poi  di  loro  si  fosse  per« 
duto  ogni  vestigio,  come  inutili:  o  tanto  pia  fecer 
quelli  sparire  i  Capitoli  di  Onorio^  p«r  li  <{uali  far 
dati  più  aci^urati  e  nomerosi  regolamenti. 

Ma  essendo  da  poi  sopraggiunto  in  Napoli  il  Conte 
d^Artois  mandato  dal  Re  di  Francia,  perchè  come 
Balio  governasse  ^li  la  Gasa  ed  il  Regno  del  Prìn- 
cipe suo  cugino:  il  Legato  seppe  far  tanto,  che  non 
fìi  escluso  affatto  dal  governo,  ansi  la.  sua  accortezza 
e  più  il  bisogno,  che  n  avea  allora  del  Pontefice^  fe- 
cero, che  insieme  colla  Principessa  Maria  ed  il  Conte 
k)  governasse.  Ma  questi  distratto  dalle  cose  militari , 
per  la  guerra  che  ardea  allora  per  la  rìcupera.zione 
della  Sicilia,  non  potè  badar  molto  al  governo  civile 
e  politico;  onde  morto  il  Pontefice  Martino,  e  rifatto 
Onorio  in  $uo  luogo,  si  pose  costui  colle  istruzioni 
del  Legato  Gerardo  a  stabilire  nuovi  Capitoli,  che  sono 
i  veri  Capitoli  di  Papa  Onorio. 

Nel  che  son  da  notare  i  vari  errori,  che  presero  i 
nostri  Dottori  intomo  all'Istoria  di  questi  Capitoli, 
de'  quali  non  fu  nemnieno  esente  ristesse  Reggente 
Moles  (a),  che  con  '  più  accuratezza  di  tutti  gli  altri 
ne  scrìsse;  poiché  e'  credette,  che  il  Conte  d'Artoia 
fbsse  stato  costituito  Balio  del  Regno  da  Onorio,,  af- 
finchè insieme  col  Cardinal  di  Parma  lo  governasse, 
e  che  perciò  questi  Capitoli  fossero  stati  drizzati  da 
Onorio  così  ali*  uno,  come  air  altro.  Più  gravi  furono 
gli  errori  del  Reggente  Gio.  Francesco  Marciano  (i), 
il  quale  scrisse,  che  il  Principe  di  Salerno,  méntr'era 
Vicario,  mandasse  a  supplicare   il  Pontefice  Martino^ 


(a)  Reg.  Moles  loc.  cit.  nu.  i6.  (b)  Jo.  Frane.  Marc  disp.  3 
num.  I. 


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DEL  REGNO  DI  NAPOLI  L.XXL  CAIM.  36t 
cbe  gli  inviasse  un  Legato  appostolico,  perchè  rì£r>r< 
Alasse  lo  stato  del  Regno,  e  lo  riducesse,  stocome  era 
A.el  tempo  del  Re  Guglielmo,  e  che  perciò  gli  maa^ 
dasse  il  Cardinal  di  Parma;  quando  tal  rifema  dovea 
farsi  dove  risedeva  iì  Papa,  ove  pereiò  rvea  il  Prin* 
cipe  coo^andato,  che  sì  mandassero  i  Sindici  delle  terre* 
Questo  ^Cardinale  fu  mandato  prima  in  Sicilia  per  ae* 
correre  a  quella  rivoluzione,  e  da  poi  portossi  in  Na-» 
poli.  Ma  dòpo  la  prigionia  d^l  Principe,-  el  il  ritorno 
di  Carlo  I  da  Francia,  il  Cardinale  erasi  portato  dal 
Papa;  e  fu  mandato  dal  Pontefice  Martino  di. nuovo 
quando  intese  la  morte  del  Re  Carlo,  affinchè,  assu* 
messe  il  governo  del  Regno;  ed  allora  avendo  intese 
le  querele  de'  Regnicoli  intomo  air  esaaione  delle  col* 
lette  ed  i  desideri  de'  Baroni,  perchè  s'allargassero  i 
gradi  della  successione  feudale;  di  tutto  ciò  ne  fece 
eon  varie  istruzioni  ed  informazioni  partecipe  il  Pon« 
tcfice  Martino,  acciocché  vi  dasse  rimedio,  e  gli  mando 
ancora  que^  Capitoli,  che  il  Principe  di  Salerno  avea 
stabiliti  nel  Piano  di  S.  Martino*  Ma  il  Papa  soprag- 
giuntò dalla  mòrte,  non  potè  far  niente  j  onde  rifatto 
in  suo  luogo  Onorio,  questi  trovandosi  allora  i^  Ti* 
voli  a*  17  di  settembre  di  quest'anno  laSS  .con  una 
particolar  sua  Bolla  confermò  que'  Capitoli  fatti  da 
Cnrio  nel  Piano  di  S.»  Martino,  attenenti  al  favore  del- 
F immunità  ecclesiastica,  che,  come  si  è  detto,,  sta. 
inserita  nelle  nostre  prammatiche,  e  nel  medesimo  dt 
stabilì  qnesti  nuovi  Capitoli,  li  quali  mandò  al  Car- 
dinal di  Parma  sUo  Legato,  che  sono  i  veri  Capitoli 
di  Papa  Onorio^  perchè  quelli  confermati  da  lui  nella 
Bolla,  che  si  legge  nelle  nostre  prammatiche,  non  sono 
suoi,  ma  di  Carlo  .Principe  di  Salerno^ 

I  Capitoli,  che  dal  Pontefice  Onorio  furono  con  t&l 


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36a  STORIA  CIVILE  ^ 

occasione  stabiliti,  iìirono  molti,  parte  riguatdasti  IL 
modo  per  resacionè  delle  collette,  parte  in  favpr  dei 
Baroni,  e  parte  in  beneficia  uniyersalq  del  Regno; 
potcBè  intorno  alla  libertà  e  favore  dell'  Ordine  cc- 
desiastico  area  egli;  provveduto  a  bastanza  colla  eon-» 
ferma,  che  fece  de'  Capitoli  del  Principe  di  Salerno.  • 

*  Intorno'  air  esazione  delle  collette,  stabili,,  che  in 
quattro  soli  casi  fosse  lecito  al  Re  d' imporle  a'  suoL 
sadditi:  ciò' eh  «eccedeva  il  potere,  che  gli  fu  dato  dai 
Principe  di  Salerno,  il  quale  solamente,  gli  commise, 
che  doTcsse  riformare,  non  stabilire  i  casi  ove  potesse 
imporgli:  i  casi  erano  questi  :  I.  Per  difesa  del  .Re* 
gno,  se  accadesse  esser  quello  inraso,  ovvero  se  ac« 
caderà  ribellione,  o  guerra  civile  permanente,  e  non 
simulata.  II.  Se  accadere  doyersi  riscattare  la  p^sona, 
del  Re  da  mano  de*  nemici,  ne'  quali  due  casi  stabi- 
lisce la  somma  di  So  mila  once  d'oro.  III.  Quandoi 
accadere,  che  il  Re  voglia  armarsi'  col  cingolo  mili- 
tare,  ovvero  suo  fratello,  o  alcuno  de'  suoi  figliuoli, 
nel  ohe  vuole,  che  l'esazione  non  trapassi,  la  somma 
di  13  mila  once.  lY.  Per  maritar  sua  figliuola,  o  so-t 
rella,  o  alcuna  delle  sue  nipoti  descendeoti  per  linea 
retta:  stabilendo  la  somma  di  i5  mila*  once*.  Ed-  in 
tutti  questi  casi,  che  una  sola  vòlta  Tanno,  e  non 
più  potessero  imporsi,  se  pon  quando  il  bisogno,  o 
altre  circostanze  da  conoscersi  da  lui ,  non  ricercas- 
sero altrimenti. 

,  Stabilì  «noora  molti  altri  Capitoli  riguardanti  la  mu- 
tazione delle  monete,  omicidi  e  furti,  che  debba  il 
Re  astenersi  dall' alienazione  de'  deinaniali  del  Regno* 
Tolsegli  ancora  la. facoltà  contro  i  feudatarii^  che  tea* 
gono  feudi  piani:  che  i  matrìmonj  debbano  eisser  li- 
beri, to{{liendo  l' assenso  del  Re ,  che   prima  si  ricer- 


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DEL  REGNO  DI  NAPOLI  L.  XXI.  GAP.  L  363 
cava  in  quegli  de*  Baroni.  Diede  ancora  si  òhi  altri 
provvedimenti  intorno  a'rìlevi,  adoe,  eò  altri  adiutorìi* 
da  prestarsi  da*  Baroni  al  Re  :  ampliò  la  successione 
feudale  a  beneficio  de*  Baroni  :  che  il  jus  Francorutm 
abbia  luogo  non  meno  nella  successione  de*  figliuoli  ^ 
che  de*  fratelli.  Provvide  intorno  ali* elezione  degli  U^ 
fidali,  e  diede  altri  regolamenti  €opra  diversi  capi, 
che  oltre  di  leggersi  nella  sua  Bolla,  possono  vedersi 
presso  il  Vescovo  Liparulo  (a),  e  Gio.  Francesco  Mar- 
ciano (t). 

Questi  Capitoli,  testifica  il  Recente  Moles  {e),  che 
furono  lungamente  conservati  nell*  Archivio  regio,  ed 
allegati  come  leggi  da*  nostri  Professori.  Il  Reggente 
Marciano  (^  anche  attesta,  che  un  autentico  transunto 
de'  medesimi  si  conserva  nell*  Archivio  della  Trinità 
della  Cava  insieme  coli*  originai  Bolla  dì  Papa  Ono- 
rio, fatta  in  confermazione  de* Capitoli  del  Principe  di 
Salerno  nel  Piano  di  S.  Martino;  ed  il  ReggentV  Mo- 
ks  (e)  dice  da  quelV  Archivio  averne  egli  avuta  una 
Copia  estratta  da  quella  originai  Bolla.  (/).  E  narra  Gio^ 
vanni  Francesco  Marciano,  che  il  Reggente  Molea  ed 
il  Consigliere  Orazio  Marchese,  per  aver  copia  coal 
di  detta  Bolla,  come  de*  suddetti  Capitoli,  mandarono 
Marcello  Marciana  suo  padre,  allora  Avvocato,  in  quel 
monastero  per  estrarla.»  come  fece;  e  che  que'due  cele* 
bri  Giureconsulti  a*  suddetti  Capitoli  v*  aveano  fatto 
un  pieno  Commentario  per  darlo  alle  stampe.  Ma  che 


(a)  Lipar.  ad  Andr.  in  cap.  :^de  nat.  success,  feud.  sub 
num.  I  ante  addit.  vers.  capitulum,  lit.  B.  (b)  Marcian.  disp.  3 
n.  5.  (e)  Moles  decis.  i  §  i  numcr.  19.  (d)  Marc.  loc.  cit. 
su.  3.  (e)  Moles  loc.  cit.  n.  34>  (/)  Y«  de  Ros.  iu  praeL 
feud.  nu.  4^' 


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à64  STORIA  CIVILE 

•Sfinendosi  mandato  il  libro  in  Gasa  del  Consigliere  Gìz^ 
zarelio  destinato  alla  revieione  de'  libri,  essendo  una 
notte  accaduto  un  incendio  nella  libreria  di  quel  Con* 
aigliere,  restò  quello  bruciato  con  tutti  gli  altri  libri. 
E  cosi  ciò,-  che  io  tanti  giorni,  con  tanti  sudori  e  tì-. 
gUie  erasi  fatto,  una  sola  notte  tolse  ed  estinse. 

Noi  abbiamo  avuta  la  sorte  d' aver  in  mano  un  an« 
tìco  Camerario^  che  fu  di  Marcello  Marciano,  devo 
evri  questa  copia  MS.  eh'  egli  estrasse  dairArchÌTÌQ 
della  Cava,  la  quale  avendola  noi  riscontrata  coir  ori- 
ginale, che  ivi  si  conserva,  abbiam  reputato  farla  qui 
imprimere,  essendo  conforme  a  quella,  che  Mainai* 
do  (a)  impresse  ne*  suoi  Annali,  eh'  e'  dice  aver  estratti 
dall'  Archivio  del  Vaticano. 

Capitulà  Papae  Honorii. 

XlovoRiDS  Episcopus  Servus  Servórum  Dei  ad  per* 
petuam  rei  memoriam.  Justitia  et  pax  complexae  sunt 
se,  ita  societate  indissolubili  societae  tuentur,*  sie  ao 
comitatu  individuo  comitantur,  ut  una  sine  altera  piane 
non  possit  haberi,  et  qui  laedit  alterutram,  pariter  of- 
fendant  utramque.  Hinc  compleius  earum  graviter  im- 
peditur  injurìis,  per  eas  etemm  laesa  Justitia,  Pax  tur- 
batur,  ipsaque  turbata,  facile  in  guerrarum  discriminn 
labi  tur.  Quìbus  invalescentibus  justitia  inefficax  redditur, 
dum  et  debitum  sortiri  nequit  effectum;  sicque  ìpsa  su- 
blata^  nimirum  pax,  tollitur  opus  ejus,  et  ipsius  frnctus 

{a)  Raynald.  AddsL  Eccles.  ano.  ia85.  (  Furono  anche 
impressi  questi  Gapftoli  di  Papa  Onorio  da  Lunig,  e  ai  leg* 
gono  nel  2.  Tom.  Cod.  Oiplomat.  Italiae  pag.  io33  ). 


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DEL  REGNO  DI  NAPOLI  L.XXI.  GAP.  I.  365 

•obducitpr  seminandus  in  pace,  ab  proihde  complexie 
deficientibua,  necesaario  deficit  et  complex\i8,  in  horiim 
irero  defeetu  Ucentia  laxata'disaidiis  mokipiicantar  bel- 
la,  pericola  anbeiint,  aiiimamm,  -et  corporum  criroina 
frequentantur.  Nec  rerum  vastitas  praeteritar.  Haeo  in 
praesidentium  injuriosis  proceaaibas,  et  induptaran^.in 
subditofi  oppresaionum  excessibus  p&tent   apertiua,    et 
evid^ntius  oetendantur.  In  quorum  multiplicatione  san- 
ciantur  corda  laéaorum;  et  quantominas  datur  oppor* 
tonitaa  licite  propulsandi,  quae  illicite  inaenintur,  tanto 
rancor  altiua  radicatur  .  interius,  et  perìcuiosius  prò* 
rumpit  exterina  opportunìtate    concessa.    Fiunt   enim 
plerumque  hoates  ex  subditia,  tranaeunt  auxilin  seca* 
ritatis  in  metum^  munitionea  in  formidìnem  convértun- 
tur,-  nutant  Regnantium  Solia,  redundant  Regna  peri- 
culis' intestlnis,  qnatinntur  inaidìis,  extrinaecia  insulti* 
bus  impetuntùr  andacius,  et  regnantes  in  eia,  qui  ope- 
rantes  justitiam  exaltatienis  gloriara  merentur,'  bumiliati- 
propter  iirjnstitiaa  frequenter  in  •  opprpbrium  dejectio- 
nis    incurrunt.    In  praemissis   etsi  scrlpturae   nos  in- 
Btruant,  efficàcios  tamennotis  docemur  exemplia.  Quantia 
enim  tempore,  quo  Frideridi  olim  Roraanorum  Impe- 
ratoris  propter  illatas   Regnicolis   afflictionea  illicitas^ 
et  oppressiones  indebitaa  in  Regno  ^iciliae  non  abaque 
immensi  late    gravaminura  inductas  ab  ipso,  Regnum 
ipsum  tenjpestatibus  fluctuarit;  quot,  et  quantia  rebeL 
lionibus  concussum  extiterit,  quot  invasionibus  atten- 
tatum,  quantum  per  ipsum,  et   poateroa  auos  depau- 
peratum  opibus;   quot  incolarum   exiliia,   et  stragibua 
diminutum,  nullum  fere  angulnm  Orbis  latet;   quam 
prae^ipiti  Fridericùs  idem^  et  genus  ipsius  raina  cor«- 
ruerunt  probat  notorius  casus  ejus,  et  manifeatum  eo- 
rumdem  exterminium  posterorum.  Yenim  adeo  Fride- 


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366  STORIA  CIVILE 

liei  ejnsdem  in  dietis  continuata  ^  et  aucta  posterìa^  se 
in  alios  exemplari  derivatione  transfusa  processit  ini- 
quìtaa,  quod  per  eum  inventa  gravamina  U3C[ue  ad  haee 
tempora  duravisse^  nec  non  .et  augumentata  dicuntur 
.aiiqna  eorundeni,  et  adjeeta  Aihilotninus  alia  non  mi- 
nora; propter  quod  nonnullorum  suppooit  opinio,  quod 
clarae  memoriae  G.  Regem  Siciliae,  quem  prosccutio- 
nis  dictoram  gravaminum  eorumdem  Friderici,  et  po- 
sterorum  permcioda  exeinpla  fecerunt  saltem  permia- 
sione  participétn,  dum  opinaretur  forsilan  licita»  quae 
ab  illis  audiverat  tam  longis  temporibus  usurpata:  red- 
diderunt  efiam  praedictorum  consequentium  ad  illa 
ditiicriminam  non  prorsud  expertem,  prout  Sleulorum 
rebellio  multis  onusta  periculis,  aliorumque  tpsain  fo- 
ventium  persecutio  manifestant  non  solum  in  ejusdem 
BegÌ9^  ab  haéredum  suorura  .grave  adeo  cxcitatae  di* 
Kcrimine,  quod  ipsis  baeredibus,  nisip^r  nos  celerius 
occurratur,  praetactorum  subduotione.  gravaminum  in- 
stana perditionis  totius  dicti  Regni  perioulum  commi^ 
nsntur;  sed  et  in' grande  nostrc^um,  et  Ecclesiae  Ro- 
manae  dispendium.  prorogatae:  cum  sit  per  eas  in  Si- 
ciliae Insula^  et  in  nonnullis  aliis  ejusdem  Regni  par- 
,tibu8  ipsarom  incolis,  nec  nobis,  nec  Ecclesiae  ipsi 
parentibus,  sed  adbaerentibus  potius  inimicis,  nostra, 
ci  ipsius  Ecclesiae  givilis  intervcrsa  possessio,  et  in 
caetcrarum  aliquibus  turbata  frequentius,  et  turbetur. 
Ex  quo  datur  patenter  intelligi  quantum  in  iia  nostrum, 
et  Ecclesiae  praefatae  interesse  verse  tur^  quantumque 
ad  nostrum  spectet  officium,  et  baeredum  ipsorùm 
praecipue  necessitas  exigat,  non  tantum  praemissis  o- 
•bortis  in  eodem  Regno,  quod  est  ipsius  Ecclesiae  $pe« 
eiale^  tanquam  ad  jus,  et  proprietatem,  ejus  pértinens, 
^etisque  Regi,  et  haeredibns  in  ftjudum  ab  ipsa  con- 


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DEL  REGNO  DI  NAPOLI  L.XXL  CAP.L  367 

•eseum  obvìare  périculis.  9ed  etìam  ne  similta  oriaa- 
tur  in  podterum,  diligentem  curam,   et  curiosam  dilì- 
genttam  adhibere,  praetaeta  gravanuna  eorundem  pe- 
riculorum,  ut  yerì^atl  concurfat  expres^o  *nianife«ta» 
oocasiones    et  causas-  coBgruae    provisionU   beneficio 
abrogando.  Cum  proprìetatis  Domino  praedium,  in  quo 
edt  jus  alii  constttutum  prò  eo.,  quord  sua  interest  tueri 
fines  ipsius^  custodire  iiceat,  eo  etiam  cui  jus  dehetur 
invito, .  custodiae  autem   nomen   id   habea^,   quod  qui 
tèdelnr  ad  eam,  non  sqlum  id  debeai,   ut  si  casu  vi- 
derit  in  re  custodieqda  fieri  quid  adversura  piuhibeat 
facientein,  verum  etiam  ut  curet  dare  operam,   ne  id 
fiat.  Multiplex  itaque  Doat  ratio  interpellat,   et   exi'git, 
illud  in  hu}usmòdi  grayaminibus^  super   quìbus  fama 
publica,   et  variae'  inquisitipnes  per   Yenerabilem  fra- 
trem  no&trum  Gerardum  Sabinensem  Epi«copum  Apo- 
stolicae  Sedis  Legatura  factae  de  speciali  mandato  Se* 
-dU  ipsius,  et  indagationes  alias  habitae.  nos  infarmant^ 
nostrae  provisionis  edicto  rein.ed'L|im  adhiberi,  per  quod 
injtiatis  submoti^  oneribus  circa  ea  in  Regno  pracfgto 
solidi  stabilita  justitia,   Regìum'  Solium   firmet^   pacia 
tranquilla  prpducat,  sitque  inibi  publice  traaquillitatis 
ailentium  ci^ltus  ejusj  et  ipsa  vinculum  sbcietalis  fau- 
manae.  Sic  superiorem  populo  sibi  subjqcto  domesti- 
cete eique  ipsius  populi  corda  consolidet,  qui  superior 
insidiarum  sollicitudine  absolutus  securitatis  jucuoditate 
laetetur^  populea  pressuHs  indebitis  .liberatu^  inpaois 
pulcrituclìne  sedeat^  et  in  requie,  opulenta  quiescat,  .et 
in  uoanimitate  ipsorum,  ac  mufuo  sinceritatis.  a£fecto 
ejusdem  Regni  statu  roborato  pacifico,  noq  sic,  profli* 
gatis  hostibus,  qui  foris  exterreat,  aut  qui  pacatis  ìt\* 
Golarum  ejusdem  animis  intus  turbet;  instantiae  quo- 
que praemissae  interpellàtionis  non  modicùm  adjiciti 


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36S  STORIA  CIVILI? 

qaod  memorati  ftegis,  dum  viveret,  et  dilecti  filii.  no- 
bilis  viri  G.  «ai  primogeniti  ex  eo  manifeste  peroepimua 
ad  id,  quo  vota  concorrere,  quod  idem  Rex  super  dl« 
rectione,  ordinatione)  roformatione,  seti  quactimqae  alia 
dispositiope  coUeotarum,  exactionum,  matrimoniorum, 
ailt  sKoram  quo^umlibet^  qoae  gravàmioa  dicerentur^ 
rei  dici  posdettt,  tam  circa  Ecclesiaa,  Monastèria,  et 
àlias  Écelesiastieas  personas,  quam  circa  Gommunita- 
tes,  et  Universitates'  Giyitatem,  Gastrorum,  et  aliorum 
locornm,  et  etiam  circa  singfilares  personas  totius  Re- 
gni praedicti,  aut  ciljaslibet  partis  'cjas,  foelicis  re* 
cordationis  Martini  Papae  Quarti  praedecessoris  nostri 
direction!,  reforànationi,  dispoaititai,  et  ordinationi  se 
piene,  ac  libere,  alte,  ac  bassa  submisit,  dans^  et  con- 
cedens  eidem  super  iis  plenam,  et  Itberam  potestatem, 
SIC  proraittens  quiòquid  per  enndem  praedeceasorem  ipso 
Rege,  dictove  primogenito  tane  ejos  Vicario  in  Regno 
eodem,  et  aliis  suis  OfìScìalibus  requisiti»,  rei  irrequi- 
sitis  etiam  actum  fojf*et,  se,  ac  haerédes  suoa  ad  hoc 
specialiter  ^bligàndo  inyiolabiKler  obseryare  sais  super 
boc  patentibws  literìs  praedecesaori  t^oncessis  eidem, 
praettiissa  quòque  in  mortis  atttculo  per  alias  suas  si- 
militer  patente»  literas  plemua  rvpètens,  et  confirmans 
eidem  pracdecéssori  per  cas  humiliter  suppUcarit;  ut 
omnia  onera  fiddium  Regni  sui,  et  qnae  graramiiu 
ilici 'pbs^é»t,  removere,  toUere,  et  vhBmrs,  dic^umque 
Regnum  prospetie  refermare,  ^mniaqn»  àtatuere,  quae 
ad  bonum  statmn  haeredum  suoifum^  et  fidelium  eo- 
rundem  ctpcdire  yidéret  sua  previsione  cararet^  non 
obstante^  ai'Regem  ipsum  tunc  infirmitate  grayiter  la- 
borantem  naturalis  debiti  aoiutione  conjtingeret  praeve- 
niri,  sicut  pfaemissae  ìpsius  Regis  literae,  quae. per  noa 
aliqaos  ex  fratribus  nostris  diligenter  iospectae  in  Aj- 


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DEL  REGNO  DI  NAPOLI  L.XXL  CAP.L  369 
f^hiyio  ejnsdem  senantur  Ecclesiae,  matiifesiiqs  atte- 
stantur.  Et  tam  idem  Rex,  quam  dktus  primogenìtua 
super  toUendis  aliquibus  eoruodem  gl^Taminum  cons- 
titutiones  yarìas  edididse  dicuntur,  et  illae  plenioris 
exequutione  observationis  indigeant,  non  plen^  (ut  in« 
telleximus)  hactenus  observatae.  Yolentea  ì'gUur,.et  illls 
robur  Apostolicae  confirmationis  adjicere  (ut  ìnferius 
exprimetur)  et  praetaotum  nostrum  exequi,  ac  commode 
proyisionis  adjectione  propositura,  infrascripta  omnia 
prout  substituta.  eorum  eerìes  iadieaf,  de  Fratnim  no- 
strc^um  Consilio  et  asseneu^  ac  p<»te6tatis  plenitudine^ 
prpvidendo,  a  gravamine  ilio  deliberavimus  inchoan- 
dum,  qui  majorem  scandali  materiam,  et  generalius 
ministrabat. 

Ideoque  ut  omnino  ces^et  in  Regno  còdem  onerosa 
exactio  coUeotàrum,  praesenti  edìctali  provisionci  ao 
constitUtione  yalituVa  perpetuo  prohìbeftìus  per  Reges» 
qui  prò  tempore  fuerint,  seu  prò  eia  Dominantes  in 
Regno  praedicto,  vel  Ministros  ìpsonim  coUeota's  fieri, 
nisi  tantum  in  quatuor  casibus  infrascriptis. 

Primus  est,  pfo  defenftione  terrae,  si  contingat  in* 
Tadi  Regnum  invasione  notabili,  aive  gravi,  non  pro- 
curata, non  momentanea,  seu  transitura  facile,  sed  ma- 
nente, aut  si  contingat  in  eodem  Regno  notabilis  rebel- 
lio,  sive  gravis,  similiter  non. simulata,  non  procurata, 
non  momentanea,  sive  facile  transitura,  scd  manens. 

Secundus  «st,  prò  Rcgis  persona  redituenda  de  suì^ 
redditibus,  et  coUecta,  A  eain  ab  inimicis  captivari 
contingat. 

Tertius  est,  prò  Militia  sua,  seu  fratris  sui  consan*» 
guinei,  et  uterini,  vel  saltem  consanguinei,  sive  alicujus 
ex  liberis  suis,  cum  se  bujusmodi  fratrem  sunm,  rei 
aliqu^m  ex  eisd^m  libqris  militari*  cingulo  dccorabit. 


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370  STORIA.  CIVILE 

Quartus  est,  prò  niarìtanda  sorore  simili  coójunetio- 
ne  8Ìbl  conjuncta^  vel  aliqua  ex  filìabus,  aut  neptibua 
suis,  seu  qualibet  alia  de  genere  suo  ab  eo  per  rectam 
lineam  descendente,  quatu,    et    quando   eam   ipse    do- 
tabit.  In  praedictìs  enim  casibus  (  prout  qualitas  tane 
•  iaimin.enLis  casus  exigeret)  licebit  Regi  collectam  im- 
ponere,  ae  exigere  a  subjectis^   dum  tamen    prò    de- 
fen^ione,  invasione,  seu  rebellione  pracdictis,  aut  ipsias 
Domini  redemptionc  ,   quinquaginta    millium,   prò  mi- 
litia  duodeeim  millium,  prò    maritaggio   vero   quinde- 
cim   millium   unciarum   auri    summam   collectae    uni- 
versaiis  totius  Regni  ejusdem,  tam  ultra  Far  uni,  quam 
citra,  quantitas  non.excedat.  Nec  concurrentibus  etiam 
aliquibus    ex  praedictis   casibus  ,   collecta  in  uno ,   et 
eodem  anno,'  nisi  una  tantummodo  imponatur. 

8icut  auteni  coUeotae  quantitatum   praedictas   sum- 
mas  in  suis  cafeibus  limitatas  excedere ,   ut  praemitti- 
tur   prohibemus  «   sic .  nec   permittimus    indistincte   ad 
ipsas   extendi,    sed  tunc   tamen,   cum   casus   instantis 
qualitas  id  exposcit,  et  ut  in  praedictis  etiam  casibus 
possit  Rex,  qui  prò  tempore'  fuerit  eo'  viiaref  commo- 
dius  gravamina  subditorum,  quo  uberiores  fuerint  red- 
ditus,  et  obventiones  Ipsius,   eum  a   demaniorum    do- 
nationo  volumus  abstinere,  id  sibi  consultius  suadentea. 
Simili  quoque  prohibitione-  subjicimus  mutationem 
monetae  frequentem,  apertius  providentes^   quod   cui- 
libet  Regi  Siciliae  liceat  semel  tantum  in  vita  sua  no- 
yam  facere  cudi  monetàm,  legalem  tamen,  et  tenntae, 
aecundum  consilium    Peritorum   in   t^libus   competen- 
tis,  sicut'in  Regnis  iijis  observdtur,  in  qulbus  est  usus 
legàlium  monctarum,  quodque  usua  tis  moneta  sit  ra- 
loris  exigui)  et  talis   quod  in   e^dcm    valore   sit  apta 
manere  toto  tempore  yitae  Regis,   cujus  mandata  ch- 


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DEL  REGNO  DI  NAPOLI  L.XXL  CAP.L  Sji 

d«tur,  nec  prò  ea  ,  yel  aliqua  magna  moneta ,  quani 
idem.  Rex  semel  tantum  in  vita  sua  fecerit  expenden- 
da,  fiat  collecta^  rei  distributio,  sed  campsoribas,  et 
aliis  meroatoribus  volenti  bus  eam  sponte  recipere  tri- 
buatur;  et  hoc  ita  praecipimus  temporibus    obscrvari* 

In  bomicidiis  clandestinìs  proyidendo  praecipimus, 
nihil  ultra  poenam  inferius  annotatam  ab  Università* 
tibus  exigendum,  videlicet,  ut.  prò  Christiane,  quem 
clandestine  occisum  inveniri  continget,  ultra  eentum 
augustaies.  Pro'  Judaeo  vero,  vel  Saraceno,  ultra  qain* 
quaginta  nil  penitas  exigatur.  Augumento,  qui  circa 
eandem  poenam  idem  R'ex  dicitur  induxisse  omnino 
ftublato:  praesertim  cum  memorati  Rex,  et  Primoge- 
nltus  di<ìantur  idem  per  suas  constitutiones  novìter 
statuisse  ^  quas  quoad  hoc  decernimus  in  violabili  ter 
observandas,  et  haec  intelligi  tantum  prò  homicidiis 
vere  clandestinis,  in  quibus  ignoratur  maleficus,  Aec 
aliquis  accusator  apparet.  Adjicientes,  quod  nonnisi 
tantum  in  locis  miagnis,  et  populosis  exigi  possit  quan- 
tìtas  supradicta,  in  aliis  vero  infra  quantitatem  eandem 
prò  qualitate  locorum  exactio  teraperetur. 

Eidem  provisioni  adjiciendo  praecipimus,  Universi- 
tates  ad'  emendationem  furtorum,  quae  per  singulares 
persoaas  contiugit  fieri,  nuUatenus  compellendas. 

Nec  ad  mutuandum  Regi  aut  Guriae  suae,  aut  Of- 
ficialibus,  vcl  Ministris  ipsorum,  aut  recipiendum  ali- 
quatenus  Regiae  massariae  custodiam,  sive  odus,  seu 
pos^essionum  regalium  procurationem ,  aut  gabeliae, 
vel  naylum,  seu  quorumcumquc  vassellorum  fabrican- 
dorum  curam,  quicumquc  cogendum  invitum:  usur* 
pationtbus,  quae  contrarium  inducebant  penitus  abro- 
gaiis,  maxime  cum  dicti  Rex,  et  Primogenitqs  ad  re- 


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Sya  STORIA  CIVILE 

levanJa,  non  tamen  piene  grav^mina  in  praemissU  in- 

ducta,  GonstitutioDes  yarìas  promulgasse  dicantar. 

Concedioras  autem,  ut  si  casus  emergati  in  quo  sit 
necessarium,  naves,  vel  alia  Tassella  prò  utilitate  pu*. 
bliea  faiiricari,  liceat  tuoc  Regnanti  còmmittere  eorum 
fabrìcationìs  hujusmodi  expensis  Regis  faciendae  per- 
sodìs  idoneis,  videlicet  hujus  rei  peritiam  habentibus, 
et  quos  officium  tale  decet,  «et  ipsis  satisfiat  prò  su- 
aceptione  curae  praedictae  de  competenti  mercede,  et 
idem  servari  praecìpimus  in  faciendo  biscotto. 

Ad  Gaptirorum  oustodiam,  Universitates»  yel  sin- 
gulares  earum  personae  nuUatenus  compellantur,  prae* 
sertim  cum  hoc  ipsum  dicatur  ejuadem  Re^s  consti- 
tutione  provisum,  quod  praecìpimus  inyiolabiliter  ok-» 
servari. 

Gravameo,  quod  in  pecunia  destinando  Regi,  vel 
Regali  Camerae,  sèu  ad  loca  quaecumque  alia  Uniyer* 
sitatis  alicujus  expensis  per  aliquas  personas  ejusdem 
Uniyersitatis  periculo  eligendas  inferri  dictì  Regni  Uni* 
yersitatibus  dicebatur,  previsione  simili  prohibemua 
ipsis  Univeraitatibus,  yei  singularibus  personis  earum 
de  caetero  irrogari,  maxime  cum  dicatur  idem  quoad 
Uniyersitates  dioti  primogeniti  prohibitorìa  c^nstitu* 
tione  proyìsum,  quam  in  hae  parte  décerniinus  invio* 
labiliter  observandam. 

lllud,  quod  in  eodem  Regno  dicitur  usurpatumi 
videlicet,  quod  lacolae  ipsius  Regni  ad*reparaJ9da  Ca^ 
atra,  et  construenda  in  eia,  expensis  propriis  nova 
aediiicia  cogebantur,  emendatione  congrua  corrigentes 
providendo  praecìpimus,  ut  nìl  ultra  expeoaas  neces*^ 
aarìas  ad  reparationem  illorum  antiquorum  Gastrorum, , 
quae  consueverunt  hactenus  incolarum  sumptibua  rc« 
parari,  et  aedificiòrum,  quae  in  hujusmodi  Castris  fue« 


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DEL  REGNO  DI  NAPOLI  L.XXI.CAP.L  373 

rant  ab  antiquo,  ab  eiadem  incolta  peti  posstt,  et  coa- 
atìtQtio,  qaam  circa  hoc  idem  Prìmogeoitus  edidisse 
dicitur,  in  hujoamodi  antiquia  Caatria,  et  Aedificiia 
aolammodo  intellig^nda  aervetur.  Antiqua  ?ero  Castra 
intelligi  decernimus  in  hoc  casa,  quornm  constrnctia 
annorum  quinquaginta  jam  tempus  excessit. 

Circa  personas  accusatasi  quae  in  eodem  Regno 
injaste  capi  dicebantur,  si  ètiam  idoneoa  fidejuasores 
offarrent,  licei  dictus  Rex  aliquid  statuisse  dicatur  ad 
gravamen  hujusniodì  temperandumiNoa  t»men,ut  nulla 
super  hoc  querela  supersit,  prevideodo  praecipimus: 
jura  cÌTÌlia  obaervanda,  et   eadem  obae^^ari  jubeinss. 

Circa  destitutionem  possessorani  Comitum,  Baro- 
num,  et  qnonimlìbet  aliorura,  qui  per  Hegalem  Gu' 
riam,  et  Officiales  ipsius^  ac  alio»  alìenigenas  feuda 
tenentes  in  Regno  auts  possessìonibad,  ai  quando  Cu- 
ria, Officiales,  vel  alienigenae  praedieli  ^ua  habero  prae- 
tendebant,  in  illis  spoUari,  si?e  destituì  dicebantur,  et 
de  possessoribds  ef&ci  petitores,  nullo  Jaris  ordiae  ob- 
senrato,  nec  non  et  cum  aliquis  dicitnr  invanisse  tbe- 
saurum,  et  etiam  cum  quis  apud  eandem  Curiam  prò 
alio  fidejuasit,  ita  quod  nec  aliquis  suae  destitoatur 
possessionis  commodo,  vel  spolietur,  aut  desti tuatur 
aadem,  nec  quod  illum,  qui  deferturi  aut  conyincitur 
de  intentione  thesaari,  nec  quoad  fidejussores  Guriaé 
datos,  alitar  quam  eadem  jura  stalunnt,  proeedatur. 

Regibus  futuris  prò  tempore  in  Regno  praedicto,  et 
memoratis  incolis,  qui  de  inordinata  paasuum  ejusdem 
Regni  custodia  querebantur  se  immoderate  grayari,  si« 
milrter  de  passu  proridentes  eidem  custodiae  modera-* 
men  competens  adliimebus,,  Ticklicet,  quod  tempore 
impacato,  seu  imminente  turbatione  aut  verisimili  tur* 
bationis  suspicione,  et  eontra  ipsum  Regcm,  aut  dio-' 


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374  STORIA  CIVILE 

tam  Regnum,  seu  in  Regno  eodem  Rex  facere  posBit; 
passus  eosdem  ad  evitandum  pericula  custodiri.  Tem- 
pore fero  pacifico  incolis  Regni  habitantibus  in  eodem 
ac  aliis  non  suspectis  liber  sit  ex  eo  exitùs,  et  ingres- 
aus  in  illud,  ita  tamen,  quod  equi  ad  arma  Bullo 
tempore  sine  Regis  licentia  extrahantur  exiiide  ad  ven- 
dendum. 

Yictualia  vero  quaelibet  de  suis  possessipnilius,  vel 
massariis,  seti  oves,  bovés,  et  alia  animalia  humano 
competentia  usui,  de  gregiis  propriis,  aìrmeptis,  vel 
redditibus  habita  extra  Regnum,  dum  tamen  non  ad 
inimicos  eorundem  Regis,  aut  Regni,  unusquisque  li- 
bere mittat,  etiam  ad  vendendum,  nisi  sterilitasi  aut 
praetaetae  turbatìonis  instantia,  seu  Verisimilis  suspicio 
suadeat,  circa  missionem  hujusmodi  per  Regem  eju» 
temporis  aliud  ordinandum.  Si  vero  praedicta  victua-- 
lia,  vel  ^nimalia  ex  negotiationis  commercio  habeantur 
etiam  fertilitatis  tempore  absque  Regnantls  licentia  ex- 
tra Regnum  mittere  vel  ex  ipso  extrahére  non  liceat 
sic  habenti.  In  omnibus  praemissjs  missipnis,  seu  ex- 
tractionis  casibus,  jure  ,  quod^umque  Regi  competit, 
per  omnia  semper  salvo»  Infra  Regnum  vero  etiam  per 
mare  liceat  cuilibet. 

Ecclesiasticae ,  saecularive  personae  frumentum,  et 
alia  blada^  nec  non  et  legumina  de  propi;iis  tcrrìs  y 
massariis,  atque  redditibus  habita,  sine  jure  exiturae, 
Fundici,  seu  Dohanae  in  loco,  in  quo  victualia  reci- 
piantur ,  vel  deponantur  praestando^  de  uno  loco  de- 
ferre,  seu  facere  deferri  ad  alium,  a  Rege,  seu  ipsiut 
Officialibus  licentia  non  petita.  Emptitia  vero  ]ure  exi- 
turae, ac  Fundici  non  soluto,  sed  alio  si  quod  Regi 
debetur,  dum  modo  emptitiorum  delatio'de  Fortu  licita, 
ad  similem  Portum^  et  cum  barcis  parvis  centum  so- 


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DEL  REGNO  DI  NAPOLI  L.XXL  CAt.L  ìjS 

Itt^modo  saltnaram,  vel  infra  capaclum  tantum  fiat 
et  deferentes,  seu  deferri  facientes  praemissa  emptitia, 
dent  particulaii  Portulano  loci,  in  quo  fict  oneratiò 
eorundem,  fidejui^aoriam  cautionem,  quod  literas  testi* 
nioniale£(  de  ipsorum  yictualium,  et  leguminuin  estra- 
ctione  a  simili  Portulano  loci^  ih  quo  exoneratio  ipsa 
fict  habeant  infra  certum  terminura  prò  locorum  di- 
stantia praefigendum,  et  haec  omnia  '  perpetuo,  praeci*^ 
pimus  observari. 

Abi^sum  Gontra  naufragos^  ut  fertur^  inductum  in 
,eo,  quod  bona,  quae  naufragium  evadebant,  qiapieban- 
tur  per  Guriam,  nec  ipsis  naufragis  reddebantur,  ejus- 
éem  proyisionis  oraculo  penitus  abolamus,  praecipien* 
tes  bona  hujusmodi  illis  restituì,  ad  quos  spectant. 

Querelam  gràvem  hominum  Regni  ejùsdem  super 
eo  nobÌ9  exhibitam  per  Guriales  sttpendiarii  Regii,  et 
alii  fegalem  Guriam  sequentes  in  ciyitatibus,  et  locis, 
ad  quae  cum  dieta  Curia,  vel  sine  ipsos  declinare  oon- 
tigit  domos  Givitatis,  seu  locorum  eorundem  prò  sua 
arbitrio  Dominis  intrabant  invitis^  et  interdum  ejectis 
eisque  in  altilibus  animalibus,  et  aliis  bonis  eorum, 
et  quandoque  horum  occasione  in  personis  ipsorum 
graves.injurias  inferebant,  sopire  competentis  provisio» 
nis  remedio  cupientes,  prohibemus,  ne  aliquis  Curialit 
stipendiarius,  ycl  alius  sequens  Guriam  memoratam, 
domum',  yel  hospltium  aliquod  capere,  siye  intrare  pro- 
pria authoritate  praèsuniat,  sed  per  duos^  aut  tres , 
aut  plures,  prout  Ciyitatis,  aut  loci  magnitudo  popò- 
scerit  per  eandem  Guriam,  et  totidem  a  locorum  in* 
colis  electos,  authoritate  tamep  Regia  deputandos  ,  ho* 
spitia  memoratis  Gurialibus,  stipehdiariis,  ti  aliis  assi« 
gnentur.  lidem  autem  Guriales,  stipendìarii- et  alii  nulla 
bona  suorum  ho^spitum  capiant,  nec  in  illis^  aut  in 
personis  eorum  ipsis   aliquam  injuriam   inserant,  nce 


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376  STORIA  CIVILE 

ìpsofflm  aliquis  prò  eo^  quod  $ibi  hospitiam  fuerit  ali- 
quando  tallter  assignatom»  si  cum  aliis  ad  eundem  Io« 
com  cum  Curia,  vel  3Ìne  Curia  venire   contingat,  si 
jus  hoapitandi  vendicct  io  eodem^  aut   ipsum   ìatraro 
audeaty  niai  fuerit  sibi  siraili  modo  ìtèrum  assignatum. 
Hujutmodi  autem   hospitia   taliter  assignata,   praefati 
Rex,  et  illi  de  domo,  et  familia  sua  gratis  semper  ob« 
iineant;  Reliqui  vero,  sive  stipendiarli,  sive  quicumque 
alii  per   unum  mensem  solum,  si   tanto   tempore    in 
eodem  loco  co^tingat  Guriam  residere ,  si  vero .  ultra 
resederit»  vel  ipsos  stipeodiarios,  aut  alios   ad   aliqua 
loea   sme  Curia  venire'  contingeret ,   satisfaciant   Do- 
minis  bospiliorum,  seu  ipsorum  actoribus  de  salario 
competenti  per  deputatos,  ut  praemittìtur,  moderando. 
Sirnijitcr  prohibemus,  ne  in  locis,  in  quibus  vina, 
et  victualia  poasant  vrnalia  reperìri,   quisque   ea   per 
Regalem  Curiam,  aut  Curiales,  seu  per  quoscumque 
Mini»tros  ipsorum,  vel  quoscumque  alios  invitus  ven* 
dere  cómpellatur  nec  aliqua  bona  nolentibus  vendere, 
auferantur,  nec  eorum   vegetea   conaignentur,  etsi  de 
fEicto  fuevint  consign^tae,  frigna  eia  imposita  liceat  Do- 
minia  autkoritate  propria  removere,   praesertim   cum 
praefatus  Rex  hoc  ipsum  de  remotione  hu)u8modi  sta- 
tuisse dicatur;  si  vero  in  loco,  ad  quem  Curlam»  Cu- 
riales, et  akioa  praedictos  declinare  conlingit,  taUa  ve- 
nalia  non  habentur,  abundantes  in  ilUa  per  aliqnem, 
\el  aliquos  ad  boc  a  Regali  Curia,  et  totidem   a   lo- 
corum  iacolis  rlectoa^  authoritate  tamen   Regia   depa- 
tandos  omnia  hujusmodiy  quae  habent  ultra  necessaria 
5aÌ8,  et  familiarum  suarum  usibus,  non  sohim  Curiae^ 
aed  Curia! ibus,  et  aliìs  eam  aequentibus  cogantur  ven- 
dere prttio  competenti  per  depatatos,  ot  praemittitnr» 
moderando. 


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DEL  REGNO  DI  NAPOLI  L.  XXL  GAP  I.  J;; 

In  matriiponiìs/In  quibus  volentibus  ea  contrahere 
varia  impedimenta  cootrahendl  adtmentia  libertatem 
per  Regèm;  et  siioa  ingerì  dicebantur,  ApostoHeaè  pro- 
visionis  ben^ficiam  .deliberayimus  adbibendurn;  ideo 
provisione  irrefragabili  prohibentes  KegnicoUs  Regni 
habitatoribus^  matrimoniiim  inter  se  contrabere  volen- 
tibus  per  Regem,  vel  suos  Officiale»,  aat  alios  quo- 
filibet  inhibìtionis,  seu  cujaslìbet  alterius  obicem  im- 
pedimenti praestari,  déclaramus,  et  decldrando  pra^^ci* 
pimoa,  libera  esse  matrimonia  intér  eo9,  ita  qaod  bona 
mobilja,  vel  immobiiia,  feudalia,  vel  non  fcudalia,  li- 
bere sibi  mutuo  dare  possunt  in  dotem,  nec  iidem 
Regnicolae  Regni  ut  praehfiittitur ,  habitatores  ejus- 
dem  super  matrimonio  inter  se  contràhendo,  aut  in 
doten>  dando  bona  qnaelibet,  licentìam  petere  te* 
neantor,  nec  prò  eo  quod  matrimonium  esset  cum 
bonis  ^uibuslibet,  aut  dote  qnantacumque  contractum 
fuerit  a  Rege  licentia  non  petita  contrahentibus ,  aut 
aiterutri  eorundem,  vel  Parentibns,  Consangnineis,  sive 
amicis  ipsorixm.In  personis,  aat  rebus  impedimentum , 
dispendlum,  aut  gravamen  aliqood  inrogetur^  nulla  in 
praemissis  coRstitutioqe,  vel  coasuetadine  contraria  de 
caetero  valitura. 

Providendo  praecipimus^  ut  ai  quando  in  Regno 
praedioto  c'ontra  t>ertam  personaoi  fuerit  inquìsitio  fa- 
cienda,  nisi  ea  praesente,  vel  se  per  contumacìam  ab-^ 
sentante^  non  fiat,  si  vero.praesens  fuerit,  exbìbéan' 
tur  «ibi  capitala,  super  quibus  foerit  iaquirendam,  ut 
sit  ei  defensionis  copia,  et  facultas^  simili  provisione 
praecipimus,  ut  prò  generalibus  inquisìtìonibns/nibi], 
vel  sub  compositionis  colore,  vel  alias  ab  Università-* 
tibus  exigatur,  9^  si  procedandanpi  fuerì^  }ust4|   prò- 


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3  78  STORIA  CIVILE 

cedatàr  ex  ei8,   praesertim   cum  dictus    Rex   G.   hoe* 

idem  statuisse  dicatur. 

fiujusmodi  praecepto  adjicimua:  ut  quoties  inter 
Fìscura,  et  priyatum  causam  moveri  contingit,  non 
soliHTi  in  examinaDdo  jura  pa^rtium,  sed  ad  difinìitivam 
sententiam  jusie  ferendam,  sivè  prò  privato ,  sive  prò 
Fisco,  tiec  non  ad  ipsiu?  exequutionem  nulla  in  hoc 
difficultate  ingerenda  per  Fiscum  efficaciter  proceda- 
tnr,  ita  qua  nec  in  praedicto  examine^  nec  in  prolatione 
Tei  exequutione  sententiae  injustam  moram,  vel  aliam 
injufìam  patiatur  per  Fisci  potentiam  justitia  priva-, 
torum.  , 

.  Providendo  districtius ,  inhibemus  foreistas  per  Re- 
gem  aut  Magnates  suae  Guriae,  veL  Ofàciales,  seu  quo- 
scumque  Ministros  in  Terris  fieri  privatorum,  vei  ali- 
quarum  for^starum  occasione  per  Regiam  Curiam  Ma- 
gìstros,  vel  Gustodes  forestariim  ipsarum  aliquem  in 
cultura  Terrarum  suarum,  seu  etiam  perceptione  fruc- 
tuum  impediri,  sive  ipsis  propter  hoc  damnum  aliquod 
vcl  iniuriam  irrogari;  factas  vero  de  novo  foresta^ 
hujusmodi  oranina  praecipimus  amoveri. 

Oinnes  Ecclesiastica^,  secularesve  personae  Regni 
Slcillae  libere  suis  salinis  utantur,  et  praesentis  prò- 
yisionis  oraculo  prohibemus,  ne  illis,  per  Regem,  Of- 
ficiales,  aut  quoscumque  Ministros  ipsius  usus,  aut 
exercitium  interdicatur  earum,  neve  quisque  probi-* 
beatur  sai  de  salinis  ipsis  proveniens  emere  ab  eisdem. 

.  Abusiones  Gastellanorum,  per  quos  hominès  dicti 
Regni  ad  portandum  eis  paleas,  Ugna,  et  res  alias 
etiam  sine  preti o  cogebantur  inviti,  et  iidem  Gastel^ 
lani  de  rebus  quae  circa,  seu  per  Gastra  eadem  por- 
tabantur  pedagia  exigebailt,^  praesentis  proVisienis  he* 
neficio  prohibemus. 


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T>EL  REGNO  DI  NAPOLI  L.  XXI.  GAP.  I.  379 

Ejusdeai  provisionis  edicto  praecìpimus,  ut  prò  II- 
teris  regìis,  et  sigillo  nihil  ultra  ipsius  Regni  aati- 
quam  consuetudincm  exigatur,  •  yidelicety  ut  prò  literis 
justìtiae  niliil  oxnniao,  prò  lilÈris  vero  gratiaje,  in  qua 
non  est  Feudi,  vel  Terrae  concessio,  nihil  ultra  qua- 
tuor  t^renos  aurì  ab  impetrante  solvatur ,  nulla  in 
praemissis  distinctione  habitaii^ter  clausas  literas,  et 
apertas. 

Pro  literis  aut^m  super  concessione  Feudi,  vel  Ter* 
rae  confectis,  nep  non  et  prò  priyilegiis  aliis  prò  cón^^ 
cessionis  séu  privilegii  qualitate,  auk  benevoléntia  co^- 
cedentis  Guriae  satisfiàt;  dum  tamen  summam  decem 
unciarum  prò  quolibet  concesso  feudo  integra  satisfa- 
ctio  non  cxcedat)  sed  nec  praetextu  sigilli  regii  justi' 
tiae,  sive  gratiae  literis  in  aliquo  casuum  praedictorum 
impressi ,  vel  appensi  forsitan  impetrans  ultra  quam 
praeinittitur;  solvere  compellatur. 

Ammalia  deputata  molendinis,  quae  centimuli  vuU 
gariter  nuncupanlur,  per  regalem  Guriam,  vel  officia- 
les,  aut  Ministros  ipsius,  camve  sequentes,  stipendia- 
rios,  vel  quoscumque  alios  nullo  modo  ad  aliquod 
eorum  i^inisterium  Dominis  capiantur  ìnyitis,  nec  alia 
etiam,  sed  prò  competenti  pretio,  de  quo  conventum 
fuerit  inter  partes,  a  volentibus  conducantur,  et  faaec 
ita  de  eoetero  praecipimus  observari,  maxime  cum  ipse 
Rex  statuis3e  dicatur,  quod  Justitiarii,  et  subofficialeft 
eorum,  ac  stipendiarli,  et  subofficiales  non  capiant  a* 
nimalia  deputata  ad  Gentimulos,  sed  cum. est  necesse, 
inveniantur  alia  habilia  ad  Vecturam,  et  loerium  con- 
veniens  tribuatur,  etsi  contrafecerint,  restitutis  anima- 
libus  cum  toto  damno  eorum  Dominis,  poenae  nomi* 
ne,  et  prò  qualibet  vice,   et  quolibet   animali  solvant 


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38(y  STORIA  CIVILE 

Curine  unciain  onani   auri;    praernissam   quoque  con- 

stitutionein  dioti  Regia,  similiter  obeervari  praecipimus. 

De  creatione  Officialium  praesertim  extrauedruin , 
qui  propter  ignorantiain  status  Regni  et  fayorem,  qui 
eÌ8  a  Regali  Curia  praestabatur  aub)ecto8  impune  ^ra- 
vabant;  oonsulte  8ue:geriniu9^  quod  Rex^  creare  stu dea t 
Officiales  idoneos,   qui  &ubject08  injuste   non  gravent. 

Super  eo,  quod  Regnicolae  qucrebantur^  videlicet, 
quod  eia  gravatis  prò  relevatioùia  obtinendo  rimedio 
ad  Regem  aditus  non  patebat,  suademus  per  Regem 
tàliter  provideri,  quod  querelae  aubditorum  ad  eum 
vaieant  libere  pervenire. 

Prohibemus,  ne  quisque  prò  animali  silvestri  extra 
defeneam^  vel  lioiitea  deJEensae  invento  sine  aliqua  in- 
venientis  iinpulaione,  arte,  vel  fraude,  aliqaatenus  pu- 
niatur,  èliamsi  illud  capiat,  vel  oecidat. 

!Nullus  Comes,  B^o,  vel  alius  in  Regdo  praédicto 
de  eaetero  compellatur  ad  terridas,  vel  alia  quaecum- 
que  vassella  propriis  snmptibus  facienda.  Per  hoc  au- 
tem  juri  Regio  in  lignaminibus  et  marioartis,  vet  alio 
servitio  vassellomm,  quae  a  quibusdam  Universitatibns, 
et  locis  aliis,  sive  personis  singularibus  dicti  Regni 
deberl  dleuntor,  nolomns  in  aliquo  derogar!. 

Si  contingeret  Baronem  aliquem  mori,  filio,  vel  fìlia 
superstitibus,  aetatis,  quae  debeat  cura  balii  gubernari, 
providendo  praecipimus,  quod  Rex  alicui  de  *  consan- 
guineis  ejus  balium  cooeedat  ipsius,  et  quod  ad  hoc 
inter  consanguiiieos  proximior,  ai  fuerit  idoneus,  prae- 
feratur. 

Si  aliquem  feudum  a  Rege  tenentem  in  capite,  vel 
etiam  subfeudatarium  nallo  baerede  legttimo  per  lineam 
d^scendentetn,  sed  fratre,  aut  ejus  liberis  superstitibus, 
mori  Gontingaty  si  decedentis  feudum  ab  aliquo  ex  pa- 


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DEL  REGNO  DI  NAPOLI  L.XXI.  GAP. t.  38i 
Tentibus  sibi,  et  fratri  ìDommuoibus  pervenerat  ad  de^ 
fuoctum,  idem  £rater,  aut  ex  liberis  duis  usque  ad 
Tnnepoteni,  ille  qui  tempore  mortis  supererìt  defuneto 
proxìmìor  ìq  feudo  sucoedat,  habiturus  illud  cum  onere 
«ervitii  consoeti. 

Ad  fiuccessìonem  fendi,  omnibus  Peraonii  feudatario, 
aut  subfeudatario  defuneto  simili  gradn  conjunctis  eo- 
dem  ordine  admittendis. 

In  successione  vero  praemissa  inter  feudatarios,  et 
subfeudatarios  yiventes  in  Regno  jure  Franoorum^  se*» 
xus,  et  prìmogeniturae  praerogativa  servetur,  ut  inter 
duos  eodem  gradu  feudatario  conjunctos  foeminam  ma- 
scuius,  et  juniorem  niajor  natu  praecedat,  si?e  sint 
maseuli,  sive  foeminae  concurrentes^  nisi  forsan  duabua 
concurrentibus  esset  primogenita  maritata ,  et  junior 
remanserit  in  capìlio,  tunc  ehim*  junior,  qoae  in  ca* 
pillo  remanserit  primogenitae  maritatae  in  successione 
hufusmodi  praeferatur.  Sed  si  nulla  remanente  in  ca- 
pillo,  duae,  vel  plnres  fuerint  maritatae,  majorì  nata 
jus  primogeniturae  servetur,  ut  alias  in  dieta  succet«> 
sione  procedatur. 

Si  vero  feudum,  de  quo  agitar,  non  ab  allquo  pa- 
rentum  processerat,  sed  inceperat  a  Defut)cto\  tuna 
solus  def aneti  irater  in  ep  succedati  nisi  lex  conces- 
8Ìoni«  in  praemissis  aliud  induxissety  et  haec  ita  d^ 
caetero  praecipimus  obseryari,  qualibet  contraria  .con- 
suetudine, yei  ooDstitutione  cessante. 

Nullus  subfeudatarius  prò  feudo.,  quod  ab  aliquo 
feudatario  Regia  tenet,.  compeUatur  ipsi  Regi  servire, 
aed  si  aliquod  aliud  feudum  ab  ipso  Rege  tenet  in 
càpite,  prò  co  sibi  serviate  ut  tenetur. 

Si  coQtingat,  subfeudatarium  crimen  committere, 
propter  qùod  publicanda  fuerint  bona  ejus,  aut  ipsum 


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38a  STORIA  CIVILE 

6lne  legitimis  haercdibas  fati  tnunus  implere,  si  feudum 
ejus  fuerit  quaternatum,  nihilominus  immediatos  Do- 
minas  ìUud  cum  onere  servitii  consueti  personae  con- 
cedat  idoneae  Regi  postmodum  praesentandae,  ut  ejus 
flupir  hoc  habeatur  assensus.  Si  vero  quaternatum  non 
fuerit,  sic  ad  eundem  immediatum  Dominum  reverta- 
tur,  ut  ipsum  hujusmodi  personae  prò  sua  yoluntate 
concedat,  neo  eam  Regi  praesentare,  aut  ejus  super 
hoc  requirere  teneatur  assensum;  iis  ita  deinceps  ex 
nostro  praecepto  seryandis,  constitutione,  yel  consue* 
Indine  contraria  non  obstante. 

Vassalli  Baroiium  per  Guriam,  yel  Officialés  ipsius 
ad  àliqua  privata  officia  non  cogantur,  etsi  ea  yolun- 
tarii'  subeant  ratione  debiti  ex  hujusmodi  officii  rece- 
ptione,  yel  gestione  contracti,  yel  delieti  forsan  in  ei 
commissi  Baronibus  eorùm  Dominis  in  bonis  Yassal- 
lorum  ipsorum,  yel  aliis  praejudiciutn  nullum  fiat. 

In  Terris  Ecdesiarum,  Gomitum  et  Baronum  Regni 
praedicti  Magistros  Juratos  poni  de  caetero  probibe^ 
mus,  et  positos  exinde  praecipimus  amoveri. 

Ad  novas  communantias  Vassalli  Baronum^  yel  a- 
liorum  ire  noQ  compellantur  inviti,  sed  nec  yoluntarii 
admittantur  si  sint  adscriptitiae , .  similisvp  fortunae , 
yel  ralione  personae,  non  rerum  tantum  pérsonalibus 
servìtiis  obligati.  Si  vero  ratione  rerum  tantummodo 
seryitiis  hujusmodi  teneantor,  et  ad  easdem  commu- 
nantias transire  voluerint,  res  ipsas  Dominis  suis  siae 
eontradictione  dimittant.  , 

Barones,  vel'alii  extra  Regnum,  nec  servire  perso- 
naliter,  néc  addohamenta  praestare  cogantur.  In  casibus 
quoque,  in  quibus  intra  Regnum  servire,  yel  addoha^ 
pienta  praestare  tenentur,  serritia  exhibeant,  et  addo- 
kamenta  praestent  antiquittts   copsaata,  yidelicet,  ut 


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DEL  REGNO  DI  NAPOLI  L.XXL  CAP.L  383 

Tel  tribtis  mensibus  persohalìter  serviant  cum  numero 
miiitqm  debitorum,  yel  prò  singulls  militibus,  ad  quot 
tenentar  prò  quolibet  trium  mensium  pruedictorum 
tres  uncias,  et  dimidiam  auri  solvant,  et  haec  ha  de 
«aetero  inconcasse  de  nòstro  praecepto  obseryentur. 

Gaeterum^  ut  contra  pericula,  qune  aicut  praetactum 
est,  proptcr  gravamina  illata  subditis  e^^citata  crédun- 
tur,  ne  (quod  absit)  recidant  in  tanto  periculosiua  re- 
sidubm,  quanto  recidenti   solet  esse  deterius,   qui  ca- 
denti ea  magis    sit   regnantibus    in    Regno   praèdicto 
securitas,  quoinlnus  erit  libera  eadem  gravamina  irro- 
glandi  facultas,  previsioni*  praemissae   subjungimlus   ad 
perpetuum  sui  roboris   fulgimehtam,   quud   si  yentum 
fuerit  in  aliquo  contra  eam,  licitum  sit  Uniyersitìitibus, 
et  gravato  cuilibet  libere   ad  Apostolicam  Sedem   ha- 
bere  prò   sua  querela    exponenda,   et   obtinenda  illati' 
grayaminis   emendatione   reyersuin>  Adjieientes    inter 
illa,   in  quibus  contra  proyisionem  eandem   fieri  con- 
tingeret  congrua  distinctione  delectum,  yidelicét,  ut  si 
ea  fuerint,  quae  per  ipsam   prohibitòrie,   yel  praece- 
ptorie  sunt  provisa,  et   principaliter  factum   regnantis 
respiciunt,  nec  solet  absque  ip&ius  authoritate  praesu- 
mi,   ut  est   coUeetarum  impositio ,  monetae   mutatio ,' 
matrimonìorum    prohibitio,    yel   impedimentum   aliud 
eorundem,   nisi  Rex   ejus   temporis   illa   infra   decem 
dies   revocayérit  per    se   ipsuni,   eo  ipso  Capella    suiai 
Ecclesiastico  sit  supposita  interdicto,  duraturo  solum, 
quousque  gravamen  fuerit  revocatum.  In  reliquis'  vero 
prohibitoriis  et  specialiter,  si  TJniyersitas,  singularisye 
persona  gravata,  yolens  propterea  recurrere  ad  Sedem 
eandem,  per  Officiales  regios,  seu  quoscumqne  Mini- 
stros,  yel  quoslibet  alios  fuerit  impedita,  yel  ìpsos  aut 
alios  prò  eis  exinde  damnum  passum,  nisi  satisfactione 
laesis  praestita,  impedimentum  infra  mensem  postquam 


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384  STOMA  CIVILE 

ipse  Rex  sci^erit,  revocetur,  ex  tunc  8Ìt  Gapella  eadem 
•imilìter  interdicta.  In  quolibet  autem  casuam  prae- 
dictomm,  si  Regnans  interdfctum  hujaemodi  per  duos 
menaés  substìouerìt  ànimo  contumaci,  ab  inde  loca 
omnia,  ad  quae  ipsum,  uxorem,  et  fiUos  suos  decll-» 
nare  contìnget,  donec  ìpsi  praeaentes  fuerint,  simili 
intérdicto  suBiaceant,  etai  deiode  per  sex  menses  ìn- 
terdicta  hujusmodi  aubstinnerìt  animo  indurato,  exinde 
8it  excommunicationis  aententia  innodatus,  qnam  ai  per 
alioa  menses  sex  contumacia  obstinata  substineat,  ex 
tunc  subditi  ad  mandatum  Sedia  ejusdem  ipsis  prò- 
pterea  faciendum  in  nullo  sibi  obediant,  quamdiu  in 
bujuamodi  obstinatione  persìstet  Ad  majorem  quoque 
provisionis  hujusmodi  flrmitatem  eidem  specialiter  ad- 
jicimus,  quod  quilibet  Rex  Sicìliae,  quando  juramen* 
tum  fidelitatis,  et  homagii  praestabit  Summo  Pontifici, 
solemniter  eidem,  et  Eeclesiae  Romanae  prò  se,  ac 
suis  haetedibus  in  Regno  sibi  successuris  eòdem,  prò- 
mittere  teneantur,  qui  provisionem  praesentem  in  om- 
nibus, et  per  omnia,  quantum  in  eia  erit,  observabunt 
inYÌoIabiliter,  et  facient  ab  aliis  observari,  nec  contra 
eam,  vel  aliquam  partem  ipsius  per  se,  vel  per  alium 
quoquomodo  aliquid  attentabunt,  et  super  hoc  tam 
ipse,  quam  quilibet  eorundem  successorum  dent  ipst 
Pontifici,  et  Eeclesiae  suas  pateotes  literas  sui  pen- 
déntis  sigilli  munlmtne  roboratas^  licet  autem  prae- 
missae  provisionis  verba  gravaroina  certa  respiciant, 
de  quibus  ad  nos  querela ,  pervenit,  Regea  tamen,  qui 
continuanda  tempprum,  et  successionum  perpetuitate 
regnabunt  in  Regno  praedicto,  non  proptcrea  existi- 
ment  gravandi  alios  subditos  arbitrlum  sibi  fore  con- 
cessum;  sed  sciant  potius  se  debere  ipsos  in  bono 
atattt  tenere  ab  omnibus  illicitis  cxactiunibas,  et  in- 
debitid  eorum  oneribub  per   se,  ac  alios  aisatinendo. 


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DEL  REGNO  DI  NAPOLI  L.  XXI.  e  API.    385 

Sane,  81  quod  in  eadem  provisione  ^  vel  aliqno  ejus 
articulo  dubium.non  tam  soUicitatur,  quam  rattonabi- 
lem  dubitationem  continena  oriri  contingat,  interpre- 
tationem  dubii  hujusmodi  nobis,  quamquam  etiam  de 
)ure  competati  reservamus  expresse.  Decetnimus  ergo, 
ut  nulli  omnino  bominum  liceat  hanc  pagìnam  nostram 
provisionis,  constitutionis,  inhiblttonis,  praecepti,  de- 
darationis,  abolitionis,  et^  abrogatioóis  inlringere,  yel 
ei  ausa  temerario  contraire^  si  quisautem  hoc  atten* 
tare  praeaumpserii,  indSgnationem  Omnipotentis  Dei, 
et  Beatorum  Petri  et  Pauli  Apostoloram  ejua  se  acr- 
Terit  incuraumm. 


Ego  HoHORivs  Caih.  Eccles,  Episcopus. 


2S 


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386  STORIA  CIVILE 

^  Ego  Ordanius  TuscolaDus  EpÌ8copa«  subscripsL 

^   Ego  Fr.  B^oevenga  Albaoensis  Episcopaa  sub» 
scripsi. 

ifi  Ego  Fr.  Latiaus  Ostiensìs  et  Yelietrenaia.  £pl« 
acopuf  aubacripai. 

^  Ego  Fr.  Hierooymaa  Pfeneatioenais  Epiacopna 
aubscripsi. 

^  Ego  Bemardoa  Portoenais   et  S.   Raffiaae  Epi- 
acopus  aubacripsi. 

«  Ego  Aocherus  tit.  8.  Praxedia  Praeabyier  Gar* 
disalla  aubicripsi. 

9^  Ego  Hugo  til.  S.  Laurentii  in  Lactna  Praesby- 
ter  Gardinalia  subscrìpsi. 

9*  Ego  Gervasiua  tit.  S.  Martini  Preeabytér  Gardi- 
nalis  subscripsi. 

«¥<  Ego  Ganfridtts  tit.  S.  Susannae  Praeabiter  Gar- 
dioalis  sobscripsL 

«3R  Ego  Gomes  tit.  SS.  Marceliioi    et  Petri   Prac- 
sbyter  Gardinalia  subscripsi. 

9*  Ego  Gottifredus   S.  Georgii  ad  Yelum   auream 
Diaconus  Gardinalis  aubscripsi. 

9^  '  Ego  Jordanua  S.  Eustachii  Diaconus  Gardinalia 
aubscripsi. 

9  Ego   Jacobua    S.  Mariae  in  yia  lata  Diaconua 
Gardinalis  subscripsi^ 

^  Ego  Benedictus  S.  Nicolai  in  Garcere  Tulliano 
Diaconua  Gardinalis  aubscripsi.  . 

Datum  Tibure  per  manum  Magistri  Petri  de  Me- 
diolano  S.  R.  E.  Yicecancellarii ,  quintodecimo 
Ejilendas  Octobria,  Indictione  i4  Incarnationia 
Dominicae  ailpo  miUeatmo  ducentesimo  octuage- 
simo  quinto,  Foatifiettus  ycro  D.  Honorìi  Papae 
IV.  Anno  I. 


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DEL  REGNO  DI  NAPOLI  L.XXL  CAP.L  38; 

Praesens  copia  Gapitulorum  Papae  Hotìorii  sumpta 
efit  a  transumpto  esistente  in  Archivio  Monasterii  San- 
Gtissimae  Trinitatis  GaTae,  me  procurante,  oum  ad 
Monasterium  praedictnm  ad  hoc  accessisseoi  ordine 
Regentis  Annibalis  Moles,  et  Consiliarii  Horatii  Mar- 
chesi!. Et  in  eodem  Archivio  similiter  adest  transam- 
ptum  Confirmationìs  factae  ab  eodem  Pontifico  eodem 
die  Gapituloram  editorum  per  Garoiam  II  tunc  Yi- 
^  carinm  Caroli  I  in  hoc  Regno,  quorum  copiam  simi- 
liter  haheo  ad  pennam;  sed  haec  Gapitula  Garoli  II 
cum  Gonfirmatione  Pontificia  «unt  impressa  cùm  Prag- 
maticis  in  tit.  De  Clericis^  Pragm.  a  sine  die;  et  eadem 
priginalia  Gapitula  Garoli  II  pariter  impressa  sunt  cum 
aliis  Gapitulis  Regni  in  tit.  de  Privilegi  et  Jmmunìt. 
Ecch 

Marcellus  Marcianus, 

Ervi  gran  contrasto  fra'  Doetrì  scrittori,  se  mai  que* 
sta  Bolla  fosse  stata  ricevuta  nel  Regno ,  ed  avesse 
avuta  in  quello  forza  o  autorità  alcuna  di  legge.  Fu* 
Ton  mossi  alcuni  a  dubitarne  dal  vedere,  che  i  nostri 
Professori,  come  Andrea  d'Isernia,  Angelo,  Baldo, 
Luca  di  Penna,  Paris  de  Puteo,  Aretino,  Soccino, 
Afflitto,  Gapece,  Loffredo^  Camerario  e  tanti  altri,  so- 
vente nelle  loro  opere  allegano  i  Capitoli  in  quella 
contenuti.  Ma  niono  quanto  Rainaldo  (a)  ne'  suoi  An- 
nali ecclesiastici  si  sforza  in  grazia  de'  Romani  Pon- 
tefici di  mostìrare,  eh'  ella  niel  Regno  avesse  avuto  tutto 
il  vigore  ed  osservanza.  E  certamente  mentre  durò  la 
prigionia  del  Principe  Carlo,  non  meno  il  Cardinal  di 
Parma,  che  il  Conte  d'Artois  la  fecero  valere  nel  Re- 

(a)  Raiuàld.  ad  ann.  i385  a  uum.  53  ad  nu,  63. 


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S88  STORIA  CIVILE 

gno,  leggendosi,  che  il  Pontefice  Onorio  inyianaola 
«1  Cardinale,  con  duo  particolnr  Breve,  V  incaricò,  che^ 
l'avesse  fatta  osservare;  e  presso  questo  medesimo  Scrit- 
tore si  leggono  due  lettere  del  Contef  d*Arto5s,  una 
dirizzata  da  Foggia  al  Giustiziere  di  Basilicata,  e  Tal- 
tra  spedita  da  Barletta  a' 22  ottobre  dtiranno  1288 
e  dirizzata  a'  Prefetti  della  Puglia,  per  le  quali  loro 
s'impone,  che  avessero  fatti  osservare  1  Capitoli  del 
Pontefice  stabiliti  super  staiti  et  redime  Regni;  tanto 
che  poi  per  non  irritare  i  Pontefici  con-  mostrarne 
disprezzo,  s'introdusse  nelle  lettere,  che  si  spedivano 
agli  Ufficiali,  come  per  formola,  di  soggiungervi  an- 
che, che  osservassero  e  facessero  osservare  le  Costi- 
tuzioni e  Colpitoli  del  Regno,  ed  anche  quelli  per  la 
Sede  Appostolica  stabiliti. 

Ma  sprigionato  che  fu  il  Principe  Carlo,  ed  inco- 
ronato Re  da  Niccolò  IV  successor  d'Onorio,  essendo 
egli  ritornato  in  Napoli  nel  1*289  conoscendo  di  quanto 
pregiudizio  fosse  la  Bolla  d'Onorio  alle  sue  ragioni 
e  preminenze  Regali,  ancorché  per  non  disgustar  quel 
"Pontefice  cotanto  suo  benefottore,  non  gli  paresse  di 
espressamente  rivocarla,  non  permise  però,  che  avesse 
nel  suo  Regno  vigore .  alcuno.  E  scrive  Pietro  Pic- 
colo (a)  da  Monte  forte,  antìeo  e  famoso  Dottore  de' 
suoi  tempi,  che  Carlo  II  per  riverenza,  che  bisognava 
allora  avere  di  quel  Pontefice,  l'avesse  richiesto,  die 
«i  contentasse  di  sospenderla,  e  che  Papa  Niccolò  l'a- 
vesse-già  sospesa;  ed  ancorché  Rainaldo  restringa  la 
Bospensione    solamente   in  quanto  alle  pene  in    quella 

(a)  Petr.  de  Motitefor.  in  addìt.  ad  Constit.  Reg.  lib.  3 
tit.  25.  Constit.  Post  inortem.  V.  Marcian.  loc.  cit.  na.  17 
et  18.  V.  Aoilreys  dfsp.  feud.  cap.  i  ^  3  «um.  10. 


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DEL  REGNO  DI  NAPOLI  L.XXI.  CAP.I.   SSg 

minacciate,  non  già  in  tutto  il  resto;  con  tutto  ciò  si 
vede  dalle  cose  seguite,  che  non  ebbe  esecuzione  al- 
cuna; poiché  non  solo  per  le  pene»  ma  per  moki  altri 
eapi  non  fu  osservata,  né  ricevuta.  In  fatti  Carlo  II 
stesso  volendo  con  nuove  leggi  (tornato  che  fu  in  N a* 
poli)  riformar  lo  stato  del  Regno,  ne  stabilì  molte,  e 
confermò  solo  quelli  Capitoli,  eh'  egli  avea  stabiliti 
nel  Piano  di  S.  Martino. (a);  ma  di  .questi  di  Papa 
Onorio,  come  pregiudiziali ssimi  alle  supreme  regalie 
della  sua  Corona,  non  ne  fece  motto;  anzi  si  videro 
nel  suo  Regno  medesimo  contrarii  effetti  di  ciò,  che 
quel  Pontefice  ave&  stabilito.  Non  ostante  la  proibi- 
zione d'alienare  i  beni  demaniali,  fu  sempre  in  balìa 
del  Re  di  donargli;  anzi  Andrea  d' Isernia  non  potè 
non  confessare,  che  Papa  Onorio  non  poteva  ciò  proi- 
bire a' nostri  Ke.  L'istesso  Andrea  Compilatore  dei 
Riti  della  regia  Camera  ci  testifica,  che  ancorché  Ono<^ 
no  in  questa  sua  Bolla  (b)  avesse  stabilito,  che  cia- 
scuno potesse  liberamente  valersi  delle  sue  saline,  e 
vendere  ad  altri  il  sale  procedente  da  quelle;  eon  tutto 
ciò  si  osservava  quel  che  Federico  II  avea  disposto, 
e  non  quel  che  Onorio  volle. .  Parimente  niente  fu  os- 
servato .  intorno  all'  esazione  delle  Collette  in  quelli 
quattro  casi  da  Onorio  permessi;  e  tutti  i  nostri  Au» 
tori  attestano,  che  tanto  prima,  quanto  dopo  il  Re 
Alfonso  I  fu  sempre  in  arbitrio  e  balìa  del  Re  d'ira* 
porle  in  ogni  caso,  quando  conosceva  il  bisogno  dello 
Stato. 

Né  la  snccession  feudale  fu  alterata,  ma   intorno  a 
ciò  furono  osservati  i  Capitoli  del  Regno   e  le  grazie 

{a)  Gap.  <Ionflrinatio  Gap.  edit.    in  Pian.   S.  Martini,   (h) 
Cap.  Omnes  JBcdesiastia. 


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Sgo  STORIA  CIVILE 

concedute  poi  da'  nodtri,  Baroni.  Né  furian  ricevati 
qaelli  d'Onorio,  se  non  in  alcuni  casi,  dove  l'equità 
e  la  ragione  v'  avca  luogo,  e  quando  si  stimavano  ra- 
gionevoli. Quindi  V  istesso  Andrea  d' Isernia  disse  : 
Quod  Ma  non  servantur,  nisi  quatenus  sunt  rationa- 
hilia*^  onde  chiamò  questi  Capitoli  Oratoriali^  perchè 
non  aveano  presso  di  noi  forza  alcuna  di  legge;  ma 
alcuni  erano  osservati  piii  per  forza  d*  equità  e  di  ra- 
gione, che  di  legge. 

Sebastiano  Napodano  credette,  che  questi  Capitoli  per- 
deron  tutta  la  foixa  nel  tempo  del  Re  Roberto ,  nella 
quale  opinione  par  che  inclini  Rainaldo,  dicendo  che 
per  non  esser  stati  poi  osservati  accaddero  quelle  mi- 
serie e  calamità,  delle  quali  si  duole  il  Summonte  (a); 
ma  dalle  cose  di  sopra  dette,  hen  si  conosce,  che 
molto  tempo  prima  di  Roberto,  nel  Regno  stesso  di 
Carlo  II  non  furono  osservati 

Per  questa  cagione  avvenne  ancora,  che  i  Compi- 
latori de'  Capitoli  del  Regno  gli  esclusero  da  quella 
compilazione,  f  solo  quelli  fatti  dal  Principe  Carlo 
nel  Piano  di  S.  Martino  vi  posero:,  insieme  con  gli 
altri  Capitoli  di  tutti  i  Re  angioini.  Cosi  ancora  quando 
il  Re  Giacomo  di  Sicilia  ordinò  per  quel  Regno  i  suoi 
Capitoli,  volendo  concedere  a'  Siciliani  ciò,  che  avea 
conceduto  a'  nostri  Regnicoli  si  valse  d'  alcuni  èà  que« 
sti;  e  perchè  avessero  'in  quell'isola  forza  di  legge, 
bisognò,  che  tra'  suoi  Capitoli  gì' inserisse,  come  fece 
del  Cap.  si  aliquem ,  del  Cap*  de  Collectisy  De  fre- 
quenti mutazione  monetarum^  cap,  io.  De  matrim.  li* 
bere  contr.  cap.  32  e  simili;  ond'è,  che  Cumioj  che 
commentò  que'  Capitoli,  disse  parlando  del  Cap.  si  ali- 

(a)  SutumQnt  histor.  tom.  a  Iib«  5. 


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DEL  REGNO  DI  NAPOLI  L.  XXL  CAP.  I.  891 

ijuem^  che  quello  non  s'  osAerrava  nel  Regno  di  Na- 
poli, ma  sì  bene  in  Sicilia  per  ordinamento  di  quel 
Re.  E  quindi  prudentemente  fede  il  Reggente  Tap* 
pia,  che  nella  compilazione  delle  leggi  del  Regno,  ne 
escluse  affatto  questi  Capitoli ,  come  quelli,  che  non 
ebbero  in  esso  forza  alcuna  di  legge. 

Si  vide  perciò  ancora,  che  a  tèmpo  degli  i^ra^o- 
ncsi  ^  eretto  che  fu  il  Tribunal  Supremo  del  S.  G. 
quando  erano  allegati  dagli  A?yooati,  testifica  il  Reg* 
gente  Mòles,  ohe  non  si  decise  mai  causa  in  vigor  4i 
questi  Gapitoli  ;  per  la  qual  cosa  non  possiamo  non 
mar;avigliarci  del  Reggente  di  Ponte,  che  a  torto  vien 
reputato  per  uno  de'  maggiori  sostenitori  della  regal 
giurisdizione,  il  quale  nel  suo  trattato*.  De  potestate 
Proregis  (a),  non  s' arrossì  di  dite,  che  più  tosto  per 
desuetudine^  che  perchè  non  avessero  avuta  forza  di 
legge,  questi  Gapitoli  aon  fossero  osservati:  soggiun^ 
gendo  in  oltre,  che  Papa  Onorio,  come  diretto  pa« 
drone  del  Regno ^  con  volontà  di  Garlo  II  utile  Si- 
gnore di  quello,  avesse  potuto  stabilir  leggi  nel  Regno. 
Termina  in  fine  Rainaldo  (b)  il  suo  discorso,  con 
un  ricordo,  che  dà  a'  Principi,  insinuando  loro  di  es- 
sere ubbidienti  Me  leggi  de'  Sommi  Pontefici,  qua- 
lora si  pongono  a  riformar  i  loro  Stati,  ponendo  loro 
avanti  gli  occhi  quest*  esempio,  che  siccome  per  essere 
stati  violati  questi  Gapitoli,  accaddero,  al  suo  credere, 
nel  nostro  Regno  tante  calamità  e  miserie  ;  così  de- 
vono essi  essere  ossequiosi  e  riverenti  alle  leggi  de'  Pon- 
tefici^ se  non  vorranno  vedere  i  loro  Regni  dissoluti, 

{a)  De  Ponte  de  potest.  Proreg.  tit.  de  àsscns.  regalibus 
super  dotìb.  a  niim.  6  cum  seqq.  (b)  Rainald.. ,  ann.  i2^5 
nùm.  6i. 


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1 


39a  STORIA  CIVILE 

«d  andare  in  desolazione  e  ruina.  Terminiamo  perete 
ancor  noi  questo  discorso  con  un  altro  oonsimil  ri* 
cordo  a'  Prìncipi,  di  guardarsi  molto  bene  a  commet- 
tere la  cura  ed  il  governo  de'  loro  Stati  ad.  altri,  che 
a  se  stessi  ed  ai  loro  più  fedeli  Ministri;  poiché  se 
o  per  riverenza,  o  per  bisogno  vorranno  farci  iiftrr* 
gare  i  Pontefici,  ancorché  si  cominci  per  poco,  essi 
poi  per  la  propria  esquisita  diligenza ,  quel  che  pri- 
ma era  consìglio  o  divozione ,  lo  mutano  in  auto- 
rità e  dominio,  e  fanno  sì,  che  da  Padri  divengono 
Signori,  ed  essi  da  figliuoli  divengono  servi;  e  chia- 
rissimo documento  sarà  loro,  quel  che  a'  tempi  de'  Nor- 
manni, e  molto  più  nel  Regno  degli  Angioini  é  acca- 
duto al  Régno  nostro,  nel  quale  i  PoAtefici  Romani 
vi  pretesero  esercitare  assai  più  ampio  ed  indipen- 
dente imperio,  che  non  osarono  i  nostri  medesimi  Prin- 
cipi; e  non  pur  sopra  i  nostri^  Baroni  e  Regnicoli,  ma 
sopra  i  Regi  stessi  osarono  stendere  la  loro  alta  ed 
imperiosa  mano. 

CAPITOLO  IL 

Negoziati  fatti  in  Inghilterra^  e  ad  Oleron  in  Bearn^ 
per  la  scarcerazione  del  Principe  Cablo;  sua  inco- 
ronazione e  tregua  fatta  col  Re  Giacomo  di  Si' 
cilia. 


JxLentre  ardea  la  guerra  in  Sicilia  ed  in  Calabria, 
tra  il  Cfonte  d'Artois  ed  il  Re  Giacomo,  che  s'avea 
già  fatto  incoronar  Re  in  Palermo:  il  Principe  di  Sa- 
lerno ,  considerando ,  che  per  mezzo  della  guerra  le 
cose  doveauo  andar  in  lungo,  desideroso  della  libertà^ 


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DEL  REGNO  DI  NAPOLI  L.XXI.  CAP.II.  SgS 

e  di  ritornare  al  Regno  paterno^  mandò  a  sollecitare 
]a  Principessa  sua  moglie,  che  mandasse  Ambascia- 
dori  a  Papa  Onorio  e* ad  Odoardo  Re  d'Inghilterra, 
pregandogli,  che  volessero  tratiare  la  libertà  sua  i^oi 
Re  Alfonso.  Odoardo  con  molta  amorevolezza  e  dili- 
genza cominciò  a  trattarla,  prima  per  niezzo  d'Am- 
basciadori,  e  poi. con  la  sua  propria  persona,  essendo 
andato  fino  ad  Oleroo  in  Bearn  a  trovare  Alfonso» 
dove  il  Papa  vi  mandò  ancora  un  Legato  appostolica 
Negli  Atti  d' Inghilterra  fatti  a'  tempi  nostri  stampare 
dalla  Regina  Anna^  si  leggono  molti  atti  «e  lettere  ri- 
guardanti le-  negoziazioni  d' Odoardo  per  la  libertà  di 
questo  Principe,  ed  i  principali  sono  gli  articoli,  sui 
quali  Odoardo  convenne  ad  Oleron  col  Re  di  Arago- 
na. Gli  articoli  e  condizioni,  dopo  molte  discissioni 
accordati,  .furono  questi. 

Che  prima,  clve  il  Principe  uscisse  da'  confini  del 
Regno  d'Aragona,  facesse  consegnare  per  ostaggi  tre 
suoi  figliuoli,  Luigi  secondogenito,  che  fu  poi  Ve- 
scovo di  Tolosa,  e  dapoi  santificato:  Roberto  terzo- 
genito Duca  di  Calabria,  che  fu  poi  Re:  e  Giovanni 
^ottavogenito,  che  fu  poi  Principe,  della  Morea;  e  ses^ 
santa  altri  Cavalieri  provenzali  ad  elezione  del  Re  di 
Aragona. 

Che  pagasse .ti'cntamila  marche  d'argento. 

Che  proccurasse,  che  il  Re  di  Francia  facesse  tré- 
gua per  tre  anni,  e  che  Carlo  di  Yalois  fratello  del 
Re,  ch'era  stato  da  Papa  Martino  lY  investito  del 
Regno  d'Aragona  e  di  Yalpnza,  cèdesse  ad'  Alfonso 
tutte  le  ragioni,  e  restituisse  tutte  quelle  Terre,  che 
Filippo  suo  padre  prese  nel  Contado  di  Rosciglione 
e  di   Ceritania,  ch'ancora  si  tenevano  per  lui. 

Che  quando  il   Principe  mancasse   d'eseguire    tulle 


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394  STORIA  CIVILE 

le  convenzk^ni  suddette^  fosse  obbligato  fra  il  termine 

d^un  anno  di  tornare  in  carcere.  '  ^ 

Che  lasciasse  il  Regno  di  Sicilia  al  Re  Giacomo , 
con  dargli  per  moglie  Bianca  saa  figliuola. 

Giovanni  Villani  e  molti  altri  Autori  italiani-  non 
fanno  menzione  alcuna  di  questi  articoli  di  pace  con- 
venuti in  Oleron;  ma,  oltre  C'osts^nzo,  gli  Atti  d' In- 
ghilterra (a)  ove  sono  impressi,  chiariscono  questo  passo 
d'Istoria. 

Mentre  queste  cose  si  trattavano  ad  Oleron,  accadde 
nel  mese  di  aprile  dell'anno  1287  la  morte  del  Papa 
Onorio,  e  dopo  un  anno,  fu  in  suo  luogo  rifatto  un 
Frate  Francescano,  che  si  fece  chiamare  Niccolò  IV, 
Questi  benché  fosse  nativo'  d'Ascoli  della  Marca,  non 
si  lasciò  vincere  dd  ninno  de*  Pontefici  franzesi  nelle 
dimostrazioni  d'amorevolezza  ed  affezione  verso  il  Prin- 
cipe Carlo  e  della  sua  Casa;  poiché  avendo  saputo, 
che  con  tanto  viintaggio  del  Re  Alfonso  e  del  Re  Gia- 
como s' cibano  accordati  questi  articoli,  per  li  quali 
si  vedea  che  Alfonso  troppo  cara  volesse  vender  la 
libertà  a  quel  Principe,  disapprovò  tutto  il  trattato, 
e  diede  fuori  una  sua  Bolla,  che  si  legge  negli  sud-, 
detti  Atti  d' Iiflghilteìra  (&),  colla  quale  biasima  questi 
articoli;  e  mandò  in  Aragona  gli  Arcivescovi  di  Ra- 
venna e  di  Monreale  con  un  Breve,  in  virtù  del  qua- 
le, come  Legati  Apposlolici^  richiesero  il  Re  Alfonso, 
che  sotto  pena  di  censura  dovesse  liberare  il  Princi- 
pe, e  desistere  d'aiutare  Re  Giacomo  occupatore  di 
quell'isola  e  ribello  di  S.   Chiesa  (e). 

(a)  Foedera ,  coDveotìones ,  etc.  inter  Reges  Angliae ,  et 
alios,  pag.  342,  (b)  Foedera,  cKc*  fol.  358.  {e)  Costanzo 
lil).  3. 


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DEL  REGNO  DI  NAPOLI  L.  XXI.  GAP.  IL  SgS 

li  Re  d*  Inghilterra,  che  per  la  bontà  sua  amaya' 
il  Principe^  che  gli  era  cugino,  e  desideraya  estrema- 
mente liberarlo,  s*  impegnò  assai  più,  yedéndo  ohe  il 
Papa  non  avea  approvato  il  fatto,  ed  andò  di  nuoyo 
a  trovare  il  Re  d'Aragona,  col  quale  travagliò  molto 
per  ridurre  quelle  condizioni  a  patti  più  tollerabili. 
Alfonso  per  non  escludere  il  Re  d' Inghilterra,  ch'era 
venuto  infino  a  casa  a  ritrovarlo,  e  dar  qualche  sod- 
disfazione al  Papa,  confermò  i  medesimi  primi  arti- 
coli, ad  esclusione  deir  ultimo,  non  facendosi  men- 
zione alcuna  né  di  Ré  Giacomo,  né  del  regno  di  ÌSi« 
cilia. 

Restò  pertanto  contento  di  pigliarsi  gli  ostaggi  sud- 
detti, le  trentamila  marche  d'  argento  e  la  promessa, 
eh'  il  Principe  condurrebbe^  ad  effetto  la  pace  con  il 
Re  di  Francia,  e  la  cessione  di  Carlo  di  Yalois,  con 
la  condizione  .di  tornar  nella  sua  prigione,  se  non  ese-> 
guisse  il  trattato.  Il  Re  d^  Inghilterra  ne  assicurò  an- 
che il  Re  d'Aragona;  e  con  queste  condizioni  fu  il 
Principe  liberato. 

Carlo  vedutosi  libere  con  tali  condizioni,  si  per. 
r  amore  che  portava  a'  figliuoli,  eh'  erano'  rimasti  per 
ostaggi,  come  per  essere  di  sua  natura  Principe  lea- 
lissimo,  andò  subito  alla  Corte  del  R-e  di  Francia, 
dove  benché  fosse  ricevuto  con  tutte  le  dimostrazioni 
d^  amorevolezza  e  d*  onore,  nel  trattar  poi,  "che  s*  a- 
dempìssero  le  condizioni  della  pace,  trovò  difficultà 
grandissima;  poiché  il  Re  riservava  ogni  cosa  alla  vo- 
lontà del  fratello,  il  quale  trovandosi  senza  Signoria, 
non  potea  contentarsi  di  lasciare  la  speranza  di  due 
Regni,  e  la  possessione  di  quelle  terre,  che  '1  padre 
avea  acquistate  nella,  guerra  di.  Perpignano:  tal  che 
vedendo  travagliarsi  in  vano,  si  partì^  e  venne  a  Pro- 


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396  STORIA  CIVILE 

yenza,  deve  ricevè  grandissimi  odori,  e  passò  da  poi 
in  Italia^  e  fu  molto  bea  ricevuto  dalle  città  Guelfe, 
e  massimamente  da'  Fiorentini,  e  venne  poi  a  Rieti  (a), 
ove  trovò  il  Papa  eliccelo,  .dal  quale  nella  maggior 
Chiesa  di  questa  città  con  approvazione  di  tutto  il  Col- 
legio fu  nel  giorno  di  Pentecoste  a*  29  maggio  di  que- 
sf  anno  1289  coronato,  ed  unto  per  mano  dell' idtesso 
Pontefice  Re  delF  una  e  V  altra  Sicilia:  in  memoria 
della  qual  celebrità,  a'  22  giugno  del  Suddetto  anno, 
donò  Re  Carlo  alla  Chiesa  suddetta^ 30  once  d'oro 
r  anno  in  perpetuo  Sopra .  V  entrate  Regie  della  città 
di  Sulmona  (i). 

Passò  poi  in  Napoli  dopo  essere  stato  ricevuto  da 
tutti  i  luoghi  del  Regno  con  plauso  e  letizia  incre- 
dibile, per  la  liberalità  e  benignità,  che  avea  mostrata 
in  vita  del  padre,  il  quale  nelle  cose  di  pace  avea  fatto 
sempre  governar  il  Regno  da  lui,  e  fattolo  suo  Vicario, 
quando  era  egli  assente.  E  quivi  fermato,  cominciò 
in  questo  medesimo  anno,  con  nuove  sue  leggi  a  ri- 
formare lo  stato  di  quello,  che'  durante  la  sua  prigio- 
nia, per  quella  mistura  di  nuovo  governo,  avea  sof- 
ferto alquanto  d'alterazione,  stabilendo  que'  Capitoli^ 
de'  quali  nel  precedente  libro  si  fece  parola. 

Il  Re  Giacomo,  vedendo  il  Re  d'Aragona  suo  fra- 
tello involto  in  tante  guerre,  avea  mandato  a  dirgli, 
che  attcki desse  all'  utilità  sua,  conchiudendoi  nel  miglior 
modo  che  potesse  la  pace,  senza  parlar  delle  cose  di 
Sicilia,  la  quale  egli  si  fidava  di  mantenere  col  pro- 
prio valore;  quando  poi  vide,  che  il  nuovo  Pontefice 
con  troppo  affetto  tenea  le  porti  deLRe  Carlo,  e  ohe 
r  investitura  datagli  conteneva  non  meno    1'  una,  che 

(a)  Costanzo  lib.  3  dice  iit  Perugia;  ed  il  Summonte  ia 
Roma,  (b)  Chioccar,  tom.  i.  M.'S.  giurisd. 


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DEL  REGNO  DI  NAPOLI  L.XXI.  CA.P.IL  Sgy 
Taltra  Sicilia,  fu  pentito  di  non  ayer  proccurato  d*  es- 
ser compreso  nella   pace:   ùùde  pensò,   per    prevenire 
e  non  aspettare  la  guerra  in  Sicilia,  di  moverne  egli 
una  in  Calabria,  ove  fu  cOn  pari  ardire  e  valore  com- 
battuto; ma  non  essendo  riuscita  con  molta  felicità  al 
Re  Giacomo   questa   spedizione,   volse  altrove  la  sua 
armata,  e  giunto  alle  marine  di  Gaeta,  assediò  quella 
città,  la  quale  soccorsa  itQmantenentè  dal   Re   Carlo, 
restò  egli  molto   più    strettamente   assediato,   che  non 
stava  Gaeta;  ma  la  sua  buona   fortuna   volle,   che  in 
que'dì  giungessero  nel  Campo  del  Re   Carlo   Amba- 
sciadori  del  Re  d'Inghilterra   e  del  Re    d'Aragona  a 
trattare  la  pace;   e  benché    tutti  quelli   del   Consiglio 
del  Re  Carlo  rabbonissero,  nuUadimanco  fu  tanta  la 
diligenza  dell'  Ambaaciador  aragonese ,   e   tanto    calde 
le  persuasioni  dell'Inglese,  chel  Re  Carlo,  centra  il 
volo  di  tutti  i  suoi,  gli  concedette  tregua  per  due  an- 
ni, non  ostante,  che  il  Conte  d'Artois   ad  alta   voce 
gli  avesse  detto,  che  quella  tregua   l'avrebbe  cacciata 
in  tutto  la  speranza  di  ricovrare  mai  più  il  Regno  di 
Sicilia.  Re  Carlo  con  lui  e  con  gli  altri  del  suo  Con- 
jsiglio  .si  scusava,  che   non   potea   fare  altrimenti   per 
l'obbligo  cfa'avea  al  Re  d'Inghilterra.,   il  quale  tanto 
amorevolmente  avea  proccurata  la  sua   liberazione,  e 
pigliata  fatica  d' andar  fino  in   Ispagna^  e  che   all' in- 
contro egli  non  avea  potuto  attendere  quel,  che  avea 
promesso  di  fare,  the  il  Re  di  Francia  si  pacificasse 
col  Re  d'Aragona,  e  di  far  cedere  le  ragioni  da  Carlo 
di   Yalois^   il  qual   teneva  .Tlal    Papa   l'investitura  di 
que' Regni.  Così  conchiusa,  che  fu  la  pace,  il  Conte 
d'Artois    e   gli  altri  Signori  franzesi,   ch'erano    stati 
cinque .  anpi  alla  tutela  del  Regno  e  de'  Figliuoli  del  Re 
Carlo,  si  pattirooo  da  lui  sdegnati,  giudicandolo  ina* 


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398  STORIA  CIVILE, 

bile  a  fare  alcuna  opera  gloriosa.  DalF  altra  parte  lieto 
Jle  Giapomo  d' aver  passato  il  pericolo,  fece  rela  per 
Sicilia.  E  Carlo  dopo  urer  fatti  franchi  per  dieci 
anni  d'  ogni  gravezza  i  Gaetani,  i  quali  m  erano  por- 
tati in  queir  aasedio  con  grandissimo  ralore,  a  Napoli 
fece  ritorno. 

CAPITOLO  III. 

Coronazione  di  Cario  Martbi.lo  in  Bc  £  Ungheria. 
Pace  conchiusa  tra  il  Re  GARiOy  ed  il  Re  Sàra^ 
gona;  ed  incoronazione  di  Federigo  in  Re  di  Sicilia. 

X  ornato  che  fu  a  Napoli  Carlo,  trovò  quivi-  gli 
Ambasciadori  del  Regno  d'  Ungheria ,  che  vennero  a 
richiederlo,  che  mandasse  a  pigliar  la  possessione  di 
quel  Regno,  che  per  legittima  successione  toccava  alla 
Regina  Marta  sqa  moglie,  essendo  morto  il  Re  La- 
dislao, di  lei  fratello  senza  aver  lasciati  figliuoli ,  che 
fossero  più  prossimi  in  grado.  Re  Carlo  ricevuti  gli 
Ambasciadori  con  dimostrazione  di  onore,  rispose  loro, 
che  vi  avrebbe  egli  tosto  mandato  Carlo  Martello  suo 
figliuolo  primogenito,  al  quale  la  Regina  Maria  sua 
madre  avrebbe  cedute  le  ragioni  di  quel  Regno;  di 
che  rimasi  ben  contenti.  Cario  mandò  a  chieder  il 
Papa,  che  volesse  mandar  un.  Prelato  per  suo  Legato 
a  Napoli  a  coronarlo.  Egli  ciò  fece  non  per  altro,  che 
per  aver  occasione  con  tale  celebrità  di  rallegrar  Na- 
poli, el  Regno  con  una  festa  notabile  dopo  tanti  tra- 
vagli, non  perchè  credesse,  che  la  coronazione  fosse 
necessaria  per  mantenersi  le  ragioni  ch'avea,  o  d*  ac- 
quistarne di  nuovo,. perocché  sapeva  molto  bene  che 


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DEL  R^GNO  DI  NAPOLI  L.XXI.  CAP.IIL  899 
secondo  il  costume  .di  quel  Regno  bisognava  coronarsi 
ìtn  altra  volta  in  Fi$grado^  con  la  corona  antica  di 
qoel  Regno,  che  ivi  si  conserva,  per  essere  tenuto  Re 
legittioào  da  que' Popoli  (a).  Papa  Niccolò  imitando  Te- 
sempio  de'  suoi  predecessori ,  che  niente  oprando,  se 
hanno  potestà  -  di  fare,,  o  di  non  fare,  ricercati  si  met^ 
tevano  ad  ogni  cosà,  per  T  opinione,  che  tengono  an- 
cora di  ^ poter  tutto,  mando  tosto  in  Napoli  un  Lega- 
to, il  quale  coir  intervento  di  più  Arcivescovi  e  Ve- 
scovi lo  incoronò  Re  d'  Ungheria^  Fu  celebrata  que- 
st"  incoronazione  in  Napoli  a' 8  settembre  di  quest'an- 
no lago  nella  quale  anche  v* intervennero  gli  Amba- 
aciadori  del  Re  di  Francia,  e  di  tutti  i  Principi  di- 
talia,  tra'  quali  i  Fiorentini  comparvero  con  maggior 
p'ompa  di  tutti  gli  altri.  Le  fpfte,  le  giostre  e  gli  altri 
spettacoli  furono  grandijssimi;  ma  rìluese  sopra  d'ogni 
altra. cosà  la  beneficenjsa  e  liberalità  del  Re;  il  quale 
prima  che  si. coronasse  Carlo  Martello  suo  figliuolo, 
volle  armarlo  Cavaliere;  ed  appresso  a  lui,  diede  il 
cingolo  militare  9  più  di  3oo  altri  Cavalieri,  di  Napoli, 
e  dt  tutte  le  province  del  Riegno.  Donò  alla  città  di 
Napoli  le  immunità  di  tutti  i  pagamenti,  e  lasciò  an- 
che parte  de'  medesimi  a  tutte  quelle  terre,  eh'  aveano 
aofferto  qualche  danno  dall'armata  sicili^ina.  Poi  si  vol- 
tò ad  ordinar  al  Re  suo  figliuolo  una  regal  Corte, 
ponendogli  appresso  Consiglieri  sa  vii,  e  per  la  persona 
sua  seryidori  amorevoli,  e  gran  numero  di  Galuppi, 
e  di  Paggi  nobilissimi. 

Ma  mentre  io  Napoli  si  facevano  queste  feste,  al- 
nuni  Baroni  del  Regno  d'  Ungheria  aveano  chiamato 
per   Re  un  Andrea  parente   per  linea  trasversale  del 

(a)  Costanzo  lik  3. 


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4oo  STORIA  CIVILE 

Re  morto,  e  T  areàno  fatto  dare  .ubbidienza  da  molte 
terre  di  quel  Regno.  Per  la  qual  cosa.  Re  Carlo  dif- 
ferì mandare  il  figliuolo  in  Ungheria,  e  si  trattenne 
in  Napoli  per  alcuni  anni  appresso,  avendolo  lasciato 
il  padre  suo  Vicario,  mentr'egli  tornò  di  nuovo  in 
Francia;  ed  intanto  per  mandarlo  con  qualche  favore, 
in  virtii  del  quale  potesse  contrastare  e  vincere  Toc- 
cupator  di  quel  Regno,  ed  emolo,  suo,  mandp  -Giaco- 
mo Galeota  Arcivescovo  di  Bari  Ambasciadore  a  Ri- 
dolfo I  d' Austria  Imperadorc,  per  trattar  il  raatrìmo'» 
nio  d'  una  figliuola  di  costui  col. Re  Carlo  Martello; 
ed  essendosi  quello  felicemente  conchiuso,  parti-  poi 
da  Napoli  con  grandissima  compagnia  di  Baroni  e  di 
Cavalieri,  e  andò  in  Germania  a  celebrare  le .  noz- 
ze, e.  di  là  passò  poi.  in  Ungheria;  e  benché  cod- 
dueesse  seco  molte  forze,  non  però  ebbe  tutto  il  Re- 
gno, perchè  mentre  Andrea  sua  avversario  visse, 
sempre  ne  tenne  occupata  una  parte;  pur  da' suoi  par- 
tigiani fu  accolto  con  pompa  regale  e  coti  grandissi* 
ma  amorevolezza-;  e  que' Napoletani,  che  T  accompa- 
gnarono, riferirono  gran  còse  a  Carlo  dell' opulenza 
di  quel  Regno.  >^ 

Ma  intanto  questa  felicità  del  Re  Carlo  di  veder 
la  sucessione  di  un  tanto  Regno  in  persona  di  suo 
figliuolo,  era  turbata  da' continui  messi,  che  per  parte 
d'Odoardo  Re  d'Inghilterra  si  mandavano  a  lui  per 
^oUecitarlo  all'  adempimento  della  pace  fatta  col  Re 
d'  Aragona ,  il  quale  nell'  istesso  tempo  si  doleva  con 
Odoardo,  che  avendo  posto  in  libertà  il  Principe  di 
Salerno  còlla  sicurezza  che  egli  aveagli  data,  di  far 
riraovcre  il  Re  di  Francia  dall'  impresa  de' suoi  Re- 
gni, ora  più  che  mai  era  premuto  da  quel  Re.  E  ne- 


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DEL  REGNO  DI  NAPOLI  L.XXL  CAPJIL  4oi 

gii  Atii  d'Inghilterra  (a)  nUiinamente  dati  alla  luce, 
si  leggono  due  lettere  del  Re  Alfonso  scritte  ad  Odoar* 
do,  dove  si  lagna  del  Re  Carlo  per  la  soverchieria  in 
ciò  usatagli. 

Carlo  come  Re  lealissimo  e  di  somma  bontà,  tc- 
dutosi  in  cotal  guisa  stretto  non  meno  dal  Re  d'In- 
ghilterra, che  dal  medesimo  Alfonso,  determinò  d"an* 
dar  egli  di  persona  in  Francia,  e  quivi  far  ogni  sforzo 
d'  ottenere  dal  Re  e  dal  Fratello,  che  lasciassero  Tim- 
presa  d'  Aragona ,  come  ayeva  promesso  ne*  capitoli 
della  pace:  con  ferma  intenzione  di  ritornare  nella  pri- 
gione, qjaando  non  avesse  potuto  ottenerlo.  E  lasciato, 
come  si  dié'se,  Yicario  del  Regno  Carlo  Martello  suo 
figliuolo,  partì  conducendo  seco,*  fra  gli  altri,  il  ce» 
lebre  Bartolonìnieo  di  Gapua  G.  Protonotario  del  Re- 
gno ,  ed  ivi  giunto ,  trovò  che  il  Re  di  Francia  e 
quello  di  Majorica  facevano  grandi  apparati  per  en- 
trare T  uno  per  la  vìa  di  Navarra,  e  T  altro  per  lo 
Contado  del  Rosciglione  ad  assaltar  il  Regno  d'Ara- 
gona; e  trattenutosi  molti  dì  inutilmente,  era  quasi 
uscito  di  speranza,  non  pur  di  far  lasciare  V  impresa, 
ma  di  differirla ,  perchè  qne'  Re,  che  aveano  fatta 
la  Spesa,  non  volevano  perderla.  E  neViferiti  Atti  di 
Inghilterra  si  legge  ^una  certificatoria  del  Re  Carlo, 
come  egli  era  venuto  ad  un  certo  luogo  per  rimettersi 
in  prigione  (J). 

'  In  tanta  costernazione  d*  animo  essendo  questo  Re, 
sopravvennero  oppoHun^mente  in  Francia  il  Gaixlinal 


(rt)  Foedera,  convent.  etc.  pag.  ^5o  et  ^56.  {b)  Foedera^ 
cotiventiones ,  etc.  to.  i  pag.  3.^(  PressoLunig  tom.  a  silegge 
alla  pag.  i35o  ristromento  della  cauzione  data  dal  Re  Carlo  II 
di  rimettersi  in  prigione  nelle  mani  del  Re  d'Aragona). 

a6 


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4oa  STORIA  CIVILE 

Gaetano,  ed  il  Cardinal  Teecoyo  di  Sabina  Legati 
appostolici,  i  qnaU  con  T  autorità  del  nome  del  Papa , 
che  a  qne' tempi  era  in  gran  riverenza  presso  al  Re, 
ed  alla  nazion  franzese,  sforzaron  il  Re  di  Francia 
ad  aspettare  V  esito  della  pace,  che  si  tratterebbe  da 
loro.  E  ritiratisi  in  Mompelicrì,  avendo  convocati  gli 
Ambasciadori  d' Inghilterra^  d'Aragona,  del  Re  Carlo, 
del  Re  di  Majorica,  del  Re  Giacomo  di  Sicilia,  ed 
ancora  qaelii  del  Re  di  Francia,  cominciarono  a  trat- 
tar la  pace.  Ma  quanto  con  più  attenzione  quella  era 
trattata,  tanto  più  incontravano  malagevolezze  per  ri- 
durla a  fine-,  poic.hè  da  una  parte  gli  Ambasciadori  di 
Sicilia  dichiararono  F  animo  del  loro  Re  di  non  voler 
lasciare  la  Sicilia;  dall'altra . gli  Ambasciadori  di  Fran- 
cia diceano,  bhe  1  Re  loro  non  volea  perdere  la  spe- 
sa<)  né  che  Carlo  di  Valois  cedesse  le  sue  ragioni, 
giacché  Re  Giacomo  voleva  ritenersi  queir  isola  oc- 
cupata a  torto  e  con  tanta  ingiuria  e  tanto  spargi- 
mento di  sangue  franzese.  11  Papa  ancora  avea  co- 
mandato a*  suoi  Legati,  che  in  niun  modo  conchiu- 
dessero  pace,  se  1  Regno  di  Sicilia  non  restava  al  Re 
Carlo,  allegando  il  pregiudizio,  che  ne  nascerebbe  alU 
Sede  Appostolica,  quando  restassero  impuniti  i  vio- 
lenti ocGupatori  delle  cose  di  quella.  In  tanta  mala* 
gevolezza,  e  difficultà  trovandosi  lo  stato  delle  cose, 
Bartolommeo  di  Capua,  che  si  trovava  Ambaseiadore 
per  Re  Carlo,  Dottore  in  quel  tempo  eccellentissimo- 
ed  uomo  di  grandissimo  giudizio,  e  di  sagacissimo  inge* 
gno  nel  trattar  i  negozi,  dimostrò  a*  Cardinali  Legati, 
che  una  sola  via  restava  di  conchiuder  la  pace,  ed 
era  d'  escluderne  da  quella  il  Re  Giacomo,  e  proccu- 
rare,  che  Carlo  di  Yalois  in  cambio  della  speranza, 
eh'  avea  di  acquistar  i  Regni  d' Aragona  a^  di  Yalen» 


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DEL  REGNO  DI  NAPOLI  L.XXI.  CAP.HL  4oS 
ea,  pigliasse  per  moglie  Glemeazia  figliuola  del  Re 
Carlo^  la  qaale  gli  portasse  per  dote  il  Ducato  d'An- 
gìò.  I  Cardinali  cominciarono  a  trattar  la  cosa  con  gli 
Ambasciadori  d' Aragona,  e  trovarono  grandissima  in- 
clinazione di  non  far  conto,  che  il  Re  Giacomo  re- 
stasse escluso,  perchè  la  pace  era  necessaria  al  Re 
d*  Aragona,  il  quale  in  niun  modo  poteva  resistere  a 
tante  guerre;  poiché  oltre  di  quella,  che  gli  minac- 
ciava il  Re  di  Francia,  el  Re  di  Majorica,  si  tro- 
vava dall'  altra  parte  essere  stato  as^lito  dal  Re  San- 
cio  di  Gastiglia:  e,  quel  eh*  era  peggio,  i  suoi  Popoli 
stavano  sollevati,  siccome  dicevano,  per  l'interdetto 
dagli  U£ficj  sacri,  ma  motto  più  per  le  spese,  che  oc- 
correvano per  la  guerra;  e  facevano  istanza,  che  pur 
che  la  guerra  di  Francia  fosse  cessata,  e  placato  il 
Papa,,  non  si  doveaiìo  ritenere  i  figliuoli  del  Re  Car- 
lo, per  compiacere  a  Re  Giacomo,  ma 'si  doveano  li- 
berar subito,  e  far  la  pace.  Non  restava  da  far  altro 
ehe  contentare  Carlo  di  Yalois;  onde  i  Legati  si  mos- 
sero da  Mompélieri  con  tutti  gli  Ambasciadori,  ed  an- 
darono a  trovare  il  Re  di  Francia,  e  dopo  molte  di- 
acussioni  si  conchìuse  la  pace  con  queste  condizioni. 

Che  Carlo  di  Yalois  avesse  per  moglie  la  primo- 
genita del  Re  Ciarlo  col  Ducato  d^  Angiò*  per  dote,  è 
rìnutaziasse  all'  investitura  de  Regni  d'  Aragona  e  di 
Valenza. 

(  L'Istromento  dotale  di  questo  matrimooio  stipulato 
nel  1390  si  rapporta  da  Lunig,  pag.  io4a  nel  quale 
Clemenzia  viene  chiamata  JtfargAenVa;  e  nella  pag*  io43 
rapporta;  la  conferma  di  Celestino  V  fatta  nel  primo 
anno  del  suo  Pontificato,  che  fu  nel  ia94)  colla  quale 
corrobora  la  transazione  passata  tra  CsltIo  II  e  Gian 
corno  U  Re  d'Aragona^. 


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4o4  STORIA  CIVILE 

Che  il  Re  d'Aragona  liberasse  i  tre  figliaoli  del 
Re  Carlo  con  gli  altri  ostaggi,  e  pagasse  il  censo 
tanti  anni,  tralasciato  del  Regno  d'Aragona  alla  Chiesa 
Romana. 

Che  non  solo  non  dasse  ajuto  al  Re  Giacomo,  ma 
che  avesse  da  comandar  a  tutti  i  suoi  sudditi,  che  si 
troTarano  in  Calabria,  ovvero  in  Sicilia  al  servìzio 
di  quel  Re,  che  dovessero  abbandonarlo,  e  partirsi. 

Che  dair  altra  parte  il  Papa  ricevesse  il  Re  d'Ara- 
gona come  buon  figliuolo  nel  grembo  di  Santa  Chie- 
sa, e  togliesse  T  interdetto  a  que' Popoli. 

Stabilita  in  cotal  guisa  la  pace,  furono  gli  articoli 
di  quella  mandati  subito  in  esecuzione;  poidiè  il  Re 
Carlo,  riavuti  ch'ebbe  i  figliuoli  è  gli  altri  ostaggi, 
venne  per  mare  in  Italia,  e  fu  ricevuto  con  grandis- 
aimo  onore  in  Genova,  e  contrasse  amicizia,  e  lega 
eon  quella  Repubblica,  la  quale  promise  d'aiutarlo 
alla  ricuperazione  di  Sicilia  con  60  Galee;  è  Carlo  di 
Yalois  mandò  in  Napoli  per  Clemenzia,  la  quale  con- 
dotta in  Francia  fu  da  lui  sposata. 

Ma  la  morte  accaduta  poco  da  poi  del  Re  Alfonso 
senza  lasciar  di  se  figliuoli,  turbò  un'altra  volta  la  pace 
cotanto  desiderata;  poiché  essendo  stato  chiamato  al 
soglio  di  que'  Regni  il  Re  Giacomo  d.a  Sicilia  come 
legittimo  erede:  questi  senza  dimora  alcuna  navigò  in 
Ispagna,  lasciando  in  quell'isola  per  suo  Luogotenente 
D.  Federico  suo  Fratello;  e  pigliata  la  possessione  di 
que'  Regni,  il  Re  di  Francia  el  Re  d'Inghilterra  ad 
istanza  del  Re  Carlo  mandarono  Ambasciadori  a  ri- 
chiederlo, che  poiché  avea  avuti  que'  Regni  per  ere- 
dità del  Re  Alfonso  suo  fratello,  volesse  ancora  adem- 
pire le  condizioni  della  pace  poco  innanzi  fatta,  e  re- 
stituire il  Regno  di  Sicilia,  ovvere  non  dar  aiuto  al- 


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DEL  REGNO  DI  NAPOLI  L.XXL  CAP.IIL  4oS 

euno  a'Siciliaai,  e  chiamar  inlspagna  tatti  i  suoi 
sudditi,  che  militarano  in  Sicilia;  perchè  altrimenti  la 
pace  si  terrebbe  per  rotta,  e  la  rinunzia  di  Carlo  di 
Yaloìs  per  non.  fatta,  ed  il  Papa  ritornerebbe  ad  in* 
terdire  que  Regni.  Re  Giacomo  rispose,  ch'egli  era 
succeduto  a  que* Regni,  come  fratello  di  Alfonso,  % 
che  però  non  era  tenuto  ad  adempire,  quelle  condi- 
zioni, alle  quali  avea  consentito  il  fratello  con  tanto 
pregiudizio  della  Corona  d' Aragona.  Cosi  d'ogni  parte 
a'  ebbe  la  pace  per  rotta,  e  tra  il  Re  Carlo  e  R^  Già* 
corno  fu  ripresa  di  bel  nuovo  ostinata  guerra  in 
Calabria. 

Intanto  il  Re  di  Francia  e  1  Papa  molestavano  Re 
Giacomo,  che  avesse  da  lasciar  il  Regno  di  Sicilia^ 
e  gli  Aragonesi  ed  i  Yalenziani  ancora  il  confortavano 
a  farlo;  ma  la  morte  accaduta  in  quest'anno  lag^  del 
Pontefice  Nicolò  fu  cagione  eh' egli  noi  facesse,  • 
che  aspettasse  quel  che  potea  far  il  tempo.  6  poiché 
i  Cardinali  venuti  in  discordia  tra  loro,  lasciarono  la 
sede  vacante  per  lo  spazio  4i  due  anni  ed  alcuni  mesi, 
il  Re  di  Francia  non  si  mosse,  e  si  visse  quasi  du« 
anni  in  pace.  Ma  venuto  Tanno  di  Cristo  1294  pre- 
sero risoluzione  di  far  Papa  un  povero  Eremita,  chia- 
mato Fr.  Pietro  di  Morrone,  che  stava  in  un  picciolo 
Eremitaggio  due  miglia  lontano  da  Solmona ,  nella 
falda  del  monte  della  Majellii)  e  già  era  opinione,  cha 
per  la  santità  delia  vita  e  più  per  la  sua  inespertezza 
non  accetterebbe  il  Papato.  Il  Re  Carlo  udita  l'ele- 
zione, andò  subito  a  trovarlo  ed  a  persuaderlo,  che 
l'accettasse,  e  tanto  fece,  finché  T indusse  a  mandare 
a  chiamar  il  Collegio  de'  Cardinali  all'  Aquila  ;  e  fu 
iigevol  cosa  a  persuaderlo,  non  già  per  avidità  ch'egli 
avesse  di  regnare,  ma  solo  per  la  sua  umilia  e  gran- 


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4o6  STORIA  CIVILE 

dissimi  fenpUoità.  Vennero  i  Cardinali  air  Aquila  a 
tempo,  che  *1  He  con  Carlo  Mantello  suo  figliuolo, 
insieme  eoi  nuoTO  Papa  ivi  era  giunto,  ed  essendo 
stato  con  molta  solennità  ed  infinito  concorso  incoro^» 
nato  a'  99  agosto^  prese  il  nome  di  Celestino  V*  Carlo 
rendette  grazie  e  die  lodi  a  tutti  cb'ayeano  fatta  sì 
buona  elexbne,  e  con  grandissima  liberalità  e  magni- 
ficenza somministrò  a  tutti  le  cose  necessarie  p^  Io 
viver  loro,  e  per  quanto  si  spese*  Tutti  stupirono  per 
la  gran  novità  della  cosa,  vedendo  in  un  punto  una 
persona  di  sì  basso  ed  umile  stalo  esaitata  nel  più 
sublime  grado  delle  dignità  umane. 

Questo  Pontefice,  non  ostante  la  nuova  dignità,  di- 
mostrò quanto  fosse  più  amante  della  vita  contempla- 
tiva, poiché,  ben  tosto  cominciò  a  .mani£Bstare  il  suo 
desiderio  di  ritornare  air  eremo:  del  clie  Re  Carlo  ano- 
tiva  dispiacere  grandiasìnio,  perchè  quando  fu  creato 
se  1  teni^ie  a  grandissliaa  ventura^  essendo  suo  vassallo 
e  di  cosi  santa  vita,  dal  quale  sperava  ottenere  quanto 
voleva*,  e  vedendo  che  i  Cardinali  desideravano,  che 
Celestino  se  ne  ritornasse  al  suo  eremo,  gli  persuase, 
che.venissiD  a  MapoU  per  mantene];lo  col  fiato  e  col 
favor  suo.  Yenne.  Celestino  in  Napoli-,  ma  la  dimora 
in  questa ,  città ,  e  le  tante  carezze  e  persuajaioni  di 
Cario  niente  valsero  a  mutare  il  di  lui  proponimentOy 
onde  tra  pochi  di  in  mezzo  decembre  oelia  gran  sala 
del  Castel  Nuove  rinunziò  il  Papato  in  man  de'  Car- 
dinali, e  se  ne.  ritornò  all'eremo.  Nel  regale  Archi- 
vio (a)  si  legge  una  carta  di  donazione  fatta  dal  Re 
Carlo  ad  un  fratello -e  due  nipoti  di  Celestino  di  venti 


(a)  Kegìstr.  ann«  1398  et  1399.  B.  foL  161  rapportato  dal 
Cìarlanl.  fol.  36S. 


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DEL  REGNO  DI  NAPOLI  L.XXL  CAP.IIl.  407 

once  d'  oro  Y  anno  in  perpetuo ,  sopra  la  BagUva  di 
Foggia,  che  poi  furon  loro  assigoate  eopra  quella  di 
Sulmona. 

Era  allora  Cardinale  assai  stimato  Benedetto  Gae- 
tano,  così  per  nobiltà,  come  per  dottrina  e  per  motto 
uso  delle  cose  del  Mondo,  il' quale  redendo,  che  Ro 
Carlo  con  la  magnificenza  e  con  la  liberalità  sua  si 
avea  acquistati  gli  animi  di  tutti  li  Cardinali,  andò 
>a  trovarlo,  e  lo  pregò  che  volesse  aiutarlo  a  salire 
al  Pontificato,  facendogli  con  vive  ragioni  quasi  toccar 
con  mano,  che  da  ninno  degli  altri  Cardinali  ch'erano 
in  Collegio,  potea  sperare  così  pronti  aiuti^  cerne  da 
lui,  tanfo  nel  ricoverare  il  Kegno  di  Sicilia^  quanto 
in  ogni  altra  còsa;  e  perchè  il  Re  conobbe  che  èra 
vero,  poiché  oltre  Taltre  qualità  sue  era  capitalissimo 
nemico  de-  Ghibellini,  promise  di  farlo,  come  già  fece» 
e  con  andar  pregando  uno  per  uno  li  Cardinali,^  ot'- 
tenile  da  loro,  che  la  vigili^  di  Natale  a  viva  voce 
r elessero,  e  chiarùarono  Bonifacio  f^llL 

Bonifacio,  essendo  di  vita  in  tutto  diversa  dal  8U0 
antecessore,  confidando  nel  parentado ,^  che  avea  con 
molti  Principi  romani  «  andò  subito  a  coronarsi  in 
Roma,  molto  ben  soddisfatto  di  Carlo,  perchè  olire 
di  averlo  fatto  Papa,  non  lasciò  spezie  alcuna  di  li- 
beralità e  di  onore,  che  non  usasse  con  lui;  e  però 
celebrata  la  coronazione,  cominciò  a  mostrarsi  grato 
di  tanti  obblighi,  e  mandò  accomandare  per  un  Le- 
gato appestolico  al  Re  Giacomo,  che  lasciasse  subile 
il  Regno  di  Sicilia,  minacciando  ancora  di  privarlo 
per  sentenza  degli  Regni  d' Aragona  e  di  Valenza , 
quando  egli  volesse  persistere  nelF  interdetto ,  e  non 
ubbidire. 

Dall'altra  parte  Re  Carlo  mandò  Bartolommeo  di 


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4o8  BTORU  CrVILE 

Gapua  in  Francia  a  sollecitare  Carlo  di  Talois,  che 
rompesse  la  guerra  per  virtù  deirinTestittira  de*Regni 
di  Ak'agona  e  di  Valenza;  poiché  la  cessione  che  ayea 
fatta  nella  pace  con  Alfonso ,  non  dorea  valere  in 
beneficio  di  Giacomo,  il  qaale  non  volea  stare  agli  al- 
tri patti;  ma  Bartolommeo,  poiché  fu  giunto  in  Fran- 
cia, non  ebbe  tanta  fatica  a  persuadere  a  Carlo,  che 
rompesse  la  guerra,  quanta  n'ebbe  a  persuadere  a  quel 
Ke,  che  facesse  la  spesa:  ma  in  fine,  passando  per 
la  Francia  U  Legato  appostolico,  che  tornava  da  Va- 
lenza, e  diceùdo,  che  He  Giacomo,  ancorché  avesse 
dato  parole  airordine  del  Papa,  mostrava  di  stare  pure 
sbigottito,  per  conoscere  Tanimo  di  que"  Popoli,  che 
mal  volentieri  sofferivano  di  stare  interdetti,  inanimò 
il  Re  a  condiscendere  a'  prieghi  di  Bartolommeo,  ed 
a  bandire  la  guerra  al  Re  Giacomo  e  ad  apparec- 
chiare Teserctto  per  assaltarlo. 

Allora  Re  Giacomo  cominciò  a  mutar  pensiero  ed 
a  conoscere,  che  esso  non  era  abile  a  sostenere  in- 
sieme tante  guerre;  e  per  accattar  benevolenza  da' Ba- 
roni di  quelli  Regni,  convocò  un  Parlamento  generale, 
nel  quale  dichiarò,  che  Fanimo  suo  non  era  di  vivere 
e  far  vivere  e^i  interdetti,  e. che  desiderava  d* ubbi- 
dire al  Sommo  Pontefice;  ma  che  dall'altra  parte  te- 
meva, per  vederlo  tanto  strettamente  legato  con  Re 
Carlo,  e  che  però  voleva,  che  si  mandassero  quattro 
Ambasciadori  supplicando  la  Santità  Sua,  in  di  lui 
nome  e  di  quelli  Regni,  che  volesse  trattare  la  pace 
con  giuste  ed  oneste  condizioni,  ch'egli  l'avrebbe  ac- 
cettata volentieri,  e  nel  medesimo  Parlamento  furono 
eletti  gli  Ambasciadori,  con  piena  potestà  d'intervenire 
nel  trattato  della  4)ace.  Come  questi  Ambasciadori  fu* 
rono  giunti  in  Roma,  ed  ebbero  esposta  al  Concistorio 


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DEL  REGNO  DI  NAPOLI  L.XXI.  GAP.  III.  409 
ìa  buona  yolontà  del  Re  Glacemo,  fu  loro  risposto 
dal  Papa  molto  benignamente,  e  promesso,  ch'egli 
spogliandosi  d'ogni  affezione,  tratterebbe  la  pace  coiAi. 
onorata  per  Tuna,  come  per  Taltra  parte. 

Re  Carlo,  che  per  Breve  del  Papa  fa  avvisato  di 
qaesto,  ordinò  a  Bartolommeo  di  Capua,  il  qaal  tor^ 
^ava  da  Francia,  che  si  fermasse  in  Roma,,  ed  inter- 
venisse come  Ambasciadore  al  trattato  della  paee,  U 
quale  fa  maneggiatii  dal  Papa  eoa  tanta  destt^ezxa^  che 
queir  articolo  eh*  era  stato  più  ipdl9gevoIe  a  trattare, 
cioè  la  restituiione  del  Regno  di  Sic.iUa,.fQ  con  poca 
fatica  accettato  dagli  Ambasciadori  d'Aragona;  e  si 
crede  che  fosse  perchè  Re  Giacomo  non  avea  mqdo 
alcuno  di  trevar  denari  da  provvedere  e  da  opponersi 
agli,  appagati  del  Re  djl  Francia,  poiché  li  popoli,  tutti 
inclinati  all^  pace,  non.  y  ole  vano  contribuire;  e  eosl 
a'  5  di.  giugno  delFanno  12195  fu  conchiusa  la  pace 
con  queste  condizioai  :  òhe  Re  Giacomo  consegnasse 
risola  di  Sicilia  a  Re  Garlo^  cosà  ioteta,  come  Favea 
posseduta  Carlo  I  avanti  la  revoluaione.  Che  reetìtuìsstt 
tutte  le  terre,  fortezze  e  castella  »  che  U  suoi  Capitani 
tenevano  in  Calabria,  Basilicata  e  Principato;  e  dal- 
l'^ altra  parte.  Re  Carlo  gli  dasse  per  moglie  Bianca 
sua  figliuola  secondogofùta  con  dote  di  i4>o  m.  marche 
d' argento,  e  che  si  facesse  amplissima  re0tituzione  ed 
indulto  de' beni  e  delle  persone  discoloro,  che  avevano 
servita  Tuna  parte  e  T  altra;  ed  U  Papa  ribeaedicesse 
e  ricevesse  in  grazia  Re  Giacomo  e  tutti  li  suoi  sud-^ 
diti  e  aderenti,  togliendo  l'interdetto  ecclesiastico,  ed 
assolvendogli  d' ogni .  censura.  Gli  Ambasciadori  del 
Re  di  Francia  entrarono  nella  pace  per  lo  Re  loro, 
con  obbligarlo  ancora  a  farvi  entrare  il  Re  di  Castiglis^ 

Questa  paoe  diede  grap  maraviglia  per  (utlo  il  Mon« 


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4io  STORIA  GITILE 

do^  perchè  parea  esosa  impossìbile  che  Re  Giacomo, 
il  quale  manfenuto  tanti  anni  quei  Regno  cop  le  sole 
forze  di  Sicilia,  accresciuto  poi  da  due  altri  Regni  e 
di  tante  altre  Signorie  che  avea  in  Ispagna,  fosse  av« 
vilito  e  fatta  una  pace;  ma  li  Savi!  giudicarono  che 
egli  avesse  fatto  prudentemente,  perchè  con  quelli  Re* 
gni  gli  era  ancora  venuta  F  impossibilità  di  potergli 
difendere  tutti^  e  gU  era  stata  un'  eredità  di  molto  più 
peso  che  frutto,  avendo  da  guerreggiare  ne'  Regni  di 
Spagna  col  Re  di  Gastiglia  e  col  Re  di  Francia,  ed 
in  Sicilia  con  Carlo:  onde  gli  sarebbe  bisognato  man- 
tenere tre  eserciti  ed  essere  in  tre  luoghi^  il  che  era 
parimente  impossibile  oltre  V  inimicibsià  del  Papa,  la 
quale  gli  facea  non  minor  guerra  dell'  irttre:  narrasi 
aneora,  che  vi  s' inchinò  per  una  promessa  che  ^  fece 
il  Papa  d'investirlo  del  Regno  di  Sardegna,  e  di  farlo 
aiutare  da  Re  Carlo  -suo  suocero  all'  acquisto  di  quel- 
l'isola  ed  ancora  dell'  isola  di  Corsica. 

Alla  fama  di  questa  pace,  che  subito  giunse  in  Si- 
cilia, D.  Federico  che  si  trovava  Lnogotenente  del 
fratello,  com'  era  giovane  di  gran  cuore,  cominciò  ad 
aspirare  al  dominio  di  quel  Regno  e  simulando  il  suo 
disegno,  mandò  prima  Ambasciadori  al  Papa  a  noti- 
ficargli, che  per  quanto  toccava  a  se,  era  stato  sempre 
pronto  e  desideroso  di  vnrere  sotto  le  ali  e  sotto  l' ub- 
bidienza della  S.  Chiesa  ed  a  supplicarlo  che  volesse 
riceverlo  per  tale:  il  Papa  udita  l' ambasciata  ed  ac- 
colti benignamente  gli  Ambasciadori,  rispose  che  a- 
vesserò  detto  a  D.  Federico  che  gli  era  stato  gratia- 
aimo  quell'ufficio,  e  che  desiderava  molto  di  vederlo 
e  di  adoperarsi  per  lui.  D.  Federico  andò  subito  in 
Roma,  e  menò  seco  Ruggiero  di  Loria  e  Giovanni  di 
Precida.  Il  Papa  dappoiché  Tebbé  accolto  con  onore 


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DEL  REGNO  DI  NAPOLI  X.  XXI  CAP.IIL  4" 

grandissimo,  aTendo  vista  la  dtsposizioaó,  e. la  bellezza 
del  carpo,  e  T ingegno  che  mostraya  nel  trattare,  reato 
quasi  fìior  di  speranza  di  poterlo  persuadere,  perchè 
pareva  attissimo  a  regnare,  e  sapersi  mantenere  il  Re* 
gno:  par  non  lasciò  con  ogni  arte  di  manifestargli  la 
pace  e  di  confortarlo,  che  volesse  conformarsi  con  la 
Tolontà  del  Re  Giacomo  suo  fratello,  e  lo  pregò  che 
tpiando  tornasse  in  Sicilia,  avesse  fatta  opera  che  «enza 
ripugnanza  si  fosse  resa  quell'  isola,  perchè  egli  airìo- 
contro  avrebbe  tenuta  special  cura  della  peraona  di 
lui,  conoscendolo  degnissimo  d'ogni  gran  Signoria,  pro- 
mettendogli di  far  opera  che  Filippo  figliuolo  di  Bal- 
duina» Imperador  di  Costantinopoli,  gli  avesse  data  per 
moglie  la  figlia  uniea,  con  ^a  promessa  della  aucces- 
sioiie  d'alcune  terre  che  possedeva  in  Grecia,  e  delle 
ragioni  di  ricovrare  T  Imperio  di  Costantinopoli;  e  pro- 
mise ancora  di  farlo,  aiutare  dal  Re  Carlo  e  d'aiutarlo 
ancora  egli  con  tutte  le  forze  della  Chiesa.  D.  Federico 
per  allora  non  seppe  far  altro  che  accettare  le  offerte, 
e  promettere  di  far  quanto  per  lui  si  potea  che  l  iso- 
la fosse  resa,  e  partì. 

Ma  i  Siciliani,  com'  ebbero  inteso  da  lui  la  certezza 
della  pace  fatta ^  disperati  e.  malcontenti,  non  altri- 
menti, che  se  aspettassero  T  ultimo  esterminio  nel  ve« 
aire  in  ma«o  de'Franzesi,  loro  mortalissimi  nemici, 
s' unirono  insieme  a  parlamento ,  e  con  queir  audacia 
che  suole  nascere  dalla  disperazione,  determinarono  di^ 
passare  per  ogni  estremo  pericolo ,  più  tosto  che  ve- 
nire a  tanta  estrema  miseria:  onde  elessero  quattro  Am- 
basciadori  che  andassero  al  Re  Giacomo,  e  1  suppli- 
cassero che  fosser  date  in  guardia  agli  oriondi  del  Re- 
gno tutte  te  castella  e  fortezze  di  quello,  e  che  ri- 
trovando  il  Re  determinato  di  restituire  risola  a  Re 


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4i2  STORIA  CIVILE 

Carlo,  gli  rendessero  V  omaggio,  sciogliendosi  dal  gia-> 
ramento  di  fedeltà  e  di  soggezione,  con  fargli  inten- 
dere apertamente  che  in  tal  caso  non  erano*  per -ub- 
bidirlo. 

Qaesti  Ambasciadori  arrivarono  nel  medesimo  tem- 
po, che  giunse  la  Sposa  al  Re  Giacomo,  il  quale  u- 
dita  r  ambasciata,  rispose  loro,  che  per  ben  della  pace 
e  sicurtà  di  quelli  Regni,  ove  egli  era  nato,  era  statò 
costretto  dì  restituire  a  Re  Carlo  suo  suocero  risola; 
onde  imponeva  loro  che  senz'  altra  ripugnanza  quella 
si  restituisse. 

Gli  Ambasciadori  di  questa  risposta  rimasero  af- 
flittissimi, ed  avendo  replicato  al  Re,  che  non  avea  po- 
testà di  vendergli,  gli  restituirono  V  omaggio,  e  prote- 
starono che  quel  Regno  si  teneva  da  queir  ora  avanti 
per  libero  e  sciolto  da  ogni  giuramento,  e  che  avrebbe 
proccurato  altro  Re,  phe  con  gratitudine  ed  affezione 
r  avesse  difeso,  e  con  questo  si  partirono  e  ritornarono 
con  ogni  celerità  in  Sicilia. 

Intanto  Giovanni  di  Precida  e  Manfredi  .di  Chiara- 
monte  aspettando  il  loro  ritorno,  si  erano  fortificati 
in  alcune  piazze,  e  tenendo  per  fermo  che  D.  Fede- 
rico avrebbe  assai  volentieri  abbracciata  sì  opportuna 
occasione^  gli  persuasero  che  non  la  lasciasse,  e  che 
convocasse  un  Parlamento  generale  in  Palermo.  D.  Fe- 
derico si  lasciò  cadere  dalla  mente  tutte  le  promesse 
del  Papa,  parendogli  che  se  per  mantenere  Sicilia  bi- 
sognava stare  con  Tarqii  in  mano  a  casa  sua,  per. 
acquistare  Costantinopoli  gli  sarebbe  stato  necessa- 
rio andare  armato  con  assai  maggior  disagio-  e  spesa 
per  lo  paese  altrui;  ohde  fece  convocare  a  Parlamento 
non  solo  li  Baroni,  ma  li  Sindici  tutti  delle  città  e 
•erre,  innanzi  a' quali  gli   Ambasciadori  rifarirouQ  la 


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DEL  REGNO  DI  NAPOLI  L.XXI.  GAP.  IH.  4i3 

risposta  di  ReGiacDitiOy-e  fecero  leggere  la  copia  ohe 
aveano  portata  della  Gapitolazione  della  pace.  Il  fre- 
mito di  tutti  fu  grandissimo,  ed  allora  Ruggiero  di 
Loria  insieme  con  Vinciguerra  di  Palizzi  pronuncia- 
rono il  voto  loro,  che  D.  Federico  fosse  gridato  Re 
di  Sicilia,  e  fl' offersero  i  primi  a  dargli  il  giuramento; 
la  moltitudine  non  aspettò  che  seguissero  gli  altri  Ba- 
roni secondo  Fordine,  ma  ad  altissime  voci  gridarono: 
Viva  D,  Federico  Re  di  Sicilia,  Così  V  anno  di  nostra 
salate  1396  a'  a  5  di  marzo  fu  solennemente  coronato 
Re  Federico,  il  quale  non  meno  prudente  che  ^^orag- 
gioso,  diede  ordine  a  far  danari  e  nuove  jgenti,  e  non 
solamente  s' apparecchiò  a  difendere  Sicilia^  ma  a  con- 
tinuare ancora  l' impresa  di  Calabria. 

(  Federiào  salutato  Re  di  Sicilia  spedi  soe  Lettere 
a  Palermo  ed  a  tutte  le  comunità  di  quel  Regno,  in- 
vitandole ad  intervenire  nella  solenne  sua  coronazione, 
le  quali  si  leggono  presso  Lunig,  tom,  3,  pag.  io49; 
rapporta  ancora  pag.  io5i  la  Bolla  di  Bonifacio  VllI^ 
per  la  quale  annullasi  ia  Coronazione  di  Federico^  or- 
dina che  ai  riyochi,  e  minaccia .  censure  ai  Siciliani,  se 
non  faranno  ogni  sforzo  di  cacciarlo  di  Sicilia). 

Intanto  Re  Carlo  arrivata  ad  Anagni,  dove  era  il 
Papa,  lo  supplicò  che  avesse  mandalo  un  Legato  ap- 
póstolico,  insieme  coir  Ambasciadori  del  Re  Giacomo, 
nd  (mlinare  a'  Siciliani  che  restituissero  \  isola  in  mano 
di  Cèrio  come  fece;  ma  giunti  che  furono  in  Messi* 
na,  si  fece  loro  intendere  che  quella  citta^  e  tutta  T  i- 
sola  età  del  Re  Federico  d'Aragona,  e  che  essi  non 
passassero  più  oltre,  perchè  avrebbero  trovato  quel 
che  non  volevano.  Gli  Ambasciadori  insieme  col  Le- 
gato sbigottiti  se  ne  tornarono  prima  a  Napoli  a  tro- 
_vare  il  Re,  e  poi  ad  Anagni  «l  Papa,  ed  all'  uno  ed 


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4i4  STORIA  CIVILE 

mìV  altro  diedero  relazione  di  quel  cV  era  passato.  Parre 
a  Carlo,  ehe  era  lealissimo  di  natura,  cosa  molto  i- 
Btìspettata;  ma  non  parve  coaì  al  Papa  che,  da  che 
aveva  veduto  D.  Federico,  e  considerati  gli  andamenti 
aaoi,  sempre  Y  avea  avuto  sospètto.  Si  risolsero  pers- 
elo mandare  un  Legato  ed  Ambasciadori  al  Re  Gia- 
como, perchè  con  tutte  le  sue  forze  s'adoperasse  che 
con  effetto  fosse  resa  quell'  isola. 

Mentre  il  Legato,  e  gli  Ambasoiadorì  andarono  in 
Ispagna,  Re  Carlo  con  consiglio  del  Papa,  e  de" suoi 
pili  savi  Baroni,  per  non  aspettare  che  Re  Federico 
pigliasse  piii  forza,  e  per  non  stare  in  tutto  appog- 
giato nella  speranza  di  Re  Giacomo,  deliberò  mover- 
gli guerra;  fu  perciò  con  ugual  ferocia  ed  ardire  guer- 
reggiato lungamente  in  Calabria,  ove  Carlo  ora  vin- 
cente, ora  perdente  faticò  invano  a  ricujperare  queUa 
Piazze,  che  Federico  teneva  occupate  ii}  quella  prò* 
vineia:  anzi  T  ardir  di  costui  s  estese  tanto,  che  invase 
la  Provincia  d'  Otranto,  prese  e  saccheggiò  Lecce,  for*- 
tificò  Otranto,  e  disceso  a*  Brindisi  accamposai  alle 
mura  di  quella  città  (a).  Sol  questo  danno  ricevè  Fe- 
derico da  questa  guerra,  che  essendosi  disgustato  con 
Ruggiero  di  Loria,  fé'  che  questi  poi  passasse  al  par- 
tito di  Carlo.    -- 

li  Papa  avendo  avviso  di  questi  felici  successi  del 
Re  Federico,  e  che  Carlo  con  le  forze  che  avea  al- 
lora^ appeena  basterebbe  a  difendere  il  Regno,  di  Pu^^ 
glia,  e  che  la  rioovrasione  di  Sicilia  anderebbe  a  lun- 
go, se  non  gli  fossero  aggiunte  altre  forze,  parte  per 
mantenere  l'autorità  della  Sede  Appostolica^  la  quale 
egli  era  deliberato  innalzare  quanto  potea;  parte  par 

(a)  Costanzo  lib.  ^* 


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DEL  REGNO  DI  NAPOLI  L.XXL  CAPHL  4i5 

Tamore  che  portaya  al  Re  Carlo,  lasciò  la  cura  di 
tatte  r altre  cose,  e  si  voltò  solo  a  questa  impresa;  e 
per  obbligarsi.  Re  Giacomo  perchè  pigliasse  impegno 
di  far  restituire  in  ogni  modo  la  Sicilia,  gli  mandò 
rinvestitura  del  Regno  .di  Sardegna,  e  lo  creò  Confai 
loniere  di,S.  Chiesa  e  Capitan  Generale  di  tutti  li 
Cristiani,  che  guerreggiavano  contro  gV  Infedeli,  e  man- 
dò a  pregarlo .  che  con  ogni  studio  avesse  atteso  a 
empire  quanto  avea  promesso. 

(Questa  investitura  del  Regno  di  Sardegna,  data 
al  Re  Giacomo^  si  legge  presso  Lunig  tom,  2  secU  3 
de  Sardinìae  Regno,  pag.   i4i5). 

Re  Giacomo  vedendosi,  oltre  V  obbligo  della  Capi- 
tolazione,  obbligato  al  Papa,  ordinò  ne  Regni  suoi^ 
che  si  facesse  grand'  apparato  d' armata ,  e  venne  in 
Roma  ad  iscolparsi  e  giurare  innanzi  al  Papa,  che  non 
era  né  consapevole,  né  partecipe  in  modo  alcuno  della 
contumacia  e  della  colpa  del  fratello,  e  che  Y  avrebbe 
mostrato  con  Farmi  in  mano  a  tutto  il  Mondo;  e  per 
allora  mandò  in  Sicilia  Pietro  Comaglies  Frate  del- 
r  Ordine  de'  Predicatori  per  trattare  col  fratello ,  e 
persuaderlo  che  ubbidisse  al  Papa.  Frate  Pietro  non 
potendo  ottenere  la  restituzione  di  Sicilia,  come.Re^ 
ligioso  consigliava  al  Re  D.  Federico  che  almeno  la- 
sciasse le  terre  di  Calabria,  sopra  le  quali  non  avea 
titolo  niuno,  né  giusto,  né  colorato;  perchè  se  bene 
egli  si  voleva  ritenere  il  Regno  di  Sicilia  per  rele- 
zione ,  che  aveano  fatta  di  lui  li  Siciliani,  o  per  lo 
testamento  di  Re  Alfonao  suo  fratello  primogenito; 
nel  Regno  di  Puglia,  del  quale  sebbene  era  stato  di 
Re  Pietro  il  titolo  sotto  la  medesima  ragione,  che  era 
Sicilia  per  T  eredità  di  Re  Manfredi,  nientedimeno 
per  la  cessione  fatta  da  Re  Giacomo   nella  pace,  era 


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4i6  STORIA  CIVILE 

ét0ta  trasferita  ogni  ragione  nella  persona  £  Re  Gar-» 
lo,  quando  eziandio  non  gli  avessero  da  valere  Tin- 
Testitnre  e  confermazioni  di  tanti^  Papi.  Ottenne  eoa 
questo,  ohe  aranticbè  partisse  di  Sicilia,  il  Re  Fede*- 
rico  mandò  a  richiamare  Ruggiero  di  Loria,  e  pro« 
mise  di  richiamare  tutti  *  ti  presidli  delle  terre.  Il  Frate 
tornato  al  Papa  ed  al  Re  Giacomo,  disse  quanto  area 
fatto,  e  non  restando  contenti  né  Tuno,  ne  T altro, 
Cìacomo  mandò  appresso  il  YescoTO  di  Valenza  a 
pregare  Re  Federico,  che  avesse  voluto  venire  a  par- 
lamento con  lui  neir  isola  di  Precida,  o  d*  Ischia,  ove 
si  sarebbe  preso  alcun  buon  ordine  alle  cose  loro: 
Re  Federico  rispose  a  questo,  che  non  poteva  moversi 
senza  consiglio  de'  suoi  Baroni;  ^ed  avendo  dimandato 
ad  alconi  quel  che  era  da  farsi,  Ruggiero  di  Loria 
ìi  consigliò,  che  s'umiliasse  al  fratello,  e  che  andasse 
a  parlargli;  ma  entrato  il  Re,  per  insinuazione  degli 
emoli  di  Ruggiero,  in  diffidenza  del  medesimo,  questi 
di  ciò  accortosi,  parlò  con  tanta  ira,  che  il  Re  gli 
comaiidò  che  non  uscisse  di  Palazzo  ;  ma  supplicato 
ii  Re,'  che  lo  lasciasse  nudare,  egli  subito  sì  partì: 
onde  si  trattò  poi  il  modo  per  farlo  entrare  -a'  servigi 
del  Re  Carlo. 

A  questo  tempo  vennero  nuovi  Ambasciadori  del 
Re  Giacomo  in  Sicilia,  con  ordine,  che  se  il  Vescovo 
a  Valenza  non  avesse  ottenuto^  che  Re  Federico  fosse 
venuto  a  parlamento  con  lui,  gli  conducessero  la  Re- 
gina Costanza  e  rinfaate  Donna  Violante  a  Roma, 
dove  il  Re  Giacomo  1*  aspettava.  Federico  non  volle 
sopra  ciò  mostrare  di  dispiacere  al  fratello,  e  disse 
alla  madre,  ch^  era  in  potestà  sua  V  andare ,  come  il 
fermarsi  in  Sicilia,  e  così  ancora  il  menarne  la  so- 
rella: quella  Regina  come  savia  ed  amatrice  ddFuno 


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DEL  REGNO  DI  NAPOLI  L.  XXI.  GAP.  III.  417 
«  l'altra  figUo;  elesse  d'andare,  ancorché  sapesse  d4o* 
<okitrar8Ì  col*  Re  Carlo,  figliudo  di  colui,  che  area 
«cciso  il  fratello,  e  fatta  morire  la  Regina  Sibilla  sua 
madre  ed:«n  firatidlo  unico  in  cai^eere,  perchè  «lairiil- 
trai  parte  ^erarra^  di  nùtigare^  T  anima  de}  Re  Giaco- 
mo Terso  Federico;  e  cosi  postasi  in  arare  con  la  fi« 
iglia^  EiaiigÀ  vifrÉi>  Roma;  Fu  certo  raro  esempio  delU 
vnriatii  delle  cose  uniate  vedere  qudila  Regiibà  •eèrcom- 
pagnata  dà   Giò'^anni  di   Procida   a  "(fa   Ruggiero   di 
Loi$a^'*efaé  con  la  mio  gtt}ee  Tarea  aspettata -in  mare^, 
tdxe  s^lmbaroaaee  'ed  andattero   tutti    insieme' 'in  co- 
spetto di  Re  Cario,  al  quale  aveapo  fatti  tanti   nota- 
iiilisaiml  danni;^  Ha 'Giacomo  accolse  la  madre  è  là  so- 
l'etta  eoa  gràndtasinKi  •^meiizay  e  le  disse,  coikie  peir 
»ezzo  ?del  Papa'  a^ea  promessa  la  sorella   per  ^-moglie 
a  ^Roberto  Duca  di' Galabria^  il  quale  s^  aspetta  tra   il 
di  seguente.  La  madre  ne  restò^  ^ietà,  sperando  che^ 
quanto  più  lai  legassero  in^parentadoi)  più  fbsse^^ol  tempo 
agèrolera  conichiude^  pape  tra  loro.  Venne  fradaedi  R4 
Carlo  col  Duca  di  Calabria,  e  con  tre  altri  fìgK  coit 
lama  pc»ttpa*«ehe  fu  a  Roma  cosa  mirabile,  e^  nuova,  per- 
ché ohre  il  numero  de^  Conti^  di  tanti  Ufficiali  e  Gó^si*^ 
igUnri  del  Be,  cra^  oaaa  mollo*  bella  a  redere  ^pressocia^ 
.  Acuno  da-  figK  un  nùmero  qoasi  infinito  di  Garàlieri  be« 
iiÌB8Ìmò  in  "ordine^  di  Paggi  e  «di' Seudiei^,-  vefatitt^  di 
ricchisìiìliie  divise 5  ed  il  Papa,  <^' ancóra  area  aniilìo 
regale,  fet  quel  cWe  toccava  a  lui  con  gt-aiKi^siflÉalAù^ 
gnificenza  e  liberalità  volle^'cbe  iiìnitllzl-  à  tei  d  fà^ése 
lo  sponsali^io ,  e  che  i  Nepoti  suoi  celebrasseti»  v^ti* 
tùosìssinù  qonviti  all'uno  ad  all'altro  Re,  ed  e?  figliagli* 
ina  finita  le  ftste   volle,   che  si  trattasse  detldspédl- 
sioni^  ohe  s' avaano  da  fare   contro 'Re  Federico  per 
La  ?ioavraaione  di  Sieilia*,  e  per  lo  primo  ^  pù  imh 

^7 


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4i8  STORIA  CIVILE 

portante  apparato,  trattò  che  Ruggierp*  di' Loria  jen^ 
trasse  asservire  Re  Carlo  con  titolo  d'Ammiraglio  dei- 
Vano  e  dell'altro  Regno,  e  Re  Giacomo  ritornasse  in  Ca- 
talogna, e  Re  Carlo  in  Napoli^  a  ponére  in  ordine  le 
loro  armatev  ma  ayanti  che  Carlo  partisse,  per  mo- 
strarsi grato  yerso  il  Papa,  essendo  rimasta  Giovanna 
dell' A<{aila  erede  del  padre  nel  Contado  di  Fondi  ed 
in.  sei  ,abri  castelli  in  Gampagaia  di  Roma,  la  diede  per 
inogtie  a  Giordano  Gaetano  figliò  del  fratello  del  F.on^ 
tefioQ;  eà  in  questi  dì  medesimi  morì  in  Roma  Gio- 
yaani  di.  Precida,  uomo  di  quel  valore  e  di  quelFin- 
geg9P,.cbe  tutto  il  Mondò  sa.  \  1  • 
,  M^  tornando  al  Re  Carlo,  ^subito  che  e!  giunse  a 
lij^poli  lìpc.O)  grandissimi  privilegi  ed  onori  a  Ruggiero 
4ì  Loria,  al  quole  restituì  non  solo  tutte  le  terre  an- 
tiche sue  ip  Ca!lal>riay  in  Basilicata  ed  io  Principato; 
md  glie  ne  donò  molte  altre,  ed  ordinò  ancora  a  tutti 
i  Gofernadorì  di  province  ed  altri  Ufficiali,  che  ub- 
bidissero, agli  ordini  di  Ruggiero  per  V  apparecchio 
d^iracrmata,       .  •  :    . 

Dairaljtra  parte  il  Re  Federico,  oh'eca  avvisato  di 
quanto  si  trattava  ed  apparecchiata  contro  di  'lui,  s'ac- 
QÌnse.anfÀ'egli  a  sostener  r  impet#  di  tanta  procella, 
nh0  se  gli  jyiìnaeoiava.  Feee  citar  Ruggiero  di  Loria, 
ip  lo  .cond40nò  per  ribelle,  e  odandò  aubito  a  toglier- 
gli k  terre  i^be  .avea  in  Sicilia.  Re  Giacomo  dopo 
^y^^ .  i:iehi;(Mpatt  tutti  gli  Avagonesi  e.  GatpJani,  che 
^PPft:  ia  Sjj|cili4  ed  ÌA  Calabria,  avea  già  posto  in  or- 
dio^  «ifia  butoa  armata,  con  intensione  di  venire  ad 
iiniiTdi  <[$on  Quella  di  Re  Chrle;  non  solo  per  costrin- 
^re  il  fratello  a  lasciare  la  Sicilia ,  ma  anche  per 
H^qcviatare  il  Regno  di  Sardiesgna,  del  quale  n'  avea  ri« 
^ifxk\^  ripyeHitura  da  Papa  Bonifacio.  Partito  da  Bar* 


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DEL  REGNO  DI  NAPOLI  L.XXL  CAP.IIL  419 
•eellona,'  venne  a  Civitavecchia,  e  poi  a  Roma,  ove 
trovò  il  Papa,  che  l'accolse  eoa  molti  segni  di  stima 
e  di  allegreeza. 

Non  fu  Pontefice  al  Mondo,  che  tenesse  si  alti  e 
i  fantastici  eancetti  del  Papato  qlianto  Bonifacio  YIII. 
Era  egli  persuaso,  che  non  meno  dello  spirituale,  che 
del.  temporale  fosse  assoluto  Monarca  dell'  Universo. 
Per  maggiormente  ciò  dimostrare,  avendo  neir  anno 
i3oo  pubblicato  il  Giubileo,  eon  ordinare  che  k> 
jtesso  fosse  rinova to  ogni  cento  anni,  traendo  con  ciò 
gran  concorso  di  gente  in  Roma,  egli  per  &r  maggior 
pompa  di  se,  comparve  n^e  Cerimonie  colle  dupli- 
cate Corone  sopra  il  Camauro,  e  vestito  del  Manto 
Imperiale,  prendendo  per  divisa:  Eeee  duo  gladii  hic, 
£g&  perdo  credea  di  poter  togliere  e  daris  i  Regni  a 
sua  posta;  investì  perciò  il  Re  d'Aragona  del  Regno 
di  Sardegna,  al  Re  Federico  avea  promesso  Y  Imperio 
di  Costantinopoli,  ed  a  Ruggiero  di  Loiia,  che  col 
«00  valore  si  trovava  nelle  coste  deirAffric*  aver  ac^ui« 
state  in  ^e  mari  alóude  isole,  c^e  furono  Gerba  o 
Karkim,  non  appartenenti  ali*  Isola  di  Sicilia  ^  ma  al 
Regno  di  Tonisi,  egli  fattosi  promettere  per  censo  ogni 
anno  cinquanta  once  d*ofo  al  peso  diSloilia,  ne  gli 
£ede  investitura  per  lui  e  suoi  eredi  ^  commettendo  a 
Fr.  Bonifacio  Calamendrano  G.  Maestro  de-  Cavalièri 
Gerosolimitani,  che  ne'  ricevesse  il  solito  giàramentè 
di  iedeltà  e  d' omaggio.  L' investitura  fatta  a  Ruggiero 
di  qu«Ue  isole  a*  11  agósto  del  i»bS  prìteo  anno  del 
auo  Pontificato,  si  legge  presso  iL  Tutina  (a),  che  k 
4sav6  dair  Archìvio  Vaticano.   Cosi  ora  giunto  il  Ré 

{a)  Tutln.  degrAmm,  fol.  70.  Reg.' ini  Vatic,    lilJ,  i.  Bo- 
jbiflkoii  epÌ9|«  ii5.  :»..., 


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4ao     '  STORIA  CITILE 

Giacomo  ia  Riwia,  con  grandissima  solennità  lo  fa 
Gonfaloniere  e. Capitan  Generale  per  tutto  T Universo 
centra  grinfedelii  e  gli  consignò  lo  stendardo. 

Parti  Giacomo  àocompagaalio  dal  Cardinal  Marra- 
snaldo  Legato .  appostolico,  col  quale  in  brevi  dì  giunse 
a  Napoli,  ove- trovò  Roberto  Duca  di  Calabria  suo 
cognato  con  36  galee,  e  oon  maggior  numero  di  navi 
da  combattere  e  da  carico;  e  congiunta  rqueat' armata 
insieme  con  Tarmata  catalana,  facevano  il  numero  di 
80  galee  grosse  e  più  di  90  navi;  oltre  a'  navili  mi* 
nori,  che  usavano  a  quel  tempo^  parte  chiamati  Uscieri 
e  parte  Trite.  Con  questa  grande  armata  a'  ^4  agosto 
del,  13 98  il  Re^  il  Duoa  Ruggieri  di  Loria  ed  il 
Legato  appoatolica  partirono  da  Napoli^  ed  ihvaaero 
de  più  parti  la  Sicilia.  La  spedixiane  in  au  1  princi- 
1^0  parve  felice,  poiché  si  resero  Patti,  Melaazo,  Mu^ 
cara,  Montefqrte  ed  il  castello  di  S.  Pietro  e  molti 
.altri  .luoghi  di  quella  Valle,  ... 

,^  Pali' altr^  parte  Re  Federico  con  Corrado  Doria 
;genoìveae,  <;he.  nvea.  creato  Gapilan  gcneoaie  ;deU-ar* 
lSiata:di  ipare^  M  mis^o.con  ogni  stpcUo^.a  fortificaret 
i  luoghi,  più^rimpi^rtanti:^  ed  a  vietare  le  vettovaglie  al 
campp  .nismioo;:.oiide<  Re  Giacomo  vedendo  le  eose 
S94^*  in  Iwgo,  ed  icssere  già  la  ;  stagione  avanzata, 
pect-^on»  ai^venturaré:  così,  grande. armata  in  quella  ma- 
xima mai;  sicura. -aUb  «pirare.  di  Tramontana,  passò  il 
fytp^à  ,^i  andò.ìa'^Siragosa  ciltà  con  porto  più  capace; 
lai^  giumo  qàiiji ralla  £inè  d'ottobre,  trovò  che "^i  era 
Aentra  con  pceaidio  .Giovanni  di  Glùaramonte,  il  quala 
ni}n  feee;af|[iw^.'v.alci»no  .di: volersi  rendere;  onde  co«* 
minciò  a  darvi  il  guasto,  ed  a  mandare  parte  di  sue 
2(eftì,ad  ocQ^up^  le,  tepre^convipiiie.  di  Yal  di  Noto: 
c»d  -avendo  alcuni  Preti,  ch^  erano  dentro  la  cit^à,  per 


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DEL  REGNO  DI  NAPOtl  L.XXI.  CAP.III.  4in 
far  cosa  grata  al  Legato  appostolico,  ch*«ra  al  cann 
pò,  ordita  una  congiura  di  dare  a  Ruggiero  di  Loria 
una  torre  della  città,  la  trattarono  così  scioccamente, 
che  si  discoyerae,  e  Giovanni  di  Ghiaramonte  punì 
moltot  bene  i  colpevoli. 

'  Intanto  portandosi  a  lungo  quest"^ assedio,  Re  Fe- 
derico ragunato  tutto  il  corpo  della  cavalleria  sicilia- 
na con  spesse  scorrerie  infestava  tutte  cpielle  terre, 
che  s' erano  rendute  a  Re  Giacomo ,  e  che  mandavano 
Vittovaglie  al  campo  del  medesimo  e  vedutosi  ^  che 
mantenendosi  gagliardamente  Siragosa,  T  esercito  del 
Re  Giacomo  perdeva  di  giorno  in  giorna  di  riputa- 
zione, i  cittadini  di  Patti  alzarono  le  bandiere  di  Re 
Federico,  e  posero  T assedio  «1  castello  di  quella  città^ 
ove  s'  erano  ritirate  le  genti,  che  Re  Giacomo  v'avea 
lasciate  per  presidio.  Per  la  difesa  di  questo  castello 
accaddero  più  fatti  d'armi,  ne' quali  restando  perdi- 
tori le  genti  del  Re  Giacomo,  lo  posero  in  somma 
costernazione,  tanto,  che  vedendosi  sopra  T  inverno,  ed 
il  suo  esercito  in  gran  parte  infermo  per  incomodità 
sofferte  nelF assedio;  e  dubitando,  che  l'audacia  cre- 
scesse tanto  a'  nemici,  che  venissero  ad  accamparsi 
all' incontro  di  lui,  levò  l'assedio  di  Siragosa,  e  na- 
vi^ verso  Napoli  con  molto  più  sdegno  che  onore, 
e  con  animo  di  ritornare,  quanto  prima  potea,  a  far 
guerra  maggiore;  ma  sopraggiunto  da  una  crudelissi- 
ma tempesta  sopra  l' isola  di  Lipari^  che  disperse  U 
maggior  parte  di  sue  galee  e  navi,  a  gran  fatica  si 
ridusse  salvo  col  resto  a  Napoli.  E  quivi  giunto  fu 
subito  assalito  da  una  gravissima  infermità  di  corpo 
e  d'animo  contratta  non  meno  per  l'incomodità  sof- 
ferte nella  guerra  e  nel  naufragio,  che  per  dispiacere 
d' impresa ~così  infelice,  e  dopo  essere  stato  gran  tempo 


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4»  STORIA  CIVILE 

ia  perìcolo  della  YÌta,  finalmente  eonCbtitto  dall*alle- 
przza,  perchè  la  Regina  Bianca  saa  moglie  area  in 
Tiapoli  partorito  un  figliuolo,  il  quale  fu  poi  suo  sue- 
cessore  in  que'  Regni^  «ul  finire  deir  estate  di  questo 
anno  1299  navigò  con  .lei  verso  Spagna;  ed  in  pochi 
dì  giunse  salvo  al  Porto  di  Roses,  e  consumò  tutto 
quel  remo  nel  preparare  le  cose  necessarie  per  rino- 
rare  al  principio  del  nuovo  anno  con  maggior  forza 
ia  guerra,  e  per  poter  essere  più  presto  ad  assaltare 
r  isola.  E  veramente  questo .  Re  mostrò  bene  la  bontà 
dell'animo  suo  regale,  avidissimo  d'attendere  quel  che 
avea  promesso  al  Papa  ed  al  Re  Carlo  suo  suocero. 
Dall*  altra  parte  Re  Carlo  in  Napoli ,  come  che  di 
natura  pacifico  e  avverso  agli  esercizi  dell' arme,  era 
sollecitato  e  spinto  da' suoi  figliuoli  giovani  arditi  e 
bellicosi,  onde  con  simile  attenzione  pose  in  ordine 
la  parte  deir armata  che  toccava  a  lui;  tal  che  ritor* 
nato  il  Re  Giacomo  a  Napoli  con  lo  sforzo  dell'  ar- 
mata sua  air  ultimo  d'aprile  del  nuovo  anno  i3oo 
a*  a4  del  seguente  mese  di  Maggio  partiron  le  Galee 
e  le  navi^  e  quei  di  medesimo  fecero  vela  per  Sicilia 
Roberto  Duca  di  Calabria  e  Filippo  Principe  di  Ta- 
ranto, figliuoli  del  Re  Carlo,  e  di  comun  voto  col 
Re  Giacomo  fecero  Generale  dell'una  e  1* altra  ar* 
mata  Ruggiero  di  Loria. 


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DEL  REGNO  DI  NAPOLI  L.XXI.  CAP.IV.  4a8 
CAPITOLO   IV. 

Guarà  rinwaia  in  Sitììia.  Mori  fi  di  Carlo  Martella 
Ee   S  Ungheria;  e  pace    conchiusa   col   Be    Fedx* 

RICO. 

Jb  u  rultima  anno  di  questo  decimoterzè  secolo  a§« 
sai  memotabik  non  meno  per  le  tante  battaglie  ac- 
cadute in^  Sicilia,  che  per  V  audacia  dei  Re  Federico 
e  per  le.  molte  gloriose  axioni  di  tanti  valorosi  Prin- 
cipi ed  eccellenti  Gapitam,  e  sopra  ogni  altro  del  fa- 
moso Ruggiero  di  Loria  ,  descrìtte  così  a  minuto  e 
con  tanta  vivezza  dal  celebre  Costanzo  (a),  elie  ser* 
bando  il  nostro  istituto,  saremo  sol  contenti  in  accor- 
cio qui  notarle,  con  rimettere  coloro,  che  forse  vo- 
less^o  a  pieno  soddisfare  i  loro  desiderj,  a  quel  gra* 
rissimo  Isterico. 

Il  Re  FedcrieOf  che  liberato  da  quel  primo  insuU 
to,  pieno  d'animo  e  di  coraggio  avea  ridotte  sotto  «le 
bandiere  le  terre  di  queir  isola,  invase  da' suoi  nemi- 
ci, essendo  stato  avvisato  dell*  apparato  stupendo,  che 
ai  faceva  contro  lui,  fece  subito  per  tutte  le  parti 
deir  isola  ponere  in  ordine  il  maggior  numero  di  ga- 
lee che  fu  possibile,  con  proponimento  d'  uscire  in- 
contro a' nemici  e  con  intrepidezza  inudita  ponere  ogni 
cosa  a  rischio  in  una  giornata. 

Né  è  da  tralasciare  quel  che  ponderò  il  mentovato 
savissimo  Scrittore  (i),  essere  stata  veramente  cosa  ma- 
ravigliosa  (  per  quella  difficoltà,  che  si  vedea   a*  tuoi 

{a)  CosUnzo  Itb.  4*  (b)  Costante  1*  4 


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4»4  STOMA  GITILE 

tempi  e  molto  più  ne' nostri,  nel  ponere  in  ordine  le 
armate  )  come  que*  Re  pòveri  di  quel  tempo  bastas- 
aero  in  tanto  breye  spazio  a  fare  tanto  numero  di 
galee,  quanto*  si  vide  messo  in  acqua^  ed  in  esercito 
in  quegli  anni,  che  dorò  la  guenra  di  Sicilia:  rap- 
portando alcuni,  che  Re  Federico  n  ebbe  in  punto 
cinquantotto,  che  pare  cosa  incredibile,  ed  aver  po- 
tuto perfettamente  armarle  in  quef  poco  spazio  ch'eb- 
be di  respirare,  tra  Tuna  guerra  e  T  altra. 

Sentendo  adunque  Federico,  che  V  armata  nemica 
sarebbe  usoita  ita.  pochi  giorni  da  Napoli,  egli  parti 
da  Messina  con  animo  di  combatterla,  confidando  al- 
r  audacia  ed  ostinazione  de'  Siciliani',  i  quali  appena 
la  scoversero,  che  ad  alta  voce  gridando  chiedevano 
battaglia.  Frenogli  il  Re  sino  all'alba  del  giorno  se- 
guente, nella  qoal  ora  movendosi  con  la  galea  sua 
Capitana  in  mezzo  di  tutte  le  altre,  andò  con  gran- 
dissimi gridi  contro  1'  armata  nemica:  Ruggiero  di  Lo* 
ria  vedendo,  che  la  temeriti  de'  Siciliani  avca  mosso 
quel  Re  a  speranza  di  rittoHa,  pose  nel  mezzo  delle 
sue  galee,  la  Capitana  del  Re  d'Aragona  e  quella 
di  Napoli,  ove  erano  il  Duca  di  Calabria  e'I  Prìn- 
cipe di  Taranto,  ed  appressatoci  a' nemici  ricevè  la 
battaglia.  Fu  con  pari  valore  e  pari  ardire  lunga- 
mente combattuto,  ma  con  arte  disuguale;  poiché  Rug- 
giero fingendo  di  fuggire,  tir^  in  luogo  le  galee  ne- 
miche, dove  potè  con  facilità  stringerle,  onde  ruppe 
r  armata,  e  rimasero  tutte  o  prese^  o  poste  in  fondo, 
e  sol  Federico  con  dodici  galee,  che  lo  seguirono,  fug- 
gendo si  ricovrò  a  Messina. 

Per  questa  così  memorabil  rotta  seguita  con  tanta 
gloria  di  Ruggiero,  rimasero  tanto  afflitte  le  cose  dei 
Siciliani,  che  non  fu  persola  a  que' tempi,  che  non 


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DEL  REGNO  DI  NAPOLI  L.XXL  CAP.IV.  425 

giudicasse,  ohe  la  Sicilia  tra  pochi  dì  avesse  da  ve- 
nire in  mano  del  Re  Carlo;  ma  ecco  come  spesso  erra- 
no i  giudizi  umani,  perchè  Re  Giacomo  credendo  di 
aver  tanto  abbassate  e  consumate  le  forze  del  Re  suo 
fratello,  che  le  genti  del  Re  Carlo  sotto  il  governo 
-  di  Ruggiero  di  Loria,  non  avessero  da  far  altro,  che 
fra  pochi  giorni  pigliare  la  possessione  dell'  Isola,  non 
volle  procedere  più  oltre,  parendogli  d' avere  soddi- 
sfatto al  Mondo,  al  Papa  e  •!  Re  Carlo,  avendo  in 
due  guerre  tanto  speso  e  posto  in  pericolo  la  per- 
sona sua  nella  prima  guerra  con  V  infermità ,  ed  in 
questa  battaglia  con  una  ferita.  E  così  essendo  venu- 
to il  Duca  di  Calabria  ed  il  Principe  di  Taranto  e 
Ruggiero  a  visitarlo,  dappoiché  fu  medicata  la  ferita, 
disse  loro,  che  avendo  piaciuto  a  Dio  con  sì  notabile 
vittoria  d' adempire  le  sue  promesse,  né  restando  altro 
che  pigliar  la  possessione  della  Sicilia,  era  ormai  tem- 
po ch'egli  ritornasse  in  Ispagna  a' suoi  Regni,  per 
disponere  le  cose  in  modo,  che  que'  Popoli  impoveriti 
per  le  gravezze  sostenute  in  quella  guerra,  venissero 
a  ristorarsi  con  mettere  fine  a'  loro  danni,  che  perciò 
lasciava  loro  a  godersi  il  frutto  delia  vittoria.  Il  Duca 
ch*«ra  giovane  di  93  anni  avidissimo  di  gloria,  ac- 
cettando per  vero  tutto  quello,  che  il  Re  diceva,  e 
rendendogli  insieme  lodi  e  grazie  a  nome  del  Re  &uo 
padre,  gli  augurò  prospero  e  felice  viaggio,  e  così  par- 
-tito  il  Re,  rimase  egli  allegro,  credendosi  che  reste- 
rebbe a  lui  r onore  di  ridurre  felicemente  l'impresa 
al  desiato  fine;  ma  molto  più  rimase  allegro  Ruggiero 
giudicando,  che  siccome  era  stata  sua  la  gloria  della 
vittoria,  tale  ancor  sarebbe  Y  onore  di  quello,  eh'  avea 
da  succedere.  Non  mancarono  però  molti,  che  dissero, 
che  Re  Giacomo  si  parli  più  tosto  per  la  pietà  fra- 


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426  STORIA  CIVILE 

terna,  che  per  giudicare  le  cose  del  Re  Federice   al 

tutto  disperate. 

Tra  questo  mezzo  giunto  Federico  con  le  dodici 
galee  in  Messina,  inanimito  da  que'  cittadini  a  no« 
abbandonar  la  difesa,  e  vie  più  fatto  ardito  quando 
a  Messina  giunse  V  aTviso,  che  il  Re  Giacomo  era 
partito,  cercò  di  raccogliere  il  maggior  numero,  che 
potea  di  fanti  e  di  cavalli,  ed  andò  a  ponersi  eoa 
tutto  il  suo  sforzo  a  Caatrp  Giovanni,  luogo  di  natura 
fortissimo  ed  opportuno  a  soccorrere  ovunque  il  bi- 
sogno lo  chiamasse.  Dall'  altra  parte  il  Duca  di  Ca- 
labria prese  Chiaramente,  e  dopo  lungo  contrasto  Ca- 
tania al  fin  si  rese.  La  fama  dell'  acquisto  di  questa 
città  andò  non  solo  divolgando  quello  eh'  era,  ma  che 
le  due  parti  dell'  isola  aveano  alzate  le  bandiere  della 
Chiesa  e  del  Re  Cario;  onde  Papa  Bonifacio,  che 
Tavea  creduto,  lusingandosi  di  potere  senza  tanto  spar- 
gimento di-  sangue  Cristiano,  quietamente  ridurre  tutta 
r  isola  all'  ubbidienza  del  Re,  vi  spedi  subito  il  Car- 
dinal di  Santa  Sabina  per  Legato  appo^toUco^  il  quale 
dovesse  assicurare  su  la  parola  sua  i  Siciliani  a  ren- 
dersi, perchè  sarebbero  ben  trattati;  minacciando  ana- 
temi ed  interdetti,  se  non  ubbidissero;  promettendo 
air  incontro  benedizioni  ed  indulgenze,  se  si  rendes- 
sero. Ma  Ruggiero  di  Loria,  conoscendo  T  animo  in* 
domito  de'  Siciliani,  che  non  si  piegavano  se  non  coUa 
forza,  persuase  al  Duca,  bisognare  a  spedir  la  guerra 
altro  aiuto  di  quello,  che  portava  il  Legato;  ed  il  nemi- 
co doversi  vincere  con  armi  e  non  a  suono  di  campanel- 
la e  di  scomuniche  {a).  Fu  perciò  richiesto  nuovo  ajuto 
da  Napoli,  e  dal  Re  Carlo  furono  mandate  dodici  altre 

(a)  Costanzo  lib.  4* 


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DEL  REGNO  DI  NA?OLI  L.  XXI. GAP.  It.  isiy 
galee,  e  molti  legni  ^i  carico;  ed  il  Principe  di  Ta- 
ranto con  seicento  cavalli,  e  mille  fanti,  diede  al- 
la Falconara  la  battaglia,  oire  restò  prigione  ed  t 
suoi  rotti.  Fu  dopo  la  prigionia  di  questo  Principe 
guerreggiato  con  maggior  audacia  da  Federico,  ed 
avendo  écoverta  una  congiura  tesa  cóntro  la  sua  per- 
sona, tosto  la  ripresse,  e  punì  i  colpevoli^  li  Duca  di 
Calabria  passò  ad  assediar  Messina,  ma  soccorsa  da 
Federico,  il  Duca  vedendo  il  campo  suo  oppresso  di 
fame  e  di  molte  infermiti ,  si  levò  dair  assedio.  Al- 
lora fu  cbe  per  mezzo  di  Violante  Duchessa  di  Ca- 
labria, sorella  di  Federico,  si  cominciò  a  trattare  di 
triegua,  che  fu  conchiusa  per  sei  mesi.  E  1  Duca  tra 
questo  spazio  volle  andare  in  Napoli  a  rivedere  il  pa- 
dre, e  lasciò  la  Duchessa  Yiolante  con  un  figliuolo, 
eh'  avea  partorito  in  Catania,  per  dare  a  credere  ai 
partigiani  suoi,  che  no  '1  faceva  per  abbandonare  V  im- 
presa, ma  per  tornare  con  maggior  forza. 

Fra  questi  sei  mesi  Papa  Bonifacio  pensò  in  van* 
faggio  di  Re  Carlo  favorì  ed  aiuti  nuovi,  e  T  occa- 
sione fu  questa,  eh'  essendo  morta  a  Carlo  di  Yaloia 
fratello  del  Re  di  Francia  la  prima  moglie,  ch'era 
figliuola  del  Re  Carlo,  il  Yalots  aveva  pigiata  una  fi- 
gliuola di  Filippo,  nato  dall'  ultimo  Balduino  Impe- 
Fadore  di  Costantinopoli,  erede  di  molti  luoghi  in  Gre- 
cia, e  del  titolo  e  della  ragion  dell'Imperio,  eh'  era 
stato  occupato  dal  Paleologo;  e  con  Tajuto  del  Re  di 
Francia  e  del  Papa,  voleVa  andare  all'impresa  di  Co- 
stantinopoli^ £d  essendo  nel  viaggio  giunto  a  Fiorenzai 
che  allora  per  le  solite  fazioni  si  trovava  in  discordia, 
fu  richiesto  da  que'  cittadini,  perchè  gli  componesse; 
ma  egli  pose  più  discordia,  che  prima  vi  era,  e  par- 
.  lissi  per  Roma,  ove  Papa  Bonifacio  gli  persuase,  cba 


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428  STORIA  eiVILÉ 

r  impresa  di  Costantinopoli  sarebbe  stata  più  agevole 
aiutando  egli  Re  Carlo  a  fornir  V  impresa  di  Sicilia; 
perchè  poi  ayrel^  potuto  avere  da  costui  più  pronti 
aiuti,  e  più  comodi  soccorsi,  che  non  già  dal  Re. di 
Francia,  per  la  brevità  del.  cammino  da  Puglia  in  Gre- 
cia. Accettò  il  consiglio  il  Yalois,  e  venne  subito  a 
Napoli  con  le  sue  genti,  dove,  tra  le  sue  galee  e  navi, 
con  altre  che  &'  armavano  quivi,  posero  molte  truppe 
in  ordine,  e  eoa  felicissimo  viaggio  egli  ed  il  Duca 
giunsero  in  Sicilia,  a  tempo,  eh'  era  già  finita  la  trie- 
gua«  Non  è  dubbio,  che  vedendosi  tanto  numero  di 
nemici  in  queir  isola,  ogni  uno  giudicava  le  cose  di 
Federico  disperate;  ma  questo  Principe  con  quel  vi- 
gor d'animo,  eh'  era  suo  naturale  é  con  quella  pru- 
denza, in  che  superò  ogni  altro  Re  del  suo  tempo, 
andò  coQ^artendo  le  sue  poche  genti  a  luoghi  dì  mag* 
gior  importanza,  cosi  aspettando  che.  it  tempo  dimi- 
nuisse la  forza  de'  nemici.  Ed  in  effetto  il  Valois  a- 
vendo  spesi  molti  giorni  sanza  fare  gran  frutto.  Re 
Federico  venne  a  certissima'^  speranza  di  vincere  senza 
combattere. 

In  quest' anno  i3oi  che  queste  cose  passavano  in 
Sicilia,  accadde  in  Napoli  Y  acerba  ed  immatura  morte 
di  Carlo  Martello  Re  d'Ungheria.  £rasi  questo  Prin- 
cipe il  precedente  anno,  coli' occasione  del  nuovo  Giu- 
bileo pubblicato  da  Papa  Bonifacio,  portato  in  Roma 
a  visitare  la  Basilica  di  S.  Pietro,  e  venne  poi  a  Na- 
poli a  visitar  suo  padre,  e  forse  ancora,  vedendo  il 
padre  vecchio,  a  proccurare,  che  il  Regno  di  Napoli, 
dopo  la  sua  morte  restasse  a  lui,  temendo,  che  tro<* 
yandosi  egli  lontano,  i  fratelli  non  T  occupassero:  ma 
il  suo  destino  portò,  ch^  e^  morisse  prima,  non  senza 
sospetto^  secondo  narra  il  Carafa^  che  Roberto  suo 


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DEL  REGNO  DI  NAPOLI  L.XXl.  CAP  IV.  4^9 
fcateUo  per  ambizione  di  regnare  dopo  la  morte  del 
padre,  V  avesse  fatto  avvelenare.  Morì  non  a^vendo  più 
che  ■  io  anni  eoa  dolore  universale  di  tatto  il  Regno, 
perette,  era  un  Principe  mansueto  e  splendido;  e  molti 
nobili'  Napoletani,  ed  altri  di  questo  Regno,  che  vi- 
.verano  spl^ididamente  in  oasa  sua,  restaron  privi  di 
quel  aeategno,  e  della  speranza  d'  esaltarsi,  servendo 
a  Signore  magnanimo. e  libéralissimo.  Lasciò  di  Ole- 
menm  sua  moglie,  che  era  figliuola  di  Ridolfo  Im- 
peradore,  un  figliuolo  chiamato  Caroberto^  che  gli  suc- 
cesse nel  Regno  d'  Ungheria.  Fu  sepoltq  nella  chiesa 
maggiore  di  Napoli ,  appresso  la  0epultura  di  Carlo  I 
suo  avo,  ove  si  vede  il  sepolcro  ooira^mi  sue  e  quelle 
di  casa  d'Austria,  che  sono  della  moglie;  donde  f^ 
apinto  il  Conte  d'Olivares  Yicerè^  lot]to  il  Regno  di 
Filippo  III  di  collocare  in  luogo  più  eminente  su  la 
porta  di  quella  chiesa,  ed  in  più  magnifica' forma,  que- 
sti due  sepolcri,  insieme  culi'  altro  della  Regina  tua 
juoglie. 

Ma  ritornando  alle  cose  di  Sicilia,  il  .Re  Federico 
persistendo  nel  suo  proposito,  non  comparve  i|i  .camr 
paglia  mai,  sol  mirando  a  guardar  le.l^'rre;  perchè 
vedea,  che  un  si  grande  esercito,  com'era  il  gemico, 
non  poteii  non  dissolverai  presto,  0  per  mancamento 
di  paghe  o  di  vittovaglie.  Far  non  mancava  con  la 
aolita  destrezza  e  con  T  ajtito  de' Cavalieri  siciliani, 
che  lo  servirono  mirabilmente,  di  trovarsi  dov'era  il 
bisogno,  con  assalire  le  scorte,  che  cooducevano  vit- 
tovaglia.  Dopo  brevi  dì,  nel  campo  incominciarono  a 
sentir  penuria, .^d  infermò  gran  quantità  di  soldati: 
onde  il  Yaloia  cominciò  a  dar  orecchio  a  parole  di 
^ce,.  giacotbe.troppo  diminuendo  T  esercito  suo,  noi^ 
avria  potuto   far  passaggio  a  Costaatinppoli.  Alcuni 


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43o  STORIA  CIVILE 

rapportano,  cbe  sì  trattò  la  pace  dalla  Duchessa  Tio- 
lante.  Farono  adunque  eletti  così  dall'una  parte,  co- 
me dair  altra  personaggi  con  autorità  per  negoziarla. 
Il  Re  Federico,  e  i  Siciliani  per  la  gran  povertà  di 
quel  Regno  e  sua,  n'  aveTano  maggior  desiderio.  Cosi 
a'  ig  agodto  di  quest'anno  1 3oa  fu  conchiusa  con  gran 
piacere  di  tutti  e  più  di  Federico,  per  essere  stata 
pet  lui  mollo  onorata.  Solo  la  Duchessa  Violante, 
con  infinita  doglia  di  suo  marito  e  di  suo  fratello 
morì  prima,  che  fossero  firmati  i  Capitoli  della  pace, 
che  furono  i  seguenti. 

Che  il  Re  Federico  in  yita  sua  fosse  Re  di  Sicilia; 
e  poi  quella  Titornaase  liberamente  a  Re  Carlo  e  suoi 
eredi. 

Che  e'  s'intitolasse  non  Re  di  Sicilia,  ma  Re  di 
Trinacria, 

Che  a  lui  si  tornasse  in  termine  dì  quindici  dì  ogni 
terra,  che  in  Sicilia  si  tenea  per  Re  Carlo;  al  quale 
air  incontro  nel  medesimo  termine  egli  restituisse  ogni 
terra  ed  ogni  fortezza,  che  in  Calabria  tenerano  ban- 
diera sua. 

Che  dall'una  e  dall' altra  parte  si  liberassero  i  pri- 
gioni senza  pagar  taglia 

Che  il  Re  Federico  pigliasse  Lionora  figliuola  ter* 
Eogeuita  del  Re  Carlo  per  moglie. 

Che  il  Re  Carlo  procurasse,  che  il  Papa  avesse 
a  ratificar  la  pace,  e  così  ad  investirlo  di  Sardegna 
o  di  Cipri,  dove  poi  rimanessero  i  figliuoli,  che  fos- 
sero nati  da  questo  matrimonio.  Ed  acquistando  Re  Fe- 
derico di  que'  Regni  o  \  uno  o  l'altro,  che  andasse  a 
regnarvi;  risegnando  subito  al  Re  Carlo  il  Regno  di 
Sicilia,  eoa  pagarglisi  a  conto  di  sua  dote  ali'  incoa?. 
Ire  centomila  once  ti*  oro. 


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DEL  REGNO  DI  NAPOLI  L.XXl.  GAP.  IV.  43 1 

(In  esecuzione  di  questa  pace»  Federico  nel  i3o3 
prestò  il  giuramento  di  fedeltà  al  Pontefice  BenedeU 
to  XI  ch'era  succeduto  a  Bonifacio  Vili  per  mezzo 
del  suo  Proccuratore  Corrado  Dorla ,  nel  quaF  istru- 
mento,  che  si  legge  presso  Lunig  tom.  a  pag.  io 54 
Federico  e  chiamato  Re  di  Trinacria  ). 

In  cotal  guisa  terminossi  la  guerra  di  Sicilia.  Fa 
liberato  il  Principe  di  Taranto  con  gli  altri  Baroni 
prigionieri,  ed  il  Re  Federico  andò  a  visitare  il  Yalois, 
e  1  Duca  dì  Calabria  al  campo,  e  con  grand*  amore 
a  abbracciarono  ed  unitamente  mandarono  a  Re  Carlo 
in  Napoli  per  la  ratificazion  della  pace,  e  pei:  condurr^ 
la  sposa  in  Sicilia.  Re  Carlo,  che  naturalmente  era 
pacifico  ed  inchinando  Fetà  sua  alla  vecchiezze,  gli 
rincrescea  molto  la  guerra,  accettò  gli  articoli;  e  poi- 
ch'ebbe ratificato,  mandò  sua  figliuola  con  Giovanni 
Principe  della  Morea  9uo  ^glio  ottavogenito  :  ed  in 
Sicilia  si  ferono  quelle  feste,  che  la  qualità  di  quei 
tempi  comportò,  più  tosto  con'  animi  lieti,  che  con 
magnifiche  pompe:  e  Carlo  di  Yalois  col  Duca,  q\ 
Principe,  e  gli  altri  Baroni,  riposti  in  libertà  ritor- 
narono in  Tiapoli  [a). 

Questa  pace  per  tutta  Europa  si  giudicò  molto  van» 
taggiosa  ed  onorata  pqr  lo  Re  Federico,  e  fino  al  Cielo 
esaltarono  la  virtù  sua,  che  con  debili  forze  d' un  pic- 
ciol  Regno,  e*  solo  erasi  mantenuto  e  difeso  da  molti 
avversari  poderosi  ;  e  quantunque  la  condizione,  che 
egli  fòsse  Re  in  vita,  pareva  onorata  p^r  T  altro;  nien- 
ledimeaid  chi  era  giudizioso  mirava,  che  dopo  sua 
morte  s*  avria  da  entrare  alfesecuzione  della  pace,  più 
tosto  con  r  armi ,  che  con   la  carta  de*  Capitoli.   Per 

(a)  Coitanzo  Ub.  4-       . 


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433  èTORIA  CIVILE 

contrario  ii  tenne  poco  onorata  per  Carlo  di  Valols; 
e  da  Gioraìani  Villani. è  scrìtlo,  che  il  niòttiegg^iarono 
per  Italia^  cbe  era  andato  in  ^Fiorenza  a  porn  pace>, 
e  lasciovyi  '  nuova  gnerra  ;  e  che  era  andato  in  Sici- 
lia a  far  gaerra,.  e  parlìvane  con  disonorata  pace. 

Il  Valois  ritornalo  a  ^lapeli,  indugiò  molti  giorni , 
riconciando  T armata^  ed  ancor,  dando  tempo  all'ap-^ 
parecchio  del  Re  Carlo,  che  deliberava  con  ogni  cor- 
tesia d'aiutado,  e  mandare  il  Principe  di  Taranto  ed 
il  Principe  della  Mo^ea  suoi  figliuoli  in  Grecia.  Ma, 
come  accader  suole  neir imprese  grandi,  essendo  in- 
sorta tra  it  Pontefice  Bonifacio  ed  il. Re  di  Francia 
fiera  guerra,  contro  cuil  fece  anche  il  Papa  mover 
guerra  dal  Re.  inglese  ;  perciò  non  solo  fu  esclùso  il 
Valois  degli  aiuti  del  Papa  e  del  Re  di  Francia,  ma 
gli  fu  ancor  necessario  di.  ritornar  a*  suoi  per  Taiuto 
di  quel  Regno;  e  non  ebbe;iipoi  mai  più  comodità  a 
liur  r  impresa;  ansi  ih  .progrèsso  'di  tempo  avendo  due 
figliuole  di  quella  moglie,  eh  jera  nipote  dell'Imperadore 
Baldoiflo,  diede  Funa  per  meglio  al  Principe  di  Ta» 
ìranto,  che  per  'lei  s'intitolò  Impéradore  di  Costanti- 
nopoli^ e  r  altra  dopo  molli  anni  fu  !mo^e  di  Carlo 
Duca  di  Calabria,  figliuolo  .di  Roberto. 
•  Ruggiero  di  Loria,  àlqual  «pareva^  ohe  in  questa 
pace  non  avevan  di  lui  fatto,  qnelconto^  che  sua  virtù 
ineritava,  benché  gU avesse  donati  Re  Carlo  arapi  Stati 
nel  Regno^  in  iscambio  di  quplli,  ch'avéa  perdati  in 
Sicilia,  pur  se  ne  passò  in  »  Catalogna  ricèhiaaimo  di 
gloria,  dove  poi  àtorì^  con  iaome  del»  più  fortonato  e 
Gran  Capitano  di  mare,,  di'  quanti  ne 'sono  lodati  per 
ristorie  greche  e  latine. 

Ma  ritornando  alta  pace,  dicono  alcuni  Autori,  che 
trovandosi  il  Legato  Appofttolico   al  trattar  di  quella 


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DEL  REGNO  DI  NAPOLI  L.XXI.  GAP.  IV.  43* 

costriose  "Re  Federico  a  promettere  una  certa  ricogni- 
zione alla  Sede  Appoetolica,  ma  o  foj^se  ciò  vero  o 
falso,  non  ebbe  alcun  effetto;  poiché  Papa  Bonifacio 
poco  da  poi  della  sua  prigionia  morì  d'afflizione  in 
Roma  a'  II  ottobre  di  quest'anno  i3o3,  ed  in  suo 
luogo  fu  rifatto  Benedetto  XI  Trivigiano  dell' Ordine 
de'  Frati  Predicatori,  il  quale  a'  6  luglio  del  seguente 
anno  morì,  non  senza  sospetto  di  veleno,  e  lasciò  nel 
Collegio  molte  discordie  ;  poiché  essendosi  quello  di* 
viso  in  tre  fazioni,  dell'  una  era  capo  Francesco  Gae* 
tano  nipote  di  Bonifacio,  uomo  fatto  assai  potente  dal 
zio,  così  di  ricchezze,  come  di  sequela;  era  capo  del- 
l'altra Napoliooe  Orsino;  e  dell' altra  il  Cardinal  di 
Frata:  onde  la  Sede  vacò  per  tredici  mesi,  ed  al  fine 
a'  5  di  luglio  del  i3o5  fu  eletto  Pontefice  l'Arcive- 
scovo di  Bordeos  franzese,  che  allora  staya  in  Fran- 
cia, e  fu  chiamato  Clemente   V* 

Costui  fu  che,  o  a  persuasione  del  Re  di  Francia, 
o  per  amor  del  paese  nativo,  in  cambio  di  venire  a 
coronarsi  a  Roma,  trasferì  la  Sede  Appostolica  in.  Avi- 
gnone, chiamando  a  quella  città  i  Cardinali;  dove  poi 
con  gran  danno  d' Italia  si  fermò  per  più  di  settanta 
anni,  finché  Gregorio  XI  non  la  restituisse  a  Roma; 
ed  a  compiacenza  di  quel  Re  si  coronò  a  Lione,  ove 
intervennero  egli,  Carlo  di  Yalois  e  molti  altri  Prin- 
cipi Oltremoutani.  Mandò  poi  il  Papa  tre  Cardinali 
Legati  in  Roma  colla  potestà  Senatoria,  da'  quali  quella 
città  e  lo  Stato  fosse  governato. 

Da  quest'anno  i3o5  fin  al  i3o9  nel  qual  morì,  il 
Re  Carlo  stette  assai  quieto  nel  Regno  di  Napoli,  e 
si  diede  a  magnificar  questa  città,  ed  agli  altri  studj 
di  pace,  come  diremo.  E  parve  che  la  fortuna  gli  ren- 
desse per  altra  via  quello,  che  di  reputazione  avea  pcr- 

28 


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434  STORIA  CIVILE 

duto  con  la  pace  fatta  col  Re  Federico  ;  poicliè  i 
Fiorentini  per  le  civili  discordie  vennero  a  pregarlo, 
che  mandasse  in  Fiorenza  il  Duca  di  Calabria,  a  cui 
da  loro  ai  preferiva  il  g^overixo  della  città:  come  ne 
gli  compiacque,  e  Fiorenza  il  ricevè  come  suo  Signo- 
re. Andò  poi  il  Duca  a  visitar  il  Papa  in  Avignone, 
e  dopo  maneggiate  col  medeaimo  alcune  cose  in  bene* 
ficio  de'  Guelfi,  cavalcò  per  la  Provenza,  dove  quc'  Po- 
poli gli  fecero  ricchissimi  presenti,  ed  all'istesso  tempo 
tolse  la  seconda  moglie,  che  fu  la  figliuola  del  Re  di 
Maj erica  del  sangue  Aragonese,  cugina  della  Duchessa 
Violante  sua  prima  moglie  :  e  con  volontà  di  Carlo 
suo  padre  congiunse  col  cognato  primogenito  di  quel 
Ke,  Maria  sorella  sua  quartogenita.  Né  mancarono 
tra  1  maneggiare  in  Francia  questi  matrimoni ,  altre 
feste  a  Napoli,  perchè  il  Re  Carlo  diede  Beairice  sua 
figliuola  ad  Azzo  Marchese  di  Ferrara,  e  conchiuse 
il  matrimonio  della  figliuola  del  Yalois  col  Principe 
di  Taranto,  per  la  qual  donna  si  trasferirono  il  titolo 
e  le  ragioni  dell  Imperio  di  Costantinopoli  nella  Casa 
del  Principe  di  Taranto;  poiché  il  Yalois  vedendosi 
fuor  di  speranza  a  poter  fare  queir  impresa ,  la  de- 
legò al  Principe,  facendolo  suo  genero,  scorgendolo 
nomo  bellicoso,  e  per  ajatt,  che  potea  dargli  il  padre, 
abile  a  fare  in  que'  paesi  qualche  conquista.  11  Tuti- 
ni  (a)  rapporta  queste  ragioni  essergli  pervenute  non 
già  dalla  figliuola  del  Yalois  sua  seconda  moglie,  ma 
dalla  terza,  che  fu  Caterina  figliuola  di  Balduino  Conte 
di  Fiandra  ed  Imperadore  di  Costantinopoli,  e  porta 
una  carta  d^  investitura  fatta  dal  Principe  e  da  Cate- 
rina,   che  s'intitolano  Imperadori  costantinopolitani^ 

(a)  Tutini  degli  Àmmir.  pag.  io3. 


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DEL  REGNO  DI  NAPOLI  L.XXI.  GAP.  IV.  435 

per  la  quale  creano  Re  e  Despoto  della  Romania  e 
deir  Asia  minore,  eoo  tutti  li  Gontudi,  Baronie  e  isole 
adiacenti  Martino  Zaccaria^  Signore  dell'isola  di  Ghic^ 
•uo  Gonsigliere,  concedendogli  tutte  le  prerogative  re- 
i;ie  e  Despotali:  che  potesse  bere  in  tazza  d'oro,  por* 
lare  corona  e  scettro  regio,  scarpe  rosse ^  con  altre 
insegne  regali,  come  più  innanzi  diremo. 

CAPITOLO   V. 

Napoli  amplificata  da  Carlo  II  e  resa  piii  magnifica 
per  edifica^  per  lustro  della  sua  Casa  regale ,  0 
per  altre  opere  di  pietà  illustri  e  memorahili^  ad^ 
perate  da  lui  non  meno  quivi ,  che  nelV  altre  città 
del  Regno. 

InchinaBdo  questo  Principe  più  agli  studj  di  pace 
che  a  quelli  della  guerra,  ed  avendo  così  egli,  come 
tuo  padre  fermata  la  sede  regia  in  Napoli,  ed  in  con^ 
seguenza  resala  più  numerosa  di  gente  volle  amplifi- 
carla; e  fatti  levare  molti  giardini,  che  avea  intorno, 
fece  in  quelli  far  edificii,  e  allargando  il  recinto  delle 
mura  della  città,  fece  più  oltre  trasferire  le  Porte ^ 
onde  que' luoghi,  che  erano  fuori,  furone  rinehiusi 
rientro:  di  che  la  città  ricevè  non  picclola  ampliazione; 
e  per  invitare  altri  ad  abitarvi,  fece  franca  la  città 
d' ogni  pagamento  fiscale.  Ordinò  ancora  a  petizione 
della  mede:iima,  la  gabella  detta,  dei  buon  denaro,  che 
fu  molto  grata  a'  cittadini  servendo  per  riparazione 
delie  strada,   e  per  altri  beneficii  pubblici,  |C0zae  ,si 


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436  STORIA  CIVILE 

vede  ne*  Capitoli  del  Regno  sotto  Tanno  i3o6  (a). 
Perchè  in  essa  il  traftìco  ed  il  commercio  fosse  più 
sicuro  e  frequentato,  per  sicurezza  delie  navi  fece  edi- 
ficare il  Molo,  che  ora  per  Y  altro  più  grande  fatto 
a'  tempi  de'  Re  austriaci ,  appelliamo  il  Nolo  picco- 
lo (b).  Alcuni  anche  scrissero,  che  facesse  egli  edifi- 
care il  caste!  di  S.  E  ramo,  chiamato  così  da  una  pic- 
ciola  Chiesetta,  che  prima  era  sopra  quel  Monte  de- 
dicata a  questo  Santo ,  ancorché  il  CoUenuccio,  ed 
altri  vogliano,  che  quella  fabbrica  fosse  stata  opera 
di  Roberto  suo  figliuolo.  Stabiliti  in  questa  città  quei 
due  grandi  e  supremi  Tribunali  della  G.  Corte,  e 
r altro  del  Vicario,  per  maggior  comodità  de'  Giudici 
e  de'  litiganti  fece  fabbricare  appresso  il  Castel  Nuoto 
con  grandissima  spesa  un  Palazzo ,  nel  qual  doveano 
quelli  reggersi ,  siccome  tutti  gli  altri  Tribunali  di 
giustìzia  (e);  li  quali  da  poi  essendo  stato  dalla  Re- 
gina Giovanna  I  quel  palazzo  converso  in  tempio  ad 
onore  della  Corona  di  Cristo ,  furono  trasferiti  nei 
tenimento  della  Piazza  di  Mido  neir  Ospizio  del  Co- 
mune di  Venezia,  siccome  il  Tutini  {d)  raccoglie  da 
uno  istromento  stipulato  nelFanno  i43i  ove  si  leg« 
gono  queste  parole:  In  quo  HospiiLo  M.  C.  Magistri 
Justitiarii  Regni  regehatur  et  regitur  ad  praesens.  Indi 
si  portarono  nella  strada  di  S.  Giorgio  Maggiore  in 
un  palazzo  attaccato  al  campanile  di  quella  Chiesa, 
il  qual  fin  oggi  ritiene  il  nome  di  Vicaria  vecchia; 
insino  che  ne'  tempi  di  D.  Pietro  di  Toledo  neir  an- 
no i54o  non  si  fossero  tutti  ridenti  nel  Castel  capua- 
no ,  ove  oggi  per  T  infinito  numero   de'  litiganti,  Giu- 

(a)  Siimm.  lo.  2  pag.  36o,  {b)  Summ.  io.  2  pag.  355.   (e) 
Costanzo  lih.  4-  {^)  Tutin.  de'M.  Giust.  pag.  7. 


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r)EL  REGNO  DI  NAPOLI  L.  XXI.  GAP. V.  43; 

dìél  ed   Avvocati   s'ammira   per   una  delle  qose   più 
stupende,  non  pur  d'Italia,  ma  di  tutta  Europa. 

Non  mancò  ancora,  per  render  questa  città  vie  più 
iaag[nific£^  di  ciò  che  area  fatto  suo,  padre,  di  am- 
pliare i  privilegi  air  Università  degli  studj,  e  per  mag;; 
giormente  illustrarla,  di  chiamare  a  quella  i  più  rino- 
mati Professori  d'Italia,  invitandogli  con  grossi  sti- 
pendii.  Così  nelUanno  lagGLfece  venire  da  Bologna 
Dino  de  Muscellis  celebre  Giureconsulto  con  salario 
di  cento  once  d' oro  Y  anno  (a).  Richiamò  ancora  da 
Bologna  Giacomo  di  Belviso^  dandogli  Tistessa  provi- 
sione, che  suo  padre  gli  avea  stabilita  di  5o  once 
d'oro  Fanno.  Nel  i3o2  con  grosso  stipendio  fece  ve- 
nire ad  insegnare  in  quest'  Università  il  Ju^  Canonico 
Maestro  Benvenuto  di  Milo  Canonico  di  Benevento , 
e  celebre  Canonista  di  que'  tempi,  che  fu  Maestro  del 
famoso  Biase  di  Morcone  (5).  Y' invitò  ancora  nell'an- 
no  i3o8  Filippo  d' Isemia  famoso  Legista  a  leggervi 
il  Jus  Civile.  £  poiché  in  que'  tempi  praticavasi  il 
lo'devol  istituto  ,  osservato  oggi  in  Ispagna,  che  i  Pro- 
fessori dalle  cattedre  passavano  alle  toghe  ed  alle  mi- 
tre, si  vide  da  poi  il  Canonista  Milo  fatto  Vescovo 
di  Caserta;  e  Filippo  d'Isernia  Consigliere  del  Re,  ed 
a'  tempi  del  Re  Roberto  Avvocato  Fiscale.  Richiamò 
ancora  a  leggervi  Medicina  Filippo  di  Castrocoeli^  eoa 
accrescergli  il  salario,  che  suo  padre  gli  avea  prima 
assignato  d'once  12  insino  ad  once  36  d'oro  Fanno. 
Furonvi  ancora  chiamati  a  leggervi  logica ,  Accorsina 


{a)  Reg.  ann.  1296  lit*  G.  fol.  agS  ivi:  Vocàvìt  Domìnum 
Dinum  de  Muscellis,  ut  Bononia  ad  Neapolìtanum  Sludium 
lecturus  cum  annuo  salario  unciarum  centum  auri.  Summ« 
to.  2  p.  562.  (b)  Ciarlant.  pag.  371.  Istor.  4el  Saniiio. 


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438  STORIA  CIVILF 

da  Cremona^  celebre  io  que*  tempi  per  le  arti  liberali^ 
ed  altri  iosigni  Professori  per  T  altre  Scienze  (a).  B 
perchè  ritenesse  quello  splendore  e  lustro,  che  Fede- 
rico II  aveale  dato^  rinovò  la  proibizione  fatta  dal 
medesimo  a*  Professori  di  non  potere  sotto  pena  di  5o 
once  d'oro  leggere  in  privato,  o  in  altro  luogo,  ec- 
cetto solo  in  quella  Università  pubblicamente:  di  che 
nei  regali  registri  de'  suoi  tempi  se  ne  leggono  molti 
divieti  Q>).  Per  la  quel  cosa  avendo  presentito,  che  in 
Sulmona  alcuni  sperano  dati  a  leggere  Jus  Canonico^ 
fu  da  questo  Principe  ad  istanza  de'Letfori  napole-J 
tani  spedito  rigoroso  ordine,  che  subito  se  n'astenes- 
sero, spettando  ciò  solo  airUniversità  degli  studj  di 
Napoli  (e). 

Rese  anche  adoma  non  meno  questa  città,  che  il 
Regno,  per  le  magnifiche  chiese  ed  ampi  monasterii, 
che  parte  vi  costrusse  di  nuovo^  e  parte  ampliò.  Oltre 
d*aver  ridotto  a  perfezione,  ed  in  più  ampia  forma 
r  Arcivescovado  di  Napoli  e  la  Chiesa  di  ^.  Loren- 
zo, a  cui  unì  un  ben  grande  Convento  di  Frati  Con- 
ventuali di  S.  Francesco;  opere  incominciate  da  suo 
padre  ma  non  già  ridotte  a  fine;  fondò  egli  di  nuovo 
la  Chiesa  ed  il  convento  di  5.  Pietro  Martire  de'  PP. 
di  S.  Domenico.  L'altra  ch'egli  nominò  della  iHiti^Ja- 
2e7ia,  ancorché  ritenesse  il  nome  di  S,  Domenico  per 
li  Frati  di  quell'  ordine,  e  per  essere  consecrata  a  quel 
Santo.  Quella  di  S.  Agostino  (J)^  e  V  altra  di  S.  Mar- 
tino sopra  il  monte  S.  Eramo:    se   bene  di  quest'uU 


{a)  Reg.  ano.  i5oo  fol.  25 1  et  ann.  i5oi  fol,  273  et  35«. 
(b)  Registr.  ann.  i3oi  fol.  8  ann.  i3o8.  (e)  Ciarlant  pag.  373. 
(d)  Suium.  pa^.  348  tom.  3* 


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DEL  REGNO  T)I  NAPOLI  L.XXI.  CAP.V.  439 
tima  i  più  accurati  ScrìUori  ne  facciano  autore  Carlo 
buca  di  Calabria  suo  nipote  (a). 

Ir  Aversa  edificò  a'  Frati  di  S.  Domenico  la  chiesa 
«  convento  sotto  il  titolo  di  S*  Luigi  Re  di  Francia 
suo  zio,  dotandola  di  ricchissime  rendite»  Ma  ove  più* 
rilusse  la  pietà  insieme  e  la  magnificenza  di  questo 
Principe  fu  in  quelle  tre  celebri  Chiese  del  Regno, 
cioè  in  quella  di  S.  Niccolò  in  Bari,  neir  altra  di  Santa 
Maria  in  Lucerà,  e  in  quella  già  prima  fondata  dal- 
l'Imperador  Federico  II  in  Altamura;  nelle  quali  è 
da  notare,  che  i  Pontefici  romani  furono  cotanto  pro- 
fusi in  concedere  non  meno  a*  nostri  Re  angioini,  che 
a  lor  riguardo  a  queste  Chiese  tanti  privilegi  e  pre- 
rogative, che  quasi  scambievolmente  tsomUnicando si  il 
lor  potere,  siccome  i  Re  erano  profusi  in  donare  a 
quelle  beni  temporali,  così  essi  gli  cumulavano  di 
preminenze  e  favori  spirituali. 

5  I.  Della  Chiesa  di  S.  Niccolò  di  Bari. 

La  regal  chiesa  di  S.  Niccolò  di  Bari,  'siccome  fit 
Barrato  ne' precedenti  libri  di  quest'istoria,  ebbe  il 
suo  principio  nell'anno  1087  nel  quale  alcuni  merca- 
tanti baresi  da  Mira  città  della  Licia  trasportarono 
nella  lor  Patria  il  Sacro  Deposito.  Urbano  II  nella 
fine  di  settembre  del  1089  accompagnato  da  gran  nu- 
mero di  Cardinali  e  di  Vescovi,  li  quali  insieme  eoa 
lui  erano  intervenuti  nel  Concilio  ragunato  in  Melfi, 
dedicò  solennemente  l' altare  maggiore  della  chiesa  in- 
feriore^ ove  ripose  le  sacrosante  Reliquie,  conforme 
«gli  medesimo  ne   fa  piena  testimonianza  in  una  sua 

{a)  y.  Engen.  Nap.  Sao.  fol.  585, 


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44o  STORIA  CIVILE 

Bolla  spedita  io  Bari  a*  9  ottobre  1089  secondo  aiiiT9 
del  suo  Pontificato,  riferita  dal  Baronie  e  dalF  U' 
ghelio. 

Fin  dal  tempo  della  sua  fondazione,  fu  quella  chiesa 
edificata  nel  palazzo  antico  de*  Capitani,  li  quali  inen* 
tre  governarono  la  Puglia  in  nome  de^F  Imperadori 
d' (oriente,  fecero  in  esso  la  loro  residenza;  toltn  poi 
da'  Normanni  la  Puglia  a^  Greci,  passò  in  potere  di 
Roberto  Guiscardo  primo  Duca  di  Puglia,  ed  appresi 
BO,  di  Ruggiero  suo  figliuolo,  la  qual  Chiesa  fu  li- 
bera ed  esente  fin  dal  suo  principio  della  giurisdizione 
deir Ordinario,  del  che  fanno  bastantissima  fede  il  pri-' 
Tilegio  concedutole  da  Alessandro  Conte  di  Cupertino 
e  di  Catanzaro  per  ordine  di  Ruggiero  Re  di  Sicilia, 
ohe  si  legge  presso  ITgbello  medesimo,  la  celebre  Bolla 
di  Pascale  li  indirizzata  ad  Eustachio  li  Abate,  che 
succede  al  primo  cotanto  rinomato  Elia^  ottenuta  per 
intercession  di  Boemondo  Principe  d'Antiochia  e  Si- 
gnore di  Bari  fratello  di  Ruggiero  ncllanno  11 06  (a), 
e  le  Bolle  di  Bonifacio  Vili  dell' anno  1296  (^),  di 
Clemente  V,  Paolo  III,  Pio  V  ed  altri  romani  Pon- 
tefici (e). 

Il  Re  Carlo  II  d'Angiò  fatto  prigione  colla  disfatta 
del  suo  armamento  navale,  fu,  come  si  disse  nel  pre- 
cedente libro,  in  grave  pericolo  d'essere  decapitato; 
ma  avendo  scampata  la  morte,  e  liberato  poi  dalla  sua 
prigionia,  memore  di  così  insigni  beneficj,  ch'egli  cre«> 

(a)  Bulla  Paschalls  II  apud  Ughell.  ove  nella  data  evvi 
errore ,  ed  in  vece  di  XIV  deve  leggersi  IV.  (b)  Nelle  quali 
Bolle  si  legge  uallo  modo  >  non  già  nullo  medio;  onde  per-' 
CIÒ  Carlo  II  nel  privilegio  della  dotazione  del  i3o4  disse, 
che  questa  Chiesa  se  Y  apparteneva  pieno  jure.  (e)  Y.  Chioc» 
tom.  7.  M,  S.  giurisd.  de  EccL  S.  JMic,  do  Baro. 


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DEL  REGNO  DI  NAPOLI  L.XXL  CAP.T.  Ut 

«lette  per  intercessione  di  questo  Santo,  di  cui  era  di- 
votiseimo,  aver  ricevati,  rivolse  T  animo  ad  accrescere 
il  culto  e  la  divozione,  che  gli  portava,  con  arric- 
chire la  sua  Chiesa  d'  amplissime  rendite,  facendole 
varie  donazioni,  con  riserbarsi  solo  il  poter  godere 
delie  distribuzioni,  come  Canonico  di  quella,  sedendo 
nel  Coro,  come  tutti  gli  altri.  Per  mezzo  del  Priore 
Guglielmo  Longo  Bergamasco,  il  quale  fu  creato  Car- 
dinal Diacono  di  San  Niccolò  in  Carcere,  nel  1^9^ 
ottenne  da  Bonifacio  Vili  ampi  privilegi,  esenzioni 
ed  immunità.  Vi  destinò  al  suo  servizio  cento  Che^ 
nei  tra  Canonici  ed  altre  dignità,  oltre  il  Priore,  e 
la  dichiarò  sua  cappella  regia. 

Impetrò  dallo  stesso  Bonifacio  Vili  nell'anno  1296 
Bolla,  con  cai  gli  diede  facoltà  di  poter  unire  alla  re- 
gai  basilica  le  chiese  e  cappelle  di  sua  collazione,  che 
li  paresse  aggregarle,  le  quali,  come  quelle,  a  cui  si 
sarebbero  congiunte  pieno  june^  a  lui  apparlenessoro; 
e  furono  aggregati  a  quella  la  Badia  e  monastero  di 
tutti  i  Santi  (a). 

Assegnò  nieir  anno  1298  per  dote  perpetua  della 
chiesa  trecento  once  d'oro  per  ciascun  anno  da  esi-» 
gersi  sopra  la  dogana  e  fondaco  dell'  istessa  città  di 
Bari,  alla  qual  somma,  tre  anni  appresso,  aggiunse 
altre  once  cento,  con  che  di  queste,  ottanta  se  ne  das- 
aero  al  Priore,  venti  al  Tesoriere,  e  le  restanti  tre- 
cento, si  distribuissero  fra' Preti  e  Ministri  della  chic-' 
sa;  in  iscambio  delle  quali,  perchè  molte  volte  dagli 
Ufficiali  del  Regno  se  ne  differiva  il  pagamento,  con- 
cedè alla  chiesa  tre  castelli  a  lui  devoluti,  cioè  Kuti- 
{liano ,    S.  Nicandro  e   Grumo,  de'  quali  n'  investi  il 

{a)  Bulla  apud  Beatil.  hist.  S.  Nicel.  lik.ii  cap.  17. 


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442  STORIA  CIVILE 

Tesoriere  di  quel  tempo,  e  gli  altri,  che  fossero  eletti 

ne' tempi  futuri. 

Nel  mese  d'ottobre  del  medesimo  anno  1298  in  virtù 
della  potestà  datali  da  Bonifacio  incorporò  V  Arcìprc- 
tura  d' Altamufa  con  tutte  le  sue  chiese,  cappelle,  ra« 
gioni  e  pertinenze  alla  dignità  di  Tesoriere,  il  che  con- 
fermò con  altro  Privilegio  de' 2  dicembre  del  i3oi 
col  quale  anche  unì  le  chiese  della  Trinità  di  Lecce 
e  di  S.  Paolo  d*  Alessano  all' Ufficio  di  Cantore'^  t 
la  chiesa  di  S.  Maria  di  Casarano  a  quello  di  Sue- 
cantore. 

A'  18  gennajo  del  iSoa  istituì  nel  sagro  Tempio 
quattordici  Ministri,  de'  quali  otto  avessero  pensiero 
ne'  dì  festivi  d'assistere  in  guardia  delle  porte  del  Coro 
con  una  mazza  regale  d'argento  in  mano,  donde  pre* 
sero  il  nome  di  Mazzieri,  e  sei  per  li  Ministri  più 
bassi,  come  per  rappezzar  le  fabbriche,  racconciar  gli 
scanni,  e  cose  simili,  chiamati  perciò  Maestri  di  Fab^ 
hrica^  a' quali  diede  l'esenzione  del  pagamento  delle 
gabelle,  e  del  Foro  secolare  nelle  cause  civili,  sotto* 
ponendoli  alla  giurisdizione  del  Tesoriere,  appellane 
dosi  da' decreti  della  di  lui  Corte  a  quella  del  Cap^ 
pellano  Maggiore,. le  quali  esenzioni  ed  immunità, 
furono  confirmate  da  Roberto  nel  1 34o  e  da  Ladislao 
nel  i4o3,  e  gli  altri  Re  successori ,  al  suo  esempio,  di 
moltissime  altre  concessioni  e  preminenze  arricchirono 
questa  chiesa. 

Dotata  ch'ebbe  in  tal  modo  la  regal  Chiesa,  v'in- 
trodusse una  nuova  forma  di  servizio  a  similitudine 
di  quello  usitato  nella  regal  cappella  di  Parigi,  ad 
esempio  della  quale  volle  ancora,  che  in  quanto  alla 
recitazione  de' divini  Uffici,  si  valessero  i  suoi  Mini- 
stri dell'antico  Breviario  parigino;  il  che  fu  poi  tolto 


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DEL  REGNO  DI  NAPOLI  L.  XXI.  CAP.  V.  445 

air  ultimo  di  dicembre  del  i6o3  con  lettere  di  Filip- 
po III,  colle  quali  permise,  che,  quello  tralasciato,  nel* 
Tavvenire  potessero  servirsi  del  Breviario  romano,  detto* 
volgarmente  di  Pio  V.  . 

Dispose  per  mezzo  di  un  suo  privilegio  spedito 
a' 30  giugno  del  i3o4  che  oltre  il  Priore  fossero  in 
questa  chiesa  tre  dignità,  cioè  quella  del  Tesoriere^ 
che  costituì  la  prima  e  la  più  riguardevole,  e  due  al* 
tre,  cioè  di  Cantore  e  Succantore  e  cento  Preti  be* 
neficiati^  quarantadue  Canonici,  fra  quali  le  dignità 
furono  annoverate,  ventotto  Gherici  mediocri  e  trenta 
bassi,  siccome  s'appellano  nel  privilegio,  con  molti 
particolari  regolamenti  attinenti  al  Priore  ed  al  Te- 
soriere. 

Dopo  avere  il  Re  Carlo  II  costituito  in  questa  chiesa 
le  dignità,  il  numero  de'  Canonici,  ed  altri  Cherici  in- 
feriori, asaignate  le  rendite,  ed  ordinato  tutto  ciò^ 
che  stimossi  da  lui  espediente  per  buon  reggimento 
e  regolamento  della  medesima;  riserbò  per  se,  e  suoi 
Serenissimi  Successori  nel  Regno  la  dignità  di  Teso- 
riere colla  prebenda  a  quello  annessa,  in  modo  cb^ 
ritrovandosi  in  Bari,  interveniva  egli  nel  Coro /come 
Tesoriere,  sedendo  nella  seggià  costrutta  air  incontro 
di  quella  del  Priore,  in  cui  sono  intagliate  T  armi  re- 
gie, e  vi  sta  scritto  con  lettere  d'  oro,  Sedes  Regalis^ 
coir  effìgie  di  questo  piissimo  Principe,  sotto  il  quale, 
«colpito  in  abito  di  Tesoriere,  leggesi  T iscrizione:  per* 
pctuo  monumento  d'  aver  per  se  e  suoi  successori  ri- 
tenuta la  prima  canonica  dignità,  chk  quella  di  Te- 
soriere (*). 

(*)  Le  parole  della  detta  iscrizione  sono:  Serenìssimus  Re< 
Carolas  Secundus,  etc.  banc   Basilieaitt  munificentia    RcgaM 


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444  STORIA  CIVILE 

Avei  ciò  il  Re  Carlo  appreso  da' Francesi,  e  mas- 
simamente da*8uoi  Angioini;  e  conforme  nella  recita- 
cione  deir  Ufficio,  e  nell'altre  cose  concernenti  il  culto 
di  detta  Chiesa,  così  in  questa  volle  imitare  T  usanza 
della  Francia;  poiché  si  legge  presso  Eginardo  (a)  che 
Carlo  M.  si  dilettava  ancor  egli  di  cantare  con  gli 
altri  nel  Coro;  e  nella  Cronaca  d' Inghilterra  lo  stesso 
ai  legge  di  Fulcone  III,  cognominato  il  buono  Conte 
d'  Angiò,  il  quale  nclF  anno  960  fu  ammesso  nella 
Chiesa  di  S.  Martino  come  Canonico,  e  spesse  volte 
nella  recitazione  dell*  ore  canoniche  con  vesti  canoni- 
cali intervenne  (J).  Parimente  Ingclgero  Console,  ov- 
vero Conte  d'  Angiò  (  poiché  dell'  uno  e  dell"  altro  ti- 
tolo allora  promiscuamente  valevansi  )  dopo  aver  ot- 
tenuta nella  Chiesa  di  S.  Martino  in  Tours  una  pre- 
benda perpetua,  essendo  vacata  la  dignità  di  Tesorie- 
re,-fu  dichiarato  tale,  difensore  della  chiesa,  e  tu- 
tore delle  sue  possessioni;  e  mentre    visse  occupò   la 

dotavit  sola  sìbì^  et  successoribus  suis  prima  Canonica  dìgni- 
tate  servata.  Lettera  delP  istesso  Carlo  II  de' 3  Novembre  i3o4 
rapportata  dal  Beatillo  Istor.  di  B.iri,  lib.  5  fol  44^  ove  si 
legge:  Io  signum  devotionis  relineniu$  nobis,  et  baeredibus 
nostrisj  quod  cum  persooaliter  eriinus  dos,  et  nostri  haere- 
des  in  Baro,  quotidianas  distributiones  accipiemus  sicul  unus 
de  Canonicis  ipstus  nostrae  Ecclesiae  recipit,  et  recrpere  ha- 
beat.  (a)  Egin.  apud  Ducbesne  tom.  2  pag.  io5  et  104.  Le- 
gendì  atque  psallendi  disciplinam  diligentissime  emenda  vii; 
erat  enim  utriusque  admodum  eruditus;  quamquam  ipse»  nec 
publice  legeret,  nec  nisi  summissira,  et  in  commune  cantarct. 
(^)  Script,  antiq.  Eccles.  Anglic.  tom.  1  pag.  4^^-  Bibliotb. 
Clan,  nota  pag.  21.  Spicileg.  tom.  io  pag.  4o3  et  447*  ^^^ 
nonicus  adscriptus  fuit  in  Ecclesia  S.  Martini,  in  festis  San- 
cti  ejusdem  in  Cboro  inter  psallentes  Clericos  cum  veste  cle- 
ricali >  et  sub  disciplioa  eorum  adstabat. 


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DEL  REGNO  DI  NAPOLI  L.XXL  GAP.  V.  445 

sede  di  Tesoriere,  nella  qual  digaità,  a' Conti  e  Du- 
chi d'  Angiò  succederono  i  Re  di  Francia,  e  quel  Ca- 
npnicato  laico  conseguirono  (a). 

Da'  precedenti  libri  di  questa  Istoria  ciascuno  avrà 
potuto  notare,    che   molte  usanze   di  Francia  furono 
da'  nostri  Re  fra  noi  introdotte,  cominciandosi  sin  dai 
Normanni,  e  moltissime  poi  ve  ne  furon  portate  dai 
Re   angioini^  onde  non  dee  recar  maraviglia  se  alcune 
nel  nostro  Regno    oggi   ancor   durino  totalmente  dif- 
formi* da  quelle  di  tutto  il  resto  d' Italia.   In  Francia 
il  Tesoriere  della  regal  cappella  di  Parigi,  secondo  ne 
jrende  testimonianza  Coppino  (6),  oltre  d'esercitar  giù- 
risdizione  sopra  i  Canonici  di  quella,  conserva  egli  i 
vasi  sacri  e  gli  ornamenti,  ed  anche  tutti  gl^istrumenti, 
privilegi  e  concessioni  riguardanti  a'  Feudi,   ed  altre  ^ 
robe  donate  a  quella  Chiesa.    Parimente  il    Tesoriere 
di  Bari  ha  egli  II  pensiero  e  la  custodia  di  tutto  ciò; 
e  come  questa  città  fu  lungamente  governata  da'  Greci, 
si  ritengono  insieme  ancora  molti  usi  grecanici,  e  nel 
Tesoriere  ìstesso  di  questa  Chiesa   si  veggono  ancora 
uniti  gli  uffici  di  Cartolario  e  di  Cartofìlace;   poiché 
siccome  in  Oriente  due  erano  i  Cartofilaci,  uno  con- 
servava le  carte  e  monumenti  della  chiesa^  e  presie- 
da) Biblìoth.    Ginn.  not.  pag.  4^*  Cum  omni    Consilio  de- 
derunt  logelgerio    Corniti   praebendam    B.  Martini,  ipsi,   et 
baeredibus  ejus  in  perpetuiiin  possidendam.  Quia  vero  Ec- 
clesia ejusdeiu  Sancti  carebat  Thesaurario,  et  Aedituo,  Con- 
sulem  Ingelgerium  intronizaverunt  >  et  Thesaurarium    consti- 
tuerunt,  et  Defeasoreni  Ecclesiae  fecerunt,  et  Tutorem  omnium 
possessionura  ejus  ubicumque  essent  delega verunt  Qui  sedem 
Thesaurarii ,  et  Domos  cum  redilibus  quandìu  advixit,  obti- 
nuit.  Duchesne  tom.  4  p^g*  ^^o.  {b)  Renat.  Chop.  de  S.  Polit» 
1.  3  lit.  6. 


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446  STORIA  CITILE 

deva  air  Archivio;  l'altro  alle  rendite  della  chiesa,  e 
teneva  conto  delle  spese  (a);  così  ia  Bari  il  Tesoriere 
di  questa  chiesa  ha  di  tutto  ciò  cura  e  pensiero.  E 
poiché  in  alcuni  luoghi  era  incombenza  del  Tesoriere 
non  solo  di  custodire  i  privilegi  e  gli  ornamenti  della 
chiesa ,  ma  anche  il  regio  diadema  (&)  ;  così  alcuni, 
avendo  per  vera  quella  favola,  che  i  nostri  Re  sole- 
vahsi  coronare  in  Bari  colla  Corona  di  ferro,  scrissero 
che  il  Tesoriere  di  questa  Chiesa,  tra  gli  ornamenti 
di  quella,  custodiva  ancora  questa  Corona  (e). 

A  questo  Principe  adunque  devono  i  nostri  Re 
quelle  tante  prerogative  e  preminenze  acquistate  non 
xnen  per  fondazione  e  dotazione,  che  per  privilegi  dei 
Sommi  Pontefici,  delle  quali  oggi  sono  essi  in  pos« 
sesso,  onde  sono  reputati  capi  e  moderatori  di  questa 
chiesa,  eh' è  di  Regia  collazione:  conferiscon  essi  il 
Priorato  e  T altre  dignità  di  quella,  e  vi  stabiliscono 
tin  Giudice  d'appellazione,  il  qual*  è  il  Cappellano 
Maggiore,  che  riveda  i  processi  del  Priore  e  del  Te- 
soriere, con  totale  independenza  dall' Arcivescovo  Or- 
dinario di  Bari.  . 

Secondo  l'antica  disciplina  della  Chiesa,  tutte  le 
basiliche,  che  si  costruivano  nella  diocesi  del  Vescovo, 
erano  sotto  la  sua  potestà  {d).  Ma  sin  da'  tempi  di 
Carlo  M.  i  Pontefici  romani  cominciarono  per  .mezzo 
di  loro  privilegi  ed  esenzioni,  a  mutare  l'antica  poli- 
zia; e  per  invogliare  maggiormente  i  Principi  ad  ar- 
ricchire le  Chiese  di  beni  temporali,  e  rendersegli  vie 


{a)  Cyrbn.  in  parat.  lib.  5.  Decret.  de  ^^c*  Custod.  (b)  Id- 
noc.  Ili  1.  I  epist.  4^9-  (^)  V*  Beati].  Istor.  di  S.  Nic.  di 
Bari,  Uh.  ii  cap.  ii.  {d)  Coucii.  d*  Orleans,  cap.  9.  Nicol.  I 
in  can.  si  quis  Episcopor.  caus.  16  quaest.  2. 


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DEL  REGNO  DI  NAPOLI  L.XXI.  CAP.V.  447 

più   devoti   e   soggetti,   concedevano   ad   essi   ed   alle 
Chiese,  che  fondavano,   ampi    privilegi  e  prerogative, 
comunicandosi  scambievolmente  i  loro  poteri.    Ma.  in 
ciò  sempre  i  Principi  vi  perdevano,  perchè  arricchite 
e  fondate,  ch'essi  aveano   le   Chiese,  sorgevano   delle 
grandi  contese  con  gU  Ordinarli,  e    non  si  disputava 
sopra   i   beni   donati,   acquistati    già   alia  Chiesa,    ma 
sopra  i  privilegi  loro  conceduti:  i  Pontefici  che  s'ar- 
rogano la  potestà  d'interpretargli,  moderargli  e  sovente 
anche  di  rivocargli,  eran  sempre  dalla  parte -degli  Or- 
dinarti; e  quando  ciò  lor  non  riusciva,  tiravano  almeno 
il  litìgio  in  Roma,  ed  essi  ne  prendevan  la  conoscenza. 
Di  che  potranno  esser  bastanti  prove  le  gravi  ed  osti- 
nate contese  insorte   per  ciò   tra   il  Priore    di   questa 
chiesa  e  F  Arcivescovo   di  Bari,   le  quali,  non  ostante 
tanti  privilegi  ed   esenzioni,   per   lo  corso   non  meno 
che  di  ducente  anni,  non  vi  è  stato  modo   di  poterle 
affatto  estinguere  (a).   Siccome  non  furono  minori  per 
le  stesse  cagioni  lì  contrasti  nati  fra  T Arciprete  d'Ai- 
tamura  col  Vescovo  di  Gravina,   e  per  l'altre    Chiese 
di  regia  collazione.  Ciocché  dovrebbe  essere  documento 
non  meno  a'  Principi,   che  a'  privati,   di  lasciare  alla 
Chiesa  ed  a'  suoi  Ministri  ciò  che  a  loro  s'appartiene, 
e  non  intrigarsi  in  tali  faccende,  e  nell'andar  regolando 
Capitoli  e  confratanze,  come  se  loro  non  restasse  niente 
da  fare  attendendo  a'  loro  proprii  impieghi;  perocché 
la  sperienza  n'  ha   dimostrato^  che   tali  cose    se   bene 
da  principio  s'intraprendono  per  impulsi  di  divozione, 
da  poi  riescono  di  vanità,  dove  non  vi  è  niente  dello 
spirito,   e  tutto  del  mondo    e  della  carne.    Ed    all'  in- 
cofcitro  i  Preti  ed  i  Monaci  da  poi  ch'essi  avranno  ar- 

(a)  V.  Chioccar,  tom.  7  M.  S.  Giurisd. 


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448  STORIA  CIVILE 

ticchìte  le  chiese  e  le  cappelle,  vogliono  amministrar 
le  rendite^  dimandarne  conto,  ed  aver  coloro,  che  vo- 
glion  prenderne  cura,  per  loro  ligi  e  sudditi,  con  ti- 
rargli per  r  orecchie  dove  1^  lor  ambizione  e  la  lora 
avarizia  gli  portano. 

Ciò  che  dovrebbe  ancora  condennare  T  istituto  pur 
troppo  da  un  secolo  in  qua  frequentato  in  questa  città 
e  Regno  di  tante  Confraterie  di  secolari  e  d'artigiani^ 
li  quali  invece  d'attendere  a  loro  mestieri,  ed  adem- 
piere le  parti  delia  giustizia  in  non  fraudare  con  in- 
ganni il  prossima,  si  mostrano  tutti  ardenti  di  devo- 
xione  nelle  loro  cappelle  e  Confraterie,  e  cotanto  si 
compiaciono  d' una  processione,  di  portare  stendardi, 
croci,  turibuli  e  torchi,  e  di  proccurar  da  Roma  divisa 
pei  loro  abiti,  le  quali  molti  se  le  procacciano  di  co- 
lori di  porpora  per  mostrarsi  nelle  funzioni  piit  vistosi, 
e  tanto  si  gonfiano  d' un  titolo  di  Priore,  di  Primice- 
rio o  Assistente,  che  credono  con  ciò  aver  ben  sod- 
disfatto air  ufficio  di  buoni  Cristiani.  E  la  meraviglia 
è ,  che  da  poi  che  la  domenica  avranno  nelle  loro 
Congregazioni  intonato  bene  Tufficio,  sentito  il  sermone 
del  Padre,  e  girato  attorno  per  la  città  con  croci  e 
stendardi;  il  lunedì  la  mattina  tornando  nelle  loro  bot- 
teghe, non  perciò  al  primo,  che  vi  capita,  non  cer- 
cano ingannarlo,  e  con  frodi  e  menzogne  circonvenirlo 
ne'  prezzi  delle  robe  o  ne'  lavori  di  mano. 

Quindi  i  Preti  ed  i  Frati,  riputandogli  non  in  tutto 
secolari,  se  accade  lite  per  precedenza,  per  custodia 
de'  vasi  e  d  ornamenti,  per  amministrazione,  conti  o 
altro,  vogliono  essi  riconoscere  di  queste  cause,  e  gli 
tirano  al  Foro  ecclesiastico,  tenendo  erette  per  ciò  par- 
ticolari Congregazioni,  onde  si  sentono  tutto  il  giorno 
contrasti  non  meno  ne' Tribunali  ecclesiastici ,  che  avanti 


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DELHEGNO  DI  NAPOLI  L.XXI.CAP.V.  44» 
il  Delegato  della  regni  giurisdizione^  e  quindo  dovreb- 
bero  attendere  aUoro  lavori,  perdono  le  giornate  iotene 
dietro  a  queste  frasche.  Ciò  che  ben  loro  sta,  perchè 
quando  a  ciò  potrebbero  :  essere  aufficienti  i  loro  Fa- 
rochi,  essi,  come  se  yi  fosse  scarsezza  di  Preti  e  di 
Monaci,  vogliono  intrigarsi  iti  tali  funzioni,  e  non  co- 
noscono, che  da  poi  che  yi  avranno  consumato  il  tempo 
e  le  lo»o  sostaose^'  niente  profittano  nello  spirito,  né 
migliorabo  di  costumi,  anzi  rirono  in  continue  sog- 
gezioni ed  io  continui  contrasti,  che  cagionano  fra  di 
loro  odj  e  rancori,  e  aovente  aaco  gravi  inimicizie  e 
disordini. 

§.  IL  Della  chiesa  di  &  Maria  di  Lacera. 

Dappoiché  Re  Carlo  ebbe  aconfitto  Manfredi,  e  de- 
bellati i  Saracini,  che  tenera  a*  suoi  stipendj,  il  mi- 
sero avanzo  di  quelli  ricovrossi  in  Lucerà  di  Puglia, 
ed  in  quel  castello  si  fortifiearono;  ed  ancorché  il 
Kegno  ai  fosse  per  Manfredi  interamente  perduto,  ren«> 
duti  che  furono,  ricevettero  a  buon  patto  da  quel  Re 
di  poter  quivi  abitare  colle  loro  famiglie;  ma  Carlo 
auo  figlii]^olo  come  Principe  pietoso  e  zelantissimo 
della  fede  cattolica,  conosc^do,  che  per  1* abitazione 
di  questi  Infedeli  in  quella  citta,  il  culto  Divino  era 
vilipeso,  la  chiesa  cattedrale  poco  men  che  minata, 
e  la  religione  in  pesaimo  stato  ridotta,  si  risolse  di- 
scacciargli affatto,  come  fece,  ed  invitarvi  nuovi  abi- 
tatori Cristiani;  ed  afBchè  la  città  tosto  ai  popolasse, 
assegnò  a'nuovi  abitatori  Cristiani  molte  terre,  ripar- 
tendole secondo  la  qualità  e  condizione  degli  abitanti; 
ed  affinché  la  città  in  cotal  maniera  purgata,  si  re- 
putasse tutta  nuova,  volle  ancora,  che  non  più  si  cbia- 

*9 


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45o  STORIA  CIVILE 

masse  col  aome  antico  di  Lucerà  ^  mi  di  Santa  Maria, 
titolo  della  sua  cattedral  Chiesa.  Perchè  questa  Chiesa, 
era  posta   in   luogo   meno   frequentato,   e   fuori  della 
città,  e  minacciava  mina,  ed  anrea  così  picei  ole  facoltà, 
<;he  il  Vescovo  di  quella  non  poteva  sostentarsi  con- 
forme rieercava  la  dignità  Pastorale,  e  per  la  povertà 
dell' entrate,  pati  va  anche  difetto  di  Ministri;  Carlo  II 
la  trasferì  déntro  la  città,   costruendone  una  piò  ma« 
gnifica,  con  ordinare  nel  i3o3  al  Castellano  della]  vec- 
chia Fortezza  di  quel  castello,  che  dasse  certo  metallo 
rotto,  che  ivi  era  per  farsene   una  campana   (a).    La 
dotò  d'ampie  e  ricche  entrate-,  e  nello  stesso  anno  gli 
donò    cento  once   d*oro  Tanno    sopra   le   rendite  sue 
regali,  che  teneva   in    quella   città,  per  sostentamento- 
de'  Canonici,   che  accrebbe  sino    al  numero  di  venti, 
con  obbligo  di  quivi  risedere,   ed  assistere  alli  divini 
Uffici  tanto  di  notte  ,  quanto  di  giorno^  da   dividersi 
fra  di  loro  le  rendite,  che  assegnava»  egualmente,  in 
maniera  che  ciascuna  avesse  cinque  once  d'oro  Fanno 
in  beneficia^  ovvero  prebenda.  Si  riserbò  per  se  e  suoi 
successori  nel  Regno  la  collazione  de'  Candnicati  sud- 
detti per  la  metà,  e  la  restante-  parte,   che   fosse  del 
Véscovo,  in  modo  che  quello,  che  "primo  vacherà  sia 
a  collazione  del  Re,    e  quel   che  vacherà   la  seconda 
volta  sia  del  Vescovo.    Oltre  a  ciò  institui  nella  me- 
desima Chiesa  le  dignità  di  Decano,  Arcidiacono,  Te- 
soricro  e  Cantore,  assegnando  per  ciò  trenta  once  di 
oro  l'anno,  e  che  fossero  di  regia  sua  collazione  (&). 
Il  Pontefice  Benedetto  XI  lodando  la  pietà  o  mu- 
nificenza del  Re,  per  mezzo  d'una  sua  Bolla  spedita 

(a)  Cbioo,  M,  S,  ginrisd.  to.  ^  de  Capitalo   Civìt.   Lucer 
ifi\  Chioc«  loc»  cit  iu  princ. 


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DEL  REGNO  DI  NAPOlI  L.XXt  CAP.V.  45i 

«'  aB  norembre  delio  Bteiso  aond  i3o3^  approvò  e  con- 
fermò l'istituzione,   concedendo   al   Re   Carlo   e   suoi 
credi  e  successori  di  prei^ntare  al  Vescovo  le  persone, 
eh' egli  vol^  'innalzare    al   DecàAafo ,   Archidtaoonato 
:  e  Cantoria^  le  quali'  dovesse  il  Yelscovo  istituire  e  con* 
-fermare.'  Gli  concedè  ancora  di  poter  in  luògo  del  Papa 
.conferire  la  metà  éelle  prebende  di   sopra   accennate 
quando   vaeherebbono  «    con.  poter   anche  cHnierire  le 
«altre  dignità.    lìì  vantaggio,  se  occorresse  crear   altre 
prebende,  che  potesse  egli  farlo,  con  risferbarnte  Taitra 
'metà  al  Vescovo  e  suoi  successori,  quando  vacheranno. 
Ed  in  fine,  per  ispezial  favore,  ancorché  per  le  con- 
venzioni passate  con   Carlo   suo  Padre   si  fosse  tolto 
Vassensùy  che  prima  era  necessario  nelPeleztohi   dèi 
Vescovi;  gli  concedè,  che  occorrendo- eleggersi  il  Ve- 
scovo  di  questa  città,   debbia   il   Capitolo,   prima  di 
domandare  la  confermazione  di  Quello,  ricercare  Y as- 
senso del  ;Re  e  suoi  successori,  e  non  si  possa  FEletto - 
confermare,  se.pritna  non  sarà  ricercato  dettò  assenso '^ 
come  si  legge   nella 'Rolla  trascritta   dal   Chioccarelli, 
'della*  quale  non  si  dimenticò  Totnmasino  (a),^  con  rap- 
portarne anche  le  parole.  Ciò  che  si  vede  essersi  pra- 
ticato anche  a  tempo  del  Re  Alfonso  'I  come  per  duo 
carte  di  questo  Re,  una  scritta  al  Vicario  di  Napoli 

{a)  Thomas.  Vet.  et  Nova  Eccl.  dise.  p.  a  lib.  2  e.  Sj , 
-  jiuTn.  4  trascrive  le  parole  della  Bolla ,  che  sono  :  Quoties 
.elìeteti9n#ai  Episcòpi.  S.  Hariae  liuceriae ,  per  quam  Capitu-^ 
hxm  cout^geret  yac|LiioAÌs  ingruente  tempore  celebrarì,  te- 
4ieantur  ipsi  Capitulum,  ipriusquain  ejusdem.  electionìs,  con* 
iìrni^tio  postuletur  ,*tuum,  et  euadem  successorum  tuoruiu, 
assensum  requìrerè ,  nec  ^pòssit  eadem  electio ,  nisi  prius  bu- 
jii3mo'di  requisitus' assenstts  fijierit,  confirmarì. 


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45^  .   r  •  «TOftU  CIVILE 

nel  i45o»  e  1*  altra  al  Pontefice,  rapportato  dal  Ghioc- 
carelli  (a). 

.  Non  soddisfatto,  ^^esto  Principe  di  ciò,  nel  seguentef 
anno  i3o4  volle  mag^iormeote  arricchire  questa  Chiesa 
da  lui  {ondata,,  donando  a  Stefano  Vescovo  di  quella 
città  e  snoi  successori  le  terre  delF  Apric^ìiai  Palaz- 
2uolo  e  Gaardiola  poste  della  prorincia  di  Capitanata, 
e  glie  le  conciedè  in  feudo  .nobile,  contento  solo  del 
giuramento  di  fedeltà,  senz*altrp  servizio  personale  o 
reale,  eccètto  che.  ogni  anno  il  Vescovo  e  suoi  suc- 
cessori fossero  temiti  dare  al  Re  un  bacile  d*  argento 
con  25  libbre  di  cera^  i^io^  in  Mn  anno  nella  festività 
del  Natale  di  N.  S. ,  e-d  un  altra  nel  dì  della  Pente- 
coste; il  qual  bacile  anche  solevasi  restituire  al  Ve- 
scovo per  doverlo  i^onvertire  in  vasi  d'argento  per 
divin  culto  della  Chiesa  suddetta.  Stabilisce  inoltre, 
che  vi.  siano  .in  .detta.  Chi^dft  itDecc^no,  TArcidiaconQ, 
il  Tesoriere,  il  Cantore,!  ed  okra  i  Canonici,  otto  Che- 
rici:  che  il  Pacano.- abbia  ogni  anno  quindici  once  di 
oro,  rA.rcidiaco{|o  altrettante,'  il  Tesoriere  dodici  once» 
il  Cantore  altrettante,  e  gli  otto-Cherici  ciascheduno 
d^essi  quattro  once;  ed  il  Testoriero  abbia  anche  quat- 
to once  pei  lumi.  Comanda  che  queste  somme  se  gli 
paghino  dalla  Bagliva  e  da  altri  diritti  ed  entrate  re- 
gali, che  la  regia  Corte  possiede  in  detta  città  ;  e  vuole, 
che  le  dignità  di  Decano,  Arcidiacono,  Tesoriere  e 
Cantore  quando  vacaranno,  si  conferiscano  dal  Re  e 
suoi  succeasori;  però  la  metà  de*  Canonicati  si  confe- 
risca dal  Re,  e  la  restante  metà  dal  Vescovo  altemap 
tivamente  nella  maniera  detta  di  sopfa:  che  gli  altri 
Cherici  s'ordinino  dal  Vescovo;  che  il  Decano  abbia 

(a)  Ghioc.  loc.  dt  in  fin. 


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DEL  REGNO  DI  NATOLI  L.  XXL  GAP.  V.  453 

da  dare  al  Re  e  suoi  successori  ogni  anno  per  se  e 
Capitolo  doctici  libbre  di  cera;  e  cbe  le  persone,  che 
avranno  dette  dignità  e  Personati^  debbiano  insieme 
colli  Canonici  eleggere  il  Yesoot»,'  eoa  doverne  pre- 
sentare al  Re  relezione,  o  ricercare  il  suo  assenso. 
Il  qaal  privilegio  nel  seguente  anno  fu  confermato  da 
Carlo  stesso,  e  nel  i33a  da  Roberto  suo  figliuolo  (a). 

SKocoilie  Carlo  II  statuì  nella  <Reai  Chiesa  diRi^ri^i' 
ohe  nel  celebrare  iri  i  divini  Ufficili  si  osservasse  il 
rito  Franzese;  così  parimente  yolle,  che  si  pratàciiM|C^ 
in  fnesta  chiesa  di  S.  Maria  di  Lueer^;  onde  iì'  «£^ 
novembre  dell'anno  i'3o7  scrisse  al  Yeaoovo  e  Capi* 
tolo  di  qaella  città,  dicendo  loro,  che  desiderando  che 
in  questa  sua  Chiesa  da  lui  fondata  si  facesse  pro- 
gresso non  meno  nelle*  cose  temporali,  cbe  spirituali, 
voleva  perciò,  phe  si  governasse  secondo  le  approvate 
consuetudini  delle  chièse  cattedrali  del  Regno  di  Fran« 
eia;  onde  ordinò  loro  e  prescrisse  alcuni  riti,  che  si 
osservavano  in  Fr^oia  circa  il  odebrare  TUfficio  di- 
vino ed  altre  celimonfe  di  Chiesa  (&) .     -  < 

Ritengono  per  tanto  l  nostri  Re  ancora  oggi  queste 
preminenze  sopra  la*  Chiesa  di  Lucerà,  se  non  che 
sin  da'  tempi  d' Alfonso  veone  loro  oontrastato  (  noa 
ostante  la  Bolla  di  Benedetto  XI)  Tasscmo  ricercato 
neireleziùtte  àA  auo  Yescoto,  il  quale  ora  «i  è  proc* 
curato  con  varii  maneggi  e  trattati  di  toglierlo  affatto  ; 
aìccome  dall'  altra  parte  furono  tolte  fA\  Yescavò  14 
terre,  che  da  questo  {Principe  fucon  concedute,  ond'è^ 
chei  óra  ^è  sic^iolto  dal  tributo  del  bacib  Ìl  a^-gento-  f 
della  eera,  i     .         .    .  . 

{a)  Chioccar,  loc  cit«  {ff)  Chioccar,  loc.  c^t. 


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454      '  STORIA  €IVILF 

$.  ÙI.  Della  ehma  d' AUàmùré. 

La  Chiesa  d' AU^imiira,  anbocchè  fondata  dall'Ini' 
peradore  Federico  11^  e  per  suo  priTilegia  spedito  itt 
Melfi  Tanno  iaÌ2  oonfemiato  da  poi  da  Innoeenzio  lY 
per  la  sua  BoUa  data  in  Xiiooe  Vann»  %*àtfij  fu  resa 
esentfc  !  dalla  giuriadmone  di  qoalonìque.Ordiaarlo:  con 
tutto  ciò  Carlo  II  ne  pttst  la  {irotezioné,  allorché 
SjMraino.da  Bari  Protooolario  del  Regao,  sotto ^or6. 
ohe  lì  Re  Carlo  suo  padre  gK  avesse  danato  Altamara^ 
tentava  appropriarsi  anche  questa  Chieaa,  ch*efa  di  jua 
patronato  regio;  onde  scrisse  nell'anno  11^9)  con  molta 
premura  a  Oarle  Mai^tello  suo.  figliuolo  Re  d*  Ungheria» 
che  eòmandabsciil  .Protonotarto  di  non  ìnipaci^bnrsi  a 
eosa  Tentna' appartenente,  a  questa  Chiesa;  per  essere 
•uà  cappella  regia^  e  si  guardasse  nioko  hene  a  non 
proTÒcarJo  ad  ira;  anzi  ordipò^  .che  non  portasse  ri- 
apettò  in  mòdo*  akuno  iJ  suddetto  £qparaiiO  in  eseguire 
aubito  suoi  ordini  (a).!  Maggior  pirotezìooe  ne  prese 
quando  il  VeiooFo  di  Gravina'  tanto  di  sottoporla  alia 
sua  giurìsdiaioLQe.  Eg^i  ikll'anna  1999  eonpunise  al  Ye- 
aoovó  di  Bilanto  ed  a  Lupo.  Giudice  della  medesima 
città,  che  portandosi  di  perbona  in  Ahamura  esami- 
nassero la  pretensione  del  Yesibovo;  e  dopo  matura 
discussione^,  d'dcdordo  eoaipose  egli  la  eoo  tesa,  .stabi- 
lendo, che'  lii.  chiesa  suddetta  fi>6se  Cappella  Regia\ 
che  b.cattuàone  a^artoipsaè .al  Re;,  che  foase  colle 
aue  cappelle  jb  Xierb'eseaie^.e  die  la  giurisdizione 
spirituale  contenziosa  in  Altamura,  spettasse  all'Arci* 
prete:  quella  che  appartiene  all'ordine  Vescovile  spet- 
■^  *  .  •  ' 
^)  Chioccar,  toni.  7.  M.  S.  giurisd* 


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DEL  REGNO  DI  NAPOU  L.XXI.  CAPV.  455 

tasse  al  Vescovo^  al  quale  parimente  il  Re  Gat*k>  donò 
aette  once  d'oro  Tanno  in  perpetuo  •  (a). 

Dichiarata  questa  chiesa  cappella  regale, -ed  esenta 
dalla  giucisdizione  dell'Ordfaiarìo,  si  proccnrò  poi  dai 
Re  succesaori  di  Carlo  d'illustrarla  con  altre  preroga* 
tive;  onde  nell'anno  i4B5^  a  richiesta  di  Pietro  del 
Babo  Prìncipe  allora  .d' À^ltamur a,  s'ottenne  da  Inno- 
cen2Ìo  Vili  Bella^  orvera privilegio  per  cui  fuinnal* 
zata  da  Parrocchiale  ch'era,  in  Collegiata,  con  tutte 
r insegne  e  dignità  collegiali:'  fu  conceduto  ancora  di 
poterai  quivi  creare  nuove  dignità,  cioè  d'Arcfaidiaco- 
nato,  Cantorato.  Prìmiòerìato  e  Tesorierato,  con  la 
creazione  di  ventiquattro  Canonici,  la  provvisione  dei 
quali  si  diede  all'Arciprète.  Fur  concedute  al  medc^ 
simo  le  xagioni  e  •preminenze  Vescovili,  il  portar  il 
Roccetto,  la  Mitra,  l'anello  e  t^tte  le  altre  insegne 
Pontificali:  ài  dare  la  aolenne  benediaione,  colla  pò* 
testa  ancora  di  .conferire  gli  Ordini  minori  alli  suoi 
.  sudditi,  e  la  superiorità  e  punizione  circa  tutti  i  Preti, 
e  d'' assolvere  tutti  i  suoi  Parrocchiani  e  sudditi  di 
tutti  li  casi  Vescovili.  E  poiché  i  Pontefici  romani: 
s^arrogavano  ancora  la  potestà  d'ergere  le  terre  e  ca* 
stelli  in  città  quando  vi  creavano  un  Vescovo;  Inno- 
cenzio  innalzando  il  suo  Arciprete  quasi  al  pari  d'un 
Vescovo,  dichiarò  egli  Altamura  città,  e  comaofdò  ch« 
ne' futuri  tempi  tale  dovesse  nominarsi,  come  si  leggt 
nella  sua  Bolla,  rapportata  dal  Chioccarelli  {b). 

Innalzata  a  tale  stato  là  Chiesa  d'  Altamura  ed  il 
suo  Arciprete,  quindi  è  che  oggi  i  nostri  Principi  van- 
tino questa  singolare  e  grande  prerogativa  di  crear 
essi  r Arciprete  senz'altro  provvisione   del   Papa,  il 

(a)  Chioc.  loc.  «it.  {b)  Chiaccar.  lo«.  cit. 


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4S6  STOMA  GITILE 

qaale,  •ottenute  le  lettere  regie  di  bosl  provvisione,  e- 
sercìta  giurisdizione,  nei  suo  territorio  sopra  i  Preti  e 
Cherìci  di  quella  Chiesa  e  suoi  sudditi,  e  gode  di  tutte 
le  ragioni  vescovili,  e  di  tutte  Y  altre. prerogative  di  so- 
pra  rapportate;  poiché  quantunque  i  nostri  Re  abbiano 
la  presentazione  di  molle  chiese  cattedrali,  nominando 
essi  molti  Vescovi  ed  Arcivescovi  ancora,  nulladimanco 
non  'la  sola  loro  presentazione  e  nomina  gli  fa  tali,  ma 
vi  bisogna  ancora  la  provvisione  del  Papa,  che  gli  or- 
dini e  confermi  nelle  loro  Sedi,  ciò  che  non  si  ri* 
chiede  nell'Arciprete  d'Altamura;  ond'è  avvenuto  che 
i  nostri  Re  non  abbiano  mai  permesso,  che  questa 
Chiesa  da  collegiata  passasse  in  cattedrale^  ed  il  suo 
Arciprete  da  tale  passasse  ad  esser  Vescovo. 

Ma  con  tutto  che  il  privilegio ,  di  Federico  II  con- 
jEermato  da  Innòcenzio  IV,  la  provvisione  del  Re  Car- 
lo II,  e  la.  Bolla  d' Innòcenzio  Vili  avessero. favorito 
tanto  questa.  Chiesa,  non  furono  però  bastanti  d'  evi- 
tar le  contese»  che  dal  ViCacovo  di  Gravina,  favorito 
da  Roma,  si  poaero  negli  ultimi* tempi,  intorno  Tan- 
no i6o5,  di  nuòvo  in  campo;  poiché  pretese*  visitare 
r  Arciprete  e  la  sua  Chiesa,  e  n'avea  già  ottenute 
provvisioni  da  Romaj  ma  essendosegli  impedito  di  po- 
tersene valere,  fece  egli  pubblicare  per  isoomunacati 
il  Capitolo  ed  il  Reggimento  di  Altamura,  ed  affisse 
cedolani  d' interdetto  a  tutta  la  città,  che  si  compo-> 
seva  non  meno  di  t8  mila  anime:  e  furono  con  tanto 
ardore  sostenute  queste  contese  dal  Vescovo  col  fa- 
vore di  Roma,  che  per  gran  tempo  furono  impiegati! 
più  gravi  personaggi  e  più  cospicui  Ministri  dd  Re 
per  sedarle,  le  quali  dopo  il  ^orso  di  21  a  anni  fiirona 
finalmente  composto  con  dichiararsi   che  nella  visita^ 


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DEL  REGNO  DI  NAPOLI  L.  XXI.  GAP.  V.  45; 
ehe  6*  era  concordato  con  S.  M.  che  potesae  fare  il 
Vescovo,  come  Delegato  della  Sede  Appoatolica,  po- 
tesse -solamente  provvedere  e  correggere,  e  non  ga- 
stigare  o.  punire;  e  che  non  si  perinetu  al  Clero  d' Al^ 
tMiura  d'  avere  un  Giudice  d' appellazione  in  partibus 
per  li  depreti  «  sentenze  che  s'  interpongono  dall'  Ai'- 
cìprete,  ma,  come  era  stato  aolito^  dovesse  appellarsi 
alia  Corte  del  Cappellano.  Maggiore.  Ebbe  gran  parte 
in  quest'  affare  il  Consigliere  Giovanni  Battista  Mi- 
gliore mandato  con  tal  incombenea  in  Roma  dal  Gar« 
dinal  Zapntta  allora  Viceré,  per  la  vigilanza  del  quala 
dopo  essere  stata  interdetta  la  città  i8  anni,  e  scom- 
municati  il  Capitolò  e  Reggimento  della  medesima,  si 
pose  a  tal  negozio  fine,  riputato  di  grandissima  impor- 
tanza. Gli  atti  di  questa  controversia,  e  molte  con- 
sulte ed  allegazioni  fatte  per  la  medesima,  insieme  col 
Brere  di  Papa  Gregorio  XV,  col  quale  si  conferma 
la  transazione,  ed  accorda  seguito  sopra  queste  diffe- 
renze, si  leggono  presso  Chioccarello  nel  tomo  6  dei 
suoi  MS,  giurisdizionali. 

Tengono  i  nostri  Principi  del  Regno  molte  altre 
chiese  e  cappelle  di  regia  collazione,  e  Carlo  II  neU 
r  aimo  i3oa  ordinò,  che  di  loro  se  né  formasse  un 
distinto  e  compito  inventario;  dal  cui  esempio  gli  altri 
Re  suoi  successori,  e  particolarmente  negli  ultimi  tempi 
il  Re  Filippo  li,  si  mos3ero  per  conservarne  memo- 
ria, di  ordinarne  altri  più  esatti.  Per  aver  essi  dai 
fondamenti  erette  moke  Chiese  ed  altre  dotate  d'  am- 
pissime rendite,  furono  meritevoli  di  tal  prerogativa; 
e  siccome  il  fondamento,  dove  8*appQggIa  il  diritto,  di 
cui  godono  i  Serenissimi  Re  di  Spagna  di  presentar 
i  Vescovi  alU  chiese  cattedrali,  non  è  altro,  come  dÌQ^ 


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458  STORIA  CIVILE 

il  Yescoyo  CoTarruvias  (à),  se  non  perch*  esai  le  fod-* 
darono  e  dotarono;  così  i  nostri  Re,  perchè^  siccome 
si  è  potuto  notare,  da'  precedenti  libri  di  quest*  istoria^ 
e  da  quel  che  si  dirà  ne' seguenti,  moltissime  Chiese 
ancor  essi  a  loro  spese  fondatono,  e  di  grandi  entrate 
dotarono;  quindi,  o  per  concessione  de'  Sommi  Pon- 
iefìci,  o  per  consuetudine  e  presorlzione  immemora* 
bile  (b\  ottennero  che  le.  medesime  fossero  di  loro  eoU 
lazione,  senza  che  nel  provvederle  avesser  bisogno  del 
ministero  dej  Vescovo  o  del  Papa  istesso  (e).  Ciò  che 
non  dee  recar  maraviglia,  particolarmente  neUe  per-^ 
sone  de' Re,  i  quali  non  sono  riputati  puramente  Lai** 
ci;  poich' essendosi  da  molti  secoli  introdotta  tra'  Prin- 
cipi cristiani  quella  spiritual  cerimonia,  che  mentre  si 
incoronano  per  mano  de' Vescovi,  sogliono  anche  un- 
gersi col  sacro  olio^  s'  è  riputato  perciò  che  questa 
sacra  unzione  rendesse  le  lor  persone  sacrate^  e  capaci 
di  tali  e  simili  prerogative  e  dignità,  (d). 

Quindi  è  nato,  che  nel  Regno  i  nostri  Prìncipi, 
oltre  la  presentazione  che  tengono  in  moltissime  chiese 
di  patronato  regio,  eziandio  in  alcune  chiese  cattedrali, 
delle  quali  si  parlerà  a  piii  opportuno  luogo,  tengono 
la  collazione  di  molte  chie^se  e  cappelle  rc^ie  fondate 
da  essi  e  dotate  di  loro  rendite^  siccome  in  Napoli  la 

(a)  Covar,  in  reg.  possessor.  par.  2  J  io  n.  5.  Guen-ero 
tract.  de  reformat. .  Eccl.  cap.  14.  {b)  V.  Jo.  Andr.  in  oap.  1 
de  praeben,  in  6«  Àbbat.  in  cap.  quanto  in. primo  notab.  de 
consuet.  et  in  e.  cum  Apost.  in  fin^deiis,  quae  fiunt  a  Prae- 
lato,  (e)  V.  Marin.  de  Caramanìco  in  prooem.  Constit.  Beg. 
col.  4  nutn.  So*  et  60.  Andr.  de  Isernia  in  prooem.  Const. 
Regn.  nu.  4o.  AfUict.  ad  Consé.  Bega,  in  praelud.  qu.  aS 
num.  a.  (^  Aless.  PaXrìt.  in  Marte  Gallico  lib.  i  cap.  8.  Ut 
persona  uncta  sit  sacratior,  ^it  venerabilior   Christianis  etc* 


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DEL  REGNO  DI  NAPOLI  L.  XXI.  CAP.V,  459 
o&iesa  di  6.  Niccolò  dA  porto,  ovvero  del  Molo,  di 
S.  Chiara,  di  S.  Agnello,  di  S.  Ahgclo  a  Segno,  di 
S.  Silvestro,  e  de'  SS.  Cosmi  e  Damiano,  di  S.  Se-. 
verino  piccolo  e  moltiBsime  altre.  E  nel  Regno  in  tutte 
le  sue  pTowiee,  come  in  Lecce  la  cappella  della  Tri- 
tiità,  ia  capjpélU  di  S.'  Angelo  positi  nel  castello  della 
medesiioa  città  ed  aUre:  in  Aproazo  la  Badia  di  S.  Ma- 
ria delia  Vittoria:  nella  Diocesi  di  Sarno  la  Badia  di 
S.  Maria  di  Real  Valle:  in  Salerno  la  cappella  di 
S.  Pietro  in  Corte,  di  $;:  Cattarina  ed  altre:  in  Bari 
la  badia  di  S.  Lionaido:  in  Barletta  la  chiesa  di  S.  Sii-, 
veatro:  nella  dijocesir  di  .Sdraila  chiesa  di  S.  Reatituta 
di  Morea:  in  Montefnscoli  la  chiesa  di  S.  OìoTanni: 
nella  Diocesi  di  Nardo  la  chiesa  di  S.  Niccolò  di  Per- 
golito:  in  Catanzaro  le  cappelle  di  S.  Maria  e  di  S.. Gio- 
vanni Battista,  e  tante  altre  che  possono  vedersi  presso 
il  Maszella  (a),  e  negli  inventarii  fatti  d'  ordine  di 
Carlo  II  e  di  Filippo  II,  rapportati  dal  Chioocarellir. 
jiel  sesto  volarne  de'  suoi  MS.  giurisdizionali* 

CAPITOLO    VL 

Della  Casa  del  Rt:  suo  splendore  e  magnificenza:; 
e  de'  suoi  Vffizialh 

'    ll|on  fa  veduta  in  alcun  t^mpo  la  ?  casa  regale  di 
Napoli  in  tanta  magnificenza  e  splendore^  quanto  .nel 
Regno  dissesto  Principerò  sirìgaàrdi  il  lustro  della  na-* 
morosa  sua  regàl  famiglia,  e  ia  grandezza  de'auoi  Ba-. 
roni,  ovvero  il  nomerò  e  splendoi:e  degli  Ufficiati  della 

(a)  ÌHuizMsL  dticrìz.  d«l  fteg.  di  ]S»p^  foL  a80. 


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46q    .  STORIA  CIVIlìB 

Corte:  dò  che  ionaltsò  ooUnto.noo  puf  la  città  A- 
Napoli,  ma  tutto  il  Regnò,  .e  lo  rese  famoao  aopra 
tutti  gli  Slati  di  Europa. 

Vide  il  suo  primogenito  Carlo  Mariella  Re  d^UD- 
glierla  e  costui  morto,  Caroberio  di  lui  figliuolo  e  suo 
mpote,  sicuro  Re  di  quel  Regno,  arando  debellato  gli 
avversarii  suoi.  Totti  gii  akri  suoi  figliuoli  vide  in- 
nalzati alle  supreme  grandezze;,  perdio  Lodovico  se« 
condogekiito,  quantunque  nella  sua  giovanezza  fossesi 
fatto  Frate  thinbv  Gonventòale  a  S.  Lorenzo  di  Na«' 
poli,  fu  poi  creato  Vescovo  di  Tolosa,  e  da  poi  perla 
santità  della  sua  vita  fo' da- Papa  Giovanni  XXIi  po- 
sto net  catalogo  de'  Santi  Confessori.  Roberto  soo'ter- 
zogenito  che  gli  succede  nel  Regno,  fu  Duca  di  Cà-^ 
labrloy  Vicario  del  R^no  ed  ebbe  II  sapremo  comando 
delie  sue  armate.  Si  r^utò  quindi  a'  più  prossimi  alla 
successione  del  Regno  oonrrenirsi  meglio  il  titolo  di 
Buca  di  Calabria  che  di  Principe  di  Salernui  poiché 
Carlo  II  tenendo  molti  figliucdi,  ed  avendone  deccnrati 
alcuni  col  titolo  di  Principe^  come  Filippo  che  fu  fatto 
Prìncipe  di  Taranto,  Tristano  Principe  di  Salerno  e 
Giovaùoi  Principe  d'Acaja,  si  stimò  che  fosse  più 
proprio  e  decoroso,  a  chi  dovea  succedere  nel  Regno, 
darsi  il  titolo  di  Duca  di  Calabria:  titolo  antico  preso 
da'  primi  Normanni  e  che  non  una  città,  ma  due  am- 
pie  province  abbracciava.  Quandi  s'  introdusse  che  ai 
primogeniti  de'nostri  Re,  abe  debbon  succedere  al  Re- 
gno, tal  titolo  ai  dasse;  e  siccome  ia  Francial  al  pri- 
mogenito ai  dà  il  titolo. di  Delfino,  in  Ispagna  ài  Prin- 
cipe d' Asturia,  così  netta  casa  regaie  di  Napoli,  colui 
oiie  teneva  il  primo  grado  nella  sucoessiooe,  era  chia- 
malo Duca  di  Calabria;  ond'è  che  Roberto  così  fa- 
cesse nomare  il  «uo  primogenito  Carlo  che.  gU  dovea 


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DEL  REGNO  DI  NiLPOLI  L.XXl.  CAP.VI.  46i 
tiieeedere  oel  Regno  :  e  così  praticarono  tutti  gli  altri 
Ile  afdgoiiesi;  ed  unito  poi  questo  Regno  aU«  Corona 
di  Scagna,  quindi  avvenne  che  i  primogeniti /le' Re  di 
Spagna  si  dicessero  non  meno  Principi  d^  A^turia  che 
Duchi  di  Calabria. 

Filippo  quartogenito  fa  Principe  di  Taranto .  e  di 
Aca}a,  Dispoto  di  Romania,  Grand' Aosmiraglio  del 
Regno,  e  per  ragion  di  sua  moglie,  ebbe  il  titolo  d  Im- 
peradore  di  Costantinopoli;  ed  ancorché  non  .posse- 
desse queir  Imperio,  venne  in  tanta  bizjiaria,  che  imi* 
tando  rimperador  Federico  Barbarossa,  gran  facitor 
di  Duchi  e  di  Re,  volle  nella  Romania  e  nell'Asia 
Minore  crearvi  un  Re  ed  un  Dispoto.  Il  Tutini  (a) 
neir  Archivio  de'  PP  di  S.  Domenico  Maggiore  di  Na- 
poli ha  rinvenuto  T  originai  diploma ,  da  lui  inserito 
nel  libro-  degli  Ammiragli  del  Regno,  dove  Filippo^  ^ 
Gatterioa  coniugi,  che  s'intitolano  Imperadori  di  Co- 
stantinopoli^ creano,  e  fanno  Martino  Zaccaria  di  Ga- 
^ro  Signore  di  Chic,  Re  e  Pjlspoto  di  Romania,  e 
dell'Asia  Minore,  detta  Anatolia,  concedendogli  inve- 
atitura  per  se,-  suoi  eredi  e  successori,  con  tutti  li 
Contadi  e  Baronie: e  città  di  essa,  con  l'isole  adia- 
centi, cioè.Fenolia,  Marmerà,  Tornerò,  Mitileno,  Ghio, 
Siamo,  Mitanea,  Lango,  ed  altre  isole:  di.più.  gli  con- 
cede tutte  le  prefff^ative  regie  e  Dispotali,  cioè  di 
bere  in  taz^e  d'oro,  di  portar  la  Corona,  lo  Scettro 
è  le  scarpe  rosse  fuori  e  dentro  del  palaazo  di. Costan- 
tinopoli, come  sono  le  parole  del  diploma:  infra  vero 
Palatium  ipsum,  caligas  Despoiales  ci  alia  insigni^ 
Megalia^  et  despotalia  de/erre^  oc  portare  pefssit^  ei 
valeat^  seeunium  Begalem^  et  despotidem  umtn  0'S<^' 

{ai)  Tulin.  (IfjgU  Ammir.  p.   |o3,  ArcUiv.  cas.'$jg.  Ifr  n.  4- 


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462     '  STORIA  CIVILE  i 

suetudinem  Constantinopolitani  lmperii\  poidhè  secon- 
do la  Gerarchia  dell*  imperiai  Gasa  di  Gostaotinopoli 
rapportata  da  Leundario  (a),  il  primo  Ufficiale  dei 
palazzo  deir  Imperadore  di  Costantinopoli,  era  il  Di- 
spota.  Yuol  che  il  Regno  lo  riconosca  in  feudo  da 
Ini,  e  perciò  si  fece  dare  il  ligio  omaggio  ed  il  giu- 
ramento di  fedeltà  da  Frate  Jureforte  Costantinopoli* 
tano  dell'Ordine  de* Predicatori ,  Proccuratore  e  spe- 
ziai Nunzio  del  Re  Martino  destinato  a  quest'  atto.  Il 
diploma  fu  spedito  in  Napoli  per  mdno  di  Roberto 
Ponciaco  Giureconsulto,  Consigliere  e  familiare  del- 
r Imperadore,  e  porta  questa  data:  Datum  Bìeàpoli  per 
niamis  D.  Roberti  de  Ponciaco  ./.  C  prcfessoris,  di'  . 
lecti  ConsUiarii  et  familiarii  nostri,  d^  D.  i3o5  die 
q/i  maii  8  Indict.  Mori  poi  Filippo  nell'anno  i333 
in  Napoli,  e  fu  sepolto  nella  chiesa  di  S.  Domenico 
de' Prati  Predicatori  di  Napoli /ove  inaino  oggi  si  vede 
il  suo  tumulo. 

Raimondo  Berltngiefo  Suo  quintogenito,  per  la  sua 
gran  giustizia  e  prudenza  fu  fatto  da  lui  Reggente  della 
Vicaria,  e  fu  Conte  d'  Andria  e  Signore  deU^  Onore 
di  Monte  S.  Angelo  ;  il  qual  poi  mòri  con  gran  fama 
di  bontà.  Giovanni  sestogenito  mori  Cherico  neir  ado- 
lescenza. Tristano  setlimogenito,  cosi  chiamato,  perchè 
nacque  nella  tristezza  quando  il  padre  era  prigione  i* 
Ispagna,  fu  Principe  di  Salerno.  Giovanni  ottatoge* 
nito,  fu  Principe  d'Acaja  e  Duca  di  Durazzo  nella 
Oreeià:  Durazzo  è  città  posta  nel  Pelopooeso,  oggi 
idelto  Morea,  della  quale  abbiamo  una  minuta  deaeri- 
siode  in  Tucidide:  ella  fu  città  metropoli,  ed  il  suo 
Metropolitano  era  sottoposto  al  Patriarca  di   Coataa- 

.  (a)  Leunclay.  toia.  i  lib»  a.  Jur;  Graeeo-Rom; 


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DEL  REGNO  DI  NAPOLJ  L.XXI.  GAP. VI.  462 

tinopoli:  avea  Trono  e  Molti  Véscovi  suffraganei  rap- 
portati da  Leunclavio  (a):  fu  poi  Conte  di  Gravina 
per  successione  dell'ultimo  fratello;  Pietro  V ultimo- 
genito, fu  Conte  di  Gravina  e  non  già  inferiore  agli 
altri  nella  virtù  e  valor  militare. 

Non  meno  illustre  che  numerosa  fu  la  sua  femmi- 
nile progenie  sposata  à' Principi  più  Sovrani  d'Euro- 
pa. Clcmenzia  fu  moglie  di  Carlo  Conte  di  Valoìa 
fratello  del  Re  di  Francia.  JBitinca  fu  moglie  di  Già-' 
corno  Re  d'Aragona.  Lionora  fu  mogHe  di  Federico 
Re  di  Sicilia.  Maria  fu  moglie  di  Giacomo  Re  di 
Majorica.  Beatrice  V  ultimagenita  fu  moglie  d' Axzo 
d'  Este  Marchese  di  Ferrara  e  poi  di  Beltramo  del 
Balzo  Conte  di  Montescaggtoso  e  d'Andria,  ed  ulti- 
mamente di  Roberto  Delfino  di  Vienna.  Adornavano 
ancora  la  sua  regal  Casa  tanti  grandi  ed  ìllustci  Ba- 
roni:-gli  Orsini  Conti  di  Nola:  li  Gaetani  Conti  £ 
Fondi  e  di  Caserta:  li  Balzi  Conti  d'Avellino  e  d' An- 
dria:  i  Chiaramonti  Conti  di  Chiaramonte:  i  Conti  di 
Lecce,  di  Chieti  e  tanti  altri  rinomati  Baroni. 

Da  questo  numero  di  così  illustri  figliuoli  ebbe  Re 
-Carlo  non  pur  F  allegrezza  che  può  av^r  un  padre 
de' figli  buoni  ed  eccellenti,  ma  una  benevolenza  in- 
finita del  popolo  di  Napoli.  Il  fasto,  che  portavano 
alla  Casa  regale  e  la  splendidezza  di  tante  Corti,  con 
pur  illustravano  la  ciuà,  ma  erano  di  grande  utilità 
a'^suoi  cittadini;  poiché  non  solo  gli  Artisti  ne  ripor- 
tavano grandissiìni  guadagni  dalle  pompe  loro,  ma  gli 
altri  popolani  onorati,  che  comparivano  alle  Corti  lo- 
ro, erano  poi  esaltati  a  più 'alti  e  ragguardevoli  uffici 
della  Ca»a  regale^  i  quali   erano   in  quanti  tempi  ia 

(a)  Leundàv.  Jur.  Gr»  Rem.  2  iib.  3. 


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464  STORIA  CIVILE 

tanto  numero  e  così  varii   in  fra  loro,   che  meritano 

onde  qui  6e  ne  faceti^  particolar  memoria. 

g  I.  Degli  Vfficiàli  iella  Casa  del  Jte, 

Gli  Ufficiali  delia  Casa  del  Re  non  bisogna  con- 
fondergli con  gli  Ufficiali  delia  Corona^  de' quali  si 
parlò  nel  libro  XI  di  quest'Istoria.  Quelli  della  Co- 
rona, non  erano^  mutabili  per  ogni  mutazione  di  Re, 
come  questi,  e  la  loro  carica  non  era  limitata  in  al- 
cun luogo  o  provìncia,  ma  si  distendeva  general- 
mente per  tutto  il  Reamcy  e  propriamente  servivaniO  lo 
Stato,  non  già  la  persona  del  Re:  questi  air  incontro 
servivano  la  Casa  del  Re,  perchè  assistevano  giornal- 
mente alla  regal  persona  e  peroiò  quelli,  de'  quali 
trattiamo,  sono  senza  dubbio  li  più  veri  Ufficiali  del 
Re,  perchè  dirittamente  servono  ed  assistono  la  sua 
rogai  persona. 

Risogna  ancora  distinguergli  dagli  altri,  che  pure 
sono  Ufficiali  del  Re,  cioè  da  quelli,  che  hanno  uf- 
ficii  pubblici  conferiti  dal  Re,  come  Giudici,  ed  altri 
Magistrati,  perocché  questi  non  sono  Ufficiali  della 
Casa  del  Re,  né  suoi  domestici:  ond'  è,  che  nel  drit« 
to  (a)  i  domestici  dell'  Imperadore  erano  chiamati  Pa- 
latini, 

Prima  tutti  gli  Ufficiali  della  Gasa  del  Re  aveano 
subordinazione  a^gli  Ufficiali  della  Corona;  e  ciascuno, 
secondo  la  sua  carica,  era  subordinato  à  colui,  oh*er» 
tieir  istesso  rango  di  dignità.  Per  ciò  gli  Ufficiali  della 
Corona  aveano  sotto  di  loro  un  sostituito,  il  quale 
contipuamente  assistesse  nella  Gasa  del  Re  e  contan* 

{a)  Tit.  de  PalaiLUÌs^  et  tit  de  Castrensi  Palatin.  pecul 


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DEL  REGNO  DI  NAPOLI  L. XXI.  CA.P.VL  465 

dasse  a  minori  Ufficiali,  siccome  nell* antico  Imperio 
vi  era  sotto  ciascun  grande  Ufficiale  un  altro  cbia^ 
mato  Primicerius  Ofjficii^  il  qoale  avea  la  dignità  di 
Spettabile ,  allora  che  ì  Grandi  Ufficiali  aveaao  quella 
d'  Illustri, 

Cosi  ancora  ìq  Francia,  ed  al  di  lei  esempio,  in 
Sicilia,  i  primi  Capi  si  qualificavano  Ufficiali  della 
Corona  e  gli  altri  solamente  sono  qualificati  per  grandi 
Ufficiali  o  Capi  d'ufficio  della  Casa  del  Re.  Ma  gli 
uni  e  gli  altri  anticamente  neir  Imperio  e  nel  Reame 
di  Francia  erano  chiamati  Comites^  cioè  compagni  del 
Principe  o  più  tosto  suoi  cortigiani,  essendo  chiamata 
in  latino  la  Corte  del  Prìncipe  Comitatus  (a).  Ma  poi- 
ché nette  province  e  nelle  città  vi  erano  anche  dei 
Conti,  così  chiamati,  perch'erano  scelti  tra  i  princi- 
pali cortigiani:  per  distinguer  questi  da  quelli,  ch'e- 
rano impiegati  alle  principali  cariche  della  Corte,  fa- 
ron  perciò  i  primi  appellati  Comites  Palatini,  Quindi 
è,  che  per  ispecificare  la  qualità  loro,  si  aggiunse  al 
titolo  di  Comes  il  nome  della  loro  carica,  come  Co- 
mes Palata y  Comes  Stabuli^  Comes  Sacrarum  largitio- 
num\  end  è,  che  in  Francia  questi  Ufficiali  si  dissero 
il  Conte  del  Palazzo^  il  Conte  della  Stalla^  per  signi- 
ficare i  cortigiani,  che  aveano  carica  del  Palazzo  e 
della  Stalla,  ovvero  Cavallerizza  del  Re,  di  sorte  che 
Comes  significava  un  Capo  d'Ufficio^  o  principale  Uf- 
ficiale di  compagnia,  ed  in  fatti  Comes  Palatii  è  chia- 
mato dal  dritto,  ed  in  Cassiodoro  Magister  Palatii, 
Quindi  in  Frància  fu  detto  il  Maestro  della  Casa  del 
Re;  e  predso  noi^  gli  altri  Ufficiali  della  Corona,  fa- 

(a)  L.  43  de  testament.  milit  1.  la  §  ignominiosa,  de  ró 
militari,  1.  de  his,  quì  per  niet.  eie. 

3o 


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46«  STORIA  CIVILE 

rono  prima  detti  Maestri^  come  Maestri  Giustizieri, 
M.  Siniscalchi  e  poi  Grandi  Giustizieri,  Gran  Sini- 
scalchi, Grandi  Ammiragli,  ec.  Ed  il  titolo  di  Maestro 
restò  solo  agli  Ufficiali  minori,  come  a  Maestri  Ostiarii: 
M.  Panettieri:  M.  Razionali  ec. 

Or  anticamente  i  grandi  Ufficiali  della  Casa  del 
Re  erano  sotto  alcuni  degli  Ufficiali  della  Corona; 
ma  da  poi  molti  si  sono  esentati  d  ubbidire  ad  altri, 
che  al  Re;  ma  non  fu  però  che  moltissimi  non  rico- 
noscessero presso  noi  per  lor  Capo  il  G.  Siniscalco; 
cìk  è  il  medesimo,  che  in  Francia  si  chiama  il  G.  Mae- 
stro della  Casa  del  Re,  ed  oggi  di  Francia,  come  ve- 
dremo dal  novero  di  questi  Ufficiali. 

Era  il  G.  Siniscalco,  come  si  disse  nelV  XI  libra 
di  quest'  Istoria,  il  G.  Maestro  della  Casa  del  Re;  ed 
intanto  egli  fu  npverato  tra  gli  Ufficiali  della  Corona, 
perchè  quantunque  la  sua  carica  riguardasse  il  go- 
Tcrno  della  Casa  del  Re,  siccome  la  carica  del  G.  Con- 
testabile il  governò  della  Guerra,  quella  del  G.  Giu- 
stizlero,  della  Giustizia,  e  T altra  del  G.  Camerario, 
delle  Finanze;  nulladimanco  la  sua  autorità  non  era 
limitata  da  alcun  luogo,  o  provincia,  ma  si  distendeva 
per  questo  fine  in  tutto  il  Reame,  né  era  mutabile 
per  ogni  mutazione  di  Re,  e  si  diceva  perciò  servire 
allo  Stato  ed  ai  pubblico,  e  non  già  solamente  alla 
persona  del  Re. 

Egli  era  chiamato  nelF  antico  Imperio  Magister  Of* 
ficiorurriy  e  per  ciò  teneva  sotto  di  se  più  Ufficiali 
tanto  grandi,  quanto  piccioli  nella  Casa  del  Re.  I 
grandi  finalmente  furono  esentati  d'  ubbidire  ad  altri, 
che  al  Re;  onde  sursero  per  ciò  altri  Ufficiali,  i  quali 
non  possono  dirsi  della  Corona,  ma  sì  bene  Grandi 
Ufficiali,  come  diremo. 


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DEL  REGNO  DI  NAPOLI  L.XXL  GAP. VI.  46; 

Di  questi  Ufficiali  della  Gasa  reale  di  Napoli,  Ca- 
millo Tutini  (a)  ne  fece  solo  un  Gàtalogo  di  nomi,  e 
ne  promise  un  Trattato;  ma  non  ai  è  veduto  poi  alla 
luce;  gli  raccolse  da*  Capitoli  del  Regno,  e  dall'Ar- 
chivio della  Zecca,  eh*  è  qpello  che  contiene  i  fatti, 
e  le  gesta  di  questi  Re  angioini,  nel  Regno  de*  quali, 
e  particolarmente  in  quello  di  Carlo  li,  se  ne  videro 
in  maggior  numero,  perchè  la  sua  Gasa  regale  di  Na- 
poli ne  fu  abbondantissima.  E  poiché  questo  Principe, 
come  Franzese,  tutto  faceva  ad  imitazione  del  Regno 
di  Francia,  molte  cose  v'  introdusse  a  similitudine  di 
quello,  ciò  che  non  solo  nella  sua  Gasa  regale  volle 
imitare,  ma  anche,  come  si  vide,  nelle  chiese,  eh'  ei 
fondava,  o  arricchiva  di  sue  rendite. 

Del  Tutini  non  sappiamo  ciò,  che  uom  se  n*  avreb- 
be potuto  promettere;  poiché  in  quel  Catalogo  non 
distingue  gli  Ufficiali  della  Corona,  e  quelli  minori 
a  coloro  subordinati,  dagli  Ufficiali  della  Gasa  del  Re 
e  suoi  subalterni.  Noi  avendo  riscontrati  questi  Uffi- 
ciali della  Casa  di  Napoli  essere  in  tutto  simiglianti 
a  quelli  della  Gasa  di  Francia,  non  ci  apparteremo 
dair  ordine  tenuto  da  coloro,  che  trattarono  degfli  Uf- 
fici di  quella  Augustissima  Casa. 

De^  Grandi  Ufficiali. 

Gli  Ufficiali  adunque  della  Gasa  del  Re  erano  di- 
visi in  grandi  Ufficiali,  e  minori  Ufficiali.  I  Grandi 
Ufficiali,  che  furono  sotto  il  G.  Siniscalco  erano:  il 
primo  Minestro  delV  Ostello ,  ovvero  del  Palazzo,  che 
il  Tutini  chiama  Maestro  dell*  Ospizio  Regio,  ed  al- 

(a)  Tutin.  iu  princ.  degli  Uific.  del  Regno, 


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468  STORIA  CIVILE 

tri  Siniscalco  dell'  Ospizio  Regale.  Il  primo  Panettiere^ 
chiamato  dal  medeBimo,  Maestro  Panettiere  Regio,  del 
cui  ufficio  abbiamo  ne'  Registri  (a)  dei  Re  Roberto, 
che  ne  fòsse  stato  onorato  da  quel  Re,  Giacomo  Ul- 
cano,  che  fu  Maestro  Panettiere  Regio.  11  primo  Cop- 
piere; ed  il  primo   Trinciante^  ovvero  Scalco  del   Re. 

Sotto  il  G.  Ciambellano.^  ovvero  Cameriere  Mag- 
giore del  Re,  erano:  il  primo  Gentiluomo  di  Camera, 
che  presso  il  Tutini  si  chiama  Maggiordomo  della 
Casa  reale:  il  Maestro  della  GuaF4laroba,  che  Tutini 
chiama  Regio:  il  Maestro  delle  Cerimonie:  il  Capi- 
tano della  Porta,  detto  dal  Tutini  Maestro  Ostiario: 
il  Conduttore  degli  Ambasciadori  ed  il  Cameriere  or- 
dinario. Questi  Ufficiali  in  Francia  non  ubbidiscono, 
che  al  Re,  tra  le  mani  del  quale  fanno  il  giuramento, 
e  deferiscono  solamente  per  onore  al  G.  Ciambellano. 

Alcuni,  come  rapporta  Carlo  Loyseau  (&),  sotto  il 
G.  Ciambellano  mettono  ancora  il  Primo  Medico  della 
Gasa  del  Re,  ed  il  Maestro  della  Libreria  del  Re;  al- 
tri niegano  a  costoro  il  grado  di  G.  Ufficiali,  sol 
perchè  sono,  come  i  Franzesi  dicono,-  de  longue  robe; 
ma  vanno  quest*  ultimi  di  gran  lunga  errati;  poiché 
i  Medici  del  palazzo  dell'  Imperadore  neir  antico  Im- 
perio erano  del  Comitato  di  essi,  non  altrimenti  che 
tutti  gli  altri  suoi  Ufficiali  e  Conti  Palatini.  In  Co- 
stantinopoli, da  poi  che  per  venti  anni  aveano  in  quel- 
la Accademia  con  pubblici  stipendii  insegnato ,  erano 
ammessi  in  Palazzo  e  resi  Conti»  ed  ascritti  nella 
Comitiva  del  primo  Ordine,  non  perchè  insegnassero, 
ma  perchè  come  Medici  dell' imperiai  Palazzo,  si  di- 

(a)  Registr.  ann.  15^5  fol.  iig  rapportato  dal  Summon. 
istor.  tom.  a  pag.  41o,  {b)  Loys.  des  OfKc. 


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DEL  REGNO  DI  NAPOLI  L.XXI.  GAP. VI  469 

cevano  ancor  essi  intra  Palatium  militare^  come  ven- 
gon  qualificati  dagV  Imperadori  Onorio  e  Teodosio  (a). 
Questi  però  eran  chiamati  medici  del  sacro,  ovvero 
imperiai  Palazzo,  non  già  dell' Iroperadore.  Fu^da-poi 
accresciata  la  lor  dignità,  quando  il  Principe  fra  essi 
trascelse  uno  per  cura  della  sua  persona,  il  qual  chia- 
mavasi  il  primo  Medico  del  Principe  e  Giudice  e  pri- 
mo di  tutti  gli  altri  Medici*,  e  ciò  fu  introdotto  noli 
già  da  alcuno  degV  Imperadori,  ma  dal  nostro  Teo« 
dorico  ostrogoto  Re  d'  Italia,  come  si  legge  presso 
Cassiòdoro  (6),  il  quale  così  introduce  a  parlare  que- 
sto Principe:  Huic  peritiae  deesse  Judicenty  nonne  hu^ 
manarum  rerum  prohatur  ohlivioì  Et  cum  lascivae  fo- 
luptates  recipiunt  Trihunum,  hoc  non  meretur  hahere 
primarium?  Uaheant  itaque  Praesulem^  quihus  nostrum 
commiitimus  sospitatem.  Sciant  se  huic  reddere  ratio- 
nem,  qui  curandam  suscipiunt  humanam  salutem. 

Questo  medesimo  istituto  si  vide  praticato  nella  Per- 
sia, dove  il  primo  Medico  di  quel  Re  era  insieme 
Capo  e  Giudice  degli  altri  Medici,  senza  T  approva- 
zione del  quale  ninno  in  Regno  poteva  esercitar  me- 
dicina^ e  da' Persiani  era  chiamato  Hakim  Pasci  (e), 
siccome  per  la  testimonianza  d' Alpino,  nella  città  dei 
Cairo,  il  primo  Medico,  che  tiene  la  medesima  pote- 
stà, vien  anche  chiamato  Hakim  Fasci,  Pressò  gli  Arabi 

(a)  Cod.  Theod.  1,  i  de  Comitib.  et  Archialris  Sacri  Pa-» 
latii ,  ivi:  Archiatros  intra  Palatium  militantes.  L.  i6.  C.  Th. 
de  Medicis ,  et  Professorib.  ivi  :  Universi ,  qui  in  Sacro  Pala- 
tio  inter  Archiatros  militarunt ,  et  Comitivam  primi  ordinis  , 
vel  secundi  adepti  sunt.  Et  I.  i8  eod.  tìt.  (b)  Cassiod.  6 
var.  19  in  Formula  Coniitis  Archialroinim.  V.  Gothofr,  in 
1.  I.  C.  Th.  de  Comitibus,  et  Archiatris.  (e)  Gabriel  Chinoii 
in  notitia  Orientfs. 


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470  STORIA  CIVILE 

Hakim  è  T  istesso,  ehe  presso  noi  Sapiente^  ovrero 
Dottore:  quindi  gli  Spagnuoli  per  eccellenza  chiamano 
il  Medico  Dottore:  siccome  i  Franzesi,  la  Levatrice, 
che  la  noverano  tra' Medici,  chiamano  Sage-femme. 

Presso  di  noi  primo  Medico  fu  chiamato  Protomc" 
dico^  e  nel  Regno  degli  Angioini  e  degli  Aragonesi 
spesso  s*  incontra  di  lui  memoria;  e  nel  famoso  in- 
dulto della  Regina  Giovanna  I,  rapportato  dal  Sum- 
monte  (a),  abbiamo^  che  in  quel  tempo  era  Protome- 
dico Carlo  Scondito,  siccome  nel  Regno  degli  Ara- 
gonesi furono  successivamente  Protomedici  Pannuccio 
Scannapeco,  Silvestro  Galeota  ed  altri,  de' quali  il 
Toppi  nella  sua  Biblioteca  fece  catalogo.  Teodorico 
gli  avea  conceduto  grande  autorità  e  prerogative:  che 
tutti  coloro,  che  esercita van  medicina,  dovessero  a  lui 
render  ragione,  e  conto  della  perizia  del  lor  mestiere: 
che  occorrendo  tra'  Medici  discordia  intorno  alla  cura 
degl'infermi,  egli  dovesse  determinarla  e  starsi  al  suo 
giudicio:  e  per  ultimo,  ch'egli  fosse  il  Medico  del 
Principe  (&). 

Eravi  anche  presso  di  noi  il  Protochirurgo ^  ma  da 
poi  fu  quest'  Ufficio  estinto,  ed  unito  al  Protomedico, 
il  quale  è  creato  dal  Re,  o  dal  suo  Luogotenente,  e 
deve  essere  Regnicolo,  ed  ha  la  conoscenza  non  meno 
sopra  i  Chirurgi,  che  sopra  le  Levatrici  annoverate  tra 
Medici,  e  sopra  gli  Speziali,  ch'egli  crea,  spedendo 
loro  il  privilegio,  e  visita  le  loro  botteghe;,  e  quella 
autorità,  che  Federico  II  diede  per  due  Costituzio- 
ni (e)  a'  suoi  Ufficiali  ed   a'  Medici   d'  invigilare,  che 


(a)  Summonte  toni.  2  pag.  459.  (b)  Cassiod.  loc.  cil.  Golii, 
in  C.  TL.  1.  I  de  Comìtìb.  et  Archiatris.  {c\  Constìtut.  de 
Medicis.  Constir.  de  Fidelium  numero  super  electuariis»  et 
syrupis  statuendi». 


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DEL  REGNO  DI  NAPOLI  L.XXI.  CAP.TL  4;! 

i  sciroppi,  e  gli  elettuari,  e  gli  altri  farmaci  fossero 
ben  composti,  la  .esercita  ora  egli^  tassando  il  prezzo 
di  quelli,  ed  è  Capo  perciò  del  Coll,egio  degli  Spe* 
zialì,  che  chiamano  degli  Otto.  Tiene  Tribunale,  ed 
insieme  col  suo  Assessore  conosce  contro  le  Levatrici ^ 
Speziali*  ed  altri  suoi  sudditi,  e  contro  coloro,  che 
medicano  senza  privilegio;  ed  è  sottoposto  al  Tribu'- 
naie  della  regia  Camera  della  Summaria,  ancorché 
da' suoi  decreti  s'appelli  al  Tribunale  del  S.  G.  (a). 

Sotto  il  G.  Scudiero^  Ufficiale  anche  nell'Imperio 
d'Oriente  conosciuto  col  nome  di  SouteriuSj  era  il 
primo  Scudiero»  che  Tntini  chiama  Maestro  della  Scu- 
deria Regia. 

Sotto  il  G.  Cacciatore^  fra' Greci  annoverato  pure 
tra  gli  Ufficiali  del  Palazzo  di  Costantinopoli,  e  chia- 
mato Primus  Venator^  che  noi  diciamo  oggi  il  Mon^ 
tiere  Maggiore^  sono  il  G.  Falconiere,  il  Maestro  del- 
l'i^e^zie  e  delle  Foreste^  di  cui  sovente  ne' nostri  Ca- 
pitoli del  R^gno  ,{b)  fassi  memoria,  e  li  quattro  Luo- 
gotenenti della  caccia. 

Non  bisogna  cercare  nell'antico  Imperio  questi  Uf- 
ficiali; poiché  i  Romani,  siccome  eb^bero  l'esercizio 
dell'agricoltura  e  pastorizia,  e  la  fatica  della  campagna 
in  pregio,  cosi  disprezzavano  la  caccia;  ond'  è  che  da 
Salustio  (e)  è  annoverata  la  caccia  tra'  mestieri  servili; 
e  Tiberio  notò  d'  infamia  un  Capitano  d' una  legione, 
perchè  avea  mandati  certi  pochi  soldati  a  caccia  (J). 
Le  cagioni  vengono  esaminate  dal  nostro  Scipione  Am- 

(a)  V-  Tasson.  de  Antefato,  vers.  5i  obs.  5.  Tribun*  XlX« 
{b)  Capii.  Regni,  sub  rubr.  de  Magistris,  et  Foresteriis,  et 
sub  OfHcialibus  eorum.  De  Forestis  autiquis,  et  novis.  {e) 
Salust.  in  prooetn  Catilin.  {d)  BueX,  io  Tiber.  cap,  19. 


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472  STORIA  CIVILE 

mirato  (a),  fra  le  quali  non  sono  di  leg^ier  momento 
quelle  di  aver  dovuto  per   prender  diletto  della  cac- 
cia, allontanarsi  le  giornate  da  Roma,  per  essere  que- 
sta città  a   molte  miglia   intomo   circondata  di  ville, 
orti  ed  altre  delizie,  e  perchè  i  Romani   aveano  tanti 
giuochi  e  spettacoli  pubblici  di  gladiatori  e  diversi  al- 
tri esercizi  militari  in  casa,  onde  non  bisognava  loro 
ricorrere   perciò   alia   caccia^.    A IV.  incontro  i  Principi 
stranieri  eh'  essi  chiamavano  barbari,  i   Re  de'  Macè- 
doni, i  Re  di  Persia,  i  Re  de'  Parti  e  tanti  altri,  sti- 
mavano gran  pregio    V  essere   valenti    cacciatori;  ma 
sopra  tutti  i  Principi  germani  e  settentrionali,  li  quali 
nella  decadenza  dell'  Imperio    soggiogarono  l'Europa^ 
ne  furono  vaghissimi  ;  onde  avvenne-  che  presso  i  no- 
stri Principi  sia  venuto  in  disprezzo  1'  esercizio  della 
agricoltura  e  pastorizia,,  ed    innalzato    eotanto    quello 
della  caccia.  Questi  Popoli,  come  saviamente  ponderò 
r  Abate  Fleury  (J),  vivevano  in  paesi  coperti  di  boschi, 
ne'  quali  non  aveano   né  biada,  né    vino,    né   buone 
frutta,  ond'  era  loro  necessario  di  vivere  di  cacciagione, 
siccome  fanno  ancora  i^elvaggi  de'  paesi  freddi   nel- 
r  America.  Dopo  aver  passato  il  Reno  ed  essersi  sta- 
biliti in  terre  migliori,  vollero  trar  profitto  dalle  co- 
modità   dell'  agricoltura,  dalle  arti    e  dal  commercio, 
ma  non  vollero  avervi  l' applicazione.  Lasciarono  que- 
ste occupazioni  a' Romani  da  loro  soggiogati,  ed  essi 
mantennero  i  loro  istituti,  e  quanto  avvilirono  F  agri- 
coltura, altrettanto  innalzarono  la  caccia,  della   quale 
gli  antichi  facevano  molto  minor  caso.  Eglino  ne  han 
fatto  una  grand'  arte^  e  V  hanno  portata  perfino  alPul- 

(a)  Ammir.  Discorsi  sopra   Corri.    Tacito,    lib,  2    disc.  i. 
(If)  Fleur.  de' Costumi  degli  Israeliti»  par.  a  cap.  2. 


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DEL  REGNO  DI  NAPOLI  L.XXI.CAP.VI.  478 
tiffle  sottiglieizei  tanto  che  la  caccia  fu  reputata  la 
più  ordinaria  occupazione  della  nobiltà. 

Fu  reputata  ancora  proprio  esercisio  della  profes- 
sion  delle  armi,  percliè  ayyezza  gli  uomini  a  levarsi 
per  tempo,  a  sostenere  i  freddi  ed  i  caldi,  a  lasciar  il 
cibo  ed  escxrcitarsi  ne'  viaggi  e  ne'  corsi,  ed  a  soffrire 
i  disagi,  talché  potendo  accadere  il  simile  in  guerra, 
non  parrà  così  strano  a  sostenerli  in  campo.  1  Prin^ 
cipi  stessi  eran  persuasi,  non  esser  per  loro  più  utile 
occupazione  che  V  esercitarsi  nelle  cacce,  così  per  as- 
suefare il  corpo  a'  disagi  ed  alle  fatiche,  come  per 
imparare  la  natura  de'  siti,  e  conoscere,  come  sorgono 
i  monti,  come  imboccano  le  valli,  come  gia<M)iono  i 
piani,  ed  intendere  la  natura  de'  fiumi  e  delle  paludi: 
ciocché  arreca  al  Principe  doppia  comodità,  sì  perchè 
con  quella  via  apparerà  il  sito  del  suo  paese,  onde 
può  vedere  che  difesa  gli  si  può  dare,  e  sì  perchè 
con  quello  esempio  può  venire  a  notizia  d'  altri  siti, 
avendo  tutti  i  paesi  una  certa  somiglianza  infra  di  loro; 
la  qual  cognizione,  e  per  condurre  gli  eserciti,  e  per 
trovare  gli  alloggiamenti,  e  per  pigliare  suoi  vantaggi, 
e  per  altri  rispetti  può  in  vari  tempi  apportare  molte 
e  diverse  comodità. 

Quanto  i  nostri  Principi  o  sian  goti,  o  longobardi 
e  normanni,  ovvero  svevi,  fossero  stati  applicati  alla 
caccia,  si  è  potuto  notare  ne' precedenti  libri  di  que- 
sta Istoria,  e  sopra  tutti  V  Imperador  Federico  II  e 
Manfredi  suo  figliuolo  che  della  caccia  ne  compila- 
rono particolari  libri.  Le  medesime  pedate  furon  cal- 
cate da  questi  Re  angioini,  i  quali  avendo  collocata 
la  Sede  regia  in  Napoli,  ne  essendo  a  quc'  tempi  que- 
sta città  circondata  di  tante  ville  ed  orti,  né  i  suoi 
piani  ridotti  a  quella  coltura  che  oggi  si  vede,  ma  rac- 


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474  STORCI  CIVILE 

chiudendo  la  provincia  di  Terra  di  Lavoro  ampie  fa" 
reste  e  boschi,  quindi  il  lor  consueto  esercizio  era  la 
caccia,  onde  molti  officiali  si  videro  nella  Gasa  re- 
gale di  Napoli  destinati  per  assistere  al  Re  alla  cac- 
cia, li  quali  av«ano  il  lor  Capo,  chiamato  il  GrauFo- 
restiercy  il  quale  teneva  sotto  di  se  molti  .Maestri  Fo' 
restieri^  e  questi  aveano  moltissimi  Cacciatori  a  loro 
aubordinati  (a). 

L'  autorità  e  giurisdizione  di  questo  Ufficiale^  chia- 
mato da' nostri  il  Montiere  Maggiore  ^  nel  Regno  degli 
Angioini  non  si  era  distesa  cotanto,  quanto  si  proccurò 
allargarla  da  poi  nel  Regno  degli  Spagnuoli\  poiché  a 
questi  tempi  il  Gran  Maestro  delle  Foreste  non  esten- 
deva la  sua  giurisdizione,  che  nelle  foreste  demaniali 
del  Re.  Ma  da  poi  essendosi  stabilita  la  caccia  per 
regalia  del  Principe,  si  vede  1*  autorità  sua  non  aver 
termine  né  confine;  tanto  che  concede  egli  licenza  al 
Cacciatori  di  portar  armi,  e  cacciare  per  tutto  il  Re- 
gno (ancorché  i  Baroni  nelle  loro  investiture  vengano 
pure  investiti  delle  foreste,  e  ragioni  della  caccia)  e 
tiene  proprio  Auditore  e  particolare  Tribunale  (i). 

Dt  Minori  Ufficiali. 

I  Minori  Ufficiali  erano  così  chiamati,  non  perché 
fossero  piccoli  in  se  medesimi,  ma  comparati  a'Mag^ 
glori,  e  grandi  Ufficiali  detti  di  sopra.  Questi  nell'an- 
tico Imperio  erano  chiamati  Milizie^  ovvero  piazze  ed 
ufficii  di  compagnia,  perché  di  ciascuna  sorte  ve  ne 
arano  più,  a  luogo^  che  li  Gran  Ufficiali   sono   quasi 

{a)  Capii.  Regni ,  de  ìklagistrìs  Foresterìis ,  et  SabofBciaK- 
bus  eorum.  (b)  Tasson.  de  Antef.  vers.  3  obs.  3.  Trib,  XXVU- 


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DEL  REGNO  DI  NAPOLI  L.XXI.  GAP.  VI.  475 
tttUi  unici  nella  loro  spezie.  Di  queste  milizie  spesso  nel 
Codice  di  Giustiniano,  e  nelle  Novelle  fassi  memoria  (a); 
e  ne  trattarono  accuratamente  Giacomo  Gujacio,  ed 
Arnoldo  Yinnio  (h)  celebri  Giureconsulti,  riprovando 
*  r  opinione  che  sopra  le  milizie  ex  casa  tenne  Lelio 
Taurello. 

Erano  di  due  sorta.  Gli  uni  dati  a'  Gentiluomini^ 
e  gli  altri  lasciati  agli  Ignobili. 

Quelli  ch'erano  dati  a'  Gentiluomini^  sono  le  piazze 
de'  Gentiluomini  di  Camera;  i  Gentiluomini  della  Cac- 
eia:  e  quanto  a'  Paggi  (detti  dal  Tutine  Valletti), 
essi  non  tiravano  salario,  ma  aveano  la  livrea  sola- 
mente dal  Re.  I  Gentiluomini  della  Camera,  che  nel- 
l'antico Imperio  erano  chiamati  Decuriones  Cuhicula- 
riorum^  comandavano  agli  altri  Ufficiali  minori,  ed 
erano  in  gran  numero.  I  Gentiluòmini  della  Caccia, 
erano  quelli  che  assistevano  al  Re  alla  caccia,  diffe- 
renti dalli  Cacciatori  Regj,  che  sono  plebei,  ed  hanno 
la  cura  di  ordina^,  ovvero  drizzare  la  caccia.  I  Gen* 
tiluomini  della  Falconeria,  i  quali  avevano  il  pensiero 
di/qualche  volo,  differenti  dagli  Falconieri  della  Ca- 
mera Regia,  che  sono  quelli  che  avevano  la  cura  di 
ordinar  la  caccia.  Questi  Ufficiali,  come  si  è  detto, 
non  bisogna  cercargli  nelF  antico  Imperio,  perchè  gli 
Imperadori  non  erano  applicati  alla  caccia,  come  fu- 
rono i  nostri  Re. 

I   Ciambellani  Regj^    che  scalzavano  il   Re^   e  lo 


(a)  L.  penult.  C,  de  Collationibus ,  I.  si  quis  ii.  C.  do 
proxim.  sacr.  scrìa,  lib.  12  1.  uU.  C.  de  pign.  1.  omnimodo 
5o  $  3.  C.  de  inofT.  testam.  Nov.  53  cap.  5.  (b)  Cujac.  ad 
Nov.  55.  Yianìo  tract.  d«  CoUatiouibus ,  cap.  1$  num.  i(ì 
ad  19. 


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476  STOMA  CIVILE 

mettevano  in  letto,  ed  erano  nella  Camera  secreta  del 
Re.  Gli  Arcieri  delle  guardie  del  Re.  I  Scudieri  del 
corpo  del  Re.  I  Scudieri  della  Stalla  del  Re,  chiamati 
dal  dritto' Siratores^  ed  in  Francia  detti  Marescialli^ 
termine  alemano,  che  significa  Ufficiale  di  Cavalli, 
che  Tutine  chiama  Maestro  della  Marescallaria  Regia: 
donde  viene  che  noi  chiamiamo  ancora  Maniscalchi 
quegli  che  medicano  e  ferrano  ì  Cavalli  :  differenti 
dalli  Marescialli  degli  alloggiamenti  del  Re. 

I  Marescialli  della  soprantendenza  della  guerra^  ti 
quali  distribuivano  alle  milizie  gli  ospizj,  seguivano  il 
G.  Contestabile,  e  gli  Ufficiali  succeduti  nella  loro 
carica  si  chiamarono  Scudieri  ed  anche  Scudieri  di 
Stalla,  a  distinzione  degli  altri  Scudieri  del  corpo  del 
Re  detti  di  sopra. 

Vi  erano  ancora  i  Maestri  degli  stipendìarii  Begj^ 
i  quali  aveano  la  cura  di  tener  conto  degli  stipendiati 
del  Re,  e  presso  noi  è  rimasto  di  loro  ancor  vestigio, 
leggendosi  nella  Chiesa  di  S.  Niccolò  a  Pozzo  bianco 
VLVk  iscrizione,  nella  quale  si  nota  il  fondatore  di  quella 
essere  stato  Errico  Rarat,  familiare  del  Re  Carlo  I 
ac  stìpendiarìforum  Regiorum  Magistrum  (a).  La  di  cui 
incombenza,  siccome  F  altra  di  distribuire  alle  milizie 
gli  ospiz],  appartenente  a'  Marescialli  di  guerra,'  si  vide 
da  poi  a  tempo  degli  Aragonesi  e  degli  Spagtiuoli, 
trasferita  nel  Regio  Scrivano  di  Ragione y  di  cui  fa- 
velleremo nel  Regno  di  questi  Principi. 

Eravi  il  Maestro  delle  Razze  del  Re,  che  ora  di- 
ciamo Cavallerizzo  Maggiore^  il  qual  Ufficiale  a  tempo 
degli  Spagnuoll,  come  ivi  diremo,  innalzò  grandemente 

(a)  Engen.  Nap.  Sacr.  foK  173. 


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DEL  REGNO  DI  NAPOLI  L.XXI.  CAP.VI.  477 

la  sua  giarìsdizione,  ed  ebbe  pure  proprio  Uditore  e 
particolar  Tribunale. 

Più  numerose  erano  le  milizie  de'  Secretarli  del  Re. 
Questi,  che  nell'imperio  erano  nella  milizia  de'  Tribuni 
de'  Notari,  e  chiamati  ancora  Candidati j  come  l'attesta 
Casaiodoro  (a),  nel  Regno  di  Sicilia  riconoscevano  il 
G.  Protonotario  per  lor  Capo,  ch'era  uno  de'sette  Uf- 
ficiali della  Cotona,  come  si  disse  nel  libro  XI  di 
quest'istoria.  Egli  era  il  Capo  de' Notari,  e  nell'Im- 
perio era  per  ciò  chiamato  Primicerius  Notariorum  : 
avea  la  dignità  Proconsolare,  e  dopo  due  anni  d'eser- 
cizio diveniva  illustre.  Erano  ancora  nell'antico  Im- 
perio tre  sorta  o  gradi  di  Notari,  che  sono  aperta- 
mente distinti  nel  Codice  di  Teodosio  (b)\  i  primi  e- 
rano  intitolati  Tribuni  Praetoriani  et  Notarii:  e  questi 
aveano  la  dignità  de'  Conti\  i  secondi  erano  sempli^ 
cernente  detti  Tribuni  et  Notarii^  e  questi  aveano  la 
dignità  de'  Ficarii;  finalmente  i  terzi  erano  chiamati 
Notarii  familiares^  ovvero  domestici^  i  quali  aveano 
l'ordine  e  <lignità  di  Consolarità,  Questi  non  bisogna 
confondergli  co'  Notari  che  ora  diciamo,  li  quali  erano 
tatto  altro,  ed  erano  chiamati  Tabellionesy  ovvero  2  a-» 
hulariiy  siccome  fu  da  noi  osservato  nel  riferito  libro. 

Iti  Francia,  secondo  che  rapportano  gli  Scrittori  di 
quel  Regno,  parimente  vi  sono  tre  sorta  di  Notari  del 
Re,  chiamati  ancora  Secretarii  ad  esempio  di  Topi- 
SCO,  il  quale  chiama  i  Notari  dell'Imperio  Notarios  Se- 
cretorunty  e  nel  dritto  vengono  chiamati  a  Secretis  (e). 
Sono  perciò  variamente  appellati:  Secretarii  di  Stato: 
Secretarii  del  Re:   e  Secretarii  della  Casa  del  Re.   I 

{a)  Cassiod.  lib.  4  ep.  5.  (b)  L.  2,3.  Cod.  Th.  de  Primic, 
Notar,  (e)  L.  9.  G.  Qui  miiil.  pos. 


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47»  STORIA  CIVILE 

Secretarli  del  Gabinetto  si  riferiscono  alU  Gartalarìi^ 
Cubicularii^  qui  emittehant  simhola^  sive  Commonitoria^ 
come  SI  dicono  nelle  Novelle  di  Oinstiniano  (a).  Eran« 
in  Francia  sessanta  i  Secretarii  del  Re,  Gasa  e  Co- 
rona per  far  tutte  le  lettere  patenti  di  Cancellerìa.  £ 
come  ch'essi  spediscono  ì  privilegi  degli  altri,  era  bea 
di  dovere,  che  ne  ottenessero  tanti  dal  Re  a  lor  be- 
neficio. 

Parimente  nella  Casa  Reale  di  Napoli  erano  attempi 
degli  Angioini  molti  di  qaesti  Secretarii  e  Notari  del 
Re.  Furonvi  i  Notari  delia  Casa  del  Re,  ed  a  qaesti 
tempi  di  Carlo  II  d'Angiò  fu  suo  Notaio  Niccolò  di 
Alife,  celebre  Giureconsulto  di  quell'età.  Vi  erano  i 
Maestri  e  Prepositi  sopra  le  soscrizioni  e  signatura 
delle  lettere  della  Camera  Regia:  i  Notari  della  Te- 
soreria Regìa:  il  Sigillatore  delle  Lettere  Regie:  il  Com. 
positore  delie  Rollo  Regie:  ed  altri  Ufficiali  minori 
della.  Secretoria  del  Re. 

Fra  questi  Ufficiali  dobbiamo  annoverar  ancora  il 
Maestro  dell'Armature  Regie  :  il  Maestro  de'  Palafre- 
nieri: il  Maestro  degli  Arresti:  il  proposito  degli  ufficii 
deir  Ospizio  Regio:  il  Maestro  Massaro:  i  Maestri  Ra- 
zionali della  Camera  Regia  (fra  quali,  attempi  di  questo 
Re,  furono  Andrea  d*  Isernia  e  Tistesso  Niccolò  d' Alife) 
ed  altri  consimili,  de' quali  si  tratta  in  più  luoghi  nei 
Capitoli  di  Carlo  I  e  II  d' Angiò  (h), 

Sleguono  nell'ultimo  luogo  i  minori  uffici  lasciati 
agV  Ignobili:  e  sono  quelli,  che  apprestano  il  mangiare 
del  Re  e  de' Principi  e  de'  loro  domestici,  li  quali  in 
Francia  si  chiamano   li  sette  uffici,  non  per  ragione 

{a)  Ndv.  8,  a4,  a6,  27.  (b)  Capit.  Regni  sub  rub.  de  oific. 
Magistrorum  Massariorum,  cum  tribus  seqq. 


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DEL  REGNO  DI  NAPOLI  L-XXI.  GAP. VI.  479 

della  loro  carica,  ma  a  cagion  delle  cucine  dove  gli 
esercitano,  e  si  chianoiano  uffici  a  casa  del  Re  ed  a 
casa  de' Principi.  Nelle  due  cucine,  li  Capi  sono  chia- 
mati Scudieri  di  Cucina,  egli  Aiutanti,  Maestri  Cuochi. 

Così  ancora  coloro,  che  apprestavano  il  mangiare 
a'  nostri  Re  ed  a'  Principi  della  Casa  regale  erano 
chiamati  Prepositi  della  Cucina  Regia  e  Maestri  Cuo- 
chi del  Re;  onde  si  narra  che  que'  tre  Pranzasi,  Gio: 
Dottum,  Guglielmo  Rurgund  e  Gio:  Lions,  che  fon- 
darono la  chiesa  e  Tospedal  di  S.  Eligio,  fossero  stati 
tre  Cuochi  della  Cucina  del  Re  Carlo  L 

Yi  erano  ancora  i  Prepositi  della  Panetteria,  della 
Gopperia,  della  Frutteria  e  della  Ruccellaria  del  Re; 
i  quali  aveano  molti  Aiutanti  sotto  di  loro.  Come  an- 
cora i  Valletti  del  Nappo  del  Re  ed  altri  molti  Uf- 
ficiali subalterni. 

A  questa  classe  devono  collocarsi  i  Vessilliferi  Regi: 
i  Portieri  della  Camera  Regia:  i  Cacciatori  Regi:  i 
Falconieri  Regi,  cioè  quei  ohe  avean  la  cura  di  or- 
dinare e  dirizzar  le  cacce  ed  i  voli:  i  Custodi  degli 
Uccelli  Regi:  i  quaranta  Soldati  dell'  Ospizio  Regio 
ed  altri  simili  minori  Ufficiali. 

Camillo  Tutini  nel  Catalogo  di  questi  Ufficiali  mi- 
nori rapporta  alcuni,  i  quali  non  appartengono  punto 
alia  Casa  Regale  ed  agli  G.  Ufficiali  del  Palazzo  del 
Re;  ma  unicamente  appartengono  agli  Ufficiali  della 
Corona,  a  cui  so^io  subordinati:  come  il  Maresciallo 
del  Regno:  i  Contestabili  delle  Terre  e  Castellani,  che 
nella  soprantendenza  della  guerra  seguivano,  ed  erano 
subordinati  al  G.  Contestabile:  il  Maestro  del  Porto 
Regio,  e' Protontini,  ovvero  Portolani  o  Vice- Ammi- 
ragli, che  appartengono  al  G.  Ammiraglio:  il  Teso- 
riere Regio  ed  i  Secreti  delle  province,  che  sono  su- 


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48o  STORIA.  CIVILE 

bordinati  al  G.  Camerario;  e  li  Giusti>(ieri  delle  pro- 
vince, e  quello  degli  Scolari,  che  riconoscevano  per 
lor  Capo  e  superiore  it  G.  Giustiziero. 

Di  tanti  e  cosi  illustri  pregi  era  ornata  la  regal 
Casa  di  Napoli  ne'  tempi  del  Re  Carlo  II,  il  quale 
con  ugual  bilancia  compartiva  questi  uffici  per  lo  più 
a*  Napoletani  e  Regnicoli,  come  si  legge  ne'  regali  Ar- 
chivi, prezzando  i  vassalli  di  questo  Regno  non  meno 
di  quelli  degli  altri  de'  suoi  paterni  e  materni  Stati; 
e  se  alle  volte  leggiamo,  òhe  ne  onorava  ancora  i  fu- 
rastieri  di  quegli  Stati,  non  tralasciava  però  a  Pro- 
venza, a  Forch' Alquir,  a  Piemonte^  di  porvi  Regni- 
coli e  Napoletani  con  altrettanto  di  prerogativa,  come 
si  legge  ne'  medesimi  Archivi,  e  come  si  vede  in  quei 
luoghi  a  molte  insegne  di  Napoletani,  che  furonvi  a 
governare  {a).  Ed  ancorché  tutto  disponesse  ad  imita- 
zione del  Regno  di  Francia,  e  molto  fosse  inchinato 
al  suo  nativo  paese  ed  a  gratificar  que'  di  sua  nazione  ; 
con  tutto  ciò  in  cose  di  Stato  non  riguardò  Nazione, 
ma  s'atteneva  al  consìglio  de'  più  prudenti  e  savi. 

Ma  quasi  tutti  questi  Uffìciali,  perduto  ch'ebbe  Na- 
poli il  pregio  di  esser  Sede  regia,  sparirono,  e  nella 
loro  suppressione  sol  alcuni  ne  rimasero;  poiché  nel 
Regno  di  Ferdinando  il  Cattolico,  e  più  in  quello  de- 
gli Austriaci^  essendosi  introdotta  fra  noi  nuova  po- 
litia,  sursero  nuovi  Ufficiali;  e  siccome  quelli  finora 
rapportati  furono  da'  Re  franzesi  qua  introdotti  ad 
esempio  di  quelli  di  Francia,  così  a' Re  spagnuoli 
piacque  introdurne  de'  nuovi  a  similitudine  di  quelli 
di  Spagna,  de'  quali  ne'  Regni  loro  si  darà  distinta  e 
particolar  contezza. 

{a)  Costanz.  lib.  5. 


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DEL  REGNO  DI  N AIUOLI  L.XXL  CAP.VI.  48i 

j.  II.  Del  Maestro  della  Cappella  del  Re ^  che  4>ra 
chiamiamo  Cappellano  Maggiore, 

Bisogna  separare  il  Maestro  della  Cappella  del  Re^ 
dagli  altri  Ufficiali  della  Gasa  del  Re;  poiché  quan- 
tuh<]ue  ancor  esso,  avendo  la  soprantendenza  delFO- 
ratorìo  dèi  Re  posto  nel  regal  Palazzo^  potesse  anno-^ 
verarsi  fra  gli  Ufficiali  della  Casa  regale,  nuUadiraaneo 
presedendo  egli  alle  cose  ecclesiastiòhe  e  del  Sacer- 
dozio, era  distinto  da  quelli,  che  presedeyatno  alle  cose 
delFImperio  e  della  Gasa  del  Re.  In  Francia  per  ista- 
bìlire  in  maggior  splendore  e  magnificenza  lo  stato 
della  Gasa  del  Re,  iù  reputato  prudente  consìglio  in- 
trodurre in  quella  tutti  i  tre  Ordini  del  Regno,  e  che 
non  meno,  quello  della  Nobiltà  e  F altro  del  terzo  Stato 
t'  avesse  parte,  ma  anche  Y  Ordine  ecclesiastico,  che 
in  quel  Regtìo  fa  Ordine  a  parte,  tutto  diverso  di  quél 
che  si  pratica  fra  noi,  che  gli  Ecclesiastici  sono  me- 
scolati ne'  due  Ordini  di  Popolo  e  Nobiltà.  Dalla  No- 
biltà '  presero ,  come  si  è  veduto,  i  Gentiluomini  di 
Camera,  della  Caccia,  della  Falconeria  ed  altri,  onde 
$r  componevano  le  milizie  o  piazze  della  Casa  del  Re. 
Dal  terzo  Stato  si  preaero  i  Graffieri,  Secretarii,  Can* 
eellieri  e  tutti  que* ,  a'  quali  erano  ksèiati  i  minori 
uffici.  Così  ancora  dalFOrdln^  ecclesiastico  si  presero 
iM&-  Elemosiniere,  il  Maestro  delta  Cappella  o  Ora- 
torio, ed  il  Confessore  ordinario  del  Re;  ed  a  tempo 
de*  Re  della  prima  razza,  fu  tanta  T  autorità  del  Cap- 
pellano del  Re,  chiamato  ancora  Arcicappellano^  nelU 
Gasa  regale,  che  s'aveano  diriso  T  imperio  ed  il  go- 
verno col  Maestro  del  Palazzo:  supprespa  poi  tal  ca- 
rica nella  seeoAda.  stirpe,  e  data  altra  norma  al  go*> 

3i 


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48a  STORIA  CIVILE 

verno  della  Gasa  regale^  restò  Fautoiità  delFArcleap^ 
pellano  in  gran  .parte  diroimilta^  e  sùrsé  sopra  di  lui 
il  G^  ElemosiDiere,  che  tenea  sotto  di  se  così  il  Mae^ 
iitro  deirOratorio,  come  il  Confessore  del  Re  (a). 

Nel  Regno  di  Sicilia,  a?eodo  i  Noimasni  costituita 
la  loro  Sede  R^gla  in  Palermo,  il  Cappellano  del  Re» 
a  simigUanza  di  quell^aiitico  di  Francia,  aviea  fer  tutto 
quel  Regno  6t(»sa  la  sua  giurisdieiooc,  ne  r£le«iOìji* 
nìere,  oc  il  Confessore  del  Re  erano  distinti.  Nella 
Casa  regale  di  Sicilia  era  cfaianuto  Cappellano  del 
Be^  e  tra  T  Epistole  di  Pietro  di  Rlois,  se  oc  legge 
una  (b)  dirizzata  ad  Cappellanw»  Begis  Swiliae^  dove 
gli  ricorda,  che  per  F  ufficio  msko  amjuomsea  il  Re  a 
non  dare  il  Vescovato  d'Agrigento  a  poiiìsonu  indegna* 

Da  poi  che  i  Prìncipi  cristiani  ^olletro  avere  nel 
regal  Palazzo  proprio  Oratorio^  surse  m  eonsegueoza 
il  primo  Prete  del  Calerò  Palaiiao;  «e  paichè  ov'essi 
tenevano  collocata  la  loro  regia  Sede,  ivi  colui  dovea 
risiedere;  quindi  è,  che  presso  <li  noi  ne*  regali  Ar« 
chivii  non  s' incontra  meoioria  di  Cappellano  Regie^ 
se  non  a'  tempi  de*  Re  angioini ,  ì  quali  in  Napelli  ier* 
marono  la  lor  Seda,  e  cominciarono  quindi  ad  avere 
règia  Cappella.  Priaia  i  Re  aoirmatiai  e  avevi  Tebbero 
in  Sicilia,  perche  in  Palermo  avean  collocata  la  lor 
Sede;  ond'iè»  «he  la  memoria  del  CaippcUaao  di  Sicilia 
è  più. antica  4i  q^iello  di  Napoli. 
.  Collocata  adunque  da' Re  angioim  in  Napoli  la  lor 
Sede  reg^a,  cominciò  presso  noi  la  prima  voJta  a  sen- 
tirsi il  Maestro  dèlia  Cappella  del  Re,  ane'auoi  prin* 
cipii  insino  al  Regno  di  Ladislao  fu  chiamato  Magister 
Eegiae  Cappellae,  ovvero  Magister  Sacrata^  CappeUae^ 

'{a)  Lojseau  des  Ord.  {b)  Epist.  P.  Bltsansìs,  epist.  le,    . 


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DEL  REGNO  DI  NAPOLI  L.XXL  CAP.VL  483 

e  sovente  Protocappellanus  (a),  per  essere  egli  il  Capo 
di  tutti  li  Cappellani  minorì  del  lie,  non' altrimenti, 
che  presso  i  Greci  il  primo  Prete  del  Clero  Palatino 
chiamavasi  Pivtùpapa  del  Palazzo^  di  eui  si  ritrova 
ispessa  commemorazione  presso  Codino^  Zonara,  Ce* 
dreno  e  nelle  Notizie  dell' Imperio:  sa  medesimo  s'ap« 
poggiava  la  principal  pura  della  celebraxìope  delle  fun-* 
zioni  e  solennità  nella  Cappella  del  Palazzo  imperiale^ 
dove  presedeva  a^^li  uffici  ecclesiastidi,  del  che  fu  ri-^ 
cordevole  anche  Tommassioo  nel  suo  trattato  de'  Be^ 
neflcii  {by 

11  Maestro  adunque  della  Cappella  reale  di  Napoli 
avea  la  principal  cura  dell' Oratorio  del  Re,  e  prese* 
deva  a  tutti  i  Cherioì  del. Palazzo  reale;  ed  a  tempi 
di  Carlo  II  leggiamo  essere  stato  suo  Cappellano  re^ 
gio  Pietro,  il  qual  intervenne  air  assoluzione,  del  giu« 
ramento,  che  Papa  Bonifacio  YIII  diede  a  Lionora 
terzagenita  di  Carlo  II  per  iseioria  dagli  sponsafli,  che 
avea  contratti  con  Filippo  Signor  di  Tussiaoo,  e  Am- 
miraglio a  tempo  di  Carlo  I  (e):  e  regnando  il  Rf 
Aoberto  si  legge,  che  fosse  suo  Cappellano  Regio  Lati* 
dulfo  di  Regina  Pottgore  e  Caaonico  napoletano  {d)^, 
£  sia  da  questi  tempi,  non  già  nel  Regno  d'Alfonso  T, 
come  contro  T  opinione  del  Freccia  fu  notato  nel  lir 
bro  XI  di  quest'istoria;  -fu  eaoluso  il  G.  Cancelliere 
d'esercitar  .giurisdizicme  ^ sopra  i  Gherici  del  Palazzo 
reale ,  sotpra  4  Cappellani  regj ,  e  tutta  passò  nella 
persona  del  Cappellano  Maggiore,  eome  Prete  4d 
Clero  Palatino. 

(a)  Y.  Chìocc.  tom.  a.  M.  S,  gìnrisd,  ^h)  Toraasin.  de  he-* 
néfic  par*  .i  lib.  2  cap.  Su.  ii.  (e)  Summout.  lib.  3  tom.  il 
pag.  iSo.  {d)  Biegistr.  aun.  i554  fol  47*  Sammont  tom.  a 
pag.  4x0. 


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484  STORIA  CIVILE 

Crebbe  molto  -  più  la  sua  autorità  nel  Regno  di 
Carlo  li,  poiché  essendosi  per  antichissimo  costume 
introdotto,  che  i  Principi  potessero  avere  Cappelle  re- 
gie, non  pure  nella  città  metròpoli,  dove  facevano  re- 
sidenza, ma  in  alcune  altre,  dove  solevano  ancor  essi 
in .  alcun  tempo  dimorare,  e  dichiarar  essi  per  tali  al- 
pune  Chiese,  óve  aveano  maggior  divozione,  e  che  per 
ciò  erano  etate  delle  loro  rendite  profusamente  dotate; 
«Iccome  presso  di  noi  n'abbiamo  memoria  fin  da'  tempi 
del  Conte  Ruggiero,  il  quale  nell'anno  1 094  fra  Taltre 
cose  che  donò  a  S.  Brunone,  fu  la  Chiesa  di  Santa 
Maria  di  Àl-safia,  sua  Cappella,  che  teneva  in  Cala- 
bria esente  dalla  giurisdizione*  dell' Ordinario:  la  carta 
della,  qual- clonazione  vien  rapportata  dal  Tassoni  {a), 
ove  si  legge  ancora  Folcone  &uo  Cappellano;  quindi 
xttultipUcandosi  nel  nostro 'Regno  le  Cappelle  regie^ 
Tenne  in  conseguenza  ad  accrescersi  l'autorità  del  Cap- 
pellano regio.  La  chiesa  di  S.  Niccolò  di  Bari  fu 
dichiarata  Cappella  regia-,  e  perciò  il  Priore  ed  il  Ca-» 
pitolo  siccome  eran  esenti  dalF'Ordinario,  così  erano 
subordinati  al  Cappellano  maggiore  del  Re.  ^La  chiesa 
d'  Altamura  fu  dichiarata  ancora  Cappella  regia  ,  e 
quindi  lArciprete  di  quella  co' suoi  Preti,  come  Gap- 
pellia^i  leg)  pretendevan  independenza  dal  Vescovo 
4i  Gravina,  e  non  riconoscer  altri,  che  il  Cappellano 
iM^^S^<)^^  dc^  Re  (i).  Tante  altre  Chiese  di  regia  col- 
laziono, xlichiarate  Cappelle  regali,  delle  quali  si  è  £&- 
YeUa(/9  del  precedente  Capitolo^  parimente  pretendendo 


(a)  Tassoo,  de  Antef.  vers.  4  obs.  5.  num.  46-  Privil.  ann* 
1094*  Quod  MoaasiertuiD  Acsapbiae  Cappella  mea  erat  exein* 
pia  ab  Episcopali  jurisdictione  per  Sacrosanctam  Romanam 
Eccl«3iam,  {b)  Cliiocc.  tom.  '7.  M,  S.  giurisd*  . 


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DEL  REGNO  DI  NAPOLI  L.XXI.  CARVI.  48S 

•senzione   da'  loro  Ordinarli,  noa  riconosceyan    altri, 
che  il  Cappellano  Maggiore  per  superiore. 

Furono  da  poi  riputate  anche  Cappelle  regie  quelle^ 
ch'erano  costrutte  dentro  ì  reg)  castelli:  per  la  qual 
cosa  multiplicandosi  nel  Regiio  il  di  lor  numero,  ven- 
nero a  multiplicarsi  i  regj  Cappellani.  Multiplicaronsi 
ancora  per  un'altra  cagione,  perchè  avendo  i  nostri 
Principi  ottenuto  da'  Sommi  Pontefici  molti  privilegi 
•d  esenzioni  a'  medesimi ,  come  di  non  essere  obbli- 
gati a  residenza,  ancorché  tenessero  beneficii  curati^ 
di  non  dover  soggiacere  al  pagamento  delle  decime, 
che  i  Pontefici  imponevano  sopra  gli  Ecclesiastici  ed 
altri  consimili  {a):  ogn*uno  proccurava  farsi  dichiarare 
dal  Re  per  suo  Cappellano;  poiché  s'era  introdotta 
costume^  che  anche  a  coloro,  che  attualmente  non  ser- 
i^issero  nella  Cappella  regia ,  e  fossero  lontani ,  sole- 
Tsnsi  spedire  da'  Re  lettere,  per  le  quali  gli  dichia- 
raVan  suoi  Cappellani  regj:  le  quali  ottenute  da  varie 
persone  portavan  loro  non  picciol  giovamento,  perchè 
nelle  congiunture  d'imposizione  di  decime  sopra  gii 
Ecclesiastici,  i  Cappellani  ricorrevano  a.l  Re,  accioc- 
ché essi  non  fossero  compre^,  e  ne  ottenevano  prov- 
visioni, siccome  molte  se  ne  leggono^  nel  secondo  vo- 
lume de'  M.  S.  giurisdizionali  del  Chioccarelli;  e  fra 
l'altre  una  spedita  ad  istanza  dell'Arcivescovo  d'O- 
tranto, il  quale  supplicava  il  Re,  che  per  essere  uno 
degli  antichi  Cappellani  della  regia  Cappella,  e  che 
quando  era  stato  in  Napoli  avea  sempre  servito  in 
essa,  non  dovesse  soggiacere  al  pagamento  delle  de- 
cime. Tanto  che  i  Pontefici  romani  avveduti  del- 
l' abuso  fecero  più  Bolle,  prescrivendo^  che  solamente 

(a)  y.  Chioccar,  tom*  ^*  M.  S.  giurli^d. 


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48C  STORIA  CIVILE 

coloro  doYesaero  godere  de'  priyilegi  ed  esenzioni  eos- 
cedute  a'  Cappellani  reg},  Il  quali  attoalmente  sorvis* 
aero  nella  Cappella  regia,  le  quali  però  come  troppo 
restrittiye)  òome  fra  Faltre  furon  quelle  di  Lione  X 
e  di  Clemente  Vili,  non  furono  ricevute  senza  dibat- 
timento e  dichiarazioni. .  Quindi  crescendo  Y  autorità 
del  Cappellan  Maggiore  sopra  tutti  i  caetelU  del  Re- 
gno, e  le  Chiese  dichiarate  Cappelle  regie,  nacquero 
quelle  tante  contese  giufìsdizionali  tra  il  medesima 
Coll'ArcirescoYO  di  Napoli,  col  Vescovo  di  Cotrone  e 
con  tanti  altri,  delle  quali  è  ripieno  il  secondo  volu- 
me de'  M .  S.  giurisdizionali  dei  Ch&occarelli, 

Mei  tempo  de'  Re  Austriaci  fu  accresciuta  la  sua 
autorità,  per  essergli  stata  commessa  la  cura  e  la  pre  • 
sidenza  de'  Regj  Studii,  e  trasfusa  a  lui  parte  di  quella 
giurisdizione,  che  prima  sopra  gli  scolari  teneva  il 
loro  Giustiziere;  e  sovente  dal  Gollateral  Consiglio  se 
gli  commettevano  le  cause  riguardanti  il  turbamento 
e  le  violenze  in£srite  -  degli  Ecclcalaatmi*  a  Laici ,  ia 
vigor  de'  Capitoli  del  Regno;  e  se  gli  diede  ancora 
giurisdizione  sopra  i  Musici  della  Cappella  regia  (a), 
siccome  faveUaodo  del  Regno  di  qua'  Plrincipi,.  ci  tor- 
nerà occasione  di  più  difTusameate  ragionare* 

{ny  y,  Beg.  CooAatitiam  in  1.  unica,  n.  2i«  G.  de  Falat. 
et  Doinib.  Dorolnic.  lib.  ii.  Tasson.  de  Anlef-  V€rs»^,3  obs-S. 
Tiib.'IX  n.  371  et  num.  2«4* 


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DEL  REGNO  DI  NAPOLI  L.XXl.  GAP. VII.  48^ 
CAPITOLO  VIL 

Delle  Consuetudini  della  città  di  Napoli  e  di  Bari^ 
e  d'alcune  altre  città  del  Regnò  * 


r  TtL  gli  altri  benefici!  finora  norcfrati^  ojide  al  R« 
Carlo  II  pia€qti6f  di  favorire  ed  Imoiafear  cotanto  que*> 
•ta  oìttik,  non  inferiore  deve  ripxitarat  t^iiello  delia  com« 
pìlazione  delle  nostr«  Consuetudini.  Prima»  che  quelle 
ai  fossero  ridotte  in  iscritto,  li  cittadìnii  evmno  in  con- 
tinue lìti  e  discordie,  per  cagion  delV incertìsjiza  delle 
medesime:  ciascuno  allegava  per  se. la  Gonauetudine, 
e  per  provarla  produòeva  i  suoi  testimonii,  e  secóndo 
quelle  pruove  era  deciao-  il  litigio.  Occorreva  in  caso 
simile,  che  commettendosi  la  prnova  al  detto  de'  te» 
stimomi,  in  un  altro  gìudìcio  si  pruovava  il  contra- 
rio, e  eomraria  perciò  ne  seguiva  la  determinazione  ; 
onde'  avveniva,  che.  sempre  atassero  incerti,  dobhii  ed 
in  perpetui  litiigii  e  contese.  Per  togliere  disordine  si 
grave  Carla  II  pensò  di  durvi  rimedie. 

Avea  egli  un:  esempio  assai  receniìe  di  ciò^  che  ai 
tempi  del  Re  Carlo  suo  padre  sì  fece  nella  città  di 
Beri,  e  di  quel  che  ivi  avea  fatto  prima  di  lui  il  famoso 
Ra^gieiiè  ì  Re  di  Sicilia,  Pure  in  quella  città ,.  che 
stata  lungamente  sotto  k  dominazione  de'  Longobardi» 
si  regger'»  colle  loro*  leggio  eransi  tratto  tratto  stabi- 
lite particolari  Consuetidini  conformi  per  lo  più  alle 
leggi  longobarde*  I  Rai^s^i  perchè  non  inciampassero 
in  quiella  coofusione^  nella  quale  si  vedea  ora  Napoli  » 
le  fecero  ridurre  in  iscrìtto ,  e  presa  la  lor  città  da 
Rvifgiero,  le  presentarono  al  jatiedeaimo,  il  quale  (come 


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488  STÓRTA  CItiLÈ 

fii  legge  nel  proemio  dì  quelle)  et  laudani  -'et  sermvit 
illaesas:  imo  potius  suo  incljto  fasore  Jlrmavit^  et  eis 
perlectis,  demum  rohur  suae  constitutionis  inàulsit  {a)* 
Ma  ne'  tempi  di  Carlo  I  ebbero  più  felice  aaccessQy 
perchè  trovarono  due  celebri  Giureconsulti  baresi,  che 
in  un  picòiol  volume  con  la  maggior  brevità  ed  eie* 
ganza,  che  comportava  quel  secolo,  le  restrinsero^  e 
eon  istile  certamente  non  insulso  le  .  tramandarono  ai 
posteri;  ed  è  quel  volume,  che  oggi  corre  per  le  mani 
d' ognuno  ;  il  qual  avrebbe  meritato  altro  più  culto 
Scrittore,  non  f^incenzo  Massila^  che  ignaro  delie 
leggi  longobarde,  donde  trassero  la  loro  origine,  con 
istile  assai  goffo  e  pieno  di  puerilità  neir  anno  i55o 
commentoUe. 

Q uè' due  Giureconsulti,  che  in  quella  guisa,  che 
ora  le  vediamo,  le  compilarono,  furono  il  Giudice  An- 
drea di.  Bari,  ed  il  famoso  Giudice  Sparro,  o  sia  Spa- 
rano ^  parimente  barese.  Fu  questi  uno  de'  maggiori 
Giureconsulti^  che  fiorisse  a' tempi  di  Carlo  I,  da  que-' 
eto  Principe  molto  ben  veduto,  e  in  sonimo  pregio 
avuto  ;  poiché ,  oltre  essere  stato  prima  da  lui  creato- 
Giustiziere  di  Terra  di  Bari,  e  poi  M«  Razionale  della 
G.  C,  dopo  la  morte  di  Roberto  da  Bari  fu  fatto  G. 
Protonotario  del  Regno.  Ebbe  ancora  la  suprema  pre- 
minenza ne'  Tribunali  de'  Contadi  di  Provenza  e  di 
Forch'  Aiquir,  ed  il  titolo  di  vir  nohilis,  solito  darsi 
in  que'  tempi  a'  Titolati,  ed  a  persone  d' esquisita  no- 
biltà: creollo  di  più  Cavaliere,  e  1'  arricchì  di  mólti 
Feudi. 

Il  Giudice  Andrea  in  quel  libro,  che  compilò,  tenne 
queir  istesso  ordine  e  metodo,  per  quanto  gli  fu  per* 

ifi)  In  prQo«m.  C^nsuet.  Bar. 


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DEL  RECxNO  DI  NAPOLI  L-  XXL  GAP.  VIL  48^ 

mésso,  del  Codice  di  Giustiaiano,  ed  io  alcuna  parto 
seguitò  quello  delle  Pandette.  Comincia  perciò  dopo^ 
«h  noa  disprezzevol  proemio,  ad  imitazione  di  Gìu^ 
siiniano,  dal  titolo  de  Sacrosanctis  EcjcIesiUyoye  ir Hiia. 
delle  cose  attinenti  alla  cattedral  chiesa  di  Bari  e  deU 
r  altra  di  S.  Niccolò.  Finisce  la  sua  compilazione  ad 
imitazione  di  Triboniano  nelle  Pandette  col  titolo:  de 
ReguUs  juris^  seguitando  ancora  Tesempio  de'  Compi- 
latori delle  Decretali.  

Il  Giudice  Sparano ,  che  con  n«n  minor  '-  eleganza 
aggiunse  alla  costui  compilazione  un  altro  Jibro,  tenn» 
altro  metodo.  Conoscenclo,  che  quelle  Consuetudini  ia 
gran  pairte   derÌTaTano    dalle   leggi  longobarde,  stimò 
piii  a  proposito  seguitar  queir  istesso  ordine^  che  tenv 
nero  i  Compilatori  di  quelle  leggi:  e  perciò- comincia 
da'  delitti,  siccome  da  questi  si  dà  principio  al  prima 
libro  delle  longobarde.  Narrasi  ancora  di  questo  Giu- 
reconsulto, che  componesse  altre  opere,   ma  due  sole 
sono  di  lui  rimase  a'  posteri:  questa  compilazione,  ed 
un  libretto^  che  intitolò:    Rosarium  virtutum  et   vitto* 
rum:   che  fu  da  poi  nell'anno  1571  stampato  in  Yenezim 
con  la  giunta  dell'Abate  Paolo  Fusco  da  Ravello.  .   » 
Carlo  II  adunque,  avendo  innalzata  Napoli  a  tanta 
sublimità,  non  permise,,  che  in  ciò  Bàri  la  superasse; 
Per  ciò  non  trovandosi  le  sue  Consuetudini  ridotte  io 
iscritto,  onde   derivavano   que'  disordini   accennati  dì 
sopra,  diede  prima  incombenza  all' Arcivescovo  di  que- 
iÉta  città,  e  gli  prescrisse,  che  chiamati  a  se  dodici  uo^- 
mini  di  sperimentata  probità,  e  ben  istrutti  de'  costu- 
tùì  della  loro  patria^  desse  principio  all'opra.  Era  aU 
Jora  Arcivescovo   di  Napoli  Filippo   Minutolo^  quell# 
'Stesso,  che  per  la   sua    saviezza   e   dottrina  fugli   dal 
padre  destinato  per  primo  Consigliere,  quando  If»  ri. 


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Igò  STORIA  CIVILE 

mise  in  Napoli  per  suo  Vicario,  onde  T  opera  era  (^«^ 
gna  di  lui)  da  ehi  poteva  sperarsi  felice  suoeeaso  (a)* 
Ordinò  nell'iatesso  tempo,  che  rUnirersità  di  Napolv 
eleggesse  quegli  uomini  che  fossero  non  meno  integri  ^ 
che  informatissimi  delle  costumanze  della  loro  patria, 
i  quali  dovessero  ricercare  tutte  le  Consuetudini  della 
città,  ma  le  piùuyere,  le  più  antiche,  le  più  concordi 
e  le  più  approvate  ne'giudicii:  e  dopo  averle  ben  esa- 
minate con  legittima  testimonianza  d'uomini  probi  ed 
integri,  le  riducessero  in  iscritto  in  un  volume:  il 
quale  riveduto  ed  esamimito  dalV  Arcivescovo  ,.  e  da 
queste  dodici  persone  a  ciò  destinate ,  lo  dovessero 
presentare  a  lui,  perchè  quelle  solo  dovesse  confermare 
ed  approvare  con  sua  Costituzione,  e  riprovar  tutt9 
r  altre:  in  maniera^  che  né  in.  gìndicio ,  né  fw) ri  aves- 
sero forzat  e  vigore  alcuno. 

L-' Arcivescovo,  e  gli  uomini  a  ciò  deputati  adem- 
piponot  k  loro  incombenza,  ed  in  nome  di  tutti  i  cit^ 
tadim  presen^rono  il  libro  al  Re,  perchè  lo  confer- 
masse. Né  a  questi  tempi  erano  eìiftrati  gli  Ecclesia-' 
Itici  ky  «fucila  pretensione,  ohe  fortemente  sostennero 
da  poi,  à!  essere  da  quelle  Uberi  e  sciolti.  Carlo  lo 
fece  pel  rivedeva  dà  Bartolommeo  di  Capua,.  ch'era-  al- 
lora Protonotasrio  del  Regno,  il  quale  levate  alcune 
cos«y  ed  aggiuntene  aìciui!'  altre ,  ed  in  miglior  modo 
dichiarate,  le  dettò  in  quello. .stile  che  orai  legginaio-. 
Il  die  fatto,  fbrooo  dal  Re  approvate,  e  vietato  eh^ 
toltone  cfuelle  eh'  erano  sevitte  in  quel  volume,  ■  non 
fosse  *ledito  per  L*  iofiiaiizl  ne*  giudicii  o  fuora^  affiegarne 
altre:  ciocofaè  accaiUe  neU'anilo  i3io&  ntorOo  già  TAr*- 
civesoovo  AUfiOtolo.         . 

(a^  Chioc.  de  Archiep.  Neapj  ami  id98. 


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DEL  REGNO  DI  NAPOLI  L.XXI.CAP.VIL  49^ 
Se  vogliamo  far  paragone  tra  le  CoBsoetadini  ài 
Napoli  con  qaelle  di  Bari,  mm  -rì  è  dobbio  alcuno 
che  i  Giudici  Andrea  e  Sparano  con  maggior  elegansa 
dettarono  quelle  che  i  Bareni  presentarono  al  fte  Gar« 
lo  I,  che  non  fece  Bartolommeo  di  Gapua  di  queste, 
che  i  Napoletani  presentarono  a  Carla  IL  Lo  stile  di 
quelle  noti  fu. cotanto  insulso  ed  intrigato,  come  può 
esser  noto  a  chi  leggerà  V  une*  e  V  ahre:  ;ie  non  vo* 
gliamo  difendere  il  Gapua  con  quel  che  leggesi  nel 
proemio  di  Gario,  il  q^iale  droe,  che  piacque  a  quel 
Giureconsulto  di  non  mutare  lo  stile,  ed  i  vocaboli 
proprii  del  paese,  per  maggior  intelligenza  di  que'  cit- 
tadini: In  stilo  dictaminis  eorum  civium^  ut  magis  pny- 
prie  illamm  nsualia  verta  remaneant  (u). 

Scorgesi  eziandio  un'  altra  differenza  tra  Y  une  e 
r  altre;  perchè  quelle  di  Bari,  per  essere  state  lun« 
gamente  de'  Longobardi,  per  la  maggior  parte  trag- 
gono origine  d'alle  costoro  leggi.  AlF  incontro  Napoli 
che  non  riconobbe  mai  il  dominio  deXongobardr,  ma, 
se  si  riguardano  l  suoi  principii,  fu  città  greca,  o  smi 
il  dominio  che  n  ebbero  in  que'  medesimi  tempi,  che 
i  Longobardi  dominarona  V  altre  province  del  Regna, 
fu  ella  sotto  la  dominazione  de' Greci,  e  degli  oltimi 
Imperadori  d'  Oriente:  quindi  le  sue  Consuetudini  dalle 
leggi  di  quella  Nazione  deri^anoi 

Fu  chi  credette  che  chiamando  il  Re  Carlo  queste 
Consuetudini  antichissime,  foesero  reliquie  di  quelle 
antiche  leggi,  colie  quali  si  governava  in  tempo  de' suoi 
Arconti  e  Demaichi!,  come  dieemmo  nel  primo  libro. 
Altri,  apponendosi  più  al  vere,  senza  ricorrere  ai? 
tempi  tanta  lontaui  e  remoti,  credettero  ckC'  dalle  Dio* 

(a)  ProQeiB.  coastiet.  Neap. 


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49^  STORIA  CIVILE 

velie  degl*  ultimi  Imperadori  greci  derivassero,  di  che 
ne  potrebbe  esser  argomento  i  tanti  riti  e  costumi  de- 
gli ultimi  Greci  chtt  ancor  si  ritengono,  e  Y  analogia 
ed  i  molti  vocaboli  ancor,  ritenuti   di  quella  Nazione. 

L'  ordine  ancora  ed  il  metodp  tenuto  da  Bartolom- 
meo  di  Capua  fu  tutto  altro  da  quello  che  tennero. 
Andrea  e  Sparano.  Questi,  almeno  per  quanto  si  potè,, 
imitarono  Giustiniano  e,d  i  Compilatori  delle  leggi  lon- 
gobarde, come  si  è  detto:  il  Gapua  di  suo  arbitrio  ne 
formò  un  altro  nuovo.  Trattò  in  prima  l'ordine  delia- 
successione  ah  intestato^  ed  indi  quella  ex  testamento: 
delia  potestà  che  in  vigor  di  queste  Consuetudini  hanoo 
i  figli  di  famiglia  di  poter  testare  e  di  quali  beoi:  delle 
*  donne  maritate,  le  quali  uscendo  dalla  p«ìtria  potestà, 
potendo  testare  delle  loro  doti,  in  che  quantità  pos- 
sano farlo,  o  in  altra  maniera  disporne:  degli  alimenti 
che  devono  i  padri  e  le  madri  prestare  a' loro  figliuoli, 
e  su  di  quali  robe.  Passa  poi  a  trattar  delle  doti  e 
della  quarta  alla  donna  dovute  su  i  beni  del  marito. 
De'  contratti  tra  i  mariti  e  le  mogli.  DegV  istromenti 
soliti  in  questi  tempi  farsi  da'  Curiali  e  della  lor  fede; 
e  da  poi,  di  tutto  ciò  che  s'attiene  alla  materia  do- 
tale e  della  quarta. 

Prima  di  .passar  agli  altri  contratti,  intermezza  otto 
titoli,  uno  ove  tratta  de'  casi,  ne'  quali  per  propria, 
autorità  possa  alcuno  pignorare  la  roba  altrui:  Taltro 
della  ragion  del  congruo:  nel  terzo  esamina  di  che 
forza  sia  il  detto  del  Colono  parziario:  nel  quarto  della. 
teMimonianza  de'  rustici,  e.  quanta  fede  meriti  :  nel 
quinto  tratta  delle  Servitù,  e  nelli  tre  seguenti  di  co6e^ 
a.. quelle  appartenenti.  Torna  poi  a'  contratti,  e  parla* 
delle  locazioni  e  condizioni,  de' pegni,  delle  compre  e 
vendite,  «  delle  arre  da  darsi;  ma  vengono  questi  ti- 


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DEL  REGNO  DI  NAPOLI  L.XXl.  GAP.  VIL  49S 
Ioli  framekzatl  con  altri,  come  della  nùnziazióne  della 
JHioya  opera:  Communi  dividundo^  e  de  Glande  legenda. 

Finalmente  chiudono  il  libro  il  titolo  de  ripa^  vel 
africo ^  e  r  altro,  eh' è  T ultimo  de  restitutione  in  inte- 
grum.  Quest* ordine  tenne  Bartolommeo  di  Gapua  in 
questa  sua  compilazione  delle  Consuetudini  di  Napoli , 
la  quale  ebbe  il  suo  compimento  e  confermazione  del 
Re  a' 20  di  marzo  dell'anno  i3o6,  come  si  legge  nella 
•loro  data:  Data  Neapoli  per  manus  ejusdem  Bartolo- 
-maei  de  Capua  militis  Logo  the  tae  et  Prothonotarii  Re- 
gni Siciliae,  Anno  Domini  i3o6  die  20  martii  4  Indici. 
Itegnorum  nostrorum  anno   ù^. 

Furono  queste  Gonsueludini  dal  Re  Carlo  fatte  ri- 
porre nel  suo  regale  Archivio,  affinchè  i  Napoletani, 
essendo  ridotte  in  iscritto,  e  roborate  dalia  sua  auto- 
rità, non  fossero  più  intrigati  in  tante  dispute,  e  sa- 
pessero dove  ricorrere  per  terminarle  (a). 

I  nostri  Dottori  cominciarono  poi  a  commentarle, 
e  non  passarono  44  ^^^^  ^a  ohe  furono  da  B.  di  Ga- 
pua compilate,  che-surse  Napodano  Sebastiano  di  Na- 
poli, il  quale  fu  il  primo  ad  impiegar  intorno  a  quelle 
i  suoi  talenti  nel  Regno  di  Giovanna  I,  pronipote  di 
Carlo  neir  anno  i35o*  Fiorì  egli  ne' tempi  di  quella 
Reina,  ed  era  riputato  per  uno  de' bravi  nostri  Pro- 
fessori: era  egli  Nobile  napoletano,  della  famiglia  Se- 
bastiana, e  non  meno  di  Matteo  d'Afflitto,  che  tirava 
-la  sua  famiglia  da  S.  Eustachio  ed  il  Sannazaro  da 
6.  Nazario,  ebbero  i  suoi  la  vanità  d'  ostentare  ohe  la 
sua  parimente  dipendesse  da  S.  Sebastiano  Maestro 
de' Soldati  dell' Imperadore  Diocleziano,  ovvero,  se  que- 
sto fallisse,  da  queir  altro  Sebastiano  Pretore  a'  tempi 

{a)  In  Prooem*  Consuet.  $  prp  certiori* 


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49*  STORIA  CIVILE 

.dell'  loiperadore  Zenone;  o  pure  quando    tutto    altro 
man^aase;  da'  Signori  di  Sebaste ^  città  di  Samaria  (a). 
Essendo  Cancelliere  il  Yescoyo   di  Fiorenza,  Lettore 
degli  Studi!  Lorenzo  Poderico  e  Yioe  Protonotario  del 
Begoo  Sergio  Don<Mrso,  ebbe  egli  nel  Collegio  di  Na- 
poli pubblico  esame»  e  datosi  allo  studio  legale  riuscì 
ii  primo  della  sua,  età.  Si  pose  egli  a  commentar  pri- 
ma le  Costituzioni  e   Capitoli  del  Regno:  da  poi  per 
quella  mortifera  pestilenza  che  accadde  in  Italia  nel- 
Tanno   1:248»  descritta  con  tanta  yifezza  ed  eloquenza 
dal  Boccaccio 9  avendo  perduti  tutti  i  figliuoli,  per  dar 
qualche  conforto  al  suo  dolore,  ritirossi  in  una  yilla 
presso  Napoli  ed  in  quella  solitudine  si  pose  a   com- 
mentar queste  Consuetudini,  e  terminò  le  sue  fatiche 
a'S  aprile  deiranno  i3{i  come  e' dice  nel  fine  de' suoi 
Commentarii,  Testifica  Scipione  di  Gennaro  {b)y  il  qual 
fece  alcune  addizioni  al  Commento  di  Napodano,  che 
aveva  inteso  da'  loro  più  antichi  che  quella  villa,  ove 
ritirossi  Napodano  a  far  questo  Commento,  era  quella 
appunto  che  a' suoi  tempi  si  possedeva  •  da  D.   Luisa 
Rossa  vedova  del  Dottor  O.  Paolo  Marchese,  ch\è  posta 
nel  principio  della  strada,  onde  vassi  a  S.  Martino. 

Il  Commeato,  che  questo  Giureconsulto  fece  alle 
Consuetudini,  acquistò  tanta  autorità  presso  i  nostri 
Dettoti  che  tiene  ora  non  inferior  forza  e  vigore  del 
testo  medesimo  delle  Consuetudini,  e  non  meno  di 
quello  venne  da  poi  da*  nostri  Professori  esposto  e  com- 
mentato o  da  alcune  note  tltustraio.  Undici  anni  dopo 
queste  sue  fatiche,  propriamente  a*  ao  agosto  dell'an- 
no i3Ga  trapassò  di  questa  mortai  vita  ed  il  suo  ca- 

(a)  Addit  in  Comment.  ad  Gonsuet.  in  fine,  (b)  Scipio  Ja- 
nniìY.  in  priacip.  Gonsuet 


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DEL  REGNO  DI  NAPOLI  L.XXI.  GAP.  TU.  «gS 

bavere  giade  sepolto  nella  Chiesa  di  S.  Domeniee  Mag-^ 
giòre  èi  Napoli,  ave  se  n'addita  il  sepolcro  (a). 

Dopo  Napodano,  iliustraroiao  queste  Cooaueludini 
o  con  aote,  o  con  addizioni  ovrero  con  varie  decisioni 
del  S.  C.  della  regia  Camera  e  della  G.  C.  della  Vi- 
caria, altri  insigni  Giureeooisulti  che  fiorirono  ne'  se* 
gaenti  secoli.  I  primi  furono  Antonio  d'Alessandro 
iPrcsidente,  che  fu  del  S.  C.  Viccprotonotario  del  Ke- 
gab:  Slefano  di  Gaeta:  il  celebre  Matteo  d'Afflitte:  li 
Consiglieri  Antonio  Capece  e  Marino  Fi'ecela:  il  Con- 
sigliere e  Presidente  della  regia  Camera  Diomede  Ma- 
riconda:  Antonino  di  Yivaja,  e  neiranno  iSi8  Sci- 
pione di  Gennaro;  il  quale  avendo  riscontrato  T esem- 
plare ch'egli  avea  coU'arigiBale  di  Napodano,  le  fece 
imprimere  in  Napoli  calle  addizioni,  che  nell'  anno 
precedente  ;ayea  fatte  sa  1  Commento  di  quello,  ec( 
è  la  più  antica  edizione  che  si  ^tro^i  di  queste  Con* 
auetudini. 

Seguirono  da  poi  altre  edizioni  con  nuore  Chiose 
e  Giunte,  come  quelle  fatte  da' Consiglieri  Vincenzo 
de'  Fr«acfai6)  .Camillo  Salerno,  Antonio  Baraltucci, 
Bartolemmeo  Marciale,  e  Cesare  Vitelli:  da  Coluccio 
Còppola,  Gaspare  di  Leo,  e  Gio:  Angelo  Pisanello: 
da'  Consiglieri  iP elice  Soalaleone,  Giacomo  Anello  de  j^ 
Bottis  e  Felice  de  Rubeis:  dal  Presidente  della  regia 
Camera  Scipione  Buccino,  dal  Reggente  Francesco 
Rerertero,  da  Tommaso  Nauclero  ^  da  Proveozale,  da 
Caputo,  ed  ultimamente  da  Carlo  di  Rosa,  il  quale 
in'  un  volume  raccolse  quasi  che  tutte  le  costoro  ni>te 
ed  addizicmi. 

(a)  In  lapide  Sepulchr.  im  Eccles.  S.  Dominici.  Scipio  Ja« 
muar,  in  prooem*  b»  i. 


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498  STORIA  CIVILE 

Coltre  a  eostorO)  sursero  pure  nel  passata  secolo  altri 
Scrittòpi,  )i  quali ^  o  per  yia  di  controversie,  q  di  de- 
èisìoni)  o  di  coudigl),  ovvero  con  trattati,  largamente 
scrissero  sópra  queste  nostre  Consuetudini,  fraV quali 
porta  il  vanto  il  celebre  Molfesio^  che  più  d'ogni  al- 
tro in  più  volumi  trattò  di  quelle,  tanto  che  oggi  ai 
Mostri  Professori  il  diritto  appartenente  a  queate  Go&« 
suetudini,  si  à  reso  nnà  delle  .parti  più  necessarie  per 
la  disciplina  forense,  la  quale  non  meno  che  T  altre 
ha  le  sue  sottigliezze,  ed  i  suoi  intrighi,  dove  il  nu" 
mero  di  tanti  Scrittori  Than  posta,  e  richiedesi  per- 
ciò somma  dottrina,  e  perizia  per  ben  maneggiarla. 

L'esempio  di  Bari  e  di  Napoli  seguirono  ì  altre 
città  del  Regno:  Aversa  volle  anche  ridurre  in  iscritto 
le  sue  Consuetudini,  che  girano  per  le  mani  d'ogna» 
no  col  Commento  di  Nunzio  PelUada^  Capua  tieuQ 
pure  le  sue  commefitate  da  Flavio  Ventriglia  Gen- 
tiluomo capuano.  Gaeta  similmente  ha  particolari  Con*> 
suetudini  e  Statuti.  Amalfi  e  suo  Ducato  ebbe  anche 
k  sue  particolari  Consuetudini,  le  quali  furono  (H)m- 
pilate  dal  Giudice  Giovanni  Agost aricci ^  che  morì  in 
Amalfi  Tanno  1:281  dove  nelF antico  Chiostro  di  San 
Andrea  si  vede  il  suo  tumulo  ed  iaerìzione  ip).  Ca-^ 
tamaro  tiene  eziandio  le  proprie  Consuetudini  .  spie- 
gate dal  tmo  ci^dino  Giomn  Francesco  Paparo»  E 
così  di  mano  in  mano  T  altre  città  del  Regno,  delle 
quali  non  accade  far  qui  uu  più  lungo  e  nodoso  ca- 
talogo. 

In  tanta  grandes^a  avendo  il  Kp  Carlo  II  posta  la 
città  ed  il  Regno  di  Napoli,  finalmente  giuntò  al  «es- 
•antesimoterzo  anno  di   sua   vita,  soprapreso  da  feb- 

{a)  Toppi  Biblioth.  Nap.  lit.  G«  pag.  ii3. 


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DEL  REGNO  DI  NAPOLI  L.XXI.  CAP.YIL  497 
bre  acutiiBima,  dopo  aver  regnato  anni  a  5  trapassò 
«'$  a  maggio  deiranno  1809  nel  palagio  chiamato 
Casanova  fuori  Porta  Capuana,  ch'egli  avea  fatto  edi- 
ficare luttgi  da  Napoli  30D  passi,  óve  ahìtar  solea 
4* «state,  per  T  opportunità  delF acque  del  Sebeto,  che 
entrando  nella  città,  passavano  per  quello,  il  qual  luogo 
divenuto  poscia  grandissima  villa,  ritiene  sin  a' nostri 
dì  il  medesimo  nome,  ancorché  dell'antico  palagio  non 
he  sia  rimase  alcun  vestigio. 

(  Carlo  11  uh  anno  prima  di  morire  fece  in  Mar- 
Biglia  il  suo  testamento  a^i6  Marzo  i3ò8,  nel  quale 
istituì  erede  del  Regno  Roberto  Duca  di  Calabria, 
chiamandolo  suo  primogenito,  ed  a  Carlo  suo  nipote 
figliuolo  del  Re  d'Ungheria,  che  fu  suo  primogenito, 
gli  lasciò  solo  duemila  once  d'oro  da  pagarsegli  per 
lina  sol  volta  dal  Regno.  Si  elesse  per  sepoltura  del 
suo  corpo  la  chiesa  del  monastero  di  S.  Maria  di  Na^ 
zaret  in  Provenza,  e  fece  molte  altre  disposizioni  in- 
tomo agli  Stati  del  Contado  di  Provenza,  di  Forcal- 
quer  e  di  Pedemonte,  ne' quali  per  non  poter  succe- 
dere le  femmine  in  mancanza  de' discendenti  maschj 
di  Roberto  chiamò  Filippo  Principe  di  Taranto  e  di 
Acaja  suo  figlio  é  suoi  distendenti  maÀchj,  sostituendo 
a  questi  altri  maschj  di  primogenito  in  primogenito. 
Il  suddetto  testamento  estratto  dal  real  Archivio  di 
Provenza  i|i  impresso  da  Lunig  {a)  ). 

Non  è  memoria,  come  scrive  il  Costanzo,  che  fosse 
mai  pianto  Principe  alcuno  tanto  amaramente,  quanto 
costui,  per  gran  liberalità,  per  gran  clemenza,  e  per 
altre  virtù,  ond'era  egli  adorno.  Per  la  sua  liberalità 
fu  comparato  ad  Alessandro  M.  e  quanto   nelle   cose 

{a)  Lunig  God.  DipL  Xtah  Tom.  2  pag.  ao66^ 

3a 


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49»  STORIA  CITILE 

militari  fu  inesperto)  altrettanto  nelle  cote  ciyili  e  pa- 
cifìche  fu  eminente.  Fu  con  regal  pompa  seppellito 
il  suo  cadavere  nella  chiesa  di  S.  Domenico  e  non 
molto  da  poi  fu  trasferito  in  Provenza,  e  nel  mona- 
stero delle  Suore  dell' Ordine  de!  Predicatori  di  S.  Ma- 
ria di  Nazaret,  edificato  da  lui  in  Arles^  fu  colloca* 
to  (a);  ma  il  suo  cuore,  per  ordine  di  Roberto  suo 
figliuolo,  fu  fatto  consenrare  in  una  Urna  d' avorio  e 
riporre  in  quella  medesima  chiesa  in  Napoli,  dove  oggi 
giorno  da  que' Monaci,  memori  d'aver  questo  Princi- 
pe arricchito  quel  Convento,  cpn  molta  religione  • 
riverenza  vien  custodito. 

(a)  CoUenuc.  Comp.  Istor.  lib.  5. 


SPINE    DtL   VOLVMB   ^VIKta 


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TAVOLA  DE'  CAPITOLI 


COKTBHtrTI 


NEL    TOliO    QUINTO 


LIBRO  DEGIMOTTAyO  pag,       i 

Cap.  I  Lyorrado  di  Alemngna  cala  in  Itàliai 
giunge  per  V  Adriatico  in  Puglia^  ed  ah- 
latte  i  Conti  d'  Aquino:  Capua  se  gli 
rende  ^  e  Napoli  vien  presa  per  assalto  e 

saccheggiata »     io 

.1;  Invito  d*  Innocenzio  fatto  al  fratello  del 
Re  d'Inghilterra  alla  conquista  del  Re- 
gno  »      ^4 

Cap.  II.  Corrado  insospettito  di  Manfredi  là  spo* 
glia  d'ogni  autorità y  e  de' suoi  Stati;  av- 
velena  il  suo  minor  fratello  Errico  ;  ed 
'  egli  poco  da  poi  se  ne  muore  di  consi- 
mil  morte;  onde  Manfredi  assume  di  nuo- 
vo il  Raliato  del  Regno  ...,.»      i6 

Gap.  III.  Spedizione  d*  Innocenzio  IV  sopra   il 

Regno »     ai 

L  Innoeenzio  abbandona    il   Re   d' InghiU 
terra^  ed  invita  il  fratello  del  Re  di  Fran" 


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5oo 

eia  alla  conquista  del  Regno:  se  ne  muo- 
re in  Napoli^  e  svaniscono  i  suoi  di- 
segni  pag.     36 

Gap.  lY,  Spedizione  d^ Alessandro  IV  sopra  il 
Regno  ^  e  nuovi  inviti  fatti  da  lui  al  Conte 
di  Provenza,  ed  ql  Re  d^  Inghilterra  .     n     3  9 

LIBRO  DECIMONONO  pag.     58 

Cap.  I.  Spedizione  d'  Urbano  IV  contro  Man- 
fredi'^ ed  inviti  fatti  in,  Francia  per   la 

conquista  del  Regno »      70 

I.  Invito  d'  IffhaHo  fatto  \a  Carlo   à'  àngib 

per  la  conquista  del  Regno  ....     »      yS 
Gap.  II.  Spedizione  di  Clemente  IV  e   conqui- 
ste d\  Carlo  d\  Àngiòy  da  lui  investito  del 
U^gn9  di  Puglia  e  di  Sicilia    ...     9»     Sa 
I.  Coronaf^ione  di  Carlo  m  Roma     .     .     »     90 
Gap.  m.  Re  ìfanfredi  rjcef^e  con  intrepidezza^ 
e  valore  il  nemicq:  ferocemente  si  viene 
«  If^ttagliaj  nella  quale^  tradito  dasuoi^ 
rin^aue  infelicemente  ucciso .     ...»      98 
Gap.  ly.  Re  Carlo  entralo  nel  Regno  comincia 
a  reggerlo  con   crudeltà  e  rigore;   onde 
il  su^  governo   i  ahborriio  e   gli  animi 
si  rivoltano   ed  invitano   alla   Conquista 
Corradino      ..     ^     «••...     »   102 
$.  I.  l^vito^  di  Cotradino  in  Italia;  e  mal 

successo  della  ^ua  spedizione    .     ,     .     *»    106 
§.  il.  Infelice  morte  del  Re  Corradino^  in 
^cui  s* estinse  il  legnaggiq  deSvevi      ^     »   118 
'  Gap.  y.  Politia  Ecclesiastica  del  decimoterzo  se- 

colo  insino  al  RegnQ  degli  Angioini  •     >>  laS 


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$.  I.  Ifella    Compilazione  delle  Decretali; 

e  loro  uso  ed  autorità      ....     pag.  ia8 
$.  //.  Elezione  de'  Vescovi^  e  provinone  in- 
torno a  Bcneficj      , »  i38 

$.  III.  Della  Conoscenza  nelle  cause     •     »  i48 

§.  lY.  Tribunale  deW Inquisizione     .     .     »  i6c 
$»  y.  Monaci  e  leni  temporali     .     .     .     «171 

LIBRO  VENTESIMO  pag.  191 

Gap.  I.  Cagioni  onde  Napoli  divenisse  Capo  del 

Segno ^  e,  Sede  regia ;     •  aoo 

§.  I.  Edificj •  901 

$.  II.  Risioramento  degli  Studj     .     •     .     é  3o3 
Cap.  II.  Carlo  si  rende  tributario  il  Regno   di 
Tunisi;  e  per  la  cessione  di  Maria  y  fi* 
gliuola  del  Principe   d'Antiochia  diviene 

Re  di  Gerusalemme ^  3u8 

I.  Carlo  per  la  cessione  di  Maria  figliuola 

del  Principe  J*  Antiochia  diviene   He  di 

Gerusalemme      •     •     .     .     •    ,•     .     .     «*  aio 

Gap.  III.  Nuova  nobiltà  Franzese  introdotta  da 

Carlo  I  in   Napoli'^  e  nuovi    Ordini   di 

Cayalieri •   916 

§.  I.    Cavalieri   armati   da   Carlo  in   Sfa* 

poli »9l8 

§.  IL  Particolari  Ordini  di  Cavalleria  .     «935 
Gap.  ly.  Seggi   di  Napoli  riordinati ^  ed   illu* 

strati  da  Carlo n   943 

I.  Parlamenti  generali  cominciati  a  convo^ 

carsi  in  Napoli »  969 

Gap.  y .  JHvisione  del  Regno  di  Sicilia  da  queh 


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lo  Ai  Puglia^  per  ìo  famoso  Vespro   Si- 
ciliano   ,     .     •     .     .     pag.  a  63 

Cap.  VI,  VJficiali  della  Corona  divisi.    Il   Tri- 
hunale  della  Gran   Corte  stabilito  in  Na- 
poli \  e  della  Corte  del  Vicario      .  »  ajrS 
§;  I.  Del  Tribunale  della  Corte  stabilito  in 

Napoli.     •  .  .     .      .     i »   280 

§.   //.  Della  Corte  del  Vicario      •     ,     .     »   284 

Gap.  VII.  Carlo    Principe   di    Salerno  governa 

il  Regno  come  Vicario  j  mentre   U  padre 

è  in  Romay  e  va  poi  a  battersi  in    Ror* 

deos  con  Pietro  Re  d*  Aragona  .     .     .     «   294 

Gap.  Vili.  Prigionia  del   Principe   di  Salerno ^ 

'€  morte  del' Re  Carlo  suo  padre    .     .     »  3o6 
Gap.  IX.  Delle  nuove   leggi   introdotte  da  Car^ 
lo  I  e  dagli  altri  Re  angioini  suoi  sue- 
cessoriy  che  chiamiamo  Capitoli  del  Regno  n  3i3 
§.  I.   Capitoli  del  Re  Carlo  7.     .     .  «»   3i8 

5.  II.  Capitoli  del  Principe  di  Salerno  pro- 
mulgati in  tempo  del  suo  Vicariato ^  men- 
tre Re  Carlo  suo  Padre  era' dissente   •     «   32  5 
§.  III.   Capitoli  del  He  Carlo  II      .     .     »    335 
§.  IV.  Capitoli  del  Re  Roberto    ...»  338 
§.  V.  •  Capitoli  di .  Carlo-  Duca  di  Calabria 

Vicario  del  Regno  .     .     .    ^     .     .     .    •»   348 


LIBRO  VENTESIMOPRIMO  pag.  354 

Gap.  I.  De'  Capitoli  di  Papa  Onorio  iVy^  e  qual 

uso  ed  autorità  ebbero  nel  Regno  .      .     »  357 
Capitala  Papae  Honorii    .     .     •     .     »   364 

Gap.  IL  Negoziati  fatti  in  Inghilterra  e  ad  Ole* 
ron  in    Rearn^  per  la  scarcerazione   del 


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Boi 
Principe  Carlo;  sua  incoronazione  e  tre* 
*gua  fatta  col  Re  Giacomo  di  Sicilia  {)ag.  3ga 
Cap,  III.   Coronazione  di  Carlo  Mattello  in  Re 
d' Ungheria.  Pace  con  chiusa  ira  il  Re  Car- 
lo  ed   il  Re  d' Aragona *,  ^d  incoronazio- 
ne di  Federico  in  Ite  di  Sicilia    .     .     »   898 
Cap.  IV.   Guerra  rinovata  in  Sicilia.  Morte   di 
Carlo  Martello    Re  S  Ungheria  ;   e  pace 
conchiusa  col  Re  Federico    .     .     •     .     »  '423 
Cap.  V.  Napoli  amplificata  da  Carlo  lly  e  resa 
pili  magnifica  per  edificj\  per  lustro  della 
sua    Casa   regale ,  e  per   altre    opere   di 
pietà  illustri  e  memorabili^  adoperate  da 
lui  non  meno    quivi^  che   nell'altre  città 

del  Regno »   435 

§.  1.  Della  chiesa  di  S.  Niccolò  di  Rari  »   4^9 
§.  IL  Della  chiesa  di  S.  Maria  di  Lucerà  n  449 
§.  IH.   Della  Chiesa  d'  Altamura  ....     »  4^4 
Cap.  VI.   Della   Casa  del  Re:   suo  splendore   e 

magnificenza:  e  de' suoi  Ufficiali     .     .     »  4^9 
$.  I.  Degli  Ufficiali  della  Casa  del  Re  ..     »?  4^4 

De'  Grandi  Ufficiali >>   467 

De'  Minori  Ufficiali  .     i     .     .     .     .     *t  474 
§.  II.  Del  Maestro  della  Cappella  del  Re^ 
che  ora  chiamiamo  Cappellano  Maggiore  n  Ifii 
Cap.  VII.  Delle  Consuetudini  della  città  di  iVa- 
poli  e  di  Rariy  e  d?  alcune  altre  città  del 
Regno »  487 


Fine    DEIX^INOIGE« 


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